Da Vinci's Game

di _mandragola_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Uomo di Vitruvio - I ***
Capitolo 2: *** L'Uomo di Vitruvio - II ***
Capitolo 3: *** L'Uomo di Vitruvio - III ***
Capitolo 4: *** L'Uomo di Vitruvio - IV ***
Capitolo 5: *** La Gioconda - I ***



Capitolo 1
*** L'Uomo di Vitruvio - I ***


«Agente Schubert?»
Una donna in tailleur viola scuro avanzò per l'ufficio, rigirandosi tra le mani il cartellino con su scritto il suo nome e un “OSPITE” a caratteri cubitali immediatamente sotto. Una ragazza seduta su una scrivania in fondo all'ufficio alzò la mano. La donna le si avvicinò e salutò con un cenno del capo i due colleghi dell'agente che le stavano vicino. La ragazza non doveva avere più di venticinque anni e aveva capelli di un biondo scuro che accennava sfumature di biondo cenere e grandi occhi verde acqua. Era pallida, da sempre rifiutava categoricamente le abbronzature e, se le si chiedeva perché, iniziava a parlare delle dame medioevali senza più fermarsi. La sua ossessione per gli abiti neri o dai colori scuri la faceva sembrare quasi una poco di buono, in netto contrasto con l'innocenza e la fiducia che infondevano i suoi tratti delicati e i suoi lineamenti armoniosi. Buona parte dell'ufficio pensava che fosse una bella donna e buona parte dell'ufficio ebbe il famoso “due di picche”. Era lì da due anni e per due anni ripeteva che non aveva bisogno di uomini, per ora. Era ancora giovane, per quelle cose aveva tempo; ora l'unica cosa che importava per lei era il lavoro e liquidava ogni suo pretendente con la sua notevole abilità nell'oratoria. Li lasciava così confusi che non sapevano bene se prendersela o farsene una ragione. Il suo migliore amico, nonché suo collega, intanto se la rideva sempre sotto i baffi.

L'agente Schubert si alzò buttando una rapida occhiata sul cartellino dell'ospite: «Signora... Rosseau, salve. Cosa posso fare per lei?», disse con un leggero accento tedesco, che ancora si rimproverava di non aver completamente eliminato.
«È l'agente Schubert?»
«Demethra Schubert, in persona.»
Lei la guardò alzando un sopracciglio e le porse la mano. Demethra gliela strinse: «Mi immaginava più vecchia?»
«E meno alta.»
«Capita spesso. Mi permetta di presentarle i miei due colleghi: l'agente Young e l'agente Bennett.»
Richard Young era un ragazzo statunitense sulla trentina, rasato e sempre sorridente. Era alto e muscoloso, il perno della squadra. Era lui che si cimentava più spesso negli inseguimenti o negli scontri a pugni. Matthew Bennett, invece, era l'esatto contrario. Dal fisico gracile, anche lui originario degli Stati Uniti, preferiva leggere i dossier e aiutare la collega Annika Lee a cercare dati sui ricercati nel computer che correre dietro ai criminali, anche se, se l'occasione si presentava, non esitava a farlo. Portava i capelli castani lunghi fino al collo ed era solito legarseli in una piccola coda. Aveva due occhi azzurri che assumevano le tonalità del grigio se il cielo si rannuvolava. Demethra adorava lui in particolare, lo considerava il suo migliore amico e uscivano spesso insieme, a parlare di Freud e di altri illustri esponenti della sua arte, oppure di pittori, musicisti classici e film, davanti ad una bevanda calda.
La signora Juliette Rosseau strinse la mano anche ai due ragazzi con un sorriso. Lei invece era una donna di mezza età, Demethra non sapeva dire con sicurezza se fosse messicana o semplicemente troppo abbronzata. I capelli neri erano sottili e lunghi fin sopra la vita. «Signorina Schubert, vorrei parlare con lei in privato.»
«Volentieri, ma io non sono il capo della mia squadra, forse dovrebbe rivolgersi a...»
Gli occhi castani e decisi di Juliette la fecero bloccare. Era troppo esperta di linguaggio non verbale -anche se l'esperto per eccellenza della squadra in questo argomento era Bennett, da cui spesso prendeva lezioni- per capire che qualunque cosa avesse detto non le avrebbe fatto cambiare idea. Diede una rapida occhiata ai suoi due colleghi e passò un dito sul mento. Un chiaro segnale, uno dei tanti che aveva concordato con loro. Young scattò in piedi e si diresse subito verso il loro capo.

 

Le due donne si sedettero su poltrone messe una di fronte all'altra. Il sole delle nove entrava prepotentemente nella stanza, attraverso le serrande socchiuse. Demethra decise di dargli un po' di libertà e le aprì, chiudendo invece quelle che davano sull'ufficio per una maggiore privacy. «Non capisco proprio perché mettano muri di vetro invece di muri reali.», disse a Juliette, per tentare di alleggerire l'atmosfera, mentre si accomodava sulla poltrona nera di pelle. La guardò con lo sguardo interrogativo, attendendo una sua mossa. Juliette sorrise con aria di sfida. «Di cosa si occupa, lei, nella sua squadra?»
«Ah, un po' di tutto, in particolar modo cerco di abbozzare il profilo psicologico del cattivone di turno. Sono il membro più giovane, è da solo due anni che lavoro qui contro i venticinque del mio capitano, il membro più vecchio. Lavora qui da quando sono nata, praticamente.»
Juliette annuì. «Si sta chiedendo se ha fatto la scelta giusta a rivolgersi a me?»
La donna alzò lo sguardo abbastanza perplessa. «Sì, mi sto chiedendo se hai la stoffa necessaria per occuparti di ciò che voglio affidare alla tua squadra, ma soprattutto a te.»
«Non decido io i casi da seguire.», rispose lei, notando il repentino cambiamento dal lei al tu che l'interlocutrice aveva adottato.
«Ma puoi proporne uno.»
Tolse dalla borsa una cartelletta gialla. La posò sulle gambe sottili dell'agente, richiudendola immediatamente e appoggiandola di nuovo a terra. Fatto questo incrociò le braccia, attendendo che la ragazza la aprisse e leggesse ciò che c'era dentro. «Braccia incrociate, testa all'indietro, busto idem. Pessimo segno.»
«Cioè?»
Demethra aprì la cartelletta e si mise a leggere ciò che c'era scritto, senza risponderle. Raccolse poi i fogli che le erano scivolati, facendo cadere tutta la cartelletta quando si accorse che non erano semplici foglietti, ma fotografie. Fotografie di una scena del crimine.
Ce n'erano tre. Osservò le foto a lungo prima di chiedere delucidazioni. «Mi scusi se sono così diretta, ma lei chi è?»
«Osserva bene la seconda ragazza.»
Lei la mise davanti a tutte le altre foto: era una ragazza dalla carnagione lievemente abbronzata, con i lunghi capelli neri e gli occhi azzurri sbarrati. Era distesa a terra con le labbra colorate di rosso, socchiuse, le braccia e le gambe aperte. Il ventre era stato aperto con goffaggine ed estrema violenza, tutti gli organi erano stati messi con cura attorno al corpo, l'intestino era stato srotolato per circondarla. Solo dopo una più attenta osservazione Demethra notò le X sulle braccia e le gambe e che le labbra rosse erano state dipinte con il sangue. Il suo stesso sangue, probabilmente. Si concentrò sui suoi lineamenti marcati e sui capelli neri, e alzò lo sguardo. «Lei è sua madre.»
«Voglio scoprire chi ha fatto questo a mia figlia.»
«Perché io? Perché proprio Demethra Schubert e la sua squadra?»
Juliette riaprì la borsa e le porse un'altra cartelletta. Oltre ai soliti fogli dentro c'erano altre foto: particolari del viso delle ragazze, della macabra disposizione e delle incisioni sugli arti. E poi c'era l'ultima, che recitava: “BAU, settore B, numero 5”
Demethra sussurrò quelle parole un paio di volte a sé stessa. «E' la zona dell'ufficio della nostra squadra. E' la zona dell'ufficio della nostra squadra!»
Scattò in piedi e fece per andarsene. Se nessuno della squadra o dell'ufficio aveva detto a qualcuno la posizione della loro scrivania, allora erano molto probabilmente in pericolo. Chiunque avesse scritto quelle parole li conosceva, sapeva dove lavoravano con estrema precisione. Si voltò poi verso la signora Rosseau. «Signora, faremo il possibile per torvare chi ha fatto questo. Le informazioni sono scritte tutte nei fogli?»
Fece un cenno col capo per annuire. «Bene.»
Aprì la porta e la guardò, sperando di non risultare troppo offensiva o sfacciata. Juliette capì immediatamente, si alzò e, dalla giacca, prese un biglietto da visita. Lo mise tra le mani della ragazza. «Ho un contatto qui a Quantico, mi sono informata su chi lavorava in quel settore e ho letto di lei. E' una giovane promessa, signorina Schubert. Mi fido di lei. Per ogni cosa non esiti a chiamarmi.»
Demethra sentì un nodo alla gola quando lesse il nome della donna e il suo numero scritti a penna su quel cartoncino. Doveva parlare con il suo capo, e subito.

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Capitolo 2
*** L'Uomo di Vitruvio - II ***


Leonard Dixon aveva cinquantaquattro anni. Era un uomo autoritario, sempre con la fronte corrucciata e avvolto in quella giacca grigio smog con cui veniva sempre a lavoro, in contrasto con la cravatta bordò che era solito indossare. L'unica cosa che amava cambiare erano proprio le cravatte, tutti nella sua squadra avrebbero scommesso che ne avesse un armadio pieno, accanto alle decine di camicie e giacche tutte, maledettamente, identiche. I capelli neri iniziavano a colorarsi di striature bianche ma nessuno glielo faceva notare. Gli occhi marroni erano così scuri da sembrare neri ed era un campione nel far guardare a quegli stessi occhi enigmatici con minaccia un sospettato o con dolcezza paterna un membro della squadra. Demethra lo considerava quasi come un'autorità paterna, anche se odiava i suoi occhi scuri che non facevano scorgere le pupille e la sua impassibilità e completa dissociazione dai movimenti involontari. Lo rimproverava amichevolmente di essere una statua e lui di essere troppo legata ai suoi studi, consigliandole anche di non cercare di analizzare ogni persona che incontrava. Era un po' come un vecchio saggio, un mentore.
Con non pochi dubbi aveva passato da cercapersone a cercapersone il messaggio di una nuova riunione d'urgenza sotto stretto consiglio dell'agente Schubert -più che consiglio era un'insistente supplica- e ora era seduto con le mani posizionate una sull'altra a guardare la tedesca in piedi dall'altra parte del tavolo.
La sua squadra, oltre che da lui, Bennett, Schubert e Young, era composta da altri due elementi, senza contare Annika che preferiva lavorare al computer e scavare nel passato di tutte le persone che incontravano. Alexandra Palmer portava un decennio in meno di Dixon. Era una bella donna, intelligente e sveglia, preferiva tenere i capelli biondo cenere legati in una coda o in uno chignon quando erano sul campo, senza temere di mostrare i capelli bianchi che spuntavano. Ripeteva alla squadra, nonché ai suoi amici più cari, di non doversi preoccupare del passare degli anni. “Sono solo segni positivi, con il lavoro che facciamo i capelli bianchi sono una benedizione.”. Voleva particolarmente bene ad Annika, che considerava alla stregua di una figlia, ma tutti facevano battutine sul fatto che i suoi occhi grigi brillavano solo per l'agente Young.
L'altra era Penelope Thompson, detta da tutti amichevolmente Penny. Era poco più grande di Demethra ed era tremendamente impulsiva. Portava capelli neri a caschetto e aveva le orecchie percose da piercing e qualche tatuaggio sparso qui e là per il corpo. Era considerata un elemento importante per la squadra, anche se non sempre faceva osservazioni brillanti. Preferiva fare da partner a Richard. Qualcuno nell'ufficio sussurrava che i due erano amanti e forse non avevano tutti i torti.
Tutti quanti avevano compiti ben precisi, premesso comunque che tutti dovevano occuparsi a stilare il profilo dell'assassino seriale che stavano cercando. Bennett si occupava degli interrogatori, a cui assisteva oppure conduceva lui stesso. Leonard Dixon, invece, badava ai suoi “ragazzi”, stabiliva dopo un'attenta analisi di che cosa la squadra doveva occuparsi e teneva a bada la stampa. Richard e Penny si occupavano principalmente del lavoro “sporco” della prima linea: erano quasi sempre loro ad arrestare i criminali. Demethra dava una mano a Bennet e intanto abbozzava il profilo del criminale, cercando di immedesimarsi in lui. Alexandra si occupava della vittimologia e si prendeva il grave incarico di parlare con la famiglia delle vittime. Tutti quanti erano comunque armoniosi nello svolgere compiti così diversi tra loro e ciò li rendeva una delle squadre più affidabili dell'intera sezione dell'FBI.

Demethra fece passare le foto a tutti i membri della squadra. Qualcuno scuoteva la testa, altri le analizzavano incuriositi, mentre ascoltavano le parole della ragazza che leggeva i foglietti che c'erano nelle cartellette. Erano fogli firmati dalla polizia locale dov'erano stati compiuti i crimini. «Abbiamo tre vittime, stesso modus operandi: la prima è stata uccisa a Cambridge, la seconda a Marsiglia e la terza... oh, la terza è stata uccisa negli Stati Uniti, a Boston. Sono tutte e tre studentesse di ventidue anni. La prima si chiama Marylyn Hoffmann, caucasica, bionda, di famiglia benestante. La seconda è Katherine Rosseau, caucasica anche lei, nera. Essendo la figlia della donna che è venuta a chiedermi di occuparci del caso deduco provenga da una famiglia che un tempo era stata agiata e ora non lo è più. La terza, invece, si chiama Helena Ramirez, afroamericana, nera anche lei. Era figlia di un operaio e di una casalinga, per mantenersi faceva occasionali lavoretti nei bar. Alcuni hanno ragione di credere che si prostituiva.»
«Vittime molto diverse tra loro. Normalmente si penserebbe ad un serial killer disorganizzato che uccide d'impulso, ma la scena del crimine fa intendere il contrario.», osservò Alexandra.
Matthew appoggiò la foto del particolare del corpo della terza ragazza a terra e la passò a Richard: «Esattamente. La scena è organizzata nei minimi dettagli. Il ventre sembra essere squarciato con estrema violenza, ma andrebbe esaminato il cadavere.»
Demethra annuì, sedendosi. L'agente Dixon fece scivolare per la scrivania la foto di Katherine all'agente Schubert. «Perché dici che lei proviene da una famiglia non più agiata?»
«Ho avuto modo di osservare bene sua madre. Aveva l'aspetto di chi cercava di mantenere una reputazione alta della propria persona, indossando abiti apparentemente costosi e portando borse apparentemente di marca. L'abito era rovinato, segno che aveva qualche anno, la borsa che portava era palesemente un falso, perché nessuna donna poggerebbe una borsa di marca a terra, come il suo orologio e i diamanti che aveva alle orecchie. E' comunque una famiglia, o una donna, che ha una certa rilevanza nella cittadina dove vive: si è procurata foto e referti dalla polizia locale e dubito vivamente li abbia rubati. E poi, quando mi ha dato il suo recapito telefonico, era scritto con una penna su un cartoncino. Niente di elegante, forse era suo marito quello ricco e lei ancora non si era abituata a tenere un certo comportamento.»
Tutti si complimentarono per l'ottimo acume della ragazza e lei gongolò in silenzio. Bennett le sorrise, poi riguardò gli altri membri della squadra: «E' un omicida itinerante. Cambridge, Marsiglia, Boston... luoghi anche abbastanza lontani. Probabilmente è benestante.»
Penny sembrava abbastanza stupita. «Il livello di sadismo è incredibile.»
«Non c'è nemmeno un nesso logico tra le vittime. Se il modus operandi non fosse uguale non le avremmo nemmeno considerate vittime di un assassino seriale. Osservate le scene: tutte con le braccia e le gambe aperte, con le labbra rosse, gli organi messi in fila ai loro lati e l'intestino che forma il cerchio dove sono circoscritte. Sembra quasi...»
«... l'Uomo di Vitruvio.», concluse per lui Demethra. Matthew le fece segno che aveva indovinato. Alexandra riprese la foto e la guardò meglio, scuotendo la testa a mo' di “Perché non ci ho pensato prima?”
«Dobbiamo avere questo caso.»
Tutti annuirono alle parole di Demethra. Dixon sciolse la riunione e tornarono alle proprie occupazioni.

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Capitolo 3
*** L'Uomo di Vitruvio - III ***


Bennett la trovò sulla sua scrivania, abbandonata su un braccio e profondamente addormentata, con tutti i capelli davanti al viso. Accanto a lei c'erano tre bicchieri formato maxi di caffè, probabilmente vuoti. Dietro, la lavagna trasparente che usavano per fare mente locale sugli omicidi era occupata dalle foto delle vittime con sotto i rispettivi nomi e, sull'estrema destra, c'era incollata una foto a colori del celebre schizzo di Leonardo Da Vinci, che probabilmente aveva ispirato il serial killer nell'ordinare la scena del crimine. L'aveva già vista un paio di volte rimanere in ufficio fino al giorno dopo, ma spesso la trovava seduta sulla scrivania con le gambe incrociate e le cuffiette che suonavano Echoes dei Pink Floyd a volume altissimo. Mai l'aveva trovata così sfinita e... addormentata.
Tamburellò le dita sul suo bicchiere per qualche secondo, guardandosi attorno. Si avvicinò poi alla ragazza e le sussurrò un «Svegliati!», senza però ricevere segnali di vita. Aspettò qualche secondo.
«SVEGLIATI!»
Demethra scattò sull'attenti con ancora i capelli davanti agli occhi, fece per riordinare le carte che aveva sparse sulla sua scrivania e buttò a terra per sbaglio i bicchieri vuoti. «Sei un idiota, lo sai, vero?»
Matthew rise e poggiò la borsa sulla sua scrivania. «Belle occhiaie.»
Demethra fece una smorfia e raccolse i bicchieri per buttarli nel cestino, dirigendosi poi verso il bagno. Il suo migliore amico la guardò dalla sua posizione: aveva i capelli spettinati e si trascinava a fatica, che diamine aveva fatto lì, sveglia tutta la notte?

Anche Alexandra era arrivata di buon'ora e trovò l'agente Schubert che si lavava la faccia nel bagno delle donne e si picchiettava le borse, sbuffando. «Va tutto bene, ragazzina?»
«Oh, Alex. Non ti avevo visto, scusami.»
«Nessun problema, dubito che se mi avessi visto mi avresti riconosciuta. Va tutto bene? Sei rimasta in ufficio?»
«Esattamente.»
«Perché?»
«Mi sono ricordata solo dopo che il capo ha sciolto l'assemblea di una seconda foto che rappresentava una scritta sul muro, con il sangue. C'era scritta la nostra sezione nell'FBI, il nostro settore e il numero della zona delle nostre scrivanie. Ho fatto qualche domanda in giro ma nessuno ha detto mai niente a nessuno su dove le nostre scrivanie si trovano, nell'ufficio.»
«Beh, è un particolare inquietante.»
Demethra concordava appieno con l'osservazione dell'agente Palmer. «E poi ho preferito rimanere qui per lavorare meglio.»
«Ancora nessuno con cui condividere l'appartamento, eh?»
La ragazza pettinò con le dita i capelli biondi, cercando almeno di rendersi più presentabile. «Non voglio estranei a casa mia e sto così bene da sola.»
«Sono convinta che un po' più di compagnia ti farebbe bene.»
«Alex.», disse solo, con un tono che sfiorava il fastidio. Era da quando avevano iniziato a conoscersi meglio che la donna insisteva sul fatto che lei avesse pochi amici, uscisse raramente e non avesse vita sociale. Poggiò le mani sul lavandino, guardandosi allo specchio, e accennò un piccolo sorriso. «Tutta la compagnia di cui ho bisogno siete voi. Passo gran parte del mio tempo a lavoro, quando torno a casa continuo a ripensare alle scartoffie che mi porto dietro, per poi tornare il giorno dopo a stare con ciò che ho di più vicino ad una famiglia. Io sto benissimo così.»
«Quand'è l'ultima volta che hai lasciato il lavoro da parte e ti sei divertita?»
Lei ci rifletté su, guardando la sua immagine stanca allo specchio. «Quando siamo andati in quel locale a Las Vegas!»
«Demethra. E' stato due anni fa.»
«Beh, ma c'è stato.»
«Stavamo lavorando.»
«Oh, giusto!», disse lei sorridendo e colpendo la fronte con la mano. «Sadico sessuale! Me lo ricordo, che emozione quel caso.»
Alex la fissò sbattendo le ciglia, scosse la testa. “Lo dico io che la ragazzina è pazza.” «Preparati, andiamo a prendere l'aereo tra mezz'ora.»
«Per?», chiese la Schubert, contenta.
«Boston!»

La polizia di Boston diede immediatamente la sua completa disponibilità alla squadra di Quantico. L'omicidio della prostituta aveva destato grande clamore nel quartiere dov'era avvenuto e la comunità faceva pressione sulla squadra di Michael Downey affinché trovassero “quel mostro”. Lui era un signore sulla cinquantina allegro e abbastanza robusto, con il distintivo portato fieramente attaccato al petto. Strinse la mano ad ogni membro della squadra di Dixon e li condusse immediatamente nella zona riservata a loro. Demethra si precipitò verso la lavagna trasparente e si mise a scarabocchiare le stesse cose che aveva scritto sulla sua, insieme a ciò che Matthew le dettava, mentre Leonard dava disposizioni: Alexandra e lui sarebbero andati a visitare la famiglia della vittima, Richard e Penelope a parlare con le prostitute della zona, Matthew e Demethra avrebbero contattato Annika col computer messo loro a disposizione e poi sarebbero andati dal medico legale a controllare il corpo.
La Schubert annuì e appese le foto alla lavagna, sistemando con cura il disegno di Da Vinci alla fine. «Questa storia è pazzesca.», commentò poi, girandosi verso l'amico. «Un serial killer che si diverte a massacrare le ragazze in base ai lavori di Leonardo... perché?»
Bennett stabilì il collegamento con la base e poi mise in stand-by il computer: «Beh, dovresti dirmelo tu.»
Lei prese il giubbotto e lo indossò mentre gli lanciava un'occhiataccia: «Volevo solo discutere, antipatico.»
Lui le diede una pacca sulla spalla. «Può darsi che sia un suo grande ammiratore e voglia replicare i suoi lavori in... 3D.»
«Avrebbe dovuto cucire due braccia e due gambe ad ognuna. E se ci stessimo sbagliando? Se fosse un omicidio seriale con movente irrazionale?»
Bennett indossò la sua giacca e aprì la porta a Demethra, con un sorriso galante, mentre lei continuava a discutere su come allucinazioni o voci avessero potuto ispirare il quadro del loro assassino. Come al solito aspettava che lei avesse finito senza interromperla. Aveva un gran bel caratteraccio e preferiva non farla cadere in uno dei suoi soliti scatti d'ira. Si rivide improvvisamente davanti il foglio che due anni fa stava leggendo.
«Matthew, ho bisogno del tuo parere. Può o non può stare nella squadra?»
Sospirò.
«Matt, devo aspettarti finché il cadavere non si decompone o vuoi sbrigarti?»


 

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Capitolo 4
*** L'Uomo di Vitruvio - IV ***


Alexandra guardò il numero civico della casa. Eccola. Diede un'ultima occhiata a Leonard, poi bussò. Attesero fino a quando un ragazzino di colore, poco più grande di dieci anni, aprì loro la porta timidamente. «Gideon, chi diavolo è?», tuonò una voce all'interno dell'appartamento, piccolo e sudicio. Alexandra si schiarì la voce e presentò sé stessa e il collega al ragazzino, spiegandogli il motivo della visita, che riferì all'uomo che pensò fosse suo padre le sue parole. «Ah, siete qui per quella disgraziata di mia figlia? Andate all'inferno, voi e lei!»
Un afroamericano massiccio si alzò dal divano e li fulminò con lo sguardo, chiudendo la porta con tanta violenza che i cardini cigolarono. L'agente Palmer fece spallucce e fece per andarsene, ma Dixon non volle seguirla. In quel momento sentirono la porta riaprirsi e videro una donna affacciarsi all'uscio. Constatando che erano ancora lì, la donna chiuse la porta dietro di sé e raggiunse i due agenti, facendo loro segno di raggiungerla fuori al cancello. Mentre stava entrando in macchina, sussurrò il nome di un bar lì vicino, l'unico posto dove avrebbero potuto parlare. Gli agenti dell'FBI entrarono nella loro macchina nera e imboccarono la strada opposta alla signora Ramirez per raggiungere il luogo dell'appuntamento.
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L'agente Thompson scese per prima dalla macchina, aggiustandosi i capelli con civetteria. Richard si grattò la testa e si guardò intorno, decidendo di allontanarsi ad ispezionare la zona solo dopo aver sentito il “bip bip” della macchina che si chiudeva.
Il quartiere era un luogo che godeva di una certa brutta fama, i vicoli erano pieni di vagabondi che discutevano animatamente e gente che si avvicinava di qualche passo con fare sospettoso ai due e poi, accorgendosi del distintivo che avevano sulla cintura, correvano via, portando la merce che avrebbero voluto vendere lontano da occhi indiscreti. «Secondo me metà delle persone che si sono avvicinate volevano venderti qualche pasticca.»
«Ho davvero la faccia di un tizio che vive in discoteca?»
«Perché, non lo fai?», rise poi Penny.
Si avvicinarono ad alcune prostitute, alzando la foto di Helena che la polizia locale aveva stampato. «Salve, signorine. Per caso la riconoscete?»
Loro scossero la testa e se ne andarono fumandosi una sigaretta. Richard alzò lo sguardo per seguire la collega che si guardava attorno alla ricerca delle lucciole. Avvicinò una ragazza afroamericana e una sedicenne rossa che si truccava pesantemente per nascondere la sua età fin troppo giovane per trovarsi su quei marciapiedi. «Scusate, ragazze. La riconoscete?»
La sedicenne spalancò gli occhi e pizzicò un braccio all'amica quando lei scosse la testa.
«La smetti?», disse lei sottovoce. «Se glielo diciamo finiamo nei guai!»
«Stanno cercando sicuramente chi ha fatto quello ad Helena, dobbiamo aiutarli!»
L'afroamericana alzò le mani e si allontanò, la rossa, invece, li guardò intimorita. «Sì, la conosco. Era una mia amica, battevamo insieme. Ho trovato io il cadavere.»
Penny fece un cenno a Young che si avvicinò immediatamente alle due.
«Hai visto qualcuno di strano che girava per i vicoli il giorno che Helena è sparita, o nei giorni precedenti all'omicidio?»
«E' difficile notare presenze strane, qui. Ci sono troppe persone: prostitute, vagabondi, pazzi. Non ci conosciamo tutti.»
«Il giorno in cui Helena è stata uccisa hai visto un cliente sospetto che l'ha portata via?»
«Quel giorno Helena si è rifiutata di andare ad appartarsi con qualcuno. Era il suo... giorno libero, diciamo. Voleva smettere di prostituirsi ma le servivano soldi.»
«Qualcuno la minacciava? Era sotto la protezione di qualcuno?»
«No, signora. Noi lavoriamo qui perché vogliamo farlo. Non siamo di nessuno.»
La Thompson guardò con la coda dell'occhio le altre persone in giro. «Dici che qualcuno avrà notato qualcosa di strano in quei giorni?»
«Signora, le uniche che possono dirvi qualcosa siamo noi e siamo troppo sul chi va là per parlare. La ragazza che era con me non voleva farlo per paura che Helena si fosse venduta a qualche protettore che ci avrebbe ammazzate se avessimo parlato con la polizia, le altre, come avete visto, non vi hanno nemmeno rivolto la parola. Potete provare tra i vagabondi, ma non vi assicuro che ci sia qualcuno che non sia pazzo, ubriaco o strafatto di metanfetamine. Vi auguro buona fortuna, ragazzi.», e se ne andò muovendo vistosamente i fianchi.
Richard scosse la testa e prese per il braccio Penny, tornando alla macchina in silenzio.
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Il rumore metallico dello sportello del frigo della sala delle autopsie che si apriva fece sobbalzare Demethra, che decise di lasciar stare i poster appesi un po' dappertutto parlanti del corpo umano. Si avvicinò alla giovane e lasciò che il medico legale togliesse il lenzuolo. Da subito saltarono all'occhio le ferite a forma di X sulle braccia e sul collo.
«Chi preparerà la salma per il funerale avrà un gran bel daffare nel coprire queste ferite.», osservò innocentemente Bennett. Venne colpito dallo sguardo del severo medico legale: «Non avrà nessun funerale. I suoi familiari non hanno richiesto la salma, al massimo verrà cremata alla fine delle indagini.»
«Come mai i familiari non vogliono farle il funerale?»
«Credo sia per mancanza di soldi, la sua famiglia è nota per essere una delle più povere del quartiere.»
Demethra le scostò il lenzuolo fino a vedere il seno. «Non ha segni di morsi o ferite che possano far pensare ad una violenza sessuale.»
«No, non c'è stata nessuna violenza. Certo, è stato abbastanza difficile capirlo poiché era una prostituta. Anche se lei non riceveva clienti che desideravano fare sesso violento...»
«E lei come fa a saperlo?»
Il dottore si schiarì la gola e distolse lo sguardo dagli occhi verdi quasi divertiti dell'agente. «Voci di corridoio.»
«Palesemente.»
«Siete qui ad indagare su di me o su di lei?»
La Schubert la squadrò per bene. «Causa del decesso?»
«Dissanguamento. Abbiamo anche trovato un anestetico nel sangue. Non posso dirlo con certezza, ma era ancora viva quando l'assassino le ha squartato il ventre e le ha tolto gli intestini.»
«Quindi l'assassino ha guardato la vittima morire.», concluse Bennett dando un'occhiata a Demethra. Dalla sua espressione si potevano benissimo notare le rotelle che incominciavano a girare all'impazzata.
Lei iniziò a fare avanti e indietro con lo sguardo fisso a terra. «Che anestetico ha usato?»
«Procaina. Un anestetico locale e...»
«E a breve durata, lo so. Matthew, credo che possa bastare.»

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Capitolo 5
*** La Gioconda - I ***


Dixon chiuse il cellulare e fece cenno ad Alex di risalire in macchina. Lei era ancora pensierosa sul breve incontro che avevano avuto con la signora Ramirez, non si era nemmeno accorta che il sole era tramontato da un bel pezzo. Salì in macchina.
«Dovete scusare mio marito, ma non ha mai accettato il fatto che sua figlia si prostituisse.», aveva esordito Angela Ramirez. «Nemmeno io, a dir la verità, ma ora che è morta...»
«Come giustificava i soldi che portava a casa?»
«Diceva di lavorare in questo bar come cameriera.»
«E lei come ha scoperto che stava mentendo?»
«Un giorno ho imboccato una strada di quel quartiere per andare da una mia amica che vive poco lontano e l'ho vista.»
Alexandra annuì. Poteva solo immaginare cosa avesse provato nel vedere la figlia ridotta in quel modo. «Come avete reagito lei e suo marito?»
«Mio marito si è arrabbiato parecchio, così tanto che non ha reagito alla notizia della sua morte. Io mi sono sentita inadeguata... come madre, come donna...»
Angela iniziò a piangere a dirotto, scuotendo comunque la testa quando Dixon le chiese se volesse smettere di parlarne.
«Ora mi dedico completamente a mio figlio Gideon. Mi impegno a dargli un'educazione completa e a mettere qualche soldo da parte per il suo futuro.»
Alex annuì e la salutò con un cenno quando disse che avrebbe dovuto trovarsi a casa tra meno di cinque minuti. Leonard la ringraziò per la collaborazione, comunque deluso dall'aver fatto un buco nell'acqua.

«Va bene, arriviamo. Alex?»
Lei scosse la testa e si riprese in men che non si dica. «Alex, abbiamo un nuovo cadavere.»
«Di già? Non sono nemmeno passati due giorni dall'ultimo.»
«Aumenta il ritmo, ha bisogno di uccidere. Degenera.»
«Cosa ci dobbiamo aspettare ora? Altre budella di fuori?»
«Da quanto mi hanno detto il cadavere non si trova in buonissimo stato. Ma vedremo quando arriveremo, chiamo il resto della squadra.»

Demethra arrivò mentre gli agenti di polizia sistemavano le lampade per illuminare la scena del crimine. Non aveva mai visto una cosa del genere, ma non si scompose più di tanto. Lavorava lì da meno tempo degli altri eppure aveva lo stomaco più forte di tutti loro messi assieme.
Leonard Dixon si avvicinò a lei: «Va tutto bene, Schubert?»
«Sì, signore. Tutto bene.»
«Forza, sei una pivella in gamba. Guardati attorno, fa' ciò per cui sei pagata. Perché l'ha fatto? Qualche idea?»
Lei fece qualche passo verso il cadavere mutilato. Conosceva la procedura. «Giovane donna caucasica, ventenne, probabilmente. Ha occhi castani e capelli ricci castani mediamente lunghi.», iniziò, mentre Dixon le andava dietro con un registratore. Ascoltava sempre con interesse ciò che la ragazza riusciva a comprendere dalla scena del crimine e lasciava parlare sempre lei per i nastri che descrivevano il cadavere e il resto, da conservare negli archivi. I suoi sforzi di cancellare l'accento che si portava dietro dalla sua terra natia avevano fatto in modo che scandisse per bene ogni parola, anche quando parlava in preda all'agitazione. Era perfetta per le registrazioni. «Il cadavere è stato lasciato vicino ad un cassonetto in una zona abitata alle... ventuno e sette. Scoperto probabilmente da un tossicodipendente che voleva trovare un posticino tranquillo dove farsi.»
Demethra deglutì, guardando gli occhi opachi della donna. «Il cadavere è stato mutilato e segnato da numerose X dappertutto. La parte dall'addome in giù è stata recisa con un colpo secco e particolarmente violento, forse per mezzo di una motosega, o peggio, di un'accetta. E' retta da dietro con un'impalcatura fatta di assi di legno accuratamente intagliate. Sul viso ha il solito rossetto di sangue e due pezzi di metallo che tengono accuratamente la bocca alzata in un mezzo sorriso. Le braccia sono giunte ad altezza del ventre, gli occhi spalancati. Eccezion fatta per il velo trasparente adagiato sul capo, è nuda.»
Dixon spense il registratore e annuì soddisfatto. «Qualche idea?», le ripeté. Ma lei, in quel momento, non lo sentì. Aveva trovato un foglietto ripiegato legato alla nuca della ragazza. Lo aprì con cura, era un foglio scritto a macchina, alcune parole scritte in maiuscolo saltavano all'occhio fin da subito. Appena ebbe finito di leggerlo ebbe un tremito così evidente da far allarmare perfino Leonard. Le chiese cosa ci fosse di così strano scritto in quella lettera e lei chiamò il nome di Matthew con la voce che le tremava. Appena il ragazzo si avvicinò e chiese cosa le fosse successo lei gli rispose con un'altra domanda: «A chi hai detto del mio esame psicologico di due anni fa?»
Lui la guardò assente. «A nessuno, perché?»
Porse la lettera al suo capo, che la lesse ad alta voce.


 

«“Cara signorina Schubert,
devo dire che sei la persona più interessante della squadra. Mi hanno riferito alcune tue caratteristiche che tutti gli altri chiamano DIFETTI, ma che io considero enormi PREGI. Mi dispiace solo che tu debba lavorare in una squadra del genere e non in una squadra... di un altro tipo. Ma in fondo hai fatto una bella scelta: chi se non un pazzo può comprendere meglio un altro pazzo? O, nel nostro caso, chi, se non una POTENZIALE ASSASSINA può comprendere un altro assassino? Se non credi che sappia i tuoi meravigliosi pregi, te li elenco così come erano scritti in quell'orrenda cosa che è la perizia psichiatrica che hai dovuto fare qualche anno fa...”»

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