Obscuri Filius

di Cicer93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La strega ***
Capitolo 2: *** La partenza ***
Capitolo 3: *** Empatia e Amicizia ***



Capitolo 1
*** La strega ***


1. La strega
Baelfire diede un colpo di reni e, per un attimo, poté ammirare le acque cristalline del Fiume del Sale, che luccicavano riflettendo i raggi di quel sole benigno che solo raramente l'aveva abbandonato quell'estate, mantenendo alto il suo umore. Subito dopo, però, l’altalena lo portò giù, il panorama fu nascosto dal muro di cinta, il sole dalle fronde della quercia. Diede un’altra spinta e davanti ai suoi occhi comparvero i campi, punteggiati di contadini, la stradina acciottolata, le case a graticcio del borgo, strette l'une alle altre cosicché nessun odore o rumore potesse sfuggire ma, anzi, vi restava intrappolato saturando l'aria, rendendola viva. Un sorriso nostalgico comparve sulle labbra del ragazzino. Non ricordava più da quanto tempo non scendeva in paese a giocare; ricordava però distintamente l'ultima volta che vi si era recato: i sorrisi forzati dei bambini, gli sguardi spaventati, i mormorii quando credeva non sentissero, i giochi "sicuri" (noiosi) e perché nessuno volesse più giocare con lui a qualcosa di più pericoloso (divertente). Serrò la mascella, strinse maggiormente le corde dell'altalena e, quando tornò indietro e si trovò per qualche attimo a fissare il prato – magicamente verde nonostante il sole, diede il colpo più forte. Era sul punto più alto quando l'altalena gli sfuggì dalle mani. Prima ancora che lui realizzasse cosa stava accadendo, qualcosa dentro di lui scattò. La bestia si svegliò e, invece di precipitare a terra, si librò in aria. Fu solo un attimo. Il tempo di realizzare cosa stesse facendo.
«No!» l’urlò sgorgò dalle sue labbra, spontaneo e rabbioso.
Istantaneamente cominciò a cadere, ma altrettanto istantaneamente una forza estranea rallentò la sua caduta, facendolo atterrare dolcemente sull’erba. Baelfire si voltò, pronto a incontrare lo sguardo ferito del padre, ma si trovò a fissare due occhi azzurri e caldi. Il proprietario di quello sguardo era una donna, poco più giovane di suo padre, con gli zigomi alti e i capelli castano rossiccio raccolti morbidamente sulla nuca. Il corpo tondo, morbido, era coperto da una tunica ocra con le maniche a imbuto, stretta in vita da una cinta tempestata di pietre blu – cui Baelfire non seppe dare nome. “Mamma” gli sfuggì da qualche luogo recondito della sua mente. Si diede immediatamente dello stupido: primo, perché quella donna non assomigliava minimamente ai pochi ricordi che aveva di sua madre (capelli neri, occhi chiarissimi). Secondo, perché sapeva, dalle poche cose raccontate dal padre, che suo madre non era una strega, al contrario di chi gli stava davanti (foss'anche solo per il legnetto che aveva in mano).
Si alzò, lisciò la tunica e fece un breve inchino, salutando: «Buonasera mia Signora.»
«Buonasera Baelfire.» rispose la donna con voce morbida e calda e... "Può una voce odorare di torta?"
Baelfire scosse la testa, deciso a non farsi ingannare dalle capacità ammaliatrici della strega, notando però quanto quella donna non sembrasse 'rovinata' dalla magia. "Com'è possibile?"
«Vi do il benvenuto nel castello di Rumplestilzchen e, se vorrete seguirmi, vi condurrò subito da mio padre.» riprese con gentilezza, perché a lui le streghe non piacevano, ma la signora era quasi sicuramente un ospite di suo padre e gli ospiti non si trattano male.
«Ti ringrazio Baelfire, » la strega accompagnò le parole con un piccolo gesto del capo: «ma perché pensi che io sia qui per tuo padre?»
Il ragazzo, che già si era avviato, si voltò di scatto, senza riuscire a trattenere le proprie sopracciglia dall'arcuarsi: «Mia Signora, perdonatemi, ma non vedo perché altrimenti voi dovreste essere qui.»
La donna gli lanciò uno sguardo eloquente.
«Non credo che io e voi abbiamo qualcosa in comune, mia Signora.» replicò misurando le parole. Davvero, non voleva essere scortese.
La donna sorrise, come se le avesse detto le parole più belle del mondo: «Scopriamolo!»
«Io non credo.» Intervenne una voce cantilenante: «Cosa vi fa pensare che siate ben accetta qui? Pensavo di averlo chiarito alle sentinelle.»
Baelfire si voltò, trovandosi a guardare un uomo invecchiato anzitempo. Aveva i capelli castani e unti, occhi infuocati e labbra sottili, tirate in un sorriso che non coinvolgeva gli occhi. Indossava una tunica magenta, da cui sbucavano le brache scure dello stesso colore dei calzari. La mano destra, alzata come se avesse appena finito di muoverla, era nera, come carbonizzata1.
La strega s'irrigidì appena, ma sorrise con gli occhi e le labbra, come se veramente nulla potesse turbarla: «Le vostre sentinelle non mi ritengono un pericolo. Perché voi sì? Non sono qui per farvi del male.»
«È evidente che sul punto la pensiamo diversamente» replicò Rumplestilzchen con un sorriso malevolo: «Pensavo di essere stato chiaro, con i vostri compagni.»
Lo donna non si scompose e riprese a parlare con quella voce calda e l'accento ignoto a Baelfire: «Chiarissimo, ma si sa che la gente delle valli è testarda. Noi vogliamo rifiuti diretti.»
«Perfetto. La risposta è no.»
La voce della donna sembrò volerli carezzare: «Non così presto e non da voi, Rumplestilzchen.»
Posò uno sguardo dolce e materno su Baelfire, che barcollò come se potesse davvero sprofondare in quello sguardo, così simile eppure così diverso da quelli che gli rivolgeva suo padre.
«Posso buttarti fuori da casa mia anche ora, Tosca, perciò fallo da sola.»
Baelfire alzò uno sguardo spaventato su suo padre: conosceva quel tono, conosceva quello sguardo.  Immediatamente, corse a stringergli la vita. Sentì distintamente qualcosa sciogliersi sotto le sue braccia e il suo viso, premuto sul petto dell'uomo.
«Non sono contro di voi, Rumplestilzchen...» la voce morbida della strega, Tosca aveva detto il padre?, arrivò attutita alle sue orecchie: «Nessuno di noi, lo è. Per piacere, mio Signore, permettetemi di restare un po' con voi.»
«Per piacere, padre,» pregò Baelfire alzando gli occhi e incontrandone la copia: «non è troppo male per essere una strega.»
Sorprendentemente a quelle parole suo padre rispose con uno degli sguardi più tristi che Baelfire avesse mai visto, però annuì, con aria sconfitta.
Sulla strada per il palazzo, Baelfire non poté far a meno di notare ciò che aveva sostituito il dolore negli occhi di suo padre: la paura. Inevitabilmente, si chiese se avesse fatto la scelta giusta.

***

 
Quando Baelfire si svegliò, per un attimo, si illuse di essere a casa, ma fu immediatamente smentito dalla morbidezza del materasso, dalle dimensioni del letto, dalle tende del baldacchino. Ogni giorno era la stessa storia: l'illusione di essere a casa veniva presto sostituita dalla consapevolezza di essere nella fortezza. Si alzò e cambiò la veste da notte con la camicia bianca, le brache marroni e la tunica verde bosco. Non voleva niente di diverso, lui.
Scese per fare la colazione, ma una volta arrivato nella sala che faceva sia da cucina, su un lato, che da sala da pranzo, sull'altro, com'era l'uso dei Bavari2, si ritrovò faccia a faccia con la strega straniera (l'aggettivo se l'era guadagnato quando gli aveva rivelato di venire da un'isola lontana a nord-ovest da casa loro).
«Buongiorno Baelfire!» lo salutò, mentre depositava sul grande tavolo ciotole, tegami, alcune uova, un barattolo di miele, un panetto di burro e una cassetta di prugne.
«Buongiorno… Che fate?» non riuscì a trattenersi, ancora troppo assonnato per ricordarsi le buone maniere.
«Il dolce per dopo pranzo. Non credevo avrei davvero trovato le prugne così a nord!3» Gli occhi della donna erano accesi di un’autentica gioia, altamente contagiosa. «Mi aiuti?»
Baelfire annuì incuriosito, rimboccandosi le maniche. «Cosa devo fare?»
«Prima cosa, la marmellata di prugne»
Baelfire raggiunse uno dei cassetti prese due coltelli e ne porse uno alla donna, quindi la imitò: prendevano le prugne, le tagliavano a metà, toglievano il nocciolo e le facevano a pezzetti grossi. Era un lavoro lungo e non particolarmente divertente, ma era il genere di lavoro che Baelfire amava fare: tenere le mani occupate per preparare qualcosa (tanto più se si trattava di qualcosa di buono!). Erano a più di metà cassa, quando il coltello gli sfuggì di mano. Immediatamente la mano sinistra iniziò a sanguinare e il ragazzo spalancò gli occhi terrorizzato: la strega gli stava simpatica, ma a suo padre non stava simpatico chi gli procurava una qualsivoglia ferita.
Una mano gli batté gentilmente sulla spalla: «Baelfire, stai tranquillo… è solo un taglietto»
Tosca gli tolse di mano il coltello e la prugna incriminata, con dolcezza, quindi frugò nella piccola sacca che portava legata in vita e ne estrasse una piccola boccetta.
«Dammi la mano»
Baelfire scosse la testa ritraendosi, non sapendo cosa lo spaventava di più: la furia di suo padre o la boccetta di liquido marrone.
Inaspettatamente, la strega gli prese la mano, senza aspettare che fosse lui a porgergliela, e fece cadere tre gocce dell’olio sul taglio. Immediatamente, il sangue si fermò e un sottile strato di pelle nuovo si formò laddove prima c’era il taglio.
Diviso tra la meraviglia e il sospetto, il ragazzo non frenò la domanda che sorse sulle sue labbra: «Qual è il prezzo?»
«Di una boccetta di essenza di Dittamo?»
«Di questa magia.»
«Anni di studio e ricerca, qualche ora di lavoro… Come il nostro dolce.» Tosca scosse le spalle, prima di riporre la boccetta nella saccoccia e tornare al loro lavoro.
«Non è la stessa cosa.»
«Ne sei sicuro?»
La strega alzò gli occhi su di lui e Baelfire, davvero!, provò a sostenere quegli occhi puri e sinceri, ma questa volta non ce la fece e riprese il suo lavoro. Di tanto in tanto, però, il suo sguardo tornava alla mano… del taglio, neanche il ricordo.


«Buongiorno! Vi state divertendo?» La voce di suo padre colpì Baelfire come un pugno dello stomaco. Era malevola e cantilenante, come il giorno prima. Non gli piaceva.
Sollevò lo sguardo dalla pasta che stava preparando, e che avrebbe fatto da base per il loro dolce, offrendo al padre uno dei suoi migliori sorrisi, quelli che – lo sapeva – avevano il potere di scioglierlo.
«Prepariamo un dolce!» esclamò entusiasta.
Suo padre, per tutta risposta, parve rabbuiarsi e immediatamente distolse lo sguardo da lui per rivolgersi alla strega impegnata sul fuoco con un ampio tegame, nel quale ribolliva qualcosa che stava espandendo un profumo delizioso.
«Gradite gli stufati, Signore?» chiese la donna con gentilezza porgendogli una cucchiaiata
«Per questo siete venuta qui? Per farci da balia?» chiese, malevolo.
«Ne avete bisogno?»
«Ditemelo voi...»
«Amo cucinare e provare i frutti dei posti in cui mi reco,» la strega scosse le spalle con serenità: «al mercato ho incontrato una signora ha detto che i suoi conigli sono i migliori. Volevo verificarlo. Vi disturba?»
«Non c'era bisogno.» borbottò Rumplestilzchen, già avviato verso le sue stanze.
«Lo so.»
Suo padre non era ancora uscito, quando la donna si voltò per ammiccare a Baelfire, che non poté fare a meno di chiedersi che razza di poteri avesse quella donna.


***

 
Dopo due settimane dall'arrivo della signora Tosca Tassorosso (aveva scoperto pochi giorni prima la sua casata, quando lei l'aveva colto a fissare l'anello con il simbolo), Baelfire stava di nuovo nel suo luogo preferito – l'altalena sul lato ovest della prima corte – quando vide arrivare suo padre. Quel giorno indossava una tunica blu brillante sopra brache giallo chiaro e calzari marrone scuro stretti da innumerevoli lacci.
«Non sei con dama Tosca.» esordì l'uomo.
«Doveva rispondere alle lettere della sua famiglia e di alcuni amici.»
Il cielo era così limpido e il sole caldissimo era alleggerito da una brezza fresca da un paio di giorni a quella parte spirava da nord.
«Puoi dedicare un po' di tempo a tuo padre?»
Baelfire si voltò, trovando a confrontarsi con uno di quegli sguardi incomprensibili e fortissimi che gli donava suo padre. Vi era un misto di affetto e supplica in quegli occhi castani. Un dono infinito d'amore e una richiesta d'amore infinita. Sostenere uno sguardo del genere era una fatica grandissima, anche per lui.
Il ragazzo lasciò che l'altalena rallentasse e saltò giù quando ancora non era completamente ferma, guadagnandosi un'occhiataccia. Sorrise: «Certamente padre.»
Baelfire sentì l'uomo prendere la sua mano. Era grande, tremava appena ed era leggermente sudata. Si sentì trascinare via, la stomaco contorcersi, strinse più forte la mano del padre, terrorizzato; ma fu solo un attimo. Riaprì gli occhi e si trovò sulla sponda del Fiume del Sale, in una piccola baia dove l'estate andavano spesso, lui e suo padre, quand'era piccolo. Era tanto – troppo – tempo che non vi si recavano. Un sorriso comparve spontaneamente sulle sue labbra, si tolse in tutta fretta i calzari e non riuscì a trattenere un grido infantile mentre si lanciava in corsa sulla riva. L'acqua fresca lambì i suoi piedi. La schizzò ovunque correndo avanti e indietro. Il padre lo raggiunse sorridendo. Baelfire fece un sorriso birbante, prese la rincorsa e con il piede sollevò una colonna d'acqua che schizzò il padre dalla testa ai piedi. Rumplestilzchen spalancò gli occhi in un espressione sconvolta.
«Come hai osato!» esclamò, un attimo prima di bagnarlo con un'onda di gran lunga migliore della sua.
Il ragazzo rispose, ma fu troppo lento: Rumplestilzchen con un paio di balzi si era allontanato tanto da riuscire a evitare il suo contrattacco.
«Padre! Così non vale! Tornate qui!» esclamò correndogli dietro e ridendo.


Il sole tramontava dietro la fortezza e nella piccola baia all'inizio dell'ansa del Fiume del Sale stavano seduti un padre e un figlio. Il primo invecchiato anzitempo e con il sorriso di un bambino, l'altro troppo basso per la sua età e con la sensazione di dover imprimere a fuoco nella sua mente quel pomeriggio.
«Ti piace dama Tosca» disse improvvisamente Rumplestilzchen, fissando un punto imprecisato dall'altra parte del fiume.
«A voi, no?»
«Sai perché è qui?» chiese suo padre guardandolo, con uno di quegli sguardi che Baelfire aveva visto al mercato, negli occhi degli agnellini in attesa che si decidesse del loro destino.
«Quando è arrivata ha detto che voleva una risposta...» rispose il ragazzo, concentrandosi sui ricordi per non dover sostenere quello sguardo che, incomprensibilmente, gli dava una sensazione fisica di dolore.
L'uomo storse il naso e facendo una vocetta acuta, cantilenante e quanto mai fastidiosa, gli rivelò: «La domanda era: posso portarmi via tuo figlio?»
«Non è possibile! Non vuole che noi ci separiamo, anzi!» esclamò con forza, ricordando quante volte la dama aveva sostenuto quanto il rapporto fra lui e suo padre fosse prezioso.
«Bae, Bae...» suo padre lo guardò con condiscendenza: «tu vuoi sempre vedere il buono negli altri, ma non vedi quanto gli altri mi vogliono male, che vogliono che io mi separi da te?»
Baelfire sentì distintamente qualcosa ribollire all'altezza della pancia. Non sapeva quando avesse smesso di chiamare dama Tosca la "strega straniera", né quando si fosse affezionato a lei, ma sapeva che in quel momento non voleva che suo padre dicesse cose tanto brutte sulla donna. Rumplestilzchen, tuttavia, non parve rendersene conto e, continuando a gesticolare, proseguì con acidità: «Crede che io non sia un buon genitore... Vuole sostituirmi... Vuole diventare la tua nuova famiglia!»
«NON È VERO!» Baelfire scoprì con stupore che era stato lui a ringhiare, fissando con rabbia il padre in piedi a pugni stretti: «Siete solo invidioso! Invidioso perché lei non è invecchiata per la magia e perché in paese sta simpatica a tutti!»
Vide la disperazione negli occhi di suo padre: «Ecco! Vedi! Già prendi le sue difese! Quale sarà il prossimo passo? Imparare la magia da lei?»
«IO NON STUDIERÒ MAI LA MAGIA!» urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Si sforzò di fissare suo padre, sperando che vi leggesse la sua decisione e non le lacrime che tentavano prepotenti di uscire. Lo sguardo che il padre gli restituì era sofferente, ma non solo, anche se gli pareva impossibile fosse sollievo. Chinò lo sguardo, incapace di sostenere quello dell'altro ma immediatamente il suo spazio personale fu invaso da una presenza nota. Rilassò i pugni e strinse suo padre.
«Io non vi lascerò mai.» mormorò.

***


«Come trovate i vostri studenti?» chiese Baelfire, mordendo la trota arrostita e godendosi l'aroma dato da cannella, zafferano e altre spezie che non era in grado di identificare.
La pesca della notte precedente era stata fruttuosa e la loro ospite quella sera li aveva accolti con un tripudio di pesce, la cui vista aveva spalancato lo stomaco del ragazzo.
La dama Tassorosso, inghiottì il boccone (lo faceva sempre,manche se Baelfire non capiva il motivo) prima di rispondere: «Noi maghi non siamo tanti e noi quattro insieme conosciamo quasi tutte le famiglie magiche della Franconia Occidentale e Orientale, dei sette regni, alcune Normanne...»
Baelfire spalancò occhi e bocca, rischiando che il boccone appena preso ricadesse fuori: «Anche i Normanni!»
«E anche alcune famiglie dei popoli dell'est»
A quelle parole, persino Rumplestilzchen alzò lo sguardo interessato. «E partecipano?» chiese.
«Qualcuno, quelli con meno pregiudizi...» Tosca arricciò appena le labbra pensierosa.
Baelfire, sempre più meravigliato, stava per porre un'altra domanda, ma intervenne la perfida e cantilenante voce di Rumplestilzchen: «E chi non è figlio di maghi?»
Tosca sorrise bloccando a mezz'aria la mano che teneva uno spiedino di carpa: «Sono i più facili da trovare...» diede un morso guardando con gioia sincera lo sguardo interessato di Baelfire: «Durante l'estate viaggiamo per città e villaggi... Basta fare qualche domanda e scopri immediatamente se c'è qualche mago tra loro...»
«Perché tu stai perdendo tempo qui, allora?»
«E vengono tutti?» chiese Baelfire colpito, sovrapponendo involontariamente e inconsapevolmente la propria voce a quella del padre.
«Chi non ha genitori maghi sì» rispose la dama, ignorando completamente le parole di Rumplestilzchen.
«E chi li ha?»
«Spesso impara dai genitori, più raramente da noi... Anche se il numero è in aumento»
«E se uno non volesse imparare?»
«Una scelta pericolosa... Per sé e per gli altri»
Baelfire aveva chinato gli occhi sul piatto e continuava a spostare i cibo al suo interno, senza un vero scopo, incapace di sollevare lo sguardo perché sapeva avrebbe incontrato uno sguardo troppo limpido e serio perché potesse essere sostenuto.
«Pure la magia è una scelta pericolosa... E una scelta comoda.»
«Non dirlo ai miei studenti!»
La voce della donna era divertita e allegra, ma Baelfire non riusciva a condividere quell'emozione: per qualche inspiegabile motivo sentiva il cuore battergli forte, l'aria mancargli e come se qualcuno gli avesse messo sul petto il tavolo della salata pranzo, senza che potesse spostarlo. Continuando a tenere lo sguardo basso, si alzò: «A me non interessa... Scusatemi ma devo proprio andare.»
Mentre usciva dalla sala udì appena la voce chiaramente soddisfatta del padre: «Avete avuto la vostra risposta.»


Baelfire amava il cielo d'estate: era limpido, senza nuvole, chiaro e anche di notte non era cupo come durante l'inverno. Quand'era più piccolo, spesso d'estate si addormentava all'aperto nel tentativo di contare le stelle, poi la mattina si svegliava nel suo letto e, quando chiedeva a suo padre come ci fosse arrivato, questi inventava ogni volta una storia diversa capace di giustificare le sue materializzazioni. Era più facile allora: suo padre non era l'Oscuro, ma un mago semplice, capace, che non aveva mai desiderato più di quello che aveva, che aveva continuato il lavoro delle due donne che l'avevano allevato. Era più facile, allora, anche se vivevano in una casa piccola, con una sola stanza e una nicchia con il letto, in cui dormivano entrambi. Poi, tre o quattro anni prima, erano arrivati i profughi, come li avevano chiamati al villaggio. Centinaia di persone con i vestiti a brandelli e sporchi si erano riversati sul loro villaggio e – a quanto avevano detto i commercianti – su quelli vicini, diretti verso Aquisgrana alla ricerca della protezione imperiale. Erano stati loro stessi a dire agli abitanti del villaggio da cosa fuggivano: gli Orchi, li chiamavano loro... gli Ungari, li aveva corretti Oto, il commerciante di spezie che conosceva il mondo più di chiunque altro al villaggio. Baelfire ricordava due cose di quella massa multiforme di persone: gli occhi spalancati, terrorizzati, sempre in movimento come si aspettassero di essere aggrediti da un momento all'altro e le mamme. Imparavi presto a riconoscerle: gli occhi erano persi nel vuoto o arrabbiati, furiosi, sofferenti, morti o folli, mai spaventati; alcune avevano dei tagli sul volto o sulle braccia; mangiavano meno di tutti, erano le meno contente dell'acqua, sembravano interessarsi di nulla; sembravano disperate per essere sfuggite alla furia degli Orchi. Non tutte probabilmente erano così, e talvolta gli stessi segni potevano trovarsi su un uomo, ma erano la "regola" di quel periodo, le mamme orfane. Suo padre l'aveva capito prima di lui – era stato lui a spiegargli perché quelle donne sembravano più disperate e malmesse degli altri – e sin dalla prima ondata aveva cominciato a tenerlo più spesso accanto a sé e anche durante il giorno voleva che fosse sempre a portata di vista. I pochi bambini che arrivavano avevano lo stesso sguardo delle mamme orfane: disperato, abbandonato, terrorizzato... Anche la mamma di Baelfire era morta quando lui era molto piccolo, gliel'aveva raccontato suo padre, eppure era sicuro di non avere lo sguardo di quei bambini.
Un rumore lo tirò fuori dai suoi ricordi, si girò a pancia sotto e vide la signora Tosca camminare lungo il sentiero che portava all'entrata principale della fortezza.
«Mia Signora! Dove andate?» esclamò tirandosi in piedi e affrettandosi nella sua direzione.
«Baelfire!» esclamò la donna colpita: «Tuo padre non sarebbe contento...» scosse appena il capo, ma, quando lo rivolse di nuovo verso di lui, Baelfire intravide al chiaro di luna il sorriso affettuoso che aveva imparato a riconoscere: «Non posso restare per sempre qua! Devo anche aiutare i miei compagni a trovare i nuovi maghi.»
«Mi dispiace ma a me la magia non piace proprio» sospirò scuotendo la testa sconsolato.
La donna gli mise due dita sotto il mento e Baelfire istintivamente alzò lo sguardo, sforzandosi di incontrare quei benevoli ma diretti occhi chiari.
«Lo so, Baelfire, lo so... Ma la magia è parte di te. Lo sarà sempre. Non accettarla potrebbe essere molto molto più pericoloso.»
Trattenne un sospiro, ma non abbassò gli occhi: «La magia ha sempre un prezzo: non voglio studiare quella magia che piace tanto a mio padre, per proteggerci e difenderci da non si sa cosa...» storse il naso schifato al ricordo delle piante velenose e delle pozioni che gli aveva mostrato si ore vano utilizzare contro i nemici: «né voglio venire con voi, perché non posso abbandonare mio padre... Lo distruggerebbe.»
La donna gli arruffò i capelli, ridendo della sua espressione imbronciata: «Lo so. È una tua scelta. Ora devo andare, Baelfire, ma mi ha fatto davvero piacere conoscerti!»
Tosca Tassorosso, però, fermò il piede a mezz'aria, per poi voltarsi di nuovo verso di lui. Mise le mani nella saccoccia magica che portava sempre in vita – dalla quale Baelfire aveva visto uscire i più svariati oggetti, pozioni, il dittamo, le spezie e anche la coppa con la quale Tosca beveva sempre – e tirò fuori proprio la bellissima coppa d'oro dalla quale non sembrava separarsi mai; quindi da una piega del vestito estrasse la bacchetta e con un fluido gesto produsse una copia in miniatura della coppa. Non rispose al suo sguardo interrogativo ma si strappò un capello e lo mise nella piccola coppa, poi fece lo stesso con Baelfire, borbottando un paio di parole di scuse, quando il ragazzo lo guardò male. Infine, rovistò di nuovo nella saccoccia e ne tirò fuori un cordoncino – durante quel mese Baelfire aveva perso il conto del numero di cordoncini che quella donna aveva tirato fuori – e sempre con un colpo di bacchetta fece un paio di buchi alla base della coppa prima di farci passare il cordoncino attraverso.
«Ecco,» disse passandoglielo attorno al collo: «Quando avrai bisogno di me, stringila e io lo saprò.» ammiccò «Buona fortuna, Baelfire!» lo salutò riprendendo il suo cammino.
«Addio, mia Signora!»
La guardò raggiungere il cancello e superarlo prima di sparire con un pop!






Note:
1Essendo un mago, se si fosse azzoppato avrebbe potuto continuare ad aiutare il proprio signore, quindi ho immaginato si fosse distrutto la mano. Non credo avrò la possibilità di raccontarlo, quindi lo scriverò qui. Rumple si distrugge la mano destra per non morire in guerra. La mano guarisce grazie all'opera di una guaritrice, però, quando Rumple comincia a praticare la Magia Oscura quella mano, con cui tiene la bacchetta, progressivamente si annerisce apparendo dello stesso colore che avrebbe se fosse carbonizzata, pur essendo completamente funzionale.
2Da quanto ho letto, in realtà, fino al Basso Medioevo anche nelle case dei ricchi cucina e sala da pranzo erano un unico locale, non solo tra i Bavari, ma già sappiamo che per esempio a Hogwarts non è così.
3 Durante il Medioevo si verificò un innalzamento globale della temperatura tale che la vite, che notoriamente si coltivava nel Mediterraneo perché ha bisogno di molto sole, si coltivava fino in Gran Bretagna, pertanto - pur non sapendo fino a che altitudini si coltivano oggi le prugne - non credo sia assurdo ipotizzare che si potessero trovare le prugne nella futura Germania sudorientale.


Ciao a tutti! Approfitto del fatto che mi è stato segnalato che il font è un po’ troppo grande per aggiungere le due parole che avrei aggiunto ieri notte se fossi stata in condizioni di farlo XD
Questa è la prima storia che pubblico su EFP e sono confusa dal sentirmi contemporaneamente tipo mia nonna quando le avevano appena regalato l’Ipad (anche se ora è una spada) e una bambina di prima elementare al suo primo giorno di scuola vera!
La storia è nata per un contest, è vero, ma credo che la continuerò indipendentemente se verrò eliminata o meno al prossimo turno (a questo purtroppo e per fortuna abbiamo consegnato in troppo pochi e quindi non ci saranno eliminazioni) perché me ne sono innamorata. Ho già ringraziato Dragone97 perché non sono una fan dei cross-over, tanto che non ne ho mai letti, ma il suo contest mi ha incuriosito subito, il personaggio è nato spontaneamente e il resto… puro divertimento! Spero di aver fatto divertire anche voi e che tornerete a leggermi anche nel prossimo capitolo!

IMPORTANTE: Lo scriverò anche nel capitolo relativo, ma volevo avvisarvi che il secondo capitolo verrà molto corretto rispetto alla versione mandata in tutta fretta a Dragone perché ero in ritardo sul proroga (me tapina!) e, quindi, probabilmente pubblicherò il secondo capitolo il 29aprile e forse ne inserirò un altro (che chiaramente sarebbe esterno al contest).
Edit: Suinogiallo mi ha comunicato che per tali modifiche dovrò aspettare tre mesi dalla chiusura del contest, quindi per ora avrete solo la versione per il contest ^^

A presto!


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Capitolo 2
*** La partenza ***


1. La partenza
Erano trascorse quasi due settimane dalla partenza di madama Tosca, ma mai Baelfire ne aveva sentito la mancanza quanto gli ultimi tre giorni. Se la prima volta era stata una lotta, quella mattina aveva combattuto un'autentica battaglia per riuscire a scendere in paese. Durante il soggiorno della dama, tutte quelle battaglie non c'erano state o, perlomeno, non aveva dovuto combatterle lui. Se ci fosse stata la dama, d'altro canto, quel giorno non avrebbe dovuto scendere di nuovo al villaggio con una borsa tintinnante al fianco. Il sole era bollente e Baelfire sentiva distintamente l'umidità fresca del sudore sotto la solita casacca. Quel giorno neanche il bel tempo riusciva a migliorare il suo umore. Udì il belare del gregge della famiglia di Anna, che pascolava poco distante, e sentì distintamente le sue budella contorcersi. Due giorni prima, dopo una litigata e innumerevoli rassicurazioni, era riuscito a ottenere il permesso di scendere a farsi un giro per il villaggio o sulla riva del fiume, senza allontanarsi, mentre suo padre era impegnato. Per sicurezza, questi gli aveva dato un ciondolo con uno specchietto, dicendo che lui aveva il gemello e che questo gli avrebbe permesso di sapere se gli stava disubbidendo o se era in pericolo. Francamente, Baelfire aveva pensato che si stava trasformando in uno di quegli amuleti per scacciare il maligno appesi alle porte delle case del villaggio, quelli che ogni volta che aprivi la porta, per il fracasso che facevano, avevi la tentazione di seguire il maligno nella sua fuga. Non aveva, però, detto niente anche perché, nonostante non lo avesse abbandonato per seguire la dama, suo padre da quando questa era partita (o già da quand'era arrivata?) era incredibilmente inquieto, gli prestava molta meno attenzione, era continuamente in tensione e lo fissava con un misto di speranza e paura che, decisamente, Baelfire non capiva, neanche alla luce di quel tarlo che ultimamente gli rosicchiava il cervello.
Raggiunto il villaggio, Baelfire si fermò laddove le case si facevano più fitte e la sua mente, prima che potesse fermarla, ricostruì quelle strada che per i primi anni della sua vita aveva calpestato innumerevoli volte: raggiunse il forno di Gundahar, che gli regalava sempre delle pagnotte in miniatura, e la casa di Lorelei, capace di trasformare gomitoli in abiti, ripercorse la strada del carpentiere, che conduceva fino al porticciolo, di mattina invaso dal mercato, il pomeriggio da topi e uccelli che spazzolavano via i resti. Il ragazzo, tuttavia, non si addentrò tra i vicoli, ma svoltò presto a sinistra, prendendo una stradina sterrata che percorreva il perimetro del villaggio, inoltrandosi appena tra le case più esterne, per poi proseguire verso nord, accarezzando l’ultima casa del paese, la casa della famiglia di Emmerich, pastori che fornivano loro la lana grezza che suo padre filava trasformandola, talvolta in gomitoli per Lorelei, più spesso in oro. Involontariamente, Baelfire rallentò. Sentì qualcosa strizzargli le budella più forte man mano che si avvicinava al casa. Deglutì, rallentando ancora. Si umettò le labbra e quasi si fermò. Poteva sentire i brividi sulla schiena, nonostante il caldo, e le guance rosse, come se tutto il sangue vi si stesso accumulando. Chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. «Coraggio…» mormorò prima di riaprire gli occhi e riprendere il cammino con più decisione. Qualcosa, nel frattempo, aveva deciso di piantarglisi in gola, dandogli la sensazione di soffocare, come due giorni prima.

Era andato subito da Gundahar per prendere uno dei suoi krapfen e gustandoselo aveva raggiunto il mercato, dove aveva comprato un po’ di verdura e pesce, perché era quello che avrebbero mangiato a cena; quindi aveva costeggiato il porticciolo, preso a sassate un ratto, e aveva proseguito lungo la costa del fiume, ancora dentro i confini dettati dal padre, per uno di quei sentieri che tanto amava da ragazzo. Era su quel sentiero che l’aveva incontrata: Anna. Anna che aveva la sua età ed era stata a lungo la sua compagna di giochi. Anna che aveva detto che suo padre era un mostro, senza che Baelfire sapesse come rispondere. Anna che aveva i capelli castano chiaro, che al sole sembravano pieni di pagliuzze dorate, e gli occhi dello stesso colore del cielo. Anna che prima era sua amica e ora non lo era più. Anna che stava girando con un agnellino e Baelfire non aveva idea del perché.
Non avrebbe voluto incontrarla, davvero. Era proprio per non dover incontrare nessuno dei suoi vecchi amici che aveva solo fatto un rapido giro nel paese, per poi allontanarsi lungo quel sentiero. Avrebbe dovuto ricordarsi perché gli piaceva tanto…
Aveva provato a essere gentile, a salutarla con cortesia, ma la ragazza si era spaventata e il suo terrore era cresciuto proporzionalmente alle rassicurazioni di Baelfire. Non trovando soluzione al suo infondato terrore, Baelfire le aveva annunciato che sarebbe passato oltre e che non aveva altro interesse che proseguire la sua passeggiata. Anna aveva smesso di indietreggiare, ma si era frapposta tra lui e l'agnellino, fissandolo con quell'aggressività tremante che può derivare solo dalla paura. Lui aveva ripreso a camminare, lentamente, incapace di decidere come comportarsi di fronte a una sua vecchia amica che lo guardava come se fosse un mostro. Si pensa sempre che l'inevitabile avvenga in pochi attimi, ma non è vero: talvolta l'inevitabile ha il tempo dei fiori che sbocciano, fatto di milioni di attimi in cui i petali fanno movimenti invisibili. A volte, l'inevitabile è fatto dei piccoli passi avanti di un ragazzino e dei minuscoli passi indietro di una sua coetanea, che lo ritiene un mostro. Aveva appena superato la ragazza e già aveva fatto un sospiro di sollievo, quando aveva sentito il belato spaventato dell'agnello. Si era voltato di scatto e aveva visto Anna fissare terrorizzata il cucciolo bianco scivolare giù per la sponda del fiume, particolarmente ripida in quel punto. Aveva cercato rapidamente un punto da cui poter scendere, ma non ne aveva trovati e nel frattempo il cucciolo era caduto in acqua, accompagnato dalle urla della ragazzina. Il senso di d'impotenza, il dispiacere, il desiderio di fare qualcosa avevano risvegliato la
bestia. Prima che Baelfire potesse realizzare cosa stava accadendo, l'agnello aveva cominciato a levitare, trascinato fuori dall'acqua da una mano invisibile. Anna si era lasciata sfuggire un urletto di gioia... E Baelfire si era reso di cosa stava facendo, di cosa stava usando. Il terrore e l'orrore avevano avuto la meglio. Un attimo dopo l'agnello era sparito tra i flutti e Anna urlava che era tutta colpa sua.

Baelfire era tornato alla fattoria proprio per cercare di porre rimedio alla sua incapacità di usare la magia, anche se secondo suo padre non era necessario. Il ragazzo, più che altro, temeva che qualsiasi risarcimento sarebbe stato inutile, sarebbe stato considerato un'offesa. Fuori dalla casa, all'ombra di un giovane albero, c'era un ragazzo che stava intagliando il legno. Gli sfuggì un singulto. Timotheus, il fratello maggiore di Anna, era probabilmente l'ultima persona che desiderava vedere; ma non poteva rinunciare dopo essere arrivato fin lì. Si avvicinò, ma aveva appena aperto la bocca per salutare, quando il ragazzo, più grande di lui di pochi anni, si accorse di lui.
«Che cosa vuoi?» l'apostrofò con aria tutt'altro che pacifica.
Il senso di colpa spinse Baelfire a fare una cosa che non amava: abbassare il capo.
«Io... Sono qui per scusarmi... Volevo solo aiutare...»
«A farlo affogare? Perché ti è riuscito bene.»
Con la coda dell'occhio Baelfire si rese conto che Timotheus aveva lasciato il suo lavoro per avvicinarglisi.
«No! Volevo tirarlo fuori! Volevo salvarlo!»
«Dillo a mia sorella, che ti ha visto spingere Sommer e poi affogarlo!» gli ringhiò vicino al viso
«Ma questo non è vero!» esclamò rialzando di colpo la testa. Non si sarebbe preso colpe che non aveva.
«Stai forse dicendo che mia sorella è una bugiarda?»
«No...» "sì" «ma solo che probabilmente tu non hai capito quello che lei ti ha raccontato»
A giudicare dall'espressione dell'altro, la sua non era stata una grande uscita. Gli si avvicinò così tanto che Baelfire poteva contare i denti che già cominciavano a marcirsi.
«Stai dicendo che sono stupido?»
«No, io...»
«Sai secondo me com'è andata?» continuò Timotheus, sovrapponendo la propria voce ringhiante ai balbettii di Baelfire, «Secondo me, tu hai cercato mia sorella perché ce l'hai con lei, perché siamo stati i primi a capire cosa sei... e quando hai visto Sommer hai deciso di vendicarti.»
«E cosa sarei?» chiese Baelfire, sentendo la rabbia montare prepotentemente.
«Un mostro...» sibilò l'altro con rabbia e soddisfazione, «Un mostro esattamente come tuo padre e come lui diventerai»
«Mio padre vi protegge!» ribatté con una convinzione che non pensava di avere.
«E chi ci protegge da tuo padre? E da te? Chi ci protegge da mostri come voi? Che si rifanno sui più deboli e si sfogano uccidendo innocenti?»
«Non facciamo nulla di tutto ciò!»
«Ah no? E allora che sta succedendo al mio lavoro?»
Baelfire spostò gli occhi dal ghigno del ragazzo alla sedia in fieri e inorridì: aveva preso fuoco. Baelfire neanche si era reso conto di aver usato la magia... Stava succedendo sempre più spesso. Senza staccare gli occhi dalla sedia, si tolse la bisaccia dalla vita e gliela lanciò. Si voltò e corse via, senza dire una parola, gli occhi sbarrati. La prossima volta cos'avrebbe fatto? Avrebbe ferito qualcuno? Si sarebbe accorto del risveglio della bestia o ne avrebbe solo visto gli effetti?


***


Il letto a baldacchino era coperto da un tendaggio blu leggero, non una sua scelta. La finestra era lontana dal letto: anche al mattino presto e d'estate la luce ne raggiungeva appena i piedi. In quel momento era lontana, illuminava solo lo spicchio dinanzi alla finestra. Il tendaggio del letto era una massa scura ricca di ombre, priva di luce. I primi tempi per non guardarlo entrava nel letto a occhi chiusi. Ora si era abituato. Ci si abitua a tutto, no?
Due colpi alla porta. Senza dover spostare lo sguardo, seppe che suo padre aveva fatto capolino e che lo stava guardando con un affettuoso timore, non privo di una certa curiosità: probabilmente non capiva cosa lo turbasse, non era molto bravo in questo.
Il lato del materasso si piegò. Una mano preso la sua. Baelfire la strinse.
«Succederà sempre più spesso?» mormorò e odiò sentire la propria voce tremare.
Il padre ricambiò la stretta. Baelfire sapeva che lo stava guardando, ma in quel momento trovava più interessante il tendaggio del baldacchino. Sì, molto più interessante.
«Probabilmente sì.» Il padre buttò fuori quelle parole meccanicamente, quasi gli costasse fatica.
«È parte di me.» borbottò amareggiato, ricordando le parole di Tosca.
La pressione sul letto cambiò, Baelfire si arrischiò a dare un'occhiata con la coda dell'occhio: il padre si era parzialmente voltato verso di lui.
«Però,» sentì la voce del padre tremare, “di cosa ha paura?”, mentre diceva convinto: «non è per forza una cosa cattiva... È per persone speciali... È un dono!»
«Non l'ho chiesta!» sbottò Baelfire.
"I maschi non piangono" ordinò a se stesso.
Rumplestilzchen lasciò la sua mano. Un attimo dopo, gli accarezzava il capo. Baelfire si voltò e incontrò lo sguardo condiscendente del padre. Prese un bel respiro.
«Voglio imparare a controllarla...»
Represse la stizza quando la propria voce s'incrinò appena su "controllarla". Lo sguardo del padre non mutò ma vi si accese una piccola luce. Baelfire esitò, perché non voleva ferirlo.
«Da Tosca.»
In un attimo, il volto di suo padre passò dalla gioia alla rabbia e, nonostante Baelfire l'avesse previsto, sentì fortissima quella fitta alla pancia comunemente chiamata "senso di colpa".
«Perché?» sputò fuori Rumplestilzchen: «Io posso insegnarti la magia! Io posso insegnarti a fare meraviglie con la bacchetta! Io posso insegnarti a creare le pozioni più potenti! Io!»
«Io...» azzardò il ragazzo, spaventato dal padre: «Io non voglio fare meraviglie o pozioni potentissime! Io... Voglio solo tenerla sotto controllo.»
«Perché odi così tanto la magia? È bella... Ci rende speciali... Ci permette di fare cose impossibili agli altri uomini...»
«Tipo mozzare un orecchio con un movimento del braccio? O provocare un sonno così profondo che è impossibile interromperlo?»
Il padre esitò: «Posso insegnarti anche io a tenere sotto controllo la magia...»
«Prima d'insegnarlo a me dovreste impararlo voi stesso...» disse a bassa voce, timoroso, mentre additava la mano annerita del padre. Quando rialzò gli occhi su suo padre vide dolore e imbarazzo e sentì le proprie guance scaldarsi di vergogna. Sapeva che quello era un colpo basso.
«Per piacere, padre, lasciatemi andare...» continuò rivolgendogli uno sguardo supplichevole: «Tornerò d'inverno, d'estate... Vi accorgerete appena del tempo trascorso senza di me.»
E questa era una bugia, Baelfire lo sapeva, ma aveva avuto molti giorni per rifletterci, giorni in cui Rimplestilzchen aveva trovato la porta chiusa, il figlio addormentato, giorni in cui l'unica cosa che aveva guardato oltre il baldacchino erano stati i libri, che erano arrivati a Tosca durante il suo soggiorno e che lei aveva 'dimenticato' da loro alla sua partenza.
«Appena riuscirò a controllarla, tornerò a casa... Ve lo prometto»


***


«Buongiorno Bae!»
La voce di suo padre arrivò squillante al suo orecchio e Baelfire riuscì solo a pensare "Troppo presto!". Socchiuse gli occhi nella penombra della stanza: la striscia di sole sul pavimento era ancora troppo lunga, inclinata e fioca.
«Che succede?» mugugnò, passandosi una mano sugli occhi.
«Ti porto dall'imperatore!»
A dire la verità, l'imperatore neanche lo sfiorò con lo sguardo, ma questo aveva poca importanza: erano ad Aquisgrana! I maliziosi avrebbero detto che tra la Aquisgrana del 993 e il borgo sul Fiume del Sale da cui Baelfire proveniva non vi era che una differenza di dimensioni (e una cappella palatina in più), ma lui non la pensava così: si aggirava per le vie della città assaporando voci e colori, mangiandosi ogni casa (ve ne erano a tre piani!), ogni bottega, ogni persona, ogni cosa con gli occhi, senza averne mai abbastanza. Sotto lo sguardo sereno – una volta tanto – del padre, Baelfire saltellava felice per le vie della città imperiale, continuando a sbagliare strada prima di essere prontamente corretto. Era così contento che non si accorse degli sguardi diffidenti o dei mormorii al loro passaggio.
«Ma dove andiamo?» esclamò all'ennesima svolta.
Il padre sorrise con l'aria di chi cela un grande, bellissimo, segreto: «Siamo quasi arrivati...»
Svoltò a destra e lo precedette sotto un arco. Appena Baelfire lo varcò resto a bocca aperta di fronte al più grande mercato che avesse mai visto: l'odore del formaggio di univa al verso dei gufi e al gracchiare dei rospi, accanto al macellaio un giovane ragazza offriva le proprie pozioni promettendo mirabilie, il mercante di stoffe di fianco a quello di calderoni. Era il più grande mercato che avesse mai visto e non riusciva a conciliare la sua repulsione per la magia con la meraviglia che gli aveva stampato in faccia un sorriso, contro la sua volontà. Suo padre si chinò sul suo orecchio, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Se vuoi andare a scuola dovrai procurarti un po' di cose...» disse e, di fronte al suo sguardo interrogativo, spiegò: «Ho scritto a Tosca, mi ha spiegato cosa ti serve per iniziare la scuola. Seguimi!»
Lo condusse tra i banchi, senza che nessuno osasse importunarli; Baelfire non poté non accorgersi degli sguardi e dei mormorii e improvvisamente sentì freddo – nonostante quella fosse una delle giornate più calde di quell'estate torrida – e si avvicinò al padre, che lo strinse a sé senza abbassare lo sguardo, ma offrendo a tutti quel sorriso vagamente folle che da quattro anni a quella parte di tanto in tanto emergeva. Si fermarono di fronte a una banco di calderoni: il proprietario era un uomo robusto e tondo, con una rada barba scura e il sorriso di chi sa che in qualche modo riuscirà a fregarti, sorriso che perse appena li vide. Baelfire osservò suo padre scegliere un calderone un po' più piccolo della media, saggiarne la resistenza e contrattare il prezzo, rifiutando la proposta del commerciante («Un furto!») e fissando il prezzo che a lui pareva più idoneo. Quando loro se ne andarono, il commerciante riprese colore, ma fu solo quando gli ripassarono accanto quasi alla fine del loro giro che rivide il sorriso furbo su quel volto. Dopo aver comprato un grosso baule – che suo padre incantò perché li seguisse volando a mezzo metro da terra, un'infinità di provette di vetro e un bilancino, raggiunsero il commerciante di tessuti, dove attesero a lungo a causa di un folto gruppo di contadini rossi prima di poter comprare delle stoffe, rigorosamente nere («Tosca ha detto che dovete essere tutti vestiti così per non imbarazzare nessuno... Bah!»).
Infine, Rumplestilzchen lo condusse al banco più chiassoso. Stridii di gufi e miagolii di gatti erano i suoni preponderanti uniti però al forte gracidìo di rane e rospi, allo squittio di vari roditori (per lo più topi) e al verso di tanti altri animali. Baelfire arricciò il naso per il forte, quanto inevitabile, odore e si chiese perché comprarsi un topo, quando bastava scendere nelle cantine o sul lungo fiume per trovarne a bizzeffe. Suo padre fece un gesto d'invito sulla mano, ma Baelfire guardò confuso lo spettacolo dinanzi a sé: anche nei suoi momenti di maggiore solitudine non aveva mai voluto un animale e non capiva ora che farsene di un famiglio; avevano già un gufo per la posta di che altro avevano bisogno? Una seri e di tonfi regolari attirò la sua attenzione, su un piccolo banchetto aggiunto in basso. Abbassò lo sguardo e si trovò a fissare un giovanissimo rospo che saltava contro le sbarre della gabbietta come se credesse davvero di poterle rompere. Dopo qualche tentativo si fermò solo per emettere un gracidìo infastidito prima di ricominciare. Sentì il proprio cuore stringersi e un attimo dopo era accucciato davanti alla gabbietta accarezzando il dorso viscido e costellato di verruche del rospo.
«Voglio questo.»
«Un rospo?» Suo padre non riuscì a mascherare lo sconcerto: «Ma Bae… Sicuro di non volere un bel gufo? Per portare le tue lettere…»
«Ce l’abbiamo.»
«Un gatto allora?»
«Che me ne faccio?»
«Che te ne fai di un rospo?»
Baelfire alzò le spalle come fosse la cosa più ovvia del mondo: «Lo rendo libero»
Suo padre ammutolì, ma un corpo si pose tra Baelfire e il sole. Alzì gli occhi sul proprietario del serraglio. Incurvato e rugoso, aveva occhi di brace e parlò con voce bassa e arrochita: «Non sopravviverebbe… Vuole la libertà ma è nato nel mio serraglio, da rane del mio serraglio. Non è in grado di sopravvivere senza che qualcuno si prenda cura di lui.»
Baelfire rivolse uno sguardo triste al rospo che si era di nuovo fermato a fissare le sbarre della sua gabbia.
Cercò lo sguardo di suo padre.
«Voglio lui.»


***


Baelfire guardò la luna alta fuori dalla finestra e lasciò correre lo sguardo sui campi e sul paese, sul quale affacciava la sua camera da letto. Un gracidìo lo costrinse a girare lo sguardo. Dror si era finalmente svegliato.
«Domani partiamo.» sussurrò nella sua direzione in un misto di eccitazione, spavento e nostalgia. Lo sguardo raggiunse il comodino dov’era poggiata la sua bacchetta. Non l’aveva più toccata da quando suo padre gliel’aveva regalata.
Aveva bussato alla porta con lo stesso sorriso di quando erano andati ad Aquisgrana, ma il viaggio era stato molto più lungo – e traumatico – e li aveva condotti a Lundenburgh nel Regno d’Inghilterra, dove in una via diagonale1 avevano trovato una piccola e disordinata bottega, di proprietà del più famoso fabbricante di bacchette d’Europa. Erano stati accolti da un uomo della stessa età di suo padre, che con uno sguardo penetrante l’aveva squadrato dalla testa ai piedi, aveva misurato l’altezza, la lunghezza delle braccia e del suo naso prima di cominciare a tirar fuori, apparentemente a caso dal mucchio di sacchettini di velluto, delle bacchette magiche, pretendendo che lui le provasse. Baelfire aveva tentato di convincerlo che per lui “qualsiasi stupido legno che faceva magia” andava bene, ma il bottegaio («fabbricante di bacchette, prego…») non aveva voluto sentir ragioni e l’aveva costretto a provare poco meno di dieci bacchette, aumentando il caos nel negozio, fino a che l’ultima non l’aveva “riconosciuto”, ossia aveva fatto una gran luce senza far danni.
Una volta tornati a casa, e compiuto un altro viaggio traumatico, Baelfire aveva poggiato il corto legnetto sul comodino e lì era rimasto fino a quel giorno.
Baelfire si chinò e Dror gli saltò quietamente in mano, gracidando basso.
«Non mi va per niente di andarmene da qui…» mormorò, badando bene a non sfiorarlo con le labbra: era stato avvertito che le verruche del suo amico erano molto urticanti per le labbra. Non che avesse intenzione di baciare un ranocchio.
«Nessuno ti obbliga.»
Sobbalzò alla voce acuta ma debole di suo padre.
«Devo imparare a controllare la magia.»
«Posso insegnartelo io.»
«No, voi non potete.»
«Sì e te lo dimostrerò.»
«Ci avete già provato…» Baelfire ricordò con un brivido tutte le volte in cui suo padre aveva provato a convincerlo a imparare a usare la magia, per difendersi, per prevalere, per essere più forte di altri: «Io non la voglio imparare la vostra magia.»
«Tu credi che Tosca sia tanto diversa da me, sia tanto speciale…» sibilò suo padre, mentre lenta e inesorabile emergeva la sua rabbia: «Ma lei e i suoi amici hanno un solo scopo: separarci, dividerci per sempre. Odiano la nostra famiglia. Odiano me e ti vogliono usare per colpirmi.»
«Non è vero! Lei vuole solo che io impari a usare la magia!»
«Piantala Bae! Tu non capisci! Non conosci! Se ti separassero da me… Tu saresti in grave pericolo.»
Baelfire sbuffò, guardando scettico suo padre.
«Non credo.» disse con calma: «Padre, lo so che sono tutto per voi…» e nel fondo dello sguardo dell’uomo comparve, immancabile, quello sguardo di profondo bisogno che lo spaventava sempre per la sua enormità: «E voi siete tutto per me… E non vorrei abbandonarvi…»
«Non c’è bisogno di dire altro!» lo interruppe l’uomo con uno sguardo rassicurante, ma vagamente folle, che a Baelfire non piacque affatto: «Hai detto tutto quello che c’era da dire. Nessuno ci separerà mai. Resterai qua, con me, sarò io a insegnarti a controllarla, solo a controllarla, non avrai bisogno di altro.»
«No, padre… Io lo faccio per me e per voi!» supplicò Baelfire.
«No, Baelfire, la questione è chiusa.»
«Magari Hogwarts scoprirò come curare la vostra malattia!»
Il padre spalancò gli occhi, sorpreso: «Quale malattia?»
«Quella che vi sta facendo diventare rapidamente vecchio, che vi fa annerire la mano…»
«Non c’è nessuna malattia,» disse brusco l’uomo, avviandosi alla porta, «e tu non andrai in nessuna scuola.»
«Rumplestilzchen.»
Al suono di quella voce morbida e a quel profumo di torta, Baelfire quasi soffocò. Voltò tanto velocemente il capo da farsi male, trovandosi a fissare Tosca.
«Come?»
La donna lo guardò un attimo, poi spostò lo sguardo sul suo collo e lui, in quel momento, si accorse di stringere spasmodicamente il ciondolo a coppa..
Tosca, si rivolse di nuovo a suo padre e severamente lo avvertì: «È la sua scelta, Rumplestilzchen, non intralciatelo.»
«Io sono suo padre Tosca, siete voi a non dovervi immischiare... È mio compito la sua educazione! È mio compito la sua formazione!»
«Lasciatelo venire o lo porterò via io!»
«Non potete!» esclamò l’uomo, la voce sempre più acuta, il volto distorto dalla rabbia: «Non oserete!»
«È per il suo bene!»
La donna nel frattempo gli si era avvicinata rapidamente e Baelfire vide comparire la paura sul volto di suo padre che rispose rabbiosamente: «Il suo bene è stare con me!»
Poi più nulla. Baelfire, troppo impegnato a vedere il volto di suo padre contrarsi per rabbia e paura, non si rese conto che Tosca aveva estratto la bacchetta; di conseguenza, ora si trovava a osservare un litigio muto, senza sapere come ciò fosse avvenuto. Sul volto di Tosca la stessa espressione ferma e dura che si era tolta solo per rivolgergli quel fugace sguardo, sul volto di suo padre rabbia, terrore, supplica, furia, di nuovo terrore e, infine, sconfitta. Suo padre, però, non perdeva mai, faceva patti ma non perdeva. Infatti, un attimo prima che la dama alzasse la bacchetta, per sciogliere l’incanto, lui la bloccò, le disse qualcosa, lei ribatté stupita, vagamente scocciata, ma lo sguardo di suo padre era determinato… quando sciolsero l’incanto, glielo lesse nel sorriso, una mezza vittoria l’aveva ottenuta.

 
***

 
Suo padre diceva che i cavalli c’erano, ma che solo chi aveva vissuto particolari esperienze poteva vederli; quali fossero queste particolari esperienze non era dato saperlo, così Baelfire, da quando suo padre era arrivato vantandosene, si era convinto che non esistessero strani cavalli visibili solo ad alcuni e che la carrozza nera si muovesse solo per magia. Carrozza nera che, per inciso, ora era carica del suo baule, dei viveri e pronta a partire per Hogwarts. Vi salirono, suo padre diede il via ai cavalli immaginari e partirono. Baelfire, immediatamente, si spiaccicò contro il vetro sul lato destro della carrozza: lui non l’aveva mai usata, non avendo mai fatto viaggi troppo lunghi, ma aveva visto suo padre prenderla un paio di volte. Avevano appena preso velocità, quando la carrozza s’inclinò all’indietro e si sollevò da terra.
«Yuuuuuhuuuuuu!» gridò e la sua voce invase il piccolo spazio interno. Schiacciò il naso contro il vetro guardando il borgo, la fortezza, il fiume del Sale farsi piccoli e lontani e non riuscì a trattenere un’esclamazione di meraviglia.

Diverse ore dopo, quasi al calar del sole, la carrozza s’inclinò verso il basso. Il paesaggio sotto di loro era cambiato ripetutamente e ora sorvolavano una zona verdissima, sulla quale scendeva una leggera pioggerellina di fine estate. Avvicinandosi, Baelfire distinse un castello enorme, come non ne aveva mai visti prima, e si distrasse a contarne torri e torrette, tanto che quasi non si accorse del piccolo ammasso di case alle pendici del castello e dell’enorme lago scuro sotto di loro, accanto al quale vi era un certo movimento, come di tante formichine. Scendendo ancora, vide ragazzi della sua età e molto più grandi e tanti uomini e donne, di età diverse, al loro fianco. Alcuni li abbracciavano, altri gli sistemavano gli abiti, qualcuno stava palesemente dando gli ultimi consigli ai figli… In ogni caso si trattava di appena un centinaio di persone.
L’impatto con il terreno fu violento e inaspettato e Baelfire, troppo impegnato a mangiarsi il nuovo mondo con gli occhi, fu scaraventato giù dal sedile.
«Bae, tutto bene?»
La voce premurosa del padre arrivò immediata e prevedibile assieme alla mano, che Baelfire accettò di buon grado.
«Sì… mi ero… distratto» borbottò, cercando di non guardare negli occhi suo padre, come aveva fatto sempre di più nelle ultime ore: non riusciva a sopportare quello sguardo di nostalgia, da cucciolo abbandonato.
Scesero dalla carrozza e non protestò, come non aveva fatto neanche quella mattina, quando suo padre usò la magia per tirare giù il suo baule. Si odiò un po’ per quello: era proprio il genere di gesto che non aveva bisogno di essere compiuto con la magia, se non per pigrizia o per far mostra di sé; eppure, lui non aveva protestato.
Si avviò ma la mano di suo padre si strinse attorno al suo braccio.
«Non è il caso,» disse questi a fatica, «che io ti accompagni oltre.»
«Ma.. Padre…»
«Vieni qui.» ingiunse l’uomo, con dolcezza, tendendogli le braccia.
Baelfire schiacciò il viso sul suo petto, inspirò forte concentrandosi sull’odore di suo padre – acre, forte, di lana e pozioni – e non riuscì a trattenere una lacrima.
«Già mi mancate…» mormorò, soffocando un singhiozzo.
«Sarà Natale prima che tu abbia il tempo di accorgertene.» mormorò suo padre, dandogli un bacio sul capo. «Ora vai!» soggiunse sciogliendosi dall’abbraccio e dandogli una leggera pacca sulla spalla.
Baelfire prese la maniglia del baule e se lo trascinò su per la collina verso l’entrata del castello, mentre con l’altra mano si tastava la tasca della tunica per verificare la presenza di Dror. Ovviamente, non si era mosso dalla sua tasca neanche quando lui era stato sbalzato dal sedile e, ovviamente, non si era svegliato… L’avrebbe infastidito quella notte, non aveva dubbi.
Si riunirono all’interno di una grande sala dopo aver lasciato i loro bauli all’ingresso, imitando gli studenti più grandi. Una volta entrato, Baelfire commise l’errore di guardare in alto. Il soffitto non esisteva, al suo posto Baelfire si trovò a fissare il cielo nuvoloso da cui scendeva quella pioggerellina leggera che li aveva accolti e che loro si erano portati dentro al castello, lasciando dietro al loro passaggio pozze d’acqua. Riabbassò lo sguardo, diviso tra l’entusiasmo per lo spettacolo e la diffidenza, e vide che era rimasto quasi da solo all’entrata della sala, assieme a un altro paio di suoi coetanei. Si maledì per essere sempre così distratto e cercò rapidamente con lo sguardo gli altri studenti del primo anno. Li trovò ammucchiati dall’altro lato della sala, oltre i quattro tavoli quasi pieni e si affrettò a raggiungerli. Non fece in tempo a rallegrarsi dell’essersi di nuovo nascosto nel gruppo che accanto a sé sentì una risata allegra, appena soffocata da una mano. Si voltò verso una ragazzina della sua altezza, con gli occhi azzurri appena troppo distanti e i capelli biondi intrecciati con dei nastri e incrostati di sale. La riconobbe come una dei due ragazzi che era rimasta indietro assieme a lui, presa dalla visione del soffitto-non-soffitto, e le rivolse un sorriso timido. Fu allora che successe qualcosa di davvero imbarazzante: lei parlò e Baelfire ascoltò un suono molto carino – la ragazzina aveva una voce trillante come il suo sorriso e il ciondolo che portava al collo – ma assolutamente incomprensibile nel suo significato. La guardò confuso, ma prima che potesse in qualche modo chiarire la situazione, la sua attenzione fu attirata oltre le teste dei suoi coetanei, sul tavolo degli insegnanti. Tosca si era alzata, generando il silenzio tra tutti gli studenti, e aveva cominciato a dire parole, che per Baelfire erano sensate quanto quelle della ragazzina un attimo prima. Come avrebbe potuto imparare a controllare la magia se non capiva neanche la lingua che veniva parlata? L’unica consolazione era che, guardandosi attorno, era palese che tutti i nuovi arrivati erano nella sua stessa situazione, salvo forse un paio, mentre evidentemente tutti gli studenti più grandi capivano ciò che Tosca diceva. La dama aveva appena finito di parlare, quando si alzò la donna al suo fianco: alta e magra, indossava una tunica blu scuro, al contrario di quella gialla di Tosca, e portava un elegante diadema sui liscissimi capelli neri. Era Cosetta Corvonero. Il suo discorso fu più breve di quello di Tosca, ma il linguaggio fu ancora diverso, morbido e rotolante, e qualcuno di loro sembrò capire che diceva. Dopo di lei, si alzò un uomo robusto, vestito con una tunica rosso e oro che, da quello che Baelfire ricordava dal racconto di Tosca, era generalmente nascosta sotto una pesante armatura. A giudicare dal suono e dall’espressione della ragazzina al suo fianco era la lingua della giovane; mentre quando parlò l’ultimo dei fondatori, Salazar, probabilmente il più anziano, incurvato sotto la sua tunica verde smeraldo, Baelfire vide l’altro ragazzino che era rimasto indietro assieme a loro due – capelli biondi e finissimi e sguardo sveglio – seguire con attenzione e fatica le parole del fondatore. Fantastico! Era l’unico a non capire niente! Proprio in quel momento, però, Tosca riprese la parola: «Benvenuti» disse nella sua lingua, facendogli finire il cuore in gola: «Siamo lieti di accogliervi a Hogwarts. Per le prossime due settimane vi sarà permesso di parlare la vostra lingua originaria, ma poi dovrete parlare solo il latino…» gli rivolse, o almeno così credette, uno sguardo benevolo: «che impareremo insieme. Messer Godric ha il potere di leggere la mente, ma non lo userà contro di voi!» fece una mezza risata, mentre il timore in Baelfire cresceva: «Lo userà per voi, per capire quale tra noi sia la guida più adatta a voi… o chi di voi sia più adatto a noi, secondo i punti di vista.» li guardò seriamente tutti, nonostante stesse parlando, molto probabilmente, a un esiguo gruppetto: «Ora, noi vi chiameremo e voi verrete qua davanti, guarderete messer Godric negli occhi e lui scruterà la vostra mente, prima di consultarsi con noi e scegliere a quale casa assegnarvi! La casa di Tosca Tassorosso2, dove si predilige la lealtà e la voglia di lavorare, la casa di Cosetta Corvonero dove si ricerca una grande intelligenza e desiderio di conoscenza, la casa di Godric Grifondoro, casa dei coraggiosi e dei puri di cuore, o la casa di Salazar Serpeverde, dimora degli ambiziosi e dove vi potrete fare ottimi amici.»
Nel descrivere le diverse case la dama indicò ogni volta il capo della casa e il tavolo dove stavano seduti i suoi appartenenti; quindi, si fece avanti, superò il tavolo, tirò fuori da una tasca della tunica una pergamena, bella come Baelfire non ne aveva mai viste e cominciò a chiamarli per nome.
Spostò un attimo lo sguardo sul tavolo, rendendosi conto che vi erano altre persone, come un grosso uomo, che sedeva accanto a Tosca e portava sulle spalle una pelliccia, una giovane ragazza biondissima che non aveva mai alzato lo sguardo, un uomo dallo sguardo arcigno seduto tra Cosetta Corvonero e Salazar Serpeverde.
«Baelfire!»
Il cuore gli saltò in gola, gli tremarono le gambe ed era sicuro che gli si sarebbero sciolte prima di poter arrivare da messer Godric. Qual era il suo posto?
Il mago gli puntò la bacchetta la bacchetta contro e pronunciò una formula che Baelfire non comprese. Improvvisamente, decine e decine di ricordi cominciarono a scorrere davanti ai suoi occhi e Baelfire fu consapevole del fatto che non era il solo a guardarli. Il contatto s’interruppe dopo poco e Godric andò a consultarsi con gli altri tre maghi, ma fu anche questo molto rapido. Si girarono e Tosca lo guardò ammiccandogli.
«TASSOROSSO!»
Baelfire si voltò sorridente e, godendosi l’applauso, raggiunse il tavolo della sua nuova casa.





Note:
1Diagon Alley deriva da diagonally, cioè diagonale. (fonte: Harry Potter Wiki)
2Ho scelto di mettere, alla fine, i nomi nella versione italiana, perché in fondo lei stava parlando tedesco e perché forse così sarà più facile per voi seguirmi senza sorbirmi le mie elucubrazioni sul perché in un caso debbano essere in lingua originale e in un altro nella versione italiana.


Spazio autrice:
Ciao a tutti e grazie di essere arrivati fino in fondo a leggervi questa rottura di scatole. Ho solo un paio di cose da dire:
1. Questa storia è fatta per un contest e quindi deve sottostare ad alcune esigenze, che nel caso specifico significa che, essendo in ritardissimo con la consegna (e a rischio di squalifica), ho fatto malissimo lo smistamento senza riuscire a presentarvi tutti i personaggi, che volevo presentarvi (i principali e non). Prossimamente, le esigenze saranno il dover rientrare in 4500 parole (Argh!).*
2. È la prima storia che pubblico e che quindi viene letta da qualcuno che non sia un'amica o mia sorella, quindi, un piccolo riscontro sarebbe utile.. Vi dico le domande cui vorrei risposta: l'IC secondo voi è rispettato pur trattandosi di un Bae giovane e di un Rumple agli albori del suo potere oscuro? Lo stile è noioso, piatto, sciapo o invece vi piace? I dialoghi come sono? Cosa non vi piace? Cosa non vi convince?
3. Le dimensioni dei caratteri vanno bene per tutti i dispositivi (pc, tablet e smartphone?)
Let me know!
A presto, Cicer


*Per le suddette esigenze di contest non è detto che io riesca a raccontare tutto quello che vorrei (vedasi dialogo Rumple-Tosca per dirne una...) in questa prima versione, ma probabilmente dopo tre mesi dalla fine del contest ne farò una riedizione completa, in cui sicuramente ci sarà un capitolo a parte per l'arrivo a Hogwarts e lo smistamento

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Capitolo 3
*** Empatia e Amicizia ***


NdA: Mi prendo uno spazio all'inizio, per fare alcune considerazioni che ritengo doverose. Anzitutto, questa donna è fessa perché, credendo di aver terrorizzato il povero organizzatore del contest con due capitoli troppo lunghi al precedente turno, quando questi ha messo il limite di 4500 parole a capitolo lei ha letto e inteso a turno. Lo so, urlate un bell'idiota corale alla sottoscritta. Quindi, questo turno - tra l'altro doppio perché prevede sia "l'incontro con gli amici" sia "la seduzione del male" - l'ho condensato tantissimo per tentare di stare in 4500 parole. Secondo me di questa condensazione la storia ne ha pesantemente risentito, anche perché interi passaggi li ho completamente stravolti dalla idea originaria tutto perché non ho chiesto delucidazioni. Me tapina. -.- La seconda cosa importante che volevo dirvi è che qui compariranno due personaggi molto diversi dalla loro versione OUAT; o meglio, nella serie noi li conosciamo già adulti e già con alle spalle degli episodi che li hanno profondamente segnati. Questa storia chiaramente è ambientata prima di questi fatti, quindi ho cercato di dar loro quell'innocenza e freschezza tipica degli adolescenti, insieme a quei tratti appena accennati nei flashback.

Infine, volevo ringraziare Anonima_14 per aver inserito la mia storia tra le preferite e Angie_V, EnMilly e Giuly Weasley per aver inserito la mia storia tra le seguite.

Buona lettura!




Erano trascorse più di due settimane dall’inizio della scuola, eppure  l’estate rimaneva gelosamente al suo posto scaldando i terreni di Hogwarts e inondando di luce i corridoi della scuola, almeno i più esterni. Baelfire si passò una mano sul volto – già accaldato nonostante fosse mattina presto – incapace di condividere il buon umore dei suoi compagni, che stavano usando il sole come scusa per oziare anche quel sabato mattina. Guardò attorno quella luce calda che gli sembrava così estranea, sentendosi piuttosto molto più vicino quel castello che il bel tempo aveva svuotato e che amplificava il rumore dei suoi passi rafforzando l’idea di essere rimasto solo. Il quattordicenne rallentò il passo e fece un respiro profondo, che tuttavia non riuscì a scacciare il peso che gli opprimeva il petto: non era ansia, né rabbia, neppure delusione. Aveva sentito di soldati che perso un arto in battaglia continuavano a sentire il dolore alla mano, al braccio, alla gamba persa. A suo tempo si era chiesto come fosse possibile, poi circa un mese prima l’aveva scoperto: il dolore di qualcosa che non c’è più, di un pezzo del suo cuore che gli era stato portato via… che la magia gli aveva portato via! Serrò il pugno e  lo fermò a mezz’aria, un attimo prima di colpire uno dei nuovi quadri vivi del castello (una magia della dama di Tassorosso), che lo rimproverò indignato. Si scusò, inchinandosi, con il cavaliere importunato; ma rialzandosi notò un movimento con la coda dell’occhio. Si voltò di scatto e si trovò a fissare una piccola tela – insignificante e poco pregiata se messa a confronto con le altre – che raffigurava il ciclo della vita, ponendolo accanto al ciclo delle stagioni1: si vedeva il piccolo essere umano nascere e crescere accudito dai genitori, coccolato dalla mamma ed educato dal papà. Sentì un forte dolore alla mascella, aveva di nuovo serrato i denti: aveva smesso di piangere e cominciato a distruggere i suoi denti, soprattutto nel sonno. Riprese il suo viaggio verso l’infermeria e venne assalito dal ricordo della prima volta che vi si era recato, in una giornata molto diversa da quella odierna.

Dieci giorni. Dieci giorni era durato il suo segreto, la sua pace. Per dieci giorni, nell’incapacità di comunicare con chiunque non parlasse la tua lingua, la sua origine e le sue parentele erano rimaste silenti, come un fiera che aspetta pazientemente il momento in cui la sua preda abbassa la guardia, per poterla colpire laddove è più fragile. Per dieci giorni Baelfire aveva atteso terrorizzato il momento in cui sarebbe stato smascherato: Wilhelm gli aveva detto di averlo immediatamente riconosciuto essendosi incrociati al mercato, l’uno figlio di una numerosissima famiglia di pel di carota con la faccia da donnola, l’altro prole di uno dei maghi oscuri più temuti del mondo conosciuto. Il ragazzo aveva atteso però dieci giorni (attendeva l’occasione giusta o semplicemente non sapeva come dirlo nell’unica lingua capace di unirli tutti?) prima di svelare che “non era il caso di stare con lui, perché se si fosse fatto male loro avrebbero perso un orecchio, come era forse già successo”. Chiaramente i ragazzi di fronte alle parole del Grifondoro si erano fatti raccontare tutto sul padre assassino di Baelfire; così era iniziato l’inferno di Baelfire: prese in giro, battute, gente che fingeva di fuggire terrorizzata quando lui passava o aveva paura di guardarlo negli occhi… compresi i suoi compagni di casata. Aveva resistito, fatto finta di niente, provato a ribattere per due settimane; poi quella sera, dopo cena, l’ennesima battuta – né più velenosa o sciocca di altre – era stata la tipica goccia che aveva fatto traboccare il vaso di pazienza e vergogna del ragazzo che aveva buttato il maledetto legnetto nell’atrio della scuola, spaventato dai suoi stessi pensieri, ed era corso fuori. Era stato accolto dalla luce calda del tramonto, ma invece di goderselo aveva continuato la sua corsa lontano da quel mondo che invece di accoglierlo lo rigettava proprio per ciò che da esso era nato. Non si era fermato, finché non era inciampato in una radice, con il risultato di un incontro ravvicinato con il sottobosco.
“Sottobosco?”
Si era rialzato trovandosi a fissare gli immensi alberi della Foresta Proibita.
“Fantastico. Ora mi metterò nei guai per colpa di quei cani.”
Aveva sentito un leggero rimorso per i pensieri duri contro i compagni di studi, ma la rabbia e l’adrenalina che l’avevano condotto fin lì continuavano a superare il senso di colpa. Era stato in quel momento che si era accorto di due cose: primo, era inciampato all’ingresso di un piccolo spiazzo che permetteva di scorgere un bel fazzoletto di cielo; secondo, non era solo. Aveva spalancato gli occhi incontrando quelli celesti ed altrettando sorpresi di un suo coetaneo. Il ragazzino paffuto, aveva ricordato, apparteneva a Grifondoro, ma in quasi un mese non si erano mai parlati, se non forse qualche passaggio di materiali durante Naturologia. Non ricordava che l’avesse mai preso in giro, ma d’altro canto, quanti l’avevano fatto alle sue spalle?
«Che fai qui?» lo aveva apostrofato il ragazzo.
«Eh… uhm…» aveva balbettato intelligentemente, nel vano tentativo di ricordarsi il nome del suo interlocutore.
«Non sei il figlio del mago Oscuro?»
Baelfire si era incupito e, sentendo la rabbia – che per un attimo aveva lasciato il posto alla sorpresa – tornare, si era rialzato e voltato pronto ad andarsene.
«Dove vai?» gli aveva chiesto il Grifondoro: «Così darai problemi a entrambi…»
«Non se ne accorgeranno.» aveva borbottato: «Non gli dirò che sei qui, tranquillo.»
«Ora sei qua. Resta,» Baelfire si era voltato colpito, incontrando un sorriso sbarazzino illuminato dalla luna che, ora che il sole era del tutto sparito, era l’unica protezione contro il buio totale della foresta: «Se ci troveranno saremo in due!»
Gli era sfuggita una mezza risata, ma aveva raggiunto il ragazzo e gli si era seduto accanto, mormorando: «Siamo fuori dai dormitori dopo il coprifuoco, e anche nella Foresta Proibita.»
«Nel parco ci vedrebbero subito.» aveva replicato il ragazzino: «E poi ci sono cose che si possono vedere solo di notte.»
«Cosa?» aveva chiesto Baelfire, strizzando gli occhi, nel tentativo di vedere qualcosa oltre il nero e le ombre degli alberi.
Aveva sentito uno sbuffo sconsolato al suo fianco, poi una mano si era posata sulla sua spalla e l’aveva spinto giù. Allora aveva visto, oltre le ombre degli alberi, uno stralcio di cielo notturno puntinato di stelle, che sembravano aumentare a ogni minuto di osservazione.
«Vedi quando la luce è troppo forte, loro si nascondono, ma chi ha la pazienza di aspettare la sera può…»  si era interrotto corrucciato: «trovare suggerimento» aveva concluso, beccandosi un’occhiata scettica, cui aveva risposto con uno sguardo divertito: «Non hai ascoltato il professore Altair?»
Baelfire l’aveva guardato interrogativo e il ragazzo di cui continuava a non ricordare il nome aveva risposto scuotendo il capo: «Se sai guardare le stelle non ti perderai mai.»
«Che significa?»
«Sto cercando di capirlo… Forse che ti consigliano come ti dicevo prima…»
Baelfire inarcò le sopracciglia riportando lo sguardo sul cielo: «Quindi è per questo che sei qui?»
«Ma no!» aveva esclamato l’altro scandalizzato: «A me piacciono le stelle… Ora ho solo aggiunto qualcosa.»
«Quindi vieni spesso qui… mmm…» gli era sfuggita una risata imbarazzata: «Scusami non ricordo il tuo nome.» aveva ammesso passandosi una mano nella zazzera castana.
«Killian,» aveva risposto l’altro porgendogli la mano, senza tuttavia distogliere lo sguardo dal cielo: «mentre tu sei Baelfire giusto?»
«Sì, scusami tanto.»
«Non preoccuparti, non sono famoso come te.»
«Preferirei non esserlo.»
«Non ho dubbi! Lo capisco benissimo.»
Baelfire l’aveva guardato scettico: quello che proprio non aveva sentito nelle ultime due settimane era comprensione. Il ragazzo, però, non aveva perso il suo sorriso, né smesso di guardare le sue amate stelle, replicando: «Potete mago oscuro batte traditore e quasi assassino del re ma neanche il mio era un padre… mmm… esemplare.»
Killian si era girato e gli era sfuggita una mezza risata: «Non fare quella faccia! Non sono messo peggio di te.»
Balefire si era affrettato a riportare la mandibola al suo posto borbottando: «Grazie per avermelo ricordato.»
«Mi dispiace, ma almeno con te un po’ mi consolo. Mia madre dice che tutti gli uomini sono così… si rovinano diventando vecchi, dice, ed è per questo che la sua… il suo compito è salvare me e i mio fratello e farci diventare dei cavalieri veri.»
Nel parlare Killian si era illuminato, mentre Baelfire si era rattristato ulteriormente.
«Sei davvero fortunato con tua mamma.»
«E tua mamma com’è?»
Baelfire aveva alzato le spalle: «Non lo so. È andata via quando ero piccolo.»
Killian aveva schioccato la lingua, lasciandosi sfuggire: «Certo che sei proprio sfortunato!» appena pronunciate queste parole però si era messo una mano sulla bocca sorpreso: «Scusami scusami scusami… Non è stato affatto cortese…» gli aveva stretto la mano mentre con l’altra aveva indicato il cielo: «Vedi quella stella? Il professore l’altro giorno mi ha detto che quella stella non si sposta mai e indica sempre il nord!» lo aveva guardato eccitato: «Quest’anno verificherò se è vero!»
«Sicuramente signor Killian, ma lo farà solamente durante le ore preposte all’osservazione del cielo durante le lezioni di Astronomia.» era intervenuta una voce fredda e severa.
I ragazzini si erano sollevati con gli occhi spalancati, trovandosi a fissare Lady Cosetta Corvonero, che li guardava senza l’ombra di un sorriso: «Fuori di notte e nella Foresta Proibita, a meno di un mese dall’inizio della scuola. Bel modo per ripagare chi vi ha condotto fin qui.»
La strega aveva condotto i due giovani maghi nei propri dormitori, convocandoli il giorno dopo nel suo ufficio alla fine delle lezioni per la loro punizione. Vi si erano recati insieme cercando di farsi coraggio a vicenda (in realtà era stato soprattutto Killian, quella prima volta, a tranquillizzare Baelfire) e lei aveva condotto il Grifondoro dal marito, Ulisse il bibliotecario, mentre aveva accompagnato Baelfire, in infermeria.

Quella (prima) punizione aveva segnato entrambi: Killian di tanto in tanto andava volentieri ad aiutare Ulisse a sistemare e copiare carte geografiche e racconti di viaggio (continuava a dire che avrebbe girato il mondo intero); mentre Baelfire… beh talvolta la guaritrice gli doveva ricordare che era il caso che studiasse un po’ e si staccasse da piante ed erbe.
Varcò la soglia dell'infermeria e fu quasi accecato da quella stanza, una delle più luminose del castello. La responsabile era in quel momento seduta schiena china accanto un letto vuoto. I capelli dorati erano stretti in due trecce che le circondavano il capo, facendole da corona e restando lontani dal viso; la veste azzurra, non particolarmente pregiata, richiamava il colore degli occhi, che Baelfire in quel momento non riusciva a vedere.
«Buongiorno, Signorina Artemis!» si annunciò cercando di tirar fuori il suo tono più allegro.
La giovane donna si riscosse e gli gettò una rapida occhiata, come sempre troppo veloce perché lui potesse ricambiare. Immediatamente lo raggiunse:
«Buongiorno a te, Baelfire! Che ti succede?»
Il quattordicenne aveva smesso di stupirsi dell'empatia della guaritrice, lasciò perdere il tono allegro – sconfitto una volta di più nel suo tentativo di menzogna – e chinò il capo dandole la risposta che probabilmente ella aveva già intuito: «Sono ufficialmente da solo...»
La mano delicatissima della donna si posò sulla sua spalla: «Gliel’hai chiesto?»
Baelfire annuì: «Ha scelto il pugnale.»
Gli sfuggì un singhiozzo, prima che potesse trattenerlo,  aspirò l’aria con un sibilo e sentì che qualcosa stava di nuovo spezzandosi dentro di lui. La vista di fece appannata, strinse i pugni, si morse le labbra; sentì un rivolo umido percorrere la sua guancia. Nel suo campo visivo appannato un’ombra, una lacrima, si staccò sopra la sua bocca, tuffandosi silenziosamente sul pavimento di quel luogo troppo luminoso. Chiuse gli occhi e tutte le lacrime che vi si erano accumulate gli rigarono le guance, copiosamente. Sentì le guance scaldarsi. Perché non riusciva a smettere di piangere? Perché si comportava così da ragazzina? Cercò di voltarsi, di allontanarsi da Artemis che lo stava vedendo in quelle condizioni. La donna, però, serrò la presa sulla sua spalla:
«Anche Killian piangerebbe se sua madre lo abbandonasse.»
«Non davanti a una donna.»
«Magari davanti a Ulisse sì… Mi dispiace non essere un uomo.»
Decise che alla vergogna e all’imbarazzo ci avrebbe pensato dopo e quando la donna si avvicinò per abbracciarlo, sentì i suoi muscoli sciogliersi e la tensione abbandonarlo. Ricambiò l’abbraccio e, mentre le sue lacrime bagnavano la spalla della giovane guaritrice, desiderò, con un pizzico di vergogna, che in quel momento ci fosse un’altra donna ad abbracciarlo, desiderò non aver completamente perso la sua famiglia.
 
Sciacquandosi Baelfire pensò che l’acqua fresca sul viso fosse una delle sensazioni più belle del mondo. L’aveva fatta apparire Artemis in un catino, poi parte l’aveva presa per fare la tisana che ora stava versando in due tazze. La guaritrice non guarda mai nessuno negli occhi, se non in eccezionale occasioni, il che le aveva fatto dubitare seriamente delle sue capacità la prima volta che si erano visti: non è forse fondamentale il contatto umano quando si fa la guaritrice? Baelfire, però, si era presto ricreduto osservando come riuscisse a empatizzare con i suoi piccoli pazienti mediante il movimento, il tono della voce, i gesti: Artemis quando si rapportava con loro aveva cura dei più piccoli gesti, indipendentemente dalla ragione (reale o meno, seria o meno) per cui si erano recati da lei. In quel momento, però, non si era accorta che il suo piccolo paziente, e in genere aiutante, la stava guardando e aveva abbandonato il limpido sorriso (simile ai suoi occhi per quel che ricordava dalle poche volte che glieli aveva mostrati), lasciando emergere la stessa espressione malinconica e abbattuta che aveva intravisto quando era entrato.
«Signorina Artemis, ma voi… state bene?» chiese esitante.
L’espressione malinconica scomparve con una tale rapidità, da fargli credere di essersela immaginata.
«Certo, Bae!» esclamò prevedibilmente con voce cristallina, porgendogli la sua tazza di tisana. Quel giorno, però, la finzione doveva riuscirle meno bene, perché Baelfire osservò chiaramente il sorriso tremare.
«Perché siete tanto turbata? È successo qualcosa?» osservò la tazza corrucciato: «Vi ho forse fatto tornare brutti ricordi? È colpa mia se siete tanto turbata?»
«Oh Bae!» esclamò Artemis con voce carica d’affetto e invitandolo a sedersi al tavolo: «Tu non hai fatto niente… Mi dispiace perché so cosa stai passando.»
Baelfire non ne fu sorpreso: una volta gli aveva raccontato di come lei era stata abbandonata da una persona cui teneva molto, che aveva preferito i suoi interessi a lei. Quella mattina, però, si rese conto di volerne sapere di più. Lanciò un’occhiata ad Artemis e vide che era nuovamente emersa quell’espressione malinconica. Fu istintivo, forse crudele e inappropriato, ma lui voleva saperne di più e l’istinto gli diceva che quello era il giorno buono per scoprirlo.
«Artemis, posso sapere perché siete stata abbandonata? Che vi è successo?» si passò una mano tra i capelli, tentando di vincere l’imbarazzo per la sua impudenza: «Io… non voglio impicciarmi… Non voglio farmi gli affari suoi! Ma… forse mi aiuterebbe a capire.»
La donna allungò la mano e scompigliandogli i capelli: «Quando io sono nata non esisteva alcuna scuola di maghi e i miei genitori non lo sono.» fece un sospiro: «Quando i miei poteri emersero, prima lo fecero timidamente, poi però esplosero prepotenti, spaventando i miei genitori e chi mi stava attorno.» s’interruppe guardandolo interrogativa: «Perché fai quell’espressione?»
«Uh… niente! Niente!» rispose Baelfire stropicciandosi gli occhi con la mano libera come se questo potesse eliminare la sua espressione sorpresa.
«Dai, dimmi!» lo incalzò la donna divertita.
«È che fatico a immaginarmi qualcosa di prepotente in lei…» borbottò prima di nascondersi dietro un sorso di tisana. “Menta… Liquirizia…”
«Oh ero molto prepotente, allora…» disse la donna sollevando lo sguardo e mostrandogli gli occhi turchesi: «È stato il tempo a calmarmi.»
Continuava però a non guardarlo, fissavano un punto imprecisato tra il tavolo dove erano seduti loro e l’entrata dell’infermeria. Prese un sorso di tisana e schioccando la lingua riprese:
«Come ti dicevo, i miei poteri spaventarono non solo i miei genitori, ma buona parte dei nostri conoscenti al villaggio. Fortunatamente, però, vicino a noi c’era un giovane mago, molto bravo, punto di riferimento per tutte le nostre terre,  come lo erano stati i suoi genitori prima di lui. I miei genitori, allora, mi accompagnarono da lui nella speranza che potesse aiutarmi a controllare i miei poteri.» Sulle sue labbra nacque un sorriso affettuoso: «Ricordo che la prima volta che lo incontrai ero come te: terrorizzata da ciò che facevo, da come le mie emozioni si manifestassero non solo con gioia, tristezza come tutti, ma attraverso esplosioni, voli, sparizioni… Credevo fosse una maledizione.»
«È una maledizione.» ribatté il Baelfire, guadagnandosi un’occhiata accondiscendente.
«Il mago mi accolse come sua allieva, quindi, pur continuando a vivere dai miei genitori, cominciai a trascorrere le mie giornate da lui, imparando a padroneggiare e a vedere la bellezza del dono che mi ero stato fatto.» Lo guardò con aria saputa, ma quando ricominciò il suo sguardo si fece malinconico: «Nonostante i miei progressi, però, al villaggio continuavano a considerarmi un mostro, salvo la mia famiglia ovviamente. Ma io…» Baelfire osservò con stupore la vergogna e il dolore comparire sul volto di una delle donne più allegre avesse mai conosciuto: «Io non ce la facevo a sopportare tutta quella pressione… gli sguardi.» Artemis scosse il capo, recuperando l’espressione sorridente e continuò: «Così appena ho potuto mi sono definitivamente trasferita dal mio mentore e ho cominciato ad affiancarlo: lo chiamavano spesso da tutta la regione, per farsi difendere, curare, liberare da questa o quella bestia magica… Tutti, pure quelli che ci disprezzano.» Di colpo la donna riabbassò lo sguardo, la voce indurita: «Tutti sono pronti a disprezzarti, temerti, chiamarti mostro, poi però… appena c’è un problema che non sanno risolvere, ti chiamano affermando che sicuramente è un problema magico, incapaci di ammettere che forse loro semplicemente non sono in grado di risolverlo… magico o meno.»
Baelfire sentì un sapore acidulo in bocca, improvvisamente a disagio.
«Comunque… Sai come vanno le cose…» esclamò la donna alzando lo sguardo e ammiccandogli: «Con il passare del tempo, cominciammo a guardarci diversamente, guardare al futuro diversamente…» fece un sospiro, lo sguardo perso romanticamente nel vuoto: «Cominciammo a guardare al futuro insieme.»
Baelfire osservò la guaritrice, rimasta romanticamente incantata verso una delle finestre, lasciandole il tempo di proseguire da sola; ma visto che sembrava proprio essersi persa in qualche romantico ricordo, si schiarì la voce e la incalzò:
«E poi perché l’ha abbandonata?»
La guaritrice emergendo dai suoi pensieri, si rabbuiò di colpo e riabbassò lo sguardo:
«Un giorno partì, lasciandomi a casa, dicendo che doveva fare una cosa importante e che io dovevo restare a casa perché le nostre terre avevano bisogno di me. Stette via un mese…» Artemis sospirò: «Avrei dovuto seguirlo… Quando tornò… Era un’altra persona… Diceva che doveva partire, che c’era un nuovo progetto “Fantastico! Geniale!” cui doveva assolutamente prendere parte e che io dovevo garantire la presenza di una maga eccezionale alle nostre terre. Gli esposi i miei dubbi circa tutto ciò, soprattutto relativamente alla nostra famiglia, quella che dovevamo costruire insieme…» Artemis rialzò lo sguardo, ma non sembravano suoi quegli occhi dolenti e rabbiosi, né sembrava sua la voce che ringhiò: «Se ne era dimenticato!» La donna singhiozzò coprendosi il volto con le mani: «È stato maledetto! Gli hanno fatto dimenticare le promesse, le dichiarazioni… tutto! Non prese neanche in considerazione l’ipotesi che il progetto e il nostro matrimonio potessero coesistere.» Prese un respiro profondo e si stropicciò gli occhi, mostrando il viso rigato di lacrime: «Fu allora che compresi che era stato maledetto, perché altrimenti non mi avrebbe mai abbandonato. Mi ha lasciato sola, completamente sola…»
La donna, ormai incapace di trattenersi, scoppiò in singhiozzi e Baelfire si trovò nella spiacevole situazione di non sapere come comportarsi, se lasciarla piangere e andare a consolarla eliminando la distanza tra loro due. Alla fine prese un bel respiro e pensando a come lei si era comportata un attimo prima nei suoi confronti, si alzò ed eliminò la distanza tra loro, appoggiandole impacciato le mani sulle spalle.
«Scu… scusami… non dovevo esplodere così con te, ma il rientro è sempre più difficile…»
«Non preoccupatevi signorina.» rispose cercando di essere sincero, quanto meno con se stesso: «Sicuramente possiamo trovare una soluzione… chi ha maledetto il suo amato? Non possiamo convincerlo a sciogliere la maledizione?»
«Ci ho provato, ma negano! Negano di fronte all’evidenza stessa!»
Pur comprendendo quanto fosse grande il dramma della giovane e, che forse lui non poteva fare nulla per aiutarla, non riusciva a fare a meno di sentirsi responsabile e mormorando tra sé quanto la magia portasse più danni che benefici si chinò appena sulla dama e tirando fuori il suo miglior tono incoraggiante le disse:
«Se c’è una maledizione, può essere spezzata…»
«Mah…» mormorò la guaritrice continuando a tenere lo sguardo chino: «Basterebbe una pozione della memoria ben fatta e lui ricorderebbe che una cosa non esclude l’altra. Però da quando abbiamo discusso perché lui se ne andava non vuole più parlarmi, né mi vuole al suo fianco… è un miracolo che io abbia ottenuto questo lavoro.» le sfuggì un singulto: «Come lui ha protetto me, ora io sento il bisogno di proteggere lui e preferisco soffrire un po’ di più, vedendo come mi ignora quotidianamente, che non sapere come sta o che gli succede.»
«È qui?!» esclamò Baelfire, bloccato al punto di quella rivelazione… la questione era risolta!
«Signorina Artemis, ma se è qui non c’è problema! Consegnerò io per voi la pozione, vi aiuterò a fargli tornare la memoria!» esclamò entusiasta, già pregustando – lui – la felicità di Artemis una volta che fosse riuscita a tornare tra le braccia del suo amato: «Voi fatela e io troverò il modo di consegnargliela!»
Sentiva l’entusiasmo crescere all’idea che almeno uno dei due avrebbe realizzato la propria felicità. Artemis si tirò su, segnale che anche lei vedeva una via d’uscita a tutto questo.
«Farla è il minore dei problemi,» disse questa pensierosa, guardando verso l’armadietto dei medicinali: «Sir Salazar, continua a mandarmene scorte, perché qualcuno continua a maledire gli studenti più studiosi.»
Si fece sfuggire una mezza risata: «Dovremo ringraziare Killian allora se abbiamo già un campione di pozione.»
La donna si alzò e si diresse all’armadietto: «Sta bene2… Ma tu come farai a farglielo bere?»
«Troverò un modo. Solo…» fece una mezza risata imbarazzata, pensando a tutti gli uomini che vivevano al castello: «Mi deve dire chi è.»
La donna lo raggiunse, capo chino e porgendogli la boccetta mormorò: «Sir Godric Grifondoro.»


***

 
Baelfire si rigirò per l’ennesima volta la boccetta tra le mani. Doveva convincere Sir Godric a berla… impresa più facile a dirsi che a farsi visto che non era della sua casa e non era il professore con cui si sarebbe seduto a prendere un the e a scambiarsi confidenze. Fu probabilmente per questo che non si accorse di chi gli stava attorno e appena girò  l’angolo di scontrò con qualcosa che si dirigeva alla sua stessa velocità nella direzione opposta. Barcollò all’indietro e troppo impegnato a stringere con forza la boccetta piuttosto che a riprendere l’equilibrio, sarebbe caduto a terra se una mano non l’avesse saldamente afferrato per la manica.
«Ti ho trovato finalmente!» esclamò Killian: «Amico, mi stavi seriamente facendo preoccupare!»
Il ragazzo un attimo dopo si trovò stretto nell’abbraccio del suo migliore amico, che l’aveva superato di una buona spanna, cui diede qualche imbarazzata pacca sulla spalla.
«Va tutto bene, Killian…»
Killian si staccò e lo guardò scettico.
«Sono settimane che sei… come si dice?» borbottò qualcosa, che Baelfire non capì, prima d’illuminarsi: «L’ombra di te stesso… Ho avuto paura che volessi buttarti di sotto»
Baelfire inarcò le sopracciglia e Killian scosse le spalle: «L’infermeria era l’ultima spiaggia.»
«Hai passato la mattina a cercarmi?»
«E se anche fosse?»
«Hai visto che sole c’è fuori?» esclamò il Tassorosso, pensando a come l’amico approfittasse del bel tempo per tuffarsi nel suo elemento, l’acqua.
«Beh sì…» Killian, ormai visibilmente imbarazzato, scrollò di nuovo le spalle: «La prossima volta che vuoi sparire fallo quando c’è cattivo tempo, va bene? E comunque,» gli rivolse uno sguardo indagatorio: «perché se stavi lavorando con la signorina Artemis già te ne sei andato?»
“Per trovare un modo per far bere la Pozione della Memoria a sir Godric… Va bene, forse bisogna trovare un modo diverso per dirlo… o forse non è il caso di dirglielo…”
«Mmm…» mugugnò intelligentemente, mentre la curiosità negli occhi del suo amico aumentava a dismisura.
“Però è Killian… Come posso non dirglielo?”
«Mmm…»
“E poi… Forse può aiutarmi a trovare un modo per convincere Godric a bere… Soprattutto se gli dico quel piccolo particolare finale…”
«Bae…? Io non parlo il mugugnese, puoi esprimerti in latino, per cortesia?» chiese Killian, incuriosito.
Baelfire si guardò attorno sospettoso: «Non qui.»
Lo prese per il polso e lo trascinò lungo un corridoio pieno di aule non utilizzate (“Cosa ci dovremo mai fare noi che siamo neanche un centinaio con un castello così grande?”) e ne scelse una a caso, ignorando l’amico che gli ricordava che non gli era necessario trascinarlo, perché l’avrebbe seguito comunque. Lasciò il polso dell’amico ordinando: «Vieni dentro.»
«Perché? Ci sono alternative?»
Una volta dentro, si sedettero uno di fronte all’altro e Baelfire riferì tutto quello che gli era successo quella mattina. Al termine del racconto, però, Killian non aveva l’espressione commossa e sorpresa che il ragazzo si era aspettato. Il ragazzo stava fissando il vuoto, gomito appoggiato sul tavolo e mano davanti la bocca.
«Quindi tu mi stai dicendo,» esordì, portando finalmente lo sguardo su di lui: «Che Sir Godric non voleva insegnare, ma ha abbandonato la dama che voleva sposare, la nostra guaritrice Artemis, perché è stato maledetto, e da chi? Sir Salazar? Lady Cosetta? Lady Tosca che ha costruito tutto questo?» concluse Killian, sopracciglio inarcato, indicando con un ampio gesto delle braccia il castello.
Baelfire trovò incredibilmente fastidioso che una parte di sé era scettica quanto l’amico.
«Non ho detto che Godric non volesse insegnare, ma che non avrebbe avuto motivo di abbandonare Artemis per farlo.»
«Ancora meglio! La maledizione è stata fatta solo per separarli!»
Baelfire sbuffò, sentendo l’irritazione crescere: «Il tuo scetticismo inopportuno è dovuto al semplice fatto che non hai visto quella poverina com’è distrutta.» Si passò una mano tra i capelli e decise di alzarsi mentre borbottava: «Non importa troverò un modo da solo.»
Per le seconda volta nella giornata Killian lo prese per la veste: «Sta buono. Non ho detto che non voglio aiutarti, ma voglio essere sicuro che quello che facciamo sia onorevole…»
«Come potrebbe non esserlo? Stiamo coronando il sogno d’amore di due persone.»
Baelfire si lasciò ricadere sulla sedia.
«Non hai idea di cosa possano credere le donne innamorate!» sospirò l’amico alzando gli occhi al cielo.
Baelfire si ritrovò ad alzare scetticamente un sopracciglio: «Perché tu sì?»
«Mio fratello sì…» ribatté con comica serietà l’altro: «Non hai idea l’estate scorsa di quanto una dama gli si appiccicata per un mezzo complimento.» Killian rabbrividì con aria schifata: «È stato orribile… Lei era orribile…»
Baelfire scoppiò a ridere e quando si riprese trovò gli occhi svegli dell’amico nei suoi e la mano dell’altro tesa.
«Su!» ordinò: «Mostramela…»
«Perché?»
«Per verificare che sia una vera pozione della memoria.»
«Dubiti della signorina Artemis?»
Killian rispose con un’alzata di spalle e Baelfire, ignorando completamente la raccomandazione della guaritrice “Non aprirla assolutamente! Potrebbe perdere i suoi effetti!”3, estrasse dalla propria saccoccia la boccetta di Pozione della Memoria. Il vetro della boccetta, salvo laddove l’avevano toccato lui e la guaritrice, era molto impolverato e lasciava appena intravedere il colore chiaro della pozione, apparentemente cangiante. Killian appena la vide corrugò le sopracciglia, senza apparente motivo. Appena la stappò ne uscirono spirali di vapore e per la stanza si diffuse un aroma strano, un misto di odori in cui Baelfire riconobbe quello umido delle serre, quello caldo e croccante della cucina e un altro odore, più ambiguo, che non riuscì a identificare, ma gli ricordava luoghi vecchi e chiusi. Si riscosse e vide che Killian aveva un’espressione estasiata e stava mormorando a fior di labbra qualcosa d’indistinguibile. Sentendo lo sguardo dell’amico su di sé, però il ragazzo si riscosse e spolverò la superficie della boccetta. Schioccò la lingua contrariato.
«Non è una pozione della memoria.»
Qualcosa di pesante piombò nel petto di Baelfire, che mormorò scocciato: «Sei sicuro? Allora, cos’è?»
«Un filtro d’amore, ovviamente!» trillò una voce poco distante.
Dall’ombra uscì una vagamente scocciata Tinker Bell, compagna di casa di Baelfire. I ricci biondi erano come sempre intrecciati con fiori e gli occhi appena troppo distanti tra loro erano leggermente arrossati. Killian scattò in piedi:
«Hai origliato!»
«Veramente,» precisò la ragazza con aria ancora più scocciata: «Io me ne stavo per i fatti miei e voi siete piombati in quest’aula… E ora avreste pure il coraggio di lamentarvi della mia presenza? Che faccia tosta!» scosse la testa, poi con un gesto fulmineo – che le guadagnò un’occhiataccia da un sempre più infastidito Killian – prese la boccetta: «La signorina Artemis, a quanto pare, non ha intenzione svegliare proprio nessuno da nessuna maledizione. Vuole soggiogare Sir Godric.» disse fissando intensamente la pozione.
«Come sai che è un filtro d’amore?» chiese stancamente Baelfire, alzandosi anche a sua volta. Improvvisamente, sentiva le forze mancargli e neanche fece caso allo sguardo preoccupato del suo amico.
«Ricerche personali.» rispose la ragazza, gettandogli solo una rapida occhiata, prima di tornare a esaminare la pozione: «È pure fatto bene!» esclamò ammirata: «Bello vecchio.»
«Problemi a trovare il grande amore?» la provocò Killian.
Tinker Bell gli lanciò un’occhiataccia: «Volevo sapere se fosse possibile riprodurre il vero amore in boccetta, ma no… si può produrre solo un’intensa ossessione.»
«Carenze d’affetto?» incalzò Killian.
Tinker Bell richiuse la boccetta con un sorriso: «Non direi.» Si rivolse a Baelfire, porgendogli la pozione: «Hai intenzione di fargliela bere?»
Baelfire prese la boccetta e la ripose nella saccoccia, borbottando un: «Non sono affari che ti riguardano.»
«Ti pare giusto creare un’illusione d’amore?» Spalancò gli occhi emozionata e la sua voce riacquistò il tono trillante: «L’amore è un sentimento così bello, puro, potente! È la forza più potente del mondo! È il sentimento più bello di tutti! Non si può creare! È un delitto!» concluse seriamente.
Baelfire ignorò l’occhiata di approvazione che Killian aveva lanciato alla ragazza, nota a tutta la casa come “la bambina”.
«È molto carino questo pensiero sull’amore,» le disse condiscendente: «In effetti,  credo che tu mi abbia convinto…»
«Non ha tutti i torti Bae…»
L’interpellato lanciò uno sguardo ferito a quel traditore del suo migliore amico, che lo guardò con aria di scuse: «Tu non stai liberando sir Godric da una maledizione, ma lo stai imprigionando in una finzione… Quali frutti può dare un amore finto?»
«Terribili, terribili!» esclamò con aria grave Tinker Bell, sembrando ancora di più una bambina.
Baelfire sospirò appoggiandosi al muro, mentre sentiva qualcosa dentro di lui spezzarsi, senza far rumore. Gli aveva mentito anche lei. Aveva deciso di usarlo per i suoi scopi. Rabbrividì. Aveva toccato i tasti giusti. Aveva tirato fuori suo padre. Nuovamente, qualche cosa all’interno della sua gola – avrebbe gradito sapere cosa – si annodò, facendogli mancare il respiro. Si sentì sgonfiato, solo. Suo padre l’aveva abbandonato. Artemis che si era detta sua amica l’aveva usato. Non vedeva più nulla attorno a sé: era come se i suoi occhi guardassero al suo interno. Un grande pozzo, profondissimo, scuro. Chi gli impediva di tuffarcisi? Di proteggersi da tutto questo dolore? Chi gli rimaneva? Il suo spazio personale fu invaso, per la seconda volta in poco (troppo poco tempo), da Killian.
«Come farai a diventare un guerriero se mi abbracci sempre?» borbottò, poco convinto, cercando di ignorare il tiepido calore che era appena comparso in risposta a quel gesto.
Killian si staccò e s’inchinò tendendogli la bacchetta. Baelfire arrossì, ricordando come quel gesto fosse stato compiuto proprio quattro anni prima da Altair, il professore di Astronomia, in segno di fedeltà alla scuola.
«Io non ti tradirò mai, Bae.» decretò il Grifondoro con tono grave, prima di rialzarsi ammiccando: «E poi io sono già un fantastico uomo d’onore! Un vero guerriero!»
«Sì sì…» commentò Tinker Bell che li guardava bracce incrociate, occhi spalancati e una risata, a fatica trattenuta, sulle labbra: «Diventerai un vero guerriero forte, invincibile, virile… Soprattutto virile! Un vero uomo!»
«Almeno non sarò nota perché saltello per il castello, canticchiando quanto è bella la primavera!» ribatté il Grifondoro arrossendo.
«Ma è la stagione dell’amore!» esclamò la ragazzina illuminandosi: «È bellissima!»
Baelfire inarcò le sopracciglia, trattenendo una risata, ma immediatamente si rivolse di nuovo a Killian: «E ora come facciamo con la spada?»
«Perché vuoi distruggere il pugnale di tuo padre, Bae?»
I due ragazzi alzarono gli occhi al cielo sbuffando contemporaneamente. Si lanciarono un’occhiata d’intesa e raggiunsero in un attimo la ragazza. L’afferrarono da entrambi lati con un sorriso, palesemente falso.
«Ti ringraziamo per il tuo prezioso contributo…» esordì Baelfire spingendola.
«Ma ora dobbiamo proprio chiederti di lasciarci soli.» continuò Killian.
Le fecero varcare la soglia con un’ultima spinta.
«Ci vediamo a pranzo!» la salutò Baelfire mentre chiudevano violentemente la porta.
Si guardarono soddisfatti.
«Ben fatto amic...»
«BAELFIRE VUOLE SOMMINISTRARE UN FILTRO D’AMORE A SIR GODRIC GRIFOND…»
Riaprirono di scatto la porta e trascinarono dentro la coetanea, che sorrise come una bambina che si è appena finita tutta la crostata da sola.
«Dicevamo?» chiese con un sorriso.
Baelfire sbuffò sfinito.
«Ah giusto! Perché vuoi distruggere il pugnale di tuo padre?» chiese curiosa sporgendosi verso il ragazzo. Di fronte al silenzio dei due, fece un’espressione corrucciata: «Devo ricominciare a urlare?»
Baelfire guardò Killian, ma questi rispose con un’espressione che diceva: “La scelta è tua.”
Baelfire fece un respiro profondo: «Mio padre è l’Oscuro,» Tinker Bell gli lanciò un’occhiata da “questo già si sapeva”: «Pensiamo che buona parte della sua oscurità sia legata all’aver messo un pezzo della sua anima nel pugnale.» Tinker Bell spalancò gli occhi scioccata: «Ma secondo Artemis, la spada di Sir Godric può distruggere il pugnale e io così riavrei indietro mio padre.»
Tinker Bell alzò la mano: «E se distruggendo il pugnale uccidessi tuo padre?»
«Ho il suo stesso dubbio…» intervenne Killian, indicandola: «Ricordi che ha detto Tosca? Solo tuo padre può richiamare a sé la sua anima.»
«Sì, ma non sappiamo come!» Nella voce di Baelfire trapelò di nuovo la disperazione che l’aveva accompagnato negli ultimi tempi.
La mano di Killian piombò sulla sua spalla e il tono s’indurì: «Ha scelto il pugnale, il potere, invece che te. È stato lui a rinunciare a te, non il contrario.» Si rialzò e fece un grosso respiro, come se dovesse dire qualcosa di terribile: «Probabilmente, non ti ama abbastanza. Ci sono già passato. È bruttissimo. Però…» alzò leggermente la voce, che recentemente aveva assunto tonalità più gravi e profonde: «Ha scelto il potere invece di suo figlio! Nessun padre degno di questo nome avrebbe fatto questa scelta. Non merita il tuo dolore. Lui ha fatto la sua scelta e la sua scelta non sei tu. Mi dispiace, Bae… mi dispiace tantissimo… ma è così.»
Le parole di Killian alle orecchie di Baelfire suonava come verità innegabili e ovvie. Non lo fecero stare meglio, né diminuirono il suo dolore; ma sentì qualcosa scattare dentro di sé, una ritrovata energia. Sentì che Killian aveva ragione e che non doveva essere lui a cercare il padre. Suo padre l’aveva abbandonato, non era stato costretto a separarsene. Aveva scelto di lasciarlo da solo.
«Sono, quindi, definitivamente orfano?» chiese alzando finalmente lo sguardo su quello azzurro dell’altro.
Killian gli rivolse uno dei suoi sorrisi gentili, un attimo prima di ammiccargli: «Beh, siamo in due!»
«In tre.» intervenne Tinker Bell con un sorriso imbarazzato. Di fronte allo sguardo interrogativo dei ragazzi spiegò: «Beh… Neanche le mie zie hanno idea da chi sia nata.»
Baelfire sbottò a ridere, immediatamente seguito dagli altri due.
«Proprio baciati dalla fortuna!» commentò Killian tra le risate.
quando si furono calmati, Tinker Bell spalancando gli occhi tondi chiese:
«E ora che facciamo con quella?»
Baelfire estrasse la boccetta rigirandosela tra le mani, pensieroso.
«La portiamo da Lady Tosca?» propose stringendola più saldamente e guardando gli altri due interrogativo.
Tinker Bell annuì ripetutamente e Killian, dopo averli guardati un attimo, annunciò: «E Lady Tosca sia!» poi, con tono eccessivamente pomposo: «Milady! Arriviamo!»

 
 
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1
Per la verità rappresentazioni di questo genere erano tipiche del Medioevo.
2Modo obsoleto di dire va bene
3Chiaramente è una menzogna, che sfrutta l’incapacità di Baelfire in Pozioni

NdA: Artemis volutamente non è una mega cattiva con piani di controllo del mondo magico... ma questo non la renderà poi meno pericolosa... Lei è ossessionata da Godric XD

Come al solito, se lasciate una recensione e mi dite quanto fa schifo questo capitolo, io vi manderò cioccolata e prosciutti :D

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