Ringil - la Stella Fredda

di Nereisi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo: La Fuga ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo: La Madre e GEA ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo: Primi passi nel nuovo mondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto: Sotto attacco ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto: Incontri rocamboleschi ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto - Quello che non ti aspetti ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo: La Fuga ***


Ringil – La stella fredda







Avete presente quando, senza alcun motivo apparente, vi sentite improvvisamente tendere verso qualcosa, o qualcuno, come se ci fosse un qualche tipo di legame che vi unisce? Quando, nel bel mezzo del quotidiano, abbiamo degli istinti o degli scatti improvvisi che non ci sappiamo spiegare?
Di solito, passata la sorpresa, li si lascia perdere e non gli si da importanza, continuando a fare quello che stavamo facendo prima, ritornando alla vita di tutti i giorni.
A volte, invece, che sia perché si vuole vedere dove si andrà a finire, che sia perché c’è una situazione particolare, ci si lascia guidare da quell’istinto e, molte volte, arriviamo a scoprire nuove possibilità, nuovi aspetti di noi stessi o, molto più semplicemente, un nuovo punto di vista.
Può anche succedere, però, che si scoprano mondi interi e nuove realtà; e spesso possono far sembrare falsa e strana la quotidianità che prima ci sembrava vera e normale.






















Capitolo primo – La fuga






A  Erech la pioggia non piaceva. Non piaceva per niente.
Quando piove, tutto diventa cupo e plumbeo, la realtà perde i suoi colori che si uniformano in un triste grigio che a Erech ricorda molto un acquerello con poca tempera.
Eppure, in quel frangente, la pioggia gli era amica. 
Nascondeva il suo odore dal fiuto dei segugi, gli dava un pretesto per potersi calare in cappuccio in fronte senza destare sospetti e gli permetteva di correre in mezzo alla folla dando l’impressione di essere solo un passante senza ombrello e in cerca di un riparo.
Certo, non lo proteggeva dalle magie di riconoscimento ma almeno non si ritrovava dei mastini d’ombra alle calcagna. Inoltre, un mago è pur sempre un umano, e ciò gli dava un leggerissimo vantaggio temporale perché, mentre chi lo cercava doveva rimanere concentrato per recitare incantesimi e non perdere il controllo del famiglio che gli aveva sguinzagliato dietro, lui doveva solo pensare a scappare.
Perché Erech era inseguito. Inseguito e braccato.
Da chi? Non lo sapeva.
Perché? Non lo sapeva.

I suoi ricordi sono ricordi confusi e indistinti, dove l’unico ente onnipresente era il buio più assoluto e l’unica emozione provata la paura.
Da dove era scappato e come non lo sapeva e nemmeno aveva importanza: ora come ora molto più importante era sfruttare quell’opportunità e fuggire da quei luoghi il cui solo ricordo lo induceva a fermarsi a causa dei brividi incontrollati che gli procurava.
E quindi correva, Erech, correva più che poteva, incurante della fatica, ringraziando la pioggia, cercando di tenere sempre in cappuccio ben calato sul viso. Gli facevano male i piedi per la violenza con la quale li sbatteva sul terreno ma neanche di questo si curò.
Sfrecciava per le sconosciute vie della città, scontrandosi con persone mai viste prima, scivolando sulla strada bagnata, ma continuando a correre, lontano da quell’incubo nero che sapeva di metalli e farmaci dalla sconosciuta provenienza, tenendosi stretto ciò che era riuscito a recuperare nel minuto di lucidità che gli aveva permesso di ideare un piano per scappare: il suo nome.
Sapeva che l’effetto sarebbe durato poco e che se non si fosse fermato a riprendere fiato, tutta la sostanza che era in circolo nelle sue vene sarebbe stata smaltita in fretta e con essa le sue memorie.
Come lo sapeva? Nemmeno di questo aveva idea. Le informazioni erano semplicemente dentro la sua testa, non ricordava come ci erano entrate e perché erano così poche, ma c’erano. In quella manciata di minuti lo avevano guidato nelle sue scelte e nelle sue azioni e Erech aveva capito che se seguiva le direttive di quei ricordi aveva una speranza di uscire vivo da quella situazione, perciò obbediva.
Il suo istinto diceva di correre.
E lui correva.


Cercò un angolo appartato e miracolosamente trovò la facciata di un negozio seminascosto dalla strada e coperto da una tettoia. Dopo essersi asciugato alla meno peggio con la sciarpa che portava al collo, si specchiò per un secondo nella vetrina. Rispose al suo sguardo l’immagine di un ragazzo mediamente alto, con corti capelli castani e profondi occhi marroni, circondati da marcate occhiaie. La sua pelle era irragionevolmente pallida, come se fosse malato, e tremava dalla testa ai piedi. 
Erech cercò di trattenere il fiatone, per evitare di ansimare troppo forte e farsi scoprire.
- Chi sono questi tizi? Che diavolo vogliono da me? - ringhiò tra sé, irato e spaventato. 
Sporse un attimo la testa fuori dal vicolo per accertarsi di essere solo; la zona sembrava libera.
Con gesti quasi automatici, si sfilò la tracolla dalla spalla e ne trasse fuori un’ampolla, al cui interno vorticava un fumo che sembrava incenso. Non voleva farlo, odiava quella sostanza, eppure per poter mantenere ancora per qualche ora la sua identità non aveva altra scelta. A malincuore, richiuse la zip e si portò la boccetta sotto il naso; ma proprio quando stava per svitarla e aspirarne il contenuto, uno scricchiolio secco gli arrivò distintamente nelle orecchie. Si girò di scatto spostandosi di lato, appena in tempo per evitare l’attacco di una bestia d’ombra che si schiantò sulla vetrina del negozio, sfaldandosi e colando per terra in una pozza nera. 
Erech si accorse troppo tardi di aver perso la presa sulla boccetta. La vide rotolare due metri più avanti e capì che se non la prendeva, in quella manciata di secondi l’effetto di quello che aveva in circolo sarebbe scomparso e avrebbe di nuovo perso la memoria. Fece un mezzo passo in avanti, ma l’istinto e i pochi ricordi che possedeva lo trattennero.
E infatti la pozza nera si raccolse velocemente su se stessa in dei grumi, iniziando a riprendere la sua precedente forma.
Erech gettò uno sguardo tormentato al di là del corpo della bestia in via di formazione.
Se non utilizzava quella boccetta, avrebbe perso di nuovo la memoria e si sarebbe ritrovato a vagare senza meta in una città che non conosceva. A quel punto, sarebbe stato una facile preda.
Se cercava di riprendere la boccetta, invece, novantacinque su cento si sarebbe scontrato con la bestia d’ombra e le possibilità di vittoria rasentavano lo zero.
Si concesse il lusso di mezzo secondo di esitazione per scegliere la strategia che lo avrebbe quantomeno lasciato in libertà più a lungo, per poi girare i tacchi e riprendere a correre, mentre l’effetto della sostanza già scompariva.
Aveva fatto sì e no una decina di passi quando rallentò. 
- Perché diavolo sto correndo? – borbottò, confuso.
Poi, un ringhio dietro di lui lo costrinse a girarsi e si trovò davanti un animale a metà tra un lupo e un orso, più nero del catrame e con terrificanti occhi gialli, saltato fuori dal vicolo dal quale era sicuro di essere appena uscito, a zanne scoperte e puntate verso di lui.  Gettò un basso ringhio e in meno di una frazione di secondo balzò verso di lui.
“Oh, merda.” Fu tutto quello che riuscì a pensare Erech, mentre partiva a tutta velocità e capiva il perché della sua precedente corsa.
- Che cazzo è quella cosa?! – urlò, mentre cercava di mettere più distanza possibile tra sé e quell’affare, che aveva scoperto essere spaventosamente veloce.
Il cuore gli martellava così forte che pensava gli avrebbe spaccato la cassa toracica, l’aria che entrava nei polmoni era fredda e ruvida e ogni respiro gli raschiava la gola, ma non pensò nemmeno per un secondo di smettere di correre.
Per qualche strana ragione, percorreva vie nelle quali non c’era anima viva e nelle quali un ragazzino riusciva facilmente a passare mentre un animale grande come un orso veniva rallentato, come se avesse un GPS interiore che lo guidava. E ne fu felice, sia perché era riuscito a distanziare, anche se di poco, il suo inseguitore sia perché nessun altra persona correva il rischio di venire travolta o ferita.
Poi, Erech pensò che anche se riusciva a seminarlo, prima o poi le forze gli sarebbero venute meno. Quella bestia, invece, non dava segni di stanchezza. Prima o poi lo avrebbe raggiunto.
Aveva bisogno di un posto sicuro.
Di un riparo che lo nascondesse agli occhi di quella cosa.
Di un luogo protetto dove poter trovare rifugio.
Continuò a ripetere questi pensieri come un mantra, sperando, pregando, che qualcuno lo sentisse.

E così, accadde. 

Come se fosse sempre stato lì, intorno alla sua mente e trovando in quei pensieri un invito ad entrare. Un qualcosa di non definito che bussò alle porte del suo subconscio, agganciandosi ad esso come una lenza di una canna da pesca che gentilmente lo tirava e lo guidava per le vie della città.
Erech si sentì tendere verso una zona ben specifica, come se avesse un filo collegato al suo cervello. E decise di seguirlo.
Non aveva niente da perdere, in fondo.
Cambiò bruscamente direzione, cominciando a percorrere il sentiero lungo il quale si srotolava quella specie di filo attaccato alla sua coscienza.
Mano a mano che si avvicinava a quella che doveva essere la fonte, Erech avvertiva il filo ingrossarsi, perdere la sua forma definita, come se fosse evanescente. Ora poteva sentirne la presenza sulla propria pelle, come se si espandesse in volute di fumo.
Improvvisamente, davanti a sé Erech percepì una grande quantità di ciò che formava il legame che lo stava guidando. Aveva trovato il gomitolo di quel filo.
Una grande massa di energia pulsante.
La sentiva chiaramente, proprio dritta davanti a sé; ma l’unica cosa che vedeva in fondo alla strada era un gigantesco cantiere in disuso. Non c’era niente, come se i lavori si fossero fermati o dovessero ancora partire. Ignorando i cartelli di avvertimento e di pericolo che gli sfrecciavano ai margini della vista mentre correva, si diresse deciso in quella direzione.
I muscoli delle gambe gli stavano scoppiando, i piedi gridavano vendetta. Tra non molto sarebbe crollato, ma più si avvicinava alla meta e più si calmava, avvertendo in quel luogo un senso di sicurezza e protezione che gli era famigliare e gli evocava ricordi di un lontano passato. 
Gli mancavano poche decine di metri quando muovere le gambe si fece più difficile, sollevare i piedi gli costava uno sforzo superiore come se fosse aumentato improvvisamente di peso, come se stesse attraversando dell’acqua.
Erech al primo impatto si spaventò, ma in quella specie di barriera non avvertiva nulla di malvagio anzi, sentiva che una volta superato quell’ostacolo avrebbe finalmente potuto buttarsi per terra senza più preoccuparsi della bestia.
La bestia. Dov’era la bestia? Da qualche secondo non sentiva più il rumore dei suoi artigli sull’asfalto.  Era praticamente all’entrata del cantiere e decise di girarsi a controllare.
Pessima scelta. 
Sbucando fuori da una via laterale che Erech non aveva visto, approfittando della sua momentanea lentezza e del fatto che aveva abbassato la guardia sentendosi al sicuro, la bestia d’ombra saltò verso di lui, facendo schioccare la mandibole a due centimetri scarsi dalla sua gamba. Erech riuscì a evitare il morso gettandosi a terra, lasciandosi scappare un urlo. 
Si rialzò più velocemente possibile e così fece anche la bestia, che era rotolata un paio di metri più avanti.
Erech poteva vedere i muscoli guizzare sotto la pelle dell’animale, pronto a saltare e a sbranarlo sul posto, eppure esitava. Vedeva i suoi occhi spostarsi da lui all’entrata del cantiere alle sue spalle, emettendo un basso ringhio e spostando una zampa avanti, senza ancora muovere un passo.
Ed Erech capì. 
La bestia non voleva che lui entrasse lì dentro. Forse, lei non poteva entrare.
Era tutta una questione di chi saltava per primo.
Sarebbe stato più veloce lui, o la belva lo avrebbe azzannato e trascinato lontano?
Erech fissò gli occhi la bestia d’ombra. Gialli. Una netta contrapposizione con il nero del corpo.
Aprì e chiuse le mani cercando di calmarsi, anche se l’adrenalina in circolo era veramente tanta.
Preda e predatore si fissarono per istanti interminabili e quasi sembrò che si fossero tramutati in statue.
Poi, all’improvviso, un vento potente e impetuoso cominciò a soffiare nella strada, proprio in faccia a Erech. Uno di quei venti che ti aspetteresti durante una bufera o un tifone, non certo durante una semplice giornata di pioggia neanche troppo forte, ma Erech non si fece domande. Approfittò della sorpresa della bestia d’ombra, si girò di spalle e li lanciò, tuffandosi nell’entrata del cantiere lasciandosi sospingere dal vento. Dietro di sé sentì un ruggito terribile, poi un dolore tremendo alla gamba sinistra. 
Sentì di essere passato. 
Era una sensazione strana, come se fosse passato attraverso una sottile cascata. D’un tratto, la pesantezza che gli gravava addosso scomparì, e l’aria gli sembrò persino diversa, mentre cadeva al suolo.
L’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi era un accogliente e rassicurante verde che lo circondava da tutti i lati e, in lontananza, una colonna di fuoco che si alzava verso il cielo.
Infine, non ce la fece più. Chiuse gli occhi e tutto intorno a sé divenne silenzio.


                                                                                                                                                                  + + + + +


Negli immediati secondi che seguirono il suo risveglio, la prima cosa che sentì fu dolore. Un dolore acuto e intenso che si propagava in tutti i muscoli del suo corpo, come se il giorno precedente fosse stato forzato a correre una maratona senza un minimo di preparazione. Provò a sollevarsi, ma una fitta lancinante gli percorse gambe e schiena e lasciandosi cadere a terra con un rantolo decise che poteva riposarsi ancora per qualche minuto.
Deciso a non provare a muoversi se non fosse stato strettamente necessario, cercò di carpire più informazioni possibili sull’ambiente che lo circondava.
L’aria, come aveva notato quando era appena entrato, era diversa. In un certo senso più pulita, e in un altro senso carica e pregna di qualcosa che non seppe definire.
Sentiva i pantaloni bagnati di qualcosa che pioggia non era e si accorse di avere in bocca della terra, che sputacchiò fuori alla meno peggio.
Mosse le dita di una mano, e sotto di esse sentì dell’erba accarezzargli i palmi.
Cercò di aprire leggermente le palpebre, e i suoi occhi furono improvvisamente inondati da nuova luce; quando si furono abituati e riuscì a schiuderli almeno un poco sopra di sé vide folte chiome di alberi dalle quali filtravano raggi solari che illuminavano tiepidamente quella specie di radura nella quale si era ritrovato.
- Ma non era un cantiere? – si chiese tra sé e sé. 
In effetti, si ricordava distintamente che la meta della sua corsa frenetica era un cantiere in disuso e all’interno di  tale spazio era sicuro che non ci fosse niente, men che meno alberi ed erba.
Ma, tutto sommato, sembrava un posto tranquillo. Proprio quello che stava cercando.
Tirò un lungo sospiro di sollievo e lasciò scivolare per terra anche il braccio  che prima era appoggiato al petto. 
Poteva finalmente permettersi del tempo per rimettere in ordine i propri ricordi. Era sicuro che qualcosa non andava. 
Le sue memorie partivano solamente da quando era uscito di corsa dal vicolo. Poi, l’inseguimento e la fuga, ed ora quel posto. L’unica cosa che si ricordava con chiarezza era il suo nome.
Si prese la testa fra le mani, come se cercasse di spremere fuori dalla materia grigia i ricordi mancanti.
Poi all’improvviso una grande esplosione deflagrò in lontananza.
Erech saltò repentinamente in piedi, totalmente dimentico del dolore lancinante ai muscoli, i nervi a fior di pelle. Masticò un’imprecazione colorita quando appoggiò il peso sulla gamba sinistra e quella gli mandò una stilettata di dolore lungo tutto il corpo. Abbassò lo sguardo e vide la stoffa del pantalone strappata e appiccicata alla pelle, totalmente inzuppata di sangue.
Fece per abbassarsi a controllare la ferita ma ci furono altri scoppi e fiammate in lontananza. Erano molto più frequenti, di minore intensità e si stavano avvicinando a gran velocità alla radura dove lui era nascosto. 
Sentì delle urla, insulti gridati a pieni polmoni da varie voci, alcuni alberi vennero abbattuti da qualcosa a meno di un centinaio di metri da lui.
- Ma in che razza di posto sono finito?! – ringhiò, cercando di nascondersi quando si rese conto che non era in grado di camminare. 
Un fulmine si schiantò sul cespuglio nel quale stava pensando di nascondersi.
Erech fissò incredulo il mucchietto carbonizzato per qualche secondo – Ma stiamo scherzando?! – strillò istericamente, prima di girare i tacchi e zoppicare nella direzione opposta.
Un’esplosione deflagrò pochi metri davanti a lui, sbalzandolo e facendolo cadere per terra. Il primo istinto fu quello di scappare e per tal proposito cercò di tirarsi su; ma con la coda dell’occhio vide una forte luce sopraggiungere alla sua destra insieme ad un improvviso calore che gli scaldò la guancia. D’istinto si ributtò per terra supino, appena in tempo: sopra di sé, una gigantesca lingua di fuoco passò dove prima c’era la sua testa verso il punto dove prima aveva avuto luogo lo scoppio che lo aveva fatto volare via.
Con occhi sgranati e la faccia bollente, Erech vide sfilare a pochi centimetri dal suo naso quella che avrebbe potuto essere la propria morte incapace di emettere un singolo suono, come se quelle vampe gli avessero fatto evaporare le corde vocali.
Prima di svenire, il ragazzo si chiese cosa potesse aver mai fatto di male per finire in quell’inferno.
La prospettiva di un corpo a corpo con la bestia d’ombra ora non gli sembrava così terribile.


                                                                                                                                                                  + + + + + 


Qualche metro più in là, sul ramo di un albero, un ragazzo appeso a testa in giù per i piedi stava affievolendo tra le mani le ultime fiamme che aveva precedentemente sparato, estinguendole del tutto congiungendo i palmi. 
Rilassò i muscoli tirando un lungo sospiro distendendo l’espressione del volto e lasciando dondolare nel vuoto le braccia, poi si lasciò cadere atterrando agilmente in ginocchio. Si tirò in piedi, schiudendo le iridi grigio cenere.
Era abbastanza alto, con un fisico asciutto e insoliti capelli rosso scuro un po’ scompigliati. Alla base della nuca sul lato sinistro della testa, delle sottili e corte treccioline gli sfioravano la clavicola.
Avanzò nella radura scrutando gli alberi carbonizzati davanti a lui. Nessun segno di vita.
Lo sguardo gli cadde sul ragazzo svenuto poco più avanti. Si avvicinò e lo scrutò da vicino, con un’espressione leggermente confusa. 
L’anello che portava al collo mediante una catenina cominciò a brillare. Lo prese e se lo portò alle labbra. 
- Ditemi. –
“ Sei in ritardo. Perché non hai risposto prima? “
- Ho sedato una scaramuccia. Che succede? –
“ Abbiamo avvertito un senza-marchio oltrepassare la barriera. “
- Un senza-marchio? - Il rosso tornò a scrutare il ragazzino svenuto ai suoi piedi – Forse lo ho trovato io. Non mi sembra di averlo mai visto prima in giro, ma… Mi sa che lo ho arrostito un po’. Pensandoci bene, si comportava in maniera strana. –
“ Che intendi dire? “
- Si è ritrovato in mezzo tra me e quegli attaccabrighe… ma era strano. Anche un novellino sarebbe capace di formare uno scudo, lui invece correva qua e là come se fosse la prima volta per lui in una rissa… - si inginocchiò guardandolo con più attenzione – In effetti è conciato piuttosto male. È sicuramente ferito ad una gamba… e sembra sia appena uscito da un incubo. È ridotto ad uno straccio. – 
“ Portalo qui. “
- Sì, sì… - lasciò cadere la catenina e l’anello gli rimbalzò sul petto. Raccolse un po’ di aria nei polmoni – Ambra! – chiamò a gran voce
Un tuono gli rispose in lontananza – Che c’è?! – 
- Porta tu quei cretini dalla Madre! Io ho altro da fare. – gettò uno sguardò al cespuglio bruciacchiato poco più in là – E stai attenta a dove mandi quei fulmini, che prima o poi ci scappa il morto! -
Il cielo brontolò un poco, indispettito, senza rispondere. 
Il rosso dopo avergli lanciato uno sguardo tra il serio e il preoccupato si caricò il ragazzo ancora svenuto sulla schiena e si incamminò, ripercorrendo la via dalla quale era venuto.





Angolino dei Funghi
*^*^*^*^* m-ma! finalmente l'ho postato!
Buongiorno popolo di EFP, qui è animelover che parla!
Sono molto emozionata, questa è la mia prima storia originale e ci tengo un sacco. Un anno per sviluppare la trama, ma due giorni per scriverlo! E' stata davvero un'emozione incomparabile! Non per sminuire le mie altre fic, ma le originali... mah, ti danno una scarica elettrica ogni volta che pigi sulla tastiera!
I personaggi li conoscerete tutti a loro tempo. Io li "conosco" già da un anno e ormai... sono vivi! Non vedo l'ora di farvi fare la loro conoscenza! Ah, solo per puntualizzare: Erech è il co-protagonista! Per conoscere lei dovrete aspettare fino al prossimo capitolo... uh, ho detto troppo! 
A differenza delle mie altre storie, per questa ho già una scaletta ben preparata quindi, a meno di cause di forza maggiore (vedi: scuola), penso che non dovrei ritardare con gli aggiornamenti :)
In questo primo capitolo ho messo sia il prologo sia la prima parte della storia, perchè non mi piaceva l'idea di separarli.
Sono molto soddisfatta per come è venuto fuori e spero che mi lascerete un commentino, ci terrei davvero molto!
Avviso inoltre che gli aggiornamenti saranno perlopiù di Sabato ogni 2-3 settimane (o a volte anche meno, dipende sempre dalle "cause di forza maggiore").
Detto questo.... cielo, sono così emozionata! >0<
Spero che continuerete a seguirmi
baci baciotti
animelover

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo: La Madre e GEA ***


Capitolo secondo – La Madre e il GEA
 










 
La prima cosa che Erech avvertì fu una morbida stoffa a contatto con la sua pelle.
Un morbido, caldo tessuto che lo avvolgeva e lo faceva sentire decisamente al sicuro.
Da quanto tempo non aveva dormito così bene e così comodo? Un veloce sguardo ai suoi ricordi tumultuosi e bui e non dovette faticare molto per immaginare che era da tanto, troppo tempo che non succedeva.
Era ancora molto intontito ma riuscì a schiudere leggermente le palpebre.
Intorno a lui, una modesta ma accogliente camera lo ospitava, tinta di bianco e di un allegro azzurro che in qualche modo risvegliò in lui un’antica nostalgia.
Se da una parte voleva tirarsi a sedere e capire dove era finito, dall’altra si sentiva ancora molto stanco e debole, ed in fondo stava così bene che non aveva proprio niente in contrario a riposarsi ancora un po’.
Non sapeva dov’era quel posto, chi l’avesse portato lì e perché ma, dopotutto, quel giorno ne aveva visto di tutti i colori. Poteva, voleva permettersi di riposare.
Stava quasi per riappisolarsi quando delle voci lo misero in allarme. Si irrigidì nel letto, indeciso sul da farsi; poi decise di fingersi addormentato. Fece appena in tempo a chiudere gli occhi che sentì la porta aprirsi e delle persone entrare.
 

- Eccolo, Madre. – una voce maschile. Giovane, probabilmente un suo coetaneo.
- Non farmelo ripetere mille volte, Fenice: quando siamo soli chiamami col mio nome. – questa voce, invece, gli procurò una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale e quasi lo fece saltare sul letto mandando a monte la finzione.
La voce, calda e cristallina, apparteneva di sicuro ad una ragazza che si avvicinò al letto continuando a borbottare, scontenta. – Ma dico io, che razza di soprannome. “Madre”. Sembra così freddo e distaccato! Senza contare che alcuni dei nostri sono più grandi di me… - Erech sentì una mano piccola e fresca posarsi sulla sua fronte. Intanto, le due voci continuavano a discutere.

- Ancora con questa storia… - sospirò seccato il ragazzo – Altro che Madre, sembri una poppante. – la mano si stacco dalla sua fronte mentre la ragazza si girava, facendo arrivare qualche ciocca dei suoi capelli a solleticare il naso di Erech.
- E allora chiamami con il mio nome! – insistette – Io, a differenza di qualcuno, ne vado fiera, Fu… –
Tieni a freno la lingua, Alissa. – ringhiò lui, irritato. – Sei veramente una stupida. Tante premure per tenerti al sicuro e tu mandi tutto a quel paese per un tuo capriccio. -
- Oh, finalmente. – disse lei senza prenderlo sul serio e tornando a voltarsi verso Erech, posandogli di nuovo la mano sulla fronte. A quel nuovo contatto, il ragazzo non poté fare a meno di muovere un po’ la gamba. Avrebbe voluto tantissimo aprire gli occhi e poter vedere  in faccia quella ragazza, la cui sola voce gli evocava echi lontani del suo passato. Il suo nome, poi…. Alissa, se non aveva capito male. Dove l’aveva già sentito?

Compiendo quel movimento però, si accorse che il tessuto del lenzuolo aveva libero accesso alla sua pelle e capì con orrore di essere nudo. Nel frattempo la ragazza si era di nuovo girata verso l’altro – Non sembra essersi rotto nulla. Non ha febbre e la piccola ustione che gli hai procurato posso farla sparire in un attimo. La gamba però è un’altra storia: sento un’energia oscura provenire da lì. Devo dargli un’occhiata. –
Erech ebbe appena il tempo di metabolizzare la frase che sentì il lenzuolo che veniva alzato. Paonazzo, scattò seduto giusto in tempo per coprire con il tessuto il basso ventre e… per far scontrare lo sguardo con gli occhi più blu che avesse mai visto. Due grandi e meravigliosi occhi blu che lo fissavano, sorpresi. Non azzurri: blu scuro. Come gli abissi marini.

Scombussolato da quelle perle cerulee, non riuscì a formulare una frase di senso compiuto e si ritrovò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, incapace di spiccicare parola.
Dopo alcuni secondi si ricordò di avere la lingua e, evitando il suo sguardo, strinse più forte il lenzuolo che lo copriva pronunciando un chiaro ed imbarazzato – N… no. –
Una forte risata ruppe il silenzio ed Erech alzò gli occhi verso la porta (anche quella tinta di un allegro celeste) dove stava appoggiato il ragazzo che, con tutta probabilità, era quello che prima aveva rimproverato Alissa. Era appoggiato allo stipite, un piede sulla porta e le braccia incrociate, la testa abbassata ed incassata tra le spalle per le risate. Aveva i capelli di un rosso intenso e scuro. Erech li trovò insoliti ma belli. Non aveva mai visto una tonalità di rosso come quella. Un’occhiata un po’ più attenta gli fece scorgere delle treccine sul lato sinistro della nuca.
Era vestito in modo semplice: una maglietta nera a maniche corte, dei jeans e una felpa – anch’essa rossa, ma non della stessa sfumatura dei capelli – legata in vita. Quando alzò la testa per guardarlo, in un tripudio di tintinnii metallici, poté chiaramente vedere che anche lui aveva degli occhi particolari: grigio scuro. Come la cenere.

-  Un timido! Da quanto non ne vedevo uno! – fece, prendendolo in giro.
Erech arrossì, colpito nel segno. Fece per dire qualcosa ma la ragazza lo precedette.
- A cuccia, Fenice. Ti ricordo che anche tu quando ti ho dovuto visitare la prima volta ti sei imbarazzato come una femminuccia, quindi non hai proprio nessun diritto di prendere in giro gli altri. – si girò verso di lui, ed Erech sussultò quando i suoi occhi si trovarono a tu per tu con quelli blu di lei – Ciao! Non fare caso al mio amico. Non preoccuparti, chiunque tu sia qui sei al sicuro. – e gli sorrise.
 Ed Erech ci credeva. Per quel che gli riguardava, gli avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e lui ci avrebbe creduto senza il minimo ripensamento.


– Come ti chiami? – la domanda lo colse impreparato. Lei interpretò male la sua esitazione e si tirò su dal lettino dove prima era chinata a visitarlo. Erech fu così in grado di vederla per intero e quello che vide… lo lasciò ancora più rapito di prima.
Se i suoi occhi lo avevano sconvolto per la loro profondità, i suoi capelli lo lasciarono del tutto incredulo.
Azzurri.
Lunghi, lunghissimi capelli azzurri, lasciati liberi di scendere fino a metà schiena. Ad Erech all’inizio parvero strani, ma più la guardava più era convinto che su di lei stessero divinamente.
Come abbigliamento era decisamente diversa da quel Fenice: portava dei pantaloni neri morbidi e lunghi fino alle caviglie. Ad Erech ricordavano quei costumi tradizionali indiani per la danza del ventre, ma in un certo senso erano diversi. Sopra portava solamente un top blu scuro senza maniche e, sorprendentemente, non lo trovò per nulla volgare. Sopra di esso risaltava una collana identica a quella che portava al collo Fenice. A completare il tutto, un camice bianco da dottore.
Erech non ebbe il tempo di chiedere nulla, men che meno perché stesse indossando un camice, che la ragazza prese la parola – Scusa, hai ragione. Dovremmo essere noi a presentarci per primi. Come avrai già capito, lui è Fenice. Ti ha portato qui lui. – Il ragazzo che prima lo aveva preso in giro si staccò dallo stipite  della porta e gli fece un cenno col capo con un sorriso un po’ più composto del precedente. – Io invece… - riportò la sua attenzione sulla ragazza - …sono Mizu. E, se me lo permetterai, ti curerò. – concluse con una nota divertita.
- Mi curerai? Ma come…. – era oltremodo confuso. In effetti questo poteva spiegare il camice ma era davvero troppo giovane per essere un’infermiera. O una dottoressa. Avrà avuto al massimo un paio di anni più di lui! Ma c’era qualcos’altro che non quadrava.
- Ora ci diresti il tuo nome? – lo incalzò
- Io…. Erech. – pronunciò, sovrappensiero. Tornò a portare lo sguardo sulla figura della ragazza – Il tuo nome non era Alissa? –

Le sue parole gelarono la stanza. Fenice lo stava letteralmente scannerizzando con lo sguardo, sospettoso. – Come fai a saperlo? – chiese, intimidatorio.
- Prima…. Prima vi ho sentiti parlare… - balbettò, spaventato.
Il rosso assottigliò lo sguardo. – Dimenticatelo. –
Lo fissò come se gli fosse spuntata un’altra testa. – Cosa? –
Invece di ripetersi, l’altro ragazzo continuò a fissarlo come se volesse atomizzarlo sul posto.
- Oh, quante storie! – la voce cristallina di Mizu (o Alissa? Non ci stava capendo più niente!) ruppe la tensione. – Scusalo, Fenice è leggermente iperprotettivo. – disse, calcando sul “leggermente”. Il ragazzo fece una faccia incredula per poi voltarsi verso la porta, scocciato. Lei si avvicinò di nuovo, fissando i suoi occhi cobalto nei suoi nocciola – Ascoltami. Attentamente. E ti prego di prendermi sul serio. Sono in una posizione scomoda e, per proteggermi, ho dovuto cambiare nome. Non credo tu sia un nemico, ma ti chiedo di non chiamarmi mai con quel nome davanti ad altre persone e di non dirlo a nessuno. Altrimenti, ti tratterò come tale. – nonostante la nota gentile nella sua voce, Erech si rese conto dal suo sguardo fermo che non scherzava. Avrebbe potuto non prenderla sul serio, ma aveva l’impressione che, anche se era una ragazza e appariva debole ed indifesa, avrebbe potuto piegarlo senza sforzi. Assentì, senza staccare gli occhi da quelli di lei.
- Mizu! Ma ti pare il modo?! Che senso ha tenere segreta la cosa se poi tu lo spiattelli al primo che passa?! –
- Oh, non rompere. Ormai lo ha sentito. Finalmente  almeno qualcuno in questo dannato istituto mi chiamerà con il mio nome. Stavo cominciando a dimenticarmelo, persino! –
- Stupida mocciosa! Lo capisci che non è una cosa da prendere alla leggera?! –
- Attento a come parli, idiota d’un piromane! La prossima volta la “stupida mocciosa” potrebbe anche ricucirti il dito al contrario. –
Esasperato, Fenice strinse i pugni, ringhiando qualche insulto tra i denti  e andandosene nella stanza accanto con le mani in tasca.
Di fronte a quello che aveva visto Erech non sapeva se ridere o spaventarsi. La scena a cui aveva appena assistito era esilarante ma qualcosa gli diceva che quella ragazza così bella era perfettamente in grado di mettere in atto le proprie minacce.
Sussultò leggermente quando lei si girò, tornando a esaminare le sue ferite.
- Puoi raccontarmi che cos’è successo? Come sei arrivato qui? Fenice mi ha detto che ti ha trovato incosciente nel giardino. – “Giardino? Quello era un giardino? Non una foresta?”
- Io… non ricordo. Non ricordo nulla. So solo come mi chiamo. –
- Come sarebbe a dire che non ricordi? Mi saprai pur dire da dove vieni! –
Erech fece un sorriso amaro. – Piacerebbe anche a me saperlo. Forse ho fatto qualche tipo di incidente oppure soffro di amnesia… non mi stupirebbe, visto che qualcosa di sbagliato nella mia testa c’è di sicuro. – Mizu lo guardò interrogativa. – Puoi anche non crederci, ma l’unica cosa che mi ricordo è che sono stato inseguito da una specie di mostro. – spiegò arrendevole, certo che lo avrebbe preso per matto.
Lei invece si fece attenta – Fenice! – chiamò con tono urgente, senza smettere di guardarlo. Inaspettatamente, il rosso si materializzò al suo fianco senza nemmeno una protesta. – Vai avanti. Che tipo di mostro? –
Erech strabuzzò gli occhi. Gli stava veramente credendo sulla parola? – Beh… - cominciò cauto, misurando le parole – Era gigantesco. Una bestia che non avevo mai visto prima; e sembrava fatta di ombra pura. –
- Ah. Uno Zwire. –  fece lei, pratica.
- Un che cosa? –
- Uno Zwire. Una bestia d’ombra, come lo hai chiamato tu. È una specie di famiglio evocato dai maghi, normalmente di forma animalesca. È vincolato al padrone e segue i suoi ordini come un guardiano. La materia che lo compone varia da mago a mago e… –
- Aspetta. Aspetta! – la interruppe Erech, che non era riuscito a sottrarsi a quel fiume di parole. – Maghi, mostri, Zwire…. Come fai a sapere tutte queste cose? Come fai a prendermi sul serio?  Mi sarò preso una bella botta, sarò uscito di testa o quello che vuoi… o forse tutto questo gran… - esitò, indeciso su quale termine fosse più appropriato per la situazione nella quale era capitato – casino… in cui mi sono ficcato è solo un gigantesco scherzo. Ma non sono così stupido. La magia non esist… -
Erech si bloccò, senza concludere la frase. Con un’espressione di sufficienza e superiorità, Fenice gli aveva appena portato una mano davanti al viso. Sul palmo, una calda fiamma danzava lenta e ipnotica. Facendo evaporare tutte le poche certezze che il moro credeva di avere.



                                                                                                                                                                                   + + + + + 

 
Rimase lì per qualche secondo, incapace di formulare una frase di senso compiuto, a fissare la lingua di fuoco che gli scaldava la punta del naso. Poi, Fenice chiuse di scatto la mano, soffocando la fiamma. – Dicevi? – disse, sprezzante.
Sapeva che doveva avere paura. Sarebbe stato strano non avercela. Ma stranamente, per l’appunto, non ce l’aveva.
Avrebbe dovuto sentirsi sconvolto, visto che uno dei pochi punti fermi di una persona normale era appena stato spazzato via; eppure Erech si sentì stranamente sollevato di un peso.
Avrebbe dovuto mettersi a urlare, eppure tutto ciò che uscì dalle sue labbra fu un colpevole “Ah.”.
Decisamente, era strano. Ed era ancora più strano che se lo dicesse da solo.
 
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da un nuovo intervento di Mizu.
- Io mi chiedo cosa ho fatto di male per meritarmi un compagno del genere. – la ragazza piantò una gomitata nel fianco del rosso che accusò il colpo, anche se non doveva avergli fatto troppo male. – Cretino, lo hai spaventato. – gli sibilò.
- Tsk. – fu tutto quello che ricevette come risposta.
Mizu sospirò, frustrata.  – Scusalo. Di nuovo. È particolarmente sensibile su questi argomenti. Ti posso assicurare che non vogliamo farti alcun male. –
- Beh…. Se aveste voluto farmene, vi sareste già messi all’opera da un pezzo... no? –  disse Erech, tentando un sorriso incerto.
I due si scambiarono uno sguardo sorpreso, colpiti dall’affermazione; per poi scoppiare in una risata senza fine.
- Ehi, ho appena cambiato idea su di te! – fece Fenice asciugandosi l’angolo di un occhio – Mi piaci! Hai fegato e anche senso dell’umorismo. –
Alissa mi fece un sorriso. - Immagino che avrai delle domande da farci. –
- Beh… me lo stavo chiedendo già da un po’, ma… dove sono? –
Il sorriso si fece più ampio mentre si spostava piroettando al centro della stanza sotto lo sguardo divertito di Erech e rassegnato di Fenice. Si fermò a allargò le braccia, i capelli azzurri che le danzavano intorno al viso.
- Questo e il GEA!  In questo posto accogliamo e proteggiamo quelli come noi, i maghi. – abbassò le braccia, un’espressione leggermente imbarazzata e incerta in volto – O almeno… è così che io ci chiamo. Sinceramente, non ho mai pensato di coniare un termine…. Che dici Fenice, dovrei? –
Il rosso si schiaffò una mano in fronte – Ma ti pare il momento per certe cose?! –
- Hai ragione. Ma continuare a chiamarci maghi non mi sembra molto serio… –
- Chiamarvi? – li interruppe Erech - Vuoi dire che anche tu… -
Mizu gli dedicò un sorriso furbo – Indovinato! –
 
Stranamente, Erech non era stupito nemmeno di questo.
Si limitò a prendere atto della cosa con un cenno consapevole del capo per poi passare alla prossima domanda. – E… cosa fate, esattamente? –
I due lo guardarono con uno sguardo confuso – Che intendi? –
Una voce dall’alto anticipò le parole di Erech.  – Il moccioso vuole sapere se puntiamo alla conquista del mondo o altre cavolate simili. Un pensiero non del tutto privo di logica, in effetti. –
Erech cercò con lo sguardo la persona che aveva parlato; ma non fece in tempo ad alzare lo sguardo che una sagoma nera come il carbone piovve dal soffitto sul letto. Scattò indietro, dimentico del pudore e del dolore alla gamba: il ricordo del precedente incontro ravvicinato con lo Zwire era ancora vivo in lui. Quella cosa era nera e si muoveva…
- Anche se denota un’evidente ristretta capacità celebrale. Se avessimo voluto sottomettere l’umanità lo avremmo fatto già da tempo.  –
… e aveva appena deciso che non gli stava simpatica.
Erech guardò meglio la piccola figura che nel frattempo si era messa seduta. Con sgomento, si accorse che era un gatto. Un gatto dal manto nero e lucente e penetranti occhi verdi.
Balbettò qualcosa, mentre Mizu si portava una mano a coprirsi gli occhi.
Erech spostò allucinato lo sguardo dal felino alla ragazza. – Per caso… è il tuo… famiglio? –  la ragazza negò con il capo, sospirando rassegnata. – No, no. Shingo non è il mio Zwire. –
Con la bocca improvvisamente asciutta Erech tornò a guardare il gatto che, per tutta risposta, continuò a guardarlo come se fosse la creatura più stupida dell’universo.
Ecco, ora sì che era scioccato. E sconcertato. E sconvolto. Era un sacco di cose con la “s”.  Questo non se lo aspettava proprio!
Cercò di rimettere ordine nelle poche idee confuse che aveva, dato che quei due non dicevano nulla e osservavano la situazione come se fosse la cosa più normale dell’universo.
Il felino si avvicinò a Mizu. La ragazza si chinò permettendo all’animale di sussurrarle qualcosa all’orecchio. La turchina si allontanò un attimo per confabulare con Fenice, mentre Shingo tornava a piantare i suoi imperscrutabili occhi verdi su Erech, che notò al suo collo quello che sembrava un collare finemente decorato dal quale pendeva una piccola goccia, fatta dello stesso materiale del collare. Era trasparente e creava un forte contrasto sul nero del pelo. Sembrava vetro. O ghiaccio. O cristallo. Non riusciva a determinarlo, ma in quel momento aveva un altro tipo di problema.
 
- Allora… se non è uno Zwire… devo presumere che gli animali parlano? La cosa non dovrebbe stupirmi, visto che esiste la magia… giusto? – tentò, incerto.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
Poi il gatto esordì con un – Ma allora questo è cretino per davvero. – mentre Fenice e Mizu scoppiarono a ridere.
Erech arrossì. Dalla loro reazione aveva probabilmente detto una castroneria e non sapeva come comportarsi. Poteva mettersi a ridere anche lui, ma il felino lo stava guardando in malo modo. Forse si era offeso.
- Dai Shingo, non ti arrabbiare. È un novellino, non sa ancora nulla del nostro mondo! – lo blandì bonariamente la ragazza.
- Che si dia una mossa ad imparare, allora. È stato fortunato a capitare da noi, fuori non sarebbe durato due minuti. – rimbeccò lui. Si rivolse ad Erech. - La nostra è una vita difficile, moccioso. Cerca di imprimertelo bene nella mente. – poi gli diede altezzosamente le spalle e saltò agilmente in groppa a Fenice, acciambellandosi intorno alle sue spalle e ignorando tutti quanti.
Erech, mortificato e imbarazzato, si strinse nel lenzuolo.
Mizu gli posò una mano sulla spalla. - Tranquillo, non hai fatto niente di male. Fa così con tutti quelli nuovi ma se lo sai prendere per il verso giusto, è un ottimo compagno. Comunque, non ha tutti i torti. Appena usciremo di qui, ti farò un corso accelerato sul nostro mondo: devi sapere almeno i fondamentali. Dopodichè, cercheremo di scoprire cosa è successo alla tua memoria. Per prima cosa, che ne dici se mi fai vedere quelle ferite? –
Lo rassicurò con un piccolo sorriso e, dopo aver ricevuto una risposta affermativa, si mise al lavoro.
 
Le sue mani piccole e fresche gli presero con delicatezza e decisione le braccia , tastandole in vari punti, girandole. Poi passò alla schiena, facendo pressione su varie zone e ponendogli qualche domanda. Infine gli esaminò la gamba.
Erech strinse il lenzuolo fra le dita, sia per l’imbarazzo che per il dolore, ma cercò di sopportare in silenzio.
- Guarda un po’ cosa abbiamo qui… aura oscura. Te l’ha fatta lo Zwire che ti inseguiva? –
- Sì. –
- Mh. -
Mizu portò qualche ciocca di capelli dietro l’orecchio dove, Erech notò, faceva bella mostra di sé un piccolo orecchino d’oro, per poi rivolgergli un sorriso complice.
- Bene, Erech. Durante il tuo soggiorno qui, credo che avrai a che fare con i miei poteri molte volte, ma siccome questa è la tua prima volta… rendiamola speciale! –
Prima ancora di riuscire ad assimilare il significato di quella frase Erech vide Mizu tirarsi su dal lettino.
- Avrai l’onore di ascoltare il pezzo migliore del mio repertorio! – disse con un sorriso.

 
Sotto lo sguardo attento di Erech e impassibile di  Fenice, Mizu abbassò leggermente il capo. Chiuse gli occhi, rilassò le spalle e trasse un profondo respiro. Aprì i palmi delle mani verso di lui e, con sua somma sorpresa, presero a illuminarsi di un tenue bagliore azzurrino. Sembrava vivo. Nonostante il suo colore freddo, dava una sensazione di calore e allo stesso tempo di morbidezza.
L’aria nella stanza si fece improvvisamente più fresca e prese a vorticarle gentilmente intorno gonfiandole il camice e i capelli intorno al viso.
L’aura dalle mani si espanse in tutto il suo corpo rendendolo luminoso, fino a raggiungere il viso.
Quando alzò la testa e aprì gli occhi, il bagliore abbandonò ogni altra parte del suo corpo per concentrarsi solamente sulle mani e nelle iridi, rese ancora più luminescenti da quella luce pulsante.
A Erech, che guardava la scena in religioso silenzio e con la bocca leggermente aperta per lo stupore, parve meravigliosa. La vide avvicinarsi a lui e posare le mani sulla ferita. Sussultò leggermente per il dolore del contatto con la carne viva, ma era così preso che non ci fece quasi caso.
Poi, Mizu schiuse le labbra.
E cantò.

 
Estasiato, Erech sgranò gli occhi e la ammirò mentre, con una voce che doveva avere qualcosa di divino e mistico, faceva sgorgare  dalle labbra parole di un idioma sconosciuto intonandole e armonizzandole in modo così meraviglioso da fare invidia ad un coro di angeli.
Totalmente perso nel suo canto si accorse in ritardo del formicolio alla gamba. Cercò di guardare la ferita ma le mani di Mizu gli impedivano la visuale. Percepiva solo che il dolore andava via via scemando. Dopo qualche secondo anche il bruciore che avvertiva dove la carne viva era a contatto con le mani di lei si affievoliva, trasformandosi in un rinfrescante sollievo.
 
Mizu terminò in un sussurro la canzone e si tirò di nuovo in piedi tirando un sospiro mentre il bagliore azzurrino spariva lentamente.
Erech fece subito scattare lo sguardo verso la ferita accorgendosi con stupore che era sparita. Al suo posto, un nuovo lembo di pelle appena formato e leggermente arrossato ricopriva la zona dove prima c’era la carne martoriata.
 
Mizu gli rivolse un sorriso.
- La ferita alla gamba era senza dubbio quella più grave. Anche io non posso fare molto contro quell’aura oscura: è molto potente. Non sottovalutarmi, però! – riprese il sorriso – L’ho dissolta quasi del tutto. Qualche impacco, un po’ di bende e tra due giorni sarai come nuovo. Forza, in piedi! – lo squadrò per qualche secondo, per poi addolcire la voce. – Perché stai piangendo? –
Erech la guardò confuso, poi si portò una mano al viso.
Quel canto non gli era stato per nulla indifferente, a testimoniarlo le lacrime che copiose rigavano le sue guance. Non se n’era nemmeno accorto.
Quella melodia così dolce e leggera aveva scatenato in lui emozioni tanto intense da indurlo a piangere senza nemmeno rendersene conto.
Ricambiò ancora una volta il suo sguardo, trovandola bellissima ancora una volta.
 
- Ehi pesce lesso ti sei imbambolato? –
Infastidito, Erech volse gli occhi verso Shingo – Sei piuttosto acido per essere una palla di pelo sai? -
Il felino assottigliò gli occhi, fulminandolo.
- Oh, smettetela voi due. –
- Ma è lui che… - cercò di difendersi Erech
– Meno stupidaggini, più informazioni. – lo interruppe il gatto - Non sappiamo quasi nulla di te e tu dici di aver perso la memoria. Io non mi fiderei, ma visto che la Madre ti ha dato la sua fiducia sono costretto a dartela anche io. – si alzò sulle zampe stando in equilibrio sulle spalle di Fenice, che aveva assistito a tutta la scena in silenzio, continuando a fissarlo con i suoi penetranti occhi grigi – Per quel che mi riguarda, il mio dovere è solo istruire i novizi alle regole del nostro mondo. -
Fenice si mosse, raggiungendo il fianco di Mizu. Shingo ne approfittò per salire sulle spalle di lei, facendo addirittura qualche mugolio di apprezzamento quando gli accarezzò il pelo. La ragazza si girò faccia al muro, facendo segno di sbrigarsi e che non avrebbe guardato.
- Vieni, Erech. – il rosso gli tese la mano, aiutandolo ad alzarsi. Quando vide che teneva ancora stretto fra le dita il lenzuolo gli passò una camicia e un paio di jeans – Mi dispiace, ma per adesso ti dovrai accontentare… i tuoi vestiti erano inutilizzabili ed erano solo un ostacolo alle cure. Ti daremo dei nuovi indumenti appena possibile. –
 
Appena ebbe indossato dei vestiti puliti e fu di nuovo in piedi, Mizu si girò e gli indicò la porta.
- Sei pronto? – chiese, con un sorriso scherzoso
- Più o meno. –
Lei ridacchiò, imitata da Fenice. Shingo si limitò a sbuffare, annoiato.
- Andiamo. –
 

                                                                                                                                                                                    + + + + +


                                      

La ragazza dai capelli azzurri aprì la porta della stanza. Come se fossero stati un una camera isolata acusticamente, appena socchiuse la porta un frastuono che prima non era minimamente udibile irruppe nella stanza.
Schiamazzi, grida, rumore di oggetti sbattuti, urla festose, insulti e persino qualche piccola esplosione (“ Di nuovo?! E che cavolo! ”) salutarono l’inizio della sua nuova vita.
Alissa si piazzò di fianco al rettangolo di luce che era la porta, invitandolo ad attraversarlo.
 
- Benvenuto al GEA. –
 
 
 
 
 

Angolino dei Funghi
Buonsalve popolo di EFP! Sono tornata! Ebbene sì, non ci credevo nemmeno io ma sono riuscita a finire il capitolo entro i tempi. Ho fatto una tirata lunghissima fino a mezzanotte, ma finalmente è finita.
Ora, un po’ di spiegazioni: la storia vera e propria comincia da questo capitolo. Avrei voluto farlo un po’ più lungo ma A) non avevo tempo B) mi avrebbe sballato l’ordine dei successivi capitoli C)sarebbe venuta fuori una pappardella di minimo 40 pagine.
Comunque, avete finalmente fatto la sua conoscenza: Mizu, alias Alissa. Alla fine del capitolo ho usato il suo nome “segreto” per dare un tocco più solenne al finale: dopotutto, ora comincia la storia vera e propria!
Appare anche un nuovo “personaggio”: Shingo. Personalmente lo adoro, ma io sono di parte. Adoro tutti i felini! :3
Il povero Erech, spaurito e senza memorie, si ritrova in un posto sconosciuto dove le prime persone che incontra sono dotate di poteri magici e i gatti parlano. È ancora molto spaesato, ma si sa adattare in fretta alle varie situazioni, come vedremo nel prossimo capitolo.
La canzone che canta Alissa mentre cura Erech è presa dall’anime ” Tales of the Abyss”. Il brano in questione è “A song by Tear” se volete ascoltarlo potete trovarlo qui:http://www.youtube.com/watch?v=ci9u8Ht1aao
Purtroppo non sono riuscita a trovare la cover che mi aveva colpita così tanto, ma la canzone di base è questa J  (e se qualcuno potesse illuminarmi sulla lingua della canzone sarebbe il benvenuto! Ho appurato che giapponese non è… se qualcuno sa qualcosa sarebbe gradito il suo parere! )
Il prossimo capitolo sarà molto impegnativo: verrete introdotti nel GEA e parecchi dei dubbi e degli interrogativi che vi siete posti avranno una risposta.
MA! Per questo dovrete aspettare. Stavolta, neanche uno spoiler piccino picciò! u.u
In compenso, vi do un piccolo spunto su cui riflettere: io sono un’appassionata della fisiognomica, dei “nomen omen” e della frase “nomina sunt consequentia rerum”. Perciò, nulla è lasciato al caso!
E ora, passiamo ai ringraziamenti!
Come sempre, ringrazio chi commenta (grazie mille per le recensioni! Mi fate felicissima!), chi ha messo la storia tra le preferite/le seguite/le ricordate e anche chi legge e basta (ma sapete che mi fareste davvero molto contenta se mi lasciaste un commentino!).
 
Al prossimo capitolo!
baci
animelover

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo: Primi passi nel nuovo mondo ***


Capitolo Terzo: Primi Passi nel Nuovo Mondo
 
 
 


 
                                      
La ragazza dai capelli azzurri aprì la porta della stanza. Come se fossero stati un una camera isolata acusticamente, appena socchiuse la porta un frastuono che prima non era minimamente udibile irruppe nella stanza.
Schiamazzi, grida, rumore di oggetti sbattuti, urla festose, insulti e persino qualche piccola esplosione salutarono l’inizio della sua nuova vita.
Alissa si piazzò di fianco al rettangolo di luce che era la porta, invitandolo ad attraversarlo.
 
- Benvenuto al GEA. –
 

 




 
 
 
Erech si fece coraggio e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo ad Alissa, entrò nel rettangolo di luce della porta.
Un’incredibile quantità di luce gli ferì gli occhi costringendolo a compiere qualche passo alla cieca coprendosi le iridi con le mani. Al contempo, le sue orecchie captarono grande agitazione nell’aria. Le esplosioni che aveva sentito fino a poco prima si arrestarono; al contrario, lo schiamazzo causato da quella che sembrava una grande quantità di persone non accennava a diminuire, anzi: alla sua apparizione era aumentato esponenzialmente.
Erech, divorato dalla curiosità, cercò di far abituare più in fretta possibile gli occhi alla luminosità del luogo; poi, con uno scatto impaziente, tolse la mano, divorando l’ambiente circostante con lo sguardo.
 
 
Davanti a lui, almeno un centinaio di ragazzi e ragazze, tutti adolescenti. Alcuni lo fissavano e lo additavano, scambiandosi ad alta voce commenti e gridandosi l’un l’altro parole che Erech non riusciva davvero a capire visto l’incredibile frastuono, altri non lo prendevano nemmeno in considerazione e si facevano gli affari propri, sempre facendo chiasso. Poco più avanti riuscì a scorgere distintamente quella che aveva tutta l’aria di essere una rissa che nessuno aveva anche solo in mente di fermare. Anzi.
Solo un pugno di persone in prima fila lo guardavano parlando con un tono di voce normale. Uno di loro, un ragazzo dai capelli castano scuro e leggermente mossi dall’aria gentile, intercettò il suo sguardo e gli indirizzò un sorriso incoraggiante a cui Erech ricambiò senza nemmeno pensarci troppo.
Non ebbe nemmeno il pensiero di sentirsi imbarazzato per essere al centro dell’attenzione, tanto era preso a scrutare a propria volta tutta quella gente, per poi estendere il proprio orizzonte.
 
Si accorse con sgomento che tutte quelle persone e lui stesso erano in quello che sembrava un giardino, con tanto di erba e qualche pianta. Al centro faceva bella mostra di sé un gigantesco albero dal tronco immenso che arrivava fin quasi alla cupola e che, con le sue grandi foglie, ristorava con la sua ombra le persone che cercavano riparo dalla calura sotto di lui. Spostò lo sguardo ai lati e si dovette ricredere: era un edificio. Erano dentro a delle mura, con finestre per tutti e quattro i lati. Si vedeva che non era di certo una catapecchia, ma nonostante continuasse a irradiare un alone quasi mistico, la struttura non era certamente curata. Si potevano notare senza sforzo le bruciature annerite e le numerose crepe che correvano su per i muri, come se fosse appena scampata ad un attacco armato. Riuscì persino a scorgere una finestra senza vetri al secondo piano del blocco di destra, riparata alla bell’e meglio con un telo verde di plastica.
Tuttavia non lo trovava per niente un posto lugubre, anzi. Dava un’idea di calore e protezione che Erech trovò quasi nostalgica.
Seguendo con lo sguardo l’innalzarsi dei quattro piani dell’edificio arrivò al tetto. O meglio, alla cupola.
Come ebbe modo di vedere infatti, una cupola di vetro a forma di diamante sovrastava le loro teste, inondando direttamente l’interno dell’edificio con la brillante luce del sole che prima lo aveva accecato.
Sentì all’improvviso la presenza di Mizu al suo fianco e riportò l’attenzione vicino a sé. Si accorse così di essere su di una specie di balconata, collegata al prato sottostante da una breve gradinata di pietra bianca, delimitata da una ringhiera alta poco più di un metro.
 
- Beh? Che te ne pare? – Erech si riscosse, posando lo sguardo su un’evidentissimamente orgogliosa Mizu.
- E’… come posso dire… -  Si guardò intorno, cercando una parola che potesse andare bene - … Accogliente? – azzardò, guardandola di sottecchi.
Shingo non lo degnò di uno sguardo ma Erech sentì chiaramente il suo sbuffo scocciato.
Lei rise piano. – Non sforzarti. So bene come può apparire ad un primo impatto, ma ti assicuro che ci farai l’abitudine in men che non si dica. – rivolse uno sguardo dolce alla folla davanti a noi. Alcuni nelle prime file si accorsero della sua presenza e le rivolsero grandi sorrisi, altri gridarono a gran voce il suo nome, altri ancora si sgomitarono tra loro. Persino la zuffa venne interrotta. Il ragazzo che prima lo aveva salutato fece un cenno del capo a Mizu che lo ricambiò con un sorriso – Sono dei bravi ragazzi. E, da oggi, la tua famiglia. Ora te li presento. –
Fece qualche passo sulla balconata arrivando quasi sugli scalini, mente il silenzio calava man mano che avanzava. Mizu dedicò un sorriso a tutti i presenti; poi, con tono deciso e forte per farsi sentire da tutti senza aver bisogno di alzare eccessivamente la voce, pronunciò solamente:- Buongiorno, GEA. –
Per tutta risposta, la folla esplose in un coro di voci festose.

- Madre! –
- Buongiorno, Madre! –
 
Erech restò impressionato e guardò con meraviglia tutte quelle persone che manifestavano il loro appoggio.
Gli tornarono in mente le parole di Mizu: - Questo e il GEA!  Qui accogliamo e proteggiamo quelli come noi, i maghi.
Quindi, tutte quelle persone…
 
- Sono tutti maghi. – Fenice gli si affiancò, tenendo lo sguardo puntato sulla figura di Alissa. – Ma credo che tu ci sia arrivato da solo, giusto? –
Erech stirò un sorriso, contento che finalmente qualcuno gli attribuisse dell’intelligenza. – Già. –
- Cosa sta facendo? –
- Bah, la solita arringa patriottica che fa ogni mattina più una tua presentazione, giusto per far sapere che la “Madre” ha un nuovo “figlio”. –
Erech lo guardò strano, strabuzzando gli occhi. – Figlio? –
Fenice rise, imbarazzato. – Sì. Guarda, lascia stare. E’ un’altra delle sue stramberie: ha uno spirito materno molto forte ed è iperprotettiva, perciò ogni studente è come se fosse un suo “bambino”. È per questo che quella ciurmaglia la chiama Madre. -
Ci fu un momento di silenzio. Poi: - Li ha portati qui lei. Uno ad uno. Personalmente. –
Sorpreso, il suo sguardo saettò con la coda dell’occhio  fino a Fenice, per poi tornare a posarsi sulla ragazza dai capelli turchini che stava parlando animatamente con la folla.

Il rosso continuò – Questa cosa è meglio che te la dico io; se puoi, cerca di non parlarne con lei. Non è un argomento di cui parla volentieri. – Erech si girò per ascoltarlo con più attenzione.
Fenice prese un bel respiro. – Questa è una delle prime cose che devi tenere a mente qui: non menzionare la famiglia. Di nessuno, in nessun caso. Mai. Soprattutto, non chiedere informazioni a essa connesse a nessuno. E, soprattutto, non a lei. – disse, indicando Mizu con un cenno del capo.
Erech annuì, ma indirizzò uno sguardo confuso a Fenice, che si grattò la nuca sospirando, a disagio.
- Guardati intorno. – gli indicò con il pollice la folla alle sue spalle – Qui ci sono solo ragazzi. E sai perché? – chiese. Erech negò con il capo. – I “poteri”, come li chiama Mizu, si manifestano durante lo sviluppo adolescenziale. Quando il corpo si sviluppa, una bassissima percentuale di ragazzi e ragazze non ancora adulti si ritrova fra le mani un determinato potere che non sanno usare né controllare. Rischiano di far male a se stessi oppure… ad altri. – scoccò un’occhiata veloce a Mizu, un velo di tristezza negli occhi. Scosse la testa e riportò l’attenzione sul ragazzo di fronte a lui, che lo guardava con preoccupazione negli occhi.

- E quindi… cosa succede a questi ragazzi? Vengono portati qui? – chiese.

- Fosse così semplice… no, purtroppo no. Entrano in gioco molti fattori e sono tutti complicati… il primo tra tutti è proprio la questione della famiglia. Sono pochissimi i casi in cui anche uno solo dei genitori accetta la situazione perché anch’esso dotato di poteri. Il GEA è stato fondato solo da dieci anni, per cui questi ipotetici genitori non sono stati “fortunati” e hanno dovuto affrontare da soli il risveglio dei loro poteri e sono stati costretti a convivere con delle abilità di cui non sapevano niente, nascondendosi dalla società; quindi, quando sanno che loro figlio ha l’occasione di crescere imparando a controllare i propri poteri in un istituto pensato apposta per quello, ce lo affidano praticamente subito. Ma questi casi sono rarissimi. Noi maghi siamo una minoranza della società ed è ancora minore la probabilità che un mago abbia un figlio con poteri. Un po’ più frequente è il caso in cui un genitore non-mago accetti il figlio per quello che è e acconsenta alla sua “istruzione”. – gettò uno sguardo verso Mizu e, constatando che stava finendo il suo discorso, si affrettò a concludere il proprio.

- Purtroppo, la maggior parte dei casi comprende passati che non vogliono essere menzionati come, per esempio, l’aver ferito qualcuno… In alcuni casi abbiamo dovuto procedere con la rimozione della memoria di alcuni testimoni. – Erech lo guardò spaventato.
– Non fare quella faccia! – sbottò Fenice, irritato. – Cosa pensi succederebbe se la nostra esistenza venisse sbandierata alla società? Nel suo stato attuale, il mondo non è pronto. Ancora i popoli di una stessa terra si ammazzano in nome del proprio credo, molte persone vengono discriminate per il proprio orientamento sessuale o il colore della loro pelle… addirittura per i loro gusti musicali. Pensi davvero che accetterebbero la nostra esistenza? Siamo una minoranza, ricordatelo. Potrebbero sterminarci, usarci come armi umane, fare esperimenti su di noi… non oso nemmeno immaginarlo. E sai che c’è? Molto probabilmente, da qualche parte, sta succedendo. – Lo guardò con uno sguardo carico di frustrazione e impotenza – Forse, da qualche parte, un ragazzo che non siamo riusciti a salvare in tempo è sottoposto a tutti questi supplizi. –
Erech fu scosso nel profondo da quelle ultime parole, come se lo avessero toccato personalmente.

Fece per chiedergli qualcosa, ma il tonante ed improvviso rombo della folla coprì le sue parole.

Fenice gli diede un paio di pacche sulla schiena e gli urlò – Dacci dentro! È il tuo momento! –

 
Come se qualcuno gli avesse appena fatto esplodere un palloncino in faccia, Erech, che fino a qualche secondo prima era totalmente concentrato sulle parole del rosso e sull’assimilare quante più informazioni possibili, si ritrovò scaraventato davanti ad una marea di persona che schiamazzavano e gridavano, mentre Mizu lo guardava soddisfatta con le mani sui fianchi.
Si sentì le guance andare letteralmente a fuoco, imbarazzandosi come non mai.

Anche se era al centro dell’attenzione di tutta quella gente, non aveva la minima idea di cosa dovesse fare. Doveva salutare? Doveva sorridere? Erech ci provò, ma il risultato fu un ghigno tiratissimo che spaventò pure lui.
(S)Fortunatamente , sopraggiunse Shingo con la sua naturale gentilezza: - Mizu, questo novellino se la sta facendo sotto. Andiamo, su. –
Indeciso se essergli riconoscente o no, Erech non poté fare altro che seguire la ragazza dai capelli azzurri, dopo che questa gli aveva indicato con un cenno del capo di starle appresso.

Scesero la breve gradinata che univa la balconata con il terreno, che Erech constatò essere effettivamente erba, portandosi allo stesso livello della folla che si apriva per lasciarli passare. Con Fenice dietro, Erech si incuneò nel mezzo della ressa.
Si sentiva spiaccicato da ogni parte come una sardina, certi momenti non riusciva nemmeno ad avanzare ed era costretto a spingere come un ossesso per riuscire a farsi strada. Mizu, invece, sembrava non accorgersi di nulla. La ressa si divideva  per farla passare, mentre lei distribuiva sorrisi e parlava animatamente con molti di loro, per poi chiudersi immediatamente dopo il suo passaggio. Ora che era in mezzo a loro, il caos era ancora più frastornante. Molti gli gridavano frasi incomprensibili, a volte riusciva a captare qualche saluto rivolto nella sua direzione. I botti e le piccole esplosioni erano tornate a farsi sentire e Erech avrebbe quasi scommesso che la rissa che prima aveva subito una pausa per ascoltare Mizu ora era tornata in piena attività. Il ragazzo si trovò a pensare che, effettivamente, molti dei presenti non avevano propriamente l’aspetto di persone affidabili.
Se all’inizio tutta quella gente allegra ed esuberante gli era risultata simpatica e gli aveva dato una sensazione di calore, ora era un filino preoccupato.
Quando gli avevano parlato di “istituto” e “istruzione”, nonché di passati il più delle volte tristi e per nulla piacevoli, si era aspettato di incontrare persone serie e relativamente composte; ma le sue aspettative erano state miseramente sbriciolate al primo approccio: erano una banda di scalmanati e delinquenti!

Proprio mentre pensava queste cose, un ragazzo che sarà stato almeno il doppio di lui gli impedì il passaggio, piazzandosi di fronte a lui di spalle e discutendo animatamente con un altro ragazzo, che non si faceva scrupoli a rispondergli per le rime. E rime non proprio candide.
Sconfortato, Erech si girò per cercare appoggio da Fenice ma non lo trovò. Probabilmente la folla doveva averlo diviso dal gruppetto.
 

Come ultima ancora di salvezza, lanciò uno sguardo verso Mizu, che neanche se ne accorse, troppo presa a discutere con un’altra ragazza con lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo.
A corrispondere il suo sguardo, invece, fu Shingo che, scrutandolo con occhi penetranti di felino, prima sbuffò con fare irritato, poi balzò dalla spalla di Mizu, saltò su arti e teste varie e infine atterrò sulla spalla di Erech, non facendosi scrupoli ad artigliare la maglietta del ragazzo e facendo affondare le unghie nella carne per tenersi in equilibrio. Si sedette con fare regale e altezzoso e, senza degnarlo nemmeno di uno sguardo, fissò ostinatamente verso la schiena della ragazza dai capelli turchini che continuava imperterrita a camminare.
Erech lo fissò come se fosse un alieno, totalmente spiazzato.
I presenti invece, che avevano seguito gli spostamenti del gatto nero con lo sguardo, appena lo videro atterrare sulla spalla del moro e guardare avanti, si ammutolirono. Il gigante che gli aveva impedito il passaggio e il suo compare, appena videro che Shingo li stava fulminando con lo sguardo, fecero un salto sul posto e si affrettarono a fare spazio. Per la prima volta da quando era arrivato, Erech riuscì a percepire solo un flebile brusio terrorizzato dalla folla che continuava a scrutare il felino, in attesa.
 
Una sola parola mosse impercettibilmente le vibrisse dell’animale. – Spostatevi. –
Come un sol uomo, ragazzi e ragazze si spostarono velocemente lasciando libero il passaggio fino a Mizu, che Erech si affrettò a raggiungere dopo uno stimolo sotto forma di unghiata da parte del suo inatteso “salvatore”.
Mizu, accortasi dell’improvviso silenzio, si girò verso di loro con aria di rimprovero.
- Shingo. Li stai terrorizzando di nuovo! –
- Tsk!- esclamò lui con sufficienza. – Pappemolli! È ora che imparino un minimo di disciplina! Se fosse per te, che li vizi in questo modo, regredirebbero fino allo stato di cavernicoli. – Un brusio indispettito si levò leggero dalla folla. -Questo posto non è un parco giochi! – affermò Shingo alzando leggermente la voce e di nuovo tutti si ammutolirono.
 
- Terribile come sempre eh, micetto? – lo salutò la ragazza che fino a qualche secondo prima stava parlando con Mizu. Erech spostò la sua attenzione su di lei proprio mentre la ragazza allungava la mano e rifilava una delicata pacchetta sul capo dell’animale.
 
Gli risultò simpatica a prima vista. I capelli erano biondi e legati in una alta coda di cavallo; non erano lisci ma leggermente mossi, come se li portasse spesso in forma di treccia. Aveva grandi e brillanti occhi marrone chiaro, un viso piccolo e luminoso e un sorriso allegro e determinato. Indossava dei pantaloncini sportivi e una canotta blu chiaro che faceva risaltare la carnagione leggermente abbronzata.
 
Shingo gettò un basso ringhio d’avvertimento, evidentemente irritato dal gesto della ragazza che, per tutta risposta, rise non prendendolo sul serio. Ritirò la mano e si girò, puntando i lucenti occhi nocciola su Erech.
 
- Ciao! Tu sei quello nuovo vero? – Lei gli tese la mano – Io sono Ambra. Benvenuto al GEA! – disse, sorridendogli. Erech ricambiò la stretta, che notò essere sicura e ferma.
- Erech. – rispose semplicemente lui, tentando un sorriso.
 
La presa della stretta di mano si fece improvvisamente rigida. Ambra lo fissava sgranando gli occhi, pietrificata. Erech aggrottò le sopracciglia. Ritirò la mano e si guardò intorno, ricevendo come risposta gli sguardi inorriditi di Fenice e Mizu. Intercettò un veloce scambio di sguardi, poi Fenice gli venne meccanicamente vicino e gli batté una mano sulla spalla, indicando Ambra.
- Non dargli troppe confidenze, amico! Lei è quella che ti ha quasi incenerito con un fulmine! – disse, e rise. Dal tono di voce palesemente nervoso Erech capì due cose: la prima era che Fenice non era bravo a fingere, la seconda che voleva cambiare argomento senza darlo troppo a vedere. Decise di spostare la sua attenzione su Ambra per reggergli il gioco, sebbene non ne capisse il motivo e perché, effettivamente, era sorpreso.
 
- Tu…? – chiese, squadrandola intimorito.
Lei arrossì e girà lo sguardo, imbarazzata. – Q-Quello non era nei programmi, in effetti. – balbettò. – Ero presa dal sedare la rissa tra quei due – Indicò il gigante che prima aveva impedito il passaggio a Erech ed il suo compare i quali, accorgendosi dello sguardo della bionda su di loro, si affrettarono a confondersi con la folla – E non ho fatto troppa attenzione alla mira. – Sospirò. – Scusa. – Concluse, imbronciata.
- Ah… tranquilla. Alla fine non è successo niente, no? – azzardò.
Ambra gli sorrise, riconoscente, per poi puntare a sua volta il dito su Fenice – E comunque – ruggì – tu lo hai quasi arrostito, quindi non fare tanto il santarellino! –
Fu il turno di Fenice per arrossire, mentre la biondina si portava le mani ai fianchi sorridendo vittoriosa.
- Eh sì, di questo mi ricordo! – le diede man forte Erech. Non voleva ammetterlo ma lo divertiva parecchio vedere Fenice raggiungere la stessa colorazione dei suoi capelli. Ambra scoppiò a ridere.
 
Una voce scocciata nella spalla riportò Erech alla realtà.
- Bene, basta così bambini. – esclamò Shingo dalla spalla di Mizu, con tono palesemente irritato. – Muovetevi, siamo in ritardo. –
Erech non fece in tempo a chiedere “In ritardo per cosa, esattamente?”  che il felino alzò il tono di voce, rivolgendosi a tutti i presenti. – A chiunque decida di non presentarsi alla lezione… - assottigliò lo sguardo, rendendolo tagliente. – Complimenti per l’audacia. –
 
 
Mentre un brivido di terrore correva per le schiene della folla, Mizu sollecitò il gruppetto a farsi strada fino ad arrivare dall’altra parte del cortile interno, entrando nell’edificio opposto a quello dell’infermeria dove si era svegliato Erech.
 
Appena entrati, si trovarono in quella che aveva tutta l’aria di essere un’aula. Era gigantesca, evidentemente pensata per contenere  un largo gruppo di persone; in compenso, la mobilia era scarseggiante. A parte qualche banco malmesso e qualche sedia traballante sparsi per la stanza, le uniche cose che sembravano essere curate e integre erano una lavagna che copriva gran parte di uno dei muri e una piccola e alta cattedra di legno posta davanti ad essa. Ai due lati della lavagna, nel muro, si potevano vedere due scale, che con tutta probabilità salivano al piano superiore.
 
Si spostarono di lato, lasciando passare il resto delle persone che si distribuì nello spazio dell’aula. Alcuni rimasero in piedi, altri si sedettero per terra. Ci fu qualche piccola scaramuccia per accaparrarsi i pochi banchi o le sedie ma in una manciata di minuti tutti avevano preso posto. E, stranamente, erano tutti in silenzio.
Erech spostò lo sguardo da una parte e dall’altra, in cerca del “professore”. C’era una cattedra, una lavagna e degli alunni in attesa. Mancava solo il docente e poi sarebbe sembrata una normale (si fa per dire) classe.
Con sua sorpresa, a muoversi verso la pedana della cattedra fu Mizu. Ma fu con sommo stupore che vide che chi prendeva posto sulla cattedra altri non era che Shingo.
Mentre Mizu tornava verso il gruppetto, il felino scrutò i presenti con i suoi profondi occhi verdi, per poi miagolare un – Buongiorno. –
Alcuni risposero al saluto, altri fecero un cenno con il capo.
 
Erech era seriamente sconvolto. In quelle ultime ore la sua esistenza e tutti i punti fermi della sua vita, per quanto pochi e confusi, erano stati miseramente sbriciolati.
Aveva appreso dell’esistenza della magia e dei maghi, era stato curato con un canto, aveva scoperto l’esistenza di un istituto che conteneva tutte quelle follie insieme ai suoi rumorosi abitanti e, ultimo ma non meno importante, era stato preso in giro da un gatto parlante. Un gatto parlante. E, a quanto sembrava, era temuto e rispettato da tutti. Forse più temuto che rispettato.
E fin qui, per quanto folle, la situazione poteva anche essere capita.
Per quanto esile ed evanescente, aveva un suo filo logico.
Ma da qui a vedere quello stesso gatto parlante tenere una lezione a quel gruppo di esaltati come se fossero in una normalissima scuola… Ne passava di acqua sotto i ponti!
 

Shingo cominciò a parlare.
 
- Come tutti avete avuto modo di vedere, oggi si unisce a noi un nuovo membro. Per ripassare e per fare chiarezza tra le sue poche e confuse idee, vediamo di ribadire i concetti fondamentali. – Erech accusò la frecciatina, ma non replicò all’occhiata tagliente del felino.

– Se non sapete chi sono e quello che faccio, o siete stupidi o non avete ascoltato le mie lezioni. In entrambi i casi, morirete presto. Questo è il GEA. – pose una zampa in avanti per sottolineare il concetto. - Qui accogliamo, cresciamo e aiutiamo lo sviluppo educativo di noi cosiddetti maghi. In questo istituto, io insegno teoria di base. Significa che ogni parola che dico, sia qui che fuori, vi sarà utile per tenere il culo al caldo e non schiattare prima del tempo.  Ciò comprende le nozioni basilari ed essenziali per vivere nel nostro mondo, alternate a quelle per vivere nel mondo normale, ovvero nella società, dove verrete reintrodotti al termine dei vostri studi. La durata di tali studi dipende esclusivamente da voi e dalle vostre capacità. Sia ben chiara una cosa: non ho mai spedito là fuori dei somari. E non intendo cominciare ora. – Nuovamente trafisse Erech con lo sguardo. Il ragazzo si indispettì.

- Ehi! Mi sta praticamente dando dell’idiota davanti a tutti! – sussurrò ad Ambra. Lei ridacchiò.
- Tranquillo, tratta tutti così. Guarda. –
 
Erech incontrò lo sguardo di alcune persone che lo guardavano con compassione, ragazzi e ragazze che comprendevano cosa stesse passando e che intimamente tifavano per lui. Quasi si commosse.

- Puoi anche non credermi, ma sotto sotto ha un gran cuore. Tiene molto a ciascuno di noi. – aggiunse Ambra. Sebbene scettico, Erech sperò che fosse vero.
 
La voce di Shingo tornò a farsi sentire. – In questo istituto, che lezioni che frequenterete durante tutto l’anno sono solo le mie. Potete immaginare i vari corsi come fasi del vostro apprendimento: una volta completata una si passa a quella successiva. Per questo ho detto che la durata dei vostri studi dipende dalle vostre capacità. Ora passerò a presentarvi le altre persone da cui dipenderà la vostra vita da ora in avanti. – fece un cenno con il capo in direzione del gruppetto. – Avvicinatevi. –
 
 
Dalle prime file si alzò un ragazzo che prese posto di fianco alla cattedra. Quando si girò, Erech riconobbe il ragazzo che gli aveva rivolto un sorriso gentile quando si era trovato improvvisamente ritrovato faccia a faccia con tutti gli studenti dell’istituto.  Lo squadrò con attenzione. Aveva corti capelli castano scuro, limpidi occhi azzurri e, anche se emanava un’aura modesta, si ergeva con sicurezza al fianco di Shingo.
Shingo che, Erech notò con un pizzico di invidia, indirizzò quello che sembrava un sorriso al nuovo venuto, prima di girarsi di nuovo verso la folla.
- Fammi un favore  e presentati al novellino. –
Il ragazzo castano face un passo avanti e sorrise educatamente ad Erech. – Il mio nome è Dorlas. Felice di conoscerti. – l’interpellato rispose con un cenno del capo, ricambiando lo sguardo.

Shingo riprese la parola. – Come tutti voi saprete, Dorlas è uno dei primi insegnanti al quale ci si deve rivolgere poco tempo dopo l’entrata al GEA. Insieme a lui imparerete a controllare i vostri poteri, che è una delle cose essenziali per riuscire a tornare nel mondo esterno. Se non li sapete controllare, siete un pericolo per voi e per chi vi sta attorno: per questo motivo, lui sarà il primo insegnante con cui avrete a che fare. Se non superate questa fase, non sarete ammessi alle mie lezioni: poteri incontrollati in uno spazio ristretto con molte persone sono molto più che pericolosi. Dopo il Controllo, abbiamo il Potenziamento. Losille, vieni avanti. –
 
Si sentì uno strano fruscio dal soffitto.
L’attenzione di Erech fu catturata da una ragazza decisamente singolare, tant’è che si chiese come diavolo avesse fatto a non notarla. Doveva avere qualche problema agli occhi.
Era vestita in un modo che Erech trovò… stravagante, a dir poco. Portava un lungo vestito  che ricalcava il modello di quelli dei nobili dell’Ottocento Europeo. Le maniche erano staccate dal corpo principale dell’abito, legandosi al braccio sotto all’attaccatura delle spalle con una striscia di pizzo bianco, lo stesso che ornava il bordo superiore e inferiore dell’abito. Un collare di raso nero le stringeva il collo diafano, un fermaglio a forma di rosa raccoglieva parzialmente di lato i boccoli nocciola che a malapena raggiungevano le clavicole. Sottili occhi verde prato scrutavano la folla sottostante con uno strano luccichio.
Dei rami che entravano dalla finestra, attorcigliati fra loro, avevano creato una specie di altalena ancorata al soffitto, sulla quale lei era seduta. Si allungarono in direzione della cattedra, depositandola di fianco a Dorlas per poi ritirarsi e uscire dalla finestra.
 
- E ora che abbiamo finito l’entrata in scena per impressionare i nuovi arrivati… -  le ringhiò sommessamente Shingo
La ragazza ghignò, tirò fuori da una delle larghe maniche un ventaglio, lo aprì e nascose le proprie labbra dietro di esso, assottigliando maliziosamente gli occhi – Oh, suvvia. Un po’ di distrazione non ha mai fatto male a nessuno. Vero, Dorlas? –
L’interpellato annuì nervosamente, avvicinandosi leggermente alla cattedra.
- Tsk. Comunque, costei è Losille. Si occuperà di potenziare il vostro controllo sui poteri, insegnandovi come utilizzarli per scopo difensivo e offensivo. Insomma, con lei imparerete a combattere. – disse sbrigativamente.
 
Losille individuò Erech nella folla e gli fece un occhiolino da dietro gli occhiali. Il malcapitato sentì un involontario istinto che gli gridava di scappare ma si trattenne e si limitò a guardare da un’altra parte. Quella che con tutta probabilità era una pacca si solidarietà si abbatté sulla sua schiena e vide Fenice alzargli il pollice, incoraggiante.
 
- E ora, l’ultima. Autodif – un lampo si scagliò nello tra Dorlas e Losille, facendosi prepotentemente spazio tra i due.
- Ambra! – ruggì Shingo – Disgraziata! Se mi rovini l’aula ti disintegro! –
 
La luce ridacchiò e prese le sembianze della ragazza – Oh, ma dai. – disse, attaccandosi al braccio di Dorlas – Lo dici sempre ma in fondo sei un tenerone! –
 
Mentre il ragazzo moro le sorrideva velocemente e i presenti si lasciavano andare a delle lievi e sommesse risate per poi essere ferocemente zittiti da un imbarazzatissimo felino, Erech, sconvolto, fece scattare lo sguardo vicino a sé dove, fino a qualche  istante prima stava la ragazza, per poi riportarlo verso la cattedra.
- Non esserne sorpreso. Dopotutto, lei è un fulmine. – gli bisbigliò Mizu. Erech arrossì, sentendola così vicina.
- V-vuoi dire… che l’elettricità è il suo potere? –
Lei gli sorrise – Vedi che Shingo si sbaglia su di te? Sei un tipo sveglio. – disse, dandogli una pacchetta in testa.
 
Il gatto nero riportò l’ordine, tossicchiando perentorio. – Questa testa vuota… -
- Ehi! – protestò Ambra
- … insegna Autodifesa. – continuò imperterrito Shingo – Ovvero, lotta corpo a corpo. Autodifesa e Potenziamento vengono insegnati simultaneamente: ciò vuol dire che potrete decidere quale delle due lezioni frequentare e quindi quale disciplina approfondire. Ci sono tuttavia un numero minimo di presenze richieste. Così come svilupperete i vostri poteri, così dovrete allenare il vostro corpo, altrimenti sarete sopraffatti da essi. Inoltre, non tutti i poteri esistenti sono portati per i combattimenti. Ognuno di voi dovrà essere in grado di difendersi da solo. Più il corpo è forte, più i poteri sono meglio controllabili. Come si dice, mens sana in corpore sano. -
 
Shingo prese un respiro, continuando il suo discorso. – Questi sono i vostri insegnanti. Loro vi educheranno e vi cresceranno per il periodo di tempo in cui starete in questo istituto. –
 
 
Erech li osservò, indeciso se sentirsi intimidito o ammaliato.
Erano ragazzi, più o meno della sua età, ma la fierezza e la dignità con cui svettavano davanti a tutte quelle persone gli conferiva una maturità che lui in quel momento poteva solo sognare di avere. Come aveva detto Fenice, probabilmente molti di loro avevano dei brutti passati. Eppure, avevano trovato il coraggio per diventare forti e ora guidavano ed educavano un esercito di pericolosi scalmanati.
Non poté fare a meno di ammirarli.
 
 
Un picchiettio nervoso e febbrile sulla punta di una scarpa lo spinse a guardare verso il basso. Un paio di ragazzi terrorizzati seduti per terra incrociarono il suo sguardo, indicandogli convulsamente con il dito la direzione della cattedra. Erech seguì con lo sguardo il verso da loro indicato, trovando ad aspettarlo più o meno pazientemente un felino che ostentava calma, sebbene la sua nera coda stesse sbattendo sul piano ligneo troppo velocemente.
 
- Hai del fegato a distrarti mentre io sto parlando. –
 
Il ragazzo si pietrificò sul posto, abbassando lo sguardo con il viso in fiamme.
Fenice gli si avvicinò. – Consiglio spassionato: mai, e dico: mai farsi trovare disattenti da lui. –
- Sì, l’avevo capito. – gli ringhiò di rimando, scocciato. Cos’era, un istituto o una caserma?!
 
- Stavo dicendo… - riprese Shingo – Questi sono i vostri insegnanti. Però, c’è un’altra persona che voi tutti conoscete che sarà importante, per non dire vitale, durante i vostri giorni al GEA. Per molte persone, è stata la prima figura legata a questo mondo che hanno incontrato. –
 
Davanti agli occhi di Erech, la folla seduta per terra si mosse e fece spazio, lasciando un passaggio fino alla cattedra.
 
- Non è solo la nostra guaritrice. È anche la persona insieme alla quale scoprirete di che tipologia sono i vostri poteri. –
 
Alcune ciocche di capelli azzurri gli svolazzarono davanti al naso, mentre una figura sinuosa percorreva il sentiero che l’avrebbe portata di fianco al felino che, con evidente orgoglio, la annunciava.
 
- Colei che ha donato una nuova casa ed una nuova famiglia a ciascuno di voi delinquenti. Ringraziate di averla incontrata sul vostro cammino! –
 
Alissa si girò, regalando un sorriso a tutti i presenti.
 
- Eccomi qua! Come al solito, Shingo, sei troppo severo con loro e troppo poco con me. – si rivolse a Erech. – Come Shingo ha appena detto, insieme a me i nuovi arrivati scoprono di che natura sono i loro poteri. Esistono tre classi di suddivisione: Eterei, Mutaforma e Next. Gli Eterei sono coloro che hanno il potere di influenzare l’ambiente esterno, gli elementi e la natura in generale. Io, assieme a tutti i vostri insegnanti, rientriamo in questa categoria.
Dopo, ci sono i Mutaforma. Costoro sono in grado di mutare la loro forma corporea e trasformarsi in animali. Come certamente saprete, il vostro qui presente docente di teoria di base è egli stesso un Mutaforma. –
 
Shingo dedicò a Erech uno degli sguardi più sprezzanti che il ragazzo avesse mai visto, sillabandogli “Mutaforma” . Imbronciato, Erech si girò verso e gli fece il verso, scimmiottando l’atteggiamento del felino.
 
- Ehi, lo sai che se ti vede sei finito? –
Erech alzò lo sguardo verso Fenice. - Ma cosa pretende?! Io sono nuovo di qui, queste cose non potevo saperle… è ovvio! Forse è proprio lui che ha “una ristretta capacità celebrale”. -
Il rosso soffocò una risata tra i denti, incassando la testa tra le spalle.
- Beh… è un tipo molto orgoglioso. Molti lo sottovalutano vedendo la sua forma mutata, ma non sanno che ha parecchi assi nella manica… primo tra tutti, il suo polso d’acciaio! – condivisero una risata, non curandosi delle occhiatacce di Shingo.
Un paio di ragazzini seduti per terra davanti a loro che avranno avuto al massimo dodici anni li guardavano ammirati.
- Siete coraggiosi per ignorare il professore a quel modo! – disse uno.
- Già! – rincarò l’altro – Soprattutto tu, che sei uno nuovo! – fece all’indirizzo di Erech – Ma si può sapere chi sei? –
Il moro ricambiò lo sguardo sorpreso. Non si aspettava tanta ammirazione: in fondo aveva solo messo in chiaro che quel gatto non gli andava a genio. Sorrise al suo interlocutore. – Io? Ah, mi chiamo… -
Un braccio intorno alle spalle per poco non lo soffocò, strozzandolo.
 
- Ah! Guarda, sta finendo la sua spiegazione. Ti conviene stare attento e ascoltare! – gli sussurrò animatamente Fenice, per poi fissare insistentemente lo sguardo su Mizu.
A quella reazione i due ragazzini sembrarono ridestarsi e si affrettarono a girare di nuovo la testa verso il fondo dell’aula.
Erech guardò Fenice, spaesato; poi decise di fare come gli era stato detto e riportò lo sguardo sulla ragazza dai capelli turchini.
 
- Come ultima categoria abbiamo i Next. Sono persone che hanno parti del corpo o funzioni vitali super sviluppate. Sono abbastanza diffusi, perciò molti ipotizzano che siano l’anello che congiunge esseri umani normali e noi maghi. Ci sarebbe un’altra categoria, ma sono talmente rari… - Mizu lasciò la frase in sospeso, captando lo sguardo di Fenice. - … Fa niente, ne parleremo un’altra volta. Ragazzi, vi lascio alle vostre rispettive lezioni. Buona giornata!  -
 
 
                                                                                                            + + + + +
 
 
 
- Dove stiamo andando? – chiese Erech.
 
Appena Mizu aveva finito di parlare, lei e Fenice lo avevano portato fuori dall’aula insieme a loro. Ora stavano attraversando di nuovo il giardino. Una volta arrivati al centro del giardino interno, di fianco all’imponente albero, la coppia si girò.
 
- In effetti, a causa della confusione di prima ci siamo dimenticati di una cosa molto importante… in questo istituto non userai il tuo nome. Te ne verrà assegnato uno nuovo, che utilizzerai durante tutto il periodo in cui soggiornerai qui. Anche se al GEA siamo quasi come una famiglia, non sai mai cosa potrebbe riservarti il futuro una volta usciti da qui. Per questo motivo, per tutelare e tenere segrete le sue origini, ogni studente viene ribattezzato. –
 
Erech rimase di sasso. Adesso capiva i precedenti comportamenti di Fenice e la strana reazione di Ambra quando lui si era presentato.
 
 - … Allora è per questo motivo che tu – chiese, puntando lo sguardo su Mizu – hai cambiato nome? Non era perché eri in una situazione pericolosa? –
- No, quello che ti ho detto era vero. Dopotutto, che motivo avrei di preoccuparmi riguardo possibili minacce nel mondo esterno se io non esco mai dal GEA? –
- Non esci mai? – ripeté sconvolto – Come puoi non uscire mai? –
- Beh, i mei ragazzi mi danno molto da fare. – disse, lanciando uno sguardo dolce verso l’aula dove Shingo, si poteva udirlo grazie alle finestre spalancate, stava animatamente spiegando ai suoi alunni. – E poi… - continuò, prendendosi una ciocca tra le dita – Non credo che una ragazza con i capelli azzurri passi così inosservata sai. –
 
Erech stette un attimo in silenzio. Strinse i pugni, fissandosi i piedi.
Comprendeva le motivazioni dietro a quelle decisioni, ma…
 
- Però… - mormorò. – Pero… ! – alzò il capo – Il mio nome è l’unica cosa che ricordo del mio passato! Non so niente di me! Non so chi sono! L’unica cosa che mi ricordo con sicurezza sono queste cinque lettere. Se me lo portate via… Magari, a forza di essere chiamato con un altro nome, scorderò il mio! –
 
Una risata cristallina si librò nell’aria.
 
- Ehi! È quello che ripeto sempre anche io a  Fenice! – rise Mizu mentre si asciugava un occhio.
– Non temere. Grazie alla tua impulsività, sia io che Ambra siamo a conoscenza del tuo vero nome; senza contare questa qui. – disse Fenice, battendogli sulla schiena e indicando Mizu con il pollice – Ora che ha trovato qualcuno nella sua stessa condizione non lo mollerà più. Inoltre… - la sua espressione diventa improvvisamente seria – Se non ti tuteli, perderai qualcosa di ben più prezioso di un nome. –
 
Erech lo fissò negli occhi a lungo.
Il rosso lo guardò di rimando senza problemi, sostenendo il suo sguardo.
 
- Va bene. –
 
 
Mizu fece un piccolo applauso, l’altro gli diede una pacca su una spalla.
 
- E adesso – fece la turchina, girandosi verso il tronco dell’albero – Vediamo di… -
 
Un improvviso boato fece tremare il terreno  facendo interrompere a metà la frase alla ragazza, che con occhi sbarrati cercò lo sguardo di Fenice. Il rosso ringhiò, avvicinandosi a lei.
Fulmineamente i due presero i ciondoli delle loro collane, che Erech si accorse in quel momento essere uguali, e se li portarono alle labbra. Con sua grande sorpresa, i piccoli cerchietti dorati si illuminarono flebilmente e da essi scaturirono delle voci.
 
- Sono loro. –  
 
- Tch, proprio adesso.– Fenice si voltò verso Mizu – Tu torna in infermeria. Erech – l’interpellato alzò la testa al suono del proprio nome – Veloce, vai dalla palla di pelo e digli di mettere in sicurezza gli studenti. – si voltò, cominciando a correre e sparendo velocemente alla vista.
 
Erech si voltò verso Mizu – Che succede? Chi sono “loro”? –
Lei gli rispose con un sorriso forzato guardando il terreno. – Sebbene noi maghi siamo una minoranza, è numericamente impossibile che gli studenti dentro al GEA siano tutti i maghi di questo paese, non ci avevi pensato? –
Erech scosse la testa.
La ragazza lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, improvvisamente svuotata della sua allegria.
 
- A volte capita… che ci sia un mago che non riusciamo a prendere in tempo. –
 
I boati tornarono a farsi sentire.
 
- E se non lo prendiamo noi… -
 
Le vibrazioni dell’aria fecero tremare le ossa a Erech come un oscuro presagio.
 
- … Lo fa qualcun altro. –
 
 Alissa sollevò verso di lui i grandi occhi blu, in quel momento velati da amarezza mentre uno strano vento, certamente non il soffio forte e gentile che lo aveva aiutato a sfuggire allo Zwire e sicuramente non la brezza che la avvolgeva mentre cantava, le entrava nei vestiti e le scompigliava i capelli. Il cielo si fece improvvisamente cupo.
 
- Non siamo soli. –
 
 

 
Angolino dei Funghi
Finalmente! Eccomi qui con il nuovo capitolo!
Mamma mia, è stato un vero e proprio parto… avevo detto che avrei aggiornato ogni due settimane, ma da quando è finita la scuola sono successe molte cose… alcune non proprio felici… spero possiate capirmi.
Spero di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo, secondo i miei standard, lunghissimo! È un capitolo decisamente importante. Vengono introdotti gli altri personaggi primari e viene spiegato meglio cosa effettivamente si fa al GEA.
Ho trovato sul web un character maker che mi ha dato la possibilità di “creare” il viso delle nostre protagoniste femminili (non maschili, ahimè… se mi consigliate un buon character maker maschile sarò supercontenta! ç_ç ).
Grazie a questo, ecco a voi Alissa, alias Mizu! (spero si veda bene)

 

 
Come al solito ringrazio chi ha lasciato commenti e chi li lascerà: lo sapete che sono il mio pane!
Detto questo… arrivederci al prossimo capitolo!
Baci
animelover

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto: Sotto attacco ***


Capitolo Quarto: Sotto attacco
 

 
 



Alissa sollevò verso di lui i grandi occhi blu in quel momento velati da amarezza mentre uno strano vento le entrava nei vestiti e le scompigliava i capelli. Il cielo si fece improvvisamente cupo.
 
- Non siamo soli. –

 
 
 





 
Erech percepì l’impotenza di quelle parole come uno schiaffo in pieno viso.
Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, a corto di parole.
 

- In che senso… non siamo soli? –
 

Mizu distolse lo sguardo stringendosi nel camice e mordendosi un labbro. Erech notò con dispiacere uno strano luccichio nei suoi occhi  mentre fissava con rabbia il terreno davanti a sé. Sembrava… odio.
Improvvisamente gli si affacciò alla mente una nuova sfaccettatura del carattere della ragazza che tanto lo affascinava. Sebbene l’avesse incontrata da poco, gli sembrava di avere un legame speciale con lei; di conoscerla, in qualche maniera. E fino a quel momento l’immagine che aveva di lei era quella che, molto probabilmente, aveva la maggior parte degli studenti del GEA: una Madre protettiva, su cui fare affidamento, solare e positiva. Quell’ombra nei suoi occhi stonava sul suo viso.
Osservò il suo sguardo tormentato. Le parole di Fenice gli tornarono in mente e si chiese quanto esattamente non sapesse a riguardo di quella ragazza verso cui si sentiva irrimediabilmente attratto.
Un’incredibile sete di sapere prese possesso dei suoi desideri ma prima che potesse fare alcuna domanda Mizu alzò la testa con uno sguardo risoluto.
 

- Ora non c’è tempo per le domande. Ti spiegherò tutto dopo, ora siamo sotto attacco. –
- S-sotto attacco? – balbettò intimorito.
- Hai capito bene! Veloce, fa come ha detto Fenice e vai ad avvertire Shingo! – gli urlò dietro mentre si dirigeva verso l’infermeria.
 

Erech saltellò sul posto per un paio di secondi, intontito da quel brusco cambio di situazione; per poi ridestarsi e girare i tacchi, correndo nella direzione dalla quale era venuto.
Spalancò senza tante cerimonie la porta dell’aula da dove poco  prima era uscito, interrompendo Shingo nel bel mezzo di una spiegazione.
L’intera classe si girò verso di lui ed Erech arrossì un pochino, ancora non abituato ad essere al centro dell’attenzione di così tante persone.
 - Si può sapere quale ragione divina o terrena ti ha infuso abbastanza coraggio in quelle braccine ossute che ti ritrovi da disturbare la mia lezione? – soffiò Shingo, incenerendolo con lo sguardo.
Erech decise che ne aveva abbastanza. Tirò il fiato per un secondo per poi ergersi in tutta la sua altezza a braccia incrociate, indirizzando al felino la migliore faccia irritata che avesse nel suo repertorio. – Oh, non saprei. Forse il fatto che ci stanno attaccando? – rispose tagliente.
La folla si animò a quelle parole. Dorlas, Ambra e Losille scattarono in piedi, subito imitati da alcuni altri ragazzi.
 
L’espressione di Shingo mutò in un ghigno a metà tra il divertito e l’incazzato. – Allora ce le hai le palle! –
Si alzò sulle quattro zampe e fu come se ogni cosa in lui gridasse “sull’attenti!”: le orecchie, la coda, persino i baffi. Puntò gli occhi, subito tornati seri, sulla folla. – Ai dormitori, muoversi! – disse, sovrastando il chiasso che tutte quelle persone stavano facendo.
Mentre la folla si avviava disordinatamente su per le due rampe di scale di fianco alla lavagna Erech si fece largo verso Shingo, imitato da Dorlas e dalle due ragazze.
 

Le vibrisse del gatto fremettero impazienti quando arrivò a portata di voce. - Dov’è Mizu? –
- In infermeria! Fenice, lui… -
- Vado da lei.  – lo interruppe Shingo, preparandosi a saltare. 
- Aspetta! E Fenice?! È corso da solo verso chi ci sta attaccando! – lo fermò Erech.
Il felino si arrestò, scrutandolo. – Sai, forse non sei così male come credevo. – sentenziò. – Ma sei arrivato qui solo oggi, novellino. Non sai niente del GEA e dei suoi abitanti, né sai cosa sono in grado di fare! Ti consiglio di non sottovalutare il fiammifero. –
- Shingo ha ragione, novellino! – esclamò Ambra da sotto il braccio di Dorlas.
- Certo che ho ragione, testa vuota! – rimbeccò altezzoso il felino. – E ora porta quel culo pesante che ti ritrovi fuori dalla barriera. –
Erech si voltò verso i tre ragazzi, sorpreso. Dorlas gli sorrise.

- Non ti preoccupare, andiamo noi ad aiutarlo. –
- Come sempre, d’altronde. Ma tu non potevi certo saperlo, tesorino. – aggiunse Losille agitando con grazia il ventaglio.
Erech represse un brivido sentendo quel nomignolo.
- Vedi? Te l’ho detto che sei un pivellino. – miagolò soddisfatto Shingo.
- Smettila di fare il saccente, micetto. – grugnì  Erech. A quella rimbeccata il felino spalancò le palpebre. Dorlas schiuse leggermente la bocca, sorpreso. Losille ridacchiava sotto al ventaglio, Ambra stranamente restò in silenzio.
Shingo squadrò il moro dritto negli occhi. - Oooh… a quanto pare c’è qualcuno con un po’ di fegato in questa scuola… - mormorò, interessato. Fletté le zampe e spiccò un balzo verso la massa di persone. – Assicurati che tutti raggiungano il proprio dormitorio! – gli gridò mentre scompariva verso l’uscita.
 
Una mano gli venne schiaffata in mezzo alle scapole con violenza, facendogli quasi sputare una tonsilla.
- Però, novellino! Niente male, davvero niente male!  - gli urlò entusiasta Ambra nell’orecchio. – Non è da tutti riuscire a tenere testa a Shingo! E per di più di ha dato un incarico senza nessun insulto di contorno! –
- Gli hai fatto una buona impressione. Ti ha appena dato una chance per guadagnarti il suo rispetto. – gli spiegò con tono calmo Dorlas, con il suo solito sorriso tranquillo sulle labbra. Losille lo fissava con occhi magnetici ed Erech avrebbe potuto giurare di vedere un sorrisino fare capolino da dietro il ventaglio.
Un’altra esplosione tuonò nell’aria, anche se stavolta il rumore sembrava diverso.
- Ah, Fenice si sta tenendo il divertimento tutto per sé! – si lamentò Ambra – Sbrighiamoci ad andare! –
- Ambra guarda che non è un gioco… - tentò di spiegarle Dorlas ma la bionda non lo sentì nemmeno per sbaglio, troppo presa a tirargli la manica verso l’uscita.
Erech incrociò gli occhi del ragazzo che in risposta sospirò con rassegnazione e alzò le spalle con un nuovo sorriso sulle labbra, lasciandosi tirare all’interno del pigia pigia. Erech ebbe il sospetto che con lei si fosse arreso da molto tempo.
Si voltò per cercare Losille, ma era sparita.
Non sapendo bene cosa fare per adempiere al compito che gli era stato affidato e sentendosi addosso una grande responsabilità, restò di fianco alla cattedra, sperando che tutto andasse per il verso giusto.
 
 
 
                                                                                                                                                                                                + + + + +
 
 
Fenice guardò sia a destra che a sinistra ansimando leggermente. Venti nemici lo circondavano.
Se fossero stati dei principianti li avrebbe già stesi da un pezzo, ma purtroppo per lui erano abbastanza in gamba. Erano troppi.
Masticò un insulto tra i denti quando, mentre due di loro richiamarono i loro Zwire, altri tre lo attaccarono da direzioni differenti. Si lasciò cadere velocemente su di una spalla e aiutandosi con le braccia ruotò le gambe, lasciando che dalle estremità dei suoi piedi si sprigionassero lacci di fuoco che andarono a frustare i nemici, respingendoli. Con un ultimo slancio di bicipiti e un sinuoso inarcarsi di schiena ritornò con i piedi saldi per terra, puntuale al nanosecondo per respingere con un pugno infuocato uno dei due Zwire.

Non fece in tempo però ad evitare il secondo, molto più grosso e pesante del primo, che letteralmente si gettò a peso morto su di lui, atterrandolo e ringhiandogli ad un centimetro dalla faccia prima di aprire la bocca e mostrare la collezione di denti che stava per piantargli nel collo.
Il rosso ghignò di rimando. – Pessima scelta, Yoghi. – Si aggrappò al ventre dell’animale evitando le sue fauci per poi darsi fuoco, lasciando che le fiamme prendessero il sopravvento sulla materia del suo corpo. Come una torcia umana, fece crescere esponenzialmente la temperatura delle sue fiamme che diventò insopportabile persino per gli altri maghi che lo avevano circondato e che furono costretti ad indietreggiare.
Incapace di reggere oltre il devastante fuoco distruttivo, lo Zwire si scompose e, di riflesso, il suo contraente svenne.
Diciannove.

Scartò di lato, evitando un pugno da uno dei nemici e mettendosi davanti alla barriera.
Poteva ritenersi quasi fortunato, i suoi avversari erano quasi tutti Next e per questo potevano combattere solo scontri fisici e ravvicinati. Il suo potere invece era abbastanza versatile e poteva usarlo anche in combattimenti e lungo raggio. A quanto aveva visto, i due utilizzatori di Zwire non possedevano abbastanza potere magico da usare le loro abilità contemporaneamente al loro famiglio, per questo stavano nelle retrovie.
Probabilmente erano saliti di grado da poco, ecco perché non riuscivano a sopportare nemmeno il Termine di uno Zwire e svenivano. Poteva anche darsi che quella fosse la loro prima vera missione. Beh, meglio per lui.
Con questa constatazione in mente, creò un disco di fuoco nella sua mano, pronto a scagliarlo contro l’altro Zwire e mettendo così fuori gioco un altro nemico; ma proprio mentre il colpo partiva sentì una presenza alle sue spalle che lo costrinse a girarsi.

Il tempo si gelò per un momento. Dietro di lui si stagliava una bestia nera come il carbone e più grande di un orso, dai lineamenti terribilmente simili ad una specie di tasso, i cui artigli erano senza ombra di dubbio diretti alla sua schiena.

“Quando…?! “ fece in tempo a pensare “Ho visto chiaramente che solamente due di loro avevano evocato uno Zwire! Come cazzo fa questa bestia ad essere qui?!”
Il cervello di Fenice lavorò alacremente in quei brevissimi istanti che precedevano allo scontro.
“Un mutaforma!”

Il colpo di Fenice esplose preciso in mezzo alla fronte del secondo Zwire, causando il suo sgretolamento e lo svenimento del mago che lo comandava. Fenice cercò di avvitarsi su se stesso per cercare di evitare l’attacco dell’animale ma non era abbastanza veloce.

- Dannazione! -

Proprio quando si era rassegnato ad una cicatrice e ad una lavata di capo da parte della dolcissima dottoressa, la terra sotto ai suoi piedi schizzò verso l’alto, spingendolo in aria fuori dalla portata degli artigli del tasso che si abbatterono a vuoto e con ferocia sul pilastro di terra.
Dopo un momento di smarrimento, Fenice riuscì a ritrovare l’assetto e a cadere in piedi sulla colonna che lo aveva tratto in salvo con il cuore che gli pompava a mille.
 
- Com’è questa cosa che ti chiami Fenice ma non voli? –  una voce famigliare raggiunse le orecchie del rosso, causando uno spontaneo sorriso sulle sue labbra.
- È ironia quella che sento, Dorlas? – ghignò, guardando dall’alto della sua postazione il compagno, che stava in quel momento raggiungendolo. – Insolito da parte tua! –
- Sto cercando di diventare un cattivo ragazzo. – gli sorrise Dorlas atterrando di fianco a lui.
- Per carità, che a Shingo lo acchiappa l’infarto! – risero
- Ci si diverte quassù? – un fulmine piombò allegramente nell’esiguo spazio rimasto sul pilastro di terra, per poi riunirsi nelle fattezze di Ambra. Ambra che venne accolta con un deciso pugno in testa da parte di Fenice.
- Scimunita! -  le urlò mentre la diretta interessata si massaggiava la parte offesa e si precipitava dal ragazzo moro. – E tu, non difenderla sempre! –
Il sorriso di scuse di Dorlas si tramutò in una smorfia spaventata quando un rampicante gigante si avviluppò intorno alla colonna, portando su una delle sue immense foglie Losille, comodamente seduta con le gambe accavallate.
La ragazza dagli occhi verdi chiuse di scatto il ventaglio, lanciando un’occhiata derisoria agli opponenti in basso che avevano cominciato a scalare il pilastro. – Che dite, andiamo a fare pulizia? –
Dorlas si strinse addosso Ambra, che dal canto suo non vedeva l’ora di buttarsi nella mischia, Fenice ghignò.
 
- Ci puoi scommettere! –
 

                                                                                                                                                                                              + + + + +


 
 
Erano passati un paio di minuti da quando tutti erano saliti ai dormitori ed Erech decise che era il momento ideale per darsi da fare.
Guardò attentamente le due rampe di scale. Aveva notato che in quella di sinistra salivano solo le ragazze, mentre in quella di destra i ragazzi. Molto probabilmente i dormitori erano divisi in base al sesso.
Decise di togliersi subito il dente più fastidioso imboccando la rampa di sinistra.
Sbucò in un atrio dal quale si dipartivano vari corridoi e stanze.

Ragazze adolescenti e non si aggiravano agitate per tutto il piano, affacciandosi alle finestre e strepitando a più non posso. Correvano da una parte all’altra del piano gridandosi l’un l’altra parole incomprensibili a causa del chiasso, alcune si cambiavano i vestiti mentre si spostavano costringendo Erech a distogliere lo sguardo un paio di volte a causa dell’imbarazzo. Vide persino una di loro che mentre correva si mutava in un lupo proprio davanti a lui.
Molte non lo calcolarono nemmeno, alcune lo squadrarono con la coda dell’occhio prima di sorpassarlo e imboccare uno dei tanti corridoi; fatto sta che non fu in grado di chiedere a nessuna com’era la situazione.
Sembrava un gigantesco alveare le cui api si stessero preparando ad unirsi contro il nemico.
Innervosito, cominciò a rincorrere ogni ragazza che gli capitasse a tiro, rivolgendo a ciascuna domande che puntualmente non ricevevano risposta. 
 
- Dannazione! Qualcuna mi potrebbe degnare di un’attenzione per un secondo?! – sbottò esasperato, tirando una manata al muro.
- Tu sei il ragazzo nuovo? – una vocina sottile gli arrivò con fatica all’orecchio sopra tutto quel fracasso. Erech si guardò intorno per scoprire, sopra ad un termosifone dietro di lui, un piccolo scoiattolo dal manto rossiccio che lo fissava. Si abbassò fino al suo livello mettendosi le mani sulle ginocchia. L’animaletto continuò a guardarlo senza il minimo segno di paura.
- Tu… sei una Mutaforma? – le chiese.
- Sì. Sei il ragazzo nuovo? –  ripeté lei.
- Ehm… sì. –
- Dov’è Shingo? Devo fargli rapporto. – disse lei, raddrizzando la coda.
- E’ andato da Mizu in infermeria. Mi ha detto di accertarmi che tutti raggiungessero i dormitori, ma a quanto pare nessuno ha intenzione di prendermi in considerazione! – esclamò indispettito.
- Non ti adirare.  Sei appena arrivato, avranno creduto che ti sia perso. Non abbiamo tempo da perdere in questi frangenti. – gli rispose telegrafica. – Io sono Ginger. A quanto pare dovrò riferire a te: tutte le studentesse hanno raggiunto il dormitorio; nessuna manca all’appello. –
- Grazie! Ora  vado a controllare i ragazzi! – le urlò mentre si dirigeva ad ampie falcate verso le scale.
- Già che ci sei restaci, in quel dormitorio! – gli intimò l’animaletto, prima di sparire nella folla di ragazze.
 
Senza nemmeno rispondere Erech corse giù, saltando più scalini che poteva. Sentiva un’improvvisa sensazione di disagio che gli artigliava lo stomaco, spronandolo ad accelerare.
Sbucò di nuovo  fuori nell’aula e a causa della velocità che aveva acquistato quasi non riuscì a girarsi, raggiungendo la scalinata per il dormitorio dei ragazzi praticamente scivolando sul parquet di legno lucido.
Il dormitorio maschile era più o meno uguale a quello delle ragazze tranne per il fatto che c’era molto più disordine e che i ragazzi correvano da una parte all’altra direttamente in mutande. Il chiasso di sicuro era lo stesso, anche se le voci che lo componevano erano molto meno acute del dormitorio opposto.
Memore della precedente esperienza, si guardò attorno fermando un ragazzo a caso. Il suddetto lo squadrò frettolosamente. – Ah, sei quello nuovo. Che vuoi? Adesso non è il momento di chiedere qual è la tua stanza! – lo avvisò
- Sto cercando qualcuno che mi faccia rapporto! Shingo mi ha incaricato al posto suo! – urlò Erech al di sopra di quel fracasso. L’altro lo guardò sorpreso. – Ho già parlato con Ginger nel dormitorio femminile! – aggiunse ancora, tentando di convincerlo. La morsa alla bocca dello stomaco si era fatta più forte e questo lo metteva estremamente a disagio. Sentiva di doversi sbrigare.
- Se è così, devi parlare con Nush. Anche se è più probabile che ti troverà lui per primo. –
- Nush? – ripeté Erech
- Chi mi cerca? – l’improvvisa voce proveniente dal muro dietro di lui gli fece quasi venire un colpo. Come in un déjà-vu , Erech si girò e vide, svettante sopra un ripiano in legno, un altro scoiattolo, questa volta grigio cenere e con dei lunghi ciuffi di pelo sulla punta delle orecchie. Erech lo scrutò basito mentre il ragazzo che aveva precedentemente fermato si dileguava in gran fretta.
- Ma… tu… eh? – balbettò confuso, indicandolo e spostando lo sguardo da lui alle scale. Il suo peloso interlocutore assottigliò gli occhi. – Problemi? –
Erech lo fissò un momento, prima di chiedergli: - Conosci Ginger per caso? –
La morbida coda dell’animale ebbe un guizzo. – E’ mia sorella. Perché mi cercavi? –
Erech si schiarì la voce. - Ehm… Dovrei ricevere un rapporto… Sono stato incaricato da Shingo di assicurarmi che tutti raggiugessero i propri dormitori. –
- Sfortunatamente manca all’appello un ragazzo. –
Alzò di scatto la testa. – Come manca un ragazzo?! – A quella notizia la morsa gli aveva stretto ancora di più lo stomaco e cominciò a sentire una punta d’ansia.
- Si chiama Jun. A quanto pare non è tornato ai dormitori. Attualmente la sua posizione è sconosciuta. – Gli riferì telegrafico.  “A quanto pare è un’abitudine di famiglia…”
 

- Assicurati che tutti raggiungano il proprio dormitorio! -

 
Digrignò i denti. - Maledizione! – girò le spalle e corse via verso le scale.

- Dove credi di andare? – Erech girò la testa e vide Nush che lo inseguiva saltando su ogni superficie disponibile.
- A prendere quell’imbecille! – gli gridò lui in risposta. – Per favore tu resta qui e assicurati che nessun altro esca! –
Uno squittio indispettito gli arrivò distintamente alle orecchie. – Non darmi ordini! E poi sei un novellino, non sai nemmeno che poteri hai! Cosa pensi di fare?! –

Erech rifletté meno di un secondo sulla risposta da dare.  – NON LO SO! – gridò esasperato tuffandosi nella rampa in discesa.

Lo scoiattolo grigio restò a guardarlo saltare gli scalini appollaiato sul corrimano delle scale con un’espressione di disappunto sul muso.
 
- Questo a Shingo non piacerà per niente. -
 
 
 
 
 
Angolino dei Funghi
Ciao a tutti! Scusatemi per il terribile ritardo, ma che ci crediate o no questo capitolo era pronto già da un pezzo! Ho esitato a caricarlo perché mi sembrava un pochino corto e stavo cercando di capire come aggiungere roba senza togliere nulla al prossimo capitolo e... alla fine è passato un mese! Sconcertante, nevvero?
Parlando d'altro, quella in questo capitolo è ufficialmente la mia prima scena d'azione mai scritta! Come vi è sembrata? Aspetto vostri pareri. Per inciso, la mossa che esegue Fenice sprigionando fuoco dai piedi è ispirata alla break dance mista alla capoeira.
Questo si può considerare un capitolo di transizione, ma già in questo sono stati apportati dei cambiamenti rispetto alla struttura degli altri: come avrete notato, ora le scene non sono raccontate più solo dal punto di vista di Erech ma anche degli altri personaggi. Inizialmente avrei preferito farlo solo dal suo, ma per evidenti problemi di trama e narrazione non posso fare a meno di passare il testimone agli altri ragazzi. Sinceramente, credo che abbia alleggerito la lettura, non so voi! Fatemelo sapere!
Dal prossimo cominciano le mazzate e la parte più succulenta: tutti voi fremete dalla voglia di scoprire chi sia Erech e che poteri abbia presumo!
 
 
Termine: credo sia abbastanza intuitivo ma il “Termine” a cui si fa riferimento durante la battaglia di Fenice non è altro che la sconfitta di uno Zwire e il suo dissolversi. Agli evocatori di Zwire, quanto avviene il Termine del loro famiglio, si proietta di riflesso una data quantità di danni. Quelli alle prime armi o i novizi spesso non sono in grado di incassare il colpo e perciò rimangono fuori gioco per un po’. Gli esperti invece gestiscono la grande quantità di energia e concentrazione richiesta per evocare e controllare uno Zwire riuscendo allo stesso tempo a combattere con i loro poteri.

Zwire: mi sembra doveroso puntualizzare che gli Zwire possono essere evocati da qualunque mago di qualsiasi categoria e che la loro forma non è assolutamente uniforme, così come la loro materia.

Ginger e Nush: può accadere che se una coppia ha più di un figlio e entrambi i figli posseggono dei poteri (caso già di per sé raro), i sopraccitati figli appartengano alla stessa categoria. Ecco spiegata la loro incredibile somiglianza nella loro forma mutata. Vi pregherei di tenere sempre a mente questi simpaticissimi ed estroversi personaggi, riappariranno più avanti (piccolo spoiler ma suvvia).

Dormitori: come si è visto sono differenziati per il sesso ma l’accesso non è vietato a nessuno. Esiste però un coprifuoco entro il quale chiunque deve trovarsi fuori dal dormitorio che non gli appartiene. Ginger e Nush, agenti sottoposti di Shingo e guardiani dei dormitori, controllano che il coprifuoco sia rispettato. Qualsiasi atto di “insubordinazione” o di disturbo alla quiete pubblica viene immediatamente riportato a Shingo. I dormitori possono essere raggiunti solo tramite le scale poste ai fianchi della lavagna nell’aula principale (o dalle finestre se proprio volete fare delle entrate in scena fighe) e occupano le ali del GEA rispettivamente destra per le femmine e sinistra per i maschi.

 
Non preoccupatevi, se tutte queste indicazioni vi confondono questa notizia vi tirerà su: appena avrò finito di combattere con Paint (o se il cielo mi invia qualcuno che sappia disegnare) posterò delle piantine del GEA, così che capiate dove si svolgono i vari eventi e vi possiate ambientare di più.
Oggi invece voglio mostrarvi Ambra, creata con lo stesso character maker di Alissa. Eccola qui!

 
 
Bene, questo è tutto quello che avevo da dirvi. Spero che vi piaccia l’aggiunta delle note a piè pagina, non ero sicura se metterle o no ma alla fine credo che una spiegazione o una curiosità in più rendano più interessante la storia.
 
Come al solito ringrazio chi ha messo la storia tra i preferiti, le seguite o le ricordate, ringrazio chi legge solamente e chi ha lasciato commenti e chi li lascerà: lo sapete che sono il mio pane!
Detto questo… arrivederci al prossimo capitolo!
Baci
animelover

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto: Incontri rocamboleschi ***


Capitolo Quinto: Incontri rocamboleschi
 
 
 
 
Erech si catapultò fuori dalla classe con il fantasma del rimorso che gli aleggiava nei pensieri come una cupa cappa di nebbia. Stava facendo la cosa giusta? Non lo sapeva. Sperava solo di non fare qualche stupidaggine e di arrivare in tempo, qualsiasi cosa stesse succedendo.
Voleva riscattarsi agli occhi di Shingo e dimostrare che quella stilla di fiducia che gli aveva dimostrato poteva essere ben meritata. D’altra parte però sentiva davvero che c’era qualcosa che non andava.
Arrivò nei pressi del grande albero nel giardino e lì si fermò interdetto.
Dopo essere scappato fuori a quel modo, dopo aver declamato a gran voce i suoi eroici intenti e dopo aver  fatto arrabbiare qualcuno che probabilmente non doveva essere fatto arrabbiare; solo in quel momento si accorse che effettivamente non aveva la più pallida idea di dove andare e di chi cercare. Non sapeva nemmeno che faccia avesse quel “Jun”.
Dopo un momento di smarrimento si ridestò sentendo due esplosioni violente deflagrare in lontananza. Per un momento dimentico della ricerca del ragazzino disperso, il suo primo istinto fu quello di correre verso la battaglia. Si fermò, dandosi mentalmente dello stupido. Sarebbe stato solo una palla al piede e, cosa più importante, doveva cercare quel tipo.
Si guardò per un po' di tempo i piedi; poi, colto da un'illuminazione divina, corse verso la foresta che circondava il perimetro dell'istituto.
 
 
                                                                                                                                                                                                          + + + + +
   
 

- Alissa! -
 
Shingo atterrò sul pavimento dell'infermeria del GEA con uno stridio di artigli, lasciando le porte d'entrata a sbattere con incuranza, sprazzi di luce dell'esterno che gli illuminavano a tratti il collare facendolo rifulgere come un diamante. Si guardò freneticamente intorno.
Le orecchie feline captarono un rumore, scattando veloci nell'aria. Sollevò la testa verso la fonte. Irruppe nella stanza di fianco e lo sguardo gli venne catturato dalla stoffa bianca del camice della ragazza che danzava scompostamente nell'aria prima di afflosciarsi sullo schienale di una sedia. Un rringhio esasperato gli salì spontaneo alla gola.

Un flebile tintinnio scosse la quiete della stanza. - Gli studenti? – 
- Stanno tutti evacuando. Ho mandato il pivellino ad accertarsene, così siamo sicuri che se ne starà buono buono nei dormitori. Ha lo stesso sguardo di quell’indisciplinato pel di carota e la cosa non mi piace per nulla. –
Alissa ridacchiò. – Che cattivo. -
- Dove pensi di andare? - soffiò Shingo saltando sopra la scrivania.
- Dalle Colonne.  –
Shingo sbuffò irritato, sedendosi.  – Certo. A chi credi di darla a bere? –
Mizu finì di sistemarsi sulle braccia le fasce che aveva appena tirato fuori da un cofanetto, per poi richiudere quest’ultimo con un gesto violento. – Ci sto andando davvero. –
- In tenuta da battaglia? – chiese scettico il gatto
- Senti – Mizu si girò verso di lui con un’espressione di rabbia sofferente in viso – seguirò il piano, ok? Vado davvero dalle Colonne. Non interverrò. Puoi venire con me se vuoi, così te ne accerterai tu stesso. –
Shingo roteò gli occhi, annoiato - Come se non lo facessi tutte le volte. –
- Però – quasi non gli lasciò finire la frase – se dovessi vedere che non qualcosa non va, allora non mi tratterrò. – il felino la fissò senza parlare, impassibile. Lei indietreggiò, abbassando lo sguardo.
- Se dovessimo perdere qualcun altro, non sarei la sola a soffrirne, lo sai. –
 
- In effetti hai ragione. –Shingo  si alzò sulle quattro zampe, stiracchiandosi leggermente la schiena. – A quella giardiniera psicolabile manca poco per danzare allegramente sul filo della pazzia. Preferirei ardentemente non dover assistere ad uno spettacolo simile. – miagolò, osservandosi un artiglio.
Mizu gli lanciò un’occhiata velenosa.  – Delicato come sempre vedo. –
- Delicato come lei quando fa crescere le sue dannate piante nella mia aula, distruggendola! -
 
Le scappò uno sbuffo divertito. – Le dirò di fare più attenzione. – disse stendendo un braccio  verso di lui.
- Tsk! Dille piuttosto che l’istituto non è la sua serra personale! – rispose piccato il felino, saltandole sulla spalla. 
 
L’eco di una lieve risata riecheggiò flebilmente all’interno delle mura dell’infermeria mentre le porte si chiudevano, lasciando di nuovo la stanza nel buio.
 
 
                                                                                                                                                                                        + + + + +         
 
Più Erech avanzava e più le esplosioni si facevano vicine. E tutto ciò non gli piaceva per niente.
Tuttavia, si costrinse a proseguire un passo dopo l’altro, sentendosi come un soldato che si avvicina alla prima linea ascoltando il canto delle bombe dritto nelle orecchie.
Pregò davvero dentro di sé che la sua intuizione fosse giusta, perché se non lo fosse stata probabilmente stava andando dritto incontro ad un bruttissimo quarto d’ora.
 
Si trovò infine all’estremità del boschetto. Non ne uscì, limitandosi ad accucciarsi e scrutando davanti a sé, nascosto dal fogliame. A circa dieci passi da dove si trovava poteva vedere l’aria tremolare impercettibilmente, come se stesse guardando la fuoriuscita di qualche gas incolore dal terreno.
Intuì che quella era la barriera, la stessa che lo aveva salvato dall’attacco dello Zwire poche ore prima.
Cercò di studiarla, di capirci qualcosa per quanto possibile, assottigliando lo sguardo e scrutandola; infine ringhiò fuori uno sbuffo frustrato. Non sapeva niente di quel mondo, figurarsi se sapeva come funzionava una dannata barriera!  Sperò almeno che la comune definizione “cosa belle dentro, cose brutte fuori” fosse applicata anche in quel frangente.
 
Avanzò ancora un po’, sempre nascosto dal fogliame. Il fracasso si faceva sempre più vicino e stava iniziando anche a distinguere delle urla.
 
Improvvisamente, a pelo della barriera e quindi a pochi metri da lui, una gigantesca palla di fuoco si schiantò sul terreno, lambendo le pareti della barriera e risalendo con alcune vampate su di esse. L’onda d’urto che ne conseguì gli fece il contropelo – facendolo squittire come una femminuccia - e lo sbalzò di qualche metro. Sbatté violentemente contro il troco di un albero e davanti agli occhi gli esplose uno schermo di lucine bianche. Quando il dolore scemò, la vista continuò a ballargli un poco, sdoppiando e ricomponendo le figure con ritmo ballerino.
Capì subito di non riuscire a rimanere ben piantato sulle gambe e quindi barcollò qualche passo in avanti prima di lasciarsi cadere sulle ginocchia e finire a carponi dietro un cespuglio.
 A quanto pareva il cuore della battaglia si era spostato nella sua direzione. Rimase accucciato al riparo dietro la vegetazione mentre il fogliame veniva sbatacchiato qua e là a causa del vento e intense luci illuminavano intensamente il bosco.
 
D’un tratto gli arrivarono alle orecchie delle urla, seguite da un’acuta voce femminile che rideva con fare molto poco rassicurante.
Optando per una condotta prudente, facendo forza sui gomiti Erech strisciò sullo stomaco per infilarsi ancora di più dentro il cespuglio fino quasi ad arrivare dall’altra parte di esso con il viso. Scostò il fogliame che gli impediva la visuale e spiò attraverso il buco così creato.
 
Dall’altra parte della barriera, i quattro mentori del GEA combattevano contro delle figure nere che sembravano vestite di tenebra, sguscianti ed infide.
 Come aveva intuito, era stato Fenice a scagliare la palla di fuoco di poco prima: infatti, qualche secondo dopo che Erech aveva cominciato a guardare, ne creò una identica per lanciarla contro un nemico addossato alle pareti della barriera che, svelto come un ratto, la schivò. Erech sentì le guance sempre più ardenti man mano che il proiettile si avvicinava alle pareti.
In quel momento Dorlas, in piedi su quello che sembrava un gigantesco rampicante spinato, si frappose fra le vampe di fuoco e la barriera. Saltando giù atterrò con violenza sul terreno con i piedi, seguendo l’inerzia si accucciò sui piedi fino a rimanere in equilibrio sulle punte per poi – con immenso sforzo parve ad Erech – mettere un piede davanti per poi rialzarsi con i pugni chiusi lanciati verso l’alto. Come per rispondere al suo movimento, una buona parte del terreno si sollevò in aria, creando una voragine, intercettando la palla di fuoco. Con un pugno vicino all’orecchio e un palmo dal quale scaturivano le fiamme teso davanti a sé, Fenice aumentò l’intensità del getto di fuoco. Con una flemma che Erech non avrebbe mai creduto possibile, Dorlas continuò a far investire il blocco di terra dalle fiamme che oramai era diventato lava grezza.
Un nemico, approfittando di quella che credeva essere distrazione, attaccò il rosso con gli artigli deformi che gli spuntavano dalle nocche. Ed Erech venne in mente una figura in calzamaglia gialla e nera ma non seppe darle un nome. Sebbene si fosse scagliato contro di lui urlando e quindi dimostrando di non avere nemmeno quel briciolo di intelligenza necessario per ideare un attacco a sorpresa la figura incappucciata non fu degnata nemmeno di uno sguardo dal ragazzo che continuò serafico a sparare fiamme dalle mani.
Un fulmine cadde violentemente tra Fenice ed il nemico, prendendo la spinta sul terreno e lanciandosi poi sul nemico, infliggendogli una scarica di energia elettrica che non doveva essere per niente leggera, a giudicare da come l’incappucciato cadde a terra tra le convulsioni.
Erech non credeva in nessuna divinità in particolare, ma quando vide Ambra praticamente fusa con il fulmine che si rialzava da sopra il corpo del nemico sconfitto, con scariche elettriche che le percorrevano la pelle e le correvano tra i capelli, per poi accucciarsi come un predatore e saltare contro un nemico che aveva preso di mira Dorlas, facendo schioccare l’aria al suo passaggio, beh… rimase senza fiato come se avesse appena visto un’apparizione sacra. Balzava da un nemico all’altro come un felino, fulminandoli al solo contatto, avvolta da un’aura dorata che la faceva risplendere.
 
Perso a seguire Ambra con lo sguardo, Erech si accorse in ritardo che mancava una persona all’appello. Cercò di spingere ancora un poco il viso fuori dal cespuglio per cercare meglio ma mentre socchiudeva gli occhi per l’intenso calore causato da Fenice che lo faceva lacrimare sentì qualcosa che lo strattonava per la gamba, un urletto acuto e successivamente un tonfo , ritrovandosi un peso sopra le gambe.
Si mise immediatamente a gattoni, leggermente spaventato. Che un nemico fosse riuscito chissà come ad entrare? Il sangue gli defluì istantaneamente dalla faccia per la paura. Gli avevano detto che anche lui aveva dei poteri ma lui non aveva la benché minima idea di quali fossero e di come farli funzionare. Di fronte ad un nemico sicuramente molto più abile di lui sarebbe stato sicuramente spacciato. Strinse dell’erba tra le dita tremanti.
Chiunque gli fosse caduto addosso sembrava essersi ripreso dallo sbigottimento perché lo sentì muoversi, probabilmente cercando di rialzarsi. Fu un lampo: l’istinto prese il sopravvento sul cervello – che ci stava mettendo troppo tempo per prendere una decisione utile -  ed Erech si lanciò sulla figura in piedi dietro di lui lasciandosi cadere a peso morto su di essa, intrappolando il nuovo venuto con il proprio peso.
Sentì la persona sotto di lui lasciarsi sfuggire un lamento seguito da un’imprecazione colorita che ebbe su di Erech l’effetto di una scossa elettrica. A cavalcioni sul corpo di un probabile nemico armato e pericoloso, indifeso e praticamente alla sua mercé, si rese conto di quello che aveva fatto.
 
Che diavolo mi è venuto in mente?! Sono finito! Sono un uomo morto. Merda merda merda merda merda merda –
 
Da sotto di sé provenne uno verso di dolore misto a paura. Colto di sorpresa Erech alzò lo sguardo e il suo naso entrò in contatto con un altro suo simile, i suoi occhi trovarono la loro immagine riflessa in due iridi di un caldo color nocciola. Erech arrossì.
 
- Scu –
- Non farmi del male! – fu la prima cosa che il ragazzo sotto di lui squittì. Già, ragazzo: per quanto acuta fosse la sua voce, il tono e il timbro erano inequivocabilmente maschili. Erech si ritrovò a fissare il viso pulito di un suo coetaneo completamente terrorizzato che lo guardava come se fosse il demonio. Inarcò un sopracciglio e gli lasciò andare i polsi, mettendo le mani in vista. Lui lo guardò stranito, prima che il rombo di un altro tuono annunciasse un altro attacco messo a segno da Ambra. Il ragazzo fece scattare la testa  bionda verso la fonte del suono, per poi riportare lentamente il viso verso di lui. Lo scrutò attentamente per qualche secondo. – Ah! – lo puntò febbrilmente con un dito – Tu sei quello nuovo! –
Erech tirò un sospiro per poi spostarsi di fianco permettendogli di tirarsi a sedere. – Tu sei Jun, vero? –
A quella domanda il ragazzo corrugò le sopracciglia. – Come… come fai a saperlo? –
Erech si lasciò cadere di sedere, improvvisamente stanchissimo come se gli fosse stata succhiata via ogni energia. – Maledizione… penso di avere un principio di arresto cardiaco… - mormorò stringendosi la camicia in corrispondenza del cuore.  Il ragazzo al suo fianco continuava a fissarlo interrogativo. Erech sospirò pesantemente. – Shingo mi aveva incaricato di assicurarmi che tutti fossero nei dormitori ma a quanto pare una certa persona era assente… – spiegò, fulminandolo con lo sguardo – … e quindi mi sono messo a cercare quella certa persona, senza altro indizio che non fosse il suo nome. Dannato me quando ho preso quella decisione… ehi ma mi stai ascoltando? – si tirò su coi gomiti, notando che  il suo interlocutore lo stava bellamente ignorando, gattonando  verso il cespuglio da dove Erech era sbucato e stendendosi pancia a terra nella sua stessa posizione di poco prima. Erech sbuffò irritato e lo imitò, stendendosi al suo fianco e riprendendo ad assistere insieme a lui alla lotta che stava avendo luogo fuori dalla barriera.
A quanto pare la battaglia stava per concludersi: rimanevano molti meno nemici rispetto all’inizio, sebbene fossero comunque in parecchi. Dorlas a quanto pare aveva portato a conclusione il suo attacco perché su un fianco della barriera era come spalmata una grande quantità di lava non del tutto solidificata ma ancora incandescente avente la forma di un semicircolo. Ambra continuava a fulminare un nemico dopo l’altro, sebbene dovesse tornare su alcuni per far effettivamente perdere i sensi, mentre Fenice e Dorlas, schiena contro schiena, erano impegnati in scontri a corto raggio. Losille era proprio davanti a loro, seppure lontana, davanti al semicircolo di lava, attorniata da una decina di opponenti, con il solito sorriso inquietante disposto in bella vista.
Erech gettò una fugace occhiata a Jun, a quanto pare presissimo dallo seguire senza lasciarsi sfuggire nulla.
- Tu sai che sei nei guai vero? Sono qui da poco ma mi pare di aver capito che quella palla di pelo sia davvero qualcuno da non far arrabbiare… - il pallore di Jun era visibile a occhio nudo, tuttavia non lui non parlò ma si morse le labbra e continuò a tenere gli occhi puntati verso avanti.
- Quindi… perché sei qui? Perché hai ignorato gli…. Le istruzioni? – Non sapeva bene il motivo, ma Erech non voleva classificare quelle parole come “ordini”. Gli sembrava sbagliato, come appartenente ad un contesto completamente differente.
Jun lo guardò con la coda dell’occhio, arrossendo; allo sguardo palesemente interrogativo di Erech rispose con un sorriso imbarazzato. Fece per aprire la bocca e parlare quando un fischio acutissimo, seguito da molti altri, risuonò vibrante nell’aria.
Entrambi girarono di scatto la testa, trovandosi a guardare Losille che faceva schioccare nell’aria e sulla carne degli avversari quelle che parevano essere fruste di rovi lanciando brevi fischi acutissimi con una foglia che teneva stretta fra le labbra, mentre gradualmente indietreggiava verso il muro di roccia bollente creato da Dorlas, accerchiata da cinque persone e altrettanti Zwire.
Jun scattò in piedi, con tremanti pugni stretti ed terrore dipinto sul volto.
Anche Erech si tirò in piedi, messo in agitazione dal suo comportamento. – Che c’è? Che succede?! – Chiese, teso.
- È una richiesta di aiuto… Losille è in pericolo... ! – mi rispose tra i denti. Jun spostò lo sguardo dalla ragazza a Fenice e Dorlas, che sembravano troppo occupati per poter intervenire. – Io vado ad aiutarla! – Erech lo guardò stralunato – Che?! Ma sei completamente impazzito?! – berciò, afferrandolo per un braccio mentre quello moveva i primi passi. – Lasciami andare! –
Erech osservò sconcertato Jun mentre quello si dimenava selvaggiamente cercando di sfuggire alla sua presa. Sembrava totalmente un’altra persona rispetto allo spaurito ragazzo di qualche minuto prima.
 
Un fischio molto più lungo di quelli precedenti si levò nell’aria e troppe cose accaddero tutte insieme. Erech fece appena in tempo ad alzare lo sguardo e vedere Fenice e Dorlas disimpegnarsi dagli avversari con cui stavano combattendo  con un lavoro di squadra a dir poco impeccabile - risultante nei nemici tramortiti e costretti al suolo – e correre verso Losille, che nello stesso momento si era portata ad di sopra dei suoi avversari, spinta in aria da quella che pareva essere un’enorme foglia.
Fenice sferzò l’aria con un’intensa fiammata, costringendo i nemici incappucciati a retrocedere spalle al muro nella stessa posizione di Losille qualche secondo prima mentre gli ultimi Zwire venivano neutralizzati da delle rocce appuntite fatte spuntare repentinamente dal terreno, causando il loro Termine e di riflesso lo svenimento di alcuni degli incappucciati. Losille, ora riunita con i due compagni, mosse il ventaglio chiuso e, rispondendo al suo ordine, una miriade di viticci spinati calò dalla sommità della formazione di lava solidificata formando un fitto muro che divise i guardiani del GEA dai nemici intrappolati.
Ci furono come due secondi di stasi, durante i quali Erech vide i tre ragazzi riunirsi velocemente per accertarsi delle proprie condizioni, scambiandosi sorrisi stanchi ma appagati. Due brevi secondi in cui pensò che – almeno per quella volta – fosse tutto finito, che avessero vinto.
Poi, nel momento esatto in cui si accorse che da almeno una buona decina di secondi che la sua mano stava stringendo solo l’aria, un acuto strillo si levò nell’aria.
Gli occhi di quattro persone diverse vennero calamitati dalla trappola appena creata, nella quale avrebbero dovuto esserci solo nemici ostili e non proprio in vena di chiacchiere amichevoli.
Avrebbero.
Quando terrificante può essere il condizionale in queste situazioni.
 
 
 
 

Angolino Dei Funghi
Ciao a tutti! Sono finalmente tornata, sebbene mi vergogni parecchio per questo ritardo spaventoso.
Mi ero proposta come deadline generale due mesi al massimo ma la scuola mi ha impegnato più di quello che credevo… ma dal momento che siamo quasi alla fine, sono riuscita finalmente a trovare un po’ di tempo da dedicare alla scrittura e non sapete quanto questo mi renda felice! Purtroppo se voglio scrivere qualcosa di decente, mi servono almeno due orette e purtroppo non sempre posso prendermi questo lusso… spero di essere perdonata! >_<
Passando alla storia, in questo capitolo incontriamo uno dei miei tanti scriccioli che fanno di testa propria. Vi starete chiedendo: in che senso? Nel senso che Jun inizialmente era stato concepito come un personaggio assolutamente non di rilievo, ma come se fosse dotato di vita propria si è creato da solo la propria storia, diventando uno dei personaggi principali di questa storia.
Ci sono ancora un sacco di domande irrisolte e gli interrogativi non fanno che aumentare (sì, lo so che è colpa mia), ma d’altronde siamo solo all’inizio! La storia vera e propria deve ancora cominciare (anche se ormai sono cinque capitoli che continuo a ripeterlo)! *schiva oggetti contundenti*

Ed ora, un po’ di termini:

Barriera: i meccanismi della barriera verranno spiegati più avanti ed avranno un ruolo importante nello svolgersi della trama. Per adesso possiamo dire che la teoria azzardata da Erech “Buoni dentro e cattivi fuori” è perlopiù corretta.

Dorlas: questo  pezzo di pane è molto più tenace di quello che potrebbe sembrare ad una prima vista. In questo capitolo appare anche lui nella lotta e fa uso dei suoi poteri. Mi sembrano particolarmente ovvi da indovinare ma giusto in caso qualcuno di stia ancora pensando su, non farò spoiler.
 

Questa volta non ho molto da spiegare effettivamente…. In compenso, ecco a voi un’altra adorabile personcina che ha catalizzato il mio ammmore più di quanto effettivamente avrebbe dovuto. Dite ciao a Losille! (Sì Rachele, sto pensando a te. So che stai leggendo. E ridendo. IO TI VEDO.)


 
Non credo di essere riuscita a darle l’espressione di malizia e sarcasmo che ho sempre avuto in mente quando scrivevo o parlavo di lei, ma si avvicina parecchio a questa.
 
Credo di riuscire ad aggiornare più spesso visto che – finalmente! – tra poco è estate e estate significa POTER SCRIVERE ANCHE ALLE QUATTRO DI MATTINA MUHUAHUAHUAHUA.
Spero che questo capitolo possa rallegrarvi in questi ultimi giorni di prigionia. Buon fine scuola a tutti!
Baci
Nereisi

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto - Quello che non ti aspetti ***


Capitolo 6 – Quello che non ti aspetti







Fenice non aveva destato grandi simpatie in Erech quando si erano conosciuti. Per carità, nemmeno una particolare antipatia; ma nei pochi momenti in cui aveva avuto a che fare con lui Erech aveva pensato che gli sarebbe piaciuto vedere un’espressione buffa sul suo volto, magari una per cui lo avrebbe potuto prendere in giro come lui lo aveva preso in giro in infermeria. 

Un’espressione molto simile a quella che Fenice aveva in quel momento: sgomenta, incredula e confusa mentre guardava stralunato quella che con tutta probabilità avrebbe dovuto essere una geniale trappola progettata contro i loro nemici e che invece sembrava ospitare anche qualcun altro.
Espressione tra l’altro condivisa da Dorlas e Ambra, che si scambiavano occhiate preoccupate, completamente presi in contro piede dal repentino mutamento della situazione. Losille invece, pur tradendo anche lei lo sgomento, faceva trapelare dal suo ventaglio un non so che d’istintivo disgusto che le piegava le labbra in una debole smorfia.  
Un altro urlo molto più acuto del primo si levò da dietro i rovi mentre movimenti febbrili sembravano avvenire da dietro la parete vegetale che impediva di vedere quello che accadeva all’interno della trappola. A quel suono Fenice si riscosse, come punto da una vespa. – Che cazzo significa? Chi è quello? CHE STA SUCCEDENDO?! – 
Un altro grido, questa volta di dolore, schiarì le poche e confuse idee che fino a un secondo prima avevano costretto Erech per terra nel suo nascondiglio. Si alzò velocemente dal cespuglio, rendendosi visibile anche da fuori la barriera e assicurandosene sbracciandosi. Quando finalmente gli sguardi confusi e irritati del gruppo furono su di lui, si portò le mani attorno alla bocca, gridando – JUN! – con quanto più fiato avesse in corpo. 

La reazione dei ragazzi non si fece aspettare per niente, ma la più veloce a scattare fu Losille, che ventaglio alla mano si precipitò verso la trappola. Caricò il braccio, preparandosi a sferrare un colpo di taglio con la sua arma, ma prima di farlo scattare contro la parete di rampicanti esitò, guardando intensamente la caverna a cielo aperto ripiena di nemici che aveva creato nemmeno poche manciate di secondi prima.
Ambra le arrivò di fianco. – Losille, cosa stai aspettando?! Dobbiamo tirarlo fuori da lì! – 
La ragazza digrignò i denti, indurendo lo sguardo dietro le lenti degli occhiali. – Lo so! – Ringhiò. Il braccio le tremava vistosamente. – Ma potremmo non avere mai più un’occasione del genere. – 
Erech vide Dorlas inspirare profondamente e aprire le labbra, ma un ennesimo urlo di dolore squarciò l’aria, molto più lacerante dei precedenti. A quanto parve, fu un incentivo sufficiente per Losille che calò repentinamente la lama del suo ventaglio contro le liane, tagliandole. 

Quelli che erano all’interno della trappola probabilmente non aspettavano altro che un indebolimento della prigione che li teneva costretti in quello spazio ristretto per catapultarsi fuori, investendo con violenza i quattro ragazzi che si protessero alla bell’è meglio dall’improvviso assalto. Alcuni uscivano trasportando i compagni svenuti o feriti. A quanto pare non avevano intenzione di lasciare nessuno in quel luogo. 
Erech seguì con tensione la scena. I suoi occhi catturarono una particolare macchia di colore in mezzo a tutto quel nero, peraltro vicinissima ad un’altra macchia del medesimo colore.

- Ambra! – Urlò – Alla tua destra! – 

La ragazza non si fece cogliere impreparata e senza tentennare un istante si disimpegnò dal suo attuale avversario e si lanciò all’inseguimento di una figura incappucciata che sembrava starsela svignando trasportando un Jun incosciente e coperto da molto, troppo, sangue.
Si chinò accucciata per terra, simulando la posizione di uno scattista alla linea di partenza e - Dorlas! - urlò. Il ragazzo si voltò e appena resosi conto della situazione, pestò con forza il tallone contro il terreno. Nello stesso momento, una colonna di roccia grande come il palmo di una mano spuntò improvvisamente sotto i piedi di Ambra che, usandola per darsi maggiore spinta, scattò verso il nemico e lo colpì alla nuca con una ginocchiata. Il colpo, veloce e secco, bastò a far perdere i sensi al fuggitivo, che stramazzò a terra insieme a Jun. Ambra corse subito a districare dalla matassa di arti il corpo del compagno e se lo tirò addosso, premendone la testa contro il suo sterno e passandogli un braccio sotto alle gambe, appoggiandole al proprio fianco. Una volta assicurato a sé il ragazzo svenuto, corse verso Erech, verso la barriera, mezza chinata per passare inosservata o evitare i colpi dei nemici. Purtroppo per loro, i nemici non erano del tutto stupidi e non appena si resero conto del facile bersaglio che stava sfrecciando sotto i loro nasi non ci misero molto a concentrare i loro sforzi contro di esso. 
Dorlas, Losille e Fenice dovettero - loro malgrado - lasciar stare i loro avversari e precipitarsi ad aiutare Ambra che, non avendo totale libertà di movimenti, non riusciva a difendersi al meglio. 
Jun non aveva ancora ripreso conoscenza.

- Ambra! - Incapace di stare fermo a non fare niente, Erech cominciò a saltellare sul posto, sbracciandosi verso la bionda Eterea. - Qui! - 
La ragazza si girò stancamente al suo indirizzo, palesemente distrutta dal dover proteggere sia se stessa sia il peso morto che stava trasportando e, dopo averlo inquadrato, impiegò tutte le sue forze in un ultimo scatto verso la barriera. Con gli altri che le fornivano copertura, riuscì ad avvicinarsi quel tanto che bastò da sfruttare lo slancio della corsa e scaraventargli addosso il ragazzo svenuto che teneva tra le braccia. 
Erech rovinò a terra sotto l'inaspettato peso che gli era crollato addosso, riuscendo a malapena a parare la caduta sua e di Jun alla bell'e meglio. 

- Jun! Oi, Jun! - Erech resse la testa del ragazzo con una mano mentre con l'altra distribuiva impazienti schiaffetti sulla sua guancia. Non ottenne una risposta verbale ma una specie di mugugno, ma tanto gli bastò. Alzò gli occhi per incontrare la schiena di Ambra, girata verso una figura nera che la sovrastava.
Ambra girò leggermente la testa verso Erech. I loro occhi si incatenarono per un secondo, poi gli occhi di lui si abbassarono a fissare le labbra di lei, che si schiusero tremanti: 

- State. Dentro. - 

Ebbe appena il tempo di girarsi e di cominciare a emettere elettricità prima che lo Zwire la colpisse al fianco con una potentissima zampata e la spedisse a rimbalzare contro il terreno accidentato, più volte. 
Erech seguì attonito il percorso del corpo di Ambra sul terreno fino a vederlo fermarsi bocconi qualche metro più in là, ricoperto di polvere, indifeso. Erech guardò senza parole come lei tentò di alzarsi facendo leva sui gomiti tremanti, mentre i capelli che si erano liberati dalla treccia le cadevano disordinatamente sul viso, impedendogli di capire se era del tutto lucida o no. 
Trattenne il respiro quando vide un gruppo di nemici circondarla, per poi rilasciarlo quando vide che la terra sulla quale la ragazza era carponi si aprì sotto di lei per richiudersi repentinamente a cupola, proteggendola.
Erech riportò gli occhi sgranati davanti a sé quando la creatura che aveva davanti si avvicinò talmente tanto alla barriera da fargli ombra. Scambiò con la creatura uno sguardo che sembrò durare in eterno. Il materiale di cui era composta era talmente nero che sembrava assorbire e smembrare persino la luce, mentre i suoi fin troppo famigliari occhi gialli lo scrutavano con la foga di un affamato davanti ad un banchetto.
Lo Zwire si mise in piedi, poggiando le zampe anteriori sulla barriera e facendo scattare fuori gli artigli, quasi come a cercare un punto debole nel muro difensivo che lo separava dalla sua preda. La bestia lo guardò di nuovo, facendo scintillare le zanne. A quella vista, la ferita nemmeno del tutto guarita bruciò, strappandolo dalla trance in cui era caduto e rendendolo come improvvisamente cosciente di tutto quello che stava accadendo. 

La testa gli girava, probabilmente a causa dell'iperventilazione di cui era incosciente vittima. Quando la abbassò per assicurarsi che tutto Jun fosse dentro la barriera, a girare per un attimo fu il mondo intero. Si tirò ancora più del ragazzo addosso e cercò di alzarsi, ma le gambe lo tradirono e ricadde con il sedere per terra. Lo Zwire, capendo le sue intenzioni, emise un verso gutturale, quasi un ringhio, cercando di sfondare a zampate l'invisibile barriera che lo separava dalla sua preda.

- Mh... - 

Erech abbassò la testa di nuovo e il suo sguardo fu calamitato dagli occhi semiaperti di Jun, che non sembrava però ancora del tutto cosciente. Con la testa che continuava a girare come una trottola, ma improvvisamente molto più lucido, afferrò il ragazzo agganciando le dita ai passanti dei pantaloni sdruciti che aveva indosso e cominciò a strisciare indietro, spingendosi con le gambe e l'altro braccio. Non riusciva a mettersi in piedi, figurarsi a camminare trasportando qualcun altro!

I ringhi della bestia arrivarono ad un volume tale da farli sembrare vere e propria urla inferocite e tanto bastò finalmente a far svegliare del tutto Jun. - Che...? - Erech lo sentì irrigidirsi. - CHE DIAVOLO è QUELLO?! - Gridò, con un tono talmente acuto che - Erech avrebbe potuto giurarlo - avrebbe fatto mettere in ginocchio i timpani di chiunque.
Le sue grida trovarono risposta nel ruggito della bestia. E se prima per Erech il mondo girava, in quel momento stava letteralmente vibrando. 

Erech non fu mai così felice di vedere una colonna di fuoco venirgli incontro come in quel momento. Le fiamme impattarono violentemente contro la schiena dello Zwire che fu quasi schiacciato contro la superficie della barriera dalla loro dirompenza. Erech ignorò l'incessante tremolio del ragazzo sul suo stomaco e guardò affascinato come le lingue di fuoco non la trapassassero, ma scorressero mollemente lungo la sua superficie, dividendosi come i petali di un fiore; il cui orrendo pistillo era però lo Zwire nemico. Che fu prontamente sbalzato via quando una lastra di pietra eruttò improvvisamente dai suoi piedi, colpendolo al ventre. A quella vista, Erech percepì distintamente il corpo di Jun irrigidirsi e poi afflosciarsi di botto su di lui. 
... Era forse svenuto di nuovo?!

Incredulo, approfittando del fatto che il mondo aveva smesso di girare, cercò di allungare la testa per squadrare il visto del ragazzo che aveva deciso di crollargli addosso per incontrare la raccapricciante visione di una bocca lasciata aperta e di occhi rigirati a guardare il proprio cervello. Fece un verso schifato: non aveva mai visto una persona in quello stato ma era assolutamente raccapricciante. E ridicolo.

- Erech! - La voce carica di urgenza di Fenice lo costrinse a riportare lo sguardo verso il campo di battaglia. Dorlas e Losille stavano ancora combattendo contro alcuni nemici, ma la maggior parte di essi doveva essere fuggita perché il numero degli avversari gli sembrò molto diminuito. La cupola di roccia era ancora saldamente al suo posto e dentro di essa - probabilmente - anche Ambra. Un ruggito non troppo lontano gli fece intendere che l'attacco combinato che lo aveva colpito non aveva per niente messo fuori gioco lo Zwire.
- ERECH! CONCENTRATI DANNAZIONE! - Il ragazzo, rintronato, cercò di fare come gli era stato detto e finalmente focalizzò l'immagine di Fenice, chino a urlargli da fuori la barriera. - Sei ferito? - 
Erech aprì la bocca e la scoprì arida come il deserto. Riuscì a smozzicare un dissenso, la spiacevole sensazione di avere la lingua impastata ancora presente.
- Bene. Pensi di riuscire a portare Jun da Mizu? - Annuì faticosamente in risposta. - Bene, perché qui la situazione non è delle migliori. Quello Zwire è molto più problematico di quello che ci aspettavamo. - 
- Io... Sì, credo di sì... - 
- Perfetto. Ti ricordi dove ti sei svegliato stamattina? - Di nuovo, un assenso. - Ecco, devi andare verso quella direzione. - Fenice si girò a fronteggiare la battaglia, le trecciolina che gli svolazzavano intorno alla nuca. Erech si tirò via da sotto Jun, cercando di rimanere in piedi senza traballare troppo. Quando si abbassò per prendere l'aspirante sacco di patate per le ascelle, esso emise nuovamente dei mugugni indecifrabili. Riusciva già a vedere numerosi lividi fiorirgli sulla pelle. - Erech... un'altra cosa. - 

- Sì? - Cacciò fuori con fatica, caricandosi addosso il peso del ragazzo svenuto.
Fenice lo guardò di sbieco, serio ma allo stesso tempo evidentemente preoccupato. Esitò un attimo prima di continuare: - Credo sia meglio che sappiano di dover preparare ancora un altro letto nell'infermeria. - Gli occhi di entrambi andarono a cercare la cupola di pietra. - Non esagerare con le parole ma non devi nemmeno indorarle la pillola. Meglio attenersi alla pura e semplice verità. D'accordo? - Erech annuì, grave. - Ok. - 
- Ok. - Gli fece eco l'altro.  Gettò alla coppia un ultimo sguardo, poi iniziò a correre verso i compagni che ancora combattevano. 

Erech non perse tempo: si assicurò meglio il corpo di Jun addosso e si diresse verso l'istituto, addentrandosi nel bosco e scomparendo alla vista tra gli arbusti.







Angolino dei Funghi 
Alè, ci si riprova. 
Salve a tutti, sono di nuovo qui. Questo lunghissimo hiatus non ha beneficitiato in alcun modo alle mie storie, sarò sincera. Ho ancora moltissimi dubbi sulla scrittura, in particolare la mia, e le trame delle mie storie in sospeso non hanno visto miglioramenti... devo dire che alle storie in sé non ho pensato molto. Anzi, quasi niente. A mia discolpa posso dire che è stato un periodo veramente bruttino tra scuola, famiglia, università me ne sono capitate di cotte e di crude, tutte nell'orifizio sbagliato. Ma, bando alle ciance, sono tornata. Non so cosa mi sia preso di preciso; sta di fatto che mi sono messa a scrivere di nuovo. Non so per quanto andrà avanti però, ormai chi mi segue da tempo credo che si sia fatto l'abitudine purtroppo... Posso sono dire che - almeno per questa storia - credo di aver superato il blocco che mi opprimeva. Questo particolare capitolo proprio non voleva uscire in questi mesi. Ero talmente felice di essermelo tolto dalle scatole che lo ho postato! (?)
Il prossimo credo che arriverà presto - e ovviamente il presto dovete pensarlo secondo le mie tempistiche muhuahuahuahua. Posso solo dire che ce l'ho già in mente. Non rimane che scrivere credo!

Arrivederci al prossimo capitolo (spero!)
Nere

P.s. Ho notato che, negli scorsi capitoli, non si vedono più le immagini che avevo postato alla fine di ognuno di essi. Sebbene ne volessi mettere una anche questo capitolo, mi asterrò finchè non capirò cosa è andato storto - provvederò in seguito a fixare il tutto, non disperate!


Jun: Come potete vedere, questo ragazzo non eccelle certo in coraggio o nervi saldi, ma si farà valere più in avanti nella trama. Spero lo amerete come l'ho amato io quando ha preso vita nella mia testa.



 

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