The Cruise [CONCLUSA] (in revisione)

di Bill Kaulitz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Trailer (click here)

- Capitolo 1 -

Era da ormai quasi un’ora abbondante che sedeva su quel pullman altamente scomodo e, a suo malgrado, mancava un’altra oltra prima dell’arrivo. Sentiva il suo fondo schiena completamente appiattito e formicolante, diventando un tutt’uno col sedile. Temeva si fosse addormentato. La carica del suo cellulare era già al 60% perché era da quando aveva messo piede sulla corriera, che aveva preso a giocarci e a cazzeggiare sui vari social ai quali era iscritto, non potendo fare altro. Il tempo sembrava non passare mai. Era già la quarta – o quinta – volta che sbuffava – nell’arco di pochi secondi – tra l’altro, non aveva ancora avuto il tempo di fumare la sua bella e sana sigaretta mattutina.

Il suo Rolex segnava quasi le sette del mattino e, ovviamente come da routine, non riuscì affatto a prender sonno. Quel cazzone dell’autista, tra l’altro, sembrava andasse d’accordo con i fossi nell’asfalto. Diverse volte aveva provato a chiudere gli occhi e a distaccarli dal cellulare, poggiando leggermente la testa sul finestrino ma, non appena pensava di essersi finalmente addormentato, il grassone imbranato, prendeva qualche fossa, facendogli sbattere la fronte contro il vetro.

‹‹Maledetto!›› disse digrignando i denti e contemporaneamente, massaggiandosi la tempia dolorante. Di conseguenza, riprese a giocare con il telefono.

‹‹Smettila di giocare con quell’affare, Bill.›› disse sua madre, seduta sul sedile dietro al suo. ‹‹E da quando siamo saliti che non lo lasci. Prendi pace e mettiti a dormire.›› in quel momento, avrebbe voluto urlare ma, visto che non era il solo in quel maledettissimo pullman, decise di ignorarla completamente; anche perché, così facendo, avrebbe svegliato sua sorella – seduta accanto a lui. – e senza dubbio, avrebbe cominciato ad imprecare, picchiandolo senza sosta. Fece un profondo respiro. Quel viaggio era partito male. Molto male.

‹‹Non riesci mai una volta ad abbozzare un sorriso.›› si intromise il padre, parlandogli nel dormiveglia.

‹‹Scusatemi se non salto dalla gioia per questa fottutissima crociera!›› continuò, riprendendo a smanettare e a mandare messaggi alla sua migliore amica Sarah. ‹‹Scusatemi se avrei preferito rimanere a Berlino, senza dover affrontare un’ora di aereo per venire qui in Italia e, subito dopo, prendere un cazzo di pullman ed affrontare altre due ore di viaggio.›› senza mai distogliere lo sguardo dal cellulare, iniziò ad avere una discussione con i suoi ma, visto il loro entusiasmo per il dannato viaggio, decisero di ignorarlo. Sentì Simone sbuffare e bisbigliare a Gordon un lascialo perdere.

Esatto. Era proprio ciò che voleva in quel momento. Essere lasciato in pace.

‹‹Ma la volete piantare voi di tre di torturarmi? Sto cercando di dormire, grazie!›› come immaginava, Heidi si destò dal sonno. ‹‹Tappati quella boccaccia, Bill e mettiti a dormire anche tu.››

Nonostante la noia e la rabbia che ribolliva nelle vene, decise di lasciare il cellulare, mandando un ultimo messaggio a Sarah:

‘La nave dovrebbe salpare alle dieci e mezzo. Non appena sarò salito a bordo, non potremmo sentirci per una settimana. Già mi manchi un sacco. Non volevo venirci, cristo. Avrei preferito restare lì a Berlino.’

Prima di riporre il cellulare nella borsa, lo senti vibrare qualche istante dopo.

‘Non essere il solito musone, Bill. La crociera è una bellissima esperienza. Te lo posso assicurare. Cazzo, hai ventiquattro anni e, delle volte, mi sembri un bambino di dodici. Non scappo da nessuna parte, idiota. Non appena avrai del tempo (anche se suppongo che no ne avrai molto visto che ti divertirai come un matto) mandami un messaggio; ma ricordati: in primis, divertiti. Un bacio, Bì.’

Sebbene si fosse avvelenato la giornata, Sarah riuscì comunque a strappargli un sorriso dalle labbra. Le mandò un messaggio flash con una semplice emoticon e ripose il cellulare nella borsa con tutti i suoi effetti personali; successivamente, infilò cautamente una mano nella tasca dei jeans, alzando leggermente il sedere dal sedile, dimodoché potesse afferrare l’mp3. Tuttavia, visto che non riusciva a prendere ancora sonno, non aveva altra scelta se non quella di perdersi fra le note della musica. Cominciò a scorrere rapidamente la playlist, trovando diverse canzoni che non ascoltava dai tempi del college, come ad esempio: Living Dead Girl di Rob Zombie. Sorrise inconsciamente, vedendo quella canzone sull’mp3. Ascoltarla, lo avrebbe senza dubbio aiutato a scaricare la rabbia e il nervosismo che, quella maledetta mattina, non avevano alcuna intenzione di abbandonarlo. Pigiò sul tasto play e lasciò che la graffiante voce di Rob, entrasse nelle orecchie, scorrendogli poi nelle vene come pura eroina.

Crawl on me
Sink into me
Die for me
Living Dead Girl

Socchiuse gli occhi e provò a riposarsi: senza dubbio, l’imbarco, sarebbe stato molto peggio del viaggio in sé. La loro vacanza, doveva ancora iniziare e già non vedeva l’ora che finisse. Dopo svariati tentati di prender sonno, finalmente riuscì a trovare la sua pace.

Tutto però, ha una fine e, quella del proprio sonno, arrivò molto prima di quanto pensasse.

L’autista frenò in maniera poco delicata. Bill urtò con una certa violenza la fronte contro il sedile dinnanzi. Imprecò ancora una volta.

‹‹Giuro su Dio che denuncerò l’imbecille che ha patentato quel ciccione.›› sua sorella, dal canto suo, era già sveglia da un po’.

‹‹Sei un povero imbecille, Bill.›› sogghignò, mentre cominciava ad alzarsi dal suo posto. Lui decise di ignorarla e, una volta liberato il suo sedile, decise di alzarsi anche lui.

‹‹Dio mio. Sento il profumo della libertà, lì fuori.›› si stiracchiò, tirando indietro le braccia e facendo qualche esercizio di stretching – poco appropriato in quel luogo – per poter riacquistare la sensibilità delle gambe.

‹‹Bill, c’è gente che deve passare.›› disse Gordon, dandogli alcuni colpetti sulla spalla per avvertirlo che, con un ginocchio alzato e un braccio teso di lato, stava letteralmente bloccando quel piccolo corridoio dell’autobus che conduceva all’uscita. Si rimise composto e guardò dietro di sé. Rise leggermente vedendo l’espressione di stizza della gente.

‹‹Ti diverti con poco, Bill.›› affermò Simone. Non replicò la sua protesta, in quanto più che vera. Ad ogni modo, dopo aver ripreso la sensibilità di braccia, gambe e soprattutto glutei, si avviò verso l’uscita. Ovvero: La libertà.

Non appena mise piede fuori, sentì la brezza del mare penetrargli nelle narici. Erano secoli che non sentiva il suo profumo. Inspirò a pieni polmoni ed espirò in un colpo solo. Gli scappò un colpo di tosse per via della nicotina presente nei suoi polmoni.

‹‹E tu che non volevi venire. Guarda che spettacolo, Bill.›› disse Heidi, indicando una maestosa nave. Rimase sbigottito. Senza parole. Non avrebbe mai immaginato che una nave, potesse essere così bella. Sgranò gli occhi e, inconsapevolmente dalla sua bocca, uscì un sonoro ‘Wow’. Heidi gli diede una gomitata sul fianco, accompagnato da una risatina sarcastica.

‹‹Te l’avevo detto che ti sarebbe piaciuta. Smanetti tanto quel cellulare e non hai nemmeno avuto la curiosità di andare a vedere quale fosse l’aspetto della nave.›› proseguì poi. Obiettivamente, non poteva darle torto. La nave era bellissima. Imponente. Fantastica. Ma si picchiò mentalmente per aver esternato il suo entusiasmo in maniera così evidente.

Per pura curiosità, chiese quale fosse il nome della nave. Non che se ne fregasse qualcosa, certo.

‹‹Preziosa›› intervenne sua mamma mentre si affannava a prendere i bagagli. ‹‹Tranquilli, non vogliamo una mano.›› aggiunse poi Gordon con tono sarcastico, più affannato di Simone. Lui e Heidi risero, dirigendosi verso il fianco destro della corriera per poter aiutare i loro genitori.

‹‹Ma perché diamine hai portato tutta questa roba?›› espose in seguito il padre, tirando fuori la sua quinta – o forse era la sesta – valigia da fuori l’enorme bagagliaio.

‹‹Pretendi che per una settimana mi debba mettere gli stessi vestiti? Ma assolutamente no.›› diede automaticamente una risposta alla propria domanda.

‹‹Sei peggio di tua sorella.›› disse poi Simone tirando fuori un’altra valigia – sempre una delle sue –

Una volta uscite tutte, si pose un piccolo problema: come trasportare fino al ponte d’imbarco le valigie?

‹‹Cristo. Cristo. Cristo.›› si schiaffeggiò la fronte ripetutamente, dandosi istintivamente dello stupido. Di sicuro, la marea di gente che passava di lì, se l’avesse visto, gli avrebbe senza dubbio dato dello svitato. Ma come diamine avrebbe condotto per circa trecento metri le sette valigie? Cercò una probabile ma quasi impossibile soluzione: senza un piccolo aiuto non avrebbe concluso proprio un cazzo. Guardò con occhi speranzosi sua sorella che, non appena incrociò lo sguardo, lo fulminò istintivamente:

‹‹Te lo scordi che ti porto i bagagli. Avessi portato meno roba, facendo come me: due valigie e un borsone. E stop! Arrangiati da solo.›› Con non curanza e aria altezzosa, gli passò davanti, lasciandolo come uno stoccafisso. Provò a rivolgere lo sguardo ai genitori ma la risposta fu abbastanza chiara: entrambi erano impossibilitati in quanto avevano già le mani occupate da una o più borse.

‹‹Maledizione!›› imprecò, dandosi nuovamente del coglione. Il caldo, nonostante fossero le otto del mattino, era già insopportabile. Vide la sorella già a buona strada verso il ponte, i suoi invece, erano ancora lì a sistemare e a decidere come trasportare i bagagli. Erano impossibilitati tanto quanto lui.

Nel mentre, decise di mandare un messaggio a Sarah. Prese la tracolla. Gli ci volle un po’ a trovare lo smartphone. C’era di tutto nella borsa: fazzoletti stropicciati, buste di caramelle gommose, sacchetti di patatine, due custodie di occhiali da sole – vuote – protezione solare, deodorante e altre cose che, nemmeno lui, sapeva come ci fossero finite lì dentro.

‹‹Eccolo finalmente!›› esultò, non appena se lo ritrovò fra le mani

‘Sono arrivato proprio adesso. La nave è davvero una favola. Ma ciò non toglie il fatto che avrei preferito rimanere con te. Ti voglio bene, Sarah. Ci risentiamo fra una settimana.’

Inviò il messaggio, ma non ebbe risposta. Sarah fu molto chiara: avrebbe voluto che si divertisse, e non che si autocommiserasse.

Una volta riposto il cellulare nella borsa, notò che i suoi genitori si erano incamminati; quanto ad Heidi, si era fermata a metà strada e, con stizza, cominciò ad agitare le braccia e a far gesti inconsueti per invogliarli a sbrigarsi. Lui non aveva ancora trovato una soluzione con i bagagli.

Diede un calcio alla valigia, facendola cadere in terra. Stava quasi per decidere di lasciarle lì quando.. un miraggio: un tizio di colore – probabilmente indiano – stava passando proprio con un carrello adatto al trasporto dei bagagli. Gli si illuminarono li occhi dalla gioia. Lo chiamò agitando misericordiosamente le braccia.

Il tizio si avvicinò.

‹‹Grazie a Dio. Mi può dare una mano con i bagagli, per cortesia?››

Di tutto si sarebbe aspettato, tranne il fatto che quel tizio non lo comprendesse. Lo guardò stralunato. Provò a parlargli in inglese e, nemmeno questa volta, riuscì a spiegarsi. Decise di intraprendere una strada differente: quella dei gesti.

‹‹Bagagli.›› indicò con entrambi gli indici la propria roba, poi li rivolse sul carello dell’uomo e, infine, indicò la nave. ‹‹Carrello. Nave. Okay?››

‹‹Nave. Sì. Capito.›› l’indiano annuì convulsivamente. Dopodiché cominciò ad afferrare i propri bagagli, uno per uno, per poi metterli sul carrello. Si sentì soddisfatto in quel momento, ma lo diventò ancora di più quando vide i suoi familiari ammazzarsi di sudore per poter trasportare la loro roba. Lui, invece, stava finalmente gustandosi la sigaretta senza alzare un dito.

‹‹Sei un bastardo, Bill.›› confessò sua sorella una volta che Bill le si avvicinò. Si lasciando scappare un sorriso. Lui sogghignò contento.

‹‹Ho sempre una soluzione per tutto, sorella. Sappilo.››

Il bello però, doveva ancora arrivare.

Non appena giunsero al ponte per l’imbarco, al suo ingresso, c’era uno stand decisamente troppo affollato. Il suo porta-valige cominciò ad agitare – secondo Bill, senza motivo – il braccio destro, indicando quello stand. Non riuscì a capire cosa volesse intendere.

‹‹Inside. Inside.›› continuava a ripetere, sempre indicando quel luogo. Lui lo guardò basito. Volse lo sguardo a sua sorella e, facendo dei cerchi concentrici immaginari vicino la tempia, fischiò come per dire: ‘questo è fuori di testa’. Heidi gli mollò un pugno sulla spalla.

‹‹Ahio! Ma che sei impazzita? Mi hai fatto male, cretina.›› si massaggiò la parte colpita e, per vendicarsi, cercò di tirarle un calcio ma, ovviamente, lo tirò all’aria volutamente. Non avrebbe mai seriamente colpito la sorella. Mai.

‹‹Sei tu rincitrullito, Bill. Abdul ti stava solo avvertendo che i bagagli dobbiamo lasciarli lì dentro. Ce li trasporteranno loro direttamente fuori dalle nostre cabine.››

Abdul?

‹‹Non ti sei chiesto a cosa servissero le etichette con il numero della nostra cabina?››

Guardò il padre con aria indifferente e scosse la testa. Non gli fotteva nulla della vacanza, figuriamoci delle etichette sulle valigie. ‹‹Adesso lo sai.››

Alzò le spalle e abbandonò Abdul – anche se quello non era affatto il suo nome – con tutta la sua roba. Prima di allontanarsi però, gli puntò l’indice con fare minaccioso.

‹‹Ti tengo d’occhio.›› mimò poi con la bocca. Ovviamente, non lo capì. Vide sparire lui e il carello con i bagagli all’interno di quello stand.

‹‹Da questa parte, signori.››

Una paffuta e tozza signora – avrà avuto poco più di trent’anni – indicò loro di andare alla sua sinistra ove, ben presto, si sarebbero imbarcati su quella lussuosa nave. Da vicino, pareva ancora più possente e maestosa. Faceva la sua figura, doveva ammetterlo.

Possibile che in Italia tutte le persone siano grasse? Non conoscono il concetto di attività fisica? Mah!

Davanti a loro, c’erano un centinaio di persone di diverse nazionalità. Riconobbe anche dei tedeschi, fra loro.

Stavano proseguendo in maniera talmente lenta, che gli parve restare fermo. Si passò lentamente una mano sul viso, sull’orlo di una crisi di nervi. Avrebbe voluto fumarsi l’intero pacchetto di Marlboro Light.

‹‹Dio santo, ci stiamo mettendo un’eternità!›› sbottò Heidi, spostando il suo peso da un piede all’altro. Ripeté quest’operazione per circa tre volte, in meno di trenta secondi. Sbuffò ancora e ancora. Lui la seguii a ruota.

‹‹Ragazzi, per favore. Si comporta meglio quel bambino davanti a noi. Siete entrambi adulti, eppure assumente un comportamento da poppanti.››

Simone, ormai esausta anche lei, si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzolettino di carta e, inutilmente, tentò di sventolarsi lo stesso dimodoché potesse smuovere un po’ d’aria. Vedendo quel gesto del tutto inutile, decise di rinunciarci e di proseguire con la mano.

‹‹Non ce la faccio più. Fa un caldo insopportabile.›› frugò nella sua borsa e prese una bottiglietta d’acqua. Ne bevve due sorsi, dopodiché ne diede un po’ ai loro figli. L’ultimo fu Bill – la finì in un batter d’occhio –

‹‹Se avessi saputo che una vacanza fosse così faticosa, giuro non l’avrei mai fatta.›› confessò Gordon. Dopotutto, non aveva tutti i torti. Erano ammassati come bestie, sudanti e morenti. Un concerto Rock-metal, sarebbe stato meno distruttivo.

Bill si passò le mani sulla parte rasata della testa; subito dopo la scostò al ciuffo biondo che pendeva – sfatto – sul lato sinistro della fronte.

No ne posso più.

‹‹Bill, questa sera andiamo in discoteca, d’accordo? L’ho vista sulla brochure. È meravigliosa…e..››

‹‹Heidi›› la interruppe. ‹‹Non voglio pensare a questa sera. L’unica cosa che voglio fare, non appena metterò piede sulla nave, è andarmene in cabina, farmi una doccia fredda e gettarmi sul letto.››

‹‹..e poi la pista è proprio come quella che si vede nei film. C’hai presente? La palla, le luci, i riflettori..››

Ma con chi parlo? Con un muro, forse?

Heidi non diede minimamente retta a ciò che disse. Cominciò a blaterare e farneticare di come si sarebbe vestita quella sera per andare a ballare. Non si rese conto che non la stava minimamente ascoltando. Difatti, continuò a cincischiare da sola. Sentiva la sua voce come un eco. Sempre più lontana.

Si massaggiò le tempie. Era una cosa estenuante. Avrebbe preferito morire seduta stante su quel fottuto molo. D’un tratto, sentì una potente gomitata perforargli quasi un polmone. Imprecò come un ossesso.

‹‹Ma dico sei impazzita? Mi rompi le costole, imbecille.›› ringhiò alla sorella. Delle volte, assumeva lo stesso comportamento infantile di Bill. Sebbene avesse anche lei ventidue anni.

‹‹È il nostro turno, salame. Vedi di svegliarti.›› lo prese per un lembo della maglietta e lo trascinò con sé. ‹‹Non ti staccare da me nemmeno per sogno, okay?›› gli disse poi, sempre tenendolo stretto. Bill non poté fare a meno di sorridere, aggiungendo un sarcastico: ‘sì mammina’.

Afferrò delicatamente Heidi per un polso che, a sua volta, era stato afferrato da Simone che, a sua volta, era stata afferrata da Gordon. In quel momento, avevano creato una vera e propria catena umana, la quale era capitanata dalla minore della famiglia.

Raggiunsero ben presto il metal-detector. Bill lo guardò con aria sconvolta. Di certo sarebbe scattato se non si fosse tolto tutti i piercing che aveva. Ma non poteva mica farlo. Ci avrebbe messo un’eternità a rimetterli. Heidi passò tranquillamente.

Bill guardò la ragazza-balena di prima con aria supplichevole.

‹‹Non mi dica che devo togliere tutti i miei piercing. Non posso.›› le disse Bill. La ragazza gli rispose correttamente in tedesco ma, il suo accento, era del tutto storpiato. Bill storse il naso in una smorfia di disgusto verso la ragazza.

‹‹Non c’è bisogno di toglierli. La devo solo perquisire per vedere se ha qualcosa che possa destare sospetto. Nel caso in cui dovesse suonare – cosa molto probabile visto i suoi innumerevoli piercing – la farò ugualmente passare, in quanto saprò che son quelli la causa. Ovviamente dovrò ripetere questa operazione più di una volta per averne la certezza. Mi sono spiegata?››

Sospetti? Le sembro per caso un rapinatore o un trafficante di droga?

Lui annuì freddamente, senza batter ciglio. Sarebbero stati i minuti più imbarazzanti di tutta la sua vita. Si morse convulsivamente il labbro in prossimità del piercing destro. Sfilò la cintura e la posò assieme agli occhiali, all’orologio, al cellulare e ad altri effetti, in un contenitore rosso e lo fece passare sul nastro scorrevole. Successivamente, toccò a lui passare sotto il metal-detector e, come previsto, si mise a suonare. Bill avvampò. Trattenne il fiato e sperò che nessuno lo stesse osservando ma, ovviamente, tutti gli occhi erano puntati su di lui. Guardò dietro di sé e vide la marea di gente che lo fissava con aria seccata. Dopotutto, erano esausti tanto quanto lui.

La ragazza le passò un attrezzo lungo tutto il suo corpo. Suonò non appena lo avvicinò ai suoi anfibi.

‹‹Tolga le scarpe e le metta nel contenitore assieme all’altra roba, cortesemente.››

Bill in quel momento, voleva solo sprofondare dalla vergogna. Heidi, intanto, era piegata in due dalle risate, mentre si gustava la scena alquanto imbarazzante, del fratello. Bill, le giurò che dopo avrebbero fatto i conti. Si sfilò via gli anfibi e li posò – come richiesto – all’interno di un altro contenitore, facendolo passare nuovamente all’interno del nastro trasportatore.

‹‹Bene, passi nuovamente.›› Bill obbedì senza esitare e, come temeva, suonò ripetutamente. Avvampò di più. Constatò di aver sentito qualcuno ridacchiare. Si voltò ex novo, e vide un ragazzo alquanto strano, ridere sotto i baffi. Avvertendo di essere stato sgamato, fece il vago; guardando da tutt’altra parte e grattandosi dietro la nuca. Bill alzò un sopracciglio e schioccò la lingua.

Voglio proprio vedere se nascosta sotto tutti quei rasta neri, non ci sia della droga.

Si trovò a pensare Bill, decisamente irritato dal fatto che qualcuno stesse ridendo della sua – già imbarazzante – situazione.

‹‹Dio signorina, non mi posso denudare completamente? Almeno questo arnese la smette di suonare. Le ho detto che sono i piercing!›› Disse lui, ormai disperato.

La ragazza lo guardò stranita. Passò nuovamente l’aggeggio di prima sul suo corpo, questa volta concentrandolo vicino al viso – più specificatamente – accanto ai piercing. Suonò.

‹‹Okay, son proprio questi che fanno scattare il metal-detector. Può passare, adesso.››

Bill avrebbe voluto ucciderla.

Era proprio quello che stavo tentando di dirti, cicciona.

Avrebbe voluto gridarle Bill, ma ovviamente, non disse niente. Le sorrise in maniera talmente falsa, da dar fastidio persino a se stesso. Si infilò goffamente gli anfibi, si allacciò nuovamente la cintura e, finalmente, fu libero.

‹‹Dio, no ne potevo più.›› disse raggiungendo la sorella. Heidi sorrise, dandogli un buffetto dietro la nuca.

‹‹Sei sempre il solito coglione, Bill. Abbiamo perso un sacco di tempo per colpa tua.››

‹‹E cosa vuoi da me?›› aggiunse Bill, mettendosi sulla difensiva. Heidi lo guardò con aria interrogativa, assumendo la medesima espressione che attribuiva il fratello. Delle volte, erano tali e quali.

‹‹Nulla.›› cominciò. ‹‹Solo che ci hai rallentato di ben dieci minuti!›› concluse infine, aprendo a ventaglio le mani. Bill sbuffò. Non era affatto colpa sua. Si voltò un istante e vide i propri genitori dirigersi verso di loro. Il metal-detector non aveva dato cenni di vita.

‹‹Bene, credo che finalmente siamo pronti per iniziare la nostra vacanza!›› espose Gordon felice e avvolgendo le braccia attorno alle spalle dei propri figli, baciandoli successivamente sulle tempie. Bill fece una smorfia, allontanando il padre tendendo le braccia in avanti. Aveva già avuto la sua dose mattutina di imbarazzo; no ne voleva dell’altro.

‹‹Mica ti fa male del sano affetto, eh Bill?›› Simone corrugò la fronte, scherzosamente. Conosceva benissimo il figlio. Non adorava le smancerie. Soprattutto in un luogo così affollato e pubblico.

‹‹Sì, ho capito. Ma non sono un neonato.›› aggiunse poi, aggiustandosi la tracolla sulla spalla. Gordon allora lo trattò da vero uomo. Gli diede una pacca sulla spalla.

Risero entrambi.

D’un tratto, le loro risa, vennero improvvisamente sopraffatte dal tremendo bip del metal-detector. Bill si voltò istintivamente. Rise di gusto quando riconobbe la persona che lo fece scattare: era proprio il ragazzo con i dreadlocks neri che, fino a qualche minuto fa, stava ridendo di lui.

Chi la fa, l’aspetti.

******

Note: buon pomeriggio gente (: ed eccomi qui, con una nuova e fresca FF (fresca non tanto, in quanto è già da qualche mese che la sto scrivendo) A differenza di 'Ti ricordi di me?' questa NON è finita ma ho già pronti sei capitoli: il settimo è ancora da iniziare. Adesso vi racconto un po' da dove è nata l'idea di questa storia anche se è molto intuitivo. L'anno scorso, ho fatto la mia seconda crociera, infatti, i luoghi che verranno trattati all'interno di questi capitoli, sono proprio quelli che ho visitato io. La nave citata, non è quella su cui sono andata, bensì un'altra. Per quanto riguarda invece gli altri fatti che accadranno qui dentro, in parte sono tratti dalla mia esperienza durante la vacanza, altri inceve puramente inventati, come ad esempio questo primo capitolo. I fatti che vanno giudicati in un certo senso 'reali' sono maggiormente i luoghi visitati e.. un'altra cosa che momentaneamente preferisco non rivelarvi (: Detto questo, ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno. (apro una piccola parentesi: sono fiera e molto felice di aver riscontrato un bel successo con la mia prima FF 'Ti ricordi di me?' spero che anche con questa, potrò suscitare interesse. Posso garantirvi che è molto bella, come storia. l'ho già tutta in mente.. devo solo buttarla giù sul foglio di word.. perchè, se ho deciso di scriverla, è perchè ne vale realmente la pena. Spero vi piaccia. Un bacio. Vale). PS vi consiglio di vedere il trailer, lì spiega parte della storia.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


- Capitolo 2 -

Paradisiaco.

Fu l’unico aggettivo con il quale, la famiglia Kaulitz, riuscì a commentare quel luogo fantastico. Non appena varcarono la soglia, la loro attenzione venne immediatamente catturata da una possente e vistosa scala in swaroski e luci bianche. Era talmente abbagliente, che li parve di accecarsi.

‹‹Porca puttana!›› esclamò Bill, portandosi entrambi le mani sulla bocca per coprire il suo stupore. Non aveva mai visto una cosa simile. Ovviamente, la scala, era solo una goccia in mezzo all’oceano. Gli bastò guardarsi intorno per poter ammirare il resto della ‘sala d’accoglienza’: c’era un bellissimo ascensore di vetro che portava ai successivi piani della nave; un salottino molto confortevole di tessuto rosso; un fantastico piano forte a coda che, ovviamente, veniva dolcemente accarezzando da un musicista altrettanto fantastico. Logicamente, il pianista, suonava la melodica musica del film Titanic.

‹‹Mio dio, Bill. Non ho mai visto un luogo del genere. Forse solo nei miei sogni.›› ammise Heidi, rimasta altrettanto sbigottita. ‹‹E tu che non ci volevi venire, qui!›› gli fece notare la sorella, dandogli una spinta.

Bill rimase impassibile. Continuava a guardarsi intorno e cercare di mettere a fuoco ciò che aveva dinnanzi ai suoi occhi.

‹‹Mamma, tirami un pizzico. Forse sto sognando.›› continuò poi lui, rivolgendosi alla madre. Simone sorrise e, ovviamente, gli diede un pizzicotto sul sedere. Bill si tirò immediatamente indietro, spaventandosi e al contempo, vergognandosi dell’atto appena compiuto. ‹‹Mamma! Stavo solo scherzando. Non dovevi farlo sul serio.›› proferì poi, ridendo contemporaneamente. Simone fece lo stesso.

‹‹Bene. Credo che dovremmo andare nella nostra camera, fra qualche ora la nave salperà e non ho alcuna intenzione di perdermi la partenza.››  Fece notare Gordon. Tutti risposero con un cenno del capo.

Bill si sistemò meglio la sua tracolla porta-oggetti e la preziosissima borsa con all’interno la sua vita: la Reflex. Aveva giurato che avrebbe immortalato qualsiasi cosa, luogo, animale, oggetto inanimato, che avesse catturato la sua attenzione. Adorava la fotografia più di qualsiasi altra cosa al mondo. Avrebbe ucciso, per difendere la sua Camera. A nessun essere vivente – eccetto lui – era dato il permesso di toccarla o tanto meno guardarla. Solo ad un distanza di sicurezza di almeno due metri o, se proprio insisti, in mano mia. Diceva sempre lui. 

‹‹Nemmeno io. Voglio fotografare il mare visto da qua su.››  esternò poi Bill, dando dei colpetti leggeri alla sua borsa.

‹‹E tu eri quell’asociale che non voleva venire.››  gli fece notare per la miliardesima volta Heidi. Bill, scocciato, sbuffò pesantemente.

‹‹Vedi che non ho detto che mi divertirò; sono ancora del parere che avrei preferito passare le vacanze con la mia migliore amica; ma una cosa è certa: questo posto è fantastico.›› 

Heidi, scherzosamente, gli fece il verso. Bill decise di non darle più retta.

*

‹‹A che piano siamo noi, Simone?››  chiese Gordon.

‹‹Decimo. Camera 10483. Abbiamo quella con il balcone.›› 

‹‹Io dormo sopra!›› ammise Bill.

‹‹Ma se non sai nemmeno qual è l’aspetto della camera.›› 

Gordon scosse la testa. I suoi figli, non sarebbero mai cambiati. Decisero di prendere l’ascensore. Con loro, c’erano altre quattro persone. Probabilmente italiani, avrebbe giurato Bill. Avevano però uno strano accento. Non conosceva affatto l’italiano perché non c’era mai stato e, purtroppo, non aveva avuto nemmeno il tempo di visitare Venezia; uno dei luoghi più belli dello stivale.

‹‹Qual è l’itinerario, cara?›› disse d’un tratto Gordon, rivolgendosi alla moglie. Simone, entusiasta, prese la brochure da dentro la borsa e, scandendosi per bene la voce, cominciò ad elencare le varie città che avrebbero visto.

Venezia, Bari, Katakolon, Santorini, Atene, Corfù e Dubrovnik.     

‹‹Quindi, la prossima tappa sarà Bari?››  intervenne Heidi, seguendo con lo sguardo la gente che usciva dall’ascensore. Erano arrivati a sesto piano e si era già fermato ben tre volte. Mentre uscivano quelle suddette persone, nel frattempo ne erano salite delle altre; questa volta, cinesi.

‹‹Sì, tesoro. Ma ci fermiamo solo al porto per far salire a bordo gli altri passeggieri. Non è una vera e propria tappa, ma se vogliamo visitare la Città Vecchia, possiamo farlo benissimo.›› 

‹‹Scendere dalla nave?››  esordì Bill sconvolto. ‹‹Non pretenderai che io mi metta a girare tutte le città che hai elencato, spero. Non ho alcuna intenzione di abbandonare la nave, se non stiamo affondando.››  continuò poi. Sua sorella scoppiò a ridere.

‹‹Perché pensavi che fossimo rimasti qui senza far nulla? Mi sembra una cosa più che logica scendere ad ogni tappa. Quando mai ti capiterà di rivedere queste città, Bill? E poi non hai detto di fotografare qualsiasicosaattraggalamiaattenzione?››

Touché. Ma lui sapeva come controbattere anche se, contraddire Simone, era una battaglia persa a prescindere.

‹‹Sì, ma io intendevo qualsiasicosaattraggalamiaattenzione.. qui dentro.››  tentò a specificare. Gordon roteò gli occhi.

‹‹Senti Bill, sei abbastanza grande da decidere quello che vuoi…›› proseguì il padre. Bill stava per tirar su un sospiro di sollievo. ‹‹Ma per questa volta, decidiamo noi. Non ti permetto di poltrire tutto il giorno.››

Bill spalancò gli occhi e la bocca. Davvero lo avrebbero costretto a fare un qualcosa che non avrebbe voluto? Stava per controbattere quando Heidi, gli fece notare che non erano i soli nell’ascensore. La gente, stava già guardandoli in maniera interrogativa.

‹‹Va bene, ma non finisce così.›› si poggiò con la schiena contro la parete di vetro dell’ascensore. La sensazione, se avesse guardato alle sue spalle, era come quelle di essere sospesi nel vuoto. Tra l’altro, era davvero così.

Decise di non fare scenate in mezzo alla gente, per questo incrociò le braccia al petto ed attese che quel dannato ascensore giungesse al loro piano. Il suo entusiasmo stava già affievolendosi.

*

Il corridoio, era più un labirinto che il resto. Sembrava non arrivasse mai la loro porta.

10321, 10323, 10325

‹‹Secondo me abbiamo sbagliato entrata. Mancano più di cento camere, prima di arrivare alla nostra.›› fece notare Heidi ma, ovviamente, nessuno prese in considerazione quello  che disse. ‹‹L’avevo detto che dovevamo prendere la seconda entrata.››

‹‹Ma la vuoi piantare di farneticare, Heidi? Come può la nostra camera trovarsi nei numeri pari? Se non ti fossi accorta, l’entrata che intendi tu, aveva solo numeri pari.›› disse Bill con aria di superiorità. Si permise di farlo in quanto – oltre al fatto di essere altamente logorroico e pieno di sé – aveva anche ragione; difatti, lei, non replicò. Si limitò solo ad accennare un ‘ah’ molto tirato. Detestava dare ragione al fratello.

‹‹Silenzio ragazzi, siamo quasi arrivati.››

10479, 10481, 10483. Finalmente.

Riconobbero immediatamente la loro camera per un solo motivo: c’erano circa una quindicina di bagagli. Occupavano quasi due metri di corridoio.

‹‹La mia amata roba!›› esclamò Bill, catapultandosi verso i suoi bagagli. Si inginocchiò e, come se fossero esseri viventi, ne abbracciò uno. Heidi lo guardò con aria esterrefatta.

‹‹Tu stai male, fratellone. Sul serio, non sto scherzando.››

‹‹Fa silenzio. Non vedi che le sono mancato? Guarda la mia valigia di Louis Vuitton. Era in ansia per me.›› Heidi decise di non dargli corda.

Simone cominciò ad armeggiare nella sua borsa. Lì dentro c’erano le copie della chiave magnetica della loro stanza; una ciascuno.

‹‹Ecco, queste sono le vostre tessere. Oltre a fungere da chiave per aprire la camera, servono anche per fare degli acquisti. Le ho caricate con cento euro cadauna. Mi raccomando, usatelo con parsimonia.›› pronunciò quelle due frasi con un tono leggermente più duro. Era palese che fosse riferito ai suoi figli. Loro la cantilenarono, dicendo che non avrebbero sperperato il denaro in cazzate.

Simone ci credette poco. Dopotutto, aveva tutte le sue buone ragioni per non farlo.

‹‹Allora, siete pronti a vedere la nostra stanza?›› disse Simone tutta eccitata; anche il resto della famiglia lo era; persino Bill, anche se non l’avrebbe mai e poi mai dato a vedere.

Bastò inserire la tessera all’interno dell’apposita fessura magnetica, per aprire con un sonoro ‘clack’ la porta della stanza. Non appena dischiusero leggermente la porta, una potente luce solare illuminò i loro volti. La stanza era bellissima. Si sentiva un profumo delicato misto a lavanda, pulito e aria salmastra. Sul letto c’erano due girasoli sotto i quali c’era un biglietto – presumibilmente l’itinerario della serata e il benvenuto da parte del capitano – Non era molto grande come camera, ma nemmeno troppo piccola. Era suddivisa in due zone: la camera con il letto matrimoniale, e piccola parte dedicata ad altri due letti. Il bagno, invece, era situato sulla destra appena si entrava nella stanza. Era leggermente angusto, come luogo, ma lo spazio era necessario almeno per due persone.

La moquette era verde a fantasia, come il resto della stanza, oltretutto. L’unica cosa a differenziarsi – molto probabilmente – dalle altre stanze, era senza dubbio la visuale. Era meravigliosa.

‹‹Accidenti. Non trovate che sia fantastica?›› fece notare Simone. Tutti annuirono, compreso Bill – anche se non era ancora del tutto convinto. –

‹‹Io non so dove metterò tutta la mia roba. Credo che sotto al letto, non ci sarà posto per i mostri.›› scherzò poi, strappando un sorriso sia alla sorella, che ai suoi genitori.

‹‹Credo che avrai un po’ di lavoro da fare, Bill. Io di certo non ti aiuto a trasportarle una per una.››

‹‹Nessuno ha chiesto il tuo aiuto, Heidi.›› sbuffò poi.

Lei entrò per prima, saltellando come se fosse una bambina di cinque anni alla quale era stato regalato un nuovo giocattolo o comperato un maxi cono gelato; poi fu la volta di Simone e Gordon.

Bill fu ultimo, in quanto la sua attenzione venne improvvisamente catturata da un forte baccano provenire dal corridoio. Si udivano passi – o forse qualcuno stava correndo – che echeggiavano sordi sulla moquette, accompagnati da risa e grida alquanto fastidiose. Bill – oltremodo curioso – si sporse leggermente e, prima che potesse accorgersene, fu travolto.

Venne spintonato con una certa violenza sul muro, provocando un suono alquanto acuto. Rimase senza parole.

‹‹O my God. Sorry, sorry!››

Un ragazzo – a quanto pare non tedesco – si scusò con lui per l’accaduto, ovviamente senza realmente fermarsi. Bill lo fissò con aria stupita, restando con occhi e bocca spalancati. Una mano sul petto per accentuare il suo ‘scandalo’ mentre vedeva il ragazzo moro allontanarsi a grandi passi da lui. Una trentina di metri dopo, lo vide fermarsi. Era arrivato alla sua camera, forse?

‹‹Ma..Ma..›› blaterò poi, una volta focalizzato chi fosse quel ragazzo. ‹‹Quello è il pezzo di merda che mi ha riso alle spalle!›› strinse i pugni,  con l’intento di andare lì e dirgliene quattro. Non lo fece, in quanto no ne valeva realmente la pena; tra l’altro poi, era già sparito all’interno della sua camera, assieme ad altri quattro ragazzi. Bussare alla sua porta, non era per niente il caso. Non voleva passare per uno stupido, ma tanto meno per uno smidollato. Di sicuro, se e quando l’avesse rivisto, gli avrebbe senz’altro fatto notare il suo comportamento sconsiderato.

*

‹‹Bill, dove hai  deciso di mettere la tua roba?›› Disse Simone dalla sua parte di stanza, mentre Bill era in bagno a farsi una doccia fredda.

‹‹Sotto al letto. Lascia stare, me la vedo io appena uscito dalla doccia.›› urlò lui di risposta. Stava facendo in fretta e furia in quanto, tra meno di un’ora, la nave sarebbe salpata e non avrebbe perso la partenza per nulla al mondo.

Il piatto doccia, era abbastanza stretto e piccolo. Lui ci entrava a malapena. Era troppo alto. Cercò di arrangiarsi alla meno peggio.

Alzò il  volto vero l’alto e lasciò che il getto freddo glielo bagnasse. I capelli si appiccicarono al volto e, con un gesto delicato della mano, li scostò. Una volta fattosi almeno due shampoo e una maschera nutriente per i suoi capelli – ovviamente tutti prodotti naturali portati da casa – passò al bagnoschiuma all’acqua di rosa. L’aveva preso in prestito da sua sorella. Per preso in prestito, Bill, intendeva sempre fottuto.

Gli lasciava la pelle morbida e delicata come quella di un bambino, e profumava davvero di rosa. Non l’avrebbe mai restituito. Una volta uscito dalla doccia, andò alla ricerca di un accappatoio, ma trovò solo delle grandi asciugamani bianche che, senza dubbio, avrebbero sostituito il classico indumento post-doccia.

Sbuffò.

Mise i piedi sul freddo pavimento bianco, scivolando leggermente in quanto gocciolava da tutte le parti. Afferrò il grande asciugamani e si avvolse come uno strudel alle mele.

‹‹Mamma, dove hai messo le mie robe pulite? Le avevo messe qui sul water!››

Uscì in quelle condizioni. Ovviamente, Heidi, lo prese in giro.

‹‹Ma cosa ti sei messo addosso, Bill?›› disse piegandosi in due dalle risate. Bill cercò di non darle molta corda ma, istintivamente, si mise a ridere anche lui. ‹‹Sì, lo so. Sono inguardabile in queste condizioni, ma in questo momento è il mio ultimo pensiero. Devo trovare la mia camicia di lino bianca e i pantaloni in cotone. Li hai visti?›› continuò a rovistare un po’ nelle sue valigie, nella convinzione che Simone avesse rimesso a posto ciò che aveva scelto. Difatti, era così.

Bill afferrò la roba e, con non curanza, si denudò davanti alla sorella. Ovviamente, diverse volte l’aveva visto nudo e viceversa. Avevano un rapporto molto stretto – seppure alle volte si sfottevano – ma era proprio questo il motivo per cui erano così legati. Il loro legame divenne ancor più unito, soprattutto quando Bill, sei anni fa, le confidò di essere gay. Inizialmente, fu un duro colpo per Heidi ma, col tempo, riuscì ad accettarlo e provò così ad aiutarlo nell’affrontare il discorso con i suoi genitori che, stranamente, l’accettarono senza problemi. Lo sapevo già da un pezzo Bill. Gli disse Simone. A quattro anni, invece delle macchine Hotwheels, volevi i trucchi di Barbie. Prese molto bene quest’affermazione di sua mamma; sapeva che, in cuor suo, ci soffriva. Ma era così, e gli voleva ugualmente un gran bene.

‹‹Come sto?›› disse poi una volta vestito, rivolgendosi alla sorella. Heidi lo squadrò da capo a piedi, con occhi e bocca ridotti a due piccole fessure e con l’indice posato su quest’ultima.

‹‹Dico che, se non fossi stato mio fratello e non fossi gay.. sì, ti potrei violentare!››

‹‹Dio, Heidi. Sei sempre la solita!›› sbuffò poi in una risata Bill, aggiustandosi il colletto della camicia bianca. Anche Heidi era pronta ma, a differenza di Bill, lei indossava un semplice copri costume azzurro velato, un cappello di paglia ampio e delle zeppe.

‹‹Guardami Bill, non mi da l’aria di una turista americana?›› fece una piroetta su se stessa, mettendosi contemporaneamente dei grossi occhiali da sole bianchi. Bill l’osservò con aria divertita. Delle volte pensava a cosa avrebbe fatto,  se la sorella non facesse parte della sua vita.

*

Erano le dieci in punto. Mezz’ora e la nave sarebbe partita. Bill non sapeva il motivo, ma in un certo senso, era eccitato dall’idea di vedere la partenza. Aveva già fatto una ventina di fotografie. Al ponte, al molo, al mare, al porto, persino agli ombrelloni.

‹‹Guardami Heidi..›› cominciò, portandosi l’obiettivo davanti al volto. ‹‹Fatti fare una foto.›› Heidi si mise in posa, aprendo la bocca in un grande sorriso, mantenendosi li occhiali da sole versione X-L e, con quella libera, poggiandosi sulla ringhiera, mentre alzata leggermente indietro un ginocchio, facendo un angolo retto. Bill immortalò quel momento. Heidi aveva un bellissimo sorriso e, in foto, rendeva ancora di più.

‹‹Fammela vedere! Fammela vedere!›› disse poi, saltellando davanti al fratello. Bill girò dalla sua parte la Camera e le mostrò la fotografia appena scattata.

‹‹Sono venuta benissimo!›› disse in maniera altezzosa; ma Bill riusciva comunque a rovinarle – ovviamente in maniera giocosa – il suo entusiasmo.

‹‹Ma non sei tu ad essere bella, è la mia mano esperta e la Camera che fanno miracoli!›› disse ridendo. Heidi gli diede un pugno sulla spalla, dicendogli di smetterla.

D’un tratto, si sentì un forte suono sordo.

Stiamo per salpare.

Loro erano a poppa e, immediatamente dopo aver udito quel suono, cominciò a tremare. Heidi, istintivamente, si aggrappò alla ringhiera, avvolgendola con un braccio e, con l’altro, si aggrappò a quello di Bill che, comprendendo la sua lieve paura, l’afferrò di riflesso.

‹‹Sta tranquilla, Heidi, stiamo partendo. Vedi!›› indicò la schiuma che cominciò a formarsi sotto di loro. Il vento cominciò a soffiare leggermente più forte di quanto pensassero. Heidi si portò automaticamente una mano sul capo per sorreggere la sua paglia. Bill cominciò a scattare fotografie.

‹‹Bill, fa una foto a noi e tre, poi chiediamo a qualcuno se ce ne scatta una tutti assieme.›› così fece. Scattò prima la foto ai suoi famigliari, ma non cercò nessuno che potesse scattare la foto a loro quattro.

‹‹Mamma, non ti faccio nemmeno guardare da lontano la mia macchina fotografica, figuriamoci se la faccio toccare ad un perfetto sconosciuto. Potrebbe deturparmela oppure rubarsela o…››

‹‹Ma non fare il deficiente, Bill. Chi vuoi che la rubi?››

Bill la guardò perplesso. Nessuno sapeva realmente quanto lui tenesse a quella dannata macchina fotografica. Un netto e deciso ‘no’ interruppe una volta per tutte il discorso.  

*

‹‹Mio dio, sto letteralmente morendo di fame.›› esternò Heidi. Bill la seguì a ruota. Erano all’incirca l’una e mezza. Le passate tre ore dalla partenza, le avevano trascorse girovagando per la nave; diversi posti, colpirono Bill: particolar modo, la palestra, il teatro, il cinema, la discoteca e il ristorante. In fin dei conti, Heidi aveva ragione. Una bella serata in discoteca, non avrebbe fatto del male proprio a nessuno. Si sarebbe senza dubbio divertito; dopotutto, a chi non piaceva andare in discoteca? Si ballava, si fumava, si beveva, insomma: puro divertimento. Un conto era non ammette di divertirsi, un altro era quello di privarsi il divertimento per non ammetterlo. Bill non era così stupido da rovinarsi la vacanza solo per puro orgoglio. Ormai era lì, e aveva deciso che l’avrebbe vissuta al massimo. In fin dei conti, il dispetto l’avrebbe fatto a se stesso, se si fosse chiuso in camera per sette giorni.

‹‹Sai mamma..›› cominciò Bill, mentre si avviavano alla sala buffet.

‹‹Cosa, tesoro?››

‹‹Riflettendoci, mi sembra una cosa inutile non scendere ad ogni città che visitiamo. Dopotutto, quando mi capiterà più una cosa del genere, non trovi?›› gli fu molto difficile ammetterlo. Simone non disse niente. Gli accarezzò i capelli e gli diede un bacio sulla fronte. Gordon, invece, assunse un comportamento più da duro, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Heidi, invece, la classica gomitata spacca costole, nel torace.

‹‹E bravo il fratellino che ha deciso di aprire un po’ quegli occhietti da pesce lesso.›› Bill le fece scherzosamente il verso; dopodiché, una volta giunti a destinazione, rimasero senza parole.

La sala, oltre che immensa, era anche piena di gente.

‹‹Riusciremo a mettere qualcosa sotto i denti?›› ammise Gordon, vedendo la marea di gente seduta nella sala e, inoltre, che attendeva davanti ai banconi per essere servita.

‹‹Caro, c’è così tanto ben di Dio che, pensa te, viene addirittura buttato in mare, per quanto ne rimane.›› fece notare Simone. Heidi e Bill si sfregarono le mani e, contemporaneamente, afferrarono un vassoio per dirigersi verso la prima di una sfilza di banconi dove cuochi di varie etnie, erano indaffarati ed affannati per poter stare al ritmo della gente.

‹‹Bene, nel frattempo che voi discutete, io e Bill andiamo a riempirci la pancia; anzi, visto che ci siete, trovate un tavolo.››

C’era una grande varietà di scelte tra pasta, riso, contorni, secondi, pane, frutta, verdura, dolci. Il cibo, di sicuro, non mancava. Bill però, come sempre, era altamente fissato con un’alimentazione sana ed equilibrata e, di sicuro, non avrebbe voluto prendere dieci chili in una sola settimana. Il suo pranzo, era composto da: riso in bianco, due pezzi di pollo, insalata, patate e una banana.

Quando però vide il vassoio di sua sorella, rimase leggermente scosso. Heidi, a differenza, aveva preso di tutto e di più: tra patatine fritte, wurstel ed hamburger.

‹‹Heidi, non vorrai mangiarti quella spazzatura, vero?›› lei fece finta di non sentirlo e, per completare il tutto, aveva preso una generosa porzione di torta con panna e fragole.

‹‹Bill, una volta devo morire. Preferisco farlo felicemente.›› confessò poi.

‹‹Sì, anche io preferisco morire felice… ma non di certo voglio morire grasso!›› disse infine. ‹‹Ora dobbiamo solo cercare mamma e papà.›› proseguì poi, in cerca dei genitori. Era il loro turno, adesso.

Qualche minuto dopo, videro Simone sbracciarsi.

‹‹Eccoli, sono lì.›› si fecero spazio fra la gente, facendo attenzione a non rovesciare il proprio vassoio addosso a qualcuno e viceversa. Poco dopo varie sgomitate, riuscirono a raggiungere il loro posto.

‹‹Era ora, stavamo quasi per mangiarci il tavolo.›› Gordon rise e, in un batter d’occhio, si alzò e si diresse verso i banconi pieni di roba, seguito a ruota da Simone.

‹‹Mi viene il disgusto a guardarti mangiare quella roba, Bill. Non solo a casa, anche qui devi fare lo schizzinoso?›› Bill fece finta di non sentire e, di proposito, mangiò un pezzo di pollo proprio davanti a suoi occhi.

‹‹Ora che ho scoperto che c’è anche una palestra, puoi dire addio a tuo fratello maggiore. Perché passerò i miei pomeriggi lì dentro.››

‹‹Vedi di conservare un po’ di energie per la discoteca, Bill. Me l’hai promesso.››

‹‹Sì, Heidi. Ti ho detto di sì. Sta tranquilla.›› mandò giù un altro boccone di pollo e riso insieme. D’un tratto però, il suo sguardò venne distratto da qualcuno e si strozzò con quel boccone, provocandogli un sonoro colpo di tosse.

‹‹Ehi Bill, sta attento! Cosa c’è?›› Heidi scattò in piedi, si sporse in avanti e, con la mano destra, cominciò a battere dei forti colpi dietro la schiena del fratello. Bill, dal canto suo, fece capire ad Heidi che era tutto okay, facendo un gesto vago con la mano, continuando però a tossire.

‹‹Si può sapere che cosa ti è preso? Non riesci nemmeno più a masticare, adesso?››

‹‹Ma non fare la cretina…›› tossì ancora. Il suo sguardo, intanto, stava seguendo la sagoma perfetta di un ragazzo alto e slanciato, ben messo fisicamente. C’era solo un piccolo problema: aveva i rasta neri. Ciò significava una cosa sola: era proprio il ragazzo che lo aveva deriso all’imbarco e che, per poco, non lo scaraventava per terra.

‹‹Vedi quel ragazzo laggiù?›› disse indicando con lo sguardo il ragazzo davanti a lui, che si era seduto un tavolo più dietro. Heidi voltò leggermente lo sguardo alle sue spalle.

‹‹Chi Bill? Ce ne sono una ventina.››

‹‹Quello con i dreadlocks neri.››

Heidi si voltò nuovamente e, questa volta, vide il ragazzo.

‹‹O mio dio. Che cazzo di figo!›› fece notare a Bill.

‹‹Non ho detto di esternare quanto fosse figo. Ti ho solo detto di guardarlo.››

‹‹L’ho guardato e ti ho detto quello che penso. Cosa c’è? Ti piace? Se vuoi ci parlo…››

‹‹Ma mi fai parlare, Heidi? Quello è il ragazzo che si è messo a ridere mentre mi denudavo davanti al metal-detector e, per di più, ho rischiato di essere scaraventato in terra, stamattina. E indovina un po’? Il tuo bel principe azzurro dai dreads neri, è il colpevole.››

Heidi lo guardò con un’aria scocciata. Di questo passo, se Bill fosse stato sempre così critico, non avrebbe mai e poi mai trovato qualcun’altro.

‹‹Bill.. fratello mio.. ma perché sei così estremamente e ri-sottolineo, estremamente pesante. Uno: tutti avrebbe riso se ti avessero visto in quelle condizioni; io, ero proprio una di quelle. Due: può anche darsi che non l’abbia fatto di proposito a spingerti.›› Bill non era del tutto convinto delle due risposte date dalla sorella ma, doveva riconoscere il fatto che, se ci fosse stato qualcun altro al suo posto lì, davanti al metal-detector e gli fosse capitata la disgrazia successa a lui, senza dubbio avrebbe riso a crepapelle, senza trattenersi come invece aveva fatto quel ragazzo. Per di più, era anche vero il fatto che non l’aveva spintonato di proposito e, per giunta, gli aveva anche chiesto scusa.

‹‹Sì, ma resta sempre il fatto che non si sia fermato a chiedermi se mi fossi rotto qualcosa.››

Heidi gli lanciò una patatina in faccia, sporcandolo di ketchup.

‹‹Ciò non toglie il fatto che tu sia un vero cretino, Bill.›› gli gettò un’altra patatina. Poco dopo, arrivarono Simone e Gordon, carichi di meraviglie, nei loro vassoi. Bill si spostò leggermente per far posto al padre.

Tornò a concentrarsi sul proprio pranzo, quasi finito; ma, la sua attenzione, veniva continuamente distratta da quella presenza. Solo ora aveva notato quanto, effettivamente, fosse un gran bel ragazzo. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


- Capitolo 3 -

‹‹Bill, ma perché non posso venire in palestra assieme a te?›› Heidi continuava a supplicarlo, riprendendo i leggings che Bill, per l’ennesima volta, aveva riposto nella valigia della sorella. Glieli tolse nuovamente dalle mani e li rimise bruscamente all’interno della valigia.

‹‹Te l’ho già detto. Non verrai in palestra con quel leggings. Te l’avevo già detto questa mattina, prima di partire. È troppo trasparente. Ti si vede tutto il sedere.››

‹‹Ma che problema c’è? Gli occhi son fatti per guardare, Bill.››

‹‹Sì certo, e i fratelli per spaccare la faccia a chiunque osi guardare la propria sorella con aria da maniaco pervertito. Non fare storia, Heidi. Se vuoi andare in palestra vacci, ma non quando sei con me. Non mi va di starti dietro e di controllare ogni tuo piccolo movimento. Sei libera di indossare quello che vuoi, ma non quando sei con me. Adesso scusami.. devo andare ad allenarmi.››

Lasciò la sorella come uno stoccafisso, in camera con i genitori che, stranamente, diedero ragione a Bill.

‹‹Beh Heidi, tuo fratello non ha tutti i torti. C’è da dire che quel tuo leggings è a dir poco osé.›› le fece notare Gordon. Simone, a sua volta, lo accompagnò. Heidi disse ad entrambi di farsi i fatti propri. Ci sarebbe andata, con o senza Bill.

*

‹‹Excuse me, where is the gym?›› chiese Bill, sfoggiando il suo inglese perfetto. Delle volte, si complimentava da solo. Potrei passare per un madrelingua. Ripeteva sempre.

La ragazza asiatica, gli rispose a tono, dicendogli che sarebbe dovuto salire al ponte nove, attraversare la piscina e poi, sulla destra, avrebbe trovato la palestra.

‹‹Thank you so much!›› la ragazza asiatica, fece un inchino, giungendo le mani al petto. Bill fece lo stesso, imitandola.

Portava una canotta smanicata alquanto aderente, di colore bianco sporco con un logo di un qualcosa al centro; gli metteva in mostra i suoi scolpiti pettorali, risaltando anche le spalle larghe e i bicipiti accentuati; un pantalone di tuta che gli cadeva morbido, invece, gli nascondeva in parte la muscolatura delle gambe; per finire, non potevano mancare le sue adorate Nike blu elettrico.

Con aria altezzosa e decisamente da Diva hollywoodiana, cominciò a camminare lungo tutto il ponte, guardandosi intorno di tanto in tanto. Stava forse cercando qualcuno? Si tolse i suoi Ray-Ban a goccia trasparente  e li ripose accuratamente nella loro custodia, facendola poi scomparire all’interno della sua borsa. Aveva il suo stile, anche quando doveva andare in palestra.

Non appena superò la piscina dei bambini, girò a destra e, come gli era stato detto dalla tipa cinese, si ritrovò all’entrata della palestra. Seguì le indicazione – anche se oggettivamente non ce n’era bisogna – e salì una serie di scalini. Una volta terminati, percorse all’incirca dieci metri, prima di ricevere l’accoglienza di altre ragazze asiatiche che, così come aveva fatto quell’altra, si erano piegate leggermente in avanti per dargli il benvenuto. Bill salutò cordialmente e, mettendo sempre in risalto la sua abilità nel parlare l’inglese, chiese di entrare.

Le ragazze gli raccomandarono di entrare solo con le scarpe da ginnastica e che fosse fisicamente sano. Gli diedero un modulo informativo da leggere, compilare ed infine, firmare.

‹‹Io sottoscritto: Wilhelm Kaulitz, dichiaro di aver letto attentamente le informazioni sulle condizioni psico-fisiche.. bla, bla, bla…›› fece finta di leggere il modulo. Lui sapeva già di essere idoneo, o non avrebbe quel fisichetto che si ritrovava. Di sicuro, ne sapeva molto più di loro. Ma decise di sorvolare su questo.

Porse il modulo letto e firmato a quello pseudo istruttore e decise di cominciare ad allenarsi.

‹‹Sir?›› si sentì chiamare. Signore? Ma per chi l’aveva preso. Un vecchio? L’istruttore l’indicò il mobile con tutti gli asciugamani perfettamente arrotolati e posti uno sull’altro. Quello sarebbe stato il suo asciugamani personale. Alzò una mano per ringraziarlo e andò a prenderlo. Istintivamente, lo portò vicino al naso per sentirne l’odore. Aveva lo stesso profumo di pulito che aveva la sua camera.

Lo srotolò e se lo mise attorno al collo, dopodiché puntò il tapis-roulant. Aveva voglia di correre.

Gli attrezzi, erano gli stessi che arredavano la sua palestra, la Technogym, quindi gli fu estremamente facile prendere confidenza con il macchinario. Programmò il tappeto a velocità otto e pendenza tre, per un quarto d’ora. Non appena lo azionò, cominciò a correre.

La vista, di fronte a lui, era stupenda. La palestra si trovava a prua, e non a poppa. Gli parve correre sull’acqua. Si sentiva stranamente rilassato, con la mente svuotata da qualsiasi pensiero o problema. Correre, gli aveva sempre dato la forza di andare avanti e di rilassarsi. La palestra, in generale, lo aveva risollevato e gli aveva donato l’autostima di cui, adesso, è tanto fiero; soprattutto dopo aver intrapreso l’arte del pugilato. Questo lo aiutò a combattere la timidezza, rafforzare se stesso sia fisicamente che psicologicamente. Inizialmente, aveva deciso di accingersi in questa attività esclusivamente per legittima difesa. Sì, perché Bill ne aveva bisogno, all’epoca del liceo. Poi, con il passare dei mesi, cominciò a praticarlo a livello agonistico. Iniziò a fare match e a combattere sul ring; fino a quando però.. ebbe l’incidente.

‹‹Bill, ti prego, non combattere oggi. Guardalo, pesa quasi il doppio di te.››

‹‹No mamma. Non voglio gettare la spugna, come un perdente. Voglio vincere. So che posso batterlo. Sono più svelto di lui.››

‹‹Mi avevi promessi che se ti avessi chiesto di non combattere, tu l’avresti fatto. Negli ultimi tre anni, non te l’ho mai chiesto. Te lo sto chiedendo ora.››

‹‹Ormai ho deciso.››

*

Prima della fine del primo round, si ritrovò in ospedale. Il volto tumefatto, il setto nasale rotto e una spalla lussata. L’aveva picchiato. L’aveva picchiato forte.

‹‹Almeno gli ho spaccato quella faccia di cazzo che si ritrovava?›› disse lui, frastornato dagli anti dolorifici. Simone non disse nulla. Gli accarezzò delicatamente la fronte. Vedere il figlio ridotto in quello stato, era un colpo dritto al cuore.

‹‹Bill, prometti che non combatterai più. Per favore. Vorrei che tu ti ritirassi dai match. Hai dimostrato abbastanza, adesso. Ti sei fatto valere. Sei arrivato dove volevi arrivare. Adesso basta. Non voglio perderti.››

Era sull’orlo delle lacrime. Bill odiava vedere la madre così, in quello stato. Con suo immenso stupore, decise di accontentarla. Si ritirò dai combattimenti e non praticò più la boxe. Ma tutt’oggi, non c’è giorno in cui almeno una volta al giorno, non pensi di ritornare sul ring, per combattere ancora.

 

Mentre correva, si portò una mano vicino il naso, in prossimità del suo septum. Toccò leggermente la punta. Era molto più morbida del normale, come se fosse il naso di quelle maschere di gomma. Di cartilagine, non ce n’era l’ombra. Spostò poi l’indice e il medio dalla punta, fino al setto nasale vero e proprio. Buona parte dell’osso, era stata ricostruita. Ma rimaneva pur sempre un naso rifatto.

Gli tornò alla mente il giorno dell’operazione, i tremendi dolori che ne seguirono dopo e la lunga riabilitazione che dovette affrontare per via della lussazione alla spalla destra.

Stava continuando a rimuginare a vecchi e brutti ricordi. Cazzo, son venuto qui per rilassarmi. Non per deprimermi. Si ritrovò a pensare poi; le sue riflessioni però, vennero improvvisamente e bruscamente interrotte da un sonoro ‘Hi!’ Si girò di scatto alla sua sinistra, dove aveva udito la voce. Vide l’ultima persona che avrebbe immaginato di incontrare. Il ragazzo con i dreads?

Rimase impassibile e quasi non cadde dal tapis-roulant; dovette mantenersi, per far sì che non accadesse. Perché gli aveva rivolto la parola? Lo aveva per caso riconosciuto? Voleva magari chiedergli scusa? Perché cominciava a far più caldo del previsto, lì dentro? E perché aveva il cuore che sembrava volesse uscire dal petto. – no. Non era per via dell’affaticamento. – Di una cosa era certo, però. Non era tedesco.

‹‹Hi!›› rispose Bill un po’ impacciato, tornando a guardare la vista meravigliosa che aveva davanti ai suoi occhi. Ma quale panorama intendeva? Il mare o il ragazzo?

‹‹Where are you from?›› gli chiese il rasta. Bill cominciò ad entrare in iperventilazione, senza conoscere realmente il motivo.

Bill, ti dai una calmata? Non hai mica quindici anni. È solo un cazzo di ragazzo!

‹‹Ehm.. Germany. You?›› il respiro cominciò a scarseggiare. Questo però, era anche dovuto al fatto che stesse correndo a perdifiato già da dieci minuti.

‹‹America. New York!›› Il rasta, cominciò a programmare il tapis-roulant. Bill notò che mise una pendenza discreta, con velocità moderata. Non aveva intenzione di correre. Lui, invece, continuava imperterrito quello che stava facendo – più o meno – Sorrise come un imbranato. Non sapeva come comportarsi; ma prima che se ne rendesse conto, cominciò ad intraprendere un discorso con quel ragazzo. Ovviamente, in inglese. Certo, si aspettava solo che il rasta parlasse tedesco.  

‹‹Comunque io mi chiamo Thomas!›› il rasta gli porse la mano. Bill lo guardò, facendogli capire che non poteva distogliere l’attenzione dal tappeto in corsa, o sarebbe sicuramente caduto. ‹‹Ops, scusami. Non ci ho badato.›› Tom alzò le mani, in segno di scusa. Non si era affatto reso conto che Bill non potesse stringerla.

Era forse il caso di fermarsi? Forse, il rasta, avrebbe voluto dirgli qualcosa di carino e lui se ne stava altamente sbattendo il cazzo? Sì, forse era il caso di farlo.

Ridusse drasticamente la velocità del tappeto, portandola da 10k/h ad appena 6k/h. Espirò profondamente. Rivolse un sorriso al ragazzo e gli porse la mano.

‹‹Io mi chiamo Bill. Ti chiedo scusa, non potevo fermarmi di colpo!›› si giustificò poi. Tom scosse le spalle. Dicendo di non preoccuparsi.

Forse dovrei sbattergli in faccia quello che ha fatto questa mattina?

Si ritrovò a pensare Bill. Ma poi, venne battuto sul tempo.

‹‹Volevo chiederti scusa per oggi. Non volevo travolgerti. Un mio compagno mi ha spinto ed ho perso l’equilibrio.››

Okay. Si è scusato prima che io gli rinfacciassi tutto.

Bill sorrise, e disse di non preoccuparsi.

‹‹È stato piuttosto imbarazzante come cosa.›› Tom aveva il capo chino e, di tanto in tanto, guardava Bill con una certa timidezza, confondendogli leggermente le idee.

Ma perché fa così?

‹‹Ti posso capire. Ma in quel momento non so chi ti abbia protetto, stavo per bussare alla tua porta e prenderti a pugni.›› Disse poi Bill in maniera sarcastica ovviamente, anche se, qualche ora prima, lo pensava seriamente.

Tom non rispose. Guardò davanti a sé l’immensità del mare. Perdendosi per qualche secondo. Bill fece lo stesso. Fra i due, calò un silenzio di quasi cinque minuti. Bill scese dal tapis-roulant per dedicarsi ai pesi. Aveva finito il tempo – allungato già di altri dieci minuti –

‹‹Ehm.. io dovrei fare i pesi.›› disse poi indicando alle sue spalle un punto caso, senza sapere con certezza dove fossero. Tom si girò leggermente verso di lui, mantenendosi agli appositi manici.

‹‹Okay.. ehm.. Ci si becca in giro?›› domandò poi, continuando a camminare. Nel suo sguardo, Bill riuscì ad intravedere una certa espressione di speranza, mista a… qualcos’altro. Si aspettava forse che gli dicesse di sì?

‹‹Certamente. Ci si vede!›› lo salutò con un cenno della mano ma, prima che se ne andasse, Tom lo chiamò per nome.

‹‹Il tuo inglese è davvero perfetto.›› si complimentò con lui. Ma Bill non aveva bisogno di ricevere complimenti. Lo sapeva già di suo. A cos’era servito allora il Cambridge? O lo stage di un mese a Londra? O le lezioni private con un madrelingua? O la certificazione C2? Certo, non si sarebbe messo ad elencare tutte queste sue qualità, sarebbe passato per un egocentrico, logorroico figlio di papà – quale era, d’altronde. – Si limitò solo a ringraziarlo.

Detto questo, tornò a ciò che aveva intenzione di fare: allenarsi. 

*

Mentre si accingeva a fare bicipiti con un peso da 22kg, di tanto in tanto, lanciava qualche occhiata furtiva a Tom che, apparentemente, sembrava non stesse facendo nulla, se non quella di girare a vuoto la palestra, senza sapere dove covare l’uovo. A Bill venne leggermente da sorridere; ma poi si morse il labbro quasi a sangue, per evitare di scoppiare in una fragorosa risata, vedendolo del tutto impacciato. Si vedeva lontano un miglio che non aveva affatto intenzione di allenarsi, quella mattina. Bill non ci avrebbe tanto scommesso, in quanto anche lui, aveva un gran bel fisico. Decise di coinvolgerlo, visto che, anche lui, non la smetteva un attimo di guardarlo. – Bill se n’era accorto grazie ai grandi specchi che circondavano la palestra –

‹‹Non sai cosa allenare, per caso?›› disse di punto in bianco, facendo sobbalzare leggermente Tom, dallo spavento. Bill trattenere una risata. Certo che con Tom, era molto facile sorridere.

‹‹Ehm.. veramente sto cercando di ambientarmi.›› affermò lui poi, un po’ impacciatamente, sistemandosi la folta chioma rasta in un codino a dir poco voluminoso. ‹‹Non so da cosa possa cominciare. Tu cosa stai allenando?›› si avvicinò a Bill e senza troppi indugi, si andò a sistemare accanto a lui, seduto su di una panca vicino. Si sedette con non curanza, con le gambe decisamente troppo divaricate per i gusti di Bill. Aveva i gomiti poggiati sulle cosce, leggermente ricurvo e con le mani intrecciate. Lo fissava in una maniera alquanto strana, tanto da metterlo a disagio già più di quanto non lo fosse.

Bill lo guardò di traverso, non incrociando del tutto i suoi occhi.

Perché diamine mi sento così, come un ragazzino?

Si ritrovò a pensare Bill, vedendo il comportamento che stava assumendo lui stesso. Tentennò leggermente, prima di rispondere.

‹‹Dovrei fare petto, spalle e bicipiti. Come vedi, ho appena iniziato a fare i bicipiti.›› proseguì Bill, sforzandosi leggermente a causa del peso che stava sollevando. ‹‹Potresti fare lo stesso tu, senza rigirarti i pollici!››

Tom inizialmente lo guardò scettico, poi però sorrise e decise di cominciare ad allenarsi assieme a lui.

*

‹‹Giuro..›› espirò molto rumorosamente, svuotando completamente i polmoni con quella poca aria che gli era rimasta in corpo. Aveva il fiatone e stava sudando come un dannato. ‹‹Se mai qualche altro giorno mi dovessi chiedere di allenarmi assieme a te..›› un altro respiro. Era piegato e poggiato sulle ginocchia. Tentava di riprendere fiato. ‹‹Ci penserò due volte, prima di dirti sì.››

Bill, dal canto suo, cominciò a ridere in maniera alquanto fragorosa. Aveva davvero conciato per le feste Tom. Nonostante lui fosse leggermente più minuto, era riuscito comunque a dargli filo da torciere.

‹‹Eppure, sembravi molto più in forma di me. Io ho lasciato la palestra per un bel po’ di tempo. Ma tu, sembra che non hai mai sollevato un peso in vita tua!›› continuò poi, prendendolo in giro. Tom non demorse. Si rialzò con aria orgogliosa, gonfiando il petto – per quanto fosse possibile visto che gli doleva da matti –

‹‹Sono in ottima forma. Devo solo riprendere il ritmo.›› si giustificò, accasciandosi nuovamente su se stesso come un sacco di patate vuotato del proprio contenuto. ‹‹È bello e, allo stesso tempo, faticoso allenarsi con te; ma mi fa piacere la tua compagnia, in ogni caso. Sei una persona simpatica, Bill.››

Disse quelle parole con una certa titubanza; Bill l’intuì immediatamente. Non gli diede affatto fastidio, anzi. Trovava quella sua.. come l’aveva chiamata? Goffaggine, decisamente molto piacevole.

All’apparenza, Tom poteva sembrare il classico ragazzaccio; difatti Bill, pensò immediatamente che fosse una testa calda e che se l’avesse visto in giro dopo lo spintone e la presa per il culo durate il metal-detector, lo avrebbe preso a botte. Poi però, la sua fantastica sorella, gli aveva fatto notare quanto fosse decisamente un gran bel ragazzo; ma grazie a lui stesso e alle sue intuizioni, aveva capito che Tom non era ciò che esteriormente potere sembrava.

Dopo la tremenda delusione della fine di una storia durata quattro anni e mezzo. Giurò che non avrebbe mai più dato confidenza a qualcuno di particolarmente interessante. E allora perché stava parlando con Tom?

Non guarderò mai più un uomo in faccia. Non lo farò mai più, giuro.

Quante volte aveva ripetuto quella frase? Troppe, forse. Così tanto che, da un anno a quella parte, non aveva seriamente più avuto nessuna storia. Nessuna. Preferiva rimanere solo tra i suoi pensieri, dedicandosi specialmente alla sua unica vera passione. La boxe.

Quando era triste, arrabbiato, deluso o in conflitto con qualcuno, il sacco l’aiutava a scaricare tutta la tensione che aveva in corpo; lo faceva sentire libero, vivo, rinato. Un’altra persona.

‹‹Anche la tua compagnia, è piuttosto piacevole.›› confessò poi. Era vero, quando due persone sono in sintonia, non importa da quanto tempo si conoscono o si frequentano, una bella compagnia, è pur sempre una bella compagnia e, a quanto pare, tra Bill e Tom c’era un certo feeling. Ma.. una domanda vacillava nella sua mente: che fosse gay anche lui?

Non c’era altra spiegazione. Perché quella timidezza? Perché quell’insistenza nel parlare o nell’avvicinarsi a lui? Forse Bill si stava facendo troppe seghe mentali.

Cazzo Bill, non è che un uomo si avvicina per parlare con te e tu lo devi immediatamente classificare come: GAY.

Si picchiò mentalmente. Poco ci mancava che non lo facesse anche fisicamente. Si astenne nel mollarsi un ceffone in pieno viso, onde evitare perplessità in Tom.

D’altronde, poteva benissimo essere un ragazzo timido che non aveva ancora stretto alcuna amicizia e Bill, gli era parso ancora più sfigato e timido di lui. Aveva ragione? Forse.

‹‹I tuoi compagni non ti hanno accompagnato qui in palestra?›› proseguì Bill, lasciando il bilanciere per terra, per poi sedersi accanto a Tom. Lui scosse la testa.

‹‹A loro non piace la palestra. Sono degli scansafatiche. Sono i miei compagni del College.››

‹‹Ah, vai ancora al College? Quanti anni hai?›› chiese poi istintivamente Bill.

‹‹Ventidue. E tu?››

‹‹Ventiquattro. Dove studi?››

Tom tentennò leggermente. ‹‹City University of New York. In altre parole, alla CUNY›› Tentò di evitare lo sguardo di Bill, perché sapeva benissimo che reazione avrebbe suscitato una volta nominato quel College. Difatti, come immaginava, Bill lo guardò con aria decisamente sconvolta e meravigliata. La classica faccia da pesce lesso: bocca aperta e occhi spalancati.

‹‹Alla Cuny? Stai scherzando? È praticamente impossibile entrare lì dentro.›› Tom preferì non dare tante spiegazione di come fosse entrato lì dentro. Ma per quale motivo mentire? Bill gli ispirava abbastanza fiducia. Tra l’altro, cosa c’era di male nel dire che suo padre era il preside di quel College?

‹‹Beh, mio padre.. è il dirigente della Cuny, quindi.. non mi ci è voluto molto per poter entrare là dentro. Ovvio, vengo trattato come tutti gli studenti ma, come ben immaginerai, ho il mio occhio di riguardo per gli esami e tutto il resto. Ma non ho mai chiesto a mio padre di aiutarmi per la promozione in qualche esame particolare. Son stato bocciato una volta, ad un esame decisamente troppo difficile. Mio padre aveva fatto modificare il voto al professore.››

‹‹E tu?››

‹‹Ho deciso di rifarlo con le mie forze. L’ho provato circa tre volte, fino a quando non ci sono riuscito, prendendo il massimo. In quel momento, sentivo che avrei potuto superare qualsiasi cosa. Mi sentivo fiero di me stesso e del duro lavoro che avevo fatto.››

Bill non aggiunse nulla. Lo guardò sorridendo. Sì. Tom era completamente, nettamente, decisamente diverso da come si presentava fisicamente.

*

‹‹Beh Tom, mi ha fatto piacere conoscerti.›› Bill prese il suo asciugamani, se lo mise attorno al collo e poi lo tolse nuovamente. Doveva metterlo nella cesta sporca assieme a tutti gli altri.

‹‹Lo è stato anche per me. Magari ci vediamo questa sera? Tu vai a ballare?›› Tom gettò con un canestro il proprio asciugamani; Bill, invece, in maniera decisamente più educata, lo posò direttamente nell’apposito cestino.

‹‹Mia sorella vorrebbe. A me non piace tanto la discoteca..›› fece una pausa. Tom lo guardò leggermente dispiaciuto. Si morse il labbro inferiore ed annuì. ‹‹..ma credo che possa fare una piccola eccezione. Dopotutto, non ci vedo nulla di male, nel divertirsi un po’.››

Tom si illuminò in un bellissimo sorriso. Sembrava un bambino felice. Possibile che Bill l’avesse colpito così tanto? Oppure era uno scherzo ben progettato per metterlo in imbarazzo ancora di più? Gli venne il dubbio.

Bill, piantala di farti le seghe mentali. Perché devi pensare sempre in negativo?

Bill fece spallucce. Lo salutò con un cenno della mano. Era eccessivo salutarlo con due baci sulla guancia. Decisamente troppo. Secondo lui. Difatti Tom, gli afferrò delicatamente il polso e lo salutò con due sonori baci sulle guance.

‹‹Ciao, Bill.›› sorrise nuovamente e andò via. Bill fece lo stesso. Si toccò istintivamente la parte baciata della guancia, senza rendersene veramente conto. Sorrise come un imbecille. Delle volte, si addolciva davvero con troppo poco.

*

Una volta salito al suo piano, frugò nella borsa per trovare la sua scheda. Ovviamente, non ci volle molto in quanto aveva semplicemente la bottiglietta dell’acqua e il telefono. La inserì nell’apposita fessura e una lucetta verde si illuminò.

‹‹C’è nessuno?›› disse aprendo la porta con un forte spintone. C’era da ammettere che era alquanto pesante. ‹‹Mamma?››

Non rispose nessuno. Si sentiva solo il rumore di una doccia. Bill senza indugiare, aprì la porta del bagno e vide Heidi.

‹‹Ehi Bill, non ti ho sentito entrare. Scusami.››

Bill entrò, senza esitare. Una nube di vapore lo avvolse completamente. La condensa sul vetro era spessa come la nebbia. Sembrava un film horror.

Adesso esce dalla doccia con un pugnale e mi ammazza.

‹‹Hai finito? Dovrei farmi anche io la doccia.›› ammise poi, iniziando a spogliarsi, gettando in un angolino della stanza i propri abiti sudaticci.

‹‹Sì, tranquillo. Ho finito.›› chiuse il getto dell’acqua calda e, con un unico scatto, aprì la tendina. Lo ‘sbalzo’ di temperatura, le fece venire la pelle d’oca. ‹‹Cristo, Bill. Chiudi la porta. Sto congelando.›› Bill la guardò accigliato.

‹‹Ma se ci saranno cinquanta gradi qua dentro.›› scherzò poi, sfilandosi l’ultimo indumento che gli era rimasto: i boxer. Passò l’asciugamani ad Heidi che si avvolse immediatamente come un involtino primavera, ed entrò al suo posto all’interno del piccolo piatto doccia.

‹‹Spero che tu non mi abbia consumato tutta l’acqua calda›› proseguì poi, cominciando a far scorrere l’acqua dimodoché uscisse quella calda.

‹‹Sta tranquillo, Bill. C’è acqua calda a volontà.›› si asciugò tutto il corpo, dopodiché si portò un’asciugamani in testa per poi avvolgerla a mo di turbate attorno ai capelli.

‹‹…Comunque Heidi, non indovinerai mai con chi ho parlato in palestra.›› disse Bill, mentre cominciò ad insaponarsi. Heidi passò una mano sul vetro per togliere la condensa. Aveva il trucco leggermente scolato. Si era dimenticata di passarsi il latte detergente prima di farsi la doccia.

‹‹Con chi hai parlato?›› prese una salviettina umidificata dal proprio beauty-case e tolse via il nero che si era accumulato sotto gli occhi.

‹‹Prova ad indovinare, dai!››

‹‹Ma se ti ho detto che non lo so. Non mi va di scervellarmi tanto.›› proseguì poi mentre continuava a struccarsi.

‹‹Il ragazzo con i dreadlocks neri.››

Non appena disse così, Heidi gettò un urletto isterico; quasi come se fosse una ragazzina. Battendo le mani come una bambina alla quale era stata comprata una bambola nuova di zecca.

‹‹Devi dirmi tutto.›› scandì alla perfezione quelle parole, tale che Bill potesse comprenderne bene il significato. Aprì subito dopo la tendina della doccia: ‹‹ORA!››

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


- Capitolo 4 -

Heidi restò ad ascoltare il fratello con estrema attenzione. Rimase imbambolata, con la bocca schiusa e gli occhi da pesce lesso. Il modo in cui Bill stava raccontando l’incontro avvenuto con il rasta, l’aveva letteralmente lasciata di stucco. Non si sarebbe mai aspettata che Bill potesse parlare bene di un ragazzo dopo quella volta.

‹‹Equindiequindi?›› farfugliò poi lei, in attesa di ottenere altri dettagli ma, ovviamente, non c’era null’altro da dire, se non il fatto che fosse tremendamente bello. ‹‹Ma è gay, etero, bisex, cosa? Te l’ha detto?››

Bill sbuffò. Delle volte Heidi, non si rendeva conto di quanto non fosse facile dichiarare la proprio omosessualità. Non tutti l’accettano. Si  viene etichettati come: checca o peggio, persone malate. L’omosessualità non è una malattia. Non si può curare, in quando non esiste una cura per l’amore. È semplicemente uno scherzo che la natura fa ad alcune persone: ci si nasce, non si diventa. Spesso non è facile conviverci ma, con il supporto delle persone care, si impara ad accettarla.

‹‹Heidi, quante volte devo dirti che non posso andare a chiedere alla gente se è gay o no. Può anche darsi che voleva semplicemente parlarmi. Non è detto che lo sia.›› le fece notare Bill, mentre si passava per l’ennesima volta l’asciugamani fra i capelli per poi gettarla nuovamente in un angolo della stanza.

‹‹Con tutte le fighe che ci possono essere in palestra, proprio a te doveva rivolgere la parola.›› roteò gli occhi e diede un pugno sul braccio del fratello. ‹‹Andiamo, Bill. Possibile che ti debba dire io tutto. Apri gli occhi e svegliati.››

Bill rimase un po’ di tempo un silenzio, a contemplare. E se avesse avuto ragione? Se davvero Tom fosse stato gay? No, non poteva esserlo.

Forse mi ha trovato semplicemente simpatico ed ha pensato di rivolgermi la parola. Sì. Deve essere così.

Si ritrovò poi a pensare Bill, dimenticandosi completamente della sorella seduta accanto a lui. Si perse di nuovo nei suoi pensieri e, purtroppo, gli tornarono alla mente brutti ricordi.

 

Bill infilò la chiave nella serratura e notò che la porta era aperta. Gli parve subito strano, in quanto il suo compagno, Georg, sarebbe stato di ritorno da lavoro non prima dell’ora di cena. Guardò il suo orologio: 19:48

Non ci fece molto caso, pensò che avesse chiesto un permesso visto che era il primo anno di convivenza e, per fargli una sorpresa, era rincasato prima.

‹‹Amore, sei in casa?›› proseguì poi. Si sfilò via la giacca e posò il borsone per terra. Era appena tornato da uno stressante allenamento di boxe.

Non ottenendo risposta, chiamò di nuovo e, nemmeno questa volta, ebbe segni di vita da parte del suo compagno.

‹‹Georg?››

Cominciò a salire le scale. Il cuore gli batteva all’impazzata ma, quando vide la porta della loro camera chiusa e degli strani rumori provenire all’interno di essa, si sentì morire.

Un cigolio ripetitivo di doghe, strani sussulti e gridolini allarmanti, gli fecero venire la pelle d’oca. Aveva le ginocchia tremanti e aveva paura di cadere ogni qual volta faceva un passo verso la porta.

‹‹Ge-Georg?›› la voce gli morì in gola. Posò la mano su di essa con il palmo ben in vista – era semplicemente socchiusa – tremava come una foglia, quasi come se avesse freddo. La scena che, una volta spalancata di botto la porta vide davanti ai suoi occhi, se la sarebbe ricordata per tutta la vita.

*

‹‹Bill, questa sera c’è uno spettacolo a teatro. Mamma ha detto che dobbiamo andare con loro.›› Heidi si piazzò davanti allo specchio del bagno.

‹‹Okay!›› fu la risposta secca che diede lui. Non amava molto gli spettacoli teatrali. ‹‹A proposito, i nostri genitori che fino hanno fatto? È da stamattina che non li vedo.›› Le fece notare poi Bill. Effettivamente non vedeva i propri genitori da quando avevano praticamente messo piede sulla nave.

‹‹Mamma ha detto che sarebbe andata alla SPA, papà invece non lo so. Forse è al casinò.›› prese la sua pochette rosa cipria e, da essa, estrasse una spugnetta alquanto malconcia e colorata di marroncino, un fondotinta e della terra.

‹‹Io ho bisogno di fumare.›› senza prestare molta attenzione a ciò che disse Heidi, Bill si affrettò a cercare il suo pacchetto di Marlboro Light. Una volta trovato, aprì la vetrata con un po’ di fatica e, una volta uscito, la richiuse alla sue spalle. Estrasse una sigaretta dal pacchetto, se la portò alle labbra e, con entrambe le mani, cercò di accenderla. Espirò a pieni polmoni il fumo e, dopo qualche secondo, lo fece uscire dal naso.

Si poggiò con i gomiti sulla ringhiera. Lo sguardo perso nel vuoto. Dinnanzi a sé, aveva uno spettacolo della natura: il tramonto. Il cielo era di diverse tonalità di rosa, giallo, arancio e azzurro. Il sole, ormai morente, pareva una palla di fuoco inghiottita dal mare che, a sua volta, luccicava per via dei raggi solari. Sorrise inconsciamente. Era davvero una bellissima visuale. Perso in quello spettacolo infinito, si ritrovò a pensare – come sempre – a milleuno cose ma, in quel momento, il primo in assoluto, era rivolto alla persona che aveva appena conosciuto: Tom.

‹‹Ma cosa volevi davvero da me, Tom?››

*

Erano quasi le otto di sera e, Heidi, era chiusa nel bagno da quasi due ore. Bill cominciò a stizzirsi, e non poco. Simone e Gordon, invece, avevano pensato di prepararsi prima che la figlia prendesse possesso del bagno, in quanto sapevano benissimo che l’avrebbe occupato per un tempo indeterminato.

Bill era da quasi un’ora che aspettava fuori dalla porta, con le braccia incrociate al petto e un piede che batteva in maniera convulsiva per terra.  Provò a ribussare:

‹‹Heidi, ti prego, sono quasi due ore che sei chiusa nel bagno, tra dieci minuti dovremmo andare a teatro e poi a mangiare.. ed io non sono pronto.››

Non ottenne risposta in quanto, dall’altra parte della porta, sua sorella aveva la musica del suo I-phone sparata al massimo. Si passò una mano sul viso, premendo leggermente.

‹‹Mamma, per favore, fa qualcosa!›› si rivolse  con tono supplichevole alla madre  che, ovviamente, gli sorrise comprensivamente. Sapeva benissimo che non avrebbe risolto nulla se fosse intervenuta.

‹‹Sai benissimo che tua sorella non è pronta se non passano due ore.››

‹‹Si, okay, ma devo soltanto lavarmi i denti e darmi una sistemata. Non mi vesto prima di essere completamente perfetto.››

Simone sorrise rumorosamente. Delle volte, il figlio, era davvero bizzarro. In una manciata di secondi, le tornarono alla mente dei ricordi: quando Bill rubava i suoi trucchi per poi utilizzarli per sé; di quando passava le ore a truccarsi e a stirarsi i capelli (al tempo, neri); di quando si smaltava le unghie di nero e vestiva in maniera strana; di quando soffriva di anoressia. Per fortuna, quel tempo era finito; erano quasi passati sei anni, da quando Bill aveva cambiato stile di vita e lei, non poteva che essere felice. Non si era mai e poi mai vergognata di avere un figlio… diverso, era sempre stata orgogliosa di lui e non gli aveva mai fatto pesare il fatto che fosse gay o, tanto meno, di dirgli che fosse sbagliato. Non lo era, infatti. Lei era fiera di Bill, e lo sarebbe stata sempre.

‹‹Sì Bill, ti capisco perfettamente e non vorrei essere nei tuoi panni. Abbi fede. Ti consiglio di vestirti, prima.››

Ma proprio quando pensava che fosse tutto perduto, sentì un soave clack e, come per incanto, la porta del bagno si aprì.

‹‹Sono pronta!›› Heidi uscì con fare da Diva Hollywoodiana, alzando le braccia al cielo e spostando il bacino verso il lato sinistro. Indossava un bellissimo vestitino color oro, con qualche strass qua e là del medesimo colore. Il vestitino era lungo fin sopra al ginocchio, mostrando quasi del tutto la sua coscia. Era scalza, non indossava le scarpe; quelle le avrebbe messe alla fine, visto l’immensità dei tacchi. Per quando riguarda il trucco, invece, aveva uno smokie-eyes marrone scuro. Per completare il tutto, aveva aggiunto un mascara volumizzate. Così facendo, i suoi grandi occhi azzurri, spiccavano. Per quando riguarda i capelli, invece, erano raccolti in maniera morbida, in una treccia che le cadeva delicata fin sotto il seno.

‹‹Come sto?›› disse poi pavoneggiandosi e vantandosi del suo duro lavoro. Bill la guardò da capo e piedi e, per farle un dispetto, decise di prenderla un po’ in giro:

‹‹Sembri un candelabro, tutto oro. Non mi piace. Il vestito e troppo corto.››

‹‹La mia era una domanda retorica, Bill. Non ci tenevo realmente ad avere un tuo parere. Sono perfetta e, sicuramente, farò scintille in discoteca. Brillerò più delle luci. Lo so.››

Bill scosse il capo e sorrise. Heidi era la solita; riusciva a rimorchiare persino in posti dove, suo malgrado, non avrebbe mai pensato che l’avesse fatto: in chiesa. Non era colpa sua, ovviamente, ma lei, anche indirettamente, riusciva a dare adito alle persone di ronzarle attorno. 

‹‹Sicuramente rimorchierai più di me, oggi!›› disse scherzando Bill, entrando nel bagno, cominciando a pettinarsi.

‹‹Ma tu hai già fatto colpo su qualcuno, Bill.›› sapeva a cosa stesse alludendo lei. La guardò con aria di supplica. Se si fosse fatta scappare qualcosa, di sicuro i suoi genitori gli avrebbe fatto milleuno domande. Heidi capì, e si mise a ridere. Puntualmente però, mamma e papà radar, avevano captato qualcosa – sebbene lei avesse appena bisbigliato –

‹‹Perché… su chi ha fatto colpo?›› entrambi risero, cercando di chiudere la parentesi prima ancora che potesse essere aperta.

*

Chi l’avrebbe mai detto che, il teatro, dovesse essere stracolmo. Essendo arrivati con circa dieci minuti di ritardo, riuscirono a trovare a malapena quattro posti liberi in culo al mondo.

‹‹Io ve l’avevo detto di fare in fretta.›› bisbigliò Gordon, senza disturbare la gente che gli sedeva accanto. Bill guardò immediatamente sua sorella e lei, alzando le spalle, disse che non era colpa sua e che non aveva commesso alcun peccato.

‹‹Che c’è? Io non ho fatto nulla di sbagliato. Sono uscita dal bagno prima dello scoccare delle otto. Sono stata puntuale.››

Bill la guardò con un sopracciglio alzato. Avrebbe voluto prenderla a testate ma, ovviamente, non lo fece. Si limitò a schioccare la lingua e a ‘guardare’ – se così si può definire lo sbadigliare e sbuffare tutto il tempo – lo spettacolo.

*

‹‹Non mi è affatto piaciuto.›› affermò Bill, guardando la sorella che, dal canto suo, pensava a tutt’altro.

‹‹Ma se non hai smesso un attimo di sbadigliare. Anzi, mi sembra pure che tu abbia dormito, ad un certo punto.››

Si soffermò a pensare qualche secondo: obiettivamente, non ricordava assolutamente nulla dei quaranta minuti trascorsi là dentro; forse Simone aveva ragione: aveva davvero dormito.

‹‹Beh, almeno ha caricato le pile per questa notte. Non è vero, Bill?›› Gli diede una gomitata e, facendogli l’occhiolino, volle fargli capire che, quella notte in discoteca, avrebbe rimorchiato il rasta. Lui roteò gli occhi. Delle volte, Heidi, era peggio di un’adolescente in piena evoluzione ormonale.

‹‹Sei più arrapata di un rapace, Heidi. Piantala!›› bisbigliò quella frase ridendo e, soprattutto, senza farsi sentire; obiettivamente, di serio, non aveva proprio nulla.

‹‹Andiamo, so che il tuo bad-boy sarà lì ad aspettarti, fratellino.››

‹‹Non è nemmeno sicuro che ci sia, Heidi. Ti prego, piantala di parlarne davanti mamma e papà.››

Lei scrollò  le spalle indifferente. Non ci vedeva nulla di male – secondo lei – sputtanare il proprio fratello anzi, aveva un nonsoché di divertente e, allo stesso tempo, malvagio. Rise nella sua testa. Okay, forse sarebbe stato il caso di smetterla.

Simone e Gordon si avviarono verso il ristorante: si trovava sullo stesso piano ove era situato il teatro e i loro figli, li seguirono a ruota.

‹‹Sto letteralmente morendo di fame.›› affermò Heidi, seguito poi da un sussulto da parte di Bill.

‹‹Hai mangiato il mondo intero, oggi a pranzo. Io cosa devo dire? Son persino andato in palestra. Sono io quello che sta letteralmente crepando dalla fame.››

Ovviamente e, come sempre, i due cominciarono a discutere.

‹‹Se tu mangiassi qualcosa di più sostanzioso e facessi meno l’ecologista, forse, non saresti così affamato.››

‹‹Io tengo molto alla mia salute. A differenza tua, Mrs. McDonalds.››

‹‹Piantala di chiamarmi in quel modo!››

‹‹E tu piantala di chiamarmi ecologista, non sai nemmeno cosa significhi.››

‹‹La volete smettere voi due?››

Gordon, ormai sull’orlo di perdere totalmente le staffe, li rimproverò entrambi, alzando leggermente il tono di voce, tanto da far girare un po’ di gente verso la loro parte.

‹‹Si può sapere che cosa vi è preso da stamattina? Insomma ci sono bambini di due anni che hanno un comportamento più educato del vostro. Questa, se non vi è ancora chiara, è una vacanza; devo ripetermi? V A C A N Z A e, come suddetta, vorrei rilassarmi, e non fare da babysitter ai miei figli.››

Sia Bill che Heidi non risposero. Chinarono il capo e si scusarono con il padre. Lui disse che non dovevano chiedergli scusa, ma scusarti a vicenda. I due fratelli, come primo approccio, si fulminarono con lo sguardo, ma poi, su entrambi, apparve un dolce sorriso liberatorio.

Una volta giunti al ristorante, un cameriere li accolse facendo la riverenza.

‹‹Buonasera, signori.››

La famiglia Kaulitz salutò il cameriere a sua volta. Pochi attimi dopo, Simone chiese quale fosse il loro tavolo e, con gentilezza, il cameriere li condusse non poco lontano dall’entrata dal locale. Con agilità, il cameriere si fece spazio fra i tavoli fino a quando non si fermò dinnanzi ad un tavolo.

‹‹Questo è il vostro tavolo, signori.›› proseguì poi il cameriere che – da quanto aveva cercato di leggere Bill dalla targhetta – si chiamava Cosimo. ‹‹Questo tavolo sarà servito da Putu, un nostro cameriere Indonesiano. Qualsiasi cosa abbiate bisogno, non esitate a chiedere.›› Fece nuovamente la riverenza e si congedò.

La tavola era già bandita di vino rosso e vino bianco, acqua naturale e minerale, coca cola e aranciata e un bellissimo cestino di vari tipi di pane e grissini.

‹‹Mamma mia che bella tavola. Mi mette appetito solo a guardarla.›› esternò Heidi, accomodandosi immediatamente al suo posto. Bill e i genitori, la seguirono a ruota.

Non appena tutti furono accomodati, un bizzarro cameriere sorridente si avvicinò al loro tavolo, cercando di parlare – quanto meglio poteva –  l’inglese. Bill cercò di tradurre, per quello che gli era possibile, le strane parole che gli stavano uscendo dalla bocca. Scosse il capo e sorrise. Erano davvero tutti strani, lì dentro.

Poco compreso, Putu – il cameriere – porse loro quattro menù, dicendo che sarebbe tornato in seguito a prendere le ordinazioni.

‹‹Mamma, cos’è il Carpaccio?›› disse Heidi, rivolgendosi a sua madre. Simone storse il naso e si rivolse al marito. Gordon scrollò le spalle.

‹‹Se leggete in alto, c’è la traduzione in: tedesco, inglese, francese e spagnolo di quello elencato nel menù.›› intervenne Bill, facendo il professore della situazione. ‹‹Guarda, c’è scritto qui: fettine sottilissime di manzo crudo condite con olio, sale e pepe e vari ingredienti. Sono i piatti tipici veneziani.››

Heidi annuì. ‹‹Okay, come antipasto prendo quello.›› Tutti furono d’accordo per quell’antipasto. Per quanto riguarda i primi, invece, optarono tutti per scelte differenti: Bill decise di prendere gli gnocchi di patate col ragù; Heidi riso e piselli; Gordon  risotto con vongole  e, per finire, Simone optò per tagliatelle e fagioli. Per i secondi, tutti decisero un piatto di pesce.

‹‹Io non prendo il dolce.›› affermò Bill. Nessuno gli diede retta. Era scontato che Bill non prendesse nulla di dolce.

‹‹Io prendo la torta di mele e cacao.››

‹‹Io, invece, le frittelle alla ricotta.››

‹‹Idem per me.››

‹‹Nessuno sceglie l’opzione: piatto di frutta fresca?›› scherzò poi Bill, spostando lo sguardo sui tre componenti della sua famiglia. Tutti risero.

Con un cenno della mano, Bill avvertì il cameriere che erano pronti per l’ordinazione e, come temeva, non riuscì a spiegarsi. Decisero semplicemente di indicare il piatto scelto, dimodoché il povero cameriere incompreso, potesse svolgere il proprio lavoro.

*

‹‹Bill! Bill, guarda chi c’è!››

Heidi gli tirò un calcio sotto al tavolo. Bill gemette leggermente. Si chinò giusto quel po’, per potersi toccare il ginocchio colpito.

‹‹Perché mi hai mollato un calcio? Sei impazzita?›› disse riprendendo a mangiare il suo piatto di frutta. Non capendo cosa intendesse, Heidi sbuffò ed indicò con un leggero gesto del capo, la sua destra. Bill spostò il suo sguardo da piatto, a ciò che la sorella stava indicando con la testa, senza ovviamente farsi sgamare dai propri genitori.

Non appena focalizzò ciò che gli si presentò dinnanzi agli occhi, un pezzo di ananas gli andò di traverso, causandogli un forte colpo di tosse. Heidi si morse il labbro per cercare di trattenere le risa. Sì, era proprio Tom.

‹‹Potresti…›› colpo di tosse ‹‹…evitare di…›› un altro colpo ‹‹…indicare le persone?›› si dette tre colpi sul petto, per evitare di affogarsi e, portando nuovamente lo sguardo verso di Tom, si accertò che questo non l’avesse visto. Difatti, era così. Fortunatamente.

‹‹Cosa c’è? Avevo solo il torcicollo!›› si giustificò poi lei, tentando di darla a bere ai propri genitori che, nel frattempo, non avevano ancora afferrato cosa stesse succedendo. Gordon scosse le spalle e riprese a mangiare le sue frittelle, quanto a Simone – suddetta mamma radar – cominciò ad intuire qualcosa ma, come da brava madre, non espose la sua opinione; sapeva benissimo quanto fastidio desse a Bill il fatto che si impicciasse nella sua vita privata, e sapeva benissimo anche quanto lui aveva sofferto per quella brutta faccenda con Georg. Lei però, l’aveva sempre detto: non credi sia troppo presto per andare a convivere? Ma lui si era sempre rifiutato di pensare a questo. Solo dopo aver scoperto il tradimento, notò che sua mamma, come sempre, aveva ragione.

‹‹Cosa c’è, ragazzi? Vi trovo davvero strani, stasera; e con strani, intendo dire… più strani›› Simone disse quella frase con un sorriso sulle labbra. Bill ed Heidi non le diedero ascolto per non saltare troppo nell’occhio. Bill, dal canto suo, dopo aver escogitato una posizione alquanto da cecchino per non essere sgamato da Tom, restò tutto il tempo a fissarlo – mentre continuava a mangiare quel po’ di frutta che gli era rimasta nel piatto. – Heidi, si gustò allegramente la scena.

Suo fratello, in quel momento, sembrava un povero allocco. Era proprio immerso nel suo mondo. Pareva stesse fra le nuvole più di quanto già non lo fosse.

‹‹Fa attenzione, ti sta scendendo la bava dalla bocca.›› disse poi, dandogli una gomitata sul braccio, facendogli perdere leggermente l’equilibrio – visto che manteneva il proprio mento con una mano, poggiando il gomito sul tavolo –

Si sentì un tonfo e, subito dopo, un tintinnio di posate cadere in terra. Ovviamente, nonostante la confusione che c’era, quel rumore fastidioso, catturò l’attenzione di molti e, come temeva Bill, anche quella di Tom.

Prima che potesse accorgersi di lui, si abbassò immediatamente sotto al tavolo, fingendo di raccogliere le posate cadute per terra. Si maledisse diecimila volte. Avrebbe voluto sparire.

‹‹Ti odio. Sei una stronza!›› grugnì poi a denti stretti, mentre la sorella se la rideva di gusto. I loro genitori li guardarono allibiti.

‹‹Io ancora non capisco che cosa vi è preso a voi due.›› esternò poi Gordon, una volta finito di mangiare. Simone, dal canto suo, aveva capito qualcosina. Abbassò il capo e cercò di smorzare un’evidente risata che stava per affiorare.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


- Capitolo 5 -

‹‹Non fare che ti stai quattro ore e mezza nel bagno per prepararti.›› disse Bill mentre si sfilava via la camicia, restando a petto nudo.

‹‹Non devo entrare nel bagno, sta tranquillo. Sono perfetta così come sono.›› rispose a tono Heidi, frugando nella sua borsa in cerca dell’arriccia capelli.

Bill, intanto, sceglieva quali accessori abbinare all’outfit che aveva in mente. Una canotta nera semplice, un pantalone color rosso fuoco, scarpe rigorosamente nere e una giacca in tessuto leggerlo, bianca. Guardandosi allo specchio, stava provando bracciali, collane, anelli, che potessero andare bene. Fino alla fine, estremamente indeciso, optò per chiedere alla sorella che, nel frattempo, aveva trovato il suo arriccia capelli e aveva preso ad armeggiare con esso.

‹‹Heidi, tu cosa dici? È meglio questa, oppure quest’altra collana? E questo bracciale, va bene con questo anello? E con questo bracciale? Dici che stona con i piercing che ho?›› cominciò a fare domande a raffica, senza nemmeno essere ascoltato. Diventava decisamente troppo logorroico e paranoico quando entrava in iperventilazione. Il motivo della sua agitazione, era proprio dovuta al fatto che, con molta probabilità, in discoteca, avrebbe incontrato Tom e, magari – sottolineò il magari – avrebbe potuto ballare con lui.

Ma se non so nemmeno se è gay!

Si ritrovò poi a pensare, mentre, disperato, cercava conforto nella sorella che, a prima vista, era intenta a farsi la permanente piuttosto che aiutare lui.

‹‹Heidi, ti prego. Sono disperato. Aiutami a scegliere quali cazzo di accessori posso abbinare al mio cazzo di outfit!›› urlò la parola ‘cazzo’ con un po’ di isteria. Possibile che era davvero così disperato come diceva di essere? Heidi posò il suo arriccia capelli sul letto e si voltò in maniera estremamente lenta, verso il fratello. Bill la guardò con occhi sgranati, in attesa di una risposta:

‹‹Non guardarmi come se fossi pazzo. Sono solo tremendamente disperato!››

Heidi sbuffò una risata, scuotendo leggermente la sua chioma bionda un po’ arricciata. ‹‹Non ti sarai mica preso una bella cotta, signor Kaulitz?››

Bill la guardò strabuzzando gli occhi e spalancando – perplesso – la bocca. Si portò una mano al petto e aggiunse:

‹‹Io non mi sono preso nessuna cotta per nessuno! Voglio solo essere al top, questa sera. Visto che l’unico motivo per cui voglia continuare questa dannata crociera è il divertimento, beh, non vedo il motivo per il quale non debba preoccuparmi di sfoggiare la mia eleganza ed il mio fascino.››

Heidi si picchiò la fronte, spiaccicandosi la mano sul viso e, con estrema lentezza, la fece scivolare fino al collo. ‹‹Tu sei solo impazzito, Bill. Credi a tua sorella.›› riprese a frugare nella sua borsa, in cerca di… qualcosa. ‹‹e comunque…›› proseguì poi, volgendo la sguardo verso Bill. ‹‹Stai benissimo così.›› gli rivolse un sorriso e Bill, finalmente, si tranquillizzò, ridendo a sua volta.

*

Uscirono dalla loro camera a mezzanotte. La serata in discoteca, sarebbe cominciata mezz’ora più tardi. Bill stava tormentandosi le mani. Era stranamente e maledettamente agitato. Cosa avrebbe pensato Tom di lui, dopo aver fatto quella figuraccia al ristorante? – sempre se fosse venuto in discoteca, certo –

‹‹..E se non ci dovesse essere?›› erano nell’ascensore assieme ad altri quattro ragazzi – probabilmente italiani – Bill buttò giù quella frase senza troppi indugi e Heidi, inizialmente, non collegò il tutto.

‹‹Chi?›› rispose senza volgere lo sguardo verso di lui. Continuò a fissare i numeri dei piani che, man mano, si illuminavano in maniera alternata.

‹‹Come chi, Heidi? Tom!››

Si fermarono al piano 12. A Bill si congelava il sangue nelle vene ogni qual volta l’ascensore cessava di salire. Temeva che Tom, potesse salire da un momento all’altro nell’ascensore assieme a lui. Dopotutto, sapeva soltanto che, la sua cabina, era un po’ più avanti della propria; niente di più.

 ‹‹Piantala di pensare a quel ragazzo, Bill. Stai facendo un po’ troppo presto i castelli in aria. Non lo conosci nemmeno!››

Heidi sbuffò e cominciò a schiacciare ripetutamente il pulsante ‘18’ che, nella speranza, gli avrebbe condotti direttamente in discoteca.

‹‹Non esaurirti prima ancora di sapere chi è.›› dopo la trentesima pigiata, gli sportelli si chiusero  e, finalmente, l’ascensore li condusse al loro piano.

‹‹Non sono esaurito.›› fece una pausa; riprese a parlare solo quando giunsero al loro piano, una manciata di secondi dopo. ‹‹voglio solo capire per quale cazzo di motivo mi ha parlato.››

*

Appena arrivarono, vennero immediatamente invasi da una fortissima musica. Automaticamente, sui loro volti, si disegnò un sorriso. Era una bellissima situazione. C’era una pista circolare, con la pavimentazione nera laccata. Le pareti erano di un rosa acceso; quasi un rosa Barbie. Al centro della pista, situata in alto, c’era la classica palla da discoteca roteante che, grazie ad un bellissimo gioco di luci colorate, proiettava un sacco di punti luce, anch’essi multicolore.

‹‹Hai il viso pieno di brufoli colorati! Ahahah!›› scherzò Heidi, tirando un buffetto dietro al collo di Bill. Lui rise a sua volta ma, inevitabilmente, stava cercando una sola persona, tra le centinaia che c’erano là dentro.

‹‹Heidi, avvisami se vedi Tom, okay?›› Heidi lo cantilenò e gli dette conferma.

‹‹Ma pensa a divertiti però, Bill. Dai, vieni a ballare con me.›› prima che però Bill si allontanasse, Heidi lo afferrò per i polsi e lo trascinò in pista. Inizialmente si oppose leggermente. Erano anni che non andava a ballare in discoteca. Di sicuro, molto prima che la sua storia con Georg finisse.

‹‹Non fare il sacco di patate e balla con me.›› quando Bill pensò di tornare indietro, era già troppo tardi; Heidi lo circondò al collo, con le braccia e cominciò a ballarci assieme, come se fossero una normale coppia. Lui si vergognò leggermente. La sorella, alle volte, era davvero troppo estroversa.

‹‹Pensa a divertiti, Bill. Andiamo! Sta al gioco.. balla con me. Balla con la tua sorellina!››

Heidi si allontanò leggermente, cominciando a ballare per fatti propri – sempre però vicina al fratello – si muoveva con sensualità, ondeggiando il bacino a destra e a sinistra, toccandosi delicatamente i capelli biondi; li trasportava in alto, mentre alzava le braccia, per poi farli ricadere morbidi sulle spalle. Bill la guardava con un sorriso beffardo. Heidi, era la solita esibizionista sensuale, bella, e che avrebbe fatto colpo su chiunque. Difatti, qualche istante dopo, venne circondata da un paio di ragazzi che parevano italiani. Heidi, stette al gioco. Cominciò a ballare prima con un ragazzo, e poi con l’altro, per poi ballare con entrambi.

Bill si schiaffeggiò la fronte.

Non cambierà mai.

*

‹‹Bill, sto andando a prendere qualcosa da bere con Paolo.›› Bill aggrottò le sopracciglia.

Paolo? Chi cazzo è questo Paolo?

Inizialmente, Bill era alquanto perplesso. Aveva tenuto d’occhio sua sorella tutto il tempo. Non voleva assolutamente che qualcuno le mettesse le mani addosso. Dopotutto, era il fratello maggiore… ma non era suo padre.

A malincuore, Bill disse di andare ma tenne a precisare di non combinare qualche cazzata. Heidi sorrise, e mentre Bill stava per raccomandarle di non bere troppo, lei prese sottobraccio l’italiano e lo portò al bancone per ordinare qualche drink.

Bill scosse la testa. Le raccomandazioni non sarebbero servite a molto. Tra l’altro, era una ragazza grande e vaccinata, non una ragazzina di quindici anni; e poi sapeva benissimo che, se quel ragazzo c’avesse provato, di sicuro lei non si sarebbe tirata indietro – specialmente se lo trovava attraente – Bill doveva rassegnarsi. Heidi non sarebbe rimasta sotto la sua protezione per tutta la vita. Doveva cominciare a preoccuparsi di meno.

*

Uscì fuori sul ponte. Con Heidi impegnata, non c’era granché da divertirsi. Non poteva di certo ballare da solo, in discoteca. Per tutto il tempo, aveva cercato Tom con lo sguardo, senza però trovarlo. Rimase decisamente un po’ troppo male.

Era poggiato sulla ringhiera del ponte. Ammirava quella calma e distesa tavola nera che si estendeva per centinaia e centinaia di miglia dinnanzi a sé, perdendosi con lo sguardo.

Inspirava ed espirava il fumo, alternativamente: inspirava a pieni polmoni e soffiava via il fumo dalla bocca, oppure dalle narici. Guardò distrattamente l’orologio: 02:54. Sbadigliò per la noia. Avrebbe voluto tornare in camera, ma cosa avrebbero pensato i suoi genitori se l’avessero visto arrivare senza sua sorella? Decise di rassegnarsi e di fumarsi un’altra sigaretta.

‹‹Ma dove sei?›› bisbigliò a se stesso, sempre con lo sguardo rivolto verso il mare immenso. Era perso completamente nei suoi pensieri, quando però..

‹‹Ehi!››

Una voce profonda lo fece sobbalzare leggermente. Quella voce aveva un tono famigliare.

Si portò una mano sul petto, e si voltò in direzione della voce che aveva udito.

‹‹Non volevo spaventarti.›› disse il rasta, sorridendo leggermente. ‹‹Posso unirmi a te?›› continuò poi, mostrando il pacchetto di sigarette. Bill non rispose, sorrise ed annuì.

Tom sfilò via una sigaretta e se la portò alla bocca. C’era vento e gli fu difficile accenderla. ‹‹Fuck!›› cercò di coprire la sigaretta con le mani, mettendole leggermente a coppa. Chiese a Bill di aiutarlo.

Dopo svariati tentativi, riuscì finalmente ad accenderla.

‹‹Thanks!››

‹‹You’re welcome.››

Fra i due, calò un imbarazzante silenzio che durò circa due minuti. Tom fumava beatamente la sua sigaretta, lanciando qualche occhiata fugace a Bill che, a differenza sua, aveva smesso da un po’ di fumare ed era assolto nei suoi pensieri:

Chissà cosa starà facendo Sarah.

Pensò poi, guardando il proprio cellulare, notando successivamente la totale assenza di segnale. Quanto odiava vedere quella X rossa al posto delle barrette blu che stavano ad indicare il campo.

‹‹Ehm.. ti stai divertendo?›› Tom interruppe quell’odioso silenzio imbarazzante. Bill si voltò di scatto, rispondendo a sua volta.

‹‹A dir il vero, non molto. Non volevo venirci, qua sopra. Ho lasciato la mia migliore amica in Germania. Mi manca molto.›› si toccò la nuca, facendo leggermente il vago. Tom storse il naso e tirò un’altra boccata.

‹‹Quindi…›› proseguì poi Tom, gettando il mozzicone della sigaretta nell’acqua. ‹‹Non hai fatto amicizia con nessuno, ancora?›› lanciò successivamente un’occhiata furtiva al ragazzo che aveva di fianco, in attesa in una probabile risposta. Bill, dal canto suo, si sentì completamente avvampare. Il suo cuore cominciò a sbattergli forte contro il petto. Gli diede l’impressione di voler uscire da lì. Si mise una mano sul petto, cercando – almeno un po’ – di farlo smettere di battere in maniera così compulsiva e frenetica. Tom non poté fare a meno di notarlo. Sorrise impacciato, nella speranza che Bill non l’avesse notato. 

‹‹Dovrei farti conoscere i miei amici. Anche se, in questo momento, non ho la più pallida idea di dove possano essere.›› Disse poi Tom, dandosi una fugace occhiata attorno. ‹‹Non devi imbarazzarti così tanto quando parli con me.›› confessò poi, facendo letteralmente tremare le gambe al mal capitato; nonché Bill. In quel momento volle del tutto sprofondare dalla vergogna. Possibile che fosse così evidente il suo attuale stato?

‹‹Ehm, a dir il vero… non so cosa pensare.›› si grattò la testa, cercando di evitare il più possibile lo sguardo di Tom. Di sicuro, non si sarebbe soffermato sui suoi occhi. Fece una pausa lunga quasi un minuto. Tom non osò fiatare.

‹‹Scenderai a Bari, non appena la nave attraccherà?›› domandò poi Tom, per evitare di proseguire con il lungo ed imbarazzante silenzio che era calato. Per un minuto abbondante, si era udito solo lo scrosciare delle onde contro le pareti in metallo della nave e il vento fresco che soffiava sui loro volti. Bill scosse il capo, senza rispondere.

Tom, un po’ demoralizzato dall’evidente rifiuto di approccio, abbassò lo sguardo sulle punte delle sue Airforce nere, provando ad attaccare bottone un’altra volta.

‹‹Qual è il tuo drink preferito? Ti va di prendere qualcosa?›› questa volta, doveva rispondere per forza.

Bill, dal canto suo, aveva capito che Tom stava tentando di abbordarlo. Sorrise a quel pensiero; dopotutto, era ciò che voleva, no? Si voltò lentamente verso di lui, guardandolo negli occhi:

‹‹È il tuo modo per chiedermi scusa per lo spintone che mi hai dato questa mattina e per avermi deriso mentre combattevo col il metaldetector?››

Questa volta fu Tom a diventare paonazzo. Fece leggermente il vago, grattandosi i suoi dreads neri. Balbettò un po’ prima di rispondere, ma Bill lo tranquillizzò prima che esplodesse dalla vergogna.

‹‹Io adoro la vodka. In qualsiasi modo essa possa presentarsi; e sì, mi andrebbe qualcosa da bere.›› sorrise, rassicurandolo leggermente. Tom cominciò a tornare al suo colorito naturale e, con un gesto del capo, invitò Bill a seguirlo.

*

‹‹Due Vodka liscia con lime. Mettici del ghiaccio.›› urlò Tom al barista, per sovrastare la musica altissima. Il barman annuì e cominciò ad armeggiare con gli alcolici. Bill, seduto sullo sgabellino accanto al bancone, cominciò a battere il piede a ritmo di musica e, di tanto in tanto, tamburellava anche la coscia con il palmo della mano. Da quanto tempo non si divertiva?

Tom non poté fare a meno di notarlo e, colto alla sprovvista, lo afferrò velocemente da entrambi i polsi e lo condusse al centro della pista da ballo. Inizialmente, Bill, oppose resistenza ma poi, si lasciò trasportare.

Senza troppi indugi, Tom gli cinse i fianchi e cominciò a ballare con lui ma, con sua sorpresa, Bill si irrigidì, tirandosi leggermente indietro. Tom rimase sbigottito.

‹‹Are you okay?››

Bill fece leggermente il vago e tentò di allontanarsi dalla pista da ballo, senza però riuscirci in quanto, Tom, lo teneva stretto – ma non troppo – dai polsi.

‹‹Let me go away, please.›› Bill si dimenò, ma senza opporre molta resistenza. Tom, a quel punto, strinse un po’ più la presa. Non voleva che andasse via.

‹‹Stay here, Bill. Don’t let go.›› un altro piccolo strattone; Tom non lo mollava. D’un tratto però, una mano si posò sulla spalla di Tom, facendolo sobbalzare leggermente. Era il barman: i loro drink erano pronti.

*

‹‹Non volevo infastidirti, Bill.›› si scusò Tom, sorseggiando il suo drink dalla cannuccia, mangiando successivamente la frutta infilzata nello spiedino di legno. Bill, per qualche attimo, non parlò. Si accingeva a bere il suo drink come se nulla fosse.

‹‹Bill, please! Answer me!›› alzò lo sguardo, incrociando immediatamente quello di Tom. I suoi occhi erano davvero troppo, troppo profondi e penetranti, per non essere guardati. Ebbe un tuffo allo stomaco quando, involontariamente i suoi occhi, dacché catturati da quelli del ragazzo con i rasta, vennero ammaliati dalla visione delle sue labbra: carnose, rosee, adornate con due bellissimi piercing a cerchietto sul lato destro del labbro inferiore.

Non guardarle, Bill. Non guardare le sue labbra.

Ripeteva una voce nella sua testa ma, a quanto pare, era già arrivata troppo tardi. Non appena si rese conto di ciò che aveva appena compito, scosse il capo e si alzò velocemente dal suo sgabello rotondo. La solita mano però, lo afferrò per il polso.

‹‹No, Tom. Questa volta non riuscirai a trattenermi. Scusami, sono stanco. Domattina dovrò scendere con i miei genitori. Sicuramente vorranno andare in giro. Buonanotte.›› Non ci volle una notevole forza per liberarsi. Mollò la presa prima che Bill tentasse di divincolarsi.

‹‹Okay. Goodnight. See you tomorrow?››

Domandò poi scettico. Bill ci pensò su qualche attimo, prima di rispondere.

‹‹I’ll think about it.››

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


- Capitolo 6 -

La sveglia suonò alle otto in punto. Si era dimenticato che, l’indomani, sarebbero scesi dalla nave per visitare Bari. Bill mugugnò un qualcosa, non appena sentì l’allarme del telefono suonare ripetutamente. Aprì prima un occhio e poi un altro, ma era circondato dal buio più totale. Gli occhi fecero fatica ad abituarsi. Vedeva solo uno spiraglio di luce che proveniva dal bagno: sicuramente, Heidi si era già impossessata di quella camera. Sbadigliò, stiracchiando braccia e gambe.

‹‹Heidi, fa in fretta perché dovrei lavarmi anche io.››

Urlò, nella speranza che la sorella l’avesse sentito. A rispondergli, però, non fu Heidi, bensì sua mamma. Aprì la piccola porticina del bagno e rispose al figlio:

‹‹Tua sorella è già di sopra a fare colazione con tuo padre. Il bello addormentato sei tu. Ti ho impostato la sveglia alle otto di mattina, dimodoché la potessi sentire.››

‹‹Guarda, senza di quella non mi sarei mai svegliato.›› biascicò poi, mentre tentava invano di alzarsi, ricadendo nuovamente disteso, non appena provava a destarsi dal letto. ‹‹Dio mio, per forza devo scendere? Non ho la minima voglia di farlo. Voglio dormire!›› disse poi, gettandosi con la testa sul cuscino. Gli occhi si erano già abituati al buio e per giunta Simone, aveva lasciato aperta la porta, facendo entrare la potente luce gialla in tutta la stanza. Bill si coprì il volto con il braccio.

‹‹Cosa devi stare a fare sulla nave, Bill? Hai tutto il pomeriggio per farlo. Tra mezz’ora attracchiamo e non voglio perdermelo. Poi voglio visitare Bari Vecchia. Hanno detto che è stupenda.›› disse Simone mentre usciva dal bagno, legandosi i capelli color rosso rame in un’alta coda di cavallo.

‹‹Non fare sempre il guastafeste, tesoro. Coraggio…›› si avvicinò al letto del figlio e lo tirò per un braccio. ‹‹Alza il sedere dal letto e scendi di sotto a fare colazione.›› lo strattonò ancora un po’, fino a quando, sconfitto, decise di mettersi seduto sul letto e tentare di alzarsi per dirigersi verso il bagno e farsi una bella doccia fredda per svegliarsi.

‹‹Noi ti aspettiamo di sotto.›› concluse Simone, prima di uscire dalla cabina, chiudendo la porta alle sue spalle.

Nonostante Bill fosse seduto sul letto, non appena la madre uscì dalla stanza, si lasciò nuovamente sprofondare fra le lenzuola. Non c’era più quel bellissimo buio in quanto, sua mamma prima di uscire, aveva aperto le tapparelle della grande vetrata che dava sul balcone.

‹‹Ma perché devono sempre capitare a me le cose difficili.›› si riferì esplicitamente a quella notte. Aveva fatto bene ad andarsene in quel modo senza dare troppe spiegazioni a Tom? Si portò entrambe le mani sul viso, strofinandoselo. ‹‹Mi sono comportato come un bambino. Dannazione.›› d’un tratto però, ebbe un colpo di genio: lui aveva la camera praticamente a trenta metri dalla sua. Sarebbe stato consono bussare alla sua camera e chiedergli scusa per il suo comportamento infantile? Dopotutto, Tom l’aveva fatto con lui; si era scusato. Era forse il suo turno, ora?

‹‹No, non posso farlo. Cosa penseranno gli amici? No. Evito.›› si auto-rispose. Con una leggera pressione, si alzò dal letto e si diresse verso il bagno. Cominciare la giornata con una bella doccia fredda, gli avrebbe fatto bene; tra l’altro, quella sarebbe stata davvero un’intesa giornata.

*

‹‹Ben svegliato, bell’addormentato.›› Bill si avvicinò con il vassoio e si si sedette accanto ai genitori.

‹‹Uova sode a prima mattina?›› cominciò Heidi. Bill non le rispose. Continuò a masticare con estrema lentezza la sua colazione: due uova sode, una tazza di caffè, due toast con il miele e un frutto. ‹‹nemmeno all’ospedale mangiano così, Bill.›› lui continuò a non rispondere. In quel momento non voleva sentire nessuno.

Aveva sonno in quanto, la notte, non aveva chiuso assolutamente occhio: tra il mal di mare e il pensiero di Tom, aveva passato la notte insonne.

‹‹Cos’hai, Bill? Ti vedo alquanto spento, stamattina.›› intervenne Simone, accarezzando dolcemente la spalla del figlio. Bill fece spallucce, dicendo che non aveva assolutamente nulla. Era solo stanco ed assonnato per via di ieri notte.

‹‹Poi ne parliamo, okay?›› intervenne Heidi, capendo immediatamente che qualcosa non andava. Bill annuì, mandando giù l’ultimo boccone di uovo sodo.

‹‹Tra quanto attracchiamo?›› prima di ottenere una risposta, la nave cominciò a tremare e, qualche attimo dopo, si fermò.

‹‹Detto. Fatto!››

*

Cominciarono a scendere lungo il pontile, che dava al porto di Bari. L’aria era molto più calda e afosa di quando erano a Venezia. Bill si passò una mano sul viso sudato, scostandosi dalla fronte qualche ciuffo biondo di capelli che, per via del sudore, vi si era appiccicato.

‹‹Ho bisogno di una bibita fresca. Un qualcosa di ghiacciato, come una granita.›› disse d’un tratto Heidi, due minuti dopo essere scena dalla nave. Simone alzò gli occhi al cielo, esasperata.

‹‹Se dovete dar fastidio peggio dei neonati, siete pregati di rimanere a bordo.›› intervenne poi Gordon. Bill diede una gomitata alla sorella ed indicò un Lemon Bar lì vicino.

‹‹Io ed Heidi andiamo a prendere qualcosa da bere lì a quel bar›› disse indicando una fattispecie di carretta a forma di limone. ‹‹Ho molta sete anche io.›› strizzò l’occhio in segno di complicità. Heidi afferrò subito e sorrise a sua volta.

*

‹‹…e quindi si è messo a ballare con te e tu lo hai schifato?›› Heidi lo guardò perplessa e con occhi e bocca spalancati, mentre teneva in mano la sua granita alla fragola. Bill fece spallucce e sorseggiò la sua bevanda al melone.

‹‹No Bill. Non mi fare spallucce. Dammi una spiegazione sensata del perché hai rifiutato di ballare con quel ragazzo…›› fece una breve pausa ‹‹E non mi fare il nome di Georg che ti picchio a sangue seduta stante!›› concluse poi. Bill faceva il vago. Sapeva benissimo che la causa del suo ‘rifiuto’, se così andava chiamato, era proprio la brutta storia vissuta con Georg. Non voleva rivivere ciò che, quella maledettissima sera, lo aveva completamente distrutto.

Lui era seduto con la spalla poggiata contro la testiera del letto, contorcendosi dal piacere; lei invece, era sopra di lui, saltando come una cagna in calore ed emettendo mugugni che gli fecero rivoltare lo stomaco. La cosa peggiore, non era il fatto che fosse andato a letto con un’altra persona: la cosa che più lo disgustò, fu il fatto che, quella troia che si stava scopando, era la sua istruttrice di piscina.

Passò qualche istante, prima che i due si accorgessero della sua presenza. L’espressione allibita di Georg, nel vedere Bill dinnanzi ai suoi occhi, non l’avrebbe mai e poi mai dimenticata.

‹‹B-Bill..››

La ragazza, vedendo Georg spaventato, si girò di scatto e, cacciando successivamente un urlo di spavento, scavalcò Georg e si mise sotto le coperte, tentando di coprirsi il più possibile.

Bill non disse nulla. Rimase immobile sull’uscio della porta. Non poteva credere ai suoi occhi. Il suo dolore era talmente inteso, tanto da non riuscire nemmeno a piangere.

‹‹Io.. io..›› Georg non riusciva a trovare le giuste parole per inventarsi le più assurde scuse. Gli uscì soltanto un: ‘posso spiegarti’. Bill, a quel punto, perse totalmente il lume della ragione. Si fece tutto improvvisamente nero. Cominciò ad urlare, sia contro Georg, che contro la ragazza. La chiamò in tutti i modi possibili ed immaginabili, con parole che nemmeno lui, sapeva di conoscere.

‹‹Devi sparire oggi stesso da casa mia. Non ti voglio più vedere! Schifoso porco!›› era adirato ma, al contempo, profondamente tradito ed umiliato. Lui amava perdutamente Georg. Non gli avrebbe mai e poi mai perdonato una cosa del genere. Mai. L’avevo preso in giro per tutto quel tempo. Credeva davvero in quella storia. Ci credeva con tutto se stesso. Ma era stato tradito. Aveva tradito la sua fiducia, il suo amore, la sua promessa, con una donna. Una fottuta donna.

‹‹Bill, ti prego, lasciami parlare.›› intervenne poi Georg, nel tentativo che Bill la piantasse di gridare. Non ci furono ragioni. Bill lo zittì con un sonoro ‘Stai zitto!’ accompagnato poi da un doloroso ‘Sparisci!’

Dopo quella tremenda esperienza – che d’altronde lo distrusse emotivamente – giurò che non avrebbe mai più cercato l’amore e che non avrebbe mai più avuto un uomo in vita sua.

*

‹‹Ehi! Terra chiama Bill.›› Heidi sventolò una mano davanti lo sguardo del fratello che, notando il gesto della sorella, tornò alla realtà; come se si fosse svegliato da un sogno o meglio, un tremendo incubo.

‹‹Ti ho detto di darmi una risposta. Perché ti sei rifiutato di ballare con quel gran pezzo di un figo?››  Bill non sapeva se ridere o vergognarsi, dopo quell’osservazione. Obiettivamente, Tom era davvero molto, forse anche troppo bello.

‹‹È solo che non mi va di frequentare un’altra persona, Heidi. E se poi mi dovessi affezionare a lui? Sai di dov’è?›› fece una breve pausa ed attese che la sorella gli desse segni di vita. ‹‹È americano, Heidi. A-M-E-R-I-C-A-N-O. Sai quanti chilometri separano la Germania dall’America?›› Heidi guardò il cielo e, per scherzo, provò a contare con le dita.

‹‹L’oceano ci separa, Heidi. Il fottuto Oceano Atlantico.›› sbottò infine, accasciandosi sulla sedia di legno e finendo di bere la sua granita. Heidi, inizialmente, non disse nulla. Una volta finita la sua bibita e dopo aver gettato il contenitore ormai vuoto nel cestino, puntò i gomiti sul tavolino e si sporse verso Bill:

‹‹Sai come si può raggiungere l’America, Bill? Con l’aereo.›› disse infine, rimettendosi seduta composta al proprio posto. Con aria di superiorità, Heidi si mise dietro l’orecchio una ciocca bionda di capelli ed attese una risposta – quasi improbabile – da parte della persona che aveva dinnanzi a sé.

‹‹E quindi? Il signormissionimpossible è rimasto senza parole?›› continuò poi, vedendo che Bill non riusciva a darle una risposta: a quel punto intrecciò le braccia al petto ed accavallò le gambe. Bill cominciò a torturare la sua cannuccia, mordicchiandola tutta.

‹‹Non è la cosa giusta da fare, Heidi.›› sospirò poi, spingendo con una certa irruenza, il bicchiere dall’altra parte del tavolino.

‹‹Ma come sei pesante, Bill.›› affermò successivamente la ragazza, rilanciando il bicchiere del fratello, nella sua direzione. ‹‹Non ho mica detto che te lo devi sposare. Ti sto solo dicendo che, da quello che mi hai raccontato, sembra che il bell’imbusto, sia dell’altra sponda.›› disse quella frase con un cenno di ironia. Bill non sapeva se ridere o pigliare a schiaffi quella povera disgraziata che si trovava di fronte. Optò per la prima scelta.

Sorrise in maniera fin troppo imbarazzata. Doveva ammetterlo: Tom lo attraeva; e non poco e, a quanto pare, anche Tom provava una certa ‘attrazione’ per Bill. Era palesemente evidente. Nessun ragazzo definito ‘normale’ avrebbe mai chiesto ad un altro ragazzo di ballare assieme a lui in quel modo.

‹‹Tu dici che dovrei provare a divertirmi un po’?›› continuò puoi, giocherellando con l’accendino che aveva nella mano destra. Heidi lo guardò e gli sorrise dolcemente e in maniera molto comprensiva. Gli strinse la mano.

‹‹Io voglio solo e soltanto il meglio per te. Un po’ di divertimento non ha mai fatto del male a nessuno. Dopo quello che ti è successo e, soprattutto, dopo aver lasciato la tua migliore amica lì a Berlino, meriti davvero di svagare un po’››

D’un tratto però, Bill ebbe un’illuminazione. Il suo entusiasmo fu talmente grande, tanto da far sobbalzare Heidi dallo spavento.

‹‹Sarah!! Siamo fuori dalla nave. Posso chiamarla! Dio che stupido. Avevo dimenticato di avere la promozione internazionale. Stupido! Stupido!››

Si picchiò la fronte con il palmo della mano, più e più volte. Heidi pensò seriamente di lasciarlo lì, allontanandosi di soppiatto come se nulla fosse, facendo finta di non conoscerlo affatto.

Bill afferrò il cellulare, andò nella rubrica e scorse fino alla lettera S. Il telefono fece un paio di squilli!

Bill?

‹‹Sarah!! Che bello risentire la tua voce. Come va? Che stai facendo?››

C’era tanto di quell’entusiasmo in Bill. Era come se non si sentissero da anni.

Bill, è da ieri che non ci sentiamo. Cosa vuoi che sia cambiato! Sto benone. E tu?

Disse ridendo la ragazza. Era così bello risentire la voce del suo migliore amico.

‹‹Bene anche io. La nave è stupenda. Mi sono miracolosamente ricordato che, per fortuna, ho la promozione internazionale. Fuori dalla nave, posso chiamarti senza problemi.››

Si alzò dal tavolino e fece cenno ad Heidi di aspettarlo qui. Si avvicinò ad una delle tantissime bancarelle che c’erano lì, al porto. Diede una rapida occhiata alle zagaglie che vendevano: calamite, ciondoli, piccole statuette.

‹‹Mi manchi un sacco.››

Anche tu, Bill. Ma cosa ti ho detto prima che tu partissi? Pensa a divertirti e non pensare continuamente a me. Caspita, anche io vorrei divertiti!

Rise di gusto. Lo fece anche Bill.

Lui pensò di non raccontare nulla a Sarah di Tom, in quanto, se l’avesse fatto, di sicuro avrebbe voluto tutti i minimi dettagli, peggio della sorella. Ergo, decise di non dire nulla almeno per adesso.

‹‹Sto facendo una miriade di foto con la mia bambina. Non appena ritorno, ti faccio vedere.››

Si soffermò ad una bancarella che vendeva anelli, collane e accessori di questo genere. Venne colpito da un anello a croce. How much?

L’uomo lo guardò basito. Strabuzzò gli occhi e fece comprendere a Bill che, ovviamente, non capiva l’inglese. Sbuffò, già stufo.

‹‹Sarah, tu che sei brava in italiano, come si dice: wie viel kostet? In italiano?››

Sei proprio un ignorante. Ti ho sempre detto di imparare l’italiano. Si dice: ‘quanto costa?’

Bill la ringraziò, mandandole una marea di baci. Qualche istante dopo, chiuse la chiamata. Tentò di ripetere al meglio quella parola così difficile che Sarah gli disse;

‹‹Quannnnnttto cosssssta?››

Miracolosamente, l’uomo lo capì. Con la mano, segnò il numero cinque. Bill dedusse che, quell’anello, costava cinque euro. Lo comprò senza aggiungere altro. Sborsò il denaro e se lo mise subito, sfoggiandolo davanti alla sorella.

‹‹Brutto stronzo! Me lo devi prestare!›› Heidi scattò in piedi ed afferrò la mano del fratello per poter ammirare il suo nuovo acquisto. Bill la tirò indietro prima che lei potesse guardarlo con più attenzione.

‹‹Assolutamente no. Tu non mi presti mai nulla.›› Heidi lo fulminò con lo sguardo.

‹‹E lo shampoo che ti ho prestato e che non ho più riavuto indietro? Credi che me ne sia dimenticata per caso? Non sono una stupida!››

Merda.

Bill fece finta di non aver sentito e rimise la mano in tasca. Disse che non aveva alcuna intenzione di farsi un giro per la città. Bari non gli diceva nulla. Era una vecchia città, piena di zoticoni e pescivendoli; non era per niente il tipo di gente con il quale Bill aveva a che fare. Decise di continuare il giro per le bancarelle che avevano allestito, senz’altro per l’attracco della nave. Ovviamente, avevano previsto l’arrivo di innumerevoli turisti.

‹‹Bill, guarda questa collana. Me la regali per il mio compleanno?›› Heidi gli fece notare una bellissima collana in acciaio con inciso l’iniziale del suo nome in un ciondolo a forma di cuore e con incastonato un brillantino di colore nero.

Bill la guardò accigliato. ‹‹Ma se il tuo compleanno è a Novembre. Siamo in piena estate, Heidi.››

Lei sbuffò e lo pregò nuovamente, chiedendogli di farle un regalo anticipato.

‹‹Non ho un soldo con me.››

‹‹Tanto piacere.›› proseguì lui, ignorandola.

‹‹Sei un tirchio. Peggio di Zio Paperone.››

‹‹Zio Paperone è un umile papero, se ci metti a confronto.›› cominciò a non riuscire più a trattenere le risate. Fino a quando, non scoppiò improvvisamente. ‹‹Ahahah! Sei così stupida, alle volte.›› continuò poi, mettendo le mani nella propria borsa e prendendo un po’ di soldi. ‹‹Tieni! Fatteli bastare per il resto della crociera.›› le porse una banconota da cinquanta euro.

Le si illuminarono gli occhi e lo ringraziò. Lui ricambiò il sorriso.

*

Bill era già praticamente esausto. Era già un’ora abbondate che girovaga per la città assieme ai suoi genitori. Dopo essersi goduto la granita con sua sorella e fatto anche qualche acquisto, vennero raggiunti dai loro genitori che, ‘cordialmente’ li invitarono a seguirli: con ‘cordialmente’, ci si riferiva al fatto che fossero stati letteralmente costretti ad aggregarsi a loro.

‹‹Mamma, ti prego. Sono stanco e voglio salire sulla nave. Una vacanza non deve essere uno stress. Sto sudando come un maiale, Heidi sta sudando come una vacca…›› ricevette una gomitata nelle costole.

‹‹Ehi coglione. Bada a come parli e pensa per te.›› proseguì Heidi, aumentando il passo dimodoché non stesse più affianco a Bill.

‹‹…Ad ogni modo…›› continuò Bill, massaggiandosi la parte dolorante – questa volta Heidi, l’aveva colpito leggermente più forte – ‹‹voglio tornare sulla nave.›› concluse poi.

‹‹Torneremo sulla nave non appena avremo visitato l’ultimo posto: La Chiesa di San Nicola.››

Avrebbe voluto darsi di testa contro la prima parete dura e ruvida disponibile; ma attorno a lui c’era troppa gente e nessun muro abbastanza vicino per fracassarsela.

Si passò le mani sul viso, tirando leggermente la pelle.

Perché? Perché ho deciso di venire. Non potevo stare beatamente a casa mia?

Si ritrovò a pensare poi, mentre continuava a trascinarsi per le strade di Bari.

Finalmente però, un miraggio: la Chiesa di San Nicola era a poche decine di metri da loro.

‹‹Venite, sembra che ci sia una guida, lì infondo.›› disse Simone afferrando la mano di Gordon e trasportarlo con una leggera forza in mezzo alla folla, concentrata all’entrata dalla chiesa.

C’erano diversi gruppi, ognuno dei quali aveva una propria guida di nazionalità diversa. Simone distinse la guida tedesca, grazie al berretto che indossava: aveva i colori della Germania.

Si avvicinò a passo svelto e, di conseguenza, anche il resto della famiglia la seguì a ruota. Appena raggiunsero il gruppetto di persone, cominciarono ad ascoltare l’accurata spiegazione della ragazza-guida.

‹‹Risale agli inizi del XX secolo. La costruzione della chiesa polarizzò immediatamente il quartiere, al tempo in caotica espansione. Nel 1911, la Società Imperiale Ortodossa di Palestina commissionò ad Aleksej Viktorovic Ščusev l'edificazione del tempio, la cui prima pietra venne posta il 22 maggio 1913. Le autorità baresi e russe portarono in dono una grande icona del Santo, dipinta secondo modelli antichi. La cerimonia, durata circa un’ora, si concluse con un discorso di ringraziamento da parte del sindaco di Bari Fiorese e il principe russo Zelachov. La costruzione della chiesa fu completata solo dopo la fine della prima guerra mondiale. Da allora i pellegrinaggi continuano anno per anno.

Dopo la Rivoluzione russa, in seguito alla diaspora, i greci ortodossi greci furono più numerosi dei russi ortodossi russi.

Nel 1937 la chiesa divenne proprietà del Comune di Bari. Il Comune s'impegnava a rispettare la proprietà ecclesiastica della costruzione, a conservare il tempio nella sua funzione religiosa e a destinare alcuni locali dell’ospizio dell’Istituto per l'infanzia abbandonata "M. Diana".

Nel 1969, in seguito alle politiche ecumeniche del Concilio Vaticano II, insieme a Lucio Demo si concesse la celebrazione della funzione ortodossa nella cripta della Basilica di San Nicola, proprio in segno di amicizia, di rispetto e di profonda unione con gli ortodossi.

Di recente ristrutturata, la chiesa russa continua ad essere un ponte con le civiltà dell'Est Europa e del bacino orientale del Mar Mediterraneo.››

Bill cominciò a sbuffare più e più volte. Quella guida era di una noia tremenda. Voleva tornare sulla nave; e voleva farlo subito.

‹‹Bill, andiamo; fa qualche foto alla Chiesa.›› lo invitò sua madre, indicando – da lontano – la sua Reflex. ‹‹Sbaglio avevi detto che avresti fotografato ogni cosa?››

‹‹Per l’ennesima volta, ti ripeto: avrei fotografato qualunque cosa stesse sulla nave. Non al di fuori di essa. Ti è chia-››  non terminò la frase che, a qualche metro da lui, aveva appena visto qualcuno.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


- Capitolo 7 -

Tom era praticamente alla sua destra, a pochi metri da lui, nell’altro gruppo. A differenza sua, ascoltava la guida con molto interesse.

Ovviamente, sua sorella Heidi, notò quanto Bill fosse imbambolato da diversi secondi e, di conseguenza, si voltò nella direzione in cui stava fissando, vedendo così Tom.

‹‹Non pensavi che il tuo amoroso fosse così interessato alla storia, eh?››  disse ironicamente sua sorella, dandogli la solita gomitata nelle coste, facendo così rinvenire suo fratello.

‹‹Cosa? No, non stavo fissando lui.››  si giustificò successivamente, sentendosi chiamato in causa. Heidi scoppiò a ridere di gusto.

‹‹Dai fratellino, vacci a parlare, o lo farò io.›› 

Non appena disse così, Bill sgranò gli occhi le disse cosa diamine le stesse passando per la testa. Heidi, a sua volta, si passò una mano per tutta la superficie del suo viso – fortunatamente non era truccata –

‹‹Possibile che tu ti debba comportare come se non avessi mai visto un ragazzo in vita tua?›› 

‹‹Non lo conosco nemmeno. E non mi va nemmeno di farlo.››  proseguì poi lui, distogliendo lo sguardo dal ragazzo con i rasta neri. Heidi, però, non demorse, e fece di testa sua. Come faceva sempre, d’altronde. Senza che il fratello se ne accorgesse, colse un sassolino da terra, grande più o meno quanto una biglia, e lo lanciò addosso a Tom. Ebbe una mira stranamente precisa, colpendolo dritto in testa.

‹‹Ahia, ma che cazzo…›› 

Il povero ragazzo, colpito da un sassolino misterioso, si voltò proprio nella direzione in cui l’oggetto era partito e, quando vide Bill, si chinò di soppiatto e, una volta afferrato il sassolino da terra, glielo lanciò a sua volta.

‹‹Ma che diavolo…››  non appena vide Tom avvicinarsi, diventò improvvisamente di un rosso pomodoro. Fortunatamente, vista l’afa e il caldo di prima mattina, poteva benissimo dar colpa a quello.

‹‹Hello, Bill.››  iniziò Tom, dando una pacca sulla spalla al ragazzo biondo. Bill lo guardò perplesso e, quando notò che sua sorella Heidi non era più accanto a lui, capì subito una cosa:

Quella bastarda la pagherà cara.

‹‹Perché mi hai colpito con un sasso?››  proseguì poi Bill, toccandosi il braccio, ovvero, la parte colpita.

‹‹Io? Sei stato tu a colpirmi con quel sassolino, prima. Io te l’ho solo riportato indietro.›› 

Doppia bastarda.

In quel momento, Bill non sapeva proprio come comportarsi e né tanto meno cosa dire. Restò in silenzio per qualche secondo, dopodiché sorrise.

‹‹Non pensavo ti accorgessi fossi io, il lanciatore di pietre.›› 

‹‹Oltre i miei amici che per ora non riesco a trovare, ci sei soltanto tu a conoscermi.››  si guardò un po’ attorno con fare sarcastico. ‹‹A meno che non ci siano i fantasmi, qui.››  ridacchiò poi, con  Bill a suo seguito.

Calò il solito silenzio imbarazzante fra i due. Si udivano soltanto le varie voci delle diverse guide turistiche.

Non ottenendo più attenzioni, Tom decise di ritornare ad ascoltare la ragazza di colore che, con molta disinvoltura, spiegava la storia della Chiesa. Anche Bill decise di tornare dalla sua famiglia, ma non prima di aver salutato con un cenno della mano il rasta, che ricambiò felicemente.

*

‹‹Ahio! Cosa ho fatto?›› squittì Heidi, dopo aver ricevuto uno schiaffo in testa. La sua risatina, echeggiò per tutta la Chiesa. Tutti si voltarono nella loro direzione e cominciarono a guardarli basiti. Sapeva benissimo il motivo per cui Bill, l’aveva colpita. La cosa la divertiva ancora di più. Voleva dire solo una cosa: il suo piano, era andato a buon fine.

‹‹Se la prossima volta ti azzardi di nuovo a farmi fare figuracce con qualcuno, giuro che…››

Non ebbe il tempo di finire la frase. Gordon lo ammutolì con un sonoro ‘sht’. Ciò stava ad indicare una sola cosa: la guida avrebbe cominciato a parlare un’altra volta. E lui voleva solo morire.

‹‹La basilica, considerata uno dei prototipi delle chiese romanico-pugliesi, sorge isolata a poca distanza dal mare.

La facciata a salienti, semplice e maestosa, è tripartita da lesene, coronata da archetti e aperta in alto da bifore e in basso da tre portali, dei quali il mediano, a baldacchino su colonne, è riccamente scolpito. Due torri campanarie mozze, di diversa fattura, fiancheggiano la facciata. I fianchi si caratterizzano per le profonde arcate cieche (sopra le quali corrono loggette a esafore) e le ricche porte. Arcate cieche in basso e bifore in alto animano le alte testate del transetto e la parete continua absidale, ornata al centro da un grande finestrone.

L'interno presenta uno sviluppo planimetrico a croce latina. Il corpo longitudinale è diviso in tre navate da dodici colonne di spoglio. Il ritmo della navata centrale, con copertura a capriate, è scandito da tre arconi trasversali, aggiunti nel XV secolo in seguito a un terremoto che aveva reso pericolante l'intera costruzione. Mentre i primi due si impostano sulle prime quattro coppie di colonne binate, l'ultimo arcone è retto da due massicci pilastri compositi, posti quasi a metà della navata stessa.

Al di sopra degli archi c'è il piano del matroneo a trifore. Il soffitto è intagliato e dorato accompagnato con riquadri dipinti del XVII secolo. Tre solenni arcate su graziose colonne dividono la navata centrale del presbiterio. L'altare maggiore è sormontato da un ciborio del XII secolo.

Nell'abside centrale degno di nota è il pavimento con tarsie marmoree e con motivi orientaleggianti dei primi decenni del XII secolo assieme alla vigorosa sedia episcopale marmorea del 1105 e anche al monumento di Bona Sforza, regina di Polonia, di scultori del tardo Cinquecento.

Nell'altare dell'abside destro è presente un trittico di Andrea Rico da Candia del XV secolo; nella parete retrostante sono vari resti di affreschi trecenteschi. Sulla destra il ricco altare di San Nicola, in lamina d'argento sbalzato del 1684. Nell'abside sinistro una tavola con Madonna e Santi del 1476.

Per chi non lo sapesse, diverse leggende narrano che la basilica sarebbe stata costruita per celare il Sacro Graal, il calice dal quale Cristo bevve nel giorno dell'Ultima Cena con gli apostoli. A fondamento di questa leggenda Bari era il porto dal quale crociati e gente di ventura partivano per la Terrasanta, quindi era ritenuta una città ai margini dell'impero, ma nello stesso tempo pregna di sacralità. Si tratta però appunto solo di leggende che, malgrado vengano spesso riproposte anche in tempi moderni, sono state più volte smentite da autorevoli studiosi come il padre domenicano Gerardo Cioffari, storico di San Nicola e della basilica.

La figura di San Nicola ha dato origine alla celebre leggenda di Santa Claus.››

Bill no ne poteva più. Voleva darsi la testa contro una qualsiasi parete. La storia di quella Chiesa era un qualcosa di noiosa e altamente disinteressante. Avrebbe pregato in una lingua morta, se fosse servito a riportarlo a bordo. Guardò l’orologio: 12:32. Erano nella città vecchia da tutta la mattina. Affamato, accaldato e nettamente annoiato, Bill giurò che non avrebbe più messo piedi in quella maledettissima città.

Quanto è vero Iddio, non verrò mai più qui. Mai.

*

Guardò nuovamente l’orologio: 13:02. Il suo stomaco cominciava a borbottare. Era in fila da cinque minuti, in attesa del suo solito riso in bianco. Con la mano destra, manteneva il vassoio ancora vuoto e, la sinistra, era posata – con una grazia non proprio maschile – sul proprio fianco. Il piede batteva tempestivamente per terra.

Alzò gli occhi al cielo. Quella vacanza stava prendendo di nuovo una brutta piega.

‹‹Bill, noi andiamo a cercare un posto per sederci. Raggiungici.›› urlò Gordon, per sovrastare il baccano che c’era al self service. Bill, con un cenno distratto della mano, rispose al padre, senza premura di accertarsi che avesse capito.

‹‹Non vedo l’ora di tornare a Berlino.›› disse poi tra sé e sé. Finalmente, dopo un altro straziante minuto di attesa, poté riempire il suo piatto con del riso in bianco. Come secondo, questa volta, avrebbe optato per il pesce.

Cercò con lo sguardo il bancone dei secondi a base di pesce. Era ad una decina di metri da dove si trovava. Con il vassoio in aria, sulla testa, si incamminò verso il bancone dei secondi, nella speranza di non attendere ancora per molto.

Una volta raggiunto, notò che, in fila prima di lui, c’erano cinque – o forse sei – persone. Si sarebbe sbrigato in poco tempo. Durante l’attesa, testò il territorio, in cerca della propria famiglia. Nessuna traccia. C’era davvero troppa gente, lì dentro. Pieno di bambini che correvano da tutte le parti, con i genitori al seguito che gridavano e si affannavano per star dietro ai propri figli.

‘Voglio l’hamburgeeeeeeeeeeer!’

‘Io le salsicceeeeeee!’

‘Voglio dormireeeeee!’

‘Ho caldooooo!’

‘Ho seteeeee!’

‘Devo fare la pipìììì!’

Bill non sarebbe mai diventato genitore. Avrebbe preferito adottare l’interno zoo di Berlino, piuttosto che crescere un bambino. Sarebbe stato molto più facile allevare un cucciolo di leone. Sì. Avrebbe fatto così.

 

Una volta arrivato il suo torno, notò che c’era una vasta scelta di pesce: salmone, pesce spada, rana pescatrice, tonno fresco, orata e spigola. Optò per il tonno fresco.

Dopo essere passato dal pancone dei contorni e della frutta, cominciò a vagare a vuoto, in cerca del proprio tavolo. Girò per qualche minuto, senza concludere nulla. Il suo piatto cominciava a freddarsi. Lui odiava mangiare freddo.

D’un tratto però, si sentì chiamare, ma non era la voce di Gordon, quella.

‹‹Ehi, Bill.››

A qualche metro da lui, c’era Tom, che si sbracciava come un ossesso, nella speranza di essere notato. Bill fece un lieve cenno con la testa ed abbozzò un sorriso un po’ forzato.

Quando Tom ebbe la certezza che lo stesse guardano, gli fece cenno di aggregarsi al proprio tavolo.

Bill storse il viso in una smorfia. Non era per niente il caso di unirsi al tavolo di Tom. C’erano anche i suoi amici, con lui. Che cosa avrebbero pensato se avesse cominciato ad arrossire ed entrare in iperventilazione? D’altro canto, però, erano già cinque minuti che vagava inutilmente, in cerca della propria famiglia e, di certo, non voleva che il suo pasto si freddasse ancora di più – vista la bassa temperatura che c’era lì dentro a causa dell’aria condizionata, praticamente al minimo. – Guardò il suo piatto, poi Tom, il suo piatto, e nuovamente Tom.

‹‹Ma sì, che cazzo me ne frega!›› sorrise in maniera più convincete questa volta, e si diresse nella direzione di Tom cercando di farsi spazio fra la gente.

‹‹Hello Everybody!›› salutò lui, senza però sedersi. Tom si alzò dal proprio posto e lo invitò ad accomodarsi accanto a lui. Gli venne un groppo in gola e un vuoto allo stomaco; doveva apparire disinvolto, però; almeno in presenza di altre persone. Dopotutto, ancora non sapeva con esattezza quali fossero le intenzioni di Tom.

‹‹Ciao, Bill.›› rispose poi lui.

Bill apparì subito imbarazzato, alla presenza dei suoi amici. Era abituato a mangiare con la sua famiglia, e non con persone estranee. Oltre a Tom, c’erano un paio di ragazzi più o meno della sua stessa età: uno era biondo, forse anche troppo biondo. Sicuramente era tinto. Era magro. Aveva il viso piuttosto scavato. Gli occhi erano scuri e leggermente incerchiati. Pareva  il Conte Dracula, tanto era pallido; l’altro, invece, era sempre biondo, ma un po’ più scuro dell’altro;  portava degli occhiali neri. A differenza del primo, era molto più paffuto ed in carne. Aveva l’aria di uno che adorava mangiare qualsiasi cosa gli capitasse davanti. Difatti, nel suo vassoio, Bill poté notare una vasta gamma di schifezze: hot dog, un hamburger a tre strati, patatine fritte, due salsicce, due fette di torta cheesecake.

Gli venne il rigurgito solo a pensare di mangiare tutto quel cibo. Fece un calcolo di quante calorie potessero essere contenute in quel vassoio:

Un Hot Dog di media grandezza, pesa all’incirca 180g = 445 kcal;

Un hamburger a tre strati, pesa all’incirca 200g = 514 kcal;

Una porzione media di patatine fritte, 100g = 316 kcal;

Due salsicce di maiale a punta di coltello, 60g = 203 kcal;

Due fette di torta cheesecake, 150g circa = 481 kcal;

Se Bill era riuscito – occhio e croce – a fare il calcolo, avrebbe giurato che, dentro quel vassoio, c’erano all’incirca 1959 kcal; l’intero fabbisogno giornaliero di un uomo, concentrato in un solo pasto.

Gli vennero i brividi. Scosse il capo, decidendo di non pensarci più di tanto, o sarebbe passato dalla parte del paranoico – quale era – tanto, non era di certo lui ad ingurgitare tutta quella roba.

Alle volte però, era davvero troppo fissato.

I suoi macabri pensieri – perché macabri erano – vennero interrotti da Tom che, con un tono gioioso, cominciò con le presentazioni:

‹‹Loro sono Andreas e Gustav. I miei compagni di college, nonché miei migliori amici. Siamo in attesa di un altro nostro coinquilino che, aimè, ancora non vedo.›› prima di sedersi, Tom cercò tra la gente e tra i tavoli, l’amico perduto.

‹‹Piacere di conoscervi, io mi chiamo Wilhelm, ma tutti mi chiamano Bill.›› Porse la mano ad entrambi che, con una presa piuttosto ferrea, la strinsero con piacere.

‹‹Non sei americano, vero?››

Scosse il capo. Possibile che il suo accento fosse così differente dal loro?

‹‹No, sono tedesco.››

‹‹Ma il suo inglese è quasi più perfetto del mio.›› si intromise poi Tom, guardandolo di sottecchi. Bill sorrise imbarazzato. Non aveva ancora toccato cibo, sebbene stesse morendo letteralmente di fame. Non voleva mangiare da solo visto che, tutti gli altri, presumibilmente, aspettavano qualcuno. Il suo piatto però, si era ormai completamente freddato.

‹‹Come fai a conoscere così bene l’inglese?›› domandò quello grosso; Gustav, probabilmente. Bill, prima di rispondere, si pavoneggiò leggermente.

‹‹Beh, ho fatto innumerevoli corsi e master in Inghilterra, che son durati più di un mese. Adoro l’inglese. Infatti, alle volte, penso che sia nato nel posto sbagliato. Io mi sento inglese, nell’anima. Tedesco, nemmeno per sogno.›› rise leggermente, ed anche gli altri tre ragazzi lo fecero.

Aveva il capo chino sul proprio vassoio, non aveva il coraggio di guardare negli occhi Tom. Dopo la pessima impressione che aveva fatto la sera precedente e la figuraccia di stamattina, aveva quasi pensato di non rivolgergli più la parola o, tanto meno, non l’avrebbe cercato più tra la gente. Ma, ovviamente, non era affatto così. Aveva persino la sfortuna di avere la camera al suo stesso piano e, per giunta, nel suo stesso corridoio. E se questa non è sfiga.

*

Erano trascorsi dieci minuti, da quando Bill si era aggiunto al tavolo di Tom. Aveva cominciato a parlare con così tanta naturalezza e disinvoltura, che si era del tutto dimenticato della propria famiglia.

‹‹Wow, equitazione. Deve essere bellissimo.›› ammise Bill, addentando un pezzetto di tonno.

Avevano cominciato a mangiare qualche minuto dopo il suo arrivo. Dell’altro ragazzo, non c’era traccia.

‹‹Sì, è davvero un bellissimo sport. Tra l’altro, io amo il mio cavallo. È come un membro della famiglia, per me.›› il biondo tinto, nonché Andreas, era un tipo piuttosto ambiguo all’apparenza ma, tutto sommato, era simpatico. Gustav, oltre ad avere uno stomaco di ferro, era anche un gran chiacchierone. Non aveva smesso un attimo di parlare.

Tom, invece, non aveva detto praticamente una parola da quando si era seduto, a parte le presentazioni e l’elogio per la sua abilità nel parlare inglese. Chi l’avrebbe detto che, uno come lui, un tipo così estroso, potesse essere al contempo, così timido e riservato.

‹‹E tu, invece? Cosa fai nella vita?›› disse Gustav, mentre addentava con voracità il suo panino a tre strati. Bill trattenne un conato di vomito, prima di parlare:

‹‹Ho praticato pugilato per tanti anni a livello agonistico, poi però, ho avuto un incidente ad un match. Le ho prese di santa ragione! Ora, lavoro con mio padre in una concessionaria di BMW e Mercedes, a Berlino. Non è da molto tempo, ma è comunque qualcosa. Mi ha detto che, un domani, passerà a me. Ma io non ci trovo nulla di speciale, vendere auto.›› giocherellò un po’ con l’insalata di patate, prima di afferrarne una e di portarsela in bocca.

‹‹Io non lavoro. Ho poco tempo per fare qualsiasi cosa. L’università occupa quasi tutto il mio tempo libero.››

Ammise Gustav, seguito però, da dei sonori fischi da parte di Tom e Andreas. Bill rise, senza sapere però il motivo per cui lo stessero facendo:

‹‹Ma stai zitto. Sono più le volte che salti la lezione. Se tuo padre non fosse il professore di informatica, a quest’ora saresti stato sbattuto fuori.›› lo derise Tom ma, Gustav, si seppe difendere benissimo.

‹‹Sta parlando il figlio raccomandato del preside.››

Tom lo cantilenò, facendogli il verso. Decise di continuare a mangiare, senza più prestare attenzione a ciò che Gustav dicesse nei suoi confronti. Anche se, da una parte, aveva perfettamente ragione. Tutti i professori lo privilegiavano. Si sentiva un po’ importante, per questo motivo ma, così come disse a Bill, nel loro primo incontro, gli esami doveva passarli con le proprie forze.

*

Quando finirono il pranzo, Bill si trattene ancora un po’ al tavolo di Tom. C’era da dire che, la sua presenza e quella dei suoi due amici, era piuttosto piacevole. Erano simpatici, alla mano, un po’ come Tom. Ma.. chi era l’altro ragazzo? Se non ricordava male, Tom aveva detto che cercava qualcuno. Poco ficcanaso, Bill decise di porre fine alle sue sofferenze e alla sua curiosità:

‹‹Ma il vostro amico? S’è perso sulla nave?›› ridacchiò poi, nella speranza di aver fatto centro. Tirò su con la cannuccia gli ultimi sorsi della sua Cosa Cola Zero. Fece un po’ di rumore, in quanto era già praticamente finita. Tom scrollò le spalle e mise in bocca l’ultima carota solitaria rimasta nel piatto – aveva deciso di non mangiarla, ma la mangiò lo stesso. –

‹‹Georg è sempre così. Se trova qualche bella pollastrella, si dimentica dei suoi amici, abbandonandoli al proprio destino.››

Bill soffocò, non appena sentì pronunciare quel nome. Cominciò a tossire. Aveva sentito bene? Aveva detto Georg?

‹‹Ehi Bill, tutto bene?›› Tom cominciò a dargli dei colpetti dietro la schiena, convinto che gli fosse andato qualcosa di traverso. ‹‹Non dirmi che ti sei soffocato con l’aria?›› trattene un imminente risata. Se davvero quel colpo violento di tosse era stato causato dall’aria fuoriuscita dalla cannuccia, avrebbe riso per il resto dei suoi giorni. Non aveva mai incontrato nessuno di tanto stupido.

‹‹No, No. È passato. Sto bene. C’era un granello di ghiaccio e l’ho aspirato.›› mentì spudoratamente. Nemmeno quella tonta di sua sorella, ci avrebbe creduto ad una stronzata così colossale. Si dette due colpetti sul petto ed allontanò il bicchiere – ormai vuoto – di Cola. ‹‹Stavi dicendo?›› si rivolse nuovamente a Gustav, incrociando le braccia al petto, facendo finta di nulla.

Gustav, dal canto suo, lo guardò stralunato. Come se avesse a che fare con un pazzo svitato.

‹‹Ehm.. sì. Dicevo, lui è così. Ci abbandona da un momento all’altro. Senza avvisare.››

‹‹Ma chi?›› rispose Bill. Non sapendo davvero di chi stesse parlando.

‹‹Come chi?››

‹‹Tu hai detto: lui. Ed io ho detto: Chi?››

‹‹Cosa chi?›› intervenne poi Tom, confuso più di tutti quanti.

‹‹Come, cosa chi?›› continuò poi Bill, voltandosi verso Tom.

‹‹Chi?››

Andreas, esasperato, si spalmò entrambe le mani sul viso, contorcendolo in un’espressione a dir poco divertente.

‹‹Oh ma insomma!›› urlò poi, sbattendo leggermente i bugni sul tavolo. I vassoi tremarono un po’. Tutti sobbalzarono e tacquero. ‹‹Non so chi è il più stupido fra i tre. Cazzo, stiamo o non stiamo parlando di Georg?››

Santiddio. Allora avevo sentito bene.

Pensò immediatamente Bill. Non appena Andreas pronunciò nuovamente quel nome, ebbe un semi-infarto. Il cuore cessò di battere per qualche millesimo di secondo; il suo stomaco fece un triplo salto mortale carpiato all’indietro seguito da una doppia piroetta; per non parlare poi della sua testa, che cominciò a fare il giro del mondo in mezzo secondo.

‹‹Ge-Georg?›› ripeté a fatica quel nome.

‹‹Sì, Georg. Il nostro amico si chiama così. Perché? Lo conosci?››

Lo  conosceva? Altroché se conosceva quel nome. Giurò che se mai l’avesse rivisto, gli avrebbe riempito la faccia di pugni fino a farla sanguinare.

Un momento, Bill. Non correre troppo. Metti a freno la testa. Ci sono otto miliardi di persone, al mondo. Mica esiste solo e soltanto una persona che si chiama Georg. Non fare il bambino e fa girare il criceto che hai nella testa al posto del cervello.

Rise da solo, dandosi automaticamente del coglione. Aveva davvero pensato che Georg potesse essere lì su quella nave? Assieme a Tom, poi. Cosa diamine avrebbe potuto fare lui a New York? In una scuola così prestigiosa, poi.

Nah Bill! Sta tranquillo. Sarà senz’altro un’altra persona. Non è Georg. NON È IL GEORG CHE CONOSCI TU.

‹‹No, No. Ho un…›› avrebbe voluto dire amico, ma non lo disse. Perché lui non era affatto un amico. ‹‹Amico di un amico che si chiama così.››

Tutti e tre lo fissarono come se gli mancasse qualche rotella. In quel momento, avrebbe voluto dissolversi il un lampo. Cominciò a sentirsi improvvisamente a disagio. Poi, un miraggio:

‹‹Ecco dov’eri. Ma cosa cazzo ci fa…›› Heidi si interruppe bruscamente, quando  vide il fratello in compagnia di altri ragazzi. Si rese conto qualche attimo dopo aver fatto una pessima figura che, uno di quei tre, era proprio il ragazzo che piaceva a Bill. Com’è che si chiamava?

‹‹Ehm.. ciao!›› con un tentennante cenno della mano, Heidi salutò i ragazzi di fronte a lei. Loro ricambiarono, anche se non capirono assolutamente una parola di quello che, la ragazza, aveva appena detto.

‹‹Ti prego, dimmi che non parlano la nostra lingua.››

‹‹Per tua e, soprattutto, per mia fortuna.. No. Sono americani.››

Heidi tirò un sospiro di sollievo.

Bill non sapeva come reagire: se presentar loro la sorella, oppure svignarsela con lei: optò per la seconda scelta. Si era già messo abbastanza in imbarazzo, oggi.

‹‹Well guys, now I’m going to my cabin. See you soon.››

Senza aggiungere altro, si alzò dal suo posto ma, come di consueto, si sentì afferrare il polso. Tom non demordeva.

‹‹See you this afternoon in the gym?››

Bill sorrise e, senza dir nulla, annuì. L’espressione del rasta, si illuminò con uno splendido e smagliante sorriso. Salutò tutti rapidamente con un cenno della mano e, assieme ad Heidi, raggiunsero i loro genitori che li attendevano al di fuori del self service.

‹‹Sappi che adesso non avrai più scampo con mamma e papà radar.››

‹‹Lo so, Heidi. Lo so.››

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


- Capitolo 8 -

Erano le cinque del pomeriggio e, come da programma, Bill si preparò per andare in palestra: pantaloncini e canotta, ed era pronto. Questa volta però, anche Heidi decise di venire; con o senza il permesso di suo fratello maggiore.

‹‹Okay, fa come vuoi. Ma sappi che devo allenarmi e non posso badare anche a te.›› sentenziò Bill, aprendo la bottiglietta dell’acqua per berne qualche sorso.

‹‹Quante volte devo dirtelo: so badare a me stessa. In discoteca, ieri sera, mica sei stato assieme a me.›› replicò poi la sorella, attaccandosi i capelli in una lunga e folta coda di cavallo. Le ricadeva dolcemente sulla spalla destra.

‹‹Sei tu che sei sparita, abbandonandomi come un povero cane.››

Heidi andò per ribattere. Aprì e richiuse immediatamente dopo la bocca, non aggiungendo nulla. Aveva ragione questa volta, Bill, non aveva tutti i torti. Perché si era allontanata poi? A sì, aveva conosciuto quel tale lì; quell’italiano il cui nome era.. com’era il nome?

‹‹Okay. Hai ragione. Ti ho abbandonato. Ma n’è valsa la pena, almeno! Ammettilo.››

Bill roteò gli occhi e sbuffò una risata. Heidi era davvero una povera scema, quando tentava di trovare sempre una giustificazione a tutto; anche impossibile o poco plausibile. Decise di sorvolare. Non ce n’era bisogno; tanto sarebbe venuta ugualmente, questa volta.

Prima di uscire dalla loro cabina, salutarono i propri genitori ma, proprio quando andò per aprire la piccola e pesantissima porta – forse era anche troppo pesante – Simone li bloccò.

‹‹Voi due non me la raccontate giusta. C’è qualcosa che non mi state dicendo.›› i due fratelli si guardarono con complicità e, all’unisono, risposero:

‹‹Ma no mamma. È tutto okay.›› mentirono. Simone però, meglio conosciuta come mamma radar, sapeva benissimo che non era affatto così.

‹‹Chi erano allora quei tre ragazzi con cui stavi parlando, Bill? Amici tuoi?›› fece l’occhiolino al figlio che, dal canto suo, la fissò stralunato. ‹‹Era davvero carino il ragazzo con quei capelli strani.››

Bill continuava a guardarla con uno sguardo perso.

Ma come diamine ha fatto a vedermi? Andiamo, Bill. Non fare lo stupido. Erano praticamente dietro ad Heidi, quando è venuta a chiamarti. Quella stupida cretina.

Non c’era più  via di scampo. Doveva dirlo, forse? Nah, avrebbe inventato una scusa credibile.

‹‹Sono ragazzi che ho conosciuto in discoteca ieri.››

Per sua sfortuna però, Simone non ci credette affatto.

‹‹Ma tu credi che la mamma sia stupida? Guarda che ho visto il modo in cui ti fissava quel ragazzo. È lo stesso del ristorante.››

Heidi non riuscì più a trattenersi. Scoppiò in una fragorosa risata, battendosi, di tanto in tanto, i palmi sulle magre e sode cosce nude.

‹‹Puoi dire tutto alla mamma. Lo sai, Bill.›› lui alzò gli occhi al cielo, dopodiché sospirò. Non aveva altra scelta.

‹‹Okay, ma ne possiamo parlare più tardi? Dovrei andare in palestra, adesso.›› si giustificò, mozzando subito il discorso prima ancora di essere intrapreso. Simone non aggiunse null’altro. Conosceva benissimo la riservatezza del figlio, per quel tipo di discorso; ma avrebbe voluto che Bill, prima o poi, si sarebbe aperto con lei, e non solo con Heidi. Dopo la brutta storia con Georg, era cambiato davvero tanto.

‹‹Va bene, Bill. Ne parleremo in un secondo momento.››

*

Quando entrò nella palestra, il suo cuore cominciò a battergli molto forte. Era arrivato con una decina di minuti di ritardo, rispetto a ieri. Temeva che Tom, non vedendolo, se ne fosse andato.

‹‹Dici che lui verrà?›› disse ad Heidi.

‹‹Ed io che ne so. Lui ha detto che sarebbe venuto?››

‹‹Sì. Mi ha detto: ci vediamo in palestra.››

‹‹E allora devi solo aspettarlo. Adesso, se non ti dispiace, io dovrei sondare il territorio di caccia. Io vado.›› congedò il fratello con un saluto militare: indice e medio uniti e portati successivamente vicino la fronte, per poi essere rapidamente allontanati con un netto e rapito gesto.

Si allontanò da lui, prima ancora che Bill potesse risponderle.

 

Guardò l’orologio: 17:18

Tom ancora non era venuto. Era già un’ora abbondante che si stava allenando, e la fatica cominciava a farsi sentire.

La sorella, ovviamente, era andata via con un brasiliano, una ventina di minuti dopo essere entrata in palestra. Alle volte, sua sorella, gli faceva veramente paura. Era impressionante il modo in cui riuscisse a rimorchiare.

Con un po’ di rammarico, proseguì il suo allenamento, nella speranza che Tom arrivasse; ma nonostante fosse trascorsa un’altra ora, lui non arrivò.

*

Quando rientrò nella cabina, non c’era praticamente nessuno. Si sfilò via la canotta sudata e la lanciò da qualche parte. Fece così anche con i propri pantaloncini. Avviandosi verso la parte della camera dedicata ai propri genitori, sul loro letto, vide un biglietto. Lo afferrò e lo lesse rapidamente a mente:

Siamo tutti nell’idromassaggio. Raggiungici.

Lo appallottolò e lo gettò nel cestino.

‹‹Ma perché non è venuto?››

Si ritrovò a pensare ad alta voce poi.

‹‹Eppure aveva detto che l’avrebbe fatto.››

 Continuò, mentre si accingeva a farsi la doccia. Decise di farne una bella fresca, dimodoché potesse azzerare i propri pensieri. Ebbene sì, la doccia fredda gli faceva proprio quell’effetto. Lo rilassava a tal punto da portare il proprio cervello in reset. Persino l’inverno, quando aveva bisogno di scaricare la mente o la tensione, si concedeva una doccia fredda, tanto da fargli mancare il respiro. Era una sensazione che a lui piaceva tanto.

 

Una volta uscito da quel minuscolo piatto-doccia e dopo aver preso una bella scivolata per via del ridotto spazio – imprecando come un ossesso – si avvolse con l’asciugami e cominciò ad asciugarsi.

*

‹‹Era ora, pensavano non venissi più.››

Affermò Heidi, salutando con poco entusiasmo il fratello.

‹‹Non avevo molta voglia di venire. L’ho fatto solo perché non c’è nulla da fare qua dentro. Mi sto annoiando a morte.›› sentenziò Bill, stendendosi su di una sdraio, accanto all’idromassaggio.

‹‹Per fortuna sono appena le sette del pomeriggio. Se ci fosse stato il sole, di sicuro mi sarei scottata. Ho la pelle fin troppo delicata.››

Bill sbuffò, chiedendosi ancora del perché Tom gli aveva fatto bidone bello e buono.

Perché mi ha detto che sarebbe venuto se poi non l’ha fatto?

Si perse nei suoi pensieri, fissando di tanto in tanto il mare di gente che c’era lì sul ponte. Tra bambini, giovani e anziani; tutti sembrava divertirsi e rilassarsi. Solo lui era l’intruso, lì sopra? Allora era davvero un tipo strano, come dicevano i suoi compagni di scuola alle medie.

‹‹Ohi, Terra chiama Bill.››

Un getto d’acqua calda partì a razzo dalla piscina, colpendo Bill in pieno viso e bagnandolo quasi completamente tutto.

‹‹Porca puttana, Heidi. Ho appena fatto la doccia. Non dovevo assolutamente bagnarmi. Mi hai rovinato i capelli. E che cazzo!››

Con stizza, si alzò dalla sdraio, facendola stridere abbastanza forte.

‹‹Sei la solita cretina!›› imprecò ancora. Heidi rimase allibita. Gordon, invece, lo riprese bruscamente, senza però riscontrare successo.

‹‹Avete rotto il cazzo. Voi e questa fottuta nave. Voglio andarmene via da qui!›› per l’ira, tirò un calcio alla sdraio, facendola scostare di quasi un metro. Ovviamente, questa sceneggiata non poté che attirare l’attenzione dei crocieristi.

Prima che Gordon potesse uscire dalla vasca per prenderlo a sberle davanti a tutti, Bill aveva già tagliato la corda.

*

Sbatté la porta della propria cabina con una certa violenza.

‹‹Idiota. Sono stato uno stupido.›› si picchiò la fronte con dei pugni, non molto forti, ma nemmeno tanto deboli. Aveva davvero creduto che Tom potesse provare interesse nei suoi confronti; invece, gli aveva appena dato buca.

‹‹Se solo c’avesse tenuto, di sicuro non avrebbe fatto il bidone. Fanculo!›› batté un pugno alla parete, facendola tremare un po’. ‹‹Non mi devo fidare di nessuno.›› grugnì poi, maledicendosi successivamente.

‹‹Non sarei mai dovuto salire, qui sopra.››

Si guardò allo specchio, gli occhi erano.. lucidi? Insomma.. non poteva piangere per un ragazzo che nemmeno conosceva o, tanto meno, prendersi veleno.

*

‹‹Davvero, la prossima volta lo picchio davanti a tutti.›› sentenziò Gordon, rientrando in vasca. Era calda, quasi bollente.

‹‹Non capisco cosa sia successo. Magari poi ci parlo io.›› lo rassicurò Heidi, riattivano per l’ennesima volta l’idromassaggio. Ma perché non l’automatizzano, anziché farlo manualmente?

‹‹Sai benissimo che, delle volte, è alquanto suscettibile e permaloso. Deve essere successo per forza qualcosa.›› si intromise Simone, cercando di difendere il figlio.

‹‹Ma questo non gli permette di alzare il tono di voce con me.››

La gente all’interno della vasca, li guardava di traverso. Sebbene non capissero una mazza della discussione, tentarono ugualmente di seguire il discorso. Senza dubbio, stavano parlando dell’accaduto.

D’un tratto però, Heidi se ne rese conto. Mentre stava parlando, fece cadere – per caso – lo sguardo su un cinese – o giapponese, forse. Per lei erano tutti uguali. – e lo vide che li stava osservando attentamente, nella speranza di riuscire a comprendere qualcosa.

‹‹Quando hai finito di fissarci, ti dico grazie!›› ovviamente, il ragazzo non capì ciò che disse; ma comprese senza dubbio il  suo sguardo. Era stato appena sgamato. Decise di voltarsi nuovamente verso la sua compagna.

‹‹Dio mio, quanto possono essere impiccione le persone?›› senza aggiungere altro, uscì dalla vasca idromassaggio, si avvolse con l’asciugamani – che aveva prelevato dalla sua stanza – e si asciugò alla meno peggio. Presto, avrebbe raggiunto la sua cabina per potersi fare una bella doccia rinfrescante. La sera, sarebbero dovuti andare a teatro – come di consueto – ma, questa volta, per un avvenimento molto più importante: il benvenuto del comandante e la serata di Gala.

*

‹‹Bill, aprimi. Sono io.››

‹‹Hai la tua tessera. Apri con quella.››

‹‹Idiota, l’ho lasciata in camera. Smetti tutto ciò che stai facendo e vieni ad aprirmi.››

‹‹Altrimenti?››

Heidi sbuffò. Cominciò a battere forte il piede scalzo per terra. La sensazione della moquette sul piede bagnato, le faceva leggermente schifo.

‹‹Altrimenti giuro che ti farò pentire di essere nato prima di me. Adesso alza quel culo da grassone che ti ritrovi e aprimi questa maledetta porta.››

Non udì nessuna risposta; solo dei suoi sconnessi e poco chiari, dopodiché, la porta venne aperta da un Bill completamente diverso dal solito: portava un vestito nero lucido di seta, una camicia bianco panna, il papillon rosso e i gemelli che gli regalò il nonno, prima di morire.

‹‹Accipicchiolina.›› scherzò Heidi, non appena vide il fratello in quelle condizioni. Okay, non si era dimenticato della serata e sì, aveva intenzione di parteciparvi anche lui.

‹‹Allor il Signor musone ha deciso di unirsi a noi, anche questa sera. A cosa devo, di grazia?›› Heidi lo cantilenò, facendo un inchino per prenderlo in giro. Bill non sapeva se rimanere impassibile, oppure sorridere. Decise di sorridere – seppur lievemente – Non aveva alcuna intenzione di ridere sul serio. Assottigliò le labbra a mala pena.

‹‹Peccato che tutti quei piercing e l’enorme tatuaggio sulla mano, stonino alla grande.›› lo prese in giro ancora una volta. Bill non sorrise.

‹‹Dimmi, cosa vuoi?››

‹‹Si da il caso che, fino a prova contraria, questa è anche camera mia.››

Entrò senza indugiare, spingendo il fratello, facendolo indietreggiare leggermente. Posò l’asciugamani sul letto e cominciò a privarsi del costume. Avrebbe dovuto fare in fretta, questa volta. Anche i suoi genitori, avrebbero dovuto farsi la doccia e prepararsi per il grande Gala. Un’ora, le sarebbe bastata.

‹‹Mi spieghi perché hai risposto in quel modo a nostro padre, Bill?››

Entrò nella doccia, legandosi i capelli in un alto codino per poi attorcigliarli in un piccolo chignon. Non li aveva bagnati, in vasca. Li avrebbe lavati in un secondo momento. Non aveva molto tempo.

Bill, dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di parlare di quanto era successo; che poi, parliamoci chiaro, cos’era successo veramente? Nulla.

‹‹Niente.››

‹‹Bill, quello non è ‘niente’; quello è ‘molto’. Adesso voglio sapere che cosa ti è successo. Qualcosa con quel ragazzo?››

Bill sbuffò. Non aveva altra scelta. Doveva dirlo, almeno a lei. Le raccontò che, dopo che lei aveva deciso di allontanarsi con quel brasiliano, lui si era allenato per altre due ore, in attesa dell’arrivo di Tom; cosa che però, non successe.

‹‹Mi ha dato buca. È stato un emerito coglione.››

Nel mentre, Heidi aveva finito ed uscì dal piatto doccia con un’espressione allibita e sconcertata. Bill pensò che gli stesse dando ragione.

‹‹Lo so, lo so. Una delusione immensa.››

Ma non era affatto così. Si portò una mano bagnata sul viso e, contemporaneamente, scosse il capo.

‹‹Alle volte sei così idiota, fratello.›› gli lanciò addosso l’asciugamani bagnato. ‹‹Ma se quel povero ragazzo ha avuto un contrattempo?››

‹‹Senza avvisarmi?››

Gli lanciò addosso anche l’altra asciugamani

‹‹Dio santo, Bill. Tu proprio non capisci. Ti stai facendo così tante seghe mentali che, da un momento all’altro, il tuo bel faccino pulito, si riempirà di brufoletti; proprio come gli adolescenti in piena esplosione ormonale.››

Bill la guardò accigliato. Alzò gli occhi al cielo. Impiegò quasi un minuto, prima di realizzare cosa avesse detto Heidi e, una volta fatto, scoppiò a ridere a crepapelle con sua sorella a seguito.

‹‹Ahahah è una cosa orribile quella che hai detto. Mi sono immaginato un adolescente impegnato col ‘fai da te’, pieno di brufoli!››

Heidi lo guardò disgustata e, al contempo, divertita.

‹‹Fai proprio schifo.››

Bill non rispose, rilanciò le asciugamani verso la sorella che, con ottimi riflessi, li afferrò senza problemi.

‹‹Credo che tu debba delle scuse a nostro padre, Bill. È davvero rimasto male per il tuo comportamento.›› proseguì poi lei, cominciando ad asciugare il proprio corpo.

Lui non rispose. Chinò il capo ed annuì. Obiettivamente, aveva davvero esagerato. Non aveva ancora compreso il motivo per il quale si fosse comportato in quel modo così maleducato; davanti a un mare di gente, per di più.

‹‹Sì, credo proprio che io gli debba delle scuse..››

‹‹A chi devi delle scuse?››

Parli del diavolo.

Gordon entrò nel preciso momento in cui Bill disse quella frase. Coincidenza? No. Gordon era rimasto per più di cinque minuti ad origliare la conversazione fra i due fratelli. L’ammise. Non era nei suoi modi mentire.

Bill, inizialmente, divenne paonazzo; non sapeva se dalla vergogna, o dalla rabbia. O forse per tutt’e due. Sta di fatto che, con un po’ di rammarico ed imbarazzo, si avvicinò al padre e l’abbracciò. Non era tipo da effusioni simili, ma quando necessitavano, lui era il primo a farle.

‹‹Mi dispiace per essermi comportato in quel modo, prima. Ero arrabbiato.›› lo strinse ancora più forte. Gordon non fiatò; sorrise e ricambiò un genuino abbraccio.

‹‹Sta tranquillo, Bill. Ti capisco.››

Seppur di malavoglia, si distaccarono da quell’abbraccio paterno. Nonostante Gordon non fosse il loro padre biologico, sin da quando aveva otto anni, si era sempre preso cura di lui e di sua sorella. Lo aveva accompagnato a scuola, al parco, alla partita di Baseball della sua squadra del cuore, al cinema, ovunque.  Per Gordon, era come se fossero figli suoi. Li aveva sempre trattati come tale. Non si sarebbe mai e poi mai permesso di alzar loro le mani, né tanto meno a Simone.

Dopo che Jorg se n’era andato, trascorsero più di due anni da soli. Simone si faceva in quattro per mantenere i propri figli, facendo anche due o tre lavori in un giorno.

Jorg, il padre biologico, aveva problemi con l’alcool e, spesso e volentieri, tornava a casa ubriaco. Gridava e beveva, beveva e gridava contemporaneamente. Contro Simone, contro il Bill – all’ora bambino – e persino contro la piccola Heidi – aveva appena due anni – Quel giorno però, Jorg superò ogni limite, costandogli ciò che accadde in seguito.

*

Erano le due e mezza di notte e Jorg, era tornato più ubriaco del solito; Simone sentiva il fetore dell’alcool da un metro di distanza. Piangeva. Perché piangeva?

Bill era seduto sulle scale, rannicchiato vicino un’asta del corrimani. La teneva stretta, come per proteggersi da quell’uomo cattivo. Perché quell’uomo, non era suo papà. Lui non gridava così forte contro la mamma; lui non la picchiava sul viso; lui non le tirava i capelli; lui non la chiamava.. com’era quella brutta parola? Puttana, o lurida puttana? Non si ricordava.

Sul suo piccolo e paffuto viso, cominciarono a scendere le prime lacrimucce. Eppure sua mamma, l’aveva avvertito di restare a letto. Cosa gli aveva detto?

‘Resta qui, amore. Resta qui con tua sorella. Continuate a fare la nanna.’

‘Perché sta gridando, mamma? Perché papà sta gridando così forte? E perché tu stai piangendo?’

Simone sospirò amareggiata. Diede un bacio sulla fronte del figlio, dicendogli di volergli bene. Fece così anche con la figlia più piccola, Heidi. Lei dormiva beatamente, per fortuna.

‘Mamma?’

‘Cosa c’è amore?’

‘Papà è arrabbiato con noi?’

Simone sorrise tristemente. Lacrime amare cominciarono a scorrerle lungo il viso. Doveva fare qualcosa. Non poteva continuare quella vita, non ora che c’era anche una bambina piccola.

‘No tesoro, sta tranquillo. Va tutto bene.’

Senza aggiungere altro, Simone uscì dalla camera dei propri figli, chiudendosi la porta alle spalle. Bill cominciò ad udire lamenti, grida. Perché mamma e papà si stavano arrabbiando così forte?

Disubbidendo a Simone, Bill si alzò dal letto e aprendo la porta senza farla cigolare troppo, si andò a rifugiare sui gradini delle scale in un’altezza tale, da non poter essere scoperto. O almeno così credeva.

Stava assistendo ad un brutto litigio fra i genitori. Vedere il papà gridare in quel modo contro la sua mamma, non era affatto bello da vedere. La mamma piangeva e il papà gridava ancora di più.

Poi però, oltre alle grida, Jorg fece partire un forte schiaffo, che si andò a schiantare contro il delicato e umido viso di Simone, facendola cadere in terra.

Bill gridò. La sua copertura era saltata.

Simone, non appena udì le urla del bambino, si girò di scatto verso le scale.

‘Sei un piccolo spione. Ce ne sono anche per te.’

La cintura in cuoio, era già slacciata; gli ci volle un attimo per attorcigliarla nella mano destra. Simone aveva visto bene? Voleva davvero picchiare suo figlio in quel modo? No. Non poteva permetterglielo. Poteva alzarle le mani quando e come  voleva, ma non doveva assolutamente azzardarsi a picchiare i bambini.

Simone vide il terrore negli occhi di Bill.

‘Mamma! Mamma!’

‘Zitto, moccioso!’

Simone reagì d’impulso; vedendo tutto completamente buio. Afferrò il primo oggetto utile, vicino a lei: un attizzatoio per il camino. Le bastò un secco e forte colpo alla testa, per farlo cadere a terra, senza che si rialzasse più.

Gettò il corpo contundente, provocandone un tintinnio fastidiosissimo; le sembrò che rimbombasse per tutto il salone. Aveva la testa che le doleva, vedeva sfuocato ed appannato; ma l’unica cosa che le importava in quel momento, era come stesse Bill.

Il bambino era rannicchiato su se stesso ed abbracciava l’asta del corrimani, come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Aveva gli occhietti serrati e il faccino contro la superficie in legno.

‘Mamma.. papà mi faceva paura!’

Simone si affrettò a prendere il bambino in braccio per portarlo al piano di sopra, prima che vedesse la scena. Non l’avrebbe mai e poi mai  fatto scoprire.. né a lui, né alla piccola Heidi. Nessuno sarebbe venuto a conoscenza di quanto accaduto quella notte.

‘Tranquillo, amore. Papà adesso non ti farà più paura!’

Gli sussurrò all’orecchio, mentre lo riportava a letto.

‘Adesso dormi.. domattina avremo un sacco di cose da fare..’

‘Cosa, mamma?’

Gli accarezzò la piccola fronte sudata.

‘Ce ne andiamo dalla nonna a Berlino per un po’. Che ne dici?’

Bill non rispose, annuì compulsivamente. Gli piaceva tanto stare dalla nonna. Gli preparava sempre i biscotti alla cannella che a lui piacevano da matti.

‘Domattina andremo dalla nonna, amore. Vi prometto che non vi farò mai mancare nulla.. mai!’ disse più a se stessa, che al figlio. E così fu davvero.

La sua vita era migliorata, da quando Jorg era.. era andato via - come aveva detto ai figli – solo alla polizia aveva raccontato la verità. Legittima difesa, l’avevano dichiarata. Ed era davvero così – più o meno –

Perché più o meno? Beh, Simone l’avrebbe fatto ugualmente, prima o poi. Doveva solo aspettare il momento giusto.. e Dio, quella notte, quella santa notte, glielo aveva concesso; le avevo donato una via d’uscita; una seconda possibilità.

******

Avviso: buon pomeriggio gente.. ed eccovi qui, come promesso l'ottavo capitolo, postato, prima della mia partenza (il sei luglio) che dire, sono molto felice di partire ma, al contempo, un po' giù di morale.. in quanto io debba lasciare il mio ragazzo per una settimana ): ma sorvoliamo.. spero che, con questa nuova mia esperienza, possa arricchire qeusta Fan Fiction (anche se già, tecnicamente, una fine già ce l'ha). Il capitolo nove è già in fase di scrittura e mi auguro che, prima del sei, possa scriverne già una buona porta, dimodoché al mio ritorno, possa postarlo senza farvi aspettare ancora (: Ad ogni modo, chiudo la parentesi e mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto. BUONE VACANZE A TUTTE. RITORNERO' FRA UNA SETTIMANA. 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


- Capitolo 9 -

Tutti erano pronti per recarsi a teatro: il comandante avrebbe fatto il suo discorso di benvenuto.

Quando attraccarono a Bari, quella stessa mattina, erano saliti a bordo altri passeggeri; quella era l’ultima tappa di imbarco, prima di intraprendere il vero e proprio viaggio.

Il teatro era ancor più pieno rispetto alla sera precendete.

Possibile che tutti vogliano vedere il comandante che parla?

Disse Bill fra sé e sé. Fortunatamente però, riuscirono a trovare dei posti abbastanza vicini al palco, dimodoché avrebbero avuto una buona visuale per tutta la durata dello spettacolo.

Una volta accomodati ai propri posti, attesero all’incirca una decina di minuti, prima che le luci si spegnessero e il sipario di velluto blu, si aprisse.

Subito si levò un gran numero di applausi e, diverse persone, si alzarono addirittura in piedi. Erano elegantissimi tutti. Bill, suo malgrado, tentava invano di trovare Tom ma, ovviamente, senza riscuotere successo. C’era troppo gente, e lui era troppo avanti per scrutare le persone che c’era dietro, agli ultimi posti. Il teatro era davvero troppo grande. Immenso, avrebbe giunto.

Quando gli applausi cessarono, il comandante fece un inchino, ringraziando tutti. Ovviamente, era italiano e, giustamente, il discorso lo esibì nella propria lingua madre.

Dietro però, c’erano quattro maxischermi; ognuno dei quali conteneva il medesimo discorso in lingue diverse, in quest’ordine: inglese, tedesco, francese e spagnolo.

Bill sapeva benissimo che, quel dannato discorso – comprensivo di spettacolo – sarebbe durato un’eternità, e lui aveva già fame. Molta fame.

Dopo il susseguirsi di applausi pre-discorso, il comandante, cominciò a parlare:

‹‹Cari viaggiatori, benvenuti a bordo della nostra MSC Preziosa.. Era il 1675, quando la famiglia Aponte scrisse il primo capitolo della nostra storia di navigatori. D’allora, nell’arco di oltre 300 anni, la nostra esperienza è cresciuta, così come la nostra flotta. Oggi siamo orgogliosi di giudicare la più grande compagnia di crociere a capitale privato, al mondo.

Navighiamo ben oltre il Mediterraneo, ma portiamo ovunque il suo spirito, sentendolo uno stile di vita che ispira ogni nostro piccolo gesto.

Il calore dell’accoglienza è la prima piacevole scoperta che vi attende a bordo e che fa di voi, prima degli ospiti, e poi dei viaggiatori: mai semplici passeggieri.

Un’altra scoperta, è la miriade di attività ed esperienze che abbiamo pensato per le famiglie, le coppie e i gruppi di amici, perché ognuno possa scegliere tra il fare, o un dolce far niente…››

Bill sorrise a quelle parole. Senza dubbio, lui si trovava nella prima fascia. Non era uno scansafatiche. Era così dinamico che, persino sulla neve, si sarebbe allenato.

‹‹..Crediamo nel valore dell’autenticità, che esprimiamo nei modi caldi e spontanei del nostro personale, incoraggiandone lo spirito d’iniziativa, convinto che un tocco di umanità avvicini e valga più della rigida osservanza di un regolamento.

Naturalmente, siamo fieri ambasciatori della cucina mediterranea, apprezzata in tutto il mondo e cuore della nostra cultura. Nella ricerca degli ingredienti più freschi e, nella preparazione dei piatti più saporiti, c’è tutta la sapienza dei nostri migliori chef.

Ma soprattutto però, desideriamo regalarvi il massimo del relax e del comfort. Riempire la vostra crociera di attimi che rendono la vita speciale, farveli assaporare uno ad uno, convinti, che la vita andrebbe misurata in momenti, e non in minuti.

Se il tempo di una vacanza fosse solo un succedersi di minuti, ore e giorni, non ci sarebbero ricordi. Perché un vero ricordo, è fatto di momenti. Il momento più prezioso di stare con chi, per voi, conta più di chiunque altro...››

A Bill salì un formicolio allo stomaco. Seppure noioso – noiosissimo, avrebbe osato dire – il discorso del comandate, era davvero toccante e, soprattutto, veritiero.

Lui stava vivendo quella vacanza come un susseguirsi di secondi, minuti, ore; contava il tempo come faceva quotidianamente: programmava le cose che, così come nella vita di tutti i giorni, riempivano le sue giornate.

Ma era vita, quella?

Non aveva mai fatto una vacanza così. Aveva viaggiato molto, certo, ma solo semplici week-end con gli amici. Niente di più. Questa, invece, era la prima vera vacanza che faceva con la propria famiglia. E lui cosa stava facendo? La stava vivendo malissimo.

Che ricordi avrebbe avuto, se avesse continuato in quel modo? Nessuno.

Si sentì un vero e proprio stronzo. Giurò di aver sentito scivolare giù per la sua guancia, una piccola lacrima. L’asciugò prima che qualcuno se ne accorgesse e tornò a prestare attenzione al discorso del comandante: magicamente trasformatosi nel discorso più interessante a cui avesse mai assistito.

‹‹..di riscoprirsi. Di lasciarsi il mondo alle spalle e, almeno per qualche giorno, dimenticarsi dei problemi che, purtroppo, incombono nelle vostre e nelle nostre vite. Questo è il nostro dovere: rendervi felici; dimodoché voi, possiate lasciarvi il mondo ‘reale’ alle spalle, dedicandovi così, a ciò che veramente conta nella vita.››

Il discorso era finito. Tutti quanti si alzarono in piedi ed applaudirono forte. Anche Bill applaudì, alzandosi successivamente in piedi. Lo aveva toccato. Quel cazzo di vecchietto, l’aveva seriamente colpito.

*

‹‹Non ho proprio visto il tuo amico Tom, a teatro.››

‹‹Non mi interessa. Mi ha dato buca in palestra.››

Heidi sbuffò. Possibile che il fratello fosse così duro di comprendonio, alle volte. Decise che non ne sarebbe valsa la pena, tornare nuovamente sul discorso, quindi preferì tacere.

D’altro canto, Bill, non si dava pace. Continuava a muovere il suo collo, come uno struzzo, in cerca della folta e strana chioma di Tom. Non era ancora arrivato al tavolo, pensò.

Nel frattempo, il cameriere porse loro il menù, dandogli il tempo di fare la propria scelta. Bill, ovviamente, si mantenne sempre sul leggero. Durante la serata di Gala, il menù era completamente diverso: più raffinato, delicato e più elegante; anche nella stessa presentazione del titolo del piatto.

Qualche minuto dopo, Putu, tornò al tavolo dei Kaulitz e prese le ordinazioni.

*

Bill tossì: Heidi gli aveva dato un calcio negli stinchi. Stava ad indicare solo una cosa: aveva visto qualcosa/qualcuno.

‹‹La devi smettere di tirarmi i calcio sotto al tavolo.›› sibilò lui, massaggiandosi la parte appena colpita. Heidi rise sotto i baffi e gli fece cenno con il capo. Gli indicò la sua destra: Tom era lì. Non si era accorto di lui, per fortuna. Era assieme ai suoi amici, forse. Non riusciva a riconoscere nessuno, a parte lui.

Bill rimase leggermente imbambolato ma, per sua fortuna, rinvenne rapidamente prima che facesse una pessima figura così come la sera precedente.

‹‹Non ho mai visto qualcuno di così bello. Giuro Bill, che se non ci fai qualcosa tu..›› non proseguì la frase. Bill la interruppe con un sono ‘sta zitta’.

*

Non appena finirono di cenare, prima che arrivassero al dolce, Bill defilò. Aveva un netto bisogno di fumare. Seppure avesse ventiquattro anni, ai suoi genitori, dava un fastidio assurdo vedere il proprio figlio ammazzarsi in quella maniera; quindi, doveva trovare il luogo e il momento giusto per poter fumare.

Diede una veloce occhiata al tavolo di Tom. Lui non c’era.

Scese al suo piano, andò in cabina e prese il pacchetto di sigarette che aveva riposto in uno dei tanti tiretti della scrivania. La camera era ancora un po’ troppo disordinata. Molto probabilmente, non erano passati a pulirla. Prese il pacchetto, la sua scheda ed uscì dalla stanza.

Non appena mise piede fuori, si voltò verso sinistra. Guardò il corridoio lunghissimo. Si ricordò di quando Tom lo fece quasi cadere per terra. Sorrise a quel pensiero. Per un attimo poi, pensò di trovare il coraggio per andare a bussare a tutte le cabine, ma poi lo cacciò qualche secondo dopo. Si voltò dall’altra parte, dirigendosi verso gli ascensori.

Camminava a passo piuttosto svelto. Erano le 22:30. Doveva ancora cambiarsi; non poteva mica andare conciato in quella maniera, in discoteca. I suoi passi, rimbombavano sordi sulla moquette. Aumentò ancora di più il passo, quasi come se volesse correre.

Una volta giunto agli ascensori, premette tutti i sei bottoni, in attesa che qualcuno arrivasse. Dopo una manciata di minuti, arrivò quello centrale. Stranamente era completamente vuoto. Si precipitò all’interno di esso e premette il pulsante del Deck 7.

Lì su quel piano, c’erano le scialuppe di salvataggio e una bella vista. Sarebbe stato il posto migliore per fumare una sigaretta, invece del solito balcone della sua camera.

Deck Seven

Una voce metallica e alquanto fastidiosa, annunciò l’arrivo dell’ascensore, al piano desiderato. Le porte si aprirono. Lui uscì con il capo chino e con passo piuttosto sostenuto.

Il ponte del settimo piano era praticamente alla sua sinistra. Si avvicinò ad una grande porta di legno e lesse: push. Spinse e si ritrovò fuori. Non c’era praticamente nessuno. Si sentiva soltanto lo scrosciare delle onde sulle pareti di ferro della nave. C’era una pace assurda. Aveva appena trovato il suo posto preferito.

Delle luci non troppo forti, illuminavano tutto il ponte. Il pavimento era rivestito da una fattispecie di gomma che, per via dell’umido della notte, era abbastanza scivoloso, difatti Bill, prese qualche scivolone. Fortunatamente non lo vide nessuno.

Si avvicinò alla poppa. C’era molto vento e, per di più, era vento freddo. Si spostò in un angolo e cercò di accendersi la sigaretta. Riuscì in più o meno tre tentativi.

Inspirò a pieni polmoni, dopodiché lo buttò fuori dal naso. Aveva i gomiti poggiati sulla ringhiera, lo sguardo perso nell’immensità del mare completamente nero. Era alquanto agitato però; ma era uno spettacolo che non si vedeva tutti i giorni.

Finì la sigaretta in fretta. Doveva rientrare. Avrebbe dovuto cambiarsi per poi andare in discoteca.

Chissà se ci sarà.

Pensò poi fra sé e sé. Gettò il mozzicone in mare e, con le mani in tasca, si diresse verso l’entrata del piano sette.

Mentre percorreva il tragitto però, sentì degli accordi di chitarra. Una chitarra classica. La canzone la conosceva. Eccome se la conosceva. La melodia era inconfondibile. Poi però, delle parole:

Big wheels keep on turning
Carry me home to see my kin
Singing songs about the Southland
I miss Alabama once again

Sweet home Alabama?

Pensò Bill. Era una delle sue canzoni preferite. Seppure di qualche decennio fa. Si diresse verso il suono della chitarra. Era poco distante da lui. Percosse qualche altro metro, dopodiché, raggiunse il suono. Un ragazzo seduto a terra, con le gambe incrociate, stava suonando e cantando nello stesso momento. Non si era accorto della presenza di Bill.

Dal canto suo, invece, ebbe un tuffo al cuore, non appena si rese conto che, quel ragazzo che stava pizzicando la chitarra con una grazia immensa, era proprio Tom.

‹‹Tom?›› Gli uscì spontaneo. Il rasta, sicuramente spaventato, sobbalzò e stonò qualche nota. Chi diavolo poteva esserci a quell’ora, sul ponte?

‹‹Bill?››

Entrambe i ragazzi rimasero senza parole per qualche secondo. Restarono a guardarsi come degli stoccafissi, senza sapere cosa fare.

‹‹Che caz— che diavolo ci fai qui?›› chiese Bill, restando in piedi. Tom, invece, rimase seduto con le gambe incrociate e con la chitarra in grembo. Scrollò le spalle.

‹‹Vengo qui ogni sera, prima di andare a ballare. È un posto magnifico. Non c’è nessuno a quest’ora. Vengo a suonare la mia bambina.››

Bill alzò un sopracciglio, leggermente sconcertato dal fatto che avesse identificato una semplice chitarra con il nome ‘bambina’.

‹‹Ehm.. non pensavo suonassi.›› proseguì poi Bill, avvicinandosi un po’ di più a Tom, scrutando nei minimi dettagli la sua chitarra: era piuttosto consumata e segnata dai segni del tempo. No ne capiva molto di chitarre ma quella, senza dubbio, doveva essere una Gibson.

‹‹Suono sei strumenti: pianoforte, violino, violoncello, batteria, contrabbasso e chitarra. Ovviamente non potevo portami il pianoforte appresso. Ho optato per la chitarra.›› rise, riprendendo a pizzicare qualche nota a caso.

Bill rimase sbigottito. Non avrebbe mai pensato che Tom potesse suonare tutti quegli strumenti. Lui a stento sapeva suonare il pianoforte e cantare.

‹‹Io so suonare solo il pianoforte. Ma non suono da quando avevo quindici anni. Ho un bellissimo pianoforte a coda, a casa mia, ma non lo tocco mai. Solo mia sorella lo suona.››

‹‹Perché?››

‹‹Preferisco non parlarne.››

Tom alzò le mani al cielo, e si scusò per essere apparso invadente. Bill disse di non preoccuparsi. Non poteva saperlo.

‹‹Sai cantare?›› chiese poi Tom, quasi come l’avesse letto nel pensiero. Bill, inizialmente, tentennò un po’. Poi però, rispose affermativamente. Tom sorrise e gli fece segno di sedersi accanto a lui.

‹‹Vieni qui accanto a me. Canta qualcosa. Io sono praticamente stonato come una campana.››

Rise Tom, facendo un po’ di spazio a Bill – sebbene ci fosse un’immensità di posto libero –

Inizialmente, Bill, fu restio. Doveva ancora cambiarsi d’abito. Poi però, rifletté. Cosa andava a fare in discoteca se Tom era lì con lui? Sfoggiò un bellissimo sorriso e si accomodò accanto a lui, incrociando le gambe e infischiandosene del suo abito di Giorgio Armani da quasi 2000 euro. Non era mica sporco a terra.

Tom, invece, indossava i suoi classici jeans larghi con le Airforce, con la sola differenza che, questa volta, indossava una camicia celeste, la giacca blu scuro e un papillon color oro. Non era l’abbinamento perfetto che avrebbe fatto Bill ma, c’era da dire che, a Tom, donava parecchio.

‹‹Cosa vuoi che suoi? Ho una vasta gamma di spartiti.›› Bill si grattò il capo e, alzando gli occhi al cielo per qualche istante, gli venne in mente una canzone bellissima.

‹‹Conosci i Guns N’Roses?›› 

Tom strabuzzò gli occhi. Ovvio che li conosceva.

‹‹Io adoro Sweet child o mine. Sai suonarla?››  Tom non rispose. Lo guardò e sorrise. Acustica, quella canzone, sarebbe stata stupenda.

Partirono le prime note, e a Bill venne già la pelle d’oca. Attese che tutta l’introduzione venisse suonata, dopodiché cominciò a cantare.

She's got a smile that it seems to me
Reminds me of childhood memories
Where everything
Was as fresh as the bright blue sky
Now and then when I see his face

She takes me away to that special place
And if I stared too long
I'd probably break down and cry
Sweet child o' mine
Sweet love of mine

Aveva una voce molto più delicata e meno graffiante di Axl Rose, pensò Tom che, nell’ascoltarlo cantare, restò basito.

‹‹Hai mai pensato di cantare in modo professionale?›› scherzò poi Tom, smettendo di suonare. Bill scrollò le spalle. No. Non ci aveva mai pensato. Era solo un dono che la natura gli aveva offerto; ma non aveva mai pensato di sfruttarlo. Cantava solo sotto la doccia, o ai cori di Natale in Chiesa.

‹‹Sei bravissimo.›› 

‹‹Grazie mille.››  rispose freddamente lui. Era ancora in un certo senso arrabbiato per il bidone di quel pomeriggio. ‹‹Potevi anche avvisarmi che non saresti venuto in palestra. Ti ho aspettato per due ore.›› cominciò poi, senza pensarci due volte. Tom, dal canto suo, chinò il capo e fece un sorriso malinconico.

‹‹Ho avuto un imprevisto. Niente di particolare, ma questo non mi ha permesso di venire da te. Mi dispiace molto.››  C’era del dispiacere nel tono in cui disse quella frase; Bill se ne rese conto immediatamente. Si sentì leggermente in colpa per tutti gli insulti che, quel pomeriggio, gli aveva detto. Eppure Heidi l’aveva avvertito. Per quale motivo l’avrebbe bidonato senza alcun motivo?

‹‹Oh, mi spiace. Per qualsiasi cosa sia successa.›› 

‹‹Tranquillo, immagino quante tu me ne abbia dette. Anche io ti avrei cosparso di insulti, se mi avessi bidonato senza nemmeno avvisare. Non sapevo nemmeno il numero della tua cabina per poterti chiamare.›› 

Idiota. Sono un fottuto idiota del cazzo.

‹‹Già, ed io non so nemmeno la tua. Siamo sullo stesso piano e nello stesso corridoio, e non sappiamo nemmeno il numero delle rispettive cabine.›› 

Tom sorrise e si mise in piedi, facendo leva sulle ginocchia. Bill si aiutò con la ringhiera.

‹‹10483›› Disse Bill a brucia pelo.

‹‹10511››  continuò Tom.

‹‹Adesso so dove chiamare alle sei di mattina. Ahahah!›› 

‹‹Provaci e vedrai cosa ti succede.›› rise Tom.

Ovviamente, tra i due, calò il classico silenzio imbarazzante. Restarono a guardarsi negli occhi per una manciata di secondi.

Cosa vuoi da me, Tom? Cosa stai cercando di dirmi? Parlami.

Bill avrebbe tanto voluto che Tom gli dicesse qualcosa ma, sfortunatamente, non fiatava. Comunicava solo attraverso uno sguardo non molto chiaro. Gli confondeva a dir poco le idee.

E se stessi fraintendendo tutto? E se mi fossi sbagliato sin dall’inizio?

Bill doveva saperlo. Doveva capire cosa diamine gli passasse per la testa.

‹‹Ehm.. Tom?›› 

‹‹Dimmi, Bill.›› 

‹‹…›› 

‹‹Cosa?›› 

‹‹Ehm…›› 

Coraggio Bill. Parla. Fa uscire qualcosa dalla bocca.

In quel momento il suo cuore stava battendo così forte tanto da temere che, da un momento all’altro, sarebbe fuoriuscito dal suo torace. Si portò una mano sul petto, per cercare di frenare – almeno un po’ – il povero organo che sembrava non prender pace. Le mani gli tremavano leggermente. La voce era strozzata.

Ma cosa cazzo mi è preso? Non sono un ragazzino. Per Dio, Bill, smettila. Ora.

‹‹Bill, cosa vuoi dirmi?›› 

Tom si avvicinò pian piano, accorciando sempre di più la distanza. Bill avrebbe tanto voluto scappare ma, aimè, le gambe erano talmente molli da non riuscire nemmeno a muoverle di un solo millimetro. Fermo, immobile come un baccalà.

Intano Tom si avvicinava sempre di più al suo viso. Bill temette di svenirgli davanti agli occhi.

Cosa fai? Sei troppo vicino. Troppo. Troppo. Allontanati adesso. Fallo. Fallo ora.

‹‹T-Tom?›› 

La distanza era ormai quasi del tutto azzerata. Bill non aveva più scampo. Era stato messo all’angolo. Doveva aspettarsi il colpo di grazia, adesso. Sicuramente, quel colpo, sarebbe stato il doppio più forte di un qualsiasi destro sferratogli dal più forte pugile di tutta la Germania. E lui, ne aveva avuti diversi.

‹‹Bill..›› sussurrò poi Tom, ad un centimetro dalla sua labbra. Bill riuscì a percepire il calore del suo respiro, l’essenza della sigaretta alla vaniglia appena fumata. Ebbe un fremito al cuore; un tuffo allo stomaco.

‹‹Sei la persona più bella che abbia mai conosciuto.››  un altro sospiro. Bill fece fatica a deglutire. Le sue labbra erano praticamente ad un centimetro di distanza da quelle di Tom. Erano secche. Se le inumidì, leccandole leggermente.

Bacialo, Bill. Bacialo adesso.

Una fastidiosa vocina cominciò a tartassare la povera e vuota testa di Bill.

Bacialo. Bacialo. Bacialo.

Cominciò a farsi sempre più costante. Sempre più persistente.

Bacialo. Bacialo. Bacialo.

Sì, stava per farlo sul serio. Stava per baciarlo. Ma.. improvvisamente, Tom si allontanò dalle labbra del ragazzo biondo, lasciandolo basito. Sorrise e scosse il capo:

‹‹Sai Bill..›› cominciò; riprendendo la sua chitarra, mettendola sotto l’ascella. ‹‹Alle volte, è molto più bello il momento prima del bacio…›› chinò il capo, guardandosi la punta delle sue Airforce.

‹‹..quando riesci a sentire i respiri che si intersecano, il profumo che inebria le narici, il suono dei sospiri che ti rimbomba nella testa…›› fece una breve pausa. ‹‹..che il bacio in sé. Il bacio è solo un attimo; ciò che viene prima, invece, dura un’infinità di tempo, se lo si vuole.›› si avvicinò nuovamente a Bill, accarezzandogli con il dorso della mano, una guancia. Era leggermente ruvida, a causa della barba che non faceva da qualche giorno.

‹‹Ciò non toglie il fatto però, che io voglia baciarti.›› dalla guancia, passò al mento: l’afferrò con il pollice e l’indice. ‹‹Ci vediamo più tardi, Bill.››

Non disse nient’altro. Andò via.

Bill, dal canto suo, rimase pietrificato. Gli occhi sbarrati, come se avesse appena visto un fantasma. Le gambe molli e tremolanti. Il cuore completamente fermo. Lo stomaco in subbuglio.

Adesso sapeva per certo, quali erano le intenzioni di Tom. Le aveva capite eccome

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


- Capitolo 10 -

Non appena tornò in camera, vide Heidi spaparanzata sul letto dei propri genitori, intenta a fare zapping fra i canali. Aveva il pigiama: ciò stava a significare soltanto una cosa: non sarebbe uscita dalla cabina, quella sera.

‹‹Non sai cosa mi è appena capitato, Heidi.›› disse lui, ancora incredulo. Heidi, apparentemente, non sembrava molto entusiasta. Era come se qualcosa non andasse. Difatti Bill, glielo domandò subito.

‹‹Nulla, Bill. Non mi sento molto bene. Ho mal di stomaco. Ho già rimesso due volte. Mamma e Papà sono andati in farmacia a prendermi qualcosa per lo stomaco.››

Ora che ci faceva caso, Heidi aveva effettivamente un colorito piuttosto giallognolo. Non era il classico roseo che aveva di solito. Era pallida. Si vedeva lontano un miglio che non stava bene.

‹‹Credo sia stato il soufflé alla banana di questa mattina. Ne ho mangiato mezzo chilo. Forse anche di più.›› rifletté lei. Bill alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

‹‹Da quando siamo saliti qui sopra, avrai mangiato quanto mangio io in una settimana, mia cara sorellona. Il tuo girovita rischia di non essere più tanto perfetto.››

Scherzò Bill. Heidi, dal canto suo, mugugnò qualcosa. Non voleva stare a sentire la paternale anche dal fratello maggiore. L’era bastata quella dei genitori.

‹‹Cosa mi volevi dire?›› disse poi, coprendosi con la trapunta, fino alla testa. Bill tirò su un sospiro, perdendosi nel suo mondo fatato. Cominciò a spogliarsi. Fortunatamente sapeva già cosa mettere.

‹‹Oh beh, te lo dico senza troppi giri di parole..›› fece un pausa più o meno lunga, per creare un po’ di suspense. Heidi, era sempre più curiosa, sebbene fosse completamente sotterrata dalle coperte. ‹‹Io e Tom ci siamo.. quasi baciati.››

Non appena disse così, quasi cadde a terra per l’euforia: magicamente Heidi, fece lievitare le coperte, lanciandole in aria. Lei, invece, nel giro di pochi millesimi di secondi, si ritrovò in piedi sul letto a saltellare come una bambina piccola.

‹‹Omiodiomiodiomiodiomiodio›› cominciò a urlare, sempre continuando a sfondare il letto con i piedi. Per poco non urtava la testa. Bill cominciò a ridere ma, al contempo, le disse di far silenzio.

‹‹MA COME POSSO STARE ZITTA? SONO FELICE COME UNA PASQUA!!›› urlò ancora più forte e, facendo un grande balzo, scese per terra e gettò le braccia attorno al collo del fratello, riempiendolo di tanti piccoli baci, un po’ dappertutto. ‹‹FELICEFELICEFELICEEEEEE!!››

‹‹Heidi-se-continui-a-stringere-soffoco›› balbettò Bill, cercando di riprender fiato, allentando la presa ferrea della sorella. Pareva star bene, adesso.

‹‹Devi raccontarmi assolutamente tutto quanto. Voglio sapere tutto.››

Si sedette nuovamente su letto. Incrociò le gambe e poggiò le mani sui piedi scalzi, perfettamente curati. Adorava i suoi piedini. Erano così piccoli ma, al contempo, paffuti.

‹‹Adesso devo prepararmi. Ti racconterò tutto domattina. Tu non stavi male?›› disse poi, infilandosi una t-shirt nera con un disegno al centro. Heidi poggiò una mano sulla fronte per testare se avesse o meno la febbre. Era piuttosto calda e, dopo l’euforia momentanea, cominciò a sentirsi nuovamente male. Lo stomaco era completamente sottosopra e la testa le girava come non mai. No. Non stava affatto bene.

‹‹A dir il vero… sto ancora male.›› si portò una mano sullo stomaco e, prima che aggiungesse altro, scappò nel bagno, rimettendo ciò che era rimasto nel suo stomaco.

*

Buttò giù la pillola tutta d’un sorso. Era amara peggio del veleno. Non che l’avesse mai provato, ovviamente; ma se avesse dovuto dare un sapore al veleno, di sicuro gli avrebbe attribuito quello della pillola. Faceva letteralmente schifo.

‹‹Dio mio, che schifo. Non ho mai ingurgitato nulla di più orribile in tutta la mia vita.›› affermò Heidi, poggiando il bicchiere vuoto sul comodino. Simone l’era accanto, accarezzandole la fronte.

‹‹Speriamo ti rimetta presto, amore. Adesso riposa tanto okay?›› disse la madre, premurosa. Heidi annuì e, senza batter ciglio, si mise distesa su un fianco e chiuse gli occhi, provando a dormire.

‹‹Tu vai a ballare invece, Bill?›› aggiunse poi Simone, rivolgendosi al figlio.

‹‹Sì, stavo uscendo proprio adesso.›› si diede un’ultima occhiata allo specchio e, una volta dato un bacio ai genitori, uscì dalla propria cabina.

Una volta chiusa la porta alle proprie spalle, rimase qualche attimo a tergiversare. Non sapeva se andare nella cabina di Tom, oppure direttamente in discoteca. Restò a torturarsi le mani per un’altra manciata di minuti, dopodiché, decise di andare a bussare.

Camminò in maniera rapida e decisa. I suoi passi risuonavano muti sulla tappezzeria bordeaux. Aveva lo sguardo basso e le mani serrate.

Non appena giunse davanti la porta, venne assalito da un’improvvisa vampata di calore. Il cuore cominciò – come ogni volta – a pulsare il sangue al cervello più velocemente del normale.

Inghiottì a fatica la saliva e tentò di acquisire un po’ di coraggio. Non aveva mai bussato alla sua porta, prima di allora.

Alzò il braccio destro e strinse la mano in un pugno, non molto serrato. Continuava a fissare la moquette e a tartassarsi le labbra, inumidendosele con la lingua, continuamente.

Andiamo Bill. Cosa ti costa bussare alla sua porta? Forza. Bussa. Codardo che non sei altro. Bussa a quella cazzo di porta.

Provò ad incoraggiarsi da solo, insultandosi; ma quando decise di picchiare il pugno su quella dannata cabina, fu troppo tardi. La porta venne spalancata all’improvviso.

Ad aprire la porta, fu quello grosso. Gustav? E, per via dello spavento, imprecò notevolmente. Anche Bill lo fece.

‹‹Bill? What a fuck?›› sobbalzò, facendo qualche passo indietro. Bill volle solo sprofondare nella vergogna. Sì, aveva decisamente aspettato troppo tempo.

‹‹Cosa ci fai qui?››

‹‹Ehm..›› cercò di trovare una scusa plausibile per giustificarsi. ‹‹Stavo per bussare. Poi tu mi hai battuto sul tempo, aprendomi.›› tentò si smorzare una risata, cercando di essere quanto più convincente possibile. Gustav inizialmente lo fissò come se avesse qualche rotella fuori posto – ipotesi non del tutto errata – ma poi rise anche lui, invitandolo dentro.

Non appena entrò, si accorse immediatamente dell’odore che c’era. Era un odore fin troppo famigliare. Un misto di mela verde, anguria, cannella e.. sì, forse anche cocco. Sorrise. Era proprio odore di Narghilè.

‹‹Stavamo fumando il Narghilè. Lo facciamo sempre, prima di andare in discoteca.››

Continuò Gustav, facendogli strada fra le robe gettata un po’ qui e un po’ lì. Vide Tom e Andreas seduti in terra, con le gambe incrociate che si passavano la pipetta. C’era una cappa di vapore, sopra di loro.

‹‹Io, Andreas e Tom, adoriamo il Narghilè. Georg, invece, lo detesta. Infatti è chiuso nel bagno.›› rise poi lui. Anche Bill provò a sorridere ma, ogni qual volta sentiva pronunciare quel nome, veniva trafitto da una miriade di spilli.

‹‹Ehi, ciao Bill.›› disse Andreas. Tom si voltò nella direzione in cui il ragazzo era rimasto in piedi e, ancora con la pipetta in bocca, sorrise, aspirando quanto più forte poteva, il vapore acqueo.

‹‹Vuoi unirti a noi?›› disse Tom, porgendo a Bill la pipetta del Narghilè. Lui non se lo fece ripetere due volte. Si sedette accanto a lui e, prendendola in mano, fece un lungo e profondo respiro. Era alla mela verde. Il suo gusto preferito. Trattenne il fumo nei polmoni quanto più poté e, una volta saziatosi di quel profumo così forte e penetrante, lo fece uscire dal naso.

‹‹Erano secoli che non fumavo il Narghilè.››

‹‹Io lo adoro. Mi rilassa.››

‹‹Sì, anche a me.››

*

Continuarono così per una decina di minuti. Bill non voleva affatto essere nei panni del ragazzo rinchiuso nel bagno.

‹‹Forse non è il caso di dire al vostro amico che abbiam finito di fumare?›› Bill rise ma, in cuor suo, volevo solo morire. E se lì dentro ci fosse stato quel Georg? Come avrebbe reagito lui? E Bill? Cosa avrebbe fatto? Per non parlare della reazione che avrebbero avuto gli altri se solo Bill avesse cominciato a sclerare contro di lui.

Tom gli diede ragione.

‹‹È rinchiuso lì dentro da non so quanto tempo. Mezz’ora sicuro. Credo sia arrivato il momento di dargli la bella notizia.›› Tom si alzò da terra e, con un po’ di goffaggine, si diresse verso l’angusta porticina. Bussò un paio di volte.

‹‹Georg? Se sei ancora vivo, ti do la bella notizia che puoi uscire da qui!›› tutti risero forte. Bill volle provarci, ma il suo cuore stava battendo talmente forte. Se non si fosse calmato, gli sarebbe venuto senz’altro un infarto.

Sentì lo schioccare della serratura. Lo stomaco fece una capriola e il cuore ebbe un tuffo.

Okay. Sto per morire. È arrivata la mia ora. Sto per morire.

Quante possibilità aveva che, quel Georg, poteva essere assieme a Tom su quella nave?

Okay, non erano molte. Ma se la stava facendo addosso comunque.

La porticina si aprì con uno scatto alquanto violento. Lui stava sudando freddo.

Okay. Okay. Okay. Affrontalo. Affronta le tue paure, Wilhelm Kaulitz. Affrontale.

Provò ad autoconvincersi di essere forte psicologicamente, ma lui stesso sapeva che, se solo l’avesse visto, avrebbe avuto un crollo psicologico e sarebbe stato in grado di ammazzarlo seduta stante; a prescindere da chiunque e da qualsiasi cosa. Lui l’aveva tradito.  

Il presunto Georg Listing – quello era il suo cognome – uscì fuori soltanto una gamba e, quando saltò il gradito con un balzo, scoprendosi del tutto, Bill volle urlare. Di gioia però.

Non era lui. Non era il Georg che conosceva lui. Era un ragazzo che nemmeno li somigliava lontanamente. Era bruno con gli occhi azzurri, non molto alto, carnagione alquanto chiara – ma un po’ abbronzata per via del sole – e corporatura piuttosto snella ed asciutta.

No. Non era affatto lui.

Quasi si mise a piangere, vedendo quel ragazzo. Avrebbe voluto corrergli incontro e abbracciarlo. Anche se non lo conosceva affatto. Avrebbe abbracciato chiunque, in quel momento. Si era tolto un peso immenso dal petto. Non si era rovinato la vacanza; anzi, stava prendendo davvero una bella piega. Tutto stava filando liscio come l’olio.

‹‹C’è un fetore, qui dentro. C’è tanto di quel vapore da parere un bagno turco.›› tossì il ragazzo. Tutti scoppiarono a ridere di gusto. Anche Bill lo fece e, finalmente, non era per camuffare l’ansia.

‹‹Ehi, Georg. Non ti ho ancora presentato il nostro amico, Bill. Bill, Georg. Georg, Bill.››

Tom fece le presentazioni e i due ragazzi si strinsero cordialmente la mano.

*

Quando salirono all’ultimo piano, la musica era già alta e la pista quasi del tutto piena. C’era un bellissimo gioco di luci colorate. Un’atmosfera a dir poco piacevole.

Il gruppo di ragazzi, una volta entrati in discoteca, si divise: Andreas e Gustav andarono al bar, Georg andò a caccia di qualche ragazza da portarsi in cabina, e Tom e Bill restarono assieme.

A Bill parve una cosa fatta un po’ di proposito. Sarà stato così? Non l’avrebbe mai scoperto.

‹‹Vuoi qualcosa da bere, Bill?›› scosse il capo. Quella sera, non aveva tanta voglia di bere. Aveva solo voglia di baciare Tom.

Cosa? Perché ho voglia di baciare Tom?

La stessa sera, sul ponte, quelle bellissime parole che gli aveva detto, l’avevano lasciato sconcertato. Tom non era per niente come appariva. Era una bravissima persona. Lui sapeva riconoscere le brave persone. Sì, okay, all’inizio gli aveva dato l’impressione di un Dongiovanni con l’aria di chi diceva: io ce l’ho profumata. Ma poi, frequentandolo un po’, aveva capito che non era affatto così.

Erano seduti entrambi sulle poltroncine viola. Bill aveva le gambe incrociate e le mani poggiate sul ginocchio destro e guardava fisso la pista. Di tanto in tanto muoveva la testa a ritmo di musica o faceva fluttuare il piede che aveva a penzoloni; Tom, invece, non smetteva nemmeno per un secondo, di fissare il ragazzo che aveva alla sua destra. Per fortuna Bill non riusciva a vederlo, in quanto gli dava le spalle.

Avrebbe voluto tanto baciarlo, sul ponte sette. Era il momento perfetto. Perché non l’aveva fatto poi? A sì, stava pensando a fare il poeta della situazione. Quando mai l’era stato?

Ogni tanto, tendeva verso di lui la mano destra, come per toccarlo ma, immediatamente, la ritraeva. Come se Bill scottasse. Doveva trovare assolutamente una soluzione. Non poteva andare avanti così. Oramai il ghiaccio lo aveva.. non rotto, ma crepato, in un certo senso. Restava solo da fare la mossa finale: abbatterlo del tutto. Ci sarebbe riuscito entro quella sera? Forse sì. Doveva solo trovare un po’ di coraggio e soprattutto, il momento giusto.

*

Restarono seduti per almeno una ventina di minuti, senza rivolgersi la parola. Bill aveva timore a voltarsi. Di sicuro, se l’avesse fatto, sarebbe diventato paonazzo, quasi da confondersi con il viola delle poltrone. D’altro canto però, avrebbe tanto voluto farlo, anche solo per vedere quale fosse l’espressione di Tom.

‹‹Bill?›› provò a chiamarlo Tom ma la musica era un po’ troppo alta, per far sì che Bill lo sentisse. Provò a chiamarlo di nuovo, questa volta però, toccandogli leggermente la spalla. Si girò di scatto.

Non rispose nemmeno. Porse immediatamente l’orecchio vicino le labbra del ragazzo moro. Per qualche attimo, sentì solo dei sospiri che gli fecero accapponare la pelle. Venne percorso da una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale. Fu costretto a socchiudere gli occhi e a serrare le labbra, per evitare che uscissero degli ansiti.

‹‹Se-Sei—›› balbettò. Aveva la gola secca. Eppure non sentiva la sete. ‹‹Sei bellissimo. Te l’ho già detto, vero?››

Bill sorrise, senza che Tom se ne accorgesse. Si morse le labbra. Ora si, che aveva davvero voglia di baciarlo.

‹‹Ti va di ballare con me?››

Questa volta fu Bill a proporre di ballare. Tom, ovviamente, non esitò neppure un secondo. Si alzò come una molla dalla poltrona e porse a Bill la mano, invitandolo ad afferrarla.

Lui la prese, senza fregarsene di cosa la gente avrebbe potuto pensare. Non se ne faceva più un problema. Si accettava così com’era.

La strinse così forte che, d’un tratto, ebbe paura di fargli del male. Tom però, strinse a sua volta. Gli provocava una sensazione di protezione, farsi stringere la mano. Gli piaceva così tanto. Anche Georg lo faceva.. già.. Georg. Chissà che fine aveva fatto. Non l’aveva mai più visto, dopo quella volta. Eppure continuava a tartassarlo di messaggi. Una volta venne persino sotto casa sua.

Non aveva alcuna intenzione di vederlo, né di sentire scuse. Heidi lo cacciò come se fosse un appestato; dopotutto, aveva tradito suo fratello e nessuno, nessuno doveva permettersi di farlo soffrire.

*

‹‹Fammi entrare, Heidi. Ti supplico. Voglio solo parlargli.››

Georg era in lacrime, sulla soglia di casa Kaulitz. Heidi, invece, non si lasciò impietosire. Fu davvero crudele, nei suoi confronti. Alle volte, poteva essere davvero cattiva e violenta.

‹‹Non ti prendo a calci solo perché ho le scarpe nuove, Georg e non vorrei macchiarmele di sangue o, tanto meno, non vorrei sporcare lo zerbino con le tua cervella spappolate. Sarebbe un vero e proprio trauma, per il povero tappetino.››

Gli sputò in faccia con tutta la cattiveria possibile. Georg non disse e non fece nulla. Se lo meritava; anzi, meritava anche di peggio. Lui stesso si sarebbe preso a pugni in faccia. L’errore però, ormai era commesso.

‹‹Ho bisogno di sapere come sta. Non risponde ai miei messaggi. Sto impazzendo, Heidi. Ti prego.›› singhiozzò, per l’ennesima volta. ‹‹Cosa vuoi che faccia? Che mi metta in ginocchio? Vuoi che lo faccia? Va bene.. lo faccio. Lo faccio.››

Si lasciò cadere sulle proprie ginocchia. Si sentì un forte tonfo.

‹‹Non incanti nessuno, comportandoti in questa maniera.››

‹‹Ho bisogno di lui, Heidi. Mi manca da morire.›› si chinò ai suoi piedi, e cominciò a piangere ancor più forte. Heidi non mosse ciglio. Restò impassibile. Di ghiaccio.

‹‹Sparisci da casa mia. Sparisci dalla sua vita. Non tornare mai più. O giuro sulla tomba di mia nonna che ti uccido. Ti uccido.››

Non aggiunse altro; fece un passo indietro e chiuse la porta, lasciando Georg ancora in ginocchio sulla soglia.

Bill vide tutta la scena dalla finestra della sua camera.

*

Con un po’ di timore, intrecciò le sue braccia attorno al collo di Tom; mentre lui, si lasciò avvolgere dai fianchi. Si muovevano in maniera sinuosa e molto sensuale, a prescindere dal tipo di musica che il DJ mettesse. Per fortuna, c’era una musica piuttosto delicata, seppure fosse remixata: Save the world, degli Swedish House Mafia.

Le loro fronti erano unite e, di tanto in tanto, i loro nasi si toccavano. Era un gioco di respiri, di sguardi e di sorrisi.

I battiti del cuore di entrambi, erano molto accelerati. A Bill parve di scorgere una gocciolina di sudore scivolare lungo la fronte del ragazzo rasta.

‹‹Ho così tanta voglia di baciarti, mio dio…›› gli fece notare Tom. ‹‹Dal primo giorno che ti ho visto lì, a combattere con il metal detector..›› Bill non riusciva a comprendere alla perfezione tutto ciò che gli stesse dicendo in quel momento ma, sicuramente, erano belle parole.

‹‹Andiamo fuori.››

Gli afferrò nuovamente la mano e si fece spazio fra la gente, fino a raggiungere l’uscita. C’era vento e, per giunta, faceva anche un po’ freddo.

Tom prese dalla sua enorme tasca il pacchetto di sigarette, porgendone una a Bill. L’accesero con qualche difficoltà.

Bill tirò una forte boccata e Tom lo seguì a ruota. Nessuno disse nulla, fino all’esaurimento di entrambe le sigarette.

Bill gettò il mozzicone in mare; Tom invece lo spense sotto la punta delle scarpe. Lo lasciò lì. C’era il classico silenzio imbarazzante.

Bill si riparava in un angolo, socchiudendo gli occhi per poi ridurli a delle piccole fessure. Il vento era piuttosto fastidioso; voleva rientrare ma, per via del baccano, non riusciva a capire ciò che Tom volesse dirgli. Lì, invece, c’era molto silenzio; si udiva solo il rumore del vento che soffiava e delle onde del mare. Null’altro.

‹‹Vieni con me.›› Tom riuscì ad interrompere il silenzio e, messosi le mani in tasca, fece cenno a Bill di seguirlo. ‹‹Ti porto in un bel posto.›› sorrise, e Bill annuì.

‹‹Dove andiamo?››

‹‹Tu fidati di me. Ti piacerà. È molto tranquillo e silenzioso. Non ci va mai nessuno. Soprattutto se c’è vento.››

Bill non aggiunse altro. Incrociò le braccia al petto e lo seguì.

*

‹‹Ma possiamo salire qui sopra?›› Bill avevo lo sguardo rivolto verso l’altro, mentre Tom si accingeva a salire l’ultimo gradino della scala in metallo.

‹‹Certo che possiamo stare qui sopra. Non c’è nessun divieto. Taci e sali.››

Bill obbedì. Si aggrappò alla ringhiera e, con prudenza, salì le scale. Il vento lì era abbastanza forte e dovette mantenersi saldamente per non essere catapultato giù.

Uno volta salito, gli uscì automaticamente un’esclamazione:

‹‹Wow! Che cazzo di posto è questo?››

Erano all’ultimo piano della nave. Era un posto davvero bello e tranquillo. Non c’era assolutamente nessuno.

‹‹Vengo spesso a rilassarmi qui. È il posto più bello di tutta la nave.›› Tom si avvicinò ad una delle cinque ‘uova’ di vimini presenti su quel ponte. ‹‹Sono una fattispecie di capannine. Siamo riparati dal vento e dal freddo qui.›› Una volta scelto, si sdraiò placidamente, poggiando le mani dietro la testa, lasciando le gambe da fuori.

‹‹Vieni, i cuscini sono morbidi.››

Bill annuì.

Perché ho una strana sensazione? Perché mi sta battendo il cuore forte? Perché mi sta mancando il respiro?

Con un po’ di timore si avvicinò alla cesta, sedendosi successivamente. Era rigido e a dir poco a disagio. Si stava torturando le mani e le gambe gli tremavano leggermente. Cercò in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo con quello di Tom.

‹‹Ehi?›› Tom si alzò, mettendosi successivamente in piedi e poggiando una mano sulla spalla del ragazzo biondo. Provò a tranquillizzarlo. ‹‹Ti ho portato qui per rilassarti, non per agitarti. Cosa c’è che non va, Bill? Ti metto a disagio? Vuoi che ti accompagni giù?››

Bill scosse il capo. No che non voleva. Voleva restare lì con lui.

‹‹No. È solo che…››

‹‹Cosa?››

‹‹Non so. Non sono bravo con le parole, sai?›› disse poi timidamente, sorridendo un po’. Tom, a quel punto, si sbloccò.

‹‹Nemmeno io.›› dolcemente, gli accarezzò una guancia, per poi passare a sfiorare con un dito le sue labbra. Bill chiuse gli occhi ed espirò lentamente dal naso. ‹‹Sei così perfetto, dannazione. Ma da dove vieni?›› scherzò poi, continuando ad accarezzarlo.

Bill, dal canto suo, sovrappose la sua mano a quella di Tom, guidandola nei movimenti. La fece scivolare lungo il collo, le spalle, per poi giungere il petto. L’avvicinò al cuore.

‹‹Senti come sta battendo forte. Sto tremando. Sembro un ragazzino.›› rise poi, seppur imbarazzato. Deglutì a fatica. Doveva fare qualcosa. ‹‹Tom.. io..››

‹‹Shh!›› lo zittì e, prima che potesse aggiungere altro, ridusse a pochi millimetri la distanza fra le loro labbra. Bill aveva gli occhi puntati sul piercing posto a sinistra del labbro inferiore. Non smetteva un secondo di guardarlo. Istintivamente, si morse l’interno delle proprie, espirando profondamente.

‹‹Sai cosa mi piace da impazzire dopo il momento prima del bacio?›› Bill scosse il capo. No. Non lo sapeva. ‹‹..il bacio stesso.›› e senza aggiungere altro, lo baciò.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


- Capitolo 11 -

‹‹…E niente… ci siam baciati così a lungo, tanto da prosciugarmi tutta la saliva. Avevo una sete indescrivibile. Siamo stati per un po’ di tempo seduti sulla moquette del nostro corridoio a parlare del più e del meno; poi siam tornati in camera. Dio Heidi, mi ero dimenticato di quanto potesse essere bello baciare qualcuno.›› Bill parlava da quasi dieci minuti, fantasticando e perdendosi – come sempre – nel suo piccolo mondo fatato. Stava combinando un vero e proprio pastrocchio con la propria colazione. Non aveva fame, quella mattina. Aveva la testa fra le nuvole e non smetteva un solo secondo di pensare a Tom e a quella sera.

‹‹Non ho mai visto una persona bella quanto te.›› sussurrò Tom ad un suo orecchio, mentre faceva scivolare la sua mano ruvida, sotto la maglia del biondo. Bill si lasciò trasportare.

Passò delicatamente le dita sugli addominali pronunciati di Bill che, al contatto, gli irrigidì per via del solletico provocatogli. Tom si divertì molto e capì che Bill soffriva il solletico.

‹‹Come lo hai capito?›› disse poi Bill, cercando di non ridere più.

‹‹Capito cosa?››

‹‹Che sono gay. Insomma.. sì è okay, è visibile ma..››

‹‹Semplice.. il modo in cui mi guardavi.››

Bill si sentì leggermente avvampare.

‹‹E tu, invece? Tutto si direbbe di me, all’infuori che io sia... beh, che sia gay.››

Bill si morse leggermente il labbro inferiore, ancora gonfio per via dei baci – piuttosto forti – che Tom gli aveva dato fino a qualche attimo fa.

‹‹In palestra. La prima volta che ci siam visti. Un ragazzo non attaccherebbe mai bottone con un altro ragazzo. Soprattutto in palestra. C’era così tanta figa. L’unica spiegazione era quella.››

*

‹‹E adesso? Non vi siete dati appuntamento giù?››

Bill scosse il capo. La sera prima, gli aveva detto che non sarebbe sceso a Katakolon; era una città che gli ispirava ben poco. E a Bill? Interessava davvero quella città? Cosa gli importava delle rovine?

‹‹Io sono solo in camera, domattina. Tutti i miei amici scendono. Io preferisco dormire, almeno domani. Se ti va di farmi compagnia, ci fumiamo il Narghilè.››

*

Decisamente non gli importava delle rovine.

‹‹Credo proprio che andrò in camera sua, dopo colazione. Gli porto qualcosa.››

Heidi continuava a guardare il fratello con gli occhi innamorati. Se fossero stati in fumetto, di sicuro i suoi occhi, sarebbero apparsi come due grandi cuoricini rossi che fuoriuscivano dalle orbite. Un po’ come quei manga giapponesi.

‹‹Che dolce il mio fratellone.››

‹‹Smetti di fare la cretina. Non dire nulla né a mamma e né a papà.›› la rimproverò poi lui. Heidi lo guardò accigliata, riducendo a due piccole fessure gli occhi, così come la bocca.

‹‹Certo, perché io sono così stupida da dire a mamma e papà che non scendi per andare a fare le porcate nella camera di uno che hai conosciuto tre giorni fa.›› fu seria nel dirlo; e fu proprio la sua serietà che fece scoppiare Bill dalla risate.

Anche Heidi, presto, venne coinvolta.

‹‹Alle volte non lo usi proprio il cervello, Bill.›› mandò giù l’ultimo boccone di banana e si pulì le labbra con il tovagliolo blu.

Stava molto meglio, rispetto alla sera precedente. Dopo quella pillola paragonabile al cianuro, si sentiva molto più in forma. Aveva deciso però di darsi una leggera regolata con l’alimentazione: banana, mela, yogurt magro e una fetta di pane di segale, era la sua colazione di quella mattina; gliel’aveva consigliata Bill. Una sana colazione con proteine, carboidrati e vitamine. Sembra la colazione dei malati. Aveva detto lei. Dopotutto, non aveva mica tutti i torti.

*

‹‹Io non scendo, mamma. Non ho ancora avuto modo di visitare per bene la nave. Non ho fatto nemmeno tante foto. Credo che oggi andrò proprio a zonzo.›› fece uno sguardo complice a sua sorella. Lei sorrise sotto i baffi.

‹‹E tu vuoi rimanere con tuo fratello, Heidi?››

Lei scosse la testa. Anche se… a quanti ragazzi aveva dato appuntamento quella mattina, all’idromassaggio? Due? No, forse erano tre.

‹‹Io adoro la storia. Preferisco vedere Katakolon. Quando mai mi capiterà più di vedere una colonna?›› disse quella frase con un tono di sarcasmo ed ironica, colta immediatamente dai propri genitori.

Simone scosse la testa.

‹‹Andiamo ragazzi, lo sbarco è alle nove in punto. Sono le 08:50. Risaliremo per l’ora di pranzo, molto probabilmente.. Ah, Bill..››

Bill si voltò di scatto. Stava sistemando la roba nelle valigie. Perché lo stava facendo poi?

‹‹Mi raccomando a te.›› La madre fece l’occhiolino. Bill si sentì improvvisamente avvampare. Sentiva il fuoco ardergli tutto il corpo e, le sue gote, divennero di un rosso vivido. Prima che potesse aggiungere qualcosa però, Simone chiuse la porta.

Bill restò a fissarla per una manciata di minuti, giusto il tempo di far riprendere il proprio cuore dal semi infarto appena avuto e far tornare le proprie guance del suo colore naturale.

‹‹Ma perché mia madre capisce sempre tutto, cazzo!››

Si grattò la fronte quando però, la tua attenzione, venne colpa da un’imperfezione. Si soffermò con il dito medio su di una lieve protuberanza sita al centro della fronte.

‹‹Ma questo è un… BRUFOLOOOO?›› urlò non appena tastò il leggero rilievo sulla sua fronte. Si precipitò davanti al primo specchio della stanza e, con un po’ d’ansia, guardò il ‘mostro’ – come lo giudicava sempre lui – sulla sua fronte. Tutto era, tranne che evidente.

‹‹Si coprirà con un po’ di correttore di Heidi.››

Andò nuovamente nella sua parte di stanza e si mise a rovistare fra i trucchi di sua sorella. Non ci volle molto a trovare ciò che gli serviva. Col il dito, prelevò un po’ di correttore dal tubetto e facendo molta attenzione, se ne spalmò una quantità non troppo generosa sulla parte interessata, cominciando a picchiettare.

Il brufolo scomparve magicamente.

‹‹Ho sempre detto che avrei dovuto fare il MakeUp Artist.›› disse soddisfatto, dandosi un ultima sistemata.

*

Erano le 09:45, e Bill era disteso sul letto a fare zapping fra i canali. Era tipo la venticinquesima volta che faceva il giro. Non c’era nulla di interessante, a parte qualche film tedesco di scarso successo. Attendeva la chiamata di Tom. A che ora aveva detto?

‹‹Le dieci. Aveva detto alle dieci.›› ripeté ad alta voce. Dette finalmente pace al telecomando, decidendo di lasciare ad un film poliziesco.

‹‹Il mio cane, reciterebbe mille volte meglio di questi qua.››

*

Guardò l’orologio. Erano le dieci in punto. Il suo cuore cominciò a battere forte e, il suo stomaco, cominciò a brontolare. No, non era fame.

Si alzò dal letto e cominciò a percorrere in maniera al quanto nervosa, il piccolo corridoio che attraversava la zona che condivideva con la sorella, con quella dei propri genitori. E se Tom non avesse chiamato? E se gli avesse dato nuovamente buca? No. Non poteva fargli bidone. Non ora che si l’aveva baciato.

Porca puttana. Ci siamo baciati.

Cominciò a mordicchiarsi le unghie, anche se avrebbe voluto mangiarsi le falangi. Era nervoso, forse anche un po’ troppo. Cosa sarebbe caduto, una volta entrato nella sua stanza? Se mai avesse voluto allungare le mani, ci sarebbe stato oppure gli avrebbe tirato un gancio destro da stenderlo a terra? Tutto era da vedere.

10:10

‹‹Ma perché diamine ci mette così tanto? Devo soltanto chiamare una fottuta camera.›› si sedette nuovamente sul letto, senza smettere un attimo di fissare la cornetta del telefono.

10:15

‹‹Mi ha dato buca un’altra volta.››

10:20

‹‹Brutto pezzo di merda.››

10:25

‹‹Io non gli rivolgo più la parola.››

10:30

‹‹Chi cazzo è che rompe i coglioni?››

Stizzito, si alzò di scatto, facendo leva con le braccia sul materasso un po’ troppo duro. Si diresse verso la porta per vedere chi avesse bussato.

‹‹Chi è?››

Non ci fu alcuna risposta. Pensò subito ad uno scherzo, ma quando andò per allontanarsi, bussarono nuovamente.

Ancora più nervoso di prima, spalancò la porta di botto:

‹‹Avete rotto il cazz—››

Si bloccò improvvisamente. Lì, sulla soglia della sua cabina, c’era l’ultima persona che si sarebbe aspetto: Tom.

‹‹Ops.. Non sono gradito?›› scherzò subito Tom, guardando verso il basso. Bill avvampò. Stette in silenzio per una manciata di secondi. Non sapeva se saltargli addosso e violentarlo, oppure dargli una scarpata in fronte per aver fatto ritardo.

‹‹Certo che tu sei in grado di scombinare i piani della gente in una maniera micidiale.›› disse ridendo Bill, ma infondo, era davvero piuttosto incavolato.

Ma dai Bill, almeno si è presentato e non ti ha dato buca. Apprezza questo fatto, idiota.

Si picchiò mentalmente. Non avrebbe dovuto dire così, forse?

‹‹Lo so, quei coglioni dei miei amici non sono usciti. Ecco perché non ti ho chiamato. Comunque… mi fai entrare?››

Bill deglutì. Aveva un po’ paura. Non sapeva a che ora sarebbero arrivati i suoi genitori. Sua madre era stata piuttosto vaga, sull’ora.

‹‹A che ora dovrebbe esserci l’imbarco?›› chiese poi Bill, prima di farlo entrare.

Tom scosse le spalle. Non lo sapeva.

Fu un po’ scettico. Non sapeva se farlo entrare o meno. E se da un momento all’altro fossero arrivati i suoi genitori? Cosa avrebbero pensato?

Vabbè, non ci devo mica scopare. Dobbiamo fumarci semplicemente una sigaretta assieme. O no? Okay. Lo faccio entrare.

Sfoggiò un sorriso. Un bianchissimo e perfetto sorriso; forse uno dei più belli che Tom avesse mai visto. Ne rimase a dir poco ammaliato.

‹‹Accidenti!›› si lasciò sfuggire poi.

‹‹Cosa?››

‹‹Niente.. è solo che.. hai un sorriso fottutamente perfetto, cazzo!›› Bill arrossì, e lo fece anche Tom.

Si scostò dalla soglia, dimodoché Tom potesse entrarvi. Lo fece accomodare sul proprio letto, chiedendogli se volesse qualcosa da bere.

‹‹Ho della Schweppes, della limonata, oppure del thè al limone.›› Bill si chinò per guardare all’interno di quel piccolissimo frigorifero. ‹‹In poche parole.. tutto ciò che hai anche tu. Ahahah.›› rise, mettendosi nuovamente in piedi.

Tom non smetteva un attimo di guardarlo. Fissava costantemente tutta la sua snella e slanciata figura. Era praticamente una scultura. Bill lo guardò accigliato: quando partecipava ai Gay Pride, assieme a Georg, parecchie volte si era imbattuto in sguardi provocanti e spesso, era costretto a bloccare il suo ormai ex ragazzo, prima che facesse qualche cazzata; ma Tom però, lo guardava davvero in maniera insistente e penetrante. Non gli era mai capitato prima d’allora. Lo guardava in modo diverso, rispetto agli altri. Cosa aveva lui, che gli altri non avevano?

‹‹Ancora non riesco a comprendere il motivo per il quale tu continui a fissarmi in questa maniera.›› disse ridendo. Tom non rispose. Gli fece cenno di accomodarsi accanto a lui, sul letto, dando dei colpetti sul materasso. Bill obbedì, senza pensarci due volte. Non ci vedeva nulla di male star seduto sul letto, assieme ad un ragazzo nella propria cabina. Soli, per giunta. Cosa mai poteva accadere?

Si guardarono a lungo, senza proferir parola. Lo sguardo di Bill si posava in maniera altalenante: occhi-bocca e bocca-occhi. Stessa cosa per Tom. No. Lui guardava sempre e solo le sue labbra.

Bill si era seduto leggermente distante da lui. Non voleva apparire inappropriato. Il suo stomaco si contorceva e il suo cuore pareva si trovasse in gola.

Con nonchalance Tom si avvicinò un po’ di più.

‹‹Guarda che non ti mangio mica, eh?›› scherzò poi lui, notando che Bill si era un po’ allontanato. Non voleva correre rischi.

‹‹Lo so. È solo che..››

‹‹Cosa succede? Ti da fastidio se mi avvicino di più?›› accorciò ancor di più le distanze. Bill non poteva andare da nessun altra parte. Se si fosse spostato di un solo centimetro, sarebbe finito con il culo per terra e, sicuramente, avrebbe fatto una bella figuraccia. Non aveva altra scelta. Doveva restare lì dov’era.

Deglutì a fatica, quando si ritrovò con la mano di Tom in mezzo alle sue cosce. Cominciò a sudare freddo e, nonostante la bassissima temperatura che c’era all’interno della cabina, sembrava stesse prendendo fuoco. Nemmeno l’acqua l’avrebbe spento. Anzi, sarebbe evaporata.

‹‹T-Tom.›› le parole gli morirono in bocca, quando queste, vennero avvolte dalle labbra di Tom. Le racchiuse con una certa forza e un po’ di avarizia; come se quelle labbra, così morbide e rosee, appartenessero solo e soltanto a lui.

Rispose al bacio dopo qualche secondo. Gli girava la testa, senza sapere davvero quale fosse il motivo: il profumo troppo forte e pungente che aveva, oppure l’eccitazione e il fremito che gli stava provocando? La seconda, era molto più plausibile, o forse tutt’e due. Non lo sapeva. L’unica cosa a cui riusciva a pensare, era solo il bacio di Tom. Solo quello, e basta.

Continuarono a baciarsi a lungo, tanto a lungo che a Bill gli si seccò la gola, per una seconda volta.

‹‹Possibile che tu mi faccia venire sempre sete?›› disse scherzando, avvicinandosi al piccolo frigo-bar per prendere della Schweppes al limone. Quando aprì la lattina, spruzzò leggermente per via dell’anidride carbonica presente all’interno di essa, facendone uscire un po’ di contenuto.

‹‹Vuoi un po’?›› chiese poi, porgendo la stessa lattina dal quale aveva appena bevuto quel tanto da potersi considerare dissetato. Tom annuì. Aveva sete anche lui.

L’afferrò con delicatezza, ringraziando successivamente il biondo. Ne bevve qualche sorso anche lui, dopodiché la posò sul comodino.

‹‹E quindi… sei stato fidanzato per quattro anni.››

‹‹Quattro anni e mezzo.›› tenne a specificare lui. ‹‹E ti giuro, il modo in cui è finita, è stato davvero tremendo. Preferisco non parlarne più però. È troppo doloroso ricordare. Nonostante sia passato un anno, ancora non riesco a farmene una ragione.››

Decisamente giù di morale, bevve un altro po’ di Schweppes. Una volta finita, la gettò nel cestino.

‹‹Perdonami, non volevo..››

‹‹Tranquillo, Tom. È passato un anno. Sì, okay, fa male pensarci, ma oramai è andata. Non si può cancellare quel che è successo.››

Si sedette nuovamente accanto a Tom e, questa volta, non gli importava un fico secco di ciò che avrebbe fatto lui. Poteva anche violentarlo seduta stante, non se ne sarebbe accorto.

Perché ogni volta che si parlava di Georg, il suo morale calava praticamente a sotto zero? Eppure, quante volte si era ripetuto che non gli importava più un cazzo di lui? Quante? Forse sperava ancora che le cose potessero aggiustarsi fra di loro? Quante volte lo aveva visto sotto casa sua, con un mazzo di fiori e una confezione dei suoi cioccolatini preferiti? Quante volte l’aveva rifiutato?

‹‹Sai Bill, anche io ho passato una storia più o meno simile alla tua. Con la sola differenza che io, non mi ero fermato alla convivenza.››

‹‹Che vuoi dire, Tom?››

Tom sorrise, ma si vedeva lontano un miglio che, quel sorriso, era fatto per nascondere un dolore; un dolore molto forte. Forse anche più di quello di Bill, e lui sapeva riconoscere immediatamente un sorriso sincero, da uno falso; e quello di Tom, era proprio uno dei più falsi che avesse mai visto.

‹‹Devi sapere Bill che questa cosa, non l’ho mai detta a nessuno. Nemmeno i miei migliori amici lo sanno. La dico a te perché puoi capirmi, ed hai vissuto più o meno ciò che ho vissuto io…›› disse quelle frasi con un dispiacere piuttosto profondo. Aveva le gambe leggermente divaricate, i gomiti poggiati sulle cosce e il capo chino. Guardava il pavimento e, di tanto in tanto, scuoteva la testa.

‹‹Cosa ti è successo, Tom? Puoi parlarmi.›› per confortarlo, Bill gli posò delicatamente una mano sulla spalla, tentando di rassicurarlo anche. A quel gesto, Tom si voltò verso di lui. Aveva gli occhi lucidi; anzi, Bill giurò di aver scorto una lacrima rigargli lo zigomo destro. Gli si strinse il cuore.

‹‹Sono stato piantato in asso sull’altare... Dalla mia ragazza.››

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


- Capitolo 12 -

Tre anni prima.

‹‹Tom, sei sicuro di quello che stai facendo?››

Suo cugino Enea, non era affatto convinto del grande passo che Tom aveva deciso di fare. Conosceva Sophie da soli nove mesi e, a suo parere, non era sufficientemente abbastanza da poterle chiedere di sposarlo.

Tom però, non voleva sentir ragioni. Era più che certo di quello che stava compiendo. Amava Sophie ed era sicuro che la cosa fosse ricambiata.

‹‹Cosa intendi, Enea? Certo che lo so. Sophie è la ragazza dei miei sogni.››

‹‹Tu sai che non è così. Sei un ragazzino, Tom. E poi.. dimentichi che non sei completamente etero. Preferivo Paul, a Sophie. Dico sul serio. Non hai mai pensato che forse, Paul, sarebbe stata la persona giusta per te?››

‹‹Sono abbastanza grande da decidere cosa sarà della mia vita. Sono giunto a questa conclusione. Paul è storia passata e, per giunta, avevo diciassette anni. Non sapevo cos’era giusto o sbagliato per me. Non metto in dubbio che sono stato bene con lui e, se fossi stato un po’ più grande, avrei potuto pensare ad una possibile convivenza. Non è stato così, anche perché lui era troppo grande per me. Io mi sposerò oggi, e lei, è la persona giusta.››

‹‹Aveva ventuno anni, all’epoca. Anche con Sophie, la differenza d’età è pari a quattro anni. Ne ha ventitré ora, proprio come Paul, oggigiorno.. Quindi, non venirmi a dire che era troppo grande per te. Perché non è così.››

Tom si soffermò a pensare qualche attimo. Enea non aveva per niente torto. Perché poi la storia con Paul era finita? Cos’è che non andava bene? Non si ricordava.

‘Oh sì, ora ricordo. Sua padre non era d’accordo sulla nostra relazione. Ero troppo piccolo ed immaturo per lui.’ Ovviamente Paul non aveva altra scelta, se non quella di troncare ogni contatto.

Gli venne in mente un’altra cosa, in quel momento: la sua prima volta con lui. Come poteva dimenticarsi di una cosa così bella?

Si sentì stringere il cuore, lo stomaco, gli occhi si velarono leggermente.

Sì, Enea aveva ragione. Paul sarebbe stato perfetto per lui.

Ma era acqua passata, oramai. Lui aveva trovato la persona giusta. Era una ragazza bellissima, e che amava tantissimo.

‹‹Non mi interessa. Paul non era abbastanza forte. Se mi avesse amato sul serio, avrebbe combattuto contro suo padre, pur di salvare il nostro rapporto.››

‹‹Ti disse che ti avrebbe amato per il resto della vita, Tom. Come puoi dimenticarti di questo? Dimmi, quante volte Sophie ha detto di amarti? Quante, Tom?››

In quel momento, Tom provò una forte rabbia. Stava davvero esagerando.

‹‹Piantala Enea. Ho preso la mia decisione. Non farmi pentire di averti scelto come testimone. Questa è la realtà.›› alzò notevolmente il tono di voce. Enea trasalì per lo spavento. Forse era davvero troppo, quello che aveva detto.

Ormai non si poteva tornare indietro. Tom si sarebbe sposato, quel giorno.

Sospirò, mentre si accingeva ad aggiustargli la cravatta. Come poteva dirglielo? Come poteva dirgli che la sua ‘futura moglie’ l’aveva tradito? Come poteva dirgli che, l’uomo con il quale era stata, era proprio lui? Ed Enea sapeva benissimo che ce n’erano stati altri e che non era stato il solo. Aveva avuto diverse avventure di una notte; inoltre, sapeva anche che Sophie non aveva mai lasciato il suo lavoro, come invece, aveva detto a Tom.

‹‹Spero solo che tu sappia a cosa vai incontro.››

Sophie lavorava in un Night Club da quattro soldi come spogliarellista e ‘donna di compagnia’. Era proprio per questo che Enea, voleva metterlo in guardia. Non sarebbe mai stata fedele. Mai.

‹‹È perché faceva la spogliarellista in quel diavolo di Night Club? Le persone cambiano, Enea.››

‘Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.’ Si ritrovò a pensare poi suo cugino, mentre gli aggiustava il  fiore, posto sulla tasca destra della giacca.

‹‹Mi fido di te, ma non di lei. Adesso sbrigati, o farai ritardo al tuo matrimonio.››

Gli dette una pacca amichevole sulla spalla ma, in cuor suo, sapeva benissimo che, quel giorno, sarebbe stato sì, un giorno indimenticabile, ma non per via della felicità e della gioia che avrebbe provato; Tom sarebbe stato ferito come nessun’altro mai aveva fatto prima.

*

Era in piedi, con un sorriso sfavillante, era davvero felice. Le gambe gli tremavano leggermente.

‹‹Come sto?›› sussurrò a suo cugino.

Lui sorrise tristemente.

‹‹Stai benissimo, Tom.›› il cuore gli stava morendo in petto. Avrebbe fatto di tutto, per suo cugino. Era come un fratello, per lui. Ma quell’errore fatale, se detto, gli avrebbe fatto davvero molto male. Si sentiva in colpa. Troppo in colpa. Quella puttana l’aveva tratto in inganno, persuadendolo e tentandolo con i suoi modi da troia. Ma non poteva più tornare indietro. Lei era troppo bella e troppo sensuale da resisterle, e lui troppo debole per farlo.

Sapeva che quel giorno, l’avrebbe perso per sempre.

*

La musica era cominciata, le porte della Chiesa erano state aperte e gli invitati erano in piedi. Tutto era cominciato.

‹‹Sto tremando, Enea. Ho paura.›› disse Tom, con il sorriso sulle labbra. Aveva gli occhi pieni di gioia. Si vedeva lontano un miglio: era davvero innamorato della ragazza.

Enea invece, non riusciva proprio a sorridere.

*

Erano trascorsi cinque minuti, da quando la cerimonia era cominciata e Sophie, non aveva ancora fatto il suo ingresso. Tutti gli invitati erano rivolti verso l’enorme entrata della Chiesa, in attesa della sposa.

Cominciarono a guardare Tom in maniera perplessa e a parlare fra di loro. Lui cominciò ad agitarsi, non capendo il motivo per il quale, la sua futura moglie, stava facendo ritardo.

‹‹È normale che faccia un po’ di ritardo, vero Enea?›› il cuore cominciò a battergli forte. Questa volta però, non era per l’emozione. Tom aveva paura. Era spaventato.

‘Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo davvero.’

Enea chinò il capo, scuotendolo successivamente. Si coprì gli occhi con la mano, dimodoché potesse nascondere le lacrime. Pensava che, una volta sposati, avrebbero divorziato in meno di un anno, massimo due; ma non gli sarebbe mai venuto in mente che, quella stronza, l’avrebbe piantato all’altare.

‹‹Enea.. io.. io non.. non capisco.. cosa..››

Solo dopo aver visto entrare il padre, senza la sposa, capì subito.

‹‹Questa lettera è per te, Tom.››

Brian, il padre della ragazza, aveva l’aria combattuta e triste, quando porse il pezzo di carta a Tom. Una lettera; una misera e insulsa lettera.

Tom non voleva aprila. Aveva troppa paura. Le lacrime cominciarono a rigargli il viso. Si voltò verso Enea: piangeva anche lui.

‹‹Ha detto di aprila. Non so cosa ci sia scritto. Mi ha solo detto questo. Mi dispiace, figliuolo. Sei davvero un bravo ragazzo.››

L’uomo gli posò una mano sulla spalla, in segno di compassione e dispiacere; dopodiché, prese per mano la moglie e uscirono dalla Chiesa. Non aveva il coraggio di guardare Tom negli occhi, mentre leggeva quel pezzo di carta che sua figlia gli aveva dato. Si sentì tremendamente in imbarazzo. Si vergognava.

‹‹Enea.. io..››

‹‹Apri Tom.››

Con le mani tremanti, tentò di aprire quella busta, nella speranza di trovare tutte le spiegazioni che avrebbe dovuto dargli; ma quando andò per aprirla, notò che non c’era niente di tutto questo.

Si sentì morire quando vide che, all’interno della busta, c’erano l’anello di fidanzamento che gli aveva regalato. Nessun biglietto. Nessuna lettera. Solo l’anello.

Lo strinse forte nel proprio pugno e, per la rabbia, lo scaraventò per terra, lanciandolo dall’altra parte della Chiesa.

Enea si avvicinò e, con premura e comprensione, gli avvolse la spalla.

‹‹Tom.. mi.. mi dispiace.››

Con un gesto secco, si scrollò il braccio del cugino dalla proprio spalla. Non aveva bisogno di compassione.

‹‹Avevi ragione.›› disse poi freddamente. ‹‹Una troia non potrà mai cambiare. Se una nasce puttana, morirà come tale.›› Senza aggiungere altro, scese lentamente le scale dell’altare e senza preoccuparsi di ciò che gli invitati stessero dicendo, uscì da quel posto maledetto, giurando di non tornarci mai più.

*

Bill aveva gli occhi lucidi. Piangeva come un bambino. Non avrebbe mai pensato che, un giovane di appena ventidue anni, avrebbe potuto passare tutto questo.

‹‹Dio, Tom… io… io non so cosa dire. Davvero.››

Bill lo abbracciò più forte che poteva. Tom ricambiò l’abbraccio, sorridendo. Gli fece davvero bene, quel gesto; anche perché era sincero.  

‹‹È tutto passato, Bill. Ormai non mi fa più molto male.››

Fece passare le sue mani ruvide fra i morbidi capelli del biondo e, carezzandolo leggermente, fece congiungere le sue labbra con le proprie, in un bacio profondo.

‹‹Come farò quando finirà tutto, Bill? Come farò senza di te?››

Bill sospirò. Non ci aveva per niente pensano, prima d’ora. Ormai, aveva completamente rimosso di essere su una nave da crociera, assieme ad un americano. Si era talmente abituato che, il sol pensiero di tornare alla vita reale, lo traumatizzava.

No Bill. Questa non è la vita reale. Fattene una ragione.

‹‹Abbiamo ancora quattro giorni, Tom. Non sprechiamoli a commiserarci. Voglio divertirmi.›› l’abbracciò ancora più forte – per quanto fosse possibile – e gli stampò un bacio sulla spalla.

Si staccò dalla stretta e, con un colpo di reni, si destò dal letto.

‹‹Bene, proponiamo qualcosa da fare questa mattina. Io vorrei andare nell’idromassaggio. Non ci sono ancora mai stato. Tu sì?››

Tom scosse il capo.

‹‹Se tieni molto al tuo costume, ti consiglio di non entrarci proprio in quella piscina. C’è tanta di quella candeggina che, aimè, il mio amato costume di Calvin Klein, si è tutto scolorito. Da nero, è diventato di un grigio scuro.››

Bill posò una mano sul petto ed assume un’espressione di disgusto, mista a stupore.

‹‹Immagino il colpo al cuore quando hai visto che il costume non era più il tuo.›› rise, tentando di strappare un sorriso anche a Tom – anche e soprattutto dopo tutto quello che gli aveva raccontato. Ci riuscì. –

‹‹Per fortuna non era un costume appena comprato. Ci  tenevo molto, però.›› posando le mani sulle proprie ginocchia e dandosi un leggero slancio, si alzò dal letto. Si sistemò con poca eleganza il suo ‘pacco’.

Bill, dalla vergogna, si girò dall’altra parte.

Non guardargli il pacco, Bill. Non guardargli il pacco. Non fare il finocchietto arrapato, perché non lo sei. Anche se, ripensandoci, da quanto tempo non ti fai una sana scopata?

Si sentì avvampare leggermente, se si fosse guardato allo specchio, di sicuro avrebbe notato che, il suo colorito, assomigliava più alla buccia di un pomodoro maturo o di un bel peperone rosso.

Cominciò a canticchiare qualche motivetto inventato sul momento, per evitare di pensare.

‹‹Ti dispiace se uso il tuo bagno?›› disse Tom, aprendo la porticina. Bill scosse il capo e scrollò le spalle.

‹‹Certo che puoi. Basta che non goccioli da nessuna parte. Io sono abituato a sedermi sul water in quanto a mia madre e a mia sorella dà molto fastidio il fatto che possano trovare una gocciolina di urina sul bordo. Anche mio padre lo fa.››

Tom sgranò gli occhi ed annuì molto lentamente. Se non fosse stato per il fatto che lo trovasse fottutamente sexy ed attraente e che avesse un corpo mozzafiato, un culo da capogiro e dei modi di fare altamente aggraziati e perbenisti, avrebbe giurato che fosse un pazzo psicopatico.

‹‹O-KAY… vorrà dire che mi siederò anche io, onde evitare litigi inutili con tua sorella e tua madre.››

Bill mimò un ‘Thank you’ , senza proferire alcun suono. Tom sorrise ed entrò nel bagno, lasciando la porta aperta.

C’era un silenzio a dir poco imbarazzante. Bill riusciva a percepire ogni piccolo rumore che Tom, in quel momento, stava facendo: la zip che si apriva, i pantaloni che venivano calati, la cintura che urtava sulle mattonelle e, di lì a poco, avrebbe sentito anche il…

Ecco sì. Proprio quello. Pareva un fiume in piena, più che una normalissima pipì. Provò a contare quanto tempo quello svuotamento vescicale fosse durato. Giurò di aver contato almeno quaranta secondi.

Subito dopo, sentì tirare lo sciacquone e, successivamente, il rubinetto che veniva aperto.

Speravo così tanto nell’udire quel suono.

Era forse troppo maniacale? Era esagerato lavarsi le mani almeno venti volte al giorno? Forse sì; o forse no? Non gli importava. A lui andava bene così. L’igiene prima di tutto.

Immediatamente dopo aver chiuso il rubinetto, uscì.

‹‹Dio mio. Stavo praticamente scoppiando.››

‹‹L’ho notato. Hai fatto una pisciata che pareva non spicciasse mai.››

Tom  scoppiò in una fragorosa risata e Bill lo seguì a ruota.

‹‹Sei davvero un tipo strano, Bill. Passi dall’estrema persona educata e razionale, al cafone del ghetto…››

Bill smise di ridere e guardò il rasta in maniera un po’ perplessa. Non sapeva se prendere quell’affermazione come un’ironia, oppure come un insulto bello e buono. Tom, notando la perplessità nei suoi occhi, cercò di spiegarsi meglio.

‹‹Sei diverso dagli altri. Mi fai ridere. Ed è proprio per questo che…›› si avvicinò leggermente e, con nonchalance, gli cinse i fianchi con una certa forza, facendo scontrare i loro bacini. Bill si sentì improvvisamente la gola secca.

Il rasta percorse con l’indice, tutta la sagoma della mandibola, soffermandosi poi sulle labbra rosee e carnose. Erano così maledettamente invitanti.

‹‹…che mi fai impazzire.›› lo baciò, senza preavviso. Fu intenso, come tutti gli altri. C’era da ammettere che Tom era davvero molto abile a baciare. Era di gran lunga il migliore in assoluto, e lui ne aveva avuti molti di ragazzi.

Una volta distaccati, seppur controvoglia, Bill rimase ancora con gli occhi leggermente socchiusi e le labbra un po’ troppo gonfie. Tom non baciava; mordeva.

‹‹Io eviterei il succhiotto al labbro inferiore. Non voglio che mi diventi viola. Sarò costretto ad usare il rossetto color carne di mia sorella, altrimenti.›› rise Bill, toccandosi il labbro dolorante.

Tom scrollò le spalle.

‹‹Tom, posso farti una domanda?››

Il cuore del biondo fece un tuffo. Era davvero necessario farla? Sì, forse sì. Tom non esitò un secondo e, con gentilezza, approvò.

‹‹Mi è sorto questo dubbio, dopo che mi hai raccontato quanto ti è successo. Non vorrei essere… come dire… invadente ma… sai…››

‹‹No. Non sono bisessuale. O meglio, non più adesso. Sono felicemente, pubblicamente, stramaledettamente gay. Ho chiuso con la passera. Nella mia vita, ho avuto solo quattro avventure con delle ragazze. Solo una di queste, oltre che a letto, la stavo portando all’altare. Al liceo, ero praticamente desiderato da tutte; ma sono sempre stato più propenso verso i ragazzi. Quindi, Bill, puoi stare tranquillo. Non mi troverai mai a pomiciare con una biondona dalle gambe chilometriche e il busto a clessidra.››

Bill tirò su un sospiro di sollievo.

Come può essermi venuta in mente una cosa del genere? Certo che sono proprio paranoico.

‹‹Sono felice che tu me l’abbia detto. Mi hai tranquillizzato.››

‹‹Non preoccuparti. Ora, se non ti dispiace, posso offrirti qualcosa da bere? Un frullato magari?››

Non se lo fece ripetere due volte. Abbozzò un sorriso sincero e, mettendosi sotto il suo braccio – come se fosse la cosa più normale del mondo – si diressero verso l’ultimo piano. Avrebbero passato una bellissima mattinata assieme.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


- Capitolo 13 -


Bill stava sorseggiando spensieratamente il suo frappè allo yogurt, nella piscina idromassaggio e, di tanto in tanto, lanciava qualche occhiata a Tom che, accanto al chioschetto del bar, veniva circondato da un’ondata di ragazze che, a suo parere, stavano facendo un po’ troppo le ochette con lui.

Sentiva un forte dolore allo stomaco e, per giunta, una rabbia così potente che, se fosse stato possibile, sarebbe esploso come una bomba atomica, disintegrando quelle galline idiote che stavano importunando Tom che, per di più, stava dando loro corda.

Smettila, Bill. Bevi il tuo fottuto frappè e fatti i cazzi tuoi. Non sei né il suo ragazzo, né il suo protettore. Non fare il geloso del cazzo.

Provò ad autoconvincersi ma, a quanto pare, non riuscì ad ottenere un riscontro positivo.

Lo stomaco stava continuando a borbottare e le mani cominciarono a prudergli: non era mai buon segno, quello. Cominciò a respirare rumorosamente e pesantemente. Stava davvero per perdere le staffe.

Succhiò dalla cannuccia con forza tutta la bevanda restante e, con uno scatto felino, uscì dalla vasca e si diresse verso il chiosco con un’aria un po’ troppo minacciosa.

Non riusciva a sopportare di più. La goccia che fece traboccare il vaso, fu quando una ragazza bassina, con i capelli ricci rossi, gli toccò i pettorali scolpiti. Gli si appannò la vista.

Non diede a Tom né il tempo di capire cosa stesse succedendo, né il tempo di agire che, senza preavviso, lo abbracciò da dietro e, avvolgendogli il volto con le mani, lo fece girare verso di sé, dimodoché potesse baciarlo. Davanti alle ragazze che, secondo lui, lo stavano importunando.

Tom, ovviamente, non oppose resistenza. Come poteva opporne? Ogni qual volta che Bill lo baciava, usciva fuori di testa.

A quella vista, le ragazze, storsero le labbra in una smorfia di disgusto: Bill se ne accorse in quanto, mentre era intento a divorare le labbra di Tom, aveva semi aperto l’occhio sinistro, dimodoché potesse sbirciare l’espressione allibita delle ragazze.

‹‹What a fuck?›› urlò una ragazza, mentre le altre si congedavano. Bill, dal canto suo, sorrise in maniera maligna, nella sua mente. Era riuscito ad allontanarle. Sì, aveva attirato l’attenzione di qualche occhio indiscreto, ma non gli importava un fico secco.

Quando si distaccarono, Tom lo guardò con aria esterrefatta. Non si sarebbe aspettato un gesto simile.

‹‹Wow.›› disse sorridendo, tentando di riprender fiato. ‹‹A cosa devo tutto questo affetto improvviso?›› gli cinse il collo con il suo braccio e, delicatamente, gli baciò la fronte. Bill avrebbe tanto voluto dirgli che l’aveva baciato in quel modo per via di quelle gallinelle che gli stavano girando attorno ma, ovviamente, non lo fece. Avrebbe sicuramente frainteso. Quindi, avrebbe deciso di sorvolare, non dicendo proprio nulla. Sorrise, sperando che così facendo, Tom avrebbe trovato da solo la sua risposta.

*

Un forte vento si era improvvisamente alzato e, sul ponte, non si poteva più stare. Le asciugamani cominciarono a svolazzare dappertutto e l’acqua delle piscine, iniziò ad incresparsi.

‹‹Merda che cazzo di vento!›› esternò Tom, avvolgendo Bill fra le sue braccia, come se dovesse proteggerlo da chissà quale male terreno. Bill, dal canto suo, si strinse ancora più forte. Aveva il terrore del vento.

Il tempo si fece immediatamente scuro. Delle grosse nuvole cariche di pioggia, coprirono il cielo che, fino a qualche istante prima, pareva limpido e sereno. Presto, una pioggia torrenziale, si sarebbe abbattuta su di loro.

‹‹Dio Tom, rientriamo presto, ti prego. Non voglio trovarmi sotto la pioggia.›› fece sparire il proprio volto fra il petto e l’ascella di Tom, stringendosi quanto più forte poteva.

‹‹Aspettiamo solo che se ne vada tutta questa gente, Bill. Rischieremmo di essere schiacciati, se provassimo ad andarcene ora. Tranquillo, ci sono io con te.››

E proprio mentre terminò quella frase, un temporale si abbatté su di loro. La pioggia cominciò a cadere copiosa e prepotente, creando pozzanghere nel giro di pochi istanti.

Come immaginò Tom, la gente cominciò a correre, cercando di mettersi al riparo. Bill e Tom, invece, restarono abbracciati, vicino al chioschetto, in attesa che la gente smaltisse.

Il vento era talmente forte, tanto da spazzar via tutti gli stand che erano lì presenti sul ponte, comprese le sdraio.

‹‹Dio Tom, ti prego, rientriamo.››

Era tutto uguale, come quella volta. No. Non poteva accadere di nuovo. Questa volta non era da solo, in mezzo al traffico, con l’acqua che arrivava alle portiere della macchina. Eppure perché gli ricordava quel giorno? Perché gli stava ricordando quella tempesta? Cosa avevano detto i media in merito? La peggiore tempesta verificatasi negli ultimi dieci anni.

*

‘Alberi abbattuti, auto distrutte, ferrovie nel caos, e almeno cinque vittime. La peggiore tempesta dell'ultimo decennio si è abbattuta ieri sera sul Nordreno Vestfalia, nella parte occidentale della Germania. La pioggia violenta, accompagnata da venti forti, talvolta grandine e da molte scariche elettriche, ha causato la morte di almeno 5 persone, tutte uccise dalla caduta di alberi.

A Düsseldorf, secondo quanto riferito dalla polizia, tre persone che avevano cercato riparo dalla pioggia in una casetta di un giardino sono state uccise dalla caduta di un pioppo. I soccorritori sono riusciti ad estrarre altri due feriti gravi e uno lieve.

A Colonia un albero di 20 metri colpito da un fulmine si è abbattuto su un ciclista, uccidendolo  sul colpo. A Essen un uomo che lavorava per ripulire una strada è stato ucciso dalla caduta di una pianta.

Ma la tempesta di ieri sera, ampiamente prevista dai servizi meteorologici, ha causato anche il caos nei trasporti ferroviari e stradali dell'intera regione, con ripercussioni che si faranno sentire per tutta la giornata di oggi. Diversi ritardi all'aeroporto di Duesseldorf.’

Bill era nel pieno traffico, di ritorno dalla palestra, quando quella tempesta aveva cominciato ad abbattersi sulla città. Era così forte che, le strade, si allagarono nel giro di pochi minuti, causando innumerevoli disagi; per non parlare del vento che, soffiando forte, causava lo sbandamento della stessa auto del ragazzo. Sembrava stesse su una barca, tanto ondeggiava.

Ogni trasmissione radio, raccontava in diretta i disastri che, quella tempesta – la peggiore negli ultimi dieci anni, come l’avevano classificata i meteorologi tedeschi – stava causando.

Era intrappolato nella propria auto da ormai due ore abbondanti. Non aveva avuto ancora modo di parlare con i suoi genitori, in quanto le linee telefoniche, erano praticamente decedute e, tanto meno, non aveva alcuna intenzione di uscire dall’auto.

Dovunque volgesse lo sguardo, vedeva persone che tentavano di ripararsi, entrando nei negozi o, addirittura, chiedendo di poter entrare in qualche automobile; persino una giovane ragazza, chiese aiuto a Bill, chiedendogli se potesse entrare, assieme a suo figlio che teneva in braccio. Era un neonato. Lui non aveva esitato nemmeno per un secondo.

Quando entrò, era completamente fradicia, anche suo figlio lo era. Faceva freddo e, con i vestiti completamente bagnati, si sarebbe sicuramente ammalati, se non peggio.

‹‹La prego, cerchi di far riscaldare il mio bambino..›› lo teneva in braccio. Tremava come una foglia. Lo porse a Bill che, istintivamente, tese le braccia in avanti per poter afferrare il neonato. ‹‹Faccia qualcosa, la prego.›› urlò disperata la ragazza. Bill cercò di mantenere la calma ma, quando ebbe il bambino tra le braccia, capì subito il motivo della disperazione di quella povera ragazza. Quel bambino, era ormai morto.

Era freddo come un pezzo di marmo, e bianco, tendente al violaceo. A quel punto, Bill non riuscì più a mantenere la calma. Cominciò a tremare, a respirare pesantemente.

‹‹S-suo figlio è.. è morto.››

‹‹No. Non è vero. Non è morto. Lo riscaldi. Lo riscaldi. Si riprenderà. La prego.›› la ragazza cominciò ad agitarsi nell’auto, battendo ripetutamente le mani sul cruscotto.

‹‹Si calmi, la prego, si calmi.›› disse Bill, tenendo ancora in braccia il piccolo corpicino privo di vita del bambino.

‹‹Mio figlio. Protegga mio figlio. Lo riscaldi, la prego.››

Bill non sapeva più cosa fare. Era il caos più totale. La pioggia continuava a cadere violenta su di loro. Il parabrezza, pareva dovesse rompersi da un momento all’altro.

‹‹Non voglio morire.›› si ritrovò poi a pensare; ma si rese conto d’averlo detto ad alta voce, quando la ragazza gli rivolse lo sguardo.

‹‹Io non ho più nessuno, ormai. Non mi resta nulla.›› e senza aggiungere altro, la ragazza afferrò delicatamente il corpicino del bambino e, una volta ringraziato Bill, uscì dall’auto, sparendo immediatamente sotto la pioggia.

Non la rivide mai più.

*

La nave, seppure fosse ancora attraccata al molo, oscillava in maniera alquanto brusca e pericolosa.

‹‹Tom, i miei genitori; mia sorella. Devo trovarli.››

Bill provò a distaccarsi dalla presa ferrea di Tom – seppure avesse una gran paura – ma, l’idea di perdere i propri genitori, lo faceva diventare matto.

‹‹Tu non vai da nessuna parte. Restiamo qui. Anche io non so dove siano i miei amici ma, son certo che né loro, né la tua famiglia, siano tanto stupidi da non mettersi al riparo. Sono più al sicuro loro di noi.››

*

‹‹Mio Dio, mamma. Ho così tanta paura. Ho paura per Bill. Guarda come oscilla la nave. Guarda!›› urlò Heidi, mentre si stringeva più forte che poteva a Simone. Avevano trovato rifugio in un negozietto di Katakolon.

‹‹Anch’io sono in pensiero per lui, amore. Son certo che starà al sicuro.››

‹‹Lui ha così tanta paura della tempesta, dopo quella volta.››

Simone accarezzò dolcemente il capo della figlia, dimodoché potesse sentirsi protetta, al sicuro.

‹‹Andrà tutto bene, amore. Presto saliremo.››

Heidi rivolve nuovamente lo sguardo verso la nave. Le faceva terrore. Lo stomaco cominciò a contorcersi per via della paura. Cosa avrebbe fatto se fosse successo qualcosa a suo fratello? Avrebbe preferito morire, piuttosto  che non averlo più con sé.

Nonostante i continui litigi e battibecchi che avevano, nessuno dei due, poteva vivere senza l’altro. Erano migliori amici, prima che fratello e sorella.

Ti prego, Dio. Fa che sia con Tom.

*

Tom lo trattenne forte a sé come se, il suo unico scopo nella vita, fosse quello di proteggerlo. La nave continuava ad oscillare e, di conseguenza, ogni cosa che non fosse saldata al pavimento, veniva portava via a causa del vento.

‹‹Ci sono io  con te, Bill. Non devi avere paura.›› lo strinse al petto, e lui, inspirò a pieni polmoni il suo dolce profumo. Nonostante odorasse anche di varichina a causa della permanenza in piscina, l’odore della sua pelle, era inconfondibile. Era l’odore di Tom.

‹‹Non lasciami solo. Non lasciarmi e basta.››

Il vento continuava ad ululare e a spazzare via ogni cosa. Pareva di essere in un film horror di Dario Argento.

No, Bill. Io non ti lascerò mai.

*

Due lunghissime ore, trascorsero prima della fine della tempesta. Il ponte era del tutto impraticabile.

Bill e Tom erano rimasti tutto il tempo abbracciati, cercando di trovare riparo. Passarono un’ora sotto la tempesta, per evitare di essere travolti dalla gente, ormai entrata nel panico ma, alla fine, riuscirono anche loro a mettersi al riparo, all’interno.

‹‹Tom, ho bisogno di sapere come stanno i miei genitori. Torniamo al nostro piano, così potrai trovare anche tu i tuoi amici.›› Tom non disse nulla. Annuì e basta. Carezzò dolcemente la guancia di Bill e gli diede un bacio; lui, invece, gli strinse forte la mano.

‹‹Grazie, Tom. Grazie per non avermi abbandonato.››

Gli occhi si riempirono di lacrime. Portò la mano del rasta vicino la sua bocca. Inizialmente ci respirò delicatamente vicino, poi la baciò più e più volte. Continuò a non aggiungere nulla.

Cosa gli stava succedendo? Perché quel ragazzo appena conosciuto, gli faceva un effetto così strano? Perché quando stava accanto a lui, si sentiva felice? Perché quando si trovava con lui, gli batteva forte il cuore? Cosa significava tutto questo? Non poteva mica innamorarsi di un ragazzo che aveva appena conosciuta e, per giunta, europeo. O forse sì? Non era forse il suo più grande difetto quello? Legarsi troppo in fretta alle persone? Questa volta però, non poteva fare errori. Quel ragazzo, dopo la fine della vacanza, non l’avrebbe mai più rivisto. Non poteva innamorarsi di lui. Eppure…

No, Tom. Non deve esistere nessun eppure. È no. Punto e basta.

‹‹Sei una persona indifesa, Bill. Sembri un tipo tosto…›› disse scherzando, cercando di sdrammatizzare quella cupa aria che si era creata. Bill riuscì a sorridere, seppure debolmente. ‹‹Infondo però, hai bisogno solo di essere protetto… e lo farò.››

Okay Tom. Ti sei fottuto con le tue stesse mani. 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


- Capitolo 14 -

 

Aveva avuto così tanta paura di perderlo. Di non vederlo mai più. Proprio come la volta precedente. Non appena lo vide varcare la soglia della sua cabina, scortato da Tom, si lanciò fra le sue braccia, scoppiando in un pianto liberatorio. Lo abbracciò come non l’aveva mai fatto prima di all’ora. Suo fratello, era esattamente il suo universo, il suo mondo intero. Non l’aveva mai lasciata sola, nemmeno per un secondo, specialmente quando, il loro padre biologico, tornava a casa ubriaco marcio.

Quante volte si era messo in mezzo per proteggerla? Quante volte si prendeva i calci nelle coste pur di difenderla? Quante volte l’aveva aiutata quando era in difficoltà? Sempre.

Bill non era un semplice fratello, per lei. Sebbene si passassero pochi anni, era sempre stato un padre, non un fratello maggiore.

La sua vita, senza Bill, sarebbe finita.

‹‹Ho temuto di perderti, Bill. Vedevo la nave oscillare in quella maniera e… credevo di non vederti mai più.››

Bill le accarezzò la testa, cercando di tranquillizzarla. Le baciava la fronte, e le sussurrava che ora, era di nuovo con lei.

‹‹Sapevo si trovasse assieme a te, Tom. Lo sapevo.›› Heidi volse lo sguardo verso il ragazzo con i capelli strani e, nei suoi occhi, brillò una luce di gratitudine. Anche Simone e Gordon, ringraziarono il ragazzo per non aver lasciato solo il proprio figlio.

‹‹Per avere quei capelli così bizzarri, sei davvero l’angelo custode di mio figlio.›› scherzò Gordon per smorzare quell’aria cupa che si stava respirando e, con enorme successo, riuscì a strappare qualche buffa risata da parte di tutti, persino da Bill.

‹‹Non ho fatto nulla, signore. Eravamo insieme e, d’un tratto, si è scatenata questa diamine di tempesta. Non potevo lasciarlo da solo.››

Hai omesso di dire ‘volevo’, Tom. Tu non volevi lasciarlo da solo, che è ben diverso da non potere.

Gordon si avvicinò al ragazzo e, con segno di gratitudine, gli dette un’amichevole pacca sulla spalla.

‹‹Questa sera sei invitato a cenare al nostro tavolo. Son sicuro che, gli Abdul, staranno già provvedendo a sistemare il tutto. Non ci sono stati grossi disagi all’interno della nave, quanto fuori al ponte. Pare che quella sia stata la zona più colpita. Mi auguro di riuscire a cenare.››

Un’altra fragorosa risata uscì dalle bocche di tutti. Gordon sapeva davvero come rendere piacevole momenti bui e tristi come quello.

Tom inizialmente fu titubante. Era davvero imbarazzato all’idea ma, non appena volse lo sguardo verso Bill notando i suoi occhi da… come li aveva soprannominati? Ah sì, da cucciolo bastonato, si sciolse in un brodo di giuggiole.

No. Questo non gliel’avrebbe mai detto.

‹‹D’accordo signore. Sarò molto lieto di unirmi a voi, questa sera. Ora, se non vi dispiace, dovrei vedere se i miei amici stanno tutti bene. Sono un po’ preoccupato per loro.››

‹‹I tre americani che sono con te?››

Tom annuì.

‹‹Non preoccuparti. Li ho visti entrare una decina di minuti fa, prima che arrivaste voi.››

Disse Heidi, tranquillizzando Tom. Lui la ringraziò sorridendo.

‹‹Allora ci vediamo questa sera, vero Tom?››

‹‹Sì, Bill. A stasera.›› avrebbe tanto voluto baciarlo sulle labbra ma, onde evitare scene alquanto imbarazzanti, si limitò a fargli una dolce e tenera carezza sulla guancia.

Bill, piuttosto imbarazzato, chinò il capo e guardò in direzione delle proprie scarpe. Avrebbe scommesso le sue palle che una volta chiusa la porta, i suoi genitori, avrebbero cominciato con le battutine. Infatti…

‹‹Ma di dov’è questo bel giovane?›› disse Simone, dando una gomitata complice al figlio.

‹‹Evita di fare l’adolescente ficcanaso, mamma.››

‹‹Ma io sono tanto curiosa.›› aggiunse poi, supplicando il figlio di accennarle qualche pettegolezzo. Bill, ovviamente, non proferì parola. Era piuttosto riservato su queste cose. L’unica con cui parlava e di cui si poteva fidare ciecamente, era solo e soltanto Heidi.

‹‹Sei solo una pettegola.››

*

Ovviamente, a causa della tempesta, non fu assolutamente permesso di uscire dalla propria cabina. Tutto l’equipaggio, dovette sistemare per far sì che, quel viaggio, continuasse ad essere indimenticabile e perfettamente piacevole. Difatti, dopo tre lunghe ore trascorse all’interno delle cabine, girandosi i pollici, una voce metallica e gracchiante, uscì dagli altoparlanti:

Si informano i signori naviganti che, da questo momento in poi, è possibile uscire dalle proprie cabine in quanto, il nostro equipaggio, si è immediatamente occupato dei piccoli problemi che, questa improvvisa tempesta ci ha procurato. Ci scusiamo per il disagio dovuto e, a nome di tutto l’equipaggio, vi auguriamo un bellissimo proseguimento di vacanza.

Ripeté lo stesso messaggio in altre cinque lingue.

‹‹Vado da Tom per vedere se Andreas, Gustav e...›› non voleva pronunciare quel nome. Non ci riusciva. Era più forte di lui. Non si sarebbe mai e poi abituato al fatto che Tom, avesse un amico con lo stesso nome del proprio ex fidanzato.

‹‹E cosa, Bill?›› disse Gordon, mentre si accingeva a scegliere i propri abiti per quella stessa sera. Era la serata italiana e, tutti i crocieristi, avrebbero dovuto indossare dei capi bianchi, verdi e rossi. Abbinamento di pessimo gusto. Pensò Bill fra sé e sé.

‹‹…e poi torno qui a prepararmi. Ah, e per la cronaca…›› disse prima di chiudere la porta dietro di sé. ‹‹Non indosserò mai e poi mai quei tre colori assieme. Posso indossare solo il bianco e, se proprio vogliamo esagerare, posso mettere due pochette di colore verde e rosso. Non di più.››

Heidi e i suoi genitori, scoppiarono a ridere all’unisono. Bill era troppo attento alla moda e all’abbinamento dei colori.

‹‹Così sembrerai un gelataio.›› disse poi Heidi, continuando a ridere. Bill la fulminò con gli occhi.

‹‹Ho la camicia nera sotto la giacca, idiota di una sorella. Pensa a te, piuttosto.›› detto questo, sistemò i vestiti sul letto ed andò nella camera di Tom.

*

Bussò tre volte, prima di fare un passo indietro e di attendere che la porta si aprisse. Si sentì prima un tonfo, poi delle risate ed infine, la porta si aprì. Fu Tom ad aprila.

Era praticamente nudo. Portava solo l’asciugamani in vita – che tra l’altro, reggeva con la mano destra – e uno in testa, che avvolgeva la sua testa coperta di dreadlocks. In una posizione piuttosto buffa: era piegato sulle ginocchia, leggermente in avanti con il busto, con un’espressione esausta e, allo stesso tempo, divertita.

Dietro di lui, vide i suoi tre amici piegati in due dalle risate. Gustav (doveva essere quello grosso, se non ricordava male) era sul letto, che si contorceva su se stesso; Andreas (quello magro e alto) era per terra che schiaffeggiava la moquette; quell’altro invece (No. Quello non aveva un nome, per Bill), era sulla poltrona, con le ginocchia al petto, che cercava di non strozzarsi con le noccioline che, presumibilmente, aveva preso dal frigo bar.

‹‹Ehi Bill!››

A quella visuale, Bill ingoiò la saliva. Quasi non si affogava. Sgranò gli occhi e fece parecchi passi indietro.

‹‹T-Tom-ma-cosa sta-succedendo lì dentro?›› fece leggermente capolino nella sua cabina, per cercare di capire il motivo per il quale stessero ridendo così tanto, e perché Tom fosse uscito in quel modo, ancora bagnato.

‹‹Nulla. Sono semplicemente uscito dalla doccia.››

Disse mettendosi in piedi, mantenendosi al meglio il mini asciugamani che gli copriva – in parte – il suo amichetto.

Bill cominciò ad agitarsi. Non l’aveva ancora visto nudo. Ancora.

‹‹Diciamo che, pur di aprire tu, mentre uscivi sei scivolato.›› disse ridendo Gustav. Tom lo fulminò con gli occhi. Bill, immaginandosi la scena, tentò di trattenere le risate ma, puntualmente, non ci riuscì. Scoppiò a ridergli in faccia, divertito.

‹‹BASTARDO!!!!››

Senza riuscire a realizzare cosa stesse accadendo, Bill si ritrovò catapultato in terra, con Tom sopra di sé. (Sì, aveva ancora l’asciugamani in vita che gli copriva la virilità).

‹‹Non ti azzardare a ridere di me, signorino.›› con la mano libera, cercava di trattenere Bill per terra. Era leggermente più robusto di lui, quindi non gli ci volle poi così tanta forza per farlo. Ma forse, era anche Bill che voleva restare in quella posizione.

Da quanto non faceva l’amore con qualcuno? Smettila di pensare queste cose, Bill. Non è il momento. Eppure Tom era così maledettamente virile e… e cos’altro? Se non ci avesse provato con lui, quella volta, di sicuro l’avrebbe spacciato per etero; non di certo per bisex o addirittura gay. Tutto si poteva immaginare, fatta eccezione che quel pezzo di gnocco, fosse gay. Si reputava una persona fortunata, quindi.

Bill resterò immobilizzato, con lo sguardo perso in quello del rasta. Non sapeva dove mettere gli occhi; c’era tanto di quel ben di Dio davanti a sé. Il petto scolpito, le spalle possenti, l’addome tonico e visibile, la clavicola pronunciata, il vedononvedo dell’asciugamani. Insomma, gridava da tutti i pori: SESSO.

I tre amici di Tom, vedendo che la situazione cominciava a farsi piuttosto imbarazzante, cominciarono a guardarsi attorno e, all’unisono, dissero che si sarebbero andati a fare un giro, a caccia di ‘pollastrelle’.

Tom non si accorse nemmeno che la porta si aprì e si chiuse subito dopo, tanto era preso da Bill. Si era perso nei suoi occhi, così profondi ed espressivi. Non gli ci volle molto per capirlo. Gli fece una completa scansione. Era così cristallina come persona. Era un libro aperto, per lui.

Senza fiatare cominciò ad accarezzargli delicatamente la guancia, con il dorso della mano, sfiorandogli la pelle, come se fosse porcellana. Bill, a quel tocco così soffice, quasi impercettibile, socchiuse gli occhi ed esalò un sospiro.

‹‹Posso leggere qualsiasi cosa attraverso i tuoi occhi, Bill.›› cominciò poi, continuando ad accarezzarlo.

‹‹E cosa ti dicono i miei occhi.›› continuava a tenerli chiusi e, quando li andò per riaprire, ritrovò il volto di Tom ad un palmo dal suo. Gli guardò le labbra, poi gli occhi, poi ancora le labbra.

‹‹Che hai sofferto parecchio, che hai bisogno di qualcuno perché hai paura di rimanere solo, che hai paura di innamorarti di nuovo, per non soffrire.›› fece un lieve sorriso, capendo dall’espressione di Bill, che aveva c’entrato in pieno l’obiettivo.

‹‹Dico il vero, giusto?››

‹‹Sì.››

‹‹Rispondi a questa domanda, Bill…›› cominciò poi Tom, soffiandogli leggermente sulle labbra. ‹‹Se fossi tedesco, o tu americano, potresti innamorarti di una persona come me?››

Bill deglutì a fatica. Gli si formò un nodo alla gola che non riusciva a mandare giù. Era una domanda a trabocchetto forse? Cosa voleva sapere con esattezza, Tom?

‹‹Non capisco cosa intendi.›› disse facendo finta di non aver capito; ma Tom riuscì a comprendere anche questo.

‹‹Non fare il finto tonto con me, Bill. La domanda è ben chiara. E tu l’hai capita eccome. Hai solo paura di rispondere. Ma ti assicuro, che non c’è nulla di cui avere paura.››

Questo aspetto di Tom cominciava a seccargli (nel senso buono ovviamente). Non poteva avere segreti con lui. Come aveva fatto a capirlo in così poco tempo? Nessuno ci era mai riuscito per davvero. Nemmeno Georg. Fu costretto a rispondere. Non aveva altra scelta.

‹‹Se tu fossi tedesco…›› la voce gli tremava. ‹‹…forse potrei innamorarmi di te.››

‹‹E se non lo fossi? Se venissi a vivere in Germania, oppure tu a vivere in America? Secondo te potrebbe funzionare la cosa? Ovviamente sto generalizzando.››

No, Bill. Non sta generalizzando. Ti sta facendo una domanda a brucia pelo, formulata in maniera diversa. Il nesso è sempre quello: ti innamoreresti di me anche se vivessimo in continenti differenti?

‹‹Non…non saprei risponderti, a dir il vero.›› mentì Bill; più a sé stesso, che a Tom. La risposta era tutt’altra. Sapeva benissimo che si sarebbe innamorato di lui, se avessero continuato a vedersi. Ma come poteva funzionare fra loro? Un europeo e un americano perdutamente innamorati ma divisi dall’Oceano Atlantico. No. Non era affatto una bella favola. Almeno, non sembrava affatto così.

Girò il volto dall’altra parte, per non permettere a Tom di guardarlo mentre gli occhi si facevano sempre più lucidi. Mancavano appena tre giorni e, quella bellissima storia, sarebbe cessata di esistere. Bill ne era più che convinto. Una volta sbarcati, sarebbe tornato alla sua solita vita: lavoro-casa-palestra, palestra-casa-lavoro.

Sul suo volto, Tom riuscì a percepire della malinconia e della tristezza. Si fece improvvisamente cupo.

‹‹Ehi piccolo, mi dispiace. Non volevo ferirti.›› quasi in maniera impercettibile, Tom accarezzo con il dorso della sua mano, il viso del ragazzo sotto di sé; ma questi si scansò. ‹‹Cosa c’è che non va?›› si alzò, sempre tenendosi in  vita l’asciugamani che, ben presto, fu sostituita da un paio di pantaloni di tuta; era un abbigliamento più consono.

Bill, dal canto suo, restò ancora disteso per terra, a fissare il soffitto basso. Aveva le mani in grembo e le gambe leggermente divaricate. Ogni tanto sospirava, chiudendo gli occhi e, lentamente, delle lacrime amare gli rigarono il viso.

Tom si morse il labbro inferiore, in prossimità dei due labret che aveva. Forse non doveva dire quelle cose? Aveva toccato un tasto dolente?

‹‹Non c’è nulla che non va, Tom. È solo che…›› fece una pausa, sospirando tristemente. ‹‹Tra qualche giorno sarà tutto finito. Ti dimenticherai di me, ed io di te. Di noi resterà solo un bel ricordo su questa nave. Nient’altro.›› si mise seduto sulla moquette, con le gambe al petto e il volto sprofondato fra le ginocchia. Tom notò che cominciò a piangere.

Si passò entrambe le mani sul volto, cercando di non fare anche lui la stessa cosa. Possibile che si fossero già legati così tanto? Come se si fossero sempre conosciuti? Come se…se fossero stati sempre insieme?

Lentamente si avvicinò a lui, piegandosi su di un ginocchio e poggiando una mano sulla spalla di Bill per poterlo consolare; anche se c’era ben poco da consolare.

‹‹Non voglio pensare a quello che accadrà fra qualche giorno. Voglio solo godermi a pieno il tempo che ci resta. Dio vedrà in seguito, quello che accadrà una volta scesi dalla nave. Mai dire mai nella vita, Bill.››

‹‹No, Tom. Tu non capisci. Tu studi a New York. Io vendo automobili presso una concessionaria di Berlino. Abbiamo due vite ben distinte. Uno a un capo, uno ad un altro. Ti ho già detto come andrà a finire fra noi.››

Si strinse ancora di più fra le spalle e, senza volerlo, cominciò a piangere più forte.

‹‹Ehi…›› cominciò Tom, prendendolo da entrambe le spalle dimodoché si mettesse dritto. ‹‹Hai detto che vuoi lasciare un bel ricordo di noi, su questa nave. Per ora c’è solo il brutto ricordo di quella improvvisa tempesta e tu che frigni come un poppante.›› sorrise Tom, nella speranza che Bill lo seguisse a ruota. Difatti, fu così. Sul viso umido del ragazzo biondo, si accese un lieve sorriso che, ben presto, scomparve nuovamente nel nulla. Era davvero triste, in quel momento. Il pensiero di non rivedere mai più Tom, lo faceva star male. Gli provocava un dolore al petto talmente forte, quasi da stimolare l’urto del vomito.

‹‹Smettila di piangere come un bambino e abbracciami.›› e, senza preavviso, Tom lo avvolse con prepotenza fra le sue braccia, facendo sprofondare il proprio volto, nell’incavo della spalla del biondo.

Bill, dal canto suo, respirò a pieni polmoni il suo profumo. Non se lo sarebbe mai e poi mai dimenticato, così facendo. Gli sarebbe rimasto impresso per tutta la vita.

‹‹Voglio dirti una cosa, Bill…›› aggiunse poi, senza staccarsi da quella posizione. ‹‹Non sarà l’oceano a separarmi da te. Tornerò a prenderti.››

Si allontanò leggermente, così da poter guardare Bill negli occhi. Lui poté notare che, anche sul viso di Tom, erano accennate delle lacrime  che, probabilmente, impediva di far fuoriuscire.

Si baciarono così tanto e così intensamente, quasi da dimenticarsi di tutto e di tutti; quasi da perdere la cognizione del tempo. Restarono a terra a lungo. Non c’era nessun rumore, nessun fastidio, solo loro due e il leggero scrosciare delle onde che battevano sulle pareti in metallo della nave; il leggero ondeggiare di essa, li trasportava ancora di più nel loro piccolo mondo; quel mondo che permetteva loro di restare assieme per sempre. Entrambi però, erano a conoscenza che non sarebbe stato così. Almeno, così credevano andasse a finire.

‹‹Voglio fare l’amore con te, Bill.››

Tom si staccò improvvisamente da quel bacio e Bill, resterò completamente paralizzato dalla proposta.

‹‹C-cosa?››

‹‹Non voglio costringerti a fare nulla, Bill. Ti ho solo detto ciò che sento di fare e ciò che voglio fare.››

Bill deglutì a fatica.

‹‹Ehm…io…io non lo so se mi sembra il caso di farlo…non che io non voglia ma…insomma…››

‹‹Sch!›› lo zittì Tom, posandogli delicatamente il dito indice sulle labbra. Bill socchiuse gli occhi.

Dannazione! Il suo tocco è fottutamente paradisiaco.

‹‹Non c’è bisogno di cercare scusanti, Bill. Ho solo espresso un mio parere. Ho detto che voglio fare l’amore, non che pretendo di fare sesso.›› disse sorridendo, notando l’imbarazzo di Bill che, alla meno peggio, cercava di camuffare.

‹‹C-certo, Tom. Lo so. È solo che è tardi e…io devo tornare in cabina per prepararmi. Non ho ancora scelto gli abiti che dovrò indossare per la serata italiana…›› mentì poi. In quel momento voleva solo tornare in cabina. L’imbarazzo era troppo.

‹‹Ci vediamo questa sera a cena. Okay, piccolo?›› Passò il pollice sulle labbra e, d’istinto, Bill glielo baciò.

‹‹Sì. A dopo, Tom.››

Senza troppi giri di parole, si alzò da terra e si diresse verso la porta della cabina del ragazzo. Prima di andarsene, si girò un’ultima volta verso di lui. Gli mandò un bacio ed uscì.

*

‹‹TU SEI UN EMERITISSIMO COGLIONE, fratello mio. Sei un povero sciocco. Ma come hai potuto dirgli una cosa del genere? Come hai potuto rifiutare uno gnocco come quello lì?››

Bill avrebbe scommesso la sua vita; sapeva benissimo che Heidi gli avesse dato una risposta del genere. Lei era fatta così. Non si faceva scappare nessuna occasione buona.

‹‹Non lo so Heidi, non mi sembrava il momento più adatto. E poi era tardi.››

‹‹Ma chi se ne sbatte, che è tardi.››

‹‹Sta di fatto che avrei potuto fare ritardo alla cena.››

‹‹Sta di fatto che non ti sei scopato quel gran pezzo di figo, Wilhelm.››

Odiava quando Heidi lo chiamava con il suo nome intero. Lei lo sapeva benissimo. Lo usava specialmente per farlo innervosire, o per puntualizzare un qualcosa di sbagliato che aveva fatto. Un po’ come la madre Simone.

‹‹Non mi va di parlarne, ora. E mi raccomando, non fare battute idiote quando siamo a cena o ti giuro che mi prendo la tua vita.››

Heidi scoppiò a ridere. Bill non era nemmeno lontanamente minaccioso. Non lo era praticamente mai.

‹‹Certo. Sta tranquillo…›› disse lei afferrando la pochette con i trucchi. ‹‹Ah, a proposito…›› prese il rossetto rosso e, con il pennello, cominciò a disegnare il contorno labbra. ‹‹Ho conosciuto un ragazzo americano che ha lo stesso nome di quel pezzo di merda del tue ex fidanzato. Era insieme ad altri due ragazzi. Credo siano gli amici di Tom.››

Bene. Ci mancava solo questa.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


- Capitolo 15 -

Bill sistemò le due pochette di colore verde e rosso ed aggiustò la giacca bianca, facendola cadere morbida sui suoi fianchi magri. Aveva indossato un jeans, alla fine, e non più il completo bianco; sarebbe sembrato davvero un gelataio altrimenti, se l’avesse fatto. Il dolcevita nero, era perfettamente abbinato a tutto il resto. Avrebbe fatto la sua bella figura come sempre.

‹‹Se continuerai a specchiarti in questo modo, rischierai di rompere lo specchio signorino Kaulitz.›› lo canzonò sua sorella Heidi che, stranamente, aveva terminato di prepararsi già da diversi minuti. I loro genitori erano scesi al quinto piano, dieci minuti prima.

‹‹Non rompere il cazzo, Heidi. Se hai fretta di uscire, va pure.›› Rispose lui acidamente – come sempre, del resto – Heidi, in risposta, gli fece una smorfia ed il verso, atteggiandosi a diva hollywoodiana come faceva suo fratello.

‹‹Ma perché devi renderti sempre così fastidiosa?››

‹‹Io non sono fastidiosa. Ti sto solo invitando a velocizzare il tuo bioritmo maledettamente lento. Se non vuoi passare qui il resto della tua serata, ovviamente.››

Si infilò i tacchi neri, abbinati ad un bellissimo vestito rosso, stretto a tubino e una giacca bianca con i bordini verdi. Portava i capelli raccolti in una treccia a spiga di grano, alta, che metteva in risalto i suoi luminosi capelli biondi.

‹‹So che sei agitato per Tom. Ma devi pur sempre uscire dal guscio che ti sei creato, Bill. Non puoi avere paura di chiunque ti si avvicini.›› comprensiva, Heidi si avvicinò al fratello, mettendogli una mano sulla spalla, intuendo al volo che ci fosse qualcosa che non andasse.

Bill restò a fissare la sua immagine riflessa nello specchio. Si aggiustò per la ventesima volta la giacca.

‹‹So benissimo che soffrirò come un cane, quando lo saluterò, fra qualche giorno. Sono sicuro che non lo rivedrò mai più, Heidi. Vorrei tanto prendere le distanze, cercare di essere il meno coinvolto possibile, ma purtroppo non riesco. È entrato di forza nella mia vita e adesso pretende di restarci. Non posso farci nulla, Heidi. Ho paura…››

C’era malinconia e tristezza, nella sua voce. Heidi lo intuì subito.

‹‹Di cosa hai paura, Bill? Cos’è che ti spaventa così tanto?››

‹‹Vuoi proprio saperlo?››

Si voltò verso la sorella, guardandola negli occhi. I suoi erano pieni di lacrime e di amarezza. Li chiuse leggermente, dimodoché le lacrime avessero il via libera per poter uscire.

‹‹Certo che voglio saperlo. Dimmi.››

Bill sospirò; ma lo fece come se un macigno fosse posizionato sopra il suo petto, impedendogli di respirare.

‹‹Ho paura che possa innamorarmi un’altra volta. In così poco tempo.››

*

‹‹Io aspetto che esca Tom. Non credo sappia dove sia il nostro tavolo.›› disse Bill rivolgendosi a sua sorella, andando nella direzione opposta. Heidi fece un cenno con la mano, senza voltarsi e sparì nel lunghissimo corridoio. Era una scusa bella e buona: ‘non sa dove sia il nostro tavolo’. Ad Heidi venne quasi voglia di ridere; ma ormai stava diventando una routine.

Bill era fuori la porta, in piedi ed immobile come uno stoccafisso. Era maledettamente in ansia – okay, ormai era un’emozione che lo tormentava fin troppo, da quando aveva conosciuto Tom. – batteva il piede per terra con nervosismo e schioccava tutte le dita di entrambe le mani. Se avesse continuato in quel modo, di sicuro sarebbe arrivato a mangiarsele persino.

Dai Tom. E che cazzo. Muoviti.

Pensò tra sé e sé. Avrebbe potuto benissimo bussare ma, a causa di forze maggiori, non lo fece. Eppure cosa gli costava farlo?

E se mi si presenta di nuovo seminudo? Potrei anche saltargli addosso e divorarmelo fino alle ossa. No Bill. Tu moriresti stecchito.

Era ancora indeciso sul da farsi e, proprio quando stava per picchiettare sulla porta, sentì lo scatto della sicura e, qualche istante dopo, la porta si aprì – con una certa fatica – dall’interno.

Bill indietreggiò leggermente, facendo sobbalzare Tom.

‹‹Porca puttana, Bill! Mi fai prendere dei colpi al cuore se ti piazzi ogni volta così dietro la mia cabina.››

Il biondo sorrise imbarazzato. Certo che fare figuracce con Tom, gli veniva piuttosto bene e, soprattutto, facile.

‹‹Ti chiedo scusa. Io.. io non sapevo se bussarti o meno.. ancora disturbavo e.. non so.. piglia eri con qualcuno.. magari.. cioè.. io...››

‹‹Ehi!›› lo bloccò Tom, parandosi davanti a lui e prendendolo con entrambe le mani da viso. ‹‹Chiudi il becco. Tu non disturbi. Né ora, né mai.›› e, senza lasciargli rispondere, lo baciò forte e in maniera alquanto canora. Si sentì un forte schiocco delle labbra, quando si distaccarono. Bill sorrise impacciatamente.

‹‹Quando imparerai a non avere più vergogna di me?››

Abbassò il capo, rosso in viso e ancora più imbarazzato di prima. Prese il colore della pochette che aveva nel taschino della giacca. Tom notò il suo disagio e decise di sviare il discorso.

‹‹Sei bellissimo vestito in questa maniera, sai?››

Pessima mossa, Tom. Così lo mandi in iperventilazione. Tu saresti in grado di fargli una respirazione bocca a bocca senza violentarlo? No. Forse no.

‹‹Anche tu, Tom. Ma non hai nulla né di rosso, né di verde!››

‹‹Odio entrambi i colori.››

‹‹Sì ho notato.››

‹‹Non voglio andare a teatro. Mi scoccia terribilmente.››

‹‹A dir il vero anche a me.››

Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché Tom, deciso e schietto cambiò nuovamente discorso. Era un mago, in questo.

‹‹Non abbiamo lasciato qualcosa in sospeso noi due?››

Questa volta Bill non rispose. Sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo. Sbaglio era scappato come un bambino, prima? Manco fosse la sua prima volta.

Okay, Tom. Questa è davvero una PESSIMA mossa.

Bill si guardò intorno, nella speranza che qualcosa o qualcuno, potesse interrompere quell’interminabile silenzio imbarazzante. Cosa diamine poteva rispondere ad una domanda del genere? Cosa avrebbe dovuto dirgli?

Ma perché capitano tutte a me.

‹‹Ehm…cosa avremmo lasciato in sospeso?››

Disse cercando di far finta di niente; ma cominciò a sudare freddo.

Tom non rispose, chinò il capo da un lato e sorrise imbarazzato. Si studiò per una manciata di secondi le punte delle scarpe, dopodiché volse lo sguardo verso il biondo. I loro occhi si incrociarono, cominciarono a cercarsi, a rincorrersi. Era come se si fossero sempre conosciuti.

Il cuore di Bill cominciò a battere all’impazzata. Provò a portarsi una mano sul petto, nella speranza che non fuoriuscisse dalle costole.

‹‹Sai a cosa mi riferisco, Bill. Sei scappato come un bambino prima.›› Tom si avvicinò pian piano, guardandosi attorno per vedere se qualche occhio indiscreto li stesse osservando. Non c’era nessuno.

Bill si trovò con le spalle al muro. Cosa poteva dirgli adesso che lo aveva smascherato? Avvicinò l’indice e il medio al colletto della maglia, allargandolo leggermente.

Fa improvvisamente caldo, o mi sbaglio?

‹‹Tu non devi avere paura di me. Né tanto meno devi pensare che voglia farti qualcosa di male. Mi piaci davvero, Bill. E voglio godermi questi ultimi giorni assieme a te. Voglio che passiamo un po’ di tempo da soli. Temevo che la tempesta distruggesse tutto questo e, il nostro addio, sarebbe stato ancora più brutto e difficile di quanto già non lo sarà.›› gli afferrò entrambe le mani. ‹‹Ascolta bene le mie parole, Bill…›› la voce cominciò a tremargli un po’. Stava forse per piangere? No. Non l’avrebbe mai fatto. ‹‹Io non voglio dirti addio. Non sarà l’oceano a separarmi da te. Tornerò a prenderti, un giorno. Te lo prometto.››

A quel punto Bill, non riuscì più a trattenersi. Avvolse il collo del moro con le braccia e lo baciò così intensamente, da dimenticarsi di tutto ciò che lo circondava. Non era più sulla nave da crociera, ma su una nuvola; non era più sul mare, ma su in cielo. La sensazione che gli scaturiva il bacio di Tom, era una delle più belle emozioni che avesse mai provato in tutta la vita. Si sentiva tremendamente felice. Era in pace con se stesso e il suo cuore era pieno di amore e di gioia. Non l’avrebbe lasciato andare via. Non glielo avrebbe mai permesso.

‹‹Tu mi hai fuso il cervello, maledetto.››

Disse Bill, cercando di smorzare quell’aria triste. Ci riuscì benissimo. Tom si mise a ridere e Bill, per quanto giù di morale potesse essere in quel momento, riuscì a sorridere anche lui.

‹‹Non sono io che ti ho fuso il cervello, Bill. Sei tu che mi hai reso uno sdolcinato del cazzo.›› Lo abbracciò ancora più forte, per quanto possibile potesse essere.

‹‹Secondo te sarebbe meglio andare a cena?›› a malincuore, Bill si allontanò dal suo caldo abbraccio; gli bastò uno sguardo per capire che la risposta era espressamente un ‘no’.

‹‹Vieni con me, Bill.›› Lo prese per mano e lo condusse nella sua camera. ‹‹Ti fidi di me?››

Ebbe un tuffo al cuore. L’ultima volta che gli avevano detto così, era stato tradito.

*

‘Ti fidi di me, amore?’

‘Sì. Mi fido di te, Georg.’

‘Allora prendimi per mano e chiudi gli occhi. Non li aprire per nessuna ragione al mondo.’

‘No. Non lo farò.’

‘Non sbirciare.’

‘Non sbircio.’

*

‹‹Ehm…Tom…non so se…mi pare il caso…insomma…noi…io…››

‹‹Ehi, taci!›› lo zittì mettendogli l’indice vicino la bocca. Bill avrebbe tanto voluto baciarglielo. ‹‹Ti ho detto di avere fiducia in me. Non ti torcerò un capello, Bill. Non mi permetterei mai di farti del male, okay? Mai.››

Bill annuì. Si fidava di lui. Si fidava davvero tanto. Era forse troppo affrettata come cosa? Ma poi, perché stava pensando proprio al sesso? Nessuno gli aveva detto che dovevano fare sesso. O sbaglio? Stava facendo inutilmente i castelli in aria. Che stupido.

‹‹Sì, mi fido di te; ma…tu vuoi…››

No, Bill. Non dire quella parola. Non dire quella parola.

‹‹Voglio cosa, Bill?›› continuò Tom mentre, piano piano, lo aveva fatto sedere sul letto. Non si era reso conto di nulla.

‹‹Insomma…hai capito no?››

‹‹No, Bill. Non ho capito proprio nulla.›› cominciò a baciarlo sul collo e, con la mano destra poggiata sul suo petto, molto dolcemente, lo fece distendere sotto di lui. Bill ancora non si rese conto assolutamente di nulla. O forse non voleva accorgersi di nulla di proposito?

Socchiuse gli occhi e si lasciò trasportare dal sinuoso movimento della mano del rasta. Inizialmente, navigava delicatamente sopra il tessuto del suo dolcevita, solo dopo che cominciò a tranquillizzarsi, Tom decise di toccare la sua pelle diafana e leggermente accaldata.

Bill inizialmente si contrasse, ma il rasta decise di non mollare. Provò a tastare più forte, ma sempre con delicatezza, continuando a baciarlo. Il biondo cominciò a respirare con affanno, ma Tom ottenne ciò che voleva. Si tranquillizzò come sperava.

Iniziò ad accarezzargli la pancia, l’ombelico, poi salì al petto. Si soffermò sul capezzolo sinistro: notò che aveva un piercing.

‹‹Ssh..cazzo, Bill. Non dovevi farmelo questo.››

Ansimò Tom, accentuando ancora di più quel bacio. Iniziò a diventare sempre più caldo e passionale. Voleva che, quel momento, fosse speciale per entrambi. Presto si sarebbero divisi e forse, non si sarebbe mai più rivisti. Voleva vivere Bill. Voleva conoscere ogni parte di lui; ogni centimetro del suo corpo; il suo profumo. Voleva ricordarselo per il resto della sua vita.

Stava correndo troppo, forse? No. Forse no. Ma se anche fosse stato così, che importa? Sentiva di fare questo, e gli andava bene così.

‹‹Tom…Tom…››

Il respiro di Bill cominciò a farsi sempre più corto e sempre più pesante. Stava succedendo; stava succedendo dopo tanto tempo. Era quello che voleva, giusto?

‹‹Non parlare, Bill. Sta zitto..›› gli sussurrò in un orecchio, mentre lo mordicchiava leggermente. Bill venne percorso da una scarica elettrica che partiva dalla zona lombare,  fin sopra ai capelli. Cominciò a contorcersi sotto il corpo caldo e robusto del ragazzo sopra di lui.

‹‹Sei così maledettamente bello, Bill.››

Gli morse il lobo, e Bill gemette.

Sta succedendo, Bill. Sta succedendo. Adesso basta pensare. Azzera il cervello e lasciati trasportare.

‹‹Mi stai facendo eccitare, cazzo.›› ansimò Tom, mentre cominciava a muovere il bacino in direzione di quello del ragazzo. Bill sentì un leggero rigonfiamento in prossimità del cavallo; sia da parte sua, che da parte di Tom. Sentiva crescere l’eccitazione dentro di sé. Il corpo cominciò a scottare.

‹‹Anche tu…›› riuscì ad annaspare Bill, tra un bacio e l’altro. Era totalmente fuori controllo, adesso. ‹‹…Non fermati. Non fermati, Tom.››

Ovviamente Tom non se lo fece ripetere due volte.

Iniziò a mordicchiargli la pelle sottile del collo, provocandogli delle piccole scosse lungo tutto il corpo. Stava cominciando a sudare e ad entrare in iperventilazione. L’autocontrollo stava cominciando a farsi fottere; anzi, era già andato a farsi fottere da un pezzo.

D’un tratto, Bill prese le redini della situazione. Con un colpo di reni, ribaltò la situazione, trovandosi a cavalcioni su di Tom. Gli afferrò i polsi, bloccandoglieli sopra la sua testa. Lo guardò intensamente. Aveva il fiatone.

‹‹Cosa c’è? Perché mi guardi così?›› domandò Tom, mordendosi il labbro inferiore in prossimità del piercing. Bill sorrise malizioso e si leccò le labbra, facendo intravedere il piercing che aveva sulla lingua.

‹‹Io ho una regola, prima di fare l’amore con qualcuno.››

‹‹Sarebbe?››

‹‹Io sono sempre stato attivo, Tom; ed ho fatto l’amore solo con il mio ex ragazzo.››

‹‹E il punto sarebbe?››

‹‹Il punto è questo che ti ho appena detto. Tu sei disposto a fare l’amore con me, sapendo questo?››

Tom continuava a non capire dove e quale fosse il problema in questione.

‹‹Bill, non riesco a capire dove vuoi arrivare. Se mi stai chiedendo se a me va bene quello che mi hai detto…cosa dovrei risponderti? A me non interessa nulla. Indipendentemente da come tu voglia farlo. Mi importa solo farlo con te.››

Cominciò a salirgli l’eccitazione e i suoi pantaloni, ormai, gli calzavano  un po’ troppo stretti in prossimità del cavallo. Impazziva quando gli davano la piena libertà di decisione, a letto.

‹‹Non avresti dovuto dire così.››

Lo baciò con foga, togliendogli quasi il respiro. Iniziò a torturargli il collo, ad esplorare ciò che la sua maglia nascondeva. Un piccolo particolare lo incuriosì parecchio: Tom aveva il piercing all’ombelico.

‹‹E questo da dove salta fuori?›› domandò Bill, guardando con attenzione il piercing di Tom. Aveva tanta voglia di giocarci.

‹‹L’ho fatto quando ho compiuto diciotto anni. Ed ho fatto anche un tatuaggio. In un posto poco visibile.››

‹‹Dove ce l’hai? Io li ho quasi tutti visibili.››

Tom non rispose. Lo guardò con malizia.

‹‹Se vuoi continuare a fare quello che hai interrotto, lo scoprirai tu stesso.››

A Bill piacevano da matti i giochi. Difatti, rispose anche lui al sorriso altrettanto malizioso. Non se lo fece ripetere due volte. Riprese a torturare il corpo del rasta, graffiandolo leggermente con le unghie.

Tom aveva gli occhi socchiusi e si mordeva ripetutamente il labbro inferiore in prossimità del suo labret. La sua virilità aumentava sempre di più. Bill lo stava facendo diventare pazzo.

‹‹Non avresti dovuto stuzzicarmi in questa maniera. Adesso sarò costretto a mandarti fuori di testa.›› rispose Bill maliziosamente, leccando l’ombelico di Tom. Prese delicatamente fra i denti il piercing e lo succhiò

Dal canto suo, il rasta, si ritrovò ad annaspare per cercare di non soffocare. Gettò indietro il capo, mettendo in bella vista il suo pronunciato pomo d’Adamo. Deglutì la saliva in eccesso.

‹‹Non torturarmi in questa maniera.›› soffocò poi, afferrando automaticamente il capo di Bill fra le mani. Le proprie dita scivolarono fra i morbidi capelli del biondo. Lo accarezzò con delicatezza. D’istinto, lo fece abbassare fino al rigonfiamento dei proprio pantaloni. Bill sorrise maliziosamente  e, da sopra il jeans ormai fin troppo stretto, gli stampò un sonoro bacio.

Tom si astenne nel gemere forte. C’era sempre della gente, accanto a loro e, sicuramente, avrebbero potuto sentirli.

‹‹Ti prego Bill, non farmi aspettare più. Ti prego.››

Bill pensò che si fosse abbastanza divertito, ed era arrivata l’ora di concludere i giochi. Cominciò a denudarlo senza nemmeno dargli il tempo di mettere a fuoco la situazione. Vedere Tom completamente nudo, fu una visione paradisiaca. Il petto tonico e sodo, le spalle larghe, l’addome scolpito e quel dannato piercing che lo adornava, le gambe muscolose e possenti. Era favoloso in ogni centimetro della pelle.

Bill avvertì un forte calore in prossimità del cavallo dei propri pantaloni, non appena vide il tatuaggio sull’inguine. Era un teschio di zucchero, abbastanza grande. Copriva gran parte del suo inguine, compresa la parte pubica. Voleva semplicemente morire.

‹‹Non vorrai mica venirti nei pantaloni?›› scherzò Tom, infilandoci una mano all’interno. Sfiorò la candida e diafana pelle dell’inguine di Bill, facendogliela accapponare decisamente.

‹‹Facciamolo. Ora. Ti desidero troppo.›› soffiò poi Bill sul collo del moro, tentando di trattenere gli ansimi, senza ovviamente riuscirci. Le gambe cominciarono a tremargli e l’aria della cabina, iniziò a diventare insopportabilmente calda – cosa davvero insolita in quanto, lì dentro, la temperatura non superava i 18-20 C°. –

‹‹Non hai paura?›› continuò poi il biondo, accarezzando delicatamente l’inguine del ragazzo, proprio là dove c’era il suo tatuaggio. La sua eccitazione era ormai ben visibile.

‹‹Io non ho affatto paura, Bill. E tu?››

Bill non rispose. Il cuore gli batteva più forte che mai. Aveva forse paura? Paura di cosa, per giunta? Non c’era nulla di cui preoccuparsi, in fin dei conti. Non stava facendo sulla di male; stava semplicemente per far sesso con un perfetto estraneo, conosciuto appena qualche giorno fa. Cosa c’era di sbagliato in tutto questo? Assolutamente nulla.

Era un po’ un contro senso il suo in quanto, sin da quando era un ragazzino, aveva sempre creduto che, il sesso senza amore, fosse solo una perdita di tempo. Era un piacere momentaneo e che, alla fine, ti lasciava semplicemente vuoto. Lui aveva sempre e solo fatto l’amore. Cosa c’era di diverso in Tom allora? Perché con lui stava facendo l’opposto di quello che, fino a quel momento, era stata la sua filosofia di vita?

‹‹…Bill? Tutto okay?››

Il biondo era completamente sovrappensiero. Non si era nemmeno reso conto che erano trascorsi più di una ventina di secondi, dalla domanda di Tom. Scosse il capo e tornò alla realtà.

No. Non c’era nulla di male nel far sesso con una persona conosciuta da poco tempo; soprattutto se questa persona, era Tom.

‹‹No. Io non ho paura.›› lo baciò con passione e, subito dopo, iniziò a farci…l’amore?

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


- Capitolo 16 -

I giorni a seguire, dopo quella sera, li passarono praticamente sempre insieme: la mattina, durante la visita alla città; il pranzo, le cene, e trascorrevano i pomeriggi nella cabina di Tom. Ormai, i suoi tre amici, erano stati letteralmente sfrattati.

Georg, dal suo canto, poteva ritenersi fortunato in quanto aveva conosciuto la sorella di Bill, Heidi. Gli unici poveri sfortunati, furono Andreas e Gustav; ma per loro non era una grosso problema, si divertivano ugualmente.

Il tempo volò letteralmente e, senza nemmeno che se ne accorgessero, trascorsero sei giorni, ritrovandosi catapultati all’ultimo giorno da passare assieme.

Inutile raccontare della tristezza che in quel giorno, si respirava. Era immisurabile. La difficoltà di viverlo, era davvero un qualcosa di impossibile. Sarebbe stato più difficile di quanto, sia Bill che Tom, avrebbero mai immaginato.

*

Bill mugugnò un qualcosa, prima di aprire leggermente un occhio, e poi l’altro. La luce del sole che filtrava dall’oblò era accecante. Si voltò verso la sveglia e vide che l’orologio segnava le 07:45. Gettò indietro un braccio, nella speranza di riuscire ad afferrare la tenda dimodoché potesse chiuderla e porre fine a quella tortura; ma, prima che potesse farlo, qualcuno di prima di lui, lo fece al suo posto.

‹‹Certo che non ti piace proprio il sole, eh?››

Una voce calda e tranquilla, lo fece sorridere. Tom era già sveglio da un po’, ma preferì restare nel letto assieme a lui. Bill si accoccolò un po’ di più al suo petto, abbracciandolo più forte che poteva; Tom invece, fece sprofondare il viso fra i capelli del biondo, inspirando il profumo di shampoo alla vaniglia.

La sera prima aveva fatto la doccia assieme e, ovviamente, avevan fatto anche… l’amore forse? Tom non riusciva a spiegarselo. Era sesso? Eppure non era solo attrazione fisica la sua. Si fa sesso con quella persona che trovi attraente al momento e, una volta finito, ti rivesti e vai via; di certo non ci dormi assieme ogni volta.

Tom era davvero confuso in quel momento.

‹‹Sì, sono un vampiro. Odio il sole con tutto me stesso.››

Scherzò Bill, cercando si infilarsi ancor di più sotto le coperte, accanto al corpo caldo e ancora nudo di Tom. Aveva un buon odore. Sapeva di pulito, di fresco e di bagnoschiuma al cocco. Avrebbe voluto svanire nel suo abbraccio, coccolato da quel delicato e soave profumo. Era decisamente distinguibile da qualsiasi altro odore. Era il suo, infatti.

Tom tornò ad accarezzargli i capelli, giocando con le piccole ciocche bionde. Prese fra le dita la ciocca più lunga, quella del ciuffo che ricadeva di lato coprendogli gran parte del volto. Aveva gli occhi socchiusi; forse i raggi che filtravano all’interno, davano davvero fastidio. Decise quindi di richiudere le tende, lasciando solo un leggero spiraglio; giusto quel tanto per illuminare il letto.

Il rasta riprese a coccolarlo, sfiorandogli delicatamente le guance coperte di una ruvida barba di due giorni. Bill si strinse fra le spalle e cercò di sparire nel morbido e caldo abbraccio del ragazzo moro.

Tom, dal canto suo, era perso nei suoi pensieri. Guardava un punto qualsiasi della cabina, senza prestarci troppa attenzione; anzi, no ne stava prestando affatto. Era completamente assente. In quel momento aveva in testa solo e soltanto una cosa: Bill. Quello sarebbe stato l’ultimo giorno che avrebbero potuto passare assieme veramente; l’altro non era affatto da considerare. Socchiuse gli occhi e, senza nemmeno che se ne accorgesse, una lacrima gli rigò il viso. Baciò forte il capo di Bill e sospirò abbastanza forte da far comprendere al biondo che qualcosa non andasse.

‹‹Ehi Tom. Cosa c’è?››  Bill si mise composto sul letto. Era anche lui ancora nudo.

‹‹Nulla.›› mentì poi. Bill capì cosa avesse. Gli afferrò delicatamente i polsi, togliendogli via dal suo bellissimo viso. Notò che le sue guance erano bagnate. Gli si strinse il cuore in una morsa dolorosa.

‹‹Non dirmi che non hai nulla, Tom. Perché so che stai mentendo.›› mise entrambe le mani sulle sue spalle larghe, stringendole leggermente.

‹‹Non me ne capacito, Bill. Non riesco proprio a non pensarci.›› la voce cominciò a tremargli. ‹‹È l’ultimo giorno che passeremo assieme, questo.››

Non appena disse così, Bill sbiancò decisamente. Il suo colorito, da roseo, divenne cereo, come se avesse visto un fantasma. Come cazzo era possibile? Come e quando erano passati sei giorni? Come?

‹‹Ah…già.›› sussurrò lui, più a se stesso che a Tom. Fu un flebile suono che, nemmeno lui, forse, riuscì ad udire. ‹‹Io…non…non credevo che fosse già arrivato.››

‹‹Invece sì.›› Tom si alzò bruscamente dal letto, lanciando il lenzuolo per aria, lasciando scoperto anche Bill che, al contatto con l’aria piuttosto fredda del condizionatore, gli si accapponò la pelle.

‹‹Non voglio passare l’ultimo giorno a piangermi addosso. Voglio ricordarmelo, Tom. Voglio un bel ricordo.››

Tom non rispose. Bill non poteva vedere la sua espressione in quanto gli dava le spalle. Poteva ammirare solo il suo fisico scolpito. Si passò entrambe le mani fra i rasta neri, dopodiché volse il suo sguardo verso il biondo.

‹‹Io non ho la più pallida idea di dove siano Andreas, Georg e Gustav.››

‹‹Georg, ieri sera, era con mia sorella. Gustav ed Andreas, l’ultima volta che gli ho visti, erano al bar.››

‹‹Sì, ma io non ho idea di dove abbiano dormito, intendo. Praticamente gli ho sfrattati dalla nostra stanza per tutta la durata del viaggio, quasi.›› sorrise amaramente. Tornò a piangere.

A quel punto, Bill decise di alzarsi dal letto e, dolcemente, lo abbracciò da dietro. Cominciò a baciargli piano le spalle, alternandogli a dei piccoli morsi.

‹‹Io non mi dimenticherò mai di te, Tom. Mai.›› quelle parole gli morirono in gola.

‹‹No Bill, ti sbagli.›› cominciò poi, senza nemmeno girarsi. ‹‹Una volta scesi di qui, tu tornerai alla tua vita, ed io alla mia.››

‹‹Ciò non vuol dire che mi dimenticherò di te.››

Tom non rispose. Si scostò a malincuore dall’abbraccio del ragazzo e si avviò verso il bagno. Si soffermò sull’uscio.

‹‹Vado a farmi una doccia. Vieni con me?››

*

Heidi era accoccolata fra le braccia di Georg e, attentamente, stava ascoltando la sua lezione di ingegneria informatica anche se, sinceramente, non stava capendo un emerito cazzo; ma questo non l’avrebbe mai detto.

Erano sul ponte sei, a prendere beatamente il sole.

‹‹Non ti sembra strano?›› cominciò poi il ragazzo.

‹‹Cosa?›› disse Heidi, senza distaccare il capo dalle sue spalle. Continuava a giocare con le sue dita affusolate. Quanto a lui, invece, giocava con i suoi morbidi capelli biondi.

‹‹Che domani, a quest’ora, ognuno ritornerà alla propria vita.›› proseguì tristemente lui. Heidi non rispose. Fece un lungo sospiro e socchiuse gli occhi.

‹‹Mio fratello non la prenderà affatto bene, questa storia. A pensare che, inizialmente, non voleva affetta venire.›› Heidi si alzò dalla sdraio la quale, poco prima, stava condividendo con Georg. Prese il copricostume e se lo annodò in petto.

‹‹Nemmeno Tom sta così tanto bene. Io non capisco come abbiano fatto a legarsi così tanto, in così poco tempo.›› anche Georg si alzò.

‹‹Bill è stato innamorato solo una volta, in tutta la sua vita. Ha avuto un solo ragazzo che, per giunta, ha il tuo stesso nome…›› puntualizzò Heidi, ridendoci su. ‹‹…ed è stato tradito. Aveva smesso di uscire, di frequentare gente, di fare qualsiasi cosa. Si era rintanato in caso davanti al computer. Si alzava solo per andare a lavoro, in palestra, e per mangiare. Passava tutto il suo tempo a scrivere e ad ascoltare musica. Dio solo sa cosa ha passato in quel periodo…››

Georg la stava ascoltando con molta attenzione e comprensione.

‹‹Mio fratello è una persona molto fragile. Non lo vedevo così felice da quando ha troncato con il suo ex.›› prese la sua grande borsa di paglia, il cappello – anch’esso di paglia – e si infilò le infradito. Faceva davvero caldo, quel giorno.

‹‹Credo che, una volta sbarcati, non si riprenderà tanto facilmente.›› guardò il ragazzo con un’aria preoccupata e Georg, ricambiò.

‹‹Sai cosa penso, Heidi?›› le mise dolcemente un braccio attorno alla spalla.

‹‹Cosa?››

‹‹Credo che quei due disgraziati, si siano innamorati.››

Heidi non rispose. Non sapeva davvero cosa dire; ma era più che certa, che Georg avesse ragione. Suo fratello si era innamorato, dopo tanto tempo, di un ragazzo che non avrebbe mai più visto.

*

Simone e Gordon erano indaffarati nel sistemare le loro valigie. L’indomani, avrebbero dovuto lasciare la stanza alle nove del mattino. Lo sbarco sarebbe cominciato alle dieci, e loro facevano parte del gruppo che sarebbe dovuto scendere per secondo.

I loro figli erano praticamente spariti. Non vedevano Bill da tre giorni, Heidi da due; anche se sapevano benissimo dove fossero, quindi erano più che tranquilli.

‹‹Tu come credi che la prenderà Bill? Io lo vedo piuttosto preso da quel giovane.›› disse Simone, mentre cercava di far entrare tutta la roba del figlio nelle sue valigie. Gordon sussultò un attimo, prima di rispondere.

‹‹Tu conosci tuo figlio meglio di chiunque altro. Ho cresciuto Bill come se fosse mio, ma tu sei sua madre, tesoro. Sai meglio di me che Bill, se si affeziona ad una persona, perderla è sempre un trauma, per lui. Prendi l’esempio di quell’altro ragazzo. Com’è che si chiamava?››

‹‹Georg.›› Simone disse con una punta di odio quel nome. Se avesse dovuto fare un paragone, di sicuro avrebbe paragonato l’odio verso Georg, con quello che provava per il suo ex – defunto – marito; con la sola differenza che non avrebbe mai avuto il coraggio di ucciderlo. O forse sì?

‹‹Esatto. Ricordi cosa ha passato, vero?››

‹‹Certo che me lo ricordo, Gordon. Perché parli di questo, adesso?›› proseguì Simone, sforzandosi. Non riusciva a far entrare la roba di Bill nella valigia. Era troppa. Ci mise un po’ di forza.

‹‹Perché non vorrei che nostro figlio vivesse la stessa identica cosa.››

Alla fine Simone, riuscì a chiudere l’ultima valigia di Bill. Sfiatò e si pulì la fronte – in gesto teatrale – con il dorso della mano.

‹‹Me lo auguro anche io. Anche se non credo sia innamorato di questo ragazzo. Sarà solo infatuazione la sua; almeno spero sia così.››

*

Bill e Tom salirono all’ultimo piano per andare a fare colazione. Non c’era nessuno di loro conoscenza. Molto probabilmente, vista l’ora – erano le dieci passate – avevan tutti già fatto colazione.

Tom stringeva forte la mano del ragazzo. Entrambi presero un vassoio per poter fare, un’ultima volta, colazione insieme. Non c’era molta gente. Fortunatamente i cuochi, erano sempre pronti a sfornare cibo su cibo. C’era un profumo di waffles e di krapfen fantastici. Da quanto tempo Bill no ne assaporava uno? Da quanto tempo non degustava una morbida, profumata, grassa, fritta e zuccherata pasta di un krapfen?

Tom si diresse automaticamente verso il ‘reparto dei salati’; era inusuale in America far colazione con cornetto e cappuccino, così come in Germania ed Inghilterra. Prese uova strapazzate, fette di prosciutto cotto, due fette di toast imburrate e del succo d’arancia. Bill, invece, passò più e più volte dal reparto ‘dolce’, inspirando a pieni polmoni il profumo delle brioche calde, come se fosse droga. C’erano anche i bretzel al cioccolato e uvetta, con i canditi e con lo zucchero a velo.

Bill, è l’ultimo giorno. Non fare il solito apatico morto di fame. Mangia un cazzo di dolce.

‹‹Ehi Bill, ci sei?››

Non si era accorto che Tom era a diversi metri da lui ed aveva già riempito il vassoio, mentre il suo era ancora completamente vuoto.

‹‹Non hai fame?›› disse poi il rasta, avvicinandosi al biondo. Bill scosse la testa.

‹‹Sì, son solo indeciso su cosa prendere. C’è tanta di quella roba buona.›› Tom gli accarezzò la guancia, sfiorandola delicatamente con l’indice.

‹‹Non ti ho mai visto prendere qualcosa di grasso, da quando ti ho conosciuto. Si vede che tieni molto alla tua linea, ma almeno oggi, fallo per me. Prendi ciò che vuoi realmente.››

Bill sospirò e tornò a guardare i suoi adorati bretzel. Ci pensò qualche secondo, prima di rispondere.

‹‹Ma sì, chi cazzo se ne fotte. Dopo tutto l’esercizio fisico che ho fatto in questi giorni…›› guardò maliziosamente Tom ed entrambi scoppiarono a ridere.

Bill prese due bretzel: uno al cioccolato e uvetta, l’altro con lo zucchero a velo, della frutta ed un bicchiere di latte.

Una volta riempiti i vassoi, si diressero verso il primo tavolo libero.

*

Bill aveva tirato appena due morsi al proprio bretzel e sorseggiato a malapena il suo latte. Continuava a giocherellare con il cibo, facendolo a pezzettini e sbriciolandolo nel vassoio. Tom stava masticando piano, guardando la reazione di Bill. Non aveva proferito parola praticamente per tutta la durata del pasto. Aveva passato tutto il tempo a guardare il suo vassoio e a schifare il cibo come se fosse la cosa più disgustosa di questo mondo.

‹‹Bill, si può sapere cos’hai?›› iniziò Tom, prendendo la mano del ragazzo seduto di fronte a lui. Bill la ritrasse volontariamente. Continuò a non rispondere.

‹‹Bill, non hai parlato per tutto il tempo. Mi dici cosa ti ho fatto?››

Niente. Tu non c’entri niente, imbecille.

‹‹Non…non mi va semplicemente di parlare.››

‹‹Sì, okay. Così di punto in bianco non ti va più di parlarmi?››

‹‹Non ho detto che non voglio parlare con te.›› sbuffò poi Bill, riducendo a brandelli quel che restava del suo bretzel, fra le mani. Perché si stava comportando in questa maniera?

‹‹Pensavo che volessi mangiarlo quel dolce, non che lo volessi ridurlo in briciole.››

‹‹Non ho fame. Non ho voglia di fare assolutamente nulla, in questo momento.›› lo sguardo di Bill era sempre riverso sul vassoio. Non aveva il coraggio di guardare Tom negli occhi. Sapeva che, se l’avesse fatto, sarebbe scoppiato a piangere e, questa volta, non si sarebbe fermato.

‹‹Vuoi guardami, almeno?›› Tom prese con prepotenza il volto di Bill fra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. Il ragazzo, a questo punto, fu costretto a volgere la sua attenzione a quegli occhi color nocciola.

Mio dio, ma cosa sono quegli occhi?

Continuò a non rispondere. Si perse letteralmente nella profondità del suo sguardo. Era così maledettamente travolgente. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza vederli mai più? Come poteva svegliarsi la mattina, col pensiero di non averlo con sé? No. Non ce l’avrebbe fatta.

Improvvisamente, gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime e, quando andò per chiuderli, una serie di gocce amare, rigarono e segnarono il viso del biondo.

‹‹Non voglio lasciarti, Tom. Non voglio dirti addio.›› baciò delicatamente le mani del rasta, stringendole ancor più forte contro le sue guancia, come se fosse stata l’ultima volta che l’avrebbe toccato; anzi…era l’ultima volta.

Vedere quella scena, per Tom, fu un vero e proprio colpo al cuore. Vederlo piangere, era un dolore davvero molto forte. Gli mandava in frantumi tutto il corpo.

‹‹Ti ho già detto che ci rivedremo, Bill. Non sarà l’oceano a separarci. Ricordatelo sempre.››

‹‹Non dire cazzate, Tom. Sai benissimo che è praticamente impossibile. Ci separano diecimila chilometri. E Poi, tu stesso hai detto che ognuno tornerà alla sua vita.››

‹‹Esistono gli aerei, Bill. E quello che ho detto stamattina, non può influisce su quello che ti ho appena detto. Mi ero alzato con il piede sbagliato, e stavo pensando in negativo. Poi però, una volta aver fatto l’amore con te, mi son sentito meglio..››

‹‹Non fare promesse che poi non puoi mantenere, Tom. Non giocare con i miei sentimenti; non lo fare.››

Si alzò dal proprio posto, mettendosi in piedi davanti la vetrata con lo sguardo riverso sul mare. C’era un giorno di navigazione, per arrivare a Venezia; la nave non avrebbe attraccato.

Aveva le braccia incrociate sul petto e lo sguardo malinconico. Tutto quello, l’indomani, sarebbe finito. A pensare che, sei giorni prima, quel viaggio, gli sembrava la cosa peggiore che gli fosse mai capitata in tutta la vita. Cos’è che aveva detto?

Avrei preferito restare a Berlino assieme a te, Sarah.

Già, Sarah, la sua migliore amica a cui non aveva mandato nemmeno un messaggio. Era così preso da Tom, che si era totalmente dimenticato di avere una vita, al di fuori della nave. Cosa avrebbe fatto, una volta sceso? Si era talmente abituato alla sua presenza.

‹‹Ma perché devo incontrare sempre le persone sbagliate?›› disse poi ad alta voce. Tom non l’udì. Sì alzò ed andò verso di lui, abbracciandolo da dietro, baciandolo successivamente sul collo. Poco gli importava della gente che c’era attorno; d’altronde, nessuno li guardava con disgusto. Ognuno si faceva i fatti propri.

‹‹In che gruppo sei tu?›› chiese poi Bill, girandosi verso il ragazzo.

‹‹Credo nel gruppo quattro. Perché?››

‹‹Io nel gruppo due.››

‹‹Scendi per secondo, quindi.››

‹‹Già.››

Calò il silenzio.

‹‹Dovrei andare in camera mia, adesso. Sicuramente i miei genitori si staranno chiedendo che fine abbia fatto, e forse dovrei aiutare mia mamma a fare le valigie. Ci vediamo dopo, se ti va.››

Bill stava per voltargli le spalle, quanto si sentì afferrare delicatamente per il polso. Tom lo stava guardando come solo lui sapeva fare. Gli bastò leggerlo negli occhi il messaggio che voleva mandargli. Non andare via. Resta qui; ma doveva andare, questa volta.

‹‹Ti aspetto in piscina alle tre in punto.›› disse allora Tom, e lasciò andare il polso del ragazzo. Lo vide sparire fra i tavoli, e solo dopo aver perso completamente la sua visuale, scoppiò a piangere anche lui.

*

‹‹Mamma, mi hai sistemato tutta la roba! Ma non dovevi.›› disse sarcastico Bill, battendo le mani compiaciuto.

‹‹Diciamo che è stata un’impressa piuttosto ardua, la mia. Non so come tu abbia fatto a cacciare dentro tutta quella roba. Ho speso più di due ore della mia vita a sistemare tutto dentro le valigie.››

Bill rise, ma dentro di sé stava letteralmente morendo.

*

‹‹Chi non muore si rivede eh, Tom?›› disse Georg, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Tom sorrise e ricambiò il saluto.

‹‹Ho saputo che anche tu hai avuto impegni, mio caro amico…almeno te la sei portata a letto?›› 

‹‹Ma la smetti di prendermi per il culo, idiota?›› i due risero con gusto. ‹‹E comunque sì, ci sono andato a letto. È davvero una bella ragazza, grintosa e dolce allo stesso  tempo, ma non è il mio tipo. Sì, ci siam divertiti assieme, ma lo sai meglio di me, sono solo storielle estive queste. Quando potrò mai rivederla? Insomma, lei è tedesca, noi siamo…merda.››

Solo dopo si accorse di ciò che stava dicendo. Non si rese minimamente conto che, quelle parole, stavano letteralmente uccidendo l’anima di Tom.

Tom lo stava guardando affranto.

Georg ha ragione. Georg ha fottutamente ragione.

‹‹Mi dispiace Tom. Io…io ho solo detto la mia. Mai dire mai nella vita…magari tu sei più fortunato di me…››

‹‹No, Georg. Hai ragione. Sono io che mi sono illuso. Bill mi ha detto la stessa cosa, oggi. Io non lo rivedrò mai più. È una cosa troppo improbabile. Ed io come uno stupido che ci credevo.››

Strinse forte i pugni, serrò gli occhi più forte che poté. Georg, comprensivo, gli accarezzò un braccio.

‹‹Devi fartene una ragione, Tom. Non puoi avvelenarti così, per un ragazzo che conosci a malapena.››

‹‹Non puoi capire, Georg. Non puoi capire.›› e prima che l’amico potesse aggiungere altro, si ritrovò il rasta chino sulla sua spalla, a piangere forte. In quel momento si sentì letteralmente impotente. Anche Andreas e Gustav, provarono a consolarlo, ma senza buoni risultati.

*

Bill stava aspettando da quasi un’ora, dove si erano dati appuntamento; ma di Tom, non c’era traccia. Aveva percorso circa venti volte il ponte, per ammazzare il tempo. Si fregava le mani. Era agitato. Se n’era dimenticato, forse? Decise di aspettare un altro po’. Stava guardando l’orologio ogni cinque minuti, nella speranza di vederlo arrivare, da un momento all’altro. Attese un’altra ora; ma Tom, quella volta, non venne.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


- Capitolo 17 -

 

Bill tornò nella sua camera sbattendo – per quanto fosse possibile – la pesante porta. Non c’era nessuno. Afferrò violentemente il telefono e pigiò i numeri della cabina di Tom.

Uno, due, tre, quattro, cinque squilli.

Chi è?

Una voce ovattata ed assonnata gli rispose svogliatamente.

Bill venne improvvisamente pervaso dalla rabbia. Sentì il suo stomaco abbandonare il proprio corpo per poi posarsi lì, accanto a lui sul letto.

‹‹Dov’è Tom?››

Non si presentò nemmeno. Era inevitabile che fosse Bill.

Ehi Bill! Tom sta dormendo. Stavamo dormendo un po’ tutti, a dirla tutta. Volevi qualcosa in particolare?

Bill sentì il nervosismo ribollirgli nelle vene. Se fosse stato capace di incenerire le cose con la sola forza del pensiero, di sicuro la cornetta del telefono a quest’ora, sarebbe un mucchietto di cenere posata sul copriletto. Socchiuse gli occhi ed espirò profondamente dalle narici facendo volutamente parecchio rumore. Pareva un toro inferocito. Se c’era una cosa che Bill odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo, era aspettare inutilmente qualcuno e, soprattutto, essere preso per il culo.

‹‹No. Nulla di particolare. Solo che mi ha fatto aspettare un’ora, come un coglione. Digli semplicemente di andare a fanculo, e che mi poteva benissimo avvisare che preferiva dormiva, piuttosto che stare con me.››

Andiamo Bill, non prendertela. Tom sta un po’ giù di morale. Vieni qui in camera con noi, lo sveglio adesso.

‹‹No lascia stare.›› non sapeva nemmeno chi stesse dall’altra parte della cornetta. ‹‹Non vorrei svegliarlo dal mondo dei suoi sogni del cazzo. Anzi, sai cosa ti dico? Digli di non venire a salutarmi domattina. Se c’è una cosa che odio, è essere preso per il culo. Digli che è stato bello conoscerlo. Addio.››

Non diede nemmeno il tempo all’altra parte di rispondere, che riagganciò, sbattendo forte la cornetta.

‹‹Vaffanculo! Vaffanculo! VAFFANCULO!››

Urlò, tirando un calcio contro il muro, facendo un forte baccano.

‹‹Sapevo di essermi semplicemente illuso. Sono un fottuto coglione.›› si accasciò sul letto, tentando di cacciare indietro le lacrime che, presto, presero a scendere lungo le sue guance. Chiuse gli occhi e sospirò. Il suo cuore era distrutto. Si portò un braccio sul viso dimodoché potesse essere coperto e, silenziosamente, cominciò a piangere.

*

‹‹Chi era che urlava come un dannato alla cornetta?››

Georg si stropicciò entrambi gli occhi, facendo uno sbadiglio.

‹‹Chiudi quel fottuto lume, Gustav. Sto provando a dormire, cazzo.›› imprecò Tom, coprendosi con il piumone fin sopra la testa, lasciando intravedere qualche rasta nero.

‹‹Era Bill, Tom. Ed era molto incazzato.››

Non appena disse così, Tom scattò come una molla; come se gli avessero dato la carica.

‹‹Merda! Dovevo incontrarlo in piscina. Che cazzo di ora è?›› guardò l’orologio. Erano le 18:02. Si maledisse in una lingua che nemmeno lui conosceva, picchiandosi più volte la fronte. ‹‹Dio, sono un fottuto deficiente.›› Gustav sospirò ed annuì silenziosamente.

‹‹Gli hai dato buca. Non l’ha presa molto bene.››

‹‹E ci credo. Sono stato un vero idiota. Come ho fatto a dimenticarmi?››

‹‹Tom, per favore, vai a lamentarti da un’altra parte. Io vorrei dormire ancora un po’.›› sospirò Andreas, tirando una cuscinata in faccia al rasta.

‹‹Cosa ti ha detto?›› Tom lo ignorò completamente.

‹‹Devo citarti tutto ciò che mi ha detto? Non credo che ti farebbe molto piacere sentirtelo dire. Ti consiglio di alzarti e andare da lui. Adesso!››

Tom non se lo fece ripetere due volte. Non dovette nemmeno togliersi le scarpe, visto che aveva dormito così com’era tornato in camera. Non si dette nemmeno un’aggiustata ai capelli. Uscì scompigliato e scomposto. Poco se ne importava in quel momento.

Si chiuse la porta alle spalle e si mise a correre lungo il corridoio, fino a raggiungere la camera 10483. Bussò un paio di volte.

‹‹Vattene a fanculo, Tom. Sparisci.››

Era inevitabile che fosse lui. Heidi, Simone e Gordon avevano la chiave magnetica. Solo un povero disgraziato e disperato Tom poteva bussare alla porta.

‹‹Bill, per favore, aprimi.››

‹‹Credo di essere stato abbastanza chiaro. Lasciami in pace. Torna a dormire.››

‹‹Per favore, non farmi urlare come un deficiente. La gente mi guarda male.›› voltò lo sguardo a destra e a sinistra, notando la gente che lo fissava in maniera stranita.

‹‹Sai cosa diamine me ne fotte. Non voglio vederti.››

‹‹Io non mi schiodo di qui fin quando non esci. Dovrai uscire, prima o poi. Posso aspettare qui anche tutta la notte. Ecco, ora mi siedo persino in terra, davanti la tua porta.››

‹‹Non fare il coglione, Tom. Va via.››

‹‹Ho detto che resto qui.››

Bill ringhiò. Tom non udì più nulla, solo dei passi pesanti e trascinati; dopodiché, la porta si spalancò in un attimo e, con un balzo, si mise nuovamente in piedi.

‹‹Cosa cazzo c’è?››

‹‹Mi fai entrare?››

‹‹No.››

‹‹Mi dispiace.››

‹‹Mi ci pulisco il culo con le tue scuse.›› provò a chiudere la porta, ma Tom la bloccò con il piede.

‹‹Guarda che te lo spezzo se non lo togli immediatamente di lì.››

‹‹E tu provaci. Non mi schiodo di qui fin quando non mi farai entrare.››

Tom mise il broncio ed incrociò le braccia al petto. Quella maledetta porta era così pesante che, per un momento, pensò davvero di spezzarsi il piede. Voleva ululare dal dolore che stava provando ma, per suo orgoglio, non lo fece. Continuò a guardare Bill insistentemente, fino a quando non cedette.

‹‹Oddio, sei un fottuto bambino. Avanti, prego, entri pure a rompermi l’anima anche l’ultimo cazzo di giorno di questa fottuta crociera dei miei coglio—›› non fece in tempo a finire la frase che la sua bocca venne avvolta da quella di Tom.

Bill lo spinse – con riluttanza – lontano da sé.

‹‹Non ti ho dato il permesso di baciarmi.››

‹‹Non ho bisogno di alcun permesso per baciarti.›› ghignò Tom, spingendo Bill sul letto. Lui cadde all’indietro, atterrando con i gomiti sul materasso e con le gambe leggermente divaricate. Lo guardò con una smorfia.

‹‹Non ho alcuna intenzione di scoparti.››

‹‹E chi l’ha detto che sarai tu a scopare me, mio caro Bill? Credo che anche tu debba essere premiato una volta tanto.›› lo sguardo di Tom si fece sempre più inteso e penetrante. Gli occhi ambrati del rasta erano maledettamente persuasivi. Bill sapeva che, alla fine, avrebbe ceduto; ma, per adesso, voleva divertirsi a snobbarlo ancora un po’.

‹‹Non ho alcuna intenzione di essere scopato da uno sconosciuto, allora; che mi fa aspettare come un coglione e facendomi uno di quei mega bidoni mai visti prima d’ora. Quindi, Thomas, puoi girare i tacchi e andare a scopare qualcun altro. Non me, grazie.››

Tom ghignò ancora una volta e, lentamente, si avvicinò al piedi del letto sfiorando leggermente le cosce di Bill. Si trovava praticamente in mezzo ad esse.

‹‹Perché mi hai lasciato come un deficiente, oggi pomeriggio?›› Tom non rispose, si strinse nelle spalle e si accasciò accanto a Bill, spalmandosi completamente sul letto. Bill lo guardò accigliato. ‹‹No, fa pure come se fossi a casa tua, Thomas.››

‹‹La smetti di chiamarmi così?››

Bill si mise diritto sulla schiena e sorrise in maniera perfida ma, allo stesso tempo, divertita.

‹‹Così come, scusa? Thomas non è il tuo nome?››

‹‹Thomas lo usa mia madre quando è molto incazzata. 23 ore su 24 sono semplicemente Tom.›› il rasta chiuse gli occhi e, con un cenno della mano, invitò il biondo a distendersi accanto a lui. Così fece. Poggiò la testa sul cuscino che, in quel momento, stava dividendo con Tom. Il moro gli avvolse la spalla con il braccio destro dimodoché Bill potesse accoccolarsi. Prese a giocare con un suo rasta, guardandolo e ripassandoselo fra le dita affusolate. Anche Tom prese a giocare con i suoi capelli. Entrambi avevano uno sguardo perso nel vuoto. Nessuno osò proferir parola per quasi cinque minuti.

‹‹Scusami se non sono venuto, oggi. Mi sono addormentato.››

‹‹Vaffanculo. Pensavo di passare un bel pomeriggio in piscina visto che, l’ultima volta, stavamo quasi per morire annegati a causa della tempesta improvvisa.›› Bill si mise seduto sul letto e guardò Tom. Aveva le spalle leggermente ricurve e un’espressione cupa. ‹‹Oggi è l’ultimo giorno. L’ultimo, Tom.››

La sua voce risultò spezzata. Avrebbe voluto piangere come un bambino, ma non lo fece.

‹‹Non ho praticamente voglia di fare un cazzo. Voglio solo passare queste ultime ore con te e nessun altro, Bill. Non voglio andare a cena, non voglio andare in discoteca, non voglio andare da nessuna parte.››

‹‹E invece sì, Tom. Andremo a ballare in discoteca e ci divertiremo. Voglio avere un bel ricordo di questa esperienza. Non voglio passarla a deprimermi. Meno ci penso e meglio è.››

Si alzò dal letto e si diresse verso il bagno.

‹‹Ho voglia di farmi una doccia fredda. Voglio schiarirmi le idee.››

Tom lo fissò con un sorriso beffardo. Sapeva dove Bill volesse andare a parare.

‹‹Okay, Bill. Io ti aspetto qui allora.››

Bill gli lanciò un cuscino sulla faccia, poi una sua scarpa e un qualcos’altro che trovò a portata di mano.

‹‹Sai benissimo che voglio che tu venga con me, cretino!››

Tom scoppiò a ridere e gli rilanciò tutto ciò che, poco prima, Bill gli aveva gentilmente tirato addosso.

‹‹Lo sapevo già. Volevo solo sentirtelo dire.›› si alzò goffamente dal letto facendolo e si avvicinò a Bill in maniera molto cauta e, con dolcezza, gli cinse i fianchi, avvolgendogli le labbra in un lungo e romantico bacio.

‹‹Era un ‘Anche io?’›› chiese poi, distaccandosi leggermente, ma senza mai distogliere lo sguardo dal suo.

‹‹A cosa, Tom?››

Tom sorrise. ‹‹Nulla, lascia stare.›› e lo baciò un’altra volta.

*

La musica era tremendamente alta e, i ragazzi, si stavano divertendo come matti. Georg, Gustav, Andreas, Tom, Bill ed Heidi, stavano ballando, saltando e cantando in pista. Le luci stroboscopiche riflettevano ovunque, illuminando i loro volti e colorandoli di colori sgargianti.  Bill aveva i capelli completamente disordinati e, i dreads di Tom, saltellavano contemporaneamente e in maniera coordinata ai suoi movimenti.

‹‹SEI BELLISSIMO!›› urlò Tom, guardando Bill, cercando di sovrastare la musica; senza però riuscirci. Difatti, Bill lo guardò stralunato.

‹‹COME?›› gridò successivamente Bill, porgendo l’orecchio verso Tom.

‹‹HO DETTO CHE SEI BELLISSIMO.››

Questa volta Bill l’aveva capito. Sul suo volto si dipinse un meraviglioso sorriso. Mimò un ‘anche tu’ con le labbra e, successivamente, gli cinse le braccia al collo, baciandolo. Tom lo strinse al suo petto, inspirando forte il suo profumo.

‹‹Vuoi qualcosa da bere?›› disse Tom al suo orecchio, cercando di scandire al meglio le parole. Bill non capì. C’era troppo rumore.

Tom l’afferrò dolcemente dal polso e lo portò fuori dalla pista. Si avviò verso il bancone del bar e, con un gesto della mano, chiamò il cameriere.

‹‹Cosa vuoi ordinare, Bill? Offro io.›› gli fece cenno di sedersi sullo sgabello accanto a lui. Bill decise di restare in piedi e continuò a battere le mani sulle cosce a ritmo di musica, accompagnando i movimenti con la testa. Le labbra serrate.

‹‹Un Long Island›› disse Bill, gettando le braccia attorno al collo di Tom, mordicchiandogli piano la pelle morbida.

‹‹Facciamo due Long Island, allora.›› porse la tessera al barista, e questi pagò il conto.

I due drink arrivarono in meno di due minuti e, una volta saldato il conto, il cameriere porse nuovamente la tessera a Tom. Il rasta porse il bicchiere a Bill, che l’afferrò rapidamente e cominciò a succhiarlo dalla cannuccia. Tom restò a fissarlo qualche istante. Il pomo d’Adamo andava in su e in giù ogni volta che succhiava l’alcolico. Cominciò a sudare freddo. Gli ricordava tanto quando Bill aveva…

Okay Tom, meglio non ricordarselo proprio ora.

Si picchiò mentalmente e cercò di distogliere lo sguardo da quella fottutissima bomba sexy, e cominciò a bere il suo drink.

*

‹‹Ehi ragazzi, non riuscivamo più a trovarvi. Pensavamo vi foste imboscati a fare le porcherie.›› Georg si avvicinò ad entrambi i ragazzi, dando una pacca amichevole al rasta. Forse un po’ troppo forte per i suoi gusti.

‹‹Dio, Georg! Per poco non mi rovesciavi tutto il cazzo del bicchiere sul pantalone. E che diamine, fa un po’ di attenzione.›› posò il bicchiere sul tavolo.

‹‹Tom, io vado a ballare un altro po’, prima di tornare in camera. Sono già le…›› guardò il display del suo cellulare. ‹‹…Dio, sono già le due del mattino.›› scosse la testa e stampò un bacio sulle labbra di Tom.

‹‹Va bene. Io resto qui a bere con Georg e gli altri.›› sorrise amaramente, ma si sforzò di farlo sembrare il più sereno possibile. Lo seguì con lo sguardo fino a quando non si perse in pista, tra la folla. Rivolse nuovamente la sua attenzione al bancone ed ordinò un altro drink.

*

Stava giocherellando con il bordo del bicchiere di vetro, girandolo e rigirandolo tra le dita. Gustav ed Andreas erano seduti accanto a lui. Georg era ormai ubriaco fradicio, disteso sui divanetti della discoteca a farfugliare frasi insensate.

‹‹Tom? Devi darti una ripigliata.››

 Lo scosse leggermente Gustav, facendolo distogliere dai propri pensieri. Sobbalzò leggermente.

‹‹Non capisco a cosa tu ti stia riferendo.›› guardò il suo bicchiere ormai vuoto. Forse era il quinto cocktails, ma non si sentiva affatto ubriaco, né tanto meno brillo. Volevo solo affogare il suo dispiacere nell’alcol.

‹‹Sai benissimo a cosa mi riferisco, Tom.›› Gustav fece un cenno con il capo in direzione della pista. Tom guardò aldilà delle sue spalle, e vide Bill che ballava. Aveva gli occhi chiusi. La musica lo stava trasportando in un’altra dimensione. Che volesse anche lui distrarsi da quella situazione? Forse Bill lo faceva in una maniera differente da quella di Tom.

‹‹Devi capire che tu e quel ragazzo non avete alcun futuro. Non puoi mortificarti così. Non puoi rovinarti l’esistenza per un ragazzo che conosci d’appena una settimana. Domani sarà tutto finito e torneremo alla nostra vita di sempre…››

Tom inspirò dalle narici.

Piantala.

‹‹…è solo una cotta estiva, questa. Sono sicuro che poi passerà, non appena varcheremo la soglia di questa nave. Sì, non metto in dubbio che è stata una piacevole settimana, ma non puoi deprimerti per un tizio qualunque…››

Piantala, cazzo.

Tom cominciò ad inspirare e respirare pesantemente. Il pugno destro serrava il bicchiere di vetro.

‹‹…sono tuo amico. Voglio solo il tuo bene. Troverai sicuramente di meglio.››

Adesso basta.

‹‹Chiudi quella cazzo di bocca!››

Improvvisamente, Tom scattò dallo sgabello e, con balzo, si ritrovò addosso a Gustav. Cominciò a picchiarlo ripetutamente sulla faccia. Uno, due, tre pugni. Andreas e altri due ragazzi provarono a fermarlo.

‹‹Tu non hai idea di quello che ho passato io. Tu non potrai mai capire.›› un altro pugno in faccia. ‹‹…lasciatemi. Lasciatemi.›› Andreas lo afferrò da entrambe le braccia e lo trattenne.

‹‹Calmati! Respira, Tom.››

Tutta la gente in pista, incuriosita, si precipitò al bancone del bar. Bill non riusciva a vedere chi fosse in terra che gemeva dal dolore.

‹‹Lasciami in pace!›› si divincolò una seconda volta, riuscendosi a liberare dalla presa di Andreas. Uscì fuori sul ponte e, solo in quel momento, Bill lo riuscì a vedere, precipitandosi fuori anche lui.

*

‹‹Come sarebbe a dire che l’hai picchiato?››

‹‹Ho scaricato tutta la mia rabbia su di lui, Bill. Stavo vedendo nero. Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo.››

Era la seconda sigaretta che accendeva nell’arco di cinque minuti. Buttò il mozzicone in mare. Gli tremavano le mani. Si afferrò il capo e strinse forte i capelli.

‹‹Mi sembra di impazzire. Vorrei solo buttarmi in mare ed affogare, in questo momento.›› cominciò a singhiozzare. Bill si sentì morire. Aveva paura di avvicinarsi. Non sapeva come avrebbe reagito, se così avesse fatto; ma ascoltò il cuore e, cautamente, si avvicinò. L’abbracciò da dietro, facendo aderire perfettamente il suo petto contro l’ampia schiena del rasta. Il viso nell’incavo del suo collo.

‹‹Non dirlo nemmeno per scherzo, Tom.›› lo strinse ancora di più e, a quel punto, Tom si voltò verso di lui, fronteggiandolo. Lo guardò intensamente, perdendosi in quello sguardo che l’aveva fatto…

Dio…non puoi farmi questo.

‹‹Non credo di riuscire a sopportare questo addio, Bill. Non credo di essere abbastanza forte.›› la voce gli moriva in gola. ‹‹Non credo di riuscirci…›› pianse, poggiando la fronte sulla sballa del biondo. Bill lo strinse a sé, più forte che poteva. Il cuore che faceva male. Gli accarezzava i capelli, gli sussurrava dolci parole all’orecchio. Delle lacrime gli rigarono il viso. Non poteva finire così. Non poteva essere così maledettamente doloroso.

‹‹Ce la farai, Tom. Dobbiamo farcela entrambi. Ci terremo in contatto. Te lo prometto.›› un singhiozzo.

Tom lasciò sprofondare ancora di più il viso nel petto del ragazzo.

‹‹Non oso immaginare come starò domattina…›› sussurrò poi, provando ad alzare lo sguardo per poi rivolgerlo nuovamente verso Bill. ‹‹…lo sai qual è il vero problema, Bill?››

Il biondo scosse la testa, asciugandosi con l’indice le lacrime dagli occhi.

‹‹No, Tom. Qual è il problema?››

Prese a fissarlo ancor di più, come se volesse scavare all’interno della sua anima. Sebbene fosse un libro aperto per lui, c’era sempre qualcosa di nascosto e voleva assolutamente sapere cosa fosse. Lo guardò dritto negli occhi e, con la voce tremante e un po’ di timore, prese coraggio e lo disse.

‹‹Io credo di essermi innamorato di te, Bill.››

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


- Capitolo 18 -

 

Quando tornò in camera, erano ormai le 05:30 del mattino. Si lasciò cadere sul letto, e pianse tenendo stretto il suo cuscino dove, qualche giorno prima, Tom aveva lasciato il suo profumo. Lo inspirò a pieni polmoni, cercando di memorizzarlo il più possibile, dimodoché potesse ricordarselo per sempre.

Heidi e i suoi genitori, l’avevano sentito, fino ad addormentarsi per quel poco tempo, ma non dissero nulla. Sapevano benissimo che, se avessero provato a parlare, Bill avrebbe risposto male. Molto male. Sorvolarono, anche se, vedere il figlio in quelle condizioni, era molto doloroso.

*

‹‹Heidi, hai preso tutta la tua roba?›› Simone aveva due valigie nella mano destra, un borsone sulla spalla sinistra e uno a destra e un trolley nella mano sinistra.

‹‹Sì, mamma. Quante volte devo ripetertelo? È la seconda volta che me lo chiedi. Qui l’unico problema è come portare i bagagli di Bill fuori di qui. Occuperanno tutto il corridoio.››

Simone lasciò quei bagagli e cercò di aiutare la figlia a portare fuori le valige del fratello.

‹‹Quello stronzo. Solo perché è emotivamente distrutto, non vuol dire che io debba fare tutto il suo lavoro.›› affermò Heidi, con un cenno di sforzo nella voce. Provò a tirar fuori l’enorme valigia di Louis Vuitton da sotto il letto.

‹‹Quella valigia vale più di tutto il mio e il tuo guardaroba messo assieme. Se vai a graffiarla solo un po’, sappi che Bill potrebbe ucciderti molto dolorosamente.›› avvertì Simone, cercando di aiutare la figlia a non combinare nulla.

‹‹Papà poteva anche darci una mano a sistemare la roba, invece di andare beatamente a fare colazione. Non è possibile che tutto il duro lavoro dobbiamo farlo io e te.››

‹‹Siamo le donne di casa, figlia mia. Non puoi dare agli uomini un lavoro che solo una donna può fare.››

‹‹Ma puoi dare ad una donna, il lavoro che può fare un uomo.››

‹‹Questo è vero.›› Sorrise Simone, riuscendo finalmente a togliere la vaglia da sotto il letto. ‹‹Bene, adesso ne mancano solo altre sei.››

*

‹‹Non mangi?›› chiese Gordon, addentando per l’ultima volta quella fantastica brioche che, sicuramente, non avrebbe mai più mangiando in tutta la sua vita. Della crema gli sporcò leggermente l’angolo della bocca. Lo leccò con poca grazia.

Bill non rispose. Portava gli occhiali da sole, nonostante quella mattina, il tempo sembrava essere alquanto minaccioso. Non c’era nemmeno uno spiraglio di luce. Le nuvole erano grigie, dense, e molto compatte fra loro. Un forte odore di pioggia, inebriava l’aria.

Erano ancora in navigazione ma, nel giro di un’ora, sarebbero arrivati a Venezia. Erano già in territorio italiano da quasi due ore. Guardò il uso telefono. Il campo era ancora completamente assente. Stava pensando a Sarah. L’aveva sentita davvero pochissimo. Gli aveva promesso che, al suo ritorno, le avrebbe raccontato tutto. Forse però, ora non aveva più tutta questa voglia di farlo.

‹‹No. Non ho fame.››

Continuava a guardare verso il mare. Le sue guance erano bagnate. Ogni tanto tirava su col naso, asciugandoselo con un fazzolettino ormai del tutto sporco di lacrime.

‹‹È per quel ragazzo, non è vero?››

Disse poi di punto in bianco Gordon, mandando giù l’ultimo boccone di brioche. Bill si girò di scatto e, inaspettatamente, mise gli occhiali sulla fronte. Gordon poté notare i suoi occhi gonfi e rossi, ancora pieni di lacrime.

‹‹No ne voglio parlare okay? Lasciami in pace.›› quasi urlò, alzandosi di scatto dalla panca. Attirò l’attenzione di un paio di francesi che si erano appena seduti al tavolo dietro il loro.

Lasciò Gordon da solo. Spiazzato.

*

‹‹Abbiamo sistemato tutte le valigie fuori dall’ingresso. C’è da dire che, quelle di Bill, hanno occupato gran parte del corridoio. A proposito, non è con te?›› disse Simone, sedendosi accanto al marito. Prese del pane e della marmellata di albicocche, un po’ di burro e del succo di prugna. Iniziò ad imburrare la fetta di toast.

‹‹È corso via quasi dieci minuti fa. Non so dove sia.››

‹‹Povero piccolo. È davvero distrutto. A pensare che non voleva venire, inizialmente.››

‹‹Non credo che la supererà facilmente questa cosa.››

‹‹Conoscendo Bill…››

*

Era sul divano della sala d’accoglienza dove, una settimana prima, era giunto lì per la prima volta. Guardava a destra e a sinistra, nella speranza di poterlo trovare.

Quella stessa notte, dopo che Tom gli aveva confessato che si era innamorato di lui, era scoppiato a piangere. Gli aveva gettato le braccia attorno al collo e gli aveva detto che, molto probabilmente, anche lui provava la stessa cosa. Lo strinse più forte che poté, quasi a toglierli il fiato. Lo supplicò di non andarsene ma, entrambi, sapevano che non poteva accadere una cosa del genere. Videro l’alba sul ponte, insieme, abbracciati, dopo aver fatto l’amore nell’uovo di vimini. Era un posto intimo, tranquillo e assolutamente inesplorato. Raramente salivano lì sopra.

Sarà il nostro posto.

Sì. Il nostro.

Aveva detto Tom. Entrambi, avrebbero voluto che, quel bellissimo momento, non fosse mai finito. Avrebbero voluto che durasse in eterno. Il vento fresco che scompigliava loro i capelli; il leggero albeggiare del sole, sul loro viso; il profumo fresco e pungente del mare. Era davvero una favola quella che stavano vivendo? Con la sola differenza però, che non c’era un lieto fine.

Presto Tom, avrebbe preso un aereo per andare in America; lui, un autobus che lo avrebbe condotto all’aeroporto di Verona, diretto a Berlino.

Tom non c’era. Lo stava aspettando da quasi un’ora. Ma non lo vide arrivare. Non aveva chiuso occhio tutta la notte e, il sonno, cominciava a farsi sentire; e proprio quando decise di distendersi per l’ultima volta su quel divano, lo vide arrivare.

Gli si illuminarono gli occhi e, con uno scatto, balzò in piedi, dirigendosi verso di lui. Gli saltò addosso.

‹‹Temevi che non venissi più?››

‹‹Ad un certo punto l’ho pensato, sai?››

‹‹E non venivo a salutarti?››

Non rispose. Lo prese per mano.

‹‹Mi sono addormentato. Non ho chiuso occhio da quando siamo tornati in camera.››

‹‹Io ho dormito un’ora, forse.›› disse Bill sorridendo, seppure in maniera triste. Si lasciò trasportare.

‹‹Ho dimenticato una cosa in camera. Sali con me. Io tra venti minuti dovrò sbarcare. Il mio aereo parte fra due ore. Siamo già parecchio in ritardo.››

Bill non disse nulla. Lasciò che Tom lo trascinasse con sé verso la sua cabina. Ancora un volta. Per un’ultima volta. Si misero a correre per tutto il corridoio della nave. Passarono per il ponte. Quel ponte. Era come se non fosse successo assolutamente nulla. Tutto era al proprio posto. L’alluvione non c’era mai stata prima.

Salirono dieci piani a piedi, correndo. Quando arrivarono al loro deck, erano stremati e con il fiatone. Bill lasciò la mano del ragazzo e le poggiò entrambe sulle ginocchia, piegandosi leggermente per cercare di riprendere fiato.  

‹‹Giuro…che…se mi hai fatto…salire…inutilmente…ooouufff…ti uccido.›› disse quasi senza fiato, respirando molto lentamente per riprendere aria. Tom non aveva abbastanza fiato per rispondere. Non disse nulla e baciò con un sorriso sul volto il ragazzo biondo.

‹‹Hanno già portato via le mie valigie…›› disse poi lui. Bill dette una fugace occhiata un po’ più infondo al corridoio. Anche le sue valigie non c’erano più.

‹‹Anche le mie…››

Volse nuovamente lo sguardo verso Tom, notando i suoi occhi leggermente velati.

No, non può piangere un’altra volta.

‹‹Tom, ti prego…››

‹‹È davvero finita, quindi?›› Bill non rispose, e attese che Tom aprisse per l’ultima volta la porta della sua cabina. ‹‹Tu aspettami qui. Torno fra un secondo.›› così fece. Bill attese qualche minuto sull’uscio della porta, prima di vedere comparire nuovamente Tom con una fialetta in mano.

Bill la guardò stranito. Cosa poteva essere? Tom lo precedette, rispondendo immediatamente alla domanda che Bill stava sicuramente per porgli.

‹‹È il campioncino del profumo che uso io. Lo porto sempre in borsa con me.›› lo porse al biondo senza indugiare ancora. ‹‹Ah, quasi dimenticavo. Questa è una lettera che ti ho scritto. Devi promettermi che non l’aprirai.›› Il rasta porse entrambe i regali al biondo che, perplesso, afferrò.

‹‹Ma…non capisco. Perché non dovrei leggere la tua lettera?››

‹‹La leggerai quando sarà il momento giusto.››

‹‹Ed io come farò a sapere quando sarà il momento giusto, Tom?›› Tom non rispose. Sorrise e gli baciò le labbra.

‹‹Questo è tuo. Voglio regalarlo a te. Vorrei che ti ricordassi di me, quando un giorno ti sentirai solo. Voglio che non ti dimentichi del mio profumo. In un modo o nell’altro, sarò sempre accanto a te.›› la sua voce era rauca, spezzata, cupa. Gli accarezzò una guancia, delicatamente. ‹‹Non importa quanto lontani saremo; non importa quanto tempo passerà prima di rincontrarci; ma ricordati…non sarà l’oceano a separarmi da te. Tornerò a prenderti, Bill. Mi hai capito?›› afferrò il suo viso con entrambe le mani, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. ‹‹Questa è una promessa. Io tornerò da te.›› lo baciò con così tanta forza che a Bill, quasi gli fece male. Era finita. Era finita per davvero.

Bill avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto gridare tanto era il dolore che stava provando. Aveva trovato una persona che, molto probabilmente, lo avrebbe amato per il resto dei suoi giorni. Perché doveva andare a finire proprio così? In questa maniera? Perché dovevano lasciarsi?

Restarono abbracciati lì, in quel corridoio, per un tempo quasi indefinito. Bill inspirò a pieni polmoni il suo profumo, affondando il viso nell’incavo del suo collo.

‹‹Non dimenticarmi…›› disse poi flebilmente lui, staccandosi controvoglia da quell’abbraccio così intenso. Avrebbe voluto non farlo mai. Frugò nella propria tasca, in cerca di qualcosa da poter regalare a Tom. Qualcosa di molto intimo e personale. Non aveva assolutamente nulla. D’un tratto però, si guardò le mani. Aveva un anello in acciaio, a fascia larga, con scritto il suo nome. Lo regalò suo nonno al compimento dei suoi diciotto anni. Era una cosa molto importante per lui, e avrebbe voluto che Tom l’avesse.

‹‹Tieni, questo è tuo.›› sfilò l’anello dal medio e lo porse al rasta. ‹‹Questo lo affido a te. Me lo ridarai quando tornerai da me.››

‹‹No, Bill. Io…io non posso accettarlo.›› provò a restituirlo, ma Bill oppose resistenza.

‹‹È solo un prestito. Sarà tuo fin quando non ci rivedremo. È una promessa questa.››

‹‹…non sai nemmeno se sarà così, Bill. Potrai perdere quest’anello per sempre.››

‹‹Se così fosse, saprò che è in buone mani, e tu avrai un ricordo di me. E comunque, mi hai appena detto che ci rincontreremo, che tornerai a prendermi. Stai per caso mentendomi?››

Il rasta scosse il capo.

‹‹No, Bill. Non ti ho mentito. Io lo voglio, e ci credo non tutto il cuore. Ma non si sa quando accadrà una cosa del genere.››

Un altro abbraccio; un altro forte ed intenso abbraccio. Era giunta l’ora. Dovevano salutarsi. Nessuno dei voleva staccarsi dall’altro.

‹‹Ti aspetterò, Tom. Ti prometto che lo farò.›› Prima di salutarlo però, stava dimenticando la cosa più importante: il suo numero di cellulare e il suo contatto facebook. ‹‹Tieni Tom, questo è il mio numero e il mio facebook. Metterò tutte le foto che abbiamo fatto; accettami, così ti taggo.›› Bill porse il bigliettino a Tom.

‹‹Va bene, splendore.›› sussurrò il rasta, baciandolo ancora una volta.

D’un tratto apparve Gustav, affannato.

‹‹Ti ho cercato ovunque. Si può sapere che fine hai fatto? Tocca a noi, Tom. Dobbiamo andare.››

Tom non lo ascoltò. Restò nella stessa posizione in cui era pochi attimi fa. Cominciò a sussultare piano. Baciò dolcemente la fronte di Bill, il collo, l’orecchio, lo strinse ancora più forte e, inaspettatamente, gli sussurrò:

‹‹…ti amo!›› si allontanò di scatto e, prima che il biondo potesse reagire, prese a correre verso l’amico, lasciando Bill così, attonito e con la vista appannata. Improvvisamente la testa cominciò a girargli. Aveva sentito bene?

‹‹…Tom…›› bisbigliò nel vuoto ma, quando tornò in sé, era ormai troppo tardi. Tom era già andato via.

*

Aveva la testa poggiata sul finestrino, questa volta non gli importavano tutte le botte che stava prendendo. Il dolore era ben altro. Da quando aveva lasciato la nave, non aveva proferito parola con nessuno. Non aveva avuto nemmeno il pensiero di chiamare la sua migliore amica Sarah. In quel momento, non aveva voglia di fare assolutamente nulla, né tanto meno avere un contatto con qualcuno. Voleva solo tornare indietro da lui. Provò a chiudere gli occhi almeno fin quando non sarebbero giunti all’aeroporto; anche se questo, non avrebbe fatto altro che male. Chiudendo gli occhi, le immagini di Tom scorrevano rapide, innumerevoli, e questo gli faceva ancor più male di quanto avesse immaginato. L’addio, era stato più difficile del previsto, e la lontananza, sarebbe stata ancor peggio.  

*

‹‹Bill, non parli da quando ce ne siamo andati…›› disse Simone, mentre sistemava il suo bagaglio nello stipetto dell’aereo.

Il biondo non rispose. Aveva le cuffiette nelle orecchie e lo sguardo rivolto al finestrino.

‹‹Lascialo stare, tesoro, non sarà stato facile per lui salutare quel ragazzo.›› si intromise Gordon, aiutando la moglie a sistemare i bagagli. ‹‹Vedrai che gli passerà.››

Gordon si sbagliava. Si sbagliava di grosso. Non aveva la minima idea di cosa Tom, gli avesse fatto provare in una sola settimana. Poteva sembrare strano, ma era così dannatamente semplice.

No. Non sarebbe passata facilmente, anzi, non sarebbe passata affatto.

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


- Capitolo 19 -

 

Due giorni dopo

‹‹Sapevo che ti saresti divertito, Bill. Ne ero troppo sicura.›› disse Sarah, sorseggiando il suo frappè alla nocciola. Il biondo provò a sorridere per non far notare alla sua migliore amica quanto stesse soffrendo. Da quando era tornato a casa, non aveva avuto alcun messaggio da Tom, né tanto meno accettato la richiesta d’amicizia. Si era volatilizzato nel nulla.

Forse è meglio così.

‹‹Mi sei mancato un sacco, Bill.›› lo baciò affettuosamente sulla guancia lasciandogliela leggermente appiccicosa di gelato. Lui sorrise nuovamente.

‹‹Sì, è stato strano non averti lì con me. Potevi venire.›› tirò un morso alla sua brioche integrale e della crema di riso fuoriuscì, sporcandogli leggermente gli angoli della bocca.

‹‹Sai benissimo che sarei venuta, ma Kristoff non aveva ferie e quindi non potevo lasciarlo solo. Spero che ci sarà una prossima volta, così verremo anche noi.›› si interruppe, dando un ultimo e lungo sorso al suo frappè ormai finito. ‹‹A proposito, ma questo Tom ti ha contattato?››

Bill tirò un lungo e faticoso sospiro. Scosse il capo.

‹‹Questa cosa mi sta uccidendo. Si è volatilizzato nel nulla.›› provò a trattenere le lacrime. Tirò su con il naso e se lo stropicciò. Sarah sapeva che quando Bill si stropicciava il naso, stava quasi per piangere.

‹‹Oh tesoro, vedrai che molto probabilmente avrà da fare. Ti contatterà presto. Forse deve rinnovare la promozione, o forse non ha soldi sul cellulare…››

‹‹…o semplicemente non vuole più sentirmi e tutto ciò che mi ha detto sono state un mucchio di puttanate solo per fottermi come una puttana.››

Bill allontanò bruscamente la mano della sua migliore amica dalla sua spalla e si voltò dall’altro lato dandole. Sarah lo conosceva fin troppo bene. Bill stava davvero male per quel ragazzo e vederlo così le faceva davvero male.

‹‹Non dire queste cose, Bill. Sai benissimo che non è così. Insomma, mi hai detto un sacco di cose belle sul suo conto, non credo proprio che abbia finto per una settimana solo per portarti a letto.››

Bill sapeva che non era affatto così. Tom non stava mentendo. Non aveva mai mentito. Perché allora era completamente sparito dalla circolazione?

‹‹Non lo so, Sarah. So solo che sto soffrendo come un cane.››

‹‹Lo so, Bill. Lo so. Facciamo così, appena torno a casa lo cerco su facebook e lo aggiungo. Vediamo se accetta me, okay?›› cercò in tutti i modi di sollevare il morale del suo migliore amico e quella, le sembrava la soluzione più plausibile e valida. Sì, avrebbe fatto così.

Bill non disse niente, annuì contento e si asciugò una lacrima prima che cadesse sulla guancia.

*

‘Gli ho mandato la richiesta di amicizia, ma pare non si connetta da una decina di giorni. Quindi non fare la checca paranoica e aspetta. Il messaggio te lo manderà. Ti voglio bene, checca :*’

A quel messaggio sorrise. Si sentì davvero molto più sollevato e l’umore era leggermente salito. Sarah aveva la capacità di tirar su le persone, forse era anche questo uno dei cinquemila motivi per cui era la sua migliore amica.

‘Grazie. Sai sempre come migliorare le mie giornate. Ti voglio bene anche io, bestiolina.’

Inviò il messaggio con un sorriso malinconico e tornò a fissare il soffitto. Aveva le mani incrociate sul proprio grembo e stava fantasticando. Era come se le immagini presenti nella sua mente venissero proiettate sulla parete bianca della propria stanza ed era come se stesse assistendo ad un film dove lui e Tom padroneggiavano. Ricordava ogni cosa, ogni singolo particolare di quella magnifica vacanza, anche l’alluvione, il vento, la paura di morire. Tutto.

Si mise seduto composto non appena bussarono alla porta.

‹‹Avanti.›› bisbigliò poi, prendendo il suo portatile e mettendolo sulle ginocchia. Controllò nuovamente se Tom avesse accettato la sua richiesta d’amicizia. No. Non l’aveva fatto.

‹‹La cena è pronta, Bill. Scendi.›› disse Heidi aprendo leggermente la porta.

‹‹Non ho fame.›› Non la guardò nemmeno negli occhi. Restò a fissare la pagina del suo facebook.

‹‹Bill, è da quando siamo tornati che non mangi qualcosa. Non puoi morire di fame.››

‹‹Ho mangiato una brioche integrale stamattina assieme a Sarah. Mi basta quella.›› proseguì Bill senza staccare lo sguardo dal monitor. In realtà non stava guardando davvero qualcosa, non voleva semplicemente prestare attenzione a cosa Heidi gli stesse dicendo. Non aveva voglia di mangiare, né di uscire, né di fare altro. Voleva solo che Tom lo contattasse o accettasse la sua richiesta su facebook.

‹‹Bill, cosa devi fare con una delle tue brioche integrali del cazzo? Non puoi comportarti come un bambino. Insomma, ce ne sono tantissimi ragazzi qui a Berlino, non puoi aver perso completamente la testa per un americano che non rivedrai mai più.›› la voce di Heidi si alzò leggermente e, a quel punto, Bill perse la pazienza.

Chiuse violentemente il portatile e lo gettò lontano dalle sue gambe.

‹‹Ma si può sapere cosa cazzo volete tutti quanti? Lasciatemi in pace, okay? Voglio stare da solo e non voglio mangiare un cazzo di niente. Voglio semplicemente che ve ne andiate tutti a fanculo e mi ignoriate completamente. Sono stato abbastanza chiaro adesso?›› era in piedi, il più lontano possibile dalla sorella che, nel frattempo, era entrata in camera. Restò immobile ed impassibile all’inaspettata reazione che ebbe il fratello. Possibile che quel ragazzo l’avesse sconvolto così tanto?

‹‹Va bene, Bill. Fa come cazzo credi. Basta che non muori di fame, perché non ho alcuna intenzione di trovarti morto stecchito nel letto. Vaffanculo!›› ed uscì sbattendo violentemente la porta.

‹‹Vaffanculo!›› urlò Bill da dietro, tirando un forte calcio alla scrivania. Si fece parecchio male, ma in quel momento il dolore era l’ultimo dei suoi pensieri. Voleva sfogarsi; aveva bisogno di scaricare la rabbia ed il nervoso in qualche modo. Aveva la soluzione: il suo vecchio sacco da box.

Aprì le ante dell’armadio ed iniziò a rovistare fra le sue vecchie robe da pugilato. Trovò immediatamente le fasciature. Erano leggermente ingiallite e malconce. Avvolse la prima fasciatura e successivamente l’altra.

‹‹Ho bisogno di scaricare. Devo farlo.›› disse mentre sistemava la roba che aveva gettato sul pavimento.

Uscì rapidamente dalla sua stanza e si diresse in cantina dove, anni addietro, Simone aveva messo il suo sacco da box. Era davvero tanto tempo che non si allenava e, vedere il sacco ormai logoro, gli suscitò una strana sensazione allo stomaco. Lo fronteggiò qualche secondo prima di iniziare a colpirlo una volta, poi due, e ancora e ancora.

Aveva bisogno di scaricare tutta la frustrazione e la rabbia. Perché Tom non lo stava contattando? Perché era sparito nel nulla?

‹‹Vaffanculo, Tom. Vaffanculo.›› gridò, tirando un forte pugno sul sacco. ‹‹Sei uno stronzo. Un fottuto pezzo di merda.›› un altro pugno. ‹‹Mi hai illuso. Mi hai preso per il culo. Mi hai detto che mi amavi.›› un pugno ancora più forte. Un destro, un sinistro, ancora un gancio destro e un altro sinistro. ‹‹Ti odio!›› l’ultimo pugno fu il più forte.

Quando finì, aveva il respiro pensante e le nocche insanguinate. Si guardò le mani e notò che le fasciature si erano intrise di sangue. Non faceva male, non ancora almeno ma presto l’avrebbe fatto eccome.

*

Tornò in cucina e frugò fra la cassetta del pronto soccorso. Heidi era sul divano in salotto e faceva zapping fra i canali.

‹‹Dove diavolo sono le garze?›› disse Bill afferrando il disinfettante. Ora il bruciore cominciava a farsi sentire. ‹‹Heidi, le hai viste?››

‹‹Visto cosa?›› disse lei distaccatamente. ‹‹Non so di cosa tu stia parlando.››

‹‹Le garze mediche. Dove le tiene la mamma?››

‹‹Non lo so. No ne ho bisogno in questo momento.››

Bill sbuffò e smise di cercare. Volse lo sguardo alla sue spalle, dove Heidi era seduta. Gli dava le spalle anche lei. ‹‹Ma ne ho bisogno io.››

‹‹Non mi interessa di cosa tu abbia bisogno. Hai detto che dobbiamo ignorarti. Quindi ti sto ignorando… anzi…›› si girò verso il fratello e gli fece un’occhiataccia. ‹‹Ti ho anche parlato troppo.›› lo fulminò con lo sguardo e tornò a fare zapping fra i canali. Lasciò ad un canale di cucina.

Bill sbuffò di nuovo e senza che la sorella se ne accorgesse, si piazzò davanti il televisore, lo spense e prima che Heidi potesse dire o fare altro, con un gesto lesto le sfilò via il telecomando dalle mani e lo posò sulla parete attrezzata.

‹‹Senti okay, mi dispiace essermi comportato come un bambino. Non dovevo rivolgermi così con te.››

Heidi lo guardò dall’alto verso il basso ed incrociò le braccia al petto.

‹‹Dici così solo perché non sai dove mamma ha messo le garze ed hai bisogno del mio aiuto. Se le avessi trovate, a quest’ora continuavi ad ignorarmi come se fossi un cazzo di fantasma o una cazzo di estranea.›› disse lei acidamente volgendo lo sguardo verso un qualcosa che nemmeno lei sapeva. Bill sospirò seriamente dispiaciuto.

‹‹Senti Heidi, mi dispiace davvero. Giuro.››

‹‹Resta comunque il fatto che mi hai trattato come una pezza da piedi. Dimmi adesso…›› voltò nuovamente lo sguardo verso il fratello, puntandolo. ‹‹Ti sembro per caso una tipa a cui ci si può rivolgere nella maniera in cui ti sei rivolto prima? No di certo. Questa non te la lascio passare caro il mio Wilhelm Kaulitz›› si alzò dal divano e si diresse verso il bagno, senza dir nulla.

‹‹Ti ho chiesto scusa, Heidi. Mi dispiace. Mettiti nei miei panni. Sono stato preso per l’ennesima volta per il culo.›› Bill sentiva le lacrime avvicinarsi. Poteva piangere un’altra volta? Stava diventano un frignone forse? ‹‹Io mi sento uno stupido, ti giuro. Mi sento un emerito coglione. Possibile che sia così tanto sfigato?›› si avvicinò alla porta del bagno e si appoggiò sulla stipite. Bussò piano una prima volta. ‹‹Heidi, davvero mi dispiace. Non avrei dovuto risponderti in quella maniera.›› bussò di nuovo. ‹‹Aprimi e parliamo bene.›› bussò ancora e ancora. ‹‹Per favore Heidi…››

Solo quando bussò una decima volta la porta si aprì di scatto, facendolo sobbalzare. Heidi era in piedi davanti a lui e provava ad essere quanto più seria possibile ma, inevitabilmente, scoppiò a ridere.

‹‹Ti diverte così tanto vedermi in queste condizioni pietose?››

‹‹Sì. Prostrarti ai miei piedi mi rende la persona più felice al mondo.›› lo guardò con occhi compassionevoli. Per quanto suo fratello potesse essere stronzo alle volte, gli volevo ugualmente un bene dell’anima e si sarebbe gettata fra le fiamme per lui.

‹‹Tieni sfigato, queste sono le tue garze. Vacci piano con il sacco la prossima volta.››

‹‹Signorsì.›› disse poi Bill con il capo chino. Afferrò le garze e andò per allontanarsi quando si sentì afferrare per il polso.

‹‹Vieni, ti medico io.››

*

Simone e Gordon rientrarono la sera da lavoro. Né Bill e né Heidi erano in casa.

‹‹Tu non hai idea di quanto mi manchi essere servita e riverita, amore.›› Simone poggiò le chiavi di casa sul comò dell’ingresso e si asciugò la fronte con il dorso della mano.

‹‹Oggi a lavoro mi sono distrutta. Tornare dopo una settimana è stato letteralmente traumatico.›› continuò poi, lasciando la propria borsa sul tavolo della cucina.

‹‹Non dirlo a me, cara. Pare che oggi tutti quanti volessero prendere un’auto.››

Gordon posò la sua ventiquattrore sul divano e diede una fugace occhiata se tutti i documenti fossero in ordine o correttamente compilati.

‹‹Bill mi ha mandato un messaggio. Lui e Heidi sono usciti con Sarah e il fidanzato.››

‘Oggi non torniamo per cena. Siamo usciti con Sarah e Kristoff. Un bacio.’

‘Okay! Mi raccomando. Mangia e non farmi stare in pensiero. La mamma ti vuole bene’

*

‹‹Io prendo una Schweppes al limone.›› disse Bill mentre sgranocchiava delle olive verdi denocciolate.

‹‹Sei il solito astemio, Bill. Alza un po’ il gomito ogni tanto, no?›› Kristoff bevve il suo secondo cicchetto. Sarah e Heidi, si erano limitate anche loro ad un’acqua tonica.

‹‹No Kristoff. Stasera no. Non mi va di bere. Poi sono appena le otto. Non mi va affatto.››

In realtà aveva voglia di bere, eccome, ma il solo pensiero di ordinare una vodka gli faceva tornare in mente lui…Tom.

Quel grandissimo stronzo.

Pensò poi, mentre continuava a divorarsi le olive. Non aveva toccato cibo dalla mattina e inevitabilmente, il suo stomaco cominciava a brontolare.

‹‹Bill, se continui a mangiare così tante olive, potresti diventare un frantoio. Se hai fame possiamo ordinare una pizza.››

Bill non rispose. Annuì e basta. Heidi sorrise e con un gesto della mano, chiamò il cameriere.

‹‹Volete ordinare qualcosa?›› il cameriere si affrettò ad arrivare e afferrò il suo taccuino tecnologico attendendo l’ordine.

‹‹Sì, una ruota diavola e capricciosa, grazie.›› prese nota e andò via. Erano tutti d’accordo su quella scelta.

*

Bill addentò con voracità il suo trancio di pizza capricciosa. Non mangiava una pizza dall’epoca della preistoria e le sue papille gustative stavano festeggiando.

‹‹Mmh…›› mugugnò di piacere. ‹‹Mi ero dimenticato di quanto diamine fosse buona la pizza che fanno qui. Questo pub resterà sempre il migliore di Berlino.›› tutti annuirono all’unisono.

‹‹La pizza è uno dei cibi più buoni a questo mondo, che è diverso.›› aggiunse Sarah, sminuzzando il suo trancio di pizza.

Tutti la guardarono stralunati.

‹‹Cosa volete? Io mangio la pizza in questo modo.›› risero all’unisono con i bocconi ancora pieni, Bill quasi si strozzò tanto stava ridendo. ‹‹Non mangio come un animale, a differenza vostra. Io ho classe.›› aggiunse poi lei pavoneggiandosi e toccandosi con eleganza i suoi capelli.

Era la prima volta che rideva dopo essere tornato dalla crociera. D’un tratto però prese a squillare il suo telefono. C’era molto baccano e ovviamente non poteva urlare per farsi sentire.

‹‹Scusate, mi squilla il telefono. Deve essere mamma.›› disse poi, ancora con il boccone pieno. ‹‹Mi allontano un attimo.›› deglutì e facendo stridere leggermente la sedia, si diresse verso il bagno dimodoché potesse sentire meglio.

1 chiamata persa – numero non salvato.

Bill avvicinò il display così da poter vedere meglio quel numero che, apparentemente, non aveva salvato. Il suo cuore perse un battito. Non era sua madre. Né Gordon.

Tom. Può essere lui. No, non può esserlo. Il numero è tedesco.

Pigiò il tasto richiama e attese che dall’altra parte rispondessero. I battiti erano accelerati. E se fosse stato davvero lui? E se gli avesse raccontato una marea di stronzate e lui in realtà era tedesco proprio come lui?

Smettila Bill. Smettila di fantasticare come una ragazzina.

Il telefono squillò tre volte e, al quarto, risposero.

‘Pronto?’

‹‹Tom? Sei tu?›› l’istinto di Bill prevalse. Non chiese nemmeno chi ci fosse dall’altra parte. Diede per scontato che fosse lui.

‘Non mi riconosci nemmeno più?’

La linea era disturbata e Bill non riusciva a capire bene chi fosse. La voce gracchiava e nonostante fosse in bagno – il luogo meno rumoroso del pub – non riusciva sentire.

‹‹Pronto? Non riesco a sentirti. Chi sei?›› si tappò un orecchio con la mano libera e si chiuse in una delle cinque cabine presenti nel bagno.

‘Mi manchi un sacco, Bill. Mi manchi troppo.’

Ora riusciva a sentire meglio. La voce non gracchiava più.

‹‹Scusami, non ho il tuo numero. Chi sei?››

Dall’altra parte non ci fu risposa. Solo un lungo sospiro.

‹‹Pronto?››

‘Bill, sono io. Georg. Chi è questo Tom?’

Silenzio.

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


- Capitolo 20 -

 

‹‹Georg? Come cazzo hai fatto ad avere il mio numero? L’ho cambiato quando ci siamo lasciati.››

‘Ho anche io le mie conoscenze, Bill. Tranquillo, non voglio fare tanti giri di parole. Voglio solo che tu mi ascolti.’

‹‹Georg, forse non ci siamo proprio capiti. È finita secoli fa fra me e te. Non voglio avere nulla a che fare con le tue stronzate. Ho già i miei problemi.››

‘Tutti abbiamo dei problemi, Bill. Ti sto solo chiedendo di prestare ascolto a quanto sto per dirti. Non voglio provare né a riconquistarti, né a elemosinare il tuo amore.’

Bill sbuffò. Avrebbe voluto incenerire quel fottuto cellulare. Se avesse avuto il potere dell’autocombustione, di scuro il suo cellulare sarebbe stato in fiamme. Ad ogni modo, seppure svogliatamente, decise di ascoltarlo.

‹‹Dimmi quello che hai da dire. Fa in fretta perché sono chiuso in un cesso puzzolente di un pub e i miei amici e mia sorella mi stanno aspettando.››

‘Oh, Heidi. Come sta?’

‹‹Georg, non farmi riattaccare e a spegnere il cellulare. Sputa il rospo.››

Dall’altra parte non ci fu risposta per pochi secondi e Bill cominciò a spazientirsi.

‹‹Senti, Georg, mi stai facendo perdere solo tempo…››

‘Sto morendo, Bill.’

Calò nuovamente il silenzio. Bill rimase immobile e con la bocca aperta. Provò a dire qualcosa ma riuscì solo a proferire dei suoni muti. Aveva sentito bene?

‹‹Non prendermi per il culo, idiota. Cosa cazzo vuoi?››

‘Non sto scherzando, Bill. Non mi permetterei mai su queste cose.’

Il suo cuore cominciò a battere più forte, inaspettatamente. Georg non stava scherzando. Era vero.

‹‹In-in che senso, Georg? Cosa vuol dire che stai morendo?››

Dall’altra parte ci fu una risata sarcastica a tal punto che Bill pensò nuovamente che lo stesse prendendo in giro. Se così fosse stato, era davvero un viscido.

‘Bill, cosa vuol dire: in che senso stai morendo? Mi hanno trovato un tumore, qualche mese fa ai polmoni. I medici mi hanno dato più o meno due o tre mesi di vita. L’ho presa con filosofia. Sapevo che, fumando come un turco, mi sarei ridotto in questo modo. Mi sono ucciso con le mie mani. Avere un tumore terminale, non è poi la fine del mondo.’

‹‹Tu sei davvero fuori di testa, Georg.››

Bill venne invaso da un forte e spesso nodo alla gola e lo stomaco prese a contorcersi. Seppure lo odiasse, sebbene l’avesse fatto soffrire tantissimo, restava pur sempre una persona a lui vicina.

‘Sì, lo so. Lo sono sempre stato. Ho perso la persona che amavo di più al mondo, per colpa della mia testa di cazzo.’

Sospirò poi. A Bill parve stesse per piangere.

‹‹E chi sarebbe?›› la risposta era scontata. La sapeva benissimo.

‘Non farmi rispondere, Bill. Lo sai già. Comunque so che è finita, ora più che mai; ma posso chiederti un’ultima cosa? Il mio ultimo desiderio?’

Bill ci pensò qualche istante. Non sapeva cosa rispondere o, per lo meno, non sapeva proprio se rispondergli o meno.

‹‹Dipende, Georg. Dipendo tutto da cosa tu voglia.››

‘Voglio vederti, Bill. Un’ultima volta. Voglio chiederti scusa per quello che ho fatto in passato e per come mi sono comportato. Da quel giorno, ti giuro, non ho più amato nessuno come ho amato te. Ho avuto solo avventure fra ragazze e ragazzi. Ho provato ad avere una relazione seria, con Agata, l’istruttrice della piscina, ma senza esisti positivi. Tu sei stato l’unica persona al mondo che abbia mai amato in tutta la vita…’

Georg scoppiò in lacrime e in quel momento, Bill si sentì tremendamente dispiaciuto. Forse era davvero pentito per tutto quello che gli aveva fatto passare; forse era davvero lui l’unica persona che avesse mai amato. Restava il fatto però, che l’avesse tradito spudoratamente.

‹‹Non frignare come un bambino. Le tue parole mi colpiscono, ma sai benissimo quanto male mi hai fatto e che per colpa tua, non ho avuto più una vita per molto tempo››

‘Sì, Bill. Lo so, lo so.’

‹‹Quindi okay. Ci vedremo domani a casa tua. Vengo per le cinque del pomeriggio. Così saluto anche tua madre.››

‘Grazie Bill. Davvero. Ti prometto che sarà breve la visita. Ci vediamo domani allora.’

‹‹Sì, okay. A domani.››

Terminò la telefonata e l’unica cosa che riuscì a fare non appena ripose il cellulare in tasca, fu piangere. Si portò le mani sul volto coprendolo del tutto. Non poteva crederci.

Si asciugò le lacrime con un bel po’ di carta igienica e tornò dai suoi amici e da sua sorella.

‹‹Ehi Bill, ma dov’eri finito? Pensavo che qualcuno di stesse stuprando nel bagno.›› disse ironicamente Kristoff, ma lui non rise affatto. Sul suo volto era dipinta un’espressione triste e cupa.

‹‹Bill, che cosa è successo?›› chiese Heidi preoccupata, accarezzando delicatamente una guancia del fratello, notando quanto fosse ancora bagnata. Lui sospirò e la guardò negli occhi.

‹‹Tu non hai idea di chi fosse al telefono.››

*

‹‹Come sta morendo?›› esternò Heidi. Bill sospirò e si asciugò le lacrime.

‹‹È la stessa domanda che ho fatto anche io. Mi è sorta spontanea. Gli hanno diagnosticato un tumore maligno ai polmoni. Se quel coglione mi avesse ascoltato sin dall’inizio, forse a quest’ora non sarebbe sul punto di morire.››

Bill raccontò brevemente ciò che fu della telefonata con Georg e aggiunse che l’indomani sarebbe andato a trovarlo a casa sua. Heidi non fu molto d’accordo di questo in quanto sapeva benissimo della sofferenza che Georg aveva provocato a suo fratello. Seppure fosse sul punto di morire, avrebbe voluto ucciderlo lei stessa. Con le sue mani.

Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Disse fra sé e sé. Avrebbe tanto voluto dirlo al fratello, ma vedendolo piuttosto sconvolto, preferì non farlo.

‹‹Vuoi che venga con te, domani?›› disse Heidi accarezzandogli leggermente la spalla. Bill scosse la testa.

‹‹No, è una cosa che voglio fare da solo. Anche se, non vi nascondo, che è molta paura di vedere in che condizioni si sia ridotto.››

‹‹Quel male non può far altro che dare un cattivo aspetto, Bill. Devi aspettare il peggio. Lo sai.››

‹‹Sì, lo so. Spero di reggere. Anche se lo odio con tutte le mie forze, resta pur sempre una persona e, per di più, una persona che ho amato.››

Heidi fece una smorfia. Non era affatto convinta della situazione. Avrebbe voluto andare assieme al fratello soprattutto per guardare in faccia quel verme. Sì, dispiaceva anche lei, ma restava sempre il fatto che avesse tradito suo fratello. Il suo amato Bill.

‹‹Adesso sono stanco e quella telefonata mi ha rovinato la serata. Voglio tornare a casa.›› si alzò dallo sgabello e prese la sorella per mano. ‹‹Scusatemi tanto ragazzi. Non è proprio serata.›› salutò amichevolmente i suoi migliori amici ed uscì dal bar.

*

In macchina non disse nulla. Quella telefonata di Georg gli aveva davvero scombussolato lo stomaco. Stava guardando fisso davanti la strada, senza batter ciglio. Non mise nemmeno la radio. Heidi avrebbe tanto voluto dir qualcosa. C’era da dire che il povero cuore di Bill ne stava subendo davvero tante. Tom che si era del tutto volatilizzato, Georg con il tumore ai polmoni, ci mancava solo che succedesse qualche altra cosa.

‹‹Se vuoi parlare, Bill. Lo sai che ci sono.››

Dolcemente gli sfiorò la coscia, ma Bill restò del tutto impassibile. Sospirò e socchiuse gli occhi.

‹‹So che ti ha sconvolto questa cosa. Mi dispiace molto, sul serio.››

D’un tratto lui accostò, fermandosi nel bel mezzo del nulla. Erano circa le due di notte e per strada non c’era un’anima. Spense i fari e abbassò leggermente il sedile. Si mise comodo incrociando le braccia e restò a fissare il vuoto.

‹‹Bill? Mi dici cos’hai? Da quando siamo tornati sei…come dire…morto. Ripigliati, cazzo.››

Heidi gli diede un leggero scossone, ma Bill non si mosse di un centimetro. Era come se fosse in trance.

‹‹Bill, voglio tornare a casa. Accompagnami adesso. Torniamo a casa, andiamo.›› non ci fu risposta.

‹‹Bill?››

Continuò a non rispondere.

‹‹E va bene. Me ne torno a piedi.›› si slacciò la cintura e proprio mentre stava per aprire la portiera della macchina, si sentì afferrare il polso. Fu costretta a girarsi.

‹‹Non lasciarmi. Almeno tu, non mi lasciare.››

Bill stava piangendo. Per l’ennesima volta.

‹‹È come se tutte le persone intorno a me se ne andassero. Prima Georg, ora anche Tom.››

Heidi dedusse quindi che il problema principale, fosse Tom. La sua mancanza lo stava del tutto distruggendo dall’interno.

‹‹Bill, ne abbiamo già parlato. Lui è americano. Tu sei un fottuto tedesco. Era palese che dopo la crociera sarebbe sparito. Bill, giù dalla nave ognuno torna alla propria vita. Pare che qui tutti l’abbiamo fatto tranne tu.››

‹‹Io non capisco, Heidi. Non capisco. Sembrava davvero convinto di quello che dicesse. Non mentiva, Heidi. Non stava mentendo. Ecco perché non me ne capacito. Ho provato a cercare anche i suoi amici, ma ancora non mi hanno aggiunto. Mi sto seriamente preoccupando. E se fosse successo qualcosa? Se l’aereo fosse precipitato? Se non volesse avere nulla a che fare con me?››

Cominciò a parlare a raffica, senza fermarsi. Iniziò a piangere ancora di più.

‹‹Bill…›› cominciò Heidi accarezzandogli la coscia. ‹‹Ti rendi conto di quanto tu sia maledettamente paranoico? Hai pensato che forse il ragazzo sta studiando? O non abbia la connessione internet? O abbia semplicemente smarrito il biglietto con scritto il tuo numero di cellulare?››

Provò a tranquillizzarlo cercando di trovare quante più soluzioni plausibili. Anche se infondo, anche lei era preoccupata. Da come Bill ne parlasse, Tom sembrava davvero convinto di quello che dicesse. Non sembrava fingesse. E lei i bugiardi li identificava a mille miglia di distanza. Era sempre stata a contatto con loro, uno di quelli, era proprio il loro vero padre.

I pezzi di merda, non se li ricorderà mai nessuno.

Simone aveva ragione, nonostante l’avessero ucciso, anni fa, nessuno aveva mai sospettato di loro o tanto meno, fosse venuto a cercarlo.

Tom non sembrava uno di quelli. Non sembrava un bugiardo. Anzi, sembrava davvero parecchio sincero.

‹‹Io mi sono innamorato, Heidi. Cazzo!›› tirò un pugno sullo sterzo, facendo suonare il clacson per un lasso di tempo.

‹‹Devi smetterla di torturarti l’anima, Bill. Mi sono spiegata? Cerca di non pensare più a lui. Ti stai uccidendo. Ed io non sopporto vedere l’amore della mia vita conciato in questo modo. E parlo seriamente.››

L’abbracciò in maniera così dolce e fraterna che quasi si sciolse. Lo amava talmente tanto. Avrebbe ucciso per lui. Vederlo così le corrodeva l’anima.

‹‹Io sono già morto dentro, Heidi. Davvero. È come se la mia vita fosse rimasta lì, su quella maledetta nave. Forse sarebbe stato meglio se non ci fossi andato proprio. Non l’avrei mai incontrato, almeno. Sto troppo male.››

‹‹Tu hai solo bisogno di una sana scopata, fratellino. E vedrai che te ne dimentichi e ti passa tutto. Conosco tanta gente che ti va dietro.›› disse sarcasticamente cercando di far sorridere leggermente il fratello. Un lieve ed accennato sorriso si abbozzò sulle sue labbra ed inevitabilmente, ricambiò l’abbraccio.

‹‹Non saprei davvero cosa fare senza di te, Heidi.››

‹‹Sì, lo so. Saresti perso.››

‹‹Vieni con me domani. Non voglio andare da solo.››

Heidi sorrise nuovamente e gli dette un dolce bacio sul collo.

‹‹Lo sapevo già, Bill.››

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


- Capitolo 21 -

 

Erano quasi cinque minuti che Bill ed Heidi erano davanti la porta d’ingresso di casa Listing. Nessuno dei due aveva il coraggio di suonare. Si guardavano a vicenda e fissavano al contempo il campanello.

‹‹Perché non suoni?››

Disse poi Heidi dando una leggera gomitata a Bill.

‹‹Perché non bussi tu?›› controbatté Bill, ricambiando la gomitata. Continuarono così per un altro lungo minuto. Nessuno dei due riusciva a trovare il coraggio di bussare. Che reazione avrebbero avuto vedendo Georg in quelle condizioni? Perché avrebbe dovuto avere un aspetto malsano, vero?

‹‹Cazzo, Bill. Non possiamo stare tutto il giorno qui. Suona quel cazzo di campanello. Prima entriamo e prima andiamo via. Non so nemmeno che reazione avrò vedendo quel pezzo di merda. Deve ringraziare il Signore che sta male, altrimenti l’avrei ucciso con le mie stesse mani. Ora suona quel dannato affare ed entriamo.››

Questa volta Heidi parlò sul serio. Alzò notevolmente il tono di voce e Bill non osò controbattere. Si riempì i polmoni d’aria e la buttò fuori tutta in una volta sola. Socchiuse gli occhi e suonò.

Ci vollero pochi istanti prima che la porta venisse aperta da una figura alta, magra e piuttosto invecchiata. Karol, la mamma di Georg.

Nessuno dei tre fiatò. Calò il silenzio e l’imbarazzo. Si guardarono per pochi attimi negli occhi, trattenendo il respiro. Karol aspettava l’arrivo del ragazzo, ma non si aspettava l’arrivo di Heidi. Dopotutto, avrebbe dovuto immaginare che non si sarebbe mai e poi mai presentato da solo.

‹‹C-ciao, ragazzi››

‹‹Ciao, Karol.›› dissero all’unisono.

‹‹Entrate. Georg scenderà a breve. È sotto la doccia.››

Karol fece entrare i due fratelli in casa, chiudendo successivamente la porta alle sue spalle.

‹‹Ti aspettavo solo. Senza offesa, Heidi.››

‹‹Non ti preoccupare. Mi ha chiesto Bill di accompagnarlo, ed io non ho esitato a farlo.›› disse pungente la ragazza, guardandola dritto negli occhi. La signora non resse lo sguardo e fu costretta a distogliere gli occhi da quelli di Heidi.

‹‹Prego, accomodatevi. Posso offrirvi un thè freddo con un po’ di strudel? L’ho fatto da poco.››

I due ragazzi si sedettero al tavolo posto al centro della sala da pranzo e declinarono entrambi.

‹‹Vado ad avvisare Georg che siete arrivati.›› diede loro le spalle e si allontanò.

‹‹Ho passato le giornate, qua dentro.›› disse improvvisamente Bill, guardandosi intorno. Niente era cambiato. Tutto era esattamente come anni addietro.

‹‹Certo, Bill. Non lasciarti infinocchiare da ciò che possa dirti, o non farti impietosire dalla situazione. Ricordati dell’odio che ho nei confronti di Georg. Solo io so cosa hai passato per colpa sua. Okay, la morte non si augura a nessuno, ma quando mi hai detto che stava per morire, ho pensato: ha avuto ciò che si merita.››

Bill non rispose.

‹‹Smettila di fare il mollaccione. Esci i coglioni una buona volta, fratello mio.››

Non fece in tempo a dir qualcosa che, dalle scale, si intravide Karol seguita da...Georg? No. Quello non poteva essere lui.

I due ragazzi restarono decisamente sconvolti. Sia Heidi che Bill avevano la bocca aperta e gli occhi sgranati. Mai e poi mai avrebbero immaginato una cosa del genere. La figura dietro Simone, non era Georg. Era uno scheletro. Sì, forse era lo scheletro di Georg. Persino la più leggera folata di vento avrebbe spazzato via quell’esile figura. Il vecchio Georg, quello palestrato, tonico, muscoloso, ormai era solo un lontano di ricordo. Del Georg che conosceva Bill, non era rimasto praticamente nulla.

Il tumore lo stava letteralmente consumando. Forse pesava 40, massimo 45 chili. Le guance erano infossate, così come gli occhi. Indossava una canotta bianca che lasciava intravedere il petto; quel petto che, un tempo, era pieno e ben allentano, ora non era altro che pelle ed ossa. Si vedevano nettamente le ossa della cassa toracica. Le braccia e le gambe sembravano stuzzicadenti pronti a spezzarsi da un momento all’altro. La pelle secca, rugosa e piena di macchie scure.

‹‹Bill, Heidi…che bello vedervi.›› la sua voce era rauca, cupa. Tossì forte. Ormai era diventato uno sforzo parlare. Si avvicinò ai due ragazzi e li salutò con un sorriso. Un sorriso ormai spento.

‹‹State così bene. Tu Heidi sei cambiata tantissimo…tu sei sempre uguale invece.›› disse tristemente, guardando quel ragazzo che, un tempo, era stato suo.

‹‹Chiederti come stai sarebbe una presa per il culo, vero?›› disse Bill apatico, guardando negli occhi il ragazzo. Forse, quegli occhi verdi, erano l’unica cosa che non aveva subito modifiche. Erano sempre gli stessi…un po’ più tristi…ma sempre quelli.

‹‹Guarda, Bill. Sono stato anche peggio. Di solito dopo la chemio.››

‹‹Perché mi hai fatto venire, Georg?››

Calò nuovamente il silenzio. Karol guardò il figlio e capì che era arrivata l’ora di lasciarli soli.

‹‹Ragazzi, io vado a fare un po’ di spesa. Spero di trovarvi al mio ritorno.›› li salutò anche lei con un sorriso altrettanto spento. Prese le chiavi dell’auto ed uscì di casa, consapevole che, al suo ritorno, non li avrebbe più trovati. Forse era meglio così.

Non appena Karol chiuse la porta, Georg scoppiò a piangere.

‹‹Non voglio impietosirti, Bill, perché non è mia intenzione farlo…›› iniziò con voce tremola e rauca. ‹‹Ma voglio solo farti capire quanto mi dispiaccia averti ferito.››

Bill sospirò e la sua reazione, fu alzarsi dalla sedia e andargli incontro. L’abbracciò forte. Georg ricambiò l’abbraccio, stringendolo ancora più forte e piangendo ancora di più. Heidi restò seduta. Si morse il labbro inferiore, cercando di trattenere anche lei le lacrime. È vero, l’odiava con ogni cellula presente all’interno del suo corpo, ma vederlo ridotto in quelle condizioni, colpì anche il suo cuore di ghiaccio.

‹‹Mi dispiace così tanto averti ferito, Bill. Mi dispiace così tanto.›› continuava a stringerlo, come se fosse ancora possibile. Quella sicuramente sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto farlo.

Bill non rispose. Lo abbracciò forte e, con un po’ di coraggio, sussurrò quelle parole che Georg avrebbe voluto sicuramente sentire. Ecco perché l’aveva chiamato. Non per vederlo un’ultima volta, non per impietosirlo, ma per avere il suo perdono. Georg voleva morire senza quel senso di colpa che, probabilmente, gli stava divorando l’anima.

‹‹Io ti perdono, Georg. Ti perdono.›› sussurrò il ragazzo. Georg improvvisamente si staccò da quell’abbraccio così intenso. Lo guardò dritto negli occhi. Bill sorrise tristemente. ‹‹Ecco perché mi hai chiamato. Volevi che ti perdonassi. Adesso l’ho fatto. Ti perdono, Georg. Non torturarti più. Sì, è vero, sono stato male…avevo giurato a me stesso che non mi sarei mai più innamorato di nessuno…ma sai cosa ti dico? Io ti ringrazio…perché mi hai reso più forte, più sicuro di me stesso...l’ho superata…è ora di metterci una pietra sopra. Tutti sbagliamo nella vita. Errare è umano, perdonare è divino. Giusto?››

Non aggiunse nient’altro. Gli occhi di Georg si illuminarono e, questa volta, sorrise per davvero. Era felice. Rivolse il suo sguardo verso Heidi.

‹‹Forse tu non mi perdonerai mai, ma voglio dirti una cosa…ho amato tuo fratello. Lo amo tutt’ora, e credo che lo amerò anche nell’aldilà. Volevo solo farti sapere questo,  visto che sei qui anche tu. L’avevo immaginato. Bill non sarebbe mai venuto da solo. Grazie per quello che hai fatto, Bill.›› disse rivolgendosi nuovamente verso il biondo.

‹‹E grazie anche a te, Heidi.››

Heidi non rispose.

No. Lei non l’avrebbe mai perdonato. Non poteva farlo.

*

Quando uscirono dall’appartamento, Bill si sentì più sollevato, più leggero. Forse aveva fatto bene anche lui quell’incontro.

‹‹Sai Heidi, mi ha fatto davvero bene rivederlo. Mi sento più leggero anche io. Non ho più rimpianti verso di lui. Anche perché, grazie ad oggi, ho capito di essere davvero innamorato di Tom. Perdonarlo, è stata come una liberazione. Avevo quel peso addosso che stava impedendo di aprirmi totalmente. Io lo amo, Heidi. Amo Tom come non ho mai amato nessuno nella vita. Come non ho mai amato Georg. Io sono certo che ci rivedremo un giorno...››

Heidi non disse nulla. Sorrise e si mise sotto braccio al fratello, poggiando dolcemente la testa su di esso. Vedere Bill così, la faceva sentire serena.

 

Nove mesi dopo

‘Ormai credo di aver perduto ogni speranza, Sarah.’ Inviato alle 11:05

Visualizzato alle 11:05 – Sarah sta scrivendo…

‘Chiamami. Detesto messaggiare.’

Visualizzato alle 11:06

Bill sorrise. Dopo tutti quegli anni che la conosceva, ancora non aveva capito che Sarah odiava fare dei discorsi serie e lunghi per messaggi. Selezionò il suo contatto e premette il tasto verde.

Ehi scimmietta!

Rispose ironicamente la ragazza.

‹‹Ehi giraffa!››

Mi hai rotto le palle con questo Tom. Dimenticalo, Bill. È acqua passata. Sono trascorsi nove mesi da quella cazzo di crociera. Se non ti ha mai cercato, vuol dire che per lui eri soltanto un passatempo. Perché non te lo vuoi ficcare in quella testaccia di merda che hai?

‹‹Ehi modera il linguaggio, scema.›› disse Bill scherzando. Gli insulti erano all’ordine del giorno per loro. Insulti affettivi, certo. ‹‹Ho ancora il biglietto che mi ha dato prima di lasciarmi. Non l’ho ancora aperto. Ha detto che avrei capito io stesso quando aprirlo. Ed io credo sia arrivato. Lui non mi ha dimenticato, Sarah. Perché nessuno vuole capirlo?››

Stringeva quel foglietto di carta come se fosse la cosa più importante del mondo. Aveva ancora il suo profumo. Gli vennero i brividi. Dio quanto gli mancava.

‘Se senti che sia arrivato il momento giusto, non vedo il motivo per il quale tu non debba farlo.’

Bill era disteso sulla panchina del parco dove, solitamente, andava con Sarah o con sua sorella. Questa volta era da solo. Il vento che soffiava, era gelido. Il fumo che usciva dalla sua bocca era così denso da sembrare nebbia.

‹‹Io lo amo, Sarah. Lui ama me. Che senso avrebbe dirmelo se non lo si prova davvero. Tu non sai i momenti magnifici che abbiamo passato insieme, mi ha salvato la vita quando c’è stato quell’alluvione. Non hai idea della paura che ho avuto…e tu sei a conoscenza del motivo per il quale io ne abbia.››

‘Sì, Bill. Lo so. Allora sai cosa ti dico? Apri quel biglietto. Adesso devo andare. È arrivato a prendermi Kristoff. Poi voglio sapere cosa c’è scritto. Stammi bene scimmietta. Riguardati. Ti voglio bene.’

‹‹Te ne voglio anche io.››

Non appena chiuse la chiamata, ripose il cellulare in tasca ed incrociò le braccia al petto. Sospirò, aveva lo sguardo perso nel cielo plumbeo. Ogni tanto scendeva qualche fiocco di neve che, dolcemente, si posava sul viso del ragazzo. Socchiuse gli occhi e gli venne da piangere.

Dove sei, Tom?

Pensò poi. si portò la mano destra vicino al viso. Il pugno era serrato. L’aprì leggermente e vide il bigliettino ripiegato più volte su ste stesso. Il cuore gli tremava, così come il resto del corpo.

‹‹Okay, Bill. Apri e leggi questo fottuto biglietto.››

Non ci pensò a lungo; anche perché se l’avesse fatto, di sicuro non l’avrebbe più letto. L’aprì subito e cominciò.

 

Ciao piccolo…come stai? Se stai leggendo questo biglietto, vuol dire che non hai avuto notizie di me.

Ecco. Tom lo sapeva. Lo sapeva fin dall’inizio. Un lieve sorriso si dipinse sul volto di Bill. Era cominciato bene.

Voglio tranquillizzarti. Non mi sono affatto dimenticato di te. Come potrei farlo? Sapevo che avresti colto il momento giusto per leggerlo. Quanto tempo è passato prima che tu lo leggessi? Due mesi? Tre?

‹‹No, Tom…ne sono passati nove…›› disse poi Bill. Il suo cuore si strinse.

Forse anche qualcosa in più. Mi auguro di non averti ferito, o peggio, non voglio che tu abbia pensato che mi sia dimenticato di quello che abbiamo passato insieme. Sei sempre nei miei pensieri, Bill. Non smetto un secondo di pensarti…e ti penserò sempre…anche se non avremo contatti per i prossimi mesi.

Qual era il senso di quel biglietto, quindi?

Ti starai chiedendo il motivo per il quale io sia sparito, vero? Adesso te lo spiego. Devi sapere che, una volta sbarcato, non tornerò a casa. Dovrò fare uno stage di un anno in Giappone. Ti ho detto che studio informatica, vero? Bene. Per il mio alto rendimento, ho vinto questo corso. Anche Gustav, Andreas e Georg, l’hanno vinto. Sì, sicuramente starai pensando che siamo quattro secchioni.

Il viaggio è tutto pagato dal College. Ovviamente non avrò né internet, né altro. È un corso intensivo e dovrò studiare praticamente ogni secondo quella giornata. Quindi, tesoro mio, non spaventarti se passerà tanto tempo…tu sarai sempre nei miei pensieri…e ricordati la promessa che ti ho fatto. Io non mi rimangio la parola. Non sarà l’oceano a separarmi da te. Tornerò a prenderti.

…e un’altra cosa…quando ti ho detto ti amo, lo pensavo davvero.

Con affetto, Tom.

Era in lacrime. Strinse quel biglietto così forte da farlo diventare parte di sé.

‹‹Lo sapevo. Sapevo che non ti saresti dimenticato di me. Mio Dio. È il giorno più bello della mia vita.››

Si mise seduto su quella panchina. Aveva la schiena gelata. Lesse e rilesse quel biglietto. Era la sua risposta a tutto.

‹‹Devo dirlo ad Heidi.››

Si alzò di scatto e si diresse correndo verso casa.

*

‹‹OMIODIOCHECOSATENERA!›› urlò Heidi saltando in braccio al fratello, riempiendolo di baci dappertutto. ‹‹CHECOSATENERA!›› urlò di nuovo. Bill scoppiò a ridere cercando di tenere su la sorella. Gordon e Simone, sentendo le urla, salirono su in camera della figlia.

‹‹La volete piantare di urlare tutt’e due? Cosa diamine vi è preso?›› dissero entrambi, aprendo la porta di scatto. Temevano di trovarli uno sopra l’altro che si accapigliavano per chi dovesse usare per primo la piastra.

‹‹NON PUOI CAPIRE, MADRE.››

‹‹Madre? Heidi stai bene?››

‹‹NON POTETE CAPIRE!›› disse Bill. Mise Heidi in terra e lesse ad alta voce il biglietto. Restarono sbalorditi anche loro.

‹‹Aspetta…ma Tom non è il ragazzo che hai conosciuto in crociera? Dio Bill, sono passati nove mesi. Pensavo l’avessi dimenticato.››

‹‹No, papà. Non l’ho dimenticato. Non l’ha fatto nemmeno lui, da come puoi vedere.››

I suoi occhi brillarono, così come il suo sorriso. Forse non era mai stato tanto felice in vita sua.

‹‹Sono felice per te.›› disse poi Simone, sorridendo.

Bill corse in contro ai genitori e li abbracciò più forte che poteva. Anche Heidi lo fece.

‹‹Il merito è tutto vostro e di quella splendida crociera, se ho conosciuto una persona come lui.››

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


- Capitolo 22 -

 

Tre mesi dopo

Bill si sistemò la cravatta nera con aria triste e malinconica. Heidi aveva messo il suo tubino nero opaco. Si guardava allo specchio inclinando la testa a destra e sinistra.

‹‹Non indossavo questo tubino nero da…››

Non continuò la frase.

‹‹…sì, dal finto funerale di nostro padre.›› concluse Bill. Heidi annuì rammaricata e si stirò l’abito con le mani.

‹‹Speravo di non indossarlo mai più.››  si strinse nelle braccia e nascose il collo fra le spalle. Una lacrima nera le rigò lo zigomo, l’asciugò prima che il trucco le colasse.

Bill sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma non pensava dopo così poco tempo. Sospirò per l’ennesima volta, socchiudendo gli occhi cercando di ricacciare indietro le lacrime.

‹‹Gli ho sempre voluto bene, Heidi. Nonostante tutto ciò che mi ha fatto…e ti giuro, è strano da dire, ma mi ha lasciato un vuoto dentro. Un vuoto che fa male.›› la sua voce era spezzata.

Heidi si avvicinò e lo abbracciò così forte quasi da soffocarlo. Si mise in punta di piedi e fece sprofondare il viso fra l’incavo del collo e della clavicola. Cercò di trattenere le lacrime. Senza riuscirci più di tanto. Bill le accarezzò il capo e la baciò.

‹‹Dispiace anche a me, Bill. Chi l’avrebbe mai detto.››

Il fratello prese a giocare con i suoi capelli biondi, passandoseli fra le dita come se fossero fili di seta. Non rispose.

‹‹Dovremmo andare, Bill. La messa inizia fra dieci minuti.››

Si staccò contro voglia dal suo abbraccio e lo guardò negli occhi. Poteva leggere chiaramente la sofferenza che stava passando, ma non versò una lacrima seppure fossero pieni di tristezza.

‹‹Sai una cosa, Heidi? Non riesco ancora ad immaginare che Georg non ci sia più.››

*

Bill parcheggiò l’auto non molto lontano dalla Chiesa. Tanta gente era riunita davanti l’entrata. Era davvero triste come scena. Bill sospirò, prese coraggio e uscì dalla macchina. Heidi fece lo stesso.

Si avvicinò subito al fratello prendendogli la mano con entrambe le sue.

‹‹Non lasciarmi mai la mano, Bill. Non farlo mai, okay?››

Bill scosse la testa e, come se fosse possibile, la strinse ancora più forte. Il suo cuore tremava ogni volta che faceva un passo verso la gente radunata. Giurò di aver visto la madre di Georg. Era disperata. Le sue gambe iniziarono a cedere.

‹‹Bill? Bill cosa c’è?››

La sua testa cominciò a girare forte, come se stesse per svenire.

‹‹Bill? Non ti senti bene? Bill, rispondimi?››

Chiuse gli occhi e, d’un tratto, si ritrovò in piedi sull’altare. Davanti a sé, aveva la bara. Era aperta. Si guardò attorno, spaesato, e notò che la stanza era completamente deserta. Era da solo. Iniziò a salire gli scalini, avvicinandosi sempre di più alla bara. Poteva vedere benissimo la presenza di un corpo al suo interno, ma non riusciva a capire chi fosse. Iniziò a sudare freddo. Solo quando fu abbastanza vicino, riuscì a vedere al suo interno. La visione lo sconvolse. Non c’era Georg dentro, Tom.

Cacciò un urlo, o almeno ci provò. Non uscì alcun suono dalla sua bocca. Solo un grido muto. Provò nuovamente a gridare, ma il risultato fu lo stesso.

Una voce d’un tratto riecheggiò per la Chiesa. Era la voce di Heidi.

‘Bill, svegliati, Bill. Svegliati.’

Bill si girò, cercando di capire da dove provenisse la voce, ma non c’era nessuno assieme a lui. si lasciò cadere sulle ginocchia e si afferrò il capo con le mani stringendo i capelli.

‹‹Coraggio, Bill. È solo un sogno. Svegliati.›› si strinse ancora di più il viso. ‹‹SVEGLIATI!›› urlò nel sogno, svegliandosi di soprassalto.

*

Iniziò a respirare affannosamente. Heidi era seduta sul suo letto e gli stringeva la mano. Il suo sguardo era spaventato.

‹‹Bill, cosa c’è? Ti agitati nel sonno in maniera convulsiva.›› Bill si mise seduto e l’abbracciò fortissimo, scoppiando a piangere.

‹‹Ho fatto un sogno orribile, Heidi. Orribile.››

‹‹Tranquillo, fratellino. Era solo un incubo. Niente di tutto ciò che hai visto è vero.›› la sorella gli accarezzò i capelli e gli baciò il capo, poggiandovi successivamente una guancia sopra di essa. Cercò di tranquillizzarlo al meglio. Ci riuscì.

‹‹Ti chiedo scusa se ti ho svegliata nel cuore della notte, Heidi.››

‹‹Non preoccuparti. Sono solo le tre di notte.›› ironizzò Heidi scompigliandogli ancora di più i capelli. Bill non oppose resistenza. Sorrise.

‹‹Resta nel mio letto, sorellina. Dormiamo ancora un po’.›› Bill fece spazio dimodoché Heidi potesse benissimo entrarvici. Si accoccolarono l’un l’altro e si riaddormentarono in un sonno senza incubi.

*

Quando Bill si svegliò, erano le dieci del mattino. Aprì lentamente gli occhi e notò che era solo, nel letto. Sbadigliò rumorosamente stiracchiandosi. Tese braccia e gambe e, con un rapido movimento, si mise seduto. Restò a contemplare per qualche minuto, fissando un punto vuoto della stanza. Volse successivamente la propria attenzione al cellulare sul comodino. Stava lampeggiando. L’afferrò e notò che segnava una chiamata persa di un numero che non conosceva. Non poteva essere quello di Georg. L’aveva salvato dall’ultima volta che l’aveva chiamato, e poi, Georg era morto un mese prima. Il suo cuore perse un battito. Provò a richiamare ma, ovviamente, c’era la segreteria. Avrebbe riprovato più tardi.

Scese di sotto e, come ogni mattina, i suoi genitori non erano in casa. Heidi era alle prese con dei pancake, che sembravano più uova strapazzate. L’odore era anche pessimo.

Bill storse il naso e si tappò il naso. C’era odore di bruciato in cucina.

‹‹Ehm…Heidi? Vuoi per caso una mano a cucinare? Se vuoi li faccio io. Non c’è bisogno di affannarti.››

‹‹No, ho la situazione sotto controllo.›› del sudore le colò dalla fronte e lei l’asciugò con la manica del pigiama. Bill rise sotto i baffi. Non aveva affatto la situazione sotto controllo. Anzi, era piuttosto degenerata. Quella sottospecie di pancake stavano avendo la meglio.

‹‹Heidi, lascia stare. Non vedi che sono da buttare? Tranquilla. Siediti. Preparo io la colazione. Così sprechi solo tempo.›› le cinse i fianchi e le diede un bacio sulla guancia. Heidi si arrese e decise di lasciare il posto a suo fratello.

‹‹Volevo fare qualcosa di carino…›› ammise lei, sedendosi sul divano. Sembrava agitata.

‹‹Qualcosa di carino? Per me? Ma se non hai mai fatto un toast in vita tua.››

Heidi lo fulminò con gli occhi e gli fece il verso.

‹‹Infatti non era per te, imbecille di un fratello…forse sarebbe stato meglio ordinare dei cornetti al bar.›› pensò poi, immergendosi nei suoi pensieri. Bill non capì. Erano soltanto loro in casa. La guardò accigliato.

‹‹Scusami Heidi, per chi avresti dovuto fare qualcosa di carino? Mi sono perso qualcosa forse? È il compleanno di qualcuno?››

Heidi si morse il labbro inferiore e si portò le ginocchia al petto nascondendovi il viso.

‹‹Heidi, mi stai facendo agitare…››

La ragazza non rispose, ma cominciò ad agitarsi anche lei. Come se si stesse trattenendo dal dire o fare qualcosa. Il cuore di Bill cominciò a battere all’impazzata, salendogli quasi in gola.

Improvvisamente delle mani si posarono sul suo viso, coprendogli gli occhi. Non vedeva nulla.

‹‹Ehi, ma cosa diavolo…››

‹‹Sshh…indovina chi sono?››

Lo interruppe la voce misteriosa. Bill era confuso. Sentì Heidi urlacchiare e ridere nello stesso momento. Gli cominciò a girare la testa. La sua risata cominciò a risuonare nelle sue orecchie in maniera ovattata. No…non poteva essere lui. Non poteva. Deglutì rumorosamente e iniziò a piangere.

‹‹Allora? Non mi riconosci già più?››

A quel punto, Bill riacquistò la vista. Ci mise un po’ prima di mettere a fuoco, vedeva ancora appannato. Si girò di scatto e, in quel momento, le gambe gli cedettero, il cuore tremò e le lacrime iniziarono a scendere ancora più forte di prima.

‹‹ODDIO TOM!›› gli gettò le braccia al collo, lo strinse quanto più forte potesse, con tutta la forza che aveva nelle braccia. Anche Tom fece lo stesso. L’abbracciò con tutto sé stesso.

‹‹Mi sei mancato da morire, Bill. Mi sei mancato da morire.››

‹‹Anche tu, Tomi. Mi sei mancato da morire. Oddio cosa ci fai qui? Non ci credo, non ci posso credere.›› Il ragazzo continuava a piangere per la gioia, stringendosi quanto più forte poteva contro il corpo del rasta.

‹‹Dal Giappone sono venuto direttamente qui, da te. Non so nemmeno da quanto tempo non torno a casa mia. Spero non ti dispiaccia.››

Bill non rispose, l’abbracciò ancora di più, come se fosse possibile. Heidi si commosse nel vedere quella scena, era davvero così felice per suo fratello.

‹‹Bill aveva perso le speranze, ormai. Credeva non l’avresti più contattato. Credeva non tornassi più.›› si asciugò una lacrima che cominciò a scenderle lungo il viso. Sorrise.

Tom si staccò riluttante dalle braccia del suo amato Bill e, guardandolo negli occhi, gli avvolse il volto e lo baciò.

‹‹Ricordi cosa ti dissi, Bill? Ti ricordi la promessa che ti ho fatto?››

Bill socchiuse gli occhi ed annuì. Sorrise felice.

‹‹Non sarà l’oceano a separarmi da te. Tornerò a prenderti.››  Tom ricambiò il suo sorriso, entusiasta di sapere che Bill non aveva dimenticato la sua promessa. Lo baciò ancora.

‹‹Sono tornato, Bill. Sono tornato a prenderti.››

-         Fine -

******

Note: prima di tutto, vorrei scusarmi per aver atteso così tanto per postare l'ultimo capitolo che, a dir il vero, non doveva essere nemmeno l'ultimo ma, per mancanza di ispirazione, ho deciso di concluderla qui e non di dilungarmi più di tanto onde evitare che la FF diventasse pallosa. Che dire, 'The cruise' è entrata nella mia vita nel febbraio del 2014 e, come ogni long, scrivere la parola fine è sempre un duro colpo, soprattutto dopo così tanto tempo. non credo ci saranno spin-off su questa FF, forse solo uno. Per ora non ho intenzione di scriverlo in quanto ho alcuni lavori da terminare (che non riguarda il twincest) detto questo, questo che la FF vi sia piaciuta. <3

Ringraziamenti: vorrei ringrazioare tutte coloro che hanno sempre recensito, lasciandomi dei bellissimi commenti ed opinioni motivandomi ancora di più nel proseguire la FF. Vorrei ringraziare anche tutte coloro che hanno aggiunto la FF nelle preferite, ricordate e seguite e, ovviamente, tutte le lettrici fantasma. vi ringrazio di cuore. <3

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