Mistakes

di _Alaska97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO IV ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


MISTAKES



« Un tempo non avrei sopportato l’idea che la mia vita fosse sulla bocca di tutti, non avrei sopportato di essere continuante giudicato o criticato per le mie scelte.
Conoscendomi, al primo accenno di difficoltà, mi sarei infilato nell’armadio di camera mia iniziando ad urlare come un matto proprio come quando ero piccolo; mia sorella non fa altro che ricordarmi quanto fossi ridicolo quando lo facevo. Eppure, era una tendenza profondamente esorcizzante; paura, dolore, rabbia, all’interno del mio armadio tutto scompariva ed io ritrovavo la serenità.
Vedete, sono sempre stato una persona riservata, uno che tiene molto alla propria privacy e che desidererebbe averne un po’ di più. Ma non mi lamento: ho amici meravigliosi e una famiglia altrettanto fantastica, una carriera fiorente… e ho i miei fan.
Un tempo avevo qualcosa in più, come tutti sanno, ovviamente. C’era lei, e dire che non ne sento la mancanza sarebbe una grossa bugia. Odio mentire e ancor più mentire a me stesso.
Sicuramente avrete compreso il motivo di questo video; voglio donarvi la mia verità. Ho fatto cose che vorrei cancellare, ho cicatrici che non penso guariranno mai, ho pesi sulla coscienza che mi tormenteranno senza posa per molto tempo.
Dovete capire e per farlo avete bisogno che vi racconti ogni cosa. Credo sia meglio cominciare, la storia è lunga e inizia il 20 Maggio di un anno fa. »  






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SPAZIO AUTRICE:

Salve a tutti!
Ho iniziato questa fanfiction per una mia amica e, visto che tutti mi assicurano che è davvero bella, mi accingo a pubblicarla.
Spero vi piaccia.
(Adoro i commenti, quindi scrivete qualsiasi cosa avete da dire, don't worry, non ho la coda di paglia).

Un MAXI-HUG,
Alaska.

   

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I ***


CAPITOLO I



Le urla delle fan sembravano sul punto di far crollare l’intero hotel. Non solo, erano così tante che ribaltare il furgoncino dove eravamo stipati sarebbe stato un gioco da ragazzi. Una spintarella e ci saremmo trasformati tutti in pancake. Adoravo quelle frittelle, soprattutto sommerse di cioccolata fusa, ma trasformami in una di esse non era la mia massima priorità.
Mi voltai sentendo qualcuno bussare al finestrino sulla destra, quello vicino a cui era seduto Zayn; una ragazza aveva scavalcato le transenne e superato la polizia, schiantandosi letteralmente contro il furgoncino.
Zayn rise, suo malgrado, vedendo una guardia afferrare la ragazzina infuriata per allontanarla dalla nostra via.
« E’ incredibile, come fanno a sapere che siamo in quest’auto? » Chiese Niall dai sedili posteriori, a nessuno in particolare.
« Non lo sanno. Tentano. » Rispose Louis togliendosi la giacca leggera e ficcandola da qualche parte.
Niall stava ancora scrutando fuori dal finestrino, assorto. Amava l’Italia, non che a noi non piacesse, ma lui ne era stato particolarmente sedotto.
« Horan finirà per sposarsi un’italiana… » Commentò Louis circondando le spalle dell’Irlandese con un braccio.
« Ma magari! Sono così belle e solari. »
« Eh bravo lui, buon gustaio. » dissi lanciandogli un’occhiata da sopra le spalle e sollevando le gambe per appoggiarle in grembo a Liam. « Io sposerò te, amore. » Ironizzai schioccando un bacio sulla guancia alla mia vittima.
« Però lo dici tu a Sophia. » Rispose Liam strabuzzando gli occhi.
Risi con lui, risedendomi più o meno compostamente al mio posto e allungando il collo verso il cellulare di Zayn, che stava scrivendo un messaggio. Ovviamente era per Perry. Zayn usava ogni momento anche lontanamente libero per contattare la sua ragazza; era un fidanzato modello e Perry aveva fatto decisamente un terno al Lotto accettando di sposarlo. Mi pareva strano pensare al fatto che uno dei miei migliori amici si sarebbe sposato presto. Per davvero. Aveva soltanto un anno in più di me e aveva già messo in chiaro le sue intenzioni, piantando paletti fissi e fermi nella sua vita.
Io ero ancora in balia della marea: il mio guardare al futuro si fermava appena al concerto di quella sera. In effetti, mi si poteva considerare vuoto, ma non ero un quasi-uomo qualunque, la mia vita non si poteva soppesare secondo i canoni dei diciannovenni comuni.
Ero Harry Styles, un quinto dei One Direction, milioni di fan acclamavano il mio nome, pendevano dalle mie labbra, cantavano ciò che io cantavo. Questo sì che ti faceva sentire il re del mondo, altro che Di Caprio.
Ma no, non mi sarei mai montato troppo la testa; d’altronde c’erano gli altri quattro idioti a ricordarmi ogni giorno che non mi avvicinavo nemmeno ad essere dio. Ci tiravamo le briglie a vicenda, se qualcuno esagerava e si trasformava in una prima donna, gli tarpavamo le ali facendolo cadere dalle nuvole senza complimenti. Non mancavano i litigi, soprattutto quando il tour cominciava a risucchiarci tutte le energie, ma erano le migliori persone che avessi mai potuto trovare. Con loro nella mia vita tutto era più divertente e imprevedibile.
« Quasi arrivati. » ci informò Austin, una delle nostre ‘balie’, dal sedile accanto al guidatore. No, per noi non erano bodyguard. Era stato Paul a soprannominarsi ‘balia’; quell’uomo era un grande, peccato abbia dovuto andarsene; era un po’ che non lo sentivo, magari stasera gli avrei telefonato.
Da lì a poco una grande struttura si aprì alla nostra vista facendoci ammutolire per un attimo. Il Mediolanum Forum si presentava del tutto simile agli altri in cui avevamo cantato precedentemente, ma ogni concerto era una nuova emozione. I fan erano sempre diversi e non sapevi mai cosa sarebbe successo su quel palco. Tra noi e loro eravamo tutti assolutamente imprevedibili.
Ci avevano preceduto due bus arancioni, quindi i fan sicuramente ci credevano già all’interno; quasi nessuno badò all’anonimo furgoncino nero che si dirigeva verso il retro del forum.

« Woa, è un delirio la fuori! » rise Niall, ancora su di giri per il coro di ‘I Love you’ che le fan ci avevano dedicato.
« Ragazzi, di qua, tornate nei camerini. » ci esortò Austin. Io mi sfilai la maglietta incollata al petto dal sudore gettandogliela addosso e corsi verso l’uscita passando di fianco all’ultimo scomparto laterale dove le fan urlarono e salutarono con anche più foga di quando eravamo sul palco. Io sorrisi accennando baci con la mano e, raggiunta l’uscita, aspettai gli altri ragazzi, con cui scambiai qualche cinque ridendo.
« Che scarica di adrenalina, rifarei tutto da capo… » Aggiunse Niall saltandomi in spalletta. Io iniziai a galoppare, disarcionandolo quando fui giunto dinnanzi la porta del camerino che condividevamo tutti e cinque. Insistevamo sempre perché ce ne fosse dato uno unico.
« Non esageriamo Bro, sono distrutto. Se dovessi cantare un’altra canzone stramazzerei per terra. » sospirò Zayn, che però aveva un grosso sorriso sulle labbra.
Liam spalancò la porta lasciandosi cadere sul primo divano che gli capitò a tiro. Zayn lo seguì a ruota, sdraiandosi sopra di lui.
« Dio, devo assolutamente lanciarmi nella doccia. » Commentai storcendo il naso.
« Cazzo sì. La prossima volta che ci chiedono chi puzza di più tra di noi, fidati, faccio il tuo nome Hazza. » Rincarò la dose Louis sfilandosi a sua volta la t-shirt.
Gli diedi una gomitata, affrettandomi verso uno dei tre bagni che avevamo a disposizione, lasciandomi dietro scarpe, calze e pantaloni.
Ovviamente la mia doccia ebbe i minuti contati, eravamo in cinque e dovevamo necessariamente fare in fretta.
Quando uscii dal bagno, solo Niall aveva già finito di lavarsi e si stava infilando il cambio di vestiti che i nostri costumisti ci avevano lasciato. Quelli sporchi erano già stati diligentemente raccolti da terra e probabilmente erano già stati infilati in un sacco, pronti per la lavanderia.
« Hai scaricato l’adrenalina? » gli chiesi.
« Neanche un po’. » rispose lui.
« Bene, » commentò Louis uscendo dal bagno vicino al mio con tempismo perfetto. « Scappiamo. »
« Cosa? » Niall lo guardò sorpreso, sedendosi per sistemare i lacci delle scarpe, non per allacciarli ovviamente, non erano allacciate che si portavano le scarpe.
Io mi bloccai, una gamba dentro e una fuori dai jeans neri: « Beh, tanto partiamo domattina per la Francia. Ci sto. »
I suoi occhi s’illuminarono. I miei dovevano già brillare come diamanti. Adoravamo far impazzire Austin, almeno quanto i bambini adorano esasperare le loro babysitter.
« Ci sto anch’io. Voglio vivermi un po’ Milano di notte. » Aggiunse Niall. « Zayn, Liam? Ci state per un codice 3? »
‘Codice 3’ stava per ‘baldoria non autorizzata’, il che accadeva spesso, per questo gli avevamo dato un nome in codice, anche se quest’ultimo attirava l’attenzione più dell’idea esplicita.
Un ‘… Perry mi squarta.’ provenne confuso dal bagno da cui era uscito Louis. Ok, su Zayn non ci aveva contato nessuno, dopo i concerti era solito spaparanzarsi a guardare la tv in hotel: guai a rovinargli i piani.
Liam uscì dal bagno in quel momento e sbadigliando aggiunse: « Ho voglia solo di un letto, un succo d’arancia e magari un trancio di pizza »
Io avevo già infilato la giacca, proprio come gli altri due compagni di fuga, e non potei che scuotere le spalle. « Più belle ragazze per noi. »
Liam rise e mi diede una pacca sulle spalle. « Raccontalo a qualcun altro. Probabilmente finirete per andare a mangiarvi una pizza e giocare a bingo con la terza età »
« Ehi, la pizza è buona e il bingo è uno sport estremo. Le vecchiette diventano perfide quando si tratta del primo premio. » Lo informò Niall percorso da un finto brivido di terrore. Io annuii comprensivo posando una mano sulla maniglia del camerino.
« Al mio tre, corriamo come se avessimo il fuoco nelle mutande.  »
« Non mi piace questa metafora… » Esordì Lou con una smorfia.
« Io ho sotto mano la maniglia, io scelgo le metafore. Pronti? Uno, due… Tre. » Aprii di scatto la porta lanciandomi in corridoio. Uno dei nostri cani da guardia ci scorse subito.
« AUSTIN? CI RISIAMO! » Gridò sbarrandoci la strada e sfoggiando un sorriso sornione.
Iniziammo a correre dalla parte opposta del corridoio, Louis era davanti a me; i pantaloni continuavano a scivolarmi sui fianchi e dovevo continuamente impedirgli di lasciarmi in mutande.
« La prossima volta usciamo dalla finestra! » Esclamai voltando lo sguardo alle mie spalle, dove un paio di guardie ci stavano inseguendo come normale amministrazione. Si erano organizzati i bastardi.
Scoppiai a ridere svoltando con gli altri due in un corridoio che, ci avrei scommesso, nessuno sapeva dove portasse.
Uscimmo dall’unica porta presente in fondo a quel corridoio e finimmo sulla terrazza che percorreva tutto il perimetro del forum. Niall e Louis presero subito la destra, io individuai una nicchia vicino alla porta e mi ci infilai; ci avrebbero preso ancor prima di aver messo piede fuori dalla struttura.  Ma, almeno, li avremmo fatti sudare.
Pochi minuti dopo, i nostri inseguitori mi sfrecciarono davanti senza nemmeno notarmi, intenti a raggiungere Louis e Niall che avevano guadagnato un bel po’ di terreno.
Tornai dentro aggirandomi più o meno circospetto per la via che avevo percorso poco prima a rotta di collo.
Voltato l’angolo, una porta quasi mi colpì dritto in faccia. Mi scostai appena in tempo, indietreggiando.
Sulla soglia non apparve né Austin, né uno dei suoi tanti scagnozzi, ma una ragazza. Piegai leggermente la testa di lato, sorpreso; non era molto alta e la sua siluette era nascosta da una maglietta troppo grande che declamava il suo amore per i ‘One Direction’. Sorrisi rendendomi conto che era una fan. I suoi occhi castani si sgranarono per lo stupore.
Uno scalpiccio di passi mi riscosse dall’attimo di torpore, voltai lo sguardo verso il corridoio e constatai che qualcuno stava decisamente correndo dalla mia parte.
« Via, dentro! » Intimai alla ragazza, spingendola all’interno di quello che mi accorsi essere una bagno… delle donne. Mi chiusi la porta alle spalle.
« Stavolta non sarò il primo ad essere preso! »
« Harry Styles? »
« Come? No, io sono più bello di quel damerino britannico! » ribattei ironicamente.
La sua espressione si corrucciò leggermente, rimproverandomi, poi, come se si fosse ricordata solo in quel momento con chi stava parlando, i suoi occhi presero a brillare d’emozione e lo sguardo che mi rivolse era dolce come il caramello fuso. Mi avrebbe rivolto spesso quello sguardo nei mesi a venire; era il mio preferito. 


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SPAZIO AUTRICE:

Primo capitolo. Rettifico ciò che ho detto nel prologo.
COMMENTATE A MANETTA! Davvero, le critiche non possono che migliorarmi.

Un MAXI-HUG,
Sepre Alaska.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II ***


CAPITOLO II



Aprii la porta per scrutare l’esterno, ma la richiusi immediatamente.
A pochi passi di distanza avevo visto uno dei bodyguard e, nel giro di qualche secondo, i suoi pugni fecero vibrare la porta, a cui ero appoggiato.
« Styles, esci di lì o ti sculaccio. » Beccato. La voce di Austin, era inconfondibile.
« Cazzo. » Imprecai sottovoce.
« Stai scappando dai tuoi bodyguard? » Chiese la ragazza dagli occhi di miele, trattenendo una risata.
Posandomi il dito indice sulle labbra la spinsi verso una delle cabine del bagno, ficcandola dentro con me a seguito, e chiudendo l’anta alle nostre spalle.
« Harry, hai tre secondi… » Ma non me ne diede neanche mezzo, dato che aprì la porta di scatto, intrufolandosi all’interno e trascinando pesantemente i piedi.
Saltai sulla tavoletta abbassata del water, cercando di fare il minimo rumore possibile e di trattenermi dallo scoppiare a ridere; feci segno alla ragazza di imitarmi, ma lei scosse la testa, una mano premuta sulla bocca e gli occhi lucidi di ilarità.
Cercai di assumere un espressione minacciosa e le afferrai le braccia nude, attirandola con forza verso di me: se la mia schiena non avesse trovato l’appoggio del muro a quell’ora saremmo stati stesi per terra poco comodamente.
« Dove sei, piccolo figlio di…? » Borbottò Austin, sentii i suoi passi fin troppo vicini allontanarsi lentamente.
La giovane fan si era aggrappata alla mia giacca tendendo le orecchie: il mio sguardo si fermò ad esaminare i suoi capelli corti di un vago color grano. Avevano uno strano profumo, assomigliava a quello del budino alla vaniglia di mia madre, dolce e inebriante. Ben si accompagnava ai suoi occhi color caramello.
« Se la scampiamo ti offro una pizza, parola di scout. » Commentai in un sussurro, realizzando solo in quel momento di avere, letteralmente, stampata addosso una delle nostre fan. Un altro aneddoto da raccontare a Gemma; sarebbe morta da ridere.
Lei alzò gli occhi ridenti verso il mio viso proprio nel momento in cui una voce ci ammoniva dall’alto: « Non vorrei rompervi le uova nel paniere, ma il signor Styles deve assolutamente portare il culo all’hotel. » Rivolsi la mia attenzione al viso di Austin, che era salito in piedi sul water della cabina affianco e ora ci osservava con un sopracciglio sollevato.
« Sei un guastafeste Austin, davvero. E io che speravo di portare la mia amica… »
« …Gaia. » Completò lei per me.
« Ecco, Gaia. A prendere una bella pizza con me. »
« Un’altra volta playboy, domani si parte presto. » Mi ammonì Austin.
Alzai gli occhi al cielo saltando a terra e aiutando Gaia a seguire il mio esempio, poi spalancai l’anta del box guadagnandomi una poco piacevole pacca sulla base del collo da parte del mio manager-bodyguard-balia-babysitter.
Dopo avermi rivolto questo amorevole trattamento, Austin si rivolse alla mia compagna di avventura: « Sai trovare l’uscita da sola? »
« Andiamo Austin! Sii buono, voglio solo cenare tranquillamente in un bel ristorante Italiano… Siamo sempre di corsa, fammi tirare un po’ il fiato. » L’omone ritirò la mano dalla mia spalla fissandomi con i suoi occhi scuri. « Per favore. » Ecco il colpo di grazia.
Sospirò, e fui certo di averla avuta vinta.
« Io non ti ho visto… » Mise una mano in tasca e mi allungò le chiavi del suo SUV nero, « Ehi guarda, quello stronzetto è riuscito a fregarmi le chiavi della macchina. » cantilenò questa frase con un espressione consapevolmente innocente sul viso massiccio.
Io sorrisi sornione afferrando le chiavi. Austin lanciò uno sguardo a Gaia, per poi allontanarsi senza un’altra parola.
Sapevo che era più facile chiedergli subito di uscire, ma dove sarebbe stato il divertimento? A che prezzo vivere questa vita da profughi milionari se non potevi prendere un pò per il culo il tuo manager?
Cominciai a dirigermi verso la porta attraverso cui era appena passato Austin, ma mi fermai di colpo, voltandomi.
« Non vieni? » Domandai a Gaia che mi osservava interdetta.
« Io!? »
« Veramente pensavo a quel water sexy rinchiuso nella cabina… » Ed ecco ancora quello sguardo contrariato apparire a dipingergli gli occhi.
Feci una smorfia: come riusciva a farti sentire così piccolo con uno sguardo? Doveva avere per forza qualche sorta di superpotere.
« Ti ho promesso una pizza. E poi non mi piace mangiare da solo. » Spiegai, passandomi una mano tra i ricci bruni, ancora umidi per la doccia lampo.
Il viso di Gaia s’illuminò per poi rabbuiarsi immediatamente. Esclamò qualcosa che non compresi, dato che doveva aver parlato in Italiano.
« Scusa? » Domandai.
« Io… non posso. Un mia amica mi aspetta di fuori, era al concerto con me…»
« Porta anche lei. »
« Dici davvero? »
« Insomma, a cena con due belle ragazze italiane, il sogno di ogni burbero inglese! » La rassicurai.


Sulla strada d’uscita non incontrammo anima via. Austin aveva fatto piazza pulita.
Gaia continuava a lanciarmi occhiate furtive ed io scoppiai a ridere.
« Che c’è? » Chiese timidamente lei.
« Continui a fissarmi. »
« Come se fosse una cosa nuova per te… » Risi ancora, ficcando le mani nelle tasche dei Jeans.
« Scusa, è che non mi capita tutti i giorni di camminare accanto ad uno dei miei cantanti preferiti. » Considerò lei, arrossendo visibilmente.
La potevo capire; era capitato anche a me, tempo prima, abbracciando niente poco di meno che Robbie Williams. Era stata un emozione indescrivibile, superata soltanto dal cantare al Royal Variety, di fronte alla regina in persona.
« Beh, camminare accanto a me comporta anche i suoi rischi: aspetta di uscire da qui davanti a tutte le fan e spera che non mi riconoscano nascosto dietro al cappuccio. » Detto questo, nascosi il capo sotto il cappuccio della giacca nera di maglia.
Raggiungemmo la porta d’uscita laterale poco dopo. Un respiro profondo e ci avventurammo all’esterno, nella brezza leggera della sera; non faceva freddo e con la camicia e la giacca che indossavo avevo quasi caldo. L’Italia aveva decisamente un clima invidiabile.
Lo spazio davanti al forum era ancora affollato malgrado il concerto fosse finito da almeno un’ora. Apprezzavo davvero lo spirito dei nostri fan; aspettare ore solo per scorgerci alla meglio nel riflesso di un finestrino. Nessuno si rendeva conto che una delle persone che più anelavano di scorgere stava camminando tra di loro.
I miei occhi non si staccavano dalla schiena di Gaia malgrado tenessi il viso abbassato. Nessuno riusciva ad osservarmi troppo attentamente, tutti erano troppo impegnati a chiacchierare in una lingua che non comprendevo neanche lontanamente e a scrutare il paesaggio in cerca di una vettura che avesse potuto trasportare uno dei loro idoli.
Qua e là sentivo gridare nomi conosciuti e titoli di canzoni di cui rammentavo ogni accordo e parola.
Gaia si voltava continuamente per essere sicura che la seguissi: avrei voluto dirle di essere più prudente, ma se avessi parlato avrei potuto attirare troppo l’attenzione. Per quanto amassi i nostri fan, non avrei mai voluto trovarmi in mezzo ad un’orda impazzita senza protezioni.
« Jessica! » Chiamò Gaia e una cascata di capelli bruni rivelò il viso di una bella ragazza, che si era voltata avendo sentito il proprio nome.
« Tata! Cosa ti sei persa! E’ passato un pullman arancione e alcune ragazze dicono che probabilmente c’erano su i ragazzi e…  » Ovviamente non avevo capito una parola, ma mi rendevo conto che la famosa Jessica sapeva parlare davvero veloce; le sue capacità avrebbero fatto invidia a Liam.
Gaia mise le mani sulle spalle dell’amica cercando di azzittirla e intimandole qualcosa che era parso decisamente una minaccia, poi lanciò un’occhiata verso di me; io alzai il viso e sorrisi.
Jessica sbiancò. Poi arrossì. Poi sbiancò di nuovo. Pareva un semaforo indeciso se lasciar scorrere il traffico o bloccarlo indissolubilmente. Le sue emozioni erano in bilico su una fune sottilissima, gli occhi erano già lucidi di emozione.
« Oh merda. HARRY! » Perché dovevano sempre urlare? Le sentivo anche senza che alzassero il loro tono di tre ottave.
« Je! » La rimproverò Gaia anticipando di un nanosecondo le urla delle fan che piano piano si erano rese conto della mia presenza.
Questo fu il mio turno di sbiancare. Gaia, prontamente, mi afferrò per un braccio e, spintonando a destra e a manca, prese a correre per districarsi dalla folla, con me a seguito. L’ultima cosa che notai in quel groviglio di corpi era Jessica che veniva inghiottita dall’orda di fan ancora in preda allo sbigottimento.
Sentivo chiamare il mio nome da ogni parte. La voce della mia presenza era dilagata tra i presenti più veloce di una pestilenza e i fan più vicini, al nostro passaggio, raccoglievano l’opportunità di toccarmi, urlare il loro amore o piangere.
Io sorridevo e salutavo, trasportato dalla risoluta Gaia, che nel giro di qualche minuto, si era lasciata alle spalle il grosso della folla.
Districatomi dalle strette più insistenti, fu il mio turno di trascinare velocemente la ragazza verso il parcheggio riservato alla troupe. Adocchiai facilmente il SUV di Austin tra le auto parcheggiate, malgrado la scarsa luce fornita da qualche lampione lì vicino.
Aprii la portiera e mi arrampicai nella vettura, invitando Gaia a fare lo stesso, suggerimento che ella seguì senza replicare.
Alcuni fan erano penetrati nel parcheggio privato e si guardavano intorno smarriti, bramando di scorgermi da qualche parte.
Mi sistemai il cappuccio facendo in modo che mi coprisse più efficacemente il viso e misi in moto, per poi fare retromarcia e dirigermi verso l’uscita del parcheggio che dava direttamente sulla strada. I fan si erano radunati davanti all’altra uscita, da dove ci avevano visto entrare.
Inseritomi nel traffico dell’autostrada sospirai, diedi un’occhiata alla mia compagna di viaggio e scoppiai a ridere.
Teneva le dita serrate sulla cintura di sicurezza, gli occhi sbarrati. Sentendomi ridere ed incontrato il mio sguardo, seguì il mio esempio, scaricando la tensione con una bella risata.
« Mai affrontati tanti problemi per una pizza. » Considerò lei.
« Per me, questo tipo di problemi sono all’ordine del giorno… »
« Io avrei già dato di matto. » Confessò scostandosi i capelli corti dal viso.
« Nah, ho sempre desiderato questa vita. »
« Per essere stalkerato e molestato da sconosciuti? » Mi stuzzicò lei, che si era ripresa dai postumi dell’attacco coordinato di centinaia di Directioners.
Risi alle sue parole. « Anche. »
« Cazzo! La Je! Mi sono completamente dimenticata di lei! Dobbiamo tornare indietro! » Esclamò agitata, rendendosi conto solo in quel momento dell’assenza dell’ amica.
« Siamo in autostrada, non posso tornare indietro! » Le feci notare senza staccare gli occhi dalla strada.
« Devo almeno farle sapere che sono viva! »
« Hanno inventato i cellulari proprio per questo… » Le feci notare, meritandomi una delle sue occhiate scure. I suoi occhi virarono ben presto all’orario segnato sul cruscotto.
« Le 21:30! » la sua voce era salita ben oltre il panico. « Mia madre dovrebbe essere già arrivata al Forum, devo chiamarla! »
Strabuzzai gli occhi preoccupato dal suo panico. Ero stato davvero impulsivo a trascinarla via con me senza pensare alle implicazioni. Insomma, avevo costruito un castello di carte davvero instabile.
Gaia prese a parlare italiano: più lo ascoltavo, più quel tono cantilenante mi piaceva. La sua mano sinistra era chiusa a pugno e posata sulla coscia in tensione. Poi, incredibilmente scoppiò a ridere dopo aver mormorato più volte il mio nome ed io, mio malgrado, sorrisi.
Stava parlando di me e un’occhiata incredula che mi riservò confermò i miei sospetti.
Un piacevole rossore era tornato a colorarle il viso.
Riattaccò poco dopo.
« …Guai? » Chiesi, imboccando l’uscita verso Milano, il cui nome sul cartello mi era famigliare anche senza che fosse scritto nella mia lingua.
« Incredibilmente… No. Cioè, la Jessica le aveva già spiegato tutto e sembrava piuttosto rassegnata. Probabilmente pensa mi sia fatta di crack e che sia scappata con un barbone. »
Le lanciai un occhiata e la vidi fare una smorfia. « Però mi ha raccomandato di non lasciarti scappare finché non mi hai offerto quella pizza e finché non hai fatto almeno un centinaio di foto con me. » e detto questo mi rivolse un sorriso furbo.
« A sì? »
« Dubiti della mia parola? »
« No, le mamme mi adorano. Sono il tipico bravo ragazzo inglese casa, chiesa, tour mondiali e bagni pubblici. » Ammiccai ridendo.
Lei rise con me, gli occhi sfavillanti d’eccitazione. Potevo quasi sentire il suo cuore fare a gara con la velocità della luce. O forse me lo stavo immaginando, deciso ad appagare il mio ego.
Mi era sempre piaciuto piacere alle persone.
Tornai con l’attenzione alla strada che, avvicinandosi al centro, si faceva sempre più trafficata. « Vorrei sapere dove sto andando… Ma non lo so. Hai idee su dove trovare una pizzeria aperta? »
Lei impugnò il cellulare trafficandoci per qualche minuto per poi ficcarmelo sotto il naso con il GPS inserito.
« Ecco un’altra utilità dei cellulari… » Commentai svoltando alle indicazioni dell’apparecchio.

 





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SPAZIO AUTRICE:

Ecco il secondo capitolo!
Ok, 2 capitoli in giorni, non vi ci abbituate. Non sono così veloce a scrivere, è che ce li avevo già pronti U.u
Eh già, questa FF è in corso anche nel mio cervelletto e, purtroppo, le dita sono troppo lente e il tempo è troppo poco.

Vi avviso che non sarà la solita fanfiction con 2650 capitoli: le odio. 
I capitoli non saranno molti, ma -spero- abbastanza lunghi, perchè dividere una storia in troppi capitoli mi pare inutile.

Dopo questo escursus stilistico (che parolone che uso, sono fiera di me), mi auguro di non avervi fatto pentire di aver iniziato a leggere questa FF... 
Un MAXI-HUG,
Alaska.

P.S. Per chi se lo sta chiedendo, non mi chiamo davvero Alaska, è un soprannome che ho preso dal libro 'Cercando Alaska' di John Green, il mio scrittore preferito :3

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III ***


CAPITOLO III



« Chiuso!? Ma se a momenti è aperto anche a Pasqua! »
Io non risposi, troppo impegnato a trattenermi dallo scoppiare a ridere. Avevamo parcheggiato ad almeno un quarto d’ora di distanza.
Gaia emise un verso di frustrazione ed io mi affrettai a parlare prima che cominciasse a prendere a pugni la cler abbassata sulla vetrina del ristorante. « Possiamo andare da qualche altra parte… »
« Non ne conosco altri! » la voce le si ruppe sulla fine dell’esclamazione.
Io mi avvicinai e le posai le mani sulle spalle, addolcendo lo sguardo. « Ehi, va tutto bene Darling. »
I suoi occhi si sgranarono per un momento, poi i suoi muscoli si rilassarono e le permisero di passarsi una mano sul volto.
« Scusami, oh scusami, che figura pietosa sto facendo. Solo che, TU SEI QUI ed io volevo fosse tutto perfetto. Non voglio che te ne vada pensando io sia pazza… »
E il fiume di parole non diede segno di fermarsi. Nei film, questo era il punto in cui l’aitante protagonista si chinava sulla ragazza e la zittiva con un bacio.
Baciala, suggerii una parte remota del mio inconscio.
Poi la ragione ritornò a fare da padrona e mi limitai a battere le mani di fronte al viso di Gaia, che fermò il suo discorso di scuse per lanciarmi un’occhiata sorpresa.
« Io. Te. McDonald’s. Ora. Ok? » Domandai, allungando il braccio verso un insegna del famoso fast food poco lontana. L’avevo notata subito, imboccata la via.
Era una cosa confortante ritrovare qualcosa di simile a Londra in ogni paese straniero; non avrei mai pensato di trovare rassicurante un fast food.
Lei annuì arrossendo ed io mi incamminai, in grado di fare strada, finalmente.


 
« Beh, non è una pizza ma… »
« …Ci si accontenta. » Terminai la frase per lei.
Gaia abbassò la testa, addentando una crocchetta di pollo, d’un tratto imbarazzata per qualcosa.
Presi una patatina e gliela tirai giocosamente. « Non dirmi che non estinguerai il mio pizza-debito! Ti ho pagato lo stesso la cena. Dovresti essermi grata… »
« No, è solo che non mi piace mangiare davanti ad altri… » rivelò con una smorfia. « Soprattutto se per altri si intende… Te. »
« Sai, io amo le donne che non fanno mistero del loro amore per il cibo. » Rivelai a mia volta addentando il mio BigMac con un gemito estasiato.
« In questo caso… » Lei prese il proprio panino imitando il mio esempio lasciando colare la salsa sulle mani.
« Che visione! Mai vista una donna inglese godersi un morso di panino con tanta soddisfazione. »
In realtà nemmeno Gemma lasciava misteri della sua fame di cibo spazzatura, ma la mia missione era far sentire a proprio agio Gaia, quindi qualche mezza bugia poteva esser perdonata.
In fondo, avevo già apprezzato il fatto che non avesse preso un’insalata come facevano le ragazze che portavo fuori normalmente.
Finimmo di mangiare lentamente, gustandoci ogni sapore e concedendoci persino un enorme frappé al cappuccino per coronare il pasto.
Mi stupii di scoprire che parlare con Gaia era… bello. Conosceva l’inglese meglio di quanto mi aspettassi, anche se a volte aveva bisogno di qualche secondo in più per trovare un dato vocabolo e combattere contro le pronunce sbagliate.
Usciti dal fast food, sapevo già il nome del suo gatto e mettere insieme qualche parola di italiano come ‘Mi chiamo Harry’ o ‘Amo mangiare’ e lei, d’altro canto, aveva imparato più parolacce in inglese di quante si aspettava esistessero, ed era riuscita a cavarmi il titolo della nuova canzone che avevo scritto con Niall.
Niente male come serata, direi.
Il viaggio in macchina fu piacevolmente scandito dal racconto delle vacanze in Croazia di Gaia.  Dal modo in cui ne parlava traspariva il suo grande amore per quel luogo.
« Non sono mai stato in Croazia… »
« Però sei stato in gran parte del resto del mondo, caro. » mi riprese lei.
« Non sono stato poi in così tanti posti… » rincarai con una smorfia.
« No? Spagna, Giappone, praticamente in tutta l’America, Germania, Francia… Devo continuare? »
Ridacchiai. « Ok, lo ammetto, ho girato un bel po’. »
« Direi. Dio, quanto mi piacerebbe assaporare ogni metro dell’Inghilterra. Per non parlare dell’America! Darei un braccio per una vacanza in California. »
« Non puoi dar via braccia in questo modo. Gli arti sono più utili di quanto pensi… » Il mio commento mi valse una gomitata. Risi destreggiandomi in una finta smorfia di dolore.
« Io starei guidando, signorina. »
« Se riesci a farlo dicendo stronzate non vedo perché preoccuparsi di non riuscirci mentre ti malmeno… »
Mi compiacqui nell’accorgermi di quanto si sentisse a suo agio con me. Strano. Normalmente le ragazze che avevo intorno non facevano che urlare, piangere o far finta di essere interessate a me invece che al mio nome.
Non avevo nessuna garanzia del fatto che Gaia riuscisse ad ignorare la cappa di superficialità in cui ero stato avvolto, ma qualcosa nel suo modo di porsi e di ascoltarmi mi faceva sperare che qualcuno oltre alla mia famiglia e ai ragazzi, riuscisse davvero a vedermi.
Restai in silenzio per qualche minuto, seguendo le indicazioni del GPS che mi stava portando dritto a casa di Gaia. Era quasi mezzanotte.
« Siamo quasi arrivati… » Mi informò Gaia.
« Sì? »
« Già. »
« Non ne sembri entusiasta. »
« Non lo sono. »
« Perché? » Domandai, sperando di non conoscere già la risposta.
« Pronto? Io stasera non ho visto nessuna pizza. » E io potei ridere soddisfatto.
« Grazie. »
« Di che? » Mi guardò interdetta.
« Di non aver nominato né la parola ‘idolo’ o ‘famoso’. » Spiegai.
« Le ho pensate. » Disse con una smorfia.
« Ma non le hai dette, quindi, grazie. »
« Per una volta sono contenta di aver tenuto freno alla lingua. » replicò accasciandosi sul sedile dell’auto e asciugandosi un finto sudore dalla fronte.


 
Fermai l'auto davanti al cancello indicatomi da Gaia. Scrutando la casa avvolta nel buio notai una figura che attraversava la porta d'ingresso, dirigendosi nella nostra direzione. Sentii Gaia irrigidirsi al mio fianco.
« Oh cavolo, è mia madre... » E, detto questo, spalancò la portiera, balzando a terra impacciata.
Subito, la madre, le si posizionò d'innanzi, le sopracciglia aggrottate, la voce alterata dalla rabbia.
Anche senza conoscere la lingua, tutti i suoi gesti mi trasmettevano rabbia e disappunto; inoltre, aveva assunto l'aria amareggiata tipica delle madri, quella che ti fa sentire in colpa nonostante l'apparente innocenza.
Presto il tono di Gaia mutò da remissivo ad irritato. Al buio non riuscivo a scorgere i visi delle due contendenti, ma potevo immaginare le loro espressioni corrucciate.
D'un tratto la madre di Gaia si affacciò alla portiera del passeggero ancora aperta e con una pronuncia traballante sputò un 'incosciente' tra i denti, guardandomi dritto negli occhi, sbattendo la portiera con forza.
Compresi che quello era il mio congedo e rimisi in moto la macchina. Qualcuno bussò al mio finestrino e io lo abbassai, ritrovandomi il viso contrito di Gaia d'innanzi.
« Sono mortificata. »
« Io più di te. Sono davvero un irresponsabile »
« No Harry è stata... »
Non le feci terminare la frase: « Scusami Darling. E scusati anche con tua madre. Spero non passerai troppi guai a causa mia. Spero di rivederti, mi sono divertito. »
Lei annuì con gli occhi lucidi mentre io toglievo il freno a mano.
« Ciao Hazza. »
« Ciao Gaia. »


 
Non le ho chiesto il cognome. Né il numero di telefono. Né il nickname di Twitter. O quello di Instagram.
Furono questi i pensieri che si succedettero nella mia mente quando aprii gli occhi la mattina dopo, riscosso da un ritmico bussare.
Stiracchiandomi, afferrai il cellulare che la notte prima mi ero premurato di attaccare al caricatore e sbirciai l'orario. Le 5:22.
« Gesù santo, Austin, mi prendi per il culo? » Domandai alla porta chiusa con voce gracchiante.
« In piedi segaioli. Se tra dieci minuti non siete fuori da quei letti in Francia vi faccio andare a piedi... » minacciò il nostro manager, bussando alla porta della camera a fianco,
dove avevano dormito Niall, Liam e Zayn.
Ficcai la testa sotto il cuscino serrando le palpebre sugli occhi stanchi.
Sentii la porta aprirsi e qualcuno mi si gettò addosso senza tante cerimonie.
« Povero Haz, ieri sera ha fatto i bagordi e stamattina è stanco. » Urlò Niall rimbalzandomi sulla schiena e togliendomi il fiato. Io lo disarcionai con un movimento repentino, facendolo cadere a terra con un tonfo sonoro.
Louis si lamentò dal letto affianco al mio. « Horan vattene. Non ci piacciono i rompipalle la mattina presto. » Commentò scoprendosi e sbadigliando platealmente.
« Dove sei andato ieri sera? » Mi chiese il biondino, rimettendosi in piedi ridacchiando e sistemandosi i jeans in vita.
« Mi sembra di parlare con mia madre... » Commentai con una smorfia.
« Figliolo, parla o niente paghetta per un mese! »
« Sono andato... Al McDonald’s. » Rivelai, balzando in piedi e rabbrividendo per la differenza di temperatura tra le coperte piacevolmente calde e l'aria fresca del primo mattino.
« Fammi capire... Sei nello stato con la cucina migliore sulla faccia della terra e vai... Al McDonald’s. Da solo. Senza neanche un amico irlandese al tuo fianco. » Mi fece notare Niall con le sopracciglia aggrottate, alludendo a se stesso. Evidentemente, lui e Louis non erano riusciti a sfuggire a Austin.
Mi guardai intorno e notai tre cartoni di pizza ammucchiati ai piedi del letto.
« A quanto pare, VOI ve la siete goduti la cucina italiana... » dissi sfregandomi gli occhi.
« Ieri sera molte persone si sono godute QUALCOSA di italiano... » insinuò Niall con un sorrisetto malizioso, allungandomi il suo cellulare.
Sullo schermo touch screen compariva un articolo intitolato 'Le avventure di Mr. Styles' datato 20 Maggio.
Ma non furono le parole a stupirmi, quanto la foto che dominava lo schermo: in primo piano c'era Gaia che, con un espressione corrucciata, mi trascinava per un braccio per sfuggire all'orda di Directioners.
I capelli biondo scuro le ricadevano sulla fronte, il suo sorriso nascosto dietro un espressione seria e concentrata.
A quel punto ero completamente sveglio.
« Allora, razza di marpione? » rincalzò Niall, strappandomi il telefono di mano.
« Beh, non ho mangiato proprio da solo... » commentai.
« Sei uscito con una fan!? » Chiese Louis mentre si infilava un paio di pantaloni della tuta.
« Le dovevo una pizza. » Lui mi guardò confuso per poi scuotere le spalle in segno di resa. Io sorrisi indossando la t-shit, che era stata sistemata ordinatamente sul mio comodino.
Ancora qualche ora e Twitter sarebbe impazzito.
« Credo di dovermi preparare qualche risposta per le interviste... » considerai, rendendomi conto solo dopo di aver parlato ad alta voce.
« Puoi dirlo forte, Styles » rispose Austin, che aveva scelto per entrare dalla porta spalancata proprio quel momento. Stringeva in mano il cellulare. Cinquanta sterline che aveva appena finito di leggere l'articolo che mi aveva fatto vedere Niall.
Sul suo viso si apriva un sorriso malizioso. « Allora, le italiane sono davvero così focose come dicono? » mi chiese, guardando appena Louis, che si era gettato di faccia sul letto.
« Non ci sono andato a letto. » Replicai infastidito.
« Beh, le donne possono essere focose anche fuori dalle coperte. » Precisò Austin saggiamente.
Ripensai allo sguardo battalliero di Gaia nella foto dell'articolo e guardai il nostro menager dritto negli occhi. « 'Focose' è riduttivo. » E sorrisi.

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO IV ***


CAPITOLO IV



« Quindi... ti sei divertito in Italia, suppongo. » Buttò lì con non-chalance l'intervistatrice, sfoderando il marcato accento Francese.
Niall soffocò una risatina con la mano quando apparve la foto di Gaia su uno schermo a fianco al divanetto dove ci avevano fatti accomodare.
Potevo sentire gli obbiettivi delle videocamere chiudersi sul mio viso per cercare di rubarmi qualche espressione compromettente.
« Oh certo, un clima invidiabile. » Risposi evasivo, fingendo di non aver notato la foto che nelle ultime ore aveva fatto il giro di Instagram e Twitter. I ragazzi risero seguiti a ruota dall'intervistatrice; io sorrisi, sfoderando il potere delle mie fossette.
« Dai, Harry. Sai che intendo. Insomma, le Directioners di tutto il mondo vogliono sapere chi è quella fan che è riuscita ad accalappiarti! » Ovviamente. La maglietta di Gaia aveva sollevato un bel putiferio.
Le fan avevano notato immediatamente la sua t-shirt del Take Me Home Tour. Il loro sogno diventava realtà: una Directioner mano per mano con un membro dei One Direction.
L'intervistatrice mi aveva messo al muro e lo sapeva. Sfoderava un affascinante sorriso sornione.
« Veramente sono io che ho accalappiato lei. »
« Davvero? »
« Giuro. Nel bagno delle donne. » Tutti risero.
« Rimorchia ovunque. Impossibile andare in giro con lui. » Commentò Louis, rinnovando il clima ilare.
« E come si chiamerebbe la nuova fiamma di Harry Styles? »
« Non è la mia “nuova fiamma”. » Aggiunsi con una smorfia, accennando le virgolette con le dita. Mi aspettavo che tutti arrivassero a questa conclusione, ma sentirsela sbattere in faccia era un altro paio di maniche. Qualsiasi donna che venisse fotografata insieme a me, si trasformava nella mia nuova ragazza o, peggio, nella conquista di una notte.
Odiavo la fama di Playboy che volevano a tutti i costi cucirmi addosso. Io non ero così.
« E cos'è? » Rimbeccò la donna, interessata alla piega che aveva preso l'intervista.
« Una nuova amica. » Replicai candidamente.
« Le Directioners devono essere delle amiche straordinarie... » considerò Zayn altrettanto candidamente, spostando l'attenzione da me a lui.
Niall annuì con forza. « Dolci, appassionate, divertenti... » elencò entusiasta.
« Fantastiche. » Si aggiunse Liam con un sorriso.
La domanda seguente fu diretta a Louis. Tirai un sospiro di sollievo. Non mi piaceva che si andasse a toccare la mia vita privata, era irritante.
Quasi sussultai nel rendermi conto che consideravo Gaia 'vita privata'.
 
 
 
Sbadigliai sonoramente passandomi le mani sul viso.
Niall aprì gli occhi quando mi mossi: ero seduto per terra, appoggiato ad uno degli asettici muri dell'aeroporto e Niall aveva appoggiato il capo sulle mie gambe tese, delle quali avevo quasi totalmente perso la sensibilità.
Il biondino si rizzò a sedere sfilandosi gli auricolari, permettendomi di contrarre i pezzi di marmo che, in quell'oretta di dormiveglia, qualcuno aveva sostituito ai miei arti inferiori.
Zayn era accasciato su una delle scomode poltroncine di fronte alla nostra nicchia di muro, i capelli bruni spettinati sulla fronte ambrata, Liam era al suo fianco, concentrato sul suo Ipad e Louis si era allontanato con Josh, il nostro batterista, probabilmente in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Si era verificato un problema con il nostro jet privato, che, amabilmente, aveva pensato di lasciarci a piedi pochi minuti prima della partenza.
Austin non si vedeva da nessuna parte; probabilmente stava rompendo le palle a destra e a manca per farci partire al più presto per la Spagna.
Come se il mio pensiero l'avesse evocato, il nostro manager spuntò da chissà dove con passo pesante.
« Sono riuscito a trovare qualche posto su un aereo di linea... Dovrebbe partire tra mezz'ora. » Ci informò, facendo scattare in piedi Zayn.
« Oh, grazie al cielo. Ho la schiena a pezzi!» Esclamò quest'ultimo stiracchiandosi e afferrando la maniglia del proprio trolley.
Mi alzai con l'aiuto della parete alle mie spalle, ancora mezzo intontito.
« Non vedo l'ora di rilassarmi su una spiaggia spagnola. » Commentò Liam con un mezzo sorriso.
« Ohhh sì, mare, sole, un bel mojito. » Aggiunse Louis dopo averci raggiunto con una corsetta, masticando una barretta al cioccolato.
Io mi sporsi verso di lui e ne addentai un boccone a tradimento. « Buona. Al caramello. »
Lui fece una smorfia allontanandola dalla mia portata. « E' mia, infame. »
« Dovresti condividere, egoista. » Aggrottai le sopracciglia scherzosamente.
« Condivido tutto tranne il cioccolato... Ed Eleanor! » Aggiunse guardandomi corrucciato prima che potessi buttar lì la mia battuta. Io scoppiai a ridere posandomi un pugno sulle labbra per non imbrattare di cioccolato tutto l'aeroporto.
Seguimmo Austin verso la biglietteria. Lo schermo degli imbarchi segnalava proprio un volo per la Spagna da lì a venti minuti. Sopra di questo, appariva un volo per l'Italia che stava imbarcando proprio in quel momento al terminal 2.
La serata con Gaia prese a vorticarmi per la testa prendendomi di sorpresa. Erano passati solo tre giorni, perciò ricordavo ogni dettaglio. Era molto tempo che non uscivo con un'amica senza pretese e, quella ragazza Italiana, era stata un vero toccasana.
La serata avrebbe potuto essere estenuante, con lei che mi tempestava di domande poco opportune, declamandomi il suo amore incondizionato e sospirando continuamente come un animale ferito. Invece Gaia era stata assolutamente irreprensibile, piacevole ed estroversa al punto giusto.
Afferrai un braccio di Niall e incontrai il suo sguardo limpido e chiaro. « Torniamo in Italia. »
Lui aggrottò le sopracciglia, cercando di cogliere un presunto senso nascosto nelle mie parole. Quando si accorse che parlavo sul serio disse: « Cosa ti sei fumato Styles? ».
Io posai le mani sulle sue spalle, scuotendolo come per risvegliarlo da un presunto torpore. « Dai fratello… » lo esortai con occhi brillanti. « Mancano più di dodici ore alla prima data spagnola. Abbiamo tempo di girarci quattro volte Milano. »
« Non possiamo fare quello che vogliamo… »
« Facciamo sempre quello che vogliamo. »
« Austin si incazzerà come una iena. »
« Ti presenterò Gaia. »
Brillò una scintilla nei suoi occhi azzurri. « Allora è per quest..? »
« Ci stai? » Lo interruppi.
« Cosa complottate!? » Il bel viso di Lou, la nostra Hair Stylist, vece capolino dal nulla. Lux, sua figlia, la bambina più dolce del mondo, era addormentata beatamente sulla spalla della madre.
« Noi? Complottare? » Rimbeccai con non-chalance.
« Quella ragazza, ne vale la pena Haz? » Aggiunse lei, ignorando la mia evasione di colpa, con fare saccente. Doveva aver ascoltato tutta la conversazione svoltasi tra me e Niall.
Mi presi un attimo di troppo per rispondere. « E’ mia amica. »
Lei sollevò un sopracciglio perfetto, soffiando via un ciuffo biondo dagli occhi.
« Okay, tecnicamente la conosco appena ma... lei mi vede. » Cercai di spiegarle, aggrottando la fronte nello sforzo di trasformare in parole le mie sensazioni. « Hai presente il primo giorno di scuola elementare? Non conosci niente e nessuno a parte la tua famiglia, il tuo universo inizia e finisce con la tua cameretta o il parchetto dietro casa.
Improvvisamente, ti ritrovi in una stanza ricolma di bambinetti sconosciuti.
Nessuno ti trasmette niente al di là della semplice simpatia, ma poi, arriva lui (o lei).
Ti tende la mano e ti regala un sorriso sdentato. Il suo sguardo non ti passa attraverso, ti scava dentro. Lui ti vede. E tu vedi lui. »
Niall e Lou mi osservarono straniti. Lux si mosse tra le braccia della madre, ma gli occhi di questa erano tutti per me.
« I ragazzi mi vedono, Lou. Tu mi vedi. E anche lei, anche Gaia riesce a vedermi.»



« Desidera qualcosa da bere, signore? » Faceva sempre il suo effetto sentirsi chiamare ‘signore’.
Voltai lo sguardo verso la premurosa hostess, che portava un carrello di bibite.
Le sorrisi. « Sono a posto così, grazie. »
« Io vorrei una Coca Cola… » disse Lou dal posto vicino al finestrino, cullando la figlia profondamente addormentata.
Ormai la piccola Lux era abituata ai viaggi in aereo: riuscivano addirittura a conciliarle il riposo.
« Tenga. » L’hostess allungò la lattina rossa a Niall, il quale si trovava al mio fianco, che la passò a sua volta alla nostra rilassata Hair Stylist.
Fin troppo rilassata.
Passava un sacco di guai ad accompagnarci in Italia, eppure, sembrava che le responsabilità non la toccassero. Probabilmente teneva nascoste le sue preoccupazioni per non inquietarci.
Dopo la mia spiegazione accorata, non avevamo perso tempo: recuperati i biglietti Last Minute, ci eravamo imbarcati n tutta fretta. Fortunatamente una famiglia non si era presentata alla partenza, quindi, avevamo anche posti vicini.
Il Karma era dalla nostra parte.
L’hostess si allontanò lanciando un’altra occhiata a me e a Niall. Probabilmente ci aveva riconosciuto, come aveva già fatto metà aereo.
Forse era per questo che mi sentivo osservato. In realtà mi sentivo sempre osservato, perciò non era decisamente un problema.
« Venti sterline che abbiamo almeno una trentina di chiamate perse ciascuno. » Buttò lì Niall guardando con orrore il cellulare spento appoggiato al tavolino porta vivande.
« Trenta, che abbiamo già l’FBI alle calcagna. » Rilanciai io.
« Nah, probabilmente la Mafia ci aspetta in Aereoporto… » Considerò Lou sorseggiando la sua bibita.
Io e Niall ci sporgemmo in sincrono a osservarla con gli occhi sbarrati.
Lei scoppiò a ridere, infastidendo la piccola Lux appoggiata alla sua spalla.
« Non scherzare su queste cose… Austin ne è capace. » Commentai truce.
« Quello ci viene a prendere… » disse Niall imitando il mio tono.
« Tecnicamente non sa dove stiamo andando. » Puntualizzò Lou.
« Lo sa, lo sa. Ha abilità chiaroveggenti quell’uomo. » Ribatté Niall facendoci scoppiare a ridere.
Al ritorno saremmo stati nella merda fino al collo, ma avvisare Austin in anticipo dei nostri piani sarebbe stato come tirarsi la zappa sui piedi. Ancora venti minuti e il nostro manager avrebbe saputo dove ci trovavamo e che avevamo già prenotato i biglietti aerei per la Spagna per quella sera.
Non che questo avrebbe fatto sbollire la sua rabbia, ma almeno non si sarebbe preoccupato di preparare la frusta.




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ANGOLO AUTRICE:

Grazie a tutti quelli che seguono, leggono, commentano la mia storia. Mi fate sentire importante *__*
Per le appassionate Directioner: vi sarete rese conto che ho sballato un pò la scaletta del tour, ma il mio obbiettivo non è l'assoluta fedeltà alla realtà.

Non so voi, ma io adoro Lou, l'Hair Stylist dei ragazzi *W* Spero di averla resa bene!

Un MAXI HUG, 
Alaska.

 

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