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di YOUSHOULDLETMEBE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il test attitudinale: Alison ***
Capitolo 2: *** Il test attitudinale: Emily ***
Capitolo 3: *** Il test attitudinale: Hanna ***
Capitolo 4: *** Il testa attitudinale: Aria ***
Capitolo 5: *** Il test attitudinale: Spencer ***
Capitolo 6: *** La cerimonia della scelta ***
Capitolo 7: *** Il primo appuntamento ***
Capitolo 8: *** L'allenamento ***
Capitolo 9: *** Migliori amiche? ***
Capitolo 10: *** Mi dispiace ***
Capitolo 11: *** Caccia alla bandiera ***



Capitolo 1
*** Il test attitudinale: Alison ***


POV ALISON

«Ali! Svegliati!» La voce di mia madre risuona attraverso i muri sottili. Mi copro la testa con il cuscino cercando di ignorarla. «Dai! Oggi ci sarà il test!» Balzo in piedi e improvvisamente sono davvero sveglia. Il test. Oggi si deciderà il mio destino. Mi preparo velocemente, indosso un paio di pantaloni neri di pelle e una maglia attillata dello stesso colore, anche le scarpe, ovviamente, sono nere.
Scendo le scale saltando i gradini, quando arrivo in cucina saluto la mamma con un bacio sulla guancia e rubo una ciambella prima di scappare fuori.
Percorro la strada correndo veloce come il vento, quando raggiungo la casa di Caleb busso con violenza sulla porta di legno scuro. «Chi è??» La madre di Caleb grida da lontano.
«Ali!» Caleb spalanca la porta e me lo ritrovo davanti.
«Ciao mà!» Grida alla porta prima di chiudersela alle spalle.
Inizia a correre mentre io sono ancora ferma, lo inseguo e lo raggiungo, non sta andando troppo veloce.
«Sei pronto?» «Sono un intrepido Alison, sono pronto a tutto» mi supera aumentando di velocità. Già, anche io sono un’intrepida, ma non mi sento pronta per tutto questo.
Vorrei dirgli che ho paura; paura di non risultare intrepida, paura di dover lasciare la mia famiglia e anche lui per sempre; ma so che non capirebbe, lui non ha paura, lui è un intrepido.
Mi aspetta davanti alle rotaie del treno, nemmeno mi ero resa conto di averlo perso di vista.
«Muoviti! Arriva!» Il vento gli scompiglia i capelli scuri, io prendo la rincorsa e lo raggiungo subito, adesso anche i miei capelli biondi sono mossi dal vento.
I primi vagoni ci sfrecciano davanti e iniziamo a correre, io salto per prima. Premo il pulsante e la porta si spalanca davanti a me, risucchiandomi nel vagone spazioso.
Mi siedo a terra sistemandomi i capelli e Caleb atterra accanto a me. «Sta mattina mia madre non mi voleva lasciare andare, continuava con quelle stronzate sul non preoccuparmi…» Guardo il pavimento grigio davanti a noi, mia mamma non mi ha incoraggiata, non mi ha detto niente, credeva che non ne avessi bisogno…
Mi sventola una mano davanti agli occhi. «Ci sei?» «Sono un po’… sovrappensiero» Lo guardo negli occhi un po’ preoccupata, lui è il mio migliore amico da sempre, nessuno mi conosce come lui, gli basta guardarmi per leggermi nella mente «Hey, andrà tutto bene! Tu sei Alison Dilaurentis, niente ti potrà fermare! Sei un’intrepida!» Non lo so come faccia, ma sa sempre cosa dire. Gli sorrido.
Saremo intrepidi per sempre, la vita è fatta di dubbi, ma questo non è uno di essi.
I ragazzi iniziano a saltare giù dal treno così io e Caleb ci alziamo e ci spingiamo fuori con loro.
Rotoliamo sulla collinetta verde e ci rialziamo subito.
E’ questa la mia vita, e non dovrei preoccuparmi per questo test, sarà così per sempre.
Corriamo verso la scuola insieme a tutti gli altri intrepidi un attimo prima che la campana suoni.
«Buona fortuna!» Grida attraverso la folla che ci separa.
**
Gli altri intrepidi fanno confusione attorno a me ma io sto ferma, seduta sul tavolo a picchiettare le lunghe unghie sul suo legno.
«Hey!» Caleb mi afferra le spalle da dietro facendomi sobbalzare, scoppia a ridere e quando finisce mi si siede davanti.
«Dov’eri finito? Tra poco tocca a te» Fa un gesto di noncuranza con la mano e sposta la sua attenzione a una bionda al tavolo dei candidi. «Carina eh?» La indica con il mento., la fissava anche sta mattina. «Mhh… Io sono molto meglio Rivers!» Entrambi scoppiamo a ridere confondendoci per un attimo con il resto degli intrepidi.
Una donna entra nella stanza e chiama cinque ragazzi, uno per fazione, tra cui Caleb. Con un saltello incerto scende dal tavolo e si dirige verso la porta scambiando un ultimo sguardo con la candida bionda. «Buona fortuna!» Grido, lui si volta e mi sorride.
Passa molto tempo prima che mi chiamino e quando lo fanno raggiungo la porta quasi tremando. Io sarò nella stanza numero tre, normalmente sarebbe l’aula di biologia, ma non oggi.
«Ciao, mi chiamo George» un pacifico fin troppo allegro mi accoglie e mi indica di sedermi su una strana sedia.
«Alison» dico mentre mi siedo. «Bevi questo» l’uomo mi porge un bicchierino pieno di uno strano liquido quasi azzurrino. Lo fisso incerta e poi lo svuoto all’interno della mia bocca.
Chiudo gli occhi per un istante e quando li riapro sono di nuovo nella stanza numero tre, ma questa volta George non c’è, e sia le pareti che il pavimento sono di specchio.
Infiniti riflessi di me mi circondano e quasi mi sento oppressa da me stessa.
«Scegli» una voce femminile proveniente da un qualche angolo mi indica due contenitori in pietra davanti a me, uno contenente un pugnale e uno una fetta di carne.
Faccio per prendere la carne ma poi mi blocco, questo test dovrà risultare intrepida, lascio stare la carne e afferro il pugnale, tenendolo stretto nella mano destra.
I recipienti scompaiono all’istante e in lontananza un lupo inizia a correre verso di me.
Pensa da intrepida, mi lancio verso il lupo pronta ad ucciderlo ma lui cambia direzione, corre verso una bambina apparsa dal nulla.
Corro verso la bambina e uso il mio corpo per proteggerla. Il lupo ci raggiunge, salta verso di me e poi sparisce, mi guardo intorno, adesso sono all’interno di un pullman completamente vuoto… no, c’è un uomo seduto non troppo lontano da me. «Hey tu!» Mi chiama. Mi avvicino con passo incerto verso di lui. «Conosci quest’uomo?» Indica una foto sul giornale cha in mano. Si. «No, mi dispiace, non l’ho mai visto prima» alza gli occhi al cielo. «Tu menti! Per favore… Se lo conoscessi potresti salvarmi» Mi afferra il braccio con fare supplichevole, mi libero dalla sua presa con uno strattone «Non lo conosco, mi dispiace» Chiudo gli occhi e quando li riapro sono di nuovo nella stanza tre, accanto a George, che mi guarda preoccupato.
«Allora? Qual è il risultato?» Non sembra voler rispondere, mi sembra quasi stregato. «Allora?» Torna a sembrare normale, ma è ancora preoccupato. «Intrepida» Caccio un sospiro di sollievo «…E abnegante» resto immobile, che significa? Come posso appartenere a due fazioni? «Divergente» sussurra. Divergente.
Frottole, i divergenti non esistono, quando ero bambina erano i protagonisti delle favole al posto delle fate, sono reali quanto la magia, sta mentendo, è ovvio, eppure… Eppure qualcosa mi spinge a credergli. «Non devi dirlo a nessuno, intesi? Ti ucciderebbero» «Che cos… Chi?» Mi scorta fuori senza rispondere alla mia domanda, né a quella né a tutte le altre che avrei voluto rivolgergli.
Torno a casa senza fretta e non cerco Caleb, ci vedremo domani, e poi per il resto della nostra vita, sarò un’intrepida.

ANGOLO AUTRICE:
Ed eccomi dinuovo qui! Allora, qualche nota sui primi cinque capitoli:
-saranno piuttosto brevi rispetto agli altri, ma è un effetto VOLUTO.
-il punto di vista cambierà in quanto i contesti sono diversi ma, a partire dal sesto capitolo, il punto di vista sarà SOLO di Hanna, in quanto mio personaggio preferito, fatta eccezione, forse, e dico forse, per alcuni casi particolari, per cui continuerò ad inserire il POV.
Quindi, ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia prima fanfiction, è soprattutto grazie ai vostri commenti e ai vostri complimenti che ho deciso di scrivere questa seconda storia.
Alla prossima,
--Sara

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Capitolo 2
*** Il test attitudinale: Emily ***


POV EMILY
 
Mi siedo a tavola con mio padre e mia madre, dopo avergli preparato la colazione; latte e orzo, una tazza a testa.
Fingo di prestare attenzione alla loro conversazione ma mi riesce difficile, non riesco a smettere di pensare al fatto che oggi dovrò fare il test, il test che mi dirà se sono davvero un’abnegante.
Sono mesi che temo l’arrivo di questo giorno, che temo di dover abbandonare la mia famiglia, e adesso il momento è arrivato.
Consumo la mia colazione con fretta e nel completo silenzio.
«Posso andare?» Mia madre mi rivolge un cenno in segno di assenso, prendo la mia tazza e inizio a lavarla, senza smettere per un solo secondo di pensare a quel test, e a quanto il mio futuro dipenda da esso.
Indosso i classici abiti grigi da abnegante e lego i miei capelli in una comoda coda di cavallo.
Prendo lo zaino e prima di uscire do un bacio sulla guancia a mia madre e poi a mio padre. «Buona giornata» dico loro, «Buona giornata, Em» rispondono.
Decido di andare a piedi, per schiarirmi un po’ le idee.
Supero il quartiere solitario degli abneganti e mi ritrovo in quello degli esclusi, quelli che non appartengono a nessuna fazione.
Lo percorro correndo, aumentando la velocità ad ogni minimo movimento estraneo; dacché ero bambina, ho sempre temuto gli esclusi, in quanto abnegante non dovrei: dovrei voler bene a loro come agli altri, dovrei aver voglia di aiutarli, come dovrei avere voglia di aiutare tutti gli altri, ma non mi viene naturale.
Passo per i quartieri delle altre fazioni attirando lo sguardo di qualcuno qua e là, ma ignoro le occhiate di disappunto alla mia presenza e raggiungo la scuola, l’unico posto in cui i giovani di tutte le fazioni possono mescolarsi tra loro.
«Hey Em!» La mai amica Paige mi viene incontro, con indosso i soliti vestiti grigi. Sorrido in modo forzato «Hey Paige, tutto bene?» Annuisce silenziosa «…Sono solo un po’ tesa per il test attitudinale… Tu?» Mi scruto le mani con le unghie mangiucchiate «Anch’io…» Guardo dall’altro lato della strada quando sento il treno stridere sulle rotaie, una massa nera e deforme inizia a saltare giù dai vagoni: gli intrepidi stanno arrivando.
Mi ritrovo a immaginare come deve essere bello avere la libertà che hanno loro, poter saltare, correre…
La campanella suona risvegliandomi dalle mie insensate fantasie. «Smettila di guardarli Em, finirai per consumarli…»
«Ero solo… curiosa» Lei scuote la testa «Sei un’abnegante Emily, non dovresti esserlo» Già, sono un’abnegante, ma forse non lo sarò a lungo, forse nelle mie vene non scorre il sangue grigio degli altruisti.
La folla mi spintona dentro e saluto Paige con un sorriso, dirigendomi verso la mia classe.
**
Il professore ci fa uscire qualche minuto prima e così decido di aspettare Paige fuori dalla sua classe così da raggiungere la mensa insieme.
La campanella suona e la prima persona ad uscire è una pacifica dalla pelle chiara e i capelli scuri, mi inciampa addosso e cade a terra. Le porgo la mano per aiutarla ad alzarsi «Scusami…» Abbasso lo sguardo e mi chino per raccoglierle i libri caduti, lei li raccoglie con me e poi mi ringrazia. «Non devi scusarti, colpa mia…» Si aggiusta i capelli scombinati con una mano e poi me la tende «Piacere, Aria» dopo un attimo di incertezza la stingo «Emily» le sorrido. Fa per dire qualcosa ma Paige la interrompe «Em! Hey! Che ci fai qui?» Mi raggiunge e porge un sorriso umile a Aria «Scusatemi, non sapevo di stare interrompendo qualcosa…» La ragazza sorride imbarazzata «Non preoccuparti, davvero, ci vediamo in giro, Emily» si volta prima che possa rispondere e la perdo tra la folla.
Torno a guardare Paige con il volto velato di imbarazzo «Hey… Siamo usciti qualche minuto prima, ho pensato di passarti a prendere» Lei mi sorride di ricambio toccandosi il collo con la mano destra «Grandioso» Dice facendomi strada verso la mensa.
Passiamo le porte di plastica bianca della mensa e ci dirigiamo verso il grande tavolo su cui stanno gli altri abneganti.
Tutt’attorno, agli altri tavoli, i ragazzi fanno confusione ridendo e parlando tra loro, la massa grigia è l’unica a stare immobile e silenziosa. Mi si stringe lo stomaco a pensare di far parte di quell’ammasso di tessuto grigio. Non sono mai stata un’abnegante, non davvero, adesso devo solo capire cosa sono.
Mi siedo tra un ragazzo dai capelli scuri e Paige, restiamo tutto il tempo in silenzio fino a quando non chiamano lei. Mi rivolge uno sguardo nervoso prima di alzarsi e quando mi passa davanti la stringo per il polso, costringendola a girarsi «Buona fortuna» sussurro, il suo sguardo mi ringrazia.
Per il resto del tempo guardo gli altri ragazzi: al tavolo dei candidi sono aperte piccole conversazioni tra tutti i gruppetti bianchi e neri, potrei mai essere una candida? Scarto subito l’ipotesi, mento fin troppo facilmente; a quello dei pacifici ridono continuamente senza ragioni apparenti, sarebbe bello vivere così, senza preoccupazioni, penso; a quello degli eruditi invece è aperto un vero e proprio dibattito, non so ancora quale fazione sceglierò, ma di certo non sarò un’erudita; al tavolo degli intrepidi i ragazzi si sfidano a fare cose molto probabilmente assurde, saltano e ridono. Tra tutti, forse il mondo degli intrepidi è quello che più mi affascina.
«Emily Fields» chiama un’erudita sulla soglia, insieme ad altri quattro nomi.
Mi fanno accomodare nella stanza numero due dove un’intrepida di nome Johanna si presenta, le tendo la mano dicendole di chiamarmi Emily ma lei la ignora, la ritiro subito dopo perdendomi tra le pareti rivestite di specchi: a noi abneganti non è permesso specchiarci praticamente mai, è sintomo di vanità e la vanità non è sintomo di altruismo.
«Accomodati» la donna mi indica una strana sedia lunga «E bevi questo» mi porge un bicchierino pieno di uno stano liquido e mi costringo a svuotarlo chiedendomi a cosa mi porterà. Le mie palpebre si fanno pesanti e l’ultima cosa che vedo prima di chiuderle definitivamente è il tatuaggio della donna sul viso: un grosso serpente che va dall’orecchio alla fronte.
Riapro improvvisamente le palpebre e mi ritrovo in una stanza simile a quella dove mi trovavo prima ma circondata completamente da specchi: senza Johanna o strane sedie lunghe.
«Scegli» una voce riecheggia tra gli specchi spessi. Dei recipienti mi appaiono davanti: uno contenente un pugnale e uno una fetta di carne, istintivamente, afferro il pugnale.
Pochi istanti dopo i recipienti di pietra scompaiono, sostituiti da un cane che corre veloce verso di me.
Inizialmente sorrido ma quando si fa abbastanza vicino perché me ne accorga capisco che non è un cane, bensì un lupo affamato.
Faccio per buttarmi su di lui ma si dirige verso un’altra direzione, verso una bambina apparsa dal nulla.
Cado a terra dopo essermi spinta nella direzione sbagliata, rincorro di nuovo l’animale e gli squarcio la schiena, affondando nel pavimento a specchio della camera.
Accanto a me, Johanna mostra uno sguardo compiaciuto.
«Quindi…?» Lei mi guarda per un altro lunghissimo istante
«Intrepida» e mi manda via.
Sono sola nel corridoio prima che l’erudita che mi ha portata qui mi riporti via. Mi ritrovo un sorriso stampato in faccia e un’allegria sovraumana mi attraversa il corpo, sarò un’intrepida, sarò un’intrepida senza nessun dubbio.
«Il tuo test ti ha soddisfatta Rigida?» Mi fa l’erudita, che ha notato evidentemente la mia espressione compiaciuta «Farà bene a non chiamarmi così tanto allungo» Attraverso la porta pronta per tornare a casa senza Paige, tutta la preoccupazione che prima mi assaliva è scomparsa, sono pronta a lasciarmi tutto alle spalle: mia madre, mio padre, e anche lei, la mia più cara amica che resterà abnegante tutta la vita.

ANGOLO AUTRICE:
Ed ecco a voi il secondo capitolo! Il prossimo è già pronto quindi non appena questo riceverà almeno un paio di recensioni, pubblicherò anche l'altro!
 

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Capitolo 3
*** Il test attitudinale: Hanna ***


POV HANNA
 
«Ci vediamo dopo mà» passo davanti allo specchio nel corridoio e mi aggiusto un’ultima volta i mossi capelli biondi corti. Schiocco le labbra rosa accese e sorrido soddisfatta «A dopo, ti voglio bene Han» le grida di mia mamma risuonano dal piano di sopra «Anch’io» Urlo sovrastando il rumore della porta d’ingresso che si chiude alle mie spalle.
«Era ora!» La mia amica Mona mi guarda con un’aria da finta arrabbiata «Ci vuole tempo per tutto questo…» Indico con le mani il mio aspetto: pantalone lungo e stretto nero, a vita alta, camicia bianca aderente e un po’ scollata, giacca leggera e ballerine del colore del pantalone.
Entrambe scoppiamo a ridere. «Ma adesso muoviti a portare tutto quello…» Mona imita il mio gesto di qualche istante prima «fino a scuola, siamo in ritardo Marin» sbuffo e inizio a camminare più veloce.
«Tutto bene Mon?» Mi risponde con un’alzata di spalle «Tutto perfetto Han» soffoco una risatina «Non sei fatta per i candidi brunetta» anche lei ride quasi imbarazzata; l’imbarazzo non è per i candidi, ma lei non lo è mai stato, domani se ne andrà tra gli intrepidi, è l’unica certezza che ho, indipendentemente dal suo test. «Okay, sono un po’ nervosa, è abbastanza sincera per te questa risposta Candida?» sbuffo compiaciuta «Sì» sorrido verso di lei «Ti rivelo un segreto» mi abbasso per raggiungere il suo orecchio, è sempre stata una ragazza bassa, «lo sono anch’io» sussurro rassicurandola.
Raggiungiamo la scuola nel giro di cinque minuti e la campanella non è ancora suonata.
Mi apposto con Mona nel nostro solito punto, da dove possiamo vedere gran parte del cortile occupato dai giovani di tutte le età e di tutte le fazioni.
Mona alza il mento indicando un ragazzo a una ventina di metri da noi; un erudito seccato dal comportamento dei pacifici alle sue spalle.
«Mhh» Mi concentro su di lui in cerca di qualche dettaglio affascinante; i capelli un po’ più lunghi di come li portano gli eruditi di solito, gli occhi marroni scuro, tendenti al nero, il fisico coperto dai vestiti blu «Niente di ché, credevo avessi gusti migliori Mon» Entrambe scoppiamo a ridere «Hai ragione, farò del mio meglio per soddisfare le tue aspettative!» Non smettiamo di ridere per un po’, è così il rapporto tra noi, siamo complici, perfide e superiori.
Le nostre risatine e i nostri vocii si interrompono bruscamente sostituiti da urli lontani. Il treno rallenta leggermente sulle rotaie davanti al prato e gli intrepidi inziano a saltare dai suoi vagoni; la mia amica resta affascinata, quasi sbava, così come tutte le altre mattine che li vediamo arrivare «Dovrei iniziare a chiamarti Mona l’intrepida?» scherzo io, ma lei mi prende sul serio «Puoi dirlo forte Candida» distoglie forzata lo sguardo dal gruppo di ragazzi che ormai ci hanno raggiunte, ricoperti di piercing su tutto il viso e tatuaggi su tutto il corpo. Mi costa ammetterlo, ma gli intrepidi affascinano anche me, preferisco non dirlo a Mona… forse non sono poi così candida.
La campanella suona e noi aspettiamo qualche minuto prima di entrare «Lo sai Han, io vorrei che tu diventassi un’intrepida come me, non voglio perderti domani… e infondo, non sei mai stata una vera e propria candida» Mi guardo i piedi già stanchi «Ci penserò Mon, te lo prometto»
Una volta raggiunto l’ingresso fermo Mona prima che possa scappare verso la sua classe, le indico col mento un intrepido dai capelli piuttosto lunghi che mi fissa dall’altro lato dell’ingresso, lei segue il mio mento e sorride compiaciuta «Vedi, questo è il genere di motivi per cui mi piacciono gli intrepidi» Si volta e raggiunge la sua classe al piano di sopra, io raggiungo la mia.
**
«Mon!» Riconosco i suoi capelli avanti a me e cerco di raggiungerla. Do gomitate a chi mi circonda per arrivare da lei e in meno di un secondo mi ritrovo a terra, dopo essermi scontrata con qualcuno vestito di nero. Mi rialzo in fretta e mi volto verso di lui «Hey! Fa’ attenzione!» potrei continuare con le mie ramanzine da candida ma noto che il ragazzo che mi ha fatta cadere è quello che mi fissava all’ingresso, adesso se ne sta in piedi davanti a me a ridere senza sosta.
«Che c’è di tanto divertente?» Chiedo infastidita «Sei davvero goffa!» Risponde lui, io fingo uno sguardo di disapprovazione mentre la folla ci supera indifferente. Serro le braccia sul petto e mi volto per andarmene, ma una mano salda sporca d’inchiostro indelebile nero mi stringe il braccio «Dai, non fare così, sono Caleb» Torno a guardarlo e mi rilasso nei suoi occhi «Hanna» sorrido allegra. «Hanna… Bel nome»
Sorrido imbarazzata e guardo in basso per un attimo «Non potrei dire lo stesso per quanto riguarda il tuo» mi copro subito la bocca con entrambe le mani «Io… Ehm… Scusami, non volevo… Stupida educazione da candida…» Lui scoppia a ridere «E’ stato un vero piacere fare la tua conoscenza candida Hanna, adesso però devo andare, ci vediamo in giro» Mi fa l’occhiolino allontanandosi verso la porta della mensa. Che stupida che sei, Hanna Marin, per una volta che becchi uno così te lo lasci scappare?
Entro nella mensa senza più tanta fretta e raggiungo subito il tavolo dei candidi «Dov’eri finita?» Mona mi guarda quasi arrabbiata «Addosso all’intrepido di sta mattina…» Lei mi guarda stupita e compiaciuta, mi rendo conto poco dopo della stronzata che ho detto «Io non intevo… Io…. Oh Mon! Gli sono caduta addosso!» Lei scoppia a ridere attirando l’attenzione di molti ragazzi dal nostro lato del tavolo «Che c’è? Da quando è vietato ridere?» Grida lei rabbiosa verso di loro, intanto io noto con piacere che Caleb mi sta fissando ancora, senza prestare attenzione alla bionda seduta difronte a lui. Gli sorrido cercando di apparire affascinante. «Hanna? Hey, ci sei? Io devo andare, mi hanno chiamata!» Torno a concentrarmi sulla mia amica «Buona fortuna intrepida!» Le grido mentre si allontana, si volta rivolgendomi uno sguardo ammonitore.
Passa più di un’ora prima che mi chiamino, così passo il tempo a fissare la ragazza che prima accompagnava Caleb, già entrato da un pezzo.
«Hanna Marin» la voce di un’erudita risuona tra i muri e tra le grida di tutti. Mi alzo e raggiungo una porticina, con passo esitante, la supero, e mi dirigo verso la stanza numero uno.
«Ciao, mi chiamo Miranda» un’erudita bassina e decisamente brutta si presenta noncurante, prendendo qualcosa da un mobiletto accanto alla strana sedia che mi ospiterà durante il test. «Siediti, e bevi questo.» Mi guarda per la prima volta e, dopo aver tirato fuori dal mobile un bicchierino pieno, me lo porge. «Cos… Perché?» Lei sbuffa «Senti, apprezzo davvero la tua curiosità, ma adesso bevi» Chiudo gli occhi facendomi coraggio e mi svuoto in bocca il bicchiere di vetro. Quando riapro gli occhi sono all’interno di un pullman con due soli passeggieri; io e un uomo tutto incappucciato seduto in un angolo con un giornale in mano. La distanza che ci separa mi sembra immensa, ma diminuisce tutta d’un colpo, e così me lo ritrovo davanti.
«Conosci quest’uomo?» Chiede con tono brusco indicando una foto sul suo foglio grigio. «A me?» Sbuffa di disperazione «Vedi qualcun altro qui dentro?» Mi guardo intorno e poi mi concentro sull’immagine da lui indicata.
«Sì, è il capofazione dei  pacifici, perché?» Il suo volto viene illuminato da un sorriso enorme «Mi hai appena salvato, ragazzina» In un istante sono di nuovo nella stanza numero uno, al fianco di Miranda.
«Tutto qui?» dico sconcertata «Già, con i candidi iniziamo con questo scenario, e non ho dovuto fartene attraversare nessun altro, congratulazioni, Candida» Mi sorride in modo forzato e poi mi manda via, senza che abbia il tempo di riflettere.
Quando mi ritrovo per strada di nuovo mi siedo per qualche attimo su di una panchina all’ombra di un grande albero sul prato attorno alla scuola, non c’è nessuno intorno a me.
Avrò tempo per pensare alla cerimonia della scelta quando sarò a casa, ma voglio farlo adesso.
Dovrei essere sollevata, dovrei essere felice di non essere costretta ad abbandonare la mia famiglia, ma non lo sono, la mia famiglia ormai è Mona, il bisogno di averla accanto ogni giorno è superiore a quello che ho di avere accanto la mia mamma.
Hanna smettila, non puoi decidere in base a questo.
Abbasso la testa e la chiudo tra le mani, disperata.
«Che succede?» Mi volto di scatto sentendo una voce maschile sovrastare i miei pensieri, Caleb si siede sullo schienale della panchina, con le gambe accanto a me.
Non lo conosco nemmeno, e dovrebbe infastidirmi averlo accanto che cerca di scoprire i fatti miei, ma per qualche ragione non è così, per qualche ragione averlo accanto mi rassicura.
Faccio un gesto di noncuranza con la mano, indicandogli di lasciar perdere «Sul serio» Si lascia scivolare e si siede accanto a me sulla panchina, incrociando le gambe.
«E’… complicato» Mi guarda per un attimo e poi distoglie lo sguardo, concentrandolo sul cancello della scuola, che sembra lontano, da qui. «Beh, potrei essere più intelligente di quanto sembri» «Non credo tu sia vestito di blu» Alludo agli eruditi e lui si fa sfuggire una risatina «Dai…»
Abbasso lo sguardo scoraggiata, ho davvero voglia di aprirmi con questo incantevole sconosciuto e non riesco a spiegarmene il motivo.
«Dovrei scegliere i candidi domani ma…» Faccio una pausa «Se non è quello che vuoi non dovresti farlo» Dice lui «E’ più difficile di così» Lo ammonisco «Mhh… Io non credo, cosa ti dice il tuo istinto?»
Mi volto per guardarlo negli occhi nocciola tendenti al verde, dopo guardo prima me, con i miei abiti bianchi e neri, comuni, ordinari; e poi guardo lui, con i vestiti di pelle nera un po’ trasandati, con i tatuaggi che spuntano da ogni angolo scoperto di pelle, con i piercing sulle orecchie e sul sopracciglio… mi chiedo a chi dei due voglio assomigliare. «Il mio istinto mi dice di mollare tutta questa falsa della sincerità e di cacciare fuori le palle, mi dice di seguire la mia migliore amica e diventare un’intrepida…» Lo vedo sussultare, forse all’idea che io passi alla sua fazione.
«Il mio test però non la pensa così…»
«Fottitene del test!» Balza in piedi sulla panchina e quasi urla, mi ritrovo a trattenere una risatina per la sua reazione «Shh…» Sussurro poco convinta «Hanna… cognome?»
«Marin» aggiungo ridendo «Hanna Marin, segui il tuo istinto, segui la tua amica e il to cuore, passa al lato oscuro!» Assume un’espressione convinta, mentre io lo sono sempre meno «Non lo so io... Non sono così coraggiosa» Mi si piazza davanti «Il nero metterebbe in risalto i tuoi occhi azzurri» Annuncia prima di correre via, verso il treno che sta per arrivare.
Lo guardo lanciarsi all’interno dei vagoni e mi chiedo se quella potrebbe essere la vita che desidero.

ANGOLO AUTRICE:
Ecco a voi la protagonista di questa FF: Hanna Marin!
Allora, non sono sicura di voler continuare quasta storia perché vedo che non la sta leggendo nessuno, quindi, e non lo dico solo per avere recensioni, se vi piace, lasciate un commento e ditemi se vi va che continui perché nonostante mi piaccia l'idea e tutto, non sono certa di voler proseguire se la scrivo e la leggo solo io.

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Capitolo 4
*** Il testa attitudinale: Aria ***


POV ARIA
 
Aspetto che mio fratello sia pronto fuori dalla porta d’ingresso, concentrandomi sui raggi del sole che filtrano attraverso le foglie del grande albero che ho difronte «Sbrigati Mike!» Grido verso l’interno della casa.
Guardo i miei vestiti colorati: un pantacollant a strisce orizzontali gialle e rosse e una lunga casacca rossa, mi aggiusto i capelli con una mano e li sposto tutti da un lato.
«Un attimo!» La voce di mio fratello risponde lontana «Stanno passando un po’ troppi attimi…» Corre attraverso la porta di legno e la fa sbattere alle sue spalle «Eccomi!» Mi sorride allegro, vorrei poter ricambiare con la stessa sincerità il sorriso ma oggi non sono proprio dell’umore.
Mi concentro sul mio fratellino: nonostante sia più piccolo di me di due anni mi supera in altezza, ha gli occhi verdi e i capelli castani un po’ lunghi, i vestiti colorati non gli stanno d’incanto ma a lui non è mai importato.
«Sei nervosa?» Commenta il mio comportamento un po’ insolito «Da morire» sussurro. Lui sorride per incoraggiarmi «Non preoccuparti, andrà tutto bene, noi ti vorremo bene qualsiasi sia la tua scelta» lo stringo tra le mie braccia, non lo so cosa farò domani, alla cerimonia della scelta, ma so che se non dovessi restare tra i pacifici, la mia famiglia non me ne farà una colpa.
«Ti voglio bene» gli sussurro prima di lasciarlo e ricominciare a camminare.
«Anch’io» risponde dopo un po’, facendomi sorridere.
Noi pacifici impieghiamo molto tempo per raggiungere la scuola… e qualsiasi altra cosa, in quanto siamo al confine con la recinsione, per cui di solito i vicini di casa accompagnano me e Mike con la macchina la mattina, ma oggi non avevo voglia di farlo, così ho chiesto a mio fratello di venire a piedi con me, per farmi compagnia, e lui non ha esitato nel rispondere di si, così oggi ci siamo svegliati con un’ora di anticipo rispetto al solito.
Le strade soleggiate sono semivuote, con qualche pacifico qua e là e qualche pullman con un paio di posti pieni ogni tanto.
Non un intrepido o un erudito o un candido o un abnegante.
Dopo minuti di lungo e imbarazzante silenzio rivolgo qualche parola a mio fratello, senza prevedere che la mia voce sarebbe sembrata così triste e spaventata «Credi che io sia fatta per i pacifici?» Mike mi guarda incerto «Vuoi la verità?» Annuisco convinta «Non credo… Insomma, siamo cresciuti insieme e… non mi sei mai sembrata il tipo che si circonda di affetto, di fiori, di risate senza mai un pizzico di agonia o di rabbia» Guardo i miei piedi, le mie scarpe basse gialle, e me le immagino blu, o nere.
«Ma non è detto che sia così Aria, voglio dire, devi decidere tu cosa sei, non io…» Scuoto la testa «E’ soltanto che ho paura tu abbia ragione» ammetto «Non ho mai sentito di appartenere davvero a questa fazione, ma non saprei quale altra sia quella giusta per me» sospiro, frustrata «Bene, allora pensiamoci… Non per offenderti ma di certo non sei un’erudita…» Fa una pausa ed esplode in una risata rumorosa, attirando su di sé l’attenzione dei pochi presenti.
Io fingo di essere arrabbiata ma poi cedo e inizio a ridere anch’io.
«Non ti vedrei nemmeno come abnegante… Sei altruista, si, ma non è il tuo carattere fondamentale…»
Annuisco, varcando il cancello della scuola che non mi ero accorta di aver raggiunto.
Mike fa per continuare con le sue analisi sulle altre fazioni ma il suono della campanella ci interrompe.
«Grazie, Mike» dico sincera, sorridendo.
Lui fa un cenno con la testa «Buona fortuna per il test» dice scomparendo poi tra la folla di colori diversi.
**
L’ultima campanella suona ed io sono la prima ad uscire, spalanco la porta della classe e in pochi secondi mi ritrovo a terra, dopo essere caduta su un’abnegante ferma davanti allo stipite.
I libri mi cadono di mano e lei si china aiutandomi a raccoglierli, dopodiché mi chiede scusa.
«Non devi scusarti, colpa mia…» Aggiusto con una mano i lunghi capelli scuri sciolti e poi la tendo della direzione della ragazza, presentandomi, lei esita prima di stingerla «Emily» dice poi. Sto per chiederle cosa ci faceva fuori dalla mia classe ma Paige, un’abnegante del mio corso, si intromette salutando la ragazza.
Quando mi nota si scusa e io dico che non importa, poi saluto entrambe e vado verso la mensa.
Non sopporto gli abneganti, troppo altruisti per i miei gusti, si assumono una colpa anche quando non dovrebbero.
Attraverso le porte di plastica della mensa spintonata dalla massa colorata di sedicenni, tutti nervosi per il test attitudinale.
Mi siedo al tavolo dei pacifici distaccata dagli altri e me ne sto ferma e zitta fino a quando non mi chiamano dicendo che è il mio turno.
Un’erudita mi tiene la porta aperta e mi scorta verso la stanza numero cinque, chiudendomi la porta alle spalle subito dopo che l’ho attraversata.
«Ciao, sono Tom» si presenta un candido «Ciao, io mi chiamo Aria» sorrido distrattamente concentrandomi sullo strano liquido contenuto nel bicchiere tra le mani del candido.
«Siediti lì e bevi questo, tutto d’un fiato» mi dice lui.
Guardo la strana sedia che mi indica e mi accomodo titubante, poi afferro il bicchiere e bevo fino all’ultima goccia del liquido che conteneva.
All’improvviso attorno a me Tom non c’è più e la sedia su cui ero seduta è scomparsa, pareti di specchio mi circondano facendomi ritrovare davanti a infinite me, i colori sgargianti dei miei abiti quasi mi feriscono gli occhi.
«Scegli» sento una voce lontana senza capire da dove provenga e improvvisamente appaiono due grandi recipienti di pietra davanti a me.
Uno contiene un pugnale e uno una fetta di carne.
Afferro il pugnale senza esitare e solo quando i recipienti scompaiono mi accorgo che se avessi scelto la carne sarei risultata pacifica. «intrepida» sussurro, intuendo cosa risulterà il test dopo questa scelta.
Un cane inizia a correre in lontananza e man mano che si avvicina capisco che in realtà è un lupo rabbioso.
Senza indugiare un solo istante gli lancio il mio pugnale colpendolo in testa, dopo pochi istanti cade a terra, circondato da una pozza del suo sangue, morto.
Alle mie spalle sento un sussulto, mi volto vedendo una bambina.
Faccio per raggiungerla ma mi ritrovo di nuovo nella stanza del test in compagnia di Tom.
«Intrepida eh?»  chiedo curiosa di scoprire se ho intuito il meccanismo del test. Il candido annuisce «Senza alcun dubbio» mi rivolge un saluto e mi rispedisce nel corridoio, dove sorrido compiaciuta.
Non ho mai considerato l’idea di unirmi agli intrepidi, dopotutto sono l’opposto della mia attuale azione, i pacifici, ma l’idea non mi sembra tanto male, adesso.
 Aria Montgomery, intrepida. Mi ripeto cantilenante.

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Capitolo 5
*** Il test attitudinale: Spencer ***


POV SPENCER

 
«Hai pulito la tua camera?» Faccio un cenno di assenso verso mia madre, che se ne sta seduta accanto al tavolo con un giornale in mano «Ti fermi in biblioteca dopo scuola?» Il suo sguardo non si solleva per un solo istante dalla carta grigia nelle sue mani, scuoto la testa e finalmente lei mi guarda, con aria contrariata.
Vorrei poterle spiegare che ho bisogno di tempo da sola per decidere cosa farò alla cerimonia della scelta domani, vorrei poterle dire di darmi un po’ di tranquillità, vorrei, vorrei, vorrei… Eppure non faccio nulla, mi sporgo verso la porta ignorando il suo comportamento e la saluto prima di uscire all’aria aperta, immersa tra i palazzi con le pareti a specchio e i completi blu.
Aggiusto lo zaino blu sulle spalle coperte di tessuto blu sopra un pantalone blu e delle scarpe blu, sospiro esasperata, non è mai stato il mio colore.
«Hastings» Andrew mi raggiunge correndo, si ferma accanto a me con un po’ di affanno.
«Campbell» sorrido in modo evidentemente forzato, ma lui ignora il gesto.
«Emozionata?» Mi fa «Perché dovrei?» rispondo secca. Mi guarda con aria sconcertata ma poi il suo sguardo s’illumina perché sa che adesso inizierà a parlare di sieri e di tante cose che a lui importano, ma a me no.
«Beh, oggi potrai provare sulla tua pelle il siero delle simulazioni!» Sembra eccitato. Noi eruditi siamo gli unici a sapere cosa ci aspetterà durante il test, piccolo vantaggio per averlo inventato.
«So che funziona…» Rispondo annoiata. Conosco Andrew da sempre, ma non sono mai stata davvero sua amica, sto con lui solo per non stare da sola.
«Beh, io invece non vedo l’ora!» alzo le spalle alla sua affermazione.
Mi vedo ad affrontare un futuro da erudita, a passare la vita al fianco di Andrew e dei nostri bambini eruditi, tutti vestiti di blu. Immagino di vedere nel loro sguardo la stessa luce che adesso vedo in quello di Andrew. Rabbrividisco.
Di certo non passerò la vita qui dentro, sono anni che aspetto la cerimonia della scelta per poter andare finalmente via, e alla fine, anche se non lo do a vedere, sono un po’ emozionata anch’io per il test di oggi.
So che lascerò gli eruditi, ma non so dove andrò, e oggi, il test me lo dirà.
Raggiungiamo la collinetta verde prima della scuola passando accanto ai binari del treno, che tra pochi minuti faranno un rumore stridulo.
Ci avviciniamo alla massa di studenti di tutte le fazioni e sorrido all’idea che solo qui potremo mai stare così mischiati tra noi, e questo è l’ultimo giorno che passerò in questo posto.
Ci sistemiamo vicino ad un gruppetto di eruditi che parlano delle componenti del liquido che ingeriremo oggi per attivare la simulazione.
Gli occhi di Andrew non smettono di brillare quando origlia mentre qualche pacifico allegro ci circonda saltellante.
Lui sembra spazientirsi ma io mi ritrovo a soffocare una risatina per quanto sembra ridicolo.
Oggi non risulterò pacifica mi dico e ci credo all’istante.
La campanella suona e come al solito gli eruditi sono i primi ad entrare, Andrew mi spintona tra i muri bianchi rovinati.
«Ci vediamo dopo» Dice sorridente prima di andare verso la sua classe con la frenetica voglia di imparare.
«Si spera di no» sussurro, certa che nessuno possa sentirmi tra la confusione.
**
Quando l’ultima campanella suona mi affretto ad uscire per prima e corro verso la mensa, sperando di non incontrare Andrew.
Raggiungo il tavolo degli eruditi pieno di una decina di persone che continuano a moltiplicarsi.
Mi nascondo tra le stoffe blu per non farmi vedere e quando Andrew attraversa le porte della mensa cercandomi sono felice di scoprire che non mi vede.
Aspetto per poco prima che un’altra erudita mi chiami e mi alzo silenziosa tra la folla confusionaria.
Passo davanti al mio amico leggendo un’espressione sorpresa sul suo volto.
La donna bionda mi spinge verso la stanza numero quattro
 E mi lascia in compagnia di un abnegante di nome Malcom. Mi tende la mano presentandosi ed io la stringo «Spencer Hastings» dico mentre la stringo per poi sedermi sulla sedia grigia e prendere il bicchierino dalle sue mani, come se l’avessi fatto un milione di volte.
Mi metto comoda e chiudo gli occhi, sapendo che quando li riaprirò non sarò più nella stessa stanza ma in un luogo completamente diverso dove sarà deciso il mio destino.
Apro gli occhi di nuovo e come previsto non sono più nello stesso posto. La stanza è molto simile a quella precedente, ma con specchi ovunque e del tutto vuota.
«Scegli» mi ordina una voce, la riconosco, è quella della capofazione degli eruditi.
Due ciotole di pietra mi appaiono davanti, in una c’è un pugnale e nell’altra una fetta di carne.
Dopo qualche attimo di esitazione afferro il pugnale nell’istante stesso in cui le ciotole scompaiono.
Sento ringhiare e vedo un lupo correre famelico verso la mia direzione.
Mi scruto il pugnale tra le mani. Potrei ucciderlo, potrei farlo e andrebbe tutto bene.
Lascia perdere me e si dirige verso una bambina dall’aria spaventata, è allora che decido che ucciderlo è l’unica soluzione.
Mi fiondo su di lui con un salto lungo e colpisco il suo stomaco con la lama affilata del pugnale.
Quando si abbatte sul pavimento sporco di sangue mi risveglio sulla mia sedia grigia un po’ spaesata.
L’abnegante mi sorride umilmente «Allora? Cosa sono?» Chiedo impaziente alzandomi dalla sedia «intrepida» mi dice e vado via.
Intrepida. Ripeto sottovoce più e più volte. Non ci avevo mai nemmeno pensato, non mi credevo abbastanza coraggiosa per gli intrepidi, ma a quanto pare lo sono.
Torno in casa e mi intrufolo nella mia camera, nessuno mi ha notato, non sono nemmeno sicura ci sia qualcuno in casa, in realtà.
Raggruppo tutti i libri e le enciclopedie sull’ampia scrivania della mia camera e mi preparo a buttarli via, non ne avrò più bisogno, nel posto in cui sono diretta.

ANGOLO AUTRICE:
Allora, siccome questa storia non sta avendo per niente successo la finirò al più presto pubblicando anche più capitoli al giorno.
In questo modo non la 'arronzerò', sia chiaro.
Ho preso in considerazione l'idea di non concluderla ma l'ho scartata subito perché:
-Mi piace e anche se non piace molto a voi ho davvero voglia di continuare;
-Non sono il tipo che lascia incomplete le cose, mai.
 

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Capitolo 6
*** La cerimonia della scelta ***


POV HANNA
 
Mi sveglio un po’ nervosa e mi preparo per affrontare forse la giornata più dura della mia vita.
Indosso un lungo pantalone nero con una camicia bianca elegante, accostando degli alti tacchi neri.
I capelli sono quasi ricci oggi, mentre passo il rossetto rosso sulle labbra carnose.
«Mamma, sei pronta?» Grido verso il piano di sopra «Arrivo tesoro!» Grida lei di risposta, qualche istante dopo sta già scendendo le scale nel suo completo bianco e nero, per poco non inciampa nei tacchi vertiginosi.
Faccio per aprire la porta d’ingresso ma lei blocca la mia mano sulla maniglia.
Mi volto a guardarla e mi abbraccia forte «Ti voglio bene Hanna, qualsiasi sia la tua scelta. Tu sarai sempre mia figlia e io sarò sempre tua madre» La sento tirare su con il naso e mi costringo a non scoppiare a piangere, come potrei anche solo pensare di lasciarla? Non posso, non posso…
Qualcuno bussa alla porta, apro subito ritrovandomi davanti una Mona raggiante; i suoi vestiti sono belli ma pratici, per prepararsi al viaggio di ritorno con gli intrepidi. Al solo pensiero mi ritorna in mente il sorriso incoraggiante di Caleb.
Eppure forse posso…
«Salve signora Marin, siete pronte?» Guardo la mamma che sta immobile alle mie spalle. «Arriviamo subito» Le sorrido scortando mia madre fuori «Anch’io ti voglio bene» sussurro quando Mona è abbastanza distante da non sentire. La raggiungo lasciando indietro mia madre, con i genitori della mia amica.
«Allora, ci hai pensato?» «Non ho fatto altro, Mon» rispondo scoraggiata, la verità è che, a meno di due ore dalla cerimonia, non ho ancora deciso cosa ne sarà del mio futuro.
«Se dovessi… Se dovessi farlo, sarebbe solo per te» confesso. E per Caleb aggiungerei.
Lei mi sorride stringendomi la spalla «Non devi farlo per me, Han, devi farlo per te, se senti di appartenere ai candidi, dovresti restare qui» Scuoto la testa «E’ questo il problema Mon, aspettavo il test per decidere ma non mi ha aiutata, sapere di essere una candida non mi ha aiutato a scartare gli intrepidi» Guardo le scarpe che camminano lente sull’asfalto grigio. «Mi dispiace Han, vorrei poterti aiutare» alzo le spalle, nessuno può aiutarmi, è una decisione che devo prendere da sola. «Grazie» sussurro e siamo già arrivate.
Facciamo per entrare seguendo i nostri genitori, senza nemmeno ricordare quando ci hanno superati, quando Caleb arriva correndo alle mie spalle «Hannah Marin» fa lui «Devo parlarti…» Guarda Mona «E’ lei quella per cui vuoi passare agli intrepidi?» Chiede incuriosito, io annuisco.
«Io sono Caleb» le tende la mano «Mona» risponde lei con un ghigno malefico. «Io vado, ti tengo il posto Han» la mia amica si volta e raggiunge l’entrata, lasciandomi sola con l’affascinante intrepido.
«Dimmi tutto» rivolgo il mio più affascinante sorriso al ragazzo, che ricambia subito con il più incantevole dei suoi.
«Allora, hai scelto se resterai una candida a lungo?»
Scuoto la testa. Lui sembra preoccupato «Non posso scegliere gli intrepidi solo per non lasciare la mia migliore amica, non sono un’intrepida!» Gesticolo vistosamente come faccio sempre, quando me ne accorgo mi fermo all’istante. «Avere coraggio non significa solo non avere paura di lanciarsi da un treno in corsa, significa anche essere pronti a lasciare tutto e tutti per stare con chi vuoi bene, ci vuole coraggio per farlo, lo sai vero?»
Mi guardo le mani che quasi tremano, no, non lo so.
Resto in silenzio.
«Sei più intrepida di quanto credi, Hanna Marin» si volta e va via, verso l’interno della grande sala.
Io lo seguo e quando entro resto sbalordita da tutte le persone presenti. Tutte le fazioni sono raccolte in cerchi concentrici davanti a me.
Mi siedo accanto a Mona, nell’ultimo cerchio, tra gli altri candidi.
Non appena lei mi vede mi schiocca un’occhiata d’intesa.
«Non credi che parlarmi di lui fosse più importante della tua scelta combattuta?» Scoppia a ridere ed io la seguo a ruota.
«Dopo essere uscita, ieri, mi sono fermata su una panchina nel prato, lui mi si è seduto accanto e gli ho raccontato cosa mi passava per la testa, tutto qui» La sua faccia assume un’espressione quasi scandalizzata, mi colpisce con la mano aperta sul braccio «Tutto qui?! Ti rendi conto con chi hai fatto amicizia? Guardalo Hanna!» Mi volto verso la sezione di cerchio occupata dagli intrepidi, il suo sguardo incontra il mio per un istante prima che io lo distolga.
«Non siamo amici» affermo desiderando il contrario «Come si vede che sei fatta per i candidi Han, sei una pessima bugiarda!» Il capofazione dei pacifici richiama il silenzio prima che io possa ribattere.
Si dilunga in un per niente interessante discorso sul perché esistano le fazioni, sul quanto importante sia scegliere su quale principio basare la propria vita… Perdo l’attenzione quasi subito e mi concentro su Caleb, una sezione alla mia destra, dopo gli eruditi. Lui sta guardando il pacifico con sguardo annoiato, è seduto accanto alla bionda che ieri era vocino a lui, in mensa.
«E’ ora di iniziare!» Grida il pacifico, chiamando il primo nome attirando la mia attenzione.
L’elenco scorre al contrario, l’uomo chiama partendo dalla zeta, e così non ci vuole molto perché chiami Mona.
Lei si alza e cammina con passo veloce verso il cerchio più piccolo dove delle coppe rappresentanti ogni fazione sono disposte in gruppo. Lei dovrà, come tutti gli altri, tagliarsi la mano con un pugnale e lasciare che il suo sangue scivoli in una coppa, scegliendo così a quale fazione apparterrà.
Con un gesto netto e veloce afferra il pugnale dalle mani del pacifico e taglia il suo palmo.
Gira la mano lasciando che il suo sangue goccioli sui carboni ardenti nella coppa degli intrepidi.
Tutti gli intrepidi sia alzano ed iniziano ad applaudire accogliendo la nuova iniziata: è la prima trasfazione.
I candidi sembrano demoralizzati, ma non la sua famiglia, loro sapevano cosa avrebbe scelto, l’hanno sempre saputo che la sincerità non le apparteneva.
I nomi continuano a scorrere veloci, come le figure che si susseguono verso il cerchio più piccolo facendo scivolare il loro sangue in una coppa.
«Caleb Rivers» chiama il pacifico. Dalla sezione degli intrepidi Caleb si alza senza timore e raggiunge le coppe, il pugnale gli taglia la mano con un gesto rapido e mi guarda negli occhi un attimo prima che poche gocce del suo sangue scivolino sul carbone ardente.
Gli intrepidi acclamano rumorosi il loro nuovo-vecchio membro.
Presto poca attenzione agli altri sedicenni impauriti che raggiungono le coppe, quasi mi addormento risvegliata solo dalla voce forte del capofazione colorato che chiama una pacifica dal passo incerto.
Si chiama Aria e sembra tranquilla quando anche il suo sangue scivola sui carboni ardenti, ha appena detto addio per sempre alla sua pacifica famiglia quando gli intrepidi iniziano a fare più rumore che per gli altri iniziati; era una pacifica, la sua vita cambierà completamente.
Passano poche persone prima che tocchi a me.
«Hanna Marin» la voce riecheggia nell’ampia stanza.
Tremante, mi costringo ad alzarmi, sono a mezzo metro dalle coppe e ancora non so dove far cadere il mio sangue.
Il pacifico mi porge il pugnale e sento il fiato mancare quando mi sfiora la pelle tagliandola.
Mi dirigo lentamente verso la coppa dei candidi piena di vetro, alla mia destra, quasi sento Mona e Caleb sospirare quando mi ci fermo davanti, quello che accade dopo non lo decido io, è il mio corpo che sceglie per me.
Continuo a camminare superando la coppa dei candidi con il sangue che cade sul tappeto sotto le coppe. Mi fermo davanti alla coppa degli intrepidi, giro la mano e il sangue cade dalla mia mano al carbone, sfrigolando leggermente.
Gli intrepidi iniziano ad acclamare anche me, vedo Caleb seduto sulla destra di Mona, una sedia vuota li separa, entrambi si sono alzati in piedi ad hanno iniziato ad applaudire e a gridare. Con passo deciso raggiungo il posto tra loro due e poi guardo per la prima volta nella direzione di mia madre: lei sorride.
Mi sento a mio agio nella fazione più rumorosa, mi sento finalmente libera di essere me stessa. Sei più intrepida di quanto credi, Hanna Marin. La voce di Caleb mi risuona nelle orecchie, lo sono davvero.
I nomi continuano ad essere chiamati, e gli intrepidi continuano ad aumentare.
«Spencer Hastings» chiama il pacifico rivolto agli eruditi, da dove una ragazza alta vestita di blu raggiunge le coppe a passo svelto, sembra sicura della scelta che sta per fare quando il pugnale scortica il palmo della sua mano.
Lei si sposta veloce verso la coppa piena degli intrepidi e lascia che due gocce del suo sangue rosso vivo cadano sul carbone ardente.
Si volta verso la mia nuova fazione e si fa spazio tra gli ennesimi applausi.
Si siede accanto a Mona e le due sembrano legare, sono più che certa che la conoscerò presto.
Nessun nuovo trasfazione si unisce agli iniziati intrepidi fino a quando il capofazione dei pacifici non chiama un’abnegante di nome Emily Fields.
Lei percorre lentamente lo spazio che la separa dalle coppe e quando le raggiunge ci mette pochi istanti a graffiare la propria mano e a lasciare che il sangue scivoli nella coppa degli intrepidi.
Ancora, la mia fazione esulta nel fracasso.
Vedo Caleb trasalire quando la sua intrepida amica bionda viene chiamata dal pacifico, mi chiedo se questa sia stata la sua reazione anche quando hanno chiamato me.
La ragazza raggiunge in fretta le coppe e con la stessa velocità sceglie gli intrepidi e corre a sedersi accanto a Caleb tra le urla felici.
I due si abbracciano per un istante e si sorridono, sento la gelosia crescermi dentro ma poi Caleb si volta e mi presenta alla sua amica. «Hanna» le tendo la mano e lei la afferra subito stringendola saldamente «Alison» dice tornando a concentrarsi sulla cerimonia.
Quando l’ultimo sedicenne viene chiamato veniamo congedati e, insieme alla mia nuova fazione, corriamo per strada, scendendo in modo confusionale le scale.
Faccio fatica a tenere il passo degli altri intrepidi, e correre mi è difficile sopra dieci centimetri di tacco così, con un gesto netto, lascio le mie scarpe sull’asfalto grigio affiancando il resto del gruppo nero.
Corriamo per un po’ e poi raggiungiamo i binari del treno, finalmente scoprirò dov’è che stanno gli intrepidi.
Le luci del treno iniziano a brillare da lontano diventando sempre più grandi e forti.
«Dobbiamo saltare» mi dice Caleb concentrandosi sulla mia espressione terrorizzata. «Non è difficile, ti aiuto io» il treno ci raggiunge ed iniziamo a correre sulla sua scia. Qualcuno inizia a saltare spalancando le porte dei vagoni, Caleb mi lancia un ultimo sguardo e salta sul treno con un gesto rapido e agile. Per qualche istante continuo a correre guardando prima la sua mano e poi gran parte del suo corpo spingersi in fuori per aiutarmi.
Davanti a me Mona salta con estrema agilità raggiungendo il vagone in pochi istanti, ed è allora che mi decido a saltare.
Quando ormai solo pochi trasfazione preoccupati sono rimasti a terra afferro con tutte le mie forze le mani salde di Caleb, che in pochi secondi mi trascinano sul vagone.
Lo stringo forte tra le mie braccia per qualche attimo, prima che possa realizzare cosa sto facendo, poi lo lascio all’istante.
«Scusa io…io… Grazie» abbasso lo sguardo imbarazzata, sentendo le guance diventare rosse. «E’ stato un piacere» risponde lui «Ma preparati a farlo di nuovo» alzo lo sguardo di nuovo terrorizzato, lo guardo negli occhi che cercano di infondermi coraggio, lui indica fuori, verso un tetto poco lontano.
Guardo Mona; è in piedi accanto a me e ha sentito perfettamente, ma sul suo viso leggo solo eccitazione, quando raggiungiamo la giusta distanza lei è una dei primi a saltare.
Il tetto ricoperto di ghiaia è a pochi metri da me, solo il vuoto ci separa.
Scuoto la testa guardando Caleb «Non, non posso farlo, non ci riesco» Mi afferra la mano impedendomi di tremare, nemmeno ricordavo quando avessi iniziato a farlo.
«Andrà tutto bene, te lo prometto» dice lui.
Lo guardo negli occhi profondi e trovo tutto il coraggio di cui avevo bisogno, annuisco e indietreggio, per prendere la rincorsa.
Entrambi iniziamo a correre e sul bordo del vagone saltiamo, lui si spinge più avanti di me, atterrando per primo, io cado sul suo corpo ripiegato sulla ghiaia.
Mi alzo all’istante e mi scuoto per liberarmi della poca ghiaia che mi è rimasta addosso, i piedi nudi mi fanno male sul nuovo pavimento.
Caleb si alza subito dopo di me e mi ritrovo di nuovo a scusarmi e a ringraziarlo.
Ci raduniamo tutti attorno a un bordo del tetto, sentendo una voce.
«Mi chiamo Darren Wilden, sono uno dei vostri capifazione» fa una pausa e continua dopo che tutti si sono radunati attorno a lui «Questo è l’ingresso per la vostra nuova vita…» si sposta indicando il vuoto sotto di lui, qualche trasfazione sospira, mentre gli iniziati interni sorridono vistosamente.
«…La bocca dell’Inferno» sussurra qualcuno alle mie spalle, facendomi sorridere.
Io non sono spaventata, dopotutto, non potrebbero ucciderci tutti così, mettendo in gioco le nostre vite.
«Allora, chi entra per primo? E’ usanza che il primo a saltare sia un trasfazione» nessuno si fa avanti e per un attimo il tetto è investito dal silenzio.
Mona è accanto a me, io la guardo negli occhi e sorride.
So che cosa sta per fare, sarà la prima a saltare, e so che non posso fare nulla per impedirlo.
Fa un passo in avanti attirando l’attenzione di tutti.
«Vado io» dice facendo sorridere Darren.
Inizia a camminare a passo sicuro fino al cornicione, guarda di sotto per un attimo e sorride vistosamente.
Si alza in piedi mantenendo con facilità l’equilibrio, si volta per un attimo verso di noi, mi guarda negli occhi mentre apre le braccia e poi si lascia cadere nel vuoto.
Tutti applaudono alla coraggiosa candida e poi gli iniziati cominciano a saltare, sempre più veloce, uno dopo l’altro.
«C’è una rete sotto» sussurra Caleb prima di farsi avanti per saltare.
Quando ormai il tetto scarseggia di iniziati interni mi faccio coraggio e mi preparo a saltare.
Salgo sul cornicione respirando affannosamente: una decina di piani sotto di me, una grossa voragine circolare mi aspetta.
Faccio un respiro profondo e poi un altro ancora, chiudo gli occhi e mi lascio trascinare di sotto, verso la rete.
Il fiato manca da subito, e mi costringo ad aprire gli occhi: sto precipitando ad una velocità spaventosa e, nonostante sappia per certo che non mi farò niente, la paura mi inghiotte. L’altezza non è mai stata una mia fidata amica.
Tocco la rete con la schiena e rimbalzo su di essa più volte prima di fermarmi, sdraiata, inerme, sul tessuto rigido.
Guardo l’alto e all’improvviso non ho più tanta paura.
Una mano afferra la mia ricordandomi dove sono, mi raddrizzo e scendo su una piattaforma con l’aiuto di un uomo alto e dai capelli scuri, gli occhi azzurri mare mi distraggono qualche istante.
«Come ti chiami?» «Hanna» dico senza esitare un solo istante. Lui grida il mio nome verso il buio che mi circonda e mi aiuta scendere dalla piattaforma che ci sorregge, pronto ad afferrare il prossimo iniziato.
Mi concentro per la prima volta sul luogo in cui sono capitata; le pareti di pietra, il buio e le dimensioni mi fanno subito capire che siamo in una grotta.
Trovo gli altri iniziati camminando incerta sotto la luce fioca.
Delle braccia familiari mi stringono e poco dopo la voce di Mona mi risuona nelle orecchie «Ho temuto che non l’avresti fatto» dice, e io scuoto la testa. Indico Caleb con il mento dall’altro lato della grotta, che parla con Alison e una ex abnegante «Mi ha detto che c’era una rete» un ghigno malizioso adorna il suo viso ancora carico di eccitazione.
«Allora, Mona l’intrepida, cosa ne pensi di tutto questo?» Sorride in modo evidente «E’ fantastico, io appartengo a questo posto, e sono davvero felice che sia lo stesso per te»
sorrido soffermandomi per la prima volta su un pensiero che forse avrei dovuto considerare prima, sono un’intrepida, e sarò un’intrepida per il resto della mia vita.
Quando i pochi iniziati rimasti sul tetto sono accanto a noi, Darren e l’uomo che mi ha aiutata a scendere dalla rete si posizionano davanti a noi, quest’ultimo si presenta:
«Io mi chiamo Ezra Fitz, sarò il vostro istruttore durante l’iniziazione.
L’allenamento si dividerà in due moduli, e poi ci sarà la prova finale. Il primo modulo consiste nell’allenamento fisico, dove imparerete a combattere e ad usare le armi, il secondo modulo invece sarà un tipo di addestramento psicologico…» sogghigna «I vostri nomi saranno scritti in ordine su una lavagna, l’ordine dipenderà dai punti che guadagnerete tra le varie prove e alla fine del primo modulo e della prova finale chi occuperà le ultime postazioni diventerà un escluso.» Le sue parole rimangono sospese nell’aria, leggo espressioni spaventate tra i ragazzi che mi circondano, credo che il mio volto appaia uguale ai loro, nemmeno gli iniziati interni erano a conoscenza di questo dettaglio.
«I figli degli intrepidi e i trasfazione si alleneranno separatamente, ma verrete valutati insieme. Io allenerò i trasfazione, gli iniziati interni si alleneranno con…» «Me» si intromette un altro uomo «Garrett» continua Ezra con un sorriso.
«Trasfazione, seguitemi!» inizio a camminare all’ombra del mio istruttore e rivolgo un ultimo sguardo a Caleb, anche lui mi sta osservando e sorride quando nota che non ho distolto lo sguardo quando il mio ha incontrato il suo.
Ezra ci mostra il pozzo, etichettandolo come “l’apice della vita degli intrepidi”, è esattamente come un grande, enorme, pozzo; le pareti di pietra sono ripide e piene di piccoli e stretti corridoi pericolanti, che portano a piccole porticine scure.
Ci mostra poi una ringhiera sotto la quale è chiaro dal forte rumore la presenza di un corso d’acqua.
«Questo è lo strapiombo, e Dio solo sa cosa vi aspetterebbe se superaste questa ringhiera» tocca il metallo che lo separa dal vuoto e dall’acqua, il gruppo di iniziati si spinge verso la ringhiera per vedere cosa ci sia di sotto: a decine di metri sotto di noi le acque tormentate di un torrente si imbattono sugli scogli e sulle pareti di pietra.
Mi spingo di nuovo indietro con un passo rapido; nemmeno l’acqua è una delle mie migliori amiche.
«Su, adesso vi mostro i dormitori» Ci scorta attraverso un ampio corridoio dove le pareti non sono più di pietra ma di cemento verso un’enorme stanza occupata da numerosi letti.
«I bagni sono in fondo al corridoio e voi alloggerete qui, buona permanenza, ci vediamo a cena» fa un cenno e ci lascia soli.
I trasfazione iniziano a chiacchierare e a scegliere le proprie brande, io e Mona ci fiondiamo subito su due lettini che occupano un angolo della camera; ci sediamo ognuna sul proprio e lei inizia, ovviamente, a parlare di Caleb invece che di tutto il resto.
«Okay, basta Mon; sì, mi ha aiutato a scegliere gli intrepidi; sì, è grazie a lui che sono salita sul treno in corsa; sì, si è buttato sul tetto prima di me per darmi una base morbida su cui atterrare, va bene?» sorride malefica «Sei qui da dieci minuti e hai già trovato un ragazzo, complimenti Marin» la colpisco forte con il mio cuscino e lei scoppia a ridere «Siamo solo amici Mon…» «’Sta mattina mi hai detto che non eravate nemmeno quello»

ANGOLO AUTRICE:
È qui che la storia inizia davvero, si può dire che i cinque capitoli iniziali fossero una prova, credo.
Recensite sempre perché ogni singola parola che mi dite mi fa tanto tanto piacere c:
 

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Capitolo 7
*** Il primo appuntamento ***


POV HANNA
 
Esco dalla doccia e, su una sedia in un angolo, trovo un mucchio di vestiti con sopra un biglietto:
“Con questi farai colpo di sicuro, sarai l’iniziata più bella.
Non osare non metterli, sarai perfetta.
-Mon”
Sorrido ed ispeziono i vestiti che la mia amica mi ha lasciato: un pantalone nero di pelle attillato, un paio di tacchi neri lucidi e vertiginosi, un top nero stretto e scollato, un eyeliner e un rossetto rosso.
Indosso il tutto riluttante e poi mi trucco leggermente, lasciando i capelli ricci.
Mona mi raggiunge nel bagno praticamente vuoto mentre ritocco un’ultima volta il trucco.
Indossa un vestito nero corto a campana nero, accollato e stretto davanti ma che lascia gran parte della schiena scoperta, sorride nel vedere che ho indossato gli abiti che mi ha dato.
«Sei stupenda Han» sorrido «Anche tu Mon» chiude la porta alle sue spalle e si avvicina a me, guardandosi allo specchio e aggiustando i capelli voluminosi. «Adesso mi spieghi perché siamo vestite così?» Fa spallucce «Qui si vestono tutte così, sempre, ho convinto anche le altre trasfazione a farlo» Soffoco una risata, l’ha fatto perché sa che non avrei retto l’imbarazzo di essere l’unica vestita in questo modo «Grazie Mon» Sorride «Andiamo?» Si sporge verso la porta e la spalanca, io la seguo in corridoio e torniamo al dormitorio, dove sono rimaste solo un paio di iniziate, vestite in modo elegante e audace almeno quanto noi.
«Hanna, loro sono Spencer e Aria, vittime come te della mia trovata» sorrido e stringo la mano alle due ragazze, una di loro, Spencer, era l’erudita che durante la cerimonia della scelta stava seduta accanto a Mona.
«Non preoccupatevi, anche tutte le altre saranno vestite come noi, su, andiamo» Mona esce dal dormitorio con passo sicuro e noi la seguiamo, incerte.
«È sempre così?» Mi sussurra Aria, io sorrido e annuisco «Sempre, ma oggi un po’ di più» «Sarà l’euforia degli intrepidi» dice Spencer, aggiungendosi alla conversazione «Probabile, erano anni che voleva diventare intrepida» le ragazze annuiscono «Da quanto vi conoscete?» dice Aria.
Ci penso su solo un secondo «Avevamo tre anni o giù di lì, credo, eravamo vicine di casa e giocavamo insieme da piccole, crescendo abbiamo smesso di giocare ma siamo rimaste amiche» Le ragazze sorridono ma nel sorriso di Aria noto un accenno di tristezza «A me sarebbe piaciuto avere un’amica così. Mi piacerebbe ancora, a dire il vero» Abbasso lo sguardo imbarazzata da questa piccola ma importante confessione, restiamo in silenzio fino a quando non raggiungiamo la porta della mensa che, per fortuna, è piuttosto vicina.
Mona ci aspetta sull’uscio e quando la raggiungiamo la spalanca.
Avevo fatto tante fantasie su come la sala si sarebbe zittita e tutto si sarebbe fermato ma, a quanto pare, nessuno ci ha notate.
Mona cammina a passo spedito come se sapesse dove sta andando.
Raggiunge un tavolo in fondo alla sala e si siede, facendo cenno a me e alle altre di fare lo stesso.
Allo stesso tavolo sono seduti anche Caleb, che quando mi ha vista a sorriso vistosamente, Alison, e un’altra trasfazione vestita come noi, credo di averla vista tra gli abneganti, alla cerimonia della scelta, ma ora non ha più importanza, ora siamo tutti intrepidi.
Mi siedo per ultima quando l’unico posto rimasto è quello accanto a Caleb, sono convinta che Mona abbia istruito le ragazze perché me lo lasciassero.
Lui mi guarda un istante «Hanna Marin» fa per salutarmi sorridente «Caleb Rivers» ricambio con un sorriso.
Guardo al centro del tavolo dove qualcuno ha portato un bel po’ di cibo, prendo qualche salsiccia e la metto nel mio piatto.
«Tieni un po’ di spazio nello stomaco, per dolce c’è la torta degli intrepidi» Lo guardo con aria interrogativa «Oh, già. Tu non la conosci: è la ragione principale per cui gli intrepidi non cambiano fazione, ce l’abbiamo solo noi» sorrido divertita «La assaggerò senz’altro» mi sorride e poi qualcosa gli attraversa la mente, perché smette all’istante.
«Non ti ho ancora presentato Emily» indica la ragazza difronte a me. Lei mi sorride e mi tende la mano «Piacere, Emily» «Hanna» ricambio il sorriso e poi torno a concentrarmi sul mio piatto.
«Stai benissimo» mi sussurra Caleb mentre sono distratta. Mi sento avvampare e so di per certo che le mie guance stanno diventando rosse per l’imbarazzo.
«Grazie, anche tu» abbasso lo sguardo, non so nemmeno come sia vestito, adesso.
Chiacchiero con Emily e Spencer per tutto il resto del tempo scoprendo molte cose su di loro; per esempio adesso so che Emily era davvero un’abnegante, prima.
Sono tutte dolci e spiritose, e non riesco a credere di essere qui da così poco e di avere già delle nuove amiche.
All’improvviso, gli intrepidi si alzano in massa e corrono verso un bancone pieno di cibo. Caleb scambia un’occhiata con Alison prima che entrambi possano alzarsi per raggiungere gli altri.
«È arrivata la torta!» Grida lui verso di me mentre corre via.
Passa più di mezz’ora perché i due siano di ritorno con una dozzina di fette di torta degli intrepidi. Ce ne danno una a testa e lasciano le altre al centro del tavolo, poi tornano a sedersi.
«Buon appetito!» Dice Alison, e tutti ci fiondiamo sulle fette di torta, incuriositi dal dolce che ha scatenato una guerra al cibo.
Do il primo morso e mi sembra di aver appena assaggiato il paradiso. Tutti la pensano come me, chiaramente.
Finisco la mia fetta velocemente e ne prendo subito un’altra, prima che possano farlo gli altri. Caleb mi guarda compiaciuto.
«Se ho mai avuto qualche dubbio sull’essere un’intrepida, adesso sono svaniti tutti» sussurro al ragazzo che scoppia a ridere.
«Sai, dicono che il paradiso abbia questo sapore» fa lui «Non stento a crederci, Caleb» sorride e afferra un’altra fetta, l’ultima rimasta.
La mensa inizia a svuotarsi a poco a poco e così anche il mio gruppo lascia l’ampia stanza.
Saluto Alison con un cenno e, quando sto per fare lo stesso con Caleb, lui mi ferma, tenendomi stretta per un braccio «Ti va se andiamo a farci un giro?» Sento il cuore battermi forte dentro il petto dall’eccitazione, quasi lo vedo muoversi alla velocità della luce. «Sarebbe grandioso» Sorrido e lui ricambia.
Ci avviamo verso un corridoio ampio e luminoso lasciandoci la mensa alle spalle; mi volto solo un istante e vedo Mona sorridere compiaciuta.
«Allora, dove mi porti?» Lo guardo negli occhi scuri perdendomici dentro per qualche secondo «È una sorpresa» Continuiamo a camminare tra i corridoi che diventano sempre più bui e stretti fino a quando non raggiungiamo il pozzo.
Camminiamo ancora qualche istante e poi si ferma davanti ad un’ ascensore che non avevo mai notato, preme il pulsante e le porte di metallo scorrono davanti a noi. Lo seguo dentro e lui preme il tasto “1”.
Quando le porte si aprono di nuovo siamo all’interno di un palazzo moderno e illuminato.
«Seguimi» dice scortandomi verso una porta di vetro, io cammino alle sue spalle silenziosa.
Mi scorta fuori e il vento freddo mi punge la pelle nuda delle braccia. Un brivido mi attraversa quando mi posa il suo giubbotto sulle spalle per ripararmi dal freddo.
«Sembra un vecchio film» dico facendolo sorridere.
«Mi piacciono i vecchi film» dice facendo sorridere me.
Camminiamo vicini per le strade scarsamente illuminate e quasi desertiche.
«Okay, siamo quasi arrivati» camminiamo ancora per qualche minuto, investiti dal silenzio assoluto.
«Ecco qui» mi guardo intorno pensierosa «Che cos’è?» Lui sorride «Credo fosse un parco giochi, una volta, ci vengo spesso quando sono solo» strane strutture di metallo arrugginito ci circondano imponenti.
«Wow, è… Mi piace» dico quasi in un sussurro, per non rompere il silenzio accomodante.
«Ne sono felice. Su, sediamoci.» Mi trascina verso una struttura dall’aspetto pericolante e si siede sull’erba che la circonda indicandomi di fare lo stesso, e così mi siedo.
«Sono davvero felice che tu sia diventata un’intrepida, Hanna Marin» mi afferra la mano e mi fa trasalire. Quel misero contatto mi da la sensazione più bella che io abbia mai provato.
«Anch’io ne sono felice…» Guardo in alto, verso il celo, dove le stelle sono coperte dalle nuvole.
«Posso rivelarti un segreto?» sussurro. Annuisce «Vado matto per i segreti» dice sorridendo. «Tu sei una delle ragioni che mi ha spinto a cambiare fazione» il suo sguardo si illumina «Lo speravo» risponde lui. «Un segreto ce l’ho anch’io…» Mi mordo un labbro «Ovvero?» Assume un’espressione pensierosa «Mmm… Non so se posso fidarmi…» Gli do un colpetto sul braccio «Oh andiamo Rivers!» Ridacchia «Okay okay, te lo dico, ma non picchiarmi» Scoppiamo a ridere entrambi «Non faccio promesse» Alzo le mani coltivando le risate «Beh, allora… Se non avessi saputo che saresti diventata un’intrepida, sarei anche passato ai candidi, pur di vederti tutti i giorni della mia vita.» Lo guardo negli occhi sorridente.
Forse Mona ha ragione, forse non siamo amici, ma qualcosa di più. Forse questo ragazzo è speciale. Forse è quello di cui ho bisogno. Forse…
Caleb si stende sull’erba con lo sguardo rivolto verso il celo «Ti va di guardare le stelle?» chiede. Sorrido sdraiandomi accanto a lui «Se ce ne fossero magari…» Rispondo. Ride silenziosamente «Beh, forse hai ragione…» si gira verso di me «Allora facciamo un gioco, ti va?» Annuisco «Di che gioco si tratta?» «Beh, non è esattamente un gioco… Io ti faccio una domanda e tu devi rispondere sinceramente, poi tu fai lo stesso» Anch’io mi giro verso di lui «Ci sto. Inizia tu.» «Mmm… Cosa ti ha fatto cambiare idea? Durante la cerimonia della scelta, ti eri fermata alla coppa dei candidi, perché non hai fatto scivolare il sangue sul vetro?» Tiro un respiro profondo «In realtà non lo so, ero davvero sicura di voler restare tra i candidi, per mia madre, per il risultato del test, ma… Ma il mio impulso mi diceva che non ero fatta per i candidi, che non importava quale fosse il risultato del mio test, nel mio corpo scorre il sangue coraggioso degli intrepidi… Poi, è successo tutto così in fretta, i miei piedi hanno camminato verso il carbone, e il mio sangue ci è caduto sopra, senza che potessi decidere io, il mio corpo ha deciso cosa fosse meglio per me, e io lo ringrazio davvero tanto per questa scelta, perché adesso so che aveva ragione, che sono un’intrepida e lo sarò per sempre»
Mi sorride «Okay, adesso tocca a me» dico io «Parlami di Alison» sul suo viso appare un ghigno «Beh, ci conosciamo praticamente da sempre, io so tutto di lei e lei sa tutto di me, siamo come fratelli, le voglio un bene dell’anima e non so come farei senza di lei» Come fratelli, beh, almeno non ci proverà con lui. «Perché me l’hai chiesto?» «È la tua domanda definitiva Caleb Rivers?» annuisce «È la mia domanda definitiva, Hanna Marin» «Okay, beh… Forse ero un po’ gelosa…» Guardo in basso piena di imbarazzo. Lui mi prende il mento tra le mani e mi alza il viso, costringendomi a guardarlo negli occhi. «Non devi essere gelosa, io ho occhi solo per te» Mi sento avvampare; il bisogno di baciarlo cresce veloce dentro di me ma cerco di reprimerlo per qualche ragione. Lui mi si avvicina un po’ ed io torno a guardare in alto, verso le nuvole che nascondono le stelle.
«Credi che queste cose crollerebbero se mi ci arrampicassi?» Indico le strutture metalliche che ci circondano «Credo che ci sia un solo modo per scoprirlo…» Si alza velocissimo e mi tende la mano per aiutarmi a fare lo stesso.
Raggiungiamo la struttura più vicina «Okay, vado prima io» dico iniziando a poggiare i piedi tra gli ammassi di aste metalliche che si intrecciano formando un enorme cubo.
Cerco di non guardare di sotto mentre mi arrampico per circa quattro metri, in fretta. Deglutisco a fatica. Perché l’ho fatto? Perché ho voluto salire qui sopra? Inizio a tremare e finalmente raggiungo la cima, una superfice di metallo liscio e freddo sotto di me.
Mi ci butto sopra di peso «Ci reggerà entrambi!» Grido verso il basso mentre chiudo gli occhi. Nel giro di un minuto Caleb è accanto a me, ma i miei occhi sono ancora chiusi.
«Hey, ti decidi a guardarmi o no?» Apro gli occhi incerta e lo guardo «Scusami io… L’altezza mi da qualche problema…» Mi stringe le mani «Sei stata coraggiosissima, sono fiero di te» sorrido rassicurata mentre lui si avvia verso un lato della struttura.
«Vieni a vedere, riesco a scorgere la palude da qui, non credevo ci sarei riuscito a questa altezza» Mi faccio coraggio e, con passo incerto e tremante, lo raggiungo sul bordo del cubo. «Hey, è tutto apposto. Non permetterò che ti succeda qualcosa» «Grazie Caleb» sussurro. «Sai? Il mio nome suona meglio quando lo dici tu» risponde lui facendomi sorridere «Forse è meglio tornare a casa, domani inizia l’allenamento» annuisco demoralizzata, vorrei soltanto restare lì, accanto a lui, per sempre.
«Scendo prima io» dice «Così se avrai bisogno di una mano io potrò aiutarti» annuisco e lo vedo scendere giù, sul prato.
Subito dopo faccio lo stesso, senza mai guardare in basso arrivo senza bisogno che lui mi aiuti.
Mi stringe la mano ed iniziamo a camminare verso casa «Sei stata grandiosa, come hai potuto anche solo pensare di non essere un’intrepida?» Sorrido divertita «Credo che dovremmo rifarlo…» suggerisco «Uscire insieme? Sarebbe un onore.»
**
Caleb mi lascia al corridoio che porta al dormitorio ed io cammino silenziosa, per non svegliare gli altri iniziati.
La porta scricchiola mentre la apro ma non sveglio nessuno.
Mi tolgo le scarpe con il tacco e mi dirigo verso il mio letto, solo quando mi ci avvicino molto scopro che non stanno tutti dormendo: Mona, Emily, Aria e Spencer stanno chiacchierando sulle nostre brande, quando mi siedo sul materasso accanto a Spencer si ammutoliscono «Allora, com’è andato l’appuntamento con Caleb?» fa Emily. Io la guardo sorpresa, non che lei riesca a vedermi, nel buio.
«Non era un appuntamento» rispondo «Certo, certo… e com’è andata?» Prosegue Mona. Nel sentire la sua voce mi ammorbidisco solo un po’, dopotutto, cosa importa che lo sappiano anche le altre ragazze? Forse siamo amiche, adesso. Forse hanno legato tra loro mentre non c’ero.
«È andato bene, presumo… siamo andati in un vecchio parco giochi…» «Oh, è così romantico» dice Aria. Noi altre soffochiamo delle risatine «Mica tanto!» Aggiunge Spencer, facendoci ridere ancora.
«Vi siete baciati?» Mi chiede Emily. Scuoto la testa ricordandomi solo dopo che loro non riescono a vedermi «No… Ma è stato molto dolce» «Cosa ha fatto?» Chiede Mona con la stessa eccitazione di chi vuole sapere come finisce un libro pieno di suspense «Mi ha detto che… Che ha occhi solo per me, che per vedermi ogni giorno sarebbe perfino passato ai candidi..» Qualcuno sospira felicemente
«Hai fatto colpo Han!» sorrido nel buio alle parole di Mona.
«E tu che cosa gli hai detto?» Continua Spencer «Beh, gli ho detto che è anche per lui che sono diventata un’intrepida…» Mona mi dà un colpetto sul braccio ma non riesco a capire dove sia rispetto a me, quindi non posso ridarglielo anch’io «Credevo che fossi diventata una coraggiosa per me!» La sua voce è ironica e così tutte scoppiamo a ridere di nuovo.
«Oh andiamo Mona! Ma l’hai visto! Era ovvio che c’entrasse lui!» Fa Spencer alimentando le nostre risate.
«Okay, okay, ma quindi adesso state insieme o cosa?» Mi chiede Aria.
«No, non stiamo insieme, ma mi ha detto che gli farebbe piacere uscire insieme di nuovo» Qualcuno applaude silenziosamente «Ragazze, siete abbastanza ridicole, sul serio!» Dico io scherzosa, facendole ridere ancora.
«Voi cosa avete fatto senza di me?» chiedo una volta che le risate si sono calmate. «Abbiamo fatto un giro e poi siamo venute qui, un paio d’ore fa» risponde Emily «Wow, quanto tempo sono stata via?» Chiedo colpita dalla velocità in cui il tempo scorreva mentre ero con Caleb «Un bel po’ Han, e noi che continuavamo a fantasticare su voi due!» Risponde Mona «Dovreste farvi una vita ragazze» Aggiungo provocando l’ennesima risata.
«Credo che sarebbe meglio andare a letto ora, domani abbiamo allenamento» Suggerisce Spencer «Già, hai ragione Spence» dice Mona «Buonanotte ragazze» dice Aria dirigendosi verso il suo letto, posizionato accanto al mio. «Notte» rispondiamo noi quasi in coro, andando a letto.

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Capitolo 8
*** L'allenamento ***


 POV HANNA
 
«Hanna, svegliati!» La voce di Emily mi riecheggia nella testa. Provo ad aprire gli occhi ma la luce del sole brucia forte, così li richiudo di fretta. «Che ore sono?» Si lamenta Mona dal letto accanto al mio «È ora che vi alziate, ragazze, o farete tardi» risponde Aria.
Mi faccio coraggio e mi alzo, aprendo gli occhi faticosamente.
«Credi che si alzerà mai?» Mi chiede Spencer, mentre aggiusta le lenzuola sul suo letto. Scuoto la testa. «Non così. Ma io ho un metodo» Prendo il mio cuscino e faccio cenno alle altre di fare lo stesso, in mezzo secondo circondiamo Mona pronte a colpire. «Al tre» mimo con le labbra silenziosa. «Uno…Due…Tre!» I cuscini la colpiscono forte e Mona si alza velocissima. «Brutte stronze!» ci pieghiamo tutte dalle risate, con il resto degli iniziati che ci osservano silenziosi «Dovresti andare a prepararti, Mon» suggerisco. Tira un gridolino di frustrazione prima di andare verso il bagno.
«I tuoi vestiti sono nel comò» mi indica Spencer «Grazie» rispondo aprendo il cassetto accanto al mio letto per prendere il gruppo di vestiti e le scarpe, prima di dirigermi verso il bagno.
Mi lavo in compagnia di una Mona che si finge arrabbiata e poi indosso un pantacollant che mi arriva alle caviglie; una maglietta a mezze maniche attillata e un paio di scarpette; infine lego i capelli dopo aver messo solo un filo di eyeliner.
«Pronte ragazze?» Aria sbuca dal corridoio affacciandosi nella stanza.
«Pronte» rispondiamo in coro io e Mona, prima di uscire.
Ci dirigiamo insieme a tutti gli altri in una grande palestra dove ci aspetta Ezra.
«Bene, signori, oggi inizierete il primo modulo. Vi insegnerò a combattere e da domani inizieranno gli scontri, in base ai quali vi verranno assegnati dei punteggi, che determineranno chi di voi diventerà un escluso e chi no. Come vi ho già anticipato tre persone verranno mandate via alla fine del primo modulo, e altre tre dopo la prova finale, non ci saranno eliminatorie dopo il secondo modulo» conclude lasciandoci all’esplorazione della palestra.
Raggiungo un punchball che pende dal soffitto e seguo le spiegazioni di Ezra su come tirare pugni e calci.
Dopo un po’ tutti gli iniziati iniziano a colpire e così provo anch’io.
Con tutta la mia forza tiro un pugno, e poi un altro e poi un altro ancora. La mia forza non è troppa, ma faccio del mio meglio e all’istruttore sembra bastare quando mi osserva.
«Più veloce» mi insegna poi. E così cerco di essere più veloce, e i miei colpi si susseguono come razzi, non avevo considerato la velocità, prima, mi stavo concentrando solo sulla mia potenza, senza contare su quanto fosse importante anche questo aspetto.
«Okay, sei brava. Adesso prova con i calci.» Si volta e passa al prossimo iniziato.
I miei calci sono più forti dei miei pugni, e la velocità è la stessa.
Continuo a colpire e a colpire ancora, con rabbia e brutalità, come per dimostrare qualcosa, come per dimostrare che sono un’intrepida, non una candida che se ne sta con le mani in mano.
**
Quattro ore di allenamento sono passate molto più in fretta di quanto mi aspettassi, e mi hanno soddisfatta. Sono contenta dei risultati e mi sono divertita davvero tanto, ma adesso la stanchezza sta prendendo il sopravvento su di me; eppure, non si potrebbe dire lo stesso per le altre.
«Dai! Andiamo a pranzo! Voglio almeno tre fette di quella torta!» Mona mi affianca saltellante «Non lo so Mon… Sono davvero stanca…» Aria ci raggiunge e infila il suo braccio sotto il mio «Oh andiamo! Rivedrai Caleb! E poi è così bello, se lo lasci solo se lo prendono!» Tutte e tre scoppiamo a ridere «Okay, okay, ma oggi pomeriggio voglio dormire un po’, prima di tornare in palestra» affermo rassegnata. Le ragazze annuiscono contemporaneamente e siamo già arrivate in mensa.
Mi sciolgo i capelli legati e li scuoto, poi spalanco le porte e mi dirigo verso il tavolo della sera precedente; è ancora vuoto, siamo stati tra i primi ad arrivare, ma mi siedo comunque al posto che ho occupato ieri.
La sala comincia a riempirsi e nel giro di mezz’ora le voci sono assordanti tutt’attorno a noi.
Il mio sguardo resta fisso sulla porta in cerca di Caleb ma, invece di trovare lui, vedo Alison.
Cammina a passo svelto verso di noi con un ampio sorriso stampato in faccia e quando raggiunge il tavolo si siede accanto a me.
«Hey ragazze!» Fa lei non appena si è sistemata «Ali!» Risponde Mona sorridente dall’altro lato della tavola. «Mon!» Da quando sono amiche? Sento la gelosia impossessarsi di me e cerco di nasconderlo. «Hey» sorrido guardando la bionda accanto a me che ricambia il gesto.
Le ragazze ricominciano a parlare tra loro ed io mi concentro sull’amica di Caleb.
«Com’è andato il primo giorno di allenamento?» Mi chiede quasi subito, per niente imbarazzata dal silenzio.
Le sue parole mi spiazzano, non mi aspettavo che provasse a creare una conversazione, ma dopo un attimo di incertezza le rispondo sinceramente: «Mi è piaciuto, credo di essere brava… Non vedo l’ora di combattere, domani» Lei mi sorride apertamente addentando un pezzo di pollo che intanto ha messo nel suo piatto «A te?» chiedo io «È stato davvero divertente, noi abbiamo iniziato oggi i combattimenti» Risponde allegra «Oh, e com’è andata?» Dico, più curiosa del risultato dello scontro di Caleb che del suo «Alla grande, sia io che Caleb abbiamo vinto» Sembra euforica «Grandioso!» Aggiungo io, con un filo di ironia che lei non nota.
«So che oggi pomeriggio inizierete con le armi» dice dopo poco. Io annuisco. «Non vedo l’ora» continuo «Lanceremo i coltelli, per quanto ho capito» dico prima di addentare un morso del pollo nel mio piatto «Credo proprio che ti piacerà, è divertente, e ti ci vedo sai? Come lanciatrice di coltelli, credo tu sia portata, non so perché!» Le sue parole mi rallegrano, non è poi tanto male, come ragazza.
«Beh, lo spero proprio» in quello stesso istante le porte si aprono ancora lasciando entrare Caleb.
Senza nemmeno dire una parola Alison si sposta di un posto verso sinistra lasciando sedere il suo amico accanto a me.
Prima di prendere posto Caleb mi da un leggero bacio sulla guancia, quel gesto istintivo imbarazza me, ma non lui.
«Buongiorno» mi dice sedendosi «’Giorno» rispondo io avventandomi sul pollo improvvisamente affamata.
«Tutto bene?» Mi chiede riempiendosi il piatto «Ah-ah» rispondo con la bocca piena, facendogli sfuggire un sorriso.
Ingoio il boccone e gli porgo la stessa domanda «Tutto bene» fa lui, continuando a mangiare.
**
Come avevo immaginato, non ho avuto il tempo di riposare: dopo il pranzo Alison e Caleb ci hanno fatti fare un giro nel pozzo, mostrandoci i posti più importanti.
Il tempo di tornare in camera e usciamo di nuovo, sempre diretti alla palestra.
Un po’ stanca, mi risveglio soltanto quando è il momento di iniziare a lanciare i coltelli.
Mi posiziono a dieci metri da un manichino afferrando tre coltelli identici, soffermandomi qualche istante sulle impugnature elaborate: un grosso drago si estende imponente per il manico scuro, rendendo più difficile impugnare l’arma.
Lascio stare i dettagli e mi preparo a colpire, prestando attenzione alle istruzioni di Ezra.
Guardo Mona per un attimo notando un guizzo di eccitazione nei suoi occhi marroni e poi iniziamo a lanciare i nostri pugnali.
Esito qualche istante prendendo la mira con il primo e poi lancio: la lama colpisce il legno che circonda il manichino a qualche centimetro dalla testa imbottita.
Sussurro un «Maledizione» prima di provare ancora.
Il secondo coltello colpisce la spalla sinistra invece del ‘cuore’ e il terzo si conficca ancora nel legno, più distante dal manichino di quanto non lo fosse il primo.
Raccolgo altri tre pugnali dal banco imprecando sottovoce e quando tiro ancora colpisco il bersaglio, ma non come vorrei.
Mi concentro di più sul sesto coltello. Caccio un respiro profondo e poi un altro ancora prima di prendere la mira verso la testa; la lama affonda esattamente dove avevo desiderato ed esulto silenziosa.
Prendo altri tre coltelli conficcandoli esattamente nella testa prima di ritenermi pienamente soddisfatta del mio operato.
L’istruttore ci manda via dopo che ho lanciato almeno venti coltelli nel posto giusto. Noto con piacere che Mona è stata impeccabile ma Aria non è stata altrettanto brava, e adesso cammina rassegnata per i corridoi più indietro rispetto agli altri iniziati.
«Hey» la affianco cercando di infonderle coraggio.
«Hey» risponde lei, demoralizzata. Le stringo le braccia con le mie «Non fare così! Migliorerai!»
 le sorrido vistosamente, lei ricambia alzando di mezzo millimetro gli angoli della bocca «Non lo so io…» Scrolla le spalle «Lo spero davvero» «Io ne sono certa» sussurro.
Mi blocco per un istante «Che succede?» Mi chiede Aria incuriosita «Torno subito» Corro verso il resto dei trasfazione che ormai ci hanno superate da un po’.
«Em!» grido verso il gruppo. La mora si gira e con lei anche Mona e Spencer «Hanna» risponde lei.
«Aria è un po’ giù di morale, non è andata tanto bene con il lancio dei coltelli…» Lascio le parole sospese nell’aria ricordando ciò che ci ha detto Ezra, per un istante immagino Aria diventare un’esclusa. Serro gli occhi e agito la testa, facendo scivolare via il pensiero. «…Dovremmo fare qualcosa per distrarla» continuo «Perfetto, io so come!» Mona si intromette all’improvviso nella conversazione. Spencer alza un sopracciglio nella sua direzione «Ci facciamo un tatuaggio» Aggiunge con noncuranza. Alle ragazze l’idea sembra piacere e a me di certo non dispiace.
Raggiungiamo Aria; io e Mona la prendiamo sotto braccio e Spencer ed Emily fanno lo stesso con noi, formando così una catena umana. «Che succede ragazze?» Fa Aria divertita.
Noi la ignoriamo intenzionate a mantenere la sorpresa «Dovremmo chiamare anche Alison» suggerisce Spencer. Nel sentire quel nome forse qualche ora prima avrei avuto da obiettare, ma adesso l’idea non mi disturba affatto.
«Certo. Sapete dove possiamo trovarla?» Emily annuisce e tutte insieme, fermamente legate, raggiungiamo casa sua.
Busso sulla porta tre volte prima di sentire delle grida in risposta «Chi è??» La voce è sicuramente di Alison «Hem, noi…» nemmeno finisco di parlare  che la porta ci si apre davanti, il sorriso della bionda è raggiante davanti a noi.
«Ragazze! Che ci fate qui?» Sorrido e poi avvicino le mie labbra alle sue orecchie «Andiamo a farci un tatuaggio» sussurro allontanandomi dalla bionda.
Mona porta l’indice davanti al naso «Shh». Ali sorride maliziosamente  «Io esco, mà» si chiude la porta alle spalle e raggiungiamo il tatuatore, con ancora le braccia legate tra loro.
All’ingresso del negozio i nostri occhi si spostano contemporaneamente su Aria. «Vi voglio bene ragazze» sussurra mentre ci disperdiamo alla ricerca di un qualche segno indelebile che sia degno di restare sulla nostra pelle per sempre.
«Mon!» Afferro il braccio della mia amica distraendola dalla fenice stilizzata che sta guardando «Facciamone uno insieme» suggerisco mentre mille idee mi attraversano la mente. Gli occhi di Mona brillano «Ottima idea Han! Hai già pensato a qualcosa?» «Sull’avanbraccio, io un cuore vuoto e tu uno pieno, che ne dici?» La sua espressione è di finto disgusto «Siamo intrepide Hanna! Saremmo ridicole a camminare con un cuore disegnato addosso!» Mi colpisce il braccio «Okay, okay… Allora dimmi tu» Inizia a pensare guardandosi intorno, cercando tra le miriadi di disegni quello giusto per noi «Ci sono! Un’ancora!» «Un’ancora?» chiedo, sconcertata. «Sì! Sì un’ancora! Significa sicurezza, speranza, salvezza… E noi questo siamo no? Io e te saremo sempre un porto sicuro in cui approdare, per quanto agitato possa essere il mare» Le sue parole mi sciolgono, guidata dall’impulso abbraccio la mia amica «L’ancora sarà perfetta» sussurro.
**
Usciamo dallo studio tutte quante con un nuovo tatuaggio. Mi sfioro le costole sapendo che lì sotto, oltre la maglia di cotone e la giacca di pelle, c’è il simbolo di ciò che ha dato una svolta definitiva alla mia vita: Mona.
Alison mi si avvicina «Dovresti farlo vedere a Caleb» accenna al tatuaggio con il mento «Ne impazzirebbe» scuoto la testa allegra «’Sta sera sto con le mie ragazze, lo vedrà domani» Lei alza le spalle e continuiamo a camminare in silenzio per qualche secondo «Dovresti andare» si intromette Aria, scuoto di nuovo la testa «Su Han! Ci vediamo dopo, dai!» Continua Emily. Da quanto stano ascoltando? «Non lo so… Voglio stare con voi ‘sta sera» Anche Mona si mette in mezzo ora «Starai con noi domani, va’ da lui ora.» Sorrido al gruppo «Continua dritto, poi gira a destra, la terza porta dopo il negozio di armi» fa Alison.
«Grazie» torno a sorridere guardando le ragazze andare via «A dopo!» Grido verso il gruppo «A dopo!» Le voci mi arrivano all’unisono, come fossero una.
Raggiungo casa di Caleb in pochi minuti ma, una volta arrivata alla porta, mi blocco.
«Coraggio Hanna» sussurro prima di bussare sulla porta pesante.
Una donna bionda, vestita di nero e ricoperta di decine di tatuaggi mi apre la porta «Ciao, sono… un’amica di Caleb…» la donna mi sorride e noto una strana luce nei suoi occhi «Oh! Devi essere Hanna! Lui mi ha parlato di te!» «Mamma!» il grido ammonitore di Caleb è davvero vicino, e in un paio di secondi è davanti a me, che sorride spensierato mentre mi guarda negli occhi.
«Vi lascio soli ragazzi» la donna torna in casa e socchiude la porta.
«Cosa ci fai qui?» «Io, ehm… Avevo voglia di vederti» Il suo sorriso si fa più profondo quando sente le mie parole.
«Disturbo?» scuote la testa «Mai» sorrido «Ho fatto un tatuaggio…» «Dove? Voglio vederlo!» soffoco una risatina e poi sollevo la maglia fino a scoprire l’ancora.
«Significa sicurezza, speranze e salvezza, l’ho fatto con Mona, perché lei è questo per me» abbasso lo sguardo, leggermente imbarazzata.
«È bellissimo Hanna, proprio come te» sento le guance diventare rosse, continuo a guardare in basso  «…Grazie Caleb» «Dai, andiamo a fare un giro» Chiude la porta dietro di sé e mi fa strada «Non allontaniamoci troppo però» lui annuisce «Non puoi muoverti troppo perché sei… ancorata qui?» Mi copro il viso con le mani «Come può piacermi uno così?» Mi pento delle mie parole non appena mi escono di bocca «cazzo» sussurro.
«Io non… Non intendevo… Cioè… Possiamo solo fingere che non sia successo niente?» lo guardo negli occhi e ci leggo armonia, e allegria. Scuote la testa. «Mai» Resto spiazzata «Cosa?» «Non ho intenzione di fingere» Caleb mi si avvicina e affonda gli occhi nei miei.
«Devo andare» Mi sposto da lui con un gesto netto e inizio a percorrere la strada a passo svelto.
Sento Caleb corrermi dietro e così lo faccio anch’io: inizio a correre.
Sento le lacrime inondarmi gli occhi e cerco di ricacciarle dentro per evitare che lui le veda, ma cosa mi è preso?
Corro di più, maledicendo le mie gambe per non essere più lunghe e veloci, senza mai voltarmi indietro.
Mi fermo soltanto una volta arrivata nel dormitorio; ansimante e disperata, con le lacrime che mi rigano il viso, l’unica persona che c’è è un ex pacifico, credo si chiami Lucas.
«Tutto bene?» Mi si avvicina ed io mi asciugo le lacrime con le maniche, fatica sprecata, il mio volto si bagna di nuovo.
Scuoto la testa alla sua risposta senza trovare la forza per dire qualcosa. Mi appoggio al muro alla mia destra e mi lascio cadere a terra, il ragazzo si inginocchia difronte a me.
«Ti va di parlarne?» Ancora una volta scuoto la testa. Chi è questo ragazzo e perché si sta comportando così?
«Allora dovresti distrarti» lo guardo, interdetta, mentre mi tende la mano per aiutarmi ad alzarmi. La afferro e mi tiro su, spazzolandomi con le mani i vestiti, come se fosse necessario.
«Sono Lucas» «Hanna» tiro su con il naso e smetto di piangere, asciugandomi le ultime lacrime versate.
«Vieni, facciamo una passeggiata» scuoto la testa, di nuovo.
«Non… Perché ti stai comportando così?» il suo sguardo sembra confuso «Così come?» mi chiede «Beh, da amico. Non mi conosci nemmeno» alza le spalle «Mi è venuto istintivo, non avrei mai potuto ignorarti e lasciarti qui a piangere.» sorrido leggermente alle azioni di questo completo sconosciuto più buono del previsto.
«Adesso vuoi dirmi perché stavi piangendo?» mi mordo il labbro, poi decido di fidarmi. «È un po’ imbarazzante, per cui promettimi che non lo dirai a nessuno…» poggia una mano sul cuore «Promesso» «Ero con questo ragazzo, Caleb, e lui mi piace, e, e io piaccio a lui, e ha cercato di baciarmi, credo, ma io non ho mai baciato nessuno, e avevo paura di rovinare tutto, così sono corsa via» sembra divertito «È per questo che piangi? Perché non hai baciato quel ragazzo?»  La sua reazione mi infastidisce «Non ti ho costretto ad ascoltarmi, per cui non sei obbligato a farlo. Se devi, almeno non prendermi in giro.» guardo in basso e poi torno a guardarlo negli occhi «Non ti prendo in giro, è solo che… non credo valga la pena piangere per questo, non c’è altro?» alzo le spalle e per la prima volta mi ritrovo a pensarci, perché ho avuto quella reazione tanto eccessiva? Io non sono una che piange.
«Credo, credo di aver pianto per tutto quanto. Oltre lui, lasciare i candidi è stata dura, e forse mi stavo semplicemente sfogando per tutto quanto» confesso.
Un live sorriso gli illumina il viso «Ecco. Adesso ci credo. Perché è stata dura lasciare i candidi?»  «Più che altro, è stata dura passare agli intrepidi. Dal test, non sono risultata intrepida, lo sono diventata perché voglio bene alla mia migliore amica più che a qualsiasi altra persona e lei è un’intrepida, ma adesso ho paura di non essere all’altezza di questa fazione e temo di poter diventare un’esclusa» Dico, tutto d’un fiato. Non riesco a credere di aver rivelato tutto.
«Sciocchezze, ho visto come ti alleni, non diventerai mai un’esclusa, a volte anche il test può sbagliare» sorrido alle sue parole tanto dolci. «Grazie, Lucas» «È stato un piacere, Hanna».
Dei vocii si fanno sempre più fitti e acuti dal corridoio e le ragazze entrano nel dormitorio, Alison compresa.
«Hanna! Che ci fai qui!» Esclama Spencer nel vedermi «Credevamo fossi con Caleb» continua Emily «Ehm, sono appena tornata» mi ricordo improvvisamente di Lucas, immobile accanto a me, faccio fatica a credere che le ragazze lo abbiano notato «Ragazze, questo è…» faccio per presentarlo ma Lucas mi interrompe «Io devo andare Hanna, ci si vede» mi sorride di sfuggita e va via.
Il gruppo mi guarda con aria interrogativa «L’ho appena conosciuto. È gentile» «Era il mio vicino di casa, prima» afferma Aria, sorprendendomi «E non avete mai parlato da quando siete qui?» lei scuote la testa «È un ragazzo strano Han, da piccola avevo paura di lui, in tanti anni, non l’ho mai visto con nessun amico» alzo le spalle «A me piace, è dolce»
«Hannna! Caleb!» scoppio a ridere alle parole di Mona  «Non mi piace, in quel senso»
 

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Capitolo 9
*** Migliori amiche? ***


POV HANNA
 
Ci avviamo verso la palestra un po’ demoralizzate dai prossimi scontri, sperando soltanto di non finire contro qualcuno di troppo forte, come quella ragazza, Paige, o come quel ragazzo, Travis.
Nella grande stanza sono presenti vari tappeti su cui si terranno gli scontri, in lontananza noto Ezra che, insieme a Darren Wilden, discute su chi far scontrare con chi.
I primi nomi sono già scritti su una grossa lavagna: Mona si scontrerà con Lucas.
Mi si forma un groppo in gola, lei è forte, molto forte, mentre per quanto riguarda lui…
«Non fargli troppo male Mon, d’accordo?» il suo sguardo è dolce e comprensivo, ma comunque carico di eccitazione «D’accordo» risponde sollevandomi da un enorme peso, non voglio che soffra.
Altri nomi vengono presto aggiunti ai precedenti: Spencer si sfiderà con Emily; Aria con una ragazza di nome Kate e io…
Tiro un respiro profondo prima di leggere il nome del mio sfidante: Travis.
«Cazzo» sussurro. Perderò. Mi farò male e mi toglieranno molti punti. Finirò tra gli ultimi e diventerò un’esclusa.
Ripenso alle parole dolci di Lucas che solo una sera prima mi hanno rassicurata, ma che ora mi rendono ancora più tesa. Il test non sbaglia, il test non sbaglia mai. Lucas, invece, sì.
Inizio a concentrarmi sugli scontri solo quando è il turno di Mona e Lucas.
I due salgono sul ring e si scrutano silenziosi; lei ha un’aria fiera, forte e sicura, lui è solo molto, molto spaventato.
Non gli farà male. Lo metterà KO con un paio di colpi e fine.
No. Lui deve reagire. Deve colpirla. Deve perdere ma prima deve combattere. Non può rischiare di diventare un escluso.
Darren da il via e in un istante Mona lo ha già colpito.
«Cazzo» sussurro di nuovo.
Il secondo colpo è più forte del primo e arriva subito dopo, lei lo colpisce sulla mascella e lui indietreggia spaventato.
Lucas agita un pugno in aria nella disperata ricerca di una difesa.
Inizio a mangiucchiarmi le dita presa dalla tensione quando Mona gli assesta un calcio sul fianco.
«Avevi promesso di non fargli troppo male» sussurro più a me stessa, che a lei.
Un secondo e un terzo calcio si posizionano sempre tra il fianco e lo stomaco e ci vogliono ancora due pugni sul naso prima che Lucas crolli a terra, distrutto.
Mona mi guarda per un istante: nella sua espressione non leggo nulla, il suo sguardo è vuoto quando da il colpo di grazia e calpesta con un piede il volto a terra di Lucas.
Ezra interrompe il combattimento e qualcuno pensa a portare via il ragazzo; mentre un milione di punti vengono assegnati a Mona, io non riesco a smettere di immaginare Lucas con i vestiti strappati e i capelli sporchi che per strada mi chiede qualche scarto di cibo.
Diventerà un escluso per colpa sua.
Per la prima volta da quando la conosco quello che provo per Mona  non è un sentimento piacevole.
Mi sfioro le costole coperte dal tessuto nero per un istante e il desiderio che quell’ancora non sia lì mi divora.
A grandi passi mi avvicino alla mia migliore amica mentre il secondo scontro comincia e lei viene divorata dalla folla.
«Che cazzo ti è preso!» le afferro il braccio e la costringo a guardarmi negli occhi, e poi vorrei non averlo fatto, perché quegli occhi sono di ghiaccio, come se al loro interno non ci fosse più nessuno.
«Mona!» il mio è quasi un grido tra i mormorii sommessi dei trasfazione attorno a me.
«Cosa vuoi Hanna!?» la sua voce è esasperata, arrabbiata, ma triste mai.
Le mie dita cercano le costole da sopra la maglietta e stringono la carne là dove sanno che le linee indelebili riposano intoccabili, nel disperato tentativo di strappare via quell’ancora e tutto quello che significa.
«Avevi promesso di non fargli troppo male» le mie grida adesso si sono trasformate in sussurri «Avevi promesso» la voce mi si spezza in gola e mi sforzo a trattenere le lacrime.
«Perché t’importa tanto? Nemmeno lo conosci quel tipo» i suoi occhi vagano alle mie spalle, sul ring, mentre io penso ad una risposta.
«Non si meritava tutto quel dolore» ignoro la sua domanda perché non conosco la risposta «Niente di personale Han, è una gara. O lui o io.» la rabbia mi cresce dentro e divampa in me come un fuoco più ardente dell’inferno «Ci sono modi e modi cazzo!» il mio tono torna ad essere alto e tutte le lacrime che temevo di versare adesso si sono richiuse dentro senza la minima intenzione di uscire «Avevi promesso che non gli avresti fatto troppo male» Mona alza le spalle e si volta, andando via e lasciandomi da sola, tra la folla di ragazzini preoccupati.
Mi volto istintivamente verso il ring tentando di soffocare tutti i nuovi brutti sentimenti che provo verso Mona.
Al centro del cerchio di sedicenni Aria sta combattendo contro Kate.
Il combattimento è piuttosto equilibrato; un colpo a testa e qualche goccia di sangue, nessuna delle due è troppo forte.
«Forza Aria!» giro la testa verso l’angolo da cui provengono le voci trovandoci Emily e Spencer «Dai Aria! Dai!» continuano a gridarle.
Aria le guarda per un istante dopodiché assesta un pugno sul naso di Kate con una forze che non credevo avesse.
L’avversaria rimane a terra, con le mani premute sul naso sanguinante, senza provare ad alzarsi.
Aria guarda Ezra, sconcertata. Lo sguardo dell’istruttore è comprensivo ma scuote la testa e coì lei torna a guardare Kate. Controvoglia, Aria si china sulla compagna e alza il pugno, colpendo per l’ultima volta lo stomaco di Kate.
Ezra sale sul ring ed etichetta Aria come vincitrice; quest’ultima corre subito dalle ragazze e le stringe forte.
Un groppo mi si forma in gola. Poteva andare così anche tra Mona e Lucas. Ma no, lei doveva strafare, lei doveva schiacciarlo, lei doveva umiliarlo, doveva fargli male, troppo male. La rabbia mi si accumula dentro giusto in tempo, perché ora tocca a me.
Salgo sul ring cercando Mona tra la folla, con la speranza che vederla mi possa dare un’altra scarica di adrenalina.
Trovo i suoi capelli scuri tra gli altri iniziati e, ancora una volta, il suo volto è vuoto.
Zero rabbia. Zero preoccupazione. Zero tristezza. Zero di tutto e un’altra scintilla mi alimenta il fuoco dentro.
Travis si posiziona in piedi sul tappeto, difronte a me; lo sguardo carico e già pentito per il dolore che mi causerà.
Faccio un respiro profondo e fingo di avere Mona davanti a me, colpirla mi fa più piacere.
Ezra ci da il via e Travis non esita un istante per sferrarmi un pungo sullo zigomo.
Troppo lento, penso mentre evito il primo colpo e serro le nocche sui suoi addominali di marmo.
Lui sorride, e il suo è un sorriso amaro.
Mi colpisce lo zigomo, questa volta, è troppo veloce perché possa evitarlo.
Fantastico, si stava trattenendo per non farmi troppo male ed io ho spazzato via ogni speranza di usarlo a mio vantaggio.
Poco importa, vedo gli occhi inespressivi di Mona in prima fila e colpisco con tutta la mia forza l’anca di Travis con un calcio netto.
Lui si blocca per un istante che mi basta a colpirlo ancora: un pugno gli si piazza tra gli occhi e lui indietreggia, spingendo la gamba verso di me per un calcio forte e molto, molto doloroso sulle cosce.
Sento il bisogno di accasciarmi a terra e gridare di dolore ma so che se lo faccio non avrò più occasioni, così mi mordo l’interno della guancia ignorando il dolore e provo a colpirlo ma il mio colpo va a vuoto.
Travis mi afferra il polso con il pungo ancora serrato e mi torce il braccio, quello è più fastidio che dolore ma mi divincolo cercando di liberarmi dalla sua presa.
Non avrei dovuto farlo: Travis mi da un calcio alla caviglia facendomi perdere l’equilibrio, mezzo secondo e sono già a terra.
Evito tutto il dolore che si espande in tutto il corpo partendo da chissà dove e piazzo i gomiti sul tappeto, tentando di rialzarmi.
Il ragazzo non me lo permette e mi colpisce sul naso, facendomi abbattere al suolo.
Il dolore è immenso e il sangue mi appanna la vista, sono tentata di chiudere gli occhi ma so che se lo faccio ci vorrà un po’ prima che possa riaprirli e così con una mano mi pulisco del sangue rosso vivo che mi sporca il naso e la bocca.
Do un calcio verso il mio avversario senza prendere la mira, e colpisco un polpaccio, credo.
Lui indietreggia leggermente e cerco di approfittarne per alzarmi ma mi colpisce ancora, e ancora, e ancora. Tre pugni sul naso, forti e diretti, mi distruggono.
Agito i pugni cercando di colpirlo senza sapere dove guardare ora che la vista mi è completamente offuscata dal sangue e rabbrividisco realizzando che quel sangue è il mio.
Emetto un singhiozzo strozzato quando mi finisce con un colpo secco, sulla gola. Dopo il dolore atroce, solo buio.
**
«Ben svegliata!» la voce di Lucas sembra uguale a come l’ho sentita ieri ma non può essere, è troppo danneggiato per poter anche solo parlare normalmente.
Apro gli occhi e mi ritrovo su un lettino; accanto a me altri cinque come questi circondati da strani marchingegni.
«Hey, da quanto tempo sono qui?» «Non più di un’ora, tranquilla.» Deglutisco a fatica, senza sapermene spiegare il motivo.
«Sono passate quelle tue amiche… Aria, Spencer ed Emily, e con loro un’iniziata interna, aspetta, qual era il suo nome…» « Alison» continuo mentre realizzo che Mona, la mia presunta migliore amica, la mia ancora, non è venuta a vedere come stavo.
«È venuto anche un ragazzo, un paio di volte, ha detto di chiamarsi Caleb».
Caleb è venuto qui.
Mi alzo senza troppi problemi; eccetto il naso, probabilmente rotto, sono tutta intera.
Mi avvicino alla porta e quando sto per salutare Lucas mi rendo conto che invece nessuno è venuto qui per lui.
«Come stai?» gli chiedo avvicinandomi alla sua branda. «Sono stato battuto da una ragazza, l’umiliazione è più forte del dolore» rido alla sua affermazione «Quindi significa che puoi alzarti?» Lui annuisce «Certamente! Ma non chiedermi di camminare!» Ridiamo ancora una volta e poi restiamo in silenzio.
«Dovresti andare da quel ragazzo» suggerisce lui, intuendo che l’unico posto in cui vorrei essere è tra le sue braccia.
«Ah-ah» annuisco avvicinandomi alla porta « E comunque, ho litigato con Mona per come ti ha combinato. Le avevo detto di non farti troppo male e lei me l’aveva promesso» lui sorride e prima che possa dire qualcosa vado via, alla ricerca di Caleb.
Secondo l’orologio dell’infermeria in cui stavo, è ora di pranzo.
Non ho per niente fame e così, dopo aver scartato l’idea di andare comunque in mensa perché incontrerei Mona, decido che aspetterò Caleb all’ingresso della sala mensa, dove so che passerà nel giro di mezz’ora, dopotutto, non ho nient’altro da fare.
**
I vocii aumentano e le prime persone iniziano ad uscire dalla mensa, il mio gruppo è tra i primi.
«Hanna!» Alison è la prima a notarmi «Come stai?» continua Spencer «Sto bene ragazze, grazie, so che siete venute a trovarmi» loro annuiscono mentre cerco Caleb con lo sguardo «Sta arrivando, si è fermato a chiedere una cosa a Garret» fa Alison «Cosa?» chiedo io, senza capire «Caleb» continua «Sta arrivando» proprio mente finisce Caleb esce dalla mensa e quando mi vede il suo sguardo si illumina, le ragazze ricominciano a camminare e ci lasciano soli, tra la folla.
Lui mi corre incontro e mi stringe forte a sé, e quella stretta vorrei non finisse mai. «Hanna!» mi solleva e mi fa girare, così io lo stringo a mia volta, più forte che posso, quasi con la paura che possa scappare.
«Ho avuto tanta paura» sussurra con il viso tra i miei capelli, mentre ancora mi stringe. «È tutto okay. Io sono qui e sto bene» gli rispondo piazzando la testa sulla sua spalla, è incredibile quanto il suo odore e il suo calore mi facciano stare bene.
Mi allontano leggermente, quel poco che basta per guardarlo negli occhi «Mi dispiace per ieri sera…» «Shh, non devi dispiacerti» mi interrompe «Sì, sì devo. Sono corsa via e ti meriti almeno una spiegazione…» faccio un respiro profondo preparandomi a confessargli di non aver mai baciato un ragazzo «Shh, non voglio una spiegazione. Puoi sempre andare via, mi basta che poi torni.» I suoi occhi scuri mi rassicurano e mi fanno sentire a casa.
Con un gesto istintivo avvicino i nostri volti di nuovo e premo le mie labbra sulle sue, niente male come primo bacio, penso.
Ci allontaniamo di pochi millimetri. «Andiamo via di qui, ti va?» suggerisco, ancora stretta tra le sue braccia.
Lui annuisce e mi lascia libera. Nell’istante stesso in cui le sue mani smettono di toccare il mio corpo il freddo e il vuoto mi assalgono e mai come ora sento il forte bisogno di stare con lui, ed è qualcosa di cui ho bisogno, quasi come l’aria, o l’acqua.
Mi stringe la mano ridandomi un po’ di quel calore rassicurante e camminiamo verso lo strapiombo.
«So che hai lottato, che non ti sei fatta abbattere facilmente» sorrido «Già, forse se vinco il prossimo incontro non sarò infondo alla classifica» dico io e lui scuote la testa «Non starai mai infondo alla classifica. Gli intrepidi non ti lasceranno scappare» gli sorrido «Grazie Caleb» lui sembra non capire «Per cosa?» mi chiede «Per tutta la forza che mi dai, grazie.» Adesso è lui a sorridere.
Continuiamo a camminare in silenzio, mano nella mano, e in pochi minuti raggiungiamo lo strapiombo.
Ci appoggiamo alla ringhiera e non commetto mai l’errore di guardare in basso, verso le onde che si infrangono rabbiose sulla scogliera, ma non guardare in basso significa guardare Caleb, che invece guarda l’acqua imperturbabile e sorridente.
«L’acqua non ti piace?» Mi chiede dopo un po’, io scuoto la testa «Di certo non questa» lui sorride lievemente «Vuoi andare da qualche altra parte?» Ancora una volta, io scuoto la testa «Sto bene… Ma forse dovrei tornare al dormitorio, ho gli allenamenti, oggi pomeriggio» lui sembra deluso ma annuisce «Hai ragione, dovremmo andare, su, ti accompagno» fa per stringermi la mano ma io mi avvicino un po’ di più del dovuto, perdendomi per un attimo nei suoi occhi scuri.
Lui è più alto di me, e così mi ritrovo a guardarlo dal basso, senza riuscire a spiegarmi come mi sono ritrovata stretta tra le sue braccia.
Le sue labbra si piegano in un sorriso dolce.
 «Sai, sei appena uscita da uno scontro piuttosto duro, dovresti riposare» lo guardo con uno sguardo interrogativo, il suo sorriso si allarga e con un gesto rapido mi prende in braccio, sollevandomi come fanno i principi con le principesse.
Io rido leggermente e lui fa lo stesso; mentre mi porta verso il dormitorio stringo le mie braccia attorno a lui in una posizione un po’ innaturale ma che mi fa star bene.
È così che voglio stare, penso, per il resto della vita, è così che mi voglio sentire: bene.
Ci vogliono due minuti per raggiungere il dormitorio: la porta è chiusa e si sentono forti le voci degli altri iniziati dietro quel massiccio pezzo di legno.
Caleb mi fa scendere ma non mi lascia: nell’istante in cui poggio a terra i piedi lui mi afferra di nuovo chiudendomi tra le sue braccia.
Ci guardiamo un attimo negli occhi prima che lui mi baci con tanta passione che nemmeno credevo esistesse.
«Ma prendetevi una camera!» Senza rendermene conto la porta si era aperta mostrandomi un’Alison piuttosto divertita.
Una mano di Caleb si solleva dal mio corpo per un istante e se avessi gli occhi aperti giurerei che le ha alzato il dito medio.
Separiamo le nostre labbra quando ormai ci manca il fiato.
«Ci vediamo dopo, Hanna Marin» mi sorride liberandomi dalla stretta delle sue braccia «Ci vediamo dopo, Caleb Rivers» lo vedo sorridere un istante prima di voltarsi e andare via.
Quando esce dal mio campo visivo mi volto verso Alison che sorride compiaciuta, dopo aver assistito a tutta la scena. «La prossima volta che hai intenzione di interromperci avverti, grazie» assumo un’espressione di finta arrabbiatura e lei mi colpisce piano il braccio ignorando le mie parole «Ho sempre fatto il tifo per voi» sussurra entrando nella grande stanza dove quasi tutti ci stavano guardando, Lucas compreso.
Prima di raggiungere le ragazze vado da lui, seduto da solo sul suo letto chiaro.
«Hey» mi siedo sul bordo del materasso «Hey» fa lui «Suppongo che il primo bacio non ti spaventi più» rido silenziosa abbassando lo sguardo per un attimo e poi scuoto la testa «Come ti senti?» gli chiedo «Beh, chissà come, sono riuscito a camminare fin qui, quindi suppongo di stare meglio» lui alza le spalle «Devi impegnarti di più Lucas» la mia voce appare preoccupata «Non voglio rischiare di perderti» le mie parole sorprendono me quanto lui «Non succederà Hanna, al massimo verrò a cercarti puzzolente e con i vestiti stracciati e tu mi darai qualche spicciolo, ma non mi perderai» sorridiamo entrambi «Dico sul serio Lucas» gli stringo un braccio con la mano «Vedi di non combinare casini» libero il suo braccio e mi volto verso le ragazze, tutte sedute su un grande letto formato dai nostri singoli.
Ci sono tutte: Emily, Aria, Spencer, Alison e Mona.
Mi siedo tra Emily e Alison e loro si zittiscono subito «Su, racconta» fa Aria. Io sorrido ma mi basta guardare gli occhi vuoti di Mona per smettere, alzo le spalle «Ci siamo soltanto baciati» qualcuno sospira «Già, perché vi ho interrotti, altrimenti…» colpisco Alison con un cuscino prima che possa continuare «Altrimenti niente, ci siamo baciati un paio di volte, è stato bello, punto.» le ragazze sembrano inghiottire un boccone amaro, tutte tranne Mona, ovviamente.
«Tanto c’è tempo» dice Emily con noncuranza facendoci ridere, tutte tranne Mona, ovviamente.

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Capitolo 10
*** Mi dispiace ***


POV HANNA
 
Mi sveglio poco prima dell’alba e, quando il sonno non da segni di voler farsi sentire di nuovo, esco dal dormitorio silenziosamente prendendo i vestiti dal mio comodino.
Vado nel bagno e per la prima volta da quando sono qui lo trovo vuoto e silenzioso, tanto meglio.
Mi lavo e mi vesto con estrema lentezza e, quando il grande orologio nel corridoio che porta i trasfazione al pozzo rintocca le sette, lascio il bagno andando all’esplorazione della mia nuova grande casa.
Il pozzo è silenzioso poco meno del dormitorio; la vita degli intrepidi  non inizia prima delle dieci del mattino.
Il rumore dei miei passi è tutto ciò che riesco a sentire, oltre il lontano infrangersi delle onde sugli scogli, giù allo strapiombo, gioco con il bordo del mio vestito a campana nero quando sento una voce chiamare il mio nome.
Mi giro più lentamente del solito lasciando stare il tessuto tormentato e riconosco Alison che se ne sta in piedi a una decina di metri dalle mie spalle.
Anche alle otto di mattina è favolosa come sempre; guardo me, con il vestito sgualcito e i capelli scombinati, l’unico trucco che ho in viso sono gli aloni rimasti dalla sera prima: il mascara sbavato, l’ombra dell’eyeliner e il candido rossore sulle labbra che non mi sono preoccupata di rimuovere, né ‘sta mattina, né ieri sera. Mi sento imbarazzata dal mio aspetto ma poi decido che non me ne importa.
«Alison!» sorrido evidentemente avvicinandomi alla bionda che intanto mi viene incontro «Cosa ci fai qui?» la ragazza alza le spalle «Credo di essere l’unica intrepida mattutina» sussurra facendomi sfuggire una risatina «E tu?» mi chiede «Non avevo sonno» liquido la questione con un gesto noncurante della mano e poi mi passo le dita chiuse a pugno sotto gli occhi nella speranza di darmi un aspetto meno disgustoso eliminando i rimasugli di trucco sciolto.
«Tutto bene?» io annuisco poco convinta. Non mi ci sono mai soffermata, in queste ultime ore, su come mi sento, e per la prima volta mi ritrovo a pensarci davvero.
Come sto? Mi sento tradita, vorrei dire, tradita dalla mia migliore amica, dal mio punto fermo, dalla mia ancora.
Eppure mi sento anche felice, felice per tutta questa nuova vita, felice per aver conosciuto Aria, Spencer, Emily, Alison, Lucas e Caleb.
Caleb… Come potrei non essere felice se penso a lui? La vita mi ha dato l’opportunità di conoscere una persona buona, un coraggioso d’oro.
La mia nuova vita mi ha dato tanto, ma forse ho perso più di quanto ho guadagnato, forse dovrei provare a tenermi stretta la mia migliore amica perché è per lei se ho avuto l’opportunità di ricevere così tanto. Ma le persone cambiano, e lei sta cambiando, lo sento come sento il sole sulla pelle, lo sento come si sente il dolore quando ci si spezza un braccio o una gamba, e la Mona che sta diventando non è la mia migliore amica, non è la bambina con cui giocavo da piccola, non è nemmeno la ragazza con cui sono saltata sul treno, la ragazza per cui ho lasciato tutto, e quindi come posso stare bene? Come posso stare bene se sto perdendo lei? Lei che per me è tutto. Come posso stare bene se sto perdendo tutto e non faccio niente per non lasciarmelo scappare?
«Tutto bene» mento «E tu?» lei annuisce «Va tutto alla grande» sorride pensando a qualcos’altro «E perché va tutto così bene?» sorrido contagiata dalla sua allegria, lei scuote la testa «Lo saprai quando sarà tutto ufficiale, te lo prometto» sorride ancora di più, a trentadue denti «Io vado Han, ci vediamo dopo» nemmeno il tempo di salutarla che la bionda sta già correndo via.
«A dopo» sussurro quando ormai è troppo lontana per sentirmi, e me ne torno indietro, verso il bagno del dormitorio.
Ancora una volta lo trovo vuoto e silenzioso e ne approfitto per rifarmi il trucco sbavato.
Dieci minuti dopo, a lavoro finito, torno nel corridoio e indugio sulla porta del dormitorio, prima di lasciarla a se stessa e sedermi accanto al muro, sul pavimento di pietra freddo.
**
«Hanna! Hanna svegliati!» La voce di Spencer è ferma e risoluta, con una nota di preoccupazione.
Apro gli occhi a fatica e, dietro la ragazza che mi sta svegliando, ne noto un’altra, più bassa e meno snella, dai capelli e la pelle più scuri, Emily.
«Spence...» Mi guardo intorno grattandomi la testa con una mano, sono nel corridoio, appiattita a terra contro il muro, i capelli scombinati.
«Che ore sono?» Guardo in alto, dove so che troverò un orologio «Sono quasi le dieci Hanna, siamo state le prime a svegliarci» mi informa Emily dandomi un leggero senso di sollievo, nessun altro mi ha vista così.
**
Non appena entro nella palestra i miei occhi scrutano con foga la lavagna con i nomi dei ragazzi che si scontreranno tra loro.
Il mio è affiancato da quello di una ragazza bruna, bassina e con le spalle larghe, Maggie.
Fantastico, penso. Vincerò contro qualcuno di non troppo fragile, dimostrerò di cosa sono fatta.
Certo, preferirei  combattere con Mona, ma non importa, potrò vendicarmi in un altro momento, adesso l’importante è guadagnarmi un posto fisso tra gli intrepidi.
Quando arriva il mio turno salgo sicura di me sul tappeto con una certa fretta e aspetto Maggie per qualche istante; quando è difronte a me la scruto silenziosa partendo prima dagli occhi, preoccupati ma sicuri, e soffermandomi poi sul resto del corpo: le spalle larghe e la corporatura robusta mi fanno pensare che conterà sulla forza, perfetto, mi dico, io punterò sulla velocità.
Lo scontro inizia e già il mio pugno colpisce veloce la gola di Maggie, che, al tocco, indietreggia stringendosi il collo tra le mani.
Ha esitato solo un attimo, mi dico, bene, un attimo è già abbastanza.
Piego le braccia davanti al busto per proteggermi vedendo la mia avversaria alzare le dita chiuse per colpirmi ma il mio piede centra il suo ginocchio prima che le sue dita possano sfiorarmi, lei cade a terra.
«Sono le basi tesoro, le gambe non si tengono perfettamente dritte.» sussurro, certa che lei non mi abbia sentito.
Mi avvicino a lei con passo leggero e non estremamente veloce; Maggie sferra un calcio all’aria nella mia direzione che mi colpirebbe se non indietreggiassi, ma ho perso tempo, e lei è di nuovo in piedi, ferma davanti a me.
Per un attimo è immobile prima che un mio pugno le colpisca il labbro una volta, e poi un’altra ancora.
Mi allontano di poco permettendole di pulirsi il volto dal sangue versato, le mie nocche sono sporche dello stesso rosso matto, ma non lo pulisco, quasi come potesse darmi più forza.
Con la stessa mano colpisco subito il suo stomaco facendola piegare su se stessa e gemere dal dolore.
Un lampo mi si insinua in mente quando colpisco con un calcio in pieno viso Maggie.
Stai facendo proprio come Mona, mi dice quel lampo, la stai finendo senza pietà.
No, non è la stessa cosa, gli rispondo, io non avevo promesso un bel niente.
Eppure non illudo nemmeno me stessa, ingoio un groppo di saliva e finisco la mia avversaria con un calcio più veloce di un lampo, dritto nello stomaco che ora non è più stretto tra le sue mani.
«Mi dispiace» sussurro così piano che solo Maggie può sentirmi, poco prima che i suoi occhi si chiudano.
Ezra sale sul tappeto e mi incorona vincitrice. Con un gesto fulmineo lascio il “ring” e corro fuori dalla palestra, infilandomi nel labirinto di corridoi che conosco a malapena.
Mi appoggio ad un muro freddo e scuro e mi ci lascio cadere, poi piango, piango tanto quanto non ho mai fatto prima. Piango per me, per Mona, per Caleb, per Lucas, per mia madre e per tutto questo inferno che dovrò accettare di cominciare a chiamare vita.
**
Apro gli occhi all’improvviso e realizzo dove sono solo dopo essermi fatta prendere dal panico: sono in uno stretto, buio e angusto corridoio, con le guance piene di lacrime seccate, devo essermi addormentata.
Mi alzo dal pavimento di pietra e percorro il corridoio con le mani appoggiate alla parete fredda sbucando poco distante dalla palestra.
Guardo l’orologio digitale piazzato in alto, sul muro, e rabbrividisco notando che è quasi l’ora di tornare ai miei allenamenti: ho dormito fino alle 15:30.
Vado in mensa scoprendomi affamata e la trovo quasi del tutto vuota, ma poco importa, mi avvicino al bancone e afferro una mela rossa, addentandola all’istante.
Quando torno nella palestra la trovo piena di iniziati, ma ancora Ezra non c’è.
Raggiungo le ragazze in un angolo subito dopo essermi accertata dell’assenza di Mona dal gruppo.
«Hanna! Dove sei stata? Ti abbiamo cercata ovunque!» Spencer mi abbraccia velocemente prima di tornare al suo posto, in attesa di una risposta.
«Ciao ragazze…» mi rivolgo a Spencer «Mi ero seduta in un corridoio e… mi sono addormentata» scrollo le spalle «Sapete dov’è Mona?» Aria mi indica con il mento un punto dall’altro lato della palestra, Mona sta tranquillamente parlando con Travis.
«È un po’ strana in questi giorni…» fa Aria, io annuisco «È fredda.» concludo e, senza lasciare alle altre il tempo per ribattere, Ezra inizia a spiegarci come funziona una pistola e come usarla.
Non presto ascolto ad una sola delle parole dell’istruttore, ma quando è il nostro turno, io sono la prima a centrare il bersaglio e quasi l’unica a restare costante.
Ogni mio proiettile si conficca perfettamente nel cuore o nella testa del manichino: dopo due ore di torture, è ridotto a brandelli.
«Ma come fai?» mi chiede Emily, guardandomi sbalordita «Semplice, immagino che quello non sia un manichino ma qualcuno che odio».
Mi volto un’ultima volta verso il mio bersaglio e, dopo aver immaginato il viso inespressivo di Mona sovrapporsi con il suo semidistrutto, colpisco ancora la testa del manichino.
Ezra ci congeda e, dopo essersi complimentato personalmente con me, mi lascia andare.
Ripenso alle mie parole: immagino che quello non sia un manichino ma qualcuno che odio. Senza alcun dubbio stavo pensando a Mona in quel momento, ma com’è possibile che tutto l’amore e l’affetto che provavo per lei si siano già trasformati in odio?
«Hanna Marin!» Senza nemmeno rendermene conto, sono arrivata davanti al dormitorio, e adesso, sull’uscio della porta, Caleb mi sta aspettando impaziente.
Gli vado incontro e, prima che io posa salutarlo, le sue labbra sono già sulle mie, in un gesto veloce e naturale che mi sorprende e conforta.
«Caleb Rivers!» dico separandomi da lui «Cosa ci fai qui?» sorrido ai suoi occhi dolci, che in un solo istante mi hanno fatto dimenticare tutte le preoccupazioni. «Avevo voglia di vederti… Come mai non c’eri a pranzo?» alzo le spalle «Mi sono addormentata» lui sorride da orecchio a orecchio «Oh, allora sarai affamata, dai, andiamo in mensa» lo scruto per un attimo mentre mi tende la mano «Dovrei cambiarmi, sono tutta sudata, aspettami qui, cinque minuti e andiamo okay?» «Sei bellissima anche così Hanna Marin» mi prende per il braccio e mi trascina in mensa, nonostante cerchi di oppormi.
«Mi hanno detto che sei stata grandiosa oggi» dice aprendomi le porte della mensa «Avevi qualche dubbio Rivers?» lui alza le mani sorridendo «Mai» sorrido di ricambio.
«Dopo ti va se ce ne andiamo a fare una passeggiata?» butto lì, riempiendomi il piatto di pasta, sono affamata!
«Sarebbe grandioso, certo che mi va» inizio a mangiare guardandomi intorno, senza concentrarmi sulla mano di Caleb che, senza che me ne rendessi conto, si è stretta attorno alla mia.
I miei occhi trovano Mona a qualche tavolo di distanza, seduta con Travis e un mucchio di iniziati interni.
Aggrotto le sopracciglia sperando che nessuno mi veda. Troppo tardi. «Han, che succede?» la voce di Spencer mi risveglia dai miei pensieri «Da quando Mona è diventata amica di Travis?» mi concentro sugli occhi di Spencer adesso, seduta di fronte a me. Lei alza le spalle «La vedo distante… Non saprei» già, distante. Io la vedo diversa, invece.
Scrollo le spalle, tornando a Caleb. «Com’è andato l’allenamento oggi?» Fa un’espressione noncurante con le labbra «Niente di che, come al solito» sorrido allontanando il mio piatto con una mano, Caleb mi guarda interrogativo.
«Non ho fame» il mio stomaco non sembra andare d’accordo con le mie parole, ma poco importa, non riesco a mangiare. Non riesco a fare niente.
Allontano la sedia e mi alzo, lentamente.
«Dove vai?» senza che me ne renda conto, Caleb si alza e mi stringe per un polso.
«Io… Io…. Non ce la faccio a stare qui» affermo incerta, con le parole che mi mancano.
«Vengo con te» scuoto la testa alle parole di Caleb e inizio a sentire la stanza girare attorno a me.
«Voglio stare un po’ da sola» il ragazzo allenta la presa sul mio polso ed io lo libero dalla sua mano.
La stanza inizia a girare più veloce, le palpebre faticano a restare alzate, così io. Mi reggo ad uno spigolo del tavolo.
«Hanna, tu non stai bene» la sua voce è ferma, decisa, mi stringe la vita dandomi stabilità e per un attimo mi sembra che la stanza si sia fermata, ma poi ricomincia a girare.
«N-no sto bene, non è niente, davvero» la sua presa attorno a me si fa più salda,  non ha intenzione di lasciarmi andare.
«Mangia qualcosa prima, okay?» fa un po’ di pressione sui miei fianchi e crollo a sedere sulla sedia, la stanza si ferma all’istante.
«Okay» accetto la sua offerta e, controvoglia, svuoto tutto il mio piatto di pasta, il mio stomaco mi ringrazia.
«Posso andare ora o c’è qualche altra cosa?»  la mia voce risulta esasperata, più di quanto desideri.
«Mi preoccupo soltanto per te» risponde lui in tono comprensivo, ma con un pizzico di ostilità.
«Sono abbastanza grande per preoccuparmi da sola, grazie» aggiungo aspra, e poi vado via, percorrendo a grandi falcate la stanza fino alla porta della mensa.
Quando raggiungo il corridoio, una mano fredda mi stringe il polso, facendomi rabbrividire, la conosco fin troppo bene quella stretta.
«Lasciami, Mona» affermo prima di voltarmi a guardarla, preparandomi a incontrare quegli occhi inespressivi che mi stanno rovinando.
«Non adesso» continuo quando la sua presa si fa più salda.
Alzo gli occhi e incontro i suoi, che mi sorprendono per la prima volta, forse.
Sono occhi tristi, arrabbiati, comprensivi, e, soprattutto, non sono occhi vuoti.
«Come mai te ne sei andata così?» sbuffo «Da quando te ne importa Mona?» libero il mio polso con un gesto rapido, sorprendendola.
«Da quando abbiamo tre anni, più o meno» risponde lei, spiazzandomi «Oh beh, non si direbbe» faccio per voltarmi ma le sue parole mi spingono a restare.
«Mi dispiace Han, okay? Non lo so che cosa mi stia succedendo. Sto cambiando, come stai facendo tu, come stanno facendo Aria, e Spencer, e Emily. Questo posto ci sta facendo diventare adulte, e ci sta cambiando profondamente»
«Bel cambiamento Mon»
«Non ho mai detto di star cambiando in meglio!» sbotta lei «Ma non ci capisco più niente! Non so cosa mi aspetta, e ho paura, cazzo quanto ho paura, non voglio diventare un’esclusa e devo fare tutto quello che posso per non diventarlo, capisci Han?» sospira quando non rispondo.
«Non lo so cosa mi riserva il futuro, non so un bel niente, l’unica cosa che so è che voglio che tu ne faccia parte.»
Non rispondo. Ma non posso negare che le sue parole mi abbiano toccata.
Si alza la maglia leggera fino alle costole, scoprendo l’ancora e la pelle d’oca.
«Tu sei la mia ancora, ricordi?» mi chiede, con un filo di speranza nella voce.
Chi se ne frega di Lucas, di Caleb, degli errori e delle cazzate, stringo forte la mia migliore amica, perché si, cazzo, si che me lo ricordo che sono la sua ancora, perché mi ricordo che lei è la mia. E per quanto in questi giorni avrei voluto cancellarlo, non si cancella il passato.
«E tu la mia» affermo con il viso tra i suoi capelli scuri, mentre lei mi stringe di più.
**
Busso tre volte sulla porta scura, tenendo gli occhi bassi.
«Chi è??» La voce di Caleb non è più ostile come a cena, forse perché non sa che sono io.
«Hanna» mormoro, la voce bassa, ma sicura, alzo gli occhi quando lui apre la porta.
«Che vuoi, Hanna?» guardo le mie mani, stanno tremando, ma di certo, non per il freddo.
«Volevo dirti che mi dispiace» affermo «È tutto un casino, un casino enorme, e io ti ci sto buttando dentro, e tu non c’entri, ma me la prendo con te comunque. Non mi sono mai sentita così vicina a qualcuno prima, non lo so come dovrei comportarmi, e poi c’è tutto il resto, che mi sta sovrastando e io non faccio altro che buttare giù anche te. Mi dispiace, Caleb.» affermo tutto d’un fiato, quasi scordando di respirare.
Guardo in basso aspettando una risposta, e preparandomi al peggio, ma sento soltanto il rumore di una porta che si chiude, e per un terribile attimo penso davvero che se ne sia fregato delle mie scuse, ma poi due mani calde mi afferrano il viso, costringendomi a guardare Caleb negli occhi, quegli occhi scuri che si fanno sempre più vicini.
E le sue labbra sono di nuovo sulle mie, con più forza e calore del solito.

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Capitolo 11
*** Caccia alla bandiera ***


POV HANNA

 
Caccia alla bandiera.
Caleb me ne aveva parlato e non vedevo l’ora che arrivasse questo giorno, almeno potrò stare con lui.
O batterlo.
Quando si fa buio tutti gli iniziati si radunano sul treno, su cui, ormai, non ho più paura di salire.
Salto sul primo vagone e aspetto che gli altri si radunino intorno ad Ezra e Garrett.
Caleb arriva poco dopo di me con Alison al seguito e mi stringe la mano, mentre il treno lascia la tana degli intrepidi.
«Ci divideremo in due squadre. Una guidata da me, una da Garrett.»
L’istruttore dei trasfazione fa un cenno verso quello degli iniziati interni, poi continua.
«Ogni squadra avrà una bandiera, che dovrà proteggere come fosse un figlio. La bandiera va protetta, ma non nascosta troppo. Deve essere visibile.
Il vostro obiettivo sarà quello di rubare la bandiera dell’altra squadra.
Ci vuole tattica. Ci vuole gioco di squadra. Talento.
Vincete, e salirete di qualche postazione nella classifica.»
Fa un passo indietro e Garrett cammina verso il centro del semicerchio di iniziati che gli si è formato attorno.
«Oh, scelgo per primo? Che onore!»
Sogghigna chiamando un iniziato interno.
«Aria»
Fa Ezra sorridendo alla mia amica, che ricambia, sincera.
C’è qualcosa che non quadra, mi dico, stanno nascondendo qualcosa.
Ma sono troppo emozionata per concentrarmi.
Garrett ha appena chiamato il mio nome.
Mi faccio spazio dalla sua parte mentre Ezra chiama Paige.
«Di Laurentis»
Garrett fa un cenno verso Ali, che con un balzo mi è già accanto e mi batte il cinque.
Ezra fa un ghigno.
«Mona»
Sospiro. Non sarò nella sua squadra, mi darà del filo da torcere.
Poco importa. Vincerò lo stesso.
I nomi continuano ad essere sorteggiati, e alla fine veniamo tutti smistati tra le varie squadre.
Caleb e Spencer sono nella mia.
Quando Garrett pronuncia con orgoglio “Rivers”, il ragazzo non lo degna nemmeno di uno sguardo, viene accanto a me e mi stampa un piccolo bacio sulle labbra, ma ormai non mi imbarazzo più.
«Le armi scelte quest’anno non sono troppo… convenzionali» Garrett sorride scambiando un’occhiata con Ezra, che sposta al centro del vagone due grosse scatole chiuse.
«Arco e frecce.»
 Prosegue l’altro istruttore.
«Le punte sono di plastica, al contatto si rompono lasciando uscire gas puzzolenti» Garrett pronuncia quelle parole orgoglioso, come se l’idea fosse sua.
«Fingete che sia una battaglia con le pistole laser. Chi viene toccato in petto, o in testa o in qualsiasi altro punto in cui un normale colpo sarebbe mortale, perde. Non imbrogliate, se sarete colpiti ce ne accorgeremo dalla puzza»
Sorride e, mentre lo sportello si apre, salta fuori, seguito da tutti gli altri intrepidi.
Arriviamo alla palude, ossia la parte abbandonata della città. Con palazzi che cadono a pezzi, sculture arrugginite, e un fiume prosciugato.
Mentre la mia squadra si avventura nel lato est, mi guardo intorno alla ricerca di un nascondiglio ingegnoso.
E poi lo vedo.
Il vecchio parco pieno di sculture arrugginite in cui Caleb mi ha portato la prima sera.
Sorrido automaticamente alla vista dell’alto cubo che scalammo insieme quella calda sera, più di due settimane fa.
E in un secondo ho già deciso, voglio che la nostra bandiera stia lì.
«Hey Garrett» faccio all’istruttore. Quando lui si gira io gli indico il grande cubo.
«Se la mettessimo lì? Per terra, alle spalle del cubo»
Lui sorride, e noto gli occhi degli altri membri della mia squadra puntati su di me.
«Che ne pensate?» chiede lui agli altri membri della squadra.
Consenso generale, e qualcuno sta già correndo a posare la bandiera.
Spencer prende la parola al centro del nuovo cerchio.
«Dovremmo dividerci. Qualcuno resta di guardia alla bandiera, i tiratori più esperti, mentre gli altri cercano quella dell’altra squadra.»
Un interno continua al posto suo.
«Mandiamo un gruppo ridotto a cercare la bandiera in campo nemico. Se sono pochi si noteranno di meno. Poi ritornano e andiamo insieme a prenderla, tutti.»
«Sarebbe un’immensa perdita di tempo» sbotta Caleb.
«Andiamo tutti lì. Li prendiamo di sorpresa, e mentre combattiamo all’ultima freccia puzzolente, qualcuno corre a cercare e a prendere la bandiera.» suggerisce qualcuno.
«Mandiamo un kamikaze» propongo attirando su di me l’attenzione. «Partiamo tutti, meno le due sentinelle, e cerchiamo gli altri. Quando li troviamo ci dividiamo. Otto combattono attirando tutta l’attenzione. Due vanno a prendere la bandiera»
Il silenzio è l’unico suono che si sente per qualche attimo, e poi gli altri iniziano ad esultare.
Il mio piano è stato approvato.
«Mi sa che adesso ci sei tu al comando» mi sussurra Caleb prima di baciarmi.
«Non abbiamo tempo per questo Rivers. Quando vinceremo festeggeremo come vuoi tu, ma adesso dobbiamo vincere.»
«Per prima cosa scegliamo le sentinelle. Ce ne servono due o tre. I tiratori migliori. Si nasconderanno dietro al cubo e spareranno a chiunque non sia della nostra squadra. Chi sono i tiratori migliori, Garrett?»
Mi auto nomino capo senza neanche accorgermene, ma a quanto pare agli altri sta bene.
«Isabelle e Alec» risponde lui prontamente, senza esitare un solo istante.
Mi volto verso i due ragazzi che ora sono al centro degli sguardi di tutti i miei compagni di squadra.
«Siete voi?» gli chiedo.
I due annuiscono.
«Bene. Siete appena stati promossi a sentinelle.»
«Nessuno toccherà quella bandiera» afferma Isabelle, sorridente.
«Puoi giurarci» afferma Alec.
«Sarà meglio per voi» continua un intrepido nel gruppo, mentre gli altri sguardi tornano a posarsi su di me.
«Okay. Chi andrà a recuperare la bandiera?» Chiedo al gruppo.
C’è un po’ di caos generale, e poi una voce si fa più alta tra le altre.
«Non è ovvio? Tu.»
La mia squadra esulta in segno di approvazione, ed io non posso far altro che sorridere.
«Va bene, va bene. Chi viene con me?»
Il caos ritorna, più forte di prima.
«Che suggerisci Garrett?»
L’istruttore sorride e poi fa un cenno alla mia destra.
Tutti ci voltiamo posando gli occhi su Caleb.
«Per me va bene» accetta lui «Quando partiamo?»
Gli sorrido, grata del fatto che lui sarà il mio compagno.
«Dobbiamo decidere dove controllare. Se decidessimo di esaminare tutta l’area ovest finiremmo domattina. Ci serve una mappa, una lista dei posti più probabili.»
Tutti gli sguardi si posano su Garrett.
«Gli alberi.» Inizia lui «La fabbrica. Il vecchio treno. La ruota panoramica….»
Un ragazzo tra la massa lo interrompe.
«Non la metteranno mai dove è stata già messa qualche altro anno. Secondo me è tra gli alberi, nel boschetto sul fiume. È piccolo e potrebbero tenerlo sotto controllo facilmente, ma è piuttosto fitto, la bandiera lì sarebbe nascosta bene, con i tiratori sugli alberi.»
Silenzio generale.
«Eri un erudito vero?» chiede Garrett poi. Il ragazzo annuisce.
«I miei preferiti» ghigna l’istruttore.
«Okay, allora si fa come dice…» mi si forma un groppo in gola, questo ragazzo vive con me da settimane e  non so come si chiama? «Tom» continua lui.
«Bene. Andiamo al boschetto. Facciamo il più piano possibile» mi volto verso Caleb «Io e te mettiamoci al centro del gruppo, dove è più difficile essere colpiti.» concentro di nuovo lo sguardo sul gruppo «Cerchiamo il loro accampamento, e quando lo troviamo, ci separiamo. Voi camminate verso il centro del gruppo cercando di non farvi vedere fino a quando non siete arrivati. Cercate di durare, io e Caleb dobbiamo trovare una bandiera» Grida esultanti generali, e siamo già in cammino verso il boschetto.
Camminiamo acquattati per un quarto d’ora, e poi abbiamo tutti la conferma che Tom aveva ragione; appostata tra i cespugli, metà dell’altra squadra ha la guardia alzata. L’altra metà starà cercando la nostra bandiera, e noi siamo di più.
Riusciamo a camminare senza farci notare fino al confine del bosco, con il letto del fiume vuoto sulla nostra sinistra.
E poi gli altri iniziano a colpire.
La puzza si diffonde nell’aria velocissima, e mentre mi allontano con Caleb, con gli occhi chemi luccicano, so già che i soldati stanno cadendo uno ad uno. Sia i nostri che i loro.
Ci nascondiamo dietro un enorme masso e ci guardiamo intorno.
Non ci sono sentinelle appostate sugli alberi, vantaggio per noi.
Non ci sono sentinelle sul nostro lato del boschetto, niente bandiera.
Non ce ne sono nella parte centrale, niente bandiera.
Tutti i soldati stanno combattendo con i nostri, a colpi di frecce puzzolenti.
«Deve essere per forza lì, sugli alberi, non per terra» guardo Cleb indicandogli gli alberi sopra il combattimento, ma lui non segue il mio indice, e fissa il suo sguardo nel fiume, che da qui vediamo perfettamente.
«Quelle bandiere sono fluorescenti, la vedremmo anche da qui se fosse sugli alberi. Io dico che l’hanno nascosta nel fiume» dice lui, convinto delle sue parole.
«Nel fiume?» chiedo io, sconcertata.
Caleb annuisce.
«Ci sono delle erbacce folte, come cespugli. Scommetto che è lì, dove nessuno controllerebbe mai, e siccome non si può nascondere ci basterà dare un’occhiata»
Annuisco quando inizio a comprendere il suo piano.
«Ha senso, ora dobbiamo solo arrivare fin lì» la distanza da colmare non è niente di ché, se non fosse che quella distanza è teatro di guerra.
«Faremo il giro lungo. Aggiriamo il boschetto. Dieci minuti al massimo, e siamo alle loro spalle»
Annuisco.
«Sei un perfetto stratega» gli sussurro mentre mi alzo da terra. Le calde mani di Caleb si stringono attorno al mio polso prima che possa fare un solo passo, mi giro verso di lui, preparandomi a vederlo colpito da una freccia puzzolente, e invece incontro solo il suo sguardo seducente.
«E tu sei il capo squadra migliore che la caccia alla bandiera abbia mai visto» posa le sue labbra sulle mie ma io mi allontano prima di rendere il bacio più profondo.
«Abbiamo una bandiera da rubare»
Affermo avviandomi verso l’altro lato del bosco.
Corriamo per il perimetro del bosco consapevoli della mancaza di tempo senza fermarci un solo istante.
Quando ormai il fiume è a pochi passi da noi, iniziamo a perlustrarlo con lo sguardo, senza però trovare niente.
«Maledizione! Dov’è se non è qui?! Non abbiamo più tempo!»
Smetto di concentrarmi sulle erbacce e guardo il letto del fiume nel complesso: rifiuti di tutti i tipi; piccoli animali morti; lische di quelli che un tempo erano pesci; c’è persino un’automobile.
E poi la vedo.
Tra le due ruote sinistre del veicolo che forse prima era stato rosso, tre centimetri di un tubicino metallico. Tre centimetri dell’asta di una bandiera. Di quella bandiera.
«Caleb! Guarda lì!» indico al ragazzo il pezzo di metallo, e in un istante il suo viso si illumina.
«Ti guardo le spalle» gli dico, felice «Vai!» prendo una freccia dalla faretra che mi hanno consegnato, ma prima che possa posizionarla, Caleb me la toglie di mano.
Nella sorpresa della situazione, il mio sguardo risulta arrabbiato.
«Ci hai guidati tu. Il merito è tutto tuo. Vai. Ti guardo le spalle» provo a discutere la sua decisione, ma lui è irremovibile, e alla fine mi costringo a cedere.
Mi siedo sul bordo del fiume regalando un ultimo sguardo alla battaglia, a un centinaio di metri da me: chiunque potrebbe vedermi, se si concentrasse, ma a quanto pare l’altra squadra è così sicura del proprio nascondiglio che non teme nemmeno di poter fallire.
È questo il loro punto debole, la sicurezza.
Torno a guardare il letto del fiume, circa due metri più giù.
Faccio un respiro profondo. Non è alto. Sono due metri. Se cado faccio danni solo perché faccio rumore.
Faccio un altro respiro profondo, e poi inizio la mia discesa.
Scivolo verso il fondo con immensa facilità, e raggiungo subito l’auto.
L’asta della bandiera è a tre passi da me. Mi inginocchio e la afferro, stringendo il metallo freddo tra le dita calde.
La sensazione che sento è qualcosa di fantastico; mi sento fiera, felice. Ce l’ho fatta.
Mi arrampico sul tetto dell’auto e inizio a gridare, euforica, con la bandiera in mano, mentre la battaglia si ferma e la mia squadra esulta, emozionata quanto me.
Mi volto verso la sponda del fiume da cui sono scesa, ma dove mi aspetto di trovare Caleb vedo solo terreno paludoso.
Sto per iniziare a preoccuparmi quando due mani dalla stretta familiare mi afferrano i fianchi facendomi voltare.
Il viso di Caleb è a pochi centimetri dal mio, e forse è l’eccitazione della vittoria, ma mi sembra ancora più bello.
«Adesso che abbiamo vinto, festeggiamo come piace a me» mi sussurra prima di attirarmi a sé per baciarmi.
I nostri corpi si incastrano alla perfezione, ma anche quando lui mi sposta le dita sulla schiena facendomi venire i brividi, io non lascio cadere la bandiera.

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