The Cruise [CONCLUSA] (in revisione) di Bill Kaulitz (/viewuser.php?uid=93703)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
-
Capitolo
1 -
Era
da ormai quasi
un’ora abbondante che sedeva su quel pullman altamente
scomodo e, a suo
malgrado, mancava un’altra oltra prima dell’arrivo.
Sentiva il suo fondo
schiena completamente appiattito e formicolante, diventando un
tutt’uno col
sedile. Temeva si fosse addormentato. La carica del suo cellulare era
già al
60% perché era da quando aveva messo piede sulla corriera,
che aveva preso a
giocarci e a cazzeggiare sui vari social ai quali era iscritto, non
potendo
fare altro. Il tempo sembrava non passare mai. Era già la
quarta – o quinta –
volta che sbuffava – nell’arco di pochi secondi
– tra
l’altro, non aveva ancora avuto il tempo
di fumare la sua bella e sana sigaretta mattutina.
Il
suo Rolex segnava
quasi le sette del mattino e, ovviamente come da routine, non
riuscì affatto a
prender sonno. Quel cazzone dell’autista, tra
l’altro, sembrava andasse
d’accordo con i fossi nell’asfalto. Diverse volte
aveva provato a chiudere gli
occhi e a distaccarli dal cellulare, poggiando leggermente la testa sul
finestrino ma, non appena pensava di essersi finalmente addormentato,
il
grassone imbranato, prendeva qualche fossa, facendogli sbattere la
fronte
contro il vetro.
‹‹Maledetto!››
disse
digrignando i denti e contemporaneamente, massaggiandosi la tempia
dolorante.
Di conseguenza, riprese a giocare con il telefono.
‹‹Smettila
di giocare
con quell’affare, Bill.›› disse sua
madre, seduta sul sedile dietro al suo. ‹‹E
da quando siamo saliti che non lo lasci. Prendi pace e mettiti a
dormire.›› in
quel momento, avrebbe voluto urlare ma, visto che non era il solo in
quel
maledettissimo pullman, decise di ignorarla completamente; anche
perché, così
facendo, avrebbe svegliato sua sorella – seduta accanto a
lui. – e senza
dubbio, avrebbe cominciato ad imprecare, picchiandolo senza sosta. Fece
un
profondo respiro. Quel viaggio era partito male. Molto male.
‹‹Non
riesci mai una
volta ad abbozzare un sorriso.›› si intromise il
padre, parlandogli nel
dormiveglia.
‹‹Scusatemi
se non
salto dalla gioia per questa fottutissima
crociera!›› continuò, riprendendo a
smanettare e a mandare messaggi alla sua migliore amica Sarah.
‹‹Scusatemi se
avrei preferito rimanere a Berlino, senza dover affrontare
un’ora di aereo per
venire qui in Italia e, subito dopo, prendere un cazzo di pullman ed
affrontare
altre due ore di viaggio.›› senza mai distogliere
lo sguardo dal cellulare,
iniziò ad avere una discussione con i suoi ma, visto il loro
entusiasmo per il
dannato viaggio,
decisero di ignorarlo.
Sentì Simone sbuffare e bisbigliare a Gordon un lascialo perdere.
Esatto.
Era proprio ciò
che voleva in quel momento. Essere lasciato in pace.
‹‹Ma
la volete piantare
voi di tre di torturarmi? Sto cercando di dormire,
grazie!›› come immaginava,
Heidi si destò dal sonno. ‹‹Tappati
quella boccaccia, Bill e mettiti a dormire
anche tu.››
Nonostante
la noia e la
rabbia che ribolliva nelle vene, decise di lasciare il cellulare,
mandando un
ultimo messaggio a Sarah:
‘La
nave dovrebbe salpare alle dieci e mezzo. Non appena sarò
salito a
bordo, non potremmo sentirci per una settimana. Già mi
manchi un sacco. Non
volevo venirci, cristo. Avrei preferito restare lì a
Berlino.’
Prima
di riporre il cellulare
nella borsa, lo senti vibrare qualche istante dopo.
‘Non
essere il solito musone, Bill. La crociera è una bellissima
esperienza. Te lo posso assicurare. Cazzo, hai ventiquattro anni e,
delle
volte, mi sembri un bambino di dodici. Non scappo da nessuna parte,
idiota. Non
appena avrai del tempo (anche se suppongo che no ne avrai molto visto
che ti
divertirai come un matto) mandami un messaggio; ma ricordati: in
primis,
divertiti. Un bacio, Bì.’
Sebbene
si fosse
avvelenato la giornata, Sarah riuscì comunque a strappargli
un sorriso dalle
labbra. Le mandò un messaggio flash
con
una semplice emoticon e ripose il
cellulare nella borsa con tutti i suoi effetti personali;
successivamente,
infilò cautamente una mano nella tasca dei jeans, alzando
leggermente il sedere
dal sedile, dimodoché potesse afferrare l’mp3.
Tuttavia, visto che non riusciva
a prendere ancora sonno, non aveva altra scelta se non quella di
perdersi fra
le note della musica. Cominciò a scorrere rapidamente la
playlist, trovando diverse
canzoni che non ascoltava dai tempi del college, come ad esempio: Living Dead Girl di Rob Zombie. Sorrise
inconsciamente, vedendo quella canzone sull’mp3. Ascoltarla,
lo avrebbe senza
dubbio aiutato a scaricare la rabbia e il nervosismo che, quella
maledetta
mattina, non avevano alcuna intenzione di abbandonarlo.
Pigiò sul tasto play e
lasciò che la graffiante voce di Rob, entrasse nelle
orecchie, scorrendogli poi
nelle vene come pura eroina.
Crawl on me
Sink into me
Die for me
Living Dead Girl
Socchiuse
gli occhi e
provò a riposarsi: senza dubbio, l’imbarco,
sarebbe stato molto peggio del
viaggio in sé. La loro vacanza,
doveva ancora iniziare e già non vedeva l’ora che
finisse. Dopo svariati
tentati di prender sonno, finalmente riuscì a trovare la sua
pace.
Tutto
però, ha una fine
e, quella del proprio sonno, arrivò molto prima di quanto
pensasse.
L’autista
frenò in
maniera poco delicata. Bill urtò con una certa violenza la
fronte contro il
sedile dinnanzi. Imprecò ancora una volta.
‹‹Giuro
su Dio che
denuncerò l’imbecille che ha patentato quel
ciccione.›› sua sorella, dal canto
suo, era già sveglia da un po’.
‹‹Sei
un povero
imbecille, Bill.›› sogghignò, mentre
cominciava ad alzarsi dal suo posto. Lui
decise di ignorarla e, una volta liberato il suo sedile, decise di
alzarsi
anche lui.
‹‹Dio
mio. Sento il
profumo della libertà, lì
fuori.›› si stiracchiò, tirando
indietro le braccia e
facendo qualche esercizio di stretching – poco appropriato in
quel luogo – per
poter riacquistare la sensibilità delle gambe.
‹‹Bill,
c’è gente che
deve passare.›› disse Gordon, dandogli alcuni
colpetti sulla spalla per
avvertirlo che, con un ginocchio alzato e un braccio teso di lato,
stava
letteralmente bloccando quel piccolo corridoio dell’autobus
che conduceva
all’uscita. Si rimise composto e guardò dietro di
sé. Rise leggermente vedendo
l’espressione di stizza della gente.
‹‹Ti
diverti con poco,
Bill.›› affermò Simone. Non
replicò la sua protesta, in quanto più che vera.
Ad
ogni modo, dopo aver ripreso la sensibilità di braccia,
gambe e soprattutto
glutei, si avviò verso l’uscita. Ovvero: La
libertà.
Non
appena mise piede
fuori, sentì la brezza del mare penetrargli nelle narici.
Erano secoli che non
sentiva il suo profumo. Inspirò a pieni polmoni ed
espirò in un colpo solo. Gli
scappò un colpo di tosse per via della nicotina presente nei
suoi polmoni.
‹‹E
tu che non volevi
venire. Guarda che spettacolo, Bill.›› disse
Heidi, indicando una maestosa
nave. Rimase sbigottito. Senza parole. Non avrebbe mai immaginato che
una nave,
potesse essere così bella. Sgranò gli occhi e,
inconsapevolmente dalla sua
bocca, uscì un sonoro ‘Wow’. Heidi gli
diede una gomitata sul fianco,
accompagnato da una risatina sarcastica.
‹‹Te
l’avevo detto che
ti sarebbe piaciuta. Smanetti tanto quel cellulare e non hai nemmeno
avuto la
curiosità di andare a vedere quale fosse l’aspetto
della nave.›› proseguì poi.
Obiettivamente, non poteva darle torto. La nave era bellissima.
Imponente.
Fantastica. Ma si picchiò mentalmente per aver esternato il
suo entusiasmo in
maniera così evidente.
Per
pura curiosità,
chiese quale fosse il nome della nave. Non che se ne fregasse qualcosa,
certo.
‹‹Preziosa››
intervenne sua mamma mentre si affannava a prendere i
bagagli. ‹‹Tranquilli, non vogliamo una
mano.›› aggiunse poi Gordon con tono
sarcastico, più affannato di Simone. Lui e Heidi risero,
dirigendosi verso il
fianco destro della corriera per poter aiutare i loro genitori.
‹‹Ma
perché diamine hai
portato tutta questa roba?›› espose in seguito il
padre, tirando fuori la sua
quinta – o forse era la sesta – valigia da fuori
l’enorme bagagliaio.
‹‹Pretendi
che per una
settimana mi debba mettere gli stessi vestiti? Ma assolutamente
no.›› diede
automaticamente una risposta alla propria domanda.
‹‹Sei
peggio di tua
sorella.›› disse poi Simone tirando fuori
un’altra valigia – sempre una delle sue
–
Una
volta uscite tutte,
si pose un piccolo problema: come trasportare fino al ponte
d’imbarco le
valigie?
‹‹Cristo.
Cristo.
Cristo.›› si schiaffeggiò la fronte
ripetutamente, dandosi istintivamente dello
stupido. Di sicuro, la marea di gente che passava di lì, se
l’avesse visto, gli
avrebbe senza dubbio dato dello svitato. Ma come diamine avrebbe
condotto per
circa trecento metri le sette valigie? Cercò una probabile
ma quasi impossibile
soluzione: senza un piccolo aiuto non avrebbe concluso proprio un
cazzo. Guardò
con occhi speranzosi sua sorella che, non appena incrociò lo
sguardo, lo
fulminò istintivamente:
‹‹Te
lo scordi che ti
porto i bagagli. Avessi portato meno roba, facendo come me: due valigie
e un
borsone. E stop! Arrangiati da solo.›› Con non
curanza e aria altezzosa, gli
passò davanti, lasciandolo come uno stoccafisso.
Provò a rivolgere lo sguardo ai
genitori ma la risposta fu abbastanza chiara: entrambi erano
impossibilitati in
quanto avevano già le mani occupate da una o più
borse.
‹‹Maledizione!››
imprecò,
dandosi nuovamente del coglione. Il caldo, nonostante fossero le otto
del mattino,
era già insopportabile. Vide la sorella già a
buona strada verso il ponte, i suoi
invece, erano ancora lì a sistemare e a decidere come
trasportare i bagagli. Erano
impossibilitati tanto quanto lui.
Nel
mentre, decise di
mandare un messaggio a Sarah. Prese
la
tracolla. Gli ci volle un po’ a trovare lo smartphone.
C’era di tutto nella
borsa: fazzoletti stropicciati, buste di caramelle gommose, sacchetti
di
patatine, due custodie di occhiali da sole – vuote
– protezione solare,
deodorante e altre cose che, nemmeno lui, sapeva come ci fossero finite
lì dentro.
‹‹Eccolo
finalmente!››
esultò, non appena se lo ritrovò fra le mani
‘Sono
arrivato proprio adesso. La nave è davvero una favola. Ma
ciò non
toglie il fatto che avrei preferito rimanere con te. Ti voglio bene,
Sarah. Ci
risentiamo fra una settimana.’
Inviò
il messaggio, ma
non ebbe risposta. Sarah fu molto chiara: avrebbe voluto che si
divertisse, e
non che si autocommiserasse.
Una
volta riposto il
cellulare nella borsa, notò che i suoi genitori si erano
incamminati; quanto ad
Heidi, si era fermata a metà strada e, con stizza,
cominciò ad agitare le
braccia e a far gesti inconsueti per invogliarli a sbrigarsi. Lui non
aveva
ancora trovato una soluzione con i bagagli.
Diede
un calcio alla
valigia, facendola cadere in terra. Stava quasi per decidere di
lasciarle lì
quando.. un miraggio: un tizio di colore – probabilmente
indiano – stava
passando proprio con un carrello adatto al trasporto dei bagagli. Gli
si
illuminarono li occhi dalla gioia. Lo chiamò agitando
misericordiosamente le
braccia.
Il
tizio si avvicinò.
‹‹Grazie
a Dio. Mi può
dare una mano con i bagagli, per cortesia?››
Di
tutto si sarebbe
aspettato, tranne il fatto che quel tizio non lo comprendesse. Lo
guardò
stralunato. Provò a parlargli in inglese e, nemmeno questa
volta, riuscì a
spiegarsi. Decise di intraprendere una strada differente: quella dei
gesti.
‹‹Bagagli.››
indicò con
entrambi gli indici la propria roba, poi li rivolse sul carello
dell’uomo e,
infine, indicò la nave. ‹‹Carrello.
Nave. Okay?››
‹‹Nave.
Sì. Capito.››
l’indiano annuì convulsivamente.
Dopodiché cominciò ad afferrare i propri bagagli,
uno per uno, per poi metterli sul carrello. Si sentì
soddisfatto in quel
momento, ma lo diventò ancora di più quando vide
i suoi familiari ammazzarsi di
sudore per poter trasportare la loro roba. Lui, invece, stava
finalmente
gustandosi la sigaretta senza alzare un dito.
‹‹Sei
un bastardo,
Bill.›› confessò sua sorella una volta
che Bill le si avvicinò. Si lasciando
scappare un sorriso. Lui sogghignò contento.
‹‹Ho
sempre una
soluzione per tutto, sorella. Sappilo.››
Il
bello però, doveva
ancora arrivare.
Non
appena giunsero al
ponte per l’imbarco, al suo ingresso,
c’era uno stand decisamente troppo affollato. Il
suo porta-valige
cominciò ad agitare – secondo Bill, senza motivo
– il braccio destro, indicando
quello stand. Non riuscì a capire cosa volesse intendere.
‹‹Inside. Inside.››
continuava a ripetere, sempre indicando quel
luogo. Lui lo guardò basito. Volse lo sguardo a sua sorella
e, facendo dei
cerchi concentrici immaginari vicino la tempia, fischiò come
per dire: ‘questo
è fuori di testa’. Heidi gli mollò un
pugno sulla spalla.
‹‹Ahio!
Ma che sei
impazzita? Mi hai fatto male, cretina.›› si
massaggiò la parte colpita e, per
vendicarsi, cercò di tirarle un calcio ma, ovviamente, lo
tirò all’aria
volutamente. Non avrebbe mai seriamente colpito la sorella. Mai.
‹‹Sei
tu rincitrullito,
Bill. Abdul ti stava solo
avvertendo
che i bagagli dobbiamo lasciarli lì dentro. Ce li
trasporteranno loro
direttamente fuori dalle nostre cabine.››
Abdul?
‹‹Non
ti sei chiesto a
cosa servissero le etichette con il numero della nostra
cabina?››
Guardò
il padre con
aria indifferente e scosse la testa. Non gli fotteva nulla della
vacanza,
figuriamoci delle etichette sulle valigie.
‹‹Adesso lo sai.››
Alzò
le spalle e
abbandonò Abdul –
anche se quello non
era affatto il suo nome – con tutta la sua roba. Prima di
allontanarsi però,
gli puntò l’indice con fare minaccioso.
‹‹Ti
tengo d’occhio.››
mimò poi con la bocca. Ovviamente, non lo capì.
Vide sparire lui e il carello
con i bagagli all’interno di quello stand.
‹‹Da
questa parte,
signori.››
Una
paffuta e tozza
signora – avrà avuto poco più di
trent’anni – indicò loro di andare alla
sua
sinistra ove, ben presto, si sarebbero imbarcati su quella lussuosa
nave. Da
vicino, pareva ancora più possente e maestosa. Faceva la sua
figura, doveva
ammetterlo.
Possibile
che in Italia tutte le persone siano grasse? Non conoscono il
concetto di attività fisica? Mah!
Davanti
a loro, c’erano
un centinaio di persone di diverse nazionalità. Riconobbe
anche dei tedeschi,
fra loro.
Stavano
proseguendo in
maniera talmente lenta, che gli parve restare fermo. Si
passò lentamente una
mano sul viso, sull’orlo di una crisi di nervi. Avrebbe
voluto fumarsi l’intero
pacchetto di Marlboro Light.
‹‹Dio
santo, ci stiamo
mettendo un’eternità!››
sbottò Heidi, spostando il suo peso da un piede
all’altro. Ripeté quest’operazione per
circa tre volte, in meno di trenta
secondi. Sbuffò ancora e ancora. Lui la seguii a ruota.
‹‹Ragazzi,
per favore.
Si comporta meglio quel bambino davanti a noi. Siete entrambi adulti,
eppure
assumente un comportamento da poppanti.››
Simone,
ormai esausta
anche lei, si asciugò il sudore dalla fronte con un
fazzolettino di carta e,
inutilmente, tentò di sventolarsi lo stesso
dimodoché potesse smuovere un po’
d’aria. Vedendo quel gesto del tutto inutile, decise di
rinunciarci e di
proseguire con la mano.
‹‹Non
ce la faccio più.
Fa un caldo insopportabile.›› frugò
nella sua borsa e prese una bottiglietta
d’acqua. Ne bevve due sorsi, dopodiché ne diede un
po’ ai loro figli. L’ultimo
fu Bill – la finì in un batter d’occhio
–
‹‹Se
avessi saputo che
una vacanza fosse così faticosa, giuro non l’avrei
mai fatta.›› confessò
Gordon. Dopotutto, non aveva tutti i torti. Erano ammassati come
bestie,
sudanti e morenti. Un concerto Rock-metal, sarebbe stato meno
distruttivo.
Bill
si passò le mani
sulla parte rasata della testa; subito dopo la scostò al
ciuffo biondo che
pendeva – sfatto – sul lato sinistro della fronte.
No
ne posso più.
‹‹Bill,
questa sera
andiamo in discoteca, d’accordo? L’ho vista sulla
brochure. È
meravigliosa…e..››
‹‹Heidi››
la interruppe.
‹‹Non voglio pensare a questa sera.
L’unica cosa che voglio fare, non appena
metterò piede sulla nave, è andarmene in cabina,
farmi una doccia fredda e
gettarmi sul letto.››
‹‹..e
poi la pista è
proprio come quella che si vede nei film. C’hai presente? La
palla, le luci, i
riflettori..››
Ma
con chi parlo? Con un muro, forse?
Heidi
non diede
minimamente retta a ciò che disse. Cominciò a
blaterare e farneticare di come
si sarebbe vestita quella sera per andare a ballare. Non si rese conto
che non
la stava minimamente ascoltando. Difatti, continuò a
cincischiare da sola.
Sentiva la sua voce come un eco. Sempre più lontana.
Si
massaggiò le tempie.
Era una cosa estenuante. Avrebbe preferito morire seduta stante su quel
fottuto
molo. D’un tratto, sentì una potente gomitata
perforargli quasi un polmone. Imprecò
come un ossesso.
‹‹Ma
dico sei
impazzita? Mi rompi le costole, imbecille.››
ringhiò alla sorella. Delle volte,
assumeva lo stesso comportamento infantile di Bill. Sebbene avesse
anche lei
ventidue anni.
‹‹È
il nostro turno,
salame. Vedi di svegliarti.›› lo prese per un
lembo della maglietta e lo
trascinò con sé. ‹‹Non ti
staccare da me nemmeno per sogno, okay?›› gli
disse
poi, sempre tenendolo stretto. Bill non poté fare a meno di
sorridere,
aggiungendo un sarcastico: ‘sì
mammina’.
Afferrò
delicatamente
Heidi per un polso che, a sua volta, era stato afferrato da Simone che,
a sua
volta, era stata afferrata da Gordon. In quel momento, avevano creato
una vera
e propria catena umana, la quale era capitanata dalla minore della
famiglia.
Raggiunsero
ben presto
il metal-detector. Bill lo guardò con aria sconvolta. Di
certo sarebbe scattato
se non si fosse tolto tutti i piercing che aveva. Ma non poteva mica
farlo. Ci
avrebbe messo un’eternità a rimetterli. Heidi
passò tranquillamente.
Bill
guardò la
ragazza-balena di prima con aria supplichevole.
‹‹Non
mi dica che devo
togliere tutti i miei piercing. Non posso.›› le
disse Bill. La ragazza gli
rispose correttamente in tedesco ma, il suo accento, era del tutto
storpiato.
Bill storse il naso in una smorfia di disgusto verso la ragazza.
‹‹Non
c’è bisogno di
toglierli. La devo solo perquisire per vedere se ha qualcosa che possa
destare
sospetto. Nel caso in cui dovesse suonare – cosa molto
probabile visto i suoi
innumerevoli piercing – la farò ugualmente
passare, in quanto saprò che son
quelli la causa. Ovviamente dovrò ripetere questa operazione
più di una volta
per averne la certezza. Mi sono spiegata?››
Sospetti?
Le sembro per caso un rapinatore o un trafficante di droga?
Lui
annuì freddamente, senza
batter ciglio. Sarebbero stati i minuti più imbarazzanti di
tutta la sua vita.
Si morse convulsivamente il labbro in prossimità del
piercing destro. Sfilò la
cintura e la posò assieme agli occhiali,
all’orologio, al cellulare e ad altri
effetti, in un contenitore rosso e lo fece passare sul nastro
scorrevole. Successivamente,
toccò a lui passare sotto il metal-detector e, come
previsto, si mise a
suonare. Bill avvampò. Trattenne il fiato e sperò
che nessuno lo stesse
osservando ma, ovviamente, tutti gli occhi erano puntati su di lui.
Guardò
dietro di sé e vide la marea di gente che lo fissava con
aria seccata.
Dopotutto, erano esausti tanto quanto lui.
La
ragazza le passò un
attrezzo lungo tutto il suo corpo. Suonò non appena lo
avvicinò ai suoi anfibi.
‹‹Tolga
le scarpe e le
metta nel contenitore assieme all’altra roba,
cortesemente.››
Bill
in quel momento,
voleva solo sprofondare dalla vergogna. Heidi, intanto, era piegata in
due
dalle risate, mentre si gustava la scena alquanto imbarazzante, del
fratello.
Bill, le giurò che dopo avrebbero fatto i conti. Si
sfilò via gli anfibi e li
posò – come richiesto –
all’interno di un altro contenitore, facendolo passare
nuovamente all’interno del nastro trasportatore.
‹‹Bene,
passi
nuovamente.›› Bill obbedì senza
esitare e, come temeva, suonò ripetutamente.
Avvampò di più. Constatò di aver
sentito qualcuno ridacchiare. Si voltò ex novo,
e vide un ragazzo alquanto strano, ridere sotto i baffi. Avvertendo di
essere
stato sgamato, fece il vago; guardando da tutt’altra parte e
grattandosi dietro
la nuca. Bill alzò un sopracciglio e schioccò la
lingua.
Voglio
proprio vedere se nascosta sotto tutti quei rasta neri, non ci sia
della droga.
Si
trovò a pensare
Bill, decisamente irritato dal fatto che qualcuno stesse ridendo della
sua –
già imbarazzante – situazione.
‹‹Dio
signorina, non mi
posso denudare completamente? Almeno questo arnese la smette di
suonare. Le ho
detto che sono i piercing!›› Disse lui, ormai
disperato.
La
ragazza lo guardò
stranita. Passò nuovamente l’aggeggio di prima sul
suo corpo, questa volta
concentrandolo vicino al viso – più
specificatamente – accanto ai piercing.
Suonò.
‹‹Okay,
son proprio
questi che fanno scattare il metal-detector. Può passare,
adesso.››
Bill
avrebbe voluto ucciderla.
Era
proprio quello che stavo tentando di dirti, cicciona.
Avrebbe
voluto gridarle
Bill, ma ovviamente, non disse niente. Le sorrise in maniera talmente
falsa, da
dar fastidio persino a se stesso. Si infilò goffamente gli
anfibi, si allacciò
nuovamente la cintura e, finalmente, fu libero.
‹‹Dio,
no ne potevo
più.›› disse raggiungendo la sorella.
Heidi sorrise, dandogli un buffetto
dietro la nuca.
‹‹Sei
sempre il solito
coglione, Bill. Abbiamo perso un sacco di tempo per colpa
tua.››
‹‹E
cosa vuoi da me?››
aggiunse Bill, mettendosi sulla difensiva. Heidi lo guardò
con aria
interrogativa, assumendo la medesima espressione che attribuiva il
fratello.
Delle volte, erano tali e quali.
‹‹Nulla.››
cominciò. ‹‹Solo
che ci hai rallentato di ben dieci minuti!››
concluse infine, aprendo a
ventaglio le mani. Bill sbuffò. Non era affatto colpa sua.
Si voltò un istante
e vide i propri genitori dirigersi verso di loro. Il metal-detector non
aveva
dato cenni di vita.
‹‹Bene,
credo che
finalmente siamo pronti per iniziare la nostra
vacanza!›› espose Gordon felice
e avvolgendo le braccia attorno alle spalle dei propri figli,
baciandoli successivamente
sulle tempie. Bill fece una smorfia, allontanando il padre tendendo le
braccia
in avanti. Aveva già avuto la sua dose mattutina di
imbarazzo; no ne voleva
dell’altro.
‹‹Mica
ti fa male del
sano affetto, eh Bill?›› Simone
corrugò la fronte, scherzosamente. Conosceva
benissimo il figlio. Non adorava le smancerie. Soprattutto in un luogo
così
affollato e pubblico.
‹‹Sì,
ho capito. Ma non
sono un neonato.›› aggiunse poi, aggiustandosi la
tracolla sulla spalla. Gordon
allora lo trattò da vero uomo. Gli
diede una pacca sulla spalla.
Risero
entrambi.
D’un
tratto, le loro
risa, vennero improvvisamente sopraffatte dal tremendo bip
del metal-detector. Bill si voltò istintivamente.
Rise di gusto
quando riconobbe la persona che lo fece scattare: era proprio il
ragazzo con i
dreadlocks neri che, fino a qualche minuto fa, stava ridendo di lui.
Chi
la fa, l’aspetti.
******
Note:
buon
pomeriggio gente (: ed eccomi qui, con una nuova e fresca FF (fresca
non tanto, in quanto è già da qualche mese che la
sto scrivendo) A differenza di 'Ti ricordi di me?' questa NON
è finita ma ho già pronti sei capitoli: il
settimo è ancora da iniziare. Adesso vi racconto un po' da
dove è nata l'idea di questa storia anche se è
molto intuitivo. L'anno scorso, ho fatto la mia seconda crociera,
infatti, i luoghi che verranno trattati all'interno di questi capitoli,
sono proprio quelli che ho visitato io. La nave citata, non
è quella su cui sono andata, bensì un'altra. Per
quanto riguarda invece gli altri fatti che accadranno qui dentro, in
parte sono tratti dalla mia esperienza durante la vacanza, altri inceve
puramente inventati, come ad esempio questo primo capitolo. I fatti che
vanno giudicati in un certo senso 'reali' sono maggiormente i luoghi
visitati e.. un'altra cosa che momentaneamente preferisco non rivelarvi
(: Detto questo, ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno.
(apro una piccola parentesi: sono fiera e molto felice di aver
riscontrato un bel successo con la mia prima FF 'Ti ricordi di me?'
spero che anche con questa, potrò suscitare interesse. Posso
garantirvi che è molto bella, come storia. l'ho
già tutta in mente.. devo solo buttarla giù sul
foglio di word.. perchè, se ho deciso di scriverla,
è perchè ne vale realmente la pena. Spero vi
piaccia. Un bacio. Vale). PS vi consiglio di vedere il trailer,
lì spiega parte della storia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo II ***
-
Capitolo 2 -
Paradisiaco.
Fu
l’unico aggettivo con il quale, la famiglia Kaulitz,
riuscì a commentare quel
luogo fantastico. Non appena varcarono la soglia, la loro attenzione
venne
immediatamente catturata da una possente e vistosa scala in swaroski e
luci
bianche. Era talmente abbagliente, che li parve di accecarsi.
‹‹Porca
puttana!››
esclamò Bill, portandosi entrambi le mani sulla bocca per
coprire il suo
stupore. Non aveva mai visto una cosa simile. Ovviamente, la scala, era
solo
una goccia in mezzo all’oceano. Gli bastò
guardarsi intorno per poter ammirare
il resto della ‘sala d’accoglienza’:
c’era un bellissimo ascensore di vetro che
portava ai successivi piani della nave; un salottino molto confortevole
di
tessuto rosso; un fantastico piano forte a coda che, ovviamente, veniva
dolcemente accarezzando da un musicista altrettanto fantastico.
Logicamente, il
pianista, suonava la melodica musica del film Titanic.
‹‹Mio
dio, Bill. Non ho
mai visto un luogo del genere. Forse solo nei miei
sogni.›› ammise Heidi,
rimasta altrettanto sbigottita. ‹‹E tu che non ci
volevi venire, qui!›› gli fece
notare la sorella, dandogli una spinta.
Bill
rimase
impassibile. Continuava a guardarsi intorno e cercare di mettere a
fuoco ciò
che aveva dinnanzi ai suoi occhi.
‹‹Mamma,
tirami un
pizzico. Forse sto sognando.››
continuò poi lui, rivolgendosi alla madre.
Simone sorrise e, ovviamente, gli diede un pizzicotto sul sedere. Bill
si tirò
immediatamente indietro, spaventandosi e al contempo, vergognandosi
dell’atto
appena compiuto. ‹‹Mamma! Stavo solo scherzando.
Non dovevi farlo sul serio.››
proferì poi, ridendo contemporaneamente. Simone fece lo
stesso.
‹‹Bene.
Credo che
dovremmo andare nella nostra camera, fra qualche ora la nave
salperà e non ho
alcuna intenzione di perdermi la partenza.››
Fece notare Gordon. Tutti risposero con un cenno del capo.
Bill
si sistemò meglio
la sua tracolla porta-oggetti e la preziosissima
borsa con all’interno la sua vita: la Reflex. Aveva
giurato che avrebbe
immortalato qualsiasi cosa, luogo, animale, oggetto inanimato, che
avesse
catturato la sua attenzione. Adorava la fotografia più di
qualsiasi altra cosa
al mondo. Avrebbe ucciso, per difendere la sua Camera. A nessun essere
vivente
– eccetto lui – era dato il permesso di toccarla o
tanto meno guardarla. Solo ad un distanza di
sicurezza di almeno
due metri o, se proprio insisti, in mano mia. Diceva sempre
lui.
‹‹Nemmeno
io. Voglio
fotografare il mare visto da qua su.››
esternò poi Bill, dando dei colpetti leggeri
alla sua borsa.
‹‹E
tu eri
quell’asociale che non voleva venire.››
gli fece notare per la miliardesima volta Heidi. Bill,
scocciato, sbuffò
pesantemente.
‹‹Vedi
che non ho detto
che mi divertirò; sono ancora del parere che avrei preferito
passare le vacanze
con la mia migliore amica; ma una cosa è certa: questo posto
è fantastico.››
Heidi,
scherzosamente,
gli fece il verso. Bill decise di non darle più retta.
*
‹‹A
che piano siamo
noi, Simone?››
chiese Gordon.
‹‹Decimo.
Camera 10483. Abbiamo quella con il
balcone.››
‹‹Io
dormo sopra!››
ammise Bill.
‹‹Ma
se non sai nemmeno
qual è l’aspetto della
camera.››
Gordon
scosse la testa.
I suoi figli, non sarebbero mai cambiati. Decisero di prendere
l’ascensore. Con
loro, c’erano altre quattro persone. Probabilmente italiani,
avrebbe giurato
Bill. Avevano però uno strano accento. Non conosceva affatto
l’italiano perché
non c’era mai stato e, purtroppo, non aveva avuto nemmeno il
tempo di visitare
Venezia; uno dei luoghi più belli dello
stivale.
‹‹Qual
è l’itinerario,
cara?›› disse d’un tratto Gordon,
rivolgendosi alla moglie. Simone, entusiasta,
prese la brochure da dentro la borsa e, scandendosi per bene la voce,
cominciò
ad elencare le varie città che avrebbero visto.
Venezia,
Bari, Katakolon, Santorini, Atene, Corfù e Dubrovnik.
‹‹Quindi,
la prossima
tappa sarà Bari?››
intervenne Heidi,
seguendo con lo sguardo la gente che usciva dall’ascensore.
Erano arrivati a
sesto piano e si era già fermato ben tre volte. Mentre
uscivano quelle suddette
persone, nel frattempo ne erano salite delle altre; questa volta,
cinesi.
‹‹Sì,
tesoro. Ma ci
fermiamo solo al porto per far salire a bordo gli altri passeggieri.
Non è una
vera e propria tappa, ma se vogliamo visitare la Città
Vecchia, possiamo farlo
benissimo.››
‹‹Scendere
dalla nave?››
esordì Bill sconvolto.
‹‹Non pretenderai che
io mi metta a girare tutte le città che hai elencato, spero.
Non ho alcuna
intenzione di abbandonare la nave, se non stiamo
affondando.››
continuò poi. Sua sorella scoppiò a
ridere.
‹‹Perché
pensavi che
fossimo rimasti qui senza far nulla? Mi sembra una cosa più
che logica scendere
ad ogni tappa. Quando mai ti capiterà di rivedere queste
città, Bill? E poi non
hai detto di fotografare qualsiasicosaattraggalamiaattenzione?››
Touché.
Ma lui sapeva
come controbattere anche se, contraddire Simone, era una battaglia
persa a
prescindere.
‹‹Sì,
ma io intendevo
qualsiasicosaattraggalamiaattenzione.. qui
dentro.››
tentò a specificare. Gordon roteò
gli occhi.
‹‹Senti
Bill, sei
abbastanza grande da decidere quello che
vuoi…›› proseguì il padre.
Bill stava
per tirar su un sospiro di sollievo. ‹‹Ma per
questa volta, decidiamo noi. Non
ti permetto di poltrire tutto il giorno.››
Bill
spalancò gli occhi
e la bocca. Davvero lo avrebbero costretto a fare un qualcosa che non
avrebbe
voluto? Stava per controbattere quando Heidi, gli fece notare che non
erano i
soli nell’ascensore. La gente, stava già
guardandoli in maniera interrogativa.
‹‹Va
bene, ma non
finisce così.›› si poggiò
con la schiena contro la parete di vetro
dell’ascensore. La sensazione, se avesse guardato alle sue
spalle, era come
quelle di essere sospesi nel vuoto. Tra l’altro, era davvero
così.
Decise
di non fare
scenate in mezzo alla gente, per questo incrociò le braccia
al petto ed attese
che quel dannato ascensore giungesse al loro piano. Il suo entusiasmo
stava già
affievolendosi.
*
Il
corridoio, era più
un labirinto che il resto. Sembrava non arrivasse mai la loro porta.
10321,
10323, 10325
‹‹Secondo
me abbiamo
sbagliato entrata. Mancano più di cento camere, prima di
arrivare alla nostra.››
fece notare Heidi ma, ovviamente, nessuno prese in considerazione quello che disse.
‹‹L’avevo detto che dovevamo
prendere la seconda entrata.››
‹‹Ma
la vuoi piantare
di farneticare, Heidi? Come può la nostra camera trovarsi
nei numeri pari? Se
non ti fossi accorta, l’entrata che intendi tu, aveva solo
numeri pari.›› disse
Bill con aria di superiorità. Si permise di farlo in quanto
– oltre al fatto di
essere altamente logorroico e pieno di sé – aveva
anche ragione; difatti, lei,
non replicò. Si limitò solo ad accennare un
‘ah’ molto tirato. Detestava dare
ragione al fratello.
‹‹Silenzio
ragazzi,
siamo quasi arrivati.››
10479,
10481, 10483. Finalmente.
Riconobbero
immediatamente la loro camera per un solo motivo: c’erano
circa una quindicina
di bagagli. Occupavano quasi due metri di corridoio.
‹‹La
mia amata roba!››
esclamò Bill, catapultandosi verso i suoi bagagli. Si
inginocchiò e, come se
fossero esseri viventi, ne abbracciò uno. Heidi lo
guardò con aria
esterrefatta.
‹‹Tu
stai male,
fratellone. Sul serio, non sto scherzando.››
‹‹Fa
silenzio. Non vedi
che le sono mancato? Guarda la mia valigia di Louis Vuitton. Era in
ansia per
me.›› Heidi decise di non dargli corda.
Simone
cominciò ad
armeggiare nella sua borsa. Lì dentro c’erano le
copie della chiave magnetica
della loro stanza; una ciascuno.
‹‹Ecco,
queste sono le
vostre tessere. Oltre a fungere da chiave per aprire la camera, servono
anche
per fare degli acquisti. Le ho caricate con cento euro cadauna. Mi
raccomando, usatelo con parsimonia.››
pronunciò
quelle due frasi con un tono leggermente più duro. Era
palese che fosse
riferito ai suoi figli. Loro la cantilenarono, dicendo che non
avrebbero
sperperato il denaro in cazzate.
Simone
ci credette
poco. Dopotutto, aveva tutte le sue buone ragioni per non farlo.
‹‹Allora,
siete pronti
a vedere la nostra stanza?›› disse Simone tutta
eccitata; anche il resto della
famiglia lo era; persino Bill, anche se non l’avrebbe mai e
poi mai dato a
vedere.
Bastò
inserire la
tessera all’interno dell’apposita fessura
magnetica, per aprire con un sonoro ‘clack’
la porta della stanza. Non
appena dischiusero leggermente la porta, una potente luce solare
illuminò i
loro volti. La stanza era bellissima. Si sentiva un profumo delicato
misto a
lavanda, pulito e aria salmastra. Sul letto c’erano due
girasoli sotto i quali
c’era un biglietto – presumibilmente
l’itinerario della serata e il benvenuto
da parte del capitano – Non era molto grande come camera, ma
nemmeno troppo
piccola. Era suddivisa in due zone: la camera con il letto
matrimoniale, e
piccola parte dedicata ad altri due letti. Il bagno, invece, era
situato sulla
destra appena si entrava nella stanza. Era leggermente angusto, come
luogo, ma
lo spazio era necessario almeno per due persone.
La
moquette era verde a
fantasia, come il resto della stanza, oltretutto. L’unica
cosa a differenziarsi
– molto probabilmente – dalle altre stanze, era
senza dubbio la visuale. Era
meravigliosa.
‹‹Accidenti.
Non trovate
che sia fantastica?›› fece notare Simone. Tutti
annuirono, compreso Bill –
anche se non era ancora del tutto convinto. –
‹‹Io
non so dove
metterò tutta la mia roba. Credo che sotto al letto, non ci
sarà posto per i
mostri.›› scherzò poi, strappando un
sorriso sia alla sorella, che ai suoi
genitori.
‹‹Credo
che avrai un
po’ di lavoro da fare, Bill. Io di certo non ti aiuto a
trasportarle una per
una.››
‹‹Nessuno
ha chiesto il
tuo aiuto, Heidi.›› sbuffò poi.
Lei
entrò per prima,
saltellando come se fosse una bambina di cinque anni alla quale era
stato
regalato un nuovo giocattolo o comperato un maxi cono gelato; poi fu la
volta
di Simone e Gordon.
Bill
fu ultimo, in
quanto la sua attenzione venne improvvisamente catturata da un forte
baccano
provenire dal corridoio. Si udivano passi – o forse qualcuno
stava correndo –
che echeggiavano sordi sulla moquette, accompagnati da risa e grida
alquanto
fastidiose. Bill – oltremodo curioso – si sporse
leggermente e, prima che
potesse accorgersene, fu travolto.
Venne
spintonato con
una certa violenza sul muro, provocando un suono alquanto acuto. Rimase
senza
parole.
‹‹O my God. Sorry, sorry!››
Un
ragazzo – a quanto
pare non tedesco – si scusò con lui per
l’accaduto, ovviamente senza realmente
fermarsi. Bill lo fissò con aria stupita, restando con occhi
e bocca
spalancati. Una mano sul petto per accentuare il suo
‘scandalo’ mentre vedeva
il ragazzo moro allontanarsi a grandi passi da lui. Una trentina di
metri dopo,
lo vide fermarsi. Era arrivato alla sua camera, forse?
‹‹Ma..Ma..››
blaterò
poi, una volta focalizzato chi fosse quel
ragazzo. ‹‹Quello è il pezzo
di merda che mi ha riso alle spalle!›› strinse
i pugni, con
l’intento di andare lì e
dirgliene quattro. Non lo fece, in quanto no ne valeva realmente la
pena; tra
l’altro poi, era già sparito all’interno
della sua camera, assieme ad altri
quattro ragazzi. Bussare alla sua porta, non era per niente il caso.
Non voleva
passare per uno stupido, ma tanto meno per uno smidollato. Di sicuro,
se e
quando l’avesse rivisto, gli avrebbe senz’altro
fatto notare il suo
comportamento sconsiderato.
*
‹‹Bill,
dove hai deciso di
mettere la tua roba?›› Disse Simone
dalla sua parte di stanza, mentre Bill era in bagno a farsi una doccia
fredda.
‹‹Sotto
al letto.
Lascia stare, me la vedo io appena uscito dalla
doccia.›› urlò lui di risposta.
Stava facendo in fretta e furia in quanto, tra meno di
un’ora, la nave sarebbe
salpata e non avrebbe perso la partenza per nulla al mondo.
Il
piatto doccia, era
abbastanza stretto e piccolo. Lui ci entrava a malapena. Era troppo
alto. Cercò
di arrangiarsi alla meno peggio.
Alzò
il volto vero
l’alto e lasciò che il getto
freddo glielo bagnasse. I capelli si appiccicarono al volto e, con un
gesto
delicato della mano, li scostò. Una volta fattosi almeno due
shampoo e una
maschera nutriente per i suoi capelli – ovviamente tutti
prodotti naturali
portati da casa – passò al bagnoschiuma
all’acqua di rosa. L’aveva preso
in prestito da sua sorella. Per
preso in prestito, Bill, intendeva sempre fottuto.
Gli
lasciava la pelle
morbida e delicata come quella di un bambino, e profumava davvero di
rosa. Non
l’avrebbe mai restituito. Una volta uscito dalla doccia,
andò alla ricerca di
un accappatoio, ma trovò solo delle grandi asciugamani
bianche che, senza
dubbio, avrebbero sostituito il classico indumento post-doccia.
Sbuffò.
Mise
i piedi sul freddo
pavimento bianco, scivolando leggermente in quanto gocciolava da tutte
le
parti. Afferrò il grande asciugamani e si avvolse come uno
strudel alle mele.
‹‹Mamma,
dove hai messo
le mie robe pulite? Le avevo messe qui sul
water!››
Uscì
in quelle
condizioni. Ovviamente, Heidi, lo prese in giro.
‹‹Ma
cosa ti sei messo
addosso, Bill?›› disse piegandosi in due dalle
risate. Bill cercò di non darle
molta corda ma, istintivamente, si mise a ridere anche lui.
‹‹Sì, lo so. Sono
inguardabile in queste condizioni, ma in questo momento è il
mio ultimo
pensiero. Devo trovare la mia camicia di lino bianca e i pantaloni in
cotone.
Li hai visti?›› continuò a rovistare
un po’ nelle sue valigie, nella
convinzione che Simone avesse rimesso a posto ciò che aveva
scelto. Difatti,
era così.
Bill
afferrò la roba e,
con non curanza, si denudò davanti alla sorella. Ovviamente,
diverse volte
l’aveva visto nudo e viceversa. Avevano un rapporto molto
stretto – seppure
alle volte si sfottevano – ma era proprio questo il motivo
per cui erano così
legati. Il loro legame divenne ancor più unito, soprattutto
quando Bill, sei
anni fa, le confidò di essere gay. Inizialmente, fu un duro
colpo per Heidi ma,
col tempo, riuscì ad accettarlo e provò
così ad aiutarlo nell’affrontare il
discorso con i suoi genitori che, stranamente, l’accettarono
senza problemi. Lo sapevo già da
un pezzo Bill. Gli
disse Simone. A quattro anni, invece
delle macchine Hotwheels, volevi i trucchi di Barbie. Prese
molto bene
quest’affermazione di sua mamma; sapeva che, in cuor suo, ci
soffriva. Ma era
così, e gli voleva ugualmente un gran bene.
‹‹Come
sto?›› disse poi
una volta vestito, rivolgendosi alla sorella. Heidi lo
squadrò da capo a piedi,
con occhi e bocca ridotti a due piccole fessure e con
l’indice posato su
quest’ultima.
‹‹Dico
che, se non
fossi stato mio fratello e non fossi gay.. sì, ti potrei
violentare!››
‹‹Dio,
Heidi. Sei
sempre la solita!›› sbuffò poi in una
risata Bill, aggiustandosi il colletto
della camicia bianca. Anche Heidi era pronta ma, a differenza di Bill,
lei
indossava un semplice copri costume azzurro velato, un cappello di
paglia ampio
e delle zeppe.
‹‹Guardami
Bill, non mi
da l’aria di una turista americana?››
fece una piroetta su se stessa,
mettendosi contemporaneamente dei grossi occhiali da sole bianchi. Bill
l’osservò con aria divertita. Delle volte pensava
a cosa avrebbe fatto, se
la sorella non facesse parte della sua
vita.
*
Erano
le dieci in
punto. Mezz’ora e la nave sarebbe partita. Bill non sapeva il
motivo, ma in un
certo senso, era eccitato dall’idea di vedere la partenza.
Aveva già fatto una
ventina di fotografie. Al ponte, al molo, al mare, al porto, persino
agli
ombrelloni.
‹‹Guardami
Heidi..››
cominciò, portandosi l’obiettivo davanti al volto.
‹‹Fatti fare una foto.››
Heidi si mise in posa, aprendo la bocca in un grande sorriso,
mantenendosi li
occhiali da sole versione X-L e, con quella libera, poggiandosi sulla
ringhiera, mentre alzata leggermente indietro un ginocchio, facendo un
angolo
retto. Bill immortalò quel momento. Heidi aveva un
bellissimo sorriso e, in
foto, rendeva ancora di più.
‹‹Fammela
vedere!
Fammela vedere!›› disse poi, saltellando davanti
al fratello. Bill girò dalla
sua parte la Camera e le mostrò la fotografia appena
scattata.
‹‹Sono
venuta
benissimo!›› disse in maniera altezzosa; ma Bill
riusciva comunque a rovinarle
– ovviamente in maniera giocosa – il suo
entusiasmo.
‹‹Ma
non sei tu ad essere
bella, è la mia mano esperta e la Camera che fanno
miracoli!›› disse ridendo.
Heidi gli diede un pugno sulla spalla, dicendogli di smetterla.
D’un
tratto, si sentì
un forte suono sordo.
Stiamo
per salpare.
Loro
erano a poppa e,
immediatamente dopo aver udito quel suono, cominciò a
tremare. Heidi,
istintivamente, si aggrappò alla ringhiera, avvolgendola con
un braccio e, con
l’altro, si aggrappò a quello di Bill che,
comprendendo la sua lieve paura,
l’afferrò di riflesso.
‹‹Sta
tranquilla,
Heidi, stiamo partendo. Vedi!›› indicò
la schiuma che cominciò a formarsi sotto
di loro. Il vento cominciò a soffiare leggermente
più forte di quanto
pensassero. Heidi si portò automaticamente una mano sul capo
per sorreggere la
sua paglia. Bill cominciò a scattare fotografie.
‹‹Bill,
fa una foto a
noi e tre, poi chiediamo a qualcuno se ce ne scatta una tutti
assieme.›› così
fece. Scattò prima la foto ai suoi famigliari, ma non
cercò nessuno che potesse
scattare la foto a loro quattro.
‹‹Mamma,
non ti faccio
nemmeno guardare da lontano la mia macchina fotografica, figuriamoci se
la
faccio toccare ad un perfetto sconosciuto. Potrebbe deturparmela oppure
rubarsela o…››
‹‹Ma
non fare il
deficiente, Bill. Chi vuoi che la rubi?››
Bill
la guardò
perplesso. Nessuno sapeva realmente quanto lui
tenesse a quella dannata macchina fotografica. Un netto e
deciso ‘no’ interruppe
una volta per tutte il
discorso.
*
‹‹Mio
dio, sto
letteralmente morendo di fame.››
esternò Heidi. Bill la seguì a ruota. Erano
all’incirca l’una e mezza. Le passate tre ore dalla
partenza, le avevano
trascorse girovagando per la nave; diversi posti, colpirono Bill:
particolar
modo, la palestra, il teatro, il cinema, la discoteca e il ristorante.
In fin
dei conti, Heidi aveva ragione. Una bella serata in discoteca, non
avrebbe fatto
del male proprio a nessuno. Si sarebbe senza dubbio divertito;
dopotutto, a chi
non piaceva andare in discoteca? Si ballava, si fumava, si beveva,
insomma:
puro divertimento. Un conto era non ammette di divertirsi, un altro era
quello
di privarsi il divertimento per non ammetterlo. Bill non era
così stupido da
rovinarsi la vacanza solo per puro
orgoglio. Ormai era lì, e aveva deciso che
l’avrebbe vissuta al massimo. In fin
dei conti, il dispetto l’avrebbe fatto a se stesso, se si
fosse chiuso in camera
per sette giorni.
‹‹Sai
mamma..››
cominciò Bill, mentre si avviavano alla sala buffet.
‹‹Cosa,
tesoro?››
‹‹Riflettendoci,
mi
sembra una cosa inutile non scendere ad ogni città che
visitiamo. Dopotutto,
quando mi capiterà più una cosa del genere, non
trovi?›› gli fu molto difficile
ammetterlo. Simone non disse niente. Gli accarezzò i capelli
e gli diede un
bacio sulla fronte. Gordon, invece, assunse un comportamento
più da duro,
dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Heidi, invece, la classica
gomitata
spacca costole, nel torace.
‹‹E
bravo il fratellino
che ha deciso di aprire un po’ quegli occhietti da pesce
lesso.›› Bill le fece
scherzosamente il verso; dopodiché, una volta giunti a
destinazione, rimasero
senza parole.
La
sala, oltre che
immensa, era anche piena di gente.
‹‹Riusciremo
a mettere
qualcosa sotto i denti?›› ammise Gordon, vedendo
la marea di gente seduta nella
sala e, inoltre, che attendeva davanti ai banconi per essere servita.
‹‹Caro,
c’è così tanto
ben di Dio che, pensa te, viene addirittura buttato in mare, per quanto
ne
rimane.›› fece notare Simone. Heidi e Bill si
sfregarono le mani e,
contemporaneamente, afferrarono un vassoio per dirigersi verso la prima
di una
sfilza di banconi dove cuochi di varie etnie, erano indaffarati ed
affannati
per poter stare al ritmo della gente.
‹‹Bene,
nel frattempo
che voi discutete, io e Bill andiamo a riempirci la pancia; anzi, visto
che ci
siete, trovate un tavolo.››
C’era
una grande
varietà di scelte tra pasta, riso, contorni, secondi, pane,
frutta, verdura,
dolci. Il cibo, di sicuro, non mancava. Bill però, come
sempre, era altamente
fissato con un’alimentazione sana ed equilibrata e, di
sicuro, non avrebbe
voluto prendere dieci chili in una sola settimana. Il suo pranzo, era
composto
da: riso in bianco, due pezzi di pollo, insalata, patate e una banana.
Quando
però vide il
vassoio di sua sorella, rimase leggermente scosso. Heidi, a differenza,
aveva
preso di tutto e di più: tra patatine fritte, wurstel ed
hamburger.
‹‹Heidi,
non vorrai mangiarti
quella spazzatura, vero?›› lei fece finta di non
sentirlo e, per completare il
tutto, aveva preso una generosa porzione di torta con panna e fragole.
‹‹Bill,
una volta devo
morire. Preferisco farlo felicemente.››
confessò poi.
‹‹Sì,
anche io preferisco
morire felice… ma non di certo voglio morire
grasso!›› disse infine.
‹‹Ora
dobbiamo solo cercare mamma e papà.››
proseguì poi, in cerca dei genitori. Era
il loro turno, adesso.
Qualche
minuto dopo,
videro Simone sbracciarsi.
‹‹Eccoli,
sono lì.›› si
fecero spazio fra la gente, facendo attenzione a non rovesciare il
proprio
vassoio addosso a qualcuno e viceversa. Poco dopo varie sgomitate,
riuscirono a
raggiungere il loro posto.
‹‹Era
ora, stavamo
quasi per mangiarci il tavolo.›› Gordon rise e,
in un batter d’occhio, si alzò
e si diresse verso i banconi pieni di roba, seguito a ruota da Simone.
‹‹Mi
viene il disgusto
a guardarti mangiare quella roba, Bill. Non solo a casa, anche qui devi
fare lo
schizzinoso?›› Bill fece finta di non sentire e,
di proposito, mangiò un pezzo
di pollo proprio davanti a suoi occhi.
‹‹Ora
che ho scoperto
che c’è anche una palestra, puoi dire addio a tuo
fratello maggiore. Perché
passerò i miei pomeriggi lì
dentro.››
‹‹Vedi
di conservare un
po’ di energie per la discoteca, Bill. Me l’hai
promesso.››
‹‹Sì,
Heidi. Ti ho
detto di sì. Sta tranquilla.››
mandò giù un altro boccone di pollo e riso
insieme. D’un tratto però, il suo
sguardò venne distratto da qualcuno e si
strozzò con quel boccone, provocandogli un sonoro colpo di
tosse.
‹‹Ehi
Bill, sta
attento! Cosa c’è?›› Heidi
scattò in piedi, si sporse in avanti e, con la mano
destra, cominciò a battere dei forti colpi dietro la schiena
del fratello.
Bill, dal canto suo, fece capire ad Heidi che era tutto okay, facendo
un gesto
vago con la mano, continuando però a tossire.
‹‹Si
può sapere che
cosa ti è preso? Non riesci nemmeno più a
masticare, adesso?››
‹‹Ma
non fare la
cretina…›› tossì ancora. Il
suo sguardo, intanto, stava seguendo la sagoma
perfetta di un ragazzo alto e slanciato, ben messo fisicamente.
C’era solo un
piccolo problema: aveva i rasta neri. Ciò significava una
cosa sola: era
proprio il ragazzo che lo aveva deriso all’imbarco e che, per
poco, non lo
scaraventava per terra.
‹‹Vedi
quel ragazzo
laggiù?›› disse indicando con lo
sguardo il ragazzo davanti a lui, che si era
seduto un tavolo più dietro. Heidi voltò
leggermente lo sguardo alle sue
spalle.
‹‹Chi
Bill? Ce ne sono
una ventina.››
‹‹Quello
con i
dreadlocks neri.››
Heidi
si voltò
nuovamente e, questa volta, vide il ragazzo.
‹‹O
mio dio. Che cazzo
di figo!›› fece notare a Bill.
‹‹Non
ho detto di
esternare quanto fosse figo. Ti ho solo detto di
guardarlo.››
‹‹L’ho
guardato e ti ho
detto quello che penso. Cosa c’è? Ti piace? Se
vuoi ci parlo…››
‹‹Ma
mi fai parlare,
Heidi? Quello è il ragazzo che si è messo a
ridere mentre mi denudavo davanti
al metal-detector e, per di più, ho rischiato di essere
scaraventato in terra,
stamattina. E indovina un po’? Il tuo bel principe azzurro
dai dreads neri, è
il colpevole.››
Heidi
lo guardò con
un’aria scocciata. Di questo passo, se Bill fosse stato
sempre così critico,
non avrebbe mai e poi mai trovato qualcun’altro.
‹‹Bill..
fratello mio..
ma perché sei così estremamente e ri-sottolineo, estremamente pesante. Uno: tutti avrebbe
riso se ti avessero visto
in quelle condizioni; io, ero proprio una di quelle. Due:
può anche darsi che
non l’abbia fatto di proposito a
spingerti.›› Bill non era del tutto convinto
delle due risposte date dalla sorella ma, doveva riconoscere il fatto
che, se
ci fosse stato qualcun altro al suo posto lì, davanti al
metal-detector e gli
fosse capitata la disgrazia successa a lui, senza dubbio avrebbe riso a
crepapelle, senza trattenersi come invece aveva fatto quel ragazzo. Per
di più,
era anche vero il fatto che non l’aveva spintonato di
proposito e, per giunta,
gli aveva anche chiesto scusa.
‹‹Sì,
ma resta sempre
il fatto che non si sia fermato a chiedermi se mi fossi rotto
qualcosa.››
Heidi
gli lanciò una
patatina in faccia, sporcandolo di ketchup.
‹‹Ciò
non toglie il
fatto che tu sia un vero cretino, Bill.›› gli
gettò un’altra patatina. Poco
dopo, arrivarono Simone e Gordon, carichi di meraviglie, nei loro
vassoi. Bill
si spostò leggermente per far posto al padre.
Tornò
a concentrarsi
sul proprio pranzo, quasi finito; ma, la sua attenzione, veniva
continuamente
distratta da quella presenza. Solo
ora aveva notato quanto, effettivamente, fosse un gran bel ragazzo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo III ***
-
Capitolo 3 -
‹‹Bill,
ma perché non
posso venire in palestra assieme a te?›› Heidi
continuava a supplicarlo,
riprendendo i leggings che Bill, per l’ennesima volta, aveva
riposto nella
valigia della sorella. Glieli tolse nuovamente dalle mani e li rimise
bruscamente all’interno della valigia.
‹‹Te
l’ho già detto.
Non verrai in palestra con quel leggings. Te l’avevo
già detto questa mattina,
prima di partire. È troppo trasparente. Ti si vede tutto il
sedere.››
‹‹Ma
che problema c’è?
Gli occhi son fatti per guardare, Bill.››
‹‹Sì
certo, e i
fratelli per spaccare la faccia a chiunque osi guardare la propria
sorella con
aria da maniaco pervertito. Non fare storia, Heidi. Se vuoi andare in
palestra
vacci, ma non quando sei con me. Non mi va di starti dietro e di
controllare
ogni tuo piccolo movimento. Sei libera di indossare quello che vuoi, ma
non
quando sei con me. Adesso scusami.. devo andare ad allenarmi.››
Lasciò
la sorella come
uno stoccafisso, in camera con i genitori che, stranamente, diedero
ragione a
Bill.
‹‹Beh
Heidi, tuo
fratello non ha tutti i torti. C’è da dire che
quel tuo leggings è a dir poco
osé.›› le fece notare Gordon. Simone,
a sua volta, lo accompagnò. Heidi disse
ad entrambi di farsi i fatti propri. Ci sarebbe andata, con o senza
Bill.
*
‹‹Excuse me, where is the gym?››
chiese Bill, sfoggiando il suo
inglese perfetto. Delle volte, si complimentava da solo. Potrei
passare per un madrelingua. Ripeteva sempre.
La
ragazza asiatica,
gli rispose a tono, dicendogli che sarebbe dovuto salire al ponte nove,
attraversare la piscina e poi, sulla destra, avrebbe trovato la
palestra.
‹‹Thank you so much!››
la ragazza asiatica, fece un inchino,
giungendo le mani al petto. Bill fece lo stesso, imitandola.
Portava
una canotta
smanicata alquanto aderente, di colore bianco sporco con un logo di un qualcosa al centro; gli metteva in
mostra i suoi scolpiti pettorali, risaltando anche le spalle larghe e i
bicipiti accentuati; un pantalone di tuta che gli cadeva morbido,
invece, gli
nascondeva in parte la muscolatura delle gambe; per finire, non
potevano
mancare le sue adorate Nike blu elettrico.
Con
aria altezzosa e
decisamente da Diva hollywoodiana, cominciò a camminare
lungo tutto il ponte,
guardandosi intorno di tanto in tanto. Stava
forse cercando qualcuno? Si tolse i suoi Ray-Ban a goccia
trasparente e li
ripose accuratamente nella loro
custodia, facendola poi scomparire all’interno della sua
borsa. Aveva il suo
stile, anche quando doveva andare in palestra.
Non
appena superò la
piscina dei bambini, girò a destra e, come gli era stato
detto dalla tipa
cinese, si ritrovò all’entrata della palestra.
Seguì le indicazione – anche se
oggettivamente non ce n’era bisogna – e
salì una serie di scalini. Una volta
terminati, percorse all’incirca dieci metri, prima di
ricevere l’accoglienza di
altre ragazze asiatiche che, così come aveva fatto quell’altra, si erano piegate
leggermente in avanti per dargli il
benvenuto. Bill salutò cordialmente e, mettendo sempre in
risalto la sua
abilità nel parlare l’inglese, chiese di entrare.
Le
ragazze gli
raccomandarono di entrare solo con le scarpe da ginnastica e che fosse
fisicamente sano. Gli diedero un modulo informativo da leggere,
compilare ed
infine, firmare.
‹‹Io
sottoscritto: Wilhelm Kaulitz, dichiaro
di aver letto
attentamente le informazioni sulle condizioni psico-fisiche.. bla, bla, bla…›› fece finta di leggere il modulo. Lui
sapeva già di essere idoneo,
o non avrebbe quel fisichetto che si ritrovava. Di sicuro, ne sapeva
molto più
di loro. Ma decise di sorvolare su questo.
Porse
il modulo letto e
firmato a quello pseudo istruttore e decise di cominciare ad allenarsi.
‹‹Sir?›› si
sentì chiamare. Signore? Ma per chi l’aveva preso.
Un
vecchio? L’istruttore l’indicò il mobile
con tutti gli asciugamani perfettamente arrotolati
e posti uno
sull’altro. Quello sarebbe stato il suo asciugamani
personale. Alzò una mano
per ringraziarlo e andò a prenderlo. Istintivamente, lo
portò vicino al naso
per sentirne l’odore. Aveva lo stesso profumo di pulito che
aveva la sua
camera.
Lo
srotolò e se lo mise
attorno al collo, dopodiché puntò il
tapis-roulant. Aveva voglia di correre.
Gli
attrezzi, erano gli
stessi che arredavano la sua palestra, la Technogym, quindi gli fu
estremamente
facile prendere confidenza con il macchinario. Programmò il
tappeto a velocità
otto e pendenza tre, per un quarto d’ora. Non appena lo
azionò, cominciò a
correre.
La
vista, di fronte a
lui, era stupenda. La palestra si trovava a prua, e non a poppa. Gli
parve
correre sull’acqua. Si sentiva stranamente rilassato, con la
mente svuotata da
qualsiasi pensiero o problema. Correre, gli aveva sempre dato la forza
di
andare avanti e di rilassarsi. La palestra, in generale, lo aveva
risollevato e
gli aveva donato l’autostima di cui, adesso, è
tanto fiero; soprattutto dopo
aver intrapreso l’arte del pugilato. Questo lo
aiutò a combattere la timidezza,
rafforzare se stesso sia fisicamente che psicologicamente.
Inizialmente, aveva
deciso di accingersi in questa attività esclusivamente per
legittima difesa.
Sì, perché Bill ne aveva bisogno,
all’epoca del liceo. Poi, con il passare dei
mesi, cominciò a praticarlo a livello agonistico.
Iniziò a fare match e a
combattere sul ring; fino a quando però.. ebbe
l’incidente.
‹‹Bill,
ti prego, non combattere oggi. Guardalo, pesa quasi il doppio di
te.››
‹‹No
mamma. Non voglio gettare la spugna, come un perdente. Voglio vincere.
So che posso batterlo. Sono più svelto di
lui.››
‹‹Mi
avevi promessi che se ti avessi chiesto di non combattere, tu
l’avresti fatto. Negli ultimi tre anni, non te l’ho
mai chiesto. Te lo sto
chiedendo ora.››
‹‹Ormai
ho deciso.››
*
Prima
della fine del
primo round, si ritrovò in ospedale. Il volto tumefatto, il
setto nasale rotto
e una spalla lussata. L’aveva picchiato. L’aveva
picchiato forte.
‹‹Almeno
gli ho spaccato quella faccia di cazzo che si
ritrovava?›› disse
lui, frastornato dagli anti dolorifici. Simone non disse nulla. Gli
accarezzò
delicatamente la fronte. Vedere il figlio ridotto in quello stato, era
un colpo
dritto al cuore.
‹‹Bill,
prometti che non combatterai più. Per favore. Vorrei che tu
ti
ritirassi dai match. Hai dimostrato abbastanza, adesso. Ti sei fatto
valere.
Sei arrivato dove volevi arrivare. Adesso basta. Non voglio
perderti.››
Era
sull’orlo delle lacrime. Bill odiava vedere la madre
così, in quello
stato. Con suo immenso stupore, decise di accontentarla. Si
ritirò dai
combattimenti e non praticò più la boxe. Ma
tutt’oggi, non c’è giorno in cui
almeno una volta al giorno, non pensi di ritornare sul ring, per
combattere
ancora.
Mentre
correva, si
portò una mano vicino il naso, in prossimità del
suo septum. Toccò
leggermente la punta. Era molto più morbida del
normale, come se fosse il naso di quelle maschere di gomma. Di
cartilagine, non
ce n’era l’ombra. Spostò poi
l’indice e il medio dalla punta, fino al setto
nasale vero e proprio. Buona parte dell’osso, era stata
ricostruita. Ma
rimaneva pur sempre un naso rifatto.
Gli
tornò alla mente il
giorno dell’operazione, i tremendi dolori che ne seguirono
dopo e la lunga
riabilitazione che dovette affrontare per via della lussazione alla
spalla
destra.
Stava
continuando a
rimuginare a vecchi e brutti ricordi. Cazzo,
son venuto qui per rilassarmi. Non per deprimermi. Si
ritrovò a pensare
poi; le sue riflessioni però, vennero improvvisamente e
bruscamente interrotte
da un sonoro ‘Hi!’
Si girò di scatto
alla sua sinistra, dove aveva udito la voce. Vide l’ultima
persona che avrebbe
immaginato di incontrare. Il ragazzo con
i dreads?
Rimase
impassibile e
quasi non cadde dal tapis-roulant; dovette mantenersi, per far
sì che non
accadesse. Perché gli aveva rivolto la parola? Lo aveva per
caso riconosciuto?
Voleva magari chiedergli scusa? Perché cominciava a far
più caldo del previsto,
lì dentro? E perché aveva il cuore che sembrava
volesse uscire dal petto. – no.
Non era per via dell’affaticamento. – Di una cosa
era certo, però. Non era
tedesco.
‹‹Hi!›› rispose Bill
un po’ impacciato, tornando a guardare la vista
meravigliosa che aveva davanti ai suoi occhi. Ma quale panorama
intendeva? Il
mare o il ragazzo?
‹‹Where
are you from?›› gli
chiese il rasta.
Bill cominciò ad entrare in iperventilazione, senza
conoscere realmente il
motivo.
Bill,
ti dai una calmata? Non hai mica quindici anni. È solo un
cazzo di
ragazzo!
‹‹Ehm.. Germany. You?››
il respiro cominciò a scarseggiare. Questo
però, era anche dovuto
al fatto che stesse
correndo a perdifiato già da dieci minuti.
‹‹America. New York!››
Il rasta, cominciò a programmare il
tapis-roulant. Bill notò che mise una pendenza discreta, con
velocità moderata.
Non aveva intenzione di correre. Lui, invece, continuava imperterrito
quello
che stava facendo – più o meno – Sorrise
come un imbranato. Non sapeva come
comportarsi; ma prima che se ne rendesse conto, cominciò ad
intraprendere un
discorso con quel ragazzo. Ovviamente, in inglese. Certo, si aspettava
solo che
il rasta parlasse tedesco.
‹‹Comunque
io mi chiamo
Thomas!›› il rasta gli porse la mano. Bill lo
guardò, facendogli capire che non
poteva distogliere l’attenzione dal tappeto in corsa, o
sarebbe sicuramente
caduto. ‹‹Ops, scusami. Non ci ho
badato.›› Tom alzò le mani, in segno
di
scusa. Non si era affatto reso conto che Bill non potesse stringerla.
Era
forse il caso di
fermarsi? Forse, il rasta, avrebbe voluto dirgli qualcosa di carino e
lui se ne
stava altamente sbattendo il cazzo? Sì, forse era il caso di
farlo.
Ridusse
drasticamente
la velocità del tappeto, portandola da 10k/h ad appena 6k/h.
Espirò
profondamente. Rivolse un sorriso al ragazzo e gli porse la mano.
‹‹Io
mi chiamo Bill. Ti
chiedo scusa, non potevo fermarmi di colpo!›› si
giustificò poi. Tom scosse le
spalle. Dicendo di non preoccuparsi.
Forse
dovrei sbattergli in faccia quello che ha fatto questa mattina?
Si
ritrovò a pensare
Bill. Ma poi, venne battuto sul tempo.
‹‹Volevo
chiederti
scusa per oggi. Non volevo travolgerti. Un mio compagno mi ha spinto ed
ho
perso l’equilibrio.››
Okay.
Si è scusato prima che io gli rinfacciassi tutto.
Bill
sorrise, e disse
di non preoccuparsi.
‹‹È
stato piuttosto
imbarazzante come cosa.›› Tom aveva il capo chino
e, di tanto in tanto,
guardava Bill con una certa timidezza, confondendogli leggermente le
idee.
Ma
perché fa così?
‹‹Ti
posso capire. Ma
in quel momento non so chi ti abbia protetto, stavo per bussare alla
tua porta
e prenderti a pugni.›› Disse poi Bill in maniera
sarcastica ovviamente, anche
se, qualche ora prima, lo pensava seriamente.
Tom
non rispose. Guardò
davanti a sé l’immensità del mare.
Perdendosi per qualche secondo. Bill fece lo
stesso. Fra i due, calò un silenzio di quasi cinque minuti.
Bill scese dal
tapis-roulant per dedicarsi ai pesi. Aveva finito il tempo –
allungato già di
altri dieci minuti –
‹‹Ehm..
io dovrei fare
i pesi.›› disse poi indicando alle sue spalle un
punto caso, senza sapere con
certezza dove fossero. Tom si girò leggermente verso di lui,
mantenendosi agli
appositi manici.
‹‹Okay..
ehm.. Ci si
becca in giro?›› domandò poi,
continuando a camminare. Nel suo sguardo, Bill
riuscì ad intravedere una certa espressione di speranza,
mista a… qualcos’altro.
Si aspettava forse che
gli dicesse di sì?
‹‹Certamente.
Ci si
vede!›› lo salutò con un cenno della
mano ma, prima che se ne andasse, Tom lo
chiamò per nome.
‹‹Il
tuo inglese è
davvero perfetto.›› si complimentò con
lui. Ma Bill non aveva bisogno di
ricevere complimenti. Lo sapeva già di suo. A
cos’era servito allora il
Cambridge? O lo stage di un mese a Londra? O le lezioni private con un
madrelingua? O la certificazione C2? Certo, non si sarebbe messo ad
elencare
tutte queste sue qualità, sarebbe passato per un
egocentrico, logorroico figlio
di papà – quale era, d’altronde.
– Si limitò solo a ringraziarlo.
Detto
questo, tornò a
ciò che aveva intenzione di fare: allenarsi.
*
Mentre
si accingeva a
fare bicipiti con un peso da 22kg, di tanto in tanto, lanciava qualche
occhiata
furtiva a Tom che, apparentemente, sembrava non stesse facendo nulla,
se non
quella di girare a vuoto la palestra, senza sapere dove covare
l’uovo. A Bill
venne leggermente da sorridere; ma poi si morse il labbro quasi a
sangue, per
evitare di scoppiare in una fragorosa risata, vedendolo del tutto
impacciato.
Si vedeva lontano un miglio che non aveva affatto intenzione di
allenarsi,
quella mattina. Bill non ci avrebbe tanto scommesso, in quanto anche
lui, aveva
un gran bel fisico. Decise di coinvolgerlo, visto che, anche lui, non
la
smetteva un attimo di guardarlo. – Bill se n’era
accorto grazie ai grandi
specchi che circondavano la palestra –
‹‹Non
sai cosa
allenare, per caso?›› disse di punto in bianco,
facendo sobbalzare leggermente
Tom, dallo spavento. Bill trattenere una risata. Certo che con Tom, era
molto
facile sorridere.
‹‹Ehm..
veramente sto
cercando di ambientarmi.›› affermò lui
poi, un po’ impacciatamente,
sistemandosi la folta chioma rasta in un codino a dir poco voluminoso.
‹‹Non so
da cosa possa cominciare. Tu cosa stai
allenando?›› si avvicinò a Bill e
senza
troppi indugi, si andò a sistemare accanto a lui, seduto su
di una panca
vicino. Si sedette con non curanza, con le gambe decisamente
troppo divaricate per i gusti di Bill. Aveva i gomiti
poggiati sulle cosce, leggermente ricurvo e con le mani intrecciate. Lo
fissava
in una maniera alquanto strana, tanto da metterlo a disagio
già più di quanto
non lo fosse.
Bill
lo guardò di
traverso, non incrociando del tutto i suoi occhi.
Perché
diamine mi sento così, come un ragazzino?
Si
ritrovò a pensare
Bill, vedendo il comportamento che stava assumendo lui stesso.
Tentennò
leggermente, prima di rispondere.
‹‹Dovrei
fare petto,
spalle e bicipiti. Come vedi, ho appena iniziato a fare i
bicipiti.›› proseguì
Bill, sforzandosi leggermente a causa del peso che stava sollevando.
‹‹Potresti
fare lo stesso tu, senza rigirarti i pollici!››
Tom
inizialmente lo
guardò scettico, poi però sorrise e decise di
cominciare ad allenarsi assieme a
lui.
*
‹‹Giuro..››
espirò
molto rumorosamente, svuotando completamente i polmoni con quella poca
aria che
gli era rimasta in corpo. Aveva il fiatone e stava sudando come un
dannato.
‹‹Se mai qualche altro giorno mi dovessi chiedere
di allenarmi assieme a te..››
un altro respiro. Era piegato e poggiato sulle ginocchia. Tentava di
riprendere
fiato. ‹‹Ci penserò due volte, prima
di dirti sì.››
Bill,
dal canto suo,
cominciò a ridere in maniera alquanto fragorosa. Aveva
davvero conciato per le
feste Tom. Nonostante lui fosse leggermente più minuto, era
riuscito comunque a
dargli filo da torciere.
‹‹Eppure,
sembravi
molto più in forma di me. Io ho lasciato la palestra per un
bel po’ di tempo.
Ma tu, sembra che non hai mai sollevato un peso in vita
tua!›› continuò poi,
prendendolo in giro. Tom non demorse. Si rialzò con aria
orgogliosa, gonfiando
il petto – per quanto fosse possibile visto che gli doleva da
matti –
‹‹Sono
in ottima forma.
Devo solo riprendere il ritmo.›› si
giustificò, accasciandosi nuovamente su se
stesso come un sacco di patate vuotato del proprio contenuto.
‹‹È bello e, allo
stesso tempo, faticoso allenarsi con te; ma mi fa piacere la tua
compagnia, in
ogni caso. Sei una persona simpatica, Bill.››
Disse
quelle parole con
una certa titubanza; Bill l’intuì immediatamente.
Non gli diede affatto
fastidio, anzi. Trovava quella sua.. come l’aveva chiamata? Goffaggine, decisamente molto piacevole.
All’apparenza,
Tom
poteva sembrare il classico ragazzaccio; difatti Bill, pensò
immediatamente che
fosse una testa calda e che se l’avesse visto in giro dopo lo
spintone e la presa
per il culo durate il metal-detector, lo avrebbe preso a botte. Poi
però, la
sua fantastica sorella, gli aveva
fatto notare quanto fosse decisamente un gran bel ragazzo; ma grazie a
lui
stesso e alle sue intuizioni, aveva capito che Tom non era
ciò che esteriormente
potere sembrava.
Dopo
la tremenda
delusione della fine di una storia durata quattro anni e mezzo.
Giurò che non
avrebbe mai più dato confidenza a qualcuno di
particolarmente interessante. E
allora perché stava parlando con Tom?
Non
guarderò mai più un uomo in faccia. Non lo
farò mai più, giuro.
Quante
volte aveva
ripetuto quella frase? Troppe, forse. Così tanto che, da un
anno a quella
parte, non aveva seriamente più avuto nessuna storia.
Nessuna. Preferiva
rimanere solo tra i suoi pensieri, dedicandosi specialmente alla sua
unica vera
passione. La boxe.
Quando
era triste,
arrabbiato, deluso o in conflitto con qualcuno, il sacco
l’aiutava a scaricare
tutta la tensione che aveva in corpo; lo faceva sentire libero, vivo,
rinato.
Un’altra persona.
‹‹Anche
la tua
compagnia, è piuttosto piacevole.››
confessò poi. Era vero, quando due persone
sono in sintonia, non importa da quanto tempo si conoscono o si
frequentano,
una bella compagnia, è pur sempre una bella compagnia e, a
quanto pare, tra Bill
e Tom c’era un certo feeling. Ma.. una domanda vacillava
nella sua mente: che fosse gay anche lui?
Non
c’era altra
spiegazione. Perché quella timidezza? Perché
quell’insistenza nel parlare o
nell’avvicinarsi a lui? Forse Bill si stava facendo troppe
seghe mentali.
Cazzo
Bill, non è che un uomo si avvicina per parlare con te e tu
lo devi
immediatamente classificare come: GAY.
Si
picchiò mentalmente.
Poco ci mancava che non lo facesse anche fisicamente. Si astenne nel
mollarsi
un ceffone in pieno viso, onde evitare perplessità in Tom.
D’altronde,
poteva
benissimo essere un ragazzo timido che non aveva ancora stretto alcuna
amicizia
e Bill, gli era parso ancora più sfigato e timido di lui.
Aveva ragione? Forse.
‹‹I
tuoi compagni non
ti hanno accompagnato qui in palestra?››
proseguì Bill, lasciando il bilanciere
per terra, per poi sedersi accanto a Tom. Lui scosse la testa.
‹‹A
loro non piace la
palestra. Sono degli scansafatiche. Sono i miei compagni del
College.››
‹‹Ah,
vai ancora al
College? Quanti anni hai?›› chiese poi
istintivamente Bill.
‹‹Ventidue.
E tu?››
‹‹Ventiquattro.
Dove
studi?››
Tom tentennò leggermente.
‹‹City University of New
York. In
altre parole, alla CUNY››
Tentò di evitare lo sguardo di
Bill, perché sapeva benissimo che reazione avrebbe suscitato
una volta nominato
quel College. Difatti, come immaginava, Bill lo guardò con
aria decisamente
sconvolta e meravigliata. La classica faccia da pesce lesso: bocca
aperta e
occhi spalancati.
‹‹Alla
Cuny? Stai scherzando? È
praticamente
impossibile entrare lì dentro.›› Tom
preferì non dare tante spiegazione di come
fosse entrato lì dentro. Ma per quale motivo mentire? Bill
gli ispirava
abbastanza fiducia. Tra l’altro, cosa c’era di male
nel dire che suo padre era
il preside di quel College?
‹‹Beh,
mio padre.. è il
dirigente della Cuny, quindi.. non mi ci è voluto molto per
poter entrare là
dentro. Ovvio, vengo trattato come tutti gli studenti ma, come ben
immaginerai,
ho il mio occhio di riguardo per gli esami e tutto il resto. Ma non ho
mai
chiesto a mio padre di aiutarmi per la promozione in qualche esame
particolare.
Son stato bocciato una volta, ad un esame decisamente troppo difficile.
Mio
padre aveva fatto modificare il voto al
professore.››
‹‹E
tu?››
‹‹Ho
deciso di rifarlo
con le mie forze. L’ho provato circa tre volte, fino a quando
non ci sono
riuscito, prendendo il massimo. In quel momento, sentivo che avrei
potuto
superare qualsiasi cosa. Mi sentivo fiero di me stesso e del duro
lavoro che
avevo fatto.››
Bill
non aggiunse
nulla. Lo guardò sorridendo. Sì. Tom era
completamente, nettamente, decisamente
diverso da come si presentava fisicamente.
*
‹‹Beh
Tom, mi ha fatto
piacere conoscerti.›› Bill prese il suo
asciugamani, se lo mise attorno al
collo e poi lo tolse nuovamente. Doveva metterlo nella cesta sporca
assieme a
tutti gli altri.
‹‹Lo
è stato anche per
me. Magari ci vediamo questa sera? Tu vai a
ballare?›› Tom gettò con un
canestro il proprio asciugamani; Bill, invece, in maniera decisamente
più
educata, lo posò direttamente nell’apposito
cestino.
‹‹Mia
sorella vorrebbe.
A me non piace tanto la discoteca..›› fece una
pausa. Tom lo guardò leggermente
dispiaciuto. Si morse il labbro inferiore ed annuì.
‹‹..ma credo che possa fare
una piccola eccezione. Dopotutto, non ci vedo nulla di male, nel
divertirsi un
po’.››
Tom
si illuminò in un
bellissimo sorriso. Sembrava un bambino felice. Possibile che Bill
l’avesse
colpito così tanto? Oppure era uno scherzo ben progettato
per metterlo in
imbarazzo ancora di più? Gli venne il dubbio.
Bill,
piantala di farti le seghe mentali. Perché devi pensare
sempre in
negativo?
Bill
fece spallucce. Lo
salutò con un cenno della mano. Era eccessivo salutarlo con
due baci sulla
guancia. Decisamente troppo. Secondo lui.
Difatti Tom, gli afferrò delicatamente il polso e
lo salutò con due sonori
baci sulle guance.
‹‹Ciao,
Bill.›› sorrise
nuovamente e andò via. Bill fece lo stesso. Si
toccò istintivamente la parte
baciata della guancia, senza rendersene veramente conto. Sorrise come
un
imbecille. Delle volte, si addolciva davvero con troppo poco.
*
Una
volta salito al suo
piano, frugò nella borsa per trovare la sua scheda.
Ovviamente, non ci volle
molto in quanto aveva semplicemente la bottiglietta
dell’acqua e il telefono.
La inserì nell’apposita fessura e una lucetta
verde si illuminò.
‹‹C’è
nessuno?›› disse
aprendo la porta con un forte spintone. C’era da ammettere
che era alquanto
pesante. ‹‹Mamma?››
Non
rispose nessuno. Si
sentiva solo il rumore di una doccia. Bill senza indugiare,
aprì la porta del
bagno e vide Heidi.
‹‹Ehi
Bill, non ti ho
sentito entrare. Scusami.››
Bill
entrò, senza
esitare. Una nube di vapore lo avvolse completamente. La condensa sul
vetro era
spessa come la nebbia. Sembrava un film horror.
Adesso
esce dalla doccia con un pugnale e mi ammazza.
‹‹Hai
finito? Dovrei
farmi anche io la doccia.›› ammise poi, iniziando
a spogliarsi, gettando in un
angolino della stanza i propri abiti sudaticci.
‹‹Sì,
tranquillo. Ho
finito.›› chiuse il getto dell’acqua
calda e, con un unico scatto, aprì la tendina.
Lo ‘sbalzo’ di temperatura, le fece venire la pelle
d’oca. ‹‹Cristo, Bill.
Chiudi la porta. Sto congelando.›› Bill la
guardò accigliato.
‹‹Ma
se ci saranno
cinquanta gradi qua dentro.›› scherzò
poi, sfilandosi l’ultimo indumento che
gli era rimasto: i boxer. Passò l’asciugamani ad
Heidi che si avvolse
immediatamente come un involtino primavera, ed entrò al suo
posto all’interno
del piccolo piatto doccia.
‹‹Spero
che tu non mi
abbia consumato tutta l’acqua calda››
proseguì poi, cominciando a far scorrere
l’acqua dimodoché uscisse quella calda.
‹‹Sta
tranquillo, Bill.
C’è acqua calda a
volontà.›› si asciugò tutto
il corpo, dopodiché si portò
un’asciugamani in testa per poi avvolgerla a mo di turbate
attorno ai capelli.
‹‹…Comunque
Heidi, non
indovinerai mai con chi ho parlato in palestra.››
disse Bill, mentre cominciò
ad insaponarsi. Heidi passò una mano sul vetro per togliere
la condensa. Aveva
il trucco leggermente scolato. Si era dimenticata di passarsi il latte
detergente prima di farsi la doccia.
‹‹Con
chi hai parlato?››
prese una salviettina umidificata dal proprio beauty-case e tolse via
il nero
che si era accumulato sotto gli occhi.
‹‹Prova
ad indovinare,
dai!››
‹‹Ma
se ti ho detto che
non lo so. Non mi va di scervellarmi tanto.››
proseguì poi mentre continuava a
struccarsi.
‹‹Il
ragazzo con i
dreadlocks neri.››
Non
appena disse così,
Heidi gettò un urletto isterico; quasi come se fosse una
ragazzina. Battendo le
mani come una bambina alla quale era stata comprata una bambola nuova
di zecca.
‹‹Devi
dirmi tutto.››
scandì alla perfezione quelle parole, tale che Bill potesse
comprenderne bene
il significato. Aprì subito dopo la tendina della doccia:
‹‹ORA!››
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
-
Capitolo 4 -
Heidi
restò ad ascoltare il fratello con estrema attenzione.
Rimase imbambolata, con
la bocca schiusa e gli occhi da pesce lesso. Il modo in cui Bill stava
raccontando l’incontro avvenuto con il rasta,
l’aveva letteralmente lasciata di
stucco. Non si sarebbe mai aspettata che Bill potesse parlare bene di
un
ragazzo dopo quella volta.
‹‹Equindiequindi?››
farfugliò poi lei, in attesa di ottenere altri
dettagli ma, ovviamente, non c’era null’altro da
dire, se non il fatto che
fosse tremendamente bello. ‹‹Ma è gay,
etero, bisex, cosa? Te l’ha detto?››
Bill
sbuffò. Delle
volte Heidi, non si rendeva conto di quanto non fosse facile dichiarare
la
proprio omosessualità. Non tutti l’accettano. Si viene etichettati come: checca o peggio, persone malate.
L’omosessualità non è una
malattia. Non si può curare, in quando non esiste una cura
per l’amore. È
semplicemente uno scherzo che la natura fa ad alcune persone: ci si
nasce, non
si diventa. Spesso non è facile conviverci ma, con il
supporto delle persone
care, si impara ad accettarla.
‹‹Heidi,
quante volte
devo dirti che non posso andare a chiedere alla gente se è
gay o no. Può anche
darsi che voleva semplicemente parlarmi. Non è detto che lo
sia.›› le fece
notare Bill, mentre si passava per l’ennesima volta
l’asciugamani fra i capelli
per poi gettarla nuovamente in un angolo della stanza.
‹‹Con
tutte le fighe
che ci possono essere in palestra, proprio a te doveva rivolgere la
parola.››
roteò gli occhi e diede un pugno sul braccio del fratello.
‹‹Andiamo, Bill.
Possibile che ti debba dire io tutto. Apri gli occhi e
svegliati.››
Bill
rimase un po’ di
tempo un silenzio, a contemplare. E se avesse avuto ragione? Se davvero
Tom
fosse stato gay? No, non poteva esserlo.
Forse
mi ha trovato semplicemente simpatico ed ha pensato di rivolgermi la
parola. Sì. Deve essere così.
Si
ritrovò poi a pensare
Bill, dimenticandosi completamente della sorella seduta accanto a lui.
Si perse
di nuovo nei suoi pensieri e, purtroppo, gli tornarono alla mente
brutti
ricordi.
Bill
infilò la chiave nella serratura e notò che la
porta era aperta. Gli
parve subito strano, in quanto il suo compagno, Georg, sarebbe stato di
ritorno
da lavoro non prima dell’ora di cena. Guardò il
suo orologio: 19:48
Non
ci fece molto caso, pensò che avesse chiesto un permesso
visto che era
il primo anno di convivenza e, per fargli una sorpresa, era rincasato
prima.
‹‹Amore,
sei in casa?›› proseguì poi. Si
sfilò via la giacca e posò il
borsone per terra. Era appena tornato da uno stressante allenamento di
boxe.
Non
ottenendo risposta, chiamò di nuovo e, nemmeno questa volta,
ebbe segni
di vita da parte del suo compagno.
‹‹Georg?››
Cominciò
a salire le scale. Il cuore gli batteva all’impazzata ma,
quando
vide la porta della loro camera chiusa e degli strani rumori provenire
all’interno di essa, si sentì morire.
Un
cigolio ripetitivo di doghe, strani sussulti e gridolini allarmanti,
gli
fecero venire la pelle d’oca. Aveva le ginocchia tremanti e
aveva paura di
cadere ogni qual volta faceva un passo verso la porta.
‹‹Ge-Georg?››
la voce gli morì in gola. Posò la mano su di essa
con il
palmo ben in vista – era semplicemente socchiusa –
tremava come una foglia,
quasi come se avesse freddo. La scena che, una volta spalancata di
botto la
porta vide davanti ai suoi occhi, se la sarebbe ricordata per tutta la
vita.
*
‹‹Bill,
questa sera c’è
uno spettacolo a teatro. Mamma ha detto che dobbiamo andare con
loro.›› Heidi
si piazzò davanti allo specchio del bagno.
‹‹Okay!››
fu la
risposta secca che diede lui. Non amava molto gli spettacoli teatrali.
‹‹A
proposito, i nostri genitori che fino hanno fatto? È da
stamattina che non li
vedo.›› Le fece notare poi Bill. Effettivamente
non vedeva i propri genitori da
quando avevano praticamente messo piede sulla nave.
‹‹Mamma
ha detto che
sarebbe andata alla SPA, papà invece non lo so. Forse
è al casinò.›› prese la
sua pochette rosa cipria e, da essa, estrasse una spugnetta alquanto
malconcia
e colorata di marroncino, un fondotinta e della terra.
‹‹Io
ho bisogno di
fumare.›› senza prestare molta attenzione a
ciò che disse Heidi, Bill si
affrettò a cercare il suo pacchetto di Marlboro Light. Una
volta trovato, aprì
la vetrata con un po’ di fatica e, una volta uscito, la
richiuse alla sue
spalle. Estrasse una sigaretta dal pacchetto, se la portò
alle labbra e, con
entrambe le mani, cercò di accenderla. Espirò a
pieni polmoni il fumo e, dopo
qualche secondo, lo fece uscire dal naso.
Si
poggiò con i gomiti
sulla ringhiera. Lo sguardo perso nel vuoto. Dinnanzi a sé,
aveva uno
spettacolo della natura: il tramonto. Il cielo era di diverse
tonalità di rosa,
giallo, arancio e azzurro. Il sole, ormai morente, pareva una palla di
fuoco
inghiottita dal mare che, a sua volta, luccicava per via dei raggi
solari.
Sorrise inconsciamente. Era davvero una bellissima visuale. Perso in
quello
spettacolo infinito, si ritrovò a pensare – come
sempre – a milleuno cose ma,
in quel momento, il primo in assoluto, era rivolto alla persona che
aveva
appena conosciuto: Tom.
‹‹Ma
cosa volevi
davvero da me, Tom?››
*
Erano
quasi le otto di
sera e, Heidi, era chiusa nel bagno da quasi due ore. Bill
cominciò a
stizzirsi, e non poco. Simone e Gordon, invece, avevano pensato di
prepararsi
prima che la figlia prendesse possesso del bagno, in quanto sapevano
benissimo
che l’avrebbe occupato per un tempo indeterminato.
Bill
era da quasi
un’ora che aspettava fuori dalla porta, con le braccia
incrociate al petto e un
piede che batteva in maniera convulsiva per terra.
Provò a ribussare:
‹‹Heidi,
ti prego, sono
quasi due ore che sei chiusa nel bagno, tra dieci minuti dovremmo
andare a
teatro e poi a mangiare.. ed io non sono pronto.››
Non
ottenne risposta in
quanto, dall’altra parte della porta, sua sorella aveva la
musica del suo
I-phone sparata al massimo. Si passò una mano sul viso,
premendo leggermente.
‹‹Mamma,
per favore, fa
qualcosa!›› si rivolse
con tono
supplichevole alla madre che,
ovviamente, gli sorrise comprensivamente. Sapeva benissimo che non
avrebbe
risolto nulla se fosse intervenuta.
‹‹Sai
benissimo che tua
sorella non è pronta se non passano due
ore.››
‹‹Si,
okay, ma devo
soltanto lavarmi i denti e darmi una sistemata. Non mi vesto prima di
essere completamente
perfetto.››
Simone
sorrise
rumorosamente. Delle volte, il figlio, era davvero bizzarro. In una
manciata di
secondi, le tornarono alla mente dei ricordi: quando Bill rubava i suoi
trucchi
per poi utilizzarli per sé; di quando passava le ore a
truccarsi e a stirarsi i
capelli (al tempo, neri); di quando si smaltava le unghie di nero e
vestiva in
maniera strana; di quando soffriva
di
anoressia. Per fortuna, quel tempo era finito; erano quasi passati sei
anni, da
quando Bill aveva cambiato stile di vita e lei, non poteva che essere
felice.
Non si era mai e poi mai vergognata di avere un figlio… diverso, era sempre stata orgogliosa di
lui e non gli aveva mai
fatto pesare il fatto che fosse gay o, tanto meno, di dirgli che fosse
sbagliato. Non lo era, infatti. Lei era fiera di Bill, e lo sarebbe
stata
sempre.
‹‹Sì
Bill, ti capisco
perfettamente e non vorrei essere nei tuoi panni. Abbi fede. Ti
consiglio di
vestirti, prima.››
Ma
proprio quando
pensava che fosse tutto perduto, sentì un soave clack e, come per incanto, la porta del
bagno si aprì.
‹‹Sono
pronta!›› Heidi
uscì con fare da Diva Hollywoodiana, alzando le braccia al
cielo e spostando il
bacino verso il lato sinistro. Indossava un bellissimo vestitino color
oro, con
qualche strass qua e là del medesimo colore. Il vestitino
era lungo fin sopra
al ginocchio, mostrando quasi del tutto la sua coscia. Era scalza, non
indossava le scarpe; quelle le avrebbe messe alla fine, visto
l’immensità dei
tacchi. Per quando riguarda il trucco, invece, aveva uno smokie-eyes
marrone
scuro. Per completare il tutto, aveva aggiunto un mascara volumizzate.
Così
facendo, i suoi grandi occhi azzurri, spiccavano. Per quando riguarda i
capelli, invece, erano raccolti in maniera morbida, in una treccia che
le
cadeva delicata fin sotto il seno.
‹‹Come
sto?›› disse poi
pavoneggiandosi e vantandosi del suo duro lavoro. Bill la
guardò da capo e
piedi e, per farle un dispetto, decise di prenderla un po’ in
giro:
‹‹Sembri
un candelabro,
tutto oro. Non mi piace. Il vestito e troppo
corto.››
‹‹La
mia era una
domanda retorica, Bill. Non ci tenevo realmente ad avere un tuo parere.
Sono
perfetta e, sicuramente, farò scintille in discoteca.
Brillerò più delle luci.
Lo so.››
Bill
scosse il capo e
sorrise. Heidi era la solita; riusciva a rimorchiare persino in posti
dove, suo
malgrado, non avrebbe mai pensato che l’avesse fatto: in
chiesa. Non era colpa
sua, ovviamente, ma lei, anche indirettamente, riusciva a dare adito
alle
persone di ronzarle attorno.
‹‹Sicuramente
rimorchierai più di me, oggi!›› disse
scherzando Bill, entrando nel bagno,
cominciando a pettinarsi.
‹‹Ma
tu hai già fatto
colpo su qualcuno, Bill.›› sapeva a cosa stesse
alludendo lei. La guardò con
aria di supplica. Se si fosse fatta scappare qualcosa, di sicuro i suoi
genitori gli avrebbe fatto milleuno domande. Heidi capì, e
si mise a ridere.
Puntualmente però, mamma e papà radar, avevano
captato qualcosa – sebbene lei
avesse appena bisbigliato –
‹‹Perché…
su chi ha
fatto colpo?›› entrambi risero, cercando di
chiudere la parentesi prima ancora
che potesse essere aperta.
*
Chi
l’avrebbe mai detto
che, il teatro, dovesse essere stracolmo. Essendo arrivati con circa
dieci
minuti di ritardo, riuscirono a trovare a malapena quattro posti liberi
in culo
al mondo.
‹‹Io
ve l’avevo detto
di fare in fretta.›› bisbigliò Gordon,
senza disturbare la gente che gli sedeva
accanto. Bill guardò immediatamente sua sorella e lei,
alzando le spalle, disse
che non era colpa sua e che non aveva commesso alcun peccato.
‹‹Che
c’è? Io non ho
fatto nulla di sbagliato. Sono uscita dal bagno prima dello scoccare
delle
otto. Sono stata puntuale.››
Bill
la guardò con un
sopracciglio alzato. Avrebbe voluto prenderla a testate ma, ovviamente,
non lo
fece. Si limitò a schioccare la lingua e a
‘guardare’ – se così si
può definire
lo sbadigliare e sbuffare tutto il tempo – lo spettacolo.
*
‹‹Non
mi è affatto
piaciuto.›› affermò Bill, guardando la
sorella che, dal canto suo, pensava a tutt’altro.
‹‹Ma
se non hai smesso
un attimo di sbadigliare. Anzi, mi sembra pure che tu abbia dormito, ad
un
certo punto.››
Si
soffermò a pensare
qualche secondo: obiettivamente, non ricordava assolutamente nulla dei
quaranta
minuti trascorsi là dentro; forse Simone aveva ragione:
aveva davvero dormito.
‹‹Beh,
almeno ha
caricato le pile per questa notte. Non è vero,
Bill?›› Gli diede una gomitata
e, facendogli l’occhiolino, volle fargli capire che, quella
notte in discoteca,
avrebbe rimorchiato il rasta. Lui roteò gli occhi. Delle
volte, Heidi, era
peggio di un’adolescente in piena evoluzione ormonale.
‹‹Sei
più arrapata di
un rapace, Heidi. Piantala!››
bisbigliò quella frase ridendo e, soprattutto,
senza farsi sentire; obiettivamente, di serio, non aveva proprio nulla.
‹‹Andiamo,
so che il
tuo bad-boy sarà
lì ad aspettarti,
fratellino.››
‹‹Non
è nemmeno sicuro
che ci sia, Heidi. Ti prego, piantala di parlarne davanti mamma e
papà.››
Lei
scrollò le
spalle indifferente. Non ci vedeva nulla
di male – secondo lei – sputtanare il proprio
fratello anzi, aveva un nonsoché
di divertente e, allo stesso tempo, malvagio. Rise nella sua testa.
Okay, forse
sarebbe stato il caso di smetterla.
Simone
e Gordon si
avviarono verso il ristorante: si trovava sullo stesso piano ove era
situato il
teatro e i loro figli, li seguirono a ruota.
‹‹Sto
letteralmente
morendo di fame.›› affermò Heidi,
seguito poi da un sussulto da parte di Bill.
‹‹Hai
mangiato il mondo
intero, oggi a pranzo. Io cosa devo dire? Son persino andato in
palestra. Sono
io quello che sta letteralmente crepando
dalla fame.››
Ovviamente
e, come
sempre, i due cominciarono a discutere.
‹‹Se
tu mangiassi
qualcosa di più sostanzioso e facessi meno
l’ecologista, forse, non saresti
così affamato.››
‹‹Io
tengo molto alla
mia salute. A differenza tua, Mrs. McDonalds.››
‹‹Piantala
di chiamarmi
in quel modo!››
‹‹E
tu piantala di
chiamarmi ecologista, non sai nemmeno cosa
significhi.››
‹‹La
volete smettere
voi due?››
Gordon,
ormai sull’orlo
di perdere totalmente le staffe, li rimproverò entrambi,
alzando leggermente il
tono di voce, tanto da far girare un po’ di gente verso la
loro parte.
‹‹Si
può sapere che
cosa vi è preso da stamattina? Insomma ci sono bambini di
due anni che hanno un
comportamento più educato del vostro. Questa, se non vi
è ancora chiara, è una
vacanza; devo ripetermi? V A C A N Z A e, come suddetta, vorrei
rilassarmi, e
non fare da babysitter ai miei figli.››
Sia
Bill che Heidi non
risposero. Chinarono il capo e si scusarono con il padre. Lui disse che
non
dovevano chiedergli scusa, ma scusarti a vicenda. I due fratelli, come
primo
approccio, si fulminarono con lo sguardo, ma poi, su entrambi, apparve
un dolce
sorriso liberatorio.
Una
volta giunti al
ristorante, un cameriere li accolse facendo la riverenza.
‹‹Buonasera,
signori.››
La
famiglia Kaulitz
salutò il cameriere a sua volta. Pochi attimi dopo, Simone
chiese quale fosse
il loro tavolo e, con gentilezza, il cameriere li condusse non poco
lontano
dall’entrata dal locale. Con agilità, il cameriere
si fece spazio fra i tavoli
fino a quando non si fermò dinnanzi ad un tavolo.
‹‹Questo
è il vostro
tavolo, signori.›› proseguì poi il
cameriere che – da quanto aveva cercato di
leggere Bill dalla targhetta – si chiamava Cosimo.
‹‹Questo tavolo sarà servito
da Putu, un nostro cameriere
Indonesiano. Qualsiasi cosa abbiate bisogno, non esitate a
chiedere.›› Fece
nuovamente la riverenza e si congedò.
La
tavola era già
bandita di vino rosso e vino bianco, acqua naturale e minerale, coca
cola e
aranciata e un bellissimo cestino di vari tipi di pane e grissini.
‹‹Mamma
mia che bella
tavola. Mi mette appetito solo a guardarla.››
esternò Heidi, accomodandosi
immediatamente al suo posto. Bill e i genitori, la seguirono a ruota.
Non
appena tutti furono
accomodati, un bizzarro cameriere sorridente si avvicinò al
loro tavolo,
cercando di parlare – quanto meglio poteva – l’inglese. Bill
cercò di tradurre, per quello
che gli era possibile, le strane parole che gli stavano uscendo dalla
bocca.
Scosse il capo e sorrise. Erano davvero tutti strani, lì
dentro.
Poco
compreso, Putu –
il cameriere – porse loro quattro menù, dicendo
che sarebbe tornato in seguito
a prendere le ordinazioni.
‹‹Mamma,
cos’è il Carpaccio?››
disse Heidi, rivolgendosi a
sua madre. Simone storse il naso e si rivolse al marito. Gordon
scrollò le
spalle.
‹‹Se
leggete in alto,
c’è la traduzione in: tedesco, inglese, francese e
spagnolo di quello elencato
nel menù.›› intervenne Bill, facendo
il professore della situazione. ‹‹Guarda,
c’è scritto qui: fettine sottilissime di manzo
crudo condite con olio, sale e
pepe e vari ingredienti. Sono i piatti tipici
veneziani.››
Heidi
annuì. ‹‹Okay,
come antipasto prendo quello.›› Tutti furono
d’accordo per quell’antipasto. Per
quanto riguarda i primi, invece, optarono tutti per scelte differenti:
Bill
decise di prendere gli gnocchi di patate
col ragù; Heidi riso e
piselli;
Gordon risotto con vongole e,
per
finire, Simone optò per tagliatelle
e
fagioli. Per i secondi, tutti decisero un piatto di pesce.
‹‹Io
non prendo il
dolce.›› affermò Bill. Nessuno gli
diede retta. Era scontato che Bill non
prendesse nulla di dolce.
‹‹Io
prendo la torta di
mele e cacao.››
‹‹Io,
invece, le
frittelle alla ricotta.››
‹‹Idem
per me.››
‹‹Nessuno
sceglie
l’opzione: piatto di frutta fresca?››
scherzò poi Bill, spostando lo sguardo
sui tre componenti della sua famiglia. Tutti risero.
Con
un cenno della
mano, Bill avvertì il cameriere che erano pronti per
l’ordinazione e, come
temeva, non riuscì a spiegarsi. Decisero semplicemente di
indicare il piatto
scelto, dimodoché il povero cameriere incompreso, potesse
svolgere il proprio
lavoro.
*
‹‹Bill!
Bill, guarda
chi c’è!››
Heidi
gli tirò un
calcio sotto al tavolo. Bill gemette leggermente. Si chinò
giusto quel po’, per
potersi toccare il ginocchio colpito.
‹‹Perché
mi hai mollato
un calcio? Sei impazzita?›› disse riprendendo a
mangiare il suo piatto di
frutta. Non capendo cosa intendesse, Heidi sbuffò ed
indicò con un leggero
gesto del capo, la sua destra. Bill spostò il suo sguardo da
piatto, a ciò che
la sorella stava indicando con la testa, senza ovviamente farsi sgamare
dai
propri genitori.
Non
appena focalizzò
ciò che gli si presentò dinnanzi agli occhi, un
pezzo di ananas gli andò di
traverso, causandogli un forte colpo di tosse. Heidi si morse il labbro
per
cercare di trattenere le risa. Sì, era proprio Tom.
‹‹Potresti…››
colpo di
tosse ‹‹…evitare
di…›› un altro colpo
‹‹…indicare le
persone?›› si dette tre
colpi sul petto, per evitare di affogarsi e, portando nuovamente lo
sguardo
verso di Tom, si accertò che questo non l’avesse
visto. Difatti, era così.
Fortunatamente.
‹‹Cosa
c’è? Avevo solo
il torcicollo!›› si giustificò poi
lei, tentando di darla a bere ai propri
genitori che, nel frattempo, non avevano ancora afferrato cosa stesse
succedendo. Gordon scosse le spalle e riprese a mangiare le sue
frittelle,
quanto a Simone – suddetta mamma radar –
cominciò ad intuire qualcosa ma, come
da brava madre, non espose la sua opinione; sapeva benissimo quanto
fastidio
desse a Bill il fatto che si impicciasse nella sua vita privata, e
sapeva
benissimo anche quanto lui aveva sofferto per quella brutta faccenda
con Georg.
Lei però, l’aveva sempre detto: non
credi
sia troppo presto per andare a convivere? Ma lui si era
sempre rifiutato di
pensare a questo. Solo dopo aver scoperto il tradimento,
notò che sua mamma,
come sempre, aveva ragione.
‹‹Cosa
c’è, ragazzi? Vi
trovo davvero strani, stasera; e con strani, intendo dire… più strani››
Simone disse quella frase con un sorriso sulle labbra.
Bill ed Heidi non le diedero ascolto per non saltare troppo
nell’occhio. Bill,
dal canto suo, dopo aver escogitato una posizione alquanto da cecchino
per non
essere sgamato da Tom, restò tutto il tempo a fissarlo
– mentre continuava a
mangiare quel po’ di frutta che gli era rimasta nel piatto.
– Heidi, si gustò
allegramente la scena.
Suo
fratello, in quel
momento, sembrava un povero allocco. Era proprio immerso nel suo mondo.
Pareva
stesse fra le nuvole più di quanto già non lo
fosse.
‹‹Fa
attenzione, ti sta
scendendo la bava dalla bocca.›› disse poi,
dandogli una gomitata sul braccio,
facendogli perdere leggermente l’equilibrio – visto
che manteneva il proprio
mento con una mano, poggiando il gomito sul tavolo –
Si
sentì un tonfo e,
subito dopo, un tintinnio di posate cadere in terra. Ovviamente,
nonostante la
confusione che c’era, quel rumore fastidioso,
catturò l’attenzione di molti e,
come temeva Bill, anche quella di Tom.
Prima
che potesse
accorgersi di lui, si abbassò immediatamente sotto al
tavolo, fingendo di
raccogliere le posate cadute per terra. Si maledisse diecimila volte.
Avrebbe
voluto sparire.
‹‹Ti
odio. Sei una
stronza!›› grugnì poi a denti stretti,
mentre la sorella se la rideva di gusto.
I loro genitori li guardarono allibiti.
‹‹Io
ancora non capisco
che cosa vi è preso a voi due.››
esternò poi Gordon, una volta finito di
mangiare. Simone, dal canto suo, aveva capito qualcosina.
Abbassò il capo e
cercò di smorzare un’evidente risata che stava per
affiorare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo V ***
-
Capitolo 5 -
‹‹Non
fare che ti stai
quattro ore e mezza nel bagno per prepararti.››
disse Bill mentre si sfilava
via la camicia, restando a petto nudo.
‹‹Non
devo entrare nel
bagno, sta tranquillo. Sono perfetta così come
sono.›› rispose a tono Heidi,
frugando nella sua borsa in cerca dell’arriccia capelli.
Bill,
intanto, sceglieva quali accessori abbinare all’outfit che
aveva in mente. Una
canotta nera semplice, un pantalone color rosso fuoco, scarpe
rigorosamente
nere e una giacca in tessuto leggerlo, bianca. Guardandosi allo
specchio, stava
provando bracciali, collane, anelli, che potessero andare bene. Fino
alla fine,
estremamente indeciso, optò per chiedere alla sorella che,
nel frattempo, aveva
trovato il suo arriccia capelli e aveva preso ad armeggiare con esso.
‹‹Heidi,
tu cosa dici?
È meglio questa, oppure quest’altra collana? E
questo bracciale, va bene con
questo anello? E con questo bracciale? Dici che stona con i piercing
che ho?››
cominciò a fare domande a raffica, senza nemmeno essere
ascoltato. Diventava
decisamente troppo logorroico e paranoico quando entrava in
iperventilazione.
Il motivo della sua agitazione, era proprio dovuta al fatto che, con
molta
probabilità, in discoteca, avrebbe incontrato Tom e, magari
– sottolineò il magari
– avrebbe potuto ballare con lui.
Ma
se non so nemmeno se è gay!
Si
ritrovò poi a
pensare, mentre, disperato, cercava conforto nella sorella che, a prima
vista,
era intenta a farsi la permanente piuttosto che aiutare lui.
‹‹Heidi,
ti prego. Sono
disperato. Aiutami a scegliere quali cazzo di accessori posso abbinare
al mio
cazzo di outfit!›› urlò la parola
‘cazzo’ con un po’ di isteria. Possibile
che
era davvero così disperato come diceva di essere? Heidi
posò il suo arriccia
capelli sul letto e si voltò in maniera estremamente lenta,
verso il fratello.
Bill la guardò con occhi sgranati, in attesa di una
risposta:
‹‹Non
guardarmi come se
fossi pazzo. Sono solo tremendamente disperato!››
Heidi
sbuffò una
risata, scuotendo leggermente la sua chioma bionda un po’
arricciata. ‹‹Non ti
sarai mica preso una bella cotta, signor
Kaulitz?››
Bill
la guardò
strabuzzando gli occhi e spalancando – perplesso –
la bocca. Si portò una mano
al petto e aggiunse:
‹‹Io
non mi sono preso
nessuna cotta per nessuno! Voglio solo essere al top, questa sera.
Visto che
l’unico motivo per cui voglia continuare questa dannata
crociera è il
divertimento, beh, non vedo il motivo per il quale non debba
preoccuparmi di
sfoggiare la mia eleganza ed il mio fascino.››
Heidi
si picchiò la
fronte, spiaccicandosi la mano sul viso e, con estrema lentezza, la
fece
scivolare fino al collo. ‹‹Tu sei solo impazzito,
Bill. Credi a tua sorella.››
riprese a frugare nella sua borsa, in cerca di… qualcosa. ‹‹e
comunque…›› proseguì poi,
volgendo la sguardo verso
Bill. ‹‹Stai benissimo
così.›› gli rivolse un sorriso e Bill,
finalmente, si
tranquillizzò, ridendo a sua volta.
*
Uscirono
dalla loro
camera a mezzanotte. La serata in discoteca, sarebbe cominciata
mezz’ora più
tardi. Bill stava tormentandosi le mani. Era stranamente e
maledettamente
agitato. Cosa avrebbe pensato Tom di lui, dopo aver fatto quella
figuraccia al
ristorante? – sempre se fosse venuto in discoteca, certo
–
‹‹..E
se non ci dovesse
essere?›› erano nell’ascensore assieme
ad altri quattro ragazzi – probabilmente
italiani – Bill buttò giù quella frase
senza troppi indugi e Heidi,
inizialmente, non collegò il tutto.
‹‹Chi?››
rispose senza
volgere lo sguardo verso di lui. Continuò a fissare i numeri
dei piani che, man
mano, si illuminavano in maniera alternata.
‹‹Come
chi, Heidi? Tom!››
Si
fermarono al piano
12. A Bill si congelava il sangue nelle vene ogni qual volta
l’ascensore cessava
di salire. Temeva che Tom, potesse salire da un momento
all’altro
nell’ascensore assieme a lui. Dopotutto, sapeva soltanto che,
la sua cabina,
era un po’ più avanti della propria; niente di
più.
‹‹Piantala
di pensare a quel ragazzo, Bill.
Stai facendo un po’ troppo presto i castelli in aria. Non lo
conosci nemmeno!››
Heidi
sbuffò e cominciò
a schiacciare ripetutamente il pulsante ‘18’ che,
nella speranza, gli avrebbe
condotti direttamente in discoteca.
‹‹Non
esaurirti prima
ancora di sapere chi è.›› dopo la
trentesima pigiata, gli sportelli si
chiusero e,
finalmente, l’ascensore li
condusse al loro piano.
‹‹Non
sono esaurito.››
fece una pausa; riprese a parlare solo quando giunsero al loro piano,
una
manciata di secondi dopo. ‹‹voglio solo capire
per quale cazzo di motivo mi ha
parlato.››
*
Appena
arrivarono,
vennero immediatamente invasi da una fortissima musica.
Automaticamente, sui
loro volti, si disegnò un sorriso. Era una bellissima
situazione. C’era una
pista circolare, con la pavimentazione nera laccata. Le pareti erano di
un rosa
acceso; quasi un rosa Barbie. Al centro della pista, situata in alto,
c’era la
classica palla da discoteca roteante che, grazie ad un bellissimo gioco
di luci
colorate, proiettava un sacco di punti luce, anch’essi
multicolore.
‹‹Hai
il viso pieno di
brufoli colorati! Ahahah!›› scherzò
Heidi, tirando un buffetto dietro al collo
di Bill. Lui rise a sua volta ma, inevitabilmente, stava cercando una
sola
persona, tra le centinaia che c’erano là dentro.
‹‹Heidi,
avvisami se
vedi Tom, okay?›› Heidi lo cantilenò e
gli dette conferma.
‹‹Ma
pensa a divertiti
però, Bill. Dai, vieni a ballare con
me.›› prima che però Bill si
allontanasse,
Heidi lo afferrò per i polsi e lo trascinò in
pista. Inizialmente si oppose
leggermente. Erano anni che non andava a ballare in discoteca. Di
sicuro, molto
prima che la sua storia con Georg finisse.
‹‹Non
fare il sacco di
patate e balla con me.›› quando Bill
pensò di tornare indietro, era già troppo
tardi; Heidi lo circondò al collo, con le braccia e
cominciò a ballarci
assieme, come se fossero una normale coppia. Lui si vergognò
leggermente. La
sorella, alle volte, era davvero troppo estroversa.
‹‹Pensa
a divertiti,
Bill. Andiamo! Sta al gioco.. balla con me. Balla con la tua
sorellina!››
Heidi
si allontanò
leggermente, cominciando a ballare per fatti propri – sempre
però vicina al
fratello – si muoveva con sensualità, ondeggiando
il bacino a destra e a
sinistra, toccandosi delicatamente i capelli biondi; li trasportava in
alto,
mentre alzava le braccia, per poi farli ricadere morbidi sulle spalle.
Bill la
guardava con un sorriso beffardo. Heidi, era la solita esibizionista
sensuale,
bella, e che avrebbe fatto colpo su chiunque. Difatti, qualche istante
dopo,
venne circondata da un paio di ragazzi che parevano italiani. Heidi,
stette al
gioco. Cominciò a ballare prima con un ragazzo, e poi con
l’altro, per poi
ballare con entrambi.
Bill
si schiaffeggiò la
fronte.
Non
cambierà mai.
*
‹‹Bill,
sto andando a
prendere qualcosa da bere con Paolo.›› Bill
aggrottò le sopracciglia.
Paolo?
Chi cazzo è questo Paolo?
Inizialmente,
Bill era
alquanto perplesso. Aveva tenuto d’occhio sua sorella tutto
il tempo. Non
voleva assolutamente che qualcuno le mettesse le mani addosso.
Dopotutto, era
il fratello maggiore… ma non era suo padre.
A
malincuore, Bill
disse di andare ma tenne a precisare di non combinare
qualche cazzata. Heidi sorrise, e mentre Bill stava per
raccomandarle di
non bere troppo, lei prese sottobraccio l’italiano e lo
portò al bancone per
ordinare qualche drink.
Bill
scosse la testa.
Le raccomandazioni non sarebbero servite a molto. Tra
l’altro, era una ragazza
grande e vaccinata, non una ragazzina di quindici anni; e poi sapeva
benissimo
che, se quel ragazzo c’avesse provato, di sicuro lei non si
sarebbe tirata
indietro – specialmente se lo trovava attraente –
Bill doveva rassegnarsi.
Heidi non sarebbe rimasta sotto la sua protezione per tutta la vita.
Doveva
cominciare a preoccuparsi di meno.
*
Uscì
fuori sul ponte.
Con Heidi impegnata, non c’era granché da
divertirsi. Non poteva di certo
ballare da solo, in discoteca. Per tutto il tempo, aveva cercato Tom
con lo
sguardo, senza però trovarlo. Rimase decisamente un
po’ troppo male.
Era
poggiato sulla
ringhiera del ponte. Ammirava quella calma e distesa tavola nera che si
estendeva per centinaia e centinaia di miglia dinnanzi a sé,
perdendosi con lo
sguardo.
Inspirava
ed espirava
il fumo, alternativamente: inspirava a pieni polmoni e soffiava via il
fumo
dalla bocca, oppure dalle narici. Guardò distrattamente
l’orologio: 02:54.
Sbadigliò per la noia. Avrebbe voluto tornare in camera, ma
cosa avrebbero
pensato i suoi genitori se l’avessero visto arrivare senza
sua sorella? Decise
di rassegnarsi e di fumarsi un’altra sigaretta.
‹‹Ma
dove sei?››
bisbigliò a se stesso, sempre con lo sguardo rivolto verso
il mare immenso. Era
perso completamente nei suoi pensieri, quando però..
‹‹Ehi!››
Una
voce profonda lo
fece sobbalzare leggermente. Quella voce
aveva un tono famigliare.
Si
portò una mano sul
petto, e si voltò in direzione della voce che aveva udito.
‹‹Non
volevo
spaventarti.›› disse il rasta, sorridendo
leggermente. ‹‹Posso unirmi a
te?››
continuò poi, mostrando il pacchetto di sigarette. Bill non
rispose, sorrise ed
annuì.
Tom
sfilò via una
sigaretta e se la portò alla bocca. C’era vento e
gli fu difficile accenderla. ‹‹Fuck!››
cercò di coprire la sigaretta
con le mani, mettendole leggermente a coppa. Chiese a Bill di aiutarlo.
Dopo
svariati
tentativi, riuscì finalmente ad accenderla.
‹‹Thanks!››
‹‹You’re
welcome.››
Fra
i due, calò un
imbarazzante silenzio che durò circa due minuti. Tom fumava
beatamente la sua
sigaretta, lanciando qualche occhiata fugace a Bill che, a differenza
sua,
aveva smesso da un po’ di fumare ed era assolto nei suoi
pensieri:
Chissà
cosa starà facendo Sarah.
Pensò
poi, guardando il
proprio cellulare, notando successivamente la totale assenza di
segnale. Quanto
odiava vedere quella X rossa al posto delle barrette blu che stavano ad
indicare il campo.
‹‹Ehm..
ti stai
divertendo?›› Tom interruppe
quell’odioso silenzio imbarazzante. Bill si voltò
di scatto, rispondendo a sua volta.
‹‹A
dir il vero, non
molto. Non volevo venirci, qua sopra. Ho lasciato la mia migliore amica
in
Germania. Mi manca molto.›› si toccò
la nuca, facendo leggermente il vago. Tom
storse il naso e tirò un’altra boccata.
‹‹Quindi…››
proseguì
poi Tom, gettando il mozzicone della sigaretta nell’acqua.
‹‹Non hai fatto
amicizia con nessuno, ancora?›› lanciò
successivamente un’occhiata furtiva al
ragazzo che aveva di fianco, in attesa in una probabile risposta. Bill,
dal
canto suo, si sentì completamente avvampare. Il suo cuore
cominciò a sbattergli
forte contro il petto. Gli diede l’impressione di voler
uscire da lì. Si mise
una mano sul petto, cercando – almeno un po’
– di farlo smettere di battere in
maniera così compulsiva e frenetica. Tom non poté
fare a meno di notarlo.
Sorrise impacciato, nella speranza che Bill non l’avesse
notato.
‹‹Dovrei
farti conoscere
i miei amici. Anche se, in questo momento, non ho la più
pallida idea di dove
possano essere.›› Disse poi Tom, dandosi una
fugace occhiata attorno. ‹‹Non
devi imbarazzarti così tanto quando parli con
me.›› confessò poi, facendo
letteralmente tremare le gambe al mal capitato; nonché Bill.
In quel momento
volle del tutto sprofondare dalla vergogna. Possibile che fosse
così evidente
il suo attuale stato?
‹‹Ehm,
a dir il vero…
non so cosa pensare.›› si grattò la
testa, cercando di evitare il più possibile
lo sguardo di Tom. Di sicuro, non si sarebbe soffermato sui suoi occhi.
Fece
una pausa lunga quasi un minuto. Tom non osò fiatare.
‹‹Scenderai
a Bari, non
appena la nave attraccherà?››
domandò poi Tom, per evitare di proseguire con il
lungo ed imbarazzante silenzio che era calato. Per un minuto
abbondante, si era
udito solo lo scrosciare delle onde contro le pareti in metallo della
nave e il
vento fresco che soffiava sui loro volti. Bill scosse il capo, senza
rispondere.
Tom,
un po’
demoralizzato dall’evidente rifiuto di approccio,
abbassò lo sguardo sulle
punte delle sue Airforce nere, provando ad attaccare bottone
un’altra volta.
‹‹Qual
è il tuo drink
preferito? Ti va di prendere qualcosa?›› questa
volta, doveva rispondere per
forza.
Bill,
dal canto suo,
aveva capito che Tom stava tentando di abbordarlo. Sorrise a quel
pensiero;
dopotutto, era ciò che voleva, no? Si voltò
lentamente verso di lui,
guardandolo negli occhi:
‹‹È
il tuo modo per
chiedermi scusa per lo spintone che mi hai dato questa mattina e per
avermi
deriso mentre combattevo col il metaldetector?››
Questa
volta fu Tom a
diventare paonazzo. Fece leggermente il vago, grattandosi i suoi dreads
neri.
Balbettò un po’ prima di rispondere, ma Bill lo
tranquillizzò prima che
esplodesse dalla vergogna.
‹‹Io
adoro la vodka. In
qualsiasi modo essa possa presentarsi; e sì, mi andrebbe
qualcosa da bere.››
sorrise, rassicurandolo leggermente. Tom cominciò a tornare
al suo colorito
naturale e, con un gesto del capo, invitò Bill a seguirlo.
*
‹‹Due
Vodka liscia con
lime. Mettici del ghiaccio.›› urlò Tom
al barista, per sovrastare la musica
altissima. Il barman annuì e cominciò ad
armeggiare con gli alcolici. Bill,
seduto sullo sgabellino accanto al bancone, cominciò a
battere il piede a ritmo
di musica e, di tanto in tanto, tamburellava anche la coscia con il
palmo della
mano. Da quanto tempo non si divertiva?
Tom
non poté fare a
meno di notarlo e, colto alla sprovvista, lo afferrò
velocemente da entrambi i
polsi e lo condusse al centro della pista da ballo. Inizialmente, Bill,
oppose
resistenza ma poi, si lasciò trasportare.
Senza
troppi indugi,
Tom gli cinse i fianchi e cominciò a ballare con lui ma, con
sua sorpresa, Bill
si irrigidì, tirandosi leggermente indietro. Tom rimase
sbigottito.
‹‹Are you okay?››
Bill
fece leggermente
il vago e tentò di allontanarsi dalla pista da ballo, senza
però riuscirci in
quanto, Tom, lo teneva stretto – ma non troppo –
dai polsi.
‹‹Let
me
go away, please.›› Bill
si dimenò, ma senza opporre
molta resistenza. Tom, a quel punto, strinse un po’
più la presa. Non voleva
che andasse via.
‹‹Stay here, Bill. Don’t let go.››
un altro piccolo strattone; Tom
non lo mollava. D’un tratto però, una mano si
posò sulla spalla di Tom,
facendolo sobbalzare leggermente. Era il barman: i loro drink erano
pronti.
*
‹‹Non
volevo
infastidirti, Bill.›› si scusò Tom,
sorseggiando il suo drink dalla cannuccia,
mangiando successivamente la frutta infilzata nello spiedino di legno.
Bill,
per qualche attimo, non parlò. Si accingeva a bere il suo
drink come se nulla
fosse.
‹‹Bill, please! Answer me!››
alzò lo sguardo, incrociando
immediatamente quello di Tom. I suoi occhi erano davvero troppo, troppo
profondi e penetranti, per non essere guardati. Ebbe un tuffo allo
stomaco
quando, involontariamente i suoi occhi, dacché catturati da
quelli del ragazzo
con i rasta, vennero ammaliati dalla visione delle sue labbra: carnose,
rosee,
adornate con due bellissimi piercing a cerchietto sul lato destro del
labbro
inferiore.
Non
guardarle, Bill. Non guardare le sue labbra.
Ripeteva
una voce nella
sua testa ma, a quanto pare, era già arrivata troppo tardi.
Non appena si rese
conto di ciò che aveva appena compito, scosse il capo e si
alzò velocemente dal
suo sgabello rotondo. La solita mano però, lo
afferrò per il polso.
‹‹No,
Tom. Questa volta
non riuscirai a trattenermi. Scusami, sono stanco. Domattina
dovrò scendere con
i miei genitori. Sicuramente vorranno andare in giro.
Buonanotte.›› Non ci
volle una notevole forza per liberarsi. Mollò la presa prima
che Bill tentasse
di divincolarsi.
‹‹Okay. Goodnight. See you tomorrow?››
Domandò poi scettico. Bill
ci pensò su qualche attimo, prima di rispondere.
‹‹I’ll
think about it.››
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
- Capitolo
6 -
La
sveglia suonò alle otto in punto. Si era dimenticato che,
l’indomani,
sarebbero scesi dalla nave per visitare Bari. Bill mugugnò
un qualcosa, non
appena sentì l’allarme del telefono suonare
ripetutamente. Aprì prima un occhio
e poi un altro, ma era circondato dal buio più totale. Gli
occhi fecero fatica
ad abituarsi. Vedeva solo uno spiraglio di luce che proveniva dal
bagno:
sicuramente, Heidi si era già impossessata di quella camera.
Sbadigliò,
stiracchiando braccia e gambe.
‹‹Heidi,
fa in fretta perché dovrei lavarmi anche
io.››
Urlò,
nella speranza che la sorella l’avesse sentito. A
rispondergli, però,
non fu Heidi, bensì sua mamma. Aprì la piccola
porticina del bagno e rispose al
figlio:
‹‹Tua
sorella è già di sopra a fare colazione con tuo
padre. Il bello
addormentato sei tu. Ti ho impostato la sveglia alle otto di mattina,
dimodoché
la potessi sentire.››
‹‹Guarda,
senza di quella non mi sarei mai svegliato.››
biascicò poi,
mentre tentava invano di alzarsi, ricadendo nuovamente disteso, non
appena
provava a destarsi dal letto. ‹‹Dio mio, per
forza devo scendere? Non ho la
minima voglia di farlo. Voglio dormire!›› disse
poi, gettandosi con la testa
sul cuscino. Gli occhi si erano già abituati al buio e per
giunta Simone, aveva
lasciato aperta la porta, facendo entrare la potente luce gialla in
tutta la
stanza. Bill si coprì il volto con il braccio.
‹‹Cosa
devi stare a fare sulla nave, Bill? Hai tutto il pomeriggio per
farlo. Tra mezz’ora attracchiamo e non voglio perdermelo. Poi
voglio visitare
Bari Vecchia. Hanno detto che è
stupenda.›› disse Simone mentre usciva dal
bagno, legandosi i capelli color rosso rame in un’alta coda
di cavallo.
‹‹Non
fare sempre il guastafeste, tesoro.
Coraggio…›› si avvicinò al
letto
del figlio e lo tirò per un braccio.
‹‹Alza il sedere dal letto e scendi di
sotto a fare colazione.›› lo strattonò
ancora un po’, fino a quando, sconfitto,
decise di mettersi seduto sul letto e tentare di alzarsi per dirigersi
verso il
bagno e farsi una bella doccia fredda per svegliarsi.
‹‹Noi
ti aspettiamo di sotto.›› concluse Simone, prima
di uscire dalla
cabina, chiudendo la porta alle sue spalle.
Nonostante
Bill fosse seduto sul letto, non appena la madre uscì dalla
stanza, si lasciò nuovamente sprofondare fra le lenzuola.
Non c’era più quel
bellissimo buio in quanto, sua mamma prima di uscire, aveva aperto le
tapparelle della grande vetrata che dava sul balcone.
‹‹Ma
perché devono sempre capitare a me le cose
difficili.›› si riferì
esplicitamente a quella notte. Aveva fatto bene ad andarsene in quel
modo senza
dare troppe spiegazioni a Tom? Si portò entrambe le mani sul
viso,
strofinandoselo. ‹‹Mi sono comportato come un
bambino. Dannazione.›› d’un
tratto però, ebbe un colpo di genio: lui aveva la camera
praticamente a trenta
metri dalla sua. Sarebbe stato consono bussare alla sua camera e
chiedergli
scusa per il suo comportamento infantile? Dopotutto, Tom
l’aveva fatto con lui;
si era scusato. Era forse il suo turno, ora?
‹‹No,
non posso farlo. Cosa penseranno gli amici? No.
Evito.›› si
auto-rispose. Con una leggera pressione, si alzò dal letto e
si diresse verso
il bagno. Cominciare la giornata con una bella doccia fredda, gli
avrebbe fatto
bene; tra l’altro, quella sarebbe stata davvero
un’intesa giornata.
*
‹‹Ben
svegliato, bell’addormentato.›› Bill si
avvicinò con il vassoio e si
si sedette accanto ai genitori.
‹‹Uova
sode a prima mattina?›› cominciò
Heidi. Bill non le rispose.
Continuò a masticare con estrema lentezza la sua colazione:
due uova sode, una
tazza di caffè, due toast con il miele e un frutto.
‹‹nemmeno all’ospedale
mangiano così, Bill.›› lui
continuò a non rispondere. In quel momento non
voleva sentire nessuno.
Aveva
sonno in quanto, la notte, non aveva chiuso assolutamente occhio: tra
il mal di mare e il pensiero di Tom, aveva passato la notte insonne.
‹‹Cos’hai,
Bill? Ti vedo alquanto spento, stamattina.››
intervenne Simone,
accarezzando dolcemente la spalla del figlio. Bill fece spallucce,
dicendo che
non aveva assolutamente nulla. Era solo stanco ed assonnato per via di
ieri
notte.
‹‹Poi
ne parliamo, okay?›› intervenne Heidi, capendo
immediatamente che
qualcosa non andava. Bill annuì, mandando giù
l’ultimo boccone di uovo sodo.
‹‹Tra
quanto attracchiamo?›› prima di ottenere una
risposta, la nave
cominciò a tremare e, qualche attimo dopo, si
fermò.
‹‹Detto.
Fatto!››
*
Cominciarono
a scendere lungo il pontile, che dava al porto di Bari.
L’aria
era molto più calda e afosa di quando erano a Venezia. Bill
si passò una mano
sul viso sudato, scostandosi dalla fronte qualche ciuffo biondo di
capelli che,
per via del sudore, vi si era appiccicato.
‹‹Ho
bisogno di una bibita fresca. Un qualcosa di ghiacciato, come una
granita.›› disse d’un tratto Heidi, due
minuti dopo essere scena dalla nave.
Simone alzò gli occhi al cielo, esasperata.
‹‹Se
dovete dar fastidio peggio dei neonati, siete pregati di rimanere a
bordo.›› intervenne poi Gordon. Bill diede una
gomitata alla sorella ed indicò
un Lemon Bar lì vicino.
‹‹Io
ed Heidi andiamo a prendere qualcosa da bere lì a quel
bar›› disse
indicando una fattispecie di carretta a forma di limone.
‹‹Ho molta sete anche
io.›› strizzò l’occhio in
segno di complicità. Heidi afferrò subito e
sorrise a
sua volta.
*
‹‹…e
quindi si è messo a ballare con te e tu lo hai
schifato?›› Heidi lo
guardò perplessa e con occhi e bocca spalancati, mentre
teneva in mano la sua
granita alla fragola. Bill fece spallucce e sorseggiò la sua
bevanda al melone.
‹‹No
Bill. Non mi fare spallucce. Dammi una spiegazione sensata del
perché
hai rifiutato di ballare con quel
ragazzo…›› fece una breve pausa
‹‹E non mi
fare il nome di Georg che ti picchio a sangue seduta
stante!›› concluse poi. Bill
faceva il vago. Sapeva benissimo che la causa del suo
‘rifiuto’, se così andava
chiamato, era proprio la brutta storia vissuta con Georg. Non voleva
rivivere
ciò che, quella maledettissima sera, lo aveva completamente
distrutto.
Lui
era seduto con la spalla poggiata contro la testiera del letto,
contorcendosi dal piacere; lei invece, era sopra di lui, saltando come
una
cagna in calore ed emettendo mugugni che gli fecero rivoltare lo
stomaco. La
cosa peggiore, non era il fatto che fosse andato a letto con
un’altra persona:
la cosa che più lo disgustò, fu il fatto che,
quella troia che si stava
scopando, era la sua istruttrice di piscina.
Passò
qualche istante, prima che i due si accorgessero della sua presenza.
L’espressione allibita di Georg, nel vedere Bill dinnanzi ai
suoi occhi, non
l’avrebbe mai e poi mai dimenticata.
‹‹B-Bill..››
La
ragazza, vedendo Georg spaventato, si girò di scatto e,
cacciando
successivamente un urlo di spavento, scavalcò Georg e si
mise sotto le coperte,
tentando di coprirsi il più possibile.
Bill
non disse nulla. Rimase immobile sull’uscio della porta. Non
poteva
credere ai suoi occhi. Il suo dolore era talmente inteso, tanto da non
riuscire
nemmeno a piangere.
‹‹Io..
io..›› Georg non riusciva a trovare le giuste
parole per inventarsi
le più assurde scuse. Gli uscì soltanto un:
‘posso spiegarti’. Bill, a quel
punto, perse totalmente il lume della ragione. Si fece tutto
improvvisamente
nero. Cominciò ad urlare, sia contro Georg, che contro la
ragazza. La chiamò in
tutti i modi possibili ed immaginabili, con parole che nemmeno lui,
sapeva di
conoscere.
‹‹Devi
sparire oggi stesso da casa mia. Non ti voglio più vedere!
Schifoso
porco!›› era adirato ma, al contempo,
profondamente tradito ed umiliato. Lui
amava perdutamente Georg. Non gli avrebbe mai e poi mai perdonato una
cosa del
genere. Mai. L’avevo preso in giro per tutto quel tempo.
Credeva davvero in
quella storia. Ci credeva con tutto se stesso. Ma era stato tradito.
Aveva tradito
la sua fiducia, il suo amore, la sua promessa, con una donna. Una
fottuta
donna.
‹‹Bill,
ti prego, lasciami parlare.›› intervenne poi
Georg, nel tentativo
che Bill la piantasse di gridare. Non ci furono ragioni. Bill lo
zittì con un
sonoro ‘Stai zitto!’ accompagnato poi da un
doloroso ‘Sparisci!’
Dopo
quella tremenda esperienza – che d’altronde lo
distrusse emotivamente
– giurò che non avrebbe mai più cercato
l’amore e che non avrebbe mai più avuto
un uomo in vita sua.
*
‹‹Ehi!
Terra chiama Bill.›› Heidi sventolò
una mano davanti lo sguardo del
fratello che, notando il gesto della sorella, tornò alla
realtà; come se si
fosse svegliato da un sogno o meglio, un tremendo incubo.
‹‹Ti
ho detto di darmi una risposta. Perché ti sei rifiutato di
ballare con
quel gran pezzo di un figo?››
Bill non
sapeva se ridere o vergognarsi, dopo quell’osservazione.
Obiettivamente, Tom
era davvero molto, forse anche troppo bello.
‹‹È
solo che non mi va di frequentare un’altra persona, Heidi. E
se poi mi
dovessi affezionare a lui? Sai di
dov’è?›› fece una breve
pausa ed attese che
la sorella gli desse segni di vita.
‹‹È americano, Heidi.
A-M-E-R-I-C-A-N-O.
Sai quanti chilometri separano la Germania
dall’America?›› Heidi guardò
il
cielo e, per scherzo, provò a contare con le dita.
‹‹L’oceano
ci separa, Heidi. Il fottuto Oceano Atlantico.››
sbottò infine,
accasciandosi sulla sedia di legno e finendo di bere la sua granita.
Heidi,
inizialmente, non disse nulla. Una volta finita la sua bibita e dopo
aver
gettato il contenitore ormai vuoto nel cestino, puntò i
gomiti sul tavolino e
si sporse verso Bill:
‹‹Sai
come si può raggiungere l’America, Bill? Con
l’aereo.›› disse infine,
rimettendosi seduta composta al proprio posto. Con aria di
superiorità, Heidi
si mise dietro l’orecchio una ciocca bionda di capelli ed
attese una risposta –
quasi improbabile – da parte della persona che aveva dinnanzi
a sé.
‹‹E
quindi? Il signormissionimpossible
è rimasto senza parole?››
continuò poi, vedendo che Bill non riusciva a
darle una risposta: a quel punto intrecciò le braccia al
petto ed accavallò le
gambe. Bill cominciò a torturare la sua cannuccia,
mordicchiandola tutta.
‹‹Non
è la cosa giusta da fare, Heidi.››
sospirò poi, spingendo con una
certa irruenza, il bicchiere dall’altra parte del tavolino.
‹‹Ma
come sei pesante, Bill.›› affermò
successivamente la ragazza,
rilanciando il bicchiere del fratello, nella sua direzione.
‹‹Non ho mica detto
che te lo devi sposare. Ti sto solo dicendo che, da quello che mi hai
raccontato,
sembra che il bell’imbusto, sia dell’altra
sponda.›› disse quella frase con un
cenno di ironia. Bill non sapeva se ridere o pigliare a schiaffi quella
povera
disgraziata che si trovava di fronte. Optò per la prima
scelta.
Sorrise
in maniera fin troppo imbarazzata. Doveva ammetterlo: Tom lo
attraeva; e non poco e, a quanto pare, anche Tom provava una certa
‘attrazione’
per Bill. Era palesemente evidente. Nessun ragazzo definito
‘normale’ avrebbe
mai chiesto ad un altro ragazzo di ballare assieme a lui in
quel modo.
‹‹Tu
dici che dovrei provare a divertirmi un
po’?›› continuò puoi,
giocherellando con l’accendino che aveva nella mano destra.
Heidi lo guardò e
gli sorrise dolcemente e in maniera molto comprensiva. Gli strinse la
mano.
‹‹Io
voglio solo e soltanto il meglio per te. Un po’ di
divertimento non ha
mai fatto del male a nessuno. Dopo quello che ti è successo
e, soprattutto,
dopo aver lasciato la tua migliore amica lì a Berlino,
meriti davvero di
svagare un po’››
D’un
tratto però, Bill ebbe un’illuminazione. Il suo
entusiasmo fu talmente
grande, tanto da far sobbalzare Heidi dallo spavento.
‹‹Sarah!!
Siamo fuori dalla nave. Posso chiamarla! Dio che stupido. Avevo
dimenticato di avere la promozione internazionale. Stupido!
Stupido!››
Si
picchiò la fronte con il palmo della mano, più e
più volte. Heidi pensò
seriamente di lasciarlo lì, allontanandosi di soppiatto come
se nulla fosse,
facendo finta di non conoscerlo affatto.
Bill
afferrò il cellulare, andò nella rubrica e scorse
fino alla lettera S. Il telefono
fece un paio di squilli!
Bill?
‹‹Sarah!!
Che bello risentire la tua voce. Come va? Che stai
facendo?››
C’era
tanto di quell’entusiasmo in Bill. Era come se non si
sentissero da
anni.
Bill,
è da ieri che non ci sentiamo. Cosa vuoi che sia cambiato!
Sto
benone. E tu?
Disse
ridendo la ragazza. Era così bello risentire la voce del suo
migliore
amico.
‹‹Bene
anche io. La nave è stupenda. Mi sono miracolosamente
ricordato che,
per fortuna, ho la promozione internazionale. Fuori dalla nave, posso
chiamarti
senza problemi.››
Si
alzò dal tavolino e fece cenno ad Heidi di aspettarlo qui.
Si avvicinò
ad una delle tantissime bancarelle che c’erano lì,
al porto. Diede una rapida
occhiata alle zagaglie che vendevano: calamite, ciondoli, piccole
statuette.
‹‹Mi
manchi un sacco.››
Anche
tu, Bill. Ma cosa ti ho detto prima che tu partissi? Pensa a
divertirti e non pensare continuamente a me. Caspita, anche io vorrei
divertiti!
Rise
di gusto. Lo fece anche Bill.
Lui
pensò di non raccontare nulla a Sarah di Tom, in quanto, se
l’avesse
fatto, di sicuro avrebbe voluto tutti i minimi dettagli, peggio della
sorella.
Ergo, decise di non dire nulla almeno per adesso.
‹‹Sto
facendo una miriade di foto con la mia bambina.
Non appena ritorno, ti faccio vedere.››
Si
soffermò ad una bancarella che vendeva anelli, collane e
accessori di
questo genere. Venne colpito da un anello a croce. How
much?
L’uomo
lo guardò basito. Strabuzzò gli occhi e fece
comprendere a Bill che,
ovviamente, non capiva l’inglese. Sbuffò,
già stufo.
‹‹Sarah,
tu che sei brava in italiano, come si dice: wie
viel kostet? In italiano?››
Sei
proprio un ignorante. Ti ho sempre detto di imparare
l’italiano. Si
dice: ‘quanto costa?’
Bill
la ringraziò, mandandole una marea di baci. Qualche istante
dopo,
chiuse la chiamata. Tentò di ripetere al meglio quella
parola così difficile
che Sarah gli disse;
‹‹Quannnnnttto cosssssta?››
Miracolosamente,
l’uomo lo capì. Con la mano, segnò il
numero cinque. Bill
dedusse che, quell’anello, costava cinque euro. Lo
comprò senza aggiungere
altro. Sborsò il denaro e se lo mise subito, sfoggiandolo
davanti alla sorella.
‹‹Brutto
stronzo! Me lo devi prestare!›› Heidi
scattò in piedi ed afferrò
la mano del fratello per poter ammirare il suo nuovo acquisto. Bill la
tirò
indietro prima che lei potesse guardarlo con più attenzione.
‹‹Assolutamente
no. Tu non mi presti mai nulla.›› Heidi lo
fulminò con lo
sguardo.
‹‹E
lo shampoo che ti ho prestato e che non ho più riavuto
indietro? Credi
che me ne sia dimenticata per caso? Non sono una
stupida!››
Merda.
Bill
fece finta di non aver sentito e rimise la mano in tasca. Disse che
non aveva alcuna intenzione di farsi un giro per la città.
Bari non gli diceva
nulla. Era una vecchia città, piena di zoticoni e
pescivendoli; non era per
niente il tipo di gente con il quale Bill aveva a che fare. Decise di
continuare il giro per le bancarelle che avevano allestito,
senz’altro per
l’attracco della nave. Ovviamente, avevano previsto
l’arrivo di innumerevoli
turisti.
‹‹Bill,
guarda questa collana. Me la regali per il mio
compleanno?›› Heidi
gli fece notare una bellissima collana in acciaio con inciso
l’iniziale del suo
nome in un ciondolo a forma di cuore e con incastonato un brillantino
di colore
nero.
Bill
la guardò accigliato. ‹‹Ma se il tuo
compleanno è a Novembre. Siamo in
piena estate, Heidi.››
Lei
sbuffò e lo pregò nuovamente, chiedendogli di
farle un regalo
anticipato.
‹‹Non
ho un soldo con me.››
‹‹Tanto
piacere.›› proseguì lui, ignorandola.
‹‹Sei
un tirchio. Peggio di Zio Paperone.››
‹‹Zio
Paperone è un umile papero, se ci metti a
confronto.›› cominciò a non
riuscire più a trattenere le risate. Fino a quando, non
scoppiò
improvvisamente. ‹‹Ahahah! Sei così
stupida, alle volte.›› continuò poi,
mettendo le mani nella propria borsa e prendendo un po’ di
soldi. ‹‹Tieni!
Fatteli bastare per il resto della crociera.›› le
porse una banconota da
cinquanta euro.
Le
si illuminarono gli occhi e lo ringraziò. Lui
ricambiò il sorriso.
*
Bill
era già praticamente esausto. Era già
un’ora abbondate che girovaga
per la città assieme ai suoi genitori. Dopo essersi goduto
la granita con sua
sorella e fatto anche qualche acquisto, vennero raggiunti dai loro
genitori
che, ‘cordialmente’ li invitarono a seguirli: con
‘cordialmente’, ci si
riferiva al fatto che fossero stati letteralmente costretti ad
aggregarsi a
loro.
‹‹Mamma,
ti prego. Sono stanco e voglio salire sulla nave. Una vacanza non
deve essere uno stress. Sto sudando come un maiale, Heidi sta sudando
come una
vacca…›› ricevette una gomitata nelle
costole.
‹‹Ehi
coglione. Bada a come parli e pensa per te.››
proseguì Heidi,
aumentando il passo dimodoché non stesse più
affianco a Bill.
‹‹…Ad
ogni modo…›› continuò Bill,
massaggiandosi la parte dolorante –
questa volta Heidi, l’aveva colpito leggermente
più forte – ‹‹voglio tornare
sulla nave.›› concluse poi.
‹‹Torneremo
sulla nave non appena avremo visitato l’ultimo posto: La
Chiesa
di San Nicola.››
Avrebbe
voluto darsi di testa contro la prima parete dura e ruvida
disponibile; ma attorno a lui c’era troppa gente e nessun
muro abbastanza
vicino per fracassarsela.
Si
passò le mani sul viso, tirando leggermente la pelle.
Perché?
Perché ho deciso di venire. Non potevo stare beatamente a
casa mia?
Si
ritrovò a pensare poi, mentre continuava a trascinarsi per
le strade di Bari.
Finalmente
però, un miraggio: la Chiesa di San Nicola era a poche
decine di
metri da loro.
‹‹Venite,
sembra che ci sia una guida, lì
infondo.›› disse Simone
afferrando la mano di Gordon e trasportarlo con una leggera forza in
mezzo alla
folla, concentrata all’entrata dalla chiesa.
C’erano
diversi gruppi, ognuno dei quali aveva una propria guida di
nazionalità diversa. Simone distinse la guida tedesca,
grazie al berretto che
indossava: aveva i colori della Germania.
Si
avvicinò a passo svelto e, di conseguenza, anche il resto
della famiglia
la seguì a ruota. Appena raggiunsero il gruppetto di
persone, cominciarono ad
ascoltare l’accurata spiegazione della ragazza-guida.
‹‹Risale
agli inizi del XX secolo. La costruzione della chiesa
polarizzò
immediatamente il quartiere, al tempo in caotica espansione. Nel 1911,
la
Società Imperiale Ortodossa di Palestina
commissionò ad Aleksej Viktorovic
Ščusev l'edificazione del tempio, la cui prima pietra venne
posta il 22 maggio
1913. Le autorità baresi e russe portarono in dono una
grande icona del Santo,
dipinta secondo modelli antichi. La cerimonia, durata circa
un’ora, si concluse
con un discorso di ringraziamento da parte del sindaco di Bari Fiorese
e il
principe russo Zelachov. La costruzione della chiesa fu completata solo
dopo la
fine della prima guerra mondiale. Da allora i pellegrinaggi continuano
anno per
anno.
Dopo
la Rivoluzione russa, in seguito alla diaspora, i greci ortodossi
greci furono più numerosi dei russi ortodossi russi.
Nel
1937 la chiesa divenne proprietà del Comune di Bari. Il
Comune
s'impegnava a rispettare la proprietà ecclesiastica della
costruzione, a
conservare il tempio nella sua funzione religiosa e a destinare alcuni
locali
dell’ospizio dell’Istituto per l'infanzia
abbandonata "M. Diana".
Nel
1969, in seguito alle politiche ecumeniche del Concilio Vaticano II,
insieme a Lucio Demo si concesse la celebrazione della funzione
ortodossa nella
cripta della Basilica di San Nicola, proprio in segno di amicizia, di
rispetto
e di profonda unione con gli ortodossi.
Di
recente ristrutturata, la chiesa russa continua ad essere un ponte con
le civiltà dell'Est Europa e del bacino orientale del Mar
Mediterraneo.››
Bill
cominciò a sbuffare più e più volte.
Quella guida era di una noia
tremenda. Voleva tornare sulla nave; e voleva farlo subito.
‹‹Bill,
andiamo; fa qualche foto alla Chiesa.›› lo
invitò sua madre,
indicando – da lontano – la sua Reflex.
‹‹Sbaglio avevi detto che avresti
fotografato ogni cosa?››
‹‹Per
l’ennesima volta, ti ripeto: avrei fotografato qualunque cosa
stesse
sulla nave. Non al di fuori di essa. Ti è
chia-›› non
terminò la frase che, a qualche metro da
lui, aveva appena visto qualcuno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
-
Capitolo 7 -
Tom
era praticamente
alla sua destra, a pochi metri da lui, nell’altro gruppo. A
differenza sua,
ascoltava la guida con molto interesse.
Ovviamente,
sua sorella
Heidi, notò quanto Bill fosse imbambolato da diversi secondi
e, di conseguenza,
si voltò nella direzione in cui stava fissando, vedendo
così Tom.
‹‹Non
pensavi che il
tuo amoroso fosse così interessato alla storia,
eh?›› disse
ironicamente sua sorella, dandogli la
solita gomitata nelle coste, facendo così rinvenire suo
fratello.
‹‹Cosa?
No, non stavo
fissando lui.››
si giustificò
successivamente, sentendosi chiamato in causa. Heidi scoppiò
a ridere di gusto.
‹‹Dai
fratellino, vacci
a parlare, o lo farò io.››
Non
appena disse così,
Bill sgranò gli occhi le disse cosa diamine le stesse
passando per la testa. Heidi,
a sua volta, si passò una mano per tutta la superficie del
suo viso –
fortunatamente non era truccata –
‹‹Possibile
che tu ti
debba comportare come se non avessi mai visto un ragazzo in vita
tua?››
‹‹Non
lo conosco
nemmeno. E non mi va nemmeno di farlo.››
proseguì poi lui, distogliendo lo sguardo dal
ragazzo con i rasta neri.
Heidi, però, non demorse, e fece di testa sua. Come faceva
sempre, d’altronde.
Senza che il fratello se ne accorgesse, colse un sassolino da terra,
grande più
o meno quanto una biglia, e lo lanciò addosso a Tom. Ebbe
una mira stranamente
precisa, colpendolo dritto in testa.
‹‹Ahia,
ma che
cazzo…››
Il
povero ragazzo,
colpito da un sassolino misterioso, si voltò proprio nella
direzione in cui
l’oggetto era partito e, quando vide Bill, si
chinò di soppiatto e, una volta
afferrato il sassolino da terra, glielo lanciò a sua volta.
‹‹Ma
che
diavolo…››
non appena vide Tom
avvicinarsi, diventò improvvisamente di un rosso pomodoro.
Fortunatamente,
vista l’afa e il caldo di prima mattina, poteva benissimo dar
colpa a quello.
‹‹Hello, Bill.›› iniziò Tom,
dando una pacca sulla spalla al ragazzo biondo. Bill lo
guardò perplesso e,
quando notò che sua sorella Heidi non era più
accanto a lui, capì subito una
cosa:
Quella
bastarda la pagherà cara.
‹‹Perché
mi hai colpito
con un sasso?››
proseguì poi Bill,
toccandosi il braccio, ovvero, la parte colpita.
‹‹Io?
Sei stato tu a
colpirmi con quel sassolino, prima. Io te l’ho solo riportato
indietro.››
Doppia
bastarda.
In
quel momento, Bill
non sapeva proprio come comportarsi e né tanto meno cosa
dire. Restò in
silenzio per qualche secondo, dopodiché sorrise.
‹‹Non
pensavo ti
accorgessi fossi io, il lanciatore di pietre.››
‹‹Oltre
i miei amici
che per ora non riesco a trovare, ci sei soltanto tu a
conoscermi.››
si guardò un po’ attorno con fare
sarcastico.
‹‹A meno che non ci siano i fantasmi,
qui.››
ridacchiò poi, con
Bill a suo
seguito.
Calò
il solito silenzio
imbarazzante fra i due. Si udivano soltanto le varie voci delle diverse
guide
turistiche.
Non
ottenendo più
attenzioni, Tom decise di ritornare ad ascoltare la ragazza di colore
che, con
molta disinvoltura, spiegava la storia della Chiesa. Anche Bill decise
di
tornare dalla sua famiglia, ma non prima di aver salutato con un cenno
della
mano il rasta, che ricambiò felicemente.
*
‹‹Ahio!
Cosa ho
fatto?›› squittì Heidi, dopo aver
ricevuto uno schiaffo in testa. La sua
risatina, echeggiò per tutta la Chiesa. Tutti si voltarono
nella loro direzione
e cominciarono a guardarli basiti. Sapeva benissimo il motivo per cui
Bill,
l’aveva colpita. La cosa la divertiva ancora di
più. Voleva dire solo una cosa:
il suo piano, era andato a buon fine.
‹‹Se
la prossima volta
ti azzardi di nuovo a farmi fare figuracce con qualcuno, giuro
che…››
Non
ebbe il tempo di
finire la frase. Gordon lo ammutolì con un sonoro ‘sht’. Ciò
stava ad indicare una sola cosa: la guida avrebbe
cominciato a parlare un’altra volta. E lui voleva solo morire.
‹‹La
basilica,
considerata uno dei prototipi delle chiese romanico-pugliesi, sorge
isolata a
poca distanza dal mare.
La
facciata a salienti,
semplice e maestosa, è tripartita da lesene, coronata da
archetti e aperta in
alto da bifore e in basso da tre portali, dei quali il mediano, a
baldacchino
su colonne, è riccamente scolpito. Due torri campanarie
mozze, di diversa
fattura, fiancheggiano la facciata. I fianchi si caratterizzano per le
profonde
arcate cieche (sopra le quali corrono loggette a esafore) e le ricche
porte.
Arcate cieche in basso e bifore in alto animano le alte testate del
transetto e
la parete continua absidale, ornata al centro da un grande finestrone.
L'interno
presenta uno
sviluppo planimetrico a croce latina. Il corpo longitudinale
è diviso in tre
navate da dodici colonne di spoglio. Il ritmo della navata centrale,
con copertura
a capriate, è scandito da tre arconi trasversali, aggiunti
nel XV secolo in
seguito a un terremoto che aveva reso pericolante l'intera costruzione.
Mentre
i primi due si impostano sulle prime quattro coppie di colonne binate,
l'ultimo
arcone è retto da due massicci pilastri compositi, posti
quasi a metà della
navata stessa.
Al
di sopra degli archi
c'è il piano del matroneo a trifore. Il soffitto
è intagliato e dorato
accompagnato con riquadri dipinti del XVII secolo. Tre solenni arcate
su
graziose colonne dividono la navata centrale del presbiterio. L'altare
maggiore
è sormontato da un ciborio del XII secolo.
Nell'abside
centrale
degno di nota è il pavimento con tarsie marmoree e con
motivi orientaleggianti
dei primi decenni del XII secolo assieme alla vigorosa sedia episcopale
marmorea del 1105 e anche al monumento di Bona Sforza, regina di
Polonia, di
scultori del tardo Cinquecento.
Nell'altare
dell'abside
destro è presente un trittico di Andrea Rico da Candia del
XV secolo; nella
parete retrostante sono vari resti di affreschi trecenteschi. Sulla
destra il
ricco altare di San Nicola, in lamina d'argento sbalzato del 1684.
Nell'abside
sinistro una tavola con Madonna e Santi del 1476.
Per
chi non lo sapesse,
diverse leggende narrano che la basilica sarebbe stata costruita per
celare il
Sacro Graal, il calice dal quale Cristo bevve nel giorno dell'Ultima
Cena con
gli apostoli. A fondamento di questa leggenda Bari era il porto dal
quale
crociati e gente di ventura partivano per la Terrasanta, quindi era
ritenuta
una città ai margini dell'impero, ma nello stesso tempo
pregna di sacralità. Si
tratta però appunto solo di leggende che, malgrado vengano
spesso riproposte
anche in tempi moderni, sono state più volte smentite da
autorevoli studiosi
come il padre domenicano Gerardo Cioffari, storico di San Nicola e
della
basilica.
La
figura di San Nicola
ha dato origine alla celebre leggenda di Santa
Claus.››
Bill
no ne poteva più.
Voleva darsi la testa contro una qualsiasi parete. La storia di quella
Chiesa
era un qualcosa di noiosa e altamente disinteressante. Avrebbe pregato
in una
lingua morta, se fosse servito a riportarlo a bordo. Guardò
l’orologio: 12:32.
Erano nella città vecchia da tutta la mattina. Affamato,
accaldato e nettamente
annoiato, Bill giurò che non avrebbe più messo
piedi in quella maledettissima
città.
Quanto
è vero Iddio, non verrò mai più qui.
Mai.
*
Guardò
nuovamente
l’orologio: 13:02. Il suo stomaco cominciava a borbottare.
Era in fila da
cinque minuti, in attesa del suo solito riso in bianco. Con la mano
destra,
manteneva il vassoio ancora vuoto e, la sinistra, era posata
– con una grazia
non proprio maschile – sul proprio fianco. Il piede batteva
tempestivamente per
terra.
Alzò
gli occhi al
cielo. Quella vacanza stava prendendo di nuovo una brutta piega.
‹‹Bill,
noi andiamo a
cercare un posto per sederci. Raggiungici.››
urlò Gordon, per sovrastare il
baccano che c’era al self service. Bill, con un cenno
distratto della mano,
rispose al padre, senza premura di accertarsi che avesse capito.
‹‹Non
vedo l’ora di
tornare a Berlino.›› disse poi tra sé
e sé. Finalmente, dopo un altro
straziante minuto di attesa, poté riempire il suo piatto con
del riso in
bianco. Come secondo, questa volta, avrebbe optato per il pesce.
Cercò
con lo sguardo il
bancone dei secondi a base di pesce. Era ad una decina di metri da dove
si
trovava. Con il vassoio in aria, sulla testa, si incamminò
verso il bancone dei
secondi, nella speranza di non attendere ancora per molto.
Una
volta raggiunto,
notò che, in fila prima di lui, c’erano cinque
– o forse sei – persone. Si
sarebbe sbrigato in poco tempo. Durante l’attesa,
testò il territorio, in cerca
della propria famiglia. Nessuna traccia. C’era davvero troppa
gente, lì dentro.
Pieno di bambini che correvano da tutte le parti, con i genitori al
seguito che
gridavano e si affannavano per star dietro ai propri figli.
‘Voglio
l’hamburgeeeeeeeeeeer!’
‘Io
le salsicceeeeeee!’
‘Voglio
dormireeeeee!’
‘Ho
caldooooo!’
‘Ho
seteeeee!’
‘Devo
fare la pipìììì!’
Bill
non sarebbe mai
diventato genitore. Avrebbe preferito adottare l’interno zoo
di Berlino,
piuttosto che crescere un bambino. Sarebbe stato molto più
facile allevare un
cucciolo di leone. Sì. Avrebbe fatto così.
Una
volta arrivato il
suo torno, notò che c’era una vasta scelta di
pesce: salmone, pesce spada, rana
pescatrice, tonno fresco, orata e spigola. Optò per il tonno
fresco.
Dopo
essere passato dal
pancone dei contorni e della frutta, cominciò a vagare a
vuoto, in cerca del
proprio tavolo. Girò per qualche minuto, senza concludere
nulla. Il suo piatto
cominciava a freddarsi. Lui odiava mangiare freddo.
D’un
tratto però, si sentì
chiamare, ma non era la voce di Gordon, quella.
‹‹Ehi,
Bill.››
A
qualche metro da lui,
c’era Tom, che si sbracciava come un ossesso, nella speranza
di essere notato.
Bill fece un lieve cenno con la testa ed abbozzò un sorriso
un po’ forzato.
Quando
Tom ebbe la
certezza che lo stesse guardano, gli fece cenno di aggregarsi al
proprio
tavolo.
Bill
storse il viso in
una smorfia. Non era per niente il caso di unirsi al tavolo di Tom.
C’erano
anche i suoi amici, con lui. Che cosa avrebbero pensato se avesse
cominciato ad
arrossire ed entrare in iperventilazione? D’altro canto,
però, erano già cinque
minuti che vagava inutilmente, in cerca della propria famiglia e, di
certo, non
voleva che il suo pasto si freddasse ancora di più
– vista la bassa temperatura
che c’era lì dentro a causa dell’aria
condizionata, praticamente al minimo. –
Guardò il suo piatto, poi Tom, il suo piatto, e nuovamente
Tom.
‹‹Ma
sì, che cazzo me
ne frega!›› sorrise in maniera più
convincete questa volta, e si diresse nella
direzione di Tom cercando di farsi spazio fra la gente.
‹‹Hello Everybody!››
salutò lui, senza però sedersi. Tom si
alzò dal
proprio posto e lo invitò ad accomodarsi accanto a lui. Gli
venne un groppo in
gola e un vuoto allo stomaco; doveva apparire disinvolto,
però; almeno in
presenza di altre persone. Dopotutto, ancora non sapeva con esattezza
quali
fossero le intenzioni di Tom.
‹‹Ciao,
Bill.›› rispose
poi lui.
Bill
apparì subito
imbarazzato, alla presenza dei suoi amici. Era abituato a mangiare con
la sua
famiglia, e non con persone estranee. Oltre a Tom, c’erano un
paio di ragazzi
più o meno della sua stessa età: uno era biondo,
forse anche troppo biondo.
Sicuramente era tinto. Era magro. Aveva il viso piuttosto scavato. Gli
occhi
erano scuri e leggermente incerchiati. Pareva
il Conte Dracula, tanto era pallido; l’altro,
invece, era sempre biondo,
ma un po’ più scuro dell’altro; portava
degli occhiali neri. A differenza del primo, era molto più
paffuto ed in carne.
Aveva l’aria di uno che adorava mangiare qualsiasi cosa gli
capitasse davanti.
Difatti, nel suo vassoio, Bill poté notare una vasta gamma
di schifezze: hot
dog, un hamburger a tre strati, patatine fritte, due salsicce, due
fette di
torta cheesecake.
Gli
venne il rigurgito
solo a pensare di mangiare tutto quel cibo. Fece un calcolo di quante
calorie
potessero essere contenute in quel vassoio:
Un
Hot Dog di media
grandezza, pesa all’incirca 180g = 445 kcal;
Un
hamburger a tre
strati, pesa all’incirca 200g = 514 kcal;
Una
porzione media di
patatine fritte, 100g = 316 kcal;
Due
salsicce di maiale
a punta di coltello, 60g = 203 kcal;
Due
fette di torta
cheesecake, 150g circa = 481 kcal;
Se
Bill era riuscito –
occhio e croce – a fare il calcolo, avrebbe giurato che,
dentro quel vassoio,
c’erano all’incirca 1959 kcal; l’intero
fabbisogno giornaliero di un uomo,
concentrato in un solo pasto.
Gli
vennero i brividi. Scosse
il capo, decidendo di non pensarci più di tanto, o sarebbe
passato dalla parte
del paranoico – quale era – tanto, non era di certo
lui ad ingurgitare tutta
quella roba.
Alle
volte però, era
davvero troppo fissato.
I
suoi macabri pensieri
– perché macabri erano – vennero
interrotti da Tom che, con un tono gioioso,
cominciò con le presentazioni:
‹‹Loro
sono Andreas e
Gustav. I miei compagni di college, nonché miei migliori
amici. Siamo in attesa
di un altro nostro coinquilino che, aimè, ancora non
vedo.›› prima di sedersi,
Tom cercò tra la gente e tra i tavoli, l’amico
perduto.
‹‹Piacere
di
conoscervi, io mi chiamo Wilhelm, ma tutti mi chiamano
Bill.›› Porse la mano ad
entrambi che, con una presa piuttosto ferrea, la strinsero con piacere.
‹‹Non
sei americano,
vero?››
Scosse
il capo.
Possibile che il suo accento fosse così differente dal loro?
‹‹No,
sono tedesco.››
‹‹Ma
il suo inglese è
quasi più perfetto del mio.›› si
intromise poi Tom, guardandolo di sottecchi.
Bill sorrise imbarazzato. Non aveva ancora toccato cibo, sebbene stesse
morendo
letteralmente di fame. Non voleva mangiare da solo visto che, tutti gli
altri,
presumibilmente, aspettavano qualcuno. Il suo piatto però,
si era ormai
completamente freddato.
‹‹Come
fai a conoscere
così bene l’inglese?››
domandò quello grosso; Gustav, probabilmente. Bill,
prima di rispondere, si pavoneggiò leggermente.
‹‹Beh,
ho fatto
innumerevoli corsi e master in Inghilterra, che son durati
più di un mese.
Adoro l’inglese. Infatti, alle volte, penso che sia nato nel
posto sbagliato.
Io mi sento inglese, nell’anima. Tedesco, nemmeno per
sogno.›› rise
leggermente, ed anche gli altri tre ragazzi lo fecero.
Aveva
il capo chino sul
proprio vassoio, non aveva il coraggio di guardare negli occhi Tom.
Dopo la
pessima impressione che aveva fatto la sera precedente e la figuraccia
di
stamattina, aveva quasi pensato di non rivolgergli più la
parola o, tanto meno,
non l’avrebbe cercato più tra la gente. Ma,
ovviamente, non era affatto così.
Aveva persino la sfortuna di avere la camera al suo stesso piano e, per
giunta,
nel suo stesso corridoio. E se questa non è sfiga.
*
Erano
trascorsi dieci
minuti, da quando Bill si era aggiunto al tavolo di Tom. Aveva
cominciato a
parlare con così tanta naturalezza e disinvoltura, che si
era del tutto
dimenticato della propria famiglia.
‹‹Wow,
equitazione.
Deve essere bellissimo.›› ammise Bill, addentando
un pezzetto di tonno.
Avevano
cominciato a
mangiare qualche minuto dopo il suo arrivo. Dell’altro
ragazzo, non c’era
traccia.
‹‹Sì,
è davvero un
bellissimo sport. Tra l’altro, io amo il mio cavallo.
È come un membro della
famiglia, per me.›› il biondo tinto,
nonché Andreas, era un tipo piuttosto
ambiguo all’apparenza ma, tutto sommato, era simpatico.
Gustav, oltre ad avere
uno stomaco di ferro, era anche un gran chiacchierone. Non aveva smesso
un
attimo di parlare.
Tom,
invece, non aveva
detto praticamente una parola da quando si era seduto, a parte le
presentazioni
e l’elogio per la sua abilità nel parlare inglese.
Chi l’avrebbe detto che, uno
come lui, un tipo così estroso, potesse essere al contempo,
così timido e
riservato.
‹‹E
tu, invece? Cosa
fai nella vita?›› disse Gustav, mentre addentava
con voracità il suo panino a
tre strati. Bill trattenne un conato di vomito, prima di parlare:
‹‹Ho
praticato pugilato
per tanti anni a livello agonistico, poi però, ho avuto un
incidente ad un
match. Le ho prese di santa ragione! Ora, lavoro con mio padre in una
concessionaria di BMW e Mercedes, a Berlino. Non è da molto
tempo, ma è
comunque qualcosa. Mi ha detto che, un domani, passerà a me.
Ma io non ci trovo
nulla di speciale, vendere auto.››
giocherellò un po’ con l’insalata di
patate,
prima di afferrarne una e di portarsela in bocca.
‹‹Io
non lavoro. Ho
poco tempo per fare qualsiasi cosa. L’università
occupa quasi tutto il mio
tempo libero.››
Ammise
Gustav, seguito
però, da dei sonori fischi da parte di Tom e Andreas. Bill
rise, senza sapere
però il motivo per cui lo stessero facendo:
‹‹Ma
stai zitto. Sono
più le volte che salti la lezione. Se tuo padre non fosse il
professore di
informatica, a quest’ora saresti stato sbattuto
fuori.›› lo derise Tom ma,
Gustav, si seppe difendere benissimo.
‹‹Sta
parlando il
figlio raccomandato del preside.››
Tom
lo cantilenò,
facendogli il verso. Decise di continuare a mangiare, senza
più prestare
attenzione a ciò che Gustav dicesse nei suoi confronti.
Anche se, da una parte,
aveva perfettamente ragione. Tutti i professori lo privilegiavano. Si
sentiva
un po’ importante, per questo motivo ma, così come
disse a Bill, nel loro primo
incontro, gli esami doveva passarli con le proprie forze.
*
Quando
finirono il
pranzo, Bill si trattene ancora un po’ al tavolo di Tom.
C’era da dire che, la
sua presenza e quella dei suoi due amici, era piuttosto piacevole.
Erano
simpatici, alla mano, un po’ come Tom. Ma.. chi era
l’altro ragazzo? Se non
ricordava male, Tom aveva detto che cercava qualcuno. Poco ficcanaso,
Bill
decise di porre fine alle sue sofferenze e alla sua
curiosità:
‹‹Ma
il vostro amico?
S’è perso sulla nave?››
ridacchiò poi, nella speranza di aver fatto centro.
Tirò su con la cannuccia gli ultimi sorsi della sua Cosa
Cola Zero. Fece un po’
di rumore, in quanto era già praticamente finita. Tom
scrollò le spalle e mise
in bocca l’ultima carota solitaria rimasta nel piatto
– aveva deciso di non
mangiarla, ma la mangiò lo stesso. –
‹‹Georg è sempre
così. Se trova qualche bella pollastrella, si
dimentica dei suoi amici, abbandonandoli al proprio
destino.››
Bill
soffocò, non
appena sentì pronunciare quel nome. Cominciò a
tossire. Aveva sentito bene?
Aveva detto Georg?
‹‹Ehi
Bill, tutto
bene?›› Tom cominciò a dargli dei
colpetti dietro la schiena, convinto che gli
fosse andato qualcosa di traverso. ‹‹Non dirmi
che ti sei soffocato con
l’aria?›› trattene un imminente risata.
Se davvero quel colpo violento di tosse
era stato causato dall’aria fuoriuscita dalla cannuccia,
avrebbe riso per il
resto dei suoi giorni. Non aveva mai incontrato nessuno di tanto
stupido.
‹‹No,
No. È passato.
Sto bene. C’era un granello di ghiaccio e l’ho
aspirato.›› mentì
spudoratamente. Nemmeno quella tonta di sua sorella, ci avrebbe creduto
ad una
stronzata così colossale. Si dette due colpetti sul petto ed
allontanò il
bicchiere – ormai vuoto – di Cola.
‹‹Stavi dicendo?›› si
rivolse nuovamente a
Gustav, incrociando le braccia al petto, facendo finta di nulla.
Gustav,
dal canto suo,
lo guardò stralunato. Come se avesse a che fare con un pazzo
svitato.
‹‹Ehm..
sì. Dicevo, lui
è così. Ci abbandona da un momento
all’altro. Senza avvisare.››
‹‹Ma
chi?›› rispose
Bill. Non sapendo davvero di chi stesse parlando.
‹‹Come
chi?››
‹‹Tu
hai detto: lui. Ed
io ho detto: Chi?››
‹‹Cosa
chi?››
intervenne poi Tom, confuso più di tutti quanti.
‹‹Come,
cosa chi?››
continuò poi Bill, voltandosi verso Tom.
‹‹Chi?››
Andreas,
esasperato, si
spalmò entrambe le mani sul viso, contorcendolo in
un’espressione a dir poco
divertente.
‹‹Oh
ma insomma!›› urlò
poi, sbattendo leggermente i bugni sul tavolo. I vassoi tremarono un
po’. Tutti
sobbalzarono e tacquero. ‹‹Non so chi
è il più stupido fra i tre. Cazzo, stiamo
o non stiamo parlando di Georg?››
Santiddio.
Allora avevo sentito bene.
Pensò
immediatamente
Bill. Non appena Andreas pronunciò nuovamente quel nome,
ebbe un semi-infarto.
Il cuore cessò di battere per qualche millesimo di secondo;
il suo stomaco fece
un triplo salto mortale carpiato all’indietro seguito da una
doppia piroetta;
per non parlare poi della sua testa, che cominciò a fare il
giro del mondo in
mezzo secondo.
‹‹Ge-Georg?››
ripeté a
fatica quel nome.
‹‹Sì,
Georg. Il nostro
amico si chiama così. Perché? Lo
conosci?››
Lo conosceva?
Altroché se conosceva quel nome.
Giurò che se mai l’avesse rivisto, gli avrebbe
riempito la faccia di pugni fino
a farla sanguinare.
Un
momento, Bill. Non correre troppo. Metti a freno la testa. Ci sono otto
miliardi di persone, al mondo. Mica esiste solo e soltanto una persona
che si
chiama Georg. Non fare il bambino e fa girare il criceto che hai nella
testa al
posto del cervello.
Rise
da solo, dandosi
automaticamente del coglione. Aveva davvero pensato che Georg potesse
essere lì
su quella nave? Assieme a Tom, poi. Cosa diamine avrebbe potuto fare
lui a New
York? In una scuola così prestigiosa, poi.
Nah
Bill! Sta tranquillo. Sarà senz’altro
un’altra persona. Non è Georg.
NON È IL GEORG CHE CONOSCI TU.
‹‹No,
No. Ho un…››
avrebbe voluto dire amico, ma non lo disse. Perché lui non
era affatto un
amico. ‹‹Amico di un amico che si chiama
così.››
Tutti
e tre lo
fissarono come se gli mancasse qualche rotella. In quel momento,
avrebbe voluto
dissolversi il un lampo. Cominciò a sentirsi improvvisamente
a disagio. Poi, un
miraggio:
‹‹Ecco
dov’eri. Ma cosa
cazzo ci fa…›› Heidi si interruppe
bruscamente, quando vide
il fratello in compagnia di altri
ragazzi. Si rese conto qualche attimo dopo aver fatto una pessima
figura che,
uno di quei tre, era proprio il ragazzo che piaceva a Bill. Com’è che si chiamava?
‹‹Ehm..
ciao!›› con un
tentennante cenno della mano, Heidi salutò i ragazzi di
fronte a lei. Loro
ricambiarono, anche se non capirono assolutamente una parola di quello
che, la
ragazza, aveva appena detto.
‹‹Ti
prego, dimmi che
non parlano la nostra lingua.››
‹‹Per
tua e,
soprattutto, per mia fortuna.. No. Sono
americani.››
Heidi
tirò un sospiro
di sollievo.
Bill
non sapeva come
reagire: se presentar loro la sorella, oppure svignarsela con lei:
optò per la
seconda scelta. Si era già messo abbastanza in imbarazzo,
oggi.
‹‹Well guys, now I’m going to my cabin. See
you soon.››
Senza
aggiungere altro,
si alzò dal suo posto ma, come di consueto, si
sentì afferrare il polso. Tom non demordeva.
‹‹See
you this
afternoon in the gym?››
Bill
sorrise e, senza
dir nulla, annuì. L’espressione del rasta, si
illuminò con uno splendido e
smagliante sorriso. Salutò tutti rapidamente con un cenno
della mano e, assieme
ad Heidi, raggiunsero i loro genitori che li attendevano al di fuori
del self
service.
‹‹Sappi
che adesso non
avrai più scampo con mamma e papà
radar.››
‹‹Lo
so, Heidi. Lo
so.››
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
-
Capitolo 8 -
Erano
le cinque del
pomeriggio e, come da programma, Bill si preparò per andare
in palestra:
pantaloncini e canotta, ed era pronto. Questa volta però,
anche Heidi decise di
venire; con o senza il permesso di suo fratello maggiore.
‹‹Okay,
fa come vuoi.
Ma sappi che devo allenarmi e non posso badare anche a
te.›› sentenziò Bill,
aprendo la bottiglietta dell’acqua per berne qualche sorso.
‹‹Quante
volte devo
dirtelo: so badare a me stessa. In discoteca, ieri sera, mica sei stato
assieme
a me.›› replicò poi la sorella,
attaccandosi i capelli in una lunga e folta
coda di cavallo. Le ricadeva dolcemente sulla spalla destra.
‹‹Sei
tu che sei
sparita, abbandonandomi come un povero cane.››
Heidi
andò per
ribattere. Aprì e richiuse immediatamente dopo la bocca, non
aggiungendo nulla.
Aveva ragione questa volta, Bill, non aveva tutti i torti.
Perché si era
allontanata poi? A sì, aveva conosciuto quel tale
lì; quell’italiano il cui
nome era.. com’era il nome?
‹‹Okay.
Hai ragione. Ti
ho abbandonato. Ma n’è valsa la pena, almeno!
Ammettilo.››
Bill
roteò gli occhi e
sbuffò una risata. Heidi era davvero una povera scema,
quando tentava di
trovare sempre una giustificazione a tutto; anche impossibile o poco
plausibile. Decise di sorvolare. Non ce n’era bisogno; tanto
sarebbe venuta
ugualmente, questa volta.
Prima
di uscire dalla
loro cabina, salutarono i propri genitori ma, proprio quando
andò per aprire la
piccola e pesantissima porta – forse era anche troppo pesante
– Simone li
bloccò.
‹‹Voi
due non me la
raccontate giusta. C’è qualcosa che non mi state
dicendo.›› i due fratelli si
guardarono con complicità e, all’unisono,
risposero:
‹‹Ma
no mamma. È tutto
okay.›› mentirono. Simone però, meglio
conosciuta come mamma radar, sapeva
benissimo che non era affatto così.
‹‹Chi
erano allora quei
tre ragazzi con cui stavi parlando, Bill? Amici
tuoi?›› fece l’occhiolino al
figlio che, dal canto suo, la fissò stralunato.
‹‹Era davvero carino il ragazzo
con quei capelli strani.››
Bill
continuava a
guardarla con uno sguardo perso.
Ma
come diamine ha fatto a vedermi? Andiamo, Bill. Non fare lo stupido.
Erano praticamente dietro ad Heidi, quando è venuta a
chiamarti. Quella stupida
cretina.
Non
c’era più via
di scampo. Doveva dirlo, forse? Nah,
avrebbe inventato una scusa credibile.
‹‹Sono
ragazzi che ho
conosciuto in discoteca ieri.››
Per
sua sfortuna però,
Simone non ci credette affatto.
‹‹Ma
tu credi che la
mamma sia stupida? Guarda che ho visto il modo in cui ti fissava quel
ragazzo.
È lo stesso del ristorante.››
Heidi
non riuscì più a
trattenersi. Scoppiò in una fragorosa risata, battendosi, di
tanto in tanto, i
palmi sulle magre e sode cosce nude.
‹‹Puoi
dire tutto alla
mamma. Lo sai, Bill.›› lui alzò gli
occhi al cielo, dopodiché sospirò. Non
aveva altra scelta.
‹‹Okay,
ma ne possiamo
parlare più tardi? Dovrei andare in palestra,
adesso.›› si giustificò, mozzando
subito il discorso prima ancora di essere intrapreso. Simone non
aggiunse
null’altro. Conosceva benissimo la riservatezza del figlio,
per quel tipo di
discorso; ma avrebbe voluto che Bill, prima o poi, si sarebbe aperto
con lei, e
non solo con Heidi. Dopo la brutta storia con Georg, era cambiato
davvero
tanto.
‹‹Va
bene, Bill. Ne
parleremo in un secondo momento.››
*
Quando
entrò nella
palestra, il suo cuore cominciò a battergli molto forte. Era
arrivato con una
decina di minuti di ritardo, rispetto a ieri. Temeva che Tom, non
vedendolo, se
ne fosse andato.
‹‹Dici
che lui verrà?››
disse ad Heidi.
‹‹Ed
io che ne so. Lui
ha detto che sarebbe venuto?››
‹‹Sì.
Mi ha detto: ci
vediamo in palestra.››
‹‹E
allora devi solo
aspettarlo. Adesso, se non ti dispiace, io dovrei sondare il territorio
di
caccia. Io vado.›› congedò il fratello
con un saluto militare: indice e medio
uniti e portati successivamente vicino la fronte, per poi essere
rapidamente
allontanati con un netto e rapito gesto.
Si
allontanò da lui,
prima ancora che Bill potesse risponderle.
Guardò
l’orologio: 17:18
Tom
ancora non era
venuto. Era già un’ora abbondante che si stava
allenando, e la fatica
cominciava a farsi sentire.
La
sorella, ovviamente,
era andata via con un brasiliano, una ventina di minuti dopo essere
entrata in
palestra. Alle volte, sua sorella, gli faceva veramente paura. Era
impressionante il modo in cui riuscisse a rimorchiare.
Con
un po’ di
rammarico, proseguì il suo allenamento, nella speranza che
Tom arrivasse; ma
nonostante fosse trascorsa un’altra ora, lui non
arrivò.
*
Quando
rientrò nella
cabina, non c’era praticamente nessuno. Si sfilò
via la canotta sudata e la
lanciò da qualche parte. Fece così anche con i
propri pantaloncini. Avviandosi
verso la parte della camera dedicata ai propri genitori, sul loro
letto, vide
un biglietto. Lo afferrò e lo lesse rapidamente a mente:
Siamo
tutti nell’idromassaggio. Raggiungici.
Lo
appallottolò e lo
gettò nel cestino.
‹‹Ma
perché non è
venuto?››
Si
ritrovò a pensare ad
alta voce poi.
‹‹Eppure
aveva detto
che l’avrebbe fatto.››
Continuò, mentre
si accingeva a farsi la
doccia. Decise di farne una bella fresca, dimodoché potesse
azzerare i propri
pensieri. Ebbene sì, la doccia fredda gli faceva proprio
quell’effetto. Lo
rilassava a tal punto da portare il proprio cervello in reset. Persino
l’inverno, quando aveva bisogno di scaricare la mente o la
tensione, si
concedeva una doccia fredda, tanto da fargli mancare il respiro. Era
una
sensazione che a lui piaceva tanto.
Una
volta uscito da
quel minuscolo piatto-doccia e dopo aver preso una bella scivolata per
via del
ridotto spazio – imprecando come un ossesso – si
avvolse con l’asciugami e
cominciò ad asciugarsi.
*
‹‹Era
ora, pensavano
non venissi più.››
Affermò
Heidi,
salutando con poco entusiasmo il fratello.
‹‹Non
avevo molta voglia
di venire. L’ho fatto solo perché non
c’è nulla da fare qua dentro. Mi sto
annoiando a morte.›› sentenziò Bill,
stendendosi su di una sdraio, accanto
all’idromassaggio.
‹‹Per
fortuna sono
appena le sette del pomeriggio. Se ci fosse stato il sole, di sicuro mi
sarei
scottata. Ho la pelle fin troppo delicata.››
Bill
sbuffò,
chiedendosi ancora del perché Tom gli aveva fatto bidone
bello e buono.
Perché
mi ha detto che sarebbe venuto se poi non l’ha fatto?
Si
perse nei suoi
pensieri, fissando di tanto in tanto il mare di gente che
c’era lì sul ponte. Tra
bambini, giovani e anziani; tutti sembrava divertirsi e rilassarsi.
Solo lui
era l’intruso, lì sopra? Allora era davvero un tipo strano, come dicevano i suoi
compagni di scuola alle medie.
‹‹Ohi,
Terra chiama
Bill.››
Un
getto d’acqua calda
partì a razzo dalla piscina, colpendo Bill in pieno viso e
bagnandolo quasi
completamente tutto.
‹‹Porca
puttana, Heidi.
Ho appena fatto la doccia. Non dovevo assolutamente bagnarmi. Mi hai
rovinato i
capelli. E che cazzo!››
Con
stizza, si alzò
dalla sdraio, facendola stridere abbastanza forte.
‹‹Sei
la solita
cretina!›› imprecò ancora. Heidi
rimase allibita. Gordon, invece, lo riprese
bruscamente, senza però riscontrare successo.
‹‹Avete
rotto il cazzo.
Voi e questa fottuta nave. Voglio andarmene via da
qui!›› per l’ira, tirò un
calcio alla sdraio, facendola scostare di quasi un metro. Ovviamente,
questa
sceneggiata non poté che attirare l’attenzione dei
crocieristi.
Prima
che Gordon
potesse uscire dalla vasca per prenderlo a sberle davanti a tutti, Bill
aveva
già tagliato la corda.
*
Sbatté
la porta della
propria cabina con una certa violenza.
‹‹Idiota.
Sono stato
uno stupido.›› si picchiò la fronte
con dei pugni, non molto forti, ma nemmeno
tanto deboli. Aveva davvero creduto che Tom potesse provare interesse
nei suoi
confronti; invece, gli aveva appena dato buca.
‹‹Se
solo c’avesse
tenuto, di sicuro non avrebbe fatto il bidone.
Fanculo!›› batté un pugno alla
parete, facendola tremare un po’. ‹‹Non
mi devo fidare di nessuno.›› grugnì
poi, maledicendosi successivamente.
‹‹Non
sarei mai dovuto
salire, qui sopra.››
Si
guardò allo
specchio, gli occhi erano.. lucidi? Insomma..
non poteva piangere per un ragazzo che nemmeno conosceva o, tanto meno,
prendersi veleno.
*
‹‹Davvero,
la prossima
volta lo picchio davanti a tutti.››
sentenziò Gordon, rientrando in vasca. Era
calda, quasi bollente.
‹‹Non
capisco cosa sia
successo. Magari poi ci parlo io.›› lo
rassicurò Heidi, riattivano per
l’ennesima volta l’idromassaggio. Ma
perché non l’automatizzano, anziché
farlo manualmente?
‹‹Sai
benissimo che,
delle volte, è alquanto suscettibile e permaloso. Deve
essere successo per
forza qualcosa.›› si intromise Simone, cercando
di difendere il figlio.
‹‹Ma
questo non gli
permette di alzare il tono di voce con me.››
La
gente all’interno
della vasca, li guardava di traverso. Sebbene non capissero una mazza
della
discussione, tentarono ugualmente di seguire il discorso. Senza dubbio,
stavano
parlando dell’accaduto.
D’un
tratto però, Heidi
se ne rese conto. Mentre stava parlando, fece cadere – per
caso – lo sguardo su
un cinese – o giapponese, forse. Per lei erano tutti uguali.
– e lo vide che li
stava osservando attentamente, nella speranza di riuscire a comprendere
qualcosa.
‹‹Quando
hai finito di
fissarci, ti dico grazie!›› ovviamente, il
ragazzo non capì ciò che disse; ma comprese
senza dubbio il suo
sguardo. Era stato
appena sgamato. Decise di voltarsi nuovamente verso la sua compagna.
‹‹Dio
mio, quanto
possono essere impiccione le persone?›› senza
aggiungere altro, uscì dalla
vasca idromassaggio, si avvolse con l’asciugamani –
che aveva prelevato dalla
sua stanza – e si asciugò alla meno peggio.
Presto, avrebbe raggiunto la sua
cabina per potersi fare una bella doccia rinfrescante. La sera,
sarebbero
dovuti andare a teatro – come di consueto – ma,
questa volta, per un avvenimento
molto più importante: il benvenuto del comandante e la
serata di Gala.
*
‹‹Bill,
aprimi. Sono
io.››
‹‹Hai
la tua tessera.
Apri con quella.››
‹‹Idiota,
l’ho lasciata
in camera. Smetti tutto ciò che stai facendo e vieni ad
aprirmi.››
‹‹Altrimenti?››
Heidi
sbuffò. Cominciò
a battere forte il piede scalzo per terra. La sensazione della moquette
sul
piede bagnato, le faceva leggermente schifo.
‹‹Altrimenti
giuro che
ti farò pentire di essere nato prima di me. Adesso alza quel
culo da grassone
che ti ritrovi e aprimi questa maledetta porta.››
Non
udì nessuna
risposta; solo dei suoi sconnessi e poco chiari, dopodiché,
la porta venne
aperta da un Bill completamente diverso dal solito: portava un vestito
nero
lucido di seta, una camicia bianco panna, il papillon rosso e i gemelli
che gli
regalò il nonno, prima di morire.
‹‹Accipicchiolina.››
scherzò Heidi, non appena vide il fratello in quelle
condizioni. Okay, non si
era dimenticato della serata e sì, aveva intenzione di
parteciparvi anche lui.
‹‹Allor
il Signor
musone ha deciso di unirsi a noi, anche questa sera. A cosa devo, di
grazia?››
Heidi lo cantilenò, facendo un inchino per prenderlo in
giro. Bill non sapeva
se rimanere impassibile, oppure sorridere. Decise di sorridere
– seppur
lievemente – Non aveva alcuna intenzione di ridere sul serio.
Assottigliò le
labbra a mala pena.
‹‹Peccato
che tutti
quei piercing e l’enorme tatuaggio sulla mano, stonino alla
grande.›› lo prese
in giro ancora una volta. Bill non sorrise.
‹‹Dimmi,
cosa vuoi?››
‹‹Si
da il caso che,
fino a prova contraria, questa è anche camera
mia.››
Entrò
senza indugiare,
spingendo il fratello, facendolo indietreggiare leggermente.
Posò l’asciugamani
sul letto e cominciò a privarsi del costume. Avrebbe dovuto
fare in fretta,
questa volta. Anche i suoi genitori, avrebbero dovuto farsi la doccia e
prepararsi
per il grande Gala. Un’ora, le sarebbe bastata.
‹‹Mi
spieghi perché hai
risposto in quel modo a nostro padre, Bill?››
Entrò
nella doccia,
legandosi i capelli in un alto codino per poi attorcigliarli in un
piccolo
chignon. Non li aveva bagnati, in vasca. Li avrebbe lavati in un
secondo
momento. Non aveva molto tempo.
Bill,
dal canto suo,
non aveva alcuna intenzione di parlare di quanto era successo; che poi,
parliamoci chiaro, cos’era successo veramente? Nulla.
‹‹Niente.››
‹‹Bill,
quello non è
‘niente’; quello è
‘molto’. Adesso voglio sapere che cosa ti
è successo.
Qualcosa con quel ragazzo?››
Bill
sbuffò. Non aveva
altra scelta. Doveva dirlo, almeno a lei. Le raccontò che,
dopo che lei aveva
deciso di allontanarsi con quel brasiliano, lui si era allenato per
altre due
ore, in attesa dell’arrivo di Tom; cosa che però,
non successe.
‹‹Mi
ha dato buca. È
stato un emerito coglione.››
Nel
mentre, Heidi aveva
finito ed uscì dal piatto doccia con
un’espressione allibita e sconcertata.
Bill pensò che gli stesse dando ragione.
‹‹Lo
so, lo so. Una
delusione immensa.››
Ma
non era affatto
così. Si portò una mano bagnata sul viso e,
contemporaneamente, scosse il capo.
‹‹Alle
volte sei così
idiota, fratello.›› gli lanciò addosso
l’asciugamani bagnato. ‹‹Ma se quel
povero ragazzo ha avuto un contrattempo?››
‹‹Senza
avvisarmi?››
Gli
lanciò addosso
anche l’altra asciugamani
‹‹Dio
santo, Bill. Tu
proprio non capisci. Ti stai facendo così tante seghe
mentali che, da un
momento all’altro, il tuo bel faccino pulito, si
riempirà di brufoletti;
proprio come gli adolescenti in piena esplosione
ormonale.››
Bill
la guardò
accigliato. Alzò gli occhi al cielo. Impiegò
quasi un minuto, prima di
realizzare cosa avesse detto Heidi e, una volta fatto,
scoppiò a ridere a
crepapelle con sua sorella a seguito.
‹‹Ahahah
è una cosa
orribile quella che hai detto. Mi sono immaginato un adolescente
impegnato col
‘fai da te’, pieno di
brufoli!››
Heidi
lo guardò
disgustata e, al contempo, divertita.
‹‹Fai
proprio schifo.››
Bill
non rispose,
rilanciò le asciugamani verso la sorella che, con ottimi
riflessi, li afferrò
senza problemi.
‹‹Credo
che tu debba
delle scuse a nostro padre, Bill. È davvero rimasto male per
il tuo
comportamento.›› proseguì poi lei,
cominciando ad asciugare il proprio corpo.
Lui
non rispose. Chinò
il capo ed annuì. Obiettivamente, aveva davvero esagerato.
Non aveva ancora
compreso il motivo per il quale si fosse comportato in quel modo
così
maleducato; davanti a un mare di gente, per di più.
‹‹Sì,
credo proprio che
io gli debba delle scuse..››
‹‹A
chi devi delle
scuse?››
Parli
del diavolo.
Gordon
entrò nel
preciso momento in cui Bill disse quella frase. Coincidenza? No. Gordon
era
rimasto per più di cinque minuti ad origliare la
conversazione fra i due
fratelli. L’ammise. Non era nei suoi modi mentire.
Bill,
inizialmente,
divenne paonazzo; non sapeva se dalla vergogna, o dalla rabbia. O forse
per
tutt’e due. Sta di fatto che, con un po’ di
rammarico ed imbarazzo, si avvicinò
al padre e l’abbracciò. Non era tipo da effusioni
simili, ma quando necessitavano,
lui era il primo a farle.
‹‹Mi
dispiace per
essermi comportato in quel modo, prima. Ero
arrabbiato.›› lo strinse ancora più
forte. Gordon non fiatò; sorrise e ricambiò un
genuino abbraccio.
‹‹Sta
tranquillo, Bill.
Ti capisco.››
Seppur
di malavoglia, si
distaccarono da quell’abbraccio paterno. Nonostante Gordon
non fosse il loro
padre biologico, sin da quando aveva otto anni, si era sempre preso
cura di lui
e di sua sorella. Lo aveva accompagnato a scuola, al parco, alla
partita di
Baseball della sua squadra del cuore, al cinema, ovunque. Per Gordon, era come se
fossero figli suoi. Li
aveva sempre trattati come tale. Non si sarebbe mai e poi mai permesso
di alzar
loro le mani, né tanto meno a Simone.
Dopo
che Jorg se n’era
andato, trascorsero più di due anni da soli. Simone si
faceva in quattro per
mantenere i propri figli, facendo anche due o tre lavori in un giorno.
Jorg,
il padre
biologico, aveva problemi con l’alcool e, spesso e
volentieri, tornava a casa
ubriaco. Gridava e beveva, beveva e gridava contemporaneamente. Contro
Simone,
contro il Bill – all’ora bambino – e
persino contro la piccola Heidi – aveva
appena due anni – Quel giorno però, Jorg
superò ogni limite, costandogli ciò
che accadde in seguito.
*
Erano
le due e mezza di notte e Jorg, era tornato più ubriaco del
solito;
Simone sentiva il fetore dell’alcool da un metro di distanza.
Piangeva. Perché
piangeva?
Bill
era seduto sulle scale, rannicchiato vicino un’asta del
corrimani. La
teneva stretta, come per proteggersi da quell’uomo cattivo.
Perché quell’uomo,
non era suo papà. Lui non gridava così forte
contro la mamma; lui non la
picchiava sul viso; lui non le tirava i capelli; lui non la chiamava..
com’era
quella brutta parola? Puttana, o lurida puttana? Non si ricordava.
Sul
suo piccolo e paffuto viso, cominciarono a scendere le prime
lacrimucce. Eppure sua mamma, l’aveva avvertito di restare a
letto. Cosa gli
aveva detto?
‘Resta
qui, amore. Resta qui con tua sorella. Continuate a fare la
nanna.’
‘Perché
sta gridando, mamma? Perché papà sta gridando
così forte? E perché
tu stai piangendo?’
Simone
sospirò amareggiata. Diede un bacio sulla fronte del figlio,
dicendogli di volergli bene. Fece così anche con la figlia
più piccola, Heidi.
Lei dormiva beatamente, per fortuna.
‘Mamma?’
‘Cosa
c’è amore?’
‘Papà
è arrabbiato con noi?’
Simone
sorrise tristemente. Lacrime amare cominciarono a scorrerle lungo il
viso. Doveva fare qualcosa. Non poteva continuare quella vita, non ora
che
c’era anche una bambina piccola.
‘No
tesoro, sta tranquillo. Va tutto bene.’
Senza
aggiungere altro, Simone uscì dalla camera dei propri figli,
chiudendosi la porta alle spalle. Bill cominciò ad udire
lamenti, grida. Perché
mamma e papà si stavano arrabbiando così forte?
Disubbidendo
a Simone, Bill si alzò dal letto e aprendo la porta senza
farla cigolare troppo, si andò a rifugiare sui gradini delle
scale in
un’altezza tale, da non poter essere scoperto. O almeno
così credeva.
Stava
assistendo ad un brutto litigio fra i genitori. Vedere il
papà
gridare in quel modo contro la sua mamma, non era affatto bello da
vedere. La
mamma piangeva e il papà gridava ancora di più.
Poi
però, oltre alle grida, Jorg fece partire un forte schiaffo,
che si
andò a schiantare contro il delicato e umido viso di Simone,
facendola cadere
in terra.
Bill
gridò. La sua copertura era saltata.
Simone,
non appena udì le urla del bambino, si girò di
scatto verso le
scale.
‘Sei
un piccolo spione. Ce ne sono anche per te.’
La
cintura in cuoio, era già slacciata; gli ci volle un attimo
per
attorcigliarla nella mano destra. Simone aveva visto bene? Voleva
davvero
picchiare suo figlio in quel modo? No. Non poteva permetterglielo.
Poteva
alzarle le mani quando e come voleva,
ma
non doveva assolutamente azzardarsi a picchiare i bambini.
Simone
vide il terrore negli occhi di Bill.
‘Mamma!
Mamma!’
‘Zitto,
moccioso!’
Simone
reagì d’impulso; vedendo tutto completamente buio.
Afferrò il primo
oggetto utile, vicino a lei: un attizzatoio per il camino. Le
bastò un secco e
forte colpo alla testa, per farlo cadere a terra, senza che si
rialzasse più.
Gettò
il corpo contundente, provocandone un tintinnio fastidiosissimo; le
sembrò che rimbombasse per tutto il salone. Aveva la testa
che le doleva,
vedeva sfuocato ed appannato; ma l’unica cosa che le
importava in quel momento,
era come stesse Bill.
Il
bambino era rannicchiato su se stesso ed abbracciava l’asta
del
corrimani, come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Aveva gli
occhietti
serrati e il faccino contro la superficie in legno.
‘Mamma..
papà mi faceva paura!’
Simone
si affrettò a prendere il bambino in braccio per portarlo al
piano
di sopra, prima che vedesse la scena. Non l’avrebbe mai e poi
mai fatto
scoprire.. né a lui, né alla piccola
Heidi. Nessuno sarebbe venuto a conoscenza di quanto accaduto quella
notte.
‘Tranquillo,
amore. Papà adesso non ti farà più
paura!’
Gli
sussurrò all’orecchio, mentre lo riportava a
letto.
‘Adesso
dormi.. domattina avremo un sacco di cose da fare..’
‘Cosa,
mamma?’
Gli
accarezzò la piccola fronte sudata.
‘Ce
ne andiamo dalla nonna a Berlino per un po’. Che ne
dici?’
Bill
non rispose, annuì compulsivamente. Gli piaceva tanto stare
dalla
nonna. Gli preparava sempre i biscotti alla cannella che a lui
piacevano da
matti.
‘Domattina
andremo dalla nonna, amore. Vi prometto che non vi farò mai
mancare nulla.. mai!’ disse più a se stessa, che
al figlio. E così fu davvero.
La
sua vita era migliorata, da quando Jorg era.. era andato via - come
aveva detto ai figli – solo alla polizia aveva raccontato la
verità. Legittima
difesa, l’avevano dichiarata. Ed era davvero così
– più o meno –
Perché
più o meno? Beh, Simone l’avrebbe fatto
ugualmente, prima o poi.
Doveva solo aspettare il momento giusto.. e Dio, quella notte, quella
santa
notte, glielo aveva concesso; le avevo donato una via
d’uscita; una seconda
possibilità.
******
Avviso:
buon pomeriggio gente.. ed eccovi qui, come promesso l'ottavo capitolo,
postato, prima della mia partenza (il sei luglio) che dire, sono molto
felice di partire ma, al contempo, un po' giù di morale.. in
quanto io debba lasciare il mio ragazzo per una settimana ): ma
sorvoliamo.. spero che, con questa nuova mia esperienza, possa
arricchire qeusta Fan Fiction (anche se già, tecnicamente,
una fine già ce l'ha). Il capitolo nove è
già in fase di scrittura e mi auguro che, prima del sei,
possa scriverne già una buona porta, dimodoché al
mio ritorno, possa postarlo senza farvi aspettare ancora (: Ad ogni
modo, chiudo la parentesi e mi auguro che questo capitolo vi sia
piaciuto. BUONE VACANZE A TUTTE. RITORNERO' FRA UNA SETTIMANA.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
-
Capitolo 9 -
Tutti
erano pronti per recarsi a teatro: il comandante avrebbe fatto il suo
discorso
di benvenuto.
Quando
attraccarono a Bari, quella stessa mattina, erano saliti a bordo altri
passeggeri; quella era l’ultima tappa di imbarco, prima di
intraprendere il
vero e proprio viaggio.
Il
teatro era ancor più pieno rispetto alla sera precendete.
Possibile
che tutti vogliano vedere il comandante che
parla?
Disse
Bill fra sé e sé. Fortunatamente però,
riuscirono a trovare dei posti
abbastanza vicini al palco, dimodoché avrebbero avuto una
buona visuale per
tutta la durata dello spettacolo.
Una
volta accomodati ai
propri posti, attesero all’incirca una decina di minuti,
prima che le luci si
spegnessero e il sipario di velluto blu, si aprisse.
Subito
si levò un gran
numero di applausi e, diverse persone, si alzarono addirittura in
piedi. Erano
elegantissimi tutti. Bill, suo malgrado, tentava invano di trovare Tom
ma,
ovviamente, senza riscuotere successo. C’era troppo gente, e
lui era troppo
avanti per scrutare le persone che c’era dietro, agli ultimi
posti. Il teatro
era davvero troppo grande. Immenso, avrebbe giunto.
Quando
gli applausi
cessarono, il comandante fece un inchino, ringraziando tutti.
Ovviamente, era
italiano e, giustamente, il discorso lo esibì nella propria
lingua madre.
Dietro
però, c’erano
quattro maxischermi; ognuno dei quali conteneva il medesimo discorso in
lingue
diverse, in quest’ordine: inglese, tedesco, francese e
spagnolo.
Bill
sapeva benissimo
che, quel dannato discorso – comprensivo di spettacolo
– sarebbe durato
un’eternità, e lui aveva già fame.
Molta fame.
Dopo
il susseguirsi di
applausi pre-discorso, il comandante, cominciò a parlare:
‹‹Cari
viaggiatori,
benvenuti a bordo della nostra MSC
Preziosa.. Era il 1675, quando la famiglia Aponte scrisse il
primo capitolo
della nostra storia di navigatori. D’allora,
nell’arco di oltre 300 anni, la
nostra esperienza è cresciuta, così come la
nostra flotta. Oggi siamo
orgogliosi di giudicare la più grande compagnia di crociere
a capitale privato,
al mondo.
Navighiamo
ben oltre il
Mediterraneo, ma portiamo ovunque il suo spirito, sentendolo uno stile
di vita
che ispira ogni nostro piccolo gesto.
Il
calore
dell’accoglienza è la prima piacevole scoperta che
vi attende a bordo e che fa
di voi, prima degli ospiti, e poi dei viaggiatori: mai semplici
passeggieri.
Un’altra
scoperta, è la
miriade di attività ed esperienze che abbiamo pensato per le
famiglie, le
coppie e i gruppi di amici, perché ognuno possa scegliere
tra il fare, o un
dolce far niente…››
Bill
sorrise a quelle
parole. Senza dubbio, lui si trovava nella prima fascia. Non era uno
scansafatiche. Era così dinamico che, persino sulla neve, si
sarebbe allenato.
‹‹..Crediamo
nel valore
dell’autenticità, che esprimiamo nei modi caldi e
spontanei del nostro
personale, incoraggiandone lo spirito d’iniziativa, convinto
che un tocco di
umanità avvicini e valga più della rigida
osservanza di un regolamento.
Naturalmente,
siamo
fieri ambasciatori della cucina mediterranea, apprezzata in tutto il
mondo e
cuore della nostra cultura. Nella ricerca degli ingredienti
più freschi e,
nella preparazione dei piatti più saporiti,
c’è tutta la sapienza dei nostri
migliori chef.
Ma
soprattutto però,
desideriamo regalarvi il massimo del relax e del comfort. Riempire la
vostra
crociera di attimi che rendono la vita speciale, farveli assaporare uno
ad uno,
convinti, che la vita andrebbe misurata in momenti, e non in minuti.
Se
il tempo di una
vacanza fosse solo un succedersi di minuti, ore e giorni, non ci
sarebbero
ricordi. Perché un vero ricordo, è fatto di
momenti. Il momento più prezioso di
stare con chi, per voi, conta più di chiunque
altro...››
A
Bill salì un
formicolio allo stomaco. Seppure noioso – noiosissimo,
avrebbe osato dire – il
discorso del comandate, era davvero toccante e, soprattutto, veritiero.
Lui
stava vivendo
quella vacanza come un susseguirsi di secondi, minuti, ore; contava il
tempo
come faceva quotidianamente: programmava le cose che, così
come nella vita di
tutti i giorni, riempivano le sue giornate.
Ma
era vita, quella?
Non
aveva mai fatto una
vacanza così. Aveva viaggiato molto, certo, ma solo semplici
week-end con gli
amici. Niente di più. Questa, invece, era la prima vera
vacanza che faceva con
la propria famiglia. E lui cosa stava facendo? La stava vivendo
malissimo.
Che
ricordi avrebbe
avuto, se avesse continuato in quel modo? Nessuno.
Si
sentì un vero e
proprio stronzo. Giurò di aver sentito scivolare
giù per la sua guancia, una
piccola lacrima. L’asciugò prima che qualcuno se
ne accorgesse e tornò a
prestare attenzione al discorso del comandante: magicamente
trasformatosi nel
discorso più interessante a cui avesse mai assistito.
‹‹..di
riscoprirsi. Di
lasciarsi il mondo alle spalle e, almeno per qualche giorno,
dimenticarsi dei
problemi che, purtroppo, incombono nelle vostre e nelle nostre vite.
Questo è
il nostro dovere: rendervi felici; dimodoché voi, possiate
lasciarvi il mondo
‘reale’ alle spalle, dedicandovi così, a
ciò che veramente conta nella vita.››
Il
discorso era finito.
Tutti quanti si alzarono in piedi ed applaudirono forte. Anche Bill
applaudì,
alzandosi successivamente in piedi. Lo aveva toccato. Quel cazzo di
vecchietto,
l’aveva seriamente colpito.
*
‹‹Non
ho proprio visto
il tuo amico Tom, a teatro.››
‹‹Non
mi interessa. Mi
ha dato buca in palestra.››
Heidi
sbuffò. Possibile
che il fratello fosse così duro di comprendonio, alle volte.
Decise che non ne
sarebbe valsa la pena, tornare nuovamente sul discorso, quindi
preferì tacere.
D’altro
canto, Bill,
non si dava pace. Continuava a muovere il suo collo, come uno struzzo,
in cerca
della folta e strana chioma di Tom. Non era ancora arrivato al tavolo,
pensò.
Nel
frattempo, il
cameriere porse loro il menù, dandogli il tempo di fare la
propria scelta.
Bill, ovviamente, si mantenne sempre sul leggero. Durante la serata di
Gala, il
menù era completamente diverso: più raffinato,
delicato e più elegante; anche
nella stessa presentazione del titolo del piatto.
Qualche
minuto dopo,
Putu, tornò al tavolo dei Kaulitz e prese le ordinazioni.
*
Bill
tossì: Heidi gli
aveva dato un calcio negli stinchi. Stava ad indicare solo una cosa:
aveva
visto qualcosa/qualcuno.
‹‹La
devi smettere di
tirarmi i calcio sotto al tavolo.››
sibilò lui, massaggiandosi la parte appena
colpita. Heidi rise sotto i baffi e gli fece cenno con il capo. Gli
indicò la
sua destra: Tom era lì. Non si era accorto di lui, per
fortuna. Era assieme ai
suoi amici, forse. Non riusciva a riconoscere nessuno, a parte lui.
Bill
rimase leggermente
imbambolato ma, per sua fortuna, rinvenne rapidamente prima che facesse
una
pessima figura così come la sera precedente.
‹‹Non
ho mai visto
qualcuno di così bello. Giuro Bill, che se non ci fai
qualcosa tu..›› non
proseguì la frase. Bill la interruppe con un sono
‘sta zitta’.
*
Non
appena finirono di
cenare, prima che arrivassero al dolce, Bill defilò. Aveva
un netto bisogno di
fumare. Seppure avesse ventiquattro anni, ai suoi genitori, dava un
fastidio
assurdo vedere il proprio figlio ammazzarsi in quella maniera; quindi,
doveva
trovare il luogo e il momento giusto per poter fumare.
Diede
una veloce
occhiata al tavolo di Tom. Lui non c’era.
Scese
al suo piano,
andò in cabina e prese il pacchetto di sigarette che aveva
riposto in uno dei
tanti tiretti della scrivania. La camera era ancora un po’
troppo disordinata.
Molto probabilmente, non erano passati a pulirla. Prese il pacchetto,
la sua
scheda ed uscì dalla stanza.
Non
appena mise piede
fuori, si voltò verso sinistra. Guardò il
corridoio lunghissimo. Si ricordò di
quando Tom lo fece quasi cadere per terra. Sorrise a quel pensiero. Per
un
attimo poi, pensò di trovare il coraggio per andare a
bussare a tutte le cabine,
ma poi lo cacciò qualche secondo dopo. Si voltò
dall’altra parte, dirigendosi
verso gli ascensori.
Camminava
a passo
piuttosto svelto. Erano le 22:30. Doveva ancora cambiarsi; non poteva
mica
andare conciato in quella maniera, in discoteca. I suoi passi,
rimbombavano
sordi sulla moquette. Aumentò ancora di più il
passo, quasi come se volesse
correre.
Una
volta giunto agli
ascensori, premette tutti i sei bottoni, in attesa che qualcuno
arrivasse. Dopo
una manciata di minuti, arrivò quello centrale. Stranamente
era completamente
vuoto. Si precipitò all’interno di esso e premette
il pulsante del Deck 7.
Lì
su quel piano, c’erano
le scialuppe di salvataggio e una bella vista. Sarebbe stato il posto
migliore
per fumare una sigaretta, invece del solito balcone della sua camera.
Deck
Seven
Una
voce metallica e
alquanto fastidiosa, annunciò l’arrivo
dell’ascensore, al piano desiderato. Le
porte si aprirono. Lui uscì con il capo chino e con passo
piuttosto sostenuto.
Il
ponte del settimo
piano era praticamente alla sua sinistra. Si avvicinò ad una
grande porta di
legno e lesse: push. Spinse e si
ritrovò fuori. Non c’era praticamente nessuno. Si
sentiva soltanto lo
scrosciare delle onde sulle pareti di ferro della nave. C’era
una pace assurda.
Aveva appena trovato il suo posto preferito.
Delle
luci non troppo
forti, illuminavano tutto il ponte. Il pavimento era rivestito da una
fattispecie di gomma che, per via dell’umido della notte, era
abbastanza
scivoloso, difatti Bill, prese qualche scivolone. Fortunatamente non lo
vide
nessuno.
Si
avvicinò alla poppa.
C’era molto vento e, per di più, era vento freddo.
Si spostò in un angolo e
cercò di accendersi la sigaretta. Riuscì in
più o meno tre tentativi.
Inspirò
a pieni
polmoni, dopodiché lo buttò fuori dal naso. Aveva
i gomiti poggiati sulla
ringhiera, lo sguardo perso nell’immensità del
mare completamente nero. Era alquanto
agitato però; ma era uno spettacolo che non si vedeva tutti
i giorni.
Finì
la sigaretta in
fretta. Doveva rientrare. Avrebbe dovuto cambiarsi per poi andare in
discoteca.
Chissà
se ci sarà.
Pensò
poi fra sé e sé.
Gettò il mozzicone in mare e, con le mani in tasca, si
diresse verso l’entrata
del piano sette.
Mentre
percorreva il
tragitto però, sentì degli accordi di chitarra.
Una chitarra classica. La
canzone la conosceva. Eccome se la conosceva. La melodia era inconfondibile. Poi
però, delle
parole:
Big wheels keep on turning
Carry me home to see my kin
Singing songs about the Southland
I miss Alabama once again
Sweet home Alabama?
Pensò Bill. Era
una delle sue
canzoni preferite. Seppure di qualche decennio fa. Si diresse verso il
suono
della chitarra. Era poco distante da lui. Percosse qualche altro metro,
dopodiché, raggiunse il suono. Un ragazzo seduto a terra,
con le gambe
incrociate, stava suonando e cantando nello stesso momento. Non si era
accorto
della presenza di Bill.
Dal
canto suo, invece,
ebbe un tuffo al cuore, non appena si rese conto che, quel ragazzo che
stava
pizzicando la chitarra con una grazia immensa, era proprio Tom.
‹‹Tom?››
Gli uscì
spontaneo. Il rasta, sicuramente spaventato, sobbalzò e
stonò qualche nota. Chi
diavolo poteva esserci a quell’ora, sul ponte?
‹‹Bill?››
Entrambe
i ragazzi
rimasero senza parole per qualche secondo. Restarono a guardarsi come
degli
stoccafissi, senza sapere cosa fare.
‹‹Che
caz— che diavolo
ci fai qui?›› chiese Bill, restando in piedi.
Tom, invece, rimase seduto con le
gambe incrociate e con la chitarra in grembo. Scrollò le
spalle.
‹‹Vengo
qui ogni sera,
prima di andare a ballare. È un posto magnifico. Non
c’è nessuno a quest’ora.
Vengo a suonare la mia bambina.››
Bill
alzò un
sopracciglio, leggermente sconcertato dal fatto che avesse identificato
una
semplice chitarra con il nome ‘bambina’.
‹‹Ehm..
non pensavo
suonassi.›› proseguì poi Bill,
avvicinandosi un po’ di più a Tom, scrutando nei
minimi dettagli la sua chitarra: era piuttosto consumata e segnata dai
segni
del tempo. No ne capiva molto di chitarre ma quella, senza dubbio,
doveva
essere una Gibson.
‹‹Suono
sei strumenti:
pianoforte, violino, violoncello, batteria, contrabbasso e chitarra.
Ovviamente
non potevo portami il pianoforte appresso. Ho optato per la
chitarra.›› rise,
riprendendo a pizzicare qualche nota a caso.
Bill
rimase sbigottito.
Non avrebbe mai pensato che Tom potesse suonare tutti quegli strumenti.
Lui a
stento sapeva suonare il pianoforte e cantare.
‹‹Io
so suonare solo il
pianoforte. Ma non suono da quando avevo quindici anni. Ho un
bellissimo
pianoforte a coda, a casa mia, ma non lo tocco mai. Solo mia sorella lo
suona.››
‹‹Perché?››
‹‹Preferisco
non
parlarne.››
Tom
alzò le mani al
cielo, e si scusò per essere apparso invadente. Bill disse
di non preoccuparsi.
Non poteva saperlo.
‹‹Sai
cantare?›› chiese
poi Tom, quasi come l’avesse letto nel pensiero. Bill,
inizialmente, tentennò
un po’. Poi però, rispose affermativamente. Tom
sorrise e gli fece segno di
sedersi accanto a lui.
‹‹Vieni
qui accanto a
me. Canta qualcosa. Io sono praticamente stonato come una
campana.››
Rise
Tom, facendo un
po’ di spazio a Bill – sebbene ci fosse
un’immensità di posto libero –
Inizialmente,
Bill, fu
restio. Doveva ancora cambiarsi d’abito. Poi però,
rifletté. Cosa andava a fare
in discoteca se Tom era lì con lui? Sfoggiò un
bellissimo sorriso e si accomodò
accanto a lui, incrociando le gambe e infischiandosene del suo abito di
Giorgio
Armani da quasi 2000 euro. Non era mica sporco a terra.
Tom,
invece, indossava
i suoi classici jeans larghi con le Airforce, con la sola differenza
che,
questa volta, indossava una camicia celeste, la giacca blu scuro e un
papillon
color oro. Non era l’abbinamento perfetto che avrebbe fatto
Bill ma, c’era da
dire che, a Tom, donava parecchio.
‹‹Cosa
vuoi che suoi?
Ho una vasta gamma di spartiti.›› Bill si
grattò il capo e, alzando gli occhi
al cielo per qualche istante, gli venne in mente una canzone bellissima.
‹‹Conosci
i Guns
N’Roses?››
Tom
strabuzzò gli
occhi. Ovvio che li conosceva.
‹‹Io
adoro Sweet child o mine. Sai
suonarla?››
Tom non rispose. Lo guardò e sorrise.
Acustica, quella canzone, sarebbe stata stupenda.
Partirono
le prime note,
e a Bill venne già la pelle d’oca. Attese che
tutta l’introduzione venisse
suonata, dopodiché cominciò a cantare.
She's got a smile that it
seems to me
Reminds me of childhood memories
Where everything
Was as fresh as the bright blue sky
Now and then when I see his face
She takes me away to that
special place
And if I stared too long
I'd probably break down and cry
Sweet child o' mine
Sweet love of mine
Aveva
una voce molto
più delicata e meno graffiante di Axl Rose, pensò
Tom che, nell’ascoltarlo cantare,
restò basito.
‹‹Hai
mai pensato di
cantare in modo professionale?››
scherzò poi Tom, smettendo di suonare. Bill
scrollò le spalle. No. Non ci aveva mai pensato. Era solo un
dono che la natura
gli aveva offerto; ma non aveva mai pensato di sfruttarlo. Cantava solo
sotto
la doccia, o ai cori di Natale in Chiesa.
‹‹Sei
bravissimo.››
‹‹Grazie
mille.›› rispose
freddamente lui. Era ancora in un
certo senso arrabbiato per il bidone di quel pomeriggio.
‹‹Potevi anche
avvisarmi che non saresti venuto in palestra. Ti ho aspettato per due
ore.››
cominciò poi, senza pensarci due volte. Tom, dal canto suo,
chinò il capo e
fece un sorriso malinconico.
‹‹Ho
avuto un
imprevisto. Niente di particolare, ma questo non mi ha permesso di
venire da
te. Mi dispiace molto.››
C’era del
dispiacere nel tono in cui disse quella frase; Bill se ne rese conto
immediatamente. Si sentì leggermente in colpa per tutti gli
insulti che, quel
pomeriggio, gli aveva detto. Eppure Heidi l’aveva avvertito.
Per quale motivo
l’avrebbe bidonato senza alcun motivo?
‹‹Oh,
mi spiace. Per
qualsiasi cosa sia successa.››
‹‹Tranquillo,
immagino
quante tu me ne abbia dette. Anche io ti avrei cosparso di insulti, se
mi
avessi bidonato senza nemmeno avvisare. Non sapevo nemmeno il numero
della tua
cabina per poterti chiamare.››
Idiota.
Sono un fottuto idiota del cazzo.
‹‹Già,
ed io non so
nemmeno la tua. Siamo sullo stesso piano e nello stesso corridoio, e
non
sappiamo nemmeno il numero delle rispettive
cabine.››
Tom
sorrise e si mise
in piedi, facendo leva sulle ginocchia. Bill si aiutò con la
ringhiera.
‹‹10483››
Disse Bill a
brucia pelo.
‹‹10511›› continuò Tom.
‹‹Adesso
so dove
chiamare alle sei di mattina. Ahahah!››
‹‹Provaci
e vedrai cosa
ti succede.›› rise Tom.
Ovviamente,
tra i due,
calò il classico silenzio imbarazzante. Restarono a
guardarsi negli occhi per
una manciata di secondi.
Cosa
vuoi da me, Tom? Cosa stai cercando di dirmi? Parlami.
Bill
avrebbe tanto
voluto che Tom gli dicesse qualcosa ma, sfortunatamente, non fiatava.
Comunicava solo attraverso uno sguardo non molto chiaro. Gli confondeva
a dir
poco le idee.
E
se stessi fraintendendo tutto? E se mi fossi sbagliato sin
dall’inizio?
Bill
doveva saperlo.
Doveva capire cosa diamine gli passasse per la testa.
‹‹Ehm..
Tom?››
‹‹Dimmi,
Bill.››
‹‹…››
‹‹Cosa?››
‹‹Ehm…››
Coraggio
Bill. Parla. Fa uscire qualcosa dalla bocca.
In
quel momento il suo
cuore stava battendo così forte tanto da temere che, da un
momento all’altro,
sarebbe fuoriuscito dal suo torace. Si portò una mano sul
petto, per cercare di
frenare – almeno un po’ – il povero
organo che sembrava non prender pace. Le
mani gli tremavano leggermente. La voce era strozzata.
Ma
cosa cazzo mi è preso? Non sono un ragazzino. Per Dio, Bill,
smettila.
Ora.
‹‹Bill,
cosa vuoi
dirmi?››
Tom
si avvicinò pian
piano, accorciando sempre di più la distanza. Bill avrebbe
tanto voluto
scappare ma, aimè, le gambe erano talmente molli da non
riuscire nemmeno a
muoverle di un solo millimetro. Fermo, immobile come un
baccalà.
Intano
Tom si avvicinava
sempre di più al suo viso. Bill temette di svenirgli davanti
agli occhi.
Cosa
fai? Sei troppo vicino. Troppo. Troppo. Allontanati adesso. Fallo.
Fallo ora.
‹‹T-Tom?››
La
distanza era ormai
quasi del tutto azzerata. Bill non aveva più scampo. Era
stato messo
all’angolo. Doveva aspettarsi il colpo di grazia, adesso.
Sicuramente, quel
colpo, sarebbe stato il doppio più forte di un qualsiasi
destro sferratogli dal
più forte pugile di tutta la Germania. E lui, ne aveva avuti
diversi.
‹‹Bill..››
sussurrò poi
Tom, ad un centimetro dalla sua labbra. Bill riuscì a
percepire il calore del
suo respiro, l’essenza della sigaretta alla vaniglia appena
fumata. Ebbe un
fremito al cuore; un tuffo allo stomaco.
‹‹Sei
la persona più
bella che abbia mai conosciuto.››
un
altro sospiro. Bill fece fatica a deglutire. Le sue labbra erano
praticamente
ad un centimetro di distanza da quelle di Tom. Erano secche. Se le
inumidì,
leccandole leggermente.
Bacialo,
Bill. Bacialo adesso.
Una
fastidiosa vocina
cominciò a tartassare la povera e vuota testa di Bill.
Bacialo.
Bacialo. Bacialo.
Cominciò
a farsi sempre
più costante. Sempre più persistente.
Bacialo.
Bacialo. Bacialo.
Sì,
stava per farlo sul
serio. Stava per baciarlo. Ma.. improvvisamente, Tom si
allontanò dalle labbra
del ragazzo biondo, lasciandolo basito. Sorrise e scosse il capo:
‹‹Sai
Bill..››
cominciò; riprendendo la sua chitarra, mettendola sotto
l’ascella. ‹‹Alle
volte, è molto più bello il momento prima del
bacio…›› chinò il capo,
guardandosi la punta delle sue Airforce.
‹‹..quando
riesci a
sentire i respiri che si intersecano, il profumo che inebria le narici,
il
suono dei sospiri che ti rimbomba nella
testa…›› fece una breve pausa.
‹‹..che
il bacio in sé. Il bacio è solo un attimo;
ciò che viene prima, invece, dura
un’infinità di tempo, se lo si
vuole.›› si avvicinò nuovamente a
Bill,
accarezzandogli con il dorso della mano, una guancia. Era leggermente
ruvida, a
causa della barba che non faceva da qualche giorno.
‹‹Ciò
non toglie il
fatto però, che io voglia baciarti.››
dalla guancia, passò al mento:
l’afferrò
con il pollice e l’indice. ‹‹Ci vediamo
più tardi, Bill.››
Non
disse nient’altro.
Andò via.
Bill,
dal canto suo,
rimase pietrificato. Gli occhi sbarrati, come se avesse appena visto un
fantasma. Le gambe molli e tremolanti. Il cuore completamente fermo. Lo
stomaco
in subbuglio.
Adesso
sapeva per certo, quali erano le intenzioni
di Tom. Le aveva capite eccome
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo X ***
-
Capitolo 10 -
Non
appena tornò in
camera, vide Heidi spaparanzata sul letto dei propri genitori, intenta
a fare
zapping fra i canali. Aveva il pigiama: ciò stava a
significare soltanto una
cosa: non sarebbe uscita dalla cabina, quella sera.
‹‹Non
sai cosa mi è
appena capitato, Heidi.›› disse lui, ancora
incredulo. Heidi, apparentemente,
non sembrava molto entusiasta. Era come se qualcosa non andasse.
Difatti Bill, glielo
domandò subito.
‹‹Nulla,
Bill. Non mi
sento molto bene. Ho mal di stomaco. Ho già rimesso due
volte. Mamma e Papà
sono andati in farmacia a prendermi qualcosa per lo
stomaco.››
Ora
che ci faceva caso,
Heidi aveva effettivamente un colorito piuttosto giallognolo. Non era
il
classico roseo che aveva di solito. Era pallida. Si vedeva lontano un
miglio
che non stava bene.
‹‹Credo
sia stato il
soufflé alla banana di questa mattina. Ne ho mangiato mezzo
chilo. Forse anche
di più.›› rifletté lei.
Bill alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
‹‹Da
quando siamo
saliti qui sopra, avrai mangiato quanto mangio io in una settimana, mia
cara
sorellona. Il tuo girovita rischia di non essere più tanto
perfetto.››
Scherzò
Bill. Heidi,
dal canto suo, mugugnò qualcosa. Non voleva stare a sentire
la paternale anche
dal fratello maggiore. L’era bastata quella dei genitori.
‹‹Cosa
mi volevi
dire?›› disse poi, coprendosi con la trapunta,
fino alla testa. Bill tirò su un
sospiro, perdendosi nel suo mondo fatato. Cominciò a
spogliarsi. Fortunatamente
sapeva già cosa mettere.
‹‹Oh
beh, te lo dico
senza troppi giri di parole..›› fece un pausa
più o meno lunga, per creare un
po’ di suspense. Heidi, era sempre più curiosa,
sebbene fosse completamente
sotterrata dalle coperte. ‹‹Io e Tom ci siamo..
quasi baciati.››
Non
appena disse così,
quasi cadde a terra per l’euforia: magicamente Heidi, fece
lievitare le
coperte, lanciandole in aria. Lei, invece, nel giro di pochi millesimi
di
secondi, si ritrovò in piedi sul letto a saltellare come una
bambina piccola.
‹‹Omiodiomiodiomiodiomiodio››
cominciò a urlare, sempre continuando a sfondare il letto
con i piedi. Per poco
non urtava la testa. Bill cominciò a ridere ma, al contempo,
le disse di far
silenzio.
‹‹MA
COME POSSO STARE
ZITTA? SONO FELICE COME UNA PASQUA!!››
urlò ancora più forte e, facendo un
grande balzo, scese per terra e gettò le braccia attorno al
collo del fratello,
riempiendolo di tanti piccoli baci, un po’ dappertutto.
‹‹FELICEFELICEFELICEEEEEE!!››
‹‹Heidi-se-continui-a-stringere-soffoco››
balbettò Bill, cercando di riprender fiato, allentando la
presa ferrea della
sorella. Pareva star bene, adesso.
‹‹Devi
raccontarmi
assolutamente tutto quanto. Voglio sapere tutto.››
Si
sedette nuovamente
su letto. Incrociò le gambe e poggiò le mani sui
piedi scalzi, perfettamente
curati. Adorava i suoi piedini. Erano così piccoli ma, al
contempo, paffuti.
‹‹Adesso
devo
prepararmi. Ti racconterò tutto domattina. Tu non stavi
male?›› disse poi,
infilandosi una t-shirt nera con un disegno al centro. Heidi
poggiò una mano
sulla fronte per testare se avesse o meno la febbre. Era piuttosto
calda e,
dopo l’euforia momentanea, cominciò a sentirsi
nuovamente male. Lo stomaco era
completamente sottosopra e la testa le girava come non mai. No. Non
stava
affatto bene.
‹‹A
dir il vero… sto
ancora male.›› si portò una mano sullo
stomaco e, prima che aggiungesse altro,
scappò nel bagno, rimettendo ciò che era rimasto
nel suo stomaco.
*
Buttò
giù la pillola
tutta d’un sorso. Era amara peggio del veleno. Non che
l’avesse mai provato,
ovviamente; ma se avesse dovuto dare un sapore al veleno, di sicuro gli
avrebbe
attribuito quello della pillola. Faceva letteralmente schifo.
‹‹Dio
mio, che schifo.
Non ho mai ingurgitato nulla di più orribile in tutta la mia
vita.›› affermò
Heidi, poggiando il bicchiere vuoto sul comodino. Simone
l’era accanto,
accarezzandole la fronte.
‹‹Speriamo
ti rimetta
presto, amore. Adesso riposa tanto okay?›› disse
la madre, premurosa. Heidi
annuì e, senza batter ciglio, si mise distesa su un fianco e
chiuse gli occhi,
provando a dormire.
‹‹Tu
vai a ballare
invece, Bill?›› aggiunse poi Simone, rivolgendosi
al figlio.
‹‹Sì,
stavo uscendo
proprio adesso.›› si diede un’ultima
occhiata allo specchio e, una volta dato
un bacio ai genitori, uscì dalla propria cabina.
Una
volta chiusa la
porta alle proprie spalle, rimase qualche attimo a tergiversare. Non
sapeva se
andare nella cabina di Tom, oppure direttamente in discoteca.
Restò a
torturarsi le mani per un’altra manciata di minuti,
dopodiché, decise di andare
a bussare.
Camminò
in maniera
rapida e decisa. I suoi passi risuonavano muti sulla tappezzeria
bordeaux.
Aveva lo sguardo basso e le mani serrate.
Non
appena giunse davanti
la porta, venne assalito da un’improvvisa vampata di calore.
Il cuore cominciò
– come ogni volta – a pulsare il sangue al cervello
più velocemente del
normale.
Inghiottì
a fatica la
saliva e tentò di acquisire un po’ di coraggio.
Non aveva mai bussato alla sua
porta, prima di allora.
Alzò
il braccio destro
e strinse la mano in un pugno, non molto serrato. Continuava a fissare
la moquette
e a tartassarsi le labbra, inumidendosele con la lingua, continuamente.
Andiamo
Bill. Cosa ti costa bussare alla sua porta? Forza. Bussa. Codardo
che non sei altro. Bussa a quella cazzo di porta.
Provò
ad incoraggiarsi
da solo, insultandosi; ma quando decise di picchiare il pugno su quella
dannata
cabina, fu troppo tardi. La porta venne spalancata
all’improvviso.
Ad
aprire la porta, fu
quello grosso. Gustav? E, per via
dello spavento, imprecò notevolmente. Anche Bill lo fece.
‹‹Bill? What a fuck?›› sobbalzò,
facendo qualche passo indietro. Bill
volle solo sprofondare nella vergogna. Sì, aveva decisamente
aspettato troppo
tempo.
‹‹Cosa
ci fai qui?››
‹‹Ehm..››
cercò di
trovare una scusa plausibile per giustificarsi.
‹‹Stavo per bussare. Poi tu mi
hai battuto sul tempo, aprendomi.››
tentò si smorzare una risata, cercando di
essere quanto più convincente possibile. Gustav inizialmente
lo fissò come se
avesse qualche rotella fuori posto – ipotesi non del tutto
errata – ma poi rise
anche lui, invitandolo dentro.
Non
appena entrò, si
accorse immediatamente dell’odore che c’era. Era un
odore fin troppo
famigliare. Un misto di mela verde, anguria, cannella e..
sì, forse anche
cocco. Sorrise. Era proprio odore di Narghilè.
‹‹Stavamo
fumando il
Narghilè. Lo facciamo sempre, prima di andare in
discoteca.››
Continuò
Gustav,
facendogli strada fra le robe gettata un po’ qui e un
po’ lì. Vide Tom e
Andreas seduti in terra, con le gambe incrociate che si passavano la
pipetta.
C’era una cappa di vapore, sopra di loro.
‹‹Io,
Andreas e Tom,
adoriamo il Narghilè. Georg, invece, lo detesta. Infatti
è chiuso nel bagno.››
rise poi lui. Anche Bill provò a sorridere ma, ogni qual
volta sentiva
pronunciare quel nome, veniva trafitto da una miriade di spilli.
‹‹Ehi, ciao
Bill.›› disse Andreas. Tom
si voltò nella direzione in cui il ragazzo era rimasto in
piedi e,
ancora con la pipetta in bocca, sorrise, aspirando quanto
più forte poteva, il
vapore acqueo.
‹‹Vuoi
unirti a noi?››
disse Tom, porgendo a Bill la pipetta del Narghilè. Lui non
se lo fece ripetere
due volte. Si sedette accanto a lui e, prendendola in mano, fece un
lungo e
profondo respiro. Era alla mela verde. Il suo gusto preferito.
Trattenne il
fumo nei polmoni quanto più poté e, una volta
saziatosi di quel profumo così
forte e penetrante, lo fece uscire dal naso.
‹‹Erano
secoli che non
fumavo il Narghilè.››
‹‹Io
lo adoro. Mi
rilassa.››
‹‹Sì,
anche a me.››
*
Continuarono
così per
una decina di minuti. Bill non voleva affatto essere nei panni del
ragazzo
rinchiuso nel bagno.
‹‹Forse
non è il caso
di dire al vostro amico che abbiam finito di
fumare?›› Bill rise ma, in cuor
suo, volevo solo morire. E se lì dentro ci fosse stato quel Georg? Come avrebbe reagito lui? E
Bill? Cosa avrebbe fatto?
Per non parlare della reazione che avrebbero avuto gli altri se solo
Bill
avesse cominciato a sclerare contro di lui.
Tom
gli diede ragione.
‹‹È
rinchiuso lì dentro
da non so quanto tempo. Mezz’ora sicuro. Credo sia arrivato
il momento di
dargli la bella notizia.›› Tom si alzò
da terra e, con un po’ di goffaggine, si
diresse verso l’angusta porticina. Bussò un paio
di volte.
‹‹Georg?
Se sei ancora
vivo, ti do la bella notizia che puoi uscire da
qui!›› tutti risero forte. Bill
volle provarci, ma il suo cuore stava battendo talmente forte. Se non
si fosse
calmato, gli sarebbe venuto senz’altro un infarto.
Sentì
lo schioccare
della serratura. Lo stomaco fece una capriola e il cuore ebbe un tuffo.
Okay.
Sto per morire. È arrivata la mia ora. Sto per morire.
Quante
possibilità
aveva che, quel Georg, poteva
essere
assieme a Tom su quella nave?
…
Okay,
non erano molte.
Ma se la stava facendo addosso comunque.
La
porticina si aprì
con uno scatto alquanto violento. Lui stava sudando freddo.
Okay.
Okay. Okay. Affrontalo. Affronta le tue paure, Wilhelm Kaulitz.
Affrontale.
Provò
ad
autoconvincersi di essere forte psicologicamente, ma lui stesso sapeva
che, se
solo l’avesse visto, avrebbe avuto un crollo psicologico e
sarebbe stato in
grado di ammazzarlo seduta stante; a prescindere da chiunque e da
qualsiasi
cosa. Lui l’aveva tradito.
Il
presunto Georg Listing –
quello era il suo
cognome – uscì fuori soltanto una gamba e, quando
saltò il gradito con un
balzo, scoprendosi del tutto, Bill volle urlare. Di gioia
però.
Non
era lui. Non era il
Georg che conosceva lui. Era un ragazzo che nemmeno li somigliava
lontanamente.
Era bruno con gli occhi azzurri, non molto alto, carnagione alquanto
chiara –
ma un po’ abbronzata per via del sole – e
corporatura piuttosto snella ed asciutta.
No.
Non era affatto
lui.
Quasi
si mise a
piangere, vedendo quel ragazzo. Avrebbe voluto corrergli incontro e
abbracciarlo. Anche se non lo conosceva affatto. Avrebbe abbracciato
chiunque,
in quel momento. Si era tolto un peso immenso dal petto. Non si era
rovinato la
vacanza; anzi, stava prendendo davvero una bella piega. Tutto stava
filando
liscio come l’olio.
‹‹C’è
un fetore, qui
dentro. C’è tanto di quel vapore da parere un
bagno turco.›› tossì il ragazzo.
Tutti scoppiarono a ridere di gusto. Anche Bill lo fece e, finalmente,
non era
per camuffare l’ansia.
‹‹Ehi,
Georg. Non ti ho
ancora presentato il nostro amico, Bill. Bill, Georg. Georg,
Bill.››
Tom
fece le
presentazioni e i due ragazzi si strinsero cordialmente la mano.
*
Quando
salirono all’ultimo
piano, la musica era già alta e la pista quasi del tutto
piena. C’era un
bellissimo gioco di luci colorate. Un’atmosfera a dir poco
piacevole.
Il
gruppo di ragazzi,
una volta entrati in discoteca, si divise: Andreas e Gustav andarono al
bar,
Georg andò a caccia di qualche ragazza da portarsi in
cabina, e Tom e Bill
restarono assieme.
A
Bill parve una cosa fatta
un po’ di proposito. Sarà stato così?
Non l’avrebbe mai scoperto.
‹‹Vuoi
qualcosa da
bere, Bill?›› scosse il capo. Quella sera, non
aveva tanta voglia di bere.
Aveva solo voglia di baciare Tom.
Cosa?
Perché ho voglia di baciare Tom?
La
stessa sera, sul
ponte, quelle bellissime parole che gli aveva detto,
l’avevano lasciato
sconcertato. Tom non era per niente come appariva. Era una bravissima
persona.
Lui sapeva riconoscere le brave persone. Sì, okay,
all’inizio gli aveva dato
l’impressione di un Dongiovanni con l’aria di chi
diceva: io ce l’ho profumata. Ma
poi, frequentandolo un po’, aveva capito
che non era affatto così.
Erano
seduti entrambi
sulle poltroncine viola. Bill aveva le gambe incrociate e le mani
poggiate sul
ginocchio destro e guardava fisso la pista. Di tanto in tanto muoveva
la testa
a ritmo di musica o faceva fluttuare il piede che aveva a penzoloni;
Tom,
invece, non smetteva nemmeno per un secondo, di fissare il ragazzo che
aveva
alla sua destra. Per fortuna Bill non riusciva a vederlo, in quanto gli
dava le
spalle.
Avrebbe
voluto tanto
baciarlo, sul ponte sette. Era il momento perfetto. Perché
non l’aveva fatto
poi? A sì, stava pensando a fare il poeta della situazione.
Quando mai l’era
stato?
Ogni
tanto, tendeva
verso di lui la mano destra, come per toccarlo ma, immediatamente, la
ritraeva.
Come se Bill scottasse. Doveva trovare assolutamente una soluzione. Non
poteva
andare avanti così. Oramai il ghiaccio lo aveva.. non rotto,
ma crepato, in un
certo senso. Restava solo da fare la mossa finale: abbatterlo del
tutto. Ci
sarebbe riuscito entro quella sera? Forse sì. Doveva solo
trovare un po’ di
coraggio e soprattutto, il momento giusto.
*
Restarono
seduti per
almeno una ventina di minuti, senza rivolgersi la parola. Bill aveva
timore a
voltarsi. Di sicuro, se l’avesse fatto, sarebbe diventato
paonazzo, quasi da
confondersi con il viola delle poltrone. D’altro canto
però, avrebbe tanto
voluto farlo, anche solo per vedere quale fosse l’espressione
di Tom.
‹‹Bill?››
provò a
chiamarlo Tom ma la musica era un po’ troppo alta, per far
sì che Bill lo
sentisse. Provò a chiamarlo di nuovo, questa volta
però, toccandogli leggermente
la spalla. Si girò di scatto.
Non
rispose nemmeno.
Porse immediatamente l’orecchio vicino le labbra del ragazzo
moro. Per qualche
attimo, sentì solo dei sospiri che gli fecero accapponare la
pelle. Venne
percorso da una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale. Fu
costretto a
socchiudere gli occhi e a serrare le labbra, per evitare che uscissero
degli
ansiti.
‹‹Se-Sei—››
balbettò.
Aveva la gola secca. Eppure non sentiva la sete.
‹‹Sei bellissimo. Te l’ho
già
detto, vero?››
Bill
sorrise, senza che
Tom se ne accorgesse. Si morse le labbra. Ora si, che aveva davvero
voglia di
baciarlo.
‹‹Ti
va di ballare con
me?››
Questa
volta fu Bill a
proporre di ballare. Tom, ovviamente, non esitò neppure un
secondo. Si alzò
come una molla dalla poltrona e porse a Bill la mano, invitandolo ad
afferrarla.
Lui
la prese, senza
fregarsene di cosa la gente avrebbe potuto pensare. Non se ne faceva
più un
problema. Si accettava così com’era.
La
strinse così forte
che, d’un tratto, ebbe paura di fargli del male. Tom
però, strinse a sua volta.
Gli provocava una sensazione di protezione, farsi stringere la mano.
Gli
piaceva così tanto. Anche Georg lo faceva.. già..
Georg. Chissà che fine aveva
fatto. Non l’aveva mai più visto, dopo quella
volta. Eppure continuava a tartassarlo
di messaggi. Una volta venne persino sotto casa sua.
Non
aveva alcuna
intenzione di vederlo, né di sentire scuse. Heidi lo
cacciò come se fosse un
appestato; dopotutto, aveva tradito suo fratello e nessuno, nessuno
doveva
permettersi di farlo soffrire.
*
‹‹Fammi
entrare, Heidi. Ti supplico. Voglio solo
parlargli.››
Georg
era in lacrime, sulla soglia di casa Kaulitz. Heidi, invece, non si
lasciò impietosire. Fu davvero crudele, nei suoi confronti.
Alle volte, poteva
essere davvero cattiva e violenta.
‹‹Non
ti prendo a calci solo perché ho le scarpe nuove, Georg e
non vorrei
macchiarmele di sangue o, tanto meno, non vorrei sporcare lo zerbino
con le tua
cervella spappolate. Sarebbe un vero e proprio trauma, per il povero
tappetino.››
Gli
sputò in faccia con tutta la cattiveria possibile. Georg non
disse e
non fece nulla. Se lo meritava; anzi, meritava anche di peggio. Lui
stesso si
sarebbe preso a pugni in faccia. L’errore però,
ormai era commesso.
‹‹Ho
bisogno di sapere come sta. Non risponde ai miei messaggi. Sto
impazzendo, Heidi. Ti prego.››
singhiozzò, per l’ennesima volta.
‹‹Cosa vuoi
che faccia? Che mi metta in ginocchio? Vuoi che lo faccia? Va bene.. lo
faccio.
Lo faccio.››
Si
lasciò cadere sulle proprie ginocchia. Si sentì
un forte tonfo.
‹‹Non
incanti nessuno, comportandoti in questa
maniera.››
‹‹Ho
bisogno di lui, Heidi. Mi manca da morire.›› si
chinò ai suoi piedi, e
cominciò a piangere ancor più forte. Heidi non
mosse ciglio. Restò impassibile.
Di ghiaccio.
‹‹Sparisci
da casa mia. Sparisci dalla sua vita. Non tornare mai più. O
giuro sulla tomba di mia nonna che ti uccido. Ti
uccido.››
Non
aggiunse altro; fece un passo indietro e chiuse la porta, lasciando
Georg
ancora in ginocchio sulla soglia.
Bill
vide tutta la scena dalla finestra della sua camera.
*
Con
un po’ di timore,
intrecciò le sue braccia attorno al collo di Tom; mentre
lui, si lasciò
avvolgere dai fianchi. Si muovevano in maniera sinuosa e molto
sensuale, a
prescindere dal tipo di musica che il DJ mettesse. Per fortuna,
c’era una
musica piuttosto delicata, seppure fosse remixata: Save
the world, degli Swedish
House Mafia.
Le
loro fronti erano
unite e, di tanto in tanto, i loro nasi si toccavano. Era un gioco di
respiri,
di sguardi e di sorrisi.
I
battiti del cuore di
entrambi, erano molto accelerati. A Bill parve di scorgere una
gocciolina di
sudore scivolare lungo la fronte del ragazzo rasta.
‹‹Ho
così tanta voglia
di baciarti, mio dio…›› gli fece
notare Tom. ‹‹Dal primo giorno che ti ho visto
lì, a combattere con il metal
detector..›› Bill non riusciva a comprendere alla
perfezione tutto ciò che gli stesse dicendo in quel momento
ma, sicuramente,
erano belle parole.
‹‹Andiamo
fuori.››
Gli
afferrò nuovamente
la mano e si fece spazio fra la gente, fino a raggiungere
l’uscita. C’era vento
e, per giunta, faceva anche un po’ freddo.
Tom
prese dalla sua
enorme tasca il pacchetto di sigarette, porgendone una a Bill.
L’accesero con
qualche difficoltà.
Bill
tirò una forte
boccata e Tom lo seguì a ruota. Nessuno disse nulla, fino
all’esaurimento di
entrambe le sigarette.
Bill
gettò il mozzicone
in mare; Tom invece lo spense sotto la punta delle scarpe. Lo
lasciò lì. C’era
il classico silenzio imbarazzante.
Bill
si riparava in un
angolo, socchiudendo gli occhi per poi ridurli a delle piccole fessure.
Il
vento era piuttosto fastidioso; voleva rientrare ma, per via del
baccano, non
riusciva a capire ciò che Tom volesse dirgli. Lì,
invece, c’era molto silenzio;
si udiva solo il rumore del vento che soffiava e delle onde del mare.
Null’altro.
‹‹Vieni
con me.›› Tom
riuscì ad interrompere il silenzio e, messosi le mani in
tasca, fece cenno a
Bill di seguirlo. ‹‹Ti porto in un bel
posto.›› sorrise, e Bill annuì.
‹‹Dove
andiamo?››
‹‹Tu
fidati di me. Ti
piacerà. È molto tranquillo e silenzioso. Non ci
va mai nessuno. Soprattutto se
c’è vento.››
Bill
non aggiunse
altro. Incrociò le braccia al petto e lo seguì.
*
‹‹Ma
possiamo salire
qui sopra?›› Bill avevo lo sguardo rivolto verso
l’altro, mentre Tom si
accingeva a salire l’ultimo gradino della scala in metallo.
‹‹Certo
che possiamo
stare qui sopra. Non c’è nessun divieto. Taci e
sali.››
Bill
obbedì. Si aggrappò
alla ringhiera e, con prudenza, salì le scale. Il vento
lì era abbastanza forte
e dovette mantenersi saldamente per non essere catapultato
giù.
Uno
volta salito, gli
uscì automaticamente un’esclamazione:
‹‹Wow!
Che cazzo di
posto è questo?››
Erano
all’ultimo piano
della nave. Era un posto davvero bello e tranquillo. Non
c’era assolutamente
nessuno.
‹‹Vengo
spesso a
rilassarmi qui. È il posto più bello di tutta la
nave.›› Tom si avvicinò ad una
delle cinque ‘uova’ di vimini presenti su quel
ponte. ‹‹Sono una fattispecie di
capannine. Siamo riparati dal vento e dal freddo
qui.›› Una volta scelto, si
sdraiò placidamente, poggiando le mani dietro la testa,
lasciando le gambe da
fuori.
‹‹Vieni,
i cuscini sono
morbidi.››
Bill
annuì.
Perché
ho una strana sensazione? Perché mi sta battendo il cuore
forte? Perché
mi sta mancando il respiro?
Con
un po’ di timore si
avvicinò alla cesta, sedendosi successivamente. Era rigido e
a dir poco a
disagio. Si stava torturando le mani e le gambe gli tremavano
leggermente. Cercò
in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo con quello di Tom.
‹‹Ehi?››
Tom si alzò,
mettendosi successivamente in piedi e poggiando una mano sulla spalla
del
ragazzo biondo. Provò a tranquillizzarlo.
‹‹Ti ho portato qui per rilassarti,
non per agitarti. Cosa c’è che non va, Bill? Ti
metto a disagio? Vuoi che ti
accompagni giù?››
Bill
scosse il capo. No
che non voleva. Voleva restare lì con lui.
‹‹No.
È solo che…››
‹‹Cosa?››
‹‹Non
so. Non sono
bravo con le parole, sai?›› disse poi
timidamente, sorridendo un po’. Tom, a
quel punto, si sbloccò.
‹‹Nemmeno
io.››
dolcemente, gli accarezzò una guancia, per poi passare a
sfiorare con un dito
le sue labbra. Bill chiuse gli occhi ed espirò lentamente
dal naso. ‹‹Sei così
perfetto, dannazione. Ma da dove vieni?››
scherzò poi, continuando ad
accarezzarlo.
Bill,
dal canto suo,
sovrappose la sua mano a quella di Tom, guidandola nei movimenti. La
fece
scivolare lungo il collo, le spalle, per poi giungere il petto.
L’avvicinò al
cuore.
‹‹Senti
come sta
battendo forte. Sto tremando. Sembro un
ragazzino.›› rise poi, seppur
imbarazzato. Deglutì a fatica. Doveva fare qualcosa.
‹‹Tom.. io..››
‹‹Shh!››
lo zittì e,
prima che potesse aggiungere altro, ridusse a pochi millimetri la
distanza fra
le loro labbra. Bill aveva gli occhi puntati sul piercing posto a
sinistra del
labbro inferiore. Non smetteva un secondo di guardarlo. Istintivamente,
si
morse l’interno delle proprie, espirando profondamente.
‹‹Sai
cosa mi piace da
impazzire dopo il momento prima del bacio?›› Bill
scosse il capo. No. Non lo
sapeva. ‹‹..il bacio
stesso.›› e senza aggiungere altro, lo
baciò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo XI ***
-
Capitolo 11 -
‹‹…E
niente… ci siam
baciati così a lungo, tanto da prosciugarmi tutta la saliva.
Avevo una sete
indescrivibile. Siamo stati per un po’ di tempo seduti sulla
moquette del
nostro corridoio a parlare del più e del meno; poi siam
tornati in camera. Dio
Heidi, mi ero dimenticato di quanto potesse essere bello baciare
qualcuno.››
Bill parlava da quasi dieci minuti, fantasticando e perdendosi
– come sempre –
nel suo piccolo mondo fatato. Stava combinando un vero e proprio
pastrocchio
con la propria colazione. Non aveva fame, quella mattina. Aveva la
testa fra le
nuvole e non smetteva un solo secondo di pensare a Tom e a quella sera.
‹‹Non
ho mai visto una persona bella quanto te.››
sussurrò Tom ad un suo
orecchio, mentre faceva scivolare la sua mano ruvida, sotto la maglia
del
biondo. Bill si lasciò trasportare.
Passò
delicatamente le dita sugli addominali pronunciati di Bill che, al
contatto, gli irrigidì per via del solletico provocatogli.
Tom si divertì molto
e capì che Bill soffriva il solletico.
‹‹Come
lo hai capito?›› disse poi Bill, cercando di non
ridere più.
‹‹Capito
cosa?››
‹‹Che
sono gay. Insomma.. sì è okay, è
visibile ma..››
‹‹Semplice..
il modo in cui mi guardavi.››
Bill
si sentì leggermente avvampare.
‹‹E
tu, invece? Tutto si direbbe di me, all’infuori che io sia...
beh, che
sia gay.››
Bill
si morse leggermente il labbro inferiore, ancora gonfio per via dei
baci – piuttosto forti – che Tom gli aveva dato
fino a qualche attimo fa.
‹‹In
palestra. La prima volta che ci siam visti. Un ragazzo non
attaccherebbe
mai bottone con un altro ragazzo. Soprattutto in palestra.
C’era così tanta
figa. L’unica spiegazione era quella.››
*
‹‹E
adesso? Non vi
siete dati appuntamento giù?››
Bill
scosse il capo. La
sera prima, gli aveva detto che non sarebbe sceso a Katakolon; era una
città
che gli ispirava ben poco. E a Bill? Interessava davvero quella
città? Cosa gli
importava delle rovine?
‹‹Io
sono solo in camera, domattina. Tutti i miei amici scendono. Io
preferisco dormire, almeno domani. Se ti va di farmi compagnia, ci
fumiamo il
Narghilè.››
*
Decisamente
non gli importava
delle rovine.
‹‹Credo
proprio che
andrò in camera sua, dopo colazione. Gli porto
qualcosa.››
Heidi
continuava a
guardare il fratello con gli occhi innamorati. Se fossero stati in
fumetto, di
sicuro i suoi occhi, sarebbero apparsi come due grandi cuoricini rossi
che
fuoriuscivano dalle orbite. Un po’ come quei manga
giapponesi.
‹‹Che
dolce il mio
fratellone.››
‹‹Smetti
di fare la
cretina. Non dire nulla né a mamma e né a
papà.›› la rimproverò poi
lui. Heidi
lo guardò accigliata, riducendo a due piccole fessure gli
occhi, così come la
bocca.
‹‹Certo,
perché io sono
così stupida da dire a mamma e papà che non
scendi per andare a fare le porcate
nella camera di uno che hai conosciuto tre giorni
fa.›› fu seria nel dirlo; e
fu proprio la sua serietà che fece scoppiare Bill dalla
risate.
Anche
Heidi, presto,
venne coinvolta.
‹‹Alle
volte non lo usi
proprio il cervello, Bill.›› mandò
giù l’ultimo boccone di banana e si
pulì le
labbra con il tovagliolo blu.
Stava
molto meglio,
rispetto alla sera precedente. Dopo quella pillola paragonabile al
cianuro, si
sentiva molto più in forma. Aveva deciso però di
darsi una leggera regolata con
l’alimentazione: banana, mela, yogurt magro e una fetta di
pane di segale, era
la sua colazione di quella mattina; gliel’aveva consigliata
Bill. Una sana
colazione con proteine, carboidrati e vitamine. Sembra
la colazione dei malati. Aveva detto lei. Dopotutto, non
aveva mica tutti i torti.
*
‹‹Io
non scendo, mamma.
Non ho ancora avuto modo di visitare per bene la nave. Non ho fatto
nemmeno
tante foto. Credo che oggi andrò proprio a
zonzo.›› fece uno sguardo complice a
sua sorella. Lei sorrise sotto i baffi.
‹‹E
tu vuoi rimanere
con tuo fratello, Heidi?››
Lei
scosse la testa.
Anche se… a quanti ragazzi aveva dato appuntamento quella
mattina,
all’idromassaggio? Due? No, forse erano tre.
‹‹Io
adoro la storia.
Preferisco vedere Katakolon. Quando mai mi capiterà
più di vedere una
colonna?›› disse quella frase con un tono di
sarcasmo ed ironica, colta
immediatamente dai propri genitori.
Simone
scosse la testa.
‹‹Andiamo
ragazzi, lo
sbarco è alle nove in punto. Sono le 08:50. Risaliremo per
l’ora di pranzo, molto
probabilmente.. Ah, Bill..››
Bill
si voltò di
scatto. Stava sistemando la roba nelle valigie. Perché lo
stava facendo poi?
‹‹Mi
raccomando a te.››
La madre fece l’occhiolino. Bill si sentì
improvvisamente avvampare. Sentiva il
fuoco ardergli tutto il corpo e, le sue gote, divennero di un rosso
vivido.
Prima che potesse aggiungere qualcosa però, Simone chiuse la
porta.
Bill
restò a fissarla
per una manciata di minuti, giusto il tempo di far riprendere il
proprio cuore
dal semi infarto appena avuto e far tornare le proprie guance del suo
colore
naturale.
‹‹Ma
perché mia madre
capisce sempre tutto, cazzo!››
Si
grattò la fronte quando
però, la tua attenzione, venne colpa da
un’imperfezione. Si soffermò con il
dito medio su di una lieve protuberanza sita al centro della fronte.
‹‹Ma
questo è un…
BRUFOLOOOO?›› urlò non appena
tastò il leggero rilievo sulla sua fronte. Si
precipitò davanti al primo specchio della stanza e, con un
po’ d’ansia, guardò
il ‘mostro’ – come lo giudicava sempre
lui – sulla sua fronte. Tutto era,
tranne che evidente.
‹‹Si
coprirà con un po’
di correttore di Heidi.››
Andò
nuovamente nella
sua parte di stanza e si mise a rovistare fra i trucchi di sua sorella.
Non ci
volle molto a trovare ciò che gli serviva. Col il dito,
prelevò un po’ di
correttore dal tubetto e facendo molta attenzione, se ne
spalmò una quantità
non troppo generosa sulla parte interessata, cominciando a
picchiettare.
Il
brufolo scomparve
magicamente.
‹‹Ho
sempre detto che
avrei dovuto fare il MakeUp Artist.›› disse
soddisfatto, dandosi un ultima
sistemata.
*
Erano
le 09:45, e Bill
era disteso sul letto a fare zapping fra i canali. Era tipo la
venticinquesima
volta che faceva il giro. Non c’era nulla di interessante, a
parte qualche film
tedesco di scarso successo. Attendeva la chiamata di Tom. A che ora
aveva
detto?
‹‹Le
dieci. Aveva detto
alle dieci.›› ripeté ad alta voce.
Dette finalmente pace al telecomando,
decidendo di lasciare ad un film poliziesco.
‹‹Il
mio cane,
reciterebbe mille volte meglio di questi qua.››
*
Guardò
l’orologio.
Erano le dieci in punto. Il suo cuore cominciò a battere
forte e, il suo
stomaco, cominciò a brontolare. No, non era fame.
Si
alzò dal letto e
cominciò a percorrere in maniera al quanto nervosa, il
piccolo corridoio che
attraversava la zona che condivideva con la sorella, con quella dei
propri
genitori. E se Tom non avesse chiamato? E se gli avesse dato nuovamente
buca?
No. Non poteva fargli bidone. Non ora che si l’aveva baciato.
Porca
puttana. Ci siamo baciati.
Cominciò
a
mordicchiarsi le unghie, anche se avrebbe voluto mangiarsi le falangi.
Era
nervoso, forse anche un po’ troppo. Cosa sarebbe caduto, una
volta entrato
nella sua stanza? Se mai avesse voluto allungare le mani, ci sarebbe
stato oppure
gli avrebbe tirato un gancio destro da stenderlo a terra? Tutto era da
vedere.
10:10
‹‹Ma
perché diamine ci
mette così tanto? Devo soltanto chiamare una fottuta
camera.›› si sedette
nuovamente sul letto, senza smettere un attimo di fissare la cornetta
del
telefono.
10:15
‹‹Mi
ha dato buca
un’altra volta.››
10:20
‹‹Brutto
pezzo di
merda.››
10:25
‹‹Io
non gli rivolgo
più la parola.››
10:30
‹‹Chi
cazzo è che rompe
i coglioni?››
Stizzito,
si alzò di
scatto, facendo leva con le braccia sul materasso un po’
troppo duro. Si
diresse verso la porta per vedere chi avesse bussato.
‹‹Chi
è?››
Non
ci fu alcuna
risposta. Pensò subito ad uno scherzo, ma quando
andò per allontanarsi,
bussarono nuovamente.
Ancora
più nervoso di
prima, spalancò la porta di botto:
‹‹Avete
rotto il
cazz—››
Si
bloccò
improvvisamente. Lì, sulla soglia della sua cabina,
c’era l’ultima persona che
si sarebbe aspetto: Tom.
‹‹Ops..
Non sono
gradito?›› scherzò subito Tom,
guardando verso il basso. Bill avvampò. Stette
in silenzio per una manciata di secondi. Non sapeva se saltargli
addosso e
violentarlo, oppure dargli una scarpata in fronte per aver fatto
ritardo.
‹‹Certo
che tu sei in
grado di scombinare i piani della gente in una maniera
micidiale.›› disse ridendo
Bill, ma infondo, era davvero piuttosto incavolato.
Ma
dai Bill, almeno si è presentato e non ti ha dato buca.
Apprezza questo
fatto, idiota.
Si
picchiò mentalmente.
Non avrebbe dovuto dire così, forse?
‹‹Lo
so, quei coglioni
dei miei amici non sono usciti. Ecco perché non ti ho
chiamato. Comunque… mi
fai entrare?››
Bill
deglutì. Aveva un
po’ paura. Non sapeva a che ora sarebbero arrivati i suoi
genitori. Sua madre
era stata piuttosto vaga, sull’ora.
‹‹A
che ora dovrebbe
esserci l’imbarco?›› chiese poi Bill,
prima di farlo entrare.
Tom
scosse le spalle.
Non lo sapeva.
Fu
un po’ scettico. Non
sapeva se farlo entrare o meno. E se da un momento all’altro
fossero arrivati i
suoi genitori? Cosa avrebbero pensato?
Vabbè,
non ci devo mica scopare. Dobbiamo fumarci semplicemente una
sigaretta assieme. O no? Okay. Lo faccio entrare.
Sfoggiò
un sorriso. Un
bianchissimo e perfetto sorriso; forse uno dei più belli che
Tom avesse mai
visto. Ne rimase a dir poco ammaliato.
‹‹Accidenti!››
si
lasciò sfuggire poi.
‹‹Cosa?››
‹‹Niente..
è solo che..
hai un sorriso fottutamente perfetto,
cazzo!›› Bill arrossì, e lo fece anche
Tom.
Si
scostò dalla soglia,
dimodoché Tom potesse entrarvi. Lo fece accomodare sul
proprio letto,
chiedendogli se volesse qualcosa da bere.
‹‹Ho
della Schweppes,
della limonata, oppure del thè al
limone.›› Bill si chinò per guardare
all’interno di quel piccolissimo frigorifero.
‹‹In poche parole.. tutto ciò che
hai anche tu. Ahahah.›› rise, mettendosi
nuovamente in piedi.
Tom
non smetteva un
attimo di guardarlo. Fissava costantemente tutta la sua snella e
slanciata
figura. Era praticamente una scultura. Bill lo guardò
accigliato: quando partecipava
ai Gay Pride, assieme a Georg, parecchie volte si era imbattuto in
sguardi
provocanti e spesso, era costretto a bloccare il suo ormai ex ragazzo,
prima
che facesse qualche cazzata; ma Tom però, lo guardava
davvero in maniera
insistente e penetrante. Non gli era mai capitato prima
d’allora. Lo guardava
in modo diverso, rispetto agli altri. Cosa aveva lui, che gli altri non
avevano?
‹‹Ancora
non riesco a
comprendere il motivo per il quale tu continui a fissarmi in questa
maniera.››
disse ridendo. Tom non rispose. Gli fece cenno di accomodarsi accanto a
lui,
sul letto, dando dei colpetti sul materasso. Bill obbedì,
senza pensarci due
volte. Non ci vedeva nulla di male star seduto sul letto, assieme ad un
ragazzo
nella propria cabina. Soli, per giunta. Cosa mai poteva accadere?
Si
guardarono a lungo,
senza proferir parola. Lo sguardo di Bill si posava in maniera
altalenante:
occhi-bocca e bocca-occhi. Stessa cosa per Tom. No. Lui guardava sempre
e solo
le sue labbra.
Bill
si era seduto
leggermente distante da lui. Non voleva apparire inappropriato. Il suo
stomaco
si contorceva e il suo cuore pareva si trovasse in gola.
Con
nonchalance Tom
si avvicinò un po’ di più.
‹‹Guarda
che non ti
mangio mica, eh?›› scherzò poi lui,
notando che Bill si era un po’ allontanato.
Non voleva correre rischi.
‹‹Lo
so. È solo che..››
‹‹Cosa
succede? Ti da
fastidio se mi avvicino di più?››
accorciò ancor di più le distanze. Bill non
poteva andare da nessun altra parte. Se si fosse spostato di un solo
centimetro, sarebbe finito con il culo per terra e, sicuramente,
avrebbe fatto
una bella figuraccia. Non aveva altra scelta. Doveva restare
lì dov’era.
Deglutì
a fatica,
quando si ritrovò con la mano di Tom in mezzo alle sue
cosce. Cominciò a sudare
freddo e, nonostante la bassissima temperatura che c’era
all’interno della
cabina, sembrava stesse prendendo fuoco. Nemmeno l’acqua
l’avrebbe spento.
Anzi, sarebbe evaporata.
‹‹T-Tom.››
le parole
gli morirono in bocca, quando queste, vennero avvolte dalle labbra di
Tom. Le
racchiuse con una certa forza e un po’ di avarizia; come se
quelle labbra, così
morbide e rosee, appartenessero solo e soltanto a lui.
Rispose
al bacio dopo
qualche secondo. Gli girava la testa, senza sapere davvero quale fosse
il
motivo: il profumo troppo forte e pungente che aveva, oppure
l’eccitazione e il
fremito che gli stava provocando? La seconda, era molto più
plausibile, o forse
tutt’e due. Non lo sapeva. L’unica cosa a cui
riusciva a pensare, era solo il
bacio di Tom. Solo quello, e basta.
Continuarono
a baciarsi
a lungo, tanto a lungo che a Bill gli si seccò la gola, per
una seconda volta.
‹‹Possibile
che tu mi
faccia venire sempre sete?›› disse scherzando,
avvicinandosi al piccolo
frigo-bar per prendere della Schweppes al limone. Quando
aprì la lattina, spruzzò
leggermente per via dell’anidride carbonica presente
all’interno di essa,
facendone uscire un po’ di contenuto.
‹‹Vuoi
un po’?›› chiese
poi, porgendo la stessa lattina dal quale aveva appena bevuto quel
tanto da
potersi considerare dissetato. Tom annuì. Aveva sete anche
lui.
L’afferrò con delicatezza,
ringraziando successivamente
il biondo. Ne bevve qualche sorso anche lui, dopodiché la
posò sul comodino.
‹‹E
quindi… sei stato
fidanzato per quattro anni.››
‹‹Quattro
anni e
mezzo.›› tenne a specificare lui.
‹‹E ti giuro, il modo in cui è finita,
è stato
davvero tremendo. Preferisco non parlarne più
però. È troppo doloroso
ricordare. Nonostante sia passato un anno, ancora non riesco a farmene
una
ragione.››
Decisamente
giù di
morale, bevve un altro po’ di Schweppes. Una volta finita, la
gettò nel
cestino.
‹‹Perdonami,
non
volevo..››
‹‹Tranquillo,
Tom. È
passato un anno. Sì, okay, fa male pensarci, ma oramai
è andata. Non si può
cancellare quel che è successo.››
Si
sedette nuovamente
accanto a Tom e, questa volta, non gli importava un fico secco di
ciò che
avrebbe fatto lui. Poteva anche violentarlo seduta stante, non se ne
sarebbe
accorto.
Perché
ogni volta che
si parlava di Georg, il suo morale calava praticamente a sotto zero?
Eppure,
quante volte si era ripetuto che non gli importava più un
cazzo di lui? Quante?
Forse sperava ancora che le cose potessero aggiustarsi fra di loro?
Quante volte
lo aveva visto sotto casa sua, con un mazzo di fiori e una confezione
dei suoi
cioccolatini preferiti? Quante volte l’aveva rifiutato?
‹‹Sai
Bill, anche io ho
passato una storia più o meno simile alla tua. Con la sola
differenza che io,
non mi ero fermato alla convivenza.››
‹‹Che
vuoi dire, Tom?››
Tom
sorrise, ma si
vedeva lontano un miglio che, quel sorriso, era fatto per nascondere un
dolore;
un dolore molto forte. Forse anche più di quello di Bill, e
lui sapeva
riconoscere immediatamente un sorriso sincero, da uno falso; e quello
di Tom,
era proprio uno dei più falsi che avesse mai visto.
‹‹Devi
sapere Bill che
questa cosa, non l’ho mai detta a nessuno. Nemmeno i miei
migliori amici lo
sanno. La dico a te perché puoi capirmi, ed hai vissuto
più o meno ciò che ho
vissuto io…›› disse quelle frasi con
un dispiacere piuttosto profondo. Aveva le
gambe leggermente divaricate, i gomiti poggiati sulle cosce e il capo
chino.
Guardava il pavimento e, di tanto in tanto, scuoteva la testa.
‹‹Cosa
ti è successo,
Tom? Puoi parlarmi.›› per confortarlo, Bill gli
posò delicatamente una mano sulla
spalla, tentando di rassicurarlo anche. A quel gesto, Tom si
voltò verso di
lui. Aveva gli occhi lucidi; anzi, Bill giurò di aver scorto
una lacrima
rigargli lo zigomo destro. Gli si strinse il cuore.
‹‹Sono
stato piantato
in asso sull’altare... Dalla mia
ragazza.››
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo XII ***
-
Capitolo 12 -
Tre
anni prima.
‹‹Tom,
sei sicuro di quello che stai facendo?››
Suo
cugino Enea, non era affatto convinto del grande passo che Tom aveva
deciso di fare. Conosceva Sophie da soli nove mesi e, a suo parere, non
era
sufficientemente abbastanza da poterle chiedere di sposarlo.
Tom
però, non voleva sentir ragioni. Era più che
certo di quello che stava
compiendo. Amava Sophie ed era sicuro che la cosa fosse ricambiata.
‹‹Cosa
intendi, Enea? Certo che lo so. Sophie è la ragazza dei miei
sogni.››
‹‹Tu
sai che non è così. Sei un ragazzino, Tom. E
poi.. dimentichi che non
sei completamente etero. Preferivo Paul, a Sophie. Dico sul serio. Non
hai mai
pensato che forse, Paul, sarebbe stata la persona giusta per
te?››
‹‹Sono
abbastanza grande da decidere cosa sarà della mia vita. Sono
giunto
a questa conclusione. Paul è storia passata e, per giunta,
avevo diciassette
anni. Non sapevo cos’era giusto o sbagliato per me. Non metto
in dubbio che
sono stato bene con lui e, se fossi stato un po’
più grande, avrei potuto
pensare ad una possibile convivenza. Non è stato
così, anche perché lui era
troppo grande per me. Io mi sposerò oggi, e lei,
è la persona giusta.››
‹‹Aveva
ventuno anni, all’epoca. Anche con Sophie, la differenza
d’età è
pari a quattro anni. Ne ha ventitré ora, proprio come Paul,
oggigiorno..
Quindi, non venirmi a dire che era troppo grande per te.
Perché non è
così.››
Tom
si soffermò a pensare qualche attimo. Enea non aveva per
niente torto.
Perché poi la storia con Paul era finita?
Cos’è che non andava bene? Non si
ricordava.
‘Oh
sì, ora ricordo. Sua padre non era d’accordo sulla
nostra relazione.
Ero troppo piccolo ed immaturo per lui.’ Ovviamente Paul non
aveva altra
scelta, se non quella di troncare ogni contatto.
Gli
venne in mente un’altra cosa, in quel momento: la sua prima
volta con
lui. Come poteva dimenticarsi di una cosa così bella?
Si
sentì stringere il cuore, lo stomaco, gli occhi si velarono
leggermente.
Sì,
Enea aveva ragione. Paul sarebbe stato perfetto per lui.
Ma
era acqua passata, oramai. Lui aveva trovato la persona giusta. Era una
ragazza bellissima, e che amava tantissimo.
‹‹Non
mi interessa. Paul non era abbastanza forte. Se mi avesse amato sul
serio, avrebbe combattuto contro suo padre, pur di salvare il nostro
rapporto.››
‹‹Ti
disse che ti avrebbe amato per il resto della vita, Tom. Come puoi
dimenticarti di questo? Dimmi, quante volte Sophie ha detto di amarti?
Quante,
Tom?››
In
quel momento, Tom provò una forte rabbia. Stava davvero
esagerando.
‹‹Piantala
Enea. Ho preso la mia decisione. Non farmi pentire di averti
scelto come testimone. Questa è la
realtà.›› alzò notevolmente
il tono di voce.
Enea trasalì per lo spavento. Forse era davvero troppo,
quello che aveva detto.
Ormai
non si poteva tornare indietro. Tom si sarebbe sposato, quel giorno.
Sospirò,
mentre si accingeva ad aggiustargli la cravatta. Come poteva
dirglielo? Come poteva dirgli che la sua ‘futura
moglie’ l’aveva tradito? Come
poteva dirgli che, l’uomo con il quale era stata, era proprio
lui? Ed Enea
sapeva benissimo che ce n’erano stati altri e che non era
stato il solo. Aveva
avuto diverse avventure di una notte; inoltre, sapeva anche che Sophie
non
aveva mai lasciato il suo lavoro, come invece, aveva detto a Tom.
‹‹Spero
solo che tu sappia a cosa vai incontro.››
Sophie
lavorava in un Night Club da quattro soldi come spogliarellista e
‘donna di compagnia’. Era proprio per questo che
Enea, voleva metterlo in
guardia. Non sarebbe mai stata fedele. Mai.
‹‹È
perché faceva la spogliarellista in quel diavolo di Night
Club? Le
persone cambiano, Enea.››
‘Il
lupo perde il pelo, ma non il vizio.’ Si ritrovò a
pensare poi suo
cugino, mentre gli aggiustava il fiore,
posto sulla tasca destra della giacca.
‹‹Mi
fido di te, ma non di lei. Adesso sbrigati, o farai ritardo al tuo
matrimonio.››
Gli
dette una pacca amichevole sulla spalla ma, in cuor suo, sapeva
benissimo che, quel giorno, sarebbe stato sì, un giorno
indimenticabile, ma non
per via della felicità e della gioia che avrebbe provato;
Tom sarebbe stato
ferito come nessun’altro mai aveva fatto prima.
*
Era
in piedi, con un sorriso sfavillante, era davvero felice. Le gambe gli
tremavano leggermente.
‹‹Come
sto?›› sussurrò a suo cugino.
Lui
sorrise tristemente.
‹‹Stai
benissimo, Tom.›› il cuore gli stava morendo in
petto. Avrebbe fatto
di tutto, per suo cugino. Era come un fratello, per lui. Ma
quell’errore
fatale, se detto, gli avrebbe fatto davvero molto male. Si sentiva in
colpa.
Troppo in colpa. Quella puttana l’aveva tratto in inganno,
persuadendolo e
tentandolo con i suoi modi da troia. Ma non poteva più
tornare indietro. Lei
era troppo bella e troppo sensuale da resisterle, e lui troppo debole
per
farlo.
Sapeva
che quel giorno, l’avrebbe perso per sempre.
*
La
musica era cominciata, le porte della Chiesa erano state aperte e gli
invitati erano in piedi. Tutto era cominciato.
‹‹Sto
tremando, Enea. Ho paura.›› disse Tom, con il
sorriso sulle labbra.
Aveva gli occhi pieni di gioia. Si vedeva lontano un miglio: era
davvero
innamorato della ragazza.
Enea
invece, non riusciva proprio a sorridere.
*
Erano
trascorsi cinque minuti, da quando la cerimonia era cominciata e
Sophie, non aveva ancora fatto il suo ingresso. Tutti gli invitati
erano
rivolti verso l’enorme entrata della Chiesa, in attesa della
sposa.
Cominciarono
a guardare Tom in maniera perplessa e a parlare fra di loro.
Lui cominciò ad agitarsi, non capendo il motivo per il
quale, la sua futura
moglie, stava facendo ritardo.
‹‹È
normale che faccia un po’ di ritardo, vero
Enea?›› il cuore cominciò a
battergli forte. Questa volta però, non era per
l’emozione. Tom aveva paura.
Era spaventato.
‘Non
sta succedendo davvero. Non sta succedendo davvero.’
Enea
chinò il capo, scuotendolo successivamente. Si
coprì gli occhi con la
mano, dimodoché potesse nascondere le lacrime. Pensava che,
una volta sposati,
avrebbero divorziato in meno di un anno, massimo due; ma non gli
sarebbe mai
venuto in mente che, quella stronza, l’avrebbe piantato
all’altare.
‹‹Enea..
io.. io non.. non capisco.. cosa..››
Solo
dopo aver visto entrare il padre, senza la sposa, capì
subito.
‹‹Questa
lettera è per te, Tom.››
Brian,
il padre della ragazza, aveva l’aria combattuta e triste,
quando
porse il pezzo di carta a Tom. Una lettera; una misera e insulsa
lettera.
Tom
non voleva aprila. Aveva troppa paura. Le lacrime cominciarono a
rigargli il viso. Si voltò verso Enea: piangeva anche lui.
‹‹Ha
detto di aprila. Non so cosa ci sia scritto. Mi ha solo detto questo.
Mi dispiace, figliuolo. Sei davvero un bravo
ragazzo.››
L’uomo
gli posò una mano sulla spalla, in segno di compassione e
dispiacere;
dopodiché, prese per mano la moglie e uscirono dalla Chiesa.
Non aveva il
coraggio di guardare Tom negli occhi, mentre leggeva quel pezzo di
carta che
sua figlia gli aveva dato. Si sentì tremendamente in
imbarazzo. Si vergognava.
‹‹Enea..
io..››
‹‹Apri
Tom.››
Con
le mani tremanti, tentò di aprire quella busta, nella
speranza di
trovare tutte le spiegazioni che avrebbe dovuto dargli; ma quando
andò per
aprirla, notò che non c’era niente di tutto
questo.
Si
sentì morire quando vide che, all’interno della
busta, c’erano l’anello
di fidanzamento che gli aveva regalato. Nessun biglietto. Nessuna
lettera. Solo
l’anello.
Lo
strinse forte nel proprio pugno e, per la rabbia, lo
scaraventò per
terra, lanciandolo dall’altra parte della Chiesa.
Enea
si avvicinò e, con premura e comprensione, gli avvolse la
spalla.
‹‹Tom..
mi.. mi dispiace.››
Con
un gesto secco, si scrollò il braccio del cugino dalla
proprio spalla.
Non aveva bisogno di compassione.
‹‹Avevi
ragione.›› disse poi freddamente.
‹‹Una troia non potrà mai
cambiare. Se una nasce puttana, morirà come
tale.›› Senza aggiungere altro,
scese lentamente le scale dell’altare e senza preoccuparsi di
ciò che gli
invitati stessero dicendo, uscì da quel posto maledetto,
giurando di non
tornarci mai più.
*
Bill
aveva gli occhi
lucidi. Piangeva come un bambino. Non avrebbe mai pensato che, un
giovane di
appena ventidue anni, avrebbe potuto passare tutto questo.
‹‹Dio,
Tom… io… io non
so cosa dire. Davvero.››
Bill
lo abbracciò più
forte che poteva. Tom ricambiò l’abbraccio,
sorridendo. Gli fece davvero bene,
quel gesto; anche perché era sincero.
‹‹È
tutto passato,
Bill. Ormai non mi fa più molto
male.››
Fece
passare le sue
mani ruvide fra i morbidi capelli del biondo e, carezzandolo
leggermente, fece
congiungere le sue labbra con le proprie, in un bacio profondo.
‹‹Come
farò quando
finirà tutto, Bill? Come farò senza di
te?››
Bill
sospirò. Non ci
aveva per niente pensano, prima d’ora. Ormai, aveva
completamente rimosso di
essere su una nave da crociera, assieme ad un americano. Si era
talmente
abituato che, il sol pensiero di tornare alla vita reale, lo
traumatizzava.
No
Bill. Questa non è la vita reale. Fattene una ragione.
‹‹Abbiamo
ancora
quattro giorni, Tom. Non sprechiamoli a commiserarci. Voglio
divertirmi.››
l’abbracciò ancora più forte
– per quanto fosse possibile – e gli
stampò un
bacio sulla spalla.
Si
staccò dalla stretta
e, con un colpo di reni, si destò dal letto.
‹‹Bene,
proponiamo
qualcosa da fare questa mattina. Io vorrei andare
nell’idromassaggio. Non ci
sono ancora mai stato. Tu sì?››
Tom
scosse il capo.
‹‹Se
tieni molto al tuo
costume, ti consiglio di non entrarci proprio in quella piscina.
C’è tanta di
quella candeggina che, aimè, il mio amato costume di Calvin
Klein, si è tutto
scolorito. Da nero, è diventato di un grigio
scuro.››
Bill
posò una mano sul
petto ed assume un’espressione di disgusto, mista a stupore.
‹‹Immagino
il colpo al
cuore quando hai visto che il costume non era più il
tuo.›› rise, tentando di
strappare un sorriso anche a Tom – anche e soprattutto dopo
tutto quello che
gli aveva raccontato. Ci riuscì. –
‹‹Per
fortuna non era
un costume appena comprato. Ci tenevo
molto, però.›› posando le mani sulle
proprie ginocchia e dandosi un leggero
slancio, si alzò dal letto. Si sistemò con poca
eleganza il suo ‘pacco’.
Bill,
dalla vergogna,
si girò dall’altra parte.
Non
guardargli il pacco, Bill. Non guardargli il pacco. Non fare il
finocchietto arrapato, perché non lo sei. Anche se,
ripensandoci, da quanto
tempo non ti fai una sana scopata?
Si
sentì avvampare
leggermente, se si fosse guardato allo specchio, di sicuro avrebbe
notato che,
il suo colorito, assomigliava più alla buccia di un pomodoro
maturo o di un bel
peperone rosso.
Cominciò
a canticchiare
qualche motivetto inventato sul momento, per evitare di pensare.
‹‹Ti
dispiace se uso il
tuo bagno?›› disse Tom, aprendo la porticina.
Bill scosse il capo e scrollò le
spalle.
‹‹Certo
che puoi. Basta
che non goccioli da nessuna parte. Io sono abituato a sedermi sul water
in
quanto a mia madre e a mia sorella dà molto fastidio il
fatto che possano
trovare una gocciolina di urina sul bordo. Anche mio padre lo
fa.››
Tom
sgranò gli occhi ed
annuì molto lentamente. Se non fosse stato per il fatto che
lo trovasse
fottutamente sexy ed attraente e che avesse un corpo mozzafiato, un
culo da
capogiro e dei modi di fare altamente aggraziati e perbenisti, avrebbe
giurato
che fosse un pazzo psicopatico.
‹‹O-KAY…
vorrà dire che
mi siederò anche io, onde evitare litigi inutili con tua
sorella e tua madre.››
Bill
mimò un ‘Thank
you’ , senza proferire alcun suono. Tom sorrise ed
entrò nel bagno, lasciando
la porta aperta.
C’era
un silenzio a dir
poco imbarazzante. Bill riusciva a percepire ogni piccolo rumore che
Tom, in
quel momento, stava facendo: la zip che si apriva, i pantaloni che
venivano
calati, la cintura che urtava sulle mattonelle e, di lì a
poco, avrebbe sentito
anche il…
Ecco
sì. Proprio
quello. Pareva un fiume in piena, più che una normalissima
pipì. Provò a
contare quanto tempo quello svuotamento vescicale fosse durato.
Giurò di aver
contato almeno quaranta secondi.
Subito
dopo, sentì
tirare lo sciacquone e, successivamente, il rubinetto che veniva
aperto.
Speravo
così tanto nell’udire quel suono.
Era
forse troppo
maniacale? Era esagerato lavarsi le mani almeno venti volte al giorno?
Forse
sì; o forse no? Non gli importava. A lui andava bene
così. L’igiene prima di
tutto.
Immediatamente
dopo
aver chiuso il rubinetto, uscì.
‹‹Dio
mio. Stavo
praticamente scoppiando.››
‹‹L’ho
notato. Hai
fatto una pisciata che pareva non spicciasse
mai.››
Tom scoppiò in una
fragorosa risata e Bill lo
seguì a ruota.
‹‹Sei
davvero un tipo
strano, Bill. Passi dall’estrema persona educata e razionale,
al cafone del
ghetto…››
Bill
smise di ridere e
guardò il rasta in maniera un po’ perplessa. Non
sapeva se prendere quell’affermazione
come un’ironia, oppure come un insulto bello e buono. Tom,
notando la
perplessità nei suoi occhi, cercò di spiegarsi
meglio.
‹‹Sei
diverso dagli
altri. Mi fai ridere. Ed è proprio per questo
che…›› si avvicinò
leggermente e,
con nonchalance, gli cinse i fianchi con una certa forza, facendo
scontrare i
loro bacini. Bill si sentì improvvisamente la gola secca.
Il
rasta percorse con l’indice,
tutta la sagoma della mandibola, soffermandosi poi sulle labbra rosee e
carnose. Erano così maledettamente invitanti.
‹‹…che
mi fai
impazzire.›› lo baciò, senza
preavviso. Fu intenso, come tutti gli altri. C’era
da ammettere che Tom era davvero molto abile a baciare. Era di gran
lunga il
migliore in assoluto, e lui ne aveva avuti molti di ragazzi.
Una
volta distaccati,
seppur controvoglia, Bill rimase ancora con gli occhi leggermente
socchiusi e
le labbra un po’ troppo gonfie. Tom non baciava; mordeva.
‹‹Io
eviterei il succhiotto
al labbro inferiore. Non voglio che mi diventi viola. Sarò
costretto ad usare
il rossetto color carne di mia sorella,
altrimenti.›› rise Bill, toccandosi il
labbro dolorante.
Tom
scrollò le spalle.
‹‹Tom,
posso farti una
domanda?››
Il
cuore del biondo
fece un tuffo. Era davvero necessario farla? Sì, forse
sì. Tom non esitò un
secondo e, con gentilezza, approvò.
‹‹Mi
è sorto questo
dubbio, dopo che mi hai raccontato quanto ti è successo. Non
vorrei essere…
come dire… invadente ma…
sai…››
‹‹No.
Non sono
bisessuale. O meglio, non più adesso. Sono felicemente,
pubblicamente,
stramaledettamente gay. Ho chiuso con la passera. Nella mia vita, ho
avuto solo
quattro avventure con delle ragazze. Solo una di queste, oltre che a
letto, la
stavo portando all’altare. Al liceo, ero praticamente
desiderato da tutte; ma
sono sempre stato più propenso verso i ragazzi. Quindi,
Bill, puoi stare
tranquillo. Non mi troverai mai a pomiciare con una biondona dalle
gambe
chilometriche e il busto a clessidra.››
Bill
tirò su un sospiro
di sollievo.
Come
può essermi venuta in mente una cosa del genere? Certo che
sono
proprio paranoico.
‹‹Sono
felice che tu me
l’abbia detto. Mi hai tranquillizzato.››
‹‹Non
preoccuparti.
Ora, se non ti dispiace, posso offrirti qualcosa da bere? Un frullato
magari?››
Non
se lo fece ripetere
due volte. Abbozzò un sorriso sincero e, mettendosi sotto il
suo braccio – come
se fosse la cosa più normale del mondo – si
diressero verso l’ultimo piano. Avrebbero
passato una bellissima mattinata assieme.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo XIII ***
-
Capitolo 13 -
Bill
stava
sorseggiando spensieratamente il suo frappè allo yogurt,
nella piscina
idromassaggio e, di tanto in tanto, lanciava qualche occhiata a Tom
che,
accanto al chioschetto del bar, veniva circondato da
un’ondata di ragazze che,
a suo parere, stavano facendo un po’ troppo le ochette con
lui.
Sentiva
un forte dolore allo stomaco e, per
giunta, una rabbia così potente che, se fosse stato
possibile, sarebbe esploso
come una bomba atomica, disintegrando quelle galline idiote che stavano
importunando Tom che, per di più, stava dando loro corda.
Smettila,
Bill. Bevi
il tuo fottuto frappè e fatti i cazzi tuoi. Non sei
né il suo ragazzo, né il
suo protettore. Non fare il geloso del cazzo.
Provò
ad autoconvincersi ma, a quanto pare, non
riuscì ad ottenere un riscontro positivo.
Lo
stomaco stava continuando a borbottare e le
mani cominciarono a prudergli: non era mai buon segno, quello.
Cominciò a
respirare rumorosamente e pesantemente. Stava davvero per perdere le
staffe.
Succhiò
dalla cannuccia con forza tutta la
bevanda restante e, con uno scatto felino, uscì dalla vasca
e si diresse verso
il chiosco con un’aria un po’ troppo minacciosa.
Non
riusciva a sopportare di più. La goccia che
fece traboccare il vaso, fu quando una ragazza bassina, con i capelli
ricci
rossi, gli toccò i pettorali scolpiti. Gli si
appannò la vista.
Non
diede a Tom né il tempo di capire cosa
stesse succedendo, né il tempo di agire che, senza
preavviso, lo abbracciò da
dietro e, avvolgendogli il volto con le mani, lo fece girare verso di
sé,
dimodoché potesse baciarlo. Davanti alle ragazze che,
secondo lui, lo stavano
importunando.
Tom,
ovviamente, non oppose resistenza. Come
poteva opporne? Ogni qual volta che Bill lo baciava, usciva fuori di
testa.
A
quella vista, le ragazze, storsero le labbra
in una smorfia di disgusto: Bill se ne accorse in quanto, mentre era
intento a
divorare le labbra di Tom, aveva semi aperto l’occhio
sinistro, dimodoché
potesse sbirciare l’espressione allibita delle ragazze.
‹‹What
a fuck?›› urlò
una ragazza, mentre le altre si congedavano. Bill, dal canto suo,
sorrise in
maniera maligna, nella sua mente. Era riuscito ad allontanarle.
Sì, aveva
attirato l’attenzione di qualche occhio indiscreto, ma non
gli importava un
fico secco.
Quando
si distaccarono,
Tom lo guardò con aria esterrefatta. Non si sarebbe
aspettato un gesto simile.
‹‹Wow.››
disse
sorridendo, tentando di riprender fiato. ‹‹A cosa
devo tutto questo affetto
improvviso?›› gli cinse il collo con il suo
braccio e, delicatamente, gli baciò
la fronte. Bill avrebbe tanto voluto dirgli che l’aveva
baciato in quel modo
per via di quelle gallinelle che gli stavano girando attorno ma,
ovviamente,
non lo fece. Avrebbe sicuramente frainteso. Quindi, avrebbe deciso di
sorvolare, non dicendo proprio nulla. Sorrise, sperando che
così facendo, Tom
avrebbe trovato da solo la sua risposta.
*
Un
forte vento si era
improvvisamente alzato e, sul ponte, non si poteva più
stare. Le asciugamani
cominciarono a svolazzare dappertutto e l’acqua delle
piscine, iniziò ad
incresparsi.
‹‹Merda
che cazzo di
vento!›› esternò Tom, avvolgendo Bill
fra le sue braccia, come se dovesse
proteggerlo da chissà quale male terreno. Bill, dal canto
suo, si strinse
ancora più forte. Aveva il terrore del vento.
Il
tempo si fece
immediatamente scuro. Delle grosse nuvole cariche di pioggia, coprirono
il
cielo che, fino a qualche istante prima, pareva limpido e sereno.
Presto, una
pioggia torrenziale, si sarebbe abbattuta su di loro.
‹‹Dio
Tom, rientriamo
presto, ti prego. Non voglio trovarmi sotto la
pioggia.›› fece sparire il
proprio volto fra il petto e l’ascella di Tom, stringendosi
quanto più forte
poteva.
‹‹Aspettiamo
solo che
se ne vada tutta questa gente, Bill. Rischieremmo di essere
schiacciati, se
provassimo ad andarcene ora. Tranquillo, ci sono io con
te.››
E
proprio mentre
terminò quella frase, un temporale si abbatté su
di loro. La pioggia cominciò a
cadere copiosa e prepotente, creando pozzanghere nel giro di pochi
istanti.
Come
immaginò Tom, la
gente cominciò a correre, cercando di mettersi al riparo.
Bill e Tom, invece,
restarono abbracciati, vicino al chioschetto, in attesa che la gente
smaltisse.
Il
vento era talmente
forte, tanto da spazzar via tutti gli stand che erano lì
presenti sul ponte,
comprese le sdraio.
‹‹Dio
Tom, ti prego,
rientriamo.››
Era
tutto uguale, come quella volta.
No. Non poteva
accadere di nuovo. Questa volta non era da solo, in mezzo al traffico,
con
l’acqua che arrivava alle portiere della macchina. Eppure
perché gli ricordava
quel giorno? Perché gli stava ricordando quella tempesta?
Cosa avevano detto i
media in merito? La peggiore tempesta
verificatasi negli ultimi dieci anni.
*
‘Alberi
abbattuti, auto distrutte, ferrovie nel caos, e almeno cinque
vittime. La peggiore tempesta dell'ultimo decennio si è
abbattuta ieri sera sul
Nordreno Vestfalia, nella parte occidentale della Germania. La pioggia
violenta, accompagnata da venti forti, talvolta grandine e da molte
scariche
elettriche, ha causato la morte di almeno 5 persone, tutte uccise dalla
caduta
di alberi.
A
Düsseldorf, secondo quanto riferito dalla polizia, tre persone
che
avevano cercato riparo dalla pioggia in una casetta di un giardino sono
state
uccise dalla caduta di un pioppo. I soccorritori sono riusciti ad
estrarre
altri due feriti gravi e uno lieve.
A
Colonia un albero di 20 metri colpito da un fulmine si è
abbattuto su un
ciclista, uccidendolo sul
colpo. A Essen
un uomo che lavorava per ripulire una strada è stato ucciso
dalla caduta di una
pianta.
Ma
la tempesta di ieri sera, ampiamente prevista dai servizi
meteorologici,
ha causato anche il caos nei trasporti ferroviari e stradali
dell'intera
regione, con ripercussioni che si faranno sentire per tutta la giornata
di
oggi. Diversi ritardi all'aeroporto di Duesseldorf.’
Bill
era nel pieno traffico, di ritorno dalla palestra, quando quella
tempesta aveva cominciato ad abbattersi sulla città. Era
così forte che, le
strade, si allagarono nel giro di pochi minuti, causando innumerevoli
disagi;
per non parlare del vento che, soffiando forte, causava lo sbandamento
della
stessa auto del ragazzo. Sembrava stesse su una barca, tanto
ondeggiava.
Ogni
trasmissione radio, raccontava in diretta i disastri che, quella
tempesta – la peggiore negli ultimi dieci anni, come
l’avevano classificata i
meteorologi tedeschi – stava causando.
Era
intrappolato nella propria auto da ormai due ore abbondanti. Non aveva
avuto ancora modo di parlare con i suoi genitori, in quanto le linee
telefoniche, erano praticamente decedute e, tanto meno, non aveva
alcuna
intenzione di uscire dall’auto.
Dovunque
volgesse lo sguardo, vedeva persone che tentavano di ripararsi,
entrando nei negozi o, addirittura, chiedendo di poter entrare in
qualche
automobile; persino una giovane ragazza, chiese aiuto a Bill,
chiedendogli se
potesse entrare, assieme a suo figlio che teneva in braccio. Era un
neonato.
Lui non aveva esitato nemmeno per un secondo.
Quando
entrò, era completamente fradicia, anche suo figlio lo era.
Faceva
freddo e, con i vestiti completamente bagnati, si sarebbe sicuramente
ammalati,
se non peggio.
‹‹La
prego, cerchi di far riscaldare il mio
bambino..›› lo teneva in
braccio. Tremava come una foglia. Lo porse a Bill che, istintivamente,
tese le
braccia in avanti per poter afferrare il neonato.
‹‹Faccia qualcosa, la
prego.››
urlò disperata la ragazza. Bill cercò di
mantenere la calma ma, quando ebbe il
bambino tra le braccia, capì subito il motivo della
disperazione di quella
povera ragazza. Quel bambino, era ormai morto.
Era
freddo come un pezzo di marmo, e bianco, tendente al violaceo. A quel
punto, Bill non riuscì più a mantenere la calma.
Cominciò a tremare, a
respirare pesantemente.
‹‹S-suo
figlio è.. è morto.››
‹‹No.
Non è vero. Non è morto. Lo riscaldi. Lo
riscaldi. Si riprenderà. La
prego.›› la ragazza cominciò ad
agitarsi nell’auto, battendo ripetutamente le
mani sul cruscotto.
‹‹Si
calmi, la prego, si calmi.›› disse Bill, tenendo
ancora in braccia il
piccolo corpicino privo di vita del bambino.
‹‹Mio
figlio. Protegga mio figlio. Lo riscaldi, la
prego.››
Bill
non sapeva più cosa fare. Era il caos più totale.
La pioggia
continuava a cadere violenta su di loro. Il parabrezza, pareva dovesse
rompersi
da un momento all’altro.
‹‹Non
voglio morire.›› si ritrovò poi a
pensare; ma si rese conto d’averlo
detto ad alta voce, quando la ragazza gli rivolse lo sguardo.
‹‹Io
non ho più nessuno, ormai. Non mi resta
nulla.›› e senza aggiungere
altro, la ragazza afferrò delicatamente il corpicino del
bambino e, una volta
ringraziato Bill, uscì dall’auto, sparendo
immediatamente sotto la pioggia.
Non
la rivide mai più.
*
La
nave, seppure fosse
ancora attraccata al molo, oscillava in maniera alquanto brusca e
pericolosa.
‹‹Tom,
i miei genitori;
mia sorella. Devo trovarli.››
Bill
provò a
distaccarsi dalla presa ferrea di Tom – seppure avesse una
gran paura – ma,
l’idea di perdere i propri genitori, lo faceva diventare
matto.
‹‹Tu
non vai da nessuna
parte. Restiamo qui. Anche io non so dove siano i miei amici ma, son
certo che
né loro, né la tua famiglia, siano tanto stupidi
da non mettersi al riparo.
Sono più al sicuro loro di noi.››
*
‹‹Mio
Dio, mamma. Ho
così tanta paura. Ho paura per Bill. Guarda come oscilla la
nave. Guarda!››
urlò Heidi, mentre si stringeva più forte che
poteva a Simone. Avevano trovato
rifugio in un negozietto di Katakolon.
‹‹Anch’io
sono in
pensiero per lui, amore. Son certo che starà al
sicuro.››
‹‹Lui
ha così tanta
paura della tempesta, dopo quella volta.››
Simone
accarezzò
dolcemente il capo della figlia, dimodoché potesse sentirsi
protetta, al
sicuro.
‹‹Andrà
tutto bene,
amore. Presto saliremo.››
Heidi
rivolve
nuovamente lo sguardo verso la nave. Le faceva terrore. Lo stomaco
cominciò a
contorcersi per via della paura. Cosa avrebbe fatto se fosse successo
qualcosa
a suo fratello? Avrebbe preferito morire, piuttosto
che non averlo più con sé.
Nonostante
i continui
litigi e battibecchi che avevano, nessuno dei due, poteva vivere senza
l’altro.
Erano migliori amici, prima che fratello e sorella.
Ti
prego, Dio. Fa che sia con Tom.
*
Tom
lo trattenne forte a sé come se, il suo
unico scopo nella vita, fosse quello di proteggerlo. La nave continuava
ad
oscillare e, di conseguenza, ogni cosa che non fosse saldata al
pavimento, veniva
portava via a causa del vento.
‹‹Ci
sono io con te,
Bill. Non devi avere paura.›› lo
strinse al petto, e lui, inspirò a pieni polmoni il suo
dolce profumo.
Nonostante odorasse anche di varichina a causa della permanenza in
piscina,
l’odore della sua pelle, era inconfondibile. Era
l’odore di Tom.
‹‹Non
lasciami solo.
Non lasciarmi e basta.››
Il
vento continuava ad
ululare e a spazzare via ogni cosa. Pareva di essere in un film horror
di Dario
Argento.
No,
Bill. Io non ti
lascerò mai.
*
Due
lunghissime ore, trascorsero prima della
fine della tempesta. Il ponte era del tutto impraticabile.
Bill
e Tom erano rimasti tutto il tempo
abbracciati, cercando di trovare riparo. Passarono un’ora
sotto la tempesta,
per evitare di essere travolti dalla gente, ormai entrata nel panico
ma, alla
fine, riuscirono anche loro a mettersi al riparo,
all’interno.
‹‹Tom,
ho bisogno di
sapere come stanno i miei genitori. Torniamo al nostro piano,
così potrai
trovare anche tu i tuoi amici.›› Tom non disse
nulla. Annuì e basta. Carezzò
dolcemente la guancia di Bill e gli diede un bacio; lui, invece, gli
strinse
forte la mano.
‹‹Grazie,
Tom. Grazie
per non avermi abbandonato.››
Gli
occhi si riempirono
di lacrime. Portò la mano del rasta vicino la sua bocca.
Inizialmente ci
respirò delicatamente vicino, poi la baciò
più e più volte. Continuò a non
aggiungere nulla.
Cosa
gli stava
succedendo? Perché quel ragazzo appena conosciuto, gli
faceva un effetto così
strano? Perché quando stava accanto a lui, si sentiva
felice? Perché quando si
trovava con lui, gli batteva forte il cuore? Cosa significava tutto
questo? Non
poteva mica innamorarsi di un ragazzo che aveva appena conosciuta e,
per
giunta, europeo. O forse sì? Non era forse il suo
più grande difetto quello? Legarsi
troppo in fretta alle persone? Questa volta però, non poteva
fare errori. Quel ragazzo,
dopo la fine della vacanza, non l’avrebbe mai più
rivisto. Non poteva
innamorarsi di lui. Eppure…
No,
Tom. Non deve esistere nessun eppure. È no. Punto e basta.
‹‹Sei
una persona
indifesa, Bill. Sembri un tipo
tosto…›› disse scherzando, cercando di
sdrammatizzare quella cupa aria che si era creata. Bill
riuscì a sorridere,
seppure debolmente. ‹‹Infondo però,
hai bisogno solo di essere protetto… e lo
farò.››
Okay
Tom. Ti sei fottuto con le tue stesse mani.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo XIV ***
-
Capitolo 14 -
Aveva
avuto così tanta paura di perderlo. Di
non vederlo mai più. Proprio come la volta precedente. Non
appena lo vide
varcare la soglia della sua cabina, scortato da Tom, si
lanciò fra le sue
braccia, scoppiando in un pianto liberatorio. Lo abbracciò
come non l’aveva mai
fatto prima di all’ora. Suo fratello, era esattamente il suo
universo, il suo
mondo intero. Non l’aveva mai lasciata sola, nemmeno per un
secondo,
specialmente quando, il loro padre biologico, tornava a casa ubriaco
marcio.
Quante
volte si era messo in mezzo per
proteggerla? Quante volte si prendeva i calci nelle coste pur di
difenderla?
Quante volte l’aveva aiutata quando era in
difficoltà? Sempre.
Bill
non era un semplice fratello, per lei.
Sebbene si passassero pochi anni, era sempre stato un padre, non un
fratello
maggiore.
La
sua vita, senza Bill, sarebbe finita.
‹‹Ho
temuto di
perderti, Bill. Vedevo la nave oscillare in quella maniera
e… credevo di non
vederti mai più.››
Bill
le accarezzò la
testa, cercando di tranquillizzarla. Le baciava la fronte, e le
sussurrava che
ora, era di nuovo con lei.
‹‹Sapevo
si trovasse
assieme a te, Tom. Lo sapevo.›› Heidi volse lo
sguardo verso il ragazzo con i capelli strani
e, nei suoi occhi,
brillò una luce di gratitudine. Anche Simone e Gordon,
ringraziarono il ragazzo
per non aver lasciato solo il proprio figlio.
‹‹Per
avere quei
capelli così bizzarri, sei davvero l’angelo
custode di mio figlio.›› scherzò
Gordon per smorzare quell’aria cupa che si stava respirando
e, con enorme successo,
riuscì a strappare qualche buffa risata da parte di tutti,
persino da Bill.
‹‹Non
ho fatto nulla,
signore. Eravamo insieme e, d’un tratto, si è
scatenata questa diamine di
tempesta. Non potevo lasciarlo da solo.››
Hai
omesso di dire
‘volevo’, Tom. Tu non volevi lasciarlo da solo, che
è ben diverso da non
potere.
Gordon
si avvicinò al ragazzo e, con segno di
gratitudine, gli dette un’amichevole pacca sulla spalla.
‹‹Questa
sera sei
invitato a cenare al nostro tavolo. Son sicuro che, gli Abdul,
staranno già provvedendo a sistemare il tutto. Non ci sono
stati grossi disagi all’interno della nave, quanto fuori al
ponte. Pare che
quella sia stata la zona più colpita. Mi auguro di riuscire
a cenare.››
Un’altra
fragorosa
risata uscì dalle bocche di tutti. Gordon sapeva davvero
come rendere piacevole
momenti bui e tristi come quello.
Tom
inizialmente fu
titubante. Era davvero imbarazzato all’idea ma, non appena
volse lo sguardo
verso Bill notando i suoi occhi da… come li aveva
soprannominati? Ah sì, da
cucciolo bastonato, si sciolse in un brodo di giuggiole.
No.
Questo non
gliel’avrebbe mai detto.
‹‹D’accordo
signore.
Sarò molto lieto di unirmi a voi, questa sera. Ora, se non
vi dispiace, dovrei
vedere se i miei amici stanno tutti bene. Sono un po’
preoccupato per loro.››
‹‹I
tre americani che
sono con te?››
Tom
annuì.
‹‹Non
preoccuparti. Li
ho visti entrare una decina di minuti fa, prima che arrivaste
voi.››
Disse
Heidi, tranquillizzando Tom. Lui la
ringraziò sorridendo.
‹‹Allora
ci vediamo
questa sera, vero Tom?››
‹‹Sì,
Bill. A stasera.››
avrebbe tanto voluto baciarlo sulle labbra ma, onde evitare scene
alquanto
imbarazzanti, si limitò a fargli una dolce e tenera carezza
sulla guancia.
Bill,
piuttosto
imbarazzato, chinò il capo e guardò in direzione
delle proprie scarpe. Avrebbe
scommesso le sue palle che una volta chiusa la porta, i suoi genitori,
avrebbero cominciato con le battutine. Infatti…
‹‹Ma
di dov’è questo
bel giovane?›› disse Simone, dando una gomitata
complice al figlio.
‹‹Evita
di fare
l’adolescente ficcanaso, mamma.››
‹‹Ma
io sono tanto
curiosa.›› aggiunse poi, supplicando il figlio di
accennarle qualche
pettegolezzo. Bill, ovviamente, non proferì parola. Era
piuttosto riservato su
queste cose. L’unica con cui parlava e di cui si poteva
fidare ciecamente, era
solo e soltanto Heidi.
‹‹Sei
solo una
pettegola.››
*
Ovviamente,
a causa della tempesta, non fu
assolutamente permesso di uscire dalla propria cabina. Tutto
l’equipaggio,
dovette sistemare per far sì che, quel viaggio, continuasse
ad essere
indimenticabile e perfettamente piacevole. Difatti, dopo tre lunghe ore
trascorse all’interno delle cabine, girandosi i pollici, una
voce metallica e
gracchiante, uscì dagli altoparlanti:
Si
informano i
signori naviganti che, da questo momento in poi, è possibile
uscire dalle
proprie cabine in quanto, il nostro equipaggio, si è
immediatamente occupato
dei piccoli problemi che, questa improvvisa tempesta ci ha procurato.
Ci
scusiamo per il disagio dovuto e, a nome di tutto
l’equipaggio, vi auguriamo un
bellissimo proseguimento di vacanza.
Ripeté
lo stesso messaggio in altre cinque
lingue.
‹‹Vado
da Tom per
vedere se Andreas, Gustav e...›› non voleva
pronunciare quel nome. Non ci
riusciva. Era più forte di lui. Non si sarebbe mai e poi
abituato al fatto che
Tom, avesse un amico con lo stesso nome del proprio ex fidanzato.
‹‹E
cosa, Bill?›› disse
Gordon, mentre si accingeva a scegliere i propri abiti per quella
stessa sera.
Era la serata italiana e, tutti i crocieristi, avrebbero dovuto
indossare dei
capi bianchi, verdi e rossi. Abbinamento
di pessimo gusto. Pensò Bill fra sé e
sé.
‹‹…e
poi torno qui a
prepararmi. Ah, e per la cronaca…››
disse prima di chiudere la porta dietro di
sé. ‹‹Non indosserò mai e
poi mai quei tre colori assieme. Posso indossare solo
il bianco e, se proprio vogliamo esagerare, posso mettere due pochette
di
colore verde e rosso. Non di più.››
Heidi
e i suoi
genitori, scoppiarono a ridere all’unisono. Bill era troppo
attento alla moda e
all’abbinamento dei colori.
‹‹Così
sembrerai un
gelataio.›› disse poi Heidi, continuando a
ridere. Bill la fulminò con gli
occhi.
‹‹Ho
la camicia nera
sotto la giacca, idiota di una sorella. Pensa a te,
piuttosto.›› detto questo,
sistemò i vestiti sul letto ed andò nella camera
di Tom.
*
Bussò
tre volte, prima
di fare un passo indietro e di attendere che la porta si aprisse. Si
sentì
prima un tonfo, poi delle risate ed infine, la porta si
aprì. Fu Tom ad aprila.
Era
praticamente nudo.
Portava solo l’asciugamani in vita – che tra
l’altro, reggeva con la mano
destra – e uno in testa, che avvolgeva la sua testa coperta
di dreadlocks. In
una posizione piuttosto buffa: era piegato sulle ginocchia, leggermente
in
avanti con il busto, con un’espressione esausta e, allo
stesso tempo,
divertita.
Dietro
di lui, vide i
suoi tre amici piegati in due dalle risate. Gustav (doveva essere
quello
grosso, se non ricordava male) era sul letto, che si contorceva su se
stesso;
Andreas (quello magro e alto) era per terra che schiaffeggiava la
moquette;
quell’altro invece (No. Quello non aveva un nome, per Bill),
era sulla
poltrona, con le ginocchia al petto, che cercava di non strozzarsi con
le
noccioline che, presumibilmente, aveva preso dal frigo bar.
‹‹Ehi
Bill!››
A
quella visuale, Bill
ingoiò la saliva. Quasi non si affogava. Sgranò
gli occhi e fece parecchi passi
indietro.
‹‹T-Tom-ma-cosa
sta-succedendo lì dentro?›› fece
leggermente capolino nella sua cabina, per
cercare di capire il motivo per il quale stessero ridendo
così tanto, e perché Tom
fosse uscito in quel modo, ancora bagnato.
‹‹Nulla.
Sono
semplicemente uscito dalla doccia.››
Disse
mettendosi in
piedi, mantenendosi al meglio il mini asciugamani che gli copriva
– in parte –
il suo amichetto.
Bill
cominciò ad
agitarsi. Non l’aveva ancora visto nudo. Ancora.
‹‹Diciamo
che, pur di
aprire tu, mentre uscivi sei scivolato.›› disse
ridendo Gustav. Tom lo fulminò
con gli occhi. Bill, immaginandosi la scena, tentò di
trattenere le risate ma,
puntualmente, non ci riuscì. Scoppiò a ridergli
in faccia, divertito.
‹‹BASTARDO!!!!››
Senza
riuscire a
realizzare cosa stesse accadendo, Bill si ritrovò
catapultato in terra, con Tom
sopra di sé. (Sì, aveva ancora
l’asciugamani in vita che gli copriva la
virilità).
‹‹Non
ti azzardare a
ridere di me, signorino.›› con la mano libera,
cercava di trattenere Bill per
terra. Era leggermente più robusto di lui, quindi non gli ci
volle poi così
tanta forza per farlo. Ma forse, era anche Bill che voleva restare in
quella
posizione.
Da
quanto non faceva
l’amore con qualcuno? Smettila di
pensare
queste cose, Bill. Non è il momento. Eppure Tom
era così maledettamente
virile e… e cos’altro? Se non ci avesse provato
con lui, quella volta, di
sicuro l’avrebbe spacciato per etero; non di certo per bisex
o addirittura gay.
Tutto si poteva immaginare, fatta eccezione che quel pezzo di gnocco,
fosse
gay. Si reputava una persona fortunata, quindi.
Bill
resterò
immobilizzato, con lo sguardo perso in quello del rasta. Non sapeva
dove
mettere gli occhi; c’era tanto di quel ben di Dio davanti a
sé. Il petto
scolpito, le spalle possenti, l’addome tonico e visibile, la
clavicola
pronunciata, il vedononvedo dell’asciugamani.
Insomma, gridava da tutti i pori: SESSO.
I
tre amici di Tom,
vedendo che la situazione cominciava a farsi piuttosto imbarazzante,
cominciarono
a guardarsi attorno e, all’unisono, dissero che si sarebbero
andati a fare un
giro, a caccia di ‘pollastrelle’.
Tom
non si accorse
nemmeno che la porta si aprì e si chiuse subito dopo, tanto
era preso da Bill.
Si era perso nei suoi occhi, così profondi ed espressivi.
Non gli ci volle
molto per capirlo. Gli fece una completa scansione. Era così
cristallina come
persona. Era un libro aperto, per lui.
Senza
fiatare cominciò
ad accarezzargli delicatamente la guancia, con il dorso della mano,
sfiorandogli
la pelle, come se fosse porcellana. Bill, a quel tocco così
soffice, quasi
impercettibile, socchiuse gli occhi ed esalò un sospiro.
‹‹Posso
leggere
qualsiasi cosa attraverso i tuoi occhi, Bill.››
cominciò poi, continuando ad
accarezzarlo.
‹‹E
cosa ti dicono i
miei occhi.›› continuava a tenerli chiusi e,
quando li andò per riaprire,
ritrovò il volto di Tom ad un palmo dal suo. Gli
guardò le labbra, poi gli
occhi, poi ancora le labbra.
‹‹Che
hai sofferto
parecchio, che hai bisogno di qualcuno perché hai paura di
rimanere solo, che
hai paura di innamorarti di nuovo, per non
soffrire.›› fece un lieve sorriso,
capendo dall’espressione di Bill, che aveva
c’entrato in pieno l’obiettivo.
‹‹Dico
il vero, giusto?››
‹‹Sì.››
‹‹Rispondi
a questa
domanda, Bill…›› cominciò
poi Tom, soffiandogli leggermente sulle labbra.
‹‹Se
fossi tedesco, o tu americano, potresti innamorarti di una persona come
me?››
Bill
deglutì a fatica.
Gli si formò un nodo alla gola che non riusciva a mandare
giù. Era una domanda
a trabocchetto forse? Cosa voleva sapere con esattezza, Tom?
‹‹Non
capisco cosa
intendi.›› disse facendo finta di non aver
capito; ma Tom riuscì a comprendere
anche questo.
‹‹Non
fare il finto
tonto con me, Bill. La domanda è ben chiara. E tu
l’hai capita eccome. Hai solo
paura di rispondere. Ma ti assicuro, che non c’è
nulla di cui avere paura.››
Questo
aspetto di Tom
cominciava a seccargli (nel senso buono ovviamente). Non poteva avere
segreti
con lui. Come aveva fatto a capirlo in così poco tempo?
Nessuno ci era mai
riuscito per davvero. Nemmeno Georg. Fu costretto a rispondere. Non
aveva altra
scelta.
‹‹Se
tu fossi tedesco…››
la voce gli tremava. ‹‹…forse potrei
innamorarmi di te.››
‹‹E
se non lo fossi? Se
venissi a vivere in Germania, oppure tu a vivere in America? Secondo te
potrebbe funzionare la cosa? Ovviamente sto
generalizzando.››
No,
Bill. Non sta generalizzando. Ti sta facendo una domanda a brucia pelo,
formulata in maniera diversa. Il nesso è sempre quello: ti
innamoreresti di me
anche se vivessimo in continenti differenti?
‹‹Non…non
saprei
risponderti, a dir il vero.›› mentì
Bill; più a sé stesso, che a Tom. La
risposta era tutt’altra. Sapeva benissimo che si sarebbe
innamorato di lui, se
avessero continuato a vedersi. Ma come poteva funzionare fra loro? Un
europeo e
un americano perdutamente innamorati ma divisi dall’Oceano
Atlantico. No. Non
era affatto una bella favola. Almeno, non sembrava affatto
così.
Girò
il volto
dall’altra parte, per non permettere a Tom di guardarlo
mentre gli occhi si facevano
sempre più lucidi. Mancavano appena tre giorni e, quella
bellissima storia,
sarebbe cessata di esistere. Bill ne era più che convinto.
Una volta sbarcati,
sarebbe tornato alla sua solita vita: lavoro-casa-palestra,
palestra-casa-lavoro.
Sul
suo volto, Tom
riuscì a percepire della malinconia e della tristezza. Si
fece improvvisamente
cupo.
‹‹Ehi
piccolo, mi
dispiace. Non volevo ferirti.›› quasi in maniera
impercettibile, Tom accarezzo
con il dorso della sua mano, il viso del ragazzo sotto di
sé; ma questi si
scansò. ‹‹Cosa
c’è che non va?›› si
alzò, sempre tenendosi in
vita l’asciugamani che, ben presto, fu
sostituita da un paio di pantaloni di tuta; era un abbigliamento
più consono.
Bill,
dal canto suo,
restò ancora disteso per terra, a fissare il soffitto basso.
Aveva le mani in
grembo e le gambe leggermente divaricate. Ogni tanto sospirava,
chiudendo gli
occhi e, lentamente, delle lacrime amare gli rigarono il viso.
Tom
si morse il labbro
inferiore, in prossimità dei due labret che aveva. Forse non
doveva dire quelle
cose? Aveva toccato un tasto dolente?
‹‹Non
c’è nulla che non
va, Tom. È solo che…›› fece
una pausa, sospirando tristemente. ‹‹Tra qualche
giorno sarà tutto finito. Ti dimenticherai di me, ed io di
te. Di noi resterà
solo un bel ricordo su questa nave.
Nient’altro.›› si mise seduto sulla
moquette, con le gambe al petto e il volto sprofondato fra le
ginocchia. Tom
notò che cominciò a piangere.
Si
passò entrambe le
mani sul volto, cercando di non fare anche lui la stessa cosa.
Possibile che si
fossero già legati così tanto? Come se si fossero
sempre conosciuti? Come se…se
fossero stati sempre insieme?
Lentamente
si avvicinò
a lui, piegandosi su di un ginocchio e poggiando una mano sulla spalla
di Bill
per poterlo consolare; anche se c’era ben poco da consolare.
‹‹Non
voglio pensare a
quello che accadrà fra qualche giorno. Voglio solo godermi a
pieno il tempo che
ci resta. Dio vedrà in seguito, quello che
accadrà una volta scesi dalla nave. Mai
dire mai nella vita, Bill.››
‹‹No,
Tom. Tu non
capisci. Tu studi a
New York. Io
vendo automobili presso una concessionaria di
Berlino. Abbiamo due vite ben distinte. Uno a un capo, uno ad un altro.
Ti ho
già detto come andrà a finire fra
noi.››
Si
strinse ancora di
più fra le spalle e, senza volerlo, cominciò a
piangere più forte.
‹‹Ehi…››
cominciò Tom,
prendendolo da entrambe le spalle dimodoché si mettesse
dritto. ‹‹Hai
detto che vuoi lasciare un bel ricordo di noi, su questa nave. Per ora
c’è solo il brutto ricordo di quella improvvisa
tempesta e tu che frigni come
un poppante.›› sorrise Tom, nella speranza che
Bill lo seguisse a ruota. Difatti,
fu così. Sul viso umido del ragazzo biondo, si accese un
lieve sorriso che, ben
presto, scomparve nuovamente nel nulla. Era davvero triste, in quel
momento. Il
pensiero di non rivedere mai più Tom, lo faceva star male.
Gli provocava un
dolore al petto talmente forte, quasi da stimolare l’urto del
vomito.
‹‹Smettila
di piangere
come un bambino e abbracciami.›› e, senza
preavviso, Tom lo avvolse con
prepotenza fra le sue braccia, facendo sprofondare il proprio volto,
nell’incavo
della spalla del biondo.
Bill,
dal canto suo,
respirò a pieni polmoni il suo profumo. Non se lo sarebbe
mai e poi mai
dimenticato, così facendo. Gli sarebbe rimasto impresso per
tutta la vita.
‹‹Voglio
dirti una
cosa, Bill…›› aggiunse poi, senza
staccarsi da quella posizione. ‹‹Non
sarà l’oceano
a separarmi da te. Tornerò a
prenderti.››
Si
allontanò
leggermente, così da poter guardare Bill negli occhi. Lui
poté notare che,
anche sul viso di Tom, erano accennate delle lacrime
che, probabilmente, impediva di far
fuoriuscire.
Si
baciarono così tanto
e così intensamente, quasi da dimenticarsi di tutto e di
tutti; quasi da
perdere la cognizione del tempo. Restarono a terra a lungo. Non
c’era nessun
rumore, nessun fastidio, solo loro due e il leggero scrosciare delle
onde che
battevano sulle pareti in metallo della nave; il leggero ondeggiare di
essa, li
trasportava ancora di più nel loro piccolo mondo; quel mondo
che permetteva
loro di restare assieme per sempre. Entrambi però, erano a
conoscenza che non
sarebbe stato così. Almeno, così credevano
andasse a finire.
‹‹Voglio
fare l’amore
con te, Bill.››
Tom
si staccò
improvvisamente da quel bacio e Bill, resterò completamente
paralizzato dalla
proposta.
‹‹C-cosa?››
‹‹Non
voglio
costringerti a fare nulla, Bill. Ti ho solo detto ciò che
sento di fare e ciò
che voglio
fare.››
Bill
deglutì a fatica.
‹‹Ehm…io…io
non lo so
se mi sembra il caso di farlo…non che io non voglia
ma…insomma…››
‹‹Sch!››
lo zittì Tom,
posandogli delicatamente il dito indice sulle labbra. Bill socchiuse
gli occhi.
Dannazione!
Il suo tocco è fottutamente paradisiaco.
‹‹Non
c’è bisogno di
cercare scusanti, Bill. Ho solo espresso un mio
parere. Ho detto che voglio fare l’amore, non che pretendo di
fare sesso.››
disse sorridendo, notando l’imbarazzo di Bill che, alla meno
peggio, cercava di
camuffare.
‹‹C-certo,
Tom. Lo so. È
solo che è tardi e…io devo tornare in cabina per
prepararmi. Non ho ancora
scelto gli abiti che dovrò indossare per la serata
italiana…›› mentì poi. In
quel
momento voleva solo tornare in cabina. L’imbarazzo era
troppo.
‹‹Ci
vediamo questa
sera a cena. Okay, piccolo?›› Passò il
pollice sulle labbra e, d’istinto, Bill
glielo baciò.
‹‹Sì.
A dopo, Tom.››
Senza
troppi giri di
parole, si alzò da terra e si diresse verso la porta della
cabina del ragazzo. Prima
di andarsene, si girò un’ultima volta verso di
lui. Gli mandò un bacio ed uscì.
*
‹‹TU
SEI UN
EMERITISSIMO COGLIONE, fratello mio. Sei un povero sciocco. Ma come hai
potuto
dirgli una cosa del genere? Come hai potuto rifiutare uno gnocco come
quello
lì?››
Bill
avrebbe scommesso
la sua vita; sapeva benissimo che Heidi gli avesse dato una risposta
del
genere. Lei era fatta così. Non si faceva scappare nessuna
occasione buona.
‹‹Non
lo so Heidi, non
mi sembrava il momento più adatto. E poi era
tardi.››
‹‹Ma
chi se ne sbatte,
che è tardi.››
‹‹Sta
di fatto che avrei
potuto fare ritardo alla cena.››
‹‹Sta
di fatto che non
ti sei scopato quel gran pezzo di figo, Wilhelm.››
Odiava
quando Heidi lo
chiamava con il suo nome intero. Lei lo sapeva benissimo. Lo usava
specialmente
per farlo innervosire, o per puntualizzare un qualcosa di sbagliato che
aveva
fatto. Un po’ come la madre Simone.
‹‹Non
mi va di
parlarne, ora. E mi raccomando, non fare battute idiote quando siamo a
cena o
ti giuro che mi prendo la tua vita.››
Heidi
scoppiò a ridere.
Bill non era nemmeno lontanamente minaccioso. Non lo era praticamente
mai.
‹‹Certo.
Sta tranquillo…››
disse lei afferrando la pochette con i trucchi.
‹‹Ah, a
proposito…›› prese il
rossetto rosso e, con il pennello, cominciò a disegnare il
contorno labbra. ‹‹Ho
conosciuto un ragazzo americano che ha lo stesso nome di quel pezzo di
merda
del tue ex fidanzato. Era insieme ad altri due ragazzi. Credo siano gli
amici
di Tom.››
Bene.
Ci mancava solo questa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo XV ***
-
Capitolo 15 -
Bill
sistemò le due pochette di colore verde e
rosso ed aggiustò la giacca bianca, facendola cadere morbida
sui suoi fianchi
magri. Aveva indossato un jeans, alla fine, e non più il
completo bianco;
sarebbe sembrato davvero un gelataio altrimenti, se l’avesse
fatto. Il
dolcevita nero, era perfettamente abbinato a tutto il resto. Avrebbe
fatto la
sua bella figura come sempre.
‹‹Se
continuerai a specchiarti
in questo modo, rischierai di rompere lo specchio signorino
Kaulitz.›› lo
canzonò sua sorella Heidi che, stranamente, aveva terminato
di prepararsi già
da diversi minuti. I loro genitori erano scesi al quinto piano, dieci
minuti
prima.
‹‹Non
rompere il cazzo,
Heidi. Se hai fretta di uscire, va pure.››
Rispose lui acidamente – come sempre, del
resto – Heidi, in risposta, gli fece una smorfia ed il verso,
atteggiandosi a
diva hollywoodiana come faceva suo fratello.
‹‹Ma
perché devi
renderti sempre così fastidiosa?››
‹‹Io
non sono
fastidiosa. Ti sto solo invitando a velocizzare il tuo bioritmo
maledettamente
lento. Se non vuoi passare qui il resto della tua serata,
ovviamente.››
Si
infilò i tacchi neri, abbinati ad un
bellissimo vestito rosso, stretto a tubino e una giacca bianca con i
bordini
verdi. Portava i capelli raccolti in una treccia a spiga di grano,
alta, che
metteva in risalto i suoi luminosi capelli biondi.
‹‹So
che sei agitato
per Tom. Ma devi pur sempre uscire dal guscio che ti sei creato, Bill.
Non puoi
avere paura di chiunque ti si avvicini.››
comprensiva, Heidi si avvicinò al
fratello, mettendogli una mano sulla spalla, intuendo al volo che ci
fosse
qualcosa che non andasse.
Bill
restò a fissare la
sua immagine riflessa nello specchio. Si aggiustò per la
ventesima volta la
giacca.
‹‹So
benissimo che
soffrirò come un cane, quando lo saluterò, fra
qualche giorno. Sono sicuro che
non lo rivedrò mai più, Heidi. Vorrei tanto
prendere le distanze, cercare di
essere il meno coinvolto possibile, ma purtroppo non riesco.
È entrato di forza
nella mia vita e adesso pretende di restarci. Non posso farci nulla,
Heidi. Ho
paura…››
C’era
malinconia e
tristezza, nella sua voce. Heidi lo intuì subito.
‹‹Di
cosa hai paura,
Bill? Cos’è che ti spaventa così
tanto?››
‹‹Vuoi
proprio saperlo?››
Si
voltò verso la
sorella, guardandola negli occhi. I suoi erano pieni di lacrime e di
amarezza.
Li chiuse leggermente, dimodoché le lacrime avessero il via
libera per poter
uscire.
‹‹Certo
che voglio
saperlo. Dimmi.››
Bill
sospirò; ma lo
fece come se un macigno fosse posizionato sopra il suo petto,
impedendogli di
respirare.
‹‹Ho
paura che possa
innamorarmi un’altra volta. In così poco
tempo.››
*
‹‹Io
aspetto che esca
Tom. Non credo sappia dove sia il nostro
tavolo.›› disse Bill rivolgendosi a
sua sorella, andando nella direzione opposta. Heidi fece un cenno con
la mano,
senza voltarsi e sparì nel lunghissimo corridoio. Era una
scusa bella e buona:
‘non sa dove sia il nostro tavolo’. Ad Heidi venne
quasi voglia di ridere; ma
ormai stava diventando una routine.
Bill
era fuori la
porta, in piedi ed immobile come uno stoccafisso. Era maledettamente in
ansia –
okay, ormai era un’emozione che lo tormentava fin troppo, da
quando aveva
conosciuto Tom. – batteva il piede per terra con nervosismo e
schioccava tutte
le dita di entrambe le mani. Se avesse continuato in quel modo, di
sicuro
sarebbe arrivato a mangiarsele persino.
Dai
Tom. E che cazzo. Muoviti.
Pensò
tra sé e sé.
Avrebbe potuto benissimo bussare ma, a causa di forze maggiori, non lo
fece.
Eppure cosa gli costava farlo?
E
se mi si presenta di nuovo seminudo? Potrei anche saltargli addosso e
divorarmelo fino alle ossa. No Bill. Tu moriresti stecchito.
Era
ancora indeciso sul
da farsi e, proprio quando stava per picchiettare sulla porta,
sentì lo scatto
della sicura e, qualche istante dopo, la porta si aprì
– con una certa fatica –
dall’interno.
Bill
indietreggiò
leggermente, facendo sobbalzare Tom.
‹‹Porca
puttana, Bill!
Mi fai prendere dei colpi al cuore se ti piazzi ogni volta
così dietro la mia
cabina.››
Il
biondo sorrise
imbarazzato. Certo che fare figuracce con Tom, gli veniva piuttosto
bene e,
soprattutto, facile.
‹‹Ti
chiedo scusa. Io..
io non sapevo se bussarti o meno.. ancora disturbavo e.. non so..
piglia eri
con qualcuno.. magari.. cioè.. io...››
‹‹Ehi!››
lo bloccò Tom,
parandosi davanti a lui e prendendolo con entrambe le mani da viso.
‹‹Chiudi il
becco. Tu non disturbi. Né ora, né
mai.›› e, senza lasciargli rispondere, lo
baciò forte e in maniera alquanto canora. Si
sentì un forte schiocco delle
labbra, quando si distaccarono. Bill sorrise impacciatamente.
‹‹Quando
imparerai a
non avere più vergogna di me?››
Abbassò
il capo, rosso
in viso e ancora più imbarazzato di prima. Prese il colore
della pochette che
aveva nel taschino della giacca. Tom notò il suo disagio e
decise di sviare il
discorso.
‹‹Sei
bellissimo
vestito in questa maniera, sai?››
Pessima
mossa, Tom. Così lo mandi in iperventilazione. Tu saresti in
grado
di fargli una respirazione bocca a bocca senza violentarlo? No. Forse
no.
‹‹Anche
tu, Tom. Ma non
hai nulla né di rosso, né di
verde!››
‹‹Odio
entrambi i
colori.››
‹‹Sì
ho notato.››
‹‹Non
voglio andare a
teatro. Mi scoccia terribilmente.››
‹‹A
dir il vero anche a
me.››
Ci
fu un attimo di
silenzio, dopodiché Tom, deciso e schietto cambiò
nuovamente discorso. Era un
mago, in questo.
‹‹Non
abbiamo lasciato
qualcosa in sospeso noi due?››
Questa
volta Bill non
rispose. Sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo. Sbaglio era
scappato come
un bambino, prima? Manco fosse la sua prima volta.
Okay,
Tom. Questa è davvero una PESSIMA mossa.
Bill
si guardò intorno,
nella speranza che qualcosa o qualcuno, potesse interrompere
quell’interminabile silenzio imbarazzante. Cosa diamine
poteva rispondere ad
una domanda del genere? Cosa avrebbe dovuto dirgli?
Ma
perché capitano tutte a me.
‹‹Ehm…cosa
avremmo lasciato
in sospeso?››
Disse
cercando di far
finta di niente; ma cominciò a sudare freddo.
Tom
non rispose, chinò
il capo da un lato e sorrise imbarazzato. Si studiò per una
manciata di secondi
le punte delle scarpe, dopodiché volse lo sguardo verso il
biondo. I loro occhi
si incrociarono, cominciarono a cercarsi, a rincorrersi. Era come se si
fossero
sempre conosciuti.
Il
cuore di Bill
cominciò a battere all’impazzata. Provò
a portarsi una mano sul petto, nella
speranza che non fuoriuscisse dalle costole.
‹‹Sai
a cosa mi
riferisco, Bill. Sei scappato come un bambino
prima.›› Tom si avvicinò pian
piano, guardandosi attorno per vedere se qualche occhio indiscreto li
stesse
osservando. Non c’era nessuno.
Bill
si trovò con le
spalle al muro. Cosa poteva dirgli adesso che lo aveva smascherato?
Avvicinò
l’indice e il medio al colletto della maglia, allargandolo
leggermente.
Fa
improvvisamente caldo, o mi sbaglio?
‹‹Tu
non devi avere
paura di me. Né tanto meno devi pensare che voglia farti
qualcosa di male. Mi
piaci davvero, Bill. E voglio godermi questi ultimi giorni assieme a
te. Voglio
che passiamo un po’ di tempo da soli. Temevo che la tempesta
distruggesse tutto
questo e, il nostro addio, sarebbe stato ancora più brutto e
difficile di
quanto già non lo sarà.››
gli afferrò entrambe le mani.
‹‹Ascolta bene le mie
parole, Bill…›› la voce
cominciò a tremargli un po’. Stava forse per
piangere?
No. Non l’avrebbe mai fatto. ‹‹Io non
voglio dirti addio. Non sarà
l’oceano a separarmi da te. Tornerò a prenderti,
un giorno. Te
lo prometto.››
A
quel punto Bill, non
riuscì più a trattenersi. Avvolse il collo del
moro con le braccia e lo baciò
così intensamente, da dimenticarsi di tutto ciò
che lo circondava. Non era più
sulla nave da crociera, ma su una nuvola; non era più sul
mare, ma su in cielo.
La sensazione che gli scaturiva il bacio di Tom, era una delle
più belle
emozioni che avesse mai provato in tutta la vita. Si sentiva
tremendamente
felice. Era in pace con se stesso e il suo cuore era pieno di amore e
di gioia.
Non l’avrebbe lasciato andare via. Non glielo avrebbe mai
permesso.
‹‹Tu
mi hai fuso il
cervello, maledetto.››
Disse
Bill, cercando di
smorzare quell’aria triste. Ci riuscì benissimo.
Tom si mise a ridere e Bill,
per quanto giù di morale potesse essere in quel momento,
riuscì a sorridere
anche lui.
‹‹Non
sono io che ti ho
fuso il cervello, Bill. Sei tu che mi hai reso uno sdolcinato del
cazzo.›› Lo
abbracciò ancora più forte, per quanto possibile
potesse essere.
‹‹Secondo
te sarebbe
meglio andare a cena?›› a malincuore, Bill si
allontanò dal suo caldo
abbraccio; gli bastò uno sguardo per capire che la risposta
era espressamente
un ‘no’.
‹‹Vieni
con me, Bill.››
Lo prese per mano e lo condusse nella sua camera.
‹‹Ti fidi di me?››
Ebbe
un tuffo al cuore.
L’ultima volta che gli avevano detto così, era
stato tradito.
*
‘Ti
fidi di me, amore?’
‘Sì.
Mi fido di te, Georg.’
‘Allora
prendimi per mano e chiudi gli occhi. Non li aprire per nessuna
ragione al mondo.’
‘No.
Non lo farò.’
‘Non
sbirciare.’
‘Non
sbircio.’
*
‹‹Ehm…Tom…non
so se…mi
pare il
caso…insomma…noi…io…››
‹‹Ehi,
taci!›› lo zittì
mettendogli l’indice vicino la bocca. Bill avrebbe tanto
voluto baciarglielo.
‹‹Ti ho detto di avere fiducia in me. Non ti
torcerò un capello, Bill. Non mi
permetterei mai di farti del male, okay? Mai.››
Bill
annuì. Si fidava
di lui. Si fidava davvero tanto. Era forse troppo affrettata come cosa?
Ma poi,
perché stava pensando proprio al sesso? Nessuno gli aveva
detto che dovevano
fare sesso. O sbaglio? Stava facendo inutilmente i castelli in aria.
Che
stupido.
‹‹Sì,
mi fido di te;
ma…tu vuoi…››
No,
Bill. Non dire quella parola. Non dire quella parola.
‹‹Voglio
cosa, Bill?››
continuò Tom mentre, piano piano, lo aveva fatto sedere sul
letto. Non si era
reso conto di nulla.
‹‹Insomma…hai
capito
no?››
‹‹No,
Bill. Non ho
capito proprio nulla.›› cominciò a
baciarlo sul collo e, con la mano destra
poggiata sul suo petto, molto dolcemente, lo fece distendere sotto di
lui. Bill
ancora non si rese conto assolutamente di nulla. O forse non voleva
accorgersi
di nulla di proposito?
Socchiuse
gli occhi e
si lasciò trasportare dal sinuoso movimento della mano del
rasta. Inizialmente,
navigava delicatamente sopra il tessuto del suo dolcevita, solo dopo
che
cominciò a tranquillizzarsi, Tom decise di toccare la sua
pelle diafana e
leggermente accaldata.
Bill
inizialmente si
contrasse, ma il rasta decise di non mollare. Provò a
tastare più forte, ma
sempre con delicatezza, continuando a baciarlo. Il biondo
cominciò a respirare
con affanno, ma Tom ottenne ciò che voleva. Si
tranquillizzò come sperava.
Iniziò
ad accarezzargli
la pancia, l’ombelico, poi salì al petto. Si
soffermò sul capezzolo sinistro:
notò che aveva un piercing.
‹‹Ssh..cazzo,
Bill. Non
dovevi farmelo questo.››
Ansimò
Tom, accentuando
ancora di più quel bacio. Iniziò a diventare
sempre più caldo e passionale. Voleva
che, quel momento, fosse speciale per entrambi. Presto si sarebbero
divisi e
forse, non si sarebbe mai più rivisti. Voleva vivere Bill.
Voleva conoscere
ogni parte di lui; ogni centimetro del suo corpo; il suo profumo.
Voleva
ricordarselo per il resto della sua vita.
Stava
correndo troppo,
forse? No. Forse no. Ma se anche fosse stato così, che
importa? Sentiva di fare
questo, e gli andava bene così.
‹‹Tom…Tom…››
Il
respiro di Bill
cominciò a farsi sempre più corto e sempre
più pesante. Stava succedendo; stava
succedendo dopo tanto tempo. Era quello che voleva, giusto?
‹‹Non
parlare, Bill.
Sta zitto..›› gli sussurrò in un
orecchio, mentre lo mordicchiava leggermente.
Bill venne percorso da una scarica elettrica che partiva dalla zona
lombare, fin sopra
ai capelli. Cominciò
a contorcersi sotto il corpo caldo e robusto del ragazzo sopra di lui.
‹‹Sei
così
maledettamente bello, Bill.››
Gli
morse il lobo, e
Bill gemette.
Sta
succedendo, Bill. Sta succedendo. Adesso basta pensare. Azzera il
cervello e lasciati trasportare.
‹‹Mi
stai facendo
eccitare, cazzo.›› ansimò Tom, mentre
cominciava a muovere il bacino in
direzione di quello del ragazzo. Bill sentì un leggero
rigonfiamento in
prossimità del cavallo; sia da parte sua, che da parte di
Tom. Sentiva crescere
l’eccitazione dentro di sé. Il corpo
cominciò a scottare.
‹‹Anche
tu…›› riuscì ad
annaspare Bill, tra un bacio e l’altro. Era totalmente fuori
controllo, adesso.
‹‹…Non fermati. Non fermati,
Tom.››
Ovviamente
Tom non se
lo fece ripetere due volte.
Iniziò
a mordicchiargli
la pelle sottile del collo, provocandogli delle piccole scosse lungo
tutto il
corpo. Stava cominciando a sudare e ad entrare in iperventilazione.
L’autocontrollo
stava cominciando a farsi fottere; anzi, era già andato a
farsi fottere da un
pezzo.
D’un
tratto, Bill prese
le redini della situazione. Con un colpo di reni, ribaltò la
situazione,
trovandosi a cavalcioni su di Tom. Gli afferrò i polsi,
bloccandoglieli sopra
la sua testa. Lo guardò intensamente. Aveva il fiatone.
‹‹Cosa
c’è? Perché mi
guardi così?›› domandò Tom,
mordendosi il labbro inferiore in prossimità del
piercing. Bill sorrise malizioso e si leccò le labbra,
facendo intravedere il
piercing che aveva sulla lingua.
‹‹Io
ho una regola,
prima di fare l’amore con qualcuno.››
‹‹Sarebbe?››
‹‹Io
sono sempre stato
attivo, Tom; ed ho fatto l’amore solo con il mio ex
ragazzo.››
‹‹E
il punto sarebbe?››
‹‹Il
punto è questo che
ti ho appena detto. Tu sei disposto a fare l’amore con me,
sapendo questo?››
Tom
continuava a non
capire dove e quale fosse il problema in questione.
‹‹Bill,
non riesco a
capire dove vuoi arrivare. Se mi stai chiedendo se a me va bene quello
che mi
hai detto…cosa dovrei risponderti? A me non interessa nulla.
Indipendentemente
da come tu voglia farlo. Mi importa solo farlo con
te.››
Cominciò
a salirgli l’eccitazione
e i suoi pantaloni, ormai, gli calzavano un
po’ troppo stretti in prossimità del
cavallo. Impazziva quando gli davano la piena libertà di
decisione, a letto.
‹‹Non
avresti dovuto
dire così.››
Lo
baciò con foga,
togliendogli quasi il respiro. Iniziò a torturargli il
collo, ad esplorare ciò
che la sua maglia nascondeva. Un piccolo particolare lo
incuriosì parecchio:
Tom aveva il piercing all’ombelico.
‹‹E
questo da dove
salta fuori?›› domandò Bill, guardando
con attenzione il piercing di Tom. Aveva
tanta voglia di giocarci.
‹‹L’ho
fatto quando ho
compiuto diciotto anni. Ed ho fatto anche un tatuaggio. In un posto
poco
visibile.››
‹‹Dove
ce l’hai? Io li
ho quasi tutti visibili.››
Tom
non rispose. Lo
guardò con malizia.
‹‹Se
vuoi continuare a
fare quello che hai interrotto, lo scoprirai tu
stesso.››
A
Bill piacevano da
matti i giochi. Difatti, rispose anche lui al sorriso altrettanto
malizioso. Non
se lo fece ripetere due volte. Riprese a torturare il corpo del rasta,
graffiandolo leggermente con le unghie.
Tom
aveva gli occhi
socchiusi e si mordeva ripetutamente il labbro inferiore in
prossimità del suo
labret. La sua virilità aumentava sempre di più.
Bill lo stava facendo
diventare pazzo.
‹‹Non
avresti dovuto
stuzzicarmi in questa maniera. Adesso sarò costretto a
mandarti fuori di testa.››
rispose Bill maliziosamente, leccando l’ombelico di Tom.
Prese delicatamente
fra i denti il piercing e lo succhiò
Dal
canto suo, il
rasta, si ritrovò ad annaspare per cercare di non soffocare.
Gettò indietro il
capo, mettendo in bella vista il suo pronunciato pomo
d’Adamo. Deglutì la
saliva in eccesso.
‹‹Non
torturarmi in
questa maniera.›› soffocò poi,
afferrando automaticamente il capo di Bill fra
le mani. Le proprie dita scivolarono fra i morbidi capelli del biondo.
Lo
accarezzò con delicatezza. D’istinto, lo fece
abbassare fino al rigonfiamento
dei proprio pantaloni. Bill sorrise maliziosamente
e, da sopra il jeans ormai fin troppo
stretto, gli stampò un sonoro bacio.
Tom
si astenne nel
gemere forte. C’era sempre della gente, accanto a loro e,
sicuramente,
avrebbero potuto sentirli.
‹‹Ti
prego Bill, non
farmi aspettare più. Ti prego.››
Bill
pensò che si fosse
abbastanza divertito, ed era arrivata l’ora di concludere i
giochi. Cominciò a
denudarlo senza nemmeno dargli il tempo di mettere a fuoco la
situazione.
Vedere Tom completamente nudo, fu una visione paradisiaca. Il petto
tonico e
sodo, le spalle larghe, l’addome scolpito e quel dannato
piercing che lo
adornava, le gambe muscolose e possenti. Era favoloso in ogni
centimetro della
pelle.
Bill
avvertì un forte
calore in prossimità del cavallo dei propri pantaloni, non
appena vide il
tatuaggio sull’inguine. Era un teschio di zucchero,
abbastanza grande. Copriva
gran parte del suo inguine, compresa la parte pubica. Voleva
semplicemente
morire.
‹‹Non
vorrai mica
venirti nei pantaloni?›› scherzò Tom,
infilandoci una mano all’interno. Sfiorò
la candida e diafana pelle dell’inguine di Bill,
facendogliela accapponare
decisamente.
‹‹Facciamolo.
Ora. Ti
desidero troppo.›› soffiò poi Bill sul
collo del moro, tentando di trattenere
gli ansimi, senza ovviamente riuscirci. Le gambe cominciarono a
tremargli e
l’aria della cabina, iniziò a diventare
insopportabilmente calda – cosa davvero
insolita in quanto, lì dentro, la temperatura non superava i
18-20 C°. –
‹‹Non
hai paura?››
continuò poi il biondo, accarezzando delicatamente
l’inguine del ragazzo,
proprio là dove c’era il suo tatuaggio. La sua
eccitazione era ormai ben
visibile.
‹‹Io
non ho affatto
paura, Bill. E tu?››
Bill
non rispose. Il cuore
gli batteva più forte che mai. Aveva forse paura? Paura di
cosa, per giunta?
Non c’era nulla di cui preoccuparsi, in fin dei conti. Non
stava facendo sulla
di male; stava semplicemente per far sesso con un perfetto estraneo,
conosciuto
appena qualche giorno fa. Cosa c’era di sbagliato in tutto
questo?
Assolutamente nulla.
Era
un po’ un contro
senso il suo in quanto, sin da quando era un ragazzino, aveva sempre
creduto
che, il sesso senza amore, fosse solo una perdita di tempo. Era un
piacere
momentaneo e che, alla fine, ti lasciava semplicemente vuoto. Lui aveva
sempre
e solo fatto l’amore. Cosa c’era di diverso in Tom
allora? Perché con lui stava
facendo l’opposto di quello che, fino a quel momento, era
stata la sua
filosofia di vita?
‹‹…Bill?
Tutto okay?››
Il
biondo era
completamente sovrappensiero. Non si era nemmeno reso conto che erano
trascorsi
più di una ventina di secondi, dalla domanda di Tom. Scosse
il capo e tornò
alla realtà.
No.
Non c’era nulla di
male nel far sesso con una persona conosciuta da poco tempo;
soprattutto se
questa persona, era Tom.
‹‹No.
Io non ho paura.››
lo baciò con passione e, subito dopo, iniziò a
farci…l’amore?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo XVI ***
-
Capitolo 16 -
I
giorni a seguire, dopo quella sera, li
passarono praticamente sempre insieme: la mattina, durante la visita
alla
città; il pranzo, le cene, e trascorrevano i pomeriggi nella
cabina di Tom.
Ormai, i suoi tre amici, erano stati letteralmente sfrattati.
Georg,
dal suo canto, poteva ritenersi
fortunato in quanto aveva conosciuto la sorella di Bill, Heidi. Gli
unici
poveri sfortunati, furono Andreas e Gustav; ma per loro non era una
grosso
problema, si divertivano ugualmente.
Il
tempo volò letteralmente e, senza nemmeno
che se ne accorgessero, trascorsero sei giorni, ritrovandosi
catapultati
all’ultimo giorno da passare assieme.
Inutile
raccontare della tristezza che in quel
giorno, si respirava. Era immisurabile. La difficoltà di
viverlo, era davvero
un qualcosa di impossibile. Sarebbe stato più difficile di
quanto, sia Bill che
Tom, avrebbero mai immaginato.
*
Bill
mugugnò un qualcosa, prima di aprire
leggermente un occhio, e poi l’altro. La luce del sole che
filtrava dall’oblò
era accecante. Si voltò verso la sveglia e vide che
l’orologio segnava le
07:45. Gettò indietro un braccio, nella speranza di riuscire
ad afferrare la
tenda dimodoché potesse chiuderla e porre fine a quella
tortura; ma, prima che
potesse farlo, qualcuno di prima di lui, lo fece al suo posto.
‹‹Certo
che non ti piace proprio il sole, eh?››
Una
voce calda e tranquilla, lo fece sorridere.
Tom era già sveglio da un po’, ma
preferì restare nel letto assieme a lui. Bill
si accoccolò un po’ di più al suo
petto, abbracciandolo più forte che poteva;
Tom invece, fece sprofondare il viso fra i capelli del biondo,
inspirando il
profumo di shampoo alla vaniglia.
La
sera prima aveva fatto la doccia assieme e,
ovviamente, avevan fatto anche… l’amore forse? Tom
non riusciva a spiegarselo.
Era sesso? Eppure non era solo attrazione fisica la sua. Si fa sesso
con quella
persona che trovi attraente al momento e, una volta finito, ti rivesti
e vai
via; di certo non ci dormi assieme ogni volta.
Tom
era davvero confuso in quel momento.
‹‹Sì,
sono un vampiro. Odio il sole con tutto
me stesso.››
Scherzò
Bill, cercando si infilarsi ancor di
più sotto le coperte, accanto al corpo caldo e ancora nudo
di Tom. Aveva un
buon odore. Sapeva di pulito, di fresco e di bagnoschiuma al cocco.
Avrebbe
voluto svanire nel suo abbraccio, coccolato da quel delicato e soave
profumo.
Era decisamente distinguibile da qualsiasi altro odore. Era il suo, infatti.
Tom
tornò ad accarezzargli i capelli, giocando
con le piccole ciocche bionde. Prese fra le dita la ciocca
più lunga, quella
del ciuffo che ricadeva di lato coprendogli gran parte del volto. Aveva
gli
occhi socchiusi; forse i raggi che filtravano all’interno,
davano davvero
fastidio. Decise quindi di richiudere le tende, lasciando solo un
leggero
spiraglio; giusto quel tanto per illuminare il letto.
Il
rasta riprese a coccolarlo, sfiorandogli
delicatamente le guance coperte di una ruvida barba di due giorni. Bill
si
strinse fra le spalle e cercò di sparire nel morbido e caldo
abbraccio del
ragazzo moro.
Tom,
dal canto suo, era perso nei suoi
pensieri. Guardava un punto qualsiasi della cabina, senza prestarci
troppa
attenzione; anzi, no ne stava prestando affatto. Era completamente
assente. In
quel momento aveva in testa solo e soltanto una cosa: Bill. Quello
sarebbe
stato l’ultimo giorno che avrebbero potuto passare assieme
veramente; l’altro
non era affatto da considerare. Socchiuse gli occhi e, senza nemmeno
che se ne
accorgesse, una lacrima gli rigò il viso. Baciò
forte il capo di Bill e sospirò
abbastanza forte da far comprendere al biondo che qualcosa non andasse.
‹‹Ehi
Tom. Cosa c’è?›› Bill si mise composto sul
letto. Era anche
lui ancora nudo.
‹‹Nulla.››
mentì poi. Bill capì cosa avesse.
Gli afferrò delicatamente i polsi, togliendogli via dal suo
bellissimo viso.
Notò che le sue guance erano bagnate. Gli si strinse il
cuore in una morsa
dolorosa.
‹‹Non
dirmi che non hai nulla, Tom. Perché so
che stai mentendo.›› mise entrambe le mani sulle
sue spalle larghe,
stringendole leggermente.
‹‹Non
me ne capacito, Bill. Non riesco proprio
a non pensarci.›› la voce cominciò a
tremargli. ‹‹È l’ultimo
giorno che
passeremo assieme, questo.››
Non
appena disse così, Bill sbiancò
decisamente. Il suo colorito, da roseo, divenne cereo, come se avesse
visto un
fantasma. Come cazzo era possibile? Come e quando erano passati sei
giorni?
Come?
‹‹Ah…già.››
sussurrò lui, più a se stesso che a
Tom. Fu un flebile suono che, nemmeno lui, forse, riuscì ad
udire. ‹‹Io…non…non
credevo che fosse già arrivato.››
‹‹Invece
sì.›› Tom si alzò
bruscamente dal
letto, lanciando il lenzuolo per aria, lasciando scoperto anche Bill
che, al
contatto con l’aria piuttosto fredda del condizionatore, gli
si accapponò la
pelle.
‹‹Non
voglio passare l’ultimo giorno a
piangermi addosso. Voglio ricordarmelo, Tom. Voglio un bel
ricordo.››
Tom
non rispose. Bill non poteva vedere la sua
espressione in quanto gli dava le spalle. Poteva ammirare solo il suo
fisico
scolpito. Si passò entrambe le mani fra i rasta neri,
dopodiché volse il suo
sguardo verso il biondo.
‹‹Io
non ho la più pallida idea di dove siano
Andreas, Georg e Gustav.››
‹‹Georg,
ieri sera, era con mia sorella. Gustav
ed Andreas, l’ultima volta che gli ho visti, erano al
bar.››
‹‹Sì,
ma io non ho idea di dove abbiano
dormito, intendo. Praticamente gli ho sfrattati dalla nostra stanza per
tutta
la durata del viaggio, quasi.›› sorrise
amaramente. Tornò a piangere.
A
quel punto, Bill decise di alzarsi dal letto
e, dolcemente, lo abbracciò da dietro. Cominciò a
baciargli piano le spalle,
alternandogli a dei piccoli morsi.
‹‹Io
non mi dimenticherò mai di te, Tom.
Mai.››
quelle parole gli morirono in gola.
‹‹No
Bill, ti sbagli.›› cominciò poi, senza
nemmeno girarsi. ‹‹Una volta scesi di qui, tu
tornerai alla tua vita, ed io
alla mia.››
‹‹Ciò
non vuol dire che mi dimenticherò di
te.››
Tom
non rispose. Si scostò a malincuore dall’abbraccio
del ragazzo e si avviò verso il bagno. Si
soffermò sull’uscio.
‹‹Vado
a farmi una doccia. Vieni con me?››
*
Heidi
era accoccolata fra le braccia di Georg
e, attentamente, stava ascoltando la sua lezione di ingegneria
informatica
anche se, sinceramente, non stava capendo un emerito cazzo; ma questo
non
l’avrebbe mai detto.
Erano
sul ponte sei, a prendere beatamente il
sole.
‹‹Non
ti sembra strano?›› cominciò poi il
ragazzo.
‹‹Cosa?››
disse Heidi, senza distaccare il capo
dalle sue spalle. Continuava a giocare con le sue dita affusolate.
Quanto a
lui, invece, giocava con i suoi morbidi capelli biondi.
‹‹Che
domani, a quest’ora, ognuno ritornerà
alla propria vita.›› proseguì
tristemente lui. Heidi non rispose. Fece un lungo
sospiro e socchiuse gli occhi.
‹‹Mio
fratello non la prenderà affatto bene,
questa storia. A pensare che, inizialmente, non voleva affetta
venire.›› Heidi
si alzò dalla sdraio la quale, poco prima, stava
condividendo con Georg. Prese
il copricostume e se lo annodò in petto.
‹‹Nemmeno
Tom sta così tanto bene. Io non
capisco come abbiano fatto a legarsi così tanto, in
così poco tempo.›› anche
Georg si alzò.
‹‹Bill
è stato innamorato solo una volta, in
tutta la sua vita. Ha avuto un solo ragazzo che, per giunta, ha il tuo
stesso nome…››
puntualizzò Heidi, ridendoci su.
‹‹…ed è stato tradito.
Aveva smesso di uscire,
di frequentare gente, di fare qualsiasi cosa. Si era rintanato in caso
davanti
al computer. Si alzava solo per andare a lavoro, in palestra, e per
mangiare.
Passava tutto il suo tempo a scrivere e ad ascoltare musica. Dio solo
sa cosa ha
passato in quel periodo…››
Georg
la stava ascoltando con molta attenzione
e comprensione.
‹‹Mio
fratello è una persona molto fragile. Non
lo vedevo così felice da quando ha troncato con il suo
ex.›› prese la sua
grande borsa di paglia, il cappello – anch’esso di
paglia – e si infilò le
infradito. Faceva davvero caldo, quel giorno.
‹‹Credo
che, una volta sbarcati, non si
riprenderà tanto facilmente.››
guardò il ragazzo con un’aria preoccupata e
Georg, ricambiò.
‹‹Sai
cosa penso, Heidi?›› le mise dolcemente
un braccio attorno alla spalla.
‹‹Cosa?››
‹‹Credo
che quei due disgraziati, si siano
innamorati.››
Heidi
non rispose. Non sapeva davvero cosa
dire; ma era più che certa, che Georg avesse ragione. Suo
fratello si era
innamorato, dopo tanto tempo, di un ragazzo che non avrebbe mai
più visto.
*
Simone
e Gordon erano indaffarati nel sistemare
le loro valigie. L’indomani, avrebbero dovuto lasciare la
stanza alle nove del
mattino. Lo sbarco sarebbe cominciato alle dieci, e loro facevano parte
del
gruppo che sarebbe dovuto scendere per secondo.
I
loro figli erano praticamente spariti. Non
vedevano Bill da tre giorni, Heidi da due; anche se sapevano benissimo
dove
fossero, quindi erano più che tranquilli.
‹‹Tu
come credi che la prenderà Bill? Io lo
vedo piuttosto preso da quel giovane.›› disse
Simone, mentre cercava di far
entrare tutta la roba del figlio nelle sue valigie. Gordon
sussultò un attimo,
prima di rispondere.
‹‹Tu
conosci tuo figlio meglio di chiunque
altro. Ho cresciuto Bill come se fosse mio, ma tu sei sua madre,
tesoro. Sai
meglio di me che Bill, se si affeziona ad una persona, perderla
è sempre un
trauma, per lui. Prendi l’esempio di quell’altro
ragazzo. Com’è che si
chiamava?››
‹‹Georg.››
Simone disse con una punta di odio
quel nome. Se avesse dovuto fare un paragone, di sicuro avrebbe
paragonato
l’odio verso Georg, con quello che provava per il suo ex
– defunto – marito;
con la sola differenza che non avrebbe mai avuto il coraggio di
ucciderlo. O forse sì?
‹‹Esatto.
Ricordi cosa ha passato, vero?››
‹‹Certo
che me lo ricordo, Gordon. Perché parli
di questo, adesso?›› proseguì Simone,
sforzandosi. Non riusciva a far entrare
la roba di Bill nella valigia. Era troppa. Ci mise un po’ di
forza.
‹‹Perché
non vorrei che nostro figlio vivesse
la stessa identica cosa.››
Alla
fine Simone, riuscì a chiudere l’ultima
valigia di Bill. Sfiatò e si pulì la fronte
– in gesto teatrale – con il dorso
della mano.
‹‹Me
lo auguro anche io. Anche se non credo sia
innamorato di questo ragazzo. Sarà solo infatuazione la sua;
almeno spero sia
così.››
*
Bill
e Tom salirono all’ultimo piano per andare
a fare colazione. Non c’era nessuno di loro conoscenza. Molto
probabilmente,
vista l’ora – erano le dieci passate –
avevan tutti già fatto colazione.
Tom
stringeva forte la mano del ragazzo.
Entrambi presero un vassoio per poter fare, un’ultima volta,
colazione insieme.
Non c’era molta gente. Fortunatamente i cuochi, erano sempre
pronti a sfornare
cibo su cibo. C’era un profumo di waffles e di krapfen
fantastici. Da quanto
tempo Bill no ne assaporava uno? Da quanto tempo non degustava una
morbida,
profumata, grassa, fritta e zuccherata pasta di un krapfen?
Tom
si diresse automaticamente verso il
‘reparto dei salati’; era inusuale in America far
colazione con cornetto e
cappuccino, così come in Germania ed Inghilterra. Prese uova
strapazzate, fette
di prosciutto cotto, due fette di toast imburrate e del succo
d’arancia. Bill,
invece, passò più e più volte dal
reparto ‘dolce’, inspirando a pieni polmoni
il profumo delle brioche calde, come se fosse droga. C’erano
anche i bretzel al
cioccolato e uvetta, con i canditi e con lo zucchero a velo.
Bill,
è l’ultimo
giorno. Non fare il solito apatico morto di fame. Mangia un cazzo di
dolce.
‹‹Ehi
Bill, ci sei?››
Non
si era accorto che Tom era a diversi metri
da lui ed aveva già riempito il vassoio, mentre il suo era
ancora completamente
vuoto.
‹‹Non
hai fame?›› disse poi il rasta,
avvicinandosi al biondo. Bill scosse la testa.
‹‹Sì,
son solo indeciso su cosa prendere. C’è
tanta di quella roba buona.›› Tom gli
accarezzò la guancia, sfiorandola
delicatamente con l’indice.
‹‹Non
ti ho mai visto prendere qualcosa di
grasso, da quando ti ho conosciuto. Si vede che tieni molto alla tua
linea, ma
almeno oggi, fallo per me. Prendi ciò che vuoi
realmente.››
Bill
sospirò e tornò a guardare i suoi adorati
bretzel. Ci pensò qualche secondo, prima di rispondere.
‹‹Ma
sì, chi cazzo se ne fotte. Dopo tutto
l’esercizio fisico che ho fatto in questi
giorni…›› guardò
maliziosamente Tom
ed entrambi scoppiarono a ridere.
Bill
prese due bretzel: uno al cioccolato e
uvetta, l’altro con lo zucchero a velo, della frutta ed un
bicchiere di latte.
Una
volta riempiti i vassoi, si diressero verso
il primo tavolo libero.
*
Bill
aveva tirato appena due morsi al proprio
bretzel e sorseggiato a malapena il suo latte. Continuava a
giocherellare con
il cibo, facendolo a pezzettini e sbriciolandolo nel vassoio. Tom stava
masticando piano, guardando la reazione di Bill. Non aveva proferito
parola
praticamente per tutta la durata del pasto. Aveva passato tutto il
tempo a
guardare il suo vassoio e a schifare il cibo come se fosse la cosa
più
disgustosa di questo mondo.
‹‹Bill,
si può sapere cos’hai?››
iniziò Tom,
prendendo la mano del ragazzo seduto di fronte a lui. Bill la ritrasse
volontariamente. Continuò a non rispondere.
‹‹Bill,
non hai parlato per tutto il tempo. Mi
dici cosa ti ho fatto?››
Niente.
Tu non
c’entri niente, imbecille.
‹‹Non…non
mi va semplicemente di parlare.››
‹‹Sì,
okay. Così di punto in bianco non ti va
più di parlarmi?››
‹‹Non
ho detto che non voglio parlare con te.››
sbuffò poi Bill, riducendo a brandelli quel che restava del
suo bretzel, fra le
mani. Perché si stava comportando in questa maniera?
‹‹Pensavo
che volessi mangiarlo quel dolce, non
che lo volessi ridurlo in briciole.››
‹‹Non
ho fame. Non ho voglia di fare
assolutamente nulla, in questo momento.›› lo
sguardo di Bill era sempre riverso
sul vassoio. Non aveva il coraggio di guardare Tom negli occhi. Sapeva
che, se
l’avesse fatto, sarebbe scoppiato a piangere e, questa volta,
non si sarebbe
fermato.
‹‹Vuoi
guardami, almeno?›› Tom prese con
prepotenza il volto di Bill fra le mani, costringendolo a guardarlo
negli
occhi. Il ragazzo, a questo punto, fu costretto a volgere la sua
attenzione a
quegli occhi color nocciola.
Mio
dio, ma cosa sono
quegli occhi?
Continuò
a non rispondere. Si perse
letteralmente nella profondità del suo sguardo. Era
così maledettamente
travolgente. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza vederli mai
più? Come
poteva svegliarsi la mattina, col pensiero di non averlo con
sé? No. Non ce
l’avrebbe fatta.
Improvvisamente,
gli occhi cominciarono a
riempirsi di lacrime e, quando andò per chiuderli, una serie
di gocce amare,
rigarono e segnarono il viso del biondo.
‹‹Non
voglio lasciarti, Tom. Non voglio dirti
addio.›› baciò delicatamente le mani
del rasta, stringendole ancor più forte
contro le sue guancia, come se fosse stata l’ultima volta che
l’avrebbe
toccato; anzi…era l’ultima volta.
Vedere
quella scena, per Tom, fu un vero e
proprio colpo al cuore. Vederlo piangere, era un dolore davvero molto
forte.
Gli mandava in frantumi tutto il corpo.
‹‹Ti
ho già detto che ci rivedremo, Bill. Non
sarà l’oceano a separarci. Ricordatelo
sempre.››
‹‹Non
dire cazzate, Tom. Sai benissimo che è
praticamente impossibile. Ci separano diecimila chilometri. E Poi, tu
stesso
hai detto che ognuno tornerà alla sua
vita.››
‹‹Esistono
gli aerei, Bill. E quello che ho
detto stamattina, non può influisce su quello che ti ho
appena detto. Mi ero
alzato con il piede sbagliato, e stavo pensando in negativo. Poi
però, una
volta aver fatto l’amore con te, mi son sentito
meglio..››
‹‹Non
fare promesse che poi non puoi mantenere,
Tom. Non giocare con i miei sentimenti; non lo
fare.››
Si
alzò dal proprio posto, mettendosi in piedi
davanti la vetrata con lo sguardo riverso sul mare. C’era un
giorno di
navigazione, per arrivare a Venezia; la nave non avrebbe attraccato.
Aveva
le braccia incrociate sul petto e lo
sguardo malinconico. Tutto quello, l’indomani, sarebbe
finito. A pensare che,
sei giorni prima, quel viaggio, gli sembrava la cosa peggiore che gli
fosse mai
capitata in tutta la vita. Cos’è che aveva detto?
Avrei
preferito
restare a Berlino assieme a te, Sarah.
Già,
Sarah, la sua migliore amica a cui non
aveva mandato nemmeno un messaggio. Era così preso da Tom,
che si era
totalmente dimenticato di avere una vita, al di fuori della nave. Cosa
avrebbe
fatto, una volta sceso? Si era talmente abituato alla sua presenza.
‹‹Ma
perché devo incontrare sempre le persone
sbagliate?›› disse poi ad alta voce. Tom non
l’udì. Sì alzò ed
andò verso di
lui, abbracciandolo da dietro, baciandolo successivamente sul collo.
Poco gli
importava della gente che c’era attorno;
d’altronde, nessuno li guardava con
disgusto. Ognuno si faceva i fatti propri.
‹‹In
che gruppo sei tu?›› chiese poi Bill,
girandosi verso il ragazzo.
‹‹Credo
nel gruppo quattro. Perché?››
‹‹Io
nel gruppo due.››
‹‹Scendi
per secondo, quindi.››
‹‹Già.››
Calò
il silenzio.
‹‹Dovrei
andare in camera mia, adesso.
Sicuramente i miei genitori si staranno chiedendo che fine abbia fatto,
e forse
dovrei aiutare mia mamma a fare le valigie. Ci vediamo dopo, se ti
va.››
Bill
stava per voltargli le spalle, quanto si
sentì afferrare delicatamente per il polso. Tom lo stava
guardando come solo
lui sapeva fare. Gli bastò leggerlo negli occhi il messaggio
che voleva
mandargli. Non andare via. Resta qui; ma
doveva andare, questa volta.
‹‹Ti
aspetto in piscina alle tre in punto.››
disse allora Tom, e lasciò andare il polso del ragazzo. Lo
vide sparire fra i
tavoli, e solo dopo aver perso completamente la sua visuale,
scoppiò a piangere
anche lui.
*
‹‹Mamma,
mi hai sistemato tutta la roba! Ma non
dovevi.›› disse sarcastico Bill, battendo le mani
compiaciuto.
‹‹Diciamo
che è stata un’impressa piuttosto
ardua, la mia. Non so come tu abbia fatto a cacciare dentro tutta
quella roba.
Ho speso più di due ore della mia vita a sistemare tutto
dentro le valigie.››
Bill
rise, ma dentro di sé stava letteralmente
morendo.
*
‹‹Chi
non muore si rivede eh, Tom?›› disse
Georg, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Tom sorrise e
ricambiò il
saluto.
‹‹Ho
saputo che anche tu hai avuto impegni, mio
caro amico…almeno te la sei portata a
letto?››
‹‹Ma
la smetti di prendermi per il culo,
idiota?›› i due risero con gusto.
‹‹E comunque sì, ci sono andato a
letto. È
davvero una bella ragazza, grintosa e dolce allo stesso
tempo, ma non è il mio tipo. Sì, ci
siam
divertiti assieme, ma lo sai meglio di me, sono solo storielle estive
queste.
Quando potrò mai rivederla? Insomma, lei è
tedesca, noi siamo…merda.››
Solo
dopo si accorse di ciò che stava dicendo.
Non si rese minimamente conto che, quelle parole, stavano letteralmente
uccidendo l’anima di Tom.
Tom
lo stava guardando affranto.
Georg
ha ragione.
Georg ha fottutamente ragione.
‹‹Mi
dispiace Tom. Io…io ho solo detto la mia.
Mai dire mai nella vita…magari tu sei più
fortunato di me…››
‹‹No,
Georg. Hai ragione. Sono io che mi sono
illuso. Bill mi ha detto la stessa cosa, oggi. Io non lo
rivedrò mai più. È una
cosa troppo improbabile. Ed io come uno stupido che ci
credevo.››
Strinse
forte i pugni, serrò gli occhi più
forte che poté. Georg, comprensivo, gli accarezzò
un braccio.
‹‹Devi
fartene una ragione, Tom. Non puoi
avvelenarti così, per un ragazzo che conosci a
malapena.››
‹‹Non
puoi capire, Georg. Non puoi capire.›› e
prima che l’amico potesse aggiungere altro, si
ritrovò il rasta chino sulla sua
spalla, a piangere forte. In quel momento si sentì
letteralmente impotente.
Anche Andreas e Gustav, provarono a consolarlo, ma senza buoni
risultati.
*
Bill
stava aspettando da quasi un’ora, dove si
erano dati appuntamento; ma di Tom, non c’era traccia. Aveva
percorso circa
venti volte il ponte, per ammazzare il tempo. Si fregava le mani. Era
agitato.
Se n’era dimenticato, forse? Decise di aspettare un altro
po’. Stava guardando
l’orologio ogni cinque minuti, nella speranza di vederlo
arrivare, da un
momento all’altro. Attese un’altra ora; ma Tom,
quella volta, non venne.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Capitolo XVII ***
-
Capitolo 17 -
Bill
tornò nella sua camera sbattendo – per
quanto fosse possibile – la pesante porta. Non
c’era nessuno. Afferrò
violentemente il telefono e pigiò i numeri della cabina di
Tom.
Uno,
due, tre,
quattro, cinque squilli.
Chi
è?
Una
voce ovattata ed assonnata gli rispose
svogliatamente.
Bill
venne improvvisamente pervaso dalla
rabbia. Sentì il suo stomaco abbandonare il proprio corpo
per poi posarsi lì,
accanto a lui sul letto.
‹‹Dov’è
Tom?››
Non
si presentò nemmeno. Era inevitabile che
fosse Bill.
Ehi
Bill! Tom sta
dormendo. Stavamo dormendo un po’ tutti, a dirla tutta.
Volevi qualcosa in
particolare?
Bill
sentì il nervosismo ribollirgli nelle
vene. Se fosse stato capace di incenerire le cose con la sola forza del
pensiero, di sicuro la cornetta del telefono a quest’ora,
sarebbe un mucchietto
di cenere posata sul copriletto. Socchiuse gli occhi ed
espirò profondamente
dalle narici facendo volutamente parecchio rumore. Pareva un toro
inferocito. Se c’era una cosa che Bill odiava più
di qualsiasi altra cosa al
mondo, era aspettare inutilmente qualcuno e, soprattutto, essere preso
per il
culo.
‹‹No.
Nulla di particolare. Solo che mi ha
fatto aspettare un’ora, come un coglione. Digli semplicemente
di andare a
fanculo, e che mi poteva benissimo avvisare che preferiva dormiva,
piuttosto
che stare con me.››
Andiamo
Bill, non
prendertela. Tom sta un po’ giù di morale. Vieni
qui in camera con noi, lo
sveglio adesso.
‹‹No
lascia stare.›› non sapeva nemmeno chi
stesse dall’altra parte della cornetta.
‹‹Non vorrei svegliarlo dal mondo dei
suoi sogni del cazzo. Anzi, sai cosa ti dico? Digli di non venire a
salutarmi
domattina. Se c’è una cosa che odio, è
essere preso per il culo. Digli che è
stato bello conoscerlo. Addio.››
Non
diede nemmeno il tempo all’altra parte di
rispondere, che riagganciò, sbattendo forte la cornetta.
‹‹Vaffanculo!
Vaffanculo! VAFFANCULO!››
Urlò,
tirando un calcio contro il muro, facendo
un forte baccano.
‹‹Sapevo
di essermi semplicemente illuso. Sono
un fottuto coglione.›› si accasciò sul
letto, tentando di cacciare indietro le
lacrime che, presto, presero a scendere lungo le sue guance. Chiuse gli
occhi e
sospirò. Il suo cuore era distrutto. Si portò un
braccio sul viso dimodoché
potesse essere coperto e, silenziosamente, cominciò a
piangere.
*
‹‹Chi
era che urlava come un dannato alla
cornetta?››
Georg
si stropicciò entrambi gli occhi, facendo
uno sbadiglio.
‹‹Chiudi
quel fottuto lume, Gustav. Sto provando
a dormire, cazzo.›› imprecò Tom,
coprendosi con il piumone fin sopra la testa,
lasciando intravedere qualche rasta nero.
‹‹Era
Bill, Tom. Ed era molto incazzato.››
Non
appena disse così, Tom scattò come una
molla; come se gli avessero dato la carica.
‹‹Merda!
Dovevo incontrarlo in piscina. Che
cazzo di ora è?›› guardò
l’orologio. Erano le 18:02. Si maledisse in una lingua
che nemmeno lui conosceva, picchiandosi più volte la fronte.
‹‹Dio, sono un
fottuto deficiente.›› Gustav sospirò
ed annuì silenziosamente.
‹‹Gli
hai dato buca. Non l’ha presa molto
bene.››
‹‹E
ci credo. Sono stato un vero idiota. Come
ho fatto a dimenticarmi?››
‹‹Tom,
per favore, vai a lamentarti da un’altra
parte. Io vorrei dormire ancora un
po’.›› sospirò Andreas,
tirando una cuscinata
in faccia al rasta.
‹‹Cosa
ti ha detto?›› Tom lo ignorò
completamente.
‹‹Devo
citarti tutto ciò che mi ha detto? Non
credo che ti farebbe molto piacere sentirtelo dire. Ti consiglio di
alzarti e
andare da lui. Adesso!››
Tom
non se lo fece ripetere due volte. Non
dovette nemmeno togliersi le scarpe, visto che aveva dormito
così com’era
tornato in camera. Non si dette nemmeno un’aggiustata ai
capelli. Uscì
scompigliato e scomposto. Poco se ne importava in quel momento.
Si
chiuse la porta alle spalle e si mise a
correre lungo il corridoio, fino a raggiungere la camera 10483.
Bussò un paio
di volte.
‹‹Vattene
a fanculo, Tom. Sparisci.››
Era
inevitabile che fosse lui. Heidi, Simone e
Gordon avevano la chiave magnetica. Solo un povero disgraziato e
disperato Tom
poteva bussare alla porta.
‹‹Bill,
per favore, aprimi.››
‹‹Credo
di essere stato abbastanza chiaro.
Lasciami in pace. Torna a dormire.››
‹‹Per
favore, non farmi urlare come un
deficiente. La gente mi guarda male.››
voltò lo sguardo a destra e a sinistra,
notando la gente che lo fissava in maniera stranita.
‹‹Sai
cosa diamine me ne fotte. Non voglio
vederti.››
‹‹Io
non mi schiodo di qui fin quando non esci.
Dovrai uscire, prima o poi. Posso aspettare qui anche tutta la notte.
Ecco, ora
mi siedo persino in terra, davanti la tua porta.››
‹‹Non
fare il coglione, Tom. Va via.››
‹‹Ho
detto che resto qui.››
Bill
ringhiò. Tom non udì più nulla, solo
dei
passi pesanti e trascinati; dopodiché, la porta si
spalancò in un attimo e, con
un balzo, si mise nuovamente in piedi.
‹‹Cosa
cazzo c’è?››
‹‹Mi
fai entrare?››
‹‹No.››
‹‹Mi
dispiace.››
‹‹Mi
ci pulisco il culo con le tue scuse.››
provò a chiudere la porta, ma Tom la bloccò con
il piede.
‹‹Guarda
che te lo spezzo se non lo togli
immediatamente di lì.››
‹‹E
tu provaci. Non mi schiodo di qui fin
quando non mi farai entrare.››
Tom
mise il broncio ed incrociò le braccia al
petto. Quella maledetta porta era così pesante che, per un
momento, pensò
davvero di spezzarsi il piede. Voleva ululare dal dolore che stava
provando ma,
per suo orgoglio, non lo fece. Continuò a guardare Bill
insistentemente, fino a
quando non cedette.
‹‹Oddio,
sei un fottuto bambino. Avanti, prego,
entri pure a rompermi
l’anima anche
l’ultimo cazzo di giorno di questa fottuta crociera dei miei
coglio—›› non fece
in tempo a finire la frase che la sua bocca venne avvolta da quella di
Tom.
Bill
lo spinse – con riluttanza – lontano da
sé.
‹‹Non
ti ho dato il permesso di baciarmi.››
‹‹Non
ho bisogno di alcun permesso per
baciarti.›› ghignò Tom, spingendo Bill
sul letto. Lui cadde all’indietro,
atterrando con i gomiti sul materasso e con le gambe leggermente
divaricate. Lo
guardò con una smorfia.
‹‹Non
ho alcuna intenzione di scoparti.››
‹‹E
chi l’ha detto che sarai tu a scopare me,
mio caro Bill? Credo che anche tu debba essere premiato una volta
tanto.›› lo sguardo
di Tom si fece sempre più inteso e penetrante. Gli occhi
ambrati del rasta
erano maledettamente persuasivi. Bill sapeva che, alla fine, avrebbe
ceduto;
ma, per adesso, voleva divertirsi a snobbarlo ancora un po’.
‹‹Non
ho alcuna intenzione di essere scopato da
uno sconosciuto, allora; che mi fa aspettare come un coglione e
facendomi uno
di quei mega bidoni mai visti prima d’ora. Quindi, Thomas, puoi girare i tacchi e andare a
scopare qualcun altro. Non
me, grazie.››
Tom
ghignò ancora una volta e, lentamente, si
avvicinò al piedi del letto sfiorando leggermente le cosce
di Bill. Si trovava
praticamente in mezzo ad esse.
‹‹Perché
mi hai lasciato come un deficiente,
oggi pomeriggio?›› Tom non rispose, si strinse
nelle spalle e si accasciò
accanto a Bill, spalmandosi completamente sul letto. Bill lo
guardò accigliato.
‹‹No, fa pure come se fossi a casa tua, Thomas.››
‹‹La
smetti di chiamarmi così?››
Bill
si mise diritto sulla schiena e sorrise in
maniera perfida ma, allo stesso tempo, divertita.
‹‹Così
come, scusa? Thomas non
è il tuo nome?››
‹‹Thomas
lo usa mia madre quando è molto
incazzata. 23 ore su 24 sono
semplicemente Tom.›› il rasta chiuse gli occhi e,
con un cenno della mano,
invitò il biondo a distendersi accanto a lui.
Così fece. Poggiò la testa sul
cuscino che, in quel momento, stava dividendo con Tom. Il moro gli
avvolse la
spalla con il braccio destro dimodoché Bill potesse
accoccolarsi. Prese a
giocare con un suo rasta, guardandolo e ripassandoselo fra le dita
affusolate.
Anche Tom prese a giocare con i suoi capelli. Entrambi avevano uno
sguardo
perso nel vuoto. Nessuno osò proferir parola per quasi
cinque minuti.
‹‹Scusami
se non sono venuto, oggi. Mi sono
addormentato.››
‹‹Vaffanculo.
Pensavo di passare un bel
pomeriggio in piscina visto che, l’ultima volta, stavamo
quasi per morire
annegati a causa della tempesta improvvisa.››
Bill si mise seduto sul letto e
guardò Tom. Aveva le spalle leggermente ricurve e
un’espressione cupa. ‹‹Oggi
è
l’ultimo giorno. L’ultimo,
Tom.››
La
sua voce risultò spezzata. Avrebbe voluto
piangere come un bambino, ma non lo fece.
‹‹Non
ho praticamente voglia di fare un cazzo.
Voglio solo passare queste ultime ore con te e nessun altro, Bill. Non
voglio
andare a cena, non voglio andare in discoteca, non voglio andare da
nessuna
parte.››
‹‹E
invece sì, Tom. Andremo a ballare in
discoteca e ci divertiremo. Voglio avere un bel ricordo di questa
esperienza.
Non voglio passarla a deprimermi. Meno ci penso e meglio
è.››
Si
alzò dal letto e si diresse verso il bagno.
‹‹Ho
voglia di farmi una doccia fredda. Voglio
schiarirmi le idee.››
Tom
lo fissò con un sorriso beffardo. Sapeva
dove Bill volesse andare a parare.
‹‹Okay,
Bill. Io ti aspetto qui allora.››
Bill
gli lanciò un cuscino sulla faccia, poi
una sua scarpa e un qualcos’altro che trovò a
portata di mano.
‹‹Sai
benissimo che voglio che tu venga con me,
cretino!››
Tom
scoppiò a ridere e gli rilanciò tutto
ciò
che, poco prima, Bill gli aveva gentilmente tirato addosso.
‹‹Lo
sapevo già. Volevo solo sentirtelo
dire.››
si alzò goffamente dal letto facendolo e si
avvicinò a Bill in maniera molto
cauta e, con dolcezza, gli cinse i fianchi, avvolgendogli le labbra in
un lungo
e romantico bacio.
‹‹Era
un ‘Anche io?’›› chiese poi,
distaccandosi leggermente, ma senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
‹‹A
cosa, Tom?››
Tom
sorrise. ‹‹Nulla, lascia
stare.›› e lo
baciò un’altra volta.
*
La
musica era tremendamente alta e, i ragazzi,
si stavano divertendo come matti. Georg, Gustav, Andreas, Tom, Bill ed
Heidi,
stavano ballando, saltando e cantando in pista. Le luci stroboscopiche
riflettevano ovunque, illuminando i loro volti e colorandoli di colori
sgargianti. Bill
aveva i capelli
completamente disordinati e, i dreads di Tom, saltellavano
contemporaneamente e
in maniera coordinata ai suoi movimenti.
‹‹SEI
BELLISSIMO!›› urlò Tom, guardando
Bill,
cercando di sovrastare la musica; senza però riuscirci.
Difatti, Bill lo guardò
stralunato.
‹‹COME?››
gridò successivamente Bill, porgendo
l’orecchio verso Tom.
‹‹HO
DETTO CHE SEI BELLISSIMO.››
Questa
volta Bill l’aveva capito. Sul suo volto
si dipinse un meraviglioso sorriso. Mimò un ‘anche
tu’ con le labbra e,
successivamente, gli cinse le braccia al collo, baciandolo. Tom lo
strinse al
suo petto, inspirando forte il suo profumo.
‹‹Vuoi
qualcosa da bere?›› disse Tom al suo
orecchio, cercando di scandire al meglio le parole. Bill non
capì. C’era troppo
rumore.
Tom
l’afferrò dolcemente dal polso e lo
portò
fuori dalla pista. Si avviò verso il bancone del bar e, con
un gesto della
mano, chiamò il cameriere.
‹‹Cosa
vuoi ordinare, Bill? Offro io.›› gli
fece cenno di sedersi sullo sgabello accanto a lui. Bill decise di
restare in
piedi e continuò a battere le mani sulle cosce a ritmo di
musica, accompagnando
i movimenti con la testa. Le labbra serrate.
‹‹Un
Long
Island›› disse Bill, gettando le
braccia attorno al collo di Tom,
mordicchiandogli piano la pelle morbida.
‹‹Facciamo
due Long Island,
allora.›› porse la tessera al barista, e questi
pagò
il conto.
I
due drink arrivarono in meno di due minuti e,
una volta saldato il conto, il cameriere porse nuovamente la tessera a
Tom. Il
rasta porse il bicchiere a Bill, che l’afferrò
rapidamente e cominciò a
succhiarlo dalla cannuccia. Tom restò a fissarlo qualche
istante. Il pomo
d’Adamo andava in su e in giù ogni volta che
succhiava l’alcolico. Cominciò a
sudare freddo. Gli ricordava tanto quando Bill aveva…
Okay
Tom, meglio non
ricordarselo proprio ora.
Si
picchiò mentalmente e cercò di distogliere
lo sguardo da quella fottutissima bomba
sexy, e cominciò a bere il suo drink.
*
‹‹Ehi
ragazzi, non riuscivamo più a trovarvi.
Pensavamo vi foste imboscati a fare le
porcherie.›› Georg si avvicinò ad
entrambi i ragazzi, dando una pacca amichevole al rasta. Forse un
po’ troppo
forte per i suoi gusti.
‹‹Dio,
Georg! Per poco non mi rovesciavi tutto
il cazzo del bicchiere sul pantalone. E che diamine, fa un
po’ di attenzione.››
posò il bicchiere sul tavolo.
‹‹Tom,
io vado a ballare un altro po’, prima di
tornare in camera. Sono già
le…›› guardò il display del
suo cellulare. ‹‹…Dio,
sono già le due del mattino.›› scosse
la testa e stampò un bacio sulle labbra
di Tom.
‹‹Va
bene. Io resto qui a bere con Georg e gli
altri.›› sorrise amaramente, ma si
sforzò di farlo sembrare il più sereno
possibile. Lo seguì con lo sguardo fino a quando non si
perse in pista, tra la
folla. Rivolse nuovamente la sua attenzione al bancone ed
ordinò un altro
drink.
*
Stava
giocherellando con il bordo del bicchiere
di vetro, girandolo e rigirandolo tra le dita. Gustav ed Andreas erano
seduti
accanto a lui. Georg era ormai ubriaco fradicio, disteso sui divanetti
della
discoteca a farfugliare frasi insensate.
‹‹Tom?
Devi darti una ripigliata.››
Lo
scosse leggermente Gustav, facendolo distogliere dai propri pensieri.
Sobbalzò
leggermente.
‹‹Non
capisco a cosa tu ti stia riferendo.››
guardò il suo bicchiere ormai vuoto. Forse era il quinto
cocktails, ma non si
sentiva affatto ubriaco, né tanto meno brillo. Volevo solo
affogare il suo
dispiacere nell’alcol.
‹‹Sai
benissimo a cosa mi riferisco, Tom.››
Gustav fece un cenno con il capo in direzione della pista. Tom
guardò aldilà
delle sue spalle, e vide Bill che ballava. Aveva gli occhi chiusi. La
musica lo
stava trasportando in un’altra dimensione. Che volesse anche
lui distrarsi da
quella situazione? Forse Bill lo faceva in una maniera differente da
quella di
Tom.
‹‹Devi
capire che tu e quel ragazzo non avete
alcun futuro. Non puoi mortificarti così. Non puoi rovinarti
l’esistenza per un
ragazzo che conosci d’appena una settimana. Domani
sarà tutto finito e torneremo
alla nostra vita di sempre…››
Tom
inspirò dalle narici.
Piantala.
‹‹…è
solo una cotta estiva, questa. Sono sicuro
che poi passerà, non appena varcheremo la soglia di questa
nave. Sì, non metto
in dubbio che è stata una piacevole settimana, ma non puoi
deprimerti per un
tizio qualunque…››
Piantala,
cazzo.
Tom
cominciò ad inspirare e respirare
pesantemente. Il pugno destro serrava il bicchiere di vetro.
‹‹…sono
tuo amico. Voglio solo il tuo bene.
Troverai sicuramente di meglio.››
Adesso
basta.
‹‹Chiudi
quella cazzo di bocca!››
Improvvisamente,
Tom scattò dallo sgabello e,
con balzo, si ritrovò addosso a Gustav. Cominciò
a picchiarlo ripetutamente
sulla faccia. Uno, due, tre pugni. Andreas e altri due ragazzi
provarono a
fermarlo.
‹‹Tu
non hai idea di quello che ho passato io.
Tu non potrai mai capire.›› un altro pugno in
faccia. ‹‹…lasciatemi.
Lasciatemi.›› Andreas lo afferrò da
entrambe le braccia e lo trattenne.
‹‹Calmati!
Respira, Tom.››
Tutta
la gente in pista, incuriosita, si
precipitò al bancone del bar. Bill non riusciva a vedere chi
fosse in terra che
gemeva dal dolore.
‹‹Lasciami
in pace!›› si divincolò una seconda
volta, riuscendosi a liberare dalla presa di Andreas. Uscì
fuori sul ponte e,
solo in quel momento, Bill lo riuscì a vedere,
precipitandosi fuori anche lui.
*
‹‹Come
sarebbe a dire che l’hai picchiato?››
‹‹Ho
scaricato tutta la mia rabbia su di lui,
Bill. Stavo vedendo nero. Non riuscivo a capire cosa stesse
accadendo.››
Era
la seconda sigaretta che accendeva
nell’arco di cinque minuti. Buttò il mozzicone in
mare. Gli tremavano le mani.
Si afferrò il capo e strinse forte i capelli.
‹‹Mi
sembra di impazzire. Vorrei solo buttarmi
in mare ed affogare, in questo momento.››
cominciò a singhiozzare. Bill si
sentì morire. Aveva paura di avvicinarsi. Non sapeva come
avrebbe reagito, se
così avesse fatto; ma ascoltò il cuore e,
cautamente, si avvicinò. L’abbracciò
da dietro, facendo aderire perfettamente il suo petto contro
l’ampia schiena
del rasta. Il viso nell’incavo del suo collo.
‹‹Non
dirlo nemmeno per scherzo, Tom.›› lo
strinse ancora di più e, a quel punto, Tom si
voltò verso di lui,
fronteggiandolo. Lo guardò intensamente, perdendosi in
quello sguardo che
l’aveva fatto…
Dio…non
puoi farmi
questo.
‹‹Non
credo di riuscire a sopportare questo
addio, Bill. Non credo di essere abbastanza
forte.›› la voce gli moriva in
gola. ‹‹Non credo di
riuscirci…›› pianse, poggiando la
fronte sulla sballa del
biondo. Bill lo strinse a sé, più forte che
poteva. Il cuore che faceva male.
Gli accarezzava i capelli, gli sussurrava dolci parole
all’orecchio. Delle
lacrime gli rigarono il viso. Non poteva finire così. Non
poteva essere così
maledettamente doloroso.
‹‹Ce
la farai, Tom. Dobbiamo farcela entrambi.
Ci terremo in contatto. Te lo prometto.›› un
singhiozzo.
Tom
lasciò sprofondare ancora di più il viso nel
petto del ragazzo.
‹‹Non
oso immaginare come starò
domattina…››
sussurrò poi, provando ad alzare lo sguardo per poi
rivolgerlo nuovamente verso
Bill. ‹‹…lo sai qual è il
vero problema, Bill?››
Il
biondo scosse la testa, asciugandosi con l’indice
le lacrime dagli occhi.
‹‹No,
Tom. Qual è il problema?››
Prese
a fissarlo ancor di più, come se volesse
scavare all’interno della sua anima. Sebbene fosse un libro
aperto per lui, c’era
sempre qualcosa di nascosto e voleva assolutamente sapere cosa fosse.
Lo guardò
dritto negli occhi e, con la voce tremante e un po’ di
timore, prese coraggio e
lo disse.
‹‹Io
credo di essermi innamorato di te, Bill.››
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Capitolo XVIII ***
-
Capitolo 18 -
Quando
tornò in camera, erano ormai le 05:30
del mattino. Si lasciò cadere sul letto, e pianse tenendo
stretto il suo
cuscino dove, qualche giorno prima, Tom aveva lasciato il suo profumo.
Lo
inspirò a pieni polmoni, cercando di memorizzarlo il
più possibile, dimodoché
potesse ricordarselo per sempre.
Heidi
e i suoi genitori, l’avevano sentito,
fino ad addormentarsi per quel poco tempo, ma non dissero nulla.
Sapevano
benissimo che, se avessero provato a parlare, Bill avrebbe risposto
male. Molto
male. Sorvolarono, anche se, vedere il figlio in quelle condizioni, era
molto
doloroso.
*
‹‹Heidi,
hai preso tutta la tua roba?›› Simone
aveva due valigie nella mano destra, un borsone sulla spalla sinistra e
uno a
destra e un trolley nella mano sinistra.
‹‹Sì,
mamma. Quante volte devo ripetertelo? È
la seconda volta che me lo chiedi. Qui l’unico problema
è come portare i
bagagli di Bill fuori di qui. Occuperanno tutto il
corridoio.››
Simone
lasciò quei bagagli e cercò di aiutare
la figlia a portare fuori le valige del fratello.
‹‹Quello
stronzo. Solo perché è emotivamente
distrutto, non vuol dire che io debba fare tutto il suo
lavoro.›› affermò
Heidi, con un cenno di sforzo nella voce. Provò a tirar
fuori l’enorme valigia
di Louis Vuitton da sotto il letto.
‹‹Quella
valigia vale più di tutto il mio e il
tuo guardaroba messo assieme. Se vai a graffiarla solo un
po’, sappi che Bill
potrebbe ucciderti molto dolorosamente.››
avvertì Simone, cercando di aiutare
la figlia a non combinare nulla.
‹‹Papà
poteva anche darci una mano a sistemare
la roba, invece di andare beatamente a fare colazione. Non è
possibile che
tutto il duro lavoro dobbiamo farlo io e te.››
‹‹Siamo
le donne di casa, figlia mia. Non puoi
dare agli uomini un lavoro che solo una donna può
fare.››
‹‹Ma
puoi dare ad una donna, il lavoro che può
fare un uomo.››
‹‹Questo
è vero.›› Sorrise Simone, riuscendo
finalmente a togliere la vaglia da sotto il letto.
‹‹Bene, adesso ne mancano
solo altre sei.››
*
‹‹Non
mangi?›› chiese Gordon, addentando per
l’ultima volta quella fantastica brioche che, sicuramente,
non avrebbe mai più
mangiando in tutta la sua vita. Della crema gli sporcò
leggermente l’angolo
della bocca. Lo leccò con poca grazia.
Bill
non rispose. Portava gli occhiali da sole,
nonostante quella mattina, il tempo sembrava essere alquanto
minaccioso. Non
c’era nemmeno uno spiraglio di luce. Le nuvole erano grigie,
dense, e molto
compatte fra loro. Un forte odore di pioggia, inebriava
l’aria.
Erano
ancora in navigazione ma, nel giro di
un’ora, sarebbero arrivati a Venezia. Erano già in
territorio italiano da quasi
due ore. Guardò il uso telefono. Il campo era ancora
completamente assente.
Stava pensando a Sarah. L’aveva sentita davvero pochissimo.
Gli aveva promesso
che, al suo ritorno, le avrebbe raccontato tutto. Forse
però, ora non aveva più
tutta questa voglia di farlo.
‹‹No.
Non ho fame.››
Continuava
a guardare verso il mare. Le sue
guance erano bagnate. Ogni tanto tirava su col naso, asciugandoselo con
un
fazzolettino ormai del tutto sporco di lacrime.
‹‹È
per quel ragazzo, non è vero?››
Disse
poi di punto in bianco Gordon, mandando
giù l’ultimo boccone di brioche. Bill si
girò di scatto e, inaspettatamente,
mise gli occhiali sulla fronte. Gordon poté notare i suoi
occhi gonfi e rossi,
ancora pieni di lacrime.
‹‹No
ne voglio parlare okay? Lasciami in
pace.›› quasi urlò, alzandosi di
scatto dalla panca. Attirò l’attenzione di un
paio di francesi che si erano appena seduti al tavolo dietro il loro.
Lasciò
Gordon da solo. Spiazzato.
*
‹‹Abbiamo
sistemato tutte le valigie fuori
dall’ingresso. C’è da dire che, quelle
di Bill, hanno occupato gran parte del
corridoio. A proposito, non è con
te?›› disse Simone, sedendosi accanto al
marito. Prese del pane e della marmellata di albicocche, un
po’ di burro e del
succo di prugna. Iniziò ad imburrare la fetta di toast.
‹‹È
corso via quasi dieci minuti fa. Non so
dove sia.››
‹‹Povero
piccolo. È davvero distrutto. A
pensare che non voleva venire, inizialmente.››
‹‹Non
credo che la supererà facilmente questa
cosa.››
‹‹Conoscendo
Bill…››
*
Era
sul divano della sala d’accoglienza dove,
una settimana prima, era giunto lì per la prima volta.
Guardava a destra e a
sinistra, nella speranza di poterlo trovare.
Quella
stessa notte, dopo che Tom gli aveva
confessato che si era innamorato di lui, era scoppiato a piangere. Gli
aveva
gettato le braccia attorno al collo e gli aveva detto che, molto
probabilmente,
anche lui provava la stessa cosa. Lo strinse più forte che
poté, quasi a
toglierli il fiato. Lo supplicò di non andarsene ma,
entrambi, sapevano che non
poteva accadere una cosa del genere. Videro l’alba sul ponte,
insieme,
abbracciati, dopo aver fatto l’amore nell’uovo di
vimini. Era un posto intimo,
tranquillo e assolutamente inesplorato. Raramente salivano
lì sopra.
Sarà
il nostro posto.
Sì.
Il nostro.
Aveva
detto Tom. Entrambi, avrebbero voluto
che, quel bellissimo momento, non fosse mai finito. Avrebbero voluto
che
durasse in eterno. Il vento fresco che scompigliava loro i capelli; il
leggero
albeggiare del sole, sul loro viso; il profumo fresco e pungente del
mare. Era
davvero una favola quella che stavano vivendo? Con la sola differenza
però, che
non c’era un lieto fine.
Presto
Tom, avrebbe preso un aereo per andare
in America; lui, un autobus che lo avrebbe condotto
all’aeroporto di Verona,
diretto a Berlino.
Tom
non c’era. Lo stava aspettando da quasi
un’ora. Ma non lo vide arrivare. Non aveva chiuso occhio
tutta la notte e, il
sonno, cominciava a farsi sentire; e proprio quando decise di
distendersi per
l’ultima volta su quel divano, lo vide arrivare.
Gli
si illuminarono gli occhi e, con uno
scatto, balzò in piedi, dirigendosi verso di lui. Gli
saltò addosso.
‹‹Temevi
che non venissi più?››
‹‹Ad
un certo punto l’ho pensato, sai?››
‹‹E
non venivo a salutarti?››
Non
rispose. Lo prese per mano.
‹‹Mi
sono addormentato. Non ho chiuso occhio da
quando siamo tornati in camera.››
‹‹Io
ho dormito un’ora, forse.›› disse Bill
sorridendo, seppure in maniera triste. Si lasciò
trasportare.
‹‹Ho
dimenticato una cosa in camera. Sali con
me. Io tra venti minuti dovrò sbarcare. Il mio aereo parte
fra due ore. Siamo
già parecchio in ritardo.››
Bill
non disse nulla. Lasciò che Tom lo
trascinasse con sé verso la sua cabina. Ancora un volta. Per
un’ultima volta.
Si misero a correre per tutto il corridoio della nave. Passarono per il
ponte. Quel ponte. Era come se non
fosse
successo assolutamente nulla. Tutto era al proprio posto.
L’alluvione non c’era
mai stata prima.
Salirono
dieci piani a piedi, correndo. Quando
arrivarono al loro deck, erano
stremati e con il fiatone. Bill lasciò la mano del ragazzo e
le poggiò entrambe
sulle ginocchia, piegandosi leggermente per cercare di riprendere
fiato.
‹‹Giuro…che…se
mi hai
fatto…salire…inutilmente…ooouufff…ti
uccido.›› disse quasi senza fiato,
respirando molto lentamente per riprendere aria. Tom non aveva
abbastanza fiato
per rispondere. Non disse nulla e baciò con un sorriso sul
volto il ragazzo
biondo.
‹‹Hanno
già portato via le mie
valigie…›› disse
poi lui. Bill dette una fugace occhiata un po’ più
infondo al corridoio. Anche
le sue valigie non c’erano più.
‹‹Anche
le mie…››
Volse
nuovamente lo sguardo verso Tom, notando
i suoi occhi leggermente velati.
No,
non può piangere
un’altra volta.
‹‹Tom,
ti prego…››
‹‹È
davvero finita, quindi?›› Bill non rispose,
e attese che Tom aprisse per l’ultima volta la porta della
sua cabina. ‹‹Tu
aspettami qui. Torno fra un secondo.››
così fece. Bill attese qualche minuto
sull’uscio della porta, prima di vedere comparire nuovamente
Tom con una
fialetta in mano.
Bill
la guardò stranito. Cosa poteva essere?
Tom lo precedette, rispondendo immediatamente alla domanda che Bill
stava
sicuramente per porgli.
‹‹È
il campioncino del profumo che uso io. Lo
porto sempre in borsa con me.›› lo porse al
biondo senza indugiare ancora. ‹‹Ah,
quasi dimenticavo. Questa è una lettera che ti ho scritto.
Devi promettermi che
non l’aprirai.›› Il rasta porse
entrambe i regali al biondo che, perplesso,
afferrò.
‹‹Ma…non
capisco. Perché non dovrei leggere la
tua lettera?››
‹‹La
leggerai quando sarà il momento
giusto.››
‹‹Ed
io come farò a sapere quando sarà il
momento giusto, Tom?›› Tom non rispose. Sorrise e
gli baciò le labbra.
‹‹Questo
è tuo. Voglio regalarlo a te. Vorrei
che ti ricordassi di me, quando un giorno ti sentirai solo. Voglio che
non ti
dimentichi del mio profumo. In un modo o nell’altro,
sarò sempre accanto a
te.›› la sua voce era rauca, spezzata, cupa. Gli
accarezzò una guancia,
delicatamente. ‹‹Non importa quanto lontani
saremo; non importa quanto tempo
passerà prima di rincontrarci; ma ricordati…non
sarà l’oceano a separarmi da
te. Tornerò a prenderti, Bill. Mi hai
capito?›› afferrò il suo viso con
entrambe le mani, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi.
‹‹Questa è una
promessa. Io tornerò da te.›› lo
baciò con così tanta forza che a Bill, quasi
gli fece male. Era finita. Era finita per davvero.
Bill
avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto
gridare tanto era il dolore che stava provando. Aveva trovato una
persona che,
molto probabilmente, lo avrebbe amato per il resto dei suoi giorni.
Perché
doveva andare a finire proprio così? In questa maniera?
Perché dovevano
lasciarsi?
Restarono
abbracciati lì, in quel corridoio,
per un tempo quasi indefinito. Bill inspirò a pieni polmoni
il suo profumo,
affondando il viso nell’incavo del suo collo.
‹‹Non
dimenticarmi…›› disse poi flebilmente
lui, staccandosi controvoglia da quell’abbraccio
così intenso. Avrebbe voluto
non farlo mai. Frugò nella propria tasca, in cerca di
qualcosa da poter
regalare a Tom. Qualcosa di molto intimo e personale. Non aveva
assolutamente
nulla. D’un tratto però, si guardò le
mani. Aveva un anello in acciaio, a
fascia larga, con scritto il suo nome. Lo regalò suo nonno
al compimento dei
suoi diciotto anni. Era una cosa molto importante per lui, e avrebbe
voluto che
Tom l’avesse.
‹‹Tieni,
questo è tuo.›› sfilò
l’anello dal
medio e lo porse al rasta. ‹‹Questo lo affido a
te. Me lo ridarai quando
tornerai da me.››
‹‹No,
Bill. Io…io non posso accettarlo.››
provò
a restituirlo, ma Bill oppose resistenza.
‹‹È
solo un prestito. Sarà tuo fin quando non
ci rivedremo. È una promessa questa.››
‹‹…non
sai nemmeno se sarà così, Bill. Potrai
perdere quest’anello per sempre.››
‹‹Se
così fosse, saprò che è in buone mani,
e
tu avrai un ricordo di me. E comunque, mi hai appena detto che ci
rincontreremo, che tornerai a prendermi. Stai per caso
mentendomi?››
Il
rasta scosse il capo.
‹‹No,
Bill. Non ti ho mentito. Io lo voglio, e
ci credo non tutto il cuore. Ma non si sa quando accadrà una
cosa del genere.››
Un
altro abbraccio; un altro forte ed intenso
abbraccio. Era giunta l’ora. Dovevano salutarsi. Nessuno dei
voleva staccarsi
dall’altro.
‹‹Ti
aspetterò, Tom. Ti prometto che lo
farò.››
Prima di salutarlo però, stava dimenticando la cosa
più importante: il suo
numero di cellulare e il suo contatto facebook.
‹‹Tieni Tom, questo è il mio
numero e il mio facebook. Metterò tutte le foto che abbiamo
fatto; accettami,
così ti taggo.›› Bill porse il
bigliettino a Tom.
‹‹Va
bene, splendore.›› sussurrò il rasta,
baciandolo ancora una volta.
D’un
tratto apparve Gustav, affannato.
‹‹Ti
ho cercato ovunque. Si può sapere che fine
hai fatto? Tocca a noi, Tom. Dobbiamo andare.››
Tom
non lo ascoltò. Restò nella stessa
posizione in cui era pochi attimi fa. Cominciò a sussultare
piano. Baciò
dolcemente la fronte di Bill, il collo, l’orecchio, lo
strinse ancora più forte
e, inaspettatamente, gli sussurrò:
‹‹…ti
amo!›› si allontanò di scatto e, prima
che il biondo potesse reagire, prese a correre verso l’amico,
lasciando Bill
così, attonito e con la vista appannata. Improvvisamente la
testa cominciò a
girargli. Aveva sentito bene?
‹‹…Tom…››
bisbigliò nel vuoto ma, quando tornò
in sé, era ormai troppo tardi. Tom era già andato
via.
*
Aveva
la testa poggiata sul finestrino, questa
volta non gli importavano tutte le botte che stava prendendo. Il dolore
era ben
altro. Da quando aveva lasciato la nave, non aveva proferito parola con
nessuno. Non aveva avuto nemmeno il pensiero di chiamare la sua
migliore amica
Sarah. In quel momento, non aveva voglia di fare assolutamente nulla,
né tanto
meno avere un contatto con qualcuno. Voleva solo tornare indietro da
lui. Provò
a chiudere gli occhi almeno fin quando non sarebbero giunti
all’aeroporto;
anche se questo, non avrebbe fatto altro che male. Chiudendo gli occhi,
le
immagini di Tom scorrevano rapide, innumerevoli, e questo gli faceva
ancor più
male di quanto avesse immaginato. L’addio, era stato
più difficile del
previsto, e la lontananza, sarebbe stata ancor peggio.
*
‹‹Bill,
non parli da quando ce ne siamo
andati…››
disse Simone, mentre sistemava il suo bagaglio nello stipetto
dell’aereo.
Il
biondo non rispose. Aveva le cuffiette nelle
orecchie e lo sguardo rivolto al finestrino.
‹‹Lascialo
stare, tesoro, non sarà stato facile
per lui salutare quel ragazzo.›› si intromise
Gordon, aiutando la moglie a
sistemare i bagagli. ‹‹Vedrai che gli
passerà.››
Gordon
si sbagliava. Si sbagliava di grosso.
Non aveva la minima idea di cosa Tom, gli avesse fatto provare in una
sola
settimana. Poteva sembrare strano, ma era così dannatamente
semplice.
No.
Non sarebbe passata facilmente, anzi, non
sarebbe passata affatto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Capitolo XIX ***
-
Capitolo 19 -
Due
giorni dopo
‹‹Sapevo
che ti saresti divertito, Bill. Ne ero
troppo sicura.›› disse Sarah, sorseggiando il suo
frappè alla nocciola. Il
biondo provò a sorridere per non far notare alla sua
migliore amica quanto
stesse soffrendo. Da quando era tornato a casa, non aveva avuto alcun
messaggio
da Tom, né tanto meno accettato la richiesta
d’amicizia. Si era volatilizzato
nel nulla.
Forse
è meglio così.
‹‹Mi
sei mancato un sacco, Bill.›› lo baciò
affettuosamente sulla guancia lasciandogliela leggermente appiccicosa
di
gelato. Lui sorrise nuovamente.
‹‹Sì,
è stato strano non averti lì con me.
Potevi venire.›› tirò un morso alla
sua brioche integrale e della crema di riso
fuoriuscì, sporcandogli leggermente gli angoli della bocca.
‹‹Sai
benissimo che sarei venuta, ma Kristoff
non aveva ferie e quindi non potevo lasciarlo solo. Spero che ci
sarà una
prossima volta, così verremo anche
noi.›› si interruppe, dando un ultimo e
lungo sorso al suo frappè ormai finito.
‹‹A proposito, ma questo Tom ti ha
contattato?››
Bill
tirò un lungo e faticoso sospiro. Scosse
il capo.
‹‹Questa
cosa mi sta uccidendo. Si è
volatilizzato nel nulla.›› provò a
trattenere le lacrime. Tirò su con il naso e
se lo stropicciò. Sarah sapeva che quando Bill si
stropicciava il naso, stava
quasi per piangere.
‹‹Oh
tesoro, vedrai che molto probabilmente
avrà da fare. Ti contatterà presto. Forse deve
rinnovare la promozione, o forse
non ha soldi sul cellulare…››
‹‹…o
semplicemente non vuole più sentirmi e
tutto ciò che mi ha detto sono state un mucchio di puttanate
solo per fottermi
come una puttana.››
Bill
allontanò bruscamente la mano della sua
migliore amica dalla sua spalla e si voltò
dall’altro lato dandole. Sarah lo
conosceva fin troppo bene. Bill stava davvero male per quel ragazzo e
vederlo
così le faceva davvero male.
‹‹Non
dire queste cose, Bill. Sai benissimo che
non è così. Insomma, mi hai detto un sacco di
cose belle sul suo conto, non
credo proprio che abbia finto per una settimana solo per portarti a
letto.››
Bill
sapeva che non era affatto così. Tom non
stava mentendo. Non aveva mai mentito. Perché allora era
completamente sparito
dalla circolazione?
‹‹Non
lo so, Sarah. So solo che sto soffrendo
come un cane.››
‹‹Lo
so, Bill. Lo so. Facciamo così, appena
torno a casa lo cerco su facebook e lo aggiungo. Vediamo se accetta me,
okay?››
cercò in tutti i modi di sollevare il morale del suo
migliore amico e quella,
le sembrava la soluzione più plausibile e valida.
Sì, avrebbe fatto così.
Bill
non disse niente, annuì contento e si
asciugò una lacrima prima che cadesse sulla guancia.
*
‘Gli
ho mandato la
richiesta di amicizia, ma pare non si connetta da una decina di giorni.
Quindi
non fare la checca paranoica e aspetta. Il messaggio te lo
manderà. Ti voglio
bene, checca :*’
A
quel messaggio sorrise. Si sentì davvero
molto più sollevato e l’umore era leggermente
salito. Sarah aveva la capacità
di tirar su le persone, forse era anche questo uno dei cinquemila
motivi per
cui era la sua migliore amica.
‘Grazie.
Sai sempre
come migliorare le mie giornate. Ti voglio bene anche io,
bestiolina.’
Inviò
il messaggio con un sorriso malinconico e
tornò a fissare il soffitto. Aveva le mani incrociate sul
proprio grembo e
stava fantasticando. Era come se le immagini presenti nella sua mente
venissero
proiettate sulla parete bianca della propria stanza ed era come se
stesse
assistendo ad un film dove lui e Tom padroneggiavano. Ricordava ogni
cosa, ogni
singolo particolare di quella magnifica vacanza, anche
l’alluvione, il vento,
la paura di morire. Tutto.
Si
mise seduto composto non appena bussarono alla
porta.
‹‹Avanti.››
bisbigliò poi, prendendo il suo
portatile e mettendolo sulle ginocchia. Controllò nuovamente
se Tom avesse
accettato la sua richiesta d’amicizia. No. Non
l’aveva fatto.
‹‹La
cena è pronta, Bill. Scendi.›› disse
Heidi
aprendo leggermente la porta.
‹‹Non
ho fame.›› Non la guardò nemmeno negli
occhi. Restò a fissare la pagina del suo facebook.
‹‹Bill,
è da quando siamo tornati che non mangi
qualcosa. Non puoi morire di fame.››
‹‹Ho
mangiato una brioche integrale stamattina
assieme a Sarah. Mi basta quella.››
proseguì Bill senza staccare lo sguardo dal
monitor. In realtà non stava guardando davvero qualcosa, non
voleva
semplicemente prestare attenzione a cosa Heidi gli stesse dicendo. Non
aveva
voglia di mangiare, né di uscire, né di fare
altro. Voleva solo che Tom lo
contattasse o accettasse la sua richiesta su facebook.
‹‹Bill,
cosa devi fare con una delle tue
brioche integrali del cazzo? Non puoi comportarti come un bambino.
Insomma, ce
ne sono tantissimi ragazzi qui a Berlino, non puoi aver perso
completamente la
testa per un americano che non rivedrai mai
più.›› la voce di Heidi si
alzò
leggermente e, a quel punto, Bill perse la pazienza.
Chiuse
violentemente il portatile e lo gettò
lontano dalle sue gambe.
‹‹Ma
si può sapere cosa cazzo volete tutti
quanti? Lasciatemi in pace, okay? Voglio stare da solo e non voglio
mangiare un
cazzo di niente. Voglio semplicemente che ve ne andiate tutti a fanculo
e mi
ignoriate completamente. Sono stato abbastanza chiaro
adesso?›› era in piedi,
il più lontano possibile dalla sorella che, nel frattempo,
era entrata in
camera. Restò immobile ed impassibile
all’inaspettata reazione che ebbe il
fratello. Possibile che quel ragazzo l’avesse sconvolto
così tanto?
‹‹Va
bene, Bill. Fa come cazzo credi. Basta che
non muori di fame, perché non ho alcuna intenzione di
trovarti morto stecchito
nel letto. Vaffanculo!›› ed uscì
sbattendo violentemente la porta.
‹‹Vaffanculo!››
urlò Bill da dietro, tirando un
forte calcio alla scrivania. Si fece parecchio male, ma in quel momento
il
dolore era l’ultimo dei suoi pensieri. Voleva sfogarsi; aveva
bisogno di
scaricare la rabbia ed il nervoso in qualche modo. Aveva la soluzione:
il suo
vecchio sacco da box.
Aprì
le ante dell’armadio ed iniziò a rovistare
fra le sue vecchie robe da pugilato. Trovò immediatamente le
fasciature. Erano
leggermente ingiallite e malconce. Avvolse la prima fasciatura e
successivamente l’altra.
‹‹Ho
bisogno di scaricare. Devo farlo.›› disse
mentre sistemava la roba che aveva gettato sul pavimento.
Uscì
rapidamente dalla sua stanza e si diresse
in cantina dove, anni addietro, Simone aveva messo il suo sacco da box.
Era
davvero tanto tempo che non si allenava e, vedere il sacco ormai
logoro, gli
suscitò una strana sensazione allo stomaco. Lo
fronteggiò qualche secondo prima
di iniziare a colpirlo una volta, poi due, e ancora e ancora.
Aveva
bisogno di scaricare tutta la
frustrazione e la rabbia. Perché Tom non lo stava
contattando? Perché era
sparito nel nulla?
‹‹Vaffanculo,
Tom. Vaffanculo.›› gridò, tirando
un forte pugno sul sacco. ‹‹Sei uno stronzo. Un
fottuto pezzo di merda.›› un
altro pugno. ‹‹Mi hai illuso. Mi hai preso per il
culo. Mi hai detto che mi
amavi.›› un pugno ancora più forte. Un
destro, un sinistro, ancora un gancio
destro e un altro sinistro. ‹‹Ti
odio!›› l’ultimo pugno fu il
più forte.
Quando
finì, aveva il respiro pensante e le
nocche insanguinate. Si guardò le mani e notò che
le fasciature si erano
intrise di sangue. Non faceva male, non ancora almeno ma presto
l’avrebbe fatto
eccome.
*
Tornò
in cucina e frugò fra la cassetta del
pronto soccorso. Heidi era sul divano in salotto e faceva zapping fra i
canali.
‹‹Dove
diavolo sono le garze?›› disse Bill
afferrando il disinfettante. Ora il bruciore cominciava a farsi
sentire.
‹‹Heidi, le hai viste?››
‹‹Visto
cosa?›› disse lei distaccatamente.
‹‹Non so di cosa tu stia
parlando.››
‹‹Le
garze mediche. Dove le tiene la mamma?››
‹‹Non
lo so. No ne ho bisogno in questo
momento.››
Bill
sbuffò e smise di cercare. Volse lo
sguardo alla sue spalle, dove Heidi era seduta. Gli dava le spalle
anche lei.
‹‹Ma ne ho bisogno io.››
‹‹Non
mi interessa di cosa tu abbia bisogno.
Hai detto che dobbiamo ignorarti. Quindi ti sto ignorando…
anzi…›› si girò
verso il fratello e gli fece un’occhiataccia.
‹‹Ti ho anche parlato
troppo.››
lo fulminò con lo sguardo e tornò a fare zapping
fra i canali. Lasciò ad un
canale di cucina.
Bill
sbuffò di nuovo e senza che la sorella se
ne accorgesse, si piazzò davanti il televisore, lo spense e
prima che Heidi
potesse dire o fare altro, con un gesto lesto le sfilò via
il telecomando dalle
mani e lo posò sulla parete attrezzata.
‹‹Senti
okay, mi dispiace essermi comportato
come un bambino. Non dovevo rivolgermi così con
te.››
Heidi
lo guardò dall’alto verso il basso ed
incrociò le braccia al petto.
‹‹Dici
così solo perché non sai dove mamma ha
messo le garze ed hai bisogno del mio aiuto. Se le avessi trovate, a
quest’ora
continuavi ad ignorarmi come se fossi un cazzo di fantasma o una cazzo
di
estranea.›› disse lei acidamente volgendo lo
sguardo verso un qualcosa che
nemmeno lei sapeva. Bill sospirò seriamente dispiaciuto.
‹‹Senti
Heidi, mi dispiace davvero. Giuro.››
‹‹Resta
comunque il fatto che mi hai trattato
come una pezza da piedi. Dimmi
adesso…›› voltò nuovamente
lo sguardo verso il
fratello, puntandolo. ‹‹Ti sembro per caso una
tipa a cui ci si può rivolgere
nella maniera in cui ti sei rivolto prima? No di certo. Questa non te
la lascio
passare caro il mio Wilhelm Kaulitz›› si
alzò dal divano e si diresse verso il
bagno, senza dir nulla.
‹‹Ti
ho chiesto scusa, Heidi. Mi dispiace.
Mettiti nei miei panni. Sono stato preso per l’ennesima volta
per il culo.››
Bill sentiva le lacrime avvicinarsi. Poteva piangere un’altra
volta? Stava
diventano un frignone forse? ‹‹Io mi sento uno
stupido, ti giuro. Mi sento un
emerito coglione. Possibile che sia così tanto
sfigato?›› si avvicinò alla
porta del bagno e si appoggiò sulla stipite.
Bussò piano una prima volta.
‹‹Heidi, davvero mi dispiace. Non avrei dovuto
risponderti in quella maniera.››
bussò di nuovo. ‹‹Aprimi e parliamo
bene.›› bussò ancora e ancora.
‹‹Per favore
Heidi…››
Solo
quando bussò una decima volta la porta si
aprì di scatto, facendolo sobbalzare. Heidi era in piedi
davanti a lui e
provava ad essere quanto più seria possibile ma,
inevitabilmente, scoppiò a
ridere.
‹‹Ti
diverte così tanto vedermi in queste
condizioni pietose?››
‹‹Sì.
Prostrarti ai miei piedi mi rende la
persona più felice al mondo.›› lo
guardò con occhi compassionevoli. Per quanto
suo fratello potesse essere stronzo alle volte, gli volevo ugualmente
un bene
dell’anima e si sarebbe gettata fra le fiamme per lui.
‹‹Tieni
sfigato, queste sono le tue garze.
Vacci piano con il sacco la prossima volta.››
‹‹Signorsì.››
disse poi Bill con il capo chino.
Afferrò le garze e andò per allontanarsi quando
si sentì afferrare per il
polso.
‹‹Vieni,
ti medico io.››
*
Simone
e Gordon rientrarono la sera da lavoro.
Né Bill e né Heidi erano in casa.
‹‹Tu
non hai idea di quanto mi manchi essere
servita e riverita, amore.›› Simone
poggiò le chiavi di casa sul comò
dell’ingresso e si asciugò la fronte con il dorso
della mano.
‹‹Oggi
a lavoro mi sono distrutta. Tornare dopo
una settimana è stato letteralmente
traumatico.›› continuò poi, lasciando
la
propria borsa sul tavolo della cucina.
‹‹Non
dirlo a me, cara. Pare che oggi tutti
quanti volessero prendere un’auto.››
Gordon
posò la sua ventiquattrore sul divano e
diede una fugace occhiata se tutti i documenti fossero in ordine o
correttamente compilati.
‹‹Bill
mi ha mandato un messaggio. Lui e Heidi sono
usciti con Sarah e il fidanzato.››
‘Oggi
non torniamo
per cena. Siamo usciti con Sarah e Kristoff. Un bacio.’
‘Okay!
Mi raccomando.
Mangia e non farmi stare in pensiero. La mamma ti vuole bene’
*
‹‹Io
prendo una Schweppes al limone.›› disse
Bill mentre sgranocchiava delle olive verdi denocciolate.
‹‹Sei
il solito astemio, Bill. Alza un po’ il
gomito ogni tanto, no?›› Kristoff bevve il suo
secondo cicchetto. Sarah e
Heidi, si erano limitate anche loro ad un’acqua tonica.
‹‹No
Kristoff. Stasera no. Non mi va di bere.
Poi sono appena le otto. Non mi va affatto.››
In
realtà aveva voglia di bere, eccome, ma il
solo pensiero di ordinare una vodka gli faceva tornare in mente
lui…Tom.
Quel
grandissimo
stronzo.
Pensò
poi, mentre continuava a divorarsi le
olive. Non aveva toccato cibo dalla mattina e inevitabilmente, il suo
stomaco
cominciava a brontolare.
‹‹Bill,
se continui a mangiare così tante
olive, potresti diventare un frantoio. Se hai fame possiamo ordinare
una
pizza.››
Bill
non rispose. Annuì e basta. Heidi sorrise
e con un gesto della mano, chiamò il cameriere.
‹‹Volete
ordinare qualcosa?›› il cameriere si
affrettò ad arrivare e afferrò il suo taccuino
tecnologico attendendo l’ordine.
‹‹Sì,
una ruota diavola e capricciosa,
grazie.›› prese nota e andò via. Erano
tutti d’accordo su quella scelta.
*
Bill
addentò con voracità il suo trancio di
pizza capricciosa. Non mangiava una pizza dall’epoca della
preistoria e le sue
papille gustative stavano festeggiando.
‹‹Mmh…››
mugugnò di piacere. ‹‹Mi ero
dimenticato di quanto diamine fosse buona la pizza che fanno qui.
Questo pub
resterà sempre il migliore di
Berlino.›› tutti annuirono all’unisono.
‹‹La
pizza è uno dei cibi più buoni a questo
mondo, che è diverso.›› aggiunse
Sarah, sminuzzando il suo trancio di pizza.
Tutti
la guardarono stralunati.
‹‹Cosa
volete? Io mangio la pizza in questo
modo.›› risero all’unisono con i
bocconi ancora pieni, Bill quasi si strozzò
tanto stava ridendo. ‹‹Non mangio come un
animale, a differenza vostra. Io ho
classe.›› aggiunse poi lei pavoneggiandosi e
toccandosi con eleganza i suoi
capelli.
Era
la prima volta che rideva dopo essere
tornato dalla crociera. D’un tratto però prese a
squillare il suo telefono.
C’era molto baccano e ovviamente non poteva urlare per farsi
sentire.
‹‹Scusate,
mi squilla il telefono. Deve essere
mamma.›› disse poi, ancora con il boccone pieno.
‹‹Mi allontano un attimo.››
deglutì e facendo stridere leggermente la sedia, si diresse
verso il bagno
dimodoché potesse sentire meglio.
1
chiamata persa –
numero non salvato.
Bill
avvicinò il display così da poter vedere
meglio quel numero che, apparentemente, non aveva salvato. Il suo cuore
perse
un battito. Non era sua madre. Né Gordon.
Tom.
Può essere lui.
No, non può esserlo. Il numero è tedesco.
Pigiò
il tasto richiama e attese che dall’altra
parte rispondessero. I battiti erano accelerati. E se fosse stato
davvero lui?
E se gli avesse raccontato una marea di stronzate e lui in
realtà era tedesco
proprio come lui?
Smettila
Bill.
Smettila di fantasticare come una ragazzina.
Il
telefono squillò tre volte e, al quarto,
risposero.
‘Pronto?’
‹‹Tom?
Sei tu?›› l’istinto di Bill prevalse.
Non
chiese nemmeno chi ci fosse dall’altra parte. Diede per
scontato che fosse lui.
‘Non
mi riconosci
nemmeno più?’
La
linea era disturbata e Bill non riusciva a
capire bene chi fosse. La voce gracchiava e nonostante fosse in bagno
– il
luogo meno rumoroso del pub – non riusciva sentire.
‹‹Pronto?
Non riesco a sentirti. Chi sei?›› si
tappò un orecchio con la mano libera e si chiuse in una
delle cinque cabine
presenti nel bagno.
‘Mi
manchi un sacco,
Bill. Mi manchi troppo.’
Ora
riusciva a sentire meglio. La voce non
gracchiava più.
‹‹Scusami,
non ho il tuo numero. Chi sei?››
Dall’altra
parte non ci fu risposa. Solo un
lungo sospiro.
‹‹Pronto?››
‘Bill,
sono io.
Georg. Chi è questo Tom?’
Silenzio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Capitolo XX ***
-
Capitolo 20 -
‹‹Georg?
Come cazzo hai fatto ad avere il mio
numero? L’ho cambiato quando ci siamo
lasciati.››
‘Ho
anche io le mie
conoscenze, Bill. Tranquillo, non voglio fare tanti giri di parole.
Voglio solo
che tu mi ascolti.’
‹‹Georg,
forse non ci siamo proprio capiti. È
finita secoli fa fra me e te. Non voglio avere nulla a che fare con le
tue
stronzate. Ho già i miei problemi.››
‘Tutti
abbiamo dei
problemi, Bill. Ti sto solo chiedendo di prestare ascolto a quanto sto
per
dirti. Non voglio provare né a riconquistarti, né
a elemosinare il tuo amore.’
Bill
sbuffò. Avrebbe voluto incenerire quel
fottuto cellulare. Se avesse avuto il potere
dell’autocombustione, di scuro il suo
cellulare sarebbe stato in fiamme. Ad ogni modo, seppure
svogliatamente, decise
di ascoltarlo.
‹‹Dimmi
quello che hai da dire. Fa in fretta
perché sono chiuso in un cesso puzzolente di un pub e i miei
amici e mia
sorella mi stanno aspettando.››
‘Oh,
Heidi. Come
sta?’
‹‹Georg,
non farmi riattaccare e a spegnere il
cellulare. Sputa il rospo.››
Dall’altra
parte non ci fu risposta per pochi
secondi e Bill cominciò a spazientirsi.
‹‹Senti,
Georg, mi stai facendo perdere solo
tempo…››
‘Sto
morendo, Bill.’
Calò
nuovamente il silenzio. Bill rimase
immobile e con la bocca aperta. Provò a dire qualcosa ma
riuscì solo a
proferire dei suoni muti. Aveva sentito bene?
‹‹Non
prendermi per il culo, idiota. Cosa cazzo
vuoi?››
‘Non
sto scherzando,
Bill. Non mi permetterei mai su queste cose.’
Il
suo cuore cominciò a battere più forte,
inaspettatamente. Georg non stava scherzando. Era vero.
‹‹In-in
che senso, Georg? Cosa vuol dire che
stai morendo?››
Dall’altra
parte ci fu una risata sarcastica a
tal punto che Bill pensò nuovamente che lo stesse prendendo
in giro. Se così
fosse stato, era davvero un viscido.
‘Bill,
cosa vuol
dire: in che senso stai morendo? Mi hanno trovato un tumore, qualche
mese fa ai
polmoni. I medici mi hanno dato più o meno due o tre mesi di
vita. L’ho presa
con filosofia. Sapevo che, fumando come un turco, mi sarei ridotto in
questo
modo. Mi sono ucciso con le mie mani. Avere un tumore terminale, non
è poi la
fine del mondo.’
‹‹Tu
sei davvero fuori di testa, Georg.››
Bill
venne invaso da un forte e spesso nodo
alla gola e lo stomaco prese a contorcersi. Seppure lo odiasse, sebbene
l’avesse fatto soffrire tantissimo, restava pur sempre una
persona a lui
vicina.
‘Sì,
lo so. Lo sono
sempre stato. Ho perso la persona che amavo di più al mondo,
per colpa della
mia testa di cazzo.’
Sospirò
poi. A Bill parve stesse per piangere.
‹‹E
chi sarebbe?›› la risposta era scontata. La
sapeva benissimo.
‘Non
farmi
rispondere, Bill. Lo sai già. Comunque so che è
finita, ora più che mai; ma
posso chiederti un’ultima cosa? Il mio ultimo
desiderio?’
Bill
ci pensò qualche istante. Non sapeva cosa
rispondere o, per lo meno, non sapeva proprio se rispondergli o meno.
‹‹Dipende,
Georg. Dipendo tutto da cosa tu
voglia.››
‘Voglio
vederti,
Bill. Un’ultima volta. Voglio chiederti scusa per quello che
ho fatto in
passato e per come mi sono comportato. Da quel giorno, ti giuro, non ho
più
amato nessuno come ho amato te. Ho avuto solo avventure fra ragazze e
ragazzi.
Ho provato ad avere una relazione seria, con Agata,
l’istruttrice della
piscina, ma senza esisti positivi. Tu sei stato l’unica
persona al mondo che
abbia mai amato in tutta la vita…’
Georg
scoppiò in lacrime e in quel momento,
Bill si sentì tremendamente dispiaciuto. Forse era davvero
pentito per tutto quello
che gli aveva fatto passare; forse era davvero lui l’unica
persona che avesse
mai amato. Restava il fatto però, che l’avesse
tradito spudoratamente.
‹‹Non
frignare come un bambino. Le tue parole
mi colpiscono, ma sai benissimo quanto male mi hai fatto e che per
colpa tua,
non ho avuto più una vita per molto
tempo››
‘Sì,
Bill. Lo so, lo
so.’
‹‹Quindi
okay. Ci vedremo domani a casa tua.
Vengo per le cinque del pomeriggio. Così saluto anche tua
madre.››
‘Grazie
Bill.
Davvero. Ti prometto che sarà breve la visita. Ci vediamo
domani allora.’
‹‹Sì,
okay. A domani.››
Terminò
la telefonata e l’unica cosa che riuscì
a fare non appena ripose il cellulare in tasca, fu piangere. Si
portò le mani
sul volto coprendolo del tutto. Non poteva crederci.
Si
asciugò le lacrime con un bel po’ di carta
igienica e tornò dai suoi amici e da sua sorella.
‹‹Ehi
Bill, ma dov’eri finito? Pensavo che
qualcuno di stesse stuprando nel bagno.›› disse
ironicamente Kristoff, ma lui
non rise affatto. Sul suo volto era dipinta un’espressione
triste e cupa.
‹‹Bill,
che cosa è successo?›› chiese Heidi
preoccupata, accarezzando delicatamente una guancia del fratello,
notando
quanto fosse ancora bagnata. Lui sospirò e la
guardò negli occhi.
‹‹Tu
non hai idea di chi fosse al telefono.››
*
‹‹Come
sta morendo?›› esternò Heidi. Bill
sospirò e si asciugò le lacrime.
‹‹È
la stessa domanda che ho fatto anche io. Mi
è sorta spontanea. Gli hanno diagnosticato un tumore maligno
ai polmoni. Se
quel coglione mi avesse ascoltato sin dall’inizio, forse a
quest’ora non
sarebbe sul punto di morire.››
Bill
raccontò brevemente ciò che fu della
telefonata con Georg e aggiunse che l’indomani sarebbe andato
a trovarlo a casa
sua. Heidi non fu molto d’accordo di questo in quanto sapeva
benissimo della
sofferenza che Georg aveva provocato a suo fratello. Seppure fosse sul
punto di
morire, avrebbe voluto ucciderlo lei stessa. Con le sue mani.
Chi
è causa del suo
mal, pianga se stesso.
Disse
fra sé e sé. Avrebbe tanto voluto dirlo
al fratello, ma vedendolo piuttosto sconvolto, preferì non
farlo.
‹‹Vuoi
che venga con te, domani?›› disse Heidi
accarezzandogli leggermente la spalla. Bill scosse la testa.
‹‹No,
è una cosa che voglio fare da solo. Anche
se, non vi nascondo, che è molta paura di vedere in che
condizioni si sia
ridotto.››
‹‹Quel
male non può far altro che dare un
cattivo aspetto, Bill. Devi aspettare il peggio. Lo
sai.››
‹‹Sì,
lo so. Spero di reggere. Anche se lo odio
con tutte le mie forze, resta pur sempre una persona e, per di
più, una persona
che ho amato.››
Heidi
fece una smorfia. Non era affatto
convinta della situazione. Avrebbe voluto andare assieme al fratello
soprattutto per guardare in faccia quel verme. Sì,
dispiaceva anche lei, ma
restava sempre il fatto che avesse tradito suo fratello. Il suo amato
Bill.
‹‹Adesso
sono stanco e quella telefonata mi ha
rovinato la serata. Voglio tornare a casa.›› si
alzò dallo sgabello e prese la
sorella per mano. ‹‹Scusatemi tanto ragazzi. Non
è proprio serata.›› salutò
amichevolmente i suoi migliori amici ed uscì dal bar.
*
In
macchina non disse nulla. Quella telefonata
di Georg gli aveva davvero scombussolato lo stomaco. Stava guardando
fisso
davanti la strada, senza batter ciglio. Non mise nemmeno la radio.
Heidi
avrebbe tanto voluto dir qualcosa. C’era da dire che il
povero cuore di Bill ne
stava subendo davvero tante. Tom che si era del tutto volatilizzato,
Georg con
il tumore ai polmoni, ci mancava solo che succedesse qualche altra cosa.
‹‹Se
vuoi parlare, Bill. Lo sai che ci sono.››
Dolcemente
gli sfiorò la coscia, ma Bill restò
del tutto impassibile. Sospirò e socchiuse gli occhi.
‹‹So
che ti ha sconvolto questa cosa. Mi
dispiace molto, sul serio.››
D’un
tratto lui accostò, fermandosi nel bel
mezzo del nulla. Erano circa le due di notte e per strada non
c’era un’anima.
Spense i fari e abbassò leggermente il sedile. Si mise
comodo incrociando le
braccia e restò a fissare il vuoto.
‹‹Bill?
Mi dici cos’hai? Da quando siamo
tornati sei…come dire…morto. Ripigliati,
cazzo.››
Heidi
gli diede un leggero scossone, ma Bill
non si mosse di un centimetro. Era come se fosse in trance.
‹‹Bill,
voglio tornare a casa. Accompagnami
adesso. Torniamo a casa, andiamo.›› non ci fu
risposta.
‹‹Bill?››
Continuò
a non rispondere.
‹‹E
va bene. Me ne torno a piedi.›› si
slacciò
la cintura e proprio mentre stava per aprire la portiera della
macchina, si
sentì afferrare il polso. Fu costretta a girarsi.
‹‹Non
lasciarmi. Almeno tu, non mi lasciare.››
Bill
stava piangendo. Per l’ennesima volta.
‹‹È
come se tutte le persone intorno a me se ne
andassero. Prima Georg, ora anche Tom.››
Heidi
dedusse quindi che il problema
principale, fosse Tom. La sua mancanza lo stava del tutto distruggendo
dall’interno.
‹‹Bill,
ne abbiamo già parlato. Lui è
americano. Tu sei un fottuto tedesco. Era palese che dopo la crociera
sarebbe
sparito. Bill, giù dalla nave ognuno torna alla propria
vita. Pare che qui
tutti l’abbiamo fatto tranne tu.››
‹‹Io
non capisco, Heidi. Non capisco. Sembrava
davvero convinto di quello che dicesse. Non mentiva, Heidi. Non stava
mentendo.
Ecco perché non me ne capacito. Ho provato a cercare anche i
suoi amici, ma
ancora non mi hanno aggiunto. Mi sto seriamente preoccupando. E se
fosse
successo qualcosa? Se l’aereo fosse precipitato? Se non
volesse avere nulla a
che fare con me?››
Cominciò
a parlare a raffica, senza fermarsi.
Iniziò a piangere ancora di più.
‹‹Bill…››
cominciò Heidi accarezzandogli la
coscia. ‹‹Ti rendi conto di quanto tu sia
maledettamente paranoico? Hai pensato
che forse il ragazzo sta studiando? O non abbia la connessione
internet? O
abbia semplicemente smarrito il biglietto con scritto il tuo numero di
cellulare?››
Provò
a tranquillizzarlo cercando di trovare quante
più soluzioni plausibili. Anche se infondo, anche lei era
preoccupata. Da come Bill
ne parlasse, Tom sembrava davvero convinto di quello che dicesse. Non
sembrava
fingesse. E lei i bugiardi li identificava a mille miglia di distanza.
Era
sempre stata a contatto con loro, uno di quelli, era proprio il loro
vero
padre.
I
pezzi di merda, non
se li ricorderà mai nessuno.
Simone
aveva ragione, nonostante l’avessero
ucciso, anni fa, nessuno aveva mai sospettato di loro o tanto meno,
fosse
venuto a cercarlo.
Tom
non sembrava uno di quelli. Non sembrava un
bugiardo. Anzi, sembrava davvero parecchio sincero.
‹‹Io
mi sono innamorato, Heidi. Cazzo!››
tirò
un pugno sullo sterzo, facendo suonare il clacson per un lasso di
tempo.
‹‹Devi
smetterla di torturarti l’anima, Bill.
Mi sono spiegata? Cerca di non pensare più a lui. Ti stai
uccidendo. Ed io non
sopporto vedere l’amore della mia vita conciato in questo
modo. E parlo
seriamente.››
L’abbracciò
in maniera così dolce e fraterna
che quasi si sciolse. Lo amava talmente tanto. Avrebbe ucciso per lui.
Vederlo
così le corrodeva l’anima.
‹‹Io
sono già morto dentro, Heidi. Davvero. È
come se la mia vita fosse rimasta lì, su quella maledetta
nave. Forse sarebbe
stato meglio se non ci fossi andato proprio. Non l’avrei mai
incontrato,
almeno. Sto troppo male.››
‹‹Tu
hai solo bisogno di una sana scopata,
fratellino. E vedrai che te ne dimentichi e ti passa tutto. Conosco
tanta gente
che ti va dietro.›› disse sarcasticamente
cercando di far sorridere leggermente
il fratello. Un lieve ed accennato sorriso si abbozzò sulle
sue labbra ed
inevitabilmente, ricambiò l’abbraccio.
‹‹Non
saprei davvero cosa fare senza di te,
Heidi.››
‹‹Sì,
lo so. Saresti perso.››
‹‹Vieni
con me domani. Non voglio andare da
solo.››
Heidi
sorrise nuovamente e gli dette un dolce
bacio sul collo.
‹‹Lo
sapevo già, Bill.››
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Capitolo XXI ***
-
Capitolo 21 -
Erano
quasi cinque minuti che Bill ed Heidi
erano davanti la porta d’ingresso di casa Listing. Nessuno
dei due aveva il
coraggio di suonare. Si guardavano a vicenda e fissavano al contempo il
campanello.
‹‹Perché
non suoni?››
Disse
poi Heidi dando una leggera gomitata a
Bill.
‹‹Perché
non bussi tu?›› controbatté Bill,
ricambiando la gomitata. Continuarono così per un altro
lungo minuto. Nessuno
dei due riusciva a trovare il coraggio di bussare. Che reazione
avrebbero avuto
vedendo Georg in quelle condizioni? Perché avrebbe dovuto
avere un aspetto
malsano, vero?
‹‹Cazzo,
Bill. Non possiamo stare tutto il
giorno qui. Suona quel cazzo di campanello. Prima entriamo e prima
andiamo via.
Non so nemmeno che reazione avrò vedendo quel pezzo di
merda. Deve ringraziare
il Signore che sta male, altrimenti l’avrei ucciso con le mie
stesse mani. Ora
suona quel dannato affare ed entriamo.››
Questa
volta Heidi parlò sul serio. Alzò
notevolmente il tono di voce e Bill non osò controbattere.
Si riempì i polmoni
d’aria e la buttò fuori tutta in una volta sola.
Socchiuse gli occhi e suonò.
Ci
vollero pochi istanti prima che la porta
venisse aperta da una figura alta, magra e piuttosto invecchiata.
Karol, la
mamma di Georg.
Nessuno
dei tre fiatò. Calò il silenzio e
l’imbarazzo. Si guardarono per pochi attimi negli occhi,
trattenendo il
respiro. Karol aspettava l’arrivo del ragazzo, ma non si
aspettava l’arrivo di
Heidi. Dopotutto, avrebbe dovuto immaginare che non si sarebbe mai e
poi mai
presentato da solo.
‹‹C-ciao,
ragazzi››
‹‹Ciao,
Karol.›› dissero all’unisono.
‹‹Entrate.
Georg scenderà a breve. È sotto la
doccia.››
Karol
fece entrare i due fratelli in casa,
chiudendo successivamente la porta alle sue spalle.
‹‹Ti
aspettavo solo. Senza offesa, Heidi.››
‹‹Non
ti preoccupare. Mi ha chiesto Bill di
accompagnarlo, ed io non ho esitato a farlo.››
disse pungente la ragazza,
guardandola dritto negli occhi. La signora non resse lo sguardo e fu
costretta
a distogliere gli occhi da quelli di Heidi.
‹‹Prego,
accomodatevi. Posso offrirvi un thè
freddo con un po’ di strudel? L’ho fatto da
poco.››
I
due ragazzi si sedettero al tavolo posto al
centro della sala da pranzo e declinarono entrambi.
‹‹Vado
ad avvisare Georg che siete arrivati.››
diede loro le spalle e si allontanò.
‹‹Ho
passato le giornate, qua dentro.›› disse
improvvisamente Bill, guardandosi intorno. Niente era cambiato. Tutto
era
esattamente come anni addietro.
‹‹Certo,
Bill. Non lasciarti infinocchiare da
ciò che possa dirti, o non farti impietosire dalla
situazione. Ricordati
dell’odio che ho nei confronti di Georg. Solo io so cosa hai
passato per colpa
sua. Okay, la morte non si augura a nessuno, ma quando mi hai detto che
stava
per morire, ho pensato: ha avuto ciò che si
merita.››
Bill
non rispose.
‹‹Smettila
di fare il mollaccione. Esci i
coglioni una buona volta, fratello mio.››
Non
fece in tempo a dir qualcosa che, dalle
scale, si intravide Karol seguita da...Georg? No. Quello non poteva
essere lui.
I
due ragazzi restarono decisamente sconvolti.
Sia Heidi che Bill avevano la bocca aperta e gli occhi sgranati. Mai e
poi mai
avrebbero immaginato una cosa del genere. La figura dietro Simone, non
era
Georg. Era uno scheletro. Sì, forse era lo scheletro di
Georg. Persino la più
leggera folata di vento avrebbe spazzato via quell’esile
figura. Il vecchio
Georg, quello palestrato, tonico, muscoloso, ormai era solo un lontano
di
ricordo. Del Georg che conosceva Bill, non era rimasto praticamente
nulla.
Il
tumore lo stava letteralmente consumando.
Forse pesava 40, massimo 45 chili. Le guance erano infossate,
così come gli
occhi. Indossava una canotta bianca che lasciava intravedere il petto;
quel
petto che, un tempo, era pieno e ben allentano, ora non era altro che
pelle ed
ossa. Si vedevano nettamente le ossa della cassa toracica. Le braccia e
le
gambe sembravano stuzzicadenti pronti a spezzarsi da un momento
all’altro. La
pelle secca, rugosa e piena di macchie scure.
‹‹Bill,
Heidi…che bello vedervi.›› la sua voce
era rauca, cupa. Tossì forte. Ormai era diventato uno sforzo
parlare. Si
avvicinò ai due ragazzi e li salutò con un
sorriso. Un sorriso ormai spento.
‹‹State
così bene. Tu Heidi sei cambiata
tantissimo…tu sei sempre uguale
invece.›› disse tristemente, guardando quel
ragazzo che, un tempo, era stato suo.
‹‹Chiederti
come stai sarebbe una presa per il
culo, vero?›› disse Bill apatico, guardando negli
occhi il ragazzo. Forse,
quegli occhi verdi, erano l’unica cosa che non aveva subito
modifiche. Erano
sempre gli stessi…un po’ più
tristi…ma sempre quelli.
‹‹Guarda,
Bill. Sono stato anche peggio. Di
solito dopo la chemio.››
‹‹Perché
mi hai fatto venire, Georg?››
Calò
nuovamente il silenzio. Karol guardò il
figlio e capì che era arrivata l’ora di lasciarli
soli.
‹‹Ragazzi,
io vado a fare un po’ di spesa.
Spero di trovarvi al mio ritorno.›› li
salutò anche lei con un sorriso
altrettanto spento. Prese le chiavi dell’auto ed
uscì di casa, consapevole che,
al suo ritorno, non li avrebbe più trovati. Forse era meglio
così.
Non
appena Karol chiuse la porta, Georg scoppiò
a piangere.
‹‹Non
voglio impietosirti, Bill, perché non è
mia intenzione farlo…››
iniziò con voce tremola e rauca. ‹‹Ma
voglio solo farti
capire quanto mi dispiaccia averti ferito.››
Bill
sospirò e la sua reazione, fu alzarsi
dalla sedia e andargli incontro. L’abbracciò
forte. Georg ricambiò l’abbraccio,
stringendolo ancora più forte e piangendo ancora di
più. Heidi restò seduta. Si
morse il labbro inferiore, cercando di trattenere anche lei le lacrime.
È vero,
l’odiava con ogni cellula presente all’interno del
suo corpo, ma vederlo
ridotto in quelle condizioni, colpì anche il suo cuore di
ghiaccio.
‹‹Mi
dispiace così tanto averti ferito, Bill.
Mi dispiace così tanto.›› continuava a
stringerlo, come se fosse ancora
possibile. Quella sicuramente sarebbe stata l’ultima volta
che avrebbe potuto
farlo.
Bill
non rispose. Lo abbracciò forte e, con un
po’ di coraggio, sussurrò quelle parole che Georg
avrebbe voluto sicuramente
sentire. Ecco perché l’aveva chiamato. Non per
vederlo un’ultima volta, non per
impietosirlo, ma per avere il suo perdono. Georg voleva morire senza
quel senso
di colpa che, probabilmente, gli stava divorando l’anima.
‹‹Io
ti perdono, Georg. Ti perdono.››
sussurrò
il ragazzo. Georg improvvisamente si staccò da
quell’abbraccio così intenso. Lo
guardò dritto negli occhi. Bill sorrise tristemente.
‹‹Ecco perché mi hai
chiamato. Volevi che ti perdonassi. Adesso l’ho fatto. Ti
perdono, Georg. Non
torturarti più. Sì, è vero, sono stato
male…avevo giurato a me stesso che non
mi sarei mai più innamorato di nessuno…ma sai
cosa ti dico? Io ti
ringrazio…perché mi hai reso più
forte, più sicuro di me stesso...l’ho
superata…è ora di metterci una pietra sopra.
Tutti sbagliamo nella vita. Errare
è umano, perdonare è divino.
Giusto?››
Non
aggiunse nient’altro. Gli occhi di Georg si
illuminarono e, questa volta, sorrise per davvero. Era felice. Rivolse
il suo
sguardo verso Heidi.
‹‹Forse
tu non mi perdonerai mai, ma voglio
dirti una cosa…ho amato tuo fratello. Lo amo
tutt’ora, e credo che lo amerò
anche nell’aldilà. Volevo solo farti sapere questo, visto che sei qui anche
tu. L’avevo
immaginato. Bill non sarebbe mai venuto da solo. Grazie per quello che
hai
fatto, Bill.›› disse rivolgendosi nuovamente
verso il biondo.
‹‹E
grazie anche a te, Heidi.››
Heidi
non rispose.
No.
Lei non l’avrebbe mai perdonato. Non poteva
farlo.
*
Quando
uscirono dall’appartamento, Bill si
sentì più sollevato, più leggero.
Forse aveva fatto bene anche lui
quell’incontro.
‹‹Sai
Heidi, mi ha fatto davvero bene
rivederlo. Mi sento più leggero anche io. Non ho
più rimpianti verso di lui.
Anche perché, grazie ad oggi, ho capito di essere davvero
innamorato di Tom.
Perdonarlo, è stata come una liberazione. Avevo quel peso
addosso che stava
impedendo di aprirmi totalmente. Io lo amo, Heidi. Amo Tom come non ho
mai
amato nessuno nella vita. Come non ho mai amato Georg. Io sono certo
che ci
rivedremo un giorno...››
Heidi
non disse nulla. Sorrise e si mise sotto
braccio al fratello, poggiando dolcemente la testa su di esso. Vedere
Bill
così, la faceva sentire serena.
Nove
mesi dopo
‘Ormai
credo di aver
perduto ogni speranza, Sarah.’ Inviato
alle 11:05
Visualizzato
alle 11:05 – Sarah sta scrivendo…
‘Chiamami.
Detesto
messaggiare.’
Visualizzato
alle 11:06
Bill
sorrise. Dopo tutti quegli anni che la
conosceva, ancora non aveva capito che Sarah odiava fare dei discorsi
serie e
lunghi per messaggi. Selezionò il suo contatto e premette il
tasto verde.
Ehi
scimmietta!
Rispose
ironicamente la ragazza.
‹‹Ehi
giraffa!››
Mi
hai rotto le palle
con questo Tom. Dimenticalo, Bill. È acqua passata. Sono
trascorsi nove mesi da
quella cazzo di crociera. Se non ti ha mai cercato, vuol dire che per
lui eri
soltanto un passatempo. Perché non te lo vuoi ficcare in
quella testaccia di
merda che hai?
‹‹Ehi
modera il linguaggio, scema.›› disse Bill
scherzando. Gli insulti erano all’ordine del giorno per loro.
Insulti
affettivi, certo. ‹‹Ho ancora il biglietto che mi
ha dato prima di lasciarmi.
Non l’ho ancora aperto. Ha detto che avrei capito io stesso
quando aprirlo. Ed
io credo sia arrivato. Lui non mi ha dimenticato, Sarah.
Perché nessuno vuole
capirlo?››
Stringeva
quel foglietto di carta come se fosse
la cosa più importante del mondo. Aveva ancora il suo
profumo. Gli vennero i
brividi. Dio quanto gli mancava.
‘Se
senti che sia
arrivato il momento giusto, non vedo il motivo per il quale tu non
debba
farlo.’
Bill
era disteso sulla panchina del parco dove,
solitamente, andava con Sarah o con sua sorella. Questa volta era da
solo. Il vento
che soffiava, era gelido. Il fumo che usciva dalla sua bocca era
così denso da
sembrare nebbia.
‹‹Io
lo amo, Sarah. Lui ama me. Che senso
avrebbe dirmelo se non lo si prova davvero. Tu non sai i momenti
magnifici che
abbiamo passato insieme, mi ha salvato la vita quando
c’è stato
quell’alluvione. Non hai idea della paura che ho
avuto…e tu sei a conoscenza
del motivo per il quale io ne abbia.››
‘Sì,
Bill. Lo so. Allora
sai cosa ti dico? Apri quel biglietto. Adesso devo andare. È
arrivato a
prendermi Kristoff. Poi voglio sapere cosa c’è
scritto. Stammi bene scimmietta.
Riguardati. Ti voglio bene.’
‹‹Te
ne voglio anche io.››
Non
appena chiuse la chiamata, ripose il
cellulare in tasca ed incrociò le braccia al petto.
Sospirò, aveva lo sguardo
perso nel cielo plumbeo. Ogni tanto scendeva qualche fiocco di neve
che,
dolcemente, si posava sul viso del ragazzo. Socchiuse gli occhi e gli
venne da
piangere.
Dove
sei, Tom?
Pensò
poi. si portò la mano destra vicino al
viso. Il pugno era serrato. L’aprì leggermente e
vide il bigliettino ripiegato
più volte su ste stesso. Il cuore gli tremava,
così come il resto del corpo.
‹‹Okay,
Bill. Apri e leggi questo fottuto
biglietto.››
Non
ci pensò a lungo; anche perché se
l’avesse
fatto, di sicuro non l’avrebbe più letto.
L’aprì subito e cominciò.
Ciao
piccolo…come
stai? Se stai leggendo questo biglietto, vuol dire che non hai avuto
notizie di
me.
Ecco.
Tom lo sapeva. Lo sapeva fin dall’inizio.
Un lieve sorriso si dipinse sul volto di Bill. Era cominciato bene.
Voglio
tranquillizzarti. Non mi sono affatto dimenticato di te. Come potrei
farlo?
Sapevo che avresti colto il momento giusto per leggerlo. Quanto tempo
è passato
prima che tu lo leggessi? Due mesi? Tre?
‹‹No,
Tom…ne sono passati nove…››
disse poi
Bill. Il suo cuore si strinse.
Forse
anche qualcosa
in più. Mi auguro di non averti ferito, o peggio, non voglio
che tu abbia
pensato che mi sia dimenticato di quello che abbiamo passato insieme.
Sei
sempre nei miei pensieri, Bill. Non smetto un secondo di
pensarti…e ti penserò
sempre…anche se non avremo contatti per i prossimi mesi.
Qual
era il senso di quel biglietto, quindi?
Ti
starai chiedendo
il motivo per il quale io sia sparito, vero? Adesso te lo spiego. Devi
sapere
che, una volta sbarcato, non tornerò a casa.
Dovrò fare uno stage di un anno in
Giappone. Ti ho detto che studio informatica, vero? Bene. Per il mio
alto
rendimento, ho vinto questo corso. Anche Gustav, Andreas e Georg,
l’hanno
vinto. Sì, sicuramente starai pensando che siamo quattro
secchioni.
Il
viaggio è tutto
pagato dal College. Ovviamente non avrò né
internet, né altro. È un corso
intensivo e dovrò studiare praticamente ogni secondo quella
giornata. Quindi,
tesoro mio, non spaventarti se passerà tanto
tempo…tu sarai sempre nei miei
pensieri…e ricordati la promessa che ti ho fatto. Io non mi
rimangio la parola.
Non sarà l’oceano a separarmi da te.
Tornerò a prenderti.
…e
un’altra cosa…quando
ti ho detto ti amo, lo pensavo davvero.
Con
affetto, Tom.
Era
in lacrime. Strinse quel biglietto così
forte da farlo diventare parte di sé.
‹‹Lo
sapevo. Sapevo che non ti saresti dimenticato
di me. Mio Dio. È il giorno più bello della mia
vita.››
Si
mise seduto su quella panchina. Aveva la
schiena gelata. Lesse e rilesse quel biglietto. Era la sua risposta a
tutto.
‹‹Devo
dirlo ad Heidi.››
Si
alzò di scatto e si diresse correndo verso
casa.
*
‹‹OMIODIOCHECOSATENERA!››
urlò Heidi saltando
in braccio al fratello, riempiendolo di baci dappertutto.
‹‹CHECOSATENERA!››
urlò di nuovo. Bill scoppiò a ridere cercando di
tenere su la sorella. Gordon e
Simone, sentendo le urla, salirono su in camera della figlia.
‹‹La
volete piantare di urlare tutt’e due? Cosa
diamine vi è preso?›› dissero
entrambi, aprendo la porta di scatto. Temevano di
trovarli uno sopra l’altro che si accapigliavano per chi
dovesse usare per
primo la piastra.
‹‹NON
PUOI CAPIRE, MADRE.››
‹‹Madre?
Heidi stai bene?››
‹‹NON
POTETE CAPIRE!›› disse Bill. Mise Heidi
in terra e lesse ad alta voce il biglietto. Restarono sbalorditi anche
loro.
‹‹Aspetta…ma
Tom non è il ragazzo che hai
conosciuto in crociera? Dio Bill, sono passati nove mesi. Pensavo
l’avessi
dimenticato.››
‹‹No,
papà. Non l’ho dimenticato. Non l’ha
fatto nemmeno lui, da come puoi vedere.››
I
suoi occhi brillarono, così come il suo
sorriso. Forse non era mai stato tanto felice in vita sua.
‹‹Sono
felice per te.›› disse poi Simone,
sorridendo.
Bill
corse in contro ai genitori e li abbracciò
più forte che poteva. Anche Heidi lo fece.
‹‹Il
merito è tutto vostro e di quella
splendida crociera, se ho conosciuto una persona come
lui.››
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Capitolo XXII ***
-
Capitolo 22 -
Tre
mesi dopo
Bill
si sistemò la
cravatta nera con aria triste e malinconica. Heidi aveva messo il suo
tubino
nero opaco. Si guardava allo specchio inclinando la testa a destra e
sinistra.
‹‹Non
indossavo
questo tubino nero da…››
Non
continuò la
frase.
‹‹…sì,
dal finto
funerale di nostro padre.›› concluse Bill. Heidi
annuì rammaricata e si stirò
l’abito con le mani.
‹‹Speravo
di non
indossarlo mai più.››
si strinse nelle
braccia e nascose il collo fra le spalle. Una lacrima nera le
rigò lo zigomo,
l’asciugò prima che il trucco le colasse.
Bill
sapeva che prima
o poi sarebbe successo, ma non pensava dopo così poco tempo.
Sospirò per
l’ennesima volta, socchiudendo gli occhi cercando di
ricacciare indietro le
lacrime.
‹‹Gli
ho sempre
voluto bene, Heidi. Nonostante tutto ciò che mi ha
fatto…e ti giuro, è strano
da dire, ma mi ha lasciato un vuoto dentro. Un vuoto che fa
male.›› la sua voce
era spezzata.
Heidi
si avvicinò e
lo abbracciò così forte quasi da soffocarlo. Si
mise in punta di piedi e fece
sprofondare il viso fra l’incavo del collo e della clavicola.
Cercò di
trattenere le lacrime. Senza riuscirci più di tanto. Bill le
accarezzò il capo
e la baciò.
‹‹Dispiace
anche a
me, Bill. Chi l’avrebbe mai detto.››
Il
fratello prese a
giocare con i suoi capelli biondi, passandoseli fra le dita come se
fossero
fili di seta. Non rispose.
‹‹Dovremmo
andare,
Bill. La messa inizia fra dieci minuti.››
Si
staccò contro
voglia dal suo abbraccio e lo guardò negli occhi. Poteva
leggere chiaramente la
sofferenza che stava passando, ma non versò una lacrima
seppure fossero pieni
di tristezza.
‹‹Sai
una cosa,
Heidi? Non riesco ancora ad immaginare che Georg non ci sia
più.››
*
Bill
parcheggiò
l’auto non molto lontano dalla Chiesa. Tanta gente era
riunita davanti
l’entrata. Era davvero triste come scena. Bill
sospirò, prese coraggio e uscì
dalla macchina. Heidi fece lo stesso.
Si
avvicinò subito al
fratello prendendogli la mano con entrambe le sue.
‹‹Non
lasciarmi mai
la mano, Bill. Non farlo mai, okay?››
Bill
scosse la testa
e, come se fosse possibile, la strinse ancora più forte. Il
suo cuore tremava
ogni volta che faceva un passo verso la gente radunata.
Giurò di aver visto la
madre di Georg. Era disperata. Le sue gambe iniziarono a cedere.
‹‹Bill?
Bill cosa
c’è?››
La
sua testa cominciò
a girare forte, come se stesse per svenire.
‹‹Bill?
Non ti senti
bene? Bill, rispondimi?››
Chiuse
gli occhi e,
d’un tratto, si ritrovò in piedi
sull’altare. Davanti a sé, aveva la bara. Era
aperta. Si guardò attorno, spaesato, e notò che
la stanza era completamente deserta.
Era da solo. Iniziò a salire gli scalini, avvicinandosi
sempre di più alla
bara. Poteva vedere benissimo la presenza di un corpo al suo interno,
ma non
riusciva a capire chi fosse. Iniziò a sudare freddo. Solo
quando fu abbastanza
vicino, riuscì a vedere al suo interno. La visione lo
sconvolse. Non c’era
Georg dentro, Tom.
Cacciò
un urlo, o
almeno ci provò. Non uscì alcun suono dalla sua
bocca. Solo un grido muto.
Provò nuovamente a gridare, ma il risultato fu lo stesso.
Una
voce d’un tratto
riecheggiò per la Chiesa. Era la voce di Heidi.
‘Bill,
svegliati,
Bill. Svegliati.’
Bill
si girò,
cercando di capire da dove provenisse la voce, ma non c’era
nessuno assieme a
lui. si lasciò cadere sulle ginocchia e si
afferrò il capo con le mani
stringendo i capelli.
‹‹Coraggio,
Bill. È
solo un sogno. Svegliati.›› si strinse ancora di
più il viso.
‹‹SVEGLIATI!››
urlò
nel sogno, svegliandosi di soprassalto.
*
Iniziò
a respirare affannosamente. Heidi era
seduta sul suo letto e gli stringeva la mano. Il suo sguardo era
spaventato.
‹‹Bill,
cosa c’è? Ti agitati nel sonno in
maniera convulsiva.›› Bill si mise seduto e
l’abbracciò fortissimo, scoppiando
a piangere.
‹‹Ho
fatto un sogno orribile, Heidi. Orribile.››
‹‹Tranquillo,
fratellino. Era solo un incubo.
Niente di tutto ciò che hai visto è
vero.›› la sorella gli accarezzò i
capelli
e gli baciò il capo, poggiandovi successivamente una guancia
sopra di essa.
Cercò di tranquillizzarlo al meglio. Ci riuscì.
‹‹Ti
chiedo scusa se ti ho svegliata nel cuore
della notte, Heidi.››
‹‹Non
preoccuparti. Sono solo le tre di notte.››
ironizzò Heidi scompigliandogli ancora di più i
capelli. Bill non oppose
resistenza. Sorrise.
‹‹Resta
nel mio letto, sorellina. Dormiamo
ancora un po’.›› Bill fece spazio
dimodoché Heidi potesse benissimo entrarvici.
Si accoccolarono l’un l’altro e si riaddormentarono
in un sonno senza incubi.
*
Quando
Bill si svegliò, erano le dieci del
mattino. Aprì lentamente gli occhi e notò che era
solo, nel letto. Sbadigliò
rumorosamente stiracchiandosi. Tese braccia e gambe e, con un rapido
movimento,
si mise seduto. Restò a contemplare per qualche minuto,
fissando un punto vuoto
della stanza. Volse successivamente la propria attenzione al cellulare
sul
comodino. Stava lampeggiando. L’afferrò e
notò che segnava una chiamata persa
di un numero che non conosceva. Non poteva essere quello di Georg.
L’aveva
salvato dall’ultima volta che l’aveva chiamato, e
poi, Georg era morto un mese
prima. Il suo cuore perse un battito. Provò a richiamare ma,
ovviamente, c’era
la segreteria. Avrebbe riprovato più tardi.
Scese
di sotto e, come ogni mattina, i suoi
genitori non erano in casa. Heidi era alle prese con dei pancake, che
sembravano
più uova strapazzate. L’odore era anche pessimo.
Bill
storse il naso e si tappò il naso. C’era
odore di bruciato in cucina.
‹‹Ehm…Heidi?
Vuoi per caso una mano a cucinare?
Se vuoi li faccio io. Non c’è bisogno di
affannarti.››
‹‹No,
ho la situazione sotto controllo.›› del
sudore le colò dalla fronte e lei
l’asciugò con la manica del pigiama. Bill
rise sotto i baffi. Non aveva affatto la situazione sotto controllo.
Anzi, era
piuttosto degenerata. Quella sottospecie di pancake stavano avendo la
meglio.
‹‹Heidi,
lascia stare. Non vedi che sono da
buttare? Tranquilla. Siediti. Preparo io la colazione. Così
sprechi solo tempo.››
le cinse i fianchi e le diede un bacio sulla guancia. Heidi si arrese e
decise
di lasciare il posto a suo fratello.
‹‹Volevo
fare qualcosa di carino…›› ammise lei,
sedendosi sul divano. Sembrava agitata.
‹‹Qualcosa
di carino? Per me? Ma se non hai mai
fatto un toast in vita tua.››
Heidi
lo fulminò con gli occhi e gli fece il
verso.
‹‹Infatti
non era per te, imbecille di un
fratello…forse sarebbe stato meglio ordinare dei cornetti al
bar.›› pensò poi,
immergendosi nei suoi pensieri. Bill non capì. Erano
soltanto loro in casa. La guardò
accigliato.
‹‹Scusami
Heidi, per chi avresti dovuto fare
qualcosa di carino? Mi sono perso qualcosa forse? È il
compleanno di qualcuno?››
Heidi
si morse il labbro inferiore e si portò
le ginocchia al petto nascondendovi il viso.
‹‹Heidi,
mi stai facendo agitare…››
La
ragazza non rispose, ma cominciò ad agitarsi
anche lei. Come se si stesse trattenendo dal dire o fare qualcosa. Il
cuore di
Bill cominciò a battere all’impazzata, salendogli
quasi in gola.
Improvvisamente
delle mani si posarono sul suo
viso, coprendogli gli occhi. Non vedeva nulla.
‹‹Ehi,
ma cosa diavolo…››
‹‹Sshh…indovina
chi sono?››
Lo
interruppe la voce misteriosa. Bill era
confuso. Sentì Heidi urlacchiare e ridere nello stesso
momento. Gli cominciò a
girare la testa. La sua risata cominciò a risuonare nelle
sue orecchie in
maniera ovattata. No…non poteva essere lui. Non poteva.
Deglutì rumorosamente e
iniziò a piangere.
‹‹Allora?
Non mi riconosci già più?››
A
quel punto, Bill riacquistò la vista. Ci mise
un po’ prima di mettere a fuoco, vedeva ancora appannato. Si
girò di scatto e,
in quel momento, le gambe gli cedettero, il cuore tremò e le
lacrime iniziarono
a scendere ancora più forte di prima.
‹‹ODDIO
TOM!›› gli gettò le braccia al collo,
lo strinse quanto più forte potesse, con tutta la forza che
aveva nelle
braccia. Anche Tom fece lo stesso. L’abbracciò con
tutto sé stesso.
‹‹Mi
sei mancato da morire, Bill. Mi sei
mancato da morire.››
‹‹Anche
tu, Tomi. Mi sei mancato da morire.
Oddio cosa ci fai qui? Non ci credo, non ci posso
credere.›› Il ragazzo
continuava a piangere per la gioia, stringendosi quanto più
forte poteva contro
il corpo del rasta.
‹‹Dal
Giappone sono venuto direttamente qui, da
te. Non so nemmeno da quanto tempo non torno a casa mia. Spero non ti
dispiaccia.››
Bill
non rispose, l’abbracciò ancora di più,
come se fosse possibile. Heidi si commosse nel vedere quella scena, era
davvero
così felice per suo fratello.
‹‹Bill
aveva perso le speranze, ormai. Credeva
non l’avresti più contattato. Credeva non tornassi
più.›› si asciugò una
lacrima che cominciò a scenderle lungo il viso. Sorrise.
Tom
si staccò riluttante dalle braccia del suo
amato Bill e, guardandolo negli occhi, gli avvolse il volto e lo
baciò.
‹‹Ricordi
cosa ti dissi, Bill? Ti ricordi la
promessa che ti ho fatto?››
Bill
socchiuse gli occhi ed annuì. Sorrise
felice.
‹‹Non
sarà l’oceano a separarmi da te.
Tornerò
a prenderti.››
Tom ricambiò il suo
sorriso, entusiasta di sapere che Bill non aveva dimenticato la sua
promessa.
Lo baciò ancora.
‹‹Sono
tornato, Bill. Sono tornato a prenderti.››
-
Fine -
******
Note:
prima di tutto, vorrei scusarmi per aver atteso così tanto
per postare l'ultimo capitolo che, a dir il vero, non doveva essere
nemmeno l'ultimo ma, per mancanza di ispirazione, ho deciso di
concluderla qui e non di dilungarmi più di tanto onde
evitare che la FF diventasse pallosa. Che dire, 'The cruise'
è entrata nella mia vita nel febbraio del 2014 e, come ogni
long, scrivere la parola fine è sempre un duro colpo,
soprattutto dopo così tanto tempo. non credo ci saranno
spin-off su questa FF, forse solo uno. Per ora non ho intenzione di
scriverlo in quanto ho alcuni lavori da terminare (che non riguarda il
twincest) detto questo, questo che la FF vi sia piaciuta. <3
Ringraziamenti: vorrei ringrazioare tutte coloro
che hanno sempre recensito, lasciandomi dei bellissimi commenti ed
opinioni motivandomi ancora di più nel proseguire la FF.
Vorrei ringraziare anche tutte coloro che hanno aggiunto la FF nelle
preferite, ricordate e seguite e, ovviamente, tutte le lettrici
fantasma. vi ringrazio di cuore. <3
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2589226
|