Second Chance

di GirlWithChakram
(/viewuser.php?uid=675315)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lasciare il passato alle spalle ***
Capitolo 2: *** Non si può dimenticare ***
Capitolo 3: *** Tutto ha un prezzo ***
Capitolo 4: *** Domande e risposte ***
Capitolo 5: *** Notti tra le dune ***
Capitolo 6: *** Ciò che il cuore desidera ***
Capitolo 7: *** Ogni fine è un inizio ***
Capitolo 8: *** Cuore di tenebra ***
Capitolo 9: *** Spiriti erranti ***
Capitolo 10: *** La fanciulla del Nilo ***
Capitolo 11: *** La padrona del mondo ***
Capitolo 12: *** Colpi di testa ***
Capitolo 13: *** Sempre più vicine ***
Capitolo 14: *** Il lupo e l'agnello ***
Capitolo 15: *** Un giorno insieme ***
Capitolo 16: *** Questioni di gelosia ***
Capitolo 17: *** Divise ***
Capitolo 18: *** La strega del Nord ***
Capitolo 19: *** La caduta del Dragone ***
Capitolo 20: *** Vie, voci e verità ***
Capitolo 21: *** L'abisso ***
Capitolo 22: *** Tempo di morte ***
Capitolo 23: *** Incomplete ***
Capitolo 24: *** Ritorno alla vita ***
Capitolo 25: *** Di nuovo all’inizio ***
Capitolo 26: *** Senza di te ***
Capitolo 27: *** L'aedo e l'angelo caduto ***



Capitolo 1
*** Lasciare il passato alle spalle ***


SECOND CHANCE
 

 

Image and video hosting by TinyPic

 


CAPITOLO 1: Lasciare il passato alle spalle
 
These wounds won’t seem to heal
This pain is just too real
There’s just too much that time cannot erase
(Evanescence – My immortal)
 
Il calore del sole sulla pelle, il rumore delle onde e la piacevole sensazione dei granelli di sabbia sotto i piedi le portarono alla mente ricordi di avventure lontane, ripensava alla sua prima visita alla Terra dei Faraoni, il luogo in cui si sarebbe diretta a breve. Quanto tempo era passato? Non sapeva dirlo con certezza. Dovevano essere trascorsi ben più di cinque lustri secondo il normale corso degli eventi, ma c’era da considerare il periodo che aveva trascorso intrappolata nel ghiaccio tra la vita e la morte. Per lei dunque erano pochi anni appena.
Gabrielle pensava ad Eve, che all’epoca del loro viaggio in Egitto era solo una neonata, e al fatto che l’idea di rincontrarla, già donna ormai da tempo, le metteva addosso un’indescrivibile malinconia.
Calde lacrime spuntarono agli angoli dei suoi occhi, mentre immergeva le punte dei piedi nella sabbia. La sua malinconia era probabilmente dovuta alla notizia che doveva riferirle.
Come faccio a dirle che sua madre è…
Non riuscì neppure a completare il pensiero. La sua mente si rifiutava categoricamente di accettare la morte di Xena.
Sfiorò con la mano destra il Chakram che portava appeso in vita. Era l’oggetto più caro che avesse con sé. Fino a poco tempo prima aveva protetto anche le ceneri della sua compagna, per riportarle, come lei avrebbe voluto, ad Amphipolis nel luogo dove era sepolto suo fratello Lyceus e dove avrebbero potuto riposare fianco a fianco per l’eternità.
In quel momento, però, si preparava per una nuova avventura, in una terra lontana dalla sua patria, pronta a dimostrare al mondo il valore dell’erede della Principessa Guerriera. Eppure un incolmabile vuoto si faceva via via largo nel suo animo, un vuoto che né il suo spirito di avventura né la sua determinazione erano in grado di colmare. Gabrielle si augurava che parlandone con Eve parte del proprio dolore si sarebbe attenuato, ma sapeva di illudersi.
Attese per diverse ore l’arrivo della messaggera di Eli e alla fine, quando ormai il sole non era altro che un bagliore all’orizzonte, un piccolo corteo di fedeli fece capolino tra le dune della spiaggia.
«Gabrielle!»  esultò la ragazza mora in testa al gruppo.
La donna bionda sorrise debolmente mentre Eve le correva incontro. Gabby strinse forte a sé la giovane, come per paura che anche lei potesse scomparire tra le sue braccia.
Quando sciolsero l’abbraccio avevano entrambe gli occhi lucidi. Eve sapeva che per nessuna ragione al mondo sua madre avrebbe abbandonato la compagna. Se la poetessa era sola ci poteva essere un’unica spiegazione.
Piansero entrambe a lungo, mentre il resto del gruppo si disponeva per la notte.
«Come è successo?» volle sapere la ragazza. Allora la bionda raccontò del viaggio fino ai confini dell’Oriente, oltre il Celeste Impero, e della missione di Xena per redimersi, un’ultima volta.
Dopo il racconto calò il silenzio. Eve era stanca per il viaggio. Non appena aveva ricevuto il messaggio in cui Gabrielle chiedeva un incontro, si era messa in marcia e non si era fermata. Crollò addormentata con la testa poggiata in grembo alla persona che le stava amorevolmente carezzando i capelli.
I ricordi travolsero con violenza la mente di Gabby: la donna che stava cercando conforto accanto a lei era la stessa neonata che lei e Xena avevano portato nel mondo.
Sua figlia… pensò. Nostra figlia… le fece eco una voce lontana. Xena lo ripeteva spesso: Eve era la loro bambina e nulla lo avrebbe mai potuto cambiare.
Il mattino seguente il velo di tristezza che si era posato sulle due sembrò alleggerirsi quando iniziarono a raccontarsi delle avventure passate. La Principessa Guerriera riviveva negli occhi celesti brillanti della figlia e nelle pergamene della poetessa. Ne aveva portate alcune con sé per lasciarle alla giovane. «Così la sentirai più vicina» le aveva detto.
Il momento dell’addio arrivò troppo presto. Eve e i suoi seguaci dovevano tornare a diffondere la parola di Eli. «Sicura di non voler venire con noi? So che hai seguito la via della pace in passato, puoi farlo di nuovo.»
Gabrielle scosse la testa. «No, il mio posto adesso è in Egitto. È dove avevamo intenzione di andare prima…» Un altro nodo le serrò la gola, ma Eve aveva capito.
Si scrutarono tristemente. Entrambe sapevano che quello sarebbe probabilmente stato il loro ultimo incontro. La mora voleva piangere ancora, per lei era come perdere la sua intera famiglia in un solo giorno.
La vuota promessa di rivedersi non colmò la distanza che si stava inesorabilmente formando tra le due.
«Abbi cura di te» disse Gabby posando un delicato bacio sulla fronte della ragazza.
«Anche tu, mamma» rispose Eve con gli occhi sempre più lucidi.
Gli stessi occhi cerulei…
 
Dopo che i messaggeri di pace furono scomparsi dalla sua vista, Gabrielle si preparò, con un sospiro, ad intraprendere il proprio viaggio in solitaria. Doveva tornare a recuperare Argo che aveva lasciato libera di pascolare in una pineta poco lontana e con lei si sarebbe diretta al più vicino porto per imbarcarsi. Probabilmente avrebbe dovuto vendere il cavallo, ma non voleva pensarci troppo. Aveva denaro sufficiente per la traversata e per un numero adeguato di provviste, ma una volta arrivata in Egitto non aveva idea di come avrebbe rintracciato gli uomini alla ricerca della ragazza con il Chakram.
Con calma si diresse verso la macchia di alberi dove la attendeva la giumenta. Quando si trovò abbastanza vicina, però, percepì degli strani rumori. Con naturalezza portò le mani agli stivali per estrarre i suoi fidati sai, pronta in caso di pericolo.
Silenziosamente si addentrò nella pineta, senza lasciare la presa sulle armi. Doveva recuperare Argo alla svelta e poi andarsene, non aveva voglia di combattere.
Intravide il pelo color miele poco lontano da lei e, come guidata da un riflesso naturale, fischiò per richiamare l’attenzione della cavalcatura, la quale, dal canto suo, girò le orecchie di scatto e si avviò verso la donna al piccolo trotto.
Gabby emise un sospiro di sollievo, si considerava salva, ma uno schiocco alle sue spalle la riportò alla realtà: lei ora era una guerriera e non sarebbe mai stata salva. Non si era sbagliata, c’era qualcun altro lì e lei lo avrebbe dovuto affrontare.
Si voltò agilmente, pronta a colpire, ma fermò il braccio a mezz’aria quando vide una faccia sorridente ornata da una ribelle chioma bionda.
«Ma guarda che accoglienza!» esclamò Aphrodite senza smettere di sorridere. «Io vengo a trovare la mia amica poetessa e lei cerca di infilzarmi!»
«Non ti lamentare» le rispose una voce profonda «Io non sono mai stato accolto così bene» le parole erano state pronunciate dal fratello della dea: Ares.
Gabrielle rimase interdetta. Non si aspettava che anche loro venissero a salutarla prima della partenza.
«Credevi che ti avremmo lasciata andare via così?» chiese la dea mentre le abbassava il braccio, ancora levato per sferrare il colpo.
La donna si scosse e recuperò la lucidità con un sorriso. «No… È solo che… Non immaginavo di significare tanto per voi.»
«Infatti!» si intromise secco Ares «Io ancora non ho capito perché siamo qui!»
«Suvvia fratello» lo rimproverò Aphrodite, tirandogli un buffetto dietro la nuca «Gabby è nostra amica e, che tu lo voglia ammettere o no, sappiamo che le vuoi bene.»
Il dio della guerra sbuffò stizzito, il che non fece che confermare le parole di sua sorella.
«E così…» riprese la dea «Egitto, eh? Io non ci sono mai stata, ma ho sentito dire che è una terra piena di gioielli e di cibi prelibati!»
Gabrielle non poté fare a meno di ridere.
«Ma tu vai per combattere, giusto?» chiese Ares in tono solenne.
«Onestamente non so cosa risponderti. So solo che cercano una ragazza con un oggetto particolare» e così dicendo sganciò il Chakram facendoselo roteare tra le dita.
«Oggetto particolare che si dà il caso sia un’arma» concluse soddisfatto il dio.
«Ma non sai per quale ragione ti stiano cercando?» domandò Aphrodite.
«No…» rispose sincera «E non ci ho neppure mai pensato. Però so di dover andare e farei anche meglio a sbrigarmi.»
Il sorriso svanì dalle labbra della dea dell’amore. «Quindi questo è un addio?»
Gabby non sapeva cosa dire. Aveva da poco salutato per sempre Eve, che lei considerava come ultimo membro rimasto della sua famiglia, ed ora si vedeva costretta di nuovo ad abbandonare persone, o meglio divinità, a cui comunque era legata.
«Non posso garantire che tornerò» sentenziò dopo alcuni attimi di silenzio «Ma vi prometto che, anche se saremo lontani, io continuerò a pensarvi. Dopotutto siete i miei dei preferiti.»
Ares sorrise per nascondere lo sconforto che provava, ma la cosa durò poco perché quando vide Aphrodite versare una lacrima, non poté fare a meno di sentire un tonfo al cuore. Sua sorella non aveva mai pianto, se non in circostanze estreme.
Quella ragazza ha cambiato tutti noi. Lei ha cambiato Xena. Ogni volta che se lo diceva sentiva un moto di stizza. Nemmeno lui, potente dio della guerra, sarebbe riuscito là dove la bionda poetessa aveva invece compiuto una specie di miracolo.
La separazione fu dolorosa per tutti e tre, ma alla fine, con un rapido fruscio, i due fratelli fecero ritorno al loro solitario Olimpo mentre Gabrielle, col volto rigato di lacrime, sistemava la sella di Argo per il nuovo viaggio.
 
Alcuni giorni più tardi, Gabby solcava il mare a bordo di una rapida trireme diretta verso la Terra dei Faraoni. Aveva portato con sé solo lo stretto necessario: il Chakram, i fidati sai, qualche abito di cambio e poche provviste, il tutto saldamente assicurato alla sella di Argo.
La bionda non aveva avuto il coraggio di separarsi anche dalla giumenta, dopotutto anche l’animale faceva parte del lascito di Xena.
Convincere il quadrupede ad intraprendere il viaggio per mare aveva richiesto parecchio tempo e la collaborazione di diversi marinai, ma alla fine, sebbene adirata e contrariata, Argo era salita a bordo. Il bardo non sapeva come il cavallo avrebbe reagito al deserto, ai luoghi così diversi dalla tanto familiare Grecia, ma era certa non l’avrebbe comunque abbandonata.
Sorrise ripensando alla volta in cui lei ed Argo, la madre di quella attuale, erano state rimpicciolite per via di un incantesimo.
Era stato prima o dopo Eve? rifletté, poi si ricordò che Joxer era con lei quando era successo. Quella del suo coraggioso amico era un’altra perdita che Gabrielle non era riuscita a superare, così come la scomparsa di Ephiny, di Amarice e tanti altri. Le dispiaceva perfino per Callisto, sebbene fosse stata la causa di infiniti dolori sia per lei, sia per Xena.
Cercò di distrarsi osservando il moto delle onde. Ricordava i primi viaggi per mare in compagnia della Principessa Guerriera, per meglio dire, ricordava perfettamente il mal di mare e poco altro. Ma il rollio della barca ormai non la infastidiva più, anzi, le ricordava l’ondeggiare di una culla, come se l’acqua volesse amorevolmente accoglierla tra le proprie braccia.
Lei, però, non desiderava l’abbraccio dell’acqua salata. Ciò che voleva era ormai perduto per sempre.
Ogni volta che chiudeva gli occhi pregava intensamente di sentire il tanto familiare tocco sulla spalla che indicava la presenza di Xena dietro di lei e ogni volta nessun dio ascoltava la sua richiesta.
 
Il gran sacerdote percorse in fretta lo spazio fino all’altare e si chinò con un gesto ormai divenuto abituale. Il suo copricapo, ben stretto in testa, arrivò a sfiorare i gradini che portavano al luogo più sacro del tempio.
Attese in quella posizione fino a che la familiare voce della divinità non gli comunicò di alzarsi.
«Porto notizie, vostra magnificenza» disse con fare cerimonioso «Un messaggero è giunto ora dalla costa e ha confermato la partenza della ragazza.»
Il silenzio calò nella sala illuminata solo dalle candele cerimoniali.
«Sei sicuro che sia lei?» tuonò la voce che aveva ben poco di umano.
«Bionda, giovane e forte. Ovviamente ha con sé il cerchio.»
«Perfetto… Inizia a dare disposizioni. Dobbiamo essere pronti per quando la ragazza con il Chakram arriverà.»


 
Note dell’autore: ho voluto lasciare i nomi originali perché ritengo che tutto sia migliore nella propria forma prima, per cui, giusto per chiarire le idee:
Gabrielle – Olimpia
Eve – Evi
Amphipolis – Anfipoli
Lyceus – Linceo
Eli – Belur
Aphrodite – Venere
Ares – Marte
Joxer – Corilo
Ephiny – Anfitea
Amarice – Andromeda

Un piccolo, ma dovuto, spazio per ringraziare in primo luogo coloro che hanno avuto il coraggio di arrivare fino in fondo a questo scritto, in secondo luogo i miei più sentiti ringraziamenti a Wislava per avermi trascinata nel mondo delle fanfiction e per essersi offerta "molto volontariamente" come mia correttrice. Spero che abbiate apprezzato questo mio lavoro e vi invito a darmi la vostra opinione a riguardo così da potermi migliorare.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Non si può dimenticare ***


CAPITOLO 2: Non si può dimenticare
 
And I still see your reflection inside of my eyes
That are looking for purpose, they're still looking for life

I'm falling apart, I'm barely breathing
With a broken heart that's still beating

In the pain… Is there healing?
In your name… I find meaning

(Lifehouse – Broken)
 
Avrebbe voluto poter osservare il cielo stellato, ma fuori il maltempo imperversava e non poteva certo dormire sotto la pioggia battente. Il moto delle onde, dal morbido abbraccio di poche ore prima, si era trasformato in un inarrestabile sconquasso che agitava la nave senza sosta.
Gabby si rigirò sullo scomodo sacco riempito di paglia che le avevano assegnato come giaciglio e si mise ad ascoltare i rumori della stiva: i cavalloni che si infrangevano contro la chiglia, l’acquazzone che picchiava sulle travi sopra la sua testa, il respiro pesante di Argo a cui era stato affidato uno spazio poco distante.
Entrambe erano state relegate in quell’angusto angolo atto a magazzino galleggiante perché per il cavallo non c’era altro posto, inoltre i marinai non si fidavano ad avere una donna in cabina con loro. A Gabrielle la cosa non era poi dispiaciuta molto, da sola aveva la possibilità di rilassarsi senza il timore che a qualcuno degli altri passeggeri venissero strane idee in testa. Per sicurezza teneva comunque la armi a portata di mano.
Una semplice precauzione, non ne avrò bisogno si ripeteva, eppure la presa attorno all’impugnatura dei sai si faceva sempre più stretta ogni volta che pronunciava mentalmente quelle parole.
La verità era che gli uomini, sebbene fossero stati ben pagati per accoglierla a bordo, non potevano fare a meno mormorare a mezza voce le dicerie sulle maledizioni toccate alle navi che avevano accettato di traghettare una donna. Probabilmente era anche per quello che cercavano di tenerla a distanza. O almeno, questo era quello che la bionda era arrivata a pensare. Non poteva essere certa di quello che si dicessero i marinai, in quanto quasi tutti, per comunicare tra loro, usavano lingue e dialetti locali che lei poco conosceva. L’unico con cui poteva discorrere era il capitano, un ricco signore latino di mezza età che aveva deciso di investire nel commercio. Da quando l’Egitto era divenuto una colonia romana, gli scambi si erano intensificati e il possedere una barca resistente disposta a portare le merci da una sponda all’altra del Mediterraneo garantiva un consistente numero di guadagni.
Il proprietario era il solo a parlare correntemente la lingua comune ed era l’unica compagnia che Gabby poteva concedersi, fatta eccezione per Argo. L’uomo le aveva raccontato la propria esistenza fin nei minimi particolari e quando era stata lei a dover parlare di sé si era tenuta sul vago. Certo, la propria muscolatura e le armi non potevano farla passare per una comune giovane donna in cerca di fortuna. Chiunque avrebbe riconosciuto in lei una guerriera. Aveva dunque dichiarato di essere una mercenaria stanca della vecchia vita e pronta a mettersi al servizio di qualche potente nella terra delle Grandi Sabbie.
La tempesta fuori sembrava aumentare di intensità e Gabby volle assicurarsi che le casse e i barili con cui condivideva la stiva fossero fissati a dovere così da non investirla durante la notte. Vedeva il mondo attorno a sé oscillare pericolosamente ad ogni nuova scossa, persino Argo non sembrava molto sicura sulle sue solide zampe.
Voleva assolutamente evitare di addormentarsi, il dolore era l’unica cosa che avrebbe potuto impedire al suo corpo di collassare a causa della stanchezza. Da qualche giorno ormai riviveva nei sogni alcune delle esperienze passate, il che la faceva star male oltre ogni dire. Nel mondo onirico Xena era ancora con lei, ridevano insieme, condividevano lo stesso cibo, dormivano l’una accanto all’altra. Era tutto perfetto, dolce, invitante, talmente realistico da convincerla che quanto avvenuto in Giappone fosse solo un incubo. Però ogni volta si svegliava, ritornando alla dolorosa realtà.
Quando fu certa che nulla le sarebbe crollato sulla testa, si sedette stancamente sul sacco, consapevole che la forza di stare sveglia le veniva sempre meno. In pochi minuti, volente o nolente, avrebbe chiuso gli occhi e sarebbe scivolata tra le braccia di Morpheus. Trovò curioso il fatto che durante una delle loro prime avventure la Principessa Guerriera l’avesse salvata, appunto, dal dio Morpheus che l’aveva scelta come sua sventurata consorte. Quella era stata solo una delle innumerevoli volte in cui Xena era intervenuta in suo soccorso. Faticava a contarle tutte.
Iniziò ad enumerarle, ma si accorse troppo tardi dell’errore: la cantilena di numeri che sussurrava per tenere il conto la portò a poco a poco nel mondo dei sogni, lasciandola in balia dei rimorsi.
 
«Se mi restassero solamente trenta secondi da vivere è così che vorrei passarli: guardandoti negli occhi.»
Gabby si imponeva di non starla a sentire, ma ogni notte era la stessa storia. Lei e Xena, una di fronte all’altra a fissarsi, poi ad un tratto, senza alcuna ragione apparente, la mora scompariva, lasciando posto ad uno specchio. La superficie lucida rifletteva i brillanti occhi verdi in cui ancora si poteva scorgere il sorriso della Principessa Guerriera.
Era un tormento indicibile e tentare di svegliarsi era inutile.
Poi la scena cambiò. Gabrielle aveva in mano l’urna contenente quanto restava di Xena ed era sul punto di immergere il tutto nella fonte, quando sentì altre dita stringersi intorno alle proprie, sottraendo ogni forza al gesto. Tristemente fissò gli occhi cerulei in cui poteva leggere il suo stesso sconforto. Era stato doloroso per entrambe, il loro addio, la fine di un’era.
La lucidità di Gabby emerse dal subconscio. Di ritorno da quel viaggio aveva parlato altre volte con Xena, ma non sapeva se fosse uno spirito, uno spettro o cosa altro. La sua parte razionale le suggeriva che si fosse trattato di allucinazioni.
La coscienza, tuttavia, non si scosse abbastanza per riportarla alla realtà.
In fondo non le dispiacque, in quei sogni sembrava ancora tutto reale. Poteva sentire le loro dita intrecciarsi, i respiri accelerati procedere all’unisono, le loro labbra sfiorarsi... Erano le sensazioni migliori del mondo. Nulla era mai riuscito ad emozionarla tanto; nemmeno Perdicas, nonostante lei lo avesse amato, era riuscito a farla sentire così.
Anime gemelle… si sarebbero ritrovate nel futuro, loro si sarebbero trovate sempre.
«Ma come posso io andare avanti senza di lei? Non mi importa delle reincarnazioni dei prossimi secoli! Anche io ho diritto alla mia felicità!» adesso si trovava ad urlare contro lo specchio, ma la sua immagine non reagiva, restava immobile a fissarla con sguardo severo, il volto di Xena ancora riflesso nel verde.
«Perché devo soffrire così!? Lei ha pagato abbastanza per gli errori del passato e io non ho fatto nulla per meritarmi questo! Perché non possiamo avere una seconda possibilità!?»
La ragazza bionda nello specchio, all’udire quelle parole, sorrise, poi cominciò a trasformarsi. Il busto si appiattì, braccia e gambe si allungarono, il viso mutò fino ad assumere le sembianze di un rapace.
Gabrielle rimase ad osservare quella trasformazione con non poco timore, ma la sua paura crebbe quando la figura con la testa di falco le diede la risposta che tanto bramava.
«Se davvero lo volessi, potresti ottenere la possibilità che desideri e, se sarai degna, potrai ritrovare la tua ragione di vita. Segui la Rana Gialla» e detto ciò la figura scomparve, lasciando dietro di sé un vuoto nello specchio.
 
La donna si svegliò di soprassalto, con il cuore che martellava all’impazzata.
Quello era un dio, quello era Horus. Aveva letto molti racconti sul giovane principe degli dei, protettore dei faraoni. Ma perché era apparso nel suo sogno?
In uno dei tanti brani veniva detto che i suoi occhi rappresentavano il sole e la luna, cosicché fosse in grado di entrare nella mente degli uomini in ogni momento, per guidarli e consigliarli. Doveva quindi essere abbastanza potente da interferire con i sogni.
Segui la Rana Gialla…
Cosa aveva da perdere? Intanto una volta sbarcata nella Terra dei Faraoni non aveva idea di dove dirigersi, quello poteva sempre essere un inizio.
Gabby sorrise nell’oscurità. Aveva riacquistato fiducia nel domani e il perché le si faceva sempre più chiaro: la speranza di una vita insieme era tornata o, forse, non se ne era mai andata.
 
Nota dell'autore: i soliti ringraziamenti a voi lettori e a Wislava per il suo supporto e le sue correzioni. Vi invito nuovamente a recensire, anche solo per farmi sapere cosa ne pensate della storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tutto ha un prezzo ***


CAPITOLO 3: Tutto ha un prezzo
 
Like I’m racing not to run, give more when I have none
‘Cause I’m afraid I will be left here without you…
Another place and time, without a great divide
And we could be flying deadly high
I’ll sell my soul to dream you wide awake
Another place and time, without a warning sign
And we could be dying angel style
I’ll sell my soul to dream you wide awake
(Poets Of The Fall – Dreaming wide awake)
 
«Buongiorno!» tuonò il capitano spalancando con forza la porta della stiva «Spero che il maltempo di ieri notte non vi abbia dato troppo fastidio.»
L’uomo attese una risposta, ma Gabrielle era ancora persa nei suoi pensieri e non prestò ascolto.
«Signorina, tutto bene?» le chiese allora con aria preoccupata. La bionda si scosse e gli sorrise. «Sì, certo. Sono solo un po’ distratta.»
«Sì…» rispose lui non senza notare lo sguardo pieno di ardore che la sua giovane amica non aveva mai mostrato prima di allora.
«Mi farebbe la cortesia di salire sul ponte per la colazione?» riprese dopo qualche momento di silenzio.
«Con immenso piacere! Lasciate solo che mi cambi.»
Lui annuì arrossendo e si chiuse la porta alle spalle, lasciando Gabby nuovamente sola. La donna decise di indossare qualcosa di diverso dai suoi consueti abiti rossi. Quel giorno voleva mostrare al mondo una nuova Gabrielle, pronta a tutto pur di raggiungere il proprio scopo.
Si avvicinò ad Argo e le carezzò dolcemente la criniera. «Tornerà da noi, vedrai» le mormorò, «Io la porterò indietro». La giumenta nitrì debolmente e si lasciò coccolare, poi Gabby estrasse dal proprio “letto” una manciata di fieno e lasciò Argo al suo pasto. Cercò la bisaccia che doveva trovarsi poco lontano dal giaciglio e ne estrasse un pacco.
È ora di vedere se quel fabbro e il suo amico sarto hanno fatto un buon lavoro. Avvolti in un sacco c’erano un corpetto di pelle rosso cupo e un’armatura praticamente identica a quella di Xena. Se li era fatti fare su misura prima di partire, ma non aveva mai avuto il coraggio di indossarli.
Oggi tutti sapranno che la Principessa Guerriera tornerà e fino ad allora sarò io a tenere vivo il suo ricordo. Indossò in fretta il corpetto, il che risultò un’impresa tutt’altro che semplice, poi si infilò un paio di corte braghe dello stesso colore a cui legò la cintura con il Chakram. Agganciare l’armatura fu la parte più difficile. In un primo momento aveva pensato di recuperare la corazza originariamente appartenuta alla compagna, ma l’oggetto era andato perduto insieme a lei, quindi se ne era fatta forgiare una della sua misura e il più fedele possibile. Da ultimo ripose i sai negli stivali. Così bardata uscì all’aria aperta.
La sua apparizione creò scompiglio in tutti i presenti. I marinai non osavano incontrare il suo sguardo e persino il gioviale e chiacchierone capitano aveva timore a fissarla per più di qualche secondo.
La paura che le si diffondeva intorno fece piacere a Gabby.
È così che si sentiva Xena ogni giorno della sua vita. Temuta e rispettata da tutti, con il potere di incenerire le persone con una semplice occhiata.
«Non pensavo di avere questo effetto sulle persone» disse con una risata, prendendo posto al tavolo con Oratius.
«In effetti avete un’aria piuttosto… Come dire… Intimidatoria.»
«Incredibile, è la prima volta che mi succede…» pronunciò, ma si pentì quasi immediatamente di aver aperto bocca, se voleva che la sua storia reggesse doveva ricordarsi di comportarsi come una mercenaria ormai vissuta. Fortunatamente l’uomo sembrava distratto da qualcosa e non aveva dato peso alle sue parole.
«Terra!» echeggiò una voce. «Era ora!» esclamò il Romano alzandosi di scatto «Volevo che foste fuori con noi altri per godere dell’arrivo in Egitto.»
Gabby era contenta che il viaggio si fosse ormai concluso. Doveva mettersi alla ricerca della rana gialla, qualunque cosa significasse.
Lei e il capitano mangiarono e chiacchierarono in attesa di attraccare vicino ad Alessandria. Il desiderio di visitare la sua sconfinata biblioteca era molto forte. La prima volta nella Terra dei Faraoni la poetessa aveva insistito per visitare molti degli imponenti monumenti che rendevano l’Egitto tanto noto e tanto ammirato, ma la pregiata collezione di libri non aveva fatto parte delle tante meraviglie che aveva potuto vedere. Ma, purtroppo, quella volta non si sarebbe concessa tempo per le esplorazioni a fine turistico.
Il porto era molto affollato e i problemi che Argo aveva causato per salire a bordo si ripresentarono ancora. La giumenta vedeva intorno a sé persone completamente diverse da quelle a cui era abituata e non si sentiva a proprio agio in quella terra sconosciuta e ricoperta di sabbia.
Gabrielle era sul punto di impazzire poiché l’animale si era fermato a metà della passerella nautica e non sembrava intenzionato a muoversi, quando si udì chiaramente: «Serve aiuto?»
La voce veniva dalla folla radunata a terra vicino all’imbarcazione, era stata una giovane donna a parlare. Doveva avere pochi anni meno di Gabby, ma qualcosa in lei ricordava l’innocenza, caratteristica tipica dei bambini, che si rifletteva in una sorta di aura di purezza e bontà d’animo.
«Sarebbe molto gradito!» mugugnò Oratius, che stava cercando di schiodare il cavallo spingendolo dal posteriore.
La sconosciuta si fece avanti e con noncuranza prese le briglie di Argo, poi, tirando leggermente, la fece scendere sotto lo sguardo esterrefatto di tutti.
Quella bestia non ha mai dato retta a nessuno in quel modo… Solo Xena… No, sarà stato un caso si disse la poetessa mentre si avvicinava per ringraziare la sua salvatrice.
«Per me è stato un piacere! Sono sempre disponibile quando si tratta di aiutare una così affascinante guerriera».
Gabrielle arrossì di colpo. Non si aspettava certo un simile commento. Vedendo l’interlocutrice a disagio, la donna egizia riprese il discorso come se nulla fosse successo: «Io sono Meskhenet, ma puoi chiamarmi Mesk se ti fa piacere.»
«Io sono Gabrielle» rispose l’altra tendendo la mano «Per gli amici Gabby.»
«Che nome curioso! Non si è mai sentito da queste parti. Ha un qualche significato particolare?»
«No, credo di no… In realtà non ci ho mai pensato» rispose con sincerità «Avresti dovuto chiederlo ai miei genitori… Ma il tuo nome invece, cosa significa? Sai, è diverso da quelli a cui sono abituata perché deriva da questo mondo che mi è praticamente ignoto.»
L’altra le sorrise «Non ti preoccupare, ti ambienterai! Comunque il mio nome è poco usato, non penso che lo sentirai in giro spesso…»
Gabby non riuscì a trattenersi: «Ha a che fare con le rane?»
«Rane? No, vuoi scherzare? Nulla del genere!» replicò con una risata «Significa “Colei che è destinata”, ha un significato importante, per questo la gente preferisce evitarlo.»
«Io lo trovo bellissimo.»
Mesk allargò il sorriso e Gabrielle non poté che fare lo stesso. Era da tempo che non sorrideva.
«Allora» riprese l’egizia «Per quale ragione mi hai chiesto delle rane? Sei qui per visitare il tempio di Heqet?»
«Chi sarebbe Heqet?»
«La dea rana, protettrice delle partorienti… In effetti non mi sembri in dolce attesa, per cui mi è venuto spontaneo chiederti come mai le rane.»
«Oh» rispose l’altra «Diciamo che è una lunga storia… Ma forse una visita al tempio non sarebbe una cattiva idea. È molto lontano da qui?»
«Non particolarmente, ma ti perderai di sicuro senza una guida.»
«Hai in mente qualcuno da propormi?»
«Ci puoi giurare!»
«Allora fammi strada, guida.»
«Certamente, lascia solo che vada a recuperare la mia cavalcatura.»
Dopo pochi minuti fu di ritorno a dorso di un dromedario dal pelo bianco. «Qui sono il mezzo più comodo per spostarsi, ma mi sembra di capire che tu non sia intenzionata a separarti dal tuo cavallo…»
«Infatti. È troppo importante per me. Ovunque andrò, sarà lei a portarmici!»
«Perfetto. In marcia allora!»
E così le due nuove amiche cominciarono il loro viaggio verso il tempio di Heqet.
 
Ci misero un’ora intera ad allontanarsi dalla zona del porto a causa dell’incessante flusso di passanti che intasava le strette strade della città. Quando giunsero nella zona dei templi cominciò per Gabby uno dei momenti migliori della giornata. Via via che si imbattevano nei santuari, Meskhenet le raccontava le storie delle rispettive divinità. Diceva che spesso erano presenti solo altari rappresentativi, poichè i veri templi si trovavano più lontano dai centri abitati, alcuni addirittura in mezzo al deserto.
Dopo un’altra ora spesa a procedere tra la folla, arrivarono finalmente al luogo di culto di Heqet. La struttura quadrata con un modesto colonnato e alla poetessa ricordava molto i templi della sua amata Grecia. Entrando trovarono diverse donne con doni votivi in cerca dei favori della dea, la maggior parte di loro sfoggiava con orgoglio i segni di una gravidanza ormai al termine. Le due procedettero guardandosi attorno in silenzio, cercando di non disturbare le fedeli.
Ma cosa sto cercando di preciso? Si domandò Gabrielle. Lei aveva seguito la prima via che il destino le aveva fornito, ma se non fosse stata quella la scelta giusta?
Forse dovrei tornare al porto e ripartire da lì... Aprì la bocca per comunicare a Mesk che dovevano provare a tornare indietro, quando una bambina le si avvicinò.
Gabby non poté non sorprendersi nel notare che la piccola aveva i capelli biondi, cosa insolita per la gente di quel luogo.
«Sei tu la ragazza con il Chakram?» le chiese la piccola a bassa voce.
«Sì, chi me lo domanda?»
«Sono Masika, “nata durante la pioggia”.»
«E perché mi cerchi Masika?» domandò Gabrielle cercando di apparire seria come la guerriera di cui vestiva i panni.
«Altri, più importanti della dea rana, vogliono tu compia il tuo destino e per farlo dovrai essere guidata.» La bambina parlava con voce ferma, era difficile credere che avesse solo i dieci o dodici anni che dimostrava.
«Ma io ho già una guida» rispose la donna bionda indicando Mesk con un cenno del capo.
«Sono io la tua guida, così gli dei hanno voluto. Se vuoi portare quella persona con te è una tua scelta.»
La poetessa rifletté per un po’, poi decise che se Horus in persona le aveva detto di seguire la Rana Gialla, allora lei gli avrebbe dato ascolto.
«E sia Masika “nata durante la pioggia”, io ti seguirò, a patto che la mia amica venga con noi.»
«Le scelte che compiamo sono in parte ciò che siamo e in parte ciò che esse ci renderanno. Che sia fatto il tuo volere.» Con queste parole la giovane sacerdotessa si congedò per andare a recuperare i propri bagagli.
Il trio si rimise in marcia dopo poco tempo, seguendo le indicazioni della piccola. Lei cavalcava su Argo, seduta in braccio a Gabrielle e con voce ferma le indicava la strada da seguire. Non aveva specificato la meta del loro percorso, ma la poetessa sentiva di potersi fidare. Meskhenet aveva insistito per accompagnarla, “Comunque non ho di meglio da fare” aveva sentenziato.
A Gabby la sua compagnia non dispiaceva, lei le raccontava delle sue avventure e l’altra stava ad ascoltare incantata, mentre la bambina parlava solo per indirizzarle, ripiombando nel mutismo per il resto del tempo.
«Davvero hai risvegliato i Titani?»
«Sì, ma è stato moltissimi anni fa. Ero ancora così giovane… Dovevo avere più o meno la tua età.»
«Solo che io non ho ancora fatto nulla di così emozionante!»
«Io non lo avrei definito solo emozionante. All’inizio è stato bello, ma quando la faccenda si è fatta seria ho temuto per la mia vita e per quella di molti innocenti. Fortunatamente non ho mai dovuto affrontare un problema da sola, avevo sempre la mia compagna con me.»
Un breve minuto di silenzio precedette le parole di Mesk: «Cosa le è successo? Perché non è qui con te anche per questa avventura?»
Gabrielle rimase silenziosa e l’altra capì di aver toccato un tasto dolente. «Non volevo rattristarti, scusa. È solo che ne parli in continuazione, eppure non l’hai mai chiamata per nome neppure una volta e...»
«Xena» la interruppe all’improvviso «Io ero la compagna della Principessa Guerriera e sono qui perché sono stata convocata in sua vece» con quelle parole intendeva chiudere lì la questione.
Mesk sembrò soffrire del cambio improvviso di umore della sua nuova amica, probabilmente le sarebbe piaciuto sapere di più, ma Gabby non era propensa a tornare sull’argomento.
«Dove ci stai portando?» chiese la donna bionda rivolta alla bambina quando iniziarono a dirigersi verso le dune fuori città.
«Devi avere fede e seguire le mie indicazioni. Se farai come richiesto prima che la luna sia alta nel cielo arriveremo.»
Il loro viaggio proseguì su un percorso che sembrava costeggiare il deserto e spesso furono costrette ad inoltrarsi nella sabbia per procedere più spedite rispetto ai carri che percorrevano con loro la strada.
Come Masika aveva annunciato, poco dopo che fu calata la notte, sempre avvolte dal silenzio, arrivarono a destinazione.
Il tempio era enorme, molto più grande e maestoso degli altari della città. Era decorato in ogni sua parte da bassorilievi dipinti e colossali statue che fissavano con sguardo torvo le tre figure in avvicinamento. Non si riusciva a distinguerne i particolari per via della scarsa luce che offrivano le stelle e la luna ancora bassa, ma era chiaro che quello fosse il luogo di culto di un dio molto importante.
Si fermarono davanti ad una rampa di scale che conduceva ad un portone, sarebbero state obbligate a proseguire a piedi.
«Da qui in avanti» disse la piccola rivolta a Gabby «Puoi proseguire solo tu. Mi è stato riferito che persino i sacerdoti sono stati allontanati per permettere questo colloquio.»
Gabrielle deglutì rumorosamente. Era nervosa, non sapeva cosa l’aspettasse. Avrebbe voluto essere accompagnata o da Masika o da Meskhenet, o almeno da Argo, invece doveva affrontare quella prova da sola.
Salì con calma i gradini e più si avvicinava alle grandi porte più ne poteva cogliere le decorazioni, simili a quelle che ornavano il resto della struttura. Si ripromise di osservarli meglio, magari alla luce del sole.
Quando mise piede nel tempio vero e proprio udì le porte chiudersi alle sue spalle e sobbalzò. L’interno era illuminato da poche candele, l’aria era calda e satura di incenso.
«Benvenuta, ti stavo aspettando.»
Non riusciva a distinguere l’origine della voce. Sembrava provenire da tutto intorno a lei.
«Questa notte ti farò una sola domanda, poi domani tutto ti sarà rivelato. Comprendi quello che dico?»
Gabrielle non poté far altro che annuire rivolta verso la grande statua che occupava il centro della sala.
«Sei pronta a qualsiasi cosa per avere ciò che vuoi?»
«Sì» rispose con fermezza.
«Anche se il prezzo del fallimento fosse la tua anima?»
La poetessa esitò.
«Tutto, mia cara, ha un prezzo e ciò che tu brami richiede il prezzo più alto, ma nel caso portassi a buon fine il tuo compito, allora otterresti la tua tanto agognata felicità. Allora, ripeto: sei pronta, anche se il prezzo del fallimento fosse la tua anima?»
Inspirò a fondo, fino a sentire i polmoni bruciare per via degli incensi.
«Non mi importa il prezzo, farò tutto ciò che sarà necessario per riportarla da me.»
 
Nota dell'autore: prima di concedere il solito spazio ai ringraziamenti, volevo solo farvi sapere che i nomi utilizzati sono nomi veramente appartenenti alla tradizione egizia e i loro significati sono molto simili a quelli da me riportati. Più avanti, sperando di continuare, ho intenzione di utilizzarne altri, anche in riferimento alle divinità, quindi metto le mani avanti dicendo che, nel caso stravolgessi qualche dogma del pantheon egizio, è tutto a fini di intrattenimento. Non voglio attirare su di me la furia di Ra. Adesso viene il momento delle scuse per non aver caricato prima il capitolo, ma purtroppo questo è un brutto periodo e ci sono mille altre cose che richiedono la mia attenzione. Giunge infine il solito spazio dedicato ai ringraziamenti a voi lettori, alla mia correttrice Wislava e aggiungo un grazie speciale a 5vale5 per i suoi genitili e puntuali commenti. Alla prossima, spero presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Domande e risposte ***


CAPITOLO 4: Domande e risposte
 
You are, you are
The only thing that makes me feel like
I can live forever, forever
With you, my love

(The Airborne Toxic Event – Timeless)
 
Quando Gabby uscì dal tempio il mondo era ancora immerso nell’oscurità della notte. Masika la stava aspettando al fondo della scalinata, come se non si fosse mossa di un passo da quando l’aveva lasciata. Notò invece la mancanza di Mesk e Argo, ma non se ne preoccupò, quelle due non potevano essere andate molto lontano.
«Mi hai aspettato qui tutta sola?» chiese Gabrielle quando si trovò faccia a faccia con la bambina.
«Certo, sono stata incaricata di vegliare su di te e guidarti nel tuo viaggio, devo obbedire al volere degli dei.»
«Capisco, ma non vuol dire che devi privarti del sonno o del cibo. Abbiamo viaggiato tutto il giorno e non abbiamo decisamente banchettato tra una duna e l’altra per cui potevi andare a mangiare e a riposarti.»
La piccola scosse la testa. «Io farò solo quello che mi verrà comandato di fare.»
«Allora ti comando di guidarmi alle cucine di questo posto dove insieme faremo una cena decente e poi andremo a dormire.»
Masika sorrise. Anche se non voleva darlo a vedere, era stanchissima, non era mai stata così lontana dal tempio di Heqet e la cosa l’aveva molto spossata.
Uno dei sacerdoti le aspettava nel complesso centrale e aveva con sé un piatto fumante di carne di dromedario. Le due furono molto contente di poter mettere qualcosa sotto i denti e appena ebbero terminato il pasto fu indicata loro la strada per la camera da letto che era stata loro assegnata.
Meskhenet era seduta su una stuoia e gioì nel veder arrivare le sue compagne di viaggio.
«Allora? Cosa è successo?» era curiosa di sapere.
Gabby si preparò a rispondere, ma Masika intervenne prima che potesse parlare: «Non credo che dovresti rivelarcelo. Se gli dei hanno voluto un colloquio privato probabilmente non desiderano che altri sappiano quanto vi siete detti.»
In realtà non c’era molto da rivelare e persino la poetessa aveva capito poco di quanto era accaduto al tempio, ma la bambina aveva ragione, quindi decise di tenere per sé il breve dialogo con la voce misteriosa.
«Dov’è Argo?» chiese per cambiare argomento.
«L’hanno portata insieme agli altri animali, credo» fu la risposta di Mesk.
«Vado a vedere come sta.»
«Ma è solo un cavallo…» sbottò la donna egizia.
Gabrielle la fulminò con lo sguardo. Nessuno poteva sminuire Argo in quel modo, ma evitò di cominciare una discussione, semplicemente si voltò senza dire nulla e andò in cerca delle stalle.
La giumenta color miele era stata sistemata in modo da avere molto spazio per muoversi, le avevano portato acqua fresca e cibo, veniva trattata come un’ospite di riguardo. Gabby fu contenta di vederla tranquilla nonostante le continue novità della giornata.
«Tutto bene piccola?» le domandò carezzandole il collo. L’animale nitrì piano, come per risponderle. «Ci sono buone nuove, ma non so se te ne posso parlare apertamente. Sappi solo che se tutto andrà bene torneremo tutte insieme, come una famiglia.»
Si allontanò solo dopo aver coccolato ancora un po’ la sua quadrupede compagna di avventure. «Sarebbe ora anche per me di andare a riposare» erano state le sue parole di congedo.
Tornata in camera trovò Masika che dormiva raggomitolata sotto una coperta, Meskhenet invece era ancora sveglia.
«Mi spiace averti offeso prima. O aver offeso la tua cavalcatura. Non era mia intenzione» sussurrò così da non disturbare la bimba.
«Non importa, forse è anche colpa mia, sono stanca e nervosa. Ho esagerato. Domani avremo scordato tutto.»
Si sdraiarono e in pochi minuti si trovarono tra le braccia di Morpheus.
 
«La Barca solare ha cominciato il suo percorso attraverso il cielo» annunciò Masika con voce squillante «È ora che tu torni nel tempio.»
Gabrielle mugugnò e ignorò le parole della ragazzina.
«Forza!» riprese allora con insistenza, scuotendo la donna per una spalla «Se la prenderanno con me se farai aspettare gli dei!»
Con molta fatica la poetessa si mise a sedere e si stropicciò gli occhi. Anche quella notte aveva dormito male, tormentata dai ricordi e dai rimorsi, si sarebbe concessa molto volentieri un altro paio d’ore di riposo. «Dammi solo un minuto e sono pronta» rispose con uno sbadiglio.
Aveva ancora gli stessi abiti con cui era scesa dalla nave, la sera prima aveva a malapena avuto la forza di togliersi l’armatura. Le sembrò opportuno apparire al meglio per quell’incontro così importante, così decise di indossare la sua vecchia tenuta da “apprendista” guerriera. Xena lo avrebbe apprezzato.
Quando fu pronta, la Rana Gialla la riportò al tempio. Come si aspettava, la struttura era magnifica, ma alla luce del sole i suoi colori le donavano un aspetto a dir poco grandioso, si sarebbero potute spendere ore ad osservarne le decorazioni, ma lei non aveva tempo a disposizione.
Masika la spinse a viva forza nella grande sala e la lasciò nuovamente sola.
«Sono tornata.» Le sue parole rimbombarono a lungo. Gabby si guardò attorno alla ricerca di un segno di vita, ma la fioca luce delle candele e la lieve cortina di fumo rendevano tutto confuso ed indefinito.
«Sono lieta di rivederti.»
Quelle parole erano venute dalla statua, la stessa a cui si era rivolta la sera prima. Quella volta si concentrò e la studiò meglio: era la figura di una donna con grandi ali spalancate sotto le braccia. La giovane cercò di ricordare cosa avesse letto riguardo quella divinità, ma la sua mente era annebbiata come l’aria che respirava.
«A chi ho l’onore di rivolgermi?»
«Abbi pazienza ancora un secondo» la frase fu accompagnata da un movimento proveniente da dietro l’imponente scultura.
La poetessa strizzò gli occhi e a poco a poco dalla cortina grigiastra si fece avanti una figura umana. Avanzava lenta, ma quando si trovò a pochi passi da Gabrielle lei potè osservarla meglio. Era una donna ormai avanti con gli anni, sembrava quasi impossibile che la sua delicatissima pelle fitta di rughe potesse tenere insieme il resto del corpo. I suoi capelli erano candidi, raccolti con eleganza, e contornavano gli occhi, magistralmente truccati. “Fragile” era la parola per definirla al meglio, un’anziana signora, bellissima nella sua semplicità. Ma una cosa tradiva la sua natura non umana: la voce, troppo potente e melodica per appartenere all’esile figura che la emetteva.
«Adesso preparati bambina, devo raccontarti molte cose e non mi rimane molto tempo. Come puoi vedere il mio corpo non sarà in grado di resistere a molti altri viaggi della barca di Ra.»
Gabby era impotente, annuì e si preparò ad ascoltare.
«Io sono Isis. Per meglio dire sono la dea in una sua manifestazione terrena. So che nella tua terra gli dei hanno forma umana e possono muoversi tranquillamente tra il loro mondo e quello degli uomini, noi invece seguiamo regole diverse. Le divinità maggiori, come me, hanno solo forma di spirito, ma possono agire attraverso il corpo di alcuni mortali, ovvero le manifestazioni terrene. Hai già conosciuto Heqet, attraverso la bambina che ti ha accompagnato qui, anche se lei non è ancora esperta abbastanza per lasciare che la dea parli attraverso di lei direttamente. Io sono sul punto di abbandonare questo vecchio involucro, un altro mi aspetta nel luogo dove immagino ti dirigerai a breve, ma meglio procedere con ordine. Innanzitutto devi sapere che io sono la dea della magia, a me appartiene la competenza della maggior parte degli avvenimenti prodigiosi di questa regione; ma sono anche la protettrice del matrimonio, delle relazioni affettive e della famiglia ed è questo che ha portato la tua situazione alla mia attenzione. Qualche tempo fa uno dei miei adepti mi riportò la notizia della morte della Principessa Guerriera e io, essendo a conoscenza del vostro legame, ho deciso di offrirti una seconda possibilità.»
La poetessa aprì la bocca per interrompere il discorso, ma Isis sembrò leggerle nel pensiero. «So bene che è stata Xena stessa a sacrificarsi per porre rimedio a tutti gli errori del suo passato, ma ora che ha pagato per i suoi sbagli ha diritto anche lei a godere il suo presente senza tener conto del male compiuto anni fa. Io dispongo di un incantesimo in grado di riunirvi, ma, come ti ho già anticipato, il prezzo del tuo fallimento sarebbe la tua stessa essenza.»
«In che senso?»
«Il tuo spirito verrebbe distrutto nel processo magico, questo bloccherebbe il tuo ciclo di reincarnazione, impedendo a te e alla tua anima gemella di riunirvi anche nel futuro, per questo devi riflettere a fondo prima di prendere una decisione definitiva.»
«E se accettassi, cosa dovrei fare?»
«Dovresti recarti ad un mio tempio costruito appositamente per la pratica della magia, là io ti accoglierei attraverso un’altra mia manifestazione.»
«C’è altro necessario per questo incantesimo, oltre la mia anima?»
«Certo, il tuo Chakram. È un potente collettore magico ed è l’oggetto necessario per generare la stregoneria, è per questo che ho specificamente mandato a cercare la ragazza con il cerchio rotante.»
«Ci sono altre condizioni di cui non sono a conoscenza?»
«No cara, credo di averti comunicato tutto.»
«Per caso ci sono pericoli all’infuori del mio personale fallimento?»
«Non molti. La difficoltà maggiore la potresti incontrare nel caso ti imbattessi in uno dei nostri semidei. Vedi, loro a differenza delle divinità maggiori, non sono immortali e potrebbero volere il tuo Chakram per usare il suo potenziale per guadagnare un potere sempre maggiore, fino ad ottenere la tanto agognata vita eterna.»
«E come posso proteggermi da questi semidei?»
«Non devi temerli, con Masika al tuo fianco non oseranno avvicinarsi a te. Per sicurezza, però, non fidarti degli estranei.»
Passò un breve momento nel silenzio assoluto, prima che Gabrielle ponesse l’ennesima domanda: «Quanto tempo ho per pensare alla vostra offerta?»
«Non molto, temo. Più tempo rimani qui con il tuo prezioso cerchio, più diventi un bersaglio. Devi deciderti in fretta e metterti in viaggio il prima possibile.»
«Ho deciso.»
«Così in fretta?»
«Voi stessa avete detto di essere a conoscenza del mio legame con Xena, sapete bene che farei qualsiasi cosa per riaverla con me. Non mi importa dei rischi, lei ha messo in gioco la sua stessa vita per salvarmi, innumerevoli volte. Lei è tutto per me, è l’unica in grado di farmi sentire viva. Io voglio accettare la vostra offerta.»
«Non posso che essere felice di sentirti dire queste parole. Sapevo che il tuo cuore nobile e il tuo amore puro ti avrebbero resa degna del mio favore.»
«Cosa intendete dire?»
«Se tu avessi esitato non ti avrei potuto garantire il mio appoggio, solo coloro che sono pronti a sacrificarsi per la persona amata possono usufruire della mia magia. Io ho convogliato gran parte dei miei poteri per riportare in vita mio marito, dopo che era stato fatto a pezzi da nostro fratello, per cui non posso esaudire le richieste magiche di tutti.»
«Quindi ho superato una specie di prova?»
«La prima di una lunga serie. Una volta iniziata la magia non posso sapere cosa ti accadrà, ma sarai messa alla prova più e più volte. Fallisci anche solo uno di questi esami e sarà tutto perduto.»
«Posso parlarvi con franchezza? Non siete molto incoraggiante…»
La vecchia rise. «Lo so bambina mia, ma devo metterti un po’ di paura, è per il tuo stesso bene. Se prendessi con troppa leggerezza questa missione potresti fallire prima di quanto immagini.»
Gabby si lasciò sfuggire un sorriso. Isis le piaceva.
«Penso che il nostro incontro per questa volta possa dirsi concluso» sentenziò la dea.
«Non mi avete detto come raggiungere il vostro tempio della magia…»
«Di questo non devi preoccuparti, Heqet conosce la strada.»
«Allora questo è un addio?» la bionda sentì una lacrima scivolare lungo la guancia, ma non era tristezza ad averla generata, era il simbolo di un misto di gioia e gratitudine, anche se le dispiaceva salutare quella simpatica donna.
«Vedilo più come un arrivederci. Ci rincontreremo, solo che una di noi due sarà molto più giovane e carina.»
«Immagino stiate parlando di me!»
Scoppiarono entrambe a ridere.
«Questo è uno dei motivi per cui mi piaci ragazza: sei simpatica e spontanea, Xena è molto fortunata ad averti incontrata.»
«Grazie.»
«Adesso vai, non vorrai farla aspettare ancora? Più tempo perdi qui, meno ne avrete da trascorrere insieme in futuro!»
«Non potrò mai ringraziarvi abbastanza…»
«Non importa. Su, mettiti in viaggio. Scommetto che Masika ha già preparato tutto. In tre o quattro giorni dovreste giungere a destinazione.»
La conversazione si concluse con quelle parole e ad un cenno di Isis comparvero tre sacerdoti che scortarono Gabby fuori, dove, come la dea aveva detto, la bimba bionda attendeva il ritorno della poetessa. Con lei c’erano anche due dromedari, Meskhenet e, ovviamente, Argo, già sellata e pronta a partire.
«Allora, tutto bene?» chiese Mesk quando tutte furono in sella.
«Sì, tutto bene» rispose Gabrielle, poi si rivolse alla bambina, appollaiata in modo precario sulla gobba della sua cavalcatura «Guidaci, Rana Gialla.»
La piccola sorrise e si diresse verso l’immensa distesa di sabbia seguendo il sole che brillava nel cielo del mezzogiorno.
 
Nota dell'autore: benritrovati, sono felice di essere riuscita a cairicare questo capitolo prima di quanto pensassi e a breve (ma non troppo) arriverà anche il prossimo, per ora spero vi siate goduti questo. Il solito e sempre dovuto grazie a wislava per il suo supporto e grazie a 5vale5 per i suoi commenti. Per ora è tutto gente, ricordatevi che sono sempre aperta a critiche e suggerimenti, quindi se avete qualcosa da ridire lasciate pure una recensione. Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Notti tra le dune ***


CAPITOLO 5: Notti tra le dune
 
Living in a world so cold, wasting away
Living in a shell with no soul since you’ve gone away
Living in a world so cold counting the days since you’ve gone away
(Three Days Grace – World so cold)
 
«Fa sempre così freddo di notte nel deserto?» domandò Gabby, stringendosi nella propria coperta.
«Non cala la temperatura da dove vieni tu?» le domandò Meskhenet.
«Sì e probabilmente fa più freddo che qui, ma non mi aspettavo che dal sentirmi cuocere la testa sarei passata al sentirmi gelare il sangue nelle vene!»
«In effetti per chi non ci è abituato può essere abbastanza scioccante» rispose con una risata Masika.
«Tu vedi di ridere un po’ meno e dormire di più!» la rimproverò la poetessa «Alla tua età dovresti andare a letto insieme al carro di Apollo.»
«Il carro di chi?» domandò curiosa.
«Apollo, il dio del sole.»
«Ma è Ra il dio del sole! Lui e la sua barca solcano il cielo superiore di giorno e poi di notte viaggiano nel cielo inferiore, risorgendo ad ogni alba.»
Gabrielle non sapeva come ribattere, in fondo il sole era uno solo, non potevano esserci due divinità ad occuparsi dello stesso compito. Oppure sì? Cominciò a tormentarsi riflettendo su chi potesse avere ragione, intanto le altre due proseguivano nel raccontarsi le varie leggende riguardo i loro dei.
«Adesso basta arrovellarti così» disse Mesk scuotendo dolcemente Gabby «Questa giornata è stata dura per tutte noi, quindi è il momento di riposare.»
«Ma qualcuno deve fare la guardia contro i predoni!» esclamò la bambina «Di notte attaccano i viaggiatori indifesi.»
«Per questo non abbiamo acceso il fuoco» le rispose la donna egizia «Se no saremmo un bersaglio facilmente individuabile.»
«Masika non ha tutti i torti però» intervenne Gabrielle «Dovremmo istituire dei turni di guardia anche se siamo solo in due e tu… beh, nel caso ci attaccassero… non so quanto possa essere di aiuto, sei disarmata…»
«Oh, tu credi?» così dicendo sfilò dalla sua bisaccia una corta spada curva «Questo è un khopesh, una lama tipica di queste parti. Non me ne separo mai.»
«Ma quindi anche tu sei una guerriera?»
«Preferisco definirmi come una girovaga a cui piace viaggiare sicura.»
Gabby in fondo non ne fu molto sorpresa, dal primo istante in cui aveva posato lo sguardo su di lei aveva percepito qualcosa. Quella giovane le aveva ricordato se stessa, ma più tempo spendevano insieme, più si rivelava simile a Xena, si sarebbe quasi aspettata di vederla usare le tecniche di digitopressione o lanciare il Chakram.
«Allora comincia tu, quando la luna è alta nel cielo ti do il cambio» concluse la poetessa.
«Affare fatto. Vedi di riposarti bene, ci aspettano ancora molti giorni di viaggio e nessuno vuole che la tua missione divina sia compromessa dalla mancanza di sonno» le rispose con un sorriso.
Gabrielle ricambiò sorridendo a sua volta, poi si coricò su un fianco. Osservava i due dromedari e Argo riposare tranquilli poco distanti, sopra di lei stelle luminose danzavano al ritmo del vento del deserto. Per la prima volta dopo molto tempo si sentì tranquilla nel lasciarsi andare al sonno. Sembrava passato un secolo, invece era stato appena poche ore prima che Isis le aveva fatto la sua offerta, ridonandole tutta la speranza di cui aveva bisogno.
La pace del riposo durò ben poco. Gabby si sentì scuotere con forza e l’istinto le fece portare le mani ai sai.
«Ferma! Sono io!» Mesk la fissava con aria preoccupata. I suoi occhi dorati calamitarono l’attenzione della poetessa, lei non ci aveva fatto caso prima, ma alla luce della luna sembravano pepite. In realtà non si era mai soffermata ad osservare la sua nuova compagna di viaggio. Era senza dubbio molto bella eppure dall’aria saggia, nonostante la giovane età. I capelli scuri, tipici del suo popolo, non facevano altro che sottolineare lo sguardo brillante.
«Siamo in pericolo!»
Gabrielle fu costretta a tornare coi piedi per terra, se c’era una minaccia doveva essere pronta ad intervenire.
«Non ho avuto il coraggio di svegliare la bambina, ma ho visto una luce apparire e scomparire tra le dune. Sono quasi certa che si tratti di un segnale, un gruppo di predoni deve averci accerchiate e ci salteranno addosso da un momento all’altro!»
«E cosa possiamo fare?»
«Combattere fino alla fine. La scarsa visibilità giocherà a nostro vantaggio, ma dobbiamo essere pronte ad una fuga di emergenza nel caso fossero troppi.»
L’altra annuì, poi entrambe estrassero le armi e si prepararono.
Per lunghi minuti non accadde nulla, ma ad un tratto lo sbuffare di una cavalcatura tradì i loro assalitori. In pochi istanti piombarono su di loro. Erano sei uomini, tutti a dorso di dromedari ed armati di spade simili a quella di Mesk, ma dalla forma più allungata.
La ragazza non si fece cogliere impreparata e balzò in direzione di uno dei banditi e lo disarcionò. Atterrarono rumorosamente sulla sabbia e prima che quello potesse reagire, lei gli piantò la lama nella gola. Gabby potè solamente udire il suo gemito disperato prima che la morte lo trascinasse nel Tartaro, o in qualunque altro luogo le anime si recassero in quella terra.
«Concentrati!» le urlò la compagna vedendola distratta «Proteggi la piccola!»
I sai si mossero rapidi, guidati dalla mano esperta, e andarono a ferire la coscia di un nemico per poi piantarsi nel suo torace dopo averlo trascinato a terra. La poetessa sentì il sangue imbrattarle le braccia, ma si consolò del fatto che almeno non fosse il proprio. Il suo sollievo durò poco poiché vide uno dei quattro predoni rimasti avvicinarsi rapido a Masika. Era smontato dal dromedario e si muoveva come un’ombra. Gabrielle non ebbe altra scelta se non quella di scagliare uno dei sai sperando di colpirlo. Gli anni di pratica diedero i loro frutti: l’arma si conficcò con forza nel petto del bersaglio, che cadde con un tonfo, senza più rialzarsi.
I tre sopravvissuti non si lasciarono intimorire. Due stavano cercando di avere la meglio su Mesk, ma lei riusciva tenerli a bada senza troppa difficoltà. L’uomo rimasto solo ebbe appena il tempo di dare una rapida occhiata a Gabby prima che lei lo eliminasse squarciandogli la gola. Ormai la donna era zuppa di sangue e si sentiva sempre più stanca, ma fortunatamente non era ferita.
Nel frattempo, svegliata dal rumore della battaglia, Masika era corsa a prendere le briglie delle loro cavalcature, pronta a scappare.
«Aiuto!» le parole disperate di Meskhenet risuonarono nell’aria gelida.
La donna bionda era troppo lontana da lei, era andata a recuperare il sai che aveva scagliato. Le restava una sola cosa da fare. Raccolse tutto il proprio coraggio, poi sganciò il Chakram dalla cintura e lo lanciò. Il cerchio seguì un preciso arco, fino a colpire il primo bandito, poi, come guidato da una forza magica, andò a ferire anche il secondo e con un ultimo guizzo di vita tornò in mano Gabrielle.
Sentì un tonfo al cuore quando lo afferrò. Era la prima volta, dalla morte di Xena, che usava il suo Chakram e ancora si stupiva di come fosse in grado di maneggiarlo alla perfezione.
«È finita?» chiese la bambina. Si poteva facilmente leggere il terrore sul suo volto. La sua innocenza era perduta per sempre, probabilmente quel trauma l’avrebbe segnata a vita.
«Sì piccola, è tutto finito, adesso sei al sicuro» la rassicurò Gabby abbracciandola.
«Una mano mi farebbe comodo…» le parole giunsero con una nota di biasimo. Mesk si teneva un braccio e zoppicava leggermente. La poetessa accorse in suo aiuto, le mise un braccio attorno al fianco e la aiutò ad avanzare fino al dromedario, non potevano certo restare nel luogo di quel massacro.
«Lascia solo che ti bendi le ferite» le disse vedendo che il braccio dell’amica sanguinava.
«Sto bene…» mormorò l’altra «Ti stai preoccupando per un graffietto.»
«Io non la penso così, quindi ora ti dai una calmata e mi lasci cercare qualcosa che possa andare bene come benda» detto ciò si avvicinò ad un cadavere poco distante e strappò una lunga striscia dalla sua tunica. Nel farlo notò un oggetto curioso appeso al collo del morto: un medaglione dorato. Lo staccò e lo tenne stretto insieme al brandello di stoffa.
«Adesso lasciati curare, poi ci rimettiamo in marcia» annunciò mentre stringeva l’improvvisata benda in modo da fermare il sangue «Ci vorrebbe una fonte o qualcosa di simile per ripulirci da tutto… tutto questo… sporco.»
«A qualche ora di viaggio ci dovrebbe essere un’oasi, ma non sono certa della direzione» si intromise Masika.
«Pensi che riusciremo a trovarla nonostante l’oscurità?»
«Non ne sono sicura, sarebbe meglio aspettare il sorgere del sole…»
«Va bene, però allontaniamoci comunque di qui. Loro» disse lanciando un’ultima occhiata ai corpi senza vita «Attireranno solo guai.»
Dopo aver aiutato Meskhenet a montare in sella, si lasciarono alle spalle quello scempio, abbandonando i resti alle sabbie.
 
Quando arrivarono all’oasi, il giorno seguente, il sole era alto e il caldo insopportabile. Avevano tutte bisogno di un bagno e Argo, per quanto fosse resistente, doveva bere e rifocillarsi, lei non era abituata al deserto.
Il posto non sembrava molto frequentato, c’erano due costruzioni simili a capanne, ma nessuna traccia di un inquilino. Il resto era colonizzato da lucertole, un paio di palme e un gruppo di cespugli che erano cresciuti nei pressi dello specchio d’acqua.
«Per prima cosa io mi tuffo!» annunciò Mesk scendendo dal dromedario, ma si rese presto conto del madornale errore: la gamba, che aveva ricevuto un brutto colpo durante la lotta, non resse il suo peso e la fece ruzzolare per terra.
Gabby si lasciò sfuggire una risata, poi smontò da cavallo per aiutare l’amica. «Dovresti stare più attenta, non tutti si fermerebbero ad aiutarti.»
«Tu si però!» le rispose l’altra «Ed è anche per questo che mi piaci» quelle parole furono pronunciate con innocenza e sincerità, ma la poetessa ne rimase molto colpita. Cercò di non pensarci mentre sistemava i loro pochi averi, prima di prepararsi per una rigenerante immersione.
Masika aveva insistito per un po’ di privacy, quindi l’avevano lasciata sola a nuotare, ma intanto lei non era coperta di sangue dalla testa ai piedi quindi le due donne non avevano avuto nulla da obiettare.
«Noi dovremmo lavarci con un secchio o qualcosa di simile» suggerì Mesk «Proviamo a vedere se dentro quelle baracche c’è qualcosa che fa il caso nostro.»
Trovarono una tinozza che doveva essere lì da tempo immemore. La riempirono d’acqua e a turno si pulirono al meglio, poi raccolsero tutti i vestiti e li misero in ammollo così da sperare di poterli recuperare.
«Adesso che siamo un po’ meno sanguinolente e che abbiamo svolto il nostro ruolo di lavandaie propongo di concederci un bel bagno» disse Gabrielle osservando l’invitante pozza che riluceva sotto i raggi del sole.
La Rana Gialla stava ancora sguazzando beata, quasi dimentica degli orrori della notte passata, quando fu raggiunta da una furia bionda lanciata in una corsa sfrenata. A pochi passi dall’acqua spiccò un salto, atterrando in acqua con una marea di schizzi. Dietro di lei arrivò Mesk che, nonostante la gamba dolorante e il braccio fasciato, non era intenzionata a perdersi il divertimento.
«Ma dai!» si lamentò Masika «Siate serie! Sono io l’unica che si sta comportando da adulta qui!» Le altre non la stavano a sentire, si spruzzavano a vicenda e tentavano di annegarsi per gioco, come due bambine.
«Fai piano Gab! Ti ricordo che sono stata ferita in battaglia!» disse Mesk indicando la fascia, dopo essere stata colpita per errore dalla poetessa.
«Mi spiace… Ma sei sicura che non sia una scusa perché sai di non avere speranze contro di me?»
Con una risata tornarono a giocare sotto lo sguardo sconcertato della loro piccola compare.
Rimasero a lungo in acqua, era rilassante e la frescura permetteva di distrarsi dal calore insopportabile. Quando il sole si fece basso all'orizzonte uscirono, stanche, ma felici.
Dopo un veloce pasto a base di carne salata e frutti secchi, le due donne costrinsero Masika a dormire. Fu una lunga lotta perché la bambina aveva paura di svegliarsi nuovamente sotto attacco, per fortuna Gabby e parte del suo repertorio di leggende e avventure bastarono a farle chiudere gli occhi.
«Bene, a questo punto tu dormi e io veglio» stabilì la poetessa. Meskhenet non ebbe nulla da obiettare e si coricò vicino alla piccola addormentata.
La bionda uscì dalla capanna per lasciarle dormire in pace e si mise ad osservare l’oasi immersa nella quiete notturna. Le palme ondeggiavano leggermente per via della brezza e la temperatura calava notevolmente e in fretta, tanto che fu costretta ad alzarsi per prendere una seconda coperta. Decise di sfruttare quella che usava come sottosella di Argo, così si avvicinò alla giumenta e, visto che le capitò tra le mani, portò al suo luogo di vedetta anche la bisaccia.
Dopo essersi avvolta a dovere nelle coperte, si mise a frugare trai propri averi e trovò lo strano medaglione che aveva recuperato dal predone. Nonostante fosse fatto d’oro non lo si poteva definire un gioiello, sembrava più un simbolo di appartenenza a qualche setta o confraternita. Su un lato c’erano una serie di incisioni incomprensibili per la poetessa, ma sull’altro lato c’era incisa una testa felina di profilo, con i denti ben in vista. Si rigirò l’oggetto tra le mani chiedendosi cosa significasse per quegli uomini.
Il tempo sembrava non voler passare. Le stelle, ogni volta che alzava lo sguardo, sembravano nella stessa posizione, immobili, come la luna. Anche lei era stanca e voleva concedersi un po’ di riposo, ma il dovere di guardia le impediva di lasciarsi vincere dal sonno.
I brividi la scossero e desiderò più che mai che Xena fosse lì con lei, per starle vicina, sentire il calore del suo corpo. Il mondo mi sembra così… così freddo senza averla qui. Come ho fatto a resistere fino adesso senza di lei?
Purtroppo Gabrielle, trascorsa un’altra ora, si rese conto di aver sopravvalutato le proprie forze e, con lo sguardo ancora perso sulla superficie brillante del medaglione, venne sopraffatta da Morpheus e dal suo invitante mondo.
 
Si ritrovò a vagare nel buio, senza una meta. Andava avanti per inerzia, senza un perché, guidata solo da un  misterioso desiderio interiore.
Ad un tratto un’esplosione di luce la catapultò in un luogo familiare, una radura che tanti anni prima era stata testimone di un toccante momento che era perduto nei ricordi.
Autolycus stava di fronte ad una giovane Gabrielle, che ancora portava i capelli lunghi ed era vestita con l’abito da cerimonia delle Amazzoni.
Io mi ricordo di questo momento…
Lei osservava la scena in terza persona. Vedere se stessa così giovane, con ancora un milione di esperienze da fare, la fece sentire vecchia e stanca.
«Voglio che tu faccia una cosa» disse l’uomo, ma lei sapeva che era Xena a parlare attraverso il corpo del loro amico. «Chiudi gli occhi, chiudili più forte che puoi e pensa a me.» La giovane ubbidì e il paesaggio mutò in un istante, trasformando lo spazio verde e pieno di vita in una landa dai colori plumbei.
«Gabrielle, Gabrielle sono io. Non sono morta» mormorò la Principessa Guerriera che ora si trovava al posto del Re dei Ladri, a quelle parole la fanciulla aprì gli occhi e sorrise. Fece un passo in avanti, ma Xena pose le mani avanti: «Perlomeno non del tutto.»
«Perché?» domandò Gabby con le lacrime agli occhi «Perché mi hai lasciata? Ci sono tante cose che voglio dirti…»
«Gabrielle» la interruppe «Non devi dire nulla. Non abbiamo molto tempo, devi arrivare all’Ambrosia oppure me ne andrò per sempre.»
«Ma non posso perderti di nuovo…»
«Gabrielle» sussurrò Xena avvicinando il suo volto a quello della biondina «Io sarò sempre con te…»
In un istante, non appena le loro labbra si sfiorarono, la radura tornò ad essere quella di sempre e la guerriera mora scomparve lasciando Autolycus spaesato e con la bocca di Gabby poggiata lievemente sulla sua. I due si staccarono dopo un momento con la medesima espressione sorpresa.
«Beh, spero che voi due… abbiate chiarito tutto» disse l’uomo per togliersi dall’imbarazzo.
«Sì, abbiamo chiarito. Grazie, davvero» rispose impacciata la ragazza.
«Oh, ma certo. Per qualsiasi cosa io sono a disposizione di entrambe.»
«Autolycus…» aggiunse Gabrielle dopo un attimo di silenzio.
«Eh?»
«Togli la mano dalla mia natica.»
La bionda spettatrice scoppiò a ridere, aveva quasi rimosso quell’evento. Aveva dovuto salvare la vita a Xena, anche se alla fine la Principessa Guerriera si era praticamente salvata da sola, prendendo il controllo del suo corpo.
Se solo avessi saputo che l’avrei persa di nuovo…
Lo scenario del sogno mutò ancora.
Il sole al tramonto illuminava la cima di una verde collina su cui stavano sedute a contemplare l’orizzonte la guerriera e il bardo. Argo pascolava poco distante, per il resto non si vedeva anima viva.
La spettatrice fissava le schiene delle due figure, intente a discutere.
«Non puoi prenderti il merito di tutto!» si lamentava Gabby.
«Invece sì! Io da sola ho fermato l’intera armata persiana.»
«Ma se non fosse stato per me, quel tizio sarebbe sbucato proprio sulla tua testa, che ora non sarebbe più attaccata al tuo collo!»
«Molto bene, vuoi scrivere che è stato merito tuo? Scrivi pure, ma non puoi nascondere la realtà dei fatti sotto le tue menzogne d’inchiostro» la punzecchiò Xena.
«Oh, e va bene… scriverò che la coraggiosa Principessa Guerriera ha fermato da sola l’invasione dei Persiani.»
«Ecco, così va meglio.»
«Devo omettere la parte dove tu ti riveli un’anima gentile e ti prendi premurosamente cura di me mentre sono in punto di morte?»
«E quando mai questo sarebbe avvenuto?»
«Proprio lo stesso giorno. Vedi, se non ricordi…»
Il resto della frase si fermò a mezz’aria. Gabrielle stava parlando rivolta a Xena, mentre questa fissava davanti a sé, ma poi si era voltata all’improvviso e i loro volti erano a pochi centimetri di distanza.
«Se non ricordi…» mormorò ancora la bionda, ma l’altra le fece cenno di tacere.
La Gabby spettatrice sentì le lacrime agli occhi. Rivedere il loro primo bacio la sconvolse. Vide le labbra, le sue labbra poggiarsi su quelle della mora, eppure non era lei, era un’ombra nel ricordo. Fu un bacio breve, ma intenso. Nessuna delle due era certa di cosa significasse. Si staccarono un po’ imbarazzate e rimasero in silenzio.
Ci eravamo ripromesse di parlarne, ma poi… il ritorno di Callisto, l’ascesa di Hope… la mia morte… non abbiamo avuto la possibilità di parlarci a cuore aperto…
Il mondo onirico si scosse ancora, portandola in un altro luogo, in un altro tempo.
Vide ancora se stessa da giovane, con i soliti abiti da viaggio, seduta davanti ad un piccolo falò, intenta a prendere appunti sulle sue preziose pergamene.
Un lampo di coscienza le riportò alla mente quel ricordo. Quella sera… è stato dopo la morte di Hope e del suo abominio… mia figlia e mio nipote… Dovevamo andare a riprendere Argo e Joxer si era trattenuto nel villaggio vicino… eravamo solo noi…
Non fece in tempo a finire il pensiero che una mora in tenuta da battaglia fece la sua comparsa dal folto degli alberi.
«Ancora ad imbrattare rotoli, Gab?»
«Quello che tu definisci “imbrattare rotoli” è la mia eredità, ciò che lascerò ai posteri.»
«Un bel mucchio di carta igienica?» disse ironica Xena.
«Spiritosa… intanto i miei resoconti sono tutto ciò che rimarrà delle tue imprese, quindi dovresti essermi grata.»
«E perché mai? Io so che cosa ho fatto.»
La bionda sbuffò. Era la centesima volta che avevano quella discussione, ormai la mora continuava solo per il gusto di farle perdere le staffe. Non si poteva vincere una discussione con Xena.
«Senti, mi rifiuto di affrontare per l’ennesima volta l’argomento. Lasciami scrivere in pace.»
«Di cosa ti stai occupando adesso?»
«Della mia…» le parole le morirono in gola.
«Della tua disavventura e del ritorno di Hope?»
«Precisamente…»
La Principessa Guerriera le si avvicinò e le cinse le spalle con un braccio. «Forse dovresti pensare a qualcosa di più allegro prima di dormire, non trovi?»
«Sono aperta ai suggerimenti…» ribattè con una lieve nota di curiosità «Che cosa dovrei narrare?»
«Hm, fammi riflettere…» disse la mora mentre prendeva posto accanto a lei «Che ne dici di scrivere del nostro… sì, del nostro bacio. Te ne ricordi, vero?»
Gabrielle arrossì, ma Xena continuò: «Avevamo detto che ne avremmo discusso, ma sono successe molte cose da allora.»
«Già…» rispose l’altra a fatica.
«Allora ne vuoi parlare adesso?»
«Xena… io non credo…» le parole si fermarono prima di venire pronunciate.
«Se non vuoi parlare» mormorò la mora facendosi sempre più vicina «Potremmo risolvere la questione in altro modo…»
Ormai i loro visi si stavano sfiorando. Gabby lasciò cadere la penna e il rotolo, incapace di reagire in modo lucido, tutto ciò che le importava era perdersi negli occhi cerulei che le erano così incredibilmente vicini.
«Ti ho mai detto che il colore dei tuoi occhi mi ricorda quello dei ghiacciai che abbiamo visto da lontano quella volta…»
«Gab» la interruppe l’altra.
«Cosa?»
«Stai zitta per una volta» e dettò ciò le prese il viso tra le mani e la baciò.
Il mondo per Gabrielle cominciò a vorticare e in un istante si trovò sdraiata sull’erba, schiacciata dal corpo della Principessa Guerriera mentre continuavano a baciarsi. Sentiva entrambi i cuori battere all’impazzata, i respiri farsi più intensi.
«Xena…» mormorò.
«Hm?» mugugnò l’altra sfiorandole il collo con le labbra.
«La tua armatura… mi fa male.»
«E allora cosa aspetti a togliermela?» rispose l’altra maliziosa.
Le mani si muovevano impacciate, sembravano incapaci si sciogliere tutti i lacci.
«Dai Gab, lo hai fatto un milione di volte.»
«Sì… è solo che… questa volta è diverso…»
La mora si sollevò e fissò gli occhi verdi della compagna, sembravano pieni di timore.
«Hai paura? Vuoi che mi fermi?» le chiese dolcemente.
«Io… io no, non voglio che ti fermi. È che… è tutto nuovo per me… e se dovessi fare qualcosa di sbagliato?»
Xena scoppiò a ridere. «Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Lascia che siano il tuo corpo e il tuo istinto ad agire» detto ciò riprese a baciarla con più forza.
La bionda a quel punto si lasciò andare, affidandosi completamente alla mora.
La Gabrielle spettatrice sapeva bene come sarebbe finita quella scena, ma il suo subconscio si rifiutò di mostrarle oltre. Il buio calò sui suoi occhi. Quando li riaprì la radura era lì, il suo doppio addormentato aveva la testa poggiata sul petto della Principessa Guerriera.
Questo non è un mio ricordo… io dormivo…
La mora fissava le fronde sopra di loro, poi ad un tratto sospirò. «Oh, Gabby cosa ho fatto? Ho incasinato tutto…» una lacrima brillò lungo la sua guancia. «Mentre ti cercavo con la tribù delle Amazzoni del Nord ho rincontrato un nemico, qualcuno che credevo scomparso da tempo: Alti la sciamana. Lei mi ha mostrato una visione del futuro in cui… in cui tu morirai, per causa mia. Prima hai parlato dei ghiacciai, che ironia! Verremo crocifisse in mezzo alla neve su una delle tue amate montagne. Tutto per colpa mia. Non ci resta molto tempo e io ti sto dando l’illusione di poter vivere per sempre felici insieme. Sono una stupida!»
La bionda addormentata si mosse leggermente e abbracciò il corpo della mora.
«Oh» mormorò malinconica Xena «Come ho potuto farti questo, amore mio?»
L’altra, come in risposta, la strinse più forte.
«Ti amo Gab, ti amo più della mia stessa vita e se c’è un modo per sconfiggere il destino io lo troverò, te lo prometto. Lo troverò per te, per noi.» Il silenzio della notte fu l’unica risposta che quelle parole ebbero.
Che questo sia un ricordo di Xena? Si ritrovò a riflettere la poetessa, ma poco le importava, quanto aveva sentito l’aveva colpita dritta al cuore.
«Ti amo anche io, più della mia stessa vita…» disse mentre il sogno scompariva per lasciare posto alla realtà.
 
Nota dell'autore: lo so che il capitolo 4 l'ho caricato solo ieri, ma non ho potuto resistere, visto che i due capitoli in principio dovevano essere uno solo. Spero ve lo siate goduto perchè onestamente non so quando avrò tempo di caricare il prossimo capitolo. Ringrazio come al solito wislava e 5vale5, loro ormai saranno stanche di sentirsi dire il perchè; un ringraziamento speciale ai Three Days Grace, per avermi ispirato per anni con le loro canzoni (ne citerò altre all'inizio dei capitoli futuri) e per continuare ad essere la colonna sonora della mia esistenza. Aggiungo un mio breve commento, tanto ho spazio da vendere. Io ho adorato scrivere questa parte della storia, ho potuto rispolverare scene che non invecchiano mai come quella di Autolycus e Gabby presa dall'episodio 2X13 " The Quest"/"Xena alla ricerca dell'Ambrosia", ma ho potuto anche crearne di nuove, riempiendo i vuoti lasciati dal telefilm. Mi auguro che vi sia piaciuto leggerlo almeno un decimo di quanto a me è piaciuto scriverlo. Siete pregati di farmi sapere come la pensate, suvvia, non siate timidi :) Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ciò che il cuore desidera ***


CAPITOLO 6: Ciò che il cuore desidera
 
Hush, it's okay, dry your eye
Dry your eye, soulmate dry your eye
Dry your eye, soulmate dry your eye
'Cause soul mates never die
(Placebo – Sleeping with ghosts)

 
«Non dovevi fare la guardia?» domandò Meskhenet con tono ironico. Era seduta al fianco della poetessa, mentre questa apriva gli occhi  alle prime luci dell’alba.
«Sono mortificata» rispose scuotendosi per allontanare i ricordi ancora troppo vividi dei suoi sogni «Ma ero davvero distrutta…»
«Ma dai, non ti preoccupare» la rassicurò l’altra «L’importante è che non sia successo nulla.»
Si sorrisero, poi Gabrielle si stiracchiò per risvegliare i muscoli, ma così facendo fece cadere il medaglione che aveva tenuto stretto per tutta la notte.
«E questo cos’è?» chiese l’egizia raccogliendolo.
«Speravo potessi dirmelo tu. L’ho preso da uno degli uomini dell’altra sera. Sembra un qualche simbolo distintivo.»
«In effetti ha tutta l’aria di essere un “Voto”.»
«Puoi spiegarti meglio?»
«Quando una persona decide di dedicare la propria vita a servire una divinità, spesso dopo aver ottenuto da lei un qualche tipo di favore, si reca in un tempio, lì un sacerdote presiede la cerimonia del “Voto”. Semplicemente giuri di agire nel nome di quel dio e di eseguire la sua volontà, senza però entrare nel suo ordine sacerdotale e il tutto viene testimoniato da oggetti rituali, come anelli o medaglioni.»
«E tu sai dire a che divinità appartiene questo?»
«Hm…» mugugnò rigirandosi tra le mani il gioiello dorato «Questa testa felina ha tutta l’aria di essere una leonessa… e c’è solo una dea che ha fatto proprio questo animale.»
«Chi è?» domandò incuriosita Gabby, dopo essersi ripresa il monile «Io non ricordo di aver letto nulla su una dea leonessa.»
«Non mi sorprende più di molto. Non è una vera propria divinità, è una semidea.»
La difficoltà maggiore la potresti incontrare nel caso ti imbattessi in uno dei nostri semidei. Vedi, loro a differenza delle divinità maggiori, non sono immortali e potrebbero volere il tuo Chakram per usare il suo potenziale per guadagnare un potere sempre maggiore, fino ad ottenere la tanto agognata vita eterna.” Le parole di avvertimento di Isis risuonarono nella mente di Gabrielle e finalmente l’attacco subito acquistò un senso.
«E chi sarebbe questa semidea interessata a me?»
«Il suo nome è Sekhmet, signora della guerra, del deserto e di molte altre cose poco piacevoli. È venerata da ogni tipo di malvivente e si racconta che, più di una volta, abbia cercato di conquistare questa terra con l’aiuto dei suoi tirapiedi, intenzionata a spodestare i Faraoni. Però ha sempre fallito.»
«Ma ora che sono i Romani a governare non avete paura che possa tornare all’attacco?»
«Non saprei, io cerco di non pensare a questo genere di evenienze e mi godo la pace finchè dura.»
Quelle parole colpirono molto la poetessa. La pace era qualcosa per cui le aveva sempre combattuto, ma che non aveva mai ottenuto pienamente.
«Ma qual è la sua storia?» chiese per tornare al discorso precedente e per distarsi dai magnetici occhi dorati che la fissavano.
«Di Sekhmet? È un racconto che ormai si è perso tra le sabbie. Ci sono talmente tante versioni del mito da sembrare tutte un falso. Dovresti chiedere agli altri dei, loro ti diranno la verità.»
La bionda annuì, poi tornò a concentrarsi sul medaglione.
«Va bene» esclamò Mesk strappandoglielo dalle mani «Sei rimasta anche troppo a lungo qui a rimuginare su questo gingillo. È ora di rimettersi in viaggio! Vuoi o no andare a compiere la tua missione?»
Gabby annuì, poi con uno scatto si alzò e tese una mano all’amica per aiutarla a rialzarsi.
«Guarda che posso farcela anche da sola! La gamba non mi fa quasi più male, era solo una botta» pronunciò quelle frasi con un po’ di stizza, come se l’idea di dover essere aiutata per qualcosa di tanto semplice come mettersi in piedi la infastidisse profondamente.
Incredibilmente simile alla mia Principessa Guerriera, così orgogliosa, coraggiosa, eppure semplice e schietta…
In quel momento dalla capanna spuntò la testa chiara di Masika. I capelli arruffati e il volto sereno sembrarono più splendenti del sole che stava facendo capolino all’orizzonte.
«Mi spiace interrompere le vostre chiacchiere mattutine, ma non sarebbe ora di mettersi in viaggio? Così mentre ci muoviamo potete raccontarmi altre storie!» disse con voce squillante. Le due adulte sorrisero pensando che quella bambina spensierata e gioiosa si stava rivelando un’ottima compagna di viaggio. Si era aperta, lasciando emergere lo spirito fanciullesco che doveva essere stato sempre represso dal senso di dovere ispirato da Heqet.
«Va bene, muoviamoci… prima che Apollo e il suo carro abbiano percorso più strada di noi» le rispose la poetessa, ben sapendo di dare origine ad un dibattito.
«Ma ti ho già detto che non c’è nessun carro! È la barca di Ra!» obiettò la piccola.
Si prepararono continuando a discutere, ma inframmezzando le polemiche con risate incontrollate. Nel trio si era creato un clima piacevole, accogliente, quasi famigliare, il che rendeva quegli scontri più un divertimento che non altro.
Una volta terminata la disputa, senza comunque stabilire chi fosse a fare compiere al sole il suo viaggio nel cielo, la Rana Gialla insistette affinchè Gabby le raccontasse qualche altra leggenda, così, mentre proseguivano nel deserto, tra le sabbie riecheggiarono le gesta di Hercules e Iolaus, gli intrighi di Ares e i disastrosi incantesimi di Aphrodite.
Si fermarono per una breve pausa per rifocillarsi e per sgranchirsi le gambe.
«Dobbiamo ancora proseguire a lungo in questo inferno rovente?» domandò Gabrielle sistemandosi il turbante che aveva improvvisato per proteggere la testa dal sole cocente.
«Tra qualche ora dovremmo incontrare una strada e seguendola arriveremo ad una cittadina che sorge sulle sponde di un ramo minore del Nilo, lì farà più fresco e potremmo passarci la notte. Propongo di farci ospitare nel tempio di Heqet, ci daranno cibo migliore di queste bacche secche e ci permetteranno di dormire sul morbido» disse Masika.
Nessuno ebbe da ridire sulla sua proposta.
Come preannunciato, in breve tempo la sabbia cominciò a lasciare spazio alla terra compatta e dopo poco trovarono la strada. L’aria si fece meno soffocante e il caldo sembrò diminuire, quando poi cominciarono a costeggiare il fiume e il verde animò la monocromia del paesaggio il loro umore migliorò sensibilmente.
Sembra quasi un viaggio di piacere si ritrovò a pensare la bionda Invece con molta probabilità io sto andando a morire… E se decidessi di lasciar perdere? Potrei continuare a fare del bene qui, magari Mesk potrebbe diventare la mia spalla e Masika, una volta cresciuta, potrebbe unirsi a noi…
«A che pensi?» le chiese la donna egizia vedendola così assorta.
«Oh, a nulla di importante…» mentì.
«Non stare a crucciarti, in un paio di giorni arriveremo a destinazione» si intromise la bambina «E finalmente potrai portare a termine la tua missione… Che, tra l’altro, non mi dispiacerebbe sapere in cosa consiste…»
«Sai che non ve lo posso rivelare» rispose la poetessa.
«Su Gab…» la stuzzicò Meskhenet «Solo un indizio… uno piccolo.»
«No ragazze, proprio non posso, credo di aver più o meno fatto un voto di segretezza…»
Le altre due sbuffarono deluse, ma dopo pochi minuti tornarono a chiacchierare amabilmente.
La città che le accolse nel pomeriggio era tranquilla, gli abitanti non sembravano sorpresi o infastiditi dalla presenza delle estranee, anzi, si rivelarono gentili e disponibili, un anziano pescatore si offrì addirittura di ospitarle in casa propria. Gabby però rifiutò. Dopo l’incidente dei predoni aveva deciso di farsi più cauta, Isis le aveva detto di diffidare degli sconosciuti, chiunque di loro poteva nascondere cattive intenzioni, anche se, in realtà, l’uomo sembrava tutto meno che offensivo o potenzialmente pericoloso.
Proseguirono lungo la via principale fino ad arrivare all’edificio che stavano cercando. Il tempio della dea rana sorgeva letteralmente sull’acqua.
«Così possono ospitare le rane all’interno del tempio» aveva spiegato Masika.
«Tengono quelle bestie in un luogo sacro!?» esclamò Mesk.
La bambina la fulminò con uno sguardo.
«Oh, mi spiace, non volevo offenderti» cercò di scusarsi «Intendevo dire che… insomma non avevo mai sentito di rospi tenuti in un tempio per partorienti.»
«In effetti» la supportò Gabrielle «La cosa è alquanto insolita.»
«Beh, nessuno si è mai lamentato con me» disse la piccola, ma il tono della sua voce parve diverso.
Deve essere stata Heqet a parlare…
Fortunatamente l’arrivo di una sacerdotessa tolse tutte dall’imbarazzo di proseguire quella bizzarra conversazione.
Come si aspettavano, furono accolte con mille onori. Offrirono loro frutta fresca e pesce di giornata cucinato con spezie delicate e tutti i fedeli si dimostrarono gentili con le tre viandanti, ma quando Masika sorrideva o li ringraziava i loro volti assumevano un’espressione che dimostrava quanto fossero interessati a compiacere in ogni modo la loro dea.
Giunta la sera un’ancella mostrò alle due adulte la loro camera, Masika, invece, venne condotta in una sala appositamente preparata per lei.
«Qui tutti l’adorano…» commentò Mesk una volta rimasta sola con la bionda.
«E vuoi biasimarli? Devono sentirsi onorati ad avere una manifestazione terrena tra loro.»
«Sì, ma non immaginavo tanto…»
«Credevo che qui fosse normale mostrare una tale devozione.»
«Io personalmente non sono mai stata una persona molto religiosa, quindi faccio fatica a comprendere questo loro fervore… comunque alla bambina sembra fare bene un po’ attenzione.»
La poetessa rimase in silenzio per un po’, poi sorprese l’altra con una frase che mai si sarebbe aspettata di pronunciare: «Forse dovremmo fermarci qui per qualche giorno, intanto non abbiamo fretta.»
Meskhenet la fissò incredula.
«Sì, insomma… a lei farebbe piacere e noi potremmo rilassarci insieme. Questi ultimi giorni sono stati duri per tutte noi.»
«Ma… e la tua missione? Cosa diranno gli dei del tuo ritardo?»
«Lo so, non sarebbe una scelta molto saggia, ma dopotutto questa è la mia vita e ho il diritto di gestirla come decido io. La missione può aspettare.»
«Hm…» fu la risposta dell’altra.
«Non sei d’accordo?»
«Io credo che dovresti fare come meglio credi, ma…»
«Ma?» la incalzò Gabby.
«Penso» disse Mesk «Tu stia cercando di sfuggire al tuo dovere perché hai paura di ottenere quello che realmente vuoi. Hai paura che, una volta conquistato ciò che desideri, si riveli diverso dalle tue aspettative.»
La poetessa non ribatté.
«Non ho forse ragione?»
La bionda annuì.
«Non devi permettere ai tuoi timori di impedirti di agire secondo il tuo cuore. Sei una persona stupenda e hai il diritto di essere felice. Non lasciare che, dopo mille altre avversità, un po’ di incertezza porti via i tuoi sogni.»
Gabrielle aveva le lacrime agli occhi. Tutto quello che la sua amica le aveva detto rispecchiava esattamente i suoi pensieri e gli incoraggiamenti le avevano infuso nuova forza.
La ringraziò con un affettuoso abbraccio.
«Adesso basta con le smancerie, Gab. È meglio fare una bella dormita e domani tornare alle nostre avventure.»
«Grazie Mesk, davvero.»
«Per te, questo ed altro.»
 
Lasciare il tempio, per Masika, fu più difficile del previsto. Sarebbe voluta rimanere vicina ai suoi adoratori, ma il compito che Isis le aveva assegnato doveva venire prima di qualsiasi cosa.
Si rimisero in viaggio prima del sorgere del sole e fino alla sera seguirono la strada che avevano iniziato a percorrere il giorno precedente, per poi tornare verso le dune del deserto.
Trascorsero un’altra notte tra le sabbie, questa volta senza spiacevoli incontri.
«Ormai non dovrebbe mancare molto» annunciò la Rana Gialla il mattino seguente «Se manteniamo questo passo entro domani saremo a destinazione.»
Proseguirono la marcia in silenzio, come se la consapevolezza della vicinanza della meta avesse portato con sé l’idea della separazione. La loro avventura sarebbe finita entro il sorgere del nuovo sole.
Si fermarono, come di consueto, per mangiare.
La bambina aveva insistito per essere lasciata sola a pregare per qualche minuto, così Gabrielle ne approfittò per rivolgere a Meskhenet una domanda che le premeva dentro da giorni.
«Cosa vuoi veramente, Mesk?» le sue parole furono dirette e letali, come un lancio del Chakram.
«Come, scusa?»
«Non me lo hai mai detto, posso spiegare il moto di gentilezza quando mi hai aiutata con Argo la prima volta che ci siamo viste, ma non avevi alcuna ragione per accompagnarmi oltre. Eppure sei qui, al mio fianco, ad un passo dalla meta. Mi hai fatto tutto quel bel discorso sui miei desideri per convincermi a trovare coraggio. Perché?»
«Deve per forza esserci una spiegazione?» cercò di difendersi l’altra «Insomma, sono molto altruista, ecco tutto.»
Gli occhi verdi della poetessa fissarono intensamente quelli dorati della giovane.
«I tuoi occhi non possono mentire, io so che c’è dell’altro. Lo vedo.»
«Io… ehm…»
«Ti ricordi cosa mi hai detto l’altro giorno? “Non devi permettere ai tuoi timori di impedirti di agire secondo il tuo cuore”. Di cosa hai paura? Perché non vuoi parlarne? Io sono tua amica.»
«Io ho paura che tu mi escluda…»
«Escluderti? Da cosa?»
«Da tutto! Non vuoi parlarmi della tua missione e lo capisco, ma non mi hai mai detto cosa farai dopo! Io voglio venire con te! Voglio che mi insegni tutto ciò che sai! Voglio rimanere al tuo fianco e seguirti nelle tue avventure!»
Gabrielle rimase a bocca aperta. I ricordi la travolsero come un fiume in piena.
 
«Devi portarmi con te e insegnarmi tutto ciò che sai! Non puoi lasciarmi qui!»
«Perché?»
«Hai visto il tizio che vogliono farmi sposare!?»
«Mi sembra di animo gentile, è una qualità rara in un uomo.»
«Non è la parte gentile quella che mi dà problemi, è quella da noioso sempliciotto! Xena, io non sono tagliata per questa vita monotona, sono destinata a fare molto di più!»
«Io viaggio da sola.»
 
Meskhenet in quel momento era identica a lei tanti anni prima, così desiderosa di una guida, avida di esperienze. Eppure doveva ricordarsi che Mesk era già una guerriera, sapeva cavarsela, era in grado di difendersi e, soprattutto, non si era fatta problemi ad uccidere. Forse in fondo non era così simile all’innocente ragazza di Potidaea di tanti anni prima.
La ragazza dalle iridi d’oro aspettava una risposta.
«Io non posso prometterti nulla, mi dispiace.»
«Cosa vuol dire?» domandò con voce tremante.
«Vuol dire che la mia missione cambierà tutto e tu ed io… insomma non potrebbe mai andare come vuoi tu.»
«Ovvero?» le parole si facevano flebili, strozzate dal nodo alla gola che il pianto tendeva sempre più.
«Io non sono la persona di cui tu hai bisogno, Mesk» disse con sincerità «Credo che per tutto questo tempo ti sia fatta delle illusioni e la cosa mi spiace, molto.»
«Però tu… tu volevi restare con me! Io ti ho convinto a tornare alla missione!»
«E di questo ti ringrazio, avevo bisogno che un amico mi aiutasse a far luce nell’oscurità che stava avvolgendo la mia mente. Rimane il fatto che io non sono colei di cui hai bisogno.»
«Forse… forse non sei la persona di cui ho bisogno, è vero» rispose abbassando leggermente il capo «Ma sei quella che voglio ora!»
Accadde in un istante. Gabrielle non ebbe tempo di reagire in alcun modo, semplicemente l’egizia si avvicinò e la baciò sulle labbra.
Per un lungo, interminabile, momento, rimasero ferme.
Poi la coscienza di Gabby si risvegliò dalla paralisi. Questo è sbagliato, questo non è quello che deve succedere, non è ciò che voglio.
Allontanò l’altra con uno spintone, tanto forte da farle quasi perdere l’equilibrio.
«No, Mesk. Questo non dovevi farlo.»
«Ma, ma…»
«Hai tradito la mia fiducia. È stato un gesto egoista e adesso hai rovinato tutto, siamo entrambe ferite e io non posso più fidarmi di te.»
«Aspetta! Cosa vuoi fare!?» gridò l’altra mentre lasciava che le lacrime trovassero la loro strada lungo le gote.
«Voglio che tu te ne vada, te ne vada lontano dove io non debba vederti mai più.»
«No Gab! Non lo fare!»
«Non chiamarmi così!»
«Non puoi scacciarmi! Tu hai paura! Hai paura che quello che c’è tra noi sia più forte del ricordo per quella tua Principessa Guerriera!»
«Non osare paragonarti a lei! Tu non sai niente di noi! Non sai cosa c’è nel mio cuore!»
Masika era stata attirata dalle urla e osservava la scena distante, anche lei con gli occhi lucidi.
«Forse non saprò cosa c’è nel tuo cuore, ma tu non mi hai nemmeno dato la possibilità di mostrarti cosa c’è nel mio!»
«Vattene» sibilò la bionda «Vattene di tua spontanea volontà. Non costringermi ad usare la forza…»
Meskhenet, con il volto ancora rigato dalle lacrime, si voltò e andò a prendere il proprio dromedario, montò in sella e partì senza guardarsi indietro.
La Rana Gialla si avvicinò con aria mesta alla poetessa. «Allora?» le domandò «Cosa facciamo? La inseguiamo?»
La donna si asciugò con noncuranza una delicata goccia salata che stava per scivolarle sulla guancia.
«No. Proseguiamo» rispose «Io ho un compito più importante da portare a termine.»
 
Nota dell'autore: ed ecco (finalmente) il nuovo capitolo! Siete sconvolti, eh? Vi prego ditemi di sì, giusto per darmi una minima soddisfazione... Ma bando alle ciance, sono contenta di come la storia stia prendendo forma e si stia evolvendo, nonostante io non abbia molto tempo da dedicarle. Non faccio promesse riguardo l'uscita dei nuovi capitoli perchè dovrei studiare per gli esami invece di scrivere ff, ma non importa... I miei consueti, quasi monotoni, ma pur sempre dovuti, ringraziamenti a wislava e 5vale5 e un grazie anche a chi legge restando nell'ombra, tanto so che un giorno verrete allo scoperto! Fino ad allora, un saluto e a presto (forse).

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ogni fine è un inizio ***


CAPITOLO 7: Ogni fine è un inizio
 
So many thoughts that I can't get out of my head
I try to live without you, every time I do I feel dead
I know what's best for me, but I want you instead
I'll keep on wasting all my time
(Three Days Grace - Over and over)
 
«Stai bene?» domandò Gabrielle alla bambina che cavalcava al suo fianco «Non apri bocca dalla nostra ultima sosta, mi stai facendo preoccupare.»
Masika non rispose, si era chiusa in un ostinato mutismo. Sapeva che l’allontanamento di Mesk era dovuto a qualcosa di male che la ragazza dagli occhi dorati aveva fatto, ma non capiva per quale ragione non avessero nemmeno cercato di sistemare le cose, Gabby aveva cacciato l’altra senza possibilità di appello, l’aveva addirittura minacciata.
«Se credi che sederci a parlarne avrebbe potuto cambiare la mia decisione ti sbagli, non potevo fidarmi di lei. Non avrei mai dovuto» disse la poetessa vedendo l’altra persa nei propri pensieri.
«Ma sembravate andare così d’accordo!» esclamò la piccola rompendo il silenzio.
«Non è questo il punto.»
«Ma cosa ha fatto di tanto male?»
La mente della donna le ripropose in rapida sequenza tutto quello che era successo poche ore prima: la discussione, le urla… il bacio.
«Non sono cose che ti riguardano» tagliò corto «Semplicemente ha oltrepassato un limite che ha distrutto il nostro equilibrio. Per me era solo più di ostacolo alla missione.»
«Non puoi dire così… lei è nostra amica!»
«Adesso basta. In principio il viaggio dovevamo compierlo solo tu ed io, quindi non vedo quale problema ci sia ora che siamo noi due contro lo sconfinato deserto.»
Gabrielle non aveva tutti i torti, la Rana Gialla aveva il compito di guidare la portatrice del Chakram al tempio, tutto il resto non era importante.
Non parlarono fino al calar della notte, ma quando la luna fu alta e loro ancora in movimento, la piccola chiese: «Non ci fermiamo per riposare?»
«Se hai sonno puoi dormire in sella, ma non ho intenzione di accamparmi. Prima arriviamo a destinazione meglio è.»
«Quindi vuoi viaggiare per tutta la notte?»
«Sì.»
«Non sarà necessario, però.»
«Come?» domandò Gabby sorpresa.
«Prima che sorga nuovamente il sole arriveremo alla meta» annunciò Masika.
«Perfetto, una ragione in più per non sostare.»
Con quelle parole la donna spronò Argo ad accelerare il passo, come se il correre verso un probabile suicidio fosse comunque un’opzione migliore dell’aver a che fare con i propri pensieri confusi. Quello che più la tormentava era un costante senso di colpa nei confronti di Xena, sentiva di averla tradita. Non c’era mai stato nessun altro dopo di lei, era certa non ci potesse essere nessun altro.
Ho sempre saputo che lei era l’unica, lei era la mia anima gemella… e ora mi sento così male… Ma dopotutto io sono innocente! Una povera vittima delle circostanze!
Ma ripetersi quelle parole non era abbastanza per alleviare il suo dolore.
Forse dovrei provare a dormire un po’…
Decise di sistemarsi al meglio per riposare, ma mentre si destreggiava per trovare una posizione comoda, qualcosa di freddo le sfiorò il polpaccio. La bionda sobbalzò, portando le mani ai sai per sicurezza, ma si rese subito conto di aver reagito in maniera eccessiva. Il medaglione d’oro con la testa di leonessa era uscito dalla bisaccia e si era impigliato nel suo stivale.
Devo seriamente darmi una calmata pensò intrecciando le dita nella sottile catena del gioiello. Una buona dose di sonno sistemerà tutto…
Il passo leggero del cavallo sulla sabbia e la frescura della notte la condussero dolcemente tra le braccia di Morpheus.
 
Quello specchio, il riflesso con l’ombra di Xena ancora negli occhi… lo stesso sogno di quasi ogni notte.
Poi un altro ben noto scenario: il loro ultimo momento insieme. Le mani pronte ad immergere le ceneri nell’acqua per riportare definitivamente il suo amore in vita. Pochi centimetri da un lieto fine, uno spazio dolorosamente incolmabile.
Dita che si stringevano intorno alle sue per fermare il gesto. Non aveva il coraggio di alzare il viso per sottoporsi allo sguardo di ghiaccio che in quel momento l’avrebbe afflitta più che mai. Ma non poteva opporre resistenza alla forza onirica.
Lentamente ruotò il collo e sollevò la testa, cercando dentro di sé la forza di sopportare il dolore di rivedere la donna che aveva tradito.
Rimase interdetta. Non era la sua amata Principessa Guerriera ad averle afferrato la mano, era Mesk, con i suoi occhi dorati che sembravano volerla trafiggere come saette di Zeus.
«Lasciami in pace!» urlò Gabby divincolandosi dalla presa dell’altra «Non voglio più aver a che fare con te!»
«Non sono qui per tormentarti. Sono qui per darti un consiglio.»
«Come scusa?»
«So che hai paura, temi che, una volta tornata, Xena possa cambiare idea, possa lasciarti.»
La poetessa non fu in grado di rispondere.
«Ma devi riscoprire la fiducia in te, nel vostro amore, se no non riuscirai mai a portare a termine la tua impresa.»
«Come devo fare?»
«Lascia che sia il tuo cuore a guidarti, lui sa che cosa è giusto e saprà essere forte.»
«Tutto qui?»
«Le risposte più semplici sono sempre le migliori.»
«Ma…» mormorò ancora interdetta la bionda.
«Non ci sono “ma”, sii sicura e risoluta, so che puoi esserlo.»
Calò il silenzio. Un milione di domande stava invadendo la mente di Gabrielle, ma tutto quello che fu in grado di dire fu: «Grazie.»
“Per te, questo ed altro” sembrarono risponderle le iridi dorate.
In un istante Meskhenet scomparve, riportando la poetessa ai suoi sogni consueti. La bionda aveva finalmente trovato un senso di pace, l’ombra del dubbio si era dileguata definitivamente. Tutto quello che dopo accadde nel sonno fu gioioso e servì a rinsaldare ulteriormente la sua fiducia.
 
Argo si arrestò quando in lontananza comparve un altopiano, nel quale si distingueva un’imponente ingresso affiancato da enormi statue, scolpite direttamente nella montagna.
Quel movimento svegliò Gabby.
«Siamo arrivate?» domandò con uno sbadiglio.
Nessuna risposta.
«Masika?»
«Hm…»
La bambina cavalcava poco distante. A causa della notte ancora fonda la donna non potè scorgere il suo volto, ma era chiaro che anche lei avesse lasciato il regno di Morpheus da poco.
«È questo il luogo?»
«Sì… Dovrebbe essere…»
«Fammi indovinare» la interruppe «Dentro quella gigantesca roccia?»
«Precisamente!»
«Finalmente…» sospirò la bionda spronando la giumenta.
In pochi minuti arrivarono ai piedi delle sculture e smontarono dalle cavalcature. Attesero che qualcuno venisse a prendere i due animali per portarli ad una stalla, ma nessuno comparve.
«Dici che dobbiamo entrare con loro?» chiese la piccola.
«Non ho certo intenzione di abbandonare qui Argo, quindi direi che possiamo proseguire tutti e quattro.»
Attraversarono il colossale portale e si ritrovarono a camminare in un corridoio scavato direttamente nella pietra. Ogni dieci passi c’era una coppia di candele per illuminare il percorso, per il resto nulla ornava quello strano luogo.
«Tra poco arriveremo in una qualche sala cerimoniale o qualcosa di simile» meditò ad alta voce Masika.
«Lo sospettavo…»
Avanzarono fino ad una porta decorata che ricordava molto quella del tempio da cui erano partite. La Rana Gialla si fermò e guardò in direzione di Gabby.
«Cosa c’è adesso?»
«Non so… è che… dovremmo salutarci.»
«Qui? Ora?»
«Io non penso di poter entrare con te, mi fermerò qui.»
«E dovrei lasciarti da sola? Assolutamente no!»
«Ma non posso venire con te! Gli dei…»
«Fidati» la rassicurò la donna prendendole la mano «Sarai la benvenuta. Nel caso facessero storie ci sarò io a proteggerti.»
«Grazie» mugolò la bambina con le lacrime agli occhi.
«Dai, dammi una mano ad aprire questa porta!»
Spinsero con forza, rivelando un’enorme sala illuminata da centinaia di candele. Statue di ogni forma e dimensione riempivano l’ambiente, i muri laterali erano decorati con affreschi ed arazzi di diversi colori. L’aria era satura di incenso, ma non eccessivamente soffocante. Una grande apertura a mezzaluna permetteva alla luce naturale di entrare ed illuminare la parete di fondo, completamente liscia e spoglia.
Entrarono lasciando liberi Argo e il dromedario di avventurarsi nell’immenso spazio e, a piccoli passi, si avvicinarono al centro della stanza.
«Era ora!»
Gabrielle riconobbe quella voce all’istante.
«Isis!» esclamò «Dove siete?»
Alle loro spalle comparve una ragazza di quindici, forse sedici, anni, con corti capelli neri pettinati in modo da ornare il viso ovale e una lunga tunica bianca che le fasciava il corpo minuto.
«Ti avevo detto che sarei stata molto più carina» disse con una risata.
«Siete assolutamente magnifica» rispose la poetessa.
«Non hai bisogno di adularmi, cara, tu hai già il mio favore!»
Le due risero mentre Masika, rimasta con la bocca aperta e gli occhi sbarrati, non era in grado di muovere un solo muscolo.
«Benvenuta anche a te, Rana Gialla» disse Isis dopo essersi ricomposta.
«Io… grazie Vostra Grazia…»
«Dovreste smetterla con tutte queste formalità!»
«Ma certo! Tutto per compiacervi, o potente regina.»
La dea sbuffò, ben consapevole del fatto che le sue parole non sarebbero state ascoltate.
«Adesso Masika» bisbigliò all’orecchio della piccola «Vorrei che tu ci lasciassi sole. Se prosegui noterai che dietro uno degli arazzi a destra c’è un passaggio, ti porterà ad una sala dove potrai riposare, poi ti verrò a chiamare.»
«Come desiderate…» rispose con tono servile «Posso chiedere un favore prima di andare?»
«Tutto ciò che vuoi.»
«Posso salutare Gabby?»
«Oh, ma certamente!» acconsentì Isis.
Lasciò che le due compagne di viaggio si abbracciassero un’ultima volta, poi indicò alla bambina la direzione da seguire. Poco dopo la figura minuta era scomparsa dalla sala.
«Allora» annunciò, questa volta diretta alla bionda «Hai qualche domanda prima di cominciare?»
«Ho un milione di domande e così tanti pensieri che affollano la mia mente…» ammise «Ma non voglio perdere tempo. Ho viaggiato a lungo, ho affrontato pericoli e rischiato la vita solo per un motivo.»
«Lo so e non è mia intenzione farti attendere oltre. Vuoi procedere?»
«Immediatamente.»
«Perfetto, seguimi.»
La giovane si incamminò verso il fondo della stanza.
«Adesso prendi il Chakram.»
Gabrielle lo sganciò dalla cintura e se lo rigirò tra le mani.
«Conficcalo nella roccia.»
Con un gesto deciso piantò la lama nella parete. Per un istante fu certa che la lama sarebbe rimbalzata, invece il cerchio rotante fendette la parete come si trattasse di stoffa.
«Adesso allontanati…»
«Aspettate» la interruppe la bionda «State per recitare il vostro incantesimo, vero?»
«Sì» rispose l’altra, confusa da quell’intervento «Perché?»
«Beh, volevo solo ringraziarvi, vi devo moltissimo per l’opportunità che mi state concedendo.»
«Oh, figurati, per me è un piacere» rispose con un dolce sorriso «Vuoi abbracciare anche me prima di andare?»
«Lo gradirei davvero molto.»
Gabrielle avrebbe voluto che quell’abbraccio non finisse mai. Il corpo di Isis emanava una strana forza, come un’aura ultraterrena che ispirava calma, ma non era solo quello. In lei sapeva di aver trovato un’amica, anche se avevano avuto ben poco tempo per conoscersi. Prima di staccarsi, la mora le diede un bacio sulla fronte, ma la poetessa non seppe spiegarsi il perché.
«Adesso proseguiamo» disse la dea «O potrei anche mettermi a piangere.»
Gabby rise, non pensando che, forse, quella sarebbe stata la sua ultima risata.
Isis iniziò a pronunciare formule magiche fissando il Chakram e, a poco a poco, la liscia superficie color ocra in cui era infissa l’arma iniziò a ondeggiare, come si trattasse di uno specchio d’acqua. Più le parole rimbombavano nella sala, più la barriera sembrava farsi trasparente e fragile.
Quando la formula finì, il muro, dal colore terreo che aveva, si era fatto nero e simile al vetro. Il cerchio, però, non si era mosso.
«Attraversa il portale e, una volta dall’altra parte, afferra il Chakram, così la tua impresa avrà inzio.»
«Grazie ancora.»
«Buona fortuna, Gabrielle. Ne avrai bisogno.»
«In realtà non mi occorre la buona sorte, io ho già l’amore a proteggermi.»
«Lo so» rispose la dea con un dolce sorriso «Adesso va’. Non so cosa ti attende oltre, ma sappi che ora abbiamo un legame. Quel bacio che ti ho dato, mi permetterà di intervenire se fosse necessario. Così, giusto per sicurezza.»
Gabby aveva finito le parole per esprimere la propria gratitudine, ormai era sull’orlo del pianto.
«Suvvia, non costringermi a spingerti a viva forza!»
La bionda scosse la testa e fissò Isis un’ultima volta, prima di darle le spalle e attraversare la parete.
Quando si voltò per recuperare l’arma, vide che la sala dietro di lei era scomparsa, rimaneva solo la liscissima e scura superficie da cui sporgeva metà del Chakram. Lo afferrò e con un movimento fluido lo sfilò dalla pietra.
«Xena, sto venendo a prenderti…»
 
Masika non aveva resistito. Dopo aver attraversato l’arazzo era subito tornata indietro per osservare cosa stessero facendo Gabrielle e la bella divinità, anche se la saggia voce di Heqet, dentro la sua testa, le aveva suggerito di non disubbidire.
Era rimasta in silenzio ad ascoltare i loro discorsi e ad osservare l’incantesimo, quando però la bionda era scomparsa nel muro senza lasciare traccia, lei non aveva più resistito ed era corsa verso il punto in cui, fino a pochi attimi prima, si trovava la sua amica.
«Non ti hanno insegnato che dovresti sempre ascoltare gli ordini di un dio superiore?» la rimproverò Isis.
«Sì, ma…» si preparò a difendersi «Io ero solo curiosa…»
«Non c’è bisogno che ti giustifichi, per questa volta… adesso che ne dici di andare insieme a trovare un posto per i vostri amici pelosi?» disse la dea indicando il cavallo e il dromedario che si erano fermati in un angolo, come in attesa di ordini.
La bambina annuì contenta.
«Allora prima sistemiamo loro e poi noi mangiamo e facciamo due chiacchiere, va bene?»
Masika sorrise raggiante.
Si presero per mano e fecero per avvicinarsi ai due animali, ma un suono richiamò la loro attenzione.
Un rumore di passi.
«Chi è là?» domandò Isis con voce tonante.
Una risata echeggiò dalla porta d’ingresso ancora aperta. Una figura ammantata prese ad avanzare verso di loro.
«Fermati, in nome degli dei!»
Ma l’intruso continuò la sua avanzata.
«Chi sei!? Che cosa vuoi!?»
Il misterioso individuo, ormai a pochi metri dalle due, si smascherò, rivelando un volto felino su cui trionfava un ghigno malvagio.
«Non… non può essere!» strillò Masika terrorizzata. Isis si trattene, in attesa di comprendere le intenzioni del nemico.
Sekhmet azzardò un sorriso beffardo, che mise ancora più in mostra le sue zanne.
«Tu! Tu! Io non posso credere…» proseguì sconvolta la bambina.
La dea leonessa mantenne la sua espressione trionfante, mentre la luce delle candele faceva brillare le sue bellissime iridi dorate.
 
Nota dell'autore: Rivelazione shock di fine capitolo, come l'avete presa? Che siate rimasti sconvolti oppure no, che siate curiosi di leggere il seguito o meno, dovrete attendere un po' prima del capitolo 8, mi spiace. Prometto, un giorno (probabilmente futuro e molto lontano), di darmi delle scadenze precise, ma non oggi. Devo, come sempre, ringraziare wislava e 5vale5 e tutti gli altri che seguono la storia o anche solo la leggono per curiosità, davvero grazie perchè scrivere senza avere un pubblico non è soddisfacente. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e godetevi la suspense in attesa del prossimo aggiornamento! A presto (ma quanto presto di preciso non si sa).

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cuore di tenebra ***


CAPITOLO 8: Cuore di tenebra
 
I tell the truth
I've been beaten
I've been bruised
I was left for dead as well
I was wrongfully accused
You left me locked inside a cell.

I've been cheated
I've been sued
But I have lived to tell
The more you kick me when I'm down
The more it truly helps.

(Falling In Reverse – The Westerner)
 
Il khopesh sibilò nell’aria. La guerriera di spalle non si lasciò intimorire, attese fino all’ultimo istante, poi si voltò di scatto e afferrò la lama prima di restarne ferita.
«Bella presa Sekh» pronunciò la figura che le si avvicinava sempre più «Sono contento di vedere che i tuoi riflessi non sono stati influenzati dalla tua recente pigrizia.»
«Quella che tu chiami pigrizia, caro zio» rispose la dea leonessa «Io la definisco “organizzare un piano di attacco”.»
«E cosa ti fa credere che questa volta andrà meglio di tutte le altre?»
«Perché questa volta avremo qualcosa che loro non hanno…»
«Lo hai già detto altre volte, innumerevoli volte.»
«Senti, sei libero di ritirarti se hai paura, ma prima ti pregherei ti avvisare gli altri e di convocarli qui. Loro vorranno ottenere la vita eterna...»
A quelle parole il sorrisetto beffardo dell’uomo scomparve.
«Deduco che tu stia riconsiderando il tuo atteggiamento, eh zietto?»
«Come desideri, vado a chiamarli. Poi ci racconterai cosa hai in mente?»
«Ovvio» disse Sekhmet rigirandosi tra le mani la lama «Vedrete che questa volta non falliremo.»
Pochi giorni dopo, quattro semidei erano riuniti al tempio della dea della guerra: la leonessa stessa, lo zio di lei noto con il nome di Anubis, Apep il dio serpente simbolo di oscurità e Serket la dea scorpione.
«Sapete tutti perché siete qui» iniziò il dio dalla testa di sciacallo «Volete la vostra vendetta nei confronti di coloro che vi hanno abbandonato, i vostri stessi genitori che, dopo aver scelto di giacere con un essere umano, vi hanno rinnegati e costretti all’esilio.»
«Puoi anche essere meno formale, amico» sussurrò Apep «Tu hai subito lo stesso destino e non hai bisogno di ricordarcelo ogni volta che ci riuniamo.»
«In effetti Anubis» si intromise Serket «Stai diventando ripetitivo.»
«Signori!» esclamò Sekhmet «Vogliamo o no tornare alle ragioni del nostro incontro?»
«Certamente…» concordarono tutti.
«Mi sono giunte voci dalla Grecia di una valorosa guerriera che è entrata in possesso di un’arma molto speciale…»
«Non sarà forse…?» domandò l’uomo serpente.
«Vi prego di non interrompermi» lo rimproverò la leonessa con sguardo severo «Tutto ciò che so lo condividerò con voi, dopotutto abbiamo un obiettivo comune. Dunque, stavo dicendo… oh certo, la donna e la sua singolare arma… come avrete intuito si tratta di un oggetto magico molto potente, giunto dal mistico oriente: il Chakram. Ora, nel corso dei nostri precedenti tentativi, abbiamo accumulato svariati cimeli simili a quest’ultimo, ma nessuno è mai stato sufficiente per portarci ciò che desideriamo…»
«E cosa avrebbe di speciale questo Chakram?» chiese l’altra dea.
«Oh, non è il cerchio in sé ad essere speciale, ma chi lo possiede. L’arma non vale nulla senza la guerriera che l’impugna. Per questa ragione ho già inviato dei miei emissari con il compito di comunicarle che qui, nella Terra dei Faraoni, qualcuno sta cercando colei che porta il cerchio. È solo questione di tempo, presto sarà lei stessa a venire da noi e a fornirci la chiave per l’immortalità.»
 
«Potente signora, porto notizie» furono le parole che annunciarono il brigante. Aveva le vesti incollate al corpo per via del sudore, il viso arrossato e barba impolverata di chi aveva affrontato senza sosta un lungo viaggio tra le dune.
«Di cosa si tratta Gahiji?»
«Riguarda la donna che ci avete chiesto di rintracciare, quella Principessa Guerriera…»
«Ebbene? Ti decidi a parlare?»
«Maestà… diverse fonti riportano… sì, insomma…»
«Parla!» ringhiò esasperata la leonessa.
«È morta.»
«Come scusa?» la voce della dea era incerta, come se quanto appena sentito avesse scosso le fondamenta del suo essere.
«Nella terra del Sol Levante ha combattuto contro un demone e si è sacrificata.»
«E il Chakram?»
«L’arma è ora in possesso della sua compagna, una poetessa combattente.»
Sekhmet si mise a riflettere. Non aveva mai considerato la possibilità della morte di Xena, quello avrebbe rovinato i suoi piani. Il brigante nel frattempo rimase in attesa di ulteriori istruzioni. Stava cercando di sbadigliare senza farsi notare, quando la divinità parlò: «E cosa sai di questa poetessa?»
«Sembra essere la sua cronista, ha riportato ogni impresa ed avventura che hanno compiuto insieme.»
«Tutto qui?»
«Circolano delle voci, riguardo la natura della loro… relazione… ma non ci sono conferme.»
«Corri a chiamare Anubis, immediatamente!»
«Come desiderate…»
Gahiji si allontanò, lasciando Sekhmet sola con i propri pensieri.
«Per quale ragione mi hai richiesto con tanta urgenza?» domandò lo sciacallo, una volta giunto al cospetto della nipote.
«C’è stato un cambio nei piani. La Principessa Guerriera è perita e ora il Chakram è in mano alla sua compagna di ventura.»
«Come!?» esclamò sorpreso «E adesso cosa hai intenzione di fare?»
«Semplice: dovremo solo riportarla in vita.»
«Tu hai perso la ragione… nessuno di noi dispone di un simile potere!»
«Oh, noi no… ma c’è una divinità di nostra conoscenza dotata di un enorme potenziale magico…»
«Non vorrai chiedere gentilmente ad Isis di collaborare ed aiutarti nel tuo progetto di conquista del mondo, vero?»
La leonessa ridacchiò. «Lei non saprà di servire la nostra causa, tutto quello che le interessa è riunire gli amanti sfortunati ed è esattamente quello che dovrà fare.»
«Vuoi dirmi che Xena e la sua amica…?»
«In più di un’occasione si sono definite “anime gemelle”, come gli stessi scritti di questa Gabrielle riportano, quindi ne ho dedotto che la loro era più di una semplice amicizia.»
«E tu credi che, se riuscirai a portare Gabrielle da Isis, lei l’aiuterà?»
«Ne sono certa, ma devo assicurarmi che tutto vada come desidero, quindi dovrò intervenire di persona.»
«Certamente non noterà il tuo volto felino e il terrore negli occhi di chi ti incrocia.»
«Quanto sei spiritoso… ovviamente assumerò una forma più umana, magari quella di una giovane donna come era lei quando ha incontrato Xena…»
«Vuoi mostrarmi il tuo travestimento?»
I tratti leonini, in pochi attimi, lasciarono posto ad un viso fanciullesco e gentile, ornato da un’ordinata cascata di capelli corvini. Le iridi d’oro, però, erano rimaste immutate.
«Hai già in mente un nome per questa tua identità?»
«Sai cosa significa il mio nome, zio?»
«Ovviamente, “colei che è potente”»
«Precisamente, ma io non sono solo potente, io sono la prescelta, sono destinata a governare il mondo intero.»
«Quindi per cosa opterai?»
«Come ti suona “Meskhenet”?»
 
Il gran sacerdote percorse in fretta lo spazio fino all’altare e si chinò con un gesto ormai divenuto abituale, il suo copricapo, ben stretto in testa, arrivò a sfiorare i gradini che portavano al luogo più sacro del tempio.
Attese in quella posizione fino a che la familiare voce della divinità non gli comunicò di alzarsi.
«Porto notizie, vostra magnificenza» disse con fare cerimonioso «Un messaggero è giunto ora dalla costa e ha confermato la partenza della ragazza.»
Il silenzio calò nella sala illuminata solo dalle candele cerimoniali.
«Sei sicuro che sia lei?» tuonò la voce che aveva ben poco di umano.
«Bionda, giovane e forte. Ovviamente ha con sé il cerchio.»
«Perfetto… inizia a dare disposizioni. Dobbiamo essere pronti per quando la ragazza con il Chakram arriverà.»
L’uomo uscì e Sekhmet sorrise. Tutto sarebbe andato secondo i piani.
 
«Non può essere…» continuò a balbettare Masika «Mesk…»
«La conosci?» mormorò Isis, senza distogliere lo sguardo dalla nuova arrivata.
«Lei era con Gabrielle quando ci siamo incontrate al tempio di Heqet e ci ha accompagnate durante tutto il viaggio… non posso credere che fosse tutta una recita!»
«Mi spiace deluderti, piccola» si intromise Sekhmet «Ma era necessario tenere la poetessa sotto controllo e quale miglior modo se non starle accanto in ogni momento?»
«Ma allora lei lo aveva capito! È per questo che ti ha cacciata!»
«No, ti sbagli. Quell’allontanamento è stato colpa mia.»
«Che cosa hai fatto allora?»
«Semplice. L’ho baciata.»
«Come!?»
«Non essere così sorpresa… in fondo faceva tutto parte del piano.»
«Adesso basta Sekhmet!» ordinò la dea della magia «Stai tormentando questa povera creatura senza motivo. Perché sei qui?»
«Oh, nonnina, come se tu non lo sapessi» rispose avanzando di qualche passo «Sono qui per assicurarmi che le cose vadano come voglio.»
«Non puoi interferire con il mio incantesimo, non hai né il legame né il collettore necessari.»
«Hm, credo che ti sbagli. Se tu avessi ascoltato con attenzione sapresti che il bacio che ho scambiato con la vostra preziosa Gabby è un legame più che sufficiente per permettermi di raggiungerla. Quanto al collettore…» dalla cintura scura che portava al fianco staccò un fodero «Questo» disse estraendo un bastone d’oro decorato «Dovrebbe fare proprio al caso mio.»
«Non puoi aver sottratto le sacre insegne del Faraone! Tu non hai alcun diritto ad impugnare quello scettro!»
«Nessun diritto, eh? Io credo che tu non riesca a ricordare bene la storia, mia cara. Io sono la legittima sovrana d’Egitto!»
«Ora sono i Romani a regnare su questa terra. L’era dei Faraoni è finita e la tua non esisterà mai.»
«Perché dovrebbe sedere lei sul trono di Horus?» domandò la Rana Gialla, incuriosita.
«Lascia che ti racconti una storia, come quelle di Gabrielle che ti piacevano tanto, solo che questa volta manca il lieto fine… per ora» le rispose la leonessa.
Isis avrebbe voluto intervenire, ma le serviva tempo per elaborare un piano e lasciare che Sekhmet si distraesse raccontando della sua travagliata esistenza le avrebbe garantito ciò di cui aveva bisogno.
La semidea cominciò a narrare.
 
Secoli or sono, i quattro fratelli Isis, Osiris, Seth e Nephthys, prediletti di Ra, furono scelti come divinità per portare ordine e pace nella terra d’Egitto. I quattro erano molto legati, ma il dio supremo aveva tra loro un favorito: il nobile e coraggioso Osiris. In realtà costui era il più corrotto e volubile di tutti, tanto che la prova vivente del suo comportamento scellerato ancora oggi vive tra noi. Osiris, infatti, si era infatuato di una bella abitante della Valle del Nilo e aveva deciso che, nonostante ciò andasse contro le leggi imposte da Ra, avrebbe fatto sua quella fanciulla. Dalla loro unione nacque Anubis e non appena Ra lo venne a sapere ordinò che il piccolo fosse condannato all’esilio a vita, non lo uccise solo perché trovava inconcepibile l’idea di versare il sangue di una creatura che era comunque in parte divina.
Dopo questo fatto Osiris continuò lo stesso a godere di numerosi privilegi, divenendo sempre più adorato dal popolo di cui i quattro si prendevano cura. Nel frattempo anche Seth e Nephthys avevano ceduto alla tentazione di giacere con gli umani, dando vita ad Apep e Serket, ma, al contrario del fratello, essi furono puniti per l’errore commesso e furono rimossi dal loro incarico di guide dell’umanità.
Seth non potè sopportare l’affronto e si ribellò al volere di Ra, uccidendo il fratello. Tutti conosco il seguito, di come Isis si sia affaccendata a ricomporre il corpo del proprio amato per riportarlo in vita grazie alle sue arti magiche. Una volta ricongiunti, iniziarono una nuova vita scegliendo di donare al popolo delle Grandi Sabbie un nuovo dio da venerare. Fu così che concepirono Horus, il magnifico dio falco, colui che doveva rappresentare ogni virtù. Fu ritenuto importante a tal punto che le guide tra gli uomini, quelli che poi furono chiamati Faraoni, lo scelsero come proprio protettore, proclamando di essere le sue manifestazioni terrene o i suoi figli.
Ma Horus non aveva ereditato solo le qualità dei genitori, anche i vizi scorrevano nel suo sangue divino e fu così che, quando posò gli occhi sulla bella e giovane moglie del Faraone di allora, decise di contravvenire anch’egli alle leggi di Ra.
La donna, poco prima di partorire, tormentata dalla vergogna per aver tradito il marito e spaventata all’idea delle ritorsioni degli altri dei, decise di lasciarsi morire tra le dune, prima di dare alla luce suo figlio. Giunse ai margini del deserto, quando un branco di leonesse l’assaltò, ponendo fine alle sue sofferenze. I felini risparmiarono però la creatura che era riuscita venire al mondo poco prima dell’attacco.
Come ispirate da una volontà superiore, le leonesse portarono con loro la bambina e la allevarono insieme ai loro cuccioli, fino a che un gruppo di predoni, incappati per errore nel branco, non la trovarono e la presero con loro. La rispettarono riconoscendo in lei poteri superiori di quelli di qualunque essere umano e la iniziarono alle armi e all’arte della guerra.
Una volta raggiunta l’età adulta, la giovane decise di andare in cerca delle proprie origini. Uno sciamano venuto da una terra lontana confermò la sua natura divina e le disse che suo padre era nientemeno che il magnifico dio falco. Ispirata da quelle parole, si mise in viaggio per raggiungere la capitale e reclamare quanto suo di diritto: il trono.
Nel frattempo il Faraone, che dopo essere rimasto vedovo si era risposato, era morto senza figli ed era dunque salito al potere suo fratello minore. La protesta della semidea fu legittima: come potevano incoronare un comune essere umano? Lei era figlia di Horus, non solo di nome ma anche di fatto, aveva quindi più diritto di chiunque altro ad essere la sovrana.
Quando mosse la prima ribellione, con l’aiuto di bande di predoni e ladri di ogni genere che in lei avevano trovato una divinità protettrice, finalmente la colpa di Horus venne allo scoperto. Ma come era successo per suo padre, Ra non solo lo perdonò, ma fu addirittura tanto clemente da investire il falco con la maggior parte dei propri poteri, rendendolo il dio più forte che l’Egitto avesse mai visto. Con queste nuove abilità il padre bandì la figlia, come Anubis era stato bandito tanti anni prima.
Lei, però, non si arrese e continuò con i suoi tentativi di conquista, tutti falliti. Fino ad ora…
 
«E questa» concluse Sekhmet «È la mia storia, quella che la gente non conosce, quella che gli dei hanno taciuto per sotterrare le loro colpe.»
«È vero?» domandò Masika ad Isis con voce tremante.
«Ogni singola parola, purtroppo» le rispose la maga «Ci sono azioni di cui anche noi dei non andiamo fieri… sono in pochi, persino tra noi, a sapere tutto questo.»
«Adesso che sai tutta la verità» disse la semidea alla bambina «Voglio che tu prenda il tuo dromedario e il cavallo di Gabby e corra il più lontano possibile, raccontando questa storia a tutti coloro che incontri, l’alternativa che ti propongo è quella di una morte istantanea. A te la scelta.»
Masika, con gli occhi lucidi, corse a recuperare per le briglie i due animali e, lanciando uno sguardo addolorato ad Isis, attraversò la porta e proseguì verso l’uscita dal tempio.
«Perché l’hai mandata via? Vuoi che non ci siano testimoni quando ucciderai la manifestazione terrena di una divinità maggiore?»
«Oh, chi ha mai parlato di ucciderti? Io voglio che tu viva, ancora per un po’ almeno. Devi esserci quando conquisterò la Terra dei Faraoni.»
«Non ci riuscirai mai. Anche se il Chakram ti donasse l’immortalità, anche se la concedesse agli altri semidei, non sareste comunque in grado di contrastare i nostri poteri!»
Sekhmet scoppiò in una fragorosa risata. «So bene che il cerchio di per sé non può garantirmi il potere di sbarazzarmi di voi… ma l’anima di Xena potrebbe.»
Isis sgranò gli occhi in preda al panico.
«Tu sai, vero, cosa è accaduto agli dei dell’Olimpo? Li ha uccisi, quasi tutti. Non ha eliminato la loro presenza terrena o qualcosa di simile, no, li ha cancellati dall’universo. Per sempre.»
«Dunque è per questo che volevi che Gabrielle riportasse in vita Xena?»
«Sì, all’inizio il piano era quello, ma poi ho realizzato: se potessi intromettermi nell’incantesimo e manipolarlo a mio piacere, potrei fare molta meno fatica e assorbire anche parte della tua magia. Tutto ciò che devo fare è uccidere la Principessa Guerriera con la sua stessa arma. Poi diventerò inarrestabile e conquisterò dapprima l’Egitto, poi il mondo intero!»
«Gabrielle non te lo permetterà!»
«Questo è tutto da vedere, nonnina… Ora, se non ti dispiace» disse riprendendo la sua avanzata verso la parete attraversata dalla poetessa «Ho una vittima da rintracciare.»
«Non vincerai Sekhmet» affermò Isis, incapace di reagire «Loro ti sconfiggeranno e tu fallirai, come ogni volta!»
«Perché non provi a fermarmi tu? Hai paura?» sogghignò la leonessa.
«Sai bene che ho fatto voto di non ferire un altro essere di natura divina, per cui non posso interferire. Ma, anche se io ora non sono in grado di ostacolarti, ho la certezza che Xena e Gabrielle riusciranno là dove anche noi dei abbiamo fallito. Ti elimineranno, una volta per tutte.»
«Che ci provino pure, io non aspetto altro.»
Con quelle parole conficcò con forza lo scettro nel muro. Un bagliore iniziò a diffondersi, tramutando la pietra nel magico portale. In pochi istanti la via era di nuovo aperta.
«Non vincerai» ribadì Isis fissando gli occhi dorati di Sekhmet.
«Invece vincerò, perché questa volta si giocherà secondo le mie regole.»
Attraversò la mistica porta dell’incantesimo e, come Gabrielle, scomparve nella più totale oscurità.
 
Nota dell'autore: Sorpresa! Non vi aspettavate che caricassi così preso il capitolo, eh? Invece ho trovato tempo tra un esame e l'altro di scribacchiare questa parte che, personalmente, trovo molto interessante, per cui mi è sembrato giusto condividerla. Ora parliamo di cose serie: i nomi delle divinità e le loro caratteristiche sono prese dalla mitologia e corrispondono alla tradizione, le loro storie e le loro vicende sono invece farina del mio sacco, anche se basate sulla tradizione originale. Per cui, se volete sapere come funziona realmente l'apparato mitologico egizio fatevi una bella ricerca su Wikipedia, lì c'è tutto il materiale di cui avete bisogno. Il piccolo angolo dei ringraziamenti mi impone, ovviamente, di citare wislava e 5vale5, con l'aggiunta di Klakiry che ha anche lei gentilmente espresso il proprio parere su questa storia, grazie anche a quelli che leggono e basta, tanto io so che ci siete. Bene, vi saluto e, come al solito, non vi prometto nulla riguardo l'uscita del prossimo capitolo. A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Spiriti erranti ***


CAPITOLO 9: Spiriti erranti
 
We are just misguided ghosts
Traveling endlessly
The ones we trusted the most
Pushed us far away

(Paramore – Misguided Ghosts)
 
Aveva fatto uno strano sogno quella notte, ne era certa; eppure, non appena si era svegliata, tutto era svanito dalla sua memoria. Aveva cercato con tutte le sue forze di ricordare anche un minuscolo dettaglio, ma sembrava che qualcuno avesse rimosso ogni traccia di quella visione onirica.
Si rigirò nella delicata coperta di lino, decisa a provare a dormire ancora qualche ora, ma a causa del continuo tormentarsi perse ogni possibilità di riposare ancora.
Decise di alzarsi poco dopo l’alba, anche se quella mattina non aveva lavori da svolgere così presto, il suo unico impegno della giornata era quello di preparare il pranzo e la cena per il resto della famiglia.
Camminò in punta di piedi lungo il corridoio, cercando di non svegliare le sue sorelline. Suo fratello maggiore era certamente già andato a lavorare insieme al loro padre, mentre la madre andava a fare compere al mercato, come ogni giorno.
La monotonia di quella vita non le dispiaceva poi più di tanto. Da terre lontane giungevano voci di guerre e massacri, quindi era grata agli dei per la sua tranquilla esistenza.
«Tabia? Sei tu?»
Era la voce di sua madre, probabilmente stava per uscire a fare le sue quotidiane commissioni.
«Sì, mamma, sono io» le rispose tenendo il tono di voce basso.
«Cosa ci fai in piedi a quest’ora? Oggi non è il tuo giorno di riposo?»
«Sì, è solo che ho voglia di farmi una passeggiata, magari fino alle sponde del Nilo…»
«Ricordati di fare attenzione se vai al fiume. Ultimamente i coccodrilli si sono fatti più audaci. Hai sentito del figlio di Eshe?»
«Intendi Akiiki? Sì, ho saputo…»
«Ecco, vedi di stare attenta se non vuoi anche tu essere ritrovata a brandelli a galleggiare tra i papiri.»
«Certamente madre, farò attenzione» e così dicendo si diresse rapida verso la porta di casa.
«Allora vai pure, ma non fare troppo tardi e soprattutto non dare retta agli sconosciuti!»
Tabia sentì quelle parole quando era ormai lontana. Andare a sdraiarsi sulla riva del Nilo era una delle sue attività preferite. Poteva osservare i pescatori alle prese con le loro delicate reti, intenti a procurare il cibo per la propria famiglia, si godeva la frescura dell’acqua e le risate dei bambini che spesso giocavano lì vicino.
E poi il fiume per lei era come un secondo padre. Tabia non era nata nella famiglia che ora la ospitava, lei non apparteneva al popolo della maestosa Terra dei Faraoni. Era figlia di stranieri, viaggiatori che l’avevano abbandonata alle acque in una cesta. Fortunatamente  Ebonee e suo marito Kontar quel giorno avevano deciso di andare a raccogliere alcune erbe acquatiche e l’avevano soccorsa. L’avevano accolta e allevata insieme ai loro figli, senza mai farle mancare nulla. Era cresciuta senza il minimo sospetto delle proprie origini, ma un giorno aveva infine realizzato che le differenze, soprattutto quelle fisiche, tra lei e tutti gli altri abitanti del luogo non potevano essere solo una coincidenza.
Da quando i suoi genitori le avevano detto la verità passava molto più tempo al fiume, nella speranza che, un giorno, l’acqua che le aveva donato la vita le portasse anche le risposte alle mille domande che si poneva.
Quando arrivò al suo consueto spiazzo vicino alla sponda si accorse che non c’era nessuno.
Sarà troppo presto per i bambini e tardi per i pescatori, tanto meglio pensò posso godermi un po’ di tranquillità.
Trascorse la mattinata osservando a turno i flutti e il cielo. Contemplare la natura la ispirava moltissimo, avrebbe voluto saper leggere e scrivere solo per poter esprimere ciò che quei paesaggi le suscitavano.
Rientrò per preparare da mangiare e svolgere i suoi lavori domestici. Pulì il pesce e le verdure che Ebonee aveva acquistato, poi spazzò il pavimento in tutte le camere e si mise a sistemare i vari giacigli.
Per ultima lasciava sempre la propria stanza, non per una ragione logica, semplicemente era un’abitudine che portava avanti ormai da anni.
Il letto sfatto le ricordò la notte passata e l’inafferrabile sogno.
Che fosse qualcosa di importante? Un messaggio degli dei? Pensò mentre ripiegava la coperta. Temo che non lo saprò mai…
Sollevò il cuscino per scuoterlo, ma nel farlo sentì un rumore metallico che la fece sobbalzare. Per terra era caduto uno bizzarro arnese che doveva essersi impigliato nella federa.
«Ma cosa!?» esclamò sorpresa. Si chinò e raccolse l’oggetto. Era una lama di metallo dalla strana forma che ricordava quella di una goccia.
«E questo cosa sarebbe?» si chiese rigirando il ritrovato tra le mani «Come ci è arrivato qui? Che abbia a che vedere con il mio sogno?»
Sapeva quanto fosse stupido porsi tutte quelle domande, ma era l’unico modo per tentare di fare chiarezza nella sua mente sempre più confusa.
Il rientro delle sorelle minori la riportò alla realtà e per alcune settimane Tabia visse ogni giorno come aveva sempre fatto, dimentica di quegli strani eventi che, era certa, non avrebbero condizionato la sua vita.
 
«Ormai è solo questione di giorni» sbraitò Kontar davanti alla famiglia riunita per la cena «Le notizie sono chiare: la Conquistatrice ha abbandonato l’Oriente e si sta dirigendo verso la nostra Capitale. Il Faraone ha già abdicato in cambio di una promessa di pace. Ve lo dico io: tra una settimana dovremo tutti inchinarci ai piedi di quel demonio!»
«Padre» cercò di calmarlo il figlio Ptolemy «Se davvero costei diventerà la nostra sovrana dovreste iniziare a portarle rispetto…»
«Taci, disonorevole codardo!» gli rispose con astio il genitore «Se tu fossi un vero uomo amante della patria, ti armeresti e proveresti a fermare la Conquistatrice con le tue stesse mani! Invece te ne stai qui, in attesa di dover cambiare il volto a cui doverti inchinare! Ah, se solo avessi io la tua età e la tua forza…»
I due proseguirono a lungo con il loro litigio, mentre le donne della famiglia restavano in ascolto per timore di subire la loro furia.
Tabia li stava a malapena a sentire, lei si era persa ad immaginare il volto di quella misteriosa donna, tanto forte da sottomettere al proprio dominio tutte le terre conosciute. Circolavano numerose voci a riguardo, ma non si voleva fidare. Avrebbe visto la Conquistatrice con i propri occhi e l’avrebbe giudicata lei stessa. Non sapeva dire cosa, esattamente, la attirasse di quella mistica figura, si mormorava che fosse crudele, spietata, sadica, inarrivabile e fredda come il ghiaccio, che tenesse vicino a sé solo pochi fidati consiglieri e qualche attendente. Le notizie più inquietanti riguardavano, però, gli schiavi e i prigionieri di guerra: se venivano portati nelle sue stanze, non venivano mai più rivisti.
«Voglio andare a vedere il corteo di benvenuto che ci sarà quando entrerà alla Capitale» esclamò, interrompendo il battibeccare dei due uomini.
«Tu cosa?» domandò perplesso il fratello.
«Voglio vedere di persona quando lei entrerà in città!» ribadì convinta.
«Non se ne parla! Tu non ti muoverai di qui!» annunciò solenne Kontar «Non ti lascerò assecondare questo capriccio!»
«E poi» intervenne Ebonee «Perché mai vorresti andarci?»
La ragazza non seppe cosa rispondere. Forse il suo poteva apparire come un infondato desiderio, ma il suo cuore e la sua anima le stavano imponendo di avvicinarsi il più possibile alla misteriosa futura sovrana.
La conversazione fu lasciata cadere nel vuoto e in un lampo ripresero i litigi tra genitore e figlio, come se Tabia non avesse mai aperto bocca.
«Vai a riposare, tesoro» le sussurrò sua madre «Un buon sonno ti aiuterà a schiarire le idee.»
La giovane, con aria abbattuta, si ritirò nella propria camera.
Il mio non è solo un capriccio… seguitava a ripetersi Io so di doverla incontrare! C’è qualcosa che mi spinge verso di lei, come un legame che sembrava sopito da tempo…
Chiuse a chiave la porta, si svestì e si preparò per la notte. Fuori il cielo era limpido e brillava di centinaia di stelle.
Si avvicinò al giaciglio e sfilò, con delicatezza, l’oggetto dalle sconosciute origini che ormai da settimane aveva trovato dimora sotto il cuscino. Aveva preso l’abitudine di osservalo, nella speranza che un qualche segno vi comparisse, ma fino ad allora era rimasto immutato.
«Ah…» sospirò «Se solo tu potessi aiutarmi a capire per quale ragione sei comparso e qual è il tuo scopo… Magari sapresti anche spiegarmi questa fissazione per la Conquistatrice… Oh, ma perché non reagisci?»
In tutta risposta la lama continuò imperturbabile a riflettere il volto della fanciulla.
«E va bene, oggi taci, ma domani parlerai!»
E con quelle parole si congedò dal mondo sensibile e si lasciò trasportare nell’universo dei sogni.
 
Tre giorni dopo giunse ufficialmente la notizia: la Conquistatrice era ormai in Egitto e in due giorni si sarebbe seduta sul trono di Horus. Tutti gli abitanti erano invitati a partecipare ad una grande cerimonia di benvenuto in cui l’esercito conquistatore avrebbe sfilato tra vie della città e avrebbe presentato al popolo la nuova regina.
«Ma qualcuno conosce il suo vero nome?» aveva chiesto la piccola Oni ai genitori.
«Forse, ma saranno in pochi. Il mondo si rivolge a lei come Conquistatrice o con sinonimi propri della regione. Noi, ad esempio, ci dovremo riferire a lei come Thema, ovvero “regina”» le aveva risposto il padre.
Thema… Tabia era andata avanti a rimuginare a lungo su quella parola. Secondo lei non esprimeva l’essenza della donna che ormai era divenuta la sua personale ossessione. Con il passare dei minuti sentiva sempre più impellente il bisogno di incontrarla.
La Capitale è solo a poche ore di viaggio, se parto domattina arriverò con largo anticipo e potrò porre fine a questa follia!
Trascorse la giornata sbrigando il suo lavoro di lavandaia con inusuale solerzia, in modo da terminare prima del solito. Tornata a casa preparò un piccolo bagaglio e lo nascose, in attesa dell’alba seguente. Così, prima che la barca di Ra risorgesse completamente dal cielo inferiore, lei era già in cammino, armata solo della propria tenacia e guidata da quella strana forza interiore che la spingeva verso la Conquistatrice.
Ovviamente il resto della famiglia era all’oscuro della sua fuga, ma era certa che non ci avrebbero messo molto a capire dove fosse diretta. Intanto quando lo scopriranno sarà troppo tardi per riportarmi indietro! Pensava soddisfatta mentre avanzava lungo l’affollata strada che conduceva alla città.
Giunse alla Capitale che ormai era pomeriggio. Vi era già stata altre volte, ma non la ricordava così caotica e vitale: ad ogni angolo c’erano mercanti e negozianti di ogni sorta, poi sacerdoti e fedeli radunati intorno agli affollati santuari, massaie e bambini che animavano lei vie con le loro chiacchiere e risate.
Le ci volle molto più del previsto per ritrovare un luogo noto, la casa di alcuni cugini di Ebonee, che sperava sarebbero stati disposti ad ospitarla per la notte.
I parenti la accolsero con piacere e lei potè riposare per poche ore, attendendo con ansia l’incontro che il suo spirito bramava più di ogni altra cosa.
Era ancora notte quando la folla cominciò a radunarsi per la parata. Dal nulla erano comparse guardie armate che si erano disposte lungo la via, una ogni dieci passi per tenere a bada gli spettatori.
Tabia sgomitò per avvicinarsi il più possibile alla prima fila, ma veniva continuamente spinta di nuovo indietro, così, rassegnata, attese nelle retrovie.
«Si sono accampati fuori dalla città ieri sera e poi hanno mandato questi fanti» disse un uomo rivolto ad un altro «Per tenere sotto controllo la situazione. Ho sentito dire che le tende dell’accampamento sono più numerose dei granelli di sabbia del deserto…»
«Certo» lo schernì l’amico «E io sono il dio Ra! Lukman, sei un credulone!»
«Ma cosa ne sai tu, Rashidi?» rispose, visibilmente offeso «Solo perché il tuo nome significa “saggio” non vuol dire che tu abbia la chiave della verità universale! Sentiamo, tu cosa sai di Thema?»
«So che le genti del Nord e i popoli delle Amazzoni, così come quelli dei Centauri, sono stati tanto stupidi da opporsi a lei con la forza ed ora sono tutti suoi prigionieri, oppure riposano con i loro antenati.»
«E questo non ti sembra assurdo? Come può una donna sola mettere in ginocchio i potenti barbari che vivono tra i ghiacci o le fiere e gloriose Amazzoni? I Centauri poi! Sembra una storia assurda…»
«Invece» gli rispose l’altro «È tutto vero, per questo il Faraone si è arreso senza colpo ferire. Ha preferito sacrificare la sua posizione piuttosto che vedere versato il sangue del suo popolo.»
La fanciulla, che fino ad allora era rimasta in attento ascolto, prese la parola «Io non penso che sia così malvagia come la dipingete.»
I due si voltarono verso di lei e poi scoppiarono in una fragorosa risata. «E sentiamo» le disse l’uomo di nome Lukman «Tu l’hai conosciuta di persona?»
«No, io in realtà… cioè non ne so molto, però non penso che una persona possa essere tanto cattiva!»
«Ti dovrai ricredere purtroppo» le rispose Rashidi «Alcune persone semplicemente non sono in grado di operare il bene e lei è una di queste. Nulla potrà mai distoglierla dalla malvagità che alberga nel suo cuore.»
Delusa e amareggiata, Tabia tornò ad aspettare in silenzio.
Non dovette attendere molto perché, prima dell’alba, una lunga schiera di cavalieri iniziò ad avanzare. Erano chiaramente appartenenti a diversi popoli: alcuni avevano i capelli chiari tipici del Nord, altri avevano gli occhi a mandorla, altri ancora avevano la pelle scura come l’ebano. Procedevano con calma, facendo avanzare le cavalcature al passo. Quelli in testa al gruppo portavano alte le insegne della regina e, mano a mano che avanzavano, i fanti, che tenevano a bada la folla, presentavano le armi con fare cerimonioso.
A chiudere quel primo gruppo c’era una donna in groppa ad un cavallo bianco. Era in tenuta da battaglia, i ricci capelli color del grano erano ornati da piume. Aveva un’aria fiera e avanzava con lo sguardo dritto avanti a sé.
«È lei?» domandò eccitata Tabia ai due uomini.
«No» disse Rashidi scuotendo la testa «Lei è Ephiny, capo di una tribù amazzone. Al contrario di molte sue compagne è stata tanto furba da allearsi con la Conquistatrice ed ora è uno dei suoi comandanti più fidati.»
Ai cavalieri seguirono squadre di fanti armati con strani scudi rettangolari.
«Quelli» le spiegò Lukman «Sono guerrieri di Roma, tra le truppe più leali e meglio addestrate di tutto il mondo e quello» proseguì indicando l’individuo che seguiva le truppe su un carro trainato da una coppia di sauri «È Julius Caesar, il loro capitano.»
Ai legionari seguirono altre truppe di uomini appiedati e i nuovi amici della ragazza proseguirono nelle loro spiegazioni «Quelli provengono certamente dalla Grecia, la patria di Thema. Lei dovrebbe comparire tra breve.»
Non fece in tempo a concludere la frase che un boato si levò dalla folla più vicina alle porte della città. La sovrana doveva aver fatto il suo ingresso.
Tabia venne percorsa da una fortissima scossa. Doveva avanzare per poterla vedere al meglio.
Scavalcò con noncuranza Rashidi e Lukman e proseguì nella sua impresa per arrivare in prima fila. Mano a mano che sgusciava tra uno spettatore e l’altro sentiva crescere di intensità le acclamazioni. Ormai i presenti avevano cominciato a scandire con forza la parola “Thema”, che le tuonava con forza nei timpani.
Dopo aver scansato un indispettito vegliardo, finalmente, si trovò senza più nessuno davanti.
In un istante comparve la Conquistatrice e Tabia rimase a bocca aperta.
La donna proseguiva altezzosa su uno stallone nero e non degnava la folla di uno sguardo, semplicemente puntava gli occhi dritti verso la sua meta: il palazzo che a breve sarebbe stato suo.
La ragazza si sentì tirare indietro dagli altri che volevano vedere la regina, ma lei puntò i piedi a terra. Per nessuna ragione al mondo si sarebbe mossa.
Sembrava attratta dal completo in cuoio rosso che avvolgeva il corpo di Thema, rivelandone il corpo atletico e avvezzo alla battaglia, e dai corti capelli biondi che ondeggiavano lievemente alla brezza del mattino. Ma non erano quei particolari ad aver calamitato l’attenzione di Tabia.
«Gli occhi…» mormorò affascinata. Il loro verde limpido e luminoso l’aveva colpita al cuore e le aveva fatto sentire lo strano legame più vivo che mai.
Inaspettatamente la sovrana si voltò nella sua direzione, come se improvvisamente fosse stata distratta da qualcosa e fu così che incontrò lo sguardo di Tabia.
Così come l’innocente paesana era rimasta rapita dalle iridi smeraldine, così la crudele dominatrice fu folgorata dai due pozzi cerulei che la fissavano con insistenza.
Accadde tutto in un istante. Un semplice sguardo, poi la ragazza venne spinta indietro dalla folla e Thema dovette proseguire nella sua avanzata. Ma in quel singolo momento avevano stabilito un contatto e i loro spiriti seppero che, per quanto potessero errare solitari attraverso il tempo e lo spazio, loro si sarebbero ritrovati. Sempre.
 
Nota dell'autore: Benritrovati! Il caldo soffocante stava per farmi desistere, ma alla fine mi sono decisa a caricare il nuovo capitolo. Allora, cosa ne pensate? Immagino (o meglio, spero) siate un po' confusi a causa del repentino cambio di scena, ma si spiegherà tutto... forse... Fatto sta che, come sempre, mi auguro vi sia piaciuto e vi abbia almeno un po' sorpreso. Ora spazio ai ringraziamenti: (ormai potrei fare copia-incolla, tanto sono sempre loro le incriminate) wislava e 5vale5, grazie, come sempre, anche a tutti gli altri lettori. Godetevi questo inizio d'estate e cercatevi un hobby perchè il mio prossimo aggiornamento potrebbe arrivare quando le foglie cominceranno a cadere. A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La fanciulla del Nilo ***


CAPITOLO 10: La fanciulla del Nilo
 
This is not my home
I think I’m better off alone
Home, home, this house is not a
Home, home, this house is not a home

(Three Days Grace – Home)
 
Aveva fissato proprio lei, ne era certa. La Conquistatrice si era voltata e aveva incontrato il suo sguardo, erano entrate in contatto e il cuore aveva mancato un battito. Poi tutto si era interrotto all’improvviso. Era stata agguantata alle spalle e trascinata via.
«Ma che ti è saltato in mente!?» la sgridò suo fratello, una volta usciti dalla calca «A mamma è quasi venuto un colpo quando non ti ha trovata e papà era convinto che fossi stata rapita! Per fortuna, prima che il dramma raggiungesse il culmine, mi sono ricordato della tua fissa per questa parata.»
«Lasciami andare!» si lamentò Tabia «Hai rovinato tutto!»
«Tutto cosa? Ti ho solo riportata con i piedi per terra. Adesso torniamo a casa, forza.»
«No!» si oppose lei con fermezza «Io devo restare!»
«Non se ne parla. Tu ora verrai via con me, che tu lo voglia o no.»
Ptolemy sollevò di peso la sorella e la issò sul dromedario che lo aveva condotto fin lì.
«Prima di tornare a casa dobbiamo lasciare il simpatico Safi dal suo legittimo proprietario. Non smetterò mai di ringraziare Fadil per avermi concesso di cavalcarlo, se non fosse stato per lui credo che non sarei mai riuscito a recuperarti.»
«Ringrazialo davvero…» sibilò lei sarcastica.
«Se non la smetti di comportarti così potrei essere tentato di venderti agli uomini della regina. Apprezzeranno certamente una bella schiava dalla pelle chiara e gli occhi celesti.»
«Sei proprio obbligato a ricordarmi che non appartengo veramente alla tua famiglia?»
«Smettila! Sai che non è quello che intendevo» si difese il giovane.
«Non è quello che intendevi, ma è la verità!» continuò la ragazza.
«Adesso basta, Tabia! Se ti azzardi a dire ancora una sola parola, giuro su Horus che ti abbandono in mezzo al deserto.»
La fanciulla decise di non ribattere. Ptolemy era un uomo gentile e piacevole, ma se si adirava poteva mostrare un lato di sé tutt’altro che comprensivo.
Fecero una breve tappa a casa dei parenti che avevano ospitato Tabia per la notte, poi si diressero verso il loro villaggio. Fu un viaggio silenzioso, nessuno dei due si azzardò a cominciare una conversazione. L’ultimo scambio di battute era ancora vivo nella memoria e non erano intenzionati a litigare più di quanto non avevano già fatto.
La ragazza approfittò di quel tragitto per tornare a riflettere sulla bella Thema e su quello che le legava. Ad ogni passo che la cavalcatura compiva nell’allontanarsi dalla Capitale, il suo desiderio di tornare indietro di corsa si faceva più forte. Voleva ad ogni costo rivedere quegli occhi verdi, potercisi specchiare ancora una volta e leggere in loro la vera essenza di quella donna misteriosa.
Una volta a casa, Tabia fu sgridata per bene dai genitori e costretta a quello che lei definì “reclusione ingiustificata” per due intere settimane. Le era concesso di spendere fuori dalle mura domestiche solo le ore lavorative. “Ma non sono più una bambina!” aveva polemizzato cercando di far ragionare il padre “Sono una donna adulta, è un mio diritto godere della mia libertà!”, “Finchè vivrai sotto il nostro tetto” le aveva risposto severamente Kontar “Tu dovrai ubbidire alle mie regole!” e così si era concluso il dialogo.
Rimasta sola nella sua camera, la fanciulla aveva sfogato il proprio dolore a la propria frustrazione nelle lacrime. Aveva affondato la testa nel cuscino per soffocare i singhiozzi e così si era ritrovata in mano il suo tesoro misterioso.
Che sia una specie di chiave? Un oggetto magico? Si domandò, come se lo vedesse per la prima volta. Potrebbe aver a che fare con le strane emozioni dell’ultimo periodo?
Ad un tratto una voce avanzò da dietro la porta: «Cara? Posso entrare?»
«Sì mamma, vieni pure.»
Ebonee socchiuse l’uscio ed entrò con passo leggero.
«Devo parlarti di una cosa importante, prima che lo faccia tuo padre» annunciò sedendosi sul letto al fianco della figlia.
«Di cosa si tratta?» chiese Tabia preoccupata.
«Ecco… quando abbiamo scoperto che eri scappata, Kontar ha dato di matto. Non appena tuo fratello si è messo sulle tue tracce, tuo padre ha deciso di prendere provvedimenti. Era una cosa a cui pensava da tempo, ma non si era mai deciso ad andare fino in fondo.»
La ragazza sentì un brivido freddo lungo la schiena. Quella conversazione le piaceva sempre meno.
«Tu stessa hai detto poco fa di non essere più una bambina… è ora che tu abbia una famiglia tua…»
«No… dimmi che non è vero…» mormorò «Non ci posso credere…»
«Tuo padre ti ha già trovato un possibile marito. È un compagno di lavoro di tuo fratello, di qualche anno più grande di lui, ha perso la prima moglie da appena tre mesi, ma è pronto a ricominciare.»
La fanciulla non fu in grado di proferire parola. Rimase con la bocca serrata e gli occhi spalancati, persi nel vuoto.
«Ti prego, tesoro. Di’ qualcosa.»
Tabia contrasse le labbra, incapace di rispondere.
«Piccola, devi pur esprimere la tua opinione a riguardo…»
Il silenzio durò ancora qualche secondo, poi la giovane esplose: «Quando pensavi di dirmelo!? Il giorno delle nozze magari? Io non posso credere che complottiate in questo modo alle mie spalle! In due giorni, e ribadisco: due giorni, siete riusciti ad accasarmi! Senza nemmeno interpellarmi! È assurdo!»
«Calmati, non vorrai farti sentire da papà, vero?»
«Non mi importa!» sbraitò Tabia, alzandosi di scatto «Come hai potuto permetterlo!? Io mi fidavo di te! Ti ho sempre confidato tutto! Credevo mi volessi bene!»
«Ma io ti voglio bene, tesoro mio. Quando ti sarai calmata capirai che tutto questo è per il tuo bene…»
«Per il mio bene!? Voi avete pianificato di buttarmi fuori casa a mia insaputa! Ti sembra un comportamento normale?»
«Ora stai esagerando… dopotutto sei ormai in età da marito e più il tempo passa, meno probabilità ci sono che tu trovi qualcuno disposto a prenderti con sé…»
«Qualcuno che mi prenda con sé!?» disse  prima di scoppiare in una risata isterica «Ma ti ascolti!? Io non sono un oggetto che deve passare di mano in mano! Sono una persona che prova sentimenti! Ma a voi non importa. Oh, certo che non vi importa. Io non appartengo a questo posto! Non è casa mia! Il Nilo è la mia casa! E tu» disse puntando il dito contro Ebonee con fare accusatorio «Tu non hai alcun diritto su di me. Tu non sei mia madre!»
In quel momento Kontar irruppe nella camera senza troppe cerimonie e gridò: «Come ti permetti di parlare così!? Ti manca la disciplina! Non appena Garai sarà il tuo sposo ci penserà lui a metterti al giusto posto! Tutto ciò che non siamo riusciti ad insegnarti noi, provvederà lui a ficcartelo in quella testa dura che ti ritrovi!»
«Io mi oppongo!» strillò la ragazza con tutto il fiato rimastole in gola.
«Tu puoi dire quello che ti pare, ma la realtà resta immutata! Tu ti sposerai. Fine della questione.»
Tabia aprì la bocca per rispondere, ma la mano dell’uomo si mosse più veloce delle sue parole e la colpì con forza sul volto. Dopo quel gesto e dopo aver afferrato il polso della moglie, Kontar uscì con la consorte, sbattendo la porta.
La ragazza ebbe solo la forza di accasciarsi sul letto, poi, travolta dalle emozioni e stordita dal colpo, vide il mondo farsi improvvisamente scuro.
Riaprì gli occhi quando fuori ormai era notte fonda. La litigata aveva avuto luogo nel tardo pomeriggio e non ricordava più nulla dopo le crude parole di suo padre. A fatica, si mise a sedere sul bordo del letto e cercò di riordinare le idee. Le sembrava tutto confuso, quasi fosse stato un sogno, ma il dolore alla guancia le riportò tutto alla mente.
La prima idea che le venne fu quella di scappare, ma sapeva sarebbe stato stupido. Svignarsela per un paio di giorni era una cosa, ma abbandonare per sempre la casa in cui era cresciuta era tutta un’altra storia.
Di una cosa era certa: non avrebbe sposato Garai.
Si accoccolò sotto la coperta e cercò di pensare a qualcosa di piacevole. I suoi sogni furono dominati da due brillanti smeraldi.
Oni e Bahiti, le sue sorelline, entrarono senza preavviso al sorgere del sole.
«Mamma vuole che ti diciamo una cosa» disse Bahiti, la più grande, avvicinandosi a Tabia.
«Prima di tutto si dovrebbe salutare, no?» la rimproverò bonariamente la sorella.
«Ciao sorellona!» esclamò Oni saltandole in braccio «Io volevo venire ieri sera da te, ma papà non me lo ha permesso!»
«Non preoccuparti piccina, l’importante è che adesso sei qui. Allora» aggiunse invitando anche l’altra a sedersi su letto «Cosa dovete riferirmi?»
«Mamma dice che per schiarirti le idee dovresti andare a fare una visita al tempio di Isis» le rispose Bahiti.
«Ma mi hanno messa in punizione, non posso uscire.»
«Lei dice che per questa volta puoi, ma noi dobbiamo accompagnarti per essere sicure che non scappi.»
Tabia sospirò. «Va bene piccole pesti, quando si parte?»
«Mamma ha detto che sarebbe meglio andare questo pomeriggio.»
«Aggiudicato» rispose rassegnata.
Oni si strinse forte al petto della fanciulla «Mi ci porti in braccio?»
«Non credo di farcela fin là, però posso portarti fino alla tua camera!»
Il trio uscì dalla stanza e andò a prepararsi una sostanziosa colazione, in attesa della imminente partenza.
 
«Questo posto è noioso!» si lamentò Oni tirando la veste di Tabia «Io pensavo che andassimo in un posto divertente!»
«Devi stare buona adesso» le rispose la sorella «Io devo andare a parlare con quella signora laggiù» ed indicò la sacerdotessa che attendeva in una delle stanze minori del tempio.
«Non posso restare con te?» chiese lei facendo gli occhioni dolci.
«No, te l’ho detto. Vai da Bahita e aspettatemi fuori.»
La bimba, controvoglia, si allontanò dalla sorella per avvicinarsi all’altra.
Quando Tabia fu certa che le due bambine fossero insieme e tranquille, sospirò e avanzò fino a raggiungere la donna in abito cerimoniale.
«Sono qui per conferire con la dea.»
«Quando la questuante precedente uscirà, ti lasceremo entrare.»
«Quanto devo attendere?» domandò, pensando alle sorelline libere di combinare disastri senza la sua supervisione.
«Il tempo necessario» le rispose vaga la donna.
La fanciulla non potè che sbuffare con disappunto e attendere in piedi davanti alla sacerdotessa. Fu tentata più volte di cominciare una conversazione, ma l’altra non sembrava minimamente interessata a dialogare.
Dopo una buona mezz’ora le fu permesso di entrare nella sala centrale del tempio, dove troneggiava una statua della dea con le sue ampie ed accoglienti ali decorate.
«Per quale ragione ti trovi qui?» chiese la manifestazione di Isis.
La ragazza non udì le parole, si era incantata nell’osservarla. Era indubbiamente una bellissima fanciulla, più giovane di lei, ma non era stato il suo aspetto a colpirla, bensì una sensazione, simile a quella che aveva provato al cospetto di Thema.
«Ti ho fatto una domanda» ribadì la divinità.
«Sì, certo» si scusò lei «Sono qui per sapere quando sarà il momento migliore per le mie nozze…»
«Non sembri molto convinta.»
«Infatti non lo sono» rispose sinceramente «È un matrimonio combinato e per nulla desiderato.»
«Oh…» disse Isis rabbuiandosi «Non mi è mai piaciuto questo tipo di unioni…»
«Nemmeno a me. Cosa mi suggerite di fare?»
«Potresti prenderti del tempo per riflettere e…»
«Mi spiace interrompervi, ma è mio padre ad insistere. È lui ad avere l’ultima parola a riguardo.»
Lo sguardo della dea si addolcì con fare comprensivo.
«Allora, avete una soluzione da suggerirmi?»
«Certamente. Non devi far altro che…» ma la frase non venne conclusa, perlomeno non dalla stessa voce. Infatti il giovanile timbro del corpo che stava parlando fu sostituito da una voce più profonda e decisamente meno umana.
«Tu! Ti ho trovato!» esultò la strana voce «Non ho molto tempo. Sono riuscita a contattarti solo ora…» ma si bloccò subito dopo «Tu non sei… Ah, ora mi è tutto chiaro! Non importa, devo comunicarti come agire.»
Tabia, sconvolta, tentò di parlare, ma l’altra la sovrastò: «Sto perdendo il contatto… Ricorda che dovete riunirvi! Gli opposti si completano.»
«Ma… io non capisco…»
«Lasciati guidare dal cuore. La risposta è nel cerchio!»
«Per favore, questo non mi aiuta…» mormorò disperata la giovane.
La dea d’improvviso tacque, fissò l’interlocutrice con interesse e poi disse: «Non devi far altro che proporre a tuo padre un’alternativa, come lo sceglierti un nuovo consorte.»
La voce era tornata normale.
«Ma cosa stavate dicendo riguardo agli opposti e il cerchio?»
«Come scusa?»
Tabia si zittì. In un primo momento pensò di essersi immaginata quelle parole, ma la familiare sensazione si era fatta più intensa nel momento in cui era stata l’altra voce a parlarle. Non poteva essere una coincidenza.
«Grazie di tutto. Ora devo andare» disse voltandosi e correndo fuori dal tempio.
«Hai fatto tutto?» domandò Bahita vedendola uscire.
«Sì» rispose sbrigativa «Torniamo a casa adesso…»
«Puoi tenermi la mano?» supplicò Oni.
Tabia acconsentì e, con le sorelline al seguito, si incamminò rapidamente verso casa.
Appena arrivata si fiondò nella propria stanza.
Sapeva esattamente dove trovarlo e sapeva che in quel momento doveva assolutamente prenderlo tra le mani. Anche se Isis non glielo aveva comunicato apertamente, ora aveva la certezza che lo strano oggetto fosse connesso con la dea, dopotutto era identificata come maga e signora degli incantesimi, per cui tutto aveva un senso.
Estrasse la lama semicircolare da sotto il cuscino e lasciò che la luce pomeridiana si riflettesse sulla sua superficie a specchio.
«Guidami, ti prego. Aiutami a capire cosa fare…» sussurrò. Non si aspettava certo una risposta, solo un qualche segno che la indirizzasse verso il suo destino. L’oggetto, però, ascoltò la sua supplica e le mostrò esattamente ciò che aveva desiderato.
La fanciulla rimase interdetta, convinta che la sua mente, a causa delle troppe pressioni, le avesse giocato un brutto scherzo, ma quando gli occhi verdi tornarono ancora una volta a fissarla non ebbe più alcun dubbio. Sapeva cosa doveva fare e doveva agire al più presto.
 
Nota dell'autore: e rieccomi qui, ancora una volta sono riuscita a finire il capitolo prima di quanto mi aspettassi, spero che non vi dispiaccia. Se siete ancora confusi riguardo gli ultimi avvenimenti, non peroccupatevi, tutto si spiegherà, poco a poco. Ora, devo attenermi al mio schema, quindi, come ben sapete, spazio ai ringraziamenti: a wislava e 5vale5, a tutti coloro che seguono la storia e alle persone che invece leggono e basta. Non sto a ripetere che non posso garantire una data per l'uscita del prossimo capitolo, quindi attendete pazienti, da parte mia prometto di fare il più presto possibile. Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La padrona del mondo ***


CAPITOLO 11: La padrona del mondo
 
Pain, without love
Pain, I can't get enough
Pain, I like it rough
'Cause I'd rather feel pain than nothing at all

(Three Days Grace – Pain)
 
Lo stallone nero proseguì la marcia, incurante dell’improvvisa rigidità che aveva colto il suo cavaliere. La Conquistatrice era rimasta come paralizzata alla vista di quella fanciulla e delle sue iridi celesti, ma non poteva certo fermare la parata per inseguire una paesana tra la folla.
“Thema” seguitavano a scandire i presenti, ricordandole che era una regina e come tale doveva comportarsi, perciò girò la testa e tornò a fissare la strada davanti a lei riassumendo l’espressione più fiera possibile.
Continuò la sua avanzata trionfale tra le ali del pubblico urlante, fino ad una piazza incredibilmente ampia, al centro della quale si erano schierati i soldati che l’avevano preceduta. Ephiny e Caesar la attendevano ai piedi di una colossale scalinata che conduceva al palazzo reale. In cima a quelle stesse scale si trovavano tre figure vestite di bianco ed oro: il Faraone, sua moglie e il loro figlio.
Con un agile balzo, smontò da cavallo e si portò al fianco dei suoi due comandanti. Non appena alzò lo sguardo per ammirare la sua nuova dimora, notò che le tre persone avevano iniziato la loro discesa e pochi minuti dopo la donna si trovò faccia a faccia con i sovrani d’Egitto.
La Conquistatrice aveva molto sentito parlare di loro e sapeva quanta importanza dessero all’onore, quindi si sorprese molto nel vederli inchinarsi al suo cospetto, porgendole le insegne del potere. Allungò le mani e prese gli scettri che il Faraone le stava cerimoniosamente offrendo, poi, lo stesso figlio di Horus, si tolse il copricapo e glielo poggiò delicatamente in testa.
Non appena la corona sfiorò il suo capo, tutti i presenti si prostrarono e calò un religioso silenzio.
«Mia regina, da questo momento in avanti l’intera Terra delle Grandi Sabbie e ogni suo abitante vi appartengono» comunicò l’ormai decaduto Faraone.
«Prometto di avere cura della tua gente come hai fatto tu fin ora» rispose lei con fermezza, poi, dopo aver fatto un cenno al Romano e all’Amazzone, iniziò la sua ascesa. Saliva un gradino alla volta, con estrema calma. Voleva assaporare al meglio quel momento, che sarebbe stato raccontato per secoli alle generazioni future. Una volta raggiunta la cima proseguì, senza voltarsi, fino alla sala del trono e, una volta preso il suo posto sul sacro scranno, sorrise soddisfatta. Finalmente tutto il mondo conosciuto era suo.
Si guardò intorno per godere appieno della maestosità di quel luogo. Numerose statue delle divinità egizie e busti dei precedenti re erano ordinatamente disposti lungo le pareti.
Dovrei far scolpire anche una mia figura pensò, pregustando l’idea di veder troneggiare una propria copia in alabastro tra le altre sculture.
«Thema, spero che quel sorriso indichi pensieri felici» la apostrofò Ephiny comparendo sulla soglia del salone.
La Conquistatrice sbuffò. «Non cominciare anche tu con questo nome. Inizia sul serio a darmi la nausea.»
«E come dovrei rivolgermi a voi?»
«Come hai sempre fatto.»
«Ma è sicura di non preferire un nome più autoritario? Insomma, Medora non incute molto timore…»
«È il nome che mi sono scelta e tu, come gli altri abitanti della Grecia, devi chiamarmi così. Sai bene che significa “dominatrice”, ora è più appropriato che mai.»
«Come desiderate, Medora» rispose l’Amazzone accompagnando le parole con un inchino.
«E finiscila con questa storia delle riverenze e del “voi”. Quante volte dovrò ripeterti di darmi del “tu”?»
«Temo non saranno mai abbastanza» disse con un sorriso «Discendo da un popolo piuttosto duro di comprendonio.»
Thema scoppiò in una risata. In pochi avevano l’abilità di farla ridere e dunque era stata molto contenta di aver stretto un rapporto così forte con una persona spontanea e divertente come Ephiny.
«So che è da poco sorto il sole, ma penso che fareste bene a riposare» si intromise Julius. Era arrivato da pochi istanti e si era piazzato alle spalle della guerriera amazzone.
«Credo tu abbia ragione» gli rispose la regina «Sono giorni che mi tocca dormire su una scomodissima stuoia, è ora che mi ricordi come è fatto un vero letto.»
Dopo pochi minuti fecero la loro apparizione una dozzina di servi, pronti ad esaudire ogni desiderio della sovrana. Lei si fece condurre alle sue stanze, seguita dai due consiglieri.
Il trio rimase a discutere per un po’, poi Caesar si congedò dicendo di avere “faccende da sbrigare”, ma le due donne ben sapevano il tipo di “faccende” a cui il giovane comandate era solito dedicarsi dopo una conquista.
Medora attese l’uscita del Romano e poi si lasciò sprofondare con ben poca eleganza nel morbido materasso di piume.
«Vado a rintracciare le vostre guardie così che si piazzino davanti alla porta» annunciò Ephiny. In risposta l’altra emise uno sbuffo e lasciò che anche l’Amazzone se ne andasse.
Rimasta sola decise di concedersi qualche ora di sonno, cosa che però non avvenne a causa del continuo viavai di schiavi che giungevano per consegnarle i suoi averi, rimasti sigillati in bauli da viaggio per intere settimane.
Finita la processione di facchini, si sedette comodamente sul letto e iniziò a disfare parte dei bagli.
Ma quanto mi fermerò qui? Forse dovrei lasciare tutto così, per essere pronta a partire… certo che, però, potrei concedermi qualche mese di soggiorno in questa bella terra…
Alla fine si decise a tirar fuori solo lo stretto indispensabile, avrebbero potuto richiamarla al Nord o in Oriente in qualsiasi momento. Le rivolte erano, sì, state sedate, ma le ostilità erano ben lontane dall’essere terminate.
Le capitò in grembo un piccolo pacco che era stata costretta ad improvvisare durante il tragitto. Ne estrasse l’arma che aveva tormentato le sue ultime nottate. Aveva una forma nota, che aveva visto durante la sua campagna nel Celeste Impero. Là avevano un simbolo circolare che indicava il cosiddetto tao, il Principio, l’unione degli opposti, il coesistere di bene e male nell’universo. La sua lama rappresentava metà di quel cerchio. Sapeva bene di dover cercare l’altra metà, ma non aveva idea di dove potesse trovarsi.
Ripose il prezioso oggetto sul fondo di uno dei bauli, dove era certa che nessuno sarebbe mai andato a cercare in caso di furto.
Decise di affacciarsi all'ampia finestra per osservare il panorama. Il sole ormai brillava gagliardo nel cielo terso, bruciando implacabile su tutto l’Egitto. La Conquistatrice poteva veder arrancare i suoi sudditi che, instancabili nonostante la calura, si stavano dando da fare con i preparativi per quella sera. L’avevano avvisata che si sarebbe tenuto un fastoso banchetto nella piazza centrale e lei sarebbe stata, ovviamente, l’ospite d’onore.
Quando a mezzogiorno giunse una ragazza con un ricco vassoio per il pranzo, Medora non si fece problemi a scacciarla in malo modo. L’euforia della conquista stava ormai scemando e il vuoto perenne della sua anima tornava a farsi sempre più presente.
Ho tutto, eppure non sono ancora soddisfatta. Non sento ancora niente…
Nel pomeriggio un’intera squadra di truccatrici si fece avanti per prepararla all’evento e lei, riluttante, si vide costretta ad accettare di essere agghindata per la grande occasione.
 
Ephiny aspettava appoggiata ad una delle colonne del corridoio e ascoltava con poco interesse i discorsi delle guardie, quando ad un tratto Medora uscì dalla stanza.
L’Amazzone inghiottì a vuoto. Ogni volta che la sua signora abbandonava gli abiti da battaglia in favore di qualcosa di più elegante, lei ricordava di quanta bellezza si celasse dietro l’aspetto bellicoso.
La corta chioma bionda di Thema non era più soffocata dall’ingombrante copricapo egizio, bensì era ornata da una corona di sottili rami d’oro intrecciati nel cui centro brillava un enorme smeraldo, della stessa tonalità degli occhi della donna. Il corpo, fasciato da una tunica bianca con decorazioni porpora, avanzava talmente leggero da far sembrare i sandali sollevati da terra. Era davvero bella nella sua semplicità e nessuno avrebbe mai riconosciuto in lei la scatenata furia che tornava da ogni guerra coperta dal rosso cupo del sangue nemico.
«Siete stupenda» le mormorò all’orecchio Ephiny, non appena si trovarono vicine.
«Io volevo tenere la mia divisa di cuoio, ma sono stata costretta a conciarmi così. Ti rendi conto? Mi hanno ordinato di indossare questa roba!» rispose la regina, accompagnando le parole con un piccolo broncio.
L’altra sghignazzò divertita, poi assunse un’espressione seria e si portò al fianco destro della sovrana.
«Si va in scena…» sospirò la Conquistatrice, una volta messo piede sulla scalinata che, appena poche ore prima, aveva salito con tanta fierezza. Scese osservando la trasformazione che aveva subito lo spiazzo. Era stata apparecchiata un’enorme tavola rettangolare attorno a cui attendevano, in piedi dietro alle sedie, molti dei suoi comandanti in seconda e alcuni nobili egizi. Stavano tutti aspettando lei.
Prese posto ad un capo del tavolo, dove era stato disposto un trono in ebano con decorazioni in oro. Ai suoi lati, due sedili di minor imponenza erano stati predisposti per gli inseparabili Caesar e Ephiny.
Medora si sforzò per tutta la durata della cena di ignorare la sensazione di vuoto che si era fatta insolitamente insistente. Aveva sorriso poco, limitandosi a sporadiche frasi quando qualche individuo insisteva nell’avere la sua opinione su qualcosa.
Nonostante non avesse pranzato, a malapena toccò cibo. Ogni minuto un servo si avvicinava porgendole una pietanza e lei testardamente era costretta a ripetergli di non tornare. Dopo l’ennesimo ritorno fu sul punto di perdere le staffe. Gli occhi verdi brillarono di una luce sinistra, ma fortunatamente Ephiny intervenne con una delle sue battute: «Visto quant’è cocciuto? Deve essere uno della mia tribù!»
Thema rise debolmente e la furia nel suo sguardo sembrò assopirsi.
 
Conclusa la cena, ignorando totalmente le suppliche a restare, la Conquistatrice decise di rientrare a palazzo, sempre scortata dalla sua fida alleata.
«Mi sono permessa di farvi una sorpresa…» comunicò l’Amazzone aprendo la porta della camera della regina.
Inginocchiato ai piedi del letto c’era un giovane, quasi ancora un ragazzino, in attesa di ordini, con il corpo ambrato perfettamente liscio e coperto da un sottile strato di unguento.
Medora sorrise amaramente. «Non è ciò di cui ho bisogno stasera.»
Ephiny schioccò le dita. Lo schiavo uscì con passo leggero ed al suo posto entrò una fanciulla ancora più giovane.
«Non è quello che intendevo.»
«Avevo pensato che…»
«Falla uscire, sembra una bambina!»
«Non vi siete mai fatta questo genere di problemi.»
«Ephiny» la rimbeccò l’altra con sguardo severo «Ho detto di no!»
«Come desiderate…»
L’Amazzone fece cenno all’ultima arrivata di lasciarle e la ragazza non attese un solo secondo di più, fiondandosi fuori dalla stanza.
«Eppure vi sono sempre piaciute le vergini con l’aria terrorizzata.»
«Ti ho già detto che non sono in vena.»
«Ma dovreste festeggiare! Questo giorno segna l’inizio del più grande e, ci si augura, duraturo impero che il nostro mondo abbia mai visto!»
«Per favore, lasciami sola» le rispose Medora con tono piatto.
«Se questo è ciò che desiderate…»
«Sì.»
La guerriera amazzone non potè ribattere e, a malincuore, se ne andò, non prima di aver lanciato un’occhiata sconsolata alla sua signora. Dov’è la gioia? Dov’è la sua aria soddisfatta dopo una conquista? Cosa le prende? furono le domande che la tormentarono mentre camminava alla volta della propria camera. Sarà meglio tenere gli occhi aperti…
Thema attese alcuni minuti, prima di sgusciare fuori. Le guardie la degnarono appena di uno sguardo, avevano imparato a non domandare e a lasciare la loro sovrana libera di fare i propri comodi.
Percorse diversi corridoi in cerca delle prigioni che, come era ovvio aspettarsi, si trovavano al piano sotterraneo del palazzo. Le celle ospitavano i prigionieri di guerra che aveva deciso di portare con il suo seguito. Perlopiù erano soldati semplici, uomini strappati al lavoro dei campi per impugnare una spada contro la Conquistatrice.
I detenuti appartenevano a diverse etnie, ma la sua vittima designata proveniva dalla Grecia, come lei. Era un colosso con il viso squadrato, coperto da una folta barba scura. I penetranti occhi color nocciola la fissarono con aria di sfida quando lo indicò.
Gli altri reclusi sospirarono di sollievo. Avevano udito voci su cosa succedeva ai prescelti: venivano portati in una delle stanze della regina, non si sapeva per quale tipo di attività, e non erano in grado di uscirne sulle proprie gambe.
Il guerriero, con i polsi incatenati, seguì ubbidiente la Conquistatrice fino ad una porta chiusa. Non c’era traccia di anima viva.
«Qui dovrebbe andare bene. Entra.»
Lui, senza obiettare, fece il suo ingresso nella stanza. Doveva essere una camera per gli ospiti di riguardo, come si intuiva dalle ricche decorazioni e dal grande letto coperto di lino.
La sovrana si chiuse l’uscio alle spalle e girò la chiave nella serratura, poi ordinò con tono deciso: «Dammi le mani.»
Il prigioniero obbedì e con un clangore metallico le manette caddero per terra. Immediatamente lui prese a massaggiarsi i polsi, arrossati e sanguinolenti a causa del continuo sfregare contro il ferro.
«Sai perché sei qui?» gli domandò Medora.
Il greco scosse il capo.
«Sei qui per eseguire i miei ordini e fare tutto ciò che ti chiederò, chiaro?»
L’uomo annuì.
«Colpiscimi.»
Il soldato rimase interdetto, convinto di aver capito male. Non si mosse di un solo passo, per paura di fare qualcosa di sbagliato.
«Sei forse un codardo?»
Lui, in risposta, scosse la testa con forza.
«Allora colpiscimi!»
Titubante, l’uomo caricò un pugno e si preparò a lasciare il colpo.
«Solo una cosa: evita la faccia» disse Thema, scivolando fuori dalla tunica bianca e rimanendo con indosso solo l’intimo. Così svestita il suo corpo appariva in tutto il suo splendore: il ventre piatto e muscoloso, candido come la neve del Monte Olimpo; il petto, con il seno trattenuto a fatica da una fascia di tessuto, che si alzava lievemente con il ritmo del respiro.
Il soldato tentennò ancora una volta, sentendo venir meno la forza di colpire una simile bellezza.
«Non lasciarti distrarre!» cominciò allora ad urlare la bionda «Ti ho sconfitto in battaglia, ho assassinato la tua famiglia, schiavizzato i tuoi amici! Ti ho strappato dalla tua patria per trascinarti in una terra straniera dove concluderai i tuoi giorni nella miseria e nel disonore!»
A quelle parole l’uomo perse il lume della ragione e si gettò sulla giovane come una furia. Prese a colpirla su gambe e braccia, alternando calci e pugni.
Meglio provare dolore piuttosto che niente iniziò a ripetersi Medora. Erano settimane che aveva smesso di ricorrere al dolore fisico, ma il vuoto lasciato dall’insoddisfacente conquista doveva pur essere colmato da qualcosa.
Il greco si fece sempre più aggressivo, con il passare dei minuti i colpi si facevano rabbiosi, carichi di odio e risentimento.
Non rispettò la richiesta della regina e prese a mirare al volto. Poco dopo Thema sentì in bocca il familiare sapore metallico del sangue.
Si lasciò sfuggire un lamento quando un calcio ai polmoni le mozzò il fiato. Si trovava rannicchiata sul pavimento, completamente in balia del bruto.
Ephiny irruppe nella stanza sfondando la porta con una spallata.
«Lasciala immediatamente!» strillò.
Il colosso si voltò solo per un istante, quanto bastò perché lei potesse vedere i suoi occhi, brillanti di furia omicida. Aveva passato il punto di non ritorno, sarebbe stato impossibile farlo ragionare.
Con un gesto ormai troppo abituale, l’Amazzone sguainò la spada e, con un colpo netto, lo decapitò sul posto. Una pozza di sangue si sparse sul pavimento e inzuppò la bionda moribonda, mentre la testa rotolava lontano dal corpo.
«Come…?» chiese in un soffio la Conquistatrice.
«Temevo ci ricascassi ed oggi eri di umore peggiore del solito. Ho dato ordine ai carcerieri di avvisarmi nel caso tu facessi loro una visitina.»
Aiutò Medora ad alzarsi e notò le numerose contusioni, incrostate anche del sangue del morto.
«Sono arrivata giusto in tempo. Questa volta ti sei spinta troppo oltre! Avrebbe potuto finirti sul serio!»
«Avevo tutto sotto controllo» sbuffò l’altra, rivestendosi a fatica «Non gli avrei mai permesso di uccidermi, mi mancherei troppo.»
«Comincio seriamente a dubitarne» sbottò l’altra, aiutandola a stare in piedi «La prima volta è stato uno schiaffo, la seconda una buona dose di pugni, oggi sono certa che ti si sia spezzato un osso, come minimo!»
«Niente di rotto, invece» la rassicurò.
«Ciò non toglie che tu sia un’incosciente! Ma perché lo fai?»
«Per sentire qualcosa.» Era sempre la stessa risposta.
«Queste tue parole hanno meno senso ogni volta che le ripeti. Come può il dolore aiutarti?»
Thema ripetè il proprio mantra: «Meglio provare dolore piuttosto che niente.»
L’Amazzone scosse il capo rassegnata. «Come faccio a spiegarti che devi solo trovare qualcosa che ti dia un minimo di soddisfazione? Anche solo un comune passatempo…»
«Ci ho già provato!» rispose esasperata la regina «La lotta, la caccia, la pesca, il sesso… perfino la conquista del mondo non mi è stata d’aiuto!»
«Non ti puoi arrendere» la consolò Ephiny «Ti aiuterò a trovare qualcosa che ti faccia sentire di nuovo viva.»
«Cosa proponi?»
«Hai mai pensato di darti alla letteratura?»
Camminarono fino alla camera della sovrana lasciandosi dietro una scia di sangue.
«Ripulite tutto e non fatene parola con altri» intimò la guerriera ad una coppia di servi che incontrarono lungo il tragitto.
«Ehi, mi sono accorta di una cosa!» esclamò all’improvviso Medora, immersa in una vasca di acqua fredda per ripulirsi.
«Cosa?»
«È da quando hai sfondato quella maledetta porta che hai iniziato a darmi finalmente del “tu”! Avessi saputo che serviva così poco avrei organizzato una cosa simile mesi fa!»
«Non farci l’abitudine» rispose l’altra con un occhiolino.
Le due passarono il resto della notte a medicare le ferite di Thema e il mattino seguente si fecero indicare la biblioteca. Vi trascorsero diverse ore, passando da un tomo ad un altro, variando continuamente argomento.
La Conquistatrice rimase particolarmente affascinata da una storia. Raccontava di due amici, orfani, cresciuti insieme, che, una volta divenuti uomini, avevano deciso di cercare le rispettive famiglie. Dopo anni di vagabondaggio e attraverso mille avventure affrontate sempre insieme, uno di loro riuscì finalmente a portare a termine l’impresa, ma giunto alla fine di quel viaggio si ritrovò come all’inizio. E fu in quel momento che entrambi si resero conto di una profonda verità: indipendentemente dal legame di sangue, l’uno era tutta la famiglia di cui l’altro aveva bisogno.
Come lo Yin e lo Yang, questi due non potevano vivere senza il proprio complementare.
Quel pensiero le riportò alla mente la lama sepolta sul fondo di uno dei suoi bauli. Forse quell’arnese è la risposta che cerco! O forse mi servirà da guida per trovare la mia ragione di vita!
Si alzò, chiudendo con un tonfo il libro che stava leggendo, e fece ritorno alla propria stanza, lasciando l’Amazzone ancora immersa nella lettura di una pergamena.
Appena entrata  in camera, trovò ad attenderla uno dei suoi nuovi collaboratori.
«Vostra Altezza» la apostrofò l’individuo «Urge la vostra presenza per deliberare in merito ad alcune questioni…»
«Esistono i miei delegati per questo» lo interruppe Medora «Qualsiasi cosa decidano, a me sta bene.»
«Ma…» cercò inutilmente di ribattere l’altro.
«Niente ma! Se proprio vuoi disturbare qualcuno, va’ da Caesar. Lui sarà lieto di aiutarti. Ora sparisci!»
L’uomo si congedò con un rapido inchino e si allontanò borbottando.
La bionda chiuse per sicurezza la porta. «E ora a noi due» bisbigliò aprendo il baule incriminato. Ne estrasse la lama e si avvicinò alla finestra, per poter osservare l’oggetto alla luce del sole pomeridiano.
«E ora» disse in tono autoritario «Mostrami ciò di cui ho bisogno!»
L’arma non volle collaborare.
«Ti prego» la supplicò «Mi serve aiuto per trovare la mia parte mancante, ciò che mi completi. So che puoi capirmi.»
L’oggetto prestò ascolto a quella più gentile richiesta. Nella superficie a specchio si rifletterono gli occhi cerulei della paesana sconosciuta.
«Chiunque tu sia» mormorò fissando intensamente le iridi di ghiaccio «Sappi che sto venendo a cercarti.»
 
Nota dell'autore: e rieccomi, ancora una volta. Mi scuso per il lieve ritardo, ma ho una buona motivazione. Il capitolo lo avevo concluso qualche giorno fa, ma volevo pubblicarlo oggi, per commemorare i 13 anni trascorsi dalla fine di Xena (il 18 giugno 2001 è andata in onda per la prima volta la seconda parte di "A Friend In Need"), quindi non vogliatemi male, io l'ho fatto per onorare il telefilm... Ora parliamo di cose serie: i ringraziamenti. Ormai mi sembrano quasi superflui, ma non lo sono quindi... Grazie a wislava e a 5vale5, grazie a chi segue, ricorda e preferisce, grazie a chi legge anche solo per curiosità. Grazie a tutti, davvero. Non voglio abbattere le vostre speranze, ma sappiate che non so quando riuscirò a scrivere il seguito, quindi spero vi siate goduti questo capitolo. Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Colpi di testa ***


CAPITOLO 12: Colpi di testa
 
I don’t wanna live, I don’t wanna breathe
‘Less I feel you next to me
You take the pain I feel
Waking up to you never felt so real
(Skillet – Comatose)
 
«È assurdo! Una follia!» sbraitò Caesar «Non potete aspettarvi che appoggi una simile decisione!»
«Oh, ma non mi aspetto che tu la supporti, volevo solo che fossi informato» gli rispose Medora «A prescindere dal tuo parere, io lo farò.»
«No, non ve lo permetterò! È insensato! Cosa ne pensa Ephiny?»
«Non le ho ancora parlato, ma mi ha sempre garantito il suo sostegno, senza mai fare domande.»
«Quell’Amazzone è proprio pazza» mugugnò il Romano a mezza voce.
«Augurati che non ti senta o ti farà rimangiare quelle parole a suon di schiaffi» sghignazzò la sovrana «Sarebbe una scena che non mi perderei per nulla al mondo.»
«Non cercate di deviare la mia attenzione! Quello che volete fare è una pazzia! Mobilitare l’intero esercito all’interno della città! E per cosa? Una caccia all’uomo!»
«Quante volte devo ripeterlo? Non è un uomo, è una donna. Una giovane donna dalla pelle chiara, i capelli corvini e gli occhi di ghiaccio.»
«Va bene, va bene» rispose lui con un gesto sbrigativo «Una fanciulla e tutto il resto. Ciò non toglie che obbligare i vostri soldati a rincorrere una paesana sia fuori da ogni logica! Ma per quale ragione vi interessa tanto?»
«Questo non ti riguarda… Gli ordini sono di portarmi tutte le ragazze che corrispondono alla descrizione, a quel punto la questione sarà un mio problema.»
«Ma… I vostri uomini si chiederanno il perché di questa folle impresa! Non volete fornire loro neppure una spiegazione?»
Thema tacque un istante. «No» rispose dopo aver riflettuto «Loro mi sono leali e se io reputo questa azione necessaria, allora seguiranno le mie direttive.»
Julius scosse la testa, ormai rassegnato. «Dunque» sospirò «Cosa devo fare?»
La Conquistatrice sorrise e ordinò con tono perentorio: «Raduna i diversi comandanti, fornisci loro i dettagli e assicurati che ogni singolo milite venga coinvolto.»
«Ai vostri ordini.»
Con quelle parole il generale si congedò, lasciando Medora sola nella piccola stanza dove si era svolto il loro dialogo. Era una camera attigua alla biblioteca, la regina ci aveva fatto portare molti volumi e trascorreva la maggior parte del suo tempo passando da una pergamena ad un’altra. Aveva persino iniziato ad ignorare la lotta, una pratica a cui aveva sempre dato ampio spazio nel corso della sua vita. Se ne stava comodamente seduta su una grande sedia imbottita, posta vicino alla finestra, cosicché la luce proveniente da fuori non le facesse sforzare la vista.
Riprese a sfogliare il tomo che aveva interrotto per parlare con Caesar, ma era certa che la sua lettura sarebbe durata poco. Infatti, dopo una decina di minuti, giunse Ephiny.
«Mi avete fatto chiamare?» domandò entrando.
«Sì, siediti pure» le rispose indicando uno sgabello.
L’Amazzone si accomodò e attese in silenzio. Thema finì di leggere il paragrafo, poi fece un profondo respiro, preparandosi a spiegare tutto all’amica.
«Ho bisogno di sfogarmi e tu sei l’unica di cui mi fidi veramente. Ti prego, stammi a sentire.»
Lo sguardo della guerriera bionda si fece attento. La sua signora non l’aveva mai trattata con tanta confidenza. Poteva essere sintomo di qualcosa di grave. «Di cosa si tratta?»
«Ecco…» La Conquistatrice sentì un nodo stringersi alla gola.
«Forza» disse Ephiny alzandosi e prendendole la mano «Non avere paura ad aprirti con me» aveva deciso di passare ad un registro più informale per metterla a suo agio.
«Non penso di farcela, mi prenderai per pazza…» mormorò abbassando il viso.
La riccia sollevò piano il mento dell’altra, così che i loro sguardi si incontrassero. «Su, prometto di non giudicarti. Sarò il più comprensiva possibile.»
Rinfrancata da quelle sincere parole, Thema si fece coraggio e si decise a raccontare: «Durante la nostra entrata in città, tra la folla, ho scorto una persona, qualcuno di molto particolare. Una fanciulla dalla pelle d’alabastro e le iridi cerulee. Lo so che sembra stupido, ma quando ci siamo fissate è accaduto qualcosa! Io avevo tenuto lo sguardo fisso davanti a me per l’intera durata della manifestazione, ma quando le sono passata vicino ho sentito l’impulso di voltarmi, come se a chiamarmi fosse stata una forza superiore. Sono certa che anche lei abbia sentito lo stesso, l’ho letto nei suoi occhi. Non so cosa sarebbe potuto accadere se il mio cavallo non avesse seguitato ad avanzare e lei non fosse stata risucchiata dal resto dei presenti.»
«Insomma…» la interruppe l’Amazzone con un risolino «Ti sei presa una sbandata per un’affascinante sconosciuta?»
Medora le lanciò un’occhiata obliqua di rimprovero.
«Va bene, non ti interromperò più…»
«Grazie. Dunque, dov’ero rimasta? Ah, già! L’incontro… Beh, sai cosa è successo in seguito quel giorno. La mia depressione ha preso il sopravvento e ho passato un brutto quarto d’ora.»
«Non mi dimenticherò mai di quell’episodio.»
«Certo, certo, ma lasciami continuare. La mattina dopo mi hai portato in biblioteca e, come sai, te ne sono grata. Mi hai aperto un mondo nuovo, in grado di farmi di nuovo provare emozioni. Ma c’è qualcos’altro che mi fa battere forte il cuore.»
«Quella giovane? Ma l’hai solo intravista! Come puoi esserne così affascinata?»
«Non è tutto finito con la parata. Qualche giorno fa, lo stesso in cui mi hai iniziata alla letteratura, è accaduto qualcosa di strano… Ma prima di arrivarci devo raccontarti di una cosa successa qualche settimana fa. Avevamo concluso da poco la campagna nel Celeste Impero e ci stavamo preparando per venire qui, rammenti?»
Ephiny annuì.
«Una notte, mi sono svegliata di soprassalto nella mia tenda. Avevo fatto uno strano sogno, che mi aveva turbata. Non riesco ancora a ricordare di cosa si trattasse di preciso, ma era certamente importante. Fatto sta che mi sono destata e ho subito notato qualcosa di strano.»
Fece una pausa e dal fianco si sfilò l’arma semicircolare.
«Mi sono trovata questo oggetto stretto in pugno.»
L’Amazzone prese l’arnese e lo studiò con attenzione, mentre la sua amica proseguiva nella narrazione: «Mi sono posta un milione di domande, ma poi, non riuscendo a spiegarmi il perché della sua comparsa, ho deciso di chiuderlo in un piccolo pacco. Però, a mano a mano che siamo avanzati verso l’Egitto io me ne sentivo sempre più attratta. Ho cominciato a ragionare sulla sua forma curiosa. La riconosci, vero?»
«Sì, sembra quel tai o qualcosa di simile.»
«Tao» la corresse Thema «Ma l’importante è che tu abbia capito. Pensi anche tu che ci sia una seconda metà, no? Una parte che debba essere unita a questa per riportare equilibro?»
«Lo immagino, ma non vedo dove tu voglia arrivare con tutto questo.»
«Credo che ci sia di mezzo il destino.»
«Come, scusa?» chiese confusa l’Amazzone.
«Quel famoso giorno, dopo averti lasciata sola in biblioteca, sono tornata nella mia camera e ho preso in mano la lama. Ed è stato allora che è successo.»
«Ti prego» la supplicò l’altra «Basta tenermi sulle spine!»
«L’ho vista di nuovo. Nel riflesso non ho visto il mio volto, ma quello della misteriosa fanciulla. Mi ha scrutato l’anima con quelle sue iridi celesti. È stato un momento magico!»
«Ehm, non vorrei abbatterti… Ma sei sicura di non essertelo immaginato? Insomma, non può essere stato un brutto scherzo dei tuoi nervi?»
«No, no, no» si difese la sovrana «Sono certa che sia accaduto! Lei ricambiava il mio sguardo! poteva vedermi! Io credo che lei abbia l’altra parte del cerchio e dobbiamo riunirci per completarlo. Per completarci
«Sembri proprio farneticante, sicura di non volerti far controllare da un guaritore?» domandò insistente Ephiny, seriamente preoccupata.
Medora sbuffò sconsolata. Aveva sperato davvero che l’amica potesse sostenerla e, magari, anche aiutarla nella ricerca della paesana. «Quindi mi credi pazza? È questo che pensi di me?»
«No…» tentò di difendersi l’Amazzone «Non ho detto questo… Ma il tuo comportamento è insolito. Sei sempre stata fredda e distaccata, quasi inumana a volte, poi, tutto ad un tratto, inizi a comportarti come una bambina innamorata. Mi stai confondendo, ecco tutto. Probabilmente dovresti prenderti del tempo per riflettere, prima di commettere qualche azione scellerata.»
La Conquistatrice non potè trattenere un ghigno, all’idea delle parole che avrebbe pronunciato da lì a pochi istanti.
«Perché quella faccia? Ho detto qualcosa di buffo?»
«Beh, a proposito di azioni scellerate, c’è una cosa che dovrei dirti. Caesar è stato qui poco prima di te e abbiamo discusso.»
«Si tratta di qualche impresa militare? Vuoi mobilizzare tutte le forze disponibili per cercare l’oggetto della tua ossessione?» domandò Ephiny con una nota di sarcasmo.
«Sì» confermò la regina.
«Come!? Io volevo essere spiritosa! Non puoi averlo fatto davvero!»
«Ehi, calmati» cercò di tranquillizzarla Thema «Stai reagendo quasi peggio di Julius.»
«E lui? Si è opposto, vero? Ti ha impedito di fare una simile sciocchezza, no?»
«Ehm… no. L’ho costretto ad ubbidire. Tra poche ore ogni soldato sarà impegnato nella ricerca della sconosciuta dagli occhi di ghiaccio.»
«Non ci posso credere» sospirò la riccia, lasciandosi cadere sullo sgabello «Sei davvero uscita di senno.»
«Quindi credi che abbia fatto una stupidata? Sei stata tu a spingermi a cercare una ragione di vita!»
«Io non intendevo questo! Come può questa caccia all’uomo darti soddisfazione?»
«Non è la caccia in sé, sarà il poter approfondire la conoscenza della “preda”» rispose sfoderando un sorriso.
«A questo punto è chiaro che io non possa più fermarti. Ma cosa ti aspettavi? La mia approvazione? La mia benedizione?»
«Il tuo supporto sarebbe stato gradito» ammise Medora.
«Se è ciò di cui hai veramente bisogno» si arrese l’altra «Allora resterò al tuo fianco, come consigliera e come amica. Non importa con quali assurdità deciderai di assillarmi, io non ti abbandonerò.»
«Grazie.»
Si scambiarono un fraterno abbraccio per siglare la rinnovata amicizia.
«Adesso che tutto sta tornando alla normalità» disse l’Amazzone «Che ne dici di un bel duello? Sono giorni che non ti alleni! Non vorrai che la tua bella ti trovi fuori forma?»
La Conquistatrice le rispose con una linguaccia. «Bene, vado a prendere un paio di arnesi, tu dirigiti pure all’armeria» comunicò, alzandosi dalla sedia e agganciando la lama semicircolare alla cinta.
«Ai vostri ordini!» esclamò Ephiny scimmiottando un tono militare.
Thema andò a recuperare due coppie di curiosi pugnali che le erano stati donati in Oriente e, una volta raggiunta l’Amazzone in armeria, gliene consegnò un paio.
«Che cosa sono?» chiese impugnando le armi insicura.
«Si chiamano sai, sono uno strumento molto apprezzato dai guerrieri orientali.»
«Fantastico, un altro ridicolo nome che non ricorderò mai…»
«Non sei certo qui per ampliare il tuo lessico!» la criticò «Dimmi piuttosto come ti sembrano come armi.»
«Non saprei, sono… strani… Insomma, sembrano le armi di Poseidon in scala ridotta.»
Risero entrambe di gusto.
«Forza» disse la regina, ristabilendo l’ordine «Mettiamo alla prova queste meraviglie.»
«Prima di iniziare, però» affermò Ephiny «Mi assicuri che non deturperai il mio bel viso? Non mi fido di te e di quegli arnesi.»
«Uff, come sei noiosa… Ecco!» esultò la sovrana «Prendiamo queste, per “sicurezza”» continuò impossessandosi di due maschere d’oro che erano appese tra le varie lame esposte «Sul retro c’è uno spago per assicurarti che non cada, vedi di legarla bene.»
Dopo che ebbero indossato le protezioni, il duello ebbe inizio.
Fu la riccia a fare la prima mossa, fece un passo, avanzando con la gamba destra, e con la mano sinistra tentò un affondo. La Conquistatrice lo deviò senza problemi e poi contrattaccò, imitando la mossa dell’avversaria. L’Amazzone fu rapida a parare e a rispondere con più audacia.
I sai saettavano rapidi, urtandosi a mezz’aria con rumore metallico.
Medora, con una mossa aggraziata, ruotò attorno all’altra e le si portò alle spalle. Ephiny reagì, voltandosi per bloccare l’attacco, levò le braccia e si preparò ad abbattere entrambe le armi sulla testa della rivale, che in risposta incrociò le proprie lame e, sfruttando il contraccolpo, la sbilanciò.
Ripresero l’attacco più furiose di prima, senza staccare i sai gli uni dagli altri. L’Amazzone tentò il colpo che la sua avversaria aveva cercato di realizzare poco prima, si incatenò con un braccio al collo della sovrana e caricò un colpo alla schiena, ma Thema, rapida, si esibì in un calcio acrobatico, liberandosi dalla presa.
Continuarono in una serie di botta e risposta, fino a che la regina non si spinse troppo oltre. Un affondo mancò il bersaglio e l’avversaria ne approfittò farle lo sgambetto, facendola cadere rovinosamente a terra.
«Visto che sei fuori allenamento?» la canzonò la riccia.
La Conquistatrice sollevò la copertura dorata e sorrise. «Questo è solo l’inizio.»
«Non fare la sbruffona e rimettiti la maschera, mi dispiacerebbe lasciare cicatrici su quel tuo bel visino.»
«Ora sei tu a dover abbassare la cresta» sghignazzò Medora «Ricordati con chi stai parlando.»
«Con una boriosa principessina?»
«Io sono una regina!» esclamò ripartendo all’attacco.
Trascorsero almeno una buon quarto d’ora in un elegante susseguirsi di colpi e volteggi, poi la stanchezza si fece sentire da entrambe le parti. I corpi pallidi erano imperlati di sudore e segnati da sottili graffi cremisi. I petti si alzavano e abbassavano velocemente, desiderosi di aria.
«Un ultimo assalto?» propose Ephiny tra un respiro e l’altro.
«Se non riesci a resistere oltre…» la stuzzicò Thema.
I sai cozzarono ancora una volta, guidati dalle mani esperte delle guerriere. Continuarono il loro scontro, incuranti dei muscoli doloranti e delle sempre più numerose ferite.
La Conquistatrice indietreggiò per recuperare stabilità dopo uno slancio non andato a buon fine, purtroppo fece un errore di valutazione, la caviglia non resse il peso del balzo all’indietro, portandola a cadere una seconda volta.
Nel breve lasso di tempo che separò la caduta dallo scontro con il suolo ebbe modo di realizzare una cosa. Quelle armi che aveva gestito con tanta maestria, avevano un che di noto, come se, in un passato remoto, lei ci avesse già avuto a che fare.
Atterrò con violenza sul pavimento freddo sbattendo la testa prima di poter elaborare qualsiasi altro pensiero.
Vide l’Amazzone calarsi rapida su di lei, poi tutto si fece buio.
 
«Aiutami! Tirati su!»
Una voce lontana, confusa.
«Forza, sono in troppi! Mi serve una mano!»
Una voce insistente, forse un po’ irritante, eppure familiare.
«Per gli dei dell’Olimpo, non ho tutto il giorno!»
Si sentiva rintronata, con un forte dolore nella parte posteriore del capo.
«Ma cosa aspetti? Un invito scritto? Raccogli i tuoi sai e datti da fare!»
Come animata da una forza estranea, si alzò e cominciò a menare colpi. Tutto era sfocato, impreciso.
 Era la voce a renderlo reale.
«Ben fatto, cominciavo a credere che mi avessi abbandonata.»
«Sai che non lo farei mai» rispose. Non capì per quale ragione avesse aperto bocca, non era sua intenzione parlare.
«Oh, piantala con queste frasi smielate o mi vedrò costretta a farti tacere.»
«E, di grazia, vuoi illustrarmi come?»
La voce si mutò in un volto, un volto con penetranti iridi azzurre, sempre più vicino, fino a che le loro labbra non si fusero…
 
«Ehi! Ehi, che stai facendo?»
Medora si scosse debolmente ed aprì gli occhi. Ephiny era praticamente incollata a lei. «Ma cosa?» biascicò confusa.
«Oh, finalmente!» esultò la riccia «Cominciavo a perdere le speranze!»
«Togliti! Mi stai soffocando! Perché mi sei così appiccicata?» ringhiò tentando di rialzarsi.
«Ehi, qui l’unica che può arrabbiasi sono io! Hai cercato di baciarmi
«Io cosa!?»
«Oh, mi hai capito benissimo! Da quant’è che nutri per me questa passione segreta?» sogghignò l’altra.
«Ma non dire stupidate! Ora levati, devo andare ad assicurarmi che i soldati eseguano i miei ordini.»
«Ah, giusto. Non dimentichiamoci della tua vera ossessione…»
Si alzarono, abbandonando le maschere sul pavimento, come a memoria di quel loro scontro che, Thema ne era certa, stava risvegliando in lei qualcosa di importante, qualcosa che poteva cambiare il suo mondo.
 
«Madre, padre» annunciò Tabia con voce ferma «Ho a lungo riflettuto sulla vostra proposta.»
«Finalmente!» borbottò Kontar «Ti sei decisa a sposare Garai?»
«No, papà. Ho detto che non lo avrei preso per marito e resto della stessa opinione.»
«Che cosa vuoi dirci allora?» domandò Ebonee, preoccupata che il marito scoppiasse in un altro eccesso d’ira.
«Non voglio impegnarmi con un uomo perchè…» i genitori spalancarono la bocca, terrorizzati dal possibile seguito «Ho scelto di consacrarmi alla dea Isis» concluse in un soffio.
I due tirarono un profondo sospiro di sollievo.
«Non sei mai stata una persona molto devota» commentò suo fratello che era seduto ad ascoltare «Come mai questa decisione improvvisa?»
«In realtà sono giorni interi che ci rifletto, la visita al tempio ha cambiato la mia visione del mondo. Ho bisogno di approfondire il mio legame con gli dei e questo è il modo migliore per farlo.»
«Ci lascerai dunque…» disse amareggiata sua madre.
«Devo, le regole lo impongono. Partirò non appena avrò la vostra benedizione.»
«Hai la mia» intervenne subito Kontar «Quanto ti ci vorrà a preparare i bagagli?»
«Tesoro!» lo rimproverò la moglie «Per quale ragione vuoi mandarla via?»
«Non la sto scacciando» si difese lui «Voglio solamente che trovi la sua strada, prima lo fa, meglio è.»
«State tranquilli» li interruppe la figlia «Ho già tutto pronto, una consorella passerà tra poco per accompagnarmi ufficialmente come novizia.»
L’intera famiglia la strinse in un affettuoso abbraccio, augurandole il meglio e facendosi promettere che lei non li avrebbe mai dimenticati.
«Non sarò segregata in una camera a pregare» li rassicurò «Tornerò a trovarvi. Forse anche più spesso di quanto potrete sopportare.»
Un paio d’ore più tardi Tabia usciva dalla porta di casa accompagnata dalla sacerdotessa con cui aveva parlato il giorno successivo alla sua visita al tempio. Aveva capito che, se voleva essere indipendente, doveva prima rinunciare alla propria libertà. Dedicarsi agli dei era la soluzione migliore. Avrebbe avuto una scusa per andare alla Capitale senza essere inseguita da familiari furenti.
«Sei sicura della tua scelta?» le domandò ancora una volta l’adepta.
«Me lo avete già chiesto, molte volte, e la mia risposta non cambia: io mi consacrerò ad Isis, è ciò che desidero.»
«È tutto?» la incalzò l’altra, ma non ottenne risposta, o, almeno, non una che fu in grado di udire.
Oh, no che non è tutto. Questo è solo un piccolo passo verso un più grande obiettivo. Io devo arrivare alla Capitale, io devo tornare da lei.
 
Nota dell'autore: Sorpresa! Non credevo di riuscire a caricarlo così presto, ma ieri ho deciso che dovevo finirlo, anche se non è venuto esattamente come pensavo. Mi scuso di avervi fatto attendere tanto a lungo, ma l'attesa tra un capitolo e l'altro andrà, purtroppo, aumentando in questo periodo estivo. Nel frattempo, però, devo passare ai ringraziamenti. Grazie a wislava, a 5vale5 e a tutti gli altri lettori. Spero di ritrovarvi al prossimo aggiornamento. Per ora, buone vacanze (e buono studio a chi, come me, è vittima della sessione estiva).
Aggiungo qui il link della one-shot che ho pubblicato giusto ieri, se avete tempo e cuore passate a leggerla e magari lasciate un commento :)
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2674770&i=1

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sempre più vicine ***


CAPITOLO 13: Sempre più vicine
 
In the sun and in the rain and in the day and in the night
I will always find you
(Nineteen Ninety Seven – I Will Always Find You)
 
Medora picchiettava nervosa sul bracciolo del suo trono. Si passò una mano sul viso per rimuovere il leggero strato di sudore che vi si era formato per via del caldo soffocante della sala.
«Quanti ancora?» chiese sconsolata a Caesar.
«Ancora una decina, Vostra Altezza» le rispose facendo un cenno alle guardie sulla porta.
La regina sbuffò. Da diverse ore stava lì, seduta su quello scomodissimo scranno, osservando il viavai di sudditi che giungevano a porgerle saluti ed omaggi. Non mancavano inoltre mercenari che venivano a pregarla di essere ingaggiati.
Lasciò che gli otto dimostranti rimasti si presentassero e le propinassero l’ennesima sequela di onorificenze ed epiteti. Non appena l’ultimo se ne fu andato, Thema si concesse un sospiro di sollievo. Non ricordava di aver mai trascorso una mattinata tanto noiosa in tutta la propria vita.
«Non abbiamo finito, Maestà» le ricordò il Romano «C’è ancora da verificare la riuscita della vostra “impresa”.»
Il volto della Conquistatrice si illuminò. «Oh, certo!» esclamò, riacquistando d’improvviso vitalità «Portatele tutte al mio cospetto.»
Scortata da una dozzina di guardie, entrò una piccola schiera di donne. La gioia Medora svanì non appena posò gli occhi su di loro. Gli ordini erano stati precisi: giovane, iridi celesti, pelle chiara e capelli corvini; delle persone al suo cospetto solo cinque o sei corrispondevano a tutti i requisiti.
Scese dal trono e camminò in mezzo a quella piccola folla. La metà poteva essere scartata solo per l’età: troppo bambine o troppo in là con gli anni. Delle restanti, due terzi o non erano di carnagione abbastanza chiara o non avevano la chioma del giusto colore.
Alla fine della selezione erano rimaste in quattro, la altre erano state congedate e ringraziate per la loro disponibilità. Le bastò uno sguardo più approfondito per capire che la misteriosa sconosciuta non si trovava tra le presenti.
Con il morale a terra, fece ritorno nelle proprie stanze, continuando ad inveire contro “quegli incompetenti buoni a nulla” dei suoi uomini, che non erano neppure in grado di rintracciare una fanciulla all’interno delle quattro mura di una città.
«Dal tuo umore deduco che non sia andata molto bene» la apostrofò Ephiny, spuntando da dietro una colonna.
«Sono un branco di incapaci» sibilò la sovrana «Dovrei farli decapitare.»
«Suvvia» cercò di farla ragionare «Non è il caso di arrivare a tanto. Non puoi incolparli del fatto che la tua bella sia scomparsa.»
«Lei non è scomparsa! Non può essere scomparsa!» rispose la Conquistatrice «Devono solo cercare meglio!»
«Dovresti andare tu, visto che sembri conoscerla tanto bene» commentò ironica l’Amazzone.
«Ma sì! Hai ragione!» esclamò «Devo andare io! Prepara il mio cavallo!»
«Non… Non dirai sul serio? Io dicevo per dire!»
«Invece hai pienamente ragione! Se organizzassi una nuova parata lei verrebbe certamente a vedermi, a quel punto la farei seguire e il gioco sarebbe fatto!» spiegò contenta Medora.
«Ehm, ci sono diverse falle in questo programma…» tentò di consigliarla Ephiny «Troppe variabili… E poi, lascia che te lo dica, questa strana tizia, a tratti, mi pare quasi immaginaria.»
«Meno chiacchiere! Organizziamo questa trappola!» stabilì Thema, incurante delle parole dell’amica.
«Sei proprio incorreggibilmente testarda.»
«Sarà che appartengo anche io ad una tribù di gente cocciuta» rispose ironica.
«Saresti stata una gloriosa lava-panni amazzone» la canzonò la riccia.
«In un mondo in cui tu eri regina, tutto sarebbe stato possibile» concluse la sovrana con una risata.
 
«Le novizie verranno ora divise nei diversi santuari di questa zona» annunciò la forma terrena di Isis «Per servire al meglio la dea dovrete camminare tra la gente, conversare con i civili ed ascoltare le loro preghiere. Tra un paio di mesi tornerete in questo tempio e, se avrete svolto bene il vostro servizio, entrerete a far parte del nostro sacro ordine sacerdotale.»
Tabia non la stava a sentire, dopotutto a lei serviva solo una scusa per scappare di casa, non aveva la minima vocazione religiosa e mai l’avrebbe avuta. Inoltre quella donna le sembrava troppo finta, composta, non riusciva a scorgere in lei la scintilla divina. Ogni volta che lo pensava, tornava con la mente al dialogo di qualche tempo prima. Sapeva che la voce comparsa all’improvviso, quella che le aveva dato le strane indicazioni, era, in qualche modo, la vera Isis. Ancora non capiva, però, per quale motivo avesse dovuto comunicare proprio con lei.
«Dividetevi a seconda della destinazione e che gli dei vi assistano.»
La ragazza seguì senza obiettare il gruppo diretto alla Capitale, aveva fatto molte pressioni per essere assegnata al luogo più vicino possibile a Thema e al suo palazzo.
«Da questa parte» ordinò la responsabile «Muovete il passo, abbiamo molta strada da fare.»
Le novizie, tra cui Tabia, vennero condotte su un carro trainato da una coppia di buoi dalle lunghe corna.
Il viaggio fu estenuante per via del caldo e delle continue lamentele delle ragazze. La fanciulla del Nilo fu tentata, più di una volta, di saltare giù dal mezzo per proseguire a piedi o, in alternativa, di strangolare le sue petulanti compagne.
Ancora qualche giorno si consolava e poi sarò finalmente libera.
Giunte in città, le novizie vennero subito condotte al santuario di Isis. Era molto più piccolo rispetto al tempio nel deserto, che trionfava con la sua colossale sala di preghiera e l’imponente statua alata. Là tutto quello che c’era era un altare con qualche piccola effige. Ad ogni futura sacerdotessa fu assegnata una camera in un edificio vicino, con la semplice richiesta di presentarsi la mattina dopo per la preghiera dell’alba. Tabia non vi avrebbe mai partecipato, anzi, non si sarebbe trattenuta tra quelle fanatiche un solo minuto di più.
Con il favore del crepuscolo, sgusciò fuori dalla propria stanza e si incamminò lungo le strade deserte della Capitale.
Non aveva riflettuto sul fatto che una giovane donna, sola, avrebbe certamente destato interesse, soprattutto non del genere desiderato. Iniziò ad avanzare più in fretta, sentendo dei passi alle proprie spalle. Si mise a svoltare ad ogni angolo possibile, nella speranza di disorientare gli inseguitori, ma il calpestio era sempre dietro di lei.
Presa dal panico, non appena vide una porta socchiusa da cui usciva una lama di luce, vi entrò senza riflettere. La investì un forte odore di alcol, non ci mise molto a realizzare di trovarsi in una taverna. I tavoli in legno scheggiato erano deserti, un unico avventore sedeva solitario con una bottiglia di quello che giudicò essere vino speziato. L’oste non si curò della nuova arrivata e proseguì a passare annoiato uno straccio umido su una delle tavolate.
«Bella fanciulla!» la salutò l’altro cliente «Vieni! Siedi con me e tienimi un po’ di compagnia! Questo fiasco non è molto loquace.»
Tabia non fece storie, se i suoi inseguitori l’avessero vista con quello che, data la spada poggiata sul tavolo, doveva essere un guerriero, l’avrebbero lasciata in pace.
«Sai con chi hai l’onore di conversare?» le domandò l’uomo, una volta che lei ebbe preso posto di fronte a lui.
La giovane scosse la testa in segno di diniego.
«Oh, devi essere nuova qui, altrimenti avresti certamente sentito parlare di me!» disse gonfiando orgoglioso il torace «Io sono Joxer» proseguì  battendosi il petto «Joxer il Potente, per servirla.»
«Io sono Tabia» rispose educatamente lei.
«Per quale motivo ti trovi qui?» le chiese, ma non le diede il tempo di rispondere perché iniziò a parlare, convinto che lei lo stesse a sentire «Io sono venuto per andare a colloquio con Medora ed offrirle i miei servigi come guerriero di ineguagliabile abilità.»
«Medora? Chi sarebbe?» domandò la fanciulla.
«La regina, è il suo nome. O almeno quello con cui desidera essere chiamata dalla terra da cui vengo. Qui credo usiate il nome Thema.»
A quel punto l’ interlocutrice si fece più attenta. Se quell’uomo doveva andare dalla Conquistatrice avrebbe potuto proteggerla fino a portarla a palazzo.
«Allora» continuò Joxer «Tu perché sei in città?»
«Volevo trovare un lavoro alla reggia, ora che tutto è cambiato potrebbero aver bisogno di personale ed io sono certamente la persona che cercano.»
«Quali abilità hai per esserne tanto sicura?»
«Ehm…» esitò, non aveva idea di come rispondere. Benché il suo nome significasse “dotata di molti talenti”, Tabia non aveva nessuna capacità degna di nota. Per quale ragione dovrebbero essere interessati ad assumermi? Il suo piano per infiltrarsi tra la servitù sembrava essere fallito ancora prima di cominciare.
«Non importa, immagino che, come ogni vero professionista, tu voglia tenere per te i tuoi segreti» la tolse dall’imbarazzo il soldato «Quello che conta è che non ti lasci intimorire dalla Conquistatrice.»
«Non lo farò di certo» lo rassicurò «So badare a me stessa.»
«Ma che brava ragazza! Oste!» urlò «Offri da bere a questa simpatica giovane!»
In un paio di minuti anche la fanciulla del Nilo ebbe una bottiglia con cui tenersi compagnia.
«Però» riprese Joxer dopo aver preso un’altra lunga sorsata «Non capisco proprio il motivo per cui tu voglia farti assumere da Medora. Non hai sentito le voci che circolano?»
«No… Di cosa si tratta?»
«Beh, di varie notizie… Le più inquietanti riguardano i suoi prigionieri e i suoi schiavi: quelli che entrano nella sua camera da letto non ne escono più. Pare avere una preferenza per i giovani, maschi e femmine, senza distinzione.»
Tabia deglutì rumorosamente.
«Poi» continuò «Si dice che sia piuttosto violenta, per non parlare della furia che la coglie in battaglia. Un viandante una volta mi ha detto di averla vista lottare: si muove come una furia, falciando chiunque o qualunque cosa si metta tra lei e il suo bersaglio.»
La ragazza si inquietò sempre di più e la sua sicurezza vacillò notevolmente.
«L’ultima balzana idea che le è saltata in testa è stata quella di una caccia.»
«Una caccia?» chiese preoccupata.
«Sì, una specie. Ha dato ordine ai suoi uomini di trovare tutte le donne corrispondenti ad una data descrizione e le ha radunate nella sala del trono. Non ne ho più saputo nulla.»
«E… E ti ricordi le caratteristiche di queste sventurate?»
«Uhm…» riflettè il guerriero «Direi che si trattava di fanciulle dai capelli scuri e la pelle bianca… Ah! E gli occhi azzurri! Me lo ricordo perché una di loro mi ha fermato per chiedermi…» ma non concluse il discorso, notando lo sguardo spaventato della compare di bevute «Che ti prende… Oh!» realizzò «Tu! Tu corrispondi alla descrizione! È te che sta cercando vero? Ma per quale ragione allora vuoi finire tra le sue grinfie?»
La mora non aveva idea di cosa rispondere. Voleva solo poter fuggire lontano, tornare a casa e dimenticarsi di quella storia. La sua era stata una pazzia. Non avrebbe mai dovuto seguire quello strano istinto.
«Scusami, ma devo andare» disse per congedarsi da Joxer.
«No, aspetta! Non volevo spaventarti!» esclamò lui, afferrandole il polso «Se vuoi tentare la fuga io posso proteggerti.»
«No, davvero, grazie dell’offerta, ma non ce n’è bisogno» e con quelle parole si fiondò fuori dalla locanda, tornando nei bui vicoli della città.
Non ci volle molto prima che ricominciasse a sentire i misteriosi passi alle sue spalle. Aveva decisamente commesso un errore a non accettare la protezione del soldato, sarebbe dovuta restare con lui fino al mattino per poi tornarsene a casa.
A furia di voltarsi indietro per tenere a bada gli inseguitori, non fece caso al gruppo di uomini che stava in agguato poco più avanti.
«Cosa ci fa una bella signorina come te tutta sola a quest’ora della notte?» iniziò uno di loro.
Le cose non si mettevano bene.
«Forse si è persa. Dovremmo darle una mano a trovare la strada o, meglio ancora, potremmo tenerle compagnia fino al sorgere del sole, che ne dite?»
Il resto dei malviventi ridacchiò soddisfatto.
«Allora comincio io» stabilì il primo «Dopotutto il capo sono io…»
«Nessuno di voi sfiorerà questa ragazza» annunciò una voce «Non finchè Joxer il Potente sarà in vita!»
Senza indugio i delinquenti si gettarono sull’improvvisato eroe, prendendolo a pugni.
«No! Vi prego! Non fategli del male!» gridò Tabia disperata.
«Oh, fidati di me» le rispose il capo «Tu non vuoi che finiamo con lui, perché non appena gli avremo dato una lezione sarà il tuo turno.»
La ragazza pensò di scappare, ma due braccia possenti la immobilizzarono, non aveva notato un altro membro della banda che si era lentamente portato dietro di lei per bloccarla. Il resto del gruppo continuò a picchiare Joxer fino a che lui non smise di gemere, raggomitolato tra la polvere della strada.
«E ora…» ricominciò il primo individuo passandosi le mani sulle braghe «Dove eravamo rimasti?»
Il terrore si impossessò definitivamente di Tabia. Non vedeva via d’uscita da quella situazione.
Il bruto le si avvicinò e le sfiorò la guancia in modo rude.
«Che bel faccino… Ragazzi, evitiamo di rovinarlo, mi raccomando.»
I compari sghignazzarono scambiandosi occhiate loquaci.
Quando la mano dell’uomo scese lungo la coscia della giovane, accadde qualcosa di inaspettato.
 
Un barbaro dai bizzarri capelli neri le dava le spalle, minacciando un gruppo di contadini.
«Molto bene» disse lui «Possiamo risolverla in due modi: potete lasciare che ci prendiamo le donne mentre voi ve ne tornate al buco che chiamate casa, oppure possiamo farvi a pezzi per poi prenderci le donne comunque!»
I suoi uomini risero divertiti, mentre il terrore serpeggiava tra le povere vittime.
«Gabrielle!» si levò una voce, mentre una biondina si faceva coraggiosamente avanti.
«Prendete me e lasciate andare gli altri!» affermò la temeraria.
«Bel tentativo, ma prenderemo te e chiunque altro vogliamo!»
Lei si ribellò, colpendolo.
«Non è mai troppo tardi per iniziare a sottomettere una schiava» disse l’uomo facendosi passare una frusta.
A quel punto si vide costretta ad intervenire, incapace di restare ad assistere impotente a quella violenza. Uscì dai cespugli in cui era appostata e sfidò a testa alta i malviventi. Iniziò dal capo per poi mettere fuori gioco i nemici uno ad uno, sotto lo sguardo sconcertato degli abitanti del villaggio. Anni e anni di battaglie ed addestramento l’avevano resa una macchina da guerra letale, ma da quel momento non avrebbe più agito per egoismo o sete di potere, avrebbe votato le sue abilità al bene. Avrebbe protetto chi non era in grado di difendersi da sé.
Ad un tratto si ritrovò a terra, ma questo non la fermò. Attese il momento giusto poi, dal terreno sotto di lei, estrasse una spada e un’arma circolare, con le quali eliminò i rimanenti nemici.
«Sei con Draco, vero?» sbuffò spavalda al termine del combattimento «Digli che Xena lo saluta» e con ciò assestò un ultimo colpo al barbaro.
 
Le dita del criminale non poterono avanzare ulteriormente perché Tabia lasciò che l’istinto prendesse il sopravvento. Si divincolò dalla presa con una gomitata alle reni dell’uomo che la teneva stretta, per poi colpire l’altro assalitore con un colpo alla mandibola. In pochi istanti le furono tutti addosso, ma lei continuò a combattere. Iniziò ad assestare calci e pugni fino a che tutti non furono immobili a terra, nella stessa posizione in cui avevano lasciato Joxer.
Si avvicinò al suo sfortunato soccorritore per verificarne le condizioni. Era vivo, ma aveva bisogno di cure. Cercò di caricarsi il corpo inerme su una spalla, ma si accorse che uno dei bruti si era ripreso e si stava preparando ad un nuovo attacco.
La fanciulla mantenne il sangue freddo. Attese fino all’ultimo istante, poi lasciò cadere il compagno privo di sensi, per avere le mani libere, pronte a colpire. Non appena l’avversario fu alla sua portata, rapida e senza sapere esattamente come, gli conficcò le dita nel collo facendo pressione su alcuni noduli e vasi sanguigni.
Il nemico sbiancò ed in breve tempo non fu più in grado di respirare.
Solo allora Tabia tornò padrona del proprio corpo. Si sentì spaventata e confusa, incapace di spiegare quanto appena avvenuto. Doveva allontanarsi al più presto e trovare un guaritore per Joxer. L’unico posto che le venne in mente fu il palazzo e così imboccò una via più ampia, nella speranza che conducesse al centro della città.
 
Ephiny aveva passato buona parte del pomeriggio appollaiata sulle mura della Capitale, sorvegliando i convogli in entrata e in uscita. Dopo l’ennesimo gruppo di pellegrini in cerca di fortuna era stata tentata di arrendersi, ma la perseveranza aveva avuto la meglio, doveva resistere e tenere d’occhio il flusso di viandanti sperando di individuare la sua preda. Medora era riuscita a convincerla che la fantomatica fanciulla fosse reale e che l’unica spiegazione per l’assenza di quest’ultima in città fosse che, semplicemente, veniva da fuori. “Tornerà certamente per rivedermi, vai a sorvegliare la porta principale” le aveva ordinato, senza concederle possibilità di appello.
Si avvicinò all’entrata un piccolo carro da cui scesero sei figure vestite di bianco.
Sacerdotesse di qualche divinità di questa terra si disse osservandole ad una ad una. Niente di speciale. Poi una settima persona abbandonò il mezzo, mostrandosi in tutto il suo splendore: era una donna, giovane, dai capelli corvini e la pelle chiara. Sfortunatamente, data la distanza, l’Amazzone non riuscì a notare il colore delle iridi, ma quella era la ragazza più vicina alle indicazioni della sua signora e valeva la pena tenerla d’occhio.
La seguì per tutto il percorso fino al santuario di una qualche dea che non riuscì ad identificare e lì dovette attendere a lungo. Pensò di infiltrarsi nella casa dove il suo bersaglio si era ritirato, ma un’effrazione non era nei suoi programmi.
Al tramonto notò qualcosa di strano, un movimento sospetto. Si spostò tra le ombre, facendo attenzione a non fare troppo rumore. La sua preda stava sgattaiolando fuori da una finestra, pronta a svignarsela.
La seguì per i vicoli, accelerando il passo sempre più dato che la misteriosa donna sembrava aver capito di essere seguita e stava cercando di seminarla. Ad un tratto, svoltato un angolo, la fuggiasca scomparve. Ephiny battè la zona palmo a palmo, senza ottenere alcun risultato. Dopo un po’ la sconosciuta riapparve, visibilmente turbata, e riprese il suo girovagare per le vie della Capitale.
Un uomo la seguiva a distanza e l’Amazzone sorvegliava entrambi.
Quando furono attaccati da una banda di criminali, lei scelse di non intervenire, decisa a vedere come se la sarebbero cavata. L’uomo venne gettato a terra e malmenato lasciando la ragazza in balia dei bruti, a quel punto lei si preparò a salvarla da un ormai triste ed ineluttabile destino.
Con sua estrema sorpresa, però, la fanciulla, dopo un momento di apparente immobilità, cominciò la controffensiva, rivelandosi una formidabile guerriera. La mossa più sconvolgente fu una strana presa al collo dell’ultimo avversario, che lo lasciò completamente inerme sull’improvvisato campo di battaglia.
Dopo aver assistito ad una simile scena, Ephiny decise di farsi più cauta, quella strana donna sapeva essere pericolosa. La seguì mentre, trascinandosi dietro il corpo dell’amico, la preda avanzava verso il palazzo.
Che stia cercando di portarlo lì? Sarà meglio che intervenga, prima che si caccino ulteriormente nei guai.
«Ti serve aiuto?» disse, uscendo dall’ombra in cui stava annidata.
La giovane si voltò nella sua direzione ed allora l’Amazzone ebbe la certezza di aver trovato colei che stava cercando: gli occhi di ghiaccio la fissarono con timore. Per la prima volta potè osservare bene la figura che tanto ossessionava Medora. Era decisamente alta, cosa insolita per gli abitanti dell’Egitto, ma ancora più insolita era la sua pelle d’alabastro e le sue iridi color del cielo.
«Tranquilla, sono qui per darti una mano. Ho visto quello che ti è successo, dovresti riposare e il tuo compare avrebbe bisogno di un guaritore.»
«Grazie…» riuscì solo a biascicare la mora, lasciando che la bionda prendesse su di sé il peso del guerriero svenuto.
«Seguimi, vi porterò al palazzo.»
 
Tabia ringraziò gli dei per il provvidenziale soccorso di quella donna, sapeva di non essere in grado di raggiungere la reggia da sola, soprattutto non con Joxer a carico.
Ne studiò a lungo i curiosi abiti in pelle e le piume che spuntavano dalla chioma riccia. Non le ci volle molto per riconoscerla.
«Ma tu! Tu sei…» esclamò fermandosi di colpo «Tu eri alla parata! L’Amazzone sul cavallo bianco!»
«Ephiny, per servirti» si presentò «Tu saresti?»
«Tabia» rispose «E il mio amico si chiama Joxer, ma avrà modo di ribadirtelo una volta che si sarà ripreso.»
«Non preoccuparti, andrà tutto bene, fidati di me» la rassicurò la bionda «Tra poco arriveremo a destinazione e farò in modo che gli uomini della regina si prendano cura di lui.»
La fanciulla del Nilo tornò con la mente alle informazioni acquisite su Thema e rabbrividì all’idea di entrare volontariamente nella tana del lupo.
«So… So che Sua Altezza si è comportata in modo bizzarro ultimamente, è forse per via del cambio di clima? O magari si tratta di qualcos’altro?» chiese titubante.
Gli occhi dell’Amazzone brillarono. «Vedo che hai saputo… Non fare l’ingenua, io ti parlerò con sincerità. È convinta che il suo destino abbia a che vedere con una certa persona. Sei preoccupata all’idea di incontrarla?»
«Io non saprei… Posso fidarmi di lei? Posso fidarmi di te?»
«Non hai motivo di temermi, ma, onestamente, non posso garantire per la mia padrona. Penso che mi occuperò io di gestire il vostro eventuale incontro, per assicurarmi che non accadano incidenti.»
Tabia annuì, soddisfatta da quella risposta. Non era pienamente convinta delle sue decisioni, tutto era accaduto troppo in fretta. In pochi minuti sarebbe arrivata al cospetto della Conquistatrice e, per la prima volta, al pensiero dei suoi brillanti occhi verdi un brivido di paura ed insicurezza le percorse la schiena, ma ormai era tardi per tirarsi indietro.
 
Nota dell'autore: mea culpa, mea culpa, mea culpa... Perdonatemi se non sono riuscita a caricare prima, sono cento volte colpevole, scusatemi... Spero che almeno il capitolo non sia una totale delusione (a me non convince gran che) e cercherò di non metterci troppo a finire il prossimo. A questo punto devo passare ai ringraziamenti. Questa volta a wislava mille e mille grazie per aver sacrificato un po' della sua vacanza oltreoceano per dedicare del tempo a questo scritto, grazie a 5vale5 per le puntali recensioni e grazie a ester310 per le gentili parole, ovviamente grazie anche a tutti gli altri lettori, spero che non ve la siate presa troppo per l'attesa. Mi auguro di trovarvi ancora in futuro per il seguito della storia, a presto (ma non troppo).

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il lupo e l'agnello ***


CAPITOLO 14: Il lupo e l’agnello

Time stands still
Beauty in all she is
I will be brave
I will not let anything
Take away what’s standing in front of me
Every breath,
Every hour has come to this
One step closer
I have died every day
Waiting for you
Darlin’ don’t be afraid
I have loved you for a thousand years
I’ll love you for a thousand more
(Christina Perri – A thousand years)

Un trillo. Due. Tre.
«Avete chiamato?» domandò l’attendente socchiudendo la porta.
Medora poggiò il campanello sul letto e sbuffò. Tre volte ho dovuto suonare, addirittura tre! Non esiste più la servitù di una volta… si disse scuotendo lievemente il capo. «Volevo sapere se si hanno notizie di Ephiny.»
«No, Maestà, ancora niente. Sarete la prima ad essere informata non appena farà ritorno. C’è altro che posso fare?»
«No, sei congedato» tentò di liquidarlo la sovrana.
«Siete certa di non avere bisogno d’altro?» insistette lui «Potrei farvi portare qualcosa da mangiare dato che non avete toccato cibo da questa mattina…»
«Se avessi voluto una balia l’avrei debitamente richiesta» rispose acida «Ho detto che sei congedato, vuol dire che devi prendere quel mucchio d’ossa che ti ritrovi e sparire dalla mia vista.»
«Ai vostri ordini» disse mesto il servitore, per poi dileguarsi.
La Conquistatrice, tornata sola, si sdraiò sul morbido materasso. Aveva passato il pomeriggio ad organizzare la nuova manifestazione, da mettere in atto nel caso il piano dell’Amazzone fosse fallito. Giunto il tramonto era certa che la sua sottoposta sarebbe rientrata, invece il sole era ormai calato da tempo e non c’era ancora alcuna traccia della guerriera.
Provò a dormire per far scorrere le ore più velocemente, ma fu inutile.
Rinunciando al riposo, decise di ingannare il tempo facendo un giro del palazzo. Percorse il lungo corridoio fuori dalla propria camera sotto lo sguardo vigile di un trio di guardie, diretta dall’unica persona che poteva avere informazioni su Ephiny.
Bussò un paio di volte, poi, senza attendere risposta, aprì la porta.
Un urlo di sorpresa accompagnato da uno svolazzare di lenzuola accolse l’entrata di Thema.
«Signora!» esclamò Caesar, coprendosi imbarazzato.
La regina ignorò la donna che sgusciò fuori dal letto del Romano per andarsi a rintanare in un angolo.
«Mi spiace interrompere il tuo divertimento, ma volevo sapere se avessi notizie di Ephiny.»
«Ehm… No, nessuna notizia, Vostra Grazia. È solo per questo che avete deciso di fare irruzione nel mio spazio privato?»
«Oh, andiamo! Non c’è nulla che io non abbia già visto» commentò maliziosa.
L’uomo cercò di seppellirsi nelle coperte, non sapendo come comportarsi in una simile situazione.
«Beh, visto che non ti vedo molto a tuo agio, credo che ti lascerò tornare alla tua precedente occupazione… Ma se domattina l’Amazzone non sarà tornata, tu verrai con me a cercarla, quindi vedi di essere in forma.»
«Certo, come desiderate» mormorò Caesar, lanciando un’occhiata alla concubina, ancora immobile poco distante.
«Bella scelta, comunque» sussurrò appena Medora, di modo che solo il Romano la sentisse «Mi sembra proprio carina per essere una prostituta.»
«Non è…» cercò di spiegare lui.
«Non ha importanza, è un problema tuo, non mio. Adesso torna pure a godere ciò per cui hai pagato» disse andandosene.
Tutta quella giornata era stata assolutamente noiosa ed inconcludente, era uno di quei giorni in cui la voglia di lasciarsi andare al dolore pur di provare qualcosa si faceva più intensa. Fu tentata di fare un salto alle prigioni, ma il suo stomaco ebbe la meglio sul resto. Era digiuna da diverse ore, così decise come meta successiva le cucine. Non ci era ancora stata, sapeva che si trovavano in una specifica parte della struttura, vicino alle dispense ed alla mensa del personale.
Si fece indicare la strada un paio di volte dai rari domestici ancora in servizio, non erano molti quelli al lavoro nel cuore della notte. Per sua fortuna i cuochi, impegnati a preparare la colazione per le centinaia di soldati, erano ancora in piedi e furono ben lieti di offrire alla loro padrona un lauto pasto nonostante l’ora tarda.
Rifocillata a dovere, riprese la sua esplorazione. Dopo essersi imbattuta in una serie di spazi vuoti, cominciò a dirigersi verso la sua personale sala di lettura, dove avrebbe trovato certamente qualcosa da fare in attesa del ritorno dell’amica.

«Ecco, lascia che se ne occupino loro» disse Ephiny a Tabia, mentre un gruppo di guaritori si impossessava del corpo di Joxer, ancora privo di sensi.
«Ma devo restargli vicino» si lamentò la fanciulla «Lui lo vorrebbe.»
«Lui vorrebbe che tu riposassi. Domattina, quando starà bene, potrai vederlo e tenergli compagnia per tutto il tempo che vorrai. Adesso, però, vai a dormire. Hai avuto una lunga e piuttosto difficile giornata e credo non ti sia ancora ripresa dagli eventi di poco fa.»
«E dove dovrei andare?»
«Chiedi che ti indirizzino verso la biblioteca, a fianco c’è una stanza con una comodissima sedia imbottita. Puoi stare lì fino a che non ti trovo una sistemazione migliore.»
«Ma» rispose la ragazza abbassando il tono così da non essere udita da orecchie indiscrete «Non c’è il rischio che lei mi veda?»
«No» la tranquillizzò l’Amazzone «A quest’ora starà dormendo o avrà comunque di meglio da fare che andare a spulciare qualche tomo.»
Tabia si fidò e in pochi minuti riuscì ad arrivare alla stanza indicatale e si lasciò sprofondare nella poltrona, dove crollò addormentata.
Sbattè rapidamente le palpebre, svegliata dal cigolio dei cardini della porta. Dalla finestra la luce della luna filtrava, illuminando in parte la stanza.
Con il cuore in gola, fissò la figura che stava entrando. In un primo momento pensò si trattasse di Ephiny, ma non vide la massa riccioluta caratteristica della sua nuova amica. La persona rischiarata dai raggi lunari era sì bionda, ma aveva i capelli più corti, non vestiva gli abiti di pelle del popolo Amazzone, ma una tunica bianca con il brodo d’oro che rifletteva ancor di più il pallore dell’astro.
Il fiato le morì in gola e il cuore si fermò un istante quando due smeraldi guardarono nella sua direzione. Era protetta in parte dall’ombra, ma era chiaro che ci fosse qualcuno accomodato sulla preziosa sedia della regina.
«Ephiny? Sei tu?» domandò la donna sull’uscio «Abbiamo da discutere sulla solita questione…» ma non andò oltre, rendendosi conto di trovarsi di fronte ad un intruso.
«Chi sei e che cosa ci fai qui?» sibilò Medora, portando la mano al pugnale che teneva sempre celato nella sottoveste «Chi ti ha dato il permesso di entrare?»
In risposta ebbe un balbettio confuso.
«Alzati e presentati come si deve alla tua sovrana o ne dedurrò che sei un nemico ed allora ti ucciderò, quindi parla o goditi gli ultimi attimi che ti restano.»
«Per… Perdonatemi, mia signora» mormorò Tabia alzandosi e avvicinandosi a Thema.
«Ferma dove sei! Non fare un altro passo o ti inchiodo un piede con questa lama!» la minacciò la Conquistatrice, non voleva darlo a vedere, ma era intimorita dalla clandestina. In passato aveva subito numerosi attentati ed aveva imparato a mantenere i nervi saldi, ma in quel caso sentiva qualcosa che non andava. Tutto il suo coraggio e la sua aggressività si erano sciolti come neve al sole non appena aveva sentito quella voce, le intimidazioni che erano seguite erano pura copertura.
«Io… Mi dispiace…» balbettò ancora la fanciulla.
«Non ti hanno insegnato come rivolgerti agli individui di rango superiore? Inchinati!» ordinò. Per essere una donna che aveva sottomesso il mondo intero, non aveva potuto vincere la battaglia contro la propria statura e per tale ragione preferiva che la gente si prostrasse al suo cospetto, così da essere costretta a guardarla dal basso verso l’alto. Aveva fatto di una sua debolezza uno strumento di potere. Stranamente, il fatto che l’intrusa fosse più alta di lei, di una testa ad occhio e croce, non la infastidiva, ma la forza dell’abitudine ebbe la meglio, inoltre in quel modo avrebbe ristabilito il consueto ordine, dopotutto lei era pur sempre una dominatrice.
«Come desiderate» rispose Tabia, eseguendo l’ordine. Tenne lo sguardo basso, per paura di incontrare gli occhi della figura davanti a lei.
«Chi ti manda?»
«Ness… Nessuno… Mi è stato detto di passare qui la notte.»
«Chi mai te lo avrebbe permesso?»
«Ephiny» riuscì a sussurrare.
Medora a sentir nominare la sua amica allentò leggermente la presa sul pugnale. «Dov’è lei?»
«È rimasta a prendersi cura del mio amico ferito» rispose in un soffio.
«Capisco… Bene, adesso che mi è tutto chiaro ti consiglio di alzarti e sparire immediatamente dalla mia vista.»
«Certamente, Vostra Grazia» rispose tirandosi su ed avviandosi rapida verso la porta.
«Aspetta…» la immobilizzò Thema all’improvviso «Mostrami il tuo viso.»
La fanciulla si pietrificò. L’avrebbe certamente riconosciuta e solo gli dei sarebbero stati in grado di dire cosa le sarebbe accaduto. Le iridi celesti, rimaste fino ad allora in ombra, si mossero per incontrare quelle verdi della regina.
Non può essere… Eppure è lei realizzò la Conquistatrice, spalancando gli occhi. La misteriosa ragazza era finalmente lì con lei. Avendola vista da lontano le era parsa più giovane di quanto non fosse in realtà, dovevano avere più o meno la stessa età.
«Scusatemi, ma sarà meglio che vada…» cercò di divincolarsi Tabia «Avete ragione, non dovrei restare qui…»
«No, non andare» la supplicò Medora fissandola intensamente «Credo… Credo che tu sappia di dover restare.»
«Non capisco cosa intendete» mentì.
L’altra si morse il labbro nervosa, non sapeva come intavolare la conversazione, non avevano certo cominciato con il piede giusto. «Accomodati pure sulla sedia, io vado a prendere un lume e torno» disse, cercando di apparire il meno intimidatoria possibile.
La giovane non potè che acconsentire.
Thema fece ritorno in breve tempo, portando con sé una candela, poi si sedette sullo sgabello solitamente riservato all’Amazzone e prese la parola: «Propongo di eliminare dalla memoria quanto accaduto poco fa e ricominciare adesso con un incontro civile. Io sono Thema per il tuo popolo, ma puoi rivolgerti a me anche come Medora, se lo preferisci.»
A Tabia quella donna apparve tutt’a un tratto cordiale. Che sia tutto un piano per farmi avvicinare a lei? Che cosa sto facendo? Dovevo tenermi il più possibile lontano da tutto questo, invece me ne resto qui a fare conversazione! Per quale ragione il mio buonsenso non interviene? Ma perché sento questa attrazione che mi trascina verso di lei? Perché mi è così familiare? Mi ricorda qualcuno, qualcuno di cui so di potermi fidare… Probabilmente sono pazza…
«Allora, devo continuare a riferirmi a te come misteriosa sconosciuta dagli occhi azzurri oppure mi dirai il tuo nome?»
«Tabia, Vostra Maestà.»
«Oh, è un buon inizio! Ti va di dirmi qualcosa di te, Tabia?»
«Ehm… Io… Non vorrei sembrarvi scortese, ma non me la sento molto, preferirei poter tornare a dormire, ho avuto una giornata difficile» rispose sincera.
«Capisco… Allora lascia che almeno ti trovi un letto in cui riposare.»
«Grazie, siete davvero gentile.»
Si scambiarono un sorriso sincero ed insieme uscirono, lasciando la camera abitata solo dai residui raggi di luna.
«Non sono ancora molto pratica di questo posto, quindi sarai ospite nella mia stanza fino a nuova disposizione. E, per rispondere alla tua eventuale domanda, sì, è un ordine» annunciò la regina con una risata distesa.
«Almeno sarò certa di dormire comoda» commentò la paesana con lo stesso tono.
«Allora seguimi, ormai siamo arrivate.»
La fece accomodare sul materasso e rimase ad osservarla in silenzio fino a che non vide il suo petto alzarsi ed abbassarsi con un movimento lento e regolare, indice del fatto che la sua tanto agognata preda si trovava ormai tra le braccia di Morpheus.
Aveva intenzione di andare a cercare Ephiny per farsi dare spiegazioni, ma il sonno venne a tentare anche la Conquistatrice, avrebbe avuto tempo di chiarire ogni cosa la mattina seguente. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. Le stelle e la luna erano ancora le protagoniste del cielo.
Non volendo disturbare l’inaspettata ospite, Medora tentò di accomodarsi su uno dei bauli che si era rifiutata di spostare, poi l’idea di potersi stendere nel proprio letto si fece sempre più insistente, fino a farla scivolare delicatamente sotto il lenzuolo, al fianco dell’addormentata. Si raggomitolò dandole la schiena e chiuse gli occhi, per la prima volta contenta di non svegliarsi sola l’indomani.

«Alcune persone semplicemente non sono in grado di operare il bene e lei è una di queste. Nulla potrà mai distoglierla dalla malvagità che alberga nel suo cuore.»
Tabia sentì quelle parole rimbombarle nel cervello, le aveva pronunciate quell’uomo, Rashidi. Voleva avvertirla della pericolosità di Thema, invece lei le si era affidata completamente, incurante del possibile pericolo.
Era in stato di dormi-veglia. Voleva aprire gli occhi ed affrontare il mondo reale, ma c’era ancora qualcosa che la sfera onirica voleva mostrarle. Sempre più spesso aveva strane visioni, luoghi mai visti prima, persone sconosciute che le parlavano come se la conoscessero da sempre e poi scene di battaglia, numerose e cruente. Non aveva idea di come quei pensieri fossero arrivati a lei, ma, considerato quanto accaduto nei vicoli della città con quegli uomini, forse avrebbe potuto sfruttare quelle abilità a proprio vantaggio.
Per l’ennesima volta il sogno mutò in quello che, all’apparenza, si sarebbe detto un ricordo.

Stava attizzando il fuoco con un ramo, quando udì un sonoro schiocco. Scattò in piedi roteando la spada.
«Avevo intenzione di seguirti fino a che non ti fossi cacciata in qualche guaio» disse la ragazza dai lunghi capelli biondi, comparendo dal folto del bosco e sedendosi accanto a lei «Fa così freddo là fuori e non sono riuscita ad accendere il fuoco… E poi le zanzare! Sono grandi come aquile!» continuò stringendosi nello scialle blu che teneva sulle spalle.
«Sei consapevole che ti rispedirò a casa domattina?» le disse scuotendo leggermente il capo.
«Non resterò a casa. Io non appartengo a quel luogo, Xena. Non sono la ragazzina indifesa che credono i miei genitori… Ma di certo non puoi capire.»
«È difficile dimostrare di essere una persona diversa» commentò amaramente, poi lanciò alla fanciulla una coperta «Puoi dormire laggiù.»
«Oh, grazie, davvero, mille grazie! Non ti deluderò! Sarò la miglior spalla mai vista!» gridò eccitata.
«Vedi solo di trovare qualcosa da fare per non annoiarmi… Non hai detto di essere un’appassionata di letteratura e mappe? Potresti scrivere o disegnare qualcosa.»
«Fantastica idea! Ho giusto con me qualche pergamena» disse lei frugando nella propria bisaccia «Ah! Eccole! Ma ora come ora non so cosa scrivere… Sarà meglio che legga qualcosa.»
«Puoi fare tutto ciò a bassa voce?» fu costretta a chiederle «Mi piace il silenzio della foresta e vorrei poterlo ascoltare.»
«Certo, Xena, come desideri» le rispose la biondina «Vuoi che ti legga una fiaba?» domandò dopo un po’.
«Come, scusa?»
«Sì, una storia prima di addormentarti. Ho giusto con me gli scritti di un certo Aesop e ci sarà certamente un racconto di tuo gradimento.»
«Dimmi un titolo» si arrese, preparandosi ad ascoltare.
«Cosa ne pensi de “Il lupo e l’agnello”? Non suona intrigante?»
«Mi ricorda noi due» commentò, senza dare troppo peso alle parole «Io sono il grande lupo cattivo che minaccia la pace del mondo e tu sei il tenero ed innocente agnellino che farà certamente una brutta fine.»
«Non è vero» rispose la ragazza «Alla fine i due diventano amici e vivono insieme centinaia di bellissime avventure.»
«Gabrielle, conosco benissimo la storia. Alla fine il lupo si mangia l’agnello.»
«Questo nella tua versione, nella mia c’è il lieto fine.»
La guerriera sbuffò, non sapendo come ribattere.
«Vuoi che ti dimostri che il mio è un finale possibile?»
«Prego, sono tutta orecchi…»
In un istante si ritrovò avvinghiata in un abbraccio.
«Visto? Un lupo che si lascia abbracciare non può essere poi tanto cattivo» le mormorò all’orecchio la biondina senza allentare la presa.
«Bene, ora puoi anche lasciarmi andare…»
«Non fino a che non ammetterai che c’è redenzione anche per i malvagi che sembrano irrecuperabili. Esiste sempre una speranza.»
«Va bene, hai vinto… Esiste sempre una speranza» borbottò sconfitta.
«Perfetto» rispose l’altra con un sorriso «Adesso penso che mi metterò a dormire, in silenzio. Buonanotte Xena.»
«Buonanotte Gabrielle.»

Dopo quello scambio di battute, Tabia riaprì gli occhi, trovandosi il viso di Medora addormentata a pochi centimetri di distanza.
Osservò meglio i lineamenti delicati e fu colpita da una bruciante rivelazione: la donna che riposava al suo fianco era tale e quale alla poetessa con cui interagiva nei sogni. Non aveva più alcun dubbio, chiunque fossero Xena e Gabrielle avevano a che fare con lei e la Conquistatrice.
***
«Si sono trovate, per fortuna» disse Isis staccando la mano dalla parete magica «Ora non ci resta che pregare che il resto dell’incantesimo proceda senza troppi intoppi.»
Masika la ascoltò attenta. Non appena Meskhenet, o per meglio dire Sekhmet, l’aveva cacciata, lei aveva solo finto di allontanarsi, non avrebbe mai lasciato la dea della magia da sola. Così, appena la situazione le era sembrata più calma, era tornata indietro. «Vuol dire che adesso Xena tornerà in vita?» chiese, cercando di capire meglio.
«Non ancora. La mia magia le ha riunite, ma non le ha ancora messe alla prova.»
«Quanto ci vorrà?»
«Non posso dirlo con certezza, il tempo fluisce in modo differente nel luogo in cui si trovano loro. So soltanto che devono agire in fretta, prima che Sekhmet riesca ad interferire.»
«Devono riunire il Chakram, vero? È quella la soluzione?» continuò a domandare la bambina.
«Sì, o almeno è parte della soluzione, come ti ho già detto, io non ho tutte le risposte. La chiave è sì nel cerchio, ma il resto è qualcosa che devono trovare nei loro cuori.»

Nota dell'autore: rieccomi ancora una volta! Questo capitolo dovrebbe essere, in qualche modo e forse solo in minima parte, chiarificativo del perchè gli eventi hanno preso questa strana piega. Nel caso ci fosse qualcosa di ancora non chiarissimo abbiate pazienza, nel corso della storia fugherò ogni vostro dubbio, comunque, se foste davvero persi e disperati, potete sempre contattarmi e io farò quanto possibile per aiutarvi. Thanksgiving time: grazie a wislava e a 5vale5, a tutti coloro che hanno la storia tra le preferite/ricordate/seguite, grazie a tutti i lettori dal profondo del mio cuore per il tempo che dedicate a tutto questo. Ora, non so quando, se, come, dove perchè, ma prima o poi arriverà il prossimo aggiornamento, ve lo prometto. Per ora è tutto, alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Un giorno insieme ***


CAPITOLO 15: Un giorno insieme
 
Feel your presence filling up my lungs with oxygen
I take you in
I’ve died…
Rebirthing now
I wanna live for love, wanna live for you and me
Breathe for the first time now
I come alive somehow
(Skillet – Rebirthing)
 
Si era svegliata tante volte sentendo il caldo respiro di qualcuno sul proprio viso, ma quella volta a Medora parve diverso, le sembrò che quel soffio fosse tutta l’aria di cui aveva bisogno. Teneva gli occhi chiusi e le orecchie ben aperte, per cogliere ogni minimo segnale di Tabia. Sapeva che era sveglia, lo percepiva dalla frequenza della respirazione e dai piccoli movimenti che faceva per ingannare il tempo.
Come mai non è scappata? È semplicemente rimasta qui a fissarmi per tutta la notte?
Avrebbe voluto rivolgerle direttamente quelle domande, ma pensò che probabilmente avrebbe finito con l’impaurirla, doveva lasciare che agisse secondo i propri tempi, tanto, alla fine, il destino avrebbe comunque fatto il suo corso.
«Siete sveglia?» mormorò la mora dopo un tempo che sembrò interminabile.
La regina aprì pigra un occhio per darle conferma e sorrise.
«Mi spiace avervi fissato, spero non vi abbia infastidito» si scusò, mettendosi a sedere con le gambe incrociate.
«No, affatto» la tranquillizzò Thema «Sono abituata a questo genere di cose.»
La ragazza non capì esattamente cosa l’altra intendesse con quelle parole e avrebbe volentieri finito lì la conversazione, ma le sue labbra si mossero quasi involontariamente: «È solo che siete molto bella quando dormite.»
Si portò le mani alla bocca subito dopo.
La Conquistatrice scoppiò in una risata, mettendosi anche lei seduta, così da trovarsi di fronte all’ospite. «Questa cosa mi è nuova» bisbigliò «Ma devo dire che è molto dolce.»
Tabia arrossì, cercando di nascondere il più possibile il viso dietro un lembo del lenzuolo.
«Oh, dai, non vergognarti» le disse in tono amichevole la bionda «Il mio voleva essere un complimento.»
«Beh, anche il mio» ridacchiò la fanciulla cercando di nascondere l’imbarazzo. Poi il clima di serenità che si stava creando, scomparve all’improvviso. «Devo andare da Joxer!» esclamò come avesse avuto un’improvvisa rivelazione «L’ho lasciato solo, invece sarei dovuta rimanere con lui!»
«Non preoccuparti» le ripose l’altra «Adesso faccio chiamare qualcuno che ti accompagni da lui.»
Afferrò il campanello che teneva sempre a portata di mano e lo scosse più e più volte. Si udì un rumore di passi provenire da dietro la porta chiusa, poi una voce tuonò sopra i bisbigli: «Lasciatemi passare!»
Ephiny, con il volto rosso di rabbia, entrò nella camera, congelandosi sulla soglia non appena vide le due sedute sul letto. In un primo momento lo stupore ebbe la meglio, in seguito sembrò sul punto di scoppiare in una sfuriata di dimensione epocale, infine il suo sguardo, sempre dubbioso, si levò verso l’alto mentre tratteneva a denti stretti una serie di imprecazioni.
Medora sogghignò osservando divertita le reazioni dell’amica, poi si alzò sistemando le pieghe che la notte aveva formato sulla sua tunica. «Buongiorno» annunciò avvicinandosi alla riccia, ancora paralizzata «Ti vedo abbastanza sconvolta, vuoi sederti un attimo?»
«No… Io… Voglio solo capire… Spiegatemi come è potuto accadere tutto…» disse gesticolando con foga «Tutto questo, di cui, vi prego, non voglio sapere i dettagli più sconvenienti.»
La mora si tirò la coperta fin sopra il capo, decisa a seppellircisi, se fosse stato possibile sarebbe morta di vergogna.
Thema non si lasciò colpire da quelle parole e rispose a tono: «Ammetti che avresti voluto partecipare alla nostra piccola festa privata, brutta impicciona.»
«Ti prego! Ora passerò la giornata a cercare di rimuovere immagini equivoche dalla mia mente!» si lamentò l’Amazzone scuotendo la testa.
«Puoi stare tranquilla, non è accaduto niente» la rinfrancò. Poi, abbassando notevolmente il tono, continuò «Non ancora almeno… C’è stato un momento in cui sono stata molto tentata di…»
«Basta, ti supplico!»
La Conquistatrice rise di gusto, solo una cosa era più divertente delle battute di Ephiny: prendersi gioco di lei. «Va bene, la smetto» capitolò dopo aver esaurito le risate «C’è un vero motivo per cui ti trovi qui?»
«Ovvio» rispose piccata «Sono passata a cercare la ragazza e quando non l’ho trovata ho pensato che il solo posto dove poteva essere fosse questo» si rivolse direttamente dalla massa di capelli corvini che faceva capolino dalle lenzuola «Il tuo amico si è svegliato e ha chiesto di te. Pensavo che fosse una buona idea portarti da lui.»
La ragazza sgusciò fuori dal letto, ancora con il volto arrossato, ma ricacciò indietro l’imbarazzo che aveva dominato quel particolare inizio di giornata. «Lascia solo che mi sistemi per qualche minuto, poi sarò da te.»
«Certo, prenditi pure il tempo necessario.»
Tabia fu lasciata sola ed ebbe la possibilità di darsi una rapida lavata, perché, dopotutto, indossava ancora gli abiti scuri con cui era scappata dalla sua stanza di novizia, che, come lei, avevano affrontato i burrascosi eventi della sera precedente. Fu contenta di non dover rimuovere tracce di sangue, i suoi nervi non avrebbero retto.
«Vuoi prendere uno dei miei vestiti?» le domandò la sovrana da dietro l’uscio.
«Non le staranno mai! Ti è sfuggito il fatto che ti supera di almeno una testa?» le fece eco la voce dell’Amazzone.
«Non c’è bisogno, davvero» le tranquillizzò «Questi indumenti sono fatti per resistere giorni interi.»
«Come vuoi…» le risposero in coro le due.
Nel giro di una decina di minuti, la mora si ricongiunse alle altre, che la guidarono lungo una serie di corridoi, fino ad una camera situata in un’altra ala del palazzo. Era più piccola, come era ovvio aspettarsi, rispetto alle stanze signorili, ma comunque abbastanza ampia da ospitare un letto e un essenziale mobilio. Disteso tra le coltri, con varie bende attorno al corpo, stava Joxer, visibilmente rallegrato dall’improvvisa comparsa del trio di belle donne.
«Sono contenta di vedere che stai bene!» esclamò Tabia accostandosi al ferito.
«Ci vuole ben altro per fermare Joxer il Potente!» rispose lui deciso.
«Non ho avuto modo di ringraziarti per il modo in cui mi hai difesa…»
«Non ce n’è bisogno, signorina. Potessi, lo rifarei altre cento volte, sono un vero gentiluomo, pronto a tutto pur di salvare una donzella in difficoltà.»
Lei non ebbe il coraggio di dirgli che, in realtà, era stata lei a salvargli la vita mentre era privo di sensi. Decise che gli avrebbe lasciato la sua convinzione, per non ferirne l’orgoglio.
«Non mi presenti le tue graziose amiche?» proseguì il soldato, concentrando lo sguardo sulle due bionde appostate alle spalle della mora.
«Oh, certamente!» rispose lei «Queste sono…»
«Io sono Ephiny, comandante di cavalleria nonché prima consigliera di Sua Altezza» intervenne l’Amazzone «E costei» continuò indicando Thema «Dovrebbe esserti chiaro chi sia.»
L’uomo deglutì rumorosamente e si affrettò a chinare la testa in segno di rispetto.
«Tranquillo, non c’è bisogno di essere tanto formali» lo rassicurò la regina «Tutti gli amici di Tabia sono anche miei amici.»
«Vi ringrazio, Maestà. Sono il vostro umilissimo servo, sempre ai vostri ordini.»
«Immagino tu sia qui per offrirmi i tuoi servigi come mercenario.»
Lui annuì.
«Perfetto, sei ingaggiato. Da oggi stesso potrai allenarti con le altre truppe e ti verrà assegnato un posto consono alle tue abilità» disse scoccando un’occhiata ad Ephiny che voleva significare molto chiaramente “dovrai controllarlo tu”.
In tutta risposta, Joxer balzò in piedi e si mise sull’attenti, come se i segni dello scontro fossero scomparsi all’udire quelle parole.
«Sono lieta di vedere che ti senti meglio, il mio saggio braccio destro ti condurrà all’accampamento immediatamente e si assicurerà che tu riceva il miglior trattamento possibile.»
«Ma io, in realtà…» obiettò la riccia  «Avevo altro da fare.»
«Stai forse cercando di contestare, non troppo velatamente per giunta, un mio ordine?» la riprese Medora, con un ghigno divertito.
«Ti sei proprio messa in testa di rovinarmi la giornata?» bisbigliò l’altra vistosamente arrabbiata.
«Devo pur farti pagare l’avermi tenuta nascosta la nostra gradita ospite» le rispose con un occhiolino «Se fossi corsa da me ieri sera con la lieta notizia ti avrei premiato, ma visto che hai agito di testa tua…»
«Sai benissimo che l’ho fatto per il tuo bene» si indispettì l’Amazzone «E per il suo.» L’enfasi con cui pronunciò l’ultima parte della frase fece storcere le labbra alla Conquistatrice.
«Ti comporti come se fossi sua madre, sei troppo protettiva» sibilò «Adesso crederà che io sia chissà quale mostro.»
«Non per smontare il tuo smisurato ego, ma lo credeva già prima.»
Quell’ultima insinuazione non piacque per nulla a Thema, che ordinò ad Ephiny e Joxer di andarsene seduta stante. La guerriera cercò di opporre resistenza un’ultima volta, ma senza risultato. Alla fine fu costretta a trascinare con sé il giovanotto, continuando a borbottare per l’ingiustizia subita.
«Non siete stata molto cordiale con lei» criticò Tabia tra i denti, quando furono lasciate sole.
La sovrana le scoccò uno sguardo severo e per un momento una scintilla d’ira sembrò incendiare le iridi smeraldine, ma fu una fiamma fugace, che svanì non appena i pozzi di cielo dell’altra si allargarono per lo spavento.
«Mi spiace essere stata così brusca, ma alle volte quella donna riesce a tirar fuori il peggio di me.»
La mora rimase immobile, ancora turbata da quel repentino cambio di atteggiamento.
«Se ti va potremmo andare a fare colazione» propose Medora, cercando di riconquistare la fiducia della fanciulla «Poi più tardi vorrei mostrarti un posto…»
La ragazza del Nilo fu tentata di declinare, ma, riflettendoci, realizzò che non fosse una buona idea contrariare ulteriormente la regina. «Sarò lieta di trascorrere la giornata con voi» si decise a rispondere con un ampio sorriso.
«Non avrei potuto desiderare di meglio» commentò la bionda, sorridendo a sua volta.
 
Incurante delle voci che avrebbero preso a circolare, la Conquistatrice condusse la propria ospite nella sala dei banchetti, dove fece portare ogni tipo di pietanza possibile, accompagnando il cibo con le migliori e più varie bevande.
«Non avevo mai provato nulla di simile, ma è davvero buono» disse Tabia, sorseggiando per la prima volta una tazza di the.
«Questo infuso viene direttamente dal Celeste Impero, lì ne consumano ingenti quantità.»
«Com’è il Celeste Impero?»
Thema rimase spiazzata, non aspettandosi quella domanda. «Cosa intendi?»
«Beh, non ho mai viaggiato oltre i confini del Nilo, mi piacerebbe sapere qualcosa di più su queste terre lontane… Sempre che voi vogliate essere così gentile da parlarmene.»
«Oh, ma certo! Da dove vuoi che cominci? Dalla storia, dalle loro divinità, dalle loro città?»
«Da quello che più vi ha colpito» rispose semplicemente l’altra.
La bionda riflettè per qualche minuto, poi si illuminò. «Cosa ne pensi delle creature magiche? Ti andrebbe di sentire qualcosa di loro?»
«Con immenso piacere!»
«Allora, laggiù ho sentito parlare di diversi animali fantastici, ma i più interessanti sono certamente i draghi. Sono diversi da quelli che vengono descritti nel Nord, sembrano enormi serpenti che incarnano diversi elementi…»
«Scusate» la interruppe la giovane «Ma temo di non sapere cosa sia esattamente un drago.»
Lo stupore di Medora si fece chiaro sul suo volto, che poi si distese in una risata. «Non preoccuparti, tra poco te ne mostrerò uno.»
Finita la colazione, prese Tabia per mano e la condusse in biblioteca, dove si caricarono di diversi volumi, poi si accomodarono nella sala attigua per potersi godere in pace la lettura.
«Temo ci sia un altro problema, mia signora.»
«Ti prego, ho dovuto lottare mesi interi per convincere Ephiny a darmi del “tu”, non farmi intraprendere un’altra sfiancante battaglia e chiamami semplicemente Medora.»
La ragazza fu sorpresa da quell’improvvisa confidenza che si stava instaurando. Certo, aveva passato la notte addormentata al suo fianco e da settimane ormai sognava di rivedere il suo viso, ma stava accadendo tutto troppo velocemente. I sogni della notte passata erano ancora vivi nella sua mente, ricordandole continuamente che c’era qualcosa di misterioso, di magico, che le legava. Eppure, a tratti quella tanto bella e familiare donna sembrava trasformarsi in un’altra persona, molto meno cordiale e decisamente pericolosa.
«Siete certa che sia una buona idea? Non mi pare sia appropriato alla situazione…» rispose dopo l’attenta riflessione.
Thema parve delusa, ma decise di non insistere. «Non importa, concentriamoci sulla lettura.»
«A tale proposito… Io… Me ne vergogno tanto…» mugugnò la mora.
«Cosa c’è che non va adesso?»
«Io sono cresciuta in una famiglia umile e non ho ricevuto un’istruzione approfondita.»
«E dunque?» insistette la sovrana.
«Non so leggere.»
«E quale sarebbe il problema? Te lo insegnerò io» disse la bionda «Cominciando da questo!» concluse afferrando un libro.
«Cosa c’è scritto qui?» domandò l’altra indicando il titolo.
«“Creature dal mondo”, è una raccolta di storie e leggende con anche alcune illustrazioni.»
«Oh» commentò affascinata.
«Adesso, io ti leggo una frase e tu segui le parole con gli occhi, dopo ti insegnerò a cosa corrispondono precisamente i diversi suoni.»
Le mostrò centauri, ciclopi, arpie, qualsiasi creatura mitologica avesse mai incontrato, poi si soffermò a lungo sui draghi, sulle diverse razze che si potevano incontrare a seconda dei luoghi e sulle leggende che circolavano su di loro. Durante il pomeriggio le raccontò dei lunghi viaggi compiuti, dei nemici affrontati e delle maestose terre visitate.
«E tu cosa puoi dirmi di queste terre? Ci sono nuovi dei che io non conosco e tante storie che non vedo l’ora di ascoltare» disse Medora, stanca dopo aver letto e raccontato per ore intere.
«Non penso di essere la persona adatta per spiegarvi al meglio tutto quanto, forse vi converrebbe rivolgervi ad un sacerdote.»
«No, vorrei che fossi tu a parlarmene.»
Tabia non riuscì a resistere all’aria supplice assunta dalla bionda e si decise a cominciare parlare. «Ci sono molte divinità a cui ci rivolgiamo, quella di maggior importanza è certamente Ra, il signore del cielo…»
Le parole della ragazza furono interrotte dallo sbattere della porta. La regina alzò gli occhi, pronta a fulminare chiunque fosse stato tanto audace da entrare senza bussare.
«Maestà, ci sono delle questioni che richiedono assolutamente la vostra attenzione» annunciò l’attendente, ignorando lo sguardo di fuoco che gli venne riservato da parte della sua padrona.
«Non smetterò mai di ripeterti che ci sono i miei consiglieri per questo. Non vedi che sono occupata?» ringhiò.
«Ma… Ephiny non si trova e Caesar si sta già occupando dei colloqui con il popolo…»
«Non mi interessa, trova una soluzione e non seccarmi più.»
Lo sventurato se ne andò con la coda tra le gambe.
Non trascorsero neppure dieci minuti che un altro scocciatore si presentò ad interrompere le storie della fanciulla. Si trattava del generale Romano, visibilmente adirato.
«Ho passato tutta la giornata a sgobbare per voi, ho sopportato lamentele sulle condizioni dei campi, sull’aggressività dei coccodrilli, ho dovuto promettere aiuto medico per decine di anziani e ho persino benedetto un neonato in vostro nome! Siete sempre stata un ottimo capo in battaglia, ma forse non siete ancora pronta per governare un regno. Le altre regioni sono in fermento, la resistenza contro i vostri governatori aumenta ed è solo questione di tempo prima che insorgano vere e proprie rivolte!» Pronunciò quella frase quasi senza prendere fiato e gesticolando infuriato.
Ancora una volta gli occhi di Thema brillarono di rabbia, ma si trattenne per non turbare la giovane ospite. Si alzò con calma e trascinò fuori Caesar senza aprir bocca.
La mora udì solo un concitato discorso indistinto che durò per diversi minuti, poi la Conquistatrice rientrò, dicendo che doveva occuparsi di alcune faccende e che le avrebbe affidato al più presto una stanza e una cameriera.
Tabia spese il resto del giorno passando da una pergamena all’altra, osservandone i disegni e gli elaborati simboli, fino a che Ephiny non comparve per accompagnarla a cena. Mangiarono in silenzio, non accennarono nemmeno a cosa fosse accaduto a Joxer, che era dovuto restare insieme agli altri militi in un campo fuori le mura della città.
Finito il pasto, l’Amazzone la condusse in una delle camere per gli ospiti e la lasciò libera di riposare.
Dopo qualche ora sentì bussare piano alla porta. Sapeva benissimo di chi si trattava.
«Posso entrare?» domandò Medora.
«Certo, non fatevi problemi.»
La bionda fece il suo ingresso reggendo un grosso libro, strappando un sorriso alla ragazza.
«Pensavo che fosse giusto concludere la nostra giornata di lettura con una fiaba della sera.»
«E quindi cosa avete da propormi?»
«Questa è una raccolta di racconti della mia terra natale, sono quasi tutte storie che si raccontano ai più piccoli per aiutarli a prendere sonno.»
«Venite allora, sedetevi» disse la mora facendole posto sul letto «Almeno mettetevi comoda.»
«Cosa vuoi che ti legga?» chiese accomodandosi.
«Non saprei, ditemi qualche titolo.»
«Che ne pensi de “Il lupo e l’agnello”? Non suona intrigante?»
La ragazza rimase di sasso. Quelle erano le esatte parole usate da Gabrielle nel suo sogno. Non poteva essere l’ennesima coincidenza.
«Non mi pare una scelta felice, l’agnello non fa una bella fine» trovò la forza di rispondere.
«Davvero? Non lo sapevo…» commentò l’altra, sorpresa. Scorse velocemente fino alla fine della pagina e fece una smorfia. In effetti quello era tutt’altro che un lieto fine. «Fidati di me, la storia che ascolterai ti piacerà» riprese dopo un secondo «Il mio finale è migliore.»
Così Tabia ascoltò attentamente di come il lupo e l’agnello, dopo quel primo burrascoso incontro, impararono a conoscersi e a volersi bene, di come affrontarono insieme mille avventure sapendo di poter sempre contare l’uno sull’altro. Non si rese neppure conto di stare scivolando nel sonno, semplicemente chiuse gli occhi e il racconto continuò a risuonare tra le pareti.
Thema si alzò con il volume sotto braccio. La mora riposava con un lieve sorriso sulle labbra, illuminata dal lume ancora acceso sul tavolino da notte. Lo spense con un soffio e fece per andarsene, ma il ricordo delle labbra dolcemente incurvate la trattenne. Si avvicinò alla bella addormentata e avvicinò il proprio viso a pochi centimetri dal suo.
Fece per poggiarle un bacio sulla guancia, ma in quel momento Tabia, nel buio, spalancò gli occhi e si voltò quel tanto che bastava a far combaciare le loro bocche.
Medora rimase piacevolmente sorpresa e fu tentata di soddisfare finalmente il desiderio che settimane le bruciava dentro, ma si fece forza e si staccò interrompendo il contatto.
«Direi che per oggi abbiamo fatto abbastanza» mormorò in un soffio «Buonanotte Tabia.»
«Buonanotte Medora.»
 
Nota dell'autore: Signore e signori, non so più come scusarmi per il ritardo e temo che la notizia che sto per darvi non farà che aumentare il vostro malcontento. Me ne vado in vacanza (senza il pc) indi per cui non potrò più aggiornare per un po', vi chiedo di essere pazienti ed essere contenti del fatto che finalmente posso godermi anche io un po' di meritato riposo. Thanksgiving time: grazie a wislava, 5vale5, Bruiburiburi, principe delle stelle e Msf per le recensioni, grazie a chi ha aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite, grazie a chi legge nell'ombra, davvero grazie mille a tutti. Dato che qui non ci saranno aggiornamenti per almeno una ventina di giorni, potete sempre passare a leggere le mie altre storie "The Bard and the Beast" (one shot sempre di Xena, link 1) e "The Faerest of them all" (One shot di Lost Girl, link 2). Bene, ora che mi sono fatta tanta pubblicità viene l'ora di salutarvi, mi mancherete e spero siate tanto pazienti e riusciate a non odiarmi (almeno non troppo). Tanti saluti e buone vacanze
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2674770
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2593623&i=1

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Questioni di gelosia ***


CAPITOLO 16: Questioni di gelosia
 
Maybe I know, somewhere deep in my soul
That love never lasts
And we've got to find other ways to make it alone
Or keep a straight face

And I've always lived like this
Keeping a comfortable distance
And up until now I had sworn to myself

That I'm content with loneliness
Because none of it was ever worth the risk

Well you are the only exception
You are the only exception

(Paramore – The Only Exception)
 
Medora lasciò la stanza di Tabia con un sorriso luminoso e il suo sapore sulle labbra. Si diresse canticchiando verso i propri alloggi, arrivando addirittura a scambiare due parole con le guardie che rimasero sconvolte dall’inconsueto umore della regina.
Non la sfiorò minimamente il pensiero di passare dalle prigioni o di fare qualche altra sciocchezza; la fanciulla del Nilo aveva riempito il suo cuore, stava colmando quell’opprimente senso di vuoto.
Non appena si chiuse l’uscio alle spalle venne apostrofate da fredde parole: «Cosa ti ha fatto? È un incantesimo o una fattura? È reversibile?»
«Ephiny» la rimproverò Thema «Non dovresti tendermi queste imboscate, soprattutto non qui. Avevo già la mano sul pugnale.»
«Non mi faresti mai del male» rispose l’Amazzone, staccandosi dalla parete a cui stava appoggiata «Vero? Ti ricordi chi sono le persone di cui puoi fidarti?»
«Lei è una persona di cui mi posso fidare» sibilò la sovrana «Se la gelosia ti acceca non è colpa mia.»
«G… ge… gelosia?» balbettò l’altra «Ma come ti viene in mente? Non potrei mai essere gelosa di… quella
«Oh, andiamo» la stuzzicò ancora la sovrana «Non dirmi che non ti fidi perché è mora o perché ha gli occhi azzurri… Ammetti che mi vuoi tutta per te» finì sogghignando.
La riccia arrossì vistosamente, ma mantenne il proprio autocontrollo. «So che non ho motivo di vedere in lei una minaccia, è solo che mi preoccupo per te» rispose «Ti sei comportata in modo strano negli ultimi tempi, sei arrivata a fare cose di cui non ti credevo capace e ora sono spaventata perché non so cosa aspettarmi da questa situazione.»
«Sono contenta che tu abbia trovato il coraggio di dirmelo in faccia, ma ti assicuro che puoi stare tranquilla, Tabia è speciale, in senso buono ovviamente.»
«Ma come fai ad esserne così certa?» insistette l’Amazzone.
«Lo sento qui» disse Medora portandosi la mano sinistra al petto «Ogni volta che la guardo ho voglia di tirare un respiro di sollievo, come se avessi trovato un rifugio sicuro in cui riposare dopo una battaglia. quando sono con lei è come se il mondo tornasse indietro…»
«Ad un tempo in cui tutto era perfetto e in cui non esisteva la tristezza» concluse Ephiny.
«Precisamente» confermò l’altra annuendo «Come lo sapevi?»
«Perché è come mi sento io quando sono con te.»
Medora, sorpresa e stranita, non potè fare a meno di fissare intensamente l’amica.
«Intendo dire» cercò di spiegarsi meglio «Che con te sento questo forte legame, di natura fraterna ovviamente, che mi riporta alla mente ricordi di una vita passata, una vita migliore. Tra noi Amazzoni simili sensazioni vengono ricollegate al mondo magico, perché è il simbolo di come le anime siano in contatto attraverso il tempo e lo spazio.»
«E tu credi veramente a questa roba?» domandò curiosa la regina.
«Ma certo che no! Sono solo favole e sciocchezze superstiziose.»
«Ma qualcuno ha mai provato ad indagare oltre?»
«Ho sentito dire di una sciamana delle tribù del Nord che, poco prima del tuo arrivo nella sua regione, blaterava di strani sortilegi e modifiche del tessuto temporale. Diceva di essere tornata in vita, ma ciò non era possibile nel suo mondo, quindi doveva trovarsi in un altro… insomma, spropositi di questo tipo.»
«E che fine ha fatto?» chiese con un filo di voce Thema.
«È impazzita, ovviamente, e le sue sorelle l’hanno rinchiusa per evitare che facesse del male a se stessa o ad altri.»
«E se io la convocassi?»
«Qui!? Ma ti ha dato di volta il cervello? È una strega!» sbottò Ephiny, sottolineando l’ultima parola «Potrebbe farti chissà quale sorta di maleficio!»
«Fino a pochi minuti fa tu eri convinta che Tabia avesse qualche potere oscuro…»
«Ma qui si parla di roba seria! Non posso permetterti di correre un simile rischio!»
«Mi sembri confusa» la punzecchiò Medora «Non avevi appena finito di dire che non credi a queste sciocchezze?»
«Va bene» capitolò la riccia «Sono suscettibile riguardo alle questioni che faccio fatica a comprendere… Ciò non toglie che sia estremamente pericoloso portarla qui.»
«E quindi…» la incalzò l’altra.
«Farò partire un messaggero domattina. Tanto cosa vuoi che vada storto?» si arrese l’Amazzone.
«Ti adoro quando mi opponi resistenza in questo modo, per poi arrivare comunque a fare quello che voglio.»
«Che vuoi farci?» mormorò «Hai un forte ascendente su di me.»
Thema preferì accettare quelle parole nella loro semplicità, senza indagare ulteriormente sui veri sentimenti dell’amica. Qualunque fosse stata la scoperta fatta avrebbe certamente incrinato il loro rapporto e lei non poteva immaginare di vivere senza il suo braccio destro. «Adesso è ora di dormire, mia cara» annunciò stiracchiandosi e prendendo posto nel proprio letto.
«Allora buon riposo, mia regina» disse l’amica, per congedarsi.
«Aspetta» la fermò la sovrana «Se ti va puoi restare con me, per assicurarti che nessuna forza del male venga a prendermi questa notte.»
Ephiny sorrise e si accoccolò al fianco della Conquistatrice, portandole un braccio dietro la nuca.
«Non farti strane idee, però» la rimproverò Medora scherzosa «Sei la benvenuta solo finchè tieni le mani a posto.»
«Oh, che disdetta» rispose l’altra con lo stesso tono «E io che volevo approfittarne per scoprire finalmente se le voci che girano sulle tue avventure tra le lenzuola fossero reali…»
«Cosa!?»
«Niente» bisbigliò con noncuranza «Certe sono talmente assurde da aver sorpreso perfino Caesar.»
«No, aspetta! Racconta!»
«Eh, no. È ora di dormire. Buonanotte» ridacchiò la riccia, spegnendo rapida il lume sul comodino e facendo piombare la stanza nella più totale oscurità.
«La pagherai per questo!» esclamò ad un tratto Thema, scatenando un attacco di solletico contro la figura vicina.
Dopo diversi minuti di lotta e risate incontrollate, si abbandonarono sfinite l’una nelle braccia dell’altra. Il buonsenso della regina tornò a farsi presente: quella situazione le sarebbe potuta sfuggire di mano, portando ad irreparabili conseguenze. «Adesso direi che è proprio giunto il momento di abbandonarci a Morpheus» annunciò sciogliendosi dalla stretta e allontanandosi quel tanto che bastava da staccarsi completamente dall’Amazzone. Contrariamente a quanto si aspettava, l’altra non parve soffrirne, si limitò a girarsi su un fianco per poi addormentarsi poco dopo.
Devo fare più attenzione, non solo per non rovinare il nostro rapporto, ma anche perché non oso immaginare la reazione di Tabia… Oh, Tabia… Con le brillanti iridi ghiacciate impresse nella mente, Medora approdò nel mondo dei sogni.
 
«Ma che ti prende Xena?» chiese inginocchiandosi e poggiando il mento sulla spalla della donna seduta davanti a lei.
«L’ho già detto e te lo ripeto» rispose la figura di schiena «Non ho niente.»
«Andiamo, Xena… Credi che dopo così tanti anni io non sia in grado di capire che sei arrabbiata per qualcosa? È per via di Najara, vero? Ti ha dato fastidio il modo in cui l’ho trattata?»
La donna non rispose.
«Ma dai! Alla fine avevi ragione, come sempre. Era ancora malvagia, ha cercato di ucciderti, l’hai fermata e ora non farà mai più del male a nessuno. Non sei ancora contenta?»
«Gabrielle, basta» ribadì la mora «Non mi va di parlarne…»
«Guardami» le disse forzandola a voltare il viso. Osservò i suoi limpidi occhi celesti e vi scorse una strana luce. Le bastò un istante per realizzare il vero problema. «Oh, per tutti gli dei!» esclamò divertita «Tu sei gelosa! Non ci posso credere! Non pensavo di… sì, insomma… tu sei gelosa! Benedetti numi dell’Olimpo! Chi avrebbe mai detto che la Principessa Guerriera fosse così possessiva?»
«Io non sono possessiva!» contestò l’altra, ruotando l’intero busto «Non mi piaceva il modo in cui ti guardava, ecco tutto. Vorrei ricordarti che la prima volta che l’abbiamo incontrata ha cercato di uccidermi per averti tutta per sé e questa volta è stato lo stesso. Se c’è qualcuno di possessivo qui è lei.»
«Come dici tu…» rispose scuotendo piano la testa «Ma giusto per fartelo sapere» riprese avvicinandosi al suo volto «Mi piace molto il fatto che tu non sia disposta a condividermi.»
Poggiò dolcemente le proprie labbra su quelle della compagna, poi fece per rialzarsi per andare a prendere il cavallo, dopotutto era pomeriggio inoltrato, dovevano muoversi. Invece venne fermata da una salda presa sui fianchi.
«Xena…» bisbigliò appena, sentendosi trascinare verso il suolo «Non abbiamo tempo per queste cose…»
La mora non la stette a sentire e la bloccò a terra con un ghigno soddisfatto. «Ora dimmi che sei mia e soltanto mia» disse fissandola intensamente.
«Oh, certo che sono tua e soltanto tua. Orgogliosamente tua. Per sempre» rispose attirandola a sé.
«Dillo ancora.»
«Tua, ora e per tutte le ere a venire, per tutti i secoli e le reincarnazioni,  fino alla fine dei tempi» le sussurrò all’orecchio, poi tentò di baciarla, ma la guerriera scattò in piedi lasciandola insoddisfatta.
«Allora? Vogliamo andare?» le domandò Xena con tono innocente.
Ancora sdraiata per terra, approfittò della sicurezza dell’altra per farle lo sgambetto, facendola rotolare accanto a sé.
«Io direi che ci avanza ancora un po’ di tempo… Non hai ancora giurato di appartenermi per l’eternità.»
«Non c’è bisogno che io te lo dica» la rassicurò la mora «Lo hai saputo dal primo istante in cui ti ho vista.»
«Ma voglio che tu lo dica, qui e ora.»
«Io ti appartengo e niente e nessuno ci dividerà mai.»
«Neppure la morte. Dillo.»
«Neppure la morte potrà mai separarci perché il nostro amore è più forte di qualunque avversità e noi, in un modo o nell’altro, ci ritroveremo sempre. Per quanto sola io possa mai sentirmi, so che tu sarai al mio fianco e ogni giorno mi ricorderai che se, come si dice, l’amore non è mai eterno, tu sei la mia unica eccezione.»
«E pensare che la poetessa dovrei essere io» commentò con un sorriso.
Si scambiarono un ultimo bacio, poi si prepararono per riprendere il loro viaggio verso Amphipolis.
 
Nota dell'autore: questa volta farò le cose con ordine. 1) Mi siete mancati tantissimo (ma tanto tanto tanto, davvero); 2) lo scrivo qui così vi evito di dovermelo sottolineare: il capitolo è corto, lo so, accade ben poco di strutturalmente rilevante, ne sono consapevole, potevo sforzarmi a tirar fuori qualcosa di più, sì ne sono conscia, ma per questa volta è andata così; 3) ringraziamenti a palate a wislava, 5vale5 e principe delle stelle, mille e mille grazie anche a tutti gli altri; 4) spero di riuscire a caricare ancora un capitolo prima di tornare in vacanza e scomparire per un altro po' di tempo. Vi prego non odiatemi. Vi saluto con l'ennesimo invito a lasciare una recensione e chiedendovi ancora scusa per l'attesa, prometto di rifarmi in futuro. Tanti saluti.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Divise ***


CAPITOLO 17: Divise
 
Through space and time, always another show
Wondering where I am lost without you
And bein’ apart ain’t easy on this love affair
Two strangers learn to fall in love again
I get the joy of rediscovering you
Oh girl, you stand by me,
I’m forever yours, faithfully
(Journey – Faithfully)
 
«Presto Maestà, c’è un problema della massima urgenza che richiede la vostra attenzione.» Furono quelle le parole che interruppero il sonno di Medora, riportandola alla realtà, più confusa che mai e piena di dubbi per via di quegli strani sogni. Non ebbe, però, tempo per rifletterci più di tanto perché l’attendente la scosse. Lo avrebbe certamente fatto decapitare se non si fosse trattato di questioni di estrema importanza.
Lanciò una rapida occhiata ad Ephiny, ancora al proprio fianco, anche lei svegliata dalle urla dell’uomo.
In pochi minuti furono entrambe pronte a seguire l’improvvisato messaggero.
La fortezza era ancora addormentata, immersa nella quiete della notte e ciò diede modo alla regina di riflettere mentre veniva guidata verso la sala delle udienze.
La visione onirica, interrotta bruscamente dalla sveglia improvvisa, continuava a frullarle per la testa, tormentandola.
Non è possibile… Deve esserci dietro qualche strana magia. Eppure sembrava tutto così vivido, così reale… E se fosse stato più di un semplice sogno? Forse dovrei considerare seriamente l’idea di convocare quella sciamana…
«Medora, quello che temevo si è realizzato» Caesar interruppe il filo dei pensieri della donna «L’Oriente è in rivolta.»
Thema scosse la testa, rinchiudendo in angolo le proprie questioni personali per lasciare spazio a quelle di stato.
«Una coalizione di nobili, guidati da un certo Ming T’ien, ha assalito il consolato. Come dimostrazione di forza hanno decapitato la donna con cui avevate stretto gli accordi.»
«Lao Ma?» domandò la sovrana, pur conoscendo già la risposta.
Il Romano annuì. «Hanno esposto la sua testa fuori dal palazzo dopo averlo conquistato. Dobbiamo intervenire. Voi dovete intervenire. Personalmente.»
«Ma non possiamo lasciare sguarnito l’Egitto» si intromise l’Amazzone «Se ci ritiriamo ora, lasceremo tempo alla ribellione di insorgere anche qui. Non possiamo sacrificare una regione per un’altra.»
«Non permetterò che la terra del Nilo mi si rivolti contro. Continueremo con la politica di integrazione e nel frattempo sederemo le rivolte nel Celeste Impero facendoci mandare rinforzi dal Nord» sentenziò Medora, mantenendo il sangue freddo.
«E come avete intenzione di fare?» riprese l’uomo «Vi duplicherete o userete il teletrasporto?»
«Non mi pare che sia il momento per l’ironia» lo rimproverò Ephiny.
«Io guiderò le mie truppe come ho sempre fatto» intervenne la regina, prima che tra i suoi consiglieri scoppiasse una rissa «Schiaccerò questi sovversivi di persona, servirà come avvertimento per gli altri dissidenti. Nel frattempo, Ephiny, resterai qui, svolgendo le mie mansioni. Ti lascerò parte della cavalleria e un discreto numero di fanti, quelli necessari per sedare eventuali focolai di rivolta. Julius, tu verrai con me.»
La riccia tentò di opporsi, per nulla disposta a lasciare che l’amica si gettasse nella mischia senza la sua protezione, ma non ne ebbe il tempo.
«Partiamo immediatamente» affermò Thema «Tu» continuò rivolta all’attendente che aveva assistito al dibattito «Di’ a chi di competenza di sellare i nostri destrieri, dobbiamo essere fuori dalla città prima dell’alba.»
Dopo una decina di minuti, due ombre a cavallo si allontanarono dal palazzo, in direzione del colossale accampamento fuori le mura.
I soldati vennero svegliati e la maggior parte di loro fu costretta ad una partenza immediata.
Medora cavalcava fiera in testa alla colonna, quando venne raggiunta da un animale lanciato in una corsa sfrenata.
«Sapevo che non mi avresti lasciata partire senza dirmi quanto la cosa non ti vada bene» commentò, lanciando una rapida occhiata all’Amazzone che le si era affiancata.
«Potevi almeno salutare» la rimproverò Ephiny «E voglio sapere per quale motivo non mi hai voluta con te.»
«Perché ho bisogno di qualcuno di fidato che resti qui» fu la semplice risposta dell’altra.
«Potevi lasciare Caesar o qualche altro dei tuoi diplomatici» contestò la riccia «Perché me?»
«Perché devi tenere d’occhio Tabia.»
«Questa mi sembra una spiegazione più sincera… E che altro c’è?»
«Voglio quella sciamana. Voglio che qualcuna delle tue Amazzoni la porti a palazzo e voglio che la sorvegli fino al mio arrivo.»
«Ma… Io pensavo che scherzassi a riguardo! È una donna pericolosa! Se vuoi che tenga al sicuro la tua bella mora dovresti tenere quella strega il più lontano possibile.»
«Ci penserai tu a tenerle lontane» ordinò la Conquistatrice «E le sorveglierai entrambe. Se dovesse succedere qualcosa ad una di loro ti riterrò direttamente responsabile.»
Ancora una volta l’Amazzone fu sul punto di ribattere, ma le parole non ebbero tempo di lasciare le sue labbra. «Ephiny» riprese infatti Medora «Devi fidarti di me, come io mi fido ti te. Prometto di non tentare alcun gesto folle in tua assenza.»
«Quindi è questa la tua decisione finale?»
«Sì, la mia inappellabile decisione finale» concluse Thema.
«Allora non abbiamo più altro da dirci. Buon viaggio, mia regina. Spero di vederti tornare con il tuo scudo e non sopra di esso.»
«Sempre allegra, eh?» commentò l’altra sarcastica «Comunque, buona fortuna a te, amica mia. Mi aspetto che tu esegua i tuoi doveri con il solito zelo e la tua proverbiale dedizione.»
«Certamente… Ora però è meglio che vada, se resto al tuo fianco ancora dieci secondi non sarò più in grado di lasciarti andare… Torna presto.» Con quelle parole, l’Amazzone fece dietrofront e galoppò verso la città, che ormai si andava risvegliando ai primi raggi del sole.
 
Tabia si svegliò particolarmente riposata. Aveva di nuovo avuto alcune visioni sulle misteriose donne guerriere ed aveva tutta l’intenzione di discuterne con la regina, ma solamente dopo un’abbondante colazione e un bagno ristoratore.
Non appena mise piede fuori dalla propria camera, si rese conto del clima di agitazione che aleggiava nell’edificio. C’erano guardie spaesate che pattugliavano i corridoi senza un ordine preciso, servi che correvano da una stanza all’altra e persone dall’aria autoritaria che sbraitavano ordini a destra e manca.
La prima reazione della donna fu quella di andare a cercare Thema. Fermò un soldato e gli domandò: «Posso sapere dove trovare la sovrana?»
Lui la squadrò in fretta e proseguì senza degnarla di una risposta.
Ritentò con altri tre militi, ottenendo lo stesso trattamento.
«Tabia!» la sorprese una voce alle spalle, quando ormai aveva rinunciato ad essere considerata.
Lei si voltò, vedendo avanzare una folta chioma disordinata. «Sono felice di rincontrarti, Ephiny.»
«Se stai cercando Medora devo darti una notizia che non ti farà piacere.»
La fanciulla spalancò gli occhi, temendo il peggio.
«Ha dovuto lasciare l’Egitto per sedare una rivolta in Oriente, quindi potrebbe mancare da palazzo per alcuni mesi.»
Quelle parole risollevarono l’animo della mora, spaventata all’idea di una qualche tragedia, ma lo sconforto la colpì nuovamente quando realizzò che la donna a lei tanto cara sarebbe stata su un campo di battaglia a rischiare la propria vita.
«Non stare in pena per lei» la rassicurò la bionda «È la combattente migliore che io conosca, se la caverà come sempre.»
«Ma allora che ne sarà di me? Era lei a volermi qui!»
«Le ho promesso che avrei avuto cura di te, quindi sei invitata a restare. Per la tua sicurezza ho persino deciso di affidarti una guardia del corpo.» L’Amazzone fece un fischio e da un gruppo di uomini armati se ne staccò uno.
«Joxer!» esultò Tabia riconoscendo l’amico «Sei stato assegnato a me?»
«Non c’è onore più grande per me che essere destinato a proteggere una bella signorina» rispose mellifluo.
«Ehm» tossicchiò Ephiny «Soldato, ti ricordo che Sua Altezza in persona ha fatto predisporre per la protezione di questa ragazza, chiunque assuma un comportamento inappropriato nei suoi confronti verrà certamente punito da lei in persona. Il che include anche le persone incaricate di vegliare sulla fanciulla in questione.»
«Oh, certo comandante!» scattò immediatamente lui, portandosi sull’attenti.
«Questo, se non ti fosse arrivato il messaggio, vuol dire che non ti è concesso alcun tipo di approccio che non sia professionale, sono stata chiara?»
«Trasparente» concluse il mercenario.
«Perfetto, allora potrai scortare la nostra amica fino alle cucine dove potrà gustare la colazione, poi ti apposterai fuori dalla sua camera e la seguirai in ogni suo spostamento.»
Seguendo le disposizione della donna, Joxer divenne praticamente l’ombra di Tabia e i due ebbero modo di legare e diventare buoni amici, rendendo le giornate più leggere per entrambi.
Le ore si susseguivano tra battute e giochi improvvisati, spesso sotto la supervisione di Ephiny che arrivò ad insistere per dare lezioni di scherma ad entrambi.
La fanciulla del Nilo non ricordava di aver mai impugnato una spada, eppure riusciva a cavarsela sorprendentemente bene. Questo ha certamente a che fare con Xena arrivò a concludere.
Trascorsero rapidamente numerose settimane, immersi nella rinnovata calma del palazzo, che sembrava finalmente aver ritrovato equilibrio dopo la partenza della Conquistatrice.
Una mattina di sole, però, quella tranquillità venne turbata da un cavaliere solitario. Era giunto alle porte del palazzo a dorso di un rapido dromedario e aveva immediatamente preteso di parlare con la regina. Ephiny, in qualità di reggente, si era precipitata a vedere che cosa volesse quello straniero.
«La regina ha rapito mia sorella. Pretendo di conferire con lei» esordì l’uomo. Era giovane, dai tratti egizi, sua sorella poteva essere una qualsiasi delle ragazze assunte per lavorare nelle cucine o per tenere pulito.
«Mi spiace, ma non posso aiutarti» rispose lei, sperando di riuscire a liberarsi del fastidioso visitatore.
«Pretendo di parlare con Thema, immediatamente» insistette.
«Lei non è qui al momento, è stata chiamata altrove per questioni che non ti competono. Sono io a regnare in sua assenza e se io dico che non posso aiutarti vuol dire che devi girare i tacchi e andartene» sbuffò indispettita l’Amazzone.
«So che Tabia è qui!» si infervorò l’egizio.
A sentir nominare la ragazza, Ephiny assunse un’espressione seria e severa. «Chi ti ha parlato di lei?»
«È mia sorella! È scomparsa dal tempio di Isis e l’unico luogo dove potrebbe essersi rifugiata è qui. Era ossessionata dall’idea di incontrare Thema.»
Passò un minuto prima che la donna si decidesse a rispondergli. «Puoi attendere nella sala qui a fianco, vedrò cosa posso fare.»
Quando l’uomo fu uscito, la riccia fece subito chiamare una delle guardie che andasse a prendere Tabia che si trovava probabilmente in biblioteca. Infatti, pochi minuti dopo, la ragazza, scortata dall’immancabile Joxer, arrivò nella sala delle udienze.
«Di là c’è un tizio sospetto che sa di te» la informò l’Amazzone «Dice di essere tuo fratello.»
La fanciulla spalancò la bocca. Aveva completamente dimenticato di avere una vita al di fuori di quelle mura. I suoi genitori erano pur sempre convinti che lei si trovasse in qualità di novizia al tempio di Isis, ma non aveva dato notizie di sé. Era quasi sollevata che Ptolemy fosse venuto a cercarla.
«Voglio vederlo» disse, elaborando una scusa plausibile per la propria presenza a palazzo.
«Non ti lascerò da sola con quello che, per quanto ne so, potrebbe essere un assassino» si oppose la bionda «Joxer verrà con te.»
«Ma come potrei spiegare di avere una guardia personale? Mio fratello non mi lascerebbe mai restare se sapesse che Thema prova interesse nei miei confronti. L’unica soluzione è dirgli che lavoro qui e nessun comune dipendente avrebbe perennemente un soldato alle costole. Devo fingere di essere una civile comune e voi dovete fare altrettanto.»
«Ma se ti capitasse qualcosa…» contestò ancora la guerriera.
«Ptolemy è mio fratello, non mi farebbe nulla di male.»
La lasciarono andare da sola, sebbene controvoglia.
La ragazza entrò in una delle piccole sale che venivano utilizzate per i colloqui privati. Fu molto contenta di riabbracciare il fratello dopo così tanto tempo.
«Ma che cosa ci fai qui, sorellina?» le chiese «Ti abbiamo cercata dappertutto! Non dirmi che hai continuato con quella tua fissazione.»
«No, è stata una serie di eventi a portarmi qui…»
«So che sei scappata dal tempio, me lo ha rivelato una delle sacerdotesse che ti ha visto sgattaiolare fuori dalla tua camera la prima sera che siete giunte in città.»
Tabia deglutì, indecisa su quale bugia tirare fuori per difendersi.
«Allora? Che cosa hai combinato?»
«Mi sono imbattuta in un gruppo di malviventi» improvvisò, tirando fuori, in fondo, parte della verità «E la mia unica possibilità è stata fuggire il più velocemente possibile, così sono incappata in una delle cuoche della Conquistatrice, mi ha accolto tra i suoi assistenti e mi ha poi offerto un lavoro. Non potevo rifiutare, sarei tornata a casa appena racimolati un po’ di denari.»
L’uomo fece una smorfia, chiaramente insospettito da quella storia.
«E allora vieni con me, torniamo al villaggio» disse, afferrandole il polso «Mamma e papà sono in pena per te, vogliono riaverti a casa. Vedrai che non spingeranno più così tanto con la storia del matrimonio, basta che ti comporti bene…»
«No, Ptolemy, non voglio venire con te» rispose la fanciulla, cercando di divincolarsi «Mi trovo bene qui, voglio restare.»
Il fratello le scoccò un’occhiata di fuoco. «Non puoi opporti. Non è una scelta quella che ti sto dando, è un ordine.»
«No» continuò lei, testarda «Io voglio restare.»
«Lo sapevo, è per via di Thema, vero? È lei la causa di questo tuo strano atteggiamento?»
«Questi non sono affari tuoi» si infuriò Tabia «La mia vita non è affar tuo e neppure dei nostri genitori!»
Il giovane non potè fare a meno di notare il lampo che attraversò le iridi celesti della sorella nel pronunciare quella frase e tanto bastò per fargli realizzare quanto gli stesse tenendo nascosto. «Tu… Tu… Sei attratta da lei!?» Era sconvolto, sperava con tutto il cuore di sbagliarsi.
La ragazza balbettò, cercando di trovare il modo giusto per spiegarsi, senza però riuscirci.
«Che gli dei abbiano pietà della tua anima! Attratta da un’altra donna! Questo non è naturale! Mamma morirà quando lo verrà a sapere…»
«Tu non glielo dirai» affermò convinta «Perché prima devi lasciarmi spiegare...»
«Non c’è nulla da spiegare! È tutto chiaro, te lo si legge in faccia! Ho sempre saputo che qualcosa non andava in te! Questo tuo essere restia al matrimonio era solo la punta della piramide!»
«Adesso smettila» lo assalì «Tu non sai niente!»
«Invece so anche troppo… Che schifo, non riesco a credere di essere cresciuto insieme a te… Ma lo sapevo che il tuo essere straniera ti avrebbe portato sulle vie sbagliate. Tu non sei mia sorella, non lo sei mai stata.»
Tabia sentì le lacrime agli occhi. Nessuno le aveva mai parlato in modo tanto crudele.
«Me ne vado. Non voglio restare un solo istante di più vicino ad un simile abominio. Dirò ai miei genitori che non sono riuscito a trovare la loro figlia scomparsa. Piangeranno e si dispereranno, ma prima o poi se ne faranno una ragione. Addio.»
Lei non ebbe la forza di reagire in alcun modo. Lo lasciò andare via e non si voltò neppure per fissarlo un’ultima volta. Aveva chiuso con il passato, che si allontanava sempre più sottoforma di un giovane uomo con il volto rigato di lacrime che galoppava rapido tra le dune.
I due amici non le chiesero spiegazioni, avevano intuito che ci fosse stata una discussione, ma quella era pur sempre la sua famiglia, quindi un affare lontano dalla loro competenza.
Tabia si diresse decisa verso la biblioteca per riprendere quanto aveva dovuto interrompere a causa di quello spiacevole dialogo, ovviamente Joxer la seguì.
Ephiny era pronta a fare altrettanto, ma venne intercettata da una delle sue fidate sorelle Amazzoni.
«Ho una notizia di estrema importanza, mia regina.»
«Amarice, sai che non sono più una regina da tempo ormai. Sono il tuo comandante adesso» puntualizzò la bionda.
«Chiedo perdono, comandante, ma devo comunicarvi che è arrivata.»
«Medora?» domandò speranzosa.
«No, la Conquistatrice è ancora impegnata nella campagna contro il Dragone Verde e i suoi ribelli. Io mi riferivo alla vostra… Ospite speciale» rispose Amarice.
«Oh» mormorò Ephiny, intendendo le parole dell’altra «Falla condurre nei sotterranei ed assicurati che ci sia sempre qualcuno a sorvegliarla.»
«Certo, comandante. Devo riferirvi ancora una cosa…»
«Che altro c’è?»
«Lei, la strega… Ha chiesto di parlare con voi.»
L’Amazzone mascherò la propria sorpresa ed il proprio timore con un sorriso sprezzante. «Allora la scorterò personalmente alla sua nuova dimora. Sei congedata, Amarice.»
La guerriera si allontanò, permettendo alla bionda di sgattaiolare fino ad una delle entrate secondarie, dove aveva dato disposizione di accogliere la pericolosa prigioniera. Ad accompagnare la sciamana c’erano altre quattro Amazzoni, tutte della tribù del Nord.
«Lasciatemi sola con lei» comandò quando ormai erano in prossimità delle prigioni. Le donne la guardarono sorprese, ma non osarono contestare il suo ordine.
«Cosa vuoi da me, strega?» chiese, dopo aver rinchiuso la donna dietro sicure sbarre di ferro.
«L’aedo e il suo angelo caduto, la guerriera e la poetessa. Il cerchio e la magia. È tutto da sistemare, è tutto sbagliato» borbottò a mezza voce, come se stesse parlando a se stessa.
«Non giocare con me. Dimmi cosa vuoi» ribadì Ephiny con voce sicura.
L’altra sembrò riprendersi dal suo stato confusionale e fissò gli occhi in quelli della bionda, poi fece una smorfia, che doveva corrispondere ad un sorriso, e bisbigliò: «Xena, devi portarmi da Xena.»
 
NdA: ancora non mi sembra vero. Dopo un silenzio durato più di un mese (e di cui non potrò mai scusarmi abbastanza) finalmente ho trovato la forza, il coraggio e l'ispirazione per finire il nuovo capitolo, chissà che la situazione non si sblocchi e io riesca ad aggiornare di nuovo in tempi civili. Comunque, come già detto non potrò mai e poi mai scusarmi abbastanza, quindi se volete insultarmi/picchiarmi/maledirmi con bamboline voodoo siete liberi di farlo, nel frattempo vi dico che mi sento in colpa già di mio, quindi andateci piano. Passiamo ora all'immancabile parte dei ringraziamenti che vanno a tutti coloro che hanno deciso di non abbandonare la nave che affonda, quindi tutti coloro che (nonostante la mia assenza) hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate, grazie ai recensori dell'ultimo capitolo: wislava (ovviamente), 5vale5 (fidata lettrice fin dagli albori), ester310, strapelot e Agnigni, vi adoro gente. Ecco, dato che queste note stanno diventando più lunghe del capitolo stesso, mi fermo. Non so quando arriverà il prossimo aggiornamento, ma siate pazienti e pregate gli dei, prima o poi mi farò viva di nuovo. Un saluto.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** La strega del Nord ***


CAPITOLO 18: La strega del Nord
 
And now to see your love set free
You will need the witch’s cabin key
Find the lady of the light gone mad with the night
That’s how you reshape destiny
(Poets of the Fall – The poet and the muse)
 
«Tutto bene, Tabia?» chiese Joxer durante il loro tragitto verso la biblioteca.
«Sì» mentì. Non aveva voglia di spiegare all’amico quanto accaduto con Ptolemy, preferiva tenere il fratello più lontano possibile dalla propria mente. Avevano litigato in passato, ma lui non era mai arrivato a rinnegarla. Era stato crudele, eppure la cosa che lei si rimproverava era il non aver trovato la forza di reagire, avrebbe voluto colpirlo, urlargli contro, invece era stata solo capace di fissarlo andare via. In quel momento aveva tanto desiderato che un po’ della forza di Xena corresse in suo aiuto, ma non poteva controllare l’influsso di quella misteriosa donna guerriera.
«Non si direbbe…» commentò il soldato, distraendola dalla serie di collegamenti che stava facendo.
«Te lo assicuro, è tutto a posto. Mi serve solo un momento da sola, ti spiace? Comincia ad andare, mi fermo un attimo nella mia stanza, poi ti raggiungo.»
Lui annuì e proseguì verso la loro sala di lettura.
La fanciulla fece una sosta in camera per distendere i nervi e non appena uscì si trovò davanti Ephiny.
«Cosa ti ha trattenuta?» le domandò, cominciando a camminare al suo fianco.
«Una delle mie sorelle ha avuto bisogno di me per… Occuparsi di una questione importante» rispose l’Amazzone, indecisa su quanto rivelare.
«Ha a che vedere con il misterioso prigioniero di cui si vocifera da un po’?» chiese la mora, senza dare peso alle proprie parole.
«Che… Che cosa ne sai?» balbettò l’altra «Era un’informazione che doveva essere riservata.»
«A quanto pare non è così. Ultimamente è sulla bocca di tutti… Allora, è arrivato?» continuò Tabia, curiosa.
«Non penso che la cosa ti debba riguardare» ribattè la bionda, intenzionata a lasciar cadere l’argomento.
«Suvvia, puoi almeno dirmi perché Medora lo ha voluto qui?»
«Anche questa è un’informazione riservata» replicò Ephiny «E adesso basta con le domande, ficcanaso. Andiamo a spulciare qualche libro per far passare il tempo. Non voglio più sentirti parlare di prigioni per un po’ o ti ci faccio sbattere dentro.»
La fanciulla annuì ubbidiente e mascherò con un sorriso la folle idea che ormai si era messa in testa.
Dovette aspettare un paio di giorni prima di poter attuare il proprio piano. L’Amazzone le stava con il fiato sul collo da quando Ptolemy si era presentato a palazzo, la guerriera sapeva che lui avrebbe potuto fare del male alla sorella e nessuno sarebbe stato pronto ad intervenire, quindi aveva preso a sorvegliarla personalmente senza sosta. Ma non poteva trascurare i doveri di reggente per fare la balia, quindi, nel momento in cui fu costretta ad allontanarsi dalla Capitale per visitare un importante centro nel Sud, Tabia ne approfittò per provare a curiosare nei sotterranei.
Le guardie erano abituate a vederla girovagare per il palazzo e la trovavano di ottima compagnia, spesso si intrattenevano a chiacchierare con lei e Joxer, che solitamente la accompagnava in ogni spostamento, ma quando i due uomini in servizio la videro avvicinarsi, sola, diretta alla cella di massima sicurezza, furono costretti ad intervenire.
«Ci dispiace, ma non possiamo lasciarti passare» la apostrofò uno dei due «Abbiamo ricevuto il preciso ordine di non lasciar avvicinare nessuno.»
Normalmente Tabia, a quel punto, avrebbe girato i tacchi e sarebbe tornata sui propri passi, ma una forza interiore ormai familiare venne in suo soccorso. L’istinto le diceva di dover assolutamente proseguire fino alla misteriosa prigione e Xena le avrebbe dato la possibilità di farlo.
Non voleva fare del male ai poveri sventurati che si erano trovati, per puro caso, sulla sua strada, ma allo stesso tempo loro le avrebbero impedito di andare avanti.
«Scusate» si sentì in dovere di dire, prima di far saettare le mani al collo del primo uomo. Bastò una lieve pressione alla base del collo per farlo crollare addormentato. L’altro osservò basito la scena, ma non ebbe modo di reagire, poiché anche lui subì lo stesso destino.
Il corridoio, illuminato da poche torce che creavano aloni spettrali di luce, proseguiva nelle viscere del palazzo per poi svoltare bruscamente a destra. Dietro quella svolta si trovava la porta incriminata.
La giovane frugò nelle bisacce delle sue malaugurate vittime, ma non riuscì a trovare la chiave per accedere alla cella. Cercò persino tra le pieghe delle vesti, senza ottenere nulla.
A quel punto si fermò a pensare. Doveva ragionare come avrebbe fatto Ephiny. Non avrebbe affidato la preziosa chiave a qualcuno, ma l’avrebbe nascosta in un luogo sicuro, eppure abbastanza vicino da averla a disposizione quando necessario. Il nascondiglio in questione doveva dunque essere poco distante.
La prima idea fu quella di picchiettare ad una ad una le pietre del corridoio, per sentire se una suonasse a vuoto, rivelando uno spazio dietro di sé, ma sarebbe stata una ricerca lunga e non per forza fruttuosa. Allora iniziò a studiare le pareti con attenzione. Nel caso davvero una delle pietre fosse stata mobile ci sarebbero stati dei segni, dei graffi dovuti allo spostamento.
Anche quell’idea sembrò non portare a nulla.
Tabia iniziò a camminare nervosamente davanti alla porta chiusa, cercando di trovare una soluzione. L’eco dei suoi passi risuonava, rompendo il silenzio.
Ad un tratto mise, però, un piede in fallo. Per attutire la caduta, mise le mani avanti. Quando entrò in collisione con il pavimento una delle mattonelle sobbalzò leggermente.
«L’Amazzone non è stata abbastanza furba. Alla fine la ragazza di campagna ha trionfato» gongolò, estraendo la chiave da sotto la piastrella.
«E adesso vediamo un po’ chi si nasconde qui dietro…»
La serratura scattò con un rumore metallico e la porta si aprì con un cigolio sinistro. Lo spazio era buio, angusto. A malapena riuscì a scorgere la figura rannicchiata in un angolo. Tabia staccò una delle torce e illuminò la cella.
«Le luci… Le brillanti luci del Nord sono lontane. I colori danzano nel cielo, ma qui è sempre notte.»
La ragazza trasalì, sorpresa dalla voce gracchiante del prigioniero, o meglio, della prigioniera, perché la voce era femminile.
«Chi sei?» fu la prima e più naturale domanda che le venne in mente.
«In questo mondo nessuno ricorda… Neppure tu, vero?» La fioca luce mostrò gli occhi chiari della donna, dilatati come se stessero catturando ogni cosa attorno a loro.
La fanciulla ne ebbe paura. Sentiva un legame, qualcosa di antico, che la imbrigliava a quella figura spaventosa e ne era sempre più intimorita.
«Ero certa che mi avresti trovato. La trama del Fato è chiara, nonostante qualcuno l’abbia stravolta.»
«Di che cosa parli?»
«È un vero peccato che tu non rammenti, Xena…»
A sentire quel nome, Tabia cedette al panico. Si sarebbe voltata e avrebbe corso il più velocemente possibile lontano da quella donna, ma i suoi piedi non si mossero.
«Non dovresti andare via» riprese la misteriosa prigioniera «Non prima di aver sentito quello che ho da dire. Sono l’unica in grado di aiutarti.»
L’altra meditò su quelle parole. In fondo, con tutto quello che aveva rischiato contravvenendo agli ordini di Ephiny, andarsene a mani vuote sarebbe stato stupido. Fece un passo avanti e si sedette sul freddo pavimento del tugurio, mantenendo comunque una certa distanza dalla carcerata. «Prima dimmi chi sei.»
«Il mio nome è cambiato nel corso dei secoli. A vite diverse corrispondono nomi diversi. Anche nel futuro avrò nuovi nomi, così come li avrai tu. Ma, per rendere tutto più semplice, io sono Alti, la sciamana delle pianure del Nord.»
«Perché, prima, mi hai chiamata Xena? Cosa sai di lei? In che modo ha a che vedere con me?» scoppiò Tabia, desiderosa di avere risposte.
«Quanta esuberanza» ghignò la strega «Rilassati, Principessa Guerriera, credo di doverti narrare una storia e potrebbe non piacerti.»
La ragazza era sempre più confusa, ma la voce gracchiante di Alti aveva qualcosa di ipnotico ed era incredibilmente convincente. Voleva sentire quella storia, qualunque fosse.
«In un altro mondo, non molto diverso da quello in cui ci troviamo, viveva una guerriera temuta per la sua ferocia e la sua crudeltà. Non aveva alcun rivale in battaglia e il suo destino era quello di divenire un giorno la Distruttrice di Nazioni, con l’aiuto di una potente maga che la consigliava saggiamente. Ma la bellicosa donna venne cambiata dall’incontro con un giovane semidio, Hercules…»
Tabia la ascoltava rapita. Si sforzava di ricordare quanto Alti le stava raccontando e, in un certo senso, era in grado di vedere alcune scene, come le capitava durante le strane visioni, ma il tutto restava comunque indefinito. L’unica cosa certa era il tono costante della narratrice, che proseguiva nel racconto.
Quando la sciamana iniziò a parlare di Gabrielle, la fanciulla si fece ancora più attenta. Era chiaro che Xena e la bionda condividessero molto di più di una semplice amicizia, ma ne ebbe la certezza solamente quando le venne riferito del coraggioso viaggio compiuto dalla Principessa Guerriera nella Terra delle Ombre per cercare l’anima della compagna, che, però, in realtà era ancora in vita. In quell’episodio rientrò la stessa Alti e in quell’occasione trovò la morte, ma la donna proseguì a parlare come se si trattasse semplicemente di un altro personaggio che si era intrecciato nella complicata trama che stava tessendo. Sembrava essere stata onnipresente nella vita di Xena, come se avesse vissuto nell’ombra tutte le avventure con lei.
La storia si concluse con la tragica fine della guerriera e il disperato tentativo di Gabrielle di salvarla, recandosi in Egitto.
«… E con l’aiuto di una potente maga, Gabrielle fu in grado di attraversare le barriere della vita e la morte.»
Dopo quella frase calò il silenzio, ma fu di breve durata, perché Tabia subito volle sapere di più: «E poi cosa è successo? Si sono riunite? La Principessa Guerriera è tornata in vita?»
«È questo il problema» rispose la strega «La magia ha creato un mondo nuovo, dove i ricordi di Gabrielle hanno riportato indietro dal mondo dei morti tutte le anime di coloro che ha incontrato lungo il suo viaggio, sia amici, sia nemici. Ma non temere, questa volta non sarò in grado di nuocerle… I miei poteri sono inefficaci in questo universo, perché ci sono altre forze magiche a controllarlo.»
«La dea della magia Isis, giusto?» domandò la fanciulla.
«Non solo… C’è una presenza oscura, una potenza malvagia pronta a sferrare un brutale attacco. Non so cosa volesse ottenere esattamente Gabrielle, ma il suo piano è certamente stato condizionato da questo influsso maligno. Forse è per questo che hai perso i tuoi ricordi e credi di essere una comune paesana.»
«Ma tu come fai a sapere tutto ciò? Come puoi conoscere la storia di Xena… La mia storia se siete state lontane per tanti anni e poi sei stata uccisa?»
«Nel mio limbo personale, creato apposta dagli dei per tormentarmi a causa del mio sfruttare indebitamente le anime degli altri, ho trovato il modo di accedere alle trame del Fato. Le ho studiate, le ho ammirate e le ho rivissute al fianco dei loro protagonisti. Una volta, come ti ho detto poco fa, sono riuscita persino a modificarle, tramite quel sempliciotto di Caesar. Ma poi tu e la poetessa avete rimesso le cose a posto, come vostro solito.»
«Quindi sai dirmi cosa accadrà in futuro?» insistette Tabia.
«Questo non posso rivelarlo. La tua conoscenza di certi segreti futuri potrebbe compromettere il naturale corso degli eventi.»
«Ma perché tu puoi ricordare tutte queste cose, mentre io riesco ad accedere alla mia “altra vita” solo attraverso dei flash?»
«Forse perché solo quando sarai riunita con la tua anima gemella il Fato tornerà sulla giusta traccia e il mondo tornerà ad essere quello che deve.»
«E ciò vuol dire che tu e tutti gli altri…?»
«Torneremo ad essere ombre, spettri, anime in pena in attesa di una nuova destinazione, sì» replicò Alti, senza perdere la calma «Ma è giusto così, bisogna riportare l’equilibrio.»
«Stai cercando di convincermi a fidarmi di te?»
«Non c’è n’è bisogno, sai che quanto ti ho detto è la verità. Ma a dirla tutta, ho solo un modo per tornare indietro e tentare ancora di conquistare il mondo e ciò accadrà solamente se tu tornerai indietro, liberandomi» ammise con un macabro sorriso «Ora è meglio che tu vada. Non abbiamo altro da dirci. Alla prossima, Xena. Non penso che ci rincontreremo in termini così amichevoli.»
«Grazie, Alti, nonostante le azioni orribili che hai compiuto, questa volta potresti aver fatto del bene» disse Tabia, preparandosi a tornare indietro.
La sciamana si limitò a sorridere, prima di scoppiare in una risata sguaiata. La lucidità la abbandonò del tutto e ricominciò a balbettare frasi senza senso, come aveva fatto prima della visita della ragazza.
Il suo compito era concluso. Chiunque fosse il misterioso nemico che aveva cercato di dividere Xena e Gabrielle non avrebbe avuto vita facile, perché, come Alti amava ripetersi, c’era posto per un’unica strega nell’eterno circolo di reincarnazione di Xena e quella strega poteva essere solo lei.
 
NdA: chiedo venia per avervi fatto attendere, ma in fondo non è passato poi tantissimo tempo... Ok, è comunque TROPPO, ma non è tanto. Ma è ora di riprendere la mia routine di ringraziamenti a wislava e Agnigni per le recensioni e a tutti gli altri lettori per non avermi abbandonato. Aspettate e pregate gli dei, tra un po' (potrebbe anche essere molto "un po'") aggiornerò. Un saluto e grazie ancora per la pazienza.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** La caduta del Dragone ***


CAPITOLO 19: La caduta del Dragone
 
It’s hiding in the dark, his teeth are razor sharp
There’s no escape for me
It wants my soul, it wants my heart
No one can hear me scream, maybe it’s just a dream
Maybe it’s inside of me.
Stop this monster.
I feel it deep within, it’s just beneath the skin
I must confess that I feel like a monster
(Skillet – Monster)
 
Il silenzio dei campi di battaglia, la notte, era tanto profondo da risultare deleterio per chi, come la Conquistatrice, aveva bisogno di non sentire il rumore dei propri pensieri.
La donna passeggiava nervosamente nella propria tenda, calciando tutto ciò che le capitava a tiro. Lanciò l’ennesima occhiata alla branda, ancora intatta. Non voleva dormire. Il sonno comportava l’arrivo di quelle strane visioni e, sebbene in un primo momento l’avessero incuriosita, non voleva più averci a che fare.
«Com’è possibile?» andava avanti a ripetersi «Nessuno conosce il mio nome… Eppure quella donna, quella Xena, sa… Ma che cosa ha a che vedere con me? E perché somiglia tanto a Tabia?»
Troppe domande senza risposta. Aveva bisogno di qualcuno che facesse chiarezza in quell’intricata selva di dubbi. Si augurava che la strega che aveva mandato a chiamare fosse già in Egitto, perché la prima cosa che avrebbe fatto al proprio ritorno sarebbe stato consultarla, con o senza il benestare di Ephiny.
«Medora» la chiamò Caesar «È stato notato un movimento sospetto dall’accampamento nemico.»
Con un sospiro, la sovrana uscì dalla tenda per raggiungere l’uomo. «Cosa avete visto?» domandò, trovandosi di fronte al Romano e a quelle che reputò essere due sentinelle.
Prima ancora che riaprisse bocca, i due giovani si prostrarono fin quasi a baciare il terreno, ma Julius li afferrò per i capelli e li fece rialzare. «Non siate tanto cerimoniosi e rispondete alla domanda della vostra regina» ordinò.
«Sì, signore» risposero all’unisono, poi si scambiarono uno sguardo d’intesa e il ragazzo di sinistra iniziò a parlare: «Eravamo di guardia, Vostra Maestà, in pattuglia sopra il colle ad Est.» Indicò uno dei punti in cui Thema stessa aveva stabilito si dovessero piazzare alcuni soldati di vedetta, poi continuò: «Quando abbiamo scorto una figura a cavallo lasciare il campo nemico.»
«Avete lasciato qualcuno a controllare?» chiese lei, sottolineando le parole con uno sguardo di fuoco.
«Certamente, Vostra Altezza» rispose il milite «Due sono venuti a riferire la notizia e due sono rimasti di guardia. Nel caso ci siano ulteriori sviluppi, uno di loro si precipiterà qui.»
«Andrò io stessa a controllare» stabilì, ignorando la fine del discorso. Mandò a chiamare il proprio scudiero che le fece trovare lo stallone sellato in pochi minuti, poi la aiutò ad indossare un’armatura leggera e infine la seguì a cavallo fino al luogo dell’appostamento.
I due soldati presenti accolsero Medora con il saluto militare e confermarono quanto riferito dai compagni, ma non ebbero nulla da aggiungere. Il misterioso cavaliere solitario sembrava essersi volatilizzato.
«Ming T’ien deve averne escogitata una delle sue» riflettè ad alta voce Thema «Sarà meglio mandare alcune squadre di pattuglia a controllare.»
«Ma è il caso, mia signora, di scomodarsi tanto per un singolo uomo a cavallo?» domandò uno dei militi «Per quanto ne sappiamo potrebbe essere un disertore in fuga o un semplice viandante di passaggio che si è unito per un tratto al corteo militare.»
Erano ipotesi plausibili, ma l’istinto di Medora, che raramente sbagliava, le suggeriva di non trascurare quell’individuo, per quanto potesse apparire innocuo.
«Non mi importa» stabilì «Voglio trenta cavalieri pronti all’istante che si dividano in squadre di tre e percorrano tutti i sentieri nelle vicinanze. Devono battere la terra palmo a palmo.» L’attendente, ricevuto l’ordine, si lanciò al galoppo di nuovo verso l’accampamento per far eseguire gli ordini.
«Voi due» continuò in tono perentorio, rivolta ai giovani che erano venuti ad avvisarla e l’avevano scortata fino al punto di vedetta «Verrete con me, prendete due cavalli e seguitemi.»
I poverini fecero fatica a stare dietro al possente stallone, che sembrava indemoniato, lanciato in una corsa folle dietro ad un fantasma.
«Sono certa che sia passato di qui» disse la Conquistatrice, mentre proseguivano all’interno di un bosco non lontano dalle colline «Ci sono rami spezzati e tracce di zoccoli. Il nostro amico potrebbe avere compagnia. Forse si tratta di un gruppo di pattuglia, o magari una squadra di sicari. Meglio tenere gli occhi aperti.»
La sua scorta rabbrividì a quelle parole e il timore non potè che aumentare prestando attenzione al silenzio che era calato tra gli alberi.
Thema, per precauzione, portò la mano alla cinta e trovò la calma accarezzando l’elsa della spada. Infilati negli stivali portava anche i sai, che aveva scoperto essere un’arma molto versatile e che le riusciva naturale padroneggiare. Si chinò leggermente e ne estrasse uno, facendolo roteare abilmente tra le dita.
A vedere quel gesto, segno di un possibile attacco a sorpresa, i giovanotti che l’accompagnavano cedettero al panico. Uno di loro voltò il destriero e corse via, prima che Medora avesse il tempo di riempirlo di insulti e maledizioni, l’altro approfittò del momento di confusione per fuggire nella direzione opposta, lasciando la guerriera completamente sola.
«Maledetti codardi figli di una cagna!» sbraitò tirando le redini del cavallo, indecisa se inseguire uno dei due disertori o proseguire nella ricerca del cavaliere scomparso «Vi esporrò nel piazzale dell’accampamento e vi fustigherò personalmente!»
«Quante minacce» la canzonò una voce «Ma la leonessa ha anche gli artigli o sa solo ruggire forte?»
«Ming T’ien» sibilò la donna «Fatti vedere.»
Un uomo, poco più che ragazzo, accompagnato da un nutrito gruppo di soldati in armatura verde, comparve dal folto della boscaglia.
«Sapevo che avresti seguito la mia esca» sogghignò «Non puoi resistere all’idea di una caccia.»
Thema contò rapidamente i propri avversari: tredici in totale. Era praticamente circondata. Il suo stallone sbuffò inquieto, conscio di trovarsi in una trappola senza possibilità di uscita.
«Ti trovi di fronte alla potente Cerchia del Dragone Verde» continuò il capo della ribellione «Questi sono i migliori guerrieri del Celeste Impero, coloro che mai e poi mai si lasceranno sottomettere da una donna straniera.»
«Avevo stretto un accordo con tua madre» rispose la sovrana, cercando di mantenere i nervi saldi «E, sebbene sia a conoscenza del misfatto che hai compiuto pur di liberarti di lei, sono disposta a dimenticare tutto e concedere a te e ai tuoi soldati il mio perdono.»
Gli avversari scoppiarono a ridere, battendosi vicendevolmente le spalle e il petto.
«Non ci interessano le tue vuote parole» replicò il Dragone «Tu hai invaso le nostre terre, ucciso i nostri fratelli, venduto le nostre sorelle ai tuoi alleati, arruolato i nostri figli tra le tue schiere costringendoli a servire una causa non loro.»
La donna meditò su quelle parole. Racchiudevano molte verità, anzi, erano la pura e semplice realtà dei fatti, ma lui, quell’ignobile ragazzino che si credeva un dio, non poteva capire il grande progetto alle spalle di quelle singole azioni.
Lei era riuscita là dove tutti i grandi eroi e re del passato avevano fallito. Lei aveva soggiogato il mondo intero. Lei era la Conquistatrice, la Sovrana di Popoli, la Distruttrice di Nazioni.
«Perché, Xiao Hua, o qualunque nome tu ti sia scelta per gli altri? Per quale ragione hai portato tanta sofferenza?»
Medora boccheggiò. Non aveva una risposta.
«Lo hai fatto per vendetta? Sete di potere? Desiderio di autodistruzione? Speravi di trovare qualcuno in grado di annientarti?» Ming T’ien stava cercando di entrare nella testa della propria vittima, con il solo scopo di annientarla fisicamente e psicologicamente.
«Speravo di provare qualcosa…» mormorò a mezza voce la guerriera.
Il Dragone Verde strabuzzò gli occhi, certo di aver capito male. Quella era una ragione troppo stupida persino per il più squilibrato dei folli.
«Speravo di sentirmi fiera, appagata, desideravo gioia, euforia, soddisfazione… Ma non ho avuto nulla di tutto ciò. Non sono mai arrivata ad ottenere quello che volevo» continuò Thema, fissando il vuoto «Solo Tabia ha smosso qualcosa nel mio cuore…»
Il silenzio tornò a regnare in quella piccola piana tra le fronde. I tredici soldati del Drago, armi alla mano, erano in attesa della fine di quel discorso.
«Ma un’altra cosa è in grado di far volare alto il mio spirito» riprese la donna, mentre un ghigno animalesco sconvolgeva i suoi tratti delicati «La morte. Il versare il sangue del nemico, disintegrare ogni ostacolo fino a non lasciare altro che polvere, annientare tutto e tutti per il puro piacere della distruzione più assoluta.»
Quell’ultima frase era suonata quasi come un ringhio, profondo ed inquietante. Molti dei guerrieri avevano sentito un brivido freddo attraversare le ossa.
«Che cosa avete?» domandò, mantenendo lo stesso tono roco «Io non vedo Dragoni, solo un mucchio di lucertole e una gatta, pronta a fare un banchetto con i loro corpi martoriati.»
Ming T’ien, per la prima volta da che potesse ricordare, ebbe paura. Era stato cresciuto come un principe, un leader senza scrupoli che doveva mirare al potere assoluto e al controllo del Celeste Impero e delle terre circostanti. Non aveva esitato a decapitare la propria stessa madre, non aveva battuto ciglio neppure quando, da bambino, aveva soffocato le due sorelline neonate per impedire loro di minacciare il suo futuro diritto al trono, ma in quel momento, davanti agli occhi brillanti di furia omicida di quella donna, capì che cosa fossero le emozioni e quale potere avessero sul corpo.
Xiao Hua, la Conquistatrice, aveva lanciato il cavallo contro uno dei suoi uomini e lo aveva travolto senza tante cerimonie, per poi fiondarsi su un altro e lui, il figlio dell’Imperatore, non era riuscito a muovere un solo muscolo.
La lama di Medora fischiava nell’aria notturna, tessendo trame letali ed intonando un macabro canto ogni qual volta cozzava contro una piastra protettiva o lacerava pelle e tendini, fino a frantumare le ossa.
L’erba pallida si tinse di rosso, mentre la foresta, immobile, assisteva alla crudeltà messa in atto da una singola creatura.
I Tredici Dragoni, dopo un primo momento di sorpresa, passarono alla controffensiva, certi di poter sopraffare, in gruppo, una sola guerriera.
Il più grosso, che fino all’ultimo era rimasto a fare da scudo umano al giovane capo, aveva deciso di intervenire dopo che il suo ennesimo compagno era stato ferito a morte dai micidiali zoccoli del cavallo nero. Afferrato saldamente un lungo pugnale, lo aveva piantato nell’arto posteriore dell’animale, facendolo rotolare rovinosamente a terra insieme allo spietato cavaliere.
La regina fu di nuovo in piedi in un lampo e vendicò immediatamente l’animale ferito, decapitando con un colpo netto il colossale avversario.
A quella vista, i superstiti indietreggiarono. Erano rimasti in otto, gli altri erano morti o lo sarebbero stati entro breve per via delle letali ferite.
Uno stolto, in preda alla paura, tentò la fuga, ma un sai tagliò l’aria rapido ed elegante, conficcandosi nel suo collo, nella sottile fessura tra la corazza e l’elmo. L’uomo atterrò di faccia e soffocò nel proprio sangue, imbrattando ulteriormente il campo.
I sopravvissuti si scambiarono sguardi atterriti. La scelta più saggia sarebbe stata quella di arrendersi, tornare al proprio accampamento, dichiarare chiuse le ostilità e sottomettersi nuovamente alla Conquistatrice. Ma costei aveva tutt’altra idea in mente.
Thema, appiedata, investì con il proprio corpo il milite più vicino e, quando lui fu a terra, gli compresse la trachea con un ben assestato colpo di stivale. Mentre lo sventurato annaspava alla ricerca di ossigeno, lei si scagliò, a spada tratta, contro un altro nemico, trapassandolo da parte a parte, come se l’armatura fosse semplice stoffa.
In un impeto di disperazione, tre dei cinque soldati rimasti la assalirono. La spada di uno di loro arrivò tanto vicina al bersaglio da farli illudere di avere ancora una speranza, ma il ferro non riuscì a mordere la carne, deviato dal pomolo dell’arma avversaria.
«Bel tentativo» li canzonò Medora, mozzando l’arto del malcapitato che l’aveva quasi colpita «Ma così hai sprecato la tua unica occasione.»
Il soldato cadde a terra urlando in preda al dolore, cercando di arginare l’emorragia con l’altro braccio, ma Thema ebbe pietà di lui e pose fine alle sue sofferenze pochi attimi dopo.
I due compagni, che con lui avevano tentato l’assalto, sbiancarono, consci del destino che li attendeva.
La Conquistatrice non tardò ad occuparsi anche di loro, finendoli con la lama che ormai sembrava quasi trasudare sangue.
Sul luogo del massacro erano presenti solo più due dei tredici valorosi della Cerchia del Dragone Verde.
Senza badare a loro, la donna andò a recuperare il sai con cui aveva impedito la fuga ad uno dei nemici, poi, dopo averlo ripulito con un brandello di tessuto preso dal cadavere, lo scagliò dritto in mezzo agli occhi del soldato ancora in vita.
Ming T’ien rabbrividì vedendo il corpo accanto a sè accasciarsi con un lamento.
Medora avanzò verso il giovane Drago, procedendo con passo lento e misurato, assaporando il piacere della sofferenza che aveva provocato e di quella che avrebbe fatto provare allo stolto ragazzino che aveva osato mettersi contro di lei.
«Non è rimasto molto del tuo manipolo di formidabili guerrieri» osservò lei «Credevi davvero che sareste bastati a fermarmi?»
Il giovane rimase in silenzio, spostando rapidamente lo sguardo da uno all’altro dei compari caduti.
«Neppure il tuo intero esercito sarebbe bastato ad uccidermi, lo sai?» proseguì «Io sono troppo forte, troppo abile e troppo potente per essere fermata da mani umane.»
«Tu sei un demone» sussurrò a fatica il Dragone «E solo gli dei possono distruggere simili abomini.» Aveva un piano, un’ultima risorsa che gli sarebbe costata tutto, ma avrebbe posto fine al regno di terrore di Xiao Hua.
«E tu sei forse una divinità?» lo schernì lei, ormai a pochi passi di distanza. Le iridi, solitamente verdi, rilucevano alla luce della luna come se avessero riflessi di fuoco. Non parevano occhi umani.
«Io non sono un dio» ammise Ming T’ien, chinando il capo e facendo scivolare una mano dentro il piccolo sacchetto che portava nascosto sotto la cinta «Ma il fuoco purificatore, signore del Dragone Verde, lo è.»
Le pietre che stringeva tra le dita cozzarono tra loro, liberando una scintilla. La polvere nera di cui era ricoperto arse all’istante, causando un’esplosione udibile a miglia di distanza.
Il Dragone Verde era condannato a perire per mano delle fiamme che lo avevano originato, ma avrebbe portato con sé quel mostro assassino.
Gli alberi arsero a lungo e continuarono a bruciare anche quando Caesar giunse sul posto, seguito da una delle squadre volute dalla regina. Il Romano scorse, tra il fumo e le lingue di fuoco, una dozzina di corpi, tutti ornati da quella che doveva essere stata una corazza di color verde smeraldo. Comprese che si trattava della nuova Cerchia messa in piedi da Ming T’ien, ma di lui e della Conquistatrice non vi era traccia.
«Non temere, Julius» tuonò una voce «Ci vuole ben altro che un boato e un po’ di calore per liberarsi di me.»
Medora emerse dal cerchio di fiamme praticamente illesa, con un sorriso inquietante dipinto sul volto.
«Mia signora!» urlò, precipitandosi a verificare che stesse bene. Le posò una mano sullo spallaccio, ma la dovette ritrarre subito, scottato dalla sottile piastra di metallo.
Lei sembrò non essere infastidita dal calore bruciante della propria armatura, anzi, sembrava a proprio agio come non mai.
«Che cosa è accaduto?» domandò il generale «Che ne è stato del Dragone Verde?»
«Sveglia l’esercito» rispose Thema, ignorando le domande «Attacchiamo.»
«Come!? Ora!?» balbettò Caesar «Non sarebbe più saggio attendere l’alba o parlare con i loro capi, prima?»
«Ormai il Drago è senza testa, quegli uomini sono soli e vulnerabili, è il momento buono per coglierli di sorpresa.»
«Scusate, Maestà» contestò lui «Ma se è vero ciò che dite, non sarebbe più saggio concedere loro il perdono per rinforzare le vostre schiere?»
«No» ribadì decisa, mentre i suoi occhi brillavano dorati alla luce delle fiamme «Voglio vederli bruciare, perché io sono la dea del fuoco e della vendetta e il mondo deve sapere che non avrò pietà per nessuno fino a che non avrò quanto è mio di diritto.»
 
NdA: Non potrò mai scusarmi abbastanza, lo so, ma il tempo che posso dedicare alla scrittura è sempre meno... Abbiate fiducia e un giorno, vicino o lontano, arriverà il prossimo capitolo. Intanto ne approfitto per ringraziare wislava e SnowQueen95 per le recensioni e tutti coloro che hanno continuato imperettiti a leggere e aggiungere ai preferiti/ricordati/seguiti la storia nonostante la mia prolungata assenza. Spero di ritrovarvi comunque agli aggiornamenti futuri, a prescindere da quando saranno, sappiate che vi sarò eternamente grata se sopravvivrete all'attesa e troverò il modo di ricompensarvi. Fino ad allora, buona lettura e buone cose.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Vie, voci e verità ***


CAPITOLO 20: Vie, voci e verità
 
Time will help you through
But it doesn’t have the time
To give you all the answers
To the never-ending why
(Placebo – The never-ending why)
 
Furono pochi i soldati dell’esercito di Ming T’ien ad avere la prontezza di reagire all’attacco a sorpresa, ma non ebbero neppure il tempo di afferrare saldamente le armi che furono falciati dalla furia della Conquistatrice e della sua armata.
Il sangue scorse a fiumi e, prima che il sole fosse completamente spuntato all’orizzonte, non un’anima della vasta macchina ribelle capitanata dal Dragone Verde era rimasta nel mondo dei vivi. Thema non aveva concesso ad alcuno di salvarsi, né con suppliche né con improvvisati giuramenti. Non c’era spazio per la pietà nel suo cuore.
Dopo aver abbattuto le tende ed ogni vita in esse contenuta, ordinò che il campo, ormai raso al suolo, fosse dato in pasto alle fiamme e rimase a godersi lo spettacolo delle macerie e dei cadaveri che venivano avvolti dal fuoco per poi mutarsi in fumo e cenere.
Dopo quell’ultimo gesto fece predisporre tutto per il ritorno nella Terra dei Faraoni.
Era combattuta sul da farsi una volta in Egitto: doveva scegliere se restare a crogiolarsi sul trono appena conquistato o spingersi verso nuovi orizzonti.
Ignorò il dilemma, ancora esaltata per la schiacciante vittoria. Quando, però, l’euforia della battaglia fu scemata, si ritrovò a pensare a come sarebbe stata una vita senza più spargimenti di sangue, un’esistenza quieta in qualche luogo pacifico.
Forse potrei ricominciare da capo, lasciarmi alle spalle la “Conquistatrice” e diventare una persona diversa, una paladina in difesa di deboli ed oppressi.
Quei pensieri sopravvissero un solo istante, perché una voce prepotente nella testa le ricordò che lei era destinata alla grandezza, al dominio dei popoli di tutta la terra, quindi non poteva perdere tempo con tali sciocchezze.
Medora non ricordava esattamente quando fosse comparsa quella tanto arrogante consigliera invisibile. Sembrava che fosse con lei da sempre, ma non ne aveva la certezza, sapeva solamente che, nei momenti in cui la furia si impossessava di lei, la voce cantava di gioia, scuotendo il suo essere fino alle fondamenta.
Eppure sentiva, sapeva, che una vita senza quel perpetuo sussurro di morte era possibile, ne aveva avuto la conferma quando aveva trascorso del tempo con Tabia. Quella donna risvegliava qualcosa nel suo cuore, una parte sopita che veniva smossa ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli celesti della fanciulla del Nilo.
Alla voce misteriosa Tabia non piaceva molto proprio per quella ragione, a tratti sembrava che ne fosse intimorita, come se la presenza della giovane contrastasse la sua influenza.
Il tormento non le diede pace per diversi giorni, che spese viaggiando in silenzio, meditando sul da farsi.
I suoi monologhi interiori furono interrotti da Caesar: «Mia signora» esordì «Siete pensierosa. Cosa vi turba?»
«Non è nulla di che, Julius» rispose evasiva, tirando leggermente le redini dello stallone per farlo virare verso la parte esterna della colonna in marcia.
«Non fate così» la incalzò il Romano, seguendola «Da quando avete compiuto quell’eroico gesto contro il ribelle Ming T’ien vi siete trasformata, siete più… Tormentata, distratta, quasi indebolita.»
Thema gli scoccò un’occhiata di fuoco. Il rispetto e il timore erano ciò che teneva insieme la sua armata, se i suoi seguaci avessero notato il suo conflitto spirituale, avrebbero potuto mettere in discussione la sua autorità.
«Non era mia intenzione offendervi!» cercò subito di rimediare il comandante «Ma il vostro volto porta i segni di profonde riflessioni, del genere che non lascia riposare tranquilli e prosciuga le forze anche del più valente dei guerrieri.»
La Conquistatrice fece una smorfia, restia ad ammettere quanto ciò fosse vero.
«Potete confidarvi con me, se lo desiderate» continuò lui «Con Ephiny ne parlereste?»
Non c’era bisogno di rispondere, Caesar sapeva di non essersi meritato lo stesso tipo di fiducia che veniva accordato all’Amazzone.
«Ordina di fare una sosta» rispose dopo un po’ Medora, per poi allontanarsi lungo un sentiero che si diramava a lato della strada.
Proseguì al trotto fino ad una cittadina. Voleva fare un pasto decente e magari riposare qualche ora su un vero letto. Non le importava di ciò che avrebbero fatto i suoi soldati, lei aveva bisogno di prendersi una breve pausa dall’ambiente militare.
Avanzò lungo la via principale, trovandola inaspettatamente deserta.
Rallentò per gettare uno sguardo alle case che si affacciavano sul polveroso percorso, ma non si scorgeva anima viva.
Dopo qualche minuto fu raggiunta da un piccolo distaccamento. Erano cavalieri della Prima divisione, un miscuglio eterogeneo di combattenti di etnie e origini diverse, ma che ben funzionavano sotto la guida di un uomo del Sud, di origine indiana.
«Vostra Grazia» prese parola il capitano «Credo di sapere cosa stia accadendo, ho visto lo stesso in molti villaggi della mia regione.»
Si spinsero fino ad una grande piazza, che sembrava aver raccolto tutta la popolazione dei dintorni. La folla era in totale silenzio, rivolta ad ascoltare un uomo vestito con una tunica verde dalle fattezze orientali. Il suo viso era in parte coperto dai lunghi capelli scuri e da una folta barba, simbolo di chi aveva probabilmente viaggiato molto, senza curarsi particolarmente del proprio aspetto. I suoi vispi occhi chiari puntarono subito il gruppo di militi in avvicinamento, ma il predicatore proseguì con il sermone.
Thema tese un orecchio ad ascoltare cosa dicesse, mentre Ramahan le spiegava quanto avvenuto nella propria città.
«Si è presentato come Avatar e portatore della parola di un dio sconosciuto, predicando la pace e la nonviolenza. Il popolo lo ascolta perché la sua dottrina si basa sull’amore. Abbiamo ben poco da spartire con lui.»
«Valorosi soldati» alzò la voce il mistico «Siete venuti anche voi per percorrere il sentiero della pace?»
Tutti i cavalieri scoppiarono in una risata profonda, facendo trasalire gli abitanti impauriti.
«Non sai con chi parli, Eli» gli rispose Ramahan l’indiano.
«Mi conosci?»
«Ti ho udito predicare nel Sud, ma qui non avrai la possibilità di convertire i miei uomini alla tua folle religione, non puoi neppure sfiorare i cuori della valorosa armata della Conquistatrice con le tue melliflue lusinghe e i tuoi trucchi da ciarlatano, siamo troppo astuti per cascarci» concluse battendosi il petto, imitato dai compagni.
«Anche tu la pensi così?» domandò l’Avatar, rivolgendosi all’unico membro della compagnia rimasto silenzioso.
Medora si scosse leggermente, cercando di evitare qualsiasi tipo di contatto con quello strano individuo, temendo che lui fosse in grado di scrutarle l’anima con un semplice sguardo.
«Non sottrarti alla voce della compassione» continuò l’uomo «Colui per cui parlo può perdonare anche i peggiori malfattori.»
«Non rivolgerti così a Sua Maestà, verme!» lo riprese il comandante.
«Oh» mormorò sorpreso Eli «Dunque voi siete la Conquistatrice? Cosa vi ha spinto fin qui?»
«Voglio conferire con te in privato» tuonò la donna, riprendendosi dall’improvviso torpore «Ora.»
«Prima devo assolvere il mio compito di predicatore. Ai miei occhi tutti gli uomini sono uguali e questa gente ha lo stesso diritto di ascoltare le mie parole di quanto ne avete voi.»
«Attenderò» sbuffò Thema, voltando il destriero verso l’ombra di alcuni alberi, decisa ad aspettare tutto il tempo necessario pur di avere un confronto con quel bizzarro mistico. Forse, finalmente, qualcuno come lui sarebbe riuscito a fare chiarezza nel suo animo, dissipando gli inesplicabili “perché” che costellavano la sua esistenza.
«Che cosa vi è preso, Ishani?» le domandò Ramahan rivolgendosi a lei con il nome in uso in India «Non vorrete forse lasciarvi deviare dalle chiacchiere di quello zotico?»
«Voglio scoprire come riesce ad incantare così le persone, ad ottenere la loro fedeltà senza ricorrere alla paura e alle armi» ribattè.
«Ma, mia signora, è chiaro che usi qualche artificio magico, magari un talismano o qualcosa di simile. Se riuscisse ad avvicinarsi troppo a voi potrebbe soggiogarvi come quei sempliciotti.»
«Ramahan» disse in tono autoritario «I tuoi consigli sono preziosi, ma tu resti un comune capo-plotone, non credi che la tua regina abbia già considerato i rischi che le sue azioni prevedono?»
«Certo, perdonate la mia mancanza di fiducia.»
«Porta lontano la tua compagnia, non vorrei terrorizzare ulteriormente ed inutilmente questa brava gente. Torna da Caesar e digli di trovare uno spiazzo per sistemare il campo. Il resto della giornata lo sfrutteremo per far riposare le truppe. Domani all’alba riprenderemo il nostro viaggio.»
«Ai vostri ordini» si congedò il soldato, facendo cenno agli altri di seguirlo.
Medora rimase ad ascoltare le parole dell’Avatar su quella che lui chiamava la “Via”, ovvero il sentiero che ognuno deve trovare e seguire per giungere alla piena realizzazione di sé. Le sembrava un discorso sensato, basato su concetti semplici e regole di buona condotta. C’era la Via della pace, quella dell’amicizia, dell’amore, del rispetto, persino la Via del guerriero. Iniziò a chiedersi quale di esse fosse la sua, ma non fece in tempo a darsi una risposta, che l’oratore le si avvicinò.
Allora lei smontò da cavallo, assicurando le redini ad uno dei rami e lo seguì verso un luogo più tranquillo.
Si sistemarono sotto le fronde di un grande albero poco fuori dal villaggio. Non c’era nessuno in vista e nessuna fonte di distrazione che potesse interferire con il dialogo.
«Penso di avere bisogno di aiuto» disse Thema, tirando fuori le parole a fatica, come se una parte di lei tentasse di impedire quella conversazione.
«Cosa grava sul tuo animo, figliola?» chiese Eli, con una nota di gentilezza, prendendole una mano.
«Temo di aver smarrito la mia Via.»
«Hm» commentò pensieroso «Forse credi di averla smarrita, ma la verità è che finora hai seguito quella sbagliata.»
La voce nella testa di Medora iniziò a sussurrare che quelle chiacchiere erano solo un modo per distrarla dal suo vero obiettivo e che sarebbe stato meglio eliminare subito quell’uomo così potenzialmente pericoloso, la donna però si fece forza e mise a tacere l’invisibile presenza.
«Come posso saperlo?» domandò.
«La Via serve a condurci alla felicità, alla pace dei sensi e dell’anima. Tu l’hai forse trovata sui campi di battaglia, tra i corpi freddi di amici e nemici, nei bagni di sangue a cui hai preso parte?»
«No…» In parte era vero, non riusciva a ricordare di essere stata veramente felice impugnando un’arma, però c’era una parte di lei che sembrava vivere solamente per il desiderio di morte.
«Mi sembri divisa, mia cara, come se ci fosse un conflitto in te. So che la tua risposta è sincera, ma penso ci sia qualcosa che mi taci. Desidero aiutarti, ma devi essere tu a permettermelo.»
«È vero, sono in continua lotta con me stessa. Esiste una parte di me che gode nel creare sofferenza e nello spargere disperazione, ma… È come se non fossi io. So che la mia Via è un’altra.»
«Parlare a cuore aperto, lasciare che la verità fluisca dal tuo spirito verso il mio, è l’unico modo possibile per fare chiarezza nel tuo cuore tormentato» disse l’Avatar «Proviamo con la meditazione. Rilassati e lascia la tua anima libera di mostrarti quello che potrebbe essere il giusto cammino.»
Affidandosi a quel consiglio, la Conquistatrice cadde come in trance e la sua mente si animò di visioni.
 
Gettò il bastone nel Gange, quello stesso bastone con cui aveva calcato quasi ogni terra dalla Britannia fino al Celeste Impero, lo stesso sostegno che aveva usato per difendere i deboli. Ma Eli le aveva mostrato di essere in errore. Doveva lasciare alle spalle una Via che non era giusta e liberarsi di ciò che la simboleggiava era il primo passo.
«Allora, è la Via dell’amore quella per te, eh?» Vide con la coda dell’occhio che Xena era poco distante e l’aveva osservata in silenzio per tutto il tempo.
«Sì» rispose, tornando ad osservare lo scorrere del fiume.
La compagna le si avvicinò.
«La tua è la Via del guerriero» proseguì, spostando gli occhi dall’azzurro delle acque a quello delle iridi della Principessa Guerriera «Penso di averlo sempre saputo.»
«E io ho sempre saputo che non era quella giusta per te» rispose la mora «Mi dispiace di averti portata tanto lontano dalla tua verità.»
«Non dispiacerti» sussurrò, poi strinse la mano dell’altra e continuò: «Xena, pensi che avrei potuto comprendere il potere dell’amore incondizionato se non fosse per la nostra amicizia?»
Calò il silenzio ed entrambe ascoltarono per un momento la pace e la quiete che le circondavano.
«Eppure» disse la Principessa Guerriera «Penso che dovresti viaggiare per un po’ con Eli.»
«No» replicò senza un attimo di esitazione «Io resto con te.»
«Gabrielle, la vita ci conduce in direzioni opposte.»
«Tutti i fiumi portano al mare» annunciò, spostando lo sguardo ancora una volta sul Gange «La nostra meta è la stessa, ne sono sicura.»
Xena le posò una mano sulla spalla.
«Grazie» aggiunse, sorridendo alla mora.
«Di cosa?» chiese l’altra.
«Di non aver tirato in ballo le dighe.»
«Non c’è di che» concluse la guerriera, con una lieve risata.
 
«Che cosa c’è, Gabrielle?» le domandò l’Avatar, seduto di fronte a lei, mentre gettava un pezzo di legno nel piccolo falò.
Fece un profondo respiro, rigirandosi il sai da poco acquistato tra le dita, per saggiarne ancora una volta il peso. «Prima che Xena ed io morissimo» spiegò «Ho realizzato che la mia Via non è la stessa che segui tu. Ci ho provato, ma la Via dell’amore non fa per me.»
«Lo so» rispose Eli «Ora lo vedo.»
«È ironico» continuò, tornando a concentrarsi sull’arma «In questo momento, Xena è esattamente come ho sempre desiderato che fosse.» Era come se la Principessa Guerriera fosse scomparsa, lasciando posto ad una ignara e pacifica donna che mai le si era mostrata. «Ma senza il suo lato oscuro, lei è… Persa, priva di equilibrio» riprese «La mia Via è con Xena, è aiutarla in ogni modo possibile. Farò tutto ciò che posso per proteggerla.»
 
Medora si sentì chiamare da lontano, mentre una mano le scuoteva delicatamente la spalla. Riaprì gli occhi su un mondo tinto dei colori del tramonto, mentre il frinire dei grilli invadeva i campi circostanti.
«Adesso hai compreso?» chiese l’Avatar.
«Io…» balbettò lei, ancora scombussolata.
«Ho percepito che la tua Via è unica, speciale. Non è un principio o uno scopo particolare. La tua Via è una persona. È un sentiero raro, molto prezioso, vedi di non lasciarti più deviare da esso.»
Thema stava cominciando a capire e ad accettare quelle strane visioni, ma solo allora intuì la profonda verità che si celava dietro di esse, una verità che poteva comprendere appieno solo tornando il prima possibile da Tabia, dalla donna che era la sua Via.
«Grazie, grazie infinite» mormorò alzandosi, pronta a tornare sulla propria strada verso la Terra dei Faraoni.
«Non c’è di che…» le rispose Eli quando si era ormai allontanata di qualche passo «…Non credo di aver afferrato il tuo nome.»
Lei si voltò e sorrise. Ripensò a tutti i nomi che si era affibbiata nel corso delle varie campagne militari, a quante maschere aveva indossato dietro quegli appellativi che nulla in realtà avevano a che vedere con lei.
«Gabrielle.»
Quell’unica parola, il vero nome di colei che si celava dietro la Conquistatrice, risuonò vibrante per poi disperdersi nella quiete crepuscolare.
 

NdA: L'antica fanfiction andava portata avanti, sembrava impossibile, ma alla fine ce l'ho fatta. So che è inutile stare a sciorinare scuse, quindi eviterò di farlo. Piccolo chiarimento sul capitolo: le due scene di visioni/flashback sono prese rispettivamente dagli episodi 4X16 "The Way" e 5X02 "Chakram". Piccolo, ma dovuto, spazio per i ringraziamenti a wislava, SnowQueen95 e tutti gli altri lettori. Con questo concludo, eclissandomi nuovamente, ma facendo la solenne promessa di non dimenticarmi di questa storia e di portarla a conclusione nel minor tempo possibile (che potrebbe comunque essere più di quanto vi aspettiate). Un saluto.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** L'abisso ***


CAPITOLO 21: L’abisso
 
Don’t leave me here like this
Can’t hear me scream from the abyss?
And now I wish for you my desire
Don’t leave me alone
‘Cause I barely see at all
Don’t leave me alone, I’m…
Falling in the black
Slipping through the cracks
Falling to the depths, can I ever go back?
Dreaming of the way it used to be
Can you hear me?
(Skillet – Falling inside the black)
 
Il fumo si levava denso dai falò dell’accampamento, mentre canti da taverna nei più svariati idiomi risuonavano nell’aria notturna.
Caesar era riuscito a requisire un’ingente quantità di liquore locale che aveva distribuito tra le varie compagnie, con somma gioia dei soldati. L’alcol alleggeriva gli animi e faceva svaporare la fatica, tutti sembravano contenti.
Anche Medora avrebbe voluto essere parte di quel felice quadretto, ma l’incontro con Eli l’aveva stremata, probabilmente il viaggio interiore che aveva dovuto compiere l’aveva privata di più energie di quanto si aspettasse. L’attendente aveva provveduto a farle trovare la tenda già montata, con tanto di giaciglio foderato di coperte fresche di bucato, quasi certamente rimediate con la forza da qualche abitante del luogo.
Sentì lo scalpiccio di zoccoli dello stallone che veniva portato via da uno degli stallieri, che stava intonando insieme agli altri il ritornello di una qualche canzone popolare.
La Conquistatrice si cambiò velocemente, poi si coricò e si lasciò trascinare da quella miriade di voci in un sonno pesante, dominato da ombre e inquietudini.
 
L’Avatar posò delicatamente la ciotola ormai vuota e chinò il capo in segno di ringraziamento.
«Grazie di averci onorato con la tua presenza, maestro» disse il capo famiglia, stringendo a sé i figlioletti riuniti attorno al tavolo per la cena.
«Sono io ad essere grato a te, buon uomo, per avermi accolto nella tua casa, aver condiviso con me il tuo cibo e mostrato l’ospitalità della tua gente.»
I bambini più piccoli vollero, prima di lasciar andare il profeta, sedersi sulle sue ginocchia ed ascoltare ancora una volta la storia dei suoi viaggi ed Eli fu ben contento di ripetersi, pur di accontentarli.
Il padre sorrise nel vedere la prole così entusiasta della presenza dell’ospite.
«Adesso dove andrai?» domandò una delle bambine, tirandogli dolcemente una manica.
«Dove la gente avrà bisogno di me e dei miei insegnamenti» rispose «Ed ora sarà meglio che mi incammini, la Via dell’amore deve essere mostrata a molti altri popoli.»
«Fermati per la notte» lo supplicarono in coro.
«Vorrei, davvero, ma il dovere mi chiama.»
Si congedò definitivamente dalla cordiale famiglia, recuperò i calzari che aveva abbandonato all’entrata dell’abitazione e lasciò che altri seguaci si assiepassero sulla soglia per baciargli le mani e l’orlo della veste. Poi, quando la luna era ormai alta, si mise finalmente in cammino. In lontananza si udiva il clamore dell’esercito della Conquistatrice, immerso in un clima decisamente festoso.
Il mistico inspirò profondamente, indeciso se valesse la pena provare a convertire qualcuno di quegli assassini.
«Se fossero tutti come la donna che li comanda potrei trasformare quella schiera di portatori di morte in paladini della pace» mormorò tra sé e sé.
Ripensò al dialogo con Gabrielle. Era stato strano; gli era parso, ad un tratto, di rivivere un ricordo appartenente ad un altro tempo. Aveva chiesto spiegazioni, ma il suo dio non si era espresso a riguardo. L’Avatar, comunque, si riteneva soddisfatto di ciò che aveva ottenuto, la combattente gli era sembrata più rilassata, come se avesse trovato un po’ di pace nella sua vita certamente travagliata.
Con passo lento tornò sulla strada principale, diretto al villaggio seguente. Metteva un piede davanti all’altro con calma e sicurezza, prestando orecchio ai suoni tutt’intorno. Il frastuono dell’accampamento era ancora udibile, ma andava scemando sostituito dalla dolce melodia della natura notturna.
«Chi è là?» chiese dopo qualche tempo, percependo il rumore di passi che lo accompagnava ormai da diverso tempo.
Un calpestio di foglie lo fece voltare verso la macchia che costeggiava la via. Allora si palesò la fonte del suono.
«Oh, sei tu» sorrise disteso, vedendo una figura nota comparire dalle ombre «Hai ancora bisogno del mio aiuto?»
L’individuo tacque, restando in parte celato dal buio.
«Gabrielle?» sussurrò Eli, cercando di tenere a bada il timore che gli stava sorgendo in fondo al cuore «Qualcosa non va?»
La Conquistatrice scosse la testa, ma la cosa non servì a tranquillizzarlo.
«Perché sei qui?» le domandò.
La donna rimase in silenzio, ma fece un passo avanti, permettendo alla luce lunare di poggiarsi sul volto contratto in una smorfia crudele.
«Gabrielle?» ripetè l’Avatar, sentendo un brivido di terrore attraversargli le ossa.
«Prova di nuovo» ringhiò una voce roca.
L’uomo si sentì mancare: quella voce proveniva dal corpo della regina, ma non aveva nulla in comune con il timbro che lui aveva conosciuto.
«Che cosa ti è successo?»
«Non avresti dovuto intrometterti» rispose Gabrielle, ignorando la domanda «Sei un pericoloso ciarlatano dalla lingua lunga. Temo che dovrò eliminarti.»
Un urlo squarciò la quiete che si era posata lì intorno. Eli morì in pochi istanti, con le iridi d’oro del suo assassino impresse per sempre nel fondo degli occhi.
 
Il trombettiere diede fiato al proprio strumento poco prima dell’alba, svegliando l’esercito, ancora intontito per via dei bagordi della sera precedente.
Le note squillanti infastidirono Medora, che, riluttante, si rigirò nella branda con uno sbuffo. Aveva dormito male e si sarebbe volentieri concessa qualche altra ora di sonno.
«Siete sveglia, Maestà?» la destò definitivamente Caesar «Tra poco saremo pronti a riprendere la marcia.»
Thema si alzò e, dopo essersi stiracchiata, si sciacquò la faccia nel catino che aveva accanto al giaciglio.
«Eravate proprio stanca ieri» osservò il Romano «Vi siete addormentata con indosso la tenuta da battaglia.»
Lei corrugò la fronte, pronta a dissentire, certa di essersi cambiata, ma Julius aveva ragione. Aveva addirittura gli stivali ai piedi, con tanto di sai assicurati.
«Questo sì che è strano…» commentò a mezza voce, passando le mani sul corpetto per assicurarsi di non stare sognando «Ero certa di essermelo tolto…»
«Suvvia, non vi crucciate» riprese il comandante «Ci sono questioni più importanti che non la vostra moda notturna.»
La donna annuì e in pochi minuti fu pronta per aiutare a smontare il campo.
Tornarono sulla strada principale, quella che più velocemente li avrebbe ricondotti verso Occidente. Medora stava subito dopo il plotone d’avanguardia, come se fosse inesorabilmente attirata verso la Terra dei Faraoni. Fosse stato per lei, pur di rivedere Tabia, avrebbe sfiancato il cavallo in una corsa sfrenata. L’idea di dover affrontare ancora almeno venti giorni di viaggio la esasperava.
«Mia signora! Mia signora!» gridò all’improvviso uno dei suoi uomini «C’è un cadavere!»
La notizia di per sé non la sconvolse più di tanto e non avrebbe dovuto sconvolgere neppure il suo milite, da sempre abituato a trovarsi nel mezzo delle peggiori carneficine, eppure il suo viso riportava un’espressione di puro orrore.
«Non vedo dove sia il problema» replicò lei, tentando di sembrare indifferente.
«Ci sono dei testimoni, Vostra Grazia, contadini che dicono di aver assistito all’aggressione. Vogliono parlare con voi per fare giustizia alla vittima.»
«Probabilmente vi ritengono più adatta di qualsiasi giudice ad eseguire una sentenza per un crimine simile» si espresse Caesar, che cavalcava al suo fianco.
«Probabilmente hai ragione… Speriamo solo che questo imprevisto non ci sottragga troppo tempo prezioso.»
Avanzò al piccolo trotto, passando lo squadrone di testa, che si era fermato come da comando.
Dopo circa mezzo miglio, notò un capannello di cittadini radunati attorno alla scena del crimine.
Smontò da cavallo e si avvicinò per osservare: il corpo, una massa sanguinante, giaceva abbandonato in mezzo alla strada. Era una poltiglia in cui si individuava il bianco delle ossa e il carminio delle viscere, ma era impossibile stabilire con certezza che si fosse trattato di un essere umano.
«Tutto qui?» sbuffò «Una carcassa maciullata è ora una priorità di stato?»
«Bada a come parli, assassina!»
Thema si girò di scatto verso la ragazza che aveva parlato e la fulminò con lo sguardo. Subito gli altri abitanti del posto si strinsero attorno a lei, come per proteggerla.
«Che cosa hai detto?» ringhiò, sentendo il sangue ribollire.
«Lian vi ha visto» intervenne un altro individuo «Ieri sera ha seguito l’Avatar per chiedergli di trattenersi a guarire i nostri malati, ma quando lo ha raggiunto…»
«Quando l’ho raggiunto» si fece nuovamente avanti la giovane «Lo stavi già facendo a pezzi, con le unghie e con i denti! Mostro!»
«Costei è pazza!» scoppiò a ridere la Conquistatrice «Completamente pazza! Guardie, portate via da me questa folle!»
«Ho le prove!» strillò allora Lian, mostrando gli abiti insanguinati di Eli.
«Questi dimostrano solo che si tratta effettivamente del predicatore» disse Medora «E la cosa mi dispiace, perché era un brav’uomo.»
«Aspettate!» urlò ancora, mostrando un altro cencio grondante di sangue.
La sovrana sbiancò. La sua veste da notte, stracciata, penzolava dalle mani della ragazza. Era un segno inequivocabile di colpevolezza.
«Non ho intenzione di stare ad ascoltare una sola parola di più» stabilì con tono perentorio «Queste vostre accuse e queste vostre macchinazioni mettono in serio pericolo l’incolumità della vostra gente. Lasciateci proseguire in pace e nessuno si farà del male.»
«Non lascerò che la passi liscia, abominio!» si infervorò ancora una volta la fanciulla «Devi pagare per quello che hai fatto!»
Scavalcando due uomini, si gettò addosso alla regina, travolgendola. Tentò di colpirla al viso con un pugno, ma Thema non ebbe difficoltà a scrollarsela di dosso senza subire danni. La ragazza, però, continuò imperterrita a tentare di ferirla, sebbene non avesse alcuna possibilità.
Con una spallata, Medora atterrò l’accusatrice e fece per rimontare a cavallo, decisa a proseguire verso l’Egitto, ma l’altra, sfilato un coltello dalla cintola di un compaesano, si scagliò armata contro di lei.
Lian andò incontro alla lama del sai che la trapassò senza alcuna resistenza.
La Conquistatrice sfilò l’arma dal cuore della vittima e la ripose con cura al proprio posto. «E adesso disperdetevi» ordinò «E togliete dalla mia vista questi cadaveri.»
Quella notte, mentre l’esercito proseguiva nella sua marcia, incurante del calare delle tenebre, nessuno vide le lacrime cadere lungo il viso della regina. Tratteneva i singhiozzi a fatica e doveva sforzarsi di non gemere. Si sentiva male, come se il peso di tutte le stragi commesse le si fosse riversato sulle spalle in un singolo istante.
Aveva cominciato a ricordare qualcosa della sera precedente. Erano solo flash, ma erano decisamente sufficienti a farle rivoltare le viscere. Vedeva sangue, denso e scuro, che imbrattava lei e la sua veste. Sapeva di essersela strappata di dosso e di essere corsa a tuffarsi in un vicino corso d’acqua per lavarsi dopo quello scempio. Doveva poi essere tornata di soppiatto al campo, scivolando silenziosa tra i soldati troppo ubriachi per ricordare qualcosa.
Aveva speso l’intera giornata a cercare una spiegazione logica per quel suo comportamento che portava a vuoti di memoria. Era accaduta la stessa cosa con Ming T’ien. Era consapevole di aver affrontato lui e i suoi compagni della Cerchia del Dragone, ma lo scontro era confuso nella sua memoria e non ricordava assolutamente nulla dell’incendio e del massacro avvenuto poco dopo. Si era ripresa quando ormai tutto era stato dato alle fiamme, con un residuo di euforia che, se non fosse intervenuto Caesar con un resoconto, non avrebbe mai trovato motivo di esistere.
Aveva paura di stare perdendo se stessa in favore di un mostro assetato di distruzione e la cosa la spaventava. Eppure persisteva quella parte di lei che invece si trovava a proprio agio nel falciare vite.
Potrebbe essere un qualche incantesimo, arrivò a pensare, qualcosa che ha a che vedere con quella Xena…
Si ricordò della strega di cui le aveva parlato Ephiny e sperò che l’Amazzone avesse davvero assecondato quel suo ridicolo capriccio di farla portare a palazzo. La sciamana poteva avere le risposte che tanto bramava.
 
Un intero mese trascorse lento ed inesorabile prima che la Conquistatrice facesse il proprio ritorno dalla campagna contro i nemici del Celeste Impero. La notizia del suo rientro era volata per tutte le terre e il palazzo era in fermento già da parecchi giorni, quando l’imponente colonna in marcia dal lontano Oriente giunse finalmente alle porte della città.
Thema aveva affidato a Julius il compito di riassegnare le varie compagnie, mentre lei si sarebbe occupata di un compito più delicato. Non voleva affrontare Ephiny e tanto meno Tabia, non prima di aver parlato con la prigioniera esperta di magia. Lungo il percorso un distaccamento della tribù del Nord le aveva confermato che Alti era ufficialmente stata trasferita nella Terra dei Faraoni. Prima di incontrare coloro a cui teneva di più, dunque, voleva delle risposte riguardo se stessa e la strega gliele avrebbe fornite.
Infiltrarsi nella fortezza fu più facile di quanto si aspettasse.
Devo ricordarmi di fare qualcosa per migliorare le difese o andrà a finire che mi ritroverò con la gola tagliata senza neppure rendermene conto si disse, percorrendo i corridoi bui delle segrete.
Le guardie si mostrarono molto sorprese nel veder la sovrana tornare dopo tanti mesi di assenza, soprattutto si stupirono del mancato preavviso, ma Medora non voleva sprecare tempo in inutili spiegazioni. Ordinò loro di tenere la bocca chiusa e si fece aprire la cella della sciamana.
La strega del Nord era intenta a vaneggiare, come ormai faceva da diverse settimane, incurante di tutto ciò che le accadeva intorno, ma la presenza della Conquistatrice riportò in lei una scintilla di lucidità, proprio come era accaduto con la fanciulla del Nilo.
«Vedo che alla fine anche tu ce l’hai fatta» gracchiò, strisciando dall’angolo in cui era accucciata fino ai piedi dell’altra, che prontamente si ritrasse, irritata dalla visione del corpo scheletrico e del viso spiritato.
«Che cosa c’è, mia piccola poetessa? Hai paura che possa farti del male?»
Alti allungò una mano ossuta in direzione della gamba di Thema, che non fu abbastanza rapida a reagire. Le dita fecero presa e, con tutte le forze residue, la strega la trascinò verso il basso.
«E adesso» sussurrò avvicinandosi a lei «Lascia libera la tua mente o non potrai mai sbarazzarti di lei
«Lei chi?» domandò.
«L’intrusa» bofonchiò l’altra con fare cospiratorio «Non posso rivelarti nulla perché lo verrebbe a sapere anche lei
«Continuo a non capire.»
«Devi ritrovare te stessa, Gabrielle, o sarà la fine. Vorrei poter utilizzare i miei poteri, ma in questo mondo sono inerme. Finora hai sicuramente ritrovato alcuni frammenti della tua memoria» proseguì «Ma non sono sufficienti, devi tornare pienamente in te o lei avrà la meglio.»
«Cosa devo fare?» chiese Medora, ignorando la follia che brillava negli occhi di Alti.
«Oh» bisbigliò la strega «Io avrei un modo… Ma sarà pericoloso… Sei pronta a correre il rischio?»
La regina annuì.
Non appena la sua testa smise di compiere il lieve movimento di assenso, fu afferrata per i capelli. Non ebbe neppure la possibilità di urlare o reagire in alcun modo. La sciamana le cacciò con forza il viso dentro una ciotola piena d’acqua. Poco dopo i polmoni iniziarono a bruciarle. Tentò in ogni modo di liberarsi dalla presa, ma la strega sembrava aver acquisito tutto ad un tratto una potenza sovrumana.
Quando capì che opporsi era inutile, si lasciò trascinare nell’abisso e al fondo di esso Gabrielle ritrovò se stessa.
 
Era buio, freddo e fradicio. Poteva sentire il temporale ancora imperversare all’esterno della caverna. Presto il livello dell’acqua del fiume sarebbe salito, rischiando di annegarla.
Se ne stava raggomitolata, ripensando alla propria vita fino a quel momento. In preda al delirio era persino riuscita a sentire la mancanza di Hope. Avrebbe voluto tirarsi su e provare a reagire in qualche modo, ma il gelo le stava penetrando le ossa e le forze le venivano meno.
«Gabrielle…» mormorò una voce, accompagnata dal rumore di un corpo in movimento nell’acqua «Gabrielle, sono qui.»
Era Xena, la sua Principessa Guerriera in armatura scintillante venuta per salvarla da morte certa. Era bagnata fino al midollo come lei e teneva in mano una strana corda, molto simile ad una liana. Probabilmente faceva parte del suo piano per portarla al sicuro.
«È arrivato il momento. Ce ne andiamo da qui, va bene?»
Annuì lievemente, poi si portò le mani al viso. Il naso aveva perso sensibilità per via della bassa temperatura e le orecchie erano talmente ghiacciate da potersi staccare al minimo refolo di vento.
«Molto bene…» riprese la mora, assicurandole la fune in vita.
«Xena, ho un ultimo desiderio» riuscì ad articolare, cercando di sbattere i denti il meno possibile.
«Non lo voglio sentire» replicò secca l’altra, continuando a trafficare con la corda.
«No, sono seria. Non vuoi sentirlo?»
«Eh sia, cos’è?»
«Non voglio essere sepolta con le Amazzoni.»
«Molto bene» rispose la Principessa Guerriera «Quando verrà il momento, tra cinquant’anni…»
«Xena… Voglio riposare con te… Con la tua famiglia, ad Amphipolis» disse tutto d’un fiato, mentre i brividi la scuotevano sempre più.
«Che mi dici dei tuoi famigliari?» chiese la mora, poggiandole il palmo tiepido della mano sulla gota gelata.
«Voglio loro molto bene, ma io sono una parte di te e voglio che sia così per sempre.» Ci fu un breve momento di silenzio, necessario perché quelle parole potessero pienamente essere comprese, sia da colei che le aveva pronunciate, sia dall’uditrice, poi una nuova frase rimbombò tra le pareti di quell’angusto rifugio: «Io ti amo.»
Le loro mani si strinsero come se fossero l’unica ancora di salvezza al mondo. Finchè ci fossero state l’una per l’altra, avrebbero trovato un modo di salvarsi, insieme.
 
NdA: So che ve lo state chiedendo ma: no, non siete pazzi, non state sognando, questa non è un'allucinazione. Ho davvero aggiornato in tempo (relativamente) breve. Ringraziate (o maledite, a seconda di come vi gira) quel piccolo diavoletto dispettoso che credo si chiami "ispirazione" che è venuto più volte a punzecchiarmi e questo ne è il risultato. Solito spazio ringraziamenti a wislava, SnowQueen 95, principe delle stelle, xena97 e BelleDameSansMerci che in un modo o nell'altro mi hanno espresso il loro parere, ma naturalmente un grazie anche a tutti gli altri lettori. Adesso una noticina: il flashback è preso dall'episodio 6x06 "The abyss" ed è una delle mie scene preferite in assoluto quindi non potevo rinunciare al piacere di metterla per iscritto. Il fatto che la puntata in questione e questo capitolo abbiano lo stesso titolo e che nella canzone messa come intro compaia la parola "abyss" forse, e dico forse, non è una coincidenza. Con questo posso anche ritenermi soddisfatta e dire che ho concluso. Non aspettatevi che aggiorni di nuovo così in fretta (per modo di dire...), ma siate fiduciosi. Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Tempo di morte ***


CAPITOLO 22: Tempo di morte
 
You shower me with lullabies
As you’re walking away
Reminds me that it’s killing time
On this fateful day
See you at the bitter end
(Placebo – The Bitter End)
 
La risata sgraziata di Alti risuonò tra le strette mura della cella. Le sue dita erano ancora impigliate nella chioma della regina, le aveva sollevato il capo non appena aveva perso i sensi. D’altronde era giusto così, non doveva ucciderla, doveva permetterle di lasciare il mondo sensibile quel tanto che le era necessario per recuperare i propri ricordi.
In pochi minuti Gabrielle si sarebbe svegliata e sarebbe tornata ad essere quella di sempre e della Conquistatrice non sarebbe rimasto nulla.
Quando il corpo iniziò ad emettere lievi colpi di tosse, la sciamana sorrise, pregustando la propria vittoria.
La sua espressione cambiò repentinamente. Un paio di mani le strinsero il collo con forza, privandola dell’ossigeno.
«Grazie Alti, non ce l’avrei mai fatta senza di te.»
La donna emise un gemito strozzato, cercando di chiedere spiegazioni.
«Avevo bisogno di togliermi dai piedi il bardo da strapazzo e tu hai fatto sì che la mia impresa riuscisse. Ho tentato più e più volte di avere la meglio su Gabby, ma ci sono riuscita in poche occasioni…»
Gli occhi dorati fissarono quelli chiari di Alti, che si andavano via via spegnendo, mentre la vita scivolava via da lei.
«Ha abbassato la guardia una volta di troppo. Ora che ho il pieno controllo di questo corpo mortale, posso finalmente compiere la mia missione.»
La strega si irrigidì di colpo e poi non si mosse più.
«Oh, che scortese! Morire senza neppure dare la possibilità al tuo carnefice di presentarsi.»
Le afferrò il volto ancora contratto in un’espressione di orrore e sorpresa e sussurrò: «Piacere, Sekhmet.»
 
«No, assolutamente no» stabilì Ephiny, fissando Tabia con cipiglio severo «Non ti lascerò correre incontro a Medora davanti a tutta la città. Aspetterai qui e, quando il corteo del trionfo si sarà disperso, potrai stare da sola con lei.»
La fanciulla del Nilo sbuffò sonoramente. Non voleva perdere altro tempo. Aveva meditato a lungo sulle parole della sciamana e a poco a poco si era sentita sempre più connessa a Xena, eppure continuava a mancare un pezzo per giungere alla soluzione del rompicapo. Aveva bisogno di Thema, ma ancor più aveva bisogno di scoprire cosa sapesse di Gabrielle.
«Io devo incontrare uno degli attendenti in biblioteca» proseguì l’Amazzone «Joxer si assicurerà che non ti cacci nei guai. Non permetterò che si ripeta una scena simile a quella della tua gita imprevista nelle segrete.» Alla bionda non era andato giù che la protetta le avesse tanto spudoratamente disubbidito, dunque aveva deciso di aumentare la sorveglianza sulla ragazza.
Così, scortata come sempre dall’amico, Tabia decise di ritirarsi nella propria stanza, con l’intento di organizzare un altro piano a prova di Ephiny per poter realizzare quanto aveva in testa.
Stavano percorrendo un corridoio del primo piano del palazzo quando, dal fondo di esso, furono attirati da un vociare concitato. Due uomini armati di tutto punto, che a lei parevano familiari, stavano venendo portati verso le camere dei guaritori.
«Li hanno trovati così» disse uno degli uomini incaricati del trasporto, rinsaldando la presa che aveva sul corpo inerme del commilitone «Facevano il loro dovere davanti alla cella di quella pazza.»
«E lei è…?» bisbigliò uno dei compagni.
Il soldato annuì, poi aggiunse: «L’hanno coperta con un telo e lasciata lì, vogliono che la regina in persona veda quello che è successo.»
A sentire quelle parole, uno dei due feriti mugugnò, cercando di dire qualcosa.
Tabia tese l’orecchio, passando accanto al gruppo. Riuscì a captare un unico verso con chiarezza: “Medora”. Iniziò a fremere, turbata. Forse quell’attacco aveva a che vedere con l’imminente ritorno della sovrana, forse chi aveva compiuto quel gesto aveva mire più alte. Non poteva permettere che qualcuno potesse anche solo minacciare l’incolumità della sua protettrice.
Il piccolo corteo scomparve dietro la porta di uno degli spazi ospedalieri, lasciando soli i due amici.
«Joxer» disse la fanciulla, guardandosi attorno per assicurarsi che non ci fosse più nessuno «Dobbiamo andare a vedere cosa è successo.»
«Ma Ephiny…» cercò di obiettare lui.
«Questo va al di là di Ephiny! Ci potrebbe essere in gioco la vita della Conquistatrice.»
Il giovanotto aggrottò la fronte, in attesa di spiegazioni.
«Dobbiamo indagare. Qualunque entità abbia quasi ucciso quei due e si sia lasciata dietro il cadavere di Alti potrebbe avere altri bersagli» esplicò la fanciulla, continuando ad avanzare in direzione delle prigioni.
Proseguendo, Tabia non poteva far a meno di lasciare il pensiero a briglie sciolte. La sciamana era l’unica ad avere un’effettiva e stabile connessione, come una sorta di legame interiore, con il mistico “altro mondo”. Avrebbe voluto parlarle di più, per scoprire altro riguardo la missione di Gabrielle, magari accompagnata da Thema, perché chiaramente entrambe erano coinvolte nell’impresa della poetessa.
Purtroppo le forze che turbavano la magia della strega dovevano essere entrate in atto, liberandosi, per prima cosa, della scomoda figura.
La ragazza si arrestò un momento e trasse un profondo respiro. C’erano così tanti elementi da considerare, così tanti misteri ancora da svelare. Ripensò alla propria vita, trascorsa alla ricerca di sé e di uno scopo. Anni spesi in una quotidianità che le stava stretta, forzata a sottostare a leggi di una famiglia che sì, l’amava, ma allo stesso tempo non le permetteva di esprimersi pienamente e liberamente. Medora aveva smosso qualcosa nel suo animo e più che mai, in quel momento di dubbio e confusione, sentiva il bisogno di averla vicino. Il suo cuore ebbe una piccola fitta, come se volesse condividere con la mente la malinconia per la mancanza di Thema. Emise un debole lamento. Desiderava abbracciarla, stringerla a sé, avere la certezza che fosse reale, sapere che l’avrebbe guidata, ma, soprattutto, l’avrebbe aiutata a comprendere se stessa.
«C’è qualcosa che non va?» domandò Joxer preoccupato, ma lei non lo potè udire, persa nell’ennesimo ricordo.
 
Vuota. Senza Gabrielle era semplicemente vuota, un involucro semovente privo di qualsiasi forza vitale. Non voleva arrendersi all’idea che si fosse sacrificata per togliere di mezzo Hope una volta per tutte. Non era giusto, non aveva potuto dirle addio, non avevano neppure chiarito i reciproci sentimenti, scossi da quel bacio passato sotto silenzio.
Ormai era troppo tardi. L’aveva persa, per sempre.
Si sentiva mutilata, incompleta. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverla, per potersi perdere nei suoi luminosi occhi verdi ancora una volta.
Dopo aver attraversato le più svariate crisi ed essere sopravvissute a situazioni critiche, all’apparenza senza speranza, il loro legame si era rafforzato tanto da diventare, ne era certa, indissolubile. Pensava che, dopo la perdita di Solan, nulla sarebbe più riuscito a farla soffrire tanto, ma si era sbagliata, di molto. Non poteva sopportare di vivere senza la poetessa.
Fissò la lava ribollire senza sosta nella bocca del vulcano, ricordava molto il rimestare della propria mente, intenta ad elaborare le informazioni in suo possesso. Era decisa a non lasciar andare Gabby.
Cercò di concentrarsi su ciò che potesse effettivamente fare: trovarla era la priorità assoluta, poi avrebbe escogitato un piano per strapparla dal Regno dei Morti. Si sarebbe spinta fino all’altro capo del mondo se fosse stato necessario, pur di riportarla indietro.
«Hades!» esclamò, realizzando che il dio dell’Oltretomba era forse il miglior punto di partenza a sua disposizione.
Aveva sprecato troppo tempo a piangersi addosso. Si scapicollò fuori dal tempio che aveva assistito alla sconfitta della figlia di Dahak, scese i gradini con un unico balzo e si scagliò in sella ad Argo, per poi spingerla al galoppo, determinata a ricongiungersi, in un modo o nell’altro, con la propria anima gemella.
 
Joxer osservò curioso Tabia fissare il vuoto. Non era la prima volta che la vedeva perdersi in chissà quale ragionamento, entrava come in trance e proprio per quella ragione lui doveva starle sempre vicino, per non rischiare che le capitasse qualcosa di male in quei momenti.
Un improvviso rumore di passi gli fece portare la mano all’elsa della spada. Il suono proveniva dalla rampa che conduceva alle prigioni. Non avrebbe dovuto esserci più nessuno là sotto, ad eccezione dei criminali, ancora dietro le sbarre.
Spalancò la bocca trovandosi faccia a faccia con la Conquistatrice.
«Vostra Maestà!» esclamò, inginocchiandosi «Non mi aspettavo di trovarvi qui.»
La donna lo ignorò, dirigendosi senza esitazione verso la fanciulla.
Il giovanotto sarebbe dovuto rimanere al proprio posto, ma qualcosa gli suggerì di mettersi in mezzo.
«Levati» sbottò la regina, tentando si spintonarlo di lato.
Lui non si mosse, restando come imbambolato. Aveva ricevuto un ordine dalla massima autorità delle terre conosciute, eppure lo aveva ignorato, deliberatamente.
«Che ti prende, stupido? Non mi hai sentito?» ringhiò la donna.
«Non posso lasciarvi avvicinare a Tabia. Mi è stato comandato di tenerla al sicuro da tutti… Persino da voi.»
«E cosa ti fa credere che io voglia farle del male?» domandò Thema, riducendo la voce ad un sussurro.
Joxer deglutì rumorosamente. Non aveva una risposta sensata a quella domanda, solo una forte sensazione di pericolo proveniente dalla biondina furente che gli stava di fronte.
Medora attese per alcuni secondi che il soldato si decidesse ad aprire bocca, ma lui, teso e pronto a scattare in difesa della fanciulla, sembrava intenzionato a non schiodarsi.
«Non ho tutto il giorno!» gridò spazientita, scagliandosi in avanti e cogliendo di sorpresa la guardia.
Le parole rimbombarono tra le pareti del corridoio e furono il primo suono che colpì i timpani della ragazza mora, ripresasi dal tuffo nei ricordi. La prima immagine che i suoi occhi registrarono fu quella di Joxer, di spalle pochi passi avanti a lei, che si accasciava a terra mentre un lago di sangue dilagava ai suoi piedi.
Soffocò un urlo, incontrando lo sguardo dorato della Conquistatrice che stringeva nella mano destra un pugnale insanguinato.
Non ci fu tempo per le parole e neppure per i pensieri. Tabia seppe di essere in pericolo, non riuscendo a riconoscere in quegli occhi la donna che tanto aveva aspettato. Le sue gambe si mossero senza bisogno di ordini. Iniziò a correre come mai aveva fatto in vita propria, imboccando ogni svolta che si presentava.
Correndo, riacquistò a poco a poco lucidità. Era certa di essere seguita, Thema le era alle costole, eppure sembrava non avere fretta, come se quella per lei fosse una semplice passeggiata attraverso i luoghi della reggia. Entrambe, però, sapevano bene che quella era una vera e propria caccia che si sarebbe conclusa solo nel momento in cui la leonessa fosse riuscita ad infilzare gli artigli nella propria preda.
La fanciulla del Nilo non aveva altra scelta che continuare la propria corsa disperata verso la salvezza, ma qualcosa non le tornava: quell’improvviso cambiamento della bionda non poteva essere spiegato in termini normali, ci doveva essere di mezzo la magia.
La manifestazione terrena di Isis le aveva detto qualcosa a riguardo, le ci volle qualche istante per ricordare le parole esatte: “Lasciati guidare dal cuore. La risposta è nel cerchio.” La misteriosa lama, comparsa sotto il suo cuscino una notte che le pareva così lontana, riflettendoci, aveva una forma semicircolare ed era stato il motore scatenante di tutto ciò che era accaduto una volta che nel riflesso aveva scorto le iridi smeraldine di Medora.
Girò l’ennesimo angolo, continuando a percorrere corridoi a vuoto, salendo e scendendo gradini, continuando a sentire l’inseguitrice dietro di sé. Era voltata a vedere quanto terreno questa avesse guadagnato, quando impattò contro qualcuno.
Fu subito rassicurata dalla voce del malcapitato.
«Ma che hai da correre tanto? Scappi da Joxer che tenta di rifilarti un altro dei suoi terribili racconti?»
«Ephiny!» esultò con il poco fiato rimastole «Aiuto…» Iniziò a fare respiri profondi, sentendo gola e polmoni andare in fiamme. Non poteva fermarsi, ma neppure poteva lasciare che l’Amazzone restasse sulla strada di Thema, perché avrebbe potuto uccidere anche lei.
«Il cerchio…» mormorò affannata «La metà… Medora… Xena e Gabrielle… Magia… Sangue…» Tutti i pensieri si riversarono fuori dalle sue labbra in un fiume confuso di parole.
«Ferma» cercò di tranquillizzarla l’amica «Prendi fiato e riformula.»
Tabia tese l’orecchio, sentendo la Conquistatrice avanzare. Le restava poco tempo.
«Devo trovare una lama. Un mezzo cerchio che Thema deve aver nascosto» riuscì a dire senza ingarbugliare troppo il concetto.
L’altra intese di cosa stesse parlando e replicò: «Ho visto un affare del genere qualche settimana fa, mentre davo un’occhiata, giusto per sicurezza, tra le cose di Medora. È sul fondo di uno dei bauli, piuttosto ben nascosto…»
Non riuscì a continuare perché la mora le afferrò le braccia e sussurrò: «Sta arrivando.»
Come evocata da quelle parole, la sovrana fece la propria comparsa, gli abiti cremisi imbrattati dal sangue di ulteriori vittime che avevano avuto la sfortuna di incrociare il suo cammino, attirate dai rumori della fuga.
«Ha ucciso Joxer» aggiunse Tabia «E anche la strega, io credo. Non è più la persona che conoscevamo.»
Anche ad Ephiny fu sufficiente una rapida occhiata per capire di trovarsi di fronte praticamente una sconosciuta.
«Va’» ordinò l’Amazzone alla fanciulla «Tu hai un piano per fermarla, giusto? Devi portarlo a termine. Io la terrò occupata.»
Le due si scambiarono uno sguardo carico di dolore. Sapevano che sarebbe stato un addio.
Così, mentre la giovane proseguiva la propria corsa disperata verso la camera della regina, Ephiny si preparava per la propria ultima battaglia, che, era amaramente conscia, poteva concludersi solo con una sconfitta.
 
Sekhmet avrebbe voluto continuare a giocare al gatto col topo, inseguendo ancora la ragazza dalle sembianze di Xena, ma la possibilità di misurarsi in un vero duello solleticò il suo istinto di guerriera. Dai ricordi a cui poteva accedere sapeva di avere davanti a sé una valida avversaria, proveniente da un popolo di proverbiale destrezza e abilità. Sarebbe stato un vero divertimento ucciderla.
L’Amazzone trasse la spada dal fodero, osservando la rivale rigirarsi ancora tra le dita la corta lama con cui aveva ferito mortalmente Joxer. Al pensiero dell’amico, non riuscì a trattenere una lacrima.
L’altra la volle mettere alla prova in quel frangente di debolezza, scagliandole contro il pugnale, ma la riccia si abbassò velocemente, evitando il colpo letale.
Allora Medora estrasse la coppia di sai dagli stivali e, dando un’altra occhiata ad Ephiny, si concesse una sonora risata.
Quel gesto di scherno colpì ai nervi la guerriera amazzone, che tentò un primo affondo senza riflettere. La regina lo parò con estrema facilità e la respinse con un calcio, facendola barcollare all’indietro, poi si lanciò al contrattacco.
Dopo un intenso scambio di botta e risposta, l’Amazzone, con una finta a sinistra reindirizzata in un fendente dal lato opposto, sembrò avere la meglio per un momento, facendo mordere al ferro la carne della nemica.
Sekhmet si trovò costretta a tentare di prendere le distanze, non abituata a combattere con i sai che, nel confronto con una lama lunga, potevano divenire un forte svantaggio. Dovette inarcare molto la schiena per evitare un colpo che l’avrebbe facilmente decapitata, poi continuò ad indietreggiare, venendo sempre più respinta verso il muro ad angolo.
La riccia avanzava agitando la spada senza sosta, cercava di approfittare di ogni minimo errore dell’avversaria, tentando di ritagliarsi uno spazio per ferirla a morte.
Uno sgambetto andato a buon fine costrinse Thema ad improvvisare una capovolta all’indietro. Quando si rimise in piedi, si ritrovò con la schiena contro la parete, senza via di scampo.
Ephiny ne approfittò per portarsi avanti con ultimo slancio, bloccando i polsi della regina. L’aveva immobilizzata, poteva finirla.
I loro sguardi si incrociarono.
L’Amazzone fissò le iridi d’oro che ardevano di astio, ma dietro le fiamme dell’odio intravide il brillante verde smeraldo che tanto aveva amato in passato. Per quanto malvagie potessero essere le sue azioni, quella donna era pur sempre la sua sovrana, la sua confidente, la sua Medora. Non avrebbe mai potuto farle del male.
Quella era la sua debolezza e sarebbe stata la sua condanna.
Thema non si lasciò sfuggire l’occasione di ribaltare la situazione. Sferrò una testata all’Amazzone, sbilanciandola, poi iniziò ad attaccarla selvaggiamente, brandendo vorticosamente i sai. Le lame si incrociarono nell’aria con un rumore stridente, ma a poco a poco i tentativi di difesa di Ephiny divennero meno decisi. Era sfiancata dalle ferite che stava subendo, le forze le venivano meno man mano che il duello procedeva. Dopo quel momento di vulnerabilità era precipitata in una spirale discendente. Sapeva di avere i minuti contati.
Medora la incalzava senza sosta, gioendo per ogni goccia di sangue che riusciva a spillarle.
«Non sei poi così tosta» commentò con un sorriso beffardo Sekhmet «Mi aspettavo di più da te.»
L’Amazzone non ebbe la forza di rispondere. Sentiva fitte in tutto il corpo, che le mozzavano il fiato. Non le importava delle provocazioni, tutto ciò che doveva fare era far guadagnare tempo a Tabia.
«Non mi sto più divertendo» sbuffò la Conquistatrice dopo qualche altro minuto di blanda resistenza opposta dalla guerriera «È il momento di farla finita.»
Il dolore non infastidì minimamente Ephiny, vide solamente il sai perforarle l’addome una, due, tre e poi molte altre volte.
In un primo momento percepì il calore del sangue colarle lungo il corpo, poi un’improvvisa serie di brividi la scosse. Stava giungendo la fine.
Sdraiata sul gelido pavimento del corridoio, con Thema che proseguiva oltre, tornando sulle tracce della fanciulla del Nilo, l’Amazzone vide una figura comparire dal nulla. Era Joxer. Il giovanotto le sorrideva e le tendeva la mano, ma lei non aveva la forza di alzarsi.
Poi, tutto d’un tratto, il corpo non le fu più d’ostacolo, si levò come priva di peso, sospinta da un’energia incontrollabile.
Sfiorò con le dita la mano dell’amico e, come se si fosse svegliata da un lungo sonno, Ephiny ricordò. La vita passata, le avventure con il suo popolo, l’arrivo di Xena e Gabrielle al villaggio, la morte di Terreis, l’alleanza con i Centauri, il piccolo Xenan, l’incoronazione di Gabby, il proprio regno, la propria morte, tutto sembrava aver riacquistato senso.
«Ora siamo di nuovo noi stessi» disse Joxer, sorridendole candidamente «Era destino che fosse lei a farlo… Ucciderci, intendo.»
«Non penso che Gabrielle sia molto in sé al momento» osservò la donna «Ho paura che ci sia qualcosa di pericoloso in atto che non poteva essere previsto.»
«Ormai non ha più importanza» replicò lui «Dobbiamo tornare al Regno delle Ombre.»
Era vero, non potevano più fare alcunché. Era stato emozionante tornare a vivere, seppure per poco, con la possibilità di stare vicino alle persone che amavano, ma era il momento di lasciarsi andare. Avrebbero sentito la mancanza di Gabby e non provavano rancore nei suoi confronti, qualunque fosse il problema, Xena lo avrebbe risolto, ne erano certi.
I due amici si presero per mano e i loro spiriti fecero ritorno al luogo a cui appartenevano, liberi.
 
NdA: Non odiatemi, vi prego, sapevate a cosa sareste andati incontro continuando a leggere questa fanfiction: la morte fa parte del "Cerchio della Vita". Detto questo, a distanza di ben quasi un anno dall'inizio di quest'avventura, posso (con discreta sicurezza) affermare che siamo in dirittura d'arrivo, ormai mancano pochi capitoli alla fine, spero che il giro sia valso il prezzo del biglietto. Potrebbe volerci ancora un po' per completarla effettivamente, ma ormai mi conoscete, quindi non ve la prenderete più di tanto (vero?). Solito spazio di ringraziamenti: a wislava per il suo impeccabile lavoro, a xena97 e Stranger in Paradise (15 volte) grazie per le recensioni, a tutti gli altri un grazie dal profondo del cuore anche solo per avere la pazienza di spendere qualche minuto a leggere in silenzio. Spero di ritrovarvi al prossimo aggiornamento, a prescindere da quando sarà. Un saluto.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Incomplete ***


CAPITOLO 23: Incomplete
 
I tried to go on like I never knew you
I’m awake, but my world is half asleep
I pray for this heart to be unbroken
But without you all I’m going to be is
Incomplete
(Backstreet Boys – Incomplete)
 
Mettere un piede davanti all’altro: questo era l’unico pensiero che animava Tabia. Non poteva permettere che la propria mente si soffermasse su Joxer o Ephiny, perché abbandonandosi a quei pensieri sarebbe scoppiata a piangere e non avrebbe più avuto la forza di avanzare.
Aveva fretta, molta. Non c’era modo di sapere quanto vantaggio avesse guadagnato sull’inseguitrice, dunque, doveva proseguire nella corsa se voleva avere una speranza di sopravvivere.
I mesi trascorsi a palazzo l’avevano resa un’esperta del dedalo di corridoi che si districava all’interno della reggia e si augurava che Medora non fosse altrettanto abile a muoversi in quel labirinto.
Alla fanciulla furono sufficienti pochi minuti per giungere alla stanza reale. Una volta all’interno, cominciò a ribaltare qualsiasi contenitore le capitasse a tiro, per poi frugare nelle pile di oggetti in modo frenetico e disordinato.
Ad un tratto udì un tintinnio attutito. Cacciò le mani in un groviglio di pelli e percepì il freddo delle borchie che avevano urtato contro altro metallo.
Le dita si strinsero con un gesto quasi naturale attorno all’impugnatura dell’arma. Era identica alla lama che aveva trovato a casa propria. Isis aveva detto che la risposta era nel cerchio, chiaramente le due metà dovevano essere riunite. La prima cosa da fare, quindi, era tornare al villaggio.
Grida di terrore sempre più forti ed un crescente trambusto le suggerirono che la Conquistatrice le fosse nuovamente alle calcagna.
Bloccò la porta meglio che potè, accatastando bauli e cassoni. Quella barriera era l’unica cosa che la separava da morte certa.
Dopo essersi assicurata che fosse impossibile entrare, si rese conto con orrore di non avere però una via di fuga.
Iniziò a passeggiare nervosamente, sentendo le urla di ulteriori vittime che cadevano sotto la furia di Thema. La paura iniziò a farsi più pressante e a quel punto Tabia si augurò che lo spirito di Xena, sepolto nel proprio subconscio, si facesse venire un’idea.
L’unica apertura disponibile era la finestra, che dava sulla piazza. Il salto, però, le sarebbe stato fatale. La camera era situata troppo in alto.
«Pensa, Tabia, pensa…» iniziò a mormorare, torturandosi le mani a furia di rigirarsi la tanto preziosa lama tra le dita. Non ci volle molto perché si facesse un piccolo, involontario, taglio. Forse fu proprio il contatto tra il sangue e l’oggetto a scatenare l’istinto della Principessa Guerriera.
Senza sapere bene perché, la ragazza afferrò il cordone che decorava i tendaggi del letto e ne ricavò un cappio all’estremità. Si avvicinò alla finestra e, con estrema disinvoltura, lo lanciò nel vuoto.
Osservò il moto dell’improvvisata fune, che arrivò ad adagiarsi attorno al busto di una grande statua.
La fanciulla del Nilo, a quel punto, tirò l’estremità che aveva tenuto in mano e la legò ad un supporto per torce nel muro, assicurando la corda in modo che fosse ben tesa.
Potrei calarmi a mani nude, ma mi ci vorrebbe troppo tempo riflettè.
Una serie di colpi rabbiosi alla porta fecero accelerare i battiti del suo cuore.
Dovrei poter scivolare fino in basso…
Lo scricchiolare della barricata di legno si faceva più intenso con il passare dei secondi. Non le restava più molto tempo.
Le balenò in testa una possibile soluzione. Era rischiosa, ma non aveva altre possibilità. Recuperò una robusta cintura di cuoio e la fece scorrere sopra il cordone, afferrandola con sicurezza. Fece un profondo respiro e poi si diede una spinta per scivolare nel nulla.
Quando Sekhmet irruppe nella camera, la fuggitiva era ormai al fondo della discesa. La crudele sovrana le lanciò uno sguardo di puro odio e pensò di utilizzare lo stesso stratagemma per inseguirla, ma la giovane si fece furba: scagliò l’arma con maestria, andando a tranciare il collegamento.
«Maledetta!» ringhiò furente Medora, ma Tabia non se ne curò, intenta a decidere come proseguire la fuga.
Lo spirito di Xena si fece di nuovo prepotente e la ragazza portò due dita alla bocca per fischiare.
Se questo mondo è opera di Gabrielle sembrò spiegarle il subconscio Allora potrebbe aver riportato in vita non solo persone, ma anche animali.
Quel richiamo giunse fino alle scuderie, non molto distanti dal luogo in cui era atterrata la fanciulla. Una giumenta dal pelo chiaro imbizzarrì, spaventando a morte lo scudiero che in quel momento stava cercando di riporre una sella. L’animale iniziò a scalpitare, sfondando il cancelletto di sicurezza che la teneva imprigionata e si fiondò al galoppo verso colei che l’aveva chiamata, mentre uno sventurato stalliere si lanciava al suo inseguimento, senza possibilità di raggiungerla.
«Argo!» esultò la donna, vedendo giungere la fidata cavalcatura «Sapevo che saresti arrivata!»
La bestia sbuffò dolcemente, avvicinando il muso alla mano della padrona.
«Ora non abbiamo tempo per le coccole» spiegò Tabia affannata «Thema avrà ripreso l’inseguimento e non si arrenderà, non possiamo sprecare questo vantaggio.»
Montò sull’animale, per nulla infastidita dal fatto di dover cavalcare a pelo, ne afferrò la criniera e insieme scapparono alla massima velocità tra i vicoli della Capitale.
 
Una piccola pozza di sangue si andava via via allargando ai piedi di Sekhmet. Era rimasta paralizzata al davanzale della camera, ad osservare la preda che le era scivolata via dalle grinfie con estrema facilità. Forse l’aveva sottovalutata.
In pochi minuti, la guardia di palazzo, quasi al completo, seguendo la scia di morti e feriti, la raggiunse. Provarono a farla ragionare, chiedendo spiegazioni per quell’improvvisa furia omicida, ma lei li ignorò. Un temerario allora, vedendo che le parole non sortivano alcun effetto, la minacciò con la spada. La Conquistatrice rise di gusto e mise fuori gioco l’uomo con un singolo e ben assestato pugno.
«Tu» ordinò poi ad uno degli altri soldati «Fa’ in modo che trovi un cavallo sellato entro due minuti.»
«Ma in realtà…» contestò lui, titubante «Non dovremmo… Insomma, i feriti…»
La regina giocherellò con la lama che teneva tra le mani, lanciandogli occhiate minacciose.
«Vado» concluse il sottoposto, allontanandosi in tutta fretta.
Nel frattempo Caesar era giunto alla reggia con alcuni dei propri compagni più fidati. Era stanco di dover sottostare al giogo di Medora e, insieme all’amico Brutus, stava architettando un piano per liberarsi della sovrana una volta per tutte.
Vedendo il clima di panico e terrore che si era impossessato di tutti, pensò bene che fosse il momento migliore per agire. Il tempo della rivalsa dell’eterno braccio destro, il tempo di rovesciare il potere, era giunto.
L’intera struttura era in rivolta. I servi e i lavoratori, arraffando i propri averi e qualche oggetto di valore, fuggivano per le vie della città, allontanandosi dall’origine del caos, ignorando le intimazioni che le guardie sbraitavano nel tentativo di mantenere l’ordine.
In quel disordine, la Conquistatrice si venne a scontrare, in uno dei cortili interni, con Julius e i suoi.
«Muoviti, Caesar» lo apostrofò, senza badare allo sguardo furente negli occhi del sottoposto «Ho bisogno di una cavalcatura e qui sembra che nessuno sia in grado di procurarmela. Come sei arrivato fin qui? Dov’è il tuo solito carro?»
Il Romano arricciò le labbra in un ghigno e ridacchiò. «È finito il tempo di prendere ordini, da adesso comando io.»
«Sul serio?» sghignazzò in risposta Thema «Tu? Pensi di potermi rovesciare? Sei davvero esilarante! E come intendi fare?»
«Non avete più l’appoggio del popolo. Tutti hanno notato quanto siate mentalmente instabile. Non potete governare in queste condizioni ed è ovvio che tocchi al vostro vice prendere il comando. Io sono nato per regnare, per essere un sovrano, un imperatore, un dio in terra!» Fece quel discorso quasi senza prendere fiato, infondendoci tutta la determinazione che lo animava.
I suoi seguaci, una dozzina in tutto, gli si strinsero attorno, con grida di incoraggiamento.
«Mi ricordi molto Ming T’ien» osservò la donna «E lui non ha fatto una bella fine.»
A quelle parole Caesar rabbrividì, non poteva dimenticare i corpi carbonizzati della Cerchia del Dragone e la strage che, immaginava, avesse preceduto l’incendio. Ma si era convinto di essere in grado di riuscire là dove il mancato Imperatore aveva fallito, sebbene le forze a propria disposizione fossero più o meno le stesse.
«Ti concederò ancora un minuto per cambiare idea e portarmi subito alla tua maledetta biga, o mi vedrò costretta a farti del male» intimò la sovrana.
Julius ignorò la minaccia e diede l’ordine di attaccare. Quattro uomini si gettarono, gladio in pugno, contro la Conquistatrice, cercando di sopraffarla, ma lei, agile e scattante come non mai, ancora esaltata dalle morti di poco prima che le rinvigorivano lo spirito, si difese senza problemi. Parò tre colpi con i sai ancora macchiati del sangue di Ephiny, poi, con un potente calcio, fece piegare in due uno degli assalitori e, imprigionatogli saldamente il collo con il braccio, lo spezzò con uno schiocco. Dopo di che si dedicò ad un altro nemico, trapassandogli il viso, non coperto dalla calotta, con un sai. I due avversari rimasti indietreggiarono con un balzo, sorpresi dalla rapidità con cui i compagni erano stati eliminati.
«Non mi piace ripetermi, ma questa volta farò un’eccezione: gettate le armi e perdonerò ogni cosa.»
«Non datele retta!» gridò alterato il Romano, stringendo convulsamente le dita attorno all’elsa della propria arma «Sta cercando di indebolire il nostro spirito.» Cercò gli occhi del fido Brutus, aspettandosi di trovare supporto, ma l’amico era intimorito e titubava, facendo tremare la lama tra le proprie mani.
«Arrenditi, Julius» continuò Medora «È chiaro a tutti che questo sia un suicidio. Persino il tuo cagnolino non ha il coraggio di seguirti, questa volta.»
I soldati, volti verso il capitano, ad uno ad uno lasciarono cadere le spade e si avvicinarono alla regina, tenendo le mani in vista, in segno di resa.
«No!» esclamò Caesar «Non è così che doveva andare! Tornate indietro, codardi! Combattete!»
L’ultimo uomo, dal fianco destro di Julius, gli si portò di fronte. I due si scambiarono uno sguardo colmo di sentimenti inespressi.
«Anche tu, Brutus?» domandò in un soffio il generale.
L’altro non gli rispose, si limitò a lasciar scivolare la corta lama di un pugnale, che aveva afferrato dalla cinta, allo scoperto dalle pieghe del mantello.
Julius sorrise amaramente, vedendo le proprie buone intenzioni sfumare nel nulla, mentre il freddo del metallo gli lacerava l’addome.
Quando il Romano giacque a terra senza vita, Thema si avvicinò all’assassino e lo premiò con lo stesso trattamento che lui aveva riservato al compagno. «Non mi piacciono i traditori» mormorò finendolo «Sarebbe stato più onorevole morire al fianco del tuo comandante.»
Il resto dei militi si disperse all’istante, con il terrore di essere destinati alla stessa fine, ma Sekhmet non aveva interesse a dare la caccia a quei topolini, aveva una preda ben più importante da ghermire. Si lanciò di corsa verso l’entrata del palazzo, dove trovò ad attenderla il carro di Julius, con i due sauri scalpitanti, pronti a partire al galoppo. Balzò sul mezzo e afferrò le redini con sicurezza, scagliandosi poi in un pericoloso inseguimento tra gli stretti vicoli della città, sulle tracce di Xena.
 
La sabbia si sollevava in piccoli sbuffi al passaggio degli zoccoli galoppanti di Argo. Tabia non le aveva concesso un solo minuto di riposo, non potevano fermarsi per alcuna ragione. Il dolore alla schiena e il caldo la infastidivano oltre ogni misura, ma ogni passo in avanti era un passo verso la salvezza, o almeno così si augurava.
Dopo ore di corsa nel deserto, sotto un implacabile sole cocente, la giumenta iniziò però ad incespicare spesso, rischiando di disarcionare inavvertitamente la fanciulla.
«Facciamo una pausa, non arriveremo vive a casa se continuiamo con questo ritmo» disse, avvistando un pozzo in lontananza.
Una coppia di viandanti si stava abbeverando, tenendo vicino a sé i propri dromedari, innervositi dall’arrivo improvviso delle due fuggiasche.
Tabia attese pazientemente che gli altri finissero di fare scorta, poi si lanciò disperata verso l’acqua. Non riusciva a ricordare quanto tempo fosse trascorso dall’ultima volta che aveva potuto bagnarsi le labbra. Deglutì un sorso dopo l’altro, lasciando che le gocce le colassero, dal mento, giù lungo il petto. Poi, utilizzando una ciotola di legno abbandonata lì da qualche visitatore precedente, aiutò la cavalla a bere e le rinfrescò il manto, madido di sudore per la corsa.
«Forza, piccola» mormorò quando si fu sciacquata a propria volta «Abbiamo ancora molta strada da fare.» Rimontò sul dorso di Argo e la spronò nuovamente al galoppo, sotto gli occhi indifferenti della coppia di viandanti e delle loro cavalcature.
Il duo proseguì il viaggio a velocità sostenuta, non si fermarono quando il sole divenne un disco infuocato dolcemente poggiato sulle dune e neppure quando il cielo si fece trapuntato di stelle.
La fanciulla ogni tanto si lasciò vincere da Morpheus, ma il sonno era sempre breve, per via delle scosse a cui veniva sottoposta.
Alle prime luci dell’alba, videro sorgere la Barca di Ra da un’ansa del Nilo. Seguendo la strada principale che costeggiava il fiume, sarebbero bastate poche ore per arrivare al villaggio.
Argo rallentò l’andatura, passando ad un trotto tranquillo, che permise al cavaliere di riposare più comodamente. Avanzavano affiancate ad un gruppo di mercanti che si stava muovendo in direzione sud, ascoltando i loro discorsi e lasciandosi offrire del cibo dalla gentile capo-carovana.
Tabia riconobbe la svolta che conduceva alla propria dimora quando il mattino non era ancora al proprio culmine. Il sole splendeva inesorabile, ma non era caldo come al mezzogiorno; il fresco della notte non era ancora del tutto scomparso, lasciando l’aria respirabile.
Fece diminuire ancora la velocità della giumenta, facendola avanzare al passo, voleva godersi ogni singolo scorcio di quella terra che, sentiva nel profondo dell’animo, avrebbe dovuto abbandonare presto.
Incrociò lungo la via diversi volti noti, che la fissarono perplessi, cercando di far combaciare quella misteriosa cavallerizza straniera con la tranquilla figlia di Kontar ed Ebonee, scomparsa mesi addietro.
Rivedere casa dopo una così lunga assenza le fece provare un tuffo al cuore. Desiderava ardentemente sentire le risate distese delle sue sorelline, vederle correre festanti, a braccia aperte, nella propria direzione; sperava di scorgere il candido sorriso di sua madre e lo sguardo severo, eppure protettivo, di suo padre; bramava l’abbraccio confortante di Ptolemy che, nonostante il loro congedo tutt’altro che piacevole, restava comunque il fratello che l’aveva sempre aiutata e difesa.
Lasciò Argo a pascolare nel cortile, senza neppure preoccuparsi di legarla perché sapeva che non sarebbe fuggita per alcuna ragione. Si avvicinò con passi incerti fino all’uscio e bussò.
Non ottenne risposta.
Fece il giro dell’abitazione, sbirciando da ogni apertura, ma sembrava che non ci fosse nessuno. Suo fratello e il capofamiglia dovevano essere a lavorare, mentre le sue sorelle e sua madre, con molta probabilità, erano in paese per fare compere.
Doveva assolutamente entrare in casa. La porta principale aveva un’aria solida e senza la chiave sarebbe stato inutile tentare di aprirla e lo stesso valeva per le finestre, bloccate con robusti chiavistelli dall’interno. Le restava un’unica possibilità: una porta secondaria sul retro, che metteva in comunicazione la piccola dispensa, situata a lato della cucina, con l’esterno. Solitamente era lei stessa a dover controllare che quel passaggio venisse chiuso poiché suo padre scordava spesso di bloccarlo. Si augurava che la sbadataggine del genitore le venisse per una volta in aiuto.
Spinse titubante la porta e, sebbene con un po’ di difficoltà dovuta all’attrito della sabbia che si era infiltrata sotto l’uscio,  riuscì ad entrare. Si fece strada tra gli oggetti accatastati e le scorte di cibo, per giungere alla stanza dove lei e sua madre erano solite preparare il pranzo e la cena per il resto della famiglia, alle volte aiutate da Bahiti e dalla piccola Oni.
Sentì le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi, respirando l’aria della dimora che l’aveva vista crescere e ricordando tutti i bei momenti che vi aveva trascorso. Sbirciò in tutte le camere, come a voler imprimere nella memoria ogni dettaglio, poi giunse finalmente alla propria.
La finestra era stata bloccata con qualche asse di legno mal assicurata al muro, un sottile strato di polvere era depositato sul pavimento e sul mobilio, ma per il resto tutto era come l’aveva lasciato, sembrava che la stanza fosse rimasta in attesa della legittima padrona per tutto quel tempo. C’era solamente una serie di piccole impronte di piedi a rompere l’incanto dell’inviolabilità di quel luogo.
Scosse leggermente la coperta, lasciando che una nuvola grigiastra si sollevasse, invadendole i polmoni. Aveva dimenticato quanto morbido fosse il proprio letto e la tentazione di sdraiarsi, solo per riposare qualche minuto, era molto forte. Il suo senso del dovere, però, lo era di più. Aveva promesso ad Ephiny che avrebbe fermato Medora e per farlo doveva controllare che la lama fosse ancora a posto.
Fece scivolare la mano destra sotto il cuscino e tastò. Nulla.
Estrasse la mano, perplessa. Ritentò più volte, ma chiaramente la metà del cerchio non era lì. Si sforzò di ricordare se l’avesse riposta da qualche altra parte e iniziò a frugare qua e là, senza risultato.
Non aveva idea di cosa fare, l’unica speranza di salvezza era sparita. La stanchezza la stava logorando e il richiamo del giaciglio era troppo invitante.
«Giusto un momento, per rilassarmi mentre mi faccio venire un’idea» mormorò abbandonandosi tra le coltri.
Il “momento” si trasformò in qualcosa di più e la fanciulla riposò per alcune ore, senza che nessuno giungesse a disturbare il suo riposo.
 
«Ma io non voglio andare a cena da Eshe.» Una lamentosa voce di bimba risuonò attraverso la dimora vuota.
«Mamma ha detto che dobbiamo, non si discute» la riprese una voce maschile «E devi cambiarti quel vestito tutto sporco di fango. Ma dove ti cacci per conciarti così? Bahiti non dovrebbe tenerti d’occhio?»
«Lei è troppo presa dal parlare con le sue amiche, non mi dà mai retta. Tabia era più brava come sorella maggiore.»
«Quante volte ti dobbiamo ripetere di non nominarla?» la sgridò ancora l’uomo «Soprattutto davanti alla mamma. Sai che non ha ancora accettato di averla persa.»
«Ma lei tornerà, io ne sono sicura!» esclamò la piccola.
«No, ti sbagli» rispose l’altro «Adesso muoviti, va’ in camera a cambiarti.»
«Sì, uffa» sbuffò lei, sgusciando via dalla stretta di mano del fratello e infilandosi nella propria stanza. Si infilò una tunica bianca, pulita, e uscì quasi immediatamente. Approfittando della distrazione dell’accompagnatore, preso dai propri pensieri, sgattaiolò in camera di Tabia. Ogni tanto, senza che nessuno lo sapesse, entrava e faceva un giro dello spazio, solo per respirare l’odore della sorella e far rivivere così il suo ricordo.
Aprì la porta di soppiatto, come aveva fatto tante altre volte, ma non fu abbastanza accorta dall’evitare di emettere un piccolo grido quando vide il letto sfatto e occupato da un intruso.
«Oni!» urlò Ptolemy, fiondandosi verso la fonte del suono «Non devi entrare… Qui…» il resto del rimprovero gli morì in gola, vedendo Tabia sbadigliare e stropicciarsi gli occhi come se fosse una mattina qualunque di qualche anno prima.
«Tabia!» esultò la bimba, saltando in braccio alla sorella creduta scomparsa «Dove sei stata!? Mi sei mancata così tanto!»
Il giovane però agguantò subito la piccola per il colletto del vestito e la tirò a sé, ordinando: «Non ti avvicinare a lei!»
La fanciulla del Nilo si riscosse, ancora confusa. Stava sognando di essere tornata a vivere al villaggio, con la propria famiglia, ma c’era anche Thema, che le sorrideva ininterrottamente, facendo brillare gli smeraldi che aveva negli occhi. Tutto sembrava pacifico e stupendo, così lontano dagli orrori di poco tempo prima.
«Cosa ci fai qui?» sibilò Ptolemy, parandosi davanti alla sorellina, come a proteggerla dalla ragazza.
«Io… Io…» balbettò lei in risposta, cercando di far sfumare le immagini oniriche ancora vive nella propria mente.
«Oni, vai di là. Ora.»
La bambina non si oppose, guardò i due fratelli maggiori con gli occhietti pieni di lacrime, poi ubbidì.
«Ora rispondi, cosa ci fai qui?» replicò l’uomo, serrando i pugni per il nervoso.
«Sono venuta a prendere una cosa» rispose sinceramente, alzandosi.
«Ferma dove sei!» disse lui con voce alterata «Non fare un solo passo.»
«Senti, me ne sarei dovuta andare via ore fa. Non voglio essere d’intralcio a te o agli altri. Lasciami passare.»
«No!» gridò «Che cosa ci fai qui, veramente!? Sei venuta per portare via Oni? Vuoi farla diventare come te? Vuoi deviare la sua povera mente innocente?»
«Ti conviene tacere prima di dire qualcosa che non potrai rimangiarti» lo avvisò Tabia, sentendo il familiare spirito di Xena riemergere.
«Cosa vuoi fare, eh? Io ti fermerò, mostro!»
L’istinto della Principessa Guerriera non potè sopportare oltre. Potevano accusarla di tutto, ma non di essere un mostro.
Si lanciò in avanti e sferrò un deciso pungo sul viso del ragazzo, mettendolo fuori gioco.
Si massaggiò lievemente le nocche, non più abituate ad una simile dimostrazione di violenza. «Ti assicuro che ha fatto più male a me che a te, mi hai costretta ad usare l’unico linguaggio che capisci. Pensavo fossi migliore di così» commentò amaramente.
Raggiunse la piccola Oni, che si era rintanata in camera dei genitori, come per cercarne la protezione.
«Cucciola, non ti preoccupare» tentò di tranquillizzarla la fanciulla «Sai che non sono qui per farti del male.»
La bimba, rinfrancata da quelle parole, corse tra le braccia di Tabia piangendo. «Ptolemy mi ha fatto tanta paura» mugolò, stringendosi contro il petto dell’altra.
«Non temere, adesso è tutto passato, ci sono qui io.»
Restarono abbracciate in silenzio per qualche minuto, poi la donna si ricordò di essere lì per un motivo importante. «Oni, devo farti una domanda e tu devi rispondermi in totale sincerità.»
La piccola annuì.
«Hai per caso preso qualcosa da camera mia e lo hai spostato?»
L’interpella abbassò lo sguardo e mormorò una serie di scuse.
«Tesorino, devi dirmi cosa hai preso e soprattutto dove lo hai messo» ripetè la sorella.
«Ho preso lo strumento a forma di goccia che tenevi sotto il cuscino» confessò «E l’ho nascosto dove solo tu lo avresti potuto trovare.»
La giovane fissò perplessa la bambina. «Non ho tempo per i giochi, devo sapere dov’è. È molto importante.»
«È nel tuo posto speciale» spiegò allora Oni «Mi ci hai portato qualche volta, ricordi? Quello spiazzo vicino all’ansa dove ti hanno trovata mamma e papà. L’ho seppellito sotto l’albero di fico che cresce lì vicino.»
«Grazie!» esultò baciandola sulla fronte.
«Adesso te ne andrai di nuovo?» chiese la sorellina con un sospiro.
«Io vorrei poter restare» ammise «Ma c’è una cosa che devo fare.»
«E poi? Tornerai?»
«Non lo so, ma qualunque cosa accada…»
Non potè finire la frase perché il nitrito di Argo la fece accorrere nel cortile.
Una coppia di sauri schiumanti, legata a quella che un tempo doveva essere stata una biga, aveva appena fatto irruzione seguendo gli ordini di una misteriosa cocchiera. Il volto era completamente trasfigurato: il viso gentile di Medora aveva ceduto posto ad un muso felino, con tanto di occhi dalla pupilla verticale e zanne affilate.
«Scappa» ordinò Tabia alla bambina «È me che vuole.»
La piccola ubbidì, allontanandosi in tutta fretta, senza voltarsi indietro.
«E così siamo giunti all’atto finale» gongolò Sekhmet «Adesso devo solo riavere quella lama che porti con tanta disinvoltura alla cinta, poi la mia missione sarà quasi conclusa.»
«Quasi?» non riuscì a trattenersi la fanciulla.
«Già, per terminarla dovrò ucciderti con quella stessa arma… Ah, finalmente avrò la mia vendetta!» Dopo aver pronunciato quelle parole si concesse una rauca risata e la ragazza ne approfittò per balzare in sella alla giumenta e spingerla a tutta velocità verso il fiume.
«Oh, abbiamo ancora voglia di giocare, eh?» sogghignò Thema, tirando ancora una volta le redini per far partire la coppia di cavalli.
L’inseguimento iniziò sulla strada battuta, dove i diversi viaggiatori furono costretti a scansarsi per far posto prima alla giovane e al suo cavallo pazzo e poi alla strana donna dal volto animale con il suo carro da battaglia.
La pianta di fico non era molto lontana dalla casa di Kontar per cui, data la velocità con cui preda e cacciatore facevano avanzare le cavalcature, non ci vollero che pochi minuti per raggiungerla.
Scoccando un’occhiata apprensiva alle proprie spalle, Tabia scese dalla groppa di Argo e iniziò a scavare là dove la terra le pareva già smossa. I piccoli sassi le ferivano le dita e i palmi e la sabbia si infiltrava nei tagli freschi, ma ignorava il dolore. Ormai aveva i secondi contati.
Sekhmet non aspettò neppure che i sauri rallentassero, semplicemente fece un balzo acrobatico e atterrò a poche braccia di distanza dalla fanciulla.
«Mi godrò tantissimo questa uccisione» ringhiò «Più di tutte le altre che ci sono state finora… Anche se quello strano santone, quell’Avatar, mi ha dato parecchie soddisfazioni.»
La giovane si impose di non ascoltarla, finchè quell’assassina non avesse avuto la lama, lei sarebbe stata al sicuro.
«Devo dire che mi hai fatto penare. È stata una caccia in piena regola» continuò, accarezzando l’impugnatura dei sai «Ma eccoci giunte alla fine.»
Tabia continuava a scavare con foga, sentendo la voce farsi sempre più vicina.
«Mi sembra quasi impossibile che tra me e la gloria eterna ci sia solamente tu, un’ingenua paesana, che dovrebbe portare dentro il sé il mitico spirito di Xena.»
La fanciulla sentì sotto le dita il freddo familiare del metallo.
«Avrei voluto un duello alla pari, con lei. Avrei dimostrato al mondo che può esserci una sola Principessa Guerriera… Anzi, perché accontentarmi di essere una principessa, se posso essere una Regina?»
La giovane non osò interrompere quel monologo, ma si sbrigò a liberare dalla terra e dal fango la seconda parte dell’arma.
«Sai qual è la cosa più assurda?» proseguì Sekhmet «Che tutto questo è stato fatto per salvarti… Gabrielle nutriva così belle speranze per sé e la sua amata… Povera poetessa ingenua. Vorrei che potesse assistere a questo momento, il momento in cui ucciderà con le sue stesse mani la persona che ama di più al mondo.»
Le mani di Tabia riuscirono finalmente ad estrarre la preziosa lama.
«È il momento di scomparire per sempre nel Mondo dei Morti, Xena» ringhiò, ormai ad un soffio dalla preda.
«Dopo di te» rispose glaciale la ragazza, unendo le metà del Chakram.
Le iridi dorate scomparvero per un istante, lasciando che il verde riemergesse. Smeraldo contro ghiaccio. La Conquistatrice e la fanciulla del Nilo si fissarono per un’ultima volta, senza potersi dire tutto ciò che avrebbero desiderato, poi Medora e Tabia, così com’erano state plasmate dalla magia, scomparvero.
Un lampo di luce si liberò non appena le due parti si sfiorarono, illuminando lo spiazzo e tutta l’area circostante.
Argo e i due cavalli si imbizzarrirono e scapparono spaventati, insieme ad uno stormo di uccelli che era rimasto paralizzato all’arrivo delle due donne.
Ci fu un improvviso silenzio, persino i rumori della fuga sembrarono disperdersi in favore della quiete più totale.
La Principessa Guerriera riaprì gli occhi su un mondo che non le era molto familiare. Ricordava le vicissitudini di Tabia e l’immane sforzo per riuscire a riunire il cerchio, così come aveva suggerito Isis, ma la sua mente era ancora un po’ confusa.
Tra le mani stringeva il Chakram, ricomposto, ma lo lasciò cadere senza un lamento, notando la donna stesa a pochi passi da lei.
Gabrielle giaceva riversa su un fianco, con ancora i sai in pugno. Indossava gli abiti della Conquistatrice, intrisi di sangue, sudore e polvere.
La mora non attese un solo istante e si precipitò a scuoterla, chiamandola con gli occhi lucidi.
«Gab, svegliati, di’ qualcosa, ti prego!» supplicava, lasciando scorrere le proprie lacrime sulla terra arida. Alle sue spalle il Nilo fluiva tranquillo, quasi non si fosse reso conto di quanto avvenuto.
«Ti imploro, amore mio, dammi un segno!»
Baciò teneramente la bionda sulle labbra, come migliaia di volte aveva già fatto, come migliaia di altre volte avrebbe desiderato poter fare, sperando che quello fosse sufficiente a riportarla da lei.
«Non lasciarmi, Gabrielle. Non posso vivere senza di te.»
La poetessa, con estrema fatica, sollevò le palpebre, restando ferita dai raggi del sole ormai alto nel cielo. «Xena…» sussurrò, con il sorriso sulle labbra.
«Gab!» esclamò l’altra, stringendola a sé «Pensavo mi avessi abbandonata!»
La bionda si limitò a scuotere la testa, facendo ancora fatica ad articolare una risposta.
«Che cosa hai combinato? Perché siamo ancora qui? Che fine ha fatto quel gatto troppo cresciuto? Perché non siamo di nuovo nel nostro mondo?» iniziò a tempestarla di domande la Principessa Guerriera.
Gabrielle riflettè un momento. C’era ancora qualcosa da sistemare, lo sentiva nel profondo del proprio animo. Era qualcosa che la compagna non poteva percepire, ma lei sì.
«Oh, non importa» continuò la mora, parlando a se stessa «Troveremo il modo di tornare a casa. Lo abbiamo sempre fatto.»
«Xena» mormorò la poetessa, prendendole le mani «Recupera il Chakram.»
L’altra obbedì, raccogliendo l’arma che aveva lasciato cadere.
«Passamelo.»
La Principessa Guerriera le porse la lama.
La bionda se la rigirò un attimo tra le mani, come se stesse riflettendo sul da farsi.
«Sei molto pensierosa» osservò la compagna «Qualcosa non va?»
Le iridi cristalline, piene al contempo di genuina preoccupazione e dell’amore più sincero, sembrarono a Gabby la più bella visione possibile. Aveva intuito cosa fosse necessario fare, ma non era certa di averne il coraggio.
«Xena» disse in un soffio «Baciami, ti prego.»
Come se non stesse aspettando altro, la guerriera si fiondò sulle labbra dell’altra, godendo ogni secondo di quel riassaporarsi che tanto le era mancato.
Si staccarono dopo qualche istante, in cerca di aria.
Gabrielle si portò le mani al petto, ancora impugnando il Chakram. «Ora» annunciò solenne «Voglio che mi baci ancora una volta, stringendomi forte a te, come se fosse l’ultima volta.»
«No» replicò secca l’altra, intuendo con orrore quale fosse il piano «No, te lo puoi scordare. Non lo farò.»
«Amore, non c’è altro modo» sospirò la bionda.
«Non possiamo perderci ancora» singhiozzò Xena «Tu mi hai riportata indietro, mi hai trovata e salvata.»
«Ma adesso tu devi salvare me» rispose Gabby «Sai che non posso farlo da sola, non ne avrei la forza. Ti prego, fallo per me.»
Con il volto inondato dal pianto e un crescente dolore nel cuore, la Principessa Guerriera si avvicinò ancora una volta all’amata, premendo il proprio corpo contro il suo. A quella pressione, la lama circolare iniziò ad incidere il petto della poetessa.
«Non fermarti» continuò la bionda, sentendo l’arma lacerarle sempre più la carne. Doveva arrivare al cuore.
«Ti amo, ti amo, ti amo» ripeteva la mora, avvicinando le labbra per un ultimo bacio.
«Anche io» esalò Gabrielle quando il Chakram arrivò al proprio obiettivo.
Il mondo a quel punto si fece improvvisamente scuro e tutto iniziò a vorticare, ma anche fosse giunta la fine dei tempi non avrebbe avuto alcuna importanza, perché l’aedo e l’angelo caduto erano finalmente riuniti, la poetessa e la Principessa Guerriera si erano ritrovate, Gabrielle e Xena, l’una nelle braccia dell’altra, erano infine complete.
 
NdA: dopo i secoli dei secoli, ecco l'aggiornamento che vi dovevo. Posso affermare con certezza che non mancano più di quattro capitoli alla fine, anche se non ho idea di quando riuscirò a scriverli e a caricarli. Spero abbiate apprezzato che questo capitolo sia un po' più lungo dei precedenti, avevo anche pensato di dividerlo in due, ma poi ho deciso che andava bene lasciare un testo unico. Ringraziamenti a wislava, per l'eccellente lavoro di correzione, e a Stranger in Paradise e xena97 per le recensioni. Un grazie anche a tutti gli altri, coloro che leggono nell'ombra ma che ai miei occhi sono allo stesso modo importanti. Spero di non farvi attendere un'altra eternità per l'aggiornamento, ma già sapete che probabilmente non arriverà tanto presto. Nel frattempo buone cose e buona lettura.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Ritorno alla vita ***


CAPITOLO 24: Ritorno alla vita
 
Bring me to life, I’ve been living a lie
There’s nothing inside, bring me to life
Frozen inside without your touch
Without your love, darling
Only you are the life among the dead
All this time, I can’t believe I couldn’t see
Kept in the dark, but you were there in front of me
I’ve been sleeping a thousand years it seems
I’ve got to open my eyes to everything
Without a thought, without a voice, without a soul
Don’t let me die here, there must be something wrong
Bring me to life
(Evanescence – Bring me to life)
 
Buio. Le tenebre l’avevano accolta in un rassicurante abbraccio, lasciandole finalmente il tempo di riflettere.
Tutto era cominciato nel momento in cui Alti l’aveva stordita. Era stato come svegliarsi da un lungo sonno, interrotto da attimi di dormiveglia, ma da cui non era stato possibile uscire pienamente.
Si era ritrovata, aveva riacquistato i propri ricordi e la propria coscienza. Aveva rammentato la missione, l’incantesimo di Isis e aveva, finalmente, riconosciuto in Tabia la sua Principessa Guerriera. L’aveva avuta davanti a sé per tutto quel tempo, aveva pensato a lei continuamente, eppure non era riuscita a capire chi fosse in realtà. Dopo le imprese nei panni di Medora e la lontananza che queste avevano loro frapposto, l’unico desiderio era quello di riprendersi per poter correre tra le braccia della compagna.
Ed era allora che la situazione era precipitata. Si era sentita improvvisamente inerme, incapace di governare il proprio corpo e aveva chiaramente percepito una forza spirituale prendere il sopravvento sulla propria. Era già capitato, ma mai con una tale potenza. Temeva che non sarebbe più stata in grado di riappropriarsi del controllo totale.
I ricordi delle altre volte in cui era stata sopraffatta da quell’intrusa riaffiorarono: il sangue della Cerchia del Dragone, versato con rabbia, e le fiamme che erano scaturite dal folle gesto di Ming T’ien, la strage avvenuta poco dopo. Memorie dapprima confuse, presenti ma indefinite, si fecero vividissime. Le grida e il volto terrorizzato di Eli mentre il suo corpo veniva fatto a pezzi da crudeli zanne. Le sue crudeli zanne. Gabrielle non poteva credere di essere stata capace di tanto. Aveva ucciso una delle persone che più rispettava ed amava.
Quando la mente, poi, le mostrò la freddezza nei confronti di Alti, nonostante tutto il male subito in passato ad opera sua, ebbe un moto di tristezza, immediatamente oscurato dalla disperazione che la annientò nel vedere Joxer perire per mano propria. Il buono ed eroico giovane aveva, come da lui ci si sarebbe aspettato, scelto di mettersi in mezzo per proteggere una persona cara.
Gab si domandò se l’amico fosse stato cosciente, se fosse consapevole della vita che aveva vissuto in precedenza, se avesse saputo che a strapparlo al Regno dei Morti e a rispedircelo era stata lei, la donna che lui non aveva mai smesso di amare.
A quel dolore si aggiunse quello per Ephiny. Aveva sperato che almeno l’Amazzone si salvasse, ma già dall’inizio del duello le era stato chiaro come si sarebbe conclusa la vicenda.
La poetessa avrebbe voluto eliminare quelle immagini. Avrebbe preferito rimanerne totalmente all’oscuro. Non poteva sopportare il peso di quelle morti.
Visse la caccia disperata alla ricerca della fanciulla del Nilo con sollievo. L’intrusa non aveva avuto tempo di fermarsi ad uccidere per il puro gusto di farlo, anche se per un momento aveva temuto per la bambina in compagnia di Tabia. Il terrore l’aveva assalita al pensiero che, prima di ripartire all’inseguimento della preda, il mostro scagliasse uno dei suoi letali sai per arrestare la piccola.
La tensione raggiunse il culmine quando si ritrovò faccia a faccia con Xena, che le apparve così spaventata, inerme come mai si sarebbe immaginata di vederla. Ma nel momento in cui aveva riunito le parti del Chakram, l’espressione era tornata ad essere quella della fiera Principessa Guerriera.
Ancora avvolta nella più completa oscurità, la poetessa cercò di portarsi le mani al petto, là dove la lama circolare l’aveva lacerata fino a giungere al cuore.
Soffocò un singhiozzo. Il Fato aveva ancora una volta mostrato il proprio lato sadico. Nel momento in cui era riuscita a riunirsi con la sua anima gemella, era stata costretta a separarsene nuovamente.
Avrebbe voluto darle almeno una spiegazione, ma aveva temuto di non avere tempo. Quando l’arma era stata riunita, aveva rispedito l’intrusa nei meandri più oscuri del suo corpo, ma la sentiva lottare per liberarsi, pronta a riprendere il controllo in qualsiasi momento. Non poteva permettere che quella bestia cercasse nuovamente di eliminare Xena, così aveva fatto l’unica cosa sensata: eliminare se stessa e Sekhmet, di conseguenza.
Si domandò se quella notte eterna fosse ciò che i popoli chiamavano Aldilà o solamente un luogo di transizione, prima di giungere ad altra destinazione.
Non era neppure certa di essere morta. Era tutto così strano.
Sentì una fitta al petto e venne trascinata nel fiume dei ricordi.
 
L’urna aperta, le sue mani pronte ad immergere quel prezioso contenuto dentro la magica fonte. Poi cinque dita delicate, ma dalla presa sicura, bloccarono il suo gesto. Non riuscì ad opporre resistenza.
«No, Gabrielle» mormorò la sua amata.
«Xena» rispose di riflesso, incapace di comprendere il perché di quell’azione.
«No» replicò piano la mora.
«Xena, il sole sta tramontando. Devo riportarti in vita.»
«No.» Ancora una volta quella sillaba, così dolorosamente decisa. «Non se ciò significa condannare le quarantamila anime di coloro che sono bruciati ad Higuchi.»
«Le anime sono libere?» domandò, cercando di capire.
«Sono libere dalle grinfie di Yodoshi. Akemi non voleva dirmelo perché avrei potuto decidere di non venire ad aiutarla, ma affinché quelle anime siano in grado di raggiungere la pace, devono essere vendicate. Devo restare morta.» La Principessa Guerriera aveva gli occhi arrossati, sull’orlo delle lacrime. L’aedo sapeva quanto le costasse trovare la forza di parlare.
Si fissarono per un momento, poi la bionda si sforzò di parlare: «Ma se io ti riportassi in vita…»
«Quelle anime sarebbero perdute per sempre.»
La poetessa represse con forza l’idea di restare da sola. Ci doveva essere un altro modo. «Xena…» sussurrò sconfitta, poi scosse la testa e si voltò, dando le spalle all’altra, cosicché non la vedesse piangere. Si asciugò il viso con un gesto deciso e tornò a fissare la compagna. «Non è giusto.»
A quelle parole, una singola lacrima solcò la guancia della mitica Principessa Guerriera, mentre Gabrielle iniziava a gemere.
«Non mi importa» continuò «Sei tutto per me.»
«Non capisci quanto vorrei lasciartelo fare?» disse la mora, prendendole le mani con dolcezza «Ma se c’è stata una ragione per il nostro viaggiare insieme, è che io avevo molto da imparare da te. Tanto da riconoscere il bene superiore, la cosa giusta da fare.» Gab chinò la testa, affranta. «Non posso tornare.»
I loro occhi, bagnati dal pianto si incontrarono ancora.
«Non posso» ripeté la mora.
A quel punto la poetessa, privata di qualsiasi forza, si lasciò cadere seduta sul bordo della sorgente, stringendo a sé le ceneri con fare protettivo, e si mise ad osservare il tramonto più tragico della propria esistenza. La compagna prese posto accanto a lei.
«Ti amo, Xena» singhiozzò, per poi voltare lo sguardo dal sole nel cielo al sole che le illuminava la vita «Come dovrei fare senza di te?»
«Io sarò sempre con te, Gabrielle. Sempre.»
Il bardo poggiò la testa sulla spalla dell’altra, desiderando di destarsi all’improvviso da un brutto sogno, pregando che quello fosse solo un incubo, supplicando gli dei di svegliarsi in una radura, persa chissà dove, sdraiata al fianco della sua donna. L’avrebbe stretta a sé, le avrebbe ripetuto che l’amava, si sarebbero scambiate un bacio e poi sarebbero tornate alla vita di sempre.
Ma il lucente disco dorato scomparve oltre l’orizzonte, inghiottito dalle cime dei monti. Con un sospiro, il corpo della Principessa Guerriera si dissolse, lasciando dietro di sé solamente il ricordo custodito nel cuore della bionda.
«Xena…»
In quel momento la luce scomparve dal Giappone, lasciando sprofondare la terra nella notte. Allo stesso modo, la luce negli occhi di Gabrielle si spense, conducendola in una vorace oscurità che a poco a poco l’avrebbe inglobata. Ma il mattino seguente l’aurora avrebbe portato nuovamente la luce nella Terra del Sol Levante, mentre la sventurata innamorata sarebbe rimasta intrappolata nel buio, senza via di scampo.
 
Alcuni giorni più tardi, la poetessa navigava verso Occidente, diretta ad Amphipolis. Tra le mani stringeva l’urna, ultima prova concreta della tragica fine della più grande eroina di tutti i tempi.
Il sole stava calando, nascondendosi nella coltre di nubi basse.
Gabrielle non poteva fare a meno di osservare il tramonto. Provava un senso di pace, perché era a quell’ora del giorno che lei si mostrava.
«Una vita di viaggi ti ha portata fino alle terre più lontane, ai confini stessi della Terra.» Parlava al vento, attorcigliando le dita intorno al prezioso contenitore.
Fu allora che, come accaduto alcune volte nei dì precedenti, percepì il tocco della Principessa Guerriera sulla spalla.
«E al luogo dove rimarrò per sempre» parlò la mora «Il tuo cuore.»
La bionda sorrise, rivolta al nulla.
Un certo Tadao, membro della ciurma, intento a rinforzare una cima, le lanciò un’occhiata da lontano e scosse la testa. Era convinto che quella donna fosse pazza. L’aveva vista spesso parlare da sola e, al momento di discutere la somma per il trasbordo, aveva insistito per pagare per due, come se fosse accompagnata da qualcuno che solo lei era in grado di vedere.
«Quindi, dove si va ora?» proseguì Xena.
«Penso che dovremmo andare a Sud, verso la Terra dei Faraoni. Ho sentito dire che cercano una ragazza con il Chakram.»
«Dovunque tu vada, io sarò al tuo fianco.»
«Sapevo che lo avresti detto» concluse Gabby, tornando a fissare il lento moto dei flutti, tinteggiati dei colori della sera.
Sentì la Principessa Guerriera piegarle il capo per potervici posare un bacio e percepì il braccio cingerle le spalle, come tante volte in passato. Ma la poetessa era sola sul ponte. Nulla di tutto ciò era reale.
Il marinaio la vide crollare senza un lamento e si precipitò a soccorrerla. Erano in mare ormai da cinque giorni e non l’aveva vista toccare né cibo, né acqua. Quella poveretta doveva essere svenuta per gli stenti e, pensò lui, anche gli strani fantasmi che sembrava vedere dovevano essere frutto della stanchezza.
Tadao si prese cura di lei per il resto della traversata e si assicurò che recuperasse le forze. La costrinse a mangiare e le rimase accanto per assicurarsi che riacquistasse pienamente lucidità.
Dopo quell’episodio, il bardo fu costretto a venire a patti con la realtà: la sua amata era morta. Avrebbe dovuto continuare a vivere senza di lei.
 
La coscienza di Gabrielle si riscosse per un momento. Non poteva ricordare di essere stata soccorsa, dato che era priva di sensi. Forse, da quel limbo, avrebbe potuto osservare le trame dei Fati, anche senza averle vissute in prima persona.
 
Tornò al proprio passato, al momento in cui giunse al tumulo di Lyceus e Cyrene, dove Xena avrebbe dovuto riposare. Dopo essere state vandalizzate, durante i venticinque anni della loro assenza, la Principessa Guerriera stessa aveva provveduto a riportare le tombe all’antico splendore e da allora erano rimaste intatte.
Accarezzò i sepolcri, tracciando sottili linee nella polvere.
Il mausoleo era freddo, illuminato da un braciere che proiettava ombre tremolanti. Il silenzio pareva riportare in vita l’eco di fantasmi che popolavano i suoi ricordi. Sembrava passata una vita dal giorno in cui aveva trovato Xena a parlare ai resti del fratello.
«È difficile essere soli…» mormorò, rievocando le parole della compagna.
Si girò verso l’entrata, aspettandosi di vedere comparire una giovane fanciulla bionda che, con aria sicura, avrebbe replicato: “Non sei da sola”.
La loro storia era cominciata in quel luogo, quando con quella frase aveva dimostrato alla redenta signora della guerra che, nonostante le scelte sbagliate compiute, l’amicizia sincera si poteva trovare in chiunque, anche in una contadinella inesperta, ma ricca di spirito avventuroso.
Gab si avvicinò alla parete di fondo, dove erano stati disposti due nuovi sarcofagi.
Il cerchio era chiuso. Dove tutto era iniziato, tutto sarebbe finito.
Smosse, a fatica, il coperchio di marmo decorato e depositò l’urna, non prima di avervi posato un ultimo bacio. Disse qualche formula di rito a mezza voce, poi riposizionò la copertura.
Si soffermò a rimirare l’altro involucro di pietra. Le apparteneva. Sarebbe stato il luogo del suo riposo, accanto alla Principessa Guerriera, come aveva desiderato.
Non era stato facile, una volta rientrata dal Giappone, rintracciare un marmista disposto a portare il proprio lavoro fino ad Amphipolis, data la fama sinistra che ancora caratterizzava la città dopo l’infestazione demoniaca di Mephistopheles. Le ci era voluta quasi una settimana per convincere un tale Abderus ad accettare la commissione e la cosa le era costata quasi tutta la somma di dinar che aveva con sé. Però, seguendo con i polpastrelli i viticci in rilievo e le linee delle figure scolpite, stabilì di aver fatto un ottimo acquisto.
Sentì uno sbuffo in lontananza, seguito da uno scalpiccio di zoccoli. Argo non gradiva di dover restare fuori, avrebbe voluto anche lei dare un ultimo saluto al proprio cavaliere.
Gabrielle aveva dovuto recuperare la giumenta nello stesso pascolo in cui Xena aveva trovato la prima Argo. Era stata costretta ad allungare di un po’ il percorso, ma voleva conservare qualsiasi cosa le ricordasse la defunta.
Si diede della stupida, ripensandoci. Una lama circolare e un cavallo non erano sufficienti a colmare il vuoto che aveva nel cuore.
Non c’era modo per placare la propria sofferenza. Ad eccezione di uno.
Più di una volta, da quando era rimasta sola, aveva preso in considerazione quell’idea, ma allora più che mai, al cospetto delle tombe, i più tangibili vessilli della morte stessa, il suicidio le parve un’allettante scappatoia. Avrebbe terminato ogni pena, non ci sarebbero più state lacrime da versare, non si sarebbe più sentita sola perché avrebbe raggiunto la sua amata.
Sganciò il Chakram e se lo portò al petto, con l’intenzione di conficcarlo nel profondo, fino ad annientare il cuore, sede di tutto quel dolore che la straziava.
Ma non ebbe la forza di andare oltre.
Togliersi la vita non avrebbe risolto nulla. Nessuno le aveva assicurato di poter rivedere Xena, una volta dall’altra parte. Avrebbe abbandonato a se stessa la povera giumenta, non avrebbe detto addio a Lila e a Sarah, non avrebbe neppure potuto comunicare ad Eve quanto accaduto a sua madre. Ma, soprattutto, nessuno sarebbe venuto a conoscenza del sommo sacrificio compiuto dalla Principessa Guerriera. Quel suo ultimo, nobilissimo, gesto sarebbe perito con lei e non lo poteva permettere.
Si allontanò dal proprio sarcofago. Non era ancora giunto il suo tempo. Prese la decisione più giusta: continuare l’opera di Xena dirigendosi nella Terra dei Faraoni. Prima, però, avrebbe incontrato la messaggera di Eli, per raccontarle gli avvenimenti di Higuchi.
Si lasciò alle spalle il mausoleo, recuperò una pergamena dalla bisaccia lasciata vicino alla cavalla e iniziò a comporre un messaggio, in cui chiedeva ad Eve un incontro sulle coste dell’Anatolia. Sarebbe stato un altro lungo viaggio, ma da lì le sarebbe stato più facile raggiungere l’Egitto.
«Adesso dirigiamoci ad Est e alla prima città ci fermiamo per spedire questo» annunciò, sventolando il messaggio sotto gli occhi placidi di Argo «E faremo tappa da un fruttivendolo per comprarti qualche bella mela, va bene?» continuò accarezzando amorevolmente la cavalcatura.
L’animale, in risposta, nitrì e iniziò a battere il terreno, impaziente.
«Hai ragione, sarà meglio muoversi.» Pronunciò quelle parole con meno entusiasmo, realizzando di star compiendo un grande passo: l’abbandono di ciò che, fisicamente, restava di Xena.
La giumenta, notando il suo turbamento, le diede qualche musata di conforto, ricevendo in cambio altre carezze.
«Grazie» disse, montando in sella «Dobbiamo farci forza a vicenda.»
Partirono, lasciandosi alle spalle un cielo infiammato dai colori del crepuscolo.
Più tardi, quella sera, davanti al consueto falò acceso in una radura non lontana dalla via principale, la poetessa si sdraiò sul proprio giaciglio contemplando il silenzio. Quello era il momento del giorno che in passato aveva amato di più. Lei e la compagna erano solite osservare insieme il cielo stellato e parlare delle loro avventure.
Si rimise a sedere, sapendo che il sonno avrebbe tardato ad arrivare. Estrasse dalla bisaccia un rotolo intonso e iniziò a scribacchiare dell’ultima, e conclusiva, impresa della Principessa Guerriera. Le parole faticavano ad uscire dalla piuma, l’inchiostro pareva restio ad impregnare la pelle lavorata, la sua mente ancora opponeva resistenza a rivangare quegli eventi.
«Forse sarà meglio che legga un po’, una buona storia mi aiuterà a dormire.»
Frugò più a fondo nella borsa da viaggio e ne tirò fuori altre pergamene.
«Questa no, questa neppure, meglio evitare…» commentava, scorrendo i titoli. Gliene capitò una che le fece riempire gli occhi di lacrime, era il regalo che Xena le aveva fatto per l’ultimo compleanno, una poesia che Sappho aveva scritto appositamente per lei. Il momento in cui l’aveva ricevuto era stato l’ultimo di sincera felicità che poteva ricordare.
Ripose tutti gli scritti, cercando di allontanare la malinconia, ma si accorse di averne dimenticato uno: era un rotolo ingiallito e piuttosto sgualcito, doveva averlo con sé da parecchi anni.
«“Il lupo e l’agnello”» lesse ad alta voce «Un lupo, avendo visto un agnello che beveva da un fiume, decise di divorarlo con un buon pretesto…»
Proseguì a declamare il breve racconto.
«Non mi è mai piaciuta questa storia. Avrei davvero dovuto scriverne una versione diversa, una in cui i due diventano amici e restano insieme fino alla fine… O fino al sacrificio del lupo che si lascia morire per raddrizzare un antico torto.»
Le proprie parole le lasciarono l’amaro in bocca.
«Era destino che, prima o poi, uno dei due rimanesse solo. La morte è il motore di questo episodio, la fame del predatore… Se lui avesse rinunciato a mangiare il piccolo erbivoro, sarebbe poi morto di fame. Avrei dovuto capirlo, è l’ineluttabilità del Fato, questa storia non può avere un lieto fine.»
Richiuse la favola nella bisaccia e osservò le braci incandescenti scurirsi lentamente fino a tramutarsi in un cumulo di cenere nera. Era imbambolata, come in attesa di qualcosa, qualcosa che non sarebbe mai arrivato: l’agognato lieto fine, in cui il lupo e l’agnello avrebbero finalmente  trionfato sul destino avverso.
 
Gabrielle abbandonò i ricordi, tentando di scrollarsi di dosso la solitudine, per tornare a concentrarsi sul presente. Nonostante la ferita che il Chakram doveva averle causato, non riusciva neppure ad individuare i contorni della lesione.
Voleva capire dove si trovasse, cosa stesse accadendo, ma tutto ciò che poteva percepire era quell’impenetrabile tenebra che l’avvolgeva.
Forse ho fallito! realizzò con orrore. Isis l’aveva avvertita: il prezzo del fallimento sarebbe stata la propria anima. Quello poteva essere il luogo in cui avrebbe trascorso l’eternità, senza possibilità di reincarnarsi, senza modo di ricongiungersi con la Principessa Guerriera nel futuro.
No, no, no. Non è possibile. Ho fatto la cosa più giusta! Mi sono sacrificata per fermare Sekhmet!
Ma sembrava non essere stato abbastanza.
Eppure Xena è tornata, si disse. L’ho visto nei suoi occhi, l’ho riconosciuta. Magari non tutto è perduto! Se lei fosse di nuovo in vita... Il mio sacrificio non sarebbe stato vano! Ha ancora così tanto da fare nel mondo, così tanti cattivi da malmenare, ingiustizie da combattere. Se lo scambio fosse la mia anima per la sua, sarei più che disposta ad accettare, anche a costo della solitudine perpetua. Come l’agnello che si lascerebbe mangiare per far vivere il lupo.
Ripensando alle ridenti iridi cerulee, sentì di aver comunque fatto la cosa giusta. Era un ristabilire l’equilibrio, per tutte quelle volte che la Principessa Guerriera aveva rischiato ogni cosa pur di salvarla.
Riscoprire in se stessa, attraverso gli eventi passati, il coraggio di andare avanti su sentieri diversi, l’essere pronta a sacrificare la propria essenza per la persona amata, senza timore delle conseguenze: gesti tanto nobili erano sintomo dell’amore più sincero. Un’altra prova era stata superata.
L’oscurità venne perforata da uno spiraglio di pallida luce, che divenne via via più grande, fino a raggiungere le dimensioni di un portale. Al centro della luminescenza era conficcato il Chakram.
Gab provò a muoversi e scoprì di poter compiere dei passi in direzione del magico varco.
Come accaduto nel momento in cui aveva scelto di cominciare quell’impresa, affidandosi all’incantesimo della dea della magia, poggiò una mano sull’arma, stringendo le dita attorno ad essa, e poi fece un passo avanti.
Un lampo la accecò e il mondo vorticò ancora una volta.
 
Si riprese su una superficie fredda. Sentiva la testa pulsare, come mai prima di allora. Doveva aver passato un altro esame, l’ultimo, si augurava.
Schiuse le palpebre, mettendo a fuoco l’ambiente circostante: un luogo vagamente noto, immerso nella luce di numerose candele, animato dalle variopinte immagini sulle pareti, popolato di statue zoomorfe.
«Il tempio!» esultò «Sono tornata al tempio!»
Scattò in piedi, rimirandosi. Indossava nuovamente i soliti abiti, aveva i sai riposti negli stivali e, soprattutto, non c’era traccia di alcuna ferita letale al petto.
«Gabrielle?»
La poetessa spalancò gli occhi, che immediatamente si colmarono di lacrime.
«Dove siamo?»
La bionda si voltò, incapace di emettere alcun suono. Tra lei e la parete che doveva aver attraversato, vestita di tutto punto, con tanto di corpetto in pelle, spada e armatura, stava la Principessa Guerriera. Si guardava intorno un po’ spaesata, ma per l’altra non aveva importanza.
La compagna corse ad abbracciarla e la strinse a sé, per paura che scomparisse nuovamente.
«Ce l’ho fatta» mormorò, lasciando via libera al pianto «Ti ho riportata indietro. Ti ho riportata da me.»
«Hai riportato lei, ma non solo.»
Il bardo si gelò su posto. Aveva riconosciuto il timbro di voce.
«Io e te dobbiamo fare una chiacchierata, Gabby» sghignazzò Meskhenet «Non voglio che tu muoia senza neppure dare la possibilità al tuo carnefice di presentarsi.»
Gabrielle serrò i denti e li digrignò. Erano le stesse parole usate dall’intrusa da cui Alti l’aveva tanto messa in guardia, la stessa parassita che aveva assassinato le persone a cui teneva di più, che aveva tentato di portarle via Xena.
Il volto dell’egizia mutò in pochi istanti, lasciando posto ad una testa leonina. «Ti sono mancata?»
 
NdA: le denunce per abuso di flashback indirizzatele direttamente al mio avvocato, per favore. Lo so che quelle due scene riprese da "A friend in need" sono il male assoluto, ma erano necessarie ai fini della trama. Adesso posso dirvi con un discreto margine di sicurezza che mancano ancora tre capitoli al gran finale, spero di riuscire a scriverli prima della prossima Apocalisse prevista. Adesso voglio prendermi il mio solito spazio per i ringraziamenti: a wislava, per il suo sacro lavoro di correzione sempre preciso, rapido ed efficiente, poi una caterva di grazie a grascalisi, Stranger in Paradise, catnip94, xena97, DamonSantana, The Bard and the Warrior e per finire BelleDameSansMerci per le recensioni. Un ringraziamento anche a tutti i lettori silenziosi, lo sapete che anche voi occupate un posto speciale nel mio cuore. Ora mi congedo, con l'augurio di una buona estate e nella speranza di ritrovarvi prossimamente. A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Di nuovo all’inizio ***


CAPITOLO 25: Di nuovo all’inizio
 
Tell me you love me
Come back and haunt me
Oh and I rush to the start
Running in circles, chasing our tails
Coming back as we are
Nobody said it was easy
It’s such a shame for us to part
Nobody said it was easy
No one ever said it would be so hard
I’m going back to the start
(Coldplay  – The Scientist)
 
«Meskhenet…» sussurrò Gabrielle «O preferisci Sekhmet di questi tempi?»
«Non sembri tanto sorpresa» si rabbuiò la leonessa «Speravo in qualcosa di più…»
«Teatrale?» provò a terminare il pensiero la poetessa, con tono sarcastico.
«Che intesa perfetta» commentò Mesk «Saremmo state un duo formidabile.»
«Peccato che tu sia malvagia» replicò con stizza il bardo.
«Questo dipende dai punti di vista, come ogni cosa» rispose la semidea «Tu che opinione hai in proposito, Xena?»
La Principessa Guerriera rimase in silenzio, limitandosi ad assumere un’espressione severa.
«Sono molto felice di conoscerti, comunque» riprese l’egizia «Ho sentito tanto parlare di te: la crudele ed invincibile signora della guerra, poi riformata e divenuta paladina dei deboli, talmente potente da eliminare persino gli dei. Qual è il tuo segreto?»
«Chi sei e che cosa vuoi da me?» ringhiò l’interpellata, ignorando la domanda.
«Quanta scortesia…» commentò la semidea scuotendo leggermente il capo «In tutta onestà mi sarei aspettata una qualche risposta ironica e brillante. Mi risulta difficile credere che di voi due sia Gabrielle quella divertente.»
La bionda si sentì offesa, ma mantenne il controllo. Non le avrebbe lasciato avere la meglio con quel piccolo gioco mentale. Cercò di ritrovare la calma lanciando una rapida occhiata in direzione della Principessa Guerriera, ma gli occhi della donna erano incollati a quelli della nemica, intenti a studiarla.
Immobili e avvolte dal silenzio, le due figure sembravano pronte a scatenare uno scontro di dimensioni epocali. L’agnello sarebbe stato l’unico testimone dello scontro tra il lupo e il leone.
Xena, con estrema naturalezza, portò la mano destra dietro la schiena e fece scivolare la spada fuori dal fodero con un movimento fluido, mentre di fronte a lei Sekhmet liberava il proprio khopesh dalla cinta a cui era appeso.
La poetessa fece un passo indietro, pronta a togliersi di mezzo per non intralciare la compagna, ma, così facendo, notò un lieve tremore alle gambe della mora.
Forse non si è ancora ripresa del tutto dall’incantesimo. Magari non ha riacquisito il pieno controllo del proprio corpo! Non posso lasciare che combatta se non può dare il meglio di sé. Devo guadagnare tempo.
Avanzò, riguadagnando il poco terreno perso, e si parò tra le due guerriere.
«Cosa c’è, Gabby?» chiese Mesk, abbassando la lama che era già pronta a colpire
«Prima che questa vicenda si concluda nel sangue, voglio parlare» disse la bionda «Anzi, voglio capire. Ho alcune domande che meritano una risposta.»
La leonessa rise. «E per quale ragione dovrei accontentarti?»
L’aedo non fu in grado di replicare prontamente, voleva temporeggiare ed era anche curiosa, eppure nessuna di queste due motivazioni era effettivamente valida. Desiderava più di ogni altra cosa comprendere come avesse potuto essere tanto stupida da non accorgersi prima del doppiogioco con cui era stata ingannata.
«Non importa» continuò l’egizia «Rimandare la vostra morte di qualche minuto non manderà a monte il mio infallibile piano di conquista.»
Gab accennò un sorriso, rendendosi conto che indurre l’avversaria a fare quattro chiacchiere era stato più semplice del previsto. I cattivi con manie di egocentrismo sarebbero sempre cascati in quel vecchio trucco.
«Allora, cosa ti preme sapere?»
«Innanzitutto» cominciò con voce decisa «Dove sono Isis e la piccola Masika?»
Meskhenet fece spallucce, bofonchiando: «Non ne ho la minima idea e non mi importa. Se questo è il genere di domande che hai in mente, potrei decidere di cambiare idea.»
La poetessa, per non rischiare di tirare troppo la corda, decise di andare sul sicuro: «Che cosa ti ha spinta a fare tutto questo?»
Gli occhi d’oro ebbero un guizzo all’udire quelle parole. Sekhmet si dilungò a narrare la storia di Ra e dei quattro fratelli, fino ad arrivare alla sconfitta che aveva subito da parte di Horus, ma a quel punto l’interesse di Gabrielle per la conversazione si era fatto più genuino.
«Quindi il tuo scopo è ottenere il Chakram per reclamare il trono d’Egitto?» domandò, dopo una breve pausa della semidea.
«Non dovrei essere costretta a tanto, dato che sarebbe mio di diritto» replicò Mesk.
«Ma la morte di Xena ha mandato a monte il tuo piano originale di attirare lei e il cerchio qui…» commentò l’aedo, riflettendo ad alta voce.
«Ed è per questo che ho avuto bisogno di te.»
«Allora non vedo per quale ragione farci attaccare di notte dai tuoi seguaci» rispose la bionda.
«Oh, beh, in realtà il motivo è piuttosto ovvio. Quale miglior modo per guadagnarmi appieno la tua fiducia se non difendere te e la mocciosa da un attacco dei predoni? E poi dovevo assolutamente fare in modo che avessi uno di quei medaglioni.»
Gabby aggrottò le sopracciglia e ripensò al “Voto” che aveva recuperato da uno dei cadaveri e che aveva tenuto con sé per tutto il resto del viaggio.
«Ci sono molte cose che non sai, mia poetastra, una di queste è che, dal mio caro padre, ho ereditato l’abilità di interferire con i sogni degli esseri umani. Purtroppo, però, ho bisogno che la mia vittima designata sia a contatto con un oggetto legato a me.»
Le iridi smeraldine arsero di rabbia, mentre la donna giungeva ad un’amara conclusione. «Quindi, ciò che ho sognato quando tenevo in mano quello stupido gioiello…»
«Erano scene che ho elaborato per manipolarti, sì» ammise tranquillamente la leonessa «Ma ti assicuro che non ho dovuto sforzarmi più di tanto… Mi sono addirittura divertita a creare quel finto ricordo con la confessione di Xena nella radura. Per non parlare di quando, dopo il nostro piccolo intermezzo romantico, ho dovuto aiutarti a ritornare sulla retta via e a ritrovare fiducia in te stessa e nella missione.»
Le guance di Gabrielle si tinsero di rosso, un misto di imbarazzo e di collera. Non aveva il coraggio di voltarsi ad osservare la reazione della compagna a quell’ultimo scambio di battute.
«Ma non credere che facessi la tenera solo per piacere personale» continuò l’egizia «Era tutto calcolato. Il nostro bacio, ad esempio, mi ha permesso di raggiungerti all’interno del flusso magico di Isis e mi ha garantito il controllo che tu stessa hai potuto sperimentare.»
Gabrielle serrò i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi. Non era mai stata raggirata a quel modo e, per quanto lo odiasse, non poteva fare a meno di sentirsi ferita.
«Basta chiacchiere» intervenne inaspettatamente la Principessa Guerriera «Comincio ad annoiarmi.»
Il volto di Sekhmet venne invaso da un inquietante sorriso. «Allora diamo inizio alle danze!»
La poetessa fece un balzo indietro per veder sfrecciare la lama del khopesh in un ampio colpo laterale. L’intento non era stato chiaramente quello di ferire né lei, né la compagna, sembrava più che altro quello di allontanarle.
A pochi passi dalle spalle di Xena, si mise ad osservare l’evolvere dello scontro.
La mora rediviva parava senza difficoltà gli assalti portati avanti dall’altra, eppure non riusciva a contrattaccare con efficacia. Stava cercando di individuare un ritmo nella successione di colpi, per tentare di spezzarlo destabilizzando così la nemica, ma i suoi sforzi non stavano portando a niente. All’aedo parve che la Principessa Guerriera ancora non fosse nella propria forma migliore. Era certa che potesse combattere meglio di come stava facendo.
Dopo l’ennesimo fendente andato a vuoto, Mesk azzardò un movimento dall’alto, tentando di far impattare l’elsa dell’arma con il capo scoperto di Xena, ma la combattente fu pronta a rispondere, abbassandosi, e facendo fulminare a propria volta il pomolo della spada in direzione delle ginocchia nemiche.
Un ringhio sordo esplose dalla gola della leonessa, mentre, ferita, fu costretta ad indietreggiare leggermente.
L’altra ne approfittò per ristabilire equilibrio nello scontro. Prese a tenerla a distanza, colpendola con qualche calcio e vorticando la lama attorno a sé. La voleva portare con le spalle al muro.
Era quasi riuscita nel suo intento, quando un improvviso tremore alla gamba sinistra la fece vacillare, portandola a piegarsi sul ginocchio incriminato.
Con un urlo rabbioso, l’egizia tentò di contrattaccare, calando il letale khopesh verso il collo esposto della Principessa Guerriera, la quale fu costretta, per evitare il peggio, a fare leva sull’arto intorpidito pur di tentare un’acrobazia. Si appoggiò con la schiena ad una delle statue votive presenti e, con la sua proverbiale e sovrumana forza, afferrandola, riuscì a capovoltarsi dall’altra parte. L’atterraggio fu, però, più doloroso di quanto avesse calcolato. Anche la gamba destra, che fino ad allora si era fatta carico di quasi tutto il peso del corpo, iniziò ad essere percorsa da spasmi.
Gabrielle notò come i movimenti della compagna si facevano via via più incerti con il proseguire del duello e ciò non fece che aumentare la sua ansia. Sapeva che quello era l’ennesimo momento di Xena, quello in cui avrebbe malmenato il cattivo di turno, come da sempre aveva fatto. Ma qualcosa dentro di lei si smosse, forse un briciolo di coraggio e impulsività ereditato dalla Conquistatrice, portandola a domandarsi se, in quel caso, potesse agire più che da semplice spettatrice.
Sempre senza distogliere lo sguardo dalla lotta che imperversava davanti a lei, portò le mani agli stivali ed estrasse le fidate armi. I sai non erano una scelta saggia nel confronto con una lama lunga come quella di Meskhenet, ma non aveva scelta. Dalla sua decisione di intervenire o meno sarebbero potute dipendere non solo la vita della donna che amava, ma il destino dell’Egitto e forse persino dell’intero mondo.
La Principessa Guerriera, nel frattempo, era riuscita a rovesciare uno dei bracieri addosso all’avversaria, ma nonostante più di un lembo dei suoi abiti emettesse fili di fumo, Sekhmet non si era lasciata intimidire o sopraffare, anzi, proseguiva imperterrita nella sua sequenza di pericolosi fendenti.
Il cozzare delle lame dettava il ritmo serrato di una macabra canzone di morte, che più procedeva nella sua esecuzione, più faceva crescere l’apprensione del bardo.
All’improvviso, un gemito lasciò le labbra di Xena, mentre un lungo segno rosso compariva sul suo braccio.
«Dopotutto sei solo una comune mortale» commentò l’avversaria, osservando una goccia cremisi percorrere il filo del khopesh.
«Sei mortale anche tu» le ricordò Gabby, pronta a difendere la compagna.
«Oh, che scenetta commovente: l’agnellino che tenta di proteggere il lupo ferito» la canzonò, mostrando le zanne feline in quello che doveva somigliare ad un sorriso.
La bionda ignorò quelle parole e mantenne salda la propria posizione. Forse la Principessa Guerriera aveva solo bisogno di qualche altro minuto per riguadagnare il pieno controllo sul proprio corpo, doveva tenere occupata Mesk ancora un po’, ma non sarebbe bastato rigirarla nel fare quattro chiacchiere.
Avanzò con un salto piuttosto audace, guidando il sai nella mano sinistra verso il petto dell’egizia. La leonessa fu rapida a scartare di lato per evitare la punta affilata che la minacciava, ma Gabrielle non si lasciò scoraggiare. Doveva tenersi a distanza ravvicinata, se voleva avere qualche speranza di colpirla.
Così braccata e limitata nei movimenti, la semidea si ritrovò ad agire in modo impreciso. Non riusciva ad indirizzare i colpi con precisione, finendo per mutilare gli oggetti decorativi intorno e senza mai far sì che il metallo mordesse la carne dell’altra.
La poetessa sorrise compiaciuta. Per quanto assurdo potesse essere stato vivere come Medora in quel bizzarro mondo frutto della magia, qualcosa le era rimasto, come se si fosse sottoposta ad un allenamento intensivo da cui era uscita rinvigorita e con una invidiabile fiducia nelle proprie abilità di combattimento.
Non montarti la testa si disse, rievocando uno dei classici suggerimenti di Xena. Mantenne la concentrazione e continuò tenacemente ad incalzare l’avversaria, infliggendole danni considerevoli.
Sekhmet si ritrovò a ringhiare con le spalle al muro. Le unghie affilate della mano destra rasparono la parete, lasciandovi una macchia scura. Il sangue le colava lungo tutto l’avambraccio che era stato perforato da uno dei sai dell’avversaria, costringendola ad impugnare l’arma con la sinistra. Non aveva mai provato tanto dolore a livello fisico, ma ciò, invece che infiacchirla, non faceva che alimentare il suo odio e la sua determinazione. L’avrebbe fatta pagare a quelle due, a qualunque costo.
Gli artigli emisero un rumore stridulo cozzando contro la pietra e ciò le diede un’idea.
La poetessa tornò alla carica, facendo fulminare i sai per concludere quanto iniziato con il primo assalto. Indirizzò il colpo verso il fianco destro, ma il metallo cozzò contro il khopesh.
La semidea e Gabrielle si trovarono praticamente incollate. Tutto rimase sospeso per un momento, mentre le due si scambiavano uno sguardo carico di tensione. Poi l’improvviso silenzio fu spezzato dall’urlo dell’aedo. Le pericolose unghie della leonessa le si erano conficcate nella coscia sinistra, per poi risalire verso il busto, lacerando la carne con un’inquietante facilità.
La mano artigliata risalì fino al viso della bionda, allontanandosi solo dopo aver lasciato quattro segni paralleli che si estendevano lungo tutta la guancia.
Mulinando l’arto ferito, cercando di lasciare altri segni indelebili, Mesk recuperò a poco a poco la propria grinta, ribaltando la situazione.
La bionda zoppicava e a fatica si reggeva in piedi. Si sforzava per evitare il più possibile i colpi dell’altra, ma tutta la sicurezza accumulata si era dileguata in un soffio. La vista si andava appannando a causa della fatica e delle lacrime che, involontariamente, aveva iniziato a versare. Le piccole gocce salate si infiltrarono nei graffi aperti sul suo viso, causandole un’ulteriore ondata di fitte.
«Xena…» trovò la forza di articolare in un rantolo «Aiuto…»
La Principessa Guerriera udì quella disperata richiesta di soccorso, ma non si mosse, rimase immobile, con la spada ancora stretta in pugno, a fissare il vuoto.
Meskhenet rise, continuando con la propria offensiva. «Questa volta non ci sarà il tuo grande amore a salvarti da me» ghignò «È l’ora di scrivere la conclusione alla tua storia, poetastra.»
Gabby sentì il cuore sprofondarle nel petto. Era la fine. Il suo angelo caduto non sarebbe venuto a tirarla fuori dai guai. Avrebbe voluto voltarsi, per capire per quale ragione Xena avesse deciso di non intervenire, neppure con qualche parola di incoraggiamento.
Un’altra artigliata andò a segno, facendole volare via uno dei sai e facendo inzuppare di nuovo sangue i suoi abiti. La presa sull’altra arma si fece meno sicura e bastò un calcio a ridurla indifesa.
Si ritrovò in ginocchio, in quello stesso punto in cui si era ripresa poco prima, lo stesso punto in cui aveva riabbracciato la sua amata dopo lungo tempo, il punto in cui era stata catapultata dopo un’impresa che l’aveva spinta a sacrificare tutta se stessa. Lì avrebbe lasciato il mondo sensibile.
Ricordò il freddo della neve sulle montagne e il dolore perforante dei chiodi che l’avevano accompagnata durante la sua prima esperienza di morte. Quella volta sarebbe stato diverso. Era madida di sudore e sangue, sconfitta, devastata, ma soprattutto sola.
«Xena…» mormorò ancora una volta, chiudendo gli occhi in attesa del colpo di grazia.
«Ti concedo di guardare un’ultima volta la tua compagna, voglio vedere la pura disperazione sul tuo volto» disse la leonessa sfiorandole la guancia ferita con il khopesh, invitandola a voltarsi.
Il bardo accettò silenziosamente l’ultimo desiderio concesso. La mora era là, in tutto il suo mitico splendore, statuaria, indifferente, assente, insofferente di fronte al dolore dell’altra. Chiaramente qualcosa non andava, ma Gabrielle non avrebbe mai potuto scoprire cosa.
Mille frasi si composero nella sua mente, interi poemi pretendevano di essere recitati per addolcire quell’addio, ma la bocca fu in grado di pronunciare solo una manciata di sillabe: «Ti amo, ora, da sempre, per sempre.»
Le iridi cerulee brillarono, risvegliate dal torpore.
Un sorriso nacque spontaneo sulle labbra di Gab. Si era sbagliata, anche in quell’irreale e tragico frangente, la sua donna non l’aveva abbandonata.
Sekhmet caricò l’ultimo, decisivo, fendente. L’ora del giudizio era giunta.
Un lampo verde speranza illuminò gli occhi del bardo di Potidaea. Il Fato le mise in mano la chiave per essere l’eroe della situazione. Dalla sua posa da condannata, riuscì ad allungare le dita intorpidite fino ad un oggetto che brillava tra le macerie di una delle statue cadute.
La lama del khopesh stridette un’ultima volta, prima di spezzarsi contro il Chakram. Il cerchio proseguì, senza lasciare la mano che lo impugnava. Gabrielle si risollevò con una forza che non sapeva di possedere, portando la lama circolare a tranciare la base del collo della semidea.
Un rantolo, accompagnato da fiotti di viscoso liquido cremisi, lasciò la bocca di Meskhenet. Il corpo perse tutta la propria stabilità, crollando sulla bionda, che per poco non ne rimase interamente schiacciata.
Il silenzio piombò nuovamente sulla sala cerimoniale.
L’aedo attese per lunghi minuti che accadesse qualcosa. Era tornata per terra, stravolta, affiancata dal cadavere della sua più difficile avversaria. Faceva respiri profondi, cercando di fare chiarezza sugli eventi degli ultimi minuti.
Dopo quella che parve un’eternità, captò un lieve rumore di passi. Tirò su la testa e osservò la Principessa Guerriera avvicinarsi. In un primo momento, la mora le tese la mano per aiutarla a mettersi in piedi, ma con un cenno della testa fece capire di non essere in grado di alzarsi.
Sempre senza rompere la quiete, Xena si chinò per avvicinarsi alla bionda. Si fissarono silenziosamente, meditando su quali parole fossero le più adatte ad essere pronunciate.
«Stai bene?» chiese la mora.
Gabby provò una strana sensazione, quello non era esattamente l’esordio di conversazione che si aspettava. Tutti i bei sentimenti che l’avevano investita ad un passo dalla fine vennero messi da parte in favore di una collera sconosciuta. Realizzò di sentirsi tradita, perché nel momento di più genuino bisogno, la donna che amava era rimasta a guardare, indifferente. «È il meglio che sai tirare fuori?» commentò tra i denti «Che razza di domanda è? Ci è mancato un soffio che quella pazza mi decapitasse, dopo avermi squarciato una gamba e avermi sfigurato! Perché non sei intervenuta? Hai visto che ero in difficoltà! Mi avresti lasciata morire!?» sbottò.
Destabilizzata da quello scoppio di rabbia, l’altra indietreggiò di un passo.
«Dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo tutto quello che ho fatto… Perché? Dimmi perché non hai reagito?» continuò «Ti prego, dimmi che c’è una spiegazione.»
«Io…» bisbigliò Xena, con un tremito nella voce «No… Non potevo. Non riuscivo a muovermi. Ero paralizzata.»
Gli occhi di Gabrielle si ridussero a due fessure. «E questo dovrebbe bastarmi?»
«Non capivo per quale ragione dovessi intervenire ad ogni costo… Sono confusa, Gabrielle. C’è qualcosa di sbagliato in me, lo sento.»
La poetessa assunse un’espressione di pura confusione.
«Finchè mi sono concentrata sullo scontro, mi sono sentita me stessa, ma appena i miei pensieri si sono spostati su di te… Ho avuto un blocco.»
«Perdonami, ma continuo a non capire.»
«È qualcosa che ti riguarda, credo…»
L’aedo scosse la testa, incapace di trattenere una risata. «È troppo assurdo. Non può esserci ancora qualcosa che non va.»
La Principessa Guerriera borbottò tra sé e sé qualche istante prima di dire: «La mia mente scherma qualsiasi pensiero inerente a te. Ricordo tutto quello che abbiamo passato insieme, ma c’è come un muro che mi impedisce di andare oltre… È come se avessi davanti a me un’estranea.»
«Oh, e dunque avresti lasciato perire la tua compagna solo perché sei ancora un po’ scombussolata dopo che lei stessa ti ha riportato indietro dal Regno delle Ombre?» domandò acida l’altra.
«Avrei voluto aiutarti, davvero!» replicò.
«E perché non l’hai fatto!?»
«Perché…» il resto della frase rimase bloccato nella gola di Xena, non aveva parole. Ciò che non era in grado di esprimere, si riversò sottoforma di pianto.
Gabby si sconvolse nel vedere quelle lacrime. La sua Principessa Guerriera non avrebbe mai pianto. Ma in quel viso così noto, bagnato di autentico dolore, vide riflessa il propria sofferenza. C’era davvero qualche problema con Xena e il suo atteggiamento ostile non avrebbe aiutato a risolvere la situazione.
Ancora una volta, un pensiero la colpì. L’incantesimo. Forse qualcosa era comunque andato storto. Aveva riportato indietro la persona che amava, ma non per intero. Mancava il pezzo più importante di quel difficile rompicapo.
«Xena» mormorò, cercando di addolcire il tono per celare il proprio timore «Ho bisogno di farti una domanda importante.»
La mora annuì, asciugandosi il volto.
«Scava in fondo al tuo cuore e dimmi: senti qualcosa, qualsiasi cosa, per me? Che sia odio, affetto, repulsione, una qualunque sensazione.»
«Io…» balbettò «No. So che ci dovrebbe essere qualcosa, ma non c’è.»
Quelle parole ferirono Gabrielle più di quanto potesse fare qualsiasi lama mai forgiata. La sua più grande, inespressa, paura si era realizzata. Era come se gli anni vissuti insieme, le esperienze condivise, il loro legame, costruito su piccoli gesti, e il loro amore, sbocciato a poco a poco quasi all’insaputa di entrambe, fossero stati spazzati via. Era tornata all’inizio. Per la donna che amava non era nulla più che la ragazzina incosciente che aveva deciso di seguirla tanto tempo addietro.
Quella realizzazione, per quanto atrocemente dolorosa, fu però presto soppressa da una ancora più forte.
«Non importa se ora non c’è niente» disse dolcemente, posando una mano sulla spalla dell’altra, dimentica di qualsiasi negatività «Anche se dovessi tornare al punto di inizio altre cento volte, anche dovessi farlo per ogni giorno rimanente, ti farò ricordare quello che una volta provavi e, se non dovessi riuscirci, ti farò provare qualcosa di nuovo. Non mi arrenderò. Non adesso. Questa non può essere la fine della nostra storia, deve essere un nuovo inizio.»
Aveva pronunciato quella frase quasi senza prendere fiato e non si era accorta delle ferite che a poco a poco si andavano rimarginando, delle statue che tornavano integre, delle tracce del duello che scomparivano, come se non ci fossero mai state.
Gabrielle non notò nulla di tutto ciò. Xena, spinta dall’istinto, l’aveva cinta in un abbraccio e aveva lasciato che le poggiasse la testa sulla spalla come, non riusciva a ricordare con chiarezza, ma era successo mille altre volte. Una valanga di sentimenti aveva investito la poetessa, tagliandola completamente fuori dal mondo.
Quando ogni cosa sembrò tornata al proprio posto, un rombo, come di tuono, scosse il tempio. Le due si separarono leggermente, incapaci di comprendere.
Parole di un canto mistico rimbombarono tra le pareti, mentre sugli occhi della poetessa calava ancora una volta l’oscurità, ma sulle sue labbra nulla avrebbe potuto cancellare la bozza di sorriso che solo la vicinanza della sua anima gemella poteva far nascere. Il loro amore si era dimostrato più forte anche dell’ultima prova.

NdA: che dire... sarò ripetitiva ma esordirò con le scuse. Scusate se ci ho messo tanto, scusate se vi ho costretti ad aspettare, scusate se probabilmente sarete costretti ad aspettare ancora. Non lo dico per giustificarmi, ma ho dovuto affrontare uno dei peggiori blocchi mai visti, per quasi quattro mesi non sono stata in grado di scrivere un paragrafo che non facesse totalmente schifo e sforzarmi non faceva che peggiorare le cose... Ma poi ho ritrovato un po' di ispirazione e questo è il risultato. Come credo di aver già detto, siamo ormai alla fine, mancano infatti solo due capitoli (perchè così saranno 27 che è un numero che asseconda il mio OCD), inutile dirvi che però neanche gli dei sanno quando questi fantomatici aggiornamenti arriveranno. Ora, i ringraziamenti: a wislava, per tutto, impressioni, supporto, correzioni, ogni cosa; ai recensori xena97 e grascalisi per i puntuali commenti; a Stranger in Paradise e BelleDameSansMerci un grazie speciale sia per le loro recensioni, ma anche per gli incoraggiamenti, le ho già ringraziate privatamente, ma mi sembrava doveroso ribadire che se il capitolo ha trovato la forza di nascere è anche un po' merito loro; non può mancare un grazie di cuore a tutti gli altri, perchè, come mi piace ripetere, una storia senza lettori non avrebbe ragione d'essere. E quindi, dopo questo sproloquio, è giunto il momento di congedarmi nuovamente. Non perdete le speranze, prima o poi avrete la conclusione che meritate.
P.S. ho modificato, come avrete forse notato, l'impaginazione, era una cosa che avevo deciso di fare tempo fa, ma solo ora ho trovato il tempo. Spero vi renda la lettura più scorrevole.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Senza di te ***


CAPITOLO 26: Senza di te
 
The pain of it all, the rise and the fall
I see it all in you
Now every day I find myself saying
“I want to get lost in you”
I’m nothing without you
(Three Days Grace – Lost in You)
 
“La vostra storia finirà con il tuo aedo incapace di salvare il suo angelo caduto.”
Xena aveva riflettuto a lungo su quella profezia. Per quanto avesse cercato di negarlo a se stessa e alla compagna, ne era intimorita. Le previsioni di Alti avevano sempre un fondo di verità. Aveva tentato di allontanare il più possibile quell’oscuro presagio, ma giunto il messaggio di Akemi, si era convinta che non ci fosse modo di sconfiggere il Fato. Per lei non ci sarebbe stato ritorno dalla Terra del Sol Levante.
Non fu la morte in sé ad annientarla, dopotutto non era la prima volta che intraprendeva il viaggio verso il Regno delle Ombre, fu il dover dire addio a Gabrielle, fu quell’ultimo dialogo illuminato dal sole al tramonto a spezzarle il cuore. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non dover abbandonare la poetessa, ma doveva agire per il bene superiore, anche se ciò significava andarsene, definitivamente.
Scomparendo dal mondo sensibile, con ancora l’impressione di avere accanto a sé la donna che l’avrebbe amata per sempre, la guerriera si trovò ad attendere, aspettandosi di discendere negli Inferi. Sarebbe stato legittimo, dopotutto, l’ultima volta, era stata sul punto di guidare una rivolta demoniaca contro le schiere celesti, trascorrere del tempo tra i dannati le sembrava più che doveroso. Se la sarebbe quindi dovuta vedere con Lucifer, che certamente non aspettava altro che potersi vendicare.
Si trovava in un luogo scarsamente illuminato, all’apparenza vuoto se non fatta eccezione per una specie di scalinata spettrale che sembrava immergersi in una densa nebbia. Con un sospiro, fece un passo avanti, ma si arrestò prima ancora di posare il piede.
«Non così in fretta» tuonò una voce maschile.
«Michael?» domandò sorpresa.
«In persona» rispose l’arcangelo, dispiegando le grandi ali ed illuminando lo spazio con la propria aura «Non crederai forse che ti lascerò tornare tra i malvagi per organizzare un nuovo pandemonio, vero?»
Xena sogghignò. «Cos’è, Mickey, hai paura di non riuscire a fermarmi?»
«Sappiamo entrambi che senza Gabrielle a tenerti a bada potresti sovvertire l’ordine cosmico.»
Al sentir nominare l’aedo, la Principessa Guerriera tornò seria. «Cosa vuoi? Non mi posso neppure godere un po’ di meritato riposo nell’Aldilà?»
«Certamente» replicò l’altro «Ma non dove credi tu. Seguimi, il tuo ultimo gesto ti ha fatto guadagnare un premio prezioso.»
In un lampo, entrambi si ritrovarono ad osservare una lunga schiera di anime che veniva accolta in una rassicurante luce.
«Quelli sono…?»
«Gli abitanti di Higuchi» confermò l’angelo «Stanno entrando nello Yomi, il loro mondo ultraterreno. È solo grazie a te che possono finalmente trovare la pace.»
La donna sentì un moto di orgoglio. Aveva compiuto un gesto davvero nobile e non poteva che esserne fiera.
«Adesso» riprese l’uomo alato «Avrei dovuto scortarti io stesso nel luogo stabilito in attesa della tua prossima vita, ma qualcuno dall’alto ha fatto qualche pressione.»
«In che senso?» chiese la mora, aggrottando la fronte.
«Lascerò che sia il diretto interessato a parlare.»
«Ne è passato di tempo, mia cara» disse una nuova figura, come evocata dalle parole di Michael.
«Eli, è un piacere rivederti» sorrise Xena.
«Sarà meglio che vada» si preparò al congedo l’arcangelo «Le schiere celesti hanno bisogno di qualcuno che le tenga costantemente in riga.»
«Alla prossima, Mickey. Ti perdono per aver cercato di eliminare la mia amica Aphrodite.»
«E io non ti porto rancore per avermi quasi ucciso» ridacchiò, prima di svanire in un fascio luminoso, lasciando i due amici soli.
«Quindi…» disse la Principessa Guerriera «Che cosa porta il grande Avatar ad occuparsi di me?»
«Sono qui per condurti in un luogo speciale» spiegò il profeta «Seguimi.»
La coppia si teletrasportò in un ambiente diverso.
La donna riconobbe immediatamente la calma e la serenità emanate dallo spazio circostante. Alberi rigogliosi, canti gioiosi e una placida luce caratterizzavano i Campi Elisi.
«Mamma!»
All’udire quella parola, un nodo si strinse alla gola della guerriera. «Solan, piccolo mio.»
Il ragazzo corse ad abbracciare la madre, saltellando euforico. «Sapevo che saresti venuta da me!»
Lacrime di gioia bagnarono il viso della redenta signora della guerra.
A poco a poco, si raccolse un piccolo gruppo di anime attorno alla nuova arrivata.
Cyrene si aggiunse all’abbraccio, stringendo figlia e nipote, seguita subito dopo da Lyceus, che per tanti anni aveva atteso la sorella.
«Fate posto anche ad un vecchio amico!» esclamò Joxer.
Nessuno, in quel momento, avrebbe riconosciuto la fredda Conquistatrice di Nazioni nella donna che si stava commuovendo dopo aver ritrovato la propria famiglia.
«Intuisco che le tue lacrime siano di gioia» mormorò Eli, osservando la toccante scena.
Xena annuì, senza allentare la presa che aveva sugli altri.
«Vuoi rimanere qui, dunque?»
L’istinto della Principessa Guerriera premeva nel dire di sì, ma la sua mente pose un freno alla risposta. Prima doveva fare una domanda. «Qui sarò sempre felice, vero?»
«Esatto, fino alla tua reincarnazione» confermò l’Avatar.
Lei lasciò vagare lo sguardo su quelle persone di cui tanto aveva sentito la mancanza. L’idea di trascorrere con loro sempre lo stesso spensierato giorno, incapace di provare qualsiasi sentimento negativo, era certamente allettante. Dopo una vita costellata di tormenti avrebbe potuto godere di una pace unica nel suo genere. Ma quella scena idilliaca non sarebbe mai stata completa, non senza la sua amata poetessa.
«Questo vuol dire che non sentirò la sua mancanza?» chiese, sapendo che Eli avrebbe intuito a chi faceva riferimento.
«Ti sembrerà che debba giungere da un momento all’altro, ma sai bene quanto me che ciò è solo un’illusione. È possibile che passino anni, forse decenni, prima che possiate riunirvi.»
Era la risposta che temeva. Aspettò qualche momento, prima di staccarsi dal figlio e dagli altri. «Non posso restare.»
L’uomo barbuto annuì, aspettandosi una decisione del genere.
«Per quanto mi riempia il cuore di gioia poter passare questo tempo con le persone che più ho amato» riprese la Principessa Guerriera «Non voglio godere di questa pace, non fino a che non ci sarà anche lei. La aspetterò, non mi interessa il dove, né il quanto. Spediscimi nel Tartaro, da Lucifer tra i dannati, non ha importanza, purchè io non mi dimentichi di lei e di quanto mi manca averla al mio fianco.»
«Non mi sarei aspettato nulla di diverso da te» disse l’Avatar «Lei farebbe lo stesso, se fosse al tuo posto.»
«Posso restare solo un altro po’ per salutare?»
Le fu concesso di essere stritolata ancora per qualche minuto dalle forti braccia del fratello e della madre. Loro non potevano provare tristezza, anche perché quello non era un addio, era un semplice arrivederci.
«Ci rivedremo presto» assicurò a tutti, tenendo ancora in braccio Solan, che le si era aggrappato al collo.
Il gruppo, a cui si erano uniti molti re, soldati e vari abitanti della Grecia che Xena aveva aiutato in passato, si costellò di sorrisi. Era il loro modo di salutarla.
Posò delicatamente a terra il figlio, permettendogli di darle un bacio sulla guancia.
«Andiamo» disse, senza staccare gli occhi da coloro che si sarebbe lasciata alle spalle.
«Sei sicura? Non ti sarà concesso di ripensarci.»
«Sì» affermò convinta.
La rasserenante aura dei Campi Elisi svanì, facendo sprofondare la donna e la sua guida in una fitta tenebra.
«Allora, mi aspetta il Tartaro?»
«No» la rassicurò Eli «Ti sistemeremo nel Limbo. Da lì potrai osservare le trame dei Fati, seguirai la vita di chi ti sei lasciata alle spalle, passo per passo. Potrai vegliare su di loro, come faccio io dal Cielo, ma quello è un luogo purtroppo a te proibito.»
«Capisco…» mormorò, guardandosi intorno alla ricerca di un punto di riferimento.
«Appena me ne sarò andato, comparirà una copia del Telaio delle Moirae. Fanne buon uso.»
«Certamente.»
«Allora qui ci salutiamo, amica mia» disse l’Avatar «Continuerò comunque a proteggere, per quanto mi è possibile, la nostra cara Gabrielle ed Eve. Mi sono sempre preso cura di voi da quando ho abbandonato le mie spoglie mortali.»
«Non ti avrei mai preso per un tipo tanto appiccicoso» commentò la guerriera con una risata.
«È difficile staccarsi da persone straordinarie come voi» replicò lui con un sorriso «E poi lo sappiamo tutti che sono un sentimentale.»
Dopo un ultimo, silenzioso, abbraccio, anche il profeta scomparve, lasciando Xena sola, a seguire momento per momento il corso del mondo, privato della mitica Principessa Guerriera.
 
Era accaduto all’improvviso. Non si era aspettata che capitasse in quel modo. Aveva seguito Gabrielle fino in Egitto, dopo aver vegliato sul suo viaggio dal Giappone e sul suo peregrinare in patria; era giunta con lei al cospetto di Isis, l’aveva vista attraversare il portale. La terra del Limbo si era scossa e l’aveva risucchiata all’improvviso, scaraventandola in un mondo nuovo, nei panni di Tabia. Dopo aver affrontato altre mille peripezie, era tornata se stessa, di nuovo al fianco del suo aedo. Ma Sekhmet aveva rovinato tutto, costringendo la bionda a sacrificarsi. Sembrava che il tentativo della poetessa di sconfiggere il Destino fosse condannato al fallimento.
Affrontata l’ennesima prova, nonostante la dipartita della terribile leonessa, le cose non sembravano comunque essere tornate a posto, perché ogni pensiero inerente a Gab era come avvolto da una spessa nebbia. Non era quella la vita che avrebbero dovuto vivere insieme. Eppure il bardo sembrava aver accettato quella situazione, era disposta a ricominciare da capo, a far innamorare nuovamente di sé la donna per cui avrebbe fatto di tutto. Non avrebbe rinunciato a lei, mai.
 
Un rumore attutito, come uno squittio, accompagnò il risveglio di Xena. Era sdraiata; la testa, poggiata sul nudo terreno, le pulsava; aveva gli arti doloranti, stretti in una morsa. Aprire gli occhi le costò una fatica indicibile. La luce delle candele votive, che animavano con il loro tremolare gli affreschi e gli arazzi, riempì il suo campo visivo. Il forte odore di incenso non faceva che rendere il tutto ancora più nebuloso.
Lo strano suono proseguì, accompagnato da un movimento che riuscì a scorgere alla propria sinistra con la coda dell’occhio.
«Ce l’hanno fatta! Sono tornate! Isis! Isis! Sono qui!»
Iniziò a distinguere le parole, acquistando lucidità. Provò a muoversi, ma la stretta che sentiva non si era allentata. Fece scivolare lo sguardo lungo la figura che la teneva prigioniera. Il corpo minuto di Gabrielle era avvinghiato al suo e non sembrava intenzionato a smuoversi di un solo millimetro.
Un affaticato sorriso prese vita sul volto della Principessa Guerriera. La testarda biondina aveva trionfato sul Fato.
La piccola proprietaria della voce esultante si avvicinò alla coppia, scuotendo il braccio dell’aedo ancora privo di sensi. Era una bimba bionda, con la più gioiosa espressione sul viso che Xena avesse mai visto. Non ci mise molto a riconoscere la Rana Gialla, la giovanissima guida che aveva aiutato la sua compagna.
«Gabby! Gabby, sveglia!» iniziò a cantilenare la bambina, nel tentativo di svegliare l’amica.
In risposta, la poetessa emise un mugolio di disapprovazione, serrando ancora di più le palpebre.
Schiarendosi prima un po’ la gola, Xena disse: «Forza, Gab, comincio a non sentirmi più le gambe.»
All’udire la voce della guerriera, Gabrielle spalancò gli occhi, voleva essere certa che il corpo, che per tanto tempo aveva desiderato accanto a sé, fosse ancora effettivamente lì. Poi, una volta che ebbe stretto ancora di più la morsa per assicurarsi che non si trattasse di un’illusione, sondò le iridi celesti in cerca della risposta alla domanda che non aveva il coraggio di porre.
«Sì» le lesse nel pensiero la mora «La mia confusione è sparita. Mi ricordo ogni cosa con chiarezza, non temere.»
La bionda, preda della contentezza, non potè resistere all’impulso di lasciare un rapido bacio sulle labbra dell’altra.
«Gab» mormorò la guerriera, facendo una smorfia «Non in pubblico, c’è la bambina!»
Ma Masika, vedendo quel piccolo gesto d’affetto, riprese a saltellare e a battere le mani, contenta.
All’udire quel fracasso, Isis accorse da una delle altre sale attigue del tempio, giusto in tempo per vedere la giovane Rana Gialla improvvisare un balletto di vittoria.
«Avete sconfitto Sekhmet! Quella brutta cattiva non potrà più fare del male alla povera gente d’Egitto» canticchiò, cominciando a vorticare attorno alle due.
«Per favore, Masika» la redarguì la dea della magia, con il solito tono gentile «Lascia che almeno si rimettano in piedi. Ricorda il contegno che si addice agli dei.»
Come se si fosse pietrificata all’istante, la piccola arrestò il suo dimenarsi e bisbigliò qualche frase di scusa.
Quella nuova quiete diede modo a Xena e Gabrielle di rialzarsi. Il bardo continuava a tenere una mano sul braccio della compagna, come ad assicurarsi che non potesse sparire da un momento all’altro.
«Bentornate» disse Isis, avvicinandosi «Sono felice di vedervi finalmente insieme.»
«E noi siamo felici di essere qui, insieme» replicò Gabby, scostandosi dalla mora per andare ad abbracciare la dea. «Quanto siamo state via? Mi sembrano trascorsi mesi!»
«La barca di Ra ha percorso il cielo solo una ventina di volte da quando ci siamo viste. La magia altera lo scorrere del tempo per coloro che vi sono immersi» spiegò l’egizia.
Continuarono a chiacchierare di quanto accaduto con il sorriso sulle labbra, incapaci di celare la propria gioia.
Anche la Principessa Guerriera non poteva negare di essere contenta, ma un dubbio aveva iniziato ad insinuarsi nella sua testa e non riuscì a tenerlo per sé troppo a lungo. «Cosa ne è stato delle quarantamila anime che la mia morte aveva vendicato?» domandò, interrompendo il dialogo delle altre due.
«Non temere» la rassicurò la maga «Nulla potrà mai distoglierle dalla loro pace. Tramite le prove a cui siete state sottoposte e grazie all’amore di Gabrielle, la tua anima è stata purificata. Non dovrai più rimediare agli errori del tuo passato. Hai avuto una seconda possibilità.»
«Abbiamo avuto» commentò la poetessa, tornando vicino alla compagna.
Isis sorrise nel vedere finalmente con i propri occhi quell’amore per cui tanto le due donne avevano lottato, ma il suo viso si rabbuiò all’improvviso realizzando che mancava un individuo all’appello. «Dov’è Sekhmet?»
«L’ho uccisa» rispose la bionda con una nota fredda nella voce «Adesso non potrà più perseguire i suoi scopi malvagi.»
La dea non rispose. Assunse un’espressione pensierosa e lasciò la coppia, per avvicinarsi alla parete che aveva funto da portale. Vi poggiò una mano e iniziò a recitare una strana cantilena. Quando staccò il palmo dalla superficie, all’apparenza tornata normale, il muro vibrò, rivelando che il varco verso il mondo magico ancora non era chiuso. La dea rabbrividì e il suo viso divenne pallido. Non voleva credere ai propri occhi. Non aveva preso in considerazione un pericoloso fattore.
«Qualcosa non va?» domandò la poetessa.
«Masika, puoi lasciarci da sole?» chiese Isis alla bambina, la quale, silenziosamente, si dileguò in uno dei corridoi celati dagli arazzi.
Xena intuì subito che ci fosse qualche problema. I suoi muscoli si irrigidirono mentre rifletteva su quale potesse essere lo scenario peggiore. «Qualcosa è andato storto con l’incantesimo e quel muro traslucido è un brutto segno.» Non c’era nessuna inflessione interrogativa, sapeva riconoscere un guaio quando si presentava.
La maga annuì, per poi spiegare: «Avendo ucciso Sekhmet in uno dei mondi fittizi avete liberato il suo spirito all’interno del flusso magico. Si sta impossessando a poco a poco dei miei poteri. Presto sarà abbastanza forte da attraversare le barriere e giungerà qui. Sarà inarrestabile, più potente di qualsiasi divinità d’Egitto.»
Gabrielle spalancò gli occhi, sconvolta ed impaurita al contempo. Credeva di aver eliminato la minaccia una volta per tutte.
«Abbiamo ancora una possibilità» la rassicurò Isis «Tu» continuò rivolta alla Principessa Guerriera «La puoi fermare. Una volta uscita, la ucciderai come hai fatto con gli dei dell’Olimpo. La eliminerai per sempre.»
«Non posso» replicò la guerriera, sentendo la presa della compagna farsi più salda «Quel potere mi è stato tolto tempo fa, quando ho rischiato di abusarne.»
Isis, se possibile, si fece ancora più terrea.
«Questo è un problema serio, dico bene?» continuò Xena «Nessuno sarà in grado di fermarla se esce da lì.»
La dea fece cenno di sì ancora una volta.
«Non esiste un modo per intrappolarla una volta per tutte?» domandò l’aedo.
«Uno ci sarebbe…» mormorò la divinità «Ma… No, non potrei mai… Eppure è l’unica soluzione…»
«Potreste spiegarvi meglio?» la pregò il bardo.
Facendo un profondo respiro, la dea cercò di raccogliere il coraggio necessario per dare alle due l’ultima notizia che avrebbero voluto ricevere. «Il passaggio richiede un costo.»
Le due si guardarono preoccupate.
«Voi avete transitato nel flusso magico grazie al Chakram e siete tornate indietro, riportando l’equilibrio di vite che l’arma aveva predisposto, ma se vogliamo impedire che Sekhmet esca grazie allo scettro che ha portato con sé, un altro deve pagare il prezzo più alto. Un’anima per un’anima. È necessario un sacrificio.»
«No, aspettate un attimo» intervenne Gab «Io sono entrata da sola e Xena è potuta tornare indietro con me. Due spiriti al prezzo di uno. Non ha senso.»
«Questo perché forse non mi sono spiegata in modo chiaro» rispose l’egizia «Il mio incantesimo ha legato al cerchio anche l’essenza di Xena, quando lo hai estratto dalla parete, lei era già con te, ma non potevi saperlo. Lo scettro del Faraone, invece, ha ancora un transito da garantire. Qualcuno deve entrare nel portale o tutti sappiamo bene chi sarà ad utilizzarlo per uscire.»
Sulla sala calò un gelido silenzio.
«Ma c’è un ulteriore problema: il sacrificio deve essere volontario e compiuto da un’anima pura. La magia richiede sempre il prezzo di un innocente» concluse tristemente.
«No… Non è possibile» ridacchiò isterica Gabrielle «È il colmo.»
«Gab» disse la Principessa Guerriera in tono serio «È per causa mia che tutto questo è iniziato. Era me che quella pazza voleva attirare qui, è il mio Chakram che voleva, il mio potere di uccidere gli dei. È giusto che sia io a pagare.»
«No, mi rifiuto! Dopo tutto quello che ho passato per riportarti da me non sopporterò il dolore di perderti un’altra volta! Non puoi chiedermi di tornare indietro senza di te!»
«È la stessa situazione di Higuchi» la frenò l’altra, prima che iniziasse a criticare l’ingiustizia della Sorte «Devo farlo, per il bene superiore. Se le permettessimo di tornare, moltissimi ne farebbero le spese, tu mi hai insegnato quale sia la cosa giusta da fare.»
La poetessa si preparò dare il via una discussione da cui era determinata ad uscire vincitrice, ma Isis intervenne prima che il dibattito avesse inizio: «Temo di avere un’altra brutta notizia.»
Le due si voltarono a fissarla, sconvolte.
«Entrando a far parte del fluire della magia, temo che il tuo ciclo di reincarnazioni possa essere compromesso.»
Gabrielle scosse la testa, incredula.
«Potreste non ritrovarvi nelle vite future.»
Il bardo crollò a terra, senza un lamento. Si era sentita improvvisamente svuotata. La sua impresa di riportare in vita la sua anima gemella era parsa riuscita, aveva davvero creduto di poter trionfare sul Fato. Invece avrebbe perso tutto, anche la possibilità di riunirsi a lei una volta reincarnate.
Xena si abbassò, offrendole un aiuto per rialzarsi. L’aedo dovette fare totale affidamento su di lei, poiché le proprie gambe sembravano incapaci di smettere di tremare.
«Mi dispiace terribilmente» sussurrò la divinità, mentre la sua guancia destra veniva percorsa da una singola lacrima «Non avrei mai immaginato che potesse capitare una cosa simile… È stato sciocco da parte mia essere così poco previdente.»
«Non fatevene una colpa» intervenne la guerriera «Voi avete agito per aiutarci. Non vi saremo mai grate abbastanza per averci concesso questo, seppur poco, tempo insieme.»
Gab iniziò a singhiozzare, provò a contenersi, ma ciò non faceva che peggiorare la situazione.
La compagna la strinse a sé, lasciando che si sfogasse. Poteva capire che fosse distrutta. Mai si sarebbe aspettata di farle rivivere il loro doloroso addio ancora una volta.
«Comprendo che abbiate bisogno di tempo per… Accettare la cosa» disse Isis, sovrastando il suono della disperazione del bardo. Senza aggiungere altro, si allontanò, seguendo la strada che la Rana Gialla aveva percorso poco prima, lasciandole sole.
Per diversi minuti nessuna delle due ebbe il coraggio di parlare. La bionda si calmò a poco a poco, ma non riuscì a fermare le lacrime, che ormai avevano inzuppato parte del corpetto della Principessa Guerriera che, dal canto suo, non sapeva che altro fare se non stringere a sé il corpo tremante dell’altra.
«Xena» mormorò Gabrielle, trovando la forza di mettere insieme un pensiero nell’uragano di emozioni che l’aveva investita «Perché? Perché devo perderti di nuovo?»
«Non mi perderai mai, Gab, lo sai. Io sarò sempre con te, nel tuo cuore.»
La poetessa riprese a singhiozzare, memore delle parole, quasi identiche, che la sua allucinazione di Xena aveva usato durante il viaggio di ritorno dal Giappone.
«Ti prego, non piangere, sai quanto mi faccia soffrire vederti in questo stato» continuò la mora, asciugando le gote dell’altra con il dorso della mano.
«Ma… Io non posso, non voglio vivere senza di te! Capisci cosa mi stai chiedendo di accettare? Non ti rivedrò mai più, non mi resta neppure la speranza per il futuro!»
La Principessa Guerriera sorrise con gli occhi lucidi, perdendosi per un momento in un ricordo. «Sai cosa mi disse una volta una persona molto saggia?»
«Cosa?» chiese la poetessa, resistendo all’impulso di tornare a gemere.
«Esiste sempre una speranza.»
«E chi mai sarebbe questo sommo dispensatore di sapienza?» borbottò, cercando di darsi un contegno dopo la crisi di pianto.
«Non te lo ricordi, davvero?»
L’aedo scosse la testa.
«Me lo hai detto tu la sera che ti sei unita a me nei miei viaggi, volevi convincermi che anche per il lupo più cattivo c’era una possibilità di redenzione.»
Gli occhi smeraldo, ancora umidi, brillarono quando Gabrielle riportò alla mente quel frangente. «Ero proprio una ragazzina ingenua…» commentò amareggiata.
«No» disse la mora «Io credo che quella ragazzina ingenua, come la chiami tu, avesse capito da sempre la lezione che io ho tanto faticato a fare mia. Ho speso buona parte della mia vita a portare dolore e il resto dei miei giorni a rimediare al male che avevo fatto. Se non ci fosse stata quella stessa fanciulla a mostrarmi che il riscatto era possibile, non saremmo qui. Mi sarei arresa anni fa, avrei lasciato perdere, ritirandomi in qualche eremo sperduto, convivendo con i miei sensi di colpa. Tu mi hai salvata, Gabrielle, e la tua incrollabile speranza in un futuro migliore è forse la prima cosa che mi ha colpita, la prima delle tante qualità che mi ha fatta innamorare di te. Non lasciare che questa esperienza si porti via il meglio di te. Combatti, sii forte, abbi fede in noi, nel nostro amore che, lo abbiamo già dimostrato, sa essere più forte del Fato. Forse abbiamo perso questa battaglia, ma non perderemo la guerra. Io farò di tutto per poter tornare da te, ma adesso devo fare ciò che è meglio per l’umanità. Sai che è un po’ la mia specialità, ormai.»
Il bardo rimase ad ascoltare in silenzio. Raramente Xena si dilungava in simili monologhi, non era tipo da esprimere i propri sentimenti con elaborati giri di parole, ma non era riuscita a trattenersi di fronte alla triste prospettiva di non avere mai più occasione di tirare fuori quei pensieri dal proprio cuore.
Per una volta, Gabrielle non fu in grado di emettere neppure un fiato. Certo, era capitato che non riuscisse a trovare il termine adatto da utilizzare in uno dei suoi racconti, o che le sfuggisse un vocabolo ogni tanto mentre era alla ricerca di un sinonimo, ma quel caso era diverso. Ciò che la Principessa Guerriera aveva detto l’aveva colpita negli abissi più profondi dell’anima. Non aveva parole perché non ce n’era bisogno, erano superflue.
Restava una sola cosa da fare.
Avvicinando lentamente il proprio viso a quello della compagna, la poetessa registrò ogni frazione di secondo di quel momento. C’erano stati tanti baci nella loro vita insieme, più di quanti potesse ricordare e decisamente più baci di commiato di quanti sarebbero stati necessari. Quello, però, portava con sé una pesantezza unica. Sarebbe stato l’ultimo. Si sperava non per l’eternità, ma non potevano saperlo. Potevano solo sperare.
Mentre le sue labbra si fondevano con quelle della mora, Gabby sentì l’inconfondibile salinità delle lacrime, ma sapeva che non si trattava delle proprie. I pozzi cerulei che tanto amava stavano riversando tutto il resto che Xena non era stata in grado di pronunciare.
Avrebbero voluto più tempo, avrebbero voluto cambiare il passato, avrebbero voluto ancora una seconda possibilità.
«È ora» annunciò Isis, facendo ritorno e dirigendosi direttamente verso il portale. Recitò un canto rituale e la superficie tornò ad essere perfettamente lucida, come quando Gabrielle l’aveva attraversata all’inizio di quell’avventura.
«Mi spiace davvero immensamente» ripetè più volte la divinità, avvicinandosi alla Principessa Guerriera, per scortarla verso il suo destino.
L’aedo non lasciò il fianco dell’amata neppure per un istante. La accompagnò passo passo, stringendole la mano.
Il trio si fermò a poche braccia dal varco.
«Ricorda di non perdere la speranza» sussurrò la guerriera, sciogliendosi dalla stretta dell’altra «Ti amerò sempre e comunque, reincarnazioni o meno.» Come ultimo gesto, sfiorò appena il Chakram che ancora una volta era appeso alla cinta del bardo. Ormai le apparteneva, era tutto quello che le poteva lasciare, insieme ai ricordi della loro vita insieme.
Le iridi cerulee e quelle verdi si incontrarono nuovamente e si scambiarono un milione di pensieri che non avevano trovato altro modo di manifestarsi. Quello sguardo conteneva ciò che avevano affrontato insieme: le gioie e i dolori, i momenti di struggente solitudine e quelli di profonda intimità, i giorni impiegati a contrastare i più svariati nemici e le notti spese a riscaldarsi l’una nelle braccia dell’altra. Al fondo degli occhi di entrambe c’era l’immagine riflessa del loro amore, l’estremo e più sincero saluto.
Tutto era pronto per il grande momento.
Tutto era predisposto per il sacrificio.
Tutto era stato considerato, tranne un piccolo particolare.
Da dietro una delle statue zoomorfe sistemate lì vicino, fece capolino la Rana Gialla, che subito si frappose tra Xena e il muro.
«Non posso permetterti di farlo» disse la piccola, con un’espressione seria sul volto.
«Masika» mormorò la guerriera «Spostati, non rendere tutto questo più difficile di quanto non sia.»
«No» replicò fermamente la ragazzina «Non lascerò che ti sacrifichi. Non voglio vedere Gabby soffrire ancora. Ho visto com’è felice quando è con te, non permetterò che Sekhmet l’abbia vinta, portandoti via dalla tua anima gemella.»
«Tu non capisci» tentò di farla ragionare l’adulta «Devo farlo. Solo io posso proteggere l’Egitto, e forse il mondo intero, da questa minaccia.»
«Su questo ti sbagli» rispose la bambina, dandole le spalle per fronteggiare il portale «C’è bisogno di un’anima pura, non per forza deve essere la tua.»
«Stammi a sentire» la ammonì la Principessa Guerriera, con tono di voce alterato «Non fare sciocchezze.»
«Oggi sarò io a salvare il mondo.»
Masika colmò il poco spazio che la separava dalla superficie magica con un balzo. Xena, sbigottita, non riuscì ad afferrarla prima che svanisse inghiottita dal nero varco che, immediatamente dopo, tornò ad essere un semplice muro di pietra.
Isis e Gabrielle rimasero paralizzate dallo shock. Era avvenuto tutto troppo velocemente.
Xena crollò sulle proprie ginocchia e riprese a piangere silenziosamente. La sua mente era un vorticare impetuoso di emozioni, ma sopra tutte dominava il dolore, perché ancora una volta si sentiva responsabile per la morte di una persona innocente.
 
Ci vollero diverse ore per comprendere, ma soprattutto accettare, il coraggioso gesto che la Rana Gialla aveva deciso di compiere. Aveva dato tutta sé stessa spinta dal più sincero altruismo, cosa che chiunque avrebbe trovato sorprendente ed ammirevole.
Il trio pianse a lungo, ma ad un certo punto gli occhi arrossati smisero di lacrimare, i singhiozzi lasciarono posto a profondi sospiri e la consapevolezza che il mondo era salvo ancora una volta risollevò loro, in minima parte, il morale.
Xena e Gabrielle, ancora incredule di essere state risparmiate dal Fato che le avrebbe strappate l’una all’altra, si prepararono per ripartire. Ritrovarono Argo, che fu contenta come non mai di rivedere il perduto cavaliere, e presero con loro anche il dromedario di Masika, che sarebbe dovuto tornare da dove era venuto.
Poche frasi furono scambiate in quell’arco di tempo. Il dolore era ancora troppo vivo nei loro cuori per provare a lenirlo con le parole.
Per il lupo e l’agnello venne il momento di dire addio alla dea dopo essere state accompagnate all’uscita del tempio.
Il cielo stellato brillava sopra il deserto, mentre un vento freddo spirava, sollevando piccoli turbini di sabbia. La giumenta sbuffò, tastando impaziente il terreno con gli zoccoli. Era il momento di rimettersi in viaggio.
«È stata una sua scelta quella di offrirsi come sacrificio. Non posso certo dire di averla condivisa, ma è stata molto nobile da parte sua» disse Isis al momento di salutarsi «Credo che il motivo che l’abbia davvero spinta sia stato quello di preservare il vostro amore. Anche lei, come me, deve aver visto quanto unico e prezioso sia, vi prego di non sprecare questo dono.»
«Grazie» rispose la poetessa, parlando anche per la compagna «Grazie di averci dato questa seconda possibilità. Avessi saputo quale sarebbe stato il prezzo per il nostro stare insieme, forse avrei desistito, ma, visto come sono andate le cose, vi assicuro che non permetterò che il gesto di Masika venga dimenticato.» Si voltò verso Xena e ne osservò gli occhi glaciali, ancora colmi di rimorso «Ogni volta che vedrò il viso della donna che amo, saprò che è possibile solo grazie a lei.»
Dopo quello scambio di battute, le due donne saltarono in groppa alle cavalcature e iniziarono ad avanzare nella semioscurità della notte.
La divinità rimase immobile ad osservarle, mentre il suo sguardo si perdeva al di là dell’orizzonte e la sua mente formulava mute preghiere e ringraziamenti per la giovane vita che quel giorno era andata perduta.
 
Da lontano, uno sciacallo nero osservò il trio uscire dal tempio ed indugiare in frasi di commiato. Silenzioso come un’ombra, l’animale si intrufolò nel luogo sacro mentre la maga era ancora impegnata con le due figure. Sgusciando rasente alle pareti, arrivò al fondo della sala cerimoniale. Un alto muro di pietra incombeva su di lui. Si guardò intorno con attenzione, alla ricerca di un oggetto in particolare. Un raggio proveniente dalla falce di luna lo aiutò nella sua impresa, illuminando lo scettro d’oro dei Faraoni, che giaceva abbandonato ai piedi del portale ormai chiuso.
Anubis afferrò tra i denti il prezioso manufatto, per poi correre fuori e dileguarsi nuovamente nel buio, dove avrebbe covato in pace la propria vendetta.

NdA: Ebbene, eccoci. La fine è ormai dietro l'angolo. Ho tante cose da dire, ma mi ritaglierò lo spazio necessario la prossima volta. Oggi mi limito ai ringraziamenti: a wislava, per la 26esima volta; a Stranger in Paradise, xena97 e grascalisi per le apprezzatissime recensioni; a tutti gli altri là fuori, che hanno dedicato tempo a questa storia. Voglio avvisarvi che il prossimo (e tanto per ricordare, ultimo) capitolo richiederà tempo e, anche se l'ho già abbozzato, mi porterà via settimane (diciamo pure mesi) e sarà molto più snello e sbrigativo di quanto potreste immaginare. Ma avrete modo di dirmelo la prossima volta. Per ora vi saluto, perchè se mi dilungo poi va a finire che annoio anche me stessa. In fondo non è ancora il momento di congedarsi, per cui: alla prossima.
P.S. Happy Bobunk

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** L'aedo e l'angelo caduto ***


CAPITOLO 27: L’aedo e l’angelo caduto
 
I was right beside you
When you went to Hell and back again
And I, I couldn’t save a fallen angel
Fallen angel, in the dark,
Never thought you’d fall so far
Fallen angel, close your eyes,
I won’t let you fall tonight
Fallen angel, just let go,
You don’t have to be alone
Fallen angel, close your eyes,
I won’t let you fall tonight
Fallen angel…
(Three Days Grace – Fallen angel)
 
La frescura della brezza sulla pelle, il rumore delle fronde di alcune palme scosse da quello stesso vento e la piacevole sensazione dei granelli di sabbia sotto la pelle lavorata degli stivali le riportarono alla mente l’inizio di quell’avventura. Non era trascorsa più di una quarantina di giorni da quando era salpata dalle coste dell’Anatolia, per raggiungere il misterioso individuo che aveva richiesto i servigi della ragazza con il Chakram.
Inspirò a fondo, osservando il sole tramontare tra le dune. Era uno spettacolo meraviglioso.
Una lieve pressione sulla spalla destra le comunicò di non essere sola. L’ombra di un sorriso fiorì sulle sue labbra, la presenza della Principessa Guerriera era in grado di portarle gioia anche nei più tragici frangenti.
Avevano percorso l’intera tratta senza parlare, seguendo la via che le avrebbe ricondotte ad Alessandria e, da lì, nuovamente in Grecia. Dopo quasi una giornata intera di marcia, sempre senza proferire verbo, avevano predisposto un rapido accampamento accanto ad un pozzo, situato non molto distante dalla via principale. Avevano dovuto rinunciare al fuoco, data la mancanza di legna, quindi si stavano godendo gli ultimi istanti di luce prima che l’Egitto ripiombasse preda dell’oscurità.
La presa sulla spalla si fece un po’ più forte. Le dita di Xena si contrassero trasmettendo un comune pensiero.
La morte di Masika pesava sul cuore di entrambe. Avevano perso molti amici ed alleati durante le loro imprese passate, ma il sacrificio di un innocente era sempre difficile da elaborare.
Gabrielle portò la propria mano a sfiorare quella della compagna. Era venuto il momento di rompere quel silenzio.
Inaspettatamente, fu Xena a parlare per prima. «Mi sei mancata molto» disse in un soffio.
«Anche tu» rispose la poetessa, continuando a tenere lo sguardo fisso davanti a sé «Vuoi mangiare qualcosa?» proseguì «Isis ci ha lasciato qualche provvista.»
La Principessa Guerriera acconsentì ed entrambe tornarono là dove avevano sistemato i bagagli. Prima di sedersi per cenare, la mora prelevò un po’ d’acqua dal pozzo e fece abbeverare Argo e il dromedario. I due animali, poi, vennero lasciati legati tra loro, liberi di passeggiare nei dintorni, intanto entrambe le donne erano certe che la giumenta non si sarebbe mai allontanata dalla padrona.
Spezzarono una forma di pane non lievitato, impastato con diversi aromi dal sapore intenso, e lo accompagnarono con frutti aspri e un pezzo di carne di dromedario arrostita in precedenza. Il gusto non era male, ma entrambe fecero fatica a masticarla, dato che il freddo incalzante l’aveva resa morbida quanto un pezzo di cuoio da armatura.
«Mi sembra di addentare la suola di uno stivale» borbottò Xena, strappando un ennesimo morso della propria cena.
Gabrielle sorrise. La compagna si lasciava andare all’ironia solo quando era tranquilla. «Quasi quasi preferirei una ciotola della zuppa lassativa che Joxer aveva preparato per Acestus e la sua armata di Sciiti. Ti ricordi?»
«E come potrei non farlo? Quella settimana è stata una delle peggiori della mia vita! Metà del tempo l’ho trascorso alla latrina… E l’altra metà a fare quei bagni maleodoranti per combattere il maledetto fungo della pelle che tu mi avevi attaccato.»
Risero entrambe al ricordo di quell’episodio.
«Vorrei tornare a vivere avventure come quella» commentò la Principessa Guerriera, una volta che le risa si furono fermate «Eravamo così spensierate, sembrava che nulla di male potesse capitarci.»
Nell’oscurità, la mano di Gabby cercò quella della compagna, incapace di darle supporto in altro modo, sapendo che non ci sarebbero state parole in grado di placare l’animo turbato della combattente.
«Sei stranamente silenziosa» osservò la mora «Mi sarei aspettata un discorso poetico sul come, alla fine, anche le tragedie condivise siano servite ad avvicinarci.»
«Sapevo che non avrei avuto bisogno di dirlo» replicò la bionda «Lo pensavi già. Ormai è come se condividessimo un’unica mente, abbiamo assunto l’una tratti dell’altra. Credo che potrei trascorrere ore al tuo fianco senza bisogno di dire nulla, intanto sapresti esattamente quello che penso.»
La pallida luce della luna piena cominciò a posarsi tra le dune, mentre il satellite sorgeva dalla linea dell’orizzonte. Il silenzio era nuovamente il protagonista della scena.
Gabrielle sospirò. Aveva immaginato tante volte il momento in cui si sarebbe ricongiunta col suo angelo caduto, ma tra tutti gli scenari che aveva contemplato nessuno si avvicinava a quello che stavano vivendo.
Ci fu un singolo istante in cui si domandò se avesse fatto la scelta giusta. L’incantesimo di Isis aveva disturbato le anime dei defunti e forse ne aveva in qualche modo interrotto il riposo, inoltre era costato la vita della Rana Gialla. Non era un bilancio tragico, ma non aveva modo di essere sicura di aver fatto la cosa giusta. Aveva sempre agito per il bene superiore, ma come avrebbe potuto sapere se riportare Xena in vita non avrebbe causato poi una serie incontrollabile di eventi catastrofici?
La mano che stringeva la sua sciolse la presa e un paio di braccia toniche le avvolse il busto.
I dubbi si dileguarono senza lasciare traccia. Qualunque fossero le conseguenze dell’aver sfidato il Fato per riportare la Principessa Guerriera in vita, le avrebbe affrontate fianco a fianco della sua anima gemella.
Quel tenero abbraccio si protrasse a lungo, ma venne il momento in cui il sonno arrivò a solleticare le palpebre di entrambe. Avevano sonnecchiato durante la cavalcata nel deserto, ma dormire in sella non era particolarmente comodo e avevano bisogno di essere ben riposate.
La mora si premurò di scuotere per bene le pelli, per eliminare il più possibile la sabbia, poi si sdraiò, battendo con la mano lo spazio vuoto accanto a sé.
Gli occhi di Gabrielle brillarono, le era mancato quel gesto. Si allungò accanto alla compagna senza farselo ripetere, rilassata dal calore residuo delle dune sotto di lei e da quello del corpo vicino.
Una folata di vento più forte delle altre portò il bardo ad accoccolarsi nuovamente tra le braccia della guerriera. Chiuse gli occhi, sentendosi in pace, al sicuro.
«Gab, sei sveglia?» domandò Xena dopo un po’.
La bionda mugugnò.
«Non riesco a prendere sonno.»
L’aedo si voltò per osservare l’altra in viso. La luna e le stelle le rivelarono che la Principessa Guerriera aveva gli occhi lucidi.
«Vorrei che mi parlassi della bambina.»
Gabrielle si sciolse dall’abbraccio e si puntellò sui gomiti, per poter dialogare più comodamente. «Davvero?»
«Sì» rispose « L’avevo osservata dall’aldilà mentre vegliavo su di te, ma mi piacerebbe che mi raccontassi di lei, vorrei conoscerla per quanto possibile. Il suo sacrificio è ciò che mi ha permesso di essere qui, glielo devo. E poi, da quanto tempo è che non mi racconti una storia?»
«Troppo» commentò la poetessa, pensierosa.
«E allora, forza» la incoraggiò l’altra «Narrami le sue gesta come solo il bardo battagliero di Potidaea saprebbe fare.»
Gabby sorrise a quella richiesta, ma la sua espressione mutò in fretta. «In realtà» mormorò «Non so molto di lei…»
Un primo singhiozzo proruppe dalle sue labbra, mentre le lacrime iniziavano a scorrere.
«Insomma, non so neppure se avesse una famiglia, una madre che magari ora è in pensiero per lei o un padre che la sta cercando in lungo e in largo… Ho lasciato che mi guidasse, che Heqet adempisse il suo compito senza preoccuparmi della persona oltre la divinità…»
Balbettava perdendo qualche sillaba tra i singulti.
«Le piaceva ascoltare le leggende della nostra terra, era così curiosa, così desiderosa di imparare… Sarebbe diventata una brillante giovane donna.»
«Non volevo causarti tutto questo dolore» mormorò Xena, quasi stesse cercando di scusarsi «Possiamo riparlarne più avanti, quando ti sentirai pronta.»
Gabrielle si asciugò il volto ed annuì. Ripensò a quante volte avesse compiuto quel semplice gesto durante i mesi passati. Aveva pianto più in quel breve periodo che non durante l’intero corso della propria vita, doveva farsi coraggio.
«Non c’è da vergognarsi per il dolore che provi» sussurrò la mora, passandole piano il pollice su una guancia a raccogliere una nuova lacrima «Con me puoi sfogarti, lo sai. Lo hai sempre fatto, non c’è motivo per cambiare adesso.»
Lo sapeva, per quanto la Principessa Guerriera l’avesse cambiata, il suo primo insegnamento era quello di rimanere fedele a se stessa. Continuò a piangere, mentre veniva cullata piano da quelle braccia che l’avevano stretta per tante notti in passato e finalmente erano tornate per darle conforto.
Smise quando si sentì completamente svuotata. Non erano rimasti né tristezza, né dolore, né rimorso, solo tanta stanchezza.
«Dormi bene, Gab» disse il suo angelo caduto, prima di baciarla dolcemente sulla fronte «Veglierò su di te.»
 
Il vento sbuffava imperioso nel deserto, sollevando grandi quantità di sabbia che le finiva negli occhi, le intasava naso e orecchie, le si incastrava tra i capelli facendole prudere la testa, mentre le ciocche le frustavano il viso. Non riusciva ad alzare lo sguardo, ma era certa che non sarebbe riuscita a vedere il cielo oltre quella tormenta.
Le sembrava di essere tornata agli incubi di un tempo, in cui avanzava senza meta, ma quella volta qualcosa sembrava contrastare il suo incedere. Le raffiche iniziarono a fischiare, trascinando con sé sempre più polvere e altri suoni distanti.
Mettere un piede davanti all’altro divenne sempre più difficile, le pareva di affondare ad ogni passo. Non poteva fermarsi o sarebbe stata sepolta dalla tempesta.
Seppe di doversi mettere a correre quando udì il primo ruggito.
Sekhmet lo aveva detto: lei era in grado di entrare nei sogni dei mortali, così come poteva farlo suo padre Horus. Non le avrebbe dato pace.
«È solo un sogno» iniziò a ripetersi, mentre si sforzava di procedere «Non può davvero farmi del male» si disse, ma ogni volta che pronunciava quelle parole sentiva che perdevano di credibilità. Non poteva sapere di cosa fosse capace visto che aveva assorbito parte dei poteri di Isis.
Un ringhio sordo, unito al fragore della tormenta, le scosse i timpani.
Inciampò.
Il terrore di sentirsi ghermire dagli artigli della leonessa la fece tremare fin nelle ossa, ma il vento continuò ad ululare senza che nulla, oltre la sabbia, le piombasse addosso.
Si rialzò e riprese l’insensata fuga.
Come poteva scappare da qualcosa che era dentro di lei?
Il monotono paesaggio color ocra venne spezzato da un riflesso bluastro. Aguzzò la vista, notando comparire dell’acqua, ma non esultò, temendo che potesse trattarsi di un miraggio o di un trucco.
Eppure non aveva scelta, doveva provare a raggiungere quella speranza di salvezza.
Non aveva mai sfidato tanto i propri limiti, i muscoli le dolevano oltre l’immaginabile, il fiato le mancava per via dello sforzo e della polvere che le stava riempiendo i polmoni. Era certa che le ginocchia si sarebbero paralizzate da un momento all’altro e sarebbe crollata, faccia a terra, senza la possibilità di rimettersi in piedi.
Invece continuò a correre inarrestabile verso la meta.
La cortina caotica sollevata dalle raffiche le offuscava la vista, ma sapeva di dover avanzare di fronte a sé.
Quando la punta del piede sinistro toccò la superficie perfettamente piatta del fiume, tutto si immobilizzò. Il vento cessò, lasciando ogni granello di sabbia sospeso nell’aria. Il Nilo era statico, le ninfee non ondeggiavano, le canne di papiro sembravano colonne di un tempio, non si scorgeva neppure un’increspatura.
Gabrielle indietreggiò spaventata, ma nulla cambiò.
Notò che il suo petto si alzava e abbassava rapidamente nel tentativo di riprendere fiato, ma i frammenti sospesi attorno a lei rimanevano imperturbabili anche a ciò.
Non aveva senso.
Dopo essersi ripresa, lasciando che la curiosità avesse la meglio sul timore, sfiorò uno dei granelli vicini alla mano destra.
Come se qualcuno avesse fatto ripartire lo scorrere del tempo, la sabbia sospesa precipitò a terra con un lieve fruscio, lasciando che quel frangente di deserto piombasse nella calma più totale.
Allora la poetessa ebbe l’istinto di alzare lo sguardo. Il cielo rimase terso per un istante, poi si ingombrò di nuvole nere.
Cadde un’unica goccia di pioggia, che si posò sul suo palmo aperto, levato verso l’alto.
Osservò la piccola semisfera correre lungo le linee della sua pelle, poi la lasciò scivolare verso il fiume.
Impattando contro la superficie, quella lacrima delle nubi originò un cerchio che risuonò con un tintinnio cristallino. Dal luogo di quel contatto iniziò a diffondersi uno strano alone scarlatto che presto si propagò lungo tutto il nastro argenteo, tramutandolo in una stola cremisi.
Gab osservò inorridita le piante acquatiche avvizzire e venire inglobate dal vischioso liquido rosso, mentre sopra la sua testa rimbombavano tuoni e brillavano lampi.
Sopravvisse un bianco fiore di ninfea, che sembrava opporsi con tutte le proprie forze a quel destino.
La donna si chinò ed allungò il braccio, arrivando con le dita a sfiorare il coraggioso bocciolo. Si sporse per riuscire ad afferrarlo e, con un colpo deciso, lo sradicò.
I petali si chiusero con uno scatto e la quiete sembrò tornare a regnare.
Da uno squarcio tra le nubi calò un raggio di sole che illuminò il fiore, tingendolo di colori dorati.
L’aedo osservò impotente, mentre una raganella gialla si dibatteva per uscire dall’improvvisata prigione floreale.
Lasciò ricadere la ninfea nel Nilo e l’acqua tornò ad essere tale, mentre tra le onde generate dal fiore vedeva formarsi una figura nota.
Masika uscì dal fiume, rimanendo perfettamente asciutta. Indossava una tunica candida, con una fascia d’oro stretta in vita, mentre una spilla a forma di rana, dello stesso colore della cinta, brillava sul petto.
La bambina, sorridendo, tese le braccia verso l’amica.
La donna tentennò. Era sorpresa di vedere la Rana Gialla, naturalmente la prima emozione da lei registrata era stata la gioia, ma il dubbio si era insinuato presto: quello poteva essere l’ennesimo tranello.
Rimase in attesa, senza sapere se fidarsi o meno di quel visino tanto espressivo e familiare.
«Che c’è, Gabby?» domandò la piccola con voce squillante «Non sei contenta di vedermi?»
L’innocenza traspariva da quelle poche parole e dagli occhi luminosi che la osservavano, eppure non poteva fare a meno di ripensare a come si era lasciata imbrogliare da Meskhenet e le sue commedie all’inizio del viaggio in Egitto.
«Gabby?» ripetè Masika, avvicinandosi leggermente.
L’interpellata, senza distogliere lo sguardo, fece un passo indietro. «Come faccio a sapere che sei davvero tu? Potrebbe essere un altro tiro mancino di Sekhmet.»
Il volto della bimba si rabbuiò ed assunse un’espressione dispiaciuta, che venne, però, spazzata presto via da un nuovo sorriso. «Ho una prova» disse, gongolando «Se te la mostro, mi crederai?»
Gabrielle annuì, sospettosa.
Con un gridolino di contentezza, la bambina alzò la testa e si mise a guardare le nuvole, imitata subito dopo dalla scettica poetessa.
Con uno stridio portentoso, spazzando via il maltempo con un colpo d’ali, comparve un maestoso, gigantesco falco color del sole. Sembrava che la luminosità del cielo provenisse dalle sue lunghe penne che vibravano sospinte dalle invisibili correnti aeree.
Il volatile atterrò accanto alla Rana Gialla e, chiudendosi nelle braccia piumate, mutò nella figura che era apparsa all’aedo durante la traversata verso la Terra dei Faraoni.
«Horus…» mormorò Gab, strabiliata.
«Sono contento di rivederti, Gabrielle» rispose il dio con la testa di rapace «Alla fine hai ottenuto la tua seconda possibilità, ero certo che tu e la tua compagna avreste superato anche le prove più ardue.»
La bionda balbettò un ringraziamento, ancora scossa da quell’apparizione.
«Ti basta come prova?» chiese trepidante Masika, molleggiando sulle punte dei piedi, come fosse sul punto di saltare in braccio all’adulta.
«Ma… La tempesta? I lampi? Il sangue? Non era un tentativo di Sekhmet per farmi del male? Ho persino sentito i suoi ruggiti!» replicò il bardo, troppo diffidente per accettare la realtà dei fatti.
La bambina scosse il capo. «Era tutta opera tua, una suggestione, il manifestarsi delle tue paure e dei tuoi sensi di colpa.»
Nel momento in cui quella frase venne pronunciata, la poetessa capì la verità in essa contenuta. Allora sentì tutta la tensione sciogliersi e lasciò che la piccola le gettasse le braccia al collo.
Pianse, nascondendo le lacrime nella folta chioma chiara che profumava di fiori.
Il principe degli dei osservò quella scena tenendo le braccia incrociate sul petto. Sembrava mantenesse un atteggiamento severo e distaccato, ma lo faceva solo per abitudine, se gli fosse stato concesso, si sarebbe quasi unito a quell’abbraccio.
«Cosa è successo dopo… Dopo che sei entrata nel portale?» volle sapere Gabrielle, una volta che si furono ricomposte.
Senza perdere la contentezza dipinta sulle sue labbra, la bambina si mise a raccontare: «Ho provato una sensazione davvero strana. È stato come liberarmi di un peso e sono arrivata in un posto bellissimo, pieno di luce. Ho rivisto mia mamma, mio papà e anche mio fratello, insieme alla sacerdotessa Aziza, che se n’era andata lo scorso anno…» La fronte di Masika si corrugò, mentre rifletteva su qualcosa. Schioccò le dita esclamando: «E c’era lui!»
Horus, sentendosi chiamato in causa, annuì.
«Mi stava aspettando perché voleva parlarmi. Posso dirglielo?» proseguì, rivolta al dio falco.
Lui fece cenno di sì.
«Mi ha affidato un incarico ufficiale, molto importante» riprese, questa volta in direzione del bardo «Guarda questo.»
Da sotto la tunica, appeso al collo con una sottile catenella, mostrò all’amica un medaglione aureo, su cui era inciso il famoso Occhio di Ra, la cui pupilla era costituita da un brillante rubino.
«Cosa sarebbe?» chiese la poetessa, ben sapendo che avrebbe avuto quella risposta anche senza porre la domanda.
«È il mio lasciapassare» gongolò inorgoglita Masika, riponendo il gioiello sotto la veste «Quello che mi permette di entrare nei sogni dei mortali.»
«Le ho concesso il grande onore di essere la mia ambasciatrice» intervenne il rapace «Svolgerà qualche lavoro per me. Ogni tanto i più giovani vengono intimoriti dal mio aspetto, quindi ho pensato che affidare i messaggi ad una figura meno autoritaria fosse una buona idea.»
«Andrò in giro per tutto l’Alto e il Basso Egitto a diffondere il volere degli dei» ribattè la bimba, con un sorriso trionfale.
«È un meritato premio per ciò che ha fatto» tornò a parlare Horus «Lo stesso Ra ha fatto pressioni affinchè le assegnassi questo compito.»
«Quindi, sei felice?» domandò Gab alla Rana Gialla.
«Molto! E adesso che sai che sto bene, sono ancora più felice. Avevo paura che tu e Xena vi incolpaste per il mio sacrificio e non volevo che foste tristi a causa mia.»
L’altruismo di quella coraggiosa piccolina continuava a sorprendere l’aedo, era una qualità ai limiti del divino e, forse, era proprio quella la ragione per cui gli ultraterreni sovrani della Terra dei Faraoni l’avevano accolta tra loro.
Gabrielle si ricordò all’improvviso della richiesta che le aveva fatto la Principessa Guerriera prima di addormentarsi.
«Immagino che non possiate trattenervi a lungo» commentò la donna «Ma prima che andiate vorrei sentire la tua storia, Masika. Xena vorrebbe sapere il più possibile su di te, per ricordarti come più che una vittima sacrificale.»
«Ma certo» ribattè la bimba, ma poi venne assalita da un improvviso dubbio e aggiunse: «Cioè, posso, vero Horus?»
«Certo, bambina mia» la rassicurò lui.
Lei sorrise e iniziò a narrare: «Sono nata undici anni fa, alla periferia di Alessandria, da mamma e papà. Mio fratello Kaphiri è stato molto contento di avere una sorellina con cui giocare, ma purtroppo il tempo dello svago è finito presto. I nostri genitori si sono ammalati e noi siamo stati portati in una casa di accoglienza per orfani. È stato lì che la sacerdotessa di Heqet, Aziza, mi ha trovata e mi ha portata al tempio, quando avevo sei anni. Due anni dopo sono venuta a sapere che Kaphiri era rimasto ucciso mentre lavorava come scaricatore al porto, a quel punto non avevo altra famiglia che le donne del santuario. Sono rimasta con loro fino a che non ti ho incontrata, dopo aver ricevuto l’incarico di portati da Isis.»
«E dimmi» disse Gabby, sedendosi per terra ed invitando la bimba a sederle in braccio «Cosa ti piaceva fare mentre eri con le sacerdotesse?»
«Spesso dovevo occuparmi di tranquillizzare le partorienti e ogni tanto mi veniva chiesto di badare ai neonati, ma la maggior parte delle volte dovevo sedermi tranquilla sotto la statua al centro del tempio e lasciare che Heqet parlasse attraverso di me.»
«Non sembra molto divertente» osservò il bardo.
«Infatti. Mi divertivo quando facevo i viaggi per visitare gli altri templi, ma capitava di rado. Appena potevo sgattaiolavo nelle biblioteche per leggere di miti e leggende, ma le storie che trovavo non erano belle quanto le tue.»
Le due andarono avanti a chiacchierare ancora per qualche tempo, sempre osservate in silenzio dal dio falco.
«Masika, ora dobbiamo andare» le interruppe Horus, notando che il dialogo non accennava a terminare «Doveva essere una visita rapida.»
«Sì, agli ordini» trillò, balzando in piedi accanto al principe.
«Abbi cura di te» la salutò la poetessa con un ultimo abbraccio «E ancora grazie per quello che hai fatto. Non hai salvato solo l’amore della mia vita, ma anche gli abitanti dell’intero Egitto. Sei una vera eroina.»
La piccola allargò ancora di più il sorriso in un tacito saluto.
Un attimo dopo, il dio dalla testa di rapace tornò a splendere come il sole e levandosi in alto portò con sé la bambina, mentre Gabrielle chiudeva gli occhi per riaprirli in un altro mondo.
 
Sopra di lei il cielo riluceva trapuntato di stelle, che però impallidivano a confronto con il disco lunare al massimo del proprio splendore, adagiato candidamente su quel manto ricamato.
Guardandosi attorno intuì che il giorno dovesse essere ancora lontano.
Il freddo era intenso, ma non fastidioso, soprattutto sotto il morbido strato di pelli che la copriva. Sfilò le mani, impigliate nella coperta, e non appena la pelle bollente venne esposta all’aria notturna venne percorsa da un brivido.
Sorrise, sentendosi viva.
Inspirò a fondo ed espirò, assaporando la tranquillità del deserto.
La quiete venne rotta da un bizzarro rumore, un misto tra un debole gorgoglio e un profondo sospiro. Facendo leva sull’avambraccio, la poetessa osservò il mondo intorno a sé. Argo e il dromedario erano lontani, affiancati, intenti a riposare. Non si vedeva altro se non tonnellate di sabbia.
Il suono si ripetè, disperdendosi tutto intorno.
Solo allora Gabrielle lo riconobbe. Erano passati mesi dall’ultima volta che lo aveva udito e non lo aveva immediatamente associato alla donna supina che dormiva poco distante.
Non poteva farci niente, la Principessa Guerriera poteva essere perfetta ed impeccabile sotto ogni aspetto, ma quando riposava sulla schiena emetteva uno strano verso che si ostinava a sostenere non fosse sinonimo del russare.
Le prime volte il bardo aveva temuto che si trattasse del rantolo di qualche animale, ma aveva presto individuato la vera fonte del disturbo. Quando lo aveva fatto notare alla compagna, Xena era arrossita e aveva negato di aver mai russato in tutta la propria vita, ma trascorso qualche tempo la mora era arrivata ad ammettere che, già in passato, altri le avevano appuntato quella spiacevole caratteristica. Col passare degli anni aveva smesso di farci caso, non le capitava spesso di sentirlo e quando accadeva serviva a ricordarle che anche la più inarrestabile delle eroine manteneva comunque un tratto umano.
Con lo sguardo seguì il profilo della figura addormentata. Sarebbe potuta restare ore a farlo. Non si era mai soffermata a riflettere su quanto le mancassero quelle piccole cose, gesti a cui non aveva dato peso ed importanza, fino a che non era stato troppo tardi.
Come se fosse consapevole dell’essere fissata, Xena fece un respiro più profondo e schiuse una palpebra.
«Gab? C’è qualcosa che non va?» domandò con la bocca impastata.
«Assolutamente niente» replicò la bionda, con aria persa «Volevo solo guardarti per recuperare tutto il tempo perduto. Non ti ricordavo così bella.»
La luce lattiginosa della luna illuminò le guance arrossate della Principessa Guerriera. «Cosa ti ha preso?» chiese, per dissimulare il proprio imbarazzo.
«Ho visto Masika» fu la risposta.
La mora si mise a sedere, scrutando le iridi verdi che le sembravano animate da una nuova luce. «Cioè, hai avuto una sorta di visione?»
«La definirei più una visita dal mondo degli spiriti» commentò la poetessa «Però, sì. Mi ha detto che è felice e che sta bene.»
La guerriera sorrise, notando come l’altra fosse sollevata nel pronunciare quelle parole.
«Ha avuto occasione di raccontarmi la sua storia, così da potertela riferire. Sai qual era la sua preoccupazione più grande?»
Xena scosse la testa, aspettando che la compagna proseguisse.
«Che ci incolpassimo per quanto accaduto» disse, infatti, la poetessa «Anche adesso non può fare a meno di preoccuparsi per il bene degli altri. Mi sarebbe piaciuto avere una bambina così, insomma, avrei voluto insegnarle i valori dell’altruismo disinteressato e del coraggio… Sarebbe stata un’esperienza speciale.»
«Sei ancora in tempo» replicò la Principessa Guerriera con tono serio «Se tu lo volessi, potremmo trovare un modo per farti avere un figlio, ma non si accettano divinità malvagie come Dahak questa volta.»
La battuta fece ridere Gabrielle, che poco dopo fece un lieve movimento con la mano, come per allontanare quegli ultimi pensieri. «Non è il caso. Come hai giustamente ricordato, una gravidanza l’ho già fatta ed è stata sufficiente, inoltre, i primi, pochi, mesi passati ad accudire Eve mi hanno fatto passare la voglia di badare ai neonati.» Detto ciò, tacque e si sdraiò sulla schiena per osservare il cielo.
«Forse potrai comunque insegnare qualcosa di buono a qualche marmocchio» mormorò la mora, tornando ad allungarsi al suo fianco «Eve ormai è una donna adulta e tra qualche anno potrebbe decidere di mettere su famiglia. Ci ritroveremmo a fare le nonne senza neppure avere il tempo di rendercene conto.»
La mente del bardo iniziò a vagare, immaginando di trascorrere lunghe giornate sul portico di una bella dimora nei boschi badando ad uno stuolo di piccoli briganti intenti a rincorrersi e a duellare con i bastoni. Lei, seduta su una comoda sedia imbottita, li avrebbe osservati scuotendo la testa con disapprovazione, mentre Xena si sarebbe dilungata a spiegare loro le tecniche migliori per un attacco efficace.
Sapeva bene di illudersi, a lei stessa quella vita sedentaria sarebbe stata stretta. Loro due erano fatte per l’azione, per il pericolo. Avevano ancora tanti torti da raddrizzare, amici da aiutare e terre da esplorare, era presto per appendere le armi al chiodo.
«Sai, non mi importa cosa faremo» proseguì la combattente «Finchè saremo insieme, mi farò andare bene anche il rammendare braghe da mattina a sera.»
Gabby si voltò per fissarla in viso. La Principessa Guerriera non sarebbe mai sopravvissuta ad una quotidianità simile, ma sarebbe stata disposta a provarci, per lei. Calamitata dai limpidi pozzi azzurri, sentì di amarla più di quanto credesse possibile.
«Ti amo anche io» mormorò la mora.
Tutto d’un tratto il mondo per Gabrielle tornò ad essere un luogo meraviglioso in cui vivere: il suo angelo caduto era di nuovo al suo fianco e l’amava, non l’avrebbe lasciata mai più.
Assecondando il proprio istinto, la bionda si fece più vicina alla compagna e la baciò, come se l’avesse nuovamente ritrovata dopo lungo tempo. Non l’aveva mai desiderata tanto.
Xena reagì immediatamente, portando la mano destra ad afferrare la nuca dell’altra, lasciando che le dita si intrecciassero con le corte ciocche bionde mentre si avvicinava le labbra che tanto le erano mancate.
Con un colpo di reni e un calcio alle coperte, la poetessa si portò sopra la compagna, mentre questa continuava ad attirarla a sé. Sentì la mano che dalla collottola scendeva in direzione dei lacci del corpetto, andando a scioglierli con dita esperte, per poi dirigersi ancora più in basso, verso il bordo dei calzoncini e la cinta.
Sentì un gemito nascerle in fondo alla gola, ma lo soffocò, andando ad immergere il viso nell’incavo della spalla della mora, iniziando poi a lasciare una scia di baci risalendo verso le labbra, passando prima dal collo e la mandibola.
Sotto di lei percepiva fremere ogni muscolo della Principessa Guerriera, che mal tollerava di essere intrappolata in quel modo.
Dopo qualche secondo, infatti, la rediviva ribaltò le posizioni, torreggiando sulla biondina, che nel frattempo ne approfittò per far scivolare via l’abito che la separava dalla candida pelle dell’altra.
I corpi presero a muoversi in sincronia, mentre i baci si facevano più intensi e voraci.
Durante il resto della notte si dichiararono il rispettivo amore, in modi che le parole non si sarebbero mai potute neppure lontanamente avvicinare a descrivere, perché ogni gesto, ogni carezza, ogni incontro di labbra serviva a rinsaldare un unico concetto: loro si appartenevano e non sarebbero mai state più complete di come lo erano in quel momento. Avevano rischiato tutto, si erano guadagnate una seconda possibilità, solo per godere di quell’istante, solo per essere insieme fino ad essere uno.
 
Le prime luci dell’alba sorpresero le due donne ancora abbracciate.
Con un mugolio di protesta, Gabrielle osservò la flessuosa figura della Principessa Guerriera alzarsi, rivestirsi ed iniziare a preparare i bagagli. Poco dopo fu costretta ad abbandonare il tepore del giaciglio per permettere all’altra di arrotolare le pelli su cui erano state adagiate fino ad un momento prima.
Sellarono Argo e il dromedario, approfittando di ogni movimento per sfiorarsi mentre sistemavano i bagagli sugli animali. Il solo atto di toccarsi, anche se per pochi secondi, ricordava loro quanto avessero perso in tutti quei mesi.
Xena balzò in sella alla giumenta come sempre, ma poi, invece di attendere che la compagna salisse a dorso della gobba della seconda cavalcatura, allungò un braccio, invitandola a prendere posto dietro di sé, come ai vecchi tempi.
Con un sorriso, l’aedo accettò l’aiuto e si issò sulla schiena color miele della cavalla, sistemandosi su una pelle scientemente posta così da farla cavalcare più comodamente.
Lasciarono il luogo del campo che il sole non era ancora sorto.
Osservando un ramo secondario del Nilo scorrere accanto alla strada, il bardo mormorò: «Nonostante tutti i mesi che ho vissuto nei panni della Conquistatrice, non mi sono mai soffermata abbastanza ad apprezzare quanto fosse bella questa terra, anzi, ne conservo solo ricordi brutali che vorrei tanto tenere lontani dalla mia mente.»
«Beh, quel mondo non era poi tanto male» replicò la mora per sdrammatizzare «Mi piaceva vederti così sicura ed autoritaria.»
Gabby ridacchiò. «Effettivamente, ci siamo trovate in realtà alternative di gran lunga peggiori… Come quella in cui eri moglie di Caesar e stavano per crocifiggermi, di nuovo.»
«Almeno non era tutto in rima come ad Illusia» commentò la guerriera «Quanto ho odiato quella specie di teatrino…»
«Per non parlare del fatto che, in quel luogo, mi hai trafitta» rispose la bionda «Con molta noncuranza, aggiungerei.»
«Oh, andiamo, Gab» sbuffò Xena «Quante volte mi dovrò scusare per aver ucciso un’illusione con le tue sembianze?»
«Non saranno mai abbastanza» sogghignò Gabrielle «Dopo tutti questi anni, ancora non sono riuscita a perdonarti quella bravata.»
La Principessa Guerriera tirò leggermente le redini di Argo, facendole rallentare il passo, e voltò il capo per incrociare lo sguardo della compagna. «Forse mi è venuta un’idea.»
L’altra aggrottò le sopracciglia e corrugò la fronte in un’espressione che fece cantare di gioia il cuore della redenta signora della guerra.
«Ci fermeremo un po’ ad Alessandria, prima di tornare a casa» annunciò «Nessuno ci mette fretta per rientrare in Grecia.»
«E perché dovremmo fare tappa lì?»
La mora tornò a fissare di fronte a sé, ghignando, ma il suo gongolare durò poco perché sentì una serie di implacabili pizzicotti iniziare a tormentarle i fianchi e le cosce. «Dai, dai, dai, dimmelo» implorava Gabby, continuando con l’innocente tortura.
«Ti ricordi cosa mi hai detto la prima volta che siamo venute in Egitto?» cedette l’angelo caduto.
Il bardo riflettè un momento poi affermò: «Che volevo visitare la grande biblioteca.»
«Esatto. Visto che è da tanto che non scrivi, forse ti farà bene respirare un po’ di quell’aria polverosa, magari ritroverai l’ispirazione.»
Gli occhi verdi si riempirono di lacrime di gioia.
La combattente sentì le braccia della compagna stringerla con tale forza da mozzarle il fiato, poi, facendo tintinnare il Chakram che le pendeva al fianco, la morsa si allentò e le mani della poetessa si intrecciarono ancorandola definitivamente a lei.
«Grazie» sussurrò Gabrielle, poggiando la testa contro la schiena fasciata dal corpetto di pelle.
Nessuno fu in grado di scorgere il sorriso di soddisfazione farsi largo sulle labbra di Xena.
Con uno schiocco di lingua e un leggero colpo alle redini da parte della padrona, la giumenta tornò ad aumentare il passo, sollevando una piccola nuvola mista di polvere e sabbia.
Levandosi ad Oriente, il sole, con i suoi raggi color arancio, inondò di placida luce quella scena: finalmente riunite ed in pace, cavalcavano verso il futuro l’aedo e l’angelo caduto.


 
THE END



 
NdA: Ebbene, a due anni esatti dalla pubblicazione del primo capitolo, siamo giunti alla fine. Non so cosa ne pensiate voi, ma a me ancora sembra impossibile di stare davvero scrivendo queste parole di congedo, sono piuttosto certa che si tratti di una specie di vivida allucinazione. E invece no, è la fine, per davvero. Che poi, chi può davvero dirlo? Forse avrete fatto caso al fatto che l'ultimo paragrafo dello scorso capitolo lascia aperto una specie di spiraglio e c'è una ragione: le vostre paure più segrete si sono realizzate, ho abbozzato un possibile (breve) seguito. Dato che è ancora molto in "forse" prendetelo per quello che è: un progetto a cui lavorerò in mezzo a mille altri, quindi siamo realisti, potrebbe non arrivare mai. Ma non voglio che vi concentriate su quello, per il momento. Godetevi questo finale, che spero sia stato all'altezza delle vostre aspettative, per me è tutto ciò che importa. Vorrei avere modo e tempo di ringraziare tutti voi lettori uno per uno, soprattuto per il vostro supporto e la vostra pazienza, ma mi vedo costretta a concedervi solo qualche parola qui. Un grazie di tutto cuore ai recensori, tutti, presenti, passati e spero anche futuri, quelli dello scorso capitolo in particolare: grascalisi, Stranger in Paradise, xena97 e un bonus a Petricor75. Un grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite, a coloro che hanno letto e basta, perchè lo avrò già detto un milione di volte, ma sono ripetitiva quindi: grazie perchè senza lettori questa storia non sarebbe mai diventata quella che è. Un grazie speciale a wislava per questi due anni di supporto, correzioni e consigli, perchè ormai questo testo è diventato anche un po' suo e dunque merita un serio riconoscimento. E per concludere un grazie a te, sì, proprio a te che stai leggendo, che anche se sei incluso in una o più delle categorie sopracitate, meriti un grazie da parte mia, per avermi accompagnato (per lungo o breve tempo, dipende) in questo percorso.
E ora che le note stanno diventando più lunghe del capitolo, capisco che è il momento di salutarci. Ho amato scrivere questa storia, anche se è chiaro che io abbia avuto dei problemi a concluderla e stia avendo altri (ben più gravi) problemi a lasciarla andare. Ci saranno altre storie da parte mia, anzi, una è già in pubblicazione, ma nessuna potrà mai equipararsi a questa, la mia prima vera Fanfiction, quindi spero sia stata speciale tanto per voi quanto per me.
Ancora un grazie e chissà, forse ci rivedremo, presto o tardi.
Possa il vostro Chakram essere sempre affilato e non mancare mai il bersaglio
GirlWithChakram

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2591884