Castiel e... La tinta!

di D per Dolcetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Something is changing ***
Capitolo 2: *** Promessa ***
Capitolo 3: *** La tintura per capelli tira fuori il peggio delle persone ***
Capitolo 4: *** Mai fidarsi degli amici d'infanzia! ***
Capitolo 5: *** R O S S O ***
Capitolo 6: *** Fa tutto parte del gioco ***



Capitolo 1
*** Something is changing ***





Cos’è D per Dolcetta?
Siamo sette dolcette, tutte attive nel fandom di Dolce flirt e abbiamo deciso un po’ per gioco, un po’ per sfida, di scegliere un tema comune e da lì sviluppare sette fanfic tutte diverse.
Buona lettura!

 




Something is changing

 

 
Autrice: Sakyo91





Per quanto abbia una bella voce, non hai invitato Debrah a casa tua quel pomeriggio con l’intento di sentirla cantare. Lei però sembra non avere la minima intenzione di terminare la sua esibizione canora iniziata mezz’ora fa, nemmeno quando smetti di ascoltarla per andarti a buttare sul letto con la musica a palla nelle cuffie.
Solo dopo che la base musicale arriva alle ultime note clicca stop sul lettore multimediale del computer e ti lancia uno sguardo offeso.
«Non sei affatto carino, lo sai?»
Continui a fissare la parete senza avere la minima voglia di togliere le cuffie per ascoltare ciò che sta dicendo la tua ragazza. Ma non passa molto prima che lei si avvicini al letto per sfilartele e guardarti con i soliti occhioni da cerbiatta. «Ho bisogno di esercitarmi ogni giorno per migliorare» dice, accarezzandoti la guancia con un dito «Ma ho soprattutto bisogno che tu mi stia accanto, gattino»
Sentendo quelle parole, la guardi di sbieco e ti alzi leggermente per cingerla e cercare le sue labbra. Ma Debrah si libera velocemente dalla presa e torna alla scrivania.
«Vieni ad ascoltarmi, dai!» cinguetta tutta vivace.
Va a finire sempre così, dovresti saperlo bene. Eppure, ogni volta che le tue aspettative vengono deluse, ti convinci sempre che la prossima volta andrà meglio. La prossima volta sarà sicuramente diverso, passerete il pomeriggio a parlare, a fare progetti insieme, a stuzzicarvi, e magari a trovare quell’intimità che da troppo tempo ormai solo tu stai cercando. La prossima volta…
Reprimi uno sbuffo sul nascere e la raggiungi, controvoglia.



«Castiel, come puoi mangiare quella robaccia?»
L’hamburger che stai per addentare è stato appena insultato dalla divoratrice di insalata più incallita che conosci. Quelle foglioline verdi nel suo piatto sono così tristi che ti tolgono l’appetito solo a guardarle, ma non gliel’hai mai detto. Lei invece non si risparmia mai dall’esternarti tutto il disprezzo che prova nei confronti della tua alimentazione.
«Cosa c’è di male? E poi non lo mangio mica tutti i giorni»
«Oh, dimenticavo che durante la settimana vai avanti a pizze e hot dog»
E’ tutta la mattina che continua con quelle critiche, ormai non ti chiedi più quando smetterà, piuttosto se smetterà.
E’ l’aria schifata con cui ti rivolge quelle frasi che ti infastidisce. Certo, riconosci di non essere l’incarnazione della gentilezza, ma da quando stai con Debrah cerchi in ogni modo di essere più… Carino. Una cosa che ora ti viene stranamente spontanea, mentre per lei è esattamente l’opposto. A volte ti sembra esser diventata un’altra persona dal momento in cui vi siete messi insieme.
Ti alzi ed esci dall’aula con la scusa di dover andare al bagno. In realtà vuoi solo finire il tuo hamburger senza sentirti a disagio sotto il suo sguardo accusatorio.
Un’altra scusa usata, un’altra verità non detta.



Ultimo banco, un solo paio di cuffie condivise e i video dei concerti rock più famosi della storia. Non avete perso l’abitudine di isolarvi da tutto e tutti nell’ora di informatica. Per te è diventato un momento quasi sacro, e così anche quel giorno, nonostante il professore vi abbia già richiamati più volte, dall’alto del vostro menefreghismo ignorate completamente la lezione per dedicare il vostro udito solo e unicamente alla musica.
Ieri sera è successo qualcosa di magico, hai aspettato impaziente questo momento per condividere con lei una scoperta che ti ha tenuto sveglio per tutta la notte.
«Si chiamano Winged Skull, sta’ a vedere» la tua voce non riesce a nascondere una certa aspettativa, ed è con quel sentimento che inizia a crescere sempre di più che premi il tasto di riproduzione del video che hai presentato orgoglioso davanti ai suoi occhi.
Il concerto inizia come iniziano le prime occhiate al viso della tua ragazza. Fosse per te lo rivedresti altre cento volte, d’altra parte non vedi l’ora che finisca per sentire le impressioni di Debrah. Su internet hai letto che in estate si esibiranno in una cittadina poco distante dalla vostra e già hai in programma di andare a vederli con lei. Sarebbe anche il vostro primo viaggio insieme… Un’occasione perfetta.
Il cantante nel video smuove la sua chioma color amaranto con foga già dalle prime note strimpellate dalla sua chitarra. Sono proprio queste due, le cose che ti hanno più colpito. L’energia sprigionata come se fosse un qualcosa di cui liberarsi non appena le sue dita sono arrivate a toccare le corde della chitarra. Un contatto esplosivo. E poi quei capelli, così maledettamente diabolici. Ti sei immedesimato così tanto in lui che immaginarti con quel colore in testa ti ha reso euforico.
“Chissà se anche a Debrah piacciono?” ti chiedi con un mezzo sorriso.
La risposta non tarda ad arrivare.
Un piccolo, quasi insulso gesto di lei, così abituale che in altre circostanze non ci fai nemmeno più caso, riesce a far cadere tutte le speranze con cui sei arrivato a scuola quella mattina.
I suoi occhi si trasferiscono in un istante dallo schermo alla mano sinistra, che gira in su in modo da poter controllare lo stato intatto delle unghie finte laccate di azzurro.
Non passa molto prima che uno sbuffo scocciato esca dalla sua bocca. E quello sbuffo, lo sai, vale più di ogni parola.
Vorresti chiederle perché, perché proprio i Winged Skull non le sono piaciuti?
Avrebbe potuto aspettare che il video terminasse. Avrebbe potuto evitare un gesto così palese, come quell’aria disgustata con cui ha accompagnato il commento che ti ha fatto provare la stessa sensazione di un pugno nello stomaco.
«Con quei capelli sembra uno psicopatico, lo vedrei più in un film horror che come cantante…»
Un’ennesima delusione, stavolta però sai che sarà difficile da digerire. Non è semplice da spiegare, ma quella band ti ha colpito a tal punto da crearti troppe aspettative, improvvisamente crollate come un castello di carte al tocco secco di una mano indifferente.



Non sai bene come sei arrivato lì. Hai vagato per la città senza una meta e alla fine, senza nemmeno accorgerti del tempo trascorso a camminare, ti sei fermato davanti ad una porta. Essendo a vetri, cerchi di guardare all’interno, ma un grande cartellone raffigurante una modella dallo sguardo glaciale attaccato sul vetro ti impedisce di scorgere qualsiasi cosa.
Lanci un’occhiata intorno, come se la paura di essere spiato ti renda ansioso, ma quell’agitazione ti fa innervosire ancora di più.
“Non sto facendo niente di male” pensi, e con la mano ti tocchi una ciocca di capelli neri che arrivano fino alle spalle.
Respirando profondamente prendi coraggio ed entri.
Una voce allegra accompagnata da alcune risatine ti da il benvenuto.
«Finalmente, credevo che saresti rimasto impalato davanti alla porta fino all’ora di chiusura!»
Focalizzi l’ambiente con grande fatica e dopo esserti guardato intorno per alcuni istanti ti concentri sulla figura di un ragazzo dai capelli azzurri che sembra avere più o meno la tua stessa età.
Apri e chiudi la bocca varie volte mentre ti rendi conto che le clienti sono tutte donne tra i quaranta e i sessant’anni, e tutte ti stanno osservando con aria curiosa e divertita.
Nemmeno trenta secondi dal tuo ingresso e già ti penti amaramente di quel gesto avventato. “Cosa diavolo mi è venuto in mente…?”
Ma non c’è il tempo di soffermarsi a pensare o di poter fare dietro front. Il ragazzo dalla chioma azzurrina si avvicina e ti indica una postazione di fronte a voi.
«Prego, accomodati. Prima di tutto uno shampoo, e poi mi dici cosa vogliamo fare con questi capelli così tetri. Ah, dimenticavo: sono Alexy!»
Più che sentirti infastidito, cominci a sudare freddo, pensando a cosa possa significare mettersi nelle mani di un tizio dai capelli innaturalmente azzurri che ha definito i tuoi tetri.
«Allora…» esordisce il ragazzo, mentre con le mani controlla la temperatura dell’acqua «Mi hai detto che sei single, giusto?»
Il contatto di mani sconosciute che vanno a massaggiarti la testa, unito al significato inequivocabile di quella frase ti provoca un brivido dietro la schiena «Io non ho detto proprio niente»
«Quindi sei stato mollato?»
Improvvisamente ti irrigidisci. Quel tizio si sta prendendo un po’ troppa confidenza.
«Oppure lei non ti apprezza quanto vorresti…»
La situazione è così fastidiosa che non riesci nemmeno ad usare le tue solite battutine pungenti come avvertimento per zittire quel tizio. Il tuo caratteraccio sembra quasi aver paura di farsi avanti, stavolta. Non lo vorresti ammettere, ma probabilmente nelle parole del ragazzo c’è un fondo di verità.
E’ come se ti sentissi insoddisfatto, credi quasi di percepire l’eco delle incertezze che da troppo tempo ti tormentano. La sicurezza che vorresti tenere legata a te, ti viene strappata in continuazione da lei, come un foglio di carta sotto le torture di una forbice che detta legge incontrastata.
La verità è nascosta cristallina dentro il tuo cuore, ma la paura di portarla a galla è talmente forte che finora hai preferito rimanere cieco.
Eppure sono bastate poche semplici parole di uno sconosciuto per farti alzare dal tuo nascondiglio e guardarti intorno, seppure ancora incerto.
I tuoi sentimenti sono sempre stati sinceri, profondi come non credevi nemmeno tu potessero mai diventare.
E i suoi?
Non vuoi, ti rifiuti di rispondere a questa domanda, perché non è detto che ciò che scaturirebbe dalla risposta sia qualcosa di piacevole. Ora che sei riemerso, anche se di poco, da quel mare di protezione che ti eri creato, vorresti continuare a porti altre domande, ma la voce del ragazzo ti riporta brutalmente alla realtà.
«Mi dispiace dover interrompere la tua crisi esistenziale, ma con il lavaggio abbiamo finito»
Ti alzi dalla sedia un po’ frastornato e segui Alexy che indica un’altra sedia dove avverrà il tuo cambiamento più importante, ma tu ne sei ancora ignaro.
Il ragazzo ti mostra dei tagli, ma il tuo istinto ti dice che non basterà un nuovo taglio di capelli a mostrare agli altri chi sei. Allora ti torna alla mente quella stessa mattina, quel concerto condiviso con lei ma senza di lei.
Il cantante sprizzava rock da ogni poro, e i suoi capelli ne erano l’emblema maggiore.
Capelli rosso amaranto, che avevano contribuito a dare anima al concerto, a farti elettrizzare così tanto da iniziare a muovere inconsciamente le dita su una chitarra immaginaria, accanto a una Debrah che quella passione sembrava non sentirla minimamente. Anzi, ti era parsa così annoiata da farti quasi sentire un idiota. Perché le sue opinioni, i suoi giudizi ti importano a tal punto da dimenticare spesso i tuoi.
E oggi ti chiedi se ne vale davvero la pena…
Esci dal negozio con due assolute certezze. Primo, hai dato modo ad Alexy di tirar fuori tutto il suo estro creativo e la soddisfazione del suo lavoro poteva facilmente leggerglisi in faccia.
Secondo, questi capelli ti stanno dannatamente bene. Non riesci a trattenere un sorrisino compiaciuto lanciando un’occhiata alla tua immagine riflessa nel finestrino di una macchina. Sono tanto, e a te sono sempre piaciute le cose eccessive, vero?
Ritorni da dove sei venuto, canticchiando un po’ alla rinfusa le parole di una delle tue canzoni preferite.
 
…Rocking boy,
open soul and nasty hair,
remember who you are
and please don’t lose your way…
 
Qualcosa, forse, sta cambiando.



 

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Capitolo 2
*** Promessa ***


 

 

Castiel e... la tinta!


Autrice: Gozaru
Rating: Arancione

 
 


















Il ticchettio perpetuo si diffondeva in tutta l'enorme sala vuota. Non si sarebbe potuto distinguere il suono delle unghie dure e smaltate di nero picchiettate su un cranio vuoto da quello del tacco dodici che, incurante, andava a colpire con sottile cattiveria una delle gambe portanti del trono che faceva da padrone a tutto il mobilio intorno.
Il Maligno, su di esso, teneva davanti a sé dei fogli bianchi, magicamente sospesi nell'aria, come se fossero poggiati su di un leggio invisibile; l'altra mano sosteveva il capo dai lunghi e mossi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle in gran parte nude. L'espressione scocciata sul suo viso si poteva tranquillamente intuire a chilometri di distanza, preceduta dall'aura maligna che cresceva man mano che i suoi occhi cremisi scorrevano le righe davanti ad essi.
Le labbra contratte sarebbero potute essere leggermente più pallide, ma l'intenso rossetto rosso fuoco non dava segni di cedimento, nascondendo tutto ciò che avrebbe potuto intaccare quell'austera figura dominatrice.
Ogni muscolo del suo corpo si stava sempre più irrigidendo. Le gambe, accavallate, faticavano sempre più a mantenere la posizione, mentre una caviglia si scioglieva, lasciando che il ticchettio continuasse; come se il tempo potesse procedere solo con quel ritmo ben definito. La mascella, contratta, cominciava a dolerle in modo quasi insopportabile. Le braccia non la sostenevano più mollemente; le sembrava di aver appoggiato una delle sue importanti guance su di un palo di metallo e gli anelli d'argento aiutavano l'accrescersi di questa sensazione. Il freddo che da essi le scavava la carne fino a raggiungere le ossa si stava impossessando del suo cuore, rendendola, se possibile, più irritata.
Sbuffò, ad un tratto. Mosse la mano in modo scocciato e i fogli si sparsero per tutta la stanza, cadendo al suolo come foglie morte in autunno; il pavimento si riempì di righe, paragrafi e lettere non del tutto comprensibili ai suoi occhi lontani. Non ne voleva più sapere niente! Erano bastati solo pochi minuti per farla completamente stancare. Cos'avevano visto i suoi poveri occhi? Si massaggiò l'interno di essi, contro la base del naso e strofinandosi ogni tanto le palpebre chiuse. Cercava di riprendersi, ma certe frasi rimanevano insistentemente nel suo cervello, nei suoi ricordi, tanto che le sembrava di poterle rivedere davanti a sé.
Tutti quegli errori, tutte quelle oscenità... nemmeno un'essere malvagio come lei avrebbe mai potuto immaginarsele!
Sciolse la posizione delle gambe, sbattendo il tacco a terra. Un gesto a dir poco normale, un comando sottinteso per chi, asservito a lei, era abituato a questo genere di richiamo.
Con un leggero spostamento d'aria, si aprì un varco tra la moltitudine di fogli scritti fitti fitti nel quale apparve una persona in ginocchio con la testa bassa; il volto coperto da una mediamente lunga cascata di capelli rossi.

«Ha chiamato, Padrona?» chiese con voce roca e sottomessa, come se le sole sue parole potessero disturbare qualunque pensiero della donna. Ella aprì gli occhi e alzò lo sguardo sul nuovo arrivato.
«Falli sparire» disse in modo alquanto lagnoso, allungando il braccio davanti a sé e disegnando in aria dei cerchi con il polso; la mano mollemente abbandonata dopo di esso.
Il ragazzo annuì, rivolgendo lo sguardo del color dell'asfalto asciutto o, se preferite, dello smog intenso di prima mattina, su tutto ciò che gli stava intorno. Focalizzò la sua attenzione sui fogli che lo circondavano e, facendo appello al potere dentro di sé, fece in modo ch'essi si posizionassero in modo ordinato sul fondo della sala; li avrebbe poi fatti sparire personalmente. La sua idea sembrò non piacere alla padrona che, alzato lo sguardo graffiante su di essi, fece sì che la carta prendesse istantaneamente fuoco.

«Erano così terribili?» chiese allora il ragazzo, forte della fiducia che aveva conquistato da che l'aveva conosciuta. Ella non rispose, limitandosi a sospirare.
Gli scappò un sorrisino di comprensione.

Era stato estenuante per lui; un periodo davvero nero. Si era lasciato abbindolare da una ragazza che, senza pietà, l'aveva scaricato per seguire uno stupido sogno nella carriera musicale; un sogno che avevano fatto nascere e coltivato insieme, ma che purtroppo solo lei avrebbe colto. Si sentiva umiliato, tradito e il suo cuore infranto doleva così tanto da non dar segno di una guarigione. Aveva cominciato la sua autodistruzione chiudendosi in sé stesso pochi minuti dopo la partenza della sua ex. Non aveva amici, se non forse un ragazzo che aveva appena conosciuto con il quale sentiva un certo feeling musicale; nessun altro, a parte lei... quand'era presente, ovvio.
Si rinchiuse in casa, succube dei ricordi dolorosi con cui continuava a straziarsi psicologicamente. Quando finalmente si decise ad uscire da quella dannata porta, il mondo era ormai tra le braccia della notte e l'aria, nonostante sembrasse più pulita rispetto a quella di una stanza chiusa da chissà quanti giorni, gli entrava pesantemente nei polmoni. Si trascinò al bar più vicino, finendo presto vittima dei fumi dell'alcool e poco mancò che toccasse chissà quale altra sostanza.
Si risvegliò cullato dalla pioggerella tipica della primavera e... cos'era l'altra sensazione? Qualcosa di duro lo stava picchiettando su una coscia.
Aprì mollemente gli occhi, ancora preda della sbronza pesante, notando solo allora che non era più seduto sullo squallido sgabello del locale, ma, con la schiena contro un muro freddo, era stato lasciato ai margini della strada, ubriaco marcio e pure sotto la pioggia. Una fioca luce gli entrò dritta negli occhi, ma nel suo stato gli diede comunque un fastidio non indifferente. Ancora, però, non aveva capito che fosse quell'insistente pressione. Mosse maldestramente una mano verso il punto che veniva più volte colpito e si ritrovò a toccare qualcosa di caldo e... non proprio scivoloso; non sapeva come descriverlo, ma quella sensazione l'aveva già provata... Cos'è che era? La sua mente riportò alla luce l'immagine mentale del suo giubbotto in simil-pelle.

«Ehi...» una voce, ovattata dall'alcool «Ehi! Dico a te! O mi molli la scarpa o te ne arriva uno più forte!». Non era squillante né sottile; non seppe descrivere altro se non le vene pulsare più forte nelle sue tempie. Si girò, allora, o almeno provò a muovere la testa in direzione della voce e, pian piano, cercò di mettere a fuoco quella che sembrava una sagoma nera sfocata e senza bordi netti.

«Vieni con me, e ti darò il potere». Non ci fu bisogno di dire altro che lui si era alzato, forte delle parole di lei, e l'aveva seguita. Non sapeva chi fosse né se poteva fidarsi, ma col senno di poi, Castiel era sicuro che fosse stata la scelta giusta.
Il Maligno era una donna forse un po' troppo suscettibile e puntigliosa; non le piacevano le cose fatte male, anche se lei stessa, spesso, le faceva tanto per farle. Odiava la mediocrità e guardava con occhi colmi di gioia tutto ciò che rientrava nel suo canone di Bellezza. Aveva un lavoro difficile e lui si era ripromesso, aveva giurato di aiutarla.
Si passò una mano tra i suoi capelli, non più neri. Si sentiva meglio con quel colore addosso. Rosso, come il fuoco che arde, come la rabbia che ti acceca quando non riesci a sentire altro che quella, come il sangue di chi, per Il Maligno, non è degno di stare in questo mondo. Rossi come i suoi; un colore che simboleggia qualcosa di più rispetto ad un semplice cambiamento. Un legame indissolubile e imperituro.
Gli aveva donato la forza, il Potere di aiutarla, rendendolo suo pari.

Si alzò dal suo trono, composto dalle ossa di chi aveva osato mettersi contro di lei. Sentì su tutto il suo corpo i resti sfiorarle la pelle nuda o attraverso i vestiti. Le tibie lungo le braccia, i teschi abbandonare le sue dita e i femori sgravati dal peso della sua persona.

«Ho una missione per te!» proferì, e il ragazzo non poté fare a meno di notare la fedele frusta di pelle nera legata in vita come fosse una cintura che spezzava l'attillato vestito di un lucido color delle tenebre.
«Comandi!» rispose lui, prontamente.
«Sono stanca di queste autrici senza né arte né parte. Ho sbagliato con loro: pensavo potessero far risaltare la vera bellezza sopra ogni altra cosa, ma la nostra controparte, Papathiel, continua a mandare seguaci che possano distruggere il mio immenso disegno di sangue».
Castiel contrasse la mascella: odiava quell'uomo che tutti definivano "Santo". Aveva fatto sì che la sua donna lo lasciasse, che la sua sofferenza potesse toccare picchi assurdi e, anche a causa sua, aveva scelto la via più oscura. Avrebbe fatto di tutto pur di ostacolarlo, arrivando a mentire, insudiciare e approfittarsi della sua più cara collaboratrice, il suo braccio destro: la Mary Sue.
Si passò la punta della lingua sul contorno delle labbra facendo affiorare un sorrisetto compiaciuto. Quella tipa era tutto ciò che si potesse definire perfetto: un gran bel paio di descrizioni, poi, era in sostanza tutto ciò che gli bastava.

«Vedo che hai già capito il tuo compito...» ironizzò Il Maligno «Ma 'sta attento: anche se le sue copie non lo dimostrano mai, hanno un'intelligenza superiore alla media. Dovrai essere furbo, mi raccomando. E se avrai bisogno, ti manderò subito i rinforzi».
Egli sbuffò. Sia chiaro, amava le sue colleghe, ma preferiva che il merito delle sue azioni andasse solo a lui stesso. Ma come poteva rifiutarsi di vedere El Diablo, donna provocante e sempre disponibile per lavori "in coppia" che più volte l'aveva tratto in salvo da ragazzette appiccicose, o la Vendicatrice, fredda e spietata donna di religione che, facendosi scudo con il verbo dell'Arminismo, portava a termine ogni missione omicida in tempi record, senza battere ciglio e senza nemmeno sporcarsi.
Sì, anche questa volta potevano farcela.
La missione era difficile, ma loro tre avrebbero potuto farcela.
Il Maligno pestò un tacco a terra, facendo tremare l'intera stanza. Allungò il suo braccio verso Castiel e, prendendo un profondo respiro, gli impartì l'ordine supremo.


«Và e distruggi le ficcyne spazzatura!»






~ Piccolo angolo post creazione.
Niente, volevo solo dire che l'idea originale della controparte benigna doveva essere PapArmin, ma inserire il sempre perfetto Nathaniel credo renda meglio l'idea.
Grazie a tutte per il lampo di genio e a Kiri, in particular, per il disegno del Maligno (clicca QUI per l'originale. Ne vale la pena!)

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Capitolo 3
*** La tintura per capelli tira fuori il peggio delle persone ***





 


La tintura per capelli tira fuori il peggio delle persone

 

Autrice: Mya_chan


 

 



   Apri l’anta del mobile e rimani a fissarne l’interno per qualche secondo.
Sposti qualche bottiglietta.
Niente.
Richiudi l’anta e provi con quella a fianco.
Togli di mezzo i vari bagnoschiuma, shampoo e creme per il corpo, ma non è neanche lì.
Vai a cercare nell’altro bagno.
Macché!
Giri per la casa, guardandoti furiosamente attorno, aprendo e chiudendo questo o quel mobile, senza successo.
   “Ma porc…!”
Afferri il cellulare e digiti velocemente un numero.
   - Pron…
   - Mamma! Dove cazzo hai messo la mia tinta?
   - Uhm? - la voce dall’altro capo del telefono sembra piuttosto assonnata. Che ora può essere a Seattle? Beh, sicuramente l’ora di tirare fuori il tuo barattolo di tinta! - Tesoro, è nel mobiletto del bagno, l’anta a destra.
   - No, non c’è!
   - Uhm? Forse a sinistra?
   - Non c’è!
   - Uhm? Allora ho dimenticato di comprarla…
   - Ce n’erano due confezioni il mese scorso.
   - Sì, ma ho voluto provare a tingermi anche io. Sai, ho pensato che fosse ora di svecchiare il mio look.
   - Con la mia tinta?
Reprimi un’imprecazione. In nome del cielo, perché diavolo, ogni volta che le salta in mente di rinnovare il proprio look, utilizza le tue cose?
Per un attimo temi che ti abbia fregato di nuovo la giacca in pelle. Come quella volta che se l’era portata in Egitto per un mese. La connessione tra il torrido Egitto e l’impellente necessità di una giacca in pelle ancora ti sfugge. Quello che ti era chiaro, invece, era la puzza di cammello che ancora adesso non riesci a togliere dalla tua preziosissima giacca.
Controlli nell’armadio, ma per fortuna è ancora lì.
- Comunque, basta che tu vada al negozio all’angolo per trovarne dell’altra.
   Getti uno sguardo all’orologio. Non che t’importi d'arrivare tardi a scuola… Magari puoi pure saltarla.
   - Ok, bene, grazie. La prossima volta che decidi di svecchiarti prova con qualcosa che non mi appartenga.
   - Quante storie per un po’ di tintura.
   Non ti va di discutere. - Buona giornata, mamma.
   - Dovresti essere contento di avere una madre così moderna.
   - Buona giornata, mamma.
   - Con questo caratteraccio che ti ritrovi nessuna donna ti vorrà mai sposare. Mi toccherà tenerti in casa fino a cinquant’anni, quando andrai a convivere con…
   Chiudi la chiamata.
   Decidi di approfittare della commissione per portare Demon a farsi la sua passeggiata mattutina. Spaventa qualche vecchietta, insegue qualche gattaccio. Demon è l’unico che ti dà soddisfazioni.
   Il tuo ritrovato buonumore sfuma nel momento in cui, arrivato davanti al negozio, scopri che è chiuso per ferie.
A metà aprile.
Certa gente non sa cosa voglia dire fare il proprio dovere.
   Allunghi la strada e raggiungi un supermercato nei paraggi. Lasci Demon legato fuori dall'edificio ed entri a cercare quella maledetta confezione... Che ovviamente non c'è!
Adocchi una commessa e ti dirigi verso di lei.
   - Scusi.
   - Dica pure.
   - Non vedo il rosso 666.
Lei controlla tra gli scaffali, cosa che ti irrita non poco, visto che di certo non sei cieco e se la tinta ci fosse stata, l'avresti vista.
"Datti una mossa e va' in magazzino a prenderla".
La ragazza, con tutta la calma del mondo, finisce la sua ispezione.
   - Non c'è.
"Ma va?"
   - Può recuperarne una in magazzino?
   - Mi spiace, non credo che il supermercato le compri più.
   - Perché?
   - Perché non è un colore molto richiesto.
   La guardi sbalordito. - E io come dovrei fare?
   Per tutta risposta, la donna ti squadra da capo a piedi, portandosi una mano sotto al mento. - Mai pensato al rosso pomodoro?
   - Non credo di aver capito bene.
   - Ma sì, sono sicura che ti starebbe a meraviglia.
   - Il rosso pomodoro.
   - Sì!
   - Color pomodoro.
   - Esatto!
Lei ti sorride tutta contenta, sicura di aver avuto una trovata geniale.
   Vi guardate negli occhi ancora per qualche secondo. La lasci cullarsi nelle sue illusioni, poi prendi fiato e le urli: - Non voglio somigliare a nessuna fottuta verdura!
   La donna, mentre il suo sorriso si spegne, ha il coraggio di sollevare un sopracciglio. - Veramente è un frutto.
   Esci dal supermercato, furioso come non mai.
Rosso pomodoro... Ma si può essere più idioti?
Riporti Demon a casa e pensi rapidamente ad un'altra soluzione.
Ti guardi allo specchio constatando, con un gemito di sdegno, che il segno nero della ricrescita pare ormai una voragine.
Esci nuovamente di casa, dopo esserti segnato sul cellulare ogni negozio che, nel giro di qualche chilometro, potrebbe vendere la tua tinta.
Devi aver sicuramente combinato qualcosa di terribile nella tua vita precedente. Improvvisamente, ogni negozio della città ha deciso di terminare il rosso 666, di dimenticarsi di ordinarlo, di constatare che è passato di moda o, cosa che ti fa saltare i nervi, di chiederti se sei sicuro che esista. No, perché, a dire il vero, il tuo sembra un comunissimo rosso pomodoro....
   Non hai altra scelta, ti tocca comprare una di quelle tinte che, a quanto pare, tutti sono convinti ti starebbero a meraviglia.
   - No!
   Vai a casa, apri il rubinetto e leggi le istruzioni, tanto per essere sicuro di non far disastri.
   - Ho detto no!
   La procedura è praticamente la stessa, per fortuna, peccato che il rosso sia completamente diverso. Ti domandi se tutti siano improvvisamente diventati daltonici.
   - Ehi tu, presunta scrittrice, ascoltami!
Eh? Castiel?
   - E chi altrimenti?
Che vuoi? Sto scrivendo una one shot.
   - Mi sono stufato.
Di cosa?
   - Di tutto! Tutto questo prendermi per il culo... Tutti questi stereotipi che tu e le altre sciroccate mi appioppate in ogni vostro merdoso scritto. Ho veramente raggiunto il limite.
Modera il linguaggio.
   - Altrimenti?
Uno scopettone appare dal nulla e ti colpisce forte il sedere.
   - Ahi! Stronza!
He he he...
   - Lo sapevo, non dovevo neppure tentare di ragionare con una di voi.
Arrivi, interrompi la mia storia e inizi ad insultarmi, è ovvio che mi vendichi.
   - Non potevo più restarmene zitto e inerme a subire le vostre malefatte letterarie.
Malefatte letterarie? Addirittura?
   - Già! Tutte ai miei danni, ma ora basta, mi ribello!
Non capisco.
   - Mi stupirebbe il contrario.
Contro cosa vuoi ribellarti? Sei il re indiscusso di Dolce Flirt. Il novantanove per cento delle storie parla di te. Vinci sempre nei triangoli amorosi. T'intrattieni con stuoli di ragazze tutti i giorni... Se ti lamenti tu, cosa dovrebbe dire un personaggio come Nathaniel che non conclude mai nulla e viene sempre bidonato?
   - Quanto sei superficiale. Sul serio pensi che sia tutto rosa e fiori?
Così, su due piedi, non mi sembri tanto sfortunato.
   - Ok, allora, visto che non ci arrivi, analizziamo la situazione.
Ma la mia one shot?
   - Oh, dimenticala! A nessuna frega più un cazzo di quello che stavi scrivendo, sono tutte concentrate sul "re indiscusso di Dolce Flirt", come mi hai chiamato tu stessa.
Castiel...
   - Sì?
Io ho sempre preferito Armin a te, volevo solo che lo sapessi.
   - Meglio per me, una psicopatica in meno.
Bene.
   - Bene.
Inizi a spiegarti o devo chiudere la storia?
   - Tanto per cominciare, voi quattro squilibrate che osate inventare storie sul sottoscritto, indite una riunione, mettetevi a tavolino e chiamate anche quell'altra daltonica di Chinomiko. Metteteci dieci minuti o una settimana, non mi importa, scannatevi se necessario, ma decidete una volta per tutte di che colore sono i miei fottuti occhi.
   Ehm, in effetti...
   - Ti pare normale? Una volta sono azzurri, sfogli un'altra storia e sono improvvisamente grigi, poi color ghiaccio, nella one shot successiva sono blu come il mare e in quella dopo neri. Porca puttana, ora capisco come si sente Lysandre!
Va bene, non mi sembra il caso di farla tanto lunga per un particolare del genere.
   - Magari fosse solo questo!
Che altro c'è?
   - Le relazioni! Quelle sono la cosa peggiore.
Castiel, stai tremando?
   - No!
A me pare di sì.
   - Allora compra un paio di occhiali.
Su, non fare così, spiegati.
   - Chiunque, chiunque!
Chiunque cosa?
   - Mi fate andare con chiunque!
Ah.
Forse ho capito.
Intendi... I ragazzi?
   - Cos'altro altrimenti! Spiegami, ti prego, spiegamelo perché io non ci arrivo. Mi ci sono applicato, mi sono messo davanti allo specchio, mi sono guardato, ho fatto un bell'esame di coscienza, ma ancora mi sembra impossibile. Perché nelle storie omosessuali appaio sempre io? Cos'è, mi sono dichiarato gay senza accorgermene? Ho scritto "mi piace prenderlo" sulla fronte?
Beh, di solito non sei tu che lo prendi.
    - Non è questo il punto!
Scusa.
Ora hai l'attenzione di tutte le lettrici, spiegaci le tue ragioni.
    - Beh, ammettiamo per pura e semplice ipotesi che in un mondo parallelo completamente estraneo dal nostro a me piacessero gli uomini.
He he he, lo sapevo.
   - Maledetta pervertita, si tratta di un'ipotesi del tutto infondata! 
Certo, "facciamo finta" che ti piacciano gli uomini.
   - Cosa dovrebbero significarmi quelle virgolette?
Nulla, ignorale e continua.
   - Mi spieghi perché mai dovrei andare proprio con quel cretino di Nathaniel? Quello smidollato che arrossisce appena lo guardi? Che dice di avere avuto una fidanzata, ma ancora non ci è chiaro se lei ne fosse al corrente o meno? Cosa dovrei farci con lui? I compiti?
Anche Nathaniel ha il suo fascino.
   - Quello di un fermacarte.
Inoltre è un classico: i due rivali, all'apparenza diversi eppure, nel profondo, così simili. Provano attrazione sessuale, ma non se ne rendono conto e passano anni a confrontarsi e litigare, fino a che un giorno si scatena la passione!
   - Che schifo, ma chi te le mette in testa certe stronzate?
Anni e anni di letture edificanti.
    - Comunque se si trattasse solamente di qualche storiella sporadica col segretario mi prenderei una vagonata di Valium e forse potrei anche soprassedere, ma Lysandre... Perché proprio Lysandre? Lui è il mio migliore amico, è raccapricciante leggere certe cose su di noi! Non riesco più a guardarlo negli occhi, lo sai? Ed è tutta colpa vostra e delle vostre maledette perversioni! L'altro giorno mi stava leggendo il testo di una canzone e per poco non mi è venuto un infarto mentre mi rivolgeva quelle frasi smielate perché lo sapevo, lo sapevo, che qualcuna di voi malate, da qualche parte, ci avrebbe scritto una storia a rating rosso. Lui, poveretto, vive con la testa perennemente tra le nuvole e di queste cose non si rende conto, e io non posso nemmeno parlargliene capisci? Mi sentirei un mostro a gettargli addosso un peso del genere.
Non ti facevo così altruista.
   - Però è dura fare finta di niente quando lo sai, lo senti nelle ossa, che quella scena è stata studiata appositamente solo per far fangirlare le yaoiste.
Conosci addirittura questi termini?
   - Fino a qualche tempo fa no. Mi sono informato. Poi mi sono pentito di averlo fatto.
Capisco. Quindi Nathaniel e Lysandre... Qualcun altro?
   - Ambra.
Ambra non è mica un ragazzo.
   - Mi fa schifo comunque.
Non guardare me, io ti ci ho sempre visto male con lei.
   - Almeno tu ragioni! Perché mai dovrei finire a letto con quella psicolabile? Mi si accartoccia l'uccello solo a guardarla. Sarà anche passabilmente figa, ma ce ne sono a bizzeffe di belle ragazze che, almeno, non sentirei il bisogno di strangolare prima, durante e dopo il rapporto. Se proprio vogliamo dirla tutta, mi farei molto più volentieri la sua amica asiatica.
Li?
   - Che vuoi che ne sappia come si chiama?
Perché proprio lei?
...
Castiel, quel sorrisetto non mi piace.
   - Di', ma l'hai vista come tiene la bocca? Secondo me è un chiaro invito.
 Poi sarei io la pervertita.
   - Non è colpa mia, è che mi scrivono così.
Sì, certo.
Altre lamentele?
Spicciati che la one shot mi sta diventando troppo lunga e io non ho più voglia di scrivere.
   - Parliamo di Debrah. Voi donne mentalmente instabili fate sempre intendere che mi abbia spezzato il cuore, che la pensi notte e giorno, che non sia più lo stesso dopo che mi ha mollato...
Non è così?
   - Non sono mica una fottuta checca! Anche se a quanto pare ne siete tutte convinte... Ovvio che ci sono rimasto male, ma morto un papa se ne fa un altro. L'ho superata da un bel po' e mi viene il vomito ogni volta che leggo di tutte le tragedie greche, i cuori spezzati, i sentimenti amari e i vaneggiamenti senza né capo né coda che tu e le tue compari scrivete.
Mai scritto nulla del genere.
   - Ma poi, ovviamente, arriva sempre la vostra protagonista.
La mitica Mary Sue.
   - Già... Almeno è sempre gnocca, questa è la mia unica consolazione.
Beh, ovvio, è una Mary Sue.
   - Partiamo da quelle che entrano nella band. Tanto per cominciare, io e Lysandre neanche ce l'abbiamo una cazzo di band, mi spieghi da dove vi è uscita questa specie di convinzione? Siamo in due. Non si fa una band in due! Ma voi celebrolese, ovviamente, aggirate il problema inserendo gente a cazzo nel gruppo. Ho letto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Ad esempio, di una band formata da me, Lysandre, la vostra stupida protagonista e Kentin. Kentin! Quello si piscerebbe addosso a stare nella stessa stanza col sottoscritto e secondo voi ci potrei formare una gruppo? E, anche ammettendo che tiri fuori le palle, sempre se dopo il massiccio uso di steroidi ne ha ancora, cosa dovrebbe suonare? La sua testa vuota? O dovrebbe fare sollevamento pesi con il basso? Band con Armin! Ci ho parlato una volta, e non sapeva distinguere una consolle di gioco da una batteria vera. E quel citrullo, secondo voi, dovrebbe far parte della mia band? Senza contare il suo gemello, che probabilmente passerebbe più tempo a sceglierci dei completi che ci facciano risaltare il culo piuttosto che a provare.
Ok, abbiamo capito il concetto. E non insultare Armin e Alexy.
   - Tsè! Passiamo ad altro che è meglio.
Concordo.
   - Io non ho nessun trauma dell'abbandono.
Pardon?
   - In un sacco delle vostre storielle da quattro soldi sono un povero bambino abbandonato dai genitori brutti e cattivi che volano per il mondo e lo lasciano da solo. Secondo voi soffro di una terribile solitudine che solo Demon e Lysandre riescono in qualche modo a colmare.
E non è vero?
   - Ma quando mai? Io ci sto da Dio in quella casa da solo. Posso fare quello che mi pare e piace, nessuno mi comanda, sono totalmente libero. Vado a letto quando dico io, mi alzo e vado a lezione solo se ne ho voglia, posso mangiare quel che mi va e mettere in ordine la casa solo il giorno prima che ritornino i miei.
Quindi, nessuna tristezza accuratamente celata dietro una maschera di strafottenza?
   - No.
Nessun trauma infantile?
   - Ma figurati!
Che noia...
   - Sto solo dicendo la verità.
Castiel, sei diventato un personaggio noioso.
   - Ma cos... Non è vero!
Sì invece. Hai appena azzerato il tuo fascino. Puf!
   - No dai, ho ancora molto da offrire!
Per esempio?
   - Uhm, beh, sì, ecco...
Puf!
   - Smettila con questo "puf" dannata! Mi stai deconcentrando.
Dai, muoviti che voglio chiudere questa one shot.
   - Per esempio, sono figo.
Puhahahaha!
    - Che hai da ridere?
Ma fammi il piacere! Con quegli occhi che non si sa di che caspita di colore siano, quell'abbigliamento scontatissimo da rockettaro e, soprattutto, quel taglio di capelli.
    - Che hanno che non vanno i miei capelli?
Sembri Raffaella Carrà, e poi ti chiedi perché le scrittrici di fan fiction ti credono gay... Bah!
    - No, ma che stai, insomma, quando, no! Raffella Carrà?
Già.
Castiel?
Dove sei finito?
Castiel?
Oh mamma, è sparito.
Chiudo la one shot?
Non volevo offenderlo, però è vero che il suo taglio è orrendo...
Castiel?
Sembra proprio sparito.
Ok, dai, chiudo qui.
    - Ferma!
Oh, rieccoti! Dove ti eri cacciato?
    - Ho preso questo.
Un pomodoro?
    - Già, osservalo attentamente.
Ok, ehm, dunque?
    - Ora osserva i miei capelli.
Ok...
    - Non hanno lo stesso colore.
Giusto.
    - Non hanno lo stesso colore.
Sì, ho capito.
Posso chiudere la one shot adesso?
    - Sì, ma prima... D-davvero il mio taglio è come quello della Carrà?
Indubbiamente.
   - Potrei cambiarlo.
Non credo che Chinomiko ti disegnerebbe diversamente.
   - La costringerò! Mi creerà una pettinatura fantastica e riacquisterò tutto il mio fascino.
Non lo farà mai.
Ci sarebbe una maniera più facile per risolvere il problema.
   - Cioè?
Guarda il pomodoro.
   - Che centra?
Non ha lo stesso colore dei tuoi capelli.
   - Questo l'ho già ampiamente chiarito.
Però alle ragazze piace pensare che siano uguali. Sono contente di poterti attribuire nomignoli come "pomodoro" o "testa di pomodoro". Si tratta quasi di un gesto d'affetto per loro. Gli altri ragazzi non hanno simili soprannomi e questo ti distingue, in un certo modo.
   - Quindi dovrei...?
Già.
   - Sei una manipolatrice bastarda.
Già.
   - Sigh...
Dai uno sguardo alla tinta che hai appena acquistato. Non ti piace, non ti piace per niente. Quell'orrido color pomodoro, per nulla simile al tuo. Il tuo è più... Ketchup! Già, il Ketchup è decisamente più figo!
Tuttavia, a quanto pare, verrai chiamato "pomodoro" comunque. A quanto pare, anche questo fa parte del tuo fascino.
Ti guardi allo specchio, fai un profondo respiro, ed espirando un sonoro: "fanculo", apri la confezione di tinta per capelli rosso pomodoro.


 

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Capitolo 4
*** Mai fidarsi degli amici d'infanzia! ***


Mai Fidarsi degli Amici d'Infanzia (o delle persone in generale)! 
 
Autrice: Paradichlorobenzene_

Probabilmente stai facendo un’enorme cavolata, ma d’altronde non puoi saperlo per certo, senza tentare.
Ti aggiri con circospezione nei reparti del centro commerciale, verso la sezione dove di solito si trovano gli articoli di make-up. Ogni tanto ti giri, guardi attorno a te, e ciò che ricevi in cambio sono occhiate a metà tra lo sbalordito e l’incredulo di donne – soprattutto tra i trenta e i quaranta – che si chiedono cosa diamine ci facesse un rockettaro convinto – evidentemente convinto, tra lucidalabbra e creme per il viso. Torni a rivolgere il tuo sguardo sullo scaffale, tra le varie tinte per capelli.
Le passi in rassegna, una per una: Amaranto, troppo scuro. Bordeaux, ancora peggio. Carminio, tendeva al viola. Cremisi, tendeva al magenta – che non controlli, perché sai che lo troverai simile al cremisi. Granata, è più simile al marrone. Rosso Veneziano, troppo, troppo acceso. Ti avrebbero scambiato per il personaggio di un Datin’ Sim. Rosso Scarlatto, tendente all’arancione. Poi lo vedi, lì, tra quelle orribili gradazioni tutte assolutamente indegne. Lì, splendente e urlante “comprami, comprami!” più degli altri.  Il rosso Sangria.
Certo, detto così e immaginando il tuo viso – sicuramente grondi saliva da ogni lato della bocca e hai gli occhi sbrilluccicosi, lo sai che è così, inutile negare – la cosa sembra abbastanza inquietante, ma non ci pensi due volte. Afferri il kit incurante del prezzo e soprattutto di come utilizzarlo e, pagando a velocità record, schizzi fuori dal negozio.
 
Tornato a casa, la prima cosa che fai è chiuderti in bagno. Prendi la confezione, osservandola per qualche secondo. Come caspita si apre?
Provi con le unghie – che non hai – ma nulla. Non si strappa perché il fottutissimo cartone è plastificato all’esterno. Bruciarla con l’accendino è categoricamente un no. Poi ti ricordi che, al mondo, esiste un apparecchio molto utile chiamato forbice dalla punta arrotondata.
Una volta aperta la dannata confezione, tiri fuori il foglietto delle istruzioni. Lo srotoli, ma sembra non finire mai, continui, lo apri – o almeno ci provi, questo coso non finisce più! – e ti rendi conto che è una lunghissima striscia di carta, piena di disegnini, più alta di te. Tra i vari geroglifici di quel foglio vedi anche un accendino, una lametta, diverse cose inquietanti e una ghigliottina.
A questo punto, decidi di metterti ai ripari e chiamare Cloé.
 
Cloé è una tua amica d’infanzia che consideri come una sorella, amante del tuo stesso genere musicale, degli RPG e delle tinture casalinghe – non a caso cambia colore di capelli ogni mese e, non a caso, ogni volte le viene una favola. Questo mese ha optato per un taglio scalato dalla lunghezza media, con un degradeé che dal nero passa al viola. Quando arriva sei disperato e, soprattutto, pieno di tintura dalla testa ai piedi. Pensavi che andasse messa al posto dello shampoo, ma evidentemente non è così.
«Era ora! Ti ho chiamata più di mezz’ora fa!»
«Allora intanto ti saresti potuto vestire, dammi quella tinta, siediti e sta’ zitto.»
«Cos’è, sei più intrattabile dei solito perché ti sono venute le tue cose?» Un sorrisetto di scherno appare sul tuo viso. Ma crede davvero di poter vincere contro di te?
«Non ancora, Castiel. Non si può dire altrettanto di te però, visto che ti tingi i capelli come le donne in crisi di mezz’età. E che colore poi! Perché proprio il rosso sangria
«Perché è molto più bello del viola melanzana che hai tu sui capelli.»
«Hey, sta’ attento ho ti verso il ketchup in testa. Questo è indaco, ed è molto, molto meglio del sangria. D’altro canto, se un giorno deciderò di ucciderti, potrò spacciarlo per un incidente.» Touché, questa volta ha vinto lei.
«Allora, bisogna fare lo shampoo … Perfetto ci hai già pensato tu. Applicare la tinta con il pettine apposito … » La vedi prendere un inquietante tubetto bianco che – sei pronto a giurarlo – non è quello della tinta. Ma è lei l’esperta, è meglio lasciarla fare. Soprattutto con la sindrome premestruale imminente. Il pettine poi sembra più un pennello piatto ma passi oltre.
«… E aspettare 15 ore.» … Ore? «Cosa?! »
« Minuti! Volevo dire minuti! Sta’ calmo!» … Qualcosa ti dice che niente andrà per il verso giusto.
 
Una volta passati i quindici minuti, Cloé sciacquo il colore e applicò il fissante. Sarà, ma quel coso aveva uno strano odore … «Cloé, ma sei sicura di quello che stai facendo? » Chiedi preoccupato. L’avrà anche fatto milioni di volte, ma quei riflessi che iniziano a intravedersi non ti ispirano molta fiducia. «Ma sì, tranquillo! Al massimo si rifà da capo!» Ecco, appunto. Quello che temevi, la catastrofe che avevi solo idealizzato, inizia a prendere forma e a figurarsi come reale.
Mentre Cloé ti asciuga i capelli, hai quasi paura di alzare la testa.
 «Eh, ehm, Castiel … Avremmo un problema.»
« Avremmo? … Quale sarebbe? …» Alzi la testa, terrorizzato, e li vedi. Lì, splendidi e lucenti, ma di un colore assolutamente osceno. Jade ti amerebbe, se solo foste omosessuali.
« … I tuoi capelli sono verdi.»
 
Da quel giorno in cui l’urlo di Castiel bucò l’ozono, nessuno sentì mai più parlare di Cloé.



~Angolino del Rebus~
Buonasera a tutti! Allooora, io sono una delle altre indecifrabili creature nascoste dietro questo account. Non mi dilungherò molto, dico solo che è da tanto che bazzico in questo progetto - ma ho avuto tempo di pubblicare soltanto adesso - e che la mia storia in confronto a quella delle mie illustri commari è decisamente corta - e sarà sempre così, sigh. Detto questo, mi auguro che la storia vi sia piaciuta, adios! *fugge*

 

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Capitolo 5
*** R O S S O ***


R O S S O 

 Autrice: Euphoria__

 


Rosso come la passione del vostro amore. 

Sei importante per me, Castiel. 

Rosso come la rosa che le hai regalato al vostro anniversario. 

Voglio solo te, Castiel.  

Rosso come le sue guance la vostra prima volta. 

Fammi tua, Castiel. 

Rosso come le sue unghie conficcate nella tua pelle. 

Amami, Castiel. 

Rosso come i graffi che ora hai sulle braccia. 

Dobbiamo parlare, Castiel. 

Rosso come le sue labbra spalancate in quell’urlo di terrore che non le hai permesso fare.  

La mia carriera è la cosa più importante per me, Castiel! 

Rosso come i tuoi capelli intrisi del suo sangue. 

Devo pensare al mio sogno, Castiel. 

Rosso come il coltello che ancora le riposa in petto. 

Non sono di tua proprietà, Castiel. 

Rosso come le ferite che dolcemente le baci.  

Amore?! Cos’è l’amore, Castiel? 

Rosso come il suo seno lacerato dai tagli. 

Io non ti ho mai amato, Castiel. 

Rosso come le lenzuola con cui lento copri entrambi. 

Allontanati da me, Castiel! 

Rosso come gli schizzi sul suo viso di porcellana.  

Sei impazzito, Castiel? 

Rosso come le sue lacrime ormai asciutte.  

Ti prego non farlo, Castiel. 

Rosso come le tue dita mentre le abbassi le palpebre. 

Farò tutto ciò che vuoi, Castiel. 

Rosso come il tuo cuore infranto. 

Amami. 

 

 

 

 

Ok, so cosa vi state chiedendo... che c'entra con la tinta? Innazitutto voglio farvi notare che ho inserito la parola capelli u.u non è abbastanza?
Se penso alla tinta di Castiel, due cose mi vengono in mente: il colore Rosso e Debrah (perchè sono convinta del fatto che sia dovuta a lei!) quindi ho messo insieme le due cose!
Quasi dimenticavo! Se amate scrivere e qualche PA in più vi farebbe comodo perchè non partecipare al nostro nuovo concorso? --> CLICCA QUI

 

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Capitolo 6
*** Fa tutto parte del gioco ***


Fa tutto parte del gioco.

Autrice Glace
Prima classificata al concorso di os di D per Dolcetta

 

Alzi appena il mento. Una nuvola di fumo si libera e si confonde con l’aria fredda dell’autunno.
Intorno a te c’è solo un vociare confuso. Baccano, troppo baccano. Esattamente, come avevi fatto a credere che andare lì fosse una buona idea?
Sei appoggiato al muro esterno di un locale, un locale nuovo, o almeno così aveva detto Iris. Non ricordi granché bene ma neanche hai intenzione di assicurartene, visto che la diretta interessata è dentro, da qualche parte, a muoversi a scatti sicura di star ballando.
Aspiri dell’altra nicotina. Sei certo che a breve ti verrà mal di testa, il ritmo martellante della canzone del momento è come un trapano nel tuo cervello. Sempre odiato la musica House, non per niente ti sei sempre rifiutato di suonarne perfino le cover, nonostante lei insistesse spesso.
Oh. Sì, bravo. Continua a pensarci.
Patetico, Castiel, davvero patetico.
Butti a terra la cicca e le tue mani si infilano istintivamente nelle tasche della giacca. Fa davvero freddo ma non hai nessunissima intenzione di tornare dentro. Iris non se la prenderà a male, in fondo lo sapeva che era una partita persa, e probabilmente quando hai accettato quell’uscita tra compagni di classe aveva faticato a crederci davvero.
Apprezzi la sua buona volontà, ma non è di discoteche e alcool che hai bisogno. Non in quel momento.
E di cosa hai bisogno, esattamente?
Bella domanda.
Cominci a camminare che ancora non hai una risposta. Imbocchi una stradina all’angolo, e ti sembra quasi di sognare quando il “Tum tum” ossessivo di quella discoteca comincia a farsi sempre più lontano, arrivando a confondersi col rumore dei tuoi passi che calpestano le foglie secche. Ce ne sono parecchie, praticamente l’asfalto ne è ricoperto.
Al buio sembrano tutte dello stesso colore, sfumature di grigio smorto, marcio.
E dire che te le ricordavi molto più colorate.

In un grande parco, il vento vi raggelava le ossa e le foglie continuavano a cadere sopra i tuoi spartiti. Tante, tantissime, rosse soprattutto, sembravano godere nell’appoggiarsi sopra la TAB dell’assolo che stavi suonando, o del bridge che tra poco sarebbe iniziato.
Ma non importava, tanto conoscevi ogni singola nota a memoria. Ti bastava seguire la sua voce per sapere cosa fare, e mai, mai l’avevi lasciata cantare senza il tuo accompagnamento.
“Come farei senza di te, gattino!”

Senza di te.
Queste tre parole ti arrivano alla gola, senza accorgertene le mimi con le labbra.
Senti la bile accompagnarle e, con uno scatto, calpesti un mucchio di foglie sulla tua strada con malcelata violenza. Una svolazza in alto a causa dello spostamento d’aria, ne segui il percorso e la vedi fermarsi vicino ad una porta.
No, non l’avevi notato, ma ti sei fermato proprio di fronte all’ingresso di quello che sembra essere un bar.
Dalle finestre opache ti è difficile guardare dentro, però noti qualche movimento e, soprattutto, la luce di un grosso camino.
Un grosso e caldo camino.
Non fai in tempo ad accorgertene che già sei dentro. Accogli il tepore più che felice di lasciarti alle spalle l’umidità, le foglie e anche altre cose.
Lanci appena una occhiata intorno. Spazioso, ma semivuoto. Ci sono solo tre o quatto clienti, una donna dietro al bancone e una camerier…
Sbatti le palpebre perplesso. Molto, molto perplesso.
Che cavolo ha addosso? Un costume di carnevale?
- Buonasera!
Appena ti nota si congeda da un ragazzo dai capelli turchesi e ti si avvicina. Fa un grande sorriso e, con delicatezza, ti prende una mano – Finalmente sei arrivato!
Alzi un sopracciglio, le tue labbra stanno per formulare un Che? ma lei ti sta già scortando attraverso i tavoli con assurda naturalezza.
Cominci a credere di esserti perso qualcosa.
E le cose non migliorano quando, passando, adocchi due alucce da pipistrello spuntare dalle spalle della barista.
- Sempre problematico tu, eh? Meno male che abbiamo aspettato prima di… ah! Ecco il tuo!
Vi fermate di botto. Strige la presa, e con un gesto teatrale ti indica un tavolo, vicinissimo al camino che avevi riconosciuto anche fuori.
La sorpresa comincia a lasciare il posto al nervosismo, ritri la mano di scatto. Non ti è mai piaciuto essere toccato senza il tuo strettissimo consenso, e benché meno essere sballottolato come se niente fosse da una squinternata con addosso un vestito da…
- Su su! Non abbiamo tutta la sera! – batte la mani di fronte al tuo viso, stampandosi una espressione saccente in faccia.
Senti il bisogno di darle un pugno.
Sposti istintivamente lo guardo per cercare di calmarti, sei quasi assolutamente certo che soddisfare i tuoi desideri non gioverebbe alla tua fedina penale.
I tuoi occhi finiscono sul tavolo e il tuo cuore perde un battito.
- Siediti qua e scegli cosa vuoi, da bravo, che io torno subito!
Non la ascolti.
Sei troppo impegnato a cercare di capire che cazzo ci faccia una tua foto appiccicata sul legno di un tavolo in un bar sconosciuto.
La strappi con violenza, non la riconosci nemmeno. Sembra esserti stata fatta di nascosto, e facendo attenzione si scorgono anche le foglie del cespuglio utilizzato come postazione. Al centro ci sei tu. Assolutamente tu. Hai pure gli stessi vestiti che hai addosso ora, ma sai che quella foto risale a decisamente prima.
Lo sai perché non hai quel pupazzo a forma di gatto attaccato al cellulare da… un po’.
Né quello sguardo quando leggi un messaggio sul cellulare.
Un – ne sei certo – suo messaggio.
- Pff…
Neanche un istante e alzi lo sguardo. Qui qualcuno vuole essere decisamente preso a pugni.
- Cazzo vuoi tu?
Il ragazzo del tavolo affianco, lo stesso che prima stava parlando la cameriera, scuote appena la testa.
- Mi aveva detto che eri messo male, … ma arrivare a guardare con quella faccia da cucciolo bastonato una foto… - sorride appena, tranquillissimo – non è quello che ci si aspetta dal tuo personaggio, sai?
Alzi un sopracciglio. Sì, vero che ormai hai bollato ogni aspetto in quel maledetto bar come assolutamente fuori di testa, ma non puoi fare a meno di chiederti di che cosa diamine stia parlando.
E di desiderare di spaccare qualcosa. Tipo la sua faccia.
- Ecco, ecco! Quella è una espressione più adatta, allora non è vero che sei tutto da rifar…
- Castiel non ci provare!
Hai quasi ribaltato il tavolo per avvicinarti al tuo simpatico interlocutore, ma con tuo grandissimo dispiacere la cameriera di poco prima si è messa in mezzo.
- Siediti! – ti dice perentoria, appoggiando sul “tuo” tavolo quello che sembra una cupcake molto rosa.
- Come cazzo fai a sapere il mio nome e perché avete una mia foto?!
La donna scuote la testa, sospirando appena.
– Siediti – ripete, stanca.
La ignori ancora. Noti con la coda dell’occhio che tutti ti stanno fissando – il ragazzo dai capelli turchesi, la barista, e un tipo biondo e abbronzato in fondo – ma non te ne curi granché. Sei abbastanza incazzato per  fottertene della maggior parte delle cose.
- E’ proprio questo il motivo per cui sei qui, sai?
Assottigli lo sguardo. Ancora?
- Sei instabile, danneggiato, assolutamente non pronto.
- Ah sì? E per cosa, di grazia? – sibili con  sarcasmo.
- Per il Gioco, ovvio. – enuncia tranquillo il ragazzo di prima, giocherellando con un cupcake uguale a quello portato dalla cameriera.
- In realtà questo bar - riprende il discorso la cameriera, spazientita – è solo un passaggio prima che la storia cominci.
- Questo bar – ripeti tu, appoggiandoti con i palmi aperti sul legno ed arrivando all’altezza de suo viso – è solo un manicomio.
- Oh l’ho pensato anche io all’inizio – il ragazzo ti mostra il profilo destro, sorridendo appena – ero tutto teso, avevo appena capito senza via di uscite di preferire i muscoli, sai com’è…
Anche io non ero pronto – continua – ma, ecco… ho ricevuto il mio piccolo aiuto.
Potresti giurare di averlo visto sorridere verso la barista.
- Castiel, Castiel, qui è dove tutti i personaggi aspettano! Alcuni di voi non ci sono proprio entrati, altri se ne sono andati da tempo, ma… come dedurrai dal fatto che i posti liberi son parecchi… - la cameriera si aggiusta teatralmente il costume - … il momento di entrare in scena e di giocare non è lontano.
Per la prima volta, fai attenzione al luogo nell’insieme e guardi gli altri tavoli. Ti sorprendi di non aver notato la presenza di una foto sopra ogni superficie, alcune troppo lontane per essere riconosciute, altre di ragazze che non conosci, altre ancora vagamente familiari.
Credi di aver visto una chioma bianca vagamente familiare.
- Non mi aspetto che tu ci creda, quasi nessuno lo ha fatto in fondo…
- Tranne me. <3
- Tranne Alexy, ovviamente – alza gli occhi al cielo – che si ostina a rimanere qui nonostante sia già bello che pronto da un pezzo.
- Ho i miei motivi. - sussurra semplicemente quello, sorridendo furbo.
Ti rendi conto di star perdendo la concentrazione. La rabbia comincia a scemare, e tutto ciò che senti è un grandissimo mal di testa e una grande stanchezza. Ti siedi distrattamente sulla sedia.
Sei…. stanco.
- … e lo sei da un po’, vero?
- Cosa…? – bofonchi, massaggiandoti le tempie.
- Stanco – dice e, distrattamente, ti avvicina il dolce.
Perfetto. Pure la lettura del pensiero adesso?
- Stanco come le foglie che ti hanno indirettamente portato qui. Staccato, sbatacchiato e stropicciato da un “vento” fin troppo, scusa il termine, stronzo.
Poi inclina la testa e ti fissa – No perché quella mi sta decisamente sulle balle. Ma tranquillo - fa un gesto vago con la mano - lo sarà a tutto il pubblico, sicuro.
Non sai perché sei ancora lì.
Non sai perché, invece di andartene e mandare a fanculo quel branco di pazzi, sei chino su quella scomoda sedia ad osservare il cupcake che ti è stato porto.
Forse perché ti sembra quasi che quel branco di pazzi sappia più cose di te di quanto tu voglia ammettere.
O forse perché… perché...
- ... e a questo gioco, come lo dite voi – borbotti – stanco non vado bene?
La cameriera trattiene a stento un sorriso. Scuote appena la testa.
- A questo gioco servi tu. Indipendente, originale, tutto intero… non fatto a pezzi.
- E se dicessi che non mi importa?
- Oh, non provarci – picchietta le dita sul tavolo e fa una smorfia – non mi serve leggerti nel pensiero per sapere che questo stato patetico non fa per te.
Touché.
- Perdi tutto lo charme poi! – aggiunge Alexy, ovviamente non interpellato - E ha detto Chino che tu sei “il tipo ribelle”, non va se sei moscio.
- … ha detto chi?
La cameriera schiocca le dita per richiamare la tua attenzione.
- Qui non partiamo finché non lo fai tu. Non è solo un gioco, è una storia quella che metteremo in scena – sfiora la punta del dolce, toccando un po’ di glassa - e ogni attore scrive da solo il proprio copione seguendo semplicemente quello che è il suo modo di essere. Capirai, quindi, che avere uno degli attori principali fuori uso non è una grande cosa.
- Passi per un tipo come quello di due tavoli più avanti… - sussurra il ragazzo, una mano a coprire la bocca come se volesse fare una confidenza – ad essere sexy è sexy, eh, ma il suo dramma è essersi reso conto di essere allergico al tonno, e probabilmente non avrà un così grande ruolo da portare avanti.
- A differenza tua – aggiunge la donna, leccando della glassa dal dito con nonchalance.
- Quale onore…
Fatichi ad ammetterlo, ma mentre volgi lo sguardo verso la finestra e guardi la massa scura del tappeto di foglie di prima, sola, abbandonata sulla strada, le cose cominciano a farsi un po’ più chiare.
Non per quanto riguarda quel coso di cui stanno parlando.
Ma per quanto riguarda te. Quand’è che hai permesso a qualcuno di cancellare quello che sei? Era davvero così importante?
E se lo era, lo è ancora? Ti manca lei… o quello che eri e basta?
La sicurezza di quando suonavi quelle canzoni con le foglie tra le TAB, la soddisfazione di sentirti così apprezzato, il tuo essere indipendente e assolutamente libero.
Cominci a chiederti se tutte queste cose non le avessi già perse da tempo.
Hai smesso di seguire la tua testa e ti sei adattato a quella di un’altra, e non te ne sei accorto fino a quando questa non se ne è andata. Lasciandoti così come eri con lei, molle.
Spento. Smorto. Nero e basta.
Un colore che non ti si addice.
- … bhè, non felice di averi conosciuto, io me vado.
La cameriera, che durante quei secondi di riflessione ti aveva osservato appoggiando il viso sui palmi, con l’espressione di una mamma con un figlio, sussurra un “Bugiardo” e ti fa un cenno per saluto.
Il ragazzo trilla un allegro “A presto Cassy!” guadagnandosi una tua immancabile occhiata storta.
Ti dirigi verso la porta, con il passo un po’ più leggero di quello con cui sei entrato, ma fai finta di non notarlo. Hai già aperto la porta e lasciato che il vento freddo ti pungesse la faccia quando ti giri.
- Solo una cosa…
Non avevano smesso di fissarti e aspettano che continui.
- … perché un costume da fata?
La cameriera, presa di sorpresa per un secondo, si scioglie in un sorriso.
- E tu perché proprio il rosso?
Ti lasci sfuggire uno sbuffo divertito. E poi, senza aggiungere altro, vai.

Il giorno seguente, dopo essere passato dal parrucchiere, ti sei “ritrovato” a passare per quella stradina. Stranamente non ti sei sorpreso di trovarla vuota, e di non leggere da nessuna parte neanche l’insegna che, uscendo, avevi intravisto.
Sembrava che quel bar, “L’Amour Sucré”, non fosse mai esistito.
Ti porti una sigaretta alla bocca e sistemi la chitarra sulla spalla.
Meglio così, no?
Magari hanno cominciato quel famoso “Gioco” di cui straparlavano.
Non sai se sia o no una cosa positiva.
Ma - ti sposti una ciocca ribelle, ora rossissima, che ti copre un occhio – va bene così.
E così, in silenzio, con una scollata di spalle, riprendi la tua strada.

 

Dimenticandoti poco a poco del piccolo bar nella strada piena di foglie rosse, con i cupcake rosa, la cameriera vestita da fata, il ragazzo dai capelli turchesi e la barista silenziosa.

Ma sì, fa tutto parte del gioco.
 

 

- Devo ammetterlo…
La cameriera non distacca lo sguardo dalla finestra.
- … gli stanno bene, avevi ragione.
In un angolo, vicino ai bicchieri, la barista mora mosse appena le ali di pipistrello, sistemandosi la maglietta nera con su scritto “Staff”.
- Lo so, gliel’ho disegnati apposta.




Fin.

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