Tonight - I miss you so

di Matilde di Shabran
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


Questa fanfiction è uno dei due seguiti per la fanfiction Tonight - L'incontro che trovate qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2343839.
Tengo a specificare che questo seguito non ha alcun legame con l'altro da me pubblicato (Tonight - I hope it's forever), anche se si svolge in una linea temporale analoga.
Pubblicherò un capitolo a settimana, ogni mercoledì, tendenzialmente la sera e gradirei molto conoscere le opinioni di voi che avrete la bontà di leggere. Quindi, recensite!

Buona lettura!

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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo

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DIN DON

 

“Ciao!”

“Ciao.”

“Cosa fai qui? Sarei passato a prenderti tra un'ora! Non dovresti essere a casa a fare le valigie?”

“Le ho già sistemate” rispose, passandogli davanti senza degnarlo di uno sguardo. Una cosa che non succedeva mai.

Lui restò impietrito. Qualcosa non andava.

Dopo un attimo di esitazione decise di seguirla.

Si era diretta verso il salotto e adesso stava guardando fuori dalla finestra a braccia conserte, fissando il vuoto.

“Che succede?”

Silenzio.

Il clima era gelido, come in quelle giornate invernali in cui la nebbia è talmente fitta che pare di sentire il freddo congelarti le ossa.

“Francesca, parlami!” E detto questo la fece voltare verso di sé. Lo sguardo di lei era completamente inespressivo.

Ancora silenzio.

“È finita” attaccò con un tono più fermo di quanto lei stessa pensasse di riuscire ad esibire.

Un fulmine a ciel sereno. Un quadro idilliaco squarciato da una pugnalata.

“Cosa?!”

“È finita” ripeté lei con calma.

Lui sbiancò e iniziò a scuotere la testa.

Lei rimase immobile fissando il pavimento e mordendosi il labbro inferiore.

“No. Non è vero” bisbigliò.

“Nicky, per favore. Evitiamo scenate. Non è il caso...”

“Oh sì che è il caso!” rispose alzando il tono. “Sì che è il caso! Cosa stai dicendo?!”

“Non mi sembra tanto difficile” rispose con sufficienza. Era chiaro il tentativo di ferirlo. “Ho detto che è finita. Ti lascio. Non voglio più stare con te.”

Era difficile. Maledettamente difficile. Doveva finirla qui. Lo sapeva. La decisione era presa. Ma quanto era difficile... dovergli dire di no.

No era sempre stata la sua parola preferita. Ma non con lui. Aveva cercato di resistergli, all'inizio, ma lui era più forte. L'attrazione che provava per lui era più forte. L'amore era più forte... Ma doveva dire basta. Per il bene di entrambi, doveva finire lì.

“Perché?” gli era passata la voglia di urlare. O forse gliene mancava la forza. Si sentiva nel mezzo di un incubo e non sapeva come fare per svegliarsi.

Sapeva che gliel'avrebbe chiesto. Era logico, dopotutto. Ciò nonostante quelle parole la colpirono come uno schiaffo. Perché? Qual era il perché? In realtà erano molti, alcuni logici, altri meno. Ma quale perché voleva confessargli? Qualsiasi cosa gli avesse detto, sapeva che gli stava spezzando il cuore. Lo stava spezzando anche a se stessa.

“Perché è giusto così... Non possiamo andare avanti. Non ha senso.”

Lui la guardava completamente perso. Cosa stava dicendo?

“Senti. Mentirei se dicessi che non sono stata bene con te... Ma ci ho pensato bene: tu non sei l'uomo per me. È stata una bella avventura, tutto qui...”

“Un avventura?! Ma io ti amo!”

“IO NO!”

Immaginava che gliel'avrebbe detto. Quella sarebbe stata la parte più difficile. L'aveva previsto. Poteva rifiutare tante cose, ma non il suo amore. Ma doveva. La risposta le uscì di bocca prima ancora che riuscisse a pensare al valore che per lei aveva quello che lui le aveva detto. Non c'era un metodo indolore per finirla. La scelta migliore era allontanarlo, fargli credere che lei non lo volesse. Mentire...

La sua reazione l'aveva colpito. Duramente. IO NO. Due parole. Due parole brevissime. Ma potenti come un uragano. Tutto quello che aveva progettato stava crollando.

“Per favore, parliamone. Magari...”

“Non c'è niente di cui parlare! Io non sento per te quello che tu pensi di provare per me. Fine.”

E, detto questo, si avviò verso la porta.

“Domani tornerò a casa e sparirò dalla tua vita. Vedrai, mi dimenticherai presto.”

“Ma Francesca, ti prego!”

“Non mi cercare, non ti risponderò” concluse, aprendo la porta.

“Addio...” mormorò, chiudendosi la porta alle spalle. 

 

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Era stata brava.

Non aveva tradito emozioni.

Neanche una lacrima.

Non davanti a lui, almeno.

Era quello che si era prefissata e ci era riuscita.

Adesso di tempo per piangere ne avrebbe avuto a volontà.

 

Trascorse il resto della giornata come in trance. Le pareva di vedersi scorrere tutto davanti senza poter fare nulla, come se stesse guardando un film.

Le ore passarono velocemente. Presto fu il momento di andare a dormire. Al risveglio riprese a muoversi come un automa. Doccia. Colazione. Bagagli chiusi. Aeroporto.

In tutto questo, incredibile ma vero, Viky quasi non aveva aperto bocca. Francesca le aveva detto cos'era successo a casa del cugino il pomeriggio precedente, ma era stata evasiva sulle spiegazioni e l'aveva pregata di non mettersi in mezzo.

L'avvenimento e il tono in cui era stato espresso l'avevano talmente colpita che non sapeva come comportarsi. Doveva fare qualcosa? Doveva parlare con lei? Doveva parlare con lui? L'amica l'aveva pregata di non farlo.

Qualcosa non andava, era chiaro. Non poteva essere cambiato tutto in un paio di giorni. Aveva visto questa storia sbocciarle sotto il naso e ora era appassita in un secondo. Aveva pensato alle possibili ragioni e non ne era venuta a capo. Alla fine decise che era meglio lasciar stare, almeno per il momento: forse c'era bisogno di un po' di tempo per far assestare le cose e temeva che un suo intervento avrebbe potuto peggiorare la situazione e magari distruggere l'amicizia che sia era instaurata tra di loro.

 

La accompagnò in aeroporto e la salutò con l'affetto che di solito si riserva ad una sorella.

“Torna presto!” disse abbracciandola.

“Vedremo... tu, piuttosto! Devi assolutamente venire a trovarmi!”

“Farò il possibile... magari in compagnia...”

“Vicky...” mugugnò Francesca.

“Va bene, va bene” tagliò corto.

Lei le sorrise. Dio solo sapeva dove ne avesse trovato la forza. L'ultima cosa che avrebbe avuto voglia di fare in quel momento era sorridere. Si meravigliava di se stessa. Si era talmente concentrata sulla sua idea e su come portarla a compimento che era riuscita ad isolare la parte di lei che stava soffrendo, impedendosi di esporla.

 

“A presto perfettissima!”

“Ciao sbadatona”.

 

Anche questa era fatta.

L'ultimo addio.

Prendendo posto sulla sua poltroncina sull'aereo sapeva che stava chiudendosi dietro una porta.

Una volta decollata tirò un sospiro di sollievo. O forse, piuttosto, di sconforto.

Era finita.

Si era lasciata alle spalle un capitolo importantissimo della sua vita. Un capitolo felicissimo.

Se ne sarebbe aperto uno nuovo. Certamente diverso. Probabilmente doloroso. Quanto, l'avrebbe capito nei prossimi mesi.

Sapeva che sarebbe stata dura, ma sapeva anche che aveva preso la decisone giusta. Dopo i primi mesi di infatuazione, sicuramente il rapporto avrebbe iniziato a perdere vigore. Si sarebbero allontanati. Magari avrebbero avuto tanti buoni propositi, ma non ce l'avrebbero fatta. Era inevitabile. Due mondi e due vite troppo diverse. Non poteva durare. Lo sapeva fin dall'inizio, ma si era illusa del fatto che avrebbero potuto trovare una soluzione. Poi aveva iniziato a sentir parlare di promozione, tv, interviste, tour, e la realtà la colpì, con la violenza di un ceffone ben assestato. Aveva capito di essersi sbagliata. Per quanto si fossero potuti impegnare, non ce l'avrebbero fatta. Purtroppo... Era orribile dover troncare così. Sapeva che avrebbe portato sofferenza ad entrambi, ma dopo lo schiaffo iniziale le cose sarebbero migliorate. Il ritorno alla routine, alle vecchie abitudini, avrebbe riportato tutto alla normalità. Qualcuno di nuovo sarebbe entrato nelle loro vite e allora si sarebbero dimenticati l'un l'altro.

Inoltre aveva un presentimento. Un altro valido motivo per tagliare i ponti... Ma anche per questo ci sarebbe voluto tempo. E questo la spaventava più del resto: non sapeva nemmeno se voleva che quello che immaginava fosse vero o no...

 

 

 

Non era possibile. Non era vero. Non poteva essere vero!

Quello che era successo un minuto prima gli sapeva di irreale.

Era un incubo. Doveva essere un incubo, non sapeva spiegarselo altrimenti.

Il modo in cui era arrivata. L'aveva appena salutato. Non un bacio. Non l'aveva nemmeno sfiorato. Sembrava provasse ribrezzo nei suoi confronti. E la freddezza. Come se stesse recitando un copione che non condivideva. E poi perché così all'improvviso? Non c'erano state avvisaglie di questo suo disagio. O, almeno, lui non le aveva notate... Cosa stava tralasciando?

Aveva detto di non amarlo.

Per quanto quella frase l'avesse ferito, non riusciva a crederci. Non era lei a dirlo. Come non aveva esitato un istante a crederle quando le aveva dichiarato i suoi sentimenti, così non poteva credere a quell'io no che aveva praticamente gridato. Non era da lei. Ok, l'autocontrollo, la timidezza, ma quel gelo era troppo innaturale. No. Non erano i suoi sentimenti il vero problema: c'era qualcos'altro. Qualcosa che la tormentava e l'aveva spinta a prendere quell'assurda decisione di punto in bianco.

Trascorse una notte insonne. Pensava a ripensava al pomeriggio appena trascorso. Riviveva quella scena secondo per secondo, ne analizzava anche i più piccoli dettagli. Non era stata solo fredda. Quello avrebbe potuto capirlo, era un suo modo per camuffare la timidezza. No. C'era qualcos'altro. Aveva avvertito un astio, un desiderio di ferire che non era da lei. Tutto gli sembrava come una recita accuratamente progettata per raggiungere il suo scopo. Quel pomeriggio doveva essere arrivata da lui col preciso intento di tagliare i ponti. Non cercava un dialogo, non voleva discutere di un problema per trovarvi una soluzione. Era andata da lui col solo scopo di chiudere una pratica. Poche parole dirette e secche per annunciargli la sua decisone e niente spazio per replicare.

E quell'astio, quella falsa condiscendenza, quel pronunciare quelle parole con espressione impassibile. Non era da lei. Era un atteggiamento costruito. Sembrava quasi che avesse cercato deliberatamente di ferirlo, di trattarlo come un imbecille, in modo che lui si irritasse, e concordasse sulla sua decisione di chiudere il rapporto.

E, a parte il modo in cui si era comportata, più di tutto lo preoccupava la motivazione che l'aveva spinta ad agire così. Cosa poteva averle fatto di tanto orribile? Era colpa sua? O era successo qualcosa che non dipendeva da lui? Magari a casa, nella sua famiglia. Ma allora perché non dirglielo, perché lasciarlo senza spiegazioni? E soprattutto, perché aveva sentito la necessità di lasciarlo? Di qualsiasi cosa si trattasse, quale influenza negativa poteva mai avere il loro rapporto su qualcosa che non li riguardava direttamente? No. Era troppo assurdo. Non aveva senso. Doveva trattarsi di qualcosa che aveva fatto. O qualcosa che indirettamente li riguardava. Ma cosa? Aveva forse parlato con qualcuno? Qualche sua ex gelosa? Qualche giornalista senza scrupoli? Aveva fatto tutto il possibile per cercare di proteggerla, almeno all'inizio, da certe persone, e pensava di esserci riuscito. Ma forse gli era sfuggito qualcosa... Aveva cercato in ogni modo di abbattere la barriera di timidezza e insicurezza che li separava. Aveva tentato in ogni modo di farle capire quanto lei fosse importante per lui, quanto si preoccupasse per il suo benessere e quanto volesse che tutto funzionasse al meglio. Aveva cercato di assecondarla in ogni modo, venendo incontro alle sue esigenze, ai suoi tempi, senza mai spingerla a fare niente per cui non si sentisse pronta. Forse qui stava l'errore. Aveva tralasciato qualcosa. Credeva di essere stato attento e di aver colto correttamente tutte le sue reazioni a quello che stava succedendo, ma forse gli era sfuggito qualcosa. Forse era proprio qualcosa che lui aveva fatto ad averla spaventata. Forse non aveva capito un suo disagio, magari perché troppo preso da se stesso e dalla sua felicità. Forse, per un attimo, aveva dimenticato il noi, per concentrasi sull'io, e così facendo aveva compromesso tutto...

Ciò nonostante lo feriva il fatto che lei non si fosse voluta confrontare con lui. Spiegargli il suo disagio. Cercare una soluzione. Non gli aveva concesso nemmeno la possibilità di scusarsi, di pentirsi di quello che aveva fatto, di capire il suo errore. Ma di scusarsi per cosa, poi? Ancora non riusciva a capirlo. Passò la parte restante della notte così, a riflettere sulle sue azioni, sempre più convinto di essere lui il responsabile della rottura. E questo gli spezzava il cuore...

 

 

Alla fine aveva deciso di andare. Gli aveva chiesto di non cercarla e lui avrebbe rispettato la sua volontà, almeno per il momento.

Però voleva vederla un'ultima volta. Non serviva che lei lo sapesse, ma doveva vederla.

Confondersi tra la folla in aeroporto non era poi così difficile: centinaia di persone andavano e venivano freneticamente. Bastava muoversi fra di esse con circospezione.

Lei era lì. Pantaloni neri, maglioncino rosso e borsetta e giacca tra le mani. Stava salutando Viky. La abbracciava. La distanza era troppa per esserne certo, ma gli era parso addirittura di scorgere un sorriso. I particolari che gli occhi non coglievano, li aggiungeva la sua memoria. Quel sorriso. Mai l'avrebbe dimenticato. Qualsiasi cosa gli riservasse il futuro sarebbe sempre rimasto stampato nei suoi ricordi.

Non poteva perderla. Non senza aver lottato per lei. Lottato per loro.

In quel momento aveva fatto un patto con se stesso: fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto, avrebbe scoperto cosa l'aveva fatta scappare così, l'avrebbe sistemata e se la sarebbe ripresa. La SUA Francesca.

Era ora di salire sull'aereo. Si stavano scambiando l'ultimo saluto. È vero, forse poco fa aveva intravisto un sorriso, ma di certo non era il suo intimo a sorridere. I suoi movimenti, il modo in cui reggeva la borsa, tutto gli pareva strano. Traspariva un profondo disagio, e non era causato solo dal saluto all'amica. Era turbata. Lo stava mascherando in modo incredibilmente efficace, ma lui non ci cascava, la conosceva troppo bene. Non era felice. Non era neanche semplicemente triste. In quei gesti lui leggeva sconforto, paura.

Era sparita dalla sua vista. Si stava avviando verso l'aereo. Decise di lasciare l'area delle partenze e andare alla terrazza panoramica. Subito individuò il suo aereo. Si stava già muovendo, era in fase di decollo. Se n'era andata. Ma non per molto, si era ripromesso. L'avrebbe riportata indietro, ad ogni costo. 

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


Cari lettori. Sono desolata per avervi fatto attendere così tanto, ma ora tutto è sistemato e, salvo ulteriori problemi, la pubblicazione riprenderà con la solita cadenza (ogni mercoledì).
Vi ringrazio infinitamente per la pazienza! 

***********

ITALIA

 

Appena arrivata a casa, non aveva perso tempo a mettere in atto il suo piano per rendersi irreperibile. Per prima cosa era corsa dal suo gestore per cambiare il suo numero di cellulare. Poi aveva fatto cambiare anche il numero del telefono fisso e l'aveva fatto togliere dall'elenco. Infine aveva disattivato tutti i suoi indirizzi email. Era praticamente irraggiungibile. Si sarebbe dovuto presentare a casa sua per potersi mettere in contatto con lei.

Aveva anche cercato di fare in modo di eliminare qualsiasi cosa glielo facesse tornare in mente. Se si fosse dimenticata non solo di averlo conosciuto, ma anche della sua effettiva esistenza, pensava, forse sarebbe tornata più velocemente alla sua vita di una volta e piano piano il dolore sarebbe passato. Per fare questo aveva fatto sparire tutto quello che le ricordasse i Westlife. Cd, dvd poster e, per non sbagliare, anche qualsiasi cosa avesse a che fare con l'Irlanda.

 

Il piano sembrava perfetto e sulla carta il risultato le pareva facile da ottenere, ma non lo era affatto. Non bastava nascondere qualche oggetto per cancellare i suoi ricordi. Anche nei momenti più improbabili un parola, un'azione, una situazione la riportavano indietro e la facevano sprofondare nello sconforto. Di certo non poteva impedire alle persone che incontrava per strada di indossare delle maglie con la scritta “Dublin”, o far chiudere tutti gli irish pub dei dintorni (anche se cercava accuratamente di evitare di passarci davanti), o chiedere alle agenzie di non organizzare più viaggi in Irlanda. Ormai le dava sui nervi anche vedere quell'isola stampata sulla cartina dell'Europa, e perfino il colore verde iniziava a disturbarla. Per fortuna le radio italiane non trasmettevano mai le loro canzoni. Mai si sarebbe sognata di gioire del fatto che i lads non avessero mai avuto successo in Italia...

 

Ogni tanto le pareva di stare bene. La mattina, appena sveglia, in quei brevi istanti prima di alzarsi dal letto, le sembrava che tutto fosse stato solo un sogno: non era mai stata in Irlanda, Viky non esisteva, Nicky Byrne era solo il ragazzo biondo di un poster... In quei momenti si sentiva leggera, serena, con tutta la vita davanti e la possibilità di prendere la strada che preferiva per il suo futuro. Poi si alzava. Accendeva la luce. Guardava la parete della sua stanza a vedeva che i suoi vecchi poster non c'erano più. Dal muro era sparito quel viso sorridente. Non c'erano più quegli occhi azzurri che le sembrava la seguissero nella stanza. Si ricordava perché non c'erano più. E il buio la inghiottiva di nuovo. Sentiva l'angoscia serrarle la gola. Le sembrava che le mancasse il fiato. Tutto quello che era successo nei mesi precedenti le ripiombava addosso con la violenza di una valanga.

Non era stato un sogno. Era stata in Irlanda. Viky esisteva. Nicky Byrne non era solo il ragazzo biondo di un poster. Istintivamente si portava la mano sulla pancia. No. Decisamente non era solo un poster. Ancora sconforto. Ancora paura. E questo solo nei primi cinque minuti della giornata, di prima mattina. E succedeva ogni mattina. E tutto senza neanche essere uscita dalla sua stanza e aver incontrato anima viva.

E il suo personale inferno non si fermava lì. Come se i suoi ricordi non la torturassero abbastanza, ci si mettevano anche le persone attorno a lei a straziarla. Tutte quelle domande. Nessuno voleva accontentarsi del suo sbrigativo “non ci amavamo più” come ragione della loro separazione. Nessuno comprendeva il motivo di quel ritorno anticipato dall'Irlanda. Tutti facevano domande, insistevano, volevano scavare più a fondo nei suoi sentimenti per capire cosa realmente l'aveva spinta a comportarsi così. Alcuni erano più insistenti e decisamente poco delicati, altri ci avevano provato per qualche tempo, per poi lasciar perdere presi dalle proprie vite. Le sue amiche più care avevano compreso che di certo sotto c'era qualcosa, ma fin da subito si erano accordate sul lasciarla in pace, preferendo attendere che fosse lei a farsi avanti e spiegare le sue ragioni quando si fosse sentita per farlo. Ma anche se cercavano il più possibile di essere discrete e piene di tatto, Francesca si sentiva comunque i loro occhi costantemente addosso. Tutto questo la feriva. Ogni sguardo, ogni domanda era come una pugnalata e fendente dopo fendente lei era sempre più vicina al crollo.

 

LONDRA

 

“Non c'è verso di trovarla. È sparita!”

Nicky era fuori di sé. Dopo la partenza di Francesca aveva deciso di sforzarsi di lasciare passare qualche giorno affinché le cose si assestassero, poi aveva iniziato a cercarla. Aveva provato con qualche innocuo sms, ma gli erano tornati indietro. Aveva provato a telefonarle, ma ogni volta partiva il messaggio registrato che annunciava che il numero chiamato era inesistente. Allora aveva tentato col telefono di casa, sperando che non le rispondesse la madre, che, sapeva, non spiccicava una parola d'inglese. Anche qui un buco nell'acqua: numero inesistente. L'ultima speranza era l'email, ma anche qui niente risposta. Era incredibile! Aveva reso impraticabili tutti i mezzi di comunicazione a loro disposizione.

In tutto questo Shane era spesso colto dall'insano desiderio di annegarsi nel lavandino...

“E adesso cosa faccio? Sono dieci giorni che la cerco. Domani partiamo per il tour in Asia e io non ho ancora trovato un modo per mettermi in contatto con lei!”

“Potresti fare in modo che le tv italiane mandino in onda un tuo messaggio. Guarderà la tv, prima o poi...”

“Posso farlo?” lo interruppe agitato.

“Nicky, scherzavo!” lo riprese.

Il biondo sbuffò.

“Ho capito che sei in crisi, ma credevo fossi così disperato!”

“Tu non capisci! Mi ha lasciato per un imprecisato motivo, evitando accuratamente di spiegarmelo. Adesso è tornata in Italia, ha fatto in modo di essere irraggiungibile e da domani sarò dall'altra parte del mondo per settimane! E io sono qui a cercare una soluzione il più velocemente possibile perché non ho nessuna intenzione di lasciare che finisca così. Qualsiasi cosa sia successa, voglio saperlo. La rivoglio nella mia vita. Sto impazzendo in questi limbo! E non guardarmi così” lo ammonì, dato che l'amico lo stava osservando con l'accondiscendenza che si riserva ai matti “perché se Gill sparisse in questo modo, tu faresti lo stesso.”

“Questo è vero. Ma quella sparata della tv era assurda!”

“Fosse una strada praticabile, la seguirei di corsa”

“Caro il mio Nicky, tu sei proprio cotto!”

“Grazie mille, oracolo di Sligo... Servivi tu a dirmelo...”

Scese il silenzio. Shane ora era imbarazzato. Nicky aveva bisogno di aiuto e lui non aveva saputo far altro che prenderlo in giro. Gli faceva pena. Si vedeva che stava soffrendo. Le occhiaie scure denunciavano una certa carenza di sonno, dovuta non solo al troppo lavoro, e in generale appariva spento. Gli mancava la sua scintilla.

Se almeno gli fosse venuta in mente una buona idea... Con quella si sarebbe fatto perdonare per la mancanza di tatto... D'altra parte loro erano buoni amici e lui era sempre stato disponibile ad aiutarlo quando ne aveva avuto bisogno. Adesso era il suo momento di rendersi utile. E poi si era affezionato a Francesca. Aveva visto la loro storia nascere e gli era sembrata fin da subito la persona giusta per Nicky. Era timida, ma aveva un bel caratterino e sapeva quello che voleva. Inoltre era una persona molto gentile e brillante. E poi lei e Gill si intendevano a meraviglia e...

“Ci sono!” scatto in piedi, schioccando le dita.

L'altro lo osservava speranzoso.

“Tu sai dove abita?”

“Sì. Più meno...” la delusione era chiara nella sua voce “Ma domani partiamo e non torneremo in Europa fino a metà dicembre! E poi non so se sia il caso di piombarle a casa così...”

“Chi ti ha detto che ci devi andare tu...”

 

ITALIA

 

Qualche settimana dal ritorno a casa...

 

“E questa cos'è?” disse aprendo la cassetta della posta e trovandoci una lettera indirizzata a lei. Ormai le uniche lettere che arrivavano a casa sua erano bollette o estratti conto dalla banca, ma non c'era nessun timbro o logo stampato. C'era il suo nome e l'indirizzo era incompleto. Mancavano via e numero civico. Si chiedeva se fosse per lei. Il suo cognome era piuttosto comune e nella sua cittadina erano almeno una decina quelle che avevano anche il suo stesso nome di battesimo. Con così pochi dati il postino doveva averla portata a caso: poteva essere per chiunque.

Entrata in casa depose le chiavi sul mobile dell'ingresso, si tolse il cappotto e lo ripose nel guardaroba assieme alla borsetta. Poi entrò in cucina, si riempì un bicchiere di succo d'arancia e iniziò a passare in rassegna la posta. Aperte bollette e pubblicità varie le rimase la lettera. Era titubante nell'aprirla. E se non fosse stata per lei? Non c'era, però, modo per saperlo senza leggerla, quindi alla fine si decise e strappò la busta.

Non appena iniziò a scorrere le prime righe, senza neanche aver prestato attenzione al significato del testo, ma riconoscendo la grafia, il bicchiere le scivolò dalla mano, andando a frantumarsi sul pavimento.

“Non è possibile...” istantaneamente gli occhi le si riempirono di lacrime. Il panico la assalì. Sudava freddo. Sbatté la lettera sul tavolo e iniziò a camminare freneticamente avanti e indietro per la cucina. “Sa dove abito! Imbecille! Sa dove abito... E adesso? Verrà qui? Cosa faccio? Cosa faccio???”

Il suono del campanello la colse talmente di sorpresa che fece un salto dalla paura. Riguadagnata un minimo di razionalità si accostò alla finestra per vedere chi fosse.

“Astrid” pensò, mentre si avviava verso la porta d'ingresso e premeva il pulsante che apriva il cancello. “Proprio la persona di cui ho bisogno”.

Sentendo le forze venirle meno tornò in cucina e si lasciò cadere su una sedia.

“Posso entrare?” chiese Astrid facendo capolino dalla porta d'ingresso.

“Sono in cucina” gracchiò a fatica, nonostante si fosse schiarita la voce.

“JesusMariaKyrie!” attaccò Astrid, vedendo l'amica con gli occhi rossi dal pianto e le mani tremanti e il bicchiere in pezzi sul pavimento. “Dalla tua faccia presumo che sia successo un cataclisma!” Provò, come da sua abitudine, a sdrammatizzare. Di solito funzionava, e il depresso di turno, almeno per un momento, inghiottiva le lacrime e sorrideva. Questa volta, però, aveva avuto scarso successo. L'amica continuava a singhiozzare e sembrava che neanche avesse prestato ascolto alle sue parole. “Fra” la richiamò, poggiandole una mano sulla spalla.

Lei alzò lo sguardo e la fissò smarrita.

“Credo di poter immaginare chi sia la causa del cataclisma... Ma cosa è successo di preciso?”

Francesca indicò la lettera.

Astrid squadrò il foglio, prima di afferrarlo “Forse non ho capito un tubo ed è solo una bolletta esorbitante...” pensò.

Esaminò quello che aveva tra le mani. Un foglio bianco. A4. Semplice. Banale, se vogliamo. Era scritto a mano “Niente bolletta, quindi...” con inchiostro blu. Le righe piuttosto ordinate e solo leggermente inclinate verso destra. La grafia non bellissima ma facilmente decifrabile.

My beloved Francesca...” iniziò a leggere ad alta voce. “ORCOPORCO! Allora l'avevo imbroccata al primo colpo! … Sgaio il mulo [=sveglio il ragazzo], però! Non sarebbe venuto in mente a tutti di mandare una lettera. Non se ne vedono più di queste cose... È chic!”

Francesca la guardò con un'espressione degna del miglior cane da guardia infuriato con un intruso.

“Scusa... Dicevo... Mia amata Francesca, ho cercato di contattarti in tutti i modi, ma sembra che le reti di comunicazioni telefoniche o informatiche tra l'Italia e l'Irlanda siano diventate inservibili. Immagino che spedirti qualcosa a casa, anche se si tratta solo di un pezzo di carta, ti possa sembrare come un'invasione dei tuoi spazi. Se è così mi dispiace molto, ma questo è l'unico sistema che ho trovato per mettermi in contatto con te, al momento.”

“Devi proprio leggerla tutta?”

“Il poveretto si è impegnato, ammettilo! Almeno sentiamo cos'ha da dire... Il modo in cui tu te ne sei andata mi ha molto colpito. E ferito... Come ti ho già detto quel giorno a casa mia, non riesco a credere a quello che mi hai detto. Sono assolutamente sicuro del fatto che il tuo gesto sia stato motivato. Motivato da qualcosa che non hai voluto dirmi. Ti giuro che, se sapessi di cosa si tratta, farei qualsiasi cosa per risolvere il problema. Ti chiedo solo di avere fiducia in me ed aprirmi il tuo cuore. Cercami quando vuoi, non farti problemi. Il tempo per te lo troverò sempre: tu vieni prima di tutto. Sempre tuo. Nicky”.

Terminata la lettura, sulla cucina scese il silenzio.

Astrid guardava Francesca. Francesca guardava le scarpe di Astrid.

Stanca dell'ostinato silenzio dell'amica, Astrid prese la parola “Allora?”

“Allora, cosa?” rispose. La voce lasciava trasparire più collera che tristezza.

“Non hai niente da dire?”

“Cosa dovrei dire?”

“Beh. Lui mi è parso abbastanza chiaro. Sei tu quella che ha fatto qualcosa di incomprensibile.”

“C'è poco da comprendere. Non funzionava. L'ho lasciato. Punto.”

“A me non sembrava che non funzionasse...”

“Astrid, tu non puoi capire” sbotto, alzandosi in piedi e iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza “tu non c'eri!”

“Hai ragione. Non c'ero. Ma lui sì. E anche lui non ha capito! Sostiene che ci sia qualcosa che non gli hai detto... a questo punto credo che abbia ragione. Me lo vuoi dire, o dobbiamo tirare a indovinare? Ma se lui che c'era non l'ha capito, io, che non c'ero, ho ancora meno possibilità di farcela, e onestamente non voglio restare nel dubbio. Per favore, dimmi cos'è successo così la facciamo finita con queste bugie e iniziamo a ragionarci.”

“Perché deve per forza essere successo qualcosa? Cos'è questa fissazione?! Non posso aver cambiato idea da sola!?”

“Non così di colpo! Non è da te! Tu non cambi idea perché una mosca ti è passata davanti al naso! Non è il ragazzo per te? Possibile, ma non l'hai capito in qualche ora dopo mesi che vi frequentavate! Non ti piace il tipo di vita che conduce? Lo sapevi benissimo anche prima. Se ti andava bene ad agosto, ti sarebbe dovuto andar bene anche ad ottobre. Non mi risulta che abbia cambiato lavoro nel frattempo. Hai paura della relazione a distanza? Mi pare che abbiano inventato i telefoni e perfino gli aerei, e sembra che ce ne siano anche alcuni piuttosto economici. Puoi andare all'università la mattina ed essere a Londra o Dublino per cena. E comunque anche questo lo sapevi prima. Altrimenti potevi tagliare la testa al toro e restare là! Quindi sì, per me è successo qualcosa!”

“Non è successo un bel niente, invece! Semplicemente ho capito di aver commesso un errore.”

“Però sei sicura che l'errore non sia, in effetti, l'averlo lasciato?”

La domanda la mandò talmente il collera che sbatté entrambi i pugni sul tavolo. “Astrid, in che lingua te lo devo dire?! Ero infatuata. Questo è certo. Si può dire che fossi cotta. Ma quello era il sogno di una fan. La realtà è diversa.”

“Ma non è detto che lo debba essere necessariamente in peggio... e poi si vede che per te è una ferita aperta. Altrimenti non avresti fatto di tutto per renderti irraggiungibile e non daresti i numeri per una lettera! Se veramente lui non ti interessasse, adesso saresti scocciata, non in lacrime! Lo vuoi allontanare, Dio solo sa per quale motivo, però ti manca. È evidente. Hai preso una decisione, e adesso soffri per le conseguenze. E quindi io mi domando, era davvero la decisione giusta? Non avresti sofferto di meno, se non l'avessi lasciato?”

“Ma io non lo amo!”

“È questo che gli hai detto? È questa la cosa a cui non crede?”

“Sì...”

“Beh. Siamo in due! Non è questo il problema, altrimenti non ti comporteresti così. Non sei serena! Se davvero non l'amassi per te lasciarlo sarebbe dovuto essere quasi indolore. Cioè. Magari ti sarebbe dispiaciuto per lui, ma tu saresti stata serena. Invece non è così! E lui ti cerca... quindi lui ti ama...”

“Forse” la interruppe.

“Questa non la capisco... se non ti amasse, perché dovrebbe rompersi tanto per cercarti?”

Francesca si mordeva nervosamente il labbro e taceva.

“Non rispondi? Certo! Perché sai che è una cavolata!”

Stizzita Francesca prese la lettera. La strappò e si diresse verso il salotto.

“Cosa fai?” domandò Astrid correndole dietro.

Le rispose con i fatti. La gettò nel caminetto, dove il fuoco era acceso.

Astrid scosse il capo: “Sei impossibile!”

“Lo so!” le sorrise prendendola a braccetto “Tu sei uguale! Per questo andiamo d'accordo!”

“Francesca, non la passi liscia. Per oggi lasciamo perdere, ma bisogna chiarire la faccenda. Se non con lui, almeno con me”.

“Sì, Astrid...”

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


“Francy, che succede?” chiese Elisa preoccupata, aprendo la porta di casa e trovandosi dinnanzi l’amica in lacrime. Era un freddo pomeriggio di dicembre e Francesca era tornata a casa da circa due mesi.

“Posso entrare?” domandò con voce incerta.

“Certo, vieni” disse accompagnandola verso il salotto e facendola accomodare sul soffice divano color glicine.

“Fra, cosa c'è?” intervenne poggiandole una mano sulla spalla.

Francesca scoppiò in un pianto a dirotto, sfogandosi completamente tra le braccia dell’amica che lei considerava pressappoco come una sorella.

Quando si accorse che Francesca aveva ripreso un minimo di autocontrollo, Elisa, con tono materno, le chiese nuovamente “Cosa ti è capitato da farti stare così?”

Sospettò che l'improvviso cedimento avesse qualcosa a che fare con l'Irlanda e quello che era successo là. Da quando era tornata a casa era strana. Vedeva che si sforzava di sembrare la solita Francesca, ma qualcosa decisamente non andava. E poi quella strana rottura. Le sembrava così innamorata... “Fra...”

“Aspetto un bambino” bisbigliò prima di ricominciare a piangere, stringendosi il capo tra le mani.

Elisa rimase paralizzata per un istante con gli occhi sbarrati, incredula per quello che aveva appena sentito.

“Fra… Ma… Io…” balbettò presa dall'incredulità “Ma come… quando…”

“La sera della festa…” singhiozzò.

“Festa?”

“Sì. Una settimana prima che io partissi hanno organizzato una festa per salutarmi...”

“Ma… io non sapevo niente… n-non mi hai detto niente. Non della festa, intendo... Le altre lo sanno?”

Francesca scosse il capo in risposta.

“Ma perché? Perché non ce l’hai detto?”

“Perché mi vergogno… è da quella sera che vorrei sotterrarmi…”

“Dai Francy! Hai fatto l’amore con il tuo ragazzo, non è un crimine!”

“Ex...”

“Sì, va bene, ex...” Per il momento, pensò.

“Non lo sarà per te, ma io mi sento male! Sento di aver commesso un grosso errore!”

“Ma sei sicura del bambino, o è solo un presentimento?”

“Sì” rispose asciugandosi le lacrime, nere a causa del mascara che stava colando, con un fazzolettino che l’amica le aveva appena passato “era da più di un mese che non avevo il ciclo, ma continuavo a rimandare per... paura di avere conferme... penso... ma questa mattina mi sono decisa e sono stata dal medico a fare tutti gli esami e non c’è dubbio: sono incinta.”

Furono solo queste ultime parole a far realizzare ad Elisa quello che stava succedendo alla sua amica e non poté contenere la sua eccitazione: “Sarò zia!” esclamò abbracciandola “Non sei contenta di diventare mamma?”

“No” rispose lapidaria, riprendendo a singhiozzare. Elisa era stupita per la sua reazione. Capiva benissimo il panico iniziale subito dopo la scoperta, ma la sua, più che paura, le sembrava rabbia. Non riusciva a spiegarsi questa stizza. Lei lo vedeva come un segno del destino: l'occasione perfetta per ricostruire il rapporto con Nicky e ripartire. Invece Francesca si stava comportando come se si trattasse di una sciagura, come se odiasse a morte il bambino e suo padre. Era assurdo! Lei lo amava, ne era certa. Quello strano modo in cui si erano lasciati... La cosa puzzava. Quel cambiare idea da un giorno all'altro. Quel tagliare i ponti... Ma lei non si era mai sbottonata sull'argomento...

“Ma perché? L’hai sempre sognato!”

“Elisa! Ti rendi conto di quello che stai dicendo!? A parte il fatto che sono troppo giovane, IO sono SOLA! Ci siamo lasciati!”

“Errore! Tu hai lasciato lui, c'è una bella differenza...”

“Una differenza di forma, ma la sostanza è la stessa: sono SO-LA!”

“Ma lui che ti ha detto?”

“Non lo sa…”

“Ma come? Non gliel’hai ancora detto?!”

“NO!” sbottò.

“Ma Fra! Glielo devi dire! Aspetti suo figlio! Questo cambia tutto per voi!”

“Cambia tutto per ME! Lui non c'entra un bel niente!”

“Oddio... Io non ero una cima in biologia, ma non mi risulta che funzioni così...”

“Elisa, per favore...”

“Ok. Lasciando da parte la biologia, che non ci piace, torniamo a noi. Perché non glielo vuoi dire?”

“Non ce la faccio, non ne ho il coraggio!”

“Ma perché?! Ho capito, l'hai lasciato. Anche se non ne ho ancora capito il motivo. Cioè. Ti ho sentita blaterare sul fatto che non fosse l'uomo per te, che eravate diversi e bla bla bla... Ma per me c'è ancora qualcosa che non mi hai detto...”

“Appunto...”

“Cosa?”

“La cosa che non vi ho detto... È questo.”

“Questo cosa?”

“Il bambino, Elisa!” esplose.

“EH?” strabuzzò gli occhi “ Forse ho capito male, anzi, lo spero... Tu l'hai lasciato perché pensavi di poter essere incinta???”

Lei annuì.

“FRANCESCA SEI IMPAZZITA!!!”

“No. Ci sono un mucchio di valide ragioni per quello che ho fatto e perché non glielo voglio dire.”

“Tipo?”

“Se non lo volesse?”

“Dai! Perché non dovrebbe volere il vostro bambino!? Fra, glielo devi dire. Non potrai mai sapere cosa realmente ne pensa, se non lo senti dalla sua viva voce. Queste sono solo tue supposizioni. Assurde, per giunta!”

“Ma se fosse così?”

“Se fosse così mi sentirei autorizzata a dargli del bastardo vita natural durante, oltre a polverizzarlo con le mie stesse mani.”

“E comunque siamo stati assieme così poco...”

“Prima che tu lo lasciassi...”

“Finiscila! Dicevo... Siamo stati assieme troppo poco. Potrebbe pensare che l'abbia fatto apposta, per incastrarlo...”

“Sì, un piano furbissimo. Ti fai mettere incinta, però lo lasci!”

“Il punto è lo stesso! Sembra che io abbia fatto tutto apposta, per rovinargli la vita...”

“Rovinargli la vita?” tuonò Elisa sconcertata “Francesca, ma sei fuori?!”

“Elisa, lui è in una boyband, potrei distruggere la sua carriera! E tutto perché non ho usato la testa...”

“Capisco che hai gli ormoni in subbuglio, ma ti rendi conto che stai dicendo cose che non stanno né in cielo né in terra? Da quando in qua la nascita di un figlio ha rovinato la vita a qualcuno?”

“Ma lui è una popstar, un idolo per le ragazzine, non fa un lavoro qualsiasi! Queste cose influiscono, eccome!”

“Non posso credere che proprio tu stia dicendo un’assurdità simile!”

Francesca riprese a piangere a dirotto, travolta da mille pensieri e sensi di colpa.

“Fra” intervenne delicatamente l’amica abbracciandola “perché ti stai facendo del male così?”

“Mi sento in colpa” singhiozzò sommessamente.

“Perché?”

“Perché non doveva succedere… non volevo farlo... era troppo presto...”

“Ma scusa” cercò di farla ragionare con cautela “se tu non lo volevi fare, ma lo avete fatto comunque, non dovresti essere tu quella con i sensi di colpa…”

“Adesso non tirarlo di nuovo in mezzo” la interruppe, innervosita “non è colpa sua…”

“Veramente, fino a prova contraria, bisogna essere in due… anche a volerla tirare per i capelli, un minimo c'entra anche lui…”

“Ma eravamo ubriachi dopo la festa!”

“Appunto! ERAVATE! Lo eravate entrambi! Non eravate lucidi, vi siete fatti trasportare dai vostri sentimenti! Avete fatto una sciocchezza: amen! Può capitare! Chi non ne ha fatte in vita sua?!”

“Ho capito, ma non mi sono tinta i capelli di viola o ho comprato una paio di scarpe da 2000 euro! Questa sciocchezza avrà delle conseguenze non proprio irrilevanti…” sospirò nervosamente accarezzandosi la pancia.

“Facciamo così. Prenditi una paio di giorni di tranquillità. Rilassati, pensaci bene e poi ne riparliamo. Adesso sei troppo agitata e spaventata per prendere una decisione sensata.”

Francesca annuì, abbracciando l’amica e continuando nel suo pianto sconsolato.

 

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


“Fra, non puoi andare avanti in questo modo!” esplose Alaina alterata, ma anche visibilmente preoccupata per l’amica “è da troppo che ti comporti così! Passi le tue giornate chiusa in casa a piangere, eviti ogni tipo di divertimento, non sorridi più, parli poco, sei spenta: io non ti riconosco più!”

L’atmosfera era esplosiva, nella stanza di Francesca erano riunite tutte le sue amiche, Alaina, Federica, Astrid, Giulia, Elisa e Stefania per l’ennesimo tentativo di farla ragionare.

“Io non ti capisco” intervenne Elisa “ci hai ripetuto in tutti i modi che non hai il coraggio di dirgli che aspetti un bambino perché temi la sua reazione, ma intanto lui ti scrive quelle benedette lettere ogni santo giorno! E tu cosa fai? Le butti via o le bruci! Quel povero disgraziato sta impazzendo senza di te e cerca di fartelo capire in tutti i modi! E per te, che tu lo voglia ammettere o no, vale la stessa cosa!” Infatti, dopo la lettera che Astrid le aveva letto, ne erano arrivate altre. Praticamente una al giorno. Oltre a continuare a chiederle spiegazioni e a pregarla di farsi sentire, aveva iniziato anche a raccontarle delle sue giornate, del suo lavoro o, più semplicemente, del più e del meno, come per cercare di farla sentire parte di quello che faceva, anche se non era li fisicamente. Lei alla volte reagiva con stizza, altre con freddezza, come se quelle parole non fossero dirette a lei, altre ancora rattristandosi. In certi casi nemmeno le leggeva e le gettava ancora prima di aprirle. In altri le sue amiche, che andavano a trovarla, o sua madre, intercettavano la posta prima che lei ci potesse mettere le mani sopra, e gliele leggevano ad alta voce, in modo da obbligarla a sentire cosa ci fosse scritto.

“Si vede lontano un chilometro che soffri terribilmente la sua assenza, anche se non vuoi ammetterlo, e che più che in ogni altro momento adesso hai un estremo bisogno di lui. Ma non ti rendi conto che stai facendo del male a tutti e due per i tuoi assurdi sensi di colpa?!”

“Noi ci conosciamo bene, io e te siamo amiche da sempre,” disse Federica con tono più calmo, sedendosi sul letto, al fianco dell’amica “Ci siamo accorte tutte che tu stai male, e, che tu lo voglia ammettere o no, uno dei motivi è il fatto che lui non è qui con te.”

“Porca miseria Francesca, non puoi ridurti così!” esclamò Stefania “Sei depressa, pallida, sciupata, persino dimagrita, e non è tanto normale, visto che sei incinta! Posso capire che tu ce l’abbia con te stessa! Non lo condivido, ma posso capirlo. Però almeno preoccupati del bambino, così fai del male anche, e soprattutto, a lui. E poi proprio tu, che ti sei sempre proclamata paladina della famiglia tradizionale, del matrimonio, e tutto il resto, ora vuoi che tuo figlio cresca senza un padre, quando ce l’ha, ti ama ed è, a tuo dire, una persona straordinaria? Scommetto che, se glielo dicessi, verrebbe qui di corsa, anche se TU l'hai lasciato!”

“Ok” intervenne Elisa “mettiamo che tu continui ad insistere sulla tua decisione. Ma se un giorno lui venisse a sapere di avere un figlio, non si troverebbe in diritto di odiarti per averglielo nascosto? Così passeresti dalla parte del torto!”

“Ci sono già” singhiozzò Francesca.

“Se proprio ci tieni ad incolparti” ribatté Elisa infuriata “va bene! Hai sbagliato! Ma allora ha sbagliato anche lui! Fino a prova contraria, queste cose si fanno in due!!! Ti vuoi mettere in testa che comunque questo sbaglio non è poi così grave, e ci potresti porre rimedio facilmente, se solo ti decidessi a dirgli la verità.”

“Ma lui non può…” cercò di rispondere tra le lacrime che le scendevano copiose sulle guance “non può… non posso fagli questo… non se lo merita…”

“FRANCESCA è ORA DI FINIRLA!” gridò Astrid, presa dalla collera “Non credevo che tu potessi dimostrarti così stupida! Non puoi fargli cosa? TU? Cosa ha fatto LUI a TE, piuttosto! Dovrebbe essere LUI a stare male e ad avere i rimorsi di coscienza, non TU!!! È lui che ti ha messa in questa situazione! LUI che te l’ha fatto fare, benché TU non ti sentissi pronta, non viceversa! E adesso TU sei incinta!”

“Ma…” cercò di obiettare Francesca, osservando atterrita Astrid, che stava esprimendo le proprie idee con l’impeto di un fiume in piena.

“Niente ma, Santo Cielo! Finiscila di difenderlo, perché non se lo merita! Devi metterti in testa che tu sei la vittima in questa situazione, non lui! Tu non gli hai fatto niente di male, lui sì!”

“Astrid, tu non puoi capire" replicò scuotendo il capo e alzando il tono della voce, nel tentativo di contrastare la foga della sua interlocutrice.

“Svegliati” gridò Astrid, tirandole un violento ceffone “Io mi sono stufata!" concluse uscendo dalla stanza, sbattendo violentemente la porta.

 

 

“Astrid, fermati” la richiamò Elisa che l’aveva rincorsa per poi prenderla per un braccio quando ormai si trovava nei pressi del cancello della villetta.

“La sberla te la potevi risparmiare…”

“Sì, lo so, ma mi è scappata” rispose Astrid dispiaciuta, tentando di trattenere le lacrime, così poco consone al suo usuale atteggiamento da donna forte e determinata. “Sono esasperata. Fa male vederla così! Si sta distruggendo con le sue mani…”

“E tutto perché lo ama troppo…” sospirò Elisa.

“Vedi che io ho ragione a non volermi lasciare andare ai sentimenti! Io non rischio una situazione del genere!!!”

“Ma con i ragazzi precedenti non aveva mai avuto questo legame, non era mai stata così innamorata…”

“Non era neanche mai rimasta incinta!” rimarcò acida.

“Ma non è solo quello! Mi sono accorta subito, dal modo in cui ne parlava e dal suo atteggiamento in generale, che questo era ben diverso dagli altri, non per quello che è, ma piuttosto per quello che loro sono assieme. Il bambino è un di più che ha complicato la situazione… Anche se potrebbe essere visto come un segno…”

“Di cosa?”

“Del fatto che devono stare assieme. Che questa storia non può essere distrutta semplicemente dal fatto che sono lontani…”

“Dobbiamo fare qualcosa!” intervenne Astrid risoluta.

“Sì… è un paio di giorni che ci sto pensando… domani ci troviamo tutte a casa mia e vi spiego”.

 

 

“Dai Fra” disse Giulia avvicinandosi a Francesca accarezzandole la guancia ancora arrossata per lo schiaffo e abbracciandola “non ti preoccupare per Astrid, sai come è fatta. Lei ti vuole molto bene e soffre come tutte noi nel vederti stare così, solo che lei reagisce in maniera diversa…”

“Io non voglio che voi stiate male per colpa mia” sospirò asciugandosi le lacrime.

“Quando una di noi ha avuto un problema abbiamo sempre cercato di aiutarci a vicenda e tu sei sempre stata la prima a starci vicina. Adesso è il nostro turno di ricambiare.”

 

 

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


“Come sta?” chiese Federica ad Alaina, l’ultima ad essere arrivata a casa di Elisa, dopo essersi recata a trovare Francesca.

“Come al solito… Uno straccio che piange…”

“Allora, cos’hai pensato di fare?” tagliò corto Astrid, ansiosa di scoprire il piano dell'amica.

“Partiamo dal presupposto che, visto come stanno andando le cose da quando ha scoperto di essere incinta,” iniziò Elisa “se aspettiamo che lei faccia qualcosa di sua iniziativa, non si va da nessuna parte…”

“Ma io non capisco!” la interruppe Stefania “perché i suoi genitori non fanno niente?”

“Infatti” aggiunse Giulia “loro sono sempre stati superprotettivi nei suoi confronti, mi sembra strano che non siano intervenuti in qualche modo”

“A me sembra strano che non l’abbiano presa per i capelli!” intervenne Federica “Loro sono sempre stati abbastanza rigidi e tradizionalisti sull’argomento… Mi stupisce anche che suo padre non sia andato a prendere a legnate Nicky non appena saputa la notizia!”

“Stamattina ho incrociato sua mamma” rispose Elisa “e abbiamo parlato a lungo di questa situazione. Sulle prime erano tutti e due molto arrabbiati, in particolare lei, che è abbastanza emotiva. Poi suo papà ci ha un po' riflettuto, e alla fine era quasi contento, perché la prospettiva di diventare nonno così, senza preavviso, gli piaceva. Però poi, quando gli ha detto che non voleva farlo sapere a Nicky, e quindi di matrimonio non se ne parlava, allora anche suo padre l’avrebbe presa a calci nel sedere…”

“Ma tu sapevi della reazione dei suoi?” chiese Alaina.

“No. Questa discussione era avvenuta prima che lei venisse da me. Ma evidentemente era troppo spaventata e scossa per parlarmi anche di questo…”

“Ma, in definitiva, loro non hanno fatto niente per convincerla” asserì Astrid.

“No, anzi” ribatté Elisa “loro hanno provato a convincerla. Prima a suon di rimproveri, del tipo io non ti ho insegnato a comportarti così, oppure bisogna assumersi le proprie responsabilità, però è stato inutile, tanto più che giorno per giorno l’hanno vista chiudersi sempre più in se stessa, deprimersi, spegnersi, allora hanno provato con le buone, come abbiamo fatto noi, cercando di farla capire che deve pensare al bene di suo figlio, ma non ha voluto sentire ragioni…”

“Di aborto non se ne parla… immagino” mormorò Federica.

“VUOI CHE TI PRENDA A SASSATE” tuonò Astrid inorridita “starà dando un po’ i numeri, ma non è del tutto impazzita! Non abortirebbe neanche ci fosse in ballo la sua vita!”

“Ma…” rispose Federica.

“Ooooh, calme!” le zittì Giulia “non torniamo su questo discorso perché andiamo a finire sui nostri soliti muro contro muro ideologici! Qui stiamo parlando di Francesca, che non ha la minima intenzione di interrompere la gravidanza, quindi non c’è bisogno di porsi questo problema! Il problema ora è un altro: c’è un futuro padre che non sa di esserlo e una futura madre che non vuole ragionare! Su questo dobbiamo discutere!”

“Brava” concordò Stefania “non divaghiamo. Dobbiamo inventarci qualcosa per farla rinsavire… Elisa, la mamma di Fra ti ha detto cosa pensano di fare ora?”

“Ha detto che loro non sanno più dove sbattere la testa. Lei vorrebbe agire in qualche modo, mentre suo padre ha pensato che non è il caso di imporle decisioni o metterla di fronte al fatto compiuto, qualunque esso sia. Secondo lui è meglio lasciare che si calmi, inizi a ragionare e a comprendere che le cose, così come stanno, non vanno bene. Ma secondo lui lo deve fare da sola, con i suoi tempi. Si appella al suo buon senso, insomma... Deve prendere la decisione quando lei si sentirà pronta per prenderla. Voi sapete bene come è fatta: è testarda, e quando si mette in testa qualcosa non c’è verso di farle cambiare idea. In sostanza suo padre non vuole obbligarla a fare qualcosa perché ha paura di urtarla, tanto più adesso, che è particolarmente fragile, e di perderla.”

“Ma così stiamo freschi!” intervenne amaramente Astrid “Proprio perché è così testarda, se si è messa in testa che non lo vuole coinvolgere non cambierà mai da sola, a meno che non le caschi una tegola in testa e il suo cervello non torni alla normalità!”

“Appunto!” riprese Elisa “Dobbiamo farla tornare sulla retta via. Dobbiamo essere noi la sua tegola in testa! Per questo mi sono fatta dare da sua mamma il numero di telefono di Viky. L’ho chiamata e le ho detto che avevo bisogno urgente di parlare con Nicky. Evidentemente deve aver capito che c’è qualcosa che non va, quindi non mi ha fatto troppe domande e mi ha dato il suo numero di cellulare.”

“Cosa vuoi fare?” la interrogò preoccupata Federica.

“Io mi sono stufata di vederla così!” rispose risoluta Elisa “Se lei si ostina a non volergli parlare, lo faremo noi!”

“Sei impazzita!?” sbottò Giulia “Vuoi che ci odi in eterno!?”

“Meglio che odi noi piuttosto che se stessa…” mugugnò Alaina.

“Non lo so…” sbuffò Federica “L’idea sembra buona, ma ho paura di come potrebbe reagire…”

“Noi le abbiamo provate tutte” disse Stefania “e non abbiamo ottenuto niente, se non vedercela spegnersi davanti agli occhi. Solo lui può farla ragionare.”

“Ma se lui non volesse veramente il bambino?” domandò Giulia “Di fatto non abbiamo nessuna certezza su quello che lui può pensare o volere.”

“Questo è vero” rispose Elisa, dopo qualche istante di gelido silenzio “ma dobbiamo rischiare. Noi non lo conosciamo, sappiamo di lui solo quello che ci ha raccontato Francesca, che sicuramente è una descrizione di parte. Ma io non riesco a credere che lei possa essersi innamorata in quel modo di una persona che la abbandonerebbe per questo… Soprattutto alla luce del fatto che, nonostante lei l'abbia lasciato, lui abbia continuato a cercarla, anche se con una certa delicatezza...”

“Tu puoi non crederlo” intervenne Federica “Ma se fosse così?”

“I.. io...” balbettò Elisa.

“Effettivamente ha ragione” disse Stefania “Come ha detto Elisa, noi sappiamo quello che lei ci ha detto di lui, e la sua opinione potrebbe essere facilmente falsata dai suoi sentimenti. Anch’io vedo improbabile che si possa essere innamorata di una persona del genere, ma non posso escludere a priori che non sia successo. Dubito che sia quello stinco di santo che lei ci ha descritto. E poi sinceramente farei fatica ad aspettarmi, non da lui, ma da chiunque nella sua situazione, una reazione positiva come ce l’aspettiamo noi, ricevendo una notizia del genere.”

“Sì, ma se non l'avesse lasciato in principio...” ruminò stizzita Astrid.

“Però secondo me lei si è creata tutti questi problemi da sola perché lo vuole proteggere…” rimarcò Elisa.

“Ma prendiamo seriamente in considerazione tutte le opzioni.” intervenne Stefania “Se lui reagisse male, cosa succederebbe?”

“Beh...” disse titubante Alaina “sarebbe la dimostrazione che lei ha ragione...”

“Sì” prese la parola Elisa “Per quanto orribile, però, almeno avremmo una certezza. Sapremmo come stanno davvero le cose e potremmo tutti comportarci di conseguenza. Invece con questo dubbio abbiamo le mani legate e siamo qui a parlare di ipotesi. Per questo bisogna agire! Buona o cattiva che sia la sua reazione almeno avremmo delle certezze e potremmo iniziare a ragionare su di esse.”

“Va bene” sospirò Giulia “proviamo.”

“Tutte d’accordo?” chiese Alaina guardando Federica, l’ultima a dimostrarsi ancora scettica.

“Io continuo ad avere paura… ma questa sembra davvero l’unica soluzione…”

“Allora è deciso!” concluse Elisa “Visto che adesso si trova a Tokyo, Viky mi ha consigliato di chiamarlo intorno all'una del pomeriggio, cioè quando i Giappone sono le otto, per essere sicura di trovarlo libero di parlare.”
”Oggi pomeriggio?” chiese Astrid.

“Sì, meglio farlo subito.”

“Allora io resto qui” intervenne Stefania “voglio sentire cosa dice.”

“Anche noi” dissero in coro Federica, Astrid, Giulia e Alaina dopo essersi consultate con lo sguardo.

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo ***


“Ormai è ora” intervenne Alaina guardando il grande orologio a pendolo che si trovava nell’angolo del salotto: le tredici erano scoccate da una decina di minuti.

“Sto iniziando ad avere paura anch'io…” si angustiò Elisa camminando nervosamente avanti e indietro attraverso la stanza “Mi pare una cattiveria dirglielo per telefono…”

“Ragazze” intervenne Stefania “non possiamo farci venire i dubbi adesso!”

“Hai ragione” concordò Giulia “però, effettivamente, è brutto dire in questo modo che sta per diventare padre… soprattutto se lei non glielo vuole far sapere…”

“Elisa” disse Astrid “se non te la senti, glielo dico io.”

“Ti prego Astrid!” la interruppe Federica “con la tua delicatezza rischiamo il disastro. Anzi. La crisi diplomatica!”

Alle parole sarcastiche della ragazza tutto il gruppetto scoppiò a ridere allegramente, come non capitava da tempo, tornando, almeno per qualche momento, a quella che per anni era stata la normalità fra loro: battute, scherzi e risate. Una risata liberatoria che aveva, almeno parzialmente, stemperato la tensione.

Dopo qualche istante Elisa si fece coraggio, prese tra le mani il telefonino e digitò, esitante, il numero, sperando, assieme alle altre amiche, di ricevere il tipo di risposta che auspicavano…

“Pronto” si sentì rispondere dopo alcuni squilli con un marcato accento dublinese.

“Ciao” rispose Elisa riconoscendo immediatamente il suo inconfondibile timbro di voce mentre un brivido le percorreva la schiena: era giunto il momento della verità. “Sono Elisa, l’amica di Francesca.”

“Ciao! Piacere di conoscerti.” rispose cortesemente. “Viky mi ha detto che avresti chiamato. Che state combinando?” chiese senza immaginare neanche lontanamente la notizia che avrebbe ricevuto.

“Metti il vivavoce” suggerì Alaina tirando una gomitata all’amica “vogliamo sentire anche noi.”

“Ti disturbo?” chiese Elisa titubante, cercando di fare un minimo di conversazione per rompere il ghiaccio e procrastinare lo “sgancio della bomba”.

“No, tranquilla, dimmi pure.” Tagliò corto lui, evidentemente ansioso di scoprire il motivo di questa telefonata. Aveva il presentimento che qualcosa non andasse. L'aveva capito fin dal momento in cui lei l'aveva lasciato. Ma, nonostante avesse cercato una soluzione ogni santo giorno, l'enigma restava irrisolto. Poi quella telefonata di Viky “Un'amica di Francesca vorrebbe urgentemente parlare con te”. Qualcosa si stava muovendo. Ok. Non era lei a cercarlo, ma almeno avrebbe avuto delle risposte.

Quel giorno aveva cercato di tenersi impegnato in tutti i modo: era troppo agitato, e se fosse nell'ozio avrebbe dato i numeri per l'ansia dell'attesa. Non che mantenersi occupato fosse stato troppo utile: nel primo pomeriggio aveva un'intervista alla radio, ma il più delle volte, aveva risposto alle domande in automatico. Poi era tornato in albergo con i ragazzi. Aveva letto il giornale, si era fatto un te, aveva controllato la mail. Per la disperazione si era messo perfino a riordinare e ripiegare la biancheria che aveva in valigia. Ma niente. Qualsiasi cosa facesse la sua attenzione tornava sempre lì. Sempre a lei.

“Ti devo dire una cosa importante” riprese seria, deglutendo per evitare di farsi prendere dall’emozione. “Sei solo? Possiamo parlare tranquillamente?”

“Sì, sono solo. Ma che succede?” chiese iniziando a preoccuparsi per il tono della sua interlocutrice e a spazientirsi, visto che si stava girando attorno all’argomento.

“Ehm… Francesca...” iniziò, lottando con se stessa per trovare le parole più adatte, che fossero dirette nello spiegargli la situazione, ma con un minimo di tatto: non erano cose da dirsi per telefono. Non erano nemmeno cose da far dire da terzi. Almeno un po' di delicatezza era necessaria. “Francesca sa una cosa, però non te la vuole dire... non ti vuole creare problemi…”

“Mi stai facendo paura, che succede?” la interruppe preoccupato, iniziando a figurarsi scenari drammatici “Perché è sparita? Perché non mi risponde? Cosa l'ha fatta scappare così?”

“È spaventata. Ha perso l'orientamento...”

“Ma perché? Sta male?” la incalzò con crescente preoccupazione.

“Aspetta un bambino!” sbottò, come togliendosi un peso dalla coscienza.

Lui si bloccò per qualche istante, restando senza fiato, mentre quei momenti di QUELLA sera tornavano a farsi strada tra i suoi ricordi.

Per la ragazze radunate attorno al telefono questo lungo silenzio rimbombava con più violenza dell’esplosione di una bomba… Alcune erano pietrificate a loro volta, altre pensavano, e non erano bei pensieri. Nelle loro menti balenava il presentimento di una reazione negativa, che tanto avevano temuto, ma che in poche avevano osato prospettare come probabile. Sui loro volti comparvero espressioni di panico.

 

FLASHBACK

 

Dublino, pochi giorni dopo la partenza di Francesca

 

“Ciao” esclamò Vicky aprendo la porta e trovandosi di fronte il cugino.

“Ciao” rispose entrando “c’è l’invasata?” domandò riferendosi alla nuova coinquilina di Victoria, una ragazza svedese fissata con il metal, disordinata, chiassosa e terribilmente invadente e pettegola.

“No” disse mentre si stavano accomodando sul divano “oggi non abbiamo il pubblico…”

Una volta sedutosi sul divano Nicky rivolse lo sguardo al pavimento e sbuffò.

“Che c’è? Sembri un’anima in pena” soggiunse Viky dopo averlo osservato in silenzio per qualche istante.

“Francesca”.

“Anche a me manca. Era decisamente meglio lei di questa qua…”

“Non è solo che mi manca… è per tutto quello che è successo. Non ha senso! Non riesco a spiegarmelo!”

“Ci sei rimasto male, vero?”

“Sì... ma non solo perché mi ha lasciato. Cioè. Quello è il peggio. Ovvio. Però non riesco a capire. È tutto così assurdo. Tutto è cambiato da un momento all'altro, senza una ragione. O, almeno, io non l'ho trovata. Mi ha messo addosso l'ansia di aver fatto qualcosa di sbagliato... Tu l'hai sentita?”

“No. Ho provato a cercarla in tutti i modi, ma sembra sparita dalla faccia della terra.”

“E tutto per colpa mia!”

“Senti... se tu non riesci a trovare una ragione che comprenda te, non è possibile che sia successo qualcosa che non ti riguardi? Non so. Qualcosa alla sua famiglia... a qualche amico?”

“Ma allora che senso avrebbe avuto sparire così? Se fosse successo qualcosa a casa sua, avrei trovato normale che se ne fosse andata, ma allora perché lasciarmi? Perché non spiegarmi come stavano le cose? Perché rendersi irreperibile? Avrei capito il desiderio di stare dove sentiva che ci fosse più bisogno di lei e concentrarsi su quella situazione, ma non sparire senza una parola!”

“Hai ragione... Non ha senso... Ma cosa puoi averle fatto di così brutto da farla scappare così?”

 

* * * * * * *

 

Pechino, due giorni prima

 

“Nicky, non ne posso più di te” sbottò Shane, stufo di vedere l'amico costantemente imbronciato e scorbutico “Finiscila di comportarti così! È snervante avere attorno una persona che è alternativamente intrattabile, depressa o del tutto apatica!”

“Tu non sei mai stato nella mia situazione. Non sai come ci si sente!” replicò irritato.

“Capisco che tu abbia le tue buone ragioni, ma non puoi rendere la vita impossibile a tutti quelli che ti stanno attorno!”

“E cosa dovrei fare?! Andarmene in giro felice e contento, come se niente fosse???”

“Non ho detto questo, ma un minimo di correttezza, almeno con chi lavora con te, sarebbe gradita! Hai notato che nessuno ti rivolge la parola e, se possono, evitano anche di passarti vicino, perché non hanno voglia di beccarsi una rispostaccia?”

“Sono davvero diventato così orribile?” chiese, realizzando di aver vissuto con la testa in un altra dimensione negli ultimi tempi.

“Sì... Ascoltami. Anche se non mi sono mai trovato nella tua situazione, posso immaginare come ti senti, e non è affatto bello. Ma non puoi continuare così. Stai rovinando il tua immagine, e soprattutto i tuoi rapporti con molte persone. Ho capito che hai altro per la testa in questo momento, ma comportarti come un orso non ti aiuterà a risolverla e non ti farà sentire meglio.”

“Quindi?”

“Quindi hai due alternative. O ci metti una pietra sopra, o ti dai una mossa e cerchi di sistemare le cose.”

“Io non voglio metterci una pietra sopra!” ribatté, piccato.

“Perfetto. Almeno una decisione l'hai presa. Adesso devi solo capire cosa vuoi fare.”

“È una parola! Le lettere sono state un fiasco!”

“Continui ancora a scriverle?”

“Sì. Ma visto che non ha dato segni di vita, sarebbe uguale se scrivessi sul mio diario!”

“Dici che le ha ricevute?”

“Non ne ho idea. Né io né Viky abbiamo il suo indirizzo preciso, quindi ho sempre segnato sulle buste solo la città. Per la disperazione, ne ho spedite alcune persino all'ufficio di suo padre!”

“E come l'hai trovato?”

“È un dirigente di un ente pubblico, i recapiti dell'ufficio sono su internet.”

“Allora quelle le avrà ricevute di sicuro!”

“E chi lo sa! Bisogna vedere se sta ancora coi suoi.”

“Perché non dovrebbe più abitare con loro?”

“Per lo stesso motivo per cui è sparita, magari. Chi lo sa? È tutto talmente assurdo! Se è sparita per me, potrebbe anche essere sparita per loro!”

“Ma se suo padre avesse ricevuto le lettere, e anche lui non sapesse dov'è, dici che non ti avrebbe contattato?”

“Non ci avevo pensato” bofonchiò dopo qualche istante di silenzio, colpito da questo dettaglio che non aveva considerato “In effetti sarebbe stato logico”.

“Quindi è molto probabile che lei sia a casa dei genitori e abbia letto almeno alcune delle tue lettere!”

“Forse sì. Ma resta il fatto che non si è fatta sentire! Io ho provato in tutti i modi a farle capire che almeno vorrei sapere cos'è successo e come si sente. Non pretendevo che alla prima lettera mollasse tutto e tornasse da me di corsa, ma almeno una telefonata, un sms, una mail! Qualsiasi cosa che mi tranquillizzi un minimo! Tu non hai idea dell'angoscia che mi sento addosso perché non so nemmeno dove sia o se stia bene! È snervante! Potrebbe essere dovunque, potrebbe stare male, potrebbe avercela con me per chissà quale motivo e io sono qui, nell'ansia, con le mani legate! Sapessi almeno perché ha deciso di tagliare i ponti, cercherei di fare in modo di aggiustare la situazione, ma non so niente! Ho pensato a tutti i possibili torti che potrei averle fatto, mi sono scusato per qualsiasi cosa, probabilmente anche per cose che non ho fatto, ma niente! È come se lei e tutti quelli che le stanno vicino fossero stati risucchiati da un buco nero!”

Shane lo guardava con una pietà che raramente aveva sentito in vita sua. Nicky era un caro amico e gli dispiaceva tremendamente vederlo dibattersi in questi dubbi senza prospettive di risoluzione. Questa storia andava avanti già da un po' e niente si era mosso. La scelta più facile sarebbe stata lasciarsi tutto alle spalle e andare avanti. In fondo era quello che lei voleva.

Forse.

Ma ovviamente lui non aveva intenzione di mollare. La amava e la rivoleva indietro.

Altro che solo sapere come stesse!

Certo. Visto che non aveva sue notizie da settimane, mesi, ormai, almeno assicurarsi che non le fosse successo niente sarebbe già stato qualcosa, ma poi, una volta scoperto questo, di certo non si sarebbe accontentato. Avrebbe insistito, le avrebbe provate tutte per riprendersela.

Dopo aver provato l'ebbrezza del vero amore ricambiato, di certo non si sarebbe accontentato di una semplice amicizia: ogni ragazza dopo lei sarebbe stata un rimpiazzo. Non poteva dargli torto: quando si sente di aver trovato l'anima gemella, non si torna più indietro. Forse sarebbe stato meglio se lui e Viky non si fossero dati tanto da fare per metterli assieme. Forse sarebbe stato meglio se non si fossero conosciuti affatto. Ma ormai la storia era scritta, non si poteva tornare indietro e cambiare il passato. Ora dovevano concentrasi per cercare di costruire il futuro. Nicky non avrebbe mai mollato. Lo conosceva. Avesse dovuto impiegarci dei secoli, avrebbe insistito fino a raggiungere il suo obiettivo. La testardaggine non gli era mai mancata, e mai come in questo momento poteva essere la sua carta vincente. Dovevano pensarle tutte, provarle tutte. C'era troppo in gioco.

Ed era anche ora di smetterla di pensare ai perché. Comprenderli avrebbe cambiato di poco la situazione se lei restava isolata dal mondo. Ora l'obiettivo doveva essere fare in modo che loro si parlassero. Il come restava un gran bel problema. A Shane girava talmente la testa per cercare di inventarsi qualcosa, che la battuta del messaggio sulla tv italiana non gli sembrava nemmeno più tanto ridicola.

“Shane?”

“Mmm?”

“E se andassi da lei?”

“Eeeh?”

“Finiscila di rispondermi con dei versi!” sbottò, irritato “Dimmi qualcosa di comprensibile!”

“Vuoi andare da lei? Intendo. Fisicamente? Vuoi presentarti a casa sua?”

“Che alternative ho?”

“Non lo so... ma se...”

“Beh. Peggiorare la situazione è difficile. Non so neanche se è viva! Almeno potrei vederla in faccia!”

“Ma se la prendesse male?”

“Ho cercato di essere delicato, ma non ho attenuto niente! Almeno così sarò sicuro che avrà sentito le mie ragioni e sarà costretta a spiegarmi cosa diavolo l'ha fatta scappare!” C'era una certa foga nel suo discorso. Un rinnovato vigore che da tempo era andato perduto nei suoi atteggiamenti. Aveva avuto un'idea che gli consentiva di vedere la luce infondo al tunnel.

“Se te la senti di affrontarla...”

“Shane, ma cosa stai dicendo?! Sono mesi che VOGLIO affrontarla!”

“Sì, ma non così!”

“Chi se ne frega del modo! Sono stanco, STANCO di stare qua ad aspettare senza poter fare niente. Io vado da lei. Mi caccerà? Pazienza. Almeno non vivrò col rimorso di non averci provato!”

La pietà che prima Shane aveva provato si stava trasformando in ammirazione. Piuttosto che lasciarsi scivolare tutto tra le dita, avrebbe rischiato il rifiuto. Non tutti l'avrebbero fatto. Rischiare l'umiliazione di un rifiuto avrebbe dissuaso moltissime persone, ma non Nicky. Lui era determinato ad andare per la sua strada per riprendersi la sua ragazza. Quella determinazione, quello slancio lo facevano sperare per il meglio: forse tutto si sarebbe sistemato.

“E cosa pensi di dirle?”

“Non ne ho idea... Suppongo che mi verrà in mente qualcosa sul momento, a seconda di come si evolverà la situazione...”

“Piano brillante...”

“Cosa vuoi che faccia? Mi dovrei scrivere un discorso e farla tacere finché non ho finito? Dai! Dipende tutto da come la ritrovo, da come si comporta, da quello che mi dice.”

“Forse hai ragione... E quando pensi di andare?”

“Non appena saremo tornati dalla promozione in Asia.”

“Perfetto, allora è deciso!” concluse Shane strofinandosi le mani “Andiamo!”

“Dove?”

“A prenotare i biglietti dell'aereo, cretino! Non vorrai mica andarci a piedi!?”

 

FINE FLASHBACK

 

“Diventerò papà?” domandò infine con un tono di voce che ad Elisa, forse presa dalla tensione del momento, parve assolutamente pacato, se non freddo.

“Sì” rispose con poco più di un sussurro, rivolgendo lo sguardo al pavimento, pronta ad affrontare la peggiore delle reazioni.

“Davvero? I... io... io, non ci posso credere! … È una notizia fantastica!”

Dopo tutto questo turbinio di ricordi sul suo viso, dapprima esterrefatto, comparve un sorriso entusiasta.

Aspetta un bambino.

Tre parole ed ecco che tutto era cambiato. Tutto, o quasi, assumeva un significato e si aprivano nuove prospettive. Sentiva la voglia di alzarsi e iniziare a saltellare come un bambino felice di aver ricevuto i regali che voleva per Natale. Gli pareva di toccare il cielo con un dito.

Aspetta un bambino.

Nessuna frase, pensava, poteva avere un suono più favoloso. Vedeva la loro vita futura prendere forma nei suoi pensieri, e l'immagine non poteva essere migliore.

Aspetta un bambino.

Aspetta un bambino.

Aspetta un bambino.

Tre semplici parole gli rimbombavano nella testa come l'eco di una voce tonante in una cattedrale vuota.

Aspetta un bambino.

Il loro bambino.

Alle sue parole Elisa, e tutte le amiche con lei, sentirono tutta la tensione accumulata nell’ultimo mese scemare di colpo e lei si lasciò cadere sulla poltrona che si trovava giusto alle sue spalle. Per fortuna l’aveva presa bene, da quel momento tutto sarebbe tornato al suo posto.

“Ma per lei non è stata una bella notizia…” riprese dopo un paio di secondi di silenzio, occupati nel realizzare la situazione e nel formulare una frase di senso compiuto “non l’ha presa bene come te: è completamente fuori di testa!”

In quel momento un fulmine squarciò la sua gioia per farlo sprofondare nel terrore più puro.

“Non lo vuole?” chiese con voce tremante. Era sconvolto dalla sola idea di trovarsi a dover porre quella domanda. “Vuole abortire?”

“No. Non lo farebbe mai. Soprattutto... Non ucciderebbe mai tuo figlio...” mormorò.

Tuo figlio.

Sentì il sangue ricominciare a scorrergli nelle vene. Nell'attesa della risposta di Elisa gli sembrava di essere stato colto da una sorta di paralisi titolare, del corpo e della mente.

“Ma perché? Perché non me ne ha voluto parlare?”

“Perché ti ama troppo, ti vuole proteggere e dice di non voler rovinare la tua carriera. Inoltre, credo che tema che tu non ti senta pronto, o non voglia il bambino…” balbettò, imbarazzata dal fatto di stare raccontando i sentimenti più intimi di un'altra persona ad un ragazzo che praticamente non conosceva e a cui, probabilmente, in quel momento stava girando la testa per la novità.

Certo non erano belle cose da dirsi. L'aveva lasciato perché voleva proteggerlo. Bella cavolata! Invece che tenerlo al riparo da chissà poi quale disgrazia, probabilmente l'aveva fatto impazzire per l'angoscia di non sapere dove fosse o cosa le fosse successo.

“Come può pensare una cosa del genere!? Io la amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, come potrei non volere il nostro bambino!? E lei lo sa! Gliel'avrò detto milioni di volte! Perché deve essere sempre così testarda e mettersi in testa cosa che non esistono!? Ok, forse è un po’ presto, certamente non era previsto, ma questo non cambia il nostro rapporto! Io sono felice per questa notizia!”

“Non lo so cosa stia pensando, davvero non lo capisco. Non capisco se lo stia facendo per proteggere se stessa, da una tua eventuale reazione negativa, o se semplicemente non vuole metterti di fronte ad una cosa così importante…”

Nicky sospirò pesantemente, riflettendo sulle parole di Elisa, ben conscio del carattere di Francesca.

“Ti prego” riprese Elisa “ devi dirle qualcosa! Da quando ha scoperto di essere incinta non è più lei, è triste, pallida, piange sempre… Lei ti vuole lontano da sé perché si sente colpevole o chissà cos'altro, ma Dio solo sa quanto le manchi! Qualche sera fa” riprese dopo una breve pausa “è rimasta a dormire a casa mia e ha avuto gli incubi tutta la notte, ti chiamava nel sonno: è stato straziante anche per me! Io e tutte le amiche stiamo iniziando a stare male anche noi come lei a forza di vederla in questo stato. Abbiamo tentato in tutti i modi di farla ragionare, di convincerla a parlarti, a dirti cosa sta succedendo, anche perché è un tuo diritto saperlo, ma non vuole sentire ragioni! Si sta distruggendo da sola per i suoi stupidi sensi di colpa! Capisco che questo non è il modo migliore di ricevere una notizia del genere, e me ne scuso, mi dispiace di averti scaricato tutto addosso così, senza il minimo preavviso, ma dovevamo evitarle in tutti i modi nell’andare fino in fondo nel commettere una sciocchezza di cui si sarebbe potuta pentire per tutta la vita.”

“Ma perché si sente in colpa? Non capisco. Sarebbe più logico se ce l’avesse con me! Sono io che non le sto vicino, sono io che…”

“Infatti, se ragionasse con la sua normale logica un’idea del genere non la sfiorerebbe nemmeno” lo interruppe, avendo colto dove stava andando a parare “però lei ti ama troppo per poterti attribuire una qualsiasi colpa e preferisce accusare se stessa perché in quel momento non è stata lucida e non si è comportata con la sua solita prudenza. Abbiamo provato a convincerla che non è colpa sua, che queste cose si fanno in due, e che comunque può capitare a tutti di commettere un errore, ma è stato come parlare con il muro…”

“Ma sta bene?” intervenne preoccupato, ritornando di nuovo bruscamente alla realtà, dopo essere stato perso nei suoi pensieri “E il bambino?”

“Sì, fisicamente sì. Non ha avuto nessun problema.”

“Almeno questo…” sbuffò, strofinandosi il viso con la mano.

“Cosa pensi di fare?”

“Domani sera ripartiamo dal Giappone per tornare a casa. Dopodomani sarò a Londra e prenderò il primo aereo… E devo ricordarmi l’anello…”
“Cosa?” domandò Elisa smarrita.

“Devo trovare il tempo per andare a comprarle l'anello.”

“Che anello?”

“L'anello di fidanzamento, no? Hai presente? Il solitario coi brillantini attorno. O forse è meglio un trilogy...”

“M... ma le vuoi chiedere di sposarti?” balbettò Elisa stupefatta.

“Certo! Mi pare ovvio! Cos'altro dovrei fare?”

Elisa era sconvolta. La sua risposta le suonava così serena, persino entusiasta. Aveva detto quelle cose come se fossero assolutamente normali, scontate. Aveva preso una decisone fondamentale per il suo futuro senza quasi battere ciglio. Non si era nemmeno minimamente alterato per quello che gli avevano detto, o per il modo, se non altro. Aveva messo da parte qualsiasi barriera di orgoglio o di risentimento per il bene di Francesca e per l'amore che provava per lei.

Le stima di Elisa, e di tutte le presenti nella stanza, nei suoi confronti stava crescendo esponenzialmente.

“Ma... Cioè io... Non volevo... Non volevamo... Voglio dire” e si fermò un attimo per ricomporsi “Non sei costretto a sposarla...”

“Ma stai zitta” si inserì Astrid stizzita “Ha avuto l'idea giusta da solo, non ti intromettere.”

“Ssssh...” la zittì Elisa, per evitare che la conversazione telefonica si complicasse “Dicevo. Non è necessario che tu arrivi qua di corsa con l'anello in mano. Non è quella la priorità. Adesso la cosa importante è che tu le parli, che la faccia ragionare. Per le proposte di matrimonio c'è tempo.”

“Hai ragione. Non è necessario. Ma voglio farlo. Perché aspettare? In fondo era quello che progettavo. Magari non così, non adesso, ma comunque non sarebbe passato tanto tempo prima che mi decidessi a chiederglielo.”

“Yuhoooooo!!!” esultarono le ragazze, e Astrid con particolare impeto, abbracciandosi. Il risultato sonoro era più o meno simile a quello di un pollaio in cui era appena entrato il contadino con il mangime.

“Che succede?” chiese spiazzato da qual fracasso improvviso.

“Ah, niente… le altre amiche di Francesca stanno ascoltando la telefonata e hanno dimostrato il loro entusiasmo per la tua risposta” ridacchiò.

Nicky scoppiò a ridere, aveva avuto un primo assaggio del comportamento delle comari, che Francesca gli aveva descritto con dovizia di particolari definendole un’eterogenea masnada di invasate con ideali spesso agli antipodi, il gene del casino ben piantato nel dna, la tendenza a buttare tutto in barzelletta, ma unite da un saldo principio dell’amicizia e del sostegno reciproco.

“Senti” disse Elisa ritornando seria “quando arriverai qui non ti aspettare la solita Francesca, quella che hai conosciuto in Irlanda: in questo momento è un’altra persona. Speriamo che almeno tu riesca a farla ragionare…”

“Non ti preoccupare” la rassicurò “ la convincerò, a costo di sbatterle la testa contro il muro. Devo farlo, soprattutto per il bene suo e del bambino” concluse con un lieve sorriso che stava formandosi sulle sue labbra pronunciando le ultime parole.

“Grazie Nicky…”

“Dovrei essere io a ringraziarvi, avete evitato un bel disastro… Ti chiamo domani per dirti quando arrivo. Ciao.”

 

“Visto?” esclamò raggiante Alaina non appena Elisa ebbe concluso la telefonata, lanciandosi in un ballettino celebrativo degno del miglior trenino di ubriachi la notte dell'ultimo dell'anno “Avevate tanta paura, invece è andata benissimo!”

“È incredibile “ intervenne Stefania “ha avuto una reazione davvero stupefacente. Non so quanti si sarebbero comportati così. La Francy non ha esagerato parlando di lui, è davvero una persona straordinaria.”

“E soprattutto la ama davvero” concluse Giulia sull’orlo delle lacrime.

“Che c’è?” chiese Federica, osservando l’espressione trionfante di Astrid.

“Si sposano pure” mugugnò strofinandosi le mani “Matrimonio riparatore, ma sempre matrimonio! La mia considerazione nei confronti del dublinese è alle stelle!”

“Perché?” la questionò Stefania.

“Non tutti danno per scontata la proposta di matrimonio, che, in questo caso, ci sarebbe stata a prescindere, una volta ricevuta la notizia di un erede in arrivo”

“Un erede” sbuffò Federica scimmiottando i suoi modi vittoriani.

“Effettivamente io non me lo aspettavo, non così velocemente, almeno” rifletté Stefania “Quantomeno mi sarei aspettata che prima sarebbe venuto qui a parlarle.”

“Neanche io” intervenne Elisa “Ma così dimostra di avere decisamente la testa sulle spalle e di volersi prendere fino in fondo le sue responsabilità.”

“E poi questa è la cosa GIUSTA da fare in queste situazioni!” concluse Astrid, rivolgendosi in particolare a Federica, che da sempre era quella della compagnia ad essersi dimostrata meno attaccata alla morale tradizionale e soprattutto allergica a qualsiasi tipo di prescrizione religiosa.

“A me sarebbe bastato che lui si assumesse le sue responsabilità, anche nel caso si fossero lasciati. Sapete che io continuo a non averlo in simpatia.”

“Uno” attaccò risoluta Giulia, che raramente alzava la voce o si imponeva in una discussione con tale decisione “Non serve che sia simpatico a te. Due, un bambino ha bisogno di entrambi i genitori, non della mamma e dei soldi del papà!”

“Ma non c’era tutta questa fretta di sposarsi!” la interruppe Federica. “Stanno assieme da poco, è un passo importante!”

“Scusa tanto” la rimproverò Astrid “ma lei aspetta suo figlio. Non credo ci sia nulla più importante di questo!”

“E il matrimonio è l'ambiente migliore per il bene di una famiglia!” la spalleggiò Giulia.

“Matrimonio!” esplose Alaina “Matrimonio! Ragazze, sapete cosa significa questo???”

Le cinque amiche la fissarono smarrite.

“Significa che la Fra avrà l'occasione di dare sfoggio delle sue straordinarie doti organizzative, ma soprattutto significa abito da sposa per lei e da damigelle per noi!!!”

Una fragorosa risata rimbombò nel piccolo, ma accogliente, salotto dalle pareti color panna.

“Cosa c’è da ridere??? Vi rendete conto che ci troveremo nel mezzo del matrimonio dell’anno? Già me lo immagino” sospirò sbattendo le ciglia con aria sognate “tantissimi invitati vestiti di tutto punto, e poi la festa, il pranzo, la torta, la Fra in bianco…”

“Calma” intervenne Federica a frenare i suoi entusiasmi “non è detto che accetti la proposta”.

Solo una forza soprannaturale, cioè la ferma opposizione di Elisa e Stefania, che le erano letteralmente saltate sulla schiena, impedirono ad Alaina di linciare Federica. “Ma sei impazzita!!! Non si può dire di no a Nicholas Byrne, non esiste proprio!”

“Perché NO? Perché è ricco? Per quanto Francesca possa essere venale non credo che arriverebbe così in basso!”

“Ti stai dimenticando di un piccolo particolare” appuntò Giulia “Lei lo ama.”

“Ne siete davvero così sicure?”

“L’ultima cosa che qui si può mettere in dubbio sono i suoi sentimenti per lui” asserì Alaina “Tutto questo casino è successo proprio per questo, perché lei lo vuole proteggere.”

“E se invece non lo amasse?”

“No. Puoi dire quello che vuoi: io non ci credo. Per me è un dato di fatto che lei lo ami.”

“E cosa succederebbe se lei si ostinasse sulla sua decisone? Avete tanta fiducia in lui?”

“E tu hai tanto odio nei suoi confronti? Che ti ha fatto di male!?” esplose Stefania.

“Seriamente Fede” intervenne Elisa a calmare gli animi “vedrai che la farà ragionare…”

“Altrimenti mi sentirà urlarle dietro finché vive!” concluse Astrid scoppiando a ridere.

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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo ***


Cari lettori, siamo praticamente alla fine: questo è l'ultimo capitolo a cui seguirà, la prossima sattimana, un breve epilogo.
Spero che non restiate delusi da come ho deciso di concludere la storia!

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“Hai detto che l’aereo dovrebbe arrivare alle 14:25, giusto?” chiese Alaina.

“Sì” rispose Elisa “Nicky mi ha chiamato prima di partire e ha detto che sarebbe arrivato in orario.”

“Bene” concluse Astrid “allora io e Federica andiamo in aeroporto ad aspettarlo.”

“OK, io vado da lei” disse Elisa.

“Ti sei messa d’accordo con i suoi?” domandò Federica.

“Sì, adesso io e Alaina arriviamo e loro escono per andare a trovare degli amici, così siamo soli. Stefania è già a casa sua da più di un’ora e Giulia dovrebbe arrivare là a momenti.”

“Perfetto, allora noi andiamo. Ci vediamo dopo” disse Astrid mentre lei e Federica si avviavano all’uscita della casa di Alaina, dirigendosi verso l’aeroporto, mentre un po’ di nevischio iniziava ad imbiancare i prati circostanti.

 

Uno squillo arrivò sul cellulare di Elisa, che stava chiacchierando con Francesca sedute sul suo letto. Il mittente era Federica. Era il segnale che stavano arrivando. Quasi contemporaneamente suonò anche il telefonino di Alaina, avvisata da Astrid, che uscì dalla stanza, assieme a Giulia e Stefania, e si diressero alla porta d’ingresso. Pochi minuti dopo l’auto di Astrid si fermò davanti alla casa. I tre salirono la breve scalinata che conduceva alla porta d’ingresso, decorata con un enorme ghirlanda di rami di abete intrecciati con nastro rossi e dorati, rametti di vischio e spruzzata con neve artificiale, segno che ormai il Natale era prossimo. All’improvviso la porta si aprì e ne uscirono Alaina, Giulia e Stefania, che li stavano attendendo nervosamente.

“Deve essere arrivata Federica” disse Elisa poggiando una mano sulla spalla di Francesca dopo aver sentito la porta aprirsi e gente parlare e uscì dalla camera, chiudendo dietro a se la porta.

“Ciao” esordì Alaina, facendo entrare Federica, Astrid e Nicky.

“Ciao” disse Nicky con un mezzo sorriso, porgendole la mano “piacere di conoscerti.”

“Siete arrivati” li interruppe Elisa facendo il suo ingresso nell’atrio, in cui erano tutti riuniti.

“Come sta?” le chiese immediatamente Nicky.

“Fisicamente bene, oggi è stata dal medico ed è tutto in regola. Per il resto come sempre… ha appena smesso di piangere…”

Lui sospirò gravemente e per qualche istante rivolse, pensoso, lo sguardo al pavimento.

“Bene” intervenne traendo un profondo respiro “vado a parlarle.”

“Ti accompagno da lei” disse Stefania, guidandolo attraverso il corridoio, fino alla porta che era l’ultimo avamposto a separarli.

“Buona fortuna” bisbigliò Stefania tornando dalle amiche. Lui rispose con un lieve sorriso e fece il suo ingresso nella camera.

 

 

“E adesso dobbiamo solo aspettare” sospirò Stefania entrando in salotto, dove le amiche si erano dirette dopo aver lasciato Nicky.

L’ampia stanza riportava l’inconfondibile impronta della madre di Francesca. Il ripiano sopra il caminetto era orlato da due strisce di stoffa luccicante, una rossa e una dorata, intrecciate tra loro, al centro vi era una grande corona di vischio spolverata con neve finta e polvere dorata e fermata con un fiocco ricamato. Agli estremi del ripiano trovavano posto due grandi candelabri in argento, a loro volta decorati con delle piccole coroncine di vischio, che reggevano delle candele rosse. Il piccolo tavolino posto tra i divani era ricoperto da una miriade di ninnoli e da un carillon con un piccolo pattinatore che si muoveva sulla pista di giacchio al ritmo della musica. Sul lato della stanza opposto ai divani troneggiava un grandioso abete ornato da una cascata di luci bianche e palline e nastri dorati.

Accomodatesi sui divani si fissavano a vicenda. Il nervosismo era palpabile. Federica si rigirava tra le mani un fazzoletto, Alaina tamburellava con le dita su un cuscino, Elisa si mangiava le unghie, Stefania giocherellava con il suo braccialetto, Astrid e Giulia si erano fatte il segno della croce...

“Già mi tremano le ginocchia…” fece Giulia “E se andasse male?”

“Dobbiamo essere positive” intervenne Alaina “Secondo me lui riuscirà a farla ragionare. In fondo gli unici problemi erano la sua assenza e il fatto che non sapesse cosa stesse succedendo. Risolto questo io non vedo altre difficoltà. Secondo me appena le farà capire quali sono i suoi sentimenti, lei si scioglierà come il burro…”

“E se si intestardisse anche con lui?” obiettò Stefania.

“Non credo” Rispose Elisa “vederlo la metterà di fronte alla realtà dei fatti. E poi lui è convinto delle sue decisioni ed è sereno. Lei si sentirà rassicurata da questo, si calmerà e prenderà la decisione giusta.”

“Ne siete davvero tanto sicure?” sbottò Federica “Avete davvero tutta questa fiducia nel suo intervento? Lo vedete come un Messia! Non vi pare di esagerare? Vi siete fatte abbindolare a questo punto da lui come Francesca?”

“Mi sono rotta del tuo atteggiamento!” sbraitò Astrid “Abbiamo capito che non ti sta simpatico, ma a lei sì, e a prescindere dalla simpatia si è dimostrato una persona, comprensiva, matura e responsabile e, al momento, sono le uniche cose che importano! Se ti sta antipatico non gli parlare, esci dalla stanza quando c’è lui, tira le freccette alla sua foto, fa’ quello che vuoi ma non sognarti di intrometterti nel loro rapporto perché c’è molto di più in ballo che le tue simpatie!”

“Ma se quello che ci ha detto non fosse vero? Se non fosse così maturo, responsabile e preoccupato per lei?”

“Cosa ci avrebbe guadagnato a dircelo? Se non fosse stato interessato a lei ci avrebbe messo un attimo a dire ciao, ciao e a tagliare i ponti, trovando, peraltro, terreno fertile nei sensi di colpa e nello stato d’animo di Francesca. Invece è qui! Ha disdetto degli impegni, ha preso un aereo ed è venuto qui per parlarle con lei, farle capire che lui la ama e che vuole questo benedetto bambino! Che ti piaccia o no si sta dimostrando una brava persona e tu dovresti essere felice di questo perché può portare solo del bene ad una tua amica! Devi fartene una ragione: è per il suo bene!”

“Avete finito di accapigliarvi?” domandò Alaina, approfittando di un momento di non belligeranza.

Astrid guardò Federica. Gli occhi di Astrid erano furenti. Alla minima contestazione a parte della sua oppositrice le sarebbe saltata alla giugulare. Quest’ultima capì che per lei la situazione sarebbe potuta solo peggiorare, se si fosse ostinata sulle sue opposizioni e ammise la sconfitta: “Ok. Ma alla prima lamentela su di lui da parte della Fra gli tolgo il saluto.”

“Finalmente!” esultò Alaina per la fine delle ostilità mentre Astrid aveva un’espressione raggiante a manifestare la sua soddisfazione per la vittoria dialettica ottenuta.

“Adesso possiamo passare alle cose serie”.

Tutte fissarono Alaina allibite.

“Ma sì! Si presume che si sposeranno alla svelta. In un paio di mesi al massimo. Dobbiamo decidere il colore per i nostri abiti da testimoni!”

 

 

 

Francesca era seduta sul letto con le gambe incrociate e il capo tra le mani, immersa nei propri pensieri, e non si accorse neanche di essere osservata. Aveva i capelli sciolti, fermati sulla nuca da una molletta rossa, indossava una tuta con la maglia grigio antracite e i pantaloni rossi. Regnava un silenzio assoluto, interrotto solo dal suo respiro, ancora alterato dal pianto, e dal ticchettare di due orologi che, non perfettamente coordinati, si rincorrevano nello scandire i secondi. Avrebbe capito che la stanza era sua anche se non glielo avessero detto, lo stile era inconfondibile: pareti bianche, tende verde pastello, mobili chiari, un ritratto di Francesco Giuseppe posto solennemente al centro di una parete, affiancato da un poster del Signore degli Anelli e da uno raffigurante Don Camillo e Peppone in bicicletta, e tanti libri, disposti in perfetto ordine. Sulla parete di fronte al letto, invece, si poteva facilmente capire che due grandi poster erano stati staccati di recente per venir sostituiti da quattro piccoli quadri che mal si adattavano allo spazio in cui si trovavano e lasciavano intravedere l'alone lasciato dai precedenti occupanti del muro.

Era quasi certo del fatto che i poster eliminati fossero quelli che lo ritraevano. Aveva cercato di cancellare qualsiasi cosa le potesse ricordare lui...

“Ciao” esordì, dopo aver trascorso qualche secondo ad osservarla in disparte: era davvero pallida e spenta, si notavano sul suo volto tutti i segni del dolore che stava provando, ma ai suoi occhi restava comunque la creatura più incantevole dell’universo.

Lei restò immobile a fissare il piumone azzurro con gli orsi polari su cui era seduta, credendo di essere impazzita. “Sento anche le voci adesso, devo essere impazzita … Non può essere lui” pensò.

Per fugare ogni dubbio alzò lo sguardo e lo rivolse alla porta. “Oh Santo Cielo, non stavo sognando” dedusse, portandosi la mano alla bocca per lo stupore.

“No. NO!” pensò. Non poteva essere arrivato a questo punto. Non poteva essere arrivato fino a casa sua per cercarla. Già lasciarlo una volta era stato difficile. Ma andarsene era una cosa, cacciarlo era un'altra. E adesso proprio non ne aveva la forza. Soprattutto alla luce della sua recente scoperta.

Ma doveva farsi forza. Sapeva che questa era l'ultima battaglia. Se fosse riuscita ad andare fino in fondo la faccenda sarebbe stata chiusa. Basta dubbi, basta paure. Ognuno per la sua strada.

Però in fondo al suo cuore restava un dubbio. Piccolo e fievole, ma pur sempre un dubbio. La ragione le diceva che doveva andare avanti, ma una vocina nel profondo della sua coscienza voleva altro. Le diceva di infischiarsene della ragione, infischiarsene dei suoi sensi di colpa e gettarsi tra le sue braccia dove, non l'aveva mai negato, avrebbe di gran lunga preferito stare.

Ma no! Non doveva mollare. Non poteva cedere ad un altro momento di debolezza. Stava già pagando le conseguenze per il primo, un secondo sarebbe stato, per lei, insopportabile. Doveva farsi forza, tenergli testa e raggiungere il suo obiettivo. Coraggio...

“Ciao” rispose finalmente, mordendosi il labbro inferiore, cercando di mascherare i segni del pianto “cosa fai qui?”

Lui le si avvicinò a passi lenti e si sedette al suo fianco, poggiandole il braccio destro sulle spalle.

“Ti ho chiesto cosa fai qui? Cosa vuoi?” reagì brusca, allontanandosi da lui.

“Io...” di nuovo quell'atteggiamento. Di nuovo quella freddezza e quell'astio. Sapeva che lei era una delle persone più testarde a questo mondo, ma insistere fino a questo punto, col tempo e le scoperte fatte nel frattempo, gli pareva incredibile. Non si aspettava che gli si gettasse ai piedi non appena avesse aperto bocca. Quello no. Era troppo orgogliosa. Ma neanche che costruisse di nuovo attorno a se questa fortezza. Sperava in una barriera un po' più semplice da demolire.

“Allora?”

“Sono venuto a cercarti”.

“Non hai proprio niente di meglio da fare?” replicò acida “Ti avevo detto di non cercarmi. Di lasciarmi in pace! Sono stufa di ritrovarmi la cassetta della posta intasata dalle tue lettere. Non mi interessano.”

“Quindi le hai lette?”

“Qualcuna. Poi mi sono stancata”.

“E allora?”

“E allora cosa?”

Lei era cocciuta, ma lui non le era da meno. Era disposto ad andare avanti ad oltranza su questi toni. Doveva farla capitolare.

“Non hai niente da dire su quello che hai letto? Per te non significa niente?”

“Quello è il passato per me, Nicky” rispose abbassando lo sguardo “E sarebbe meglio se anche tu iniziassi a vederlo così. Io ti avevo detto di lasciarmi stare. In questi mesi hai solo perso del tempo che avresti potuto utilizzare in qualcosa di più utile o interessante.”

“Forse l'ho fatto perché tu sei l'unica cosa che mi interessa”.

Quest'affermazione l'aveva colpita. Non tanto le parole in sé, che potevano benissimo essere inserite in un qualsiasi romanzetto rosa di infima categoria. No. Era il modo. Non c'era un accento enfatico da drammone romantico. Quelle parole erano state pronunciate con assoluta nonchalance. Senza pensarci. Come in un flusso di coscienza. Lo pensava veramente. Se le lettere non fossero già state abbastanza esplicite, quella frase le aveva definitivamente confermato i suoi sentimenti.

Lui l'amava.

Questo era sempre stato il suo rimorso peggiore. Non era stata una storiella. Non era stato un gioco. Quello che lei gli aveva fatto per lui non era stato affatto indolore, come aveva auspicato ifin dall'inizio. Se lui non l'avesse amata, non avrebbe sofferto e lei si sarebbe potuta tranquillamente concentrare sul rimettere apposto la sua vita. Invece no. Dovevano esserci delle complicazioni. Mai una volta che le capitasse qualcosa di facile! Poi anche il bambino... era un incubo! In quel momento, come mai prima, stramalediva la sua idea di andare in Irlanda. Se fosse rimasta a casa, tutto questo non sarebbe successo, e sarebbe stato meglio per tutti.

“Senti. Mi dispiace davvero di averti causato tutti questi problemi, ma, come ti ho già detto più di una volta, per me è finita, quindi è tutto fiato sprecato. Adesso per favore” disse alzandosi dal letto e iniziando a muoversi per la stanza “se non ti dispiace, vorrei che tu te ne andassi. Ho delle cose da fare e mi stai facendo perdere tempo.”

La misura era colma. Aveva cercato di prenderla alla larga, di essere delicato, di aspettare che si aprisse spontaneamente, ma adesso era stufo. Era il momento di dire le cose come stavano.

“Finiscila con questa commedia” attaccò, ben lungi dal dare l'impressione di essere in procinto di cedere o tanto meno di andarsene. “Non ti crede nessuno.”

“Cosa?”

“Smettila con questa sceneggiata! Smettila di cercare di allontanarmi! Non sono venuto qui per farmi un giro e per sentire di nuovo queste cavolate. Non lo pensi, lo sappiamo tutti e due. Quindi, per favore, finiscila e dimmi le cose come stanno veramente!”

“Lo sai già! Te l'ho detto! Non siamo fatti per stare assieme. È stato bello fin quando è durato, ma non potevamo andare oltre. Siamo troppo diversi.”

“E questo l'avresti capito per un'illuminazione divina dopo due mesi che stavamo assieme, immagino...”

Adesso il tono di sfida era nella voce di lui, mentre lei iniziava a vacillare.

“Francesca, per favore, dimmi la verità! È tanto difficile per te dirmi che hai cambiato idea per quello che è successo quella notte?”

Un fulmine a ciel sereno.

C'era arrivato.

Aveva capito cosa l'aveva portata a prendere quella decisione e adesso la faccenda si complicava ulteriormente. Come uscirne?

Quella parole l'avevano pietrificata, interrompendo il suo frenetico spostare oggetti sulla scrivania, che aveva iniziato per tenersi occupata e avere una scusa per mostrargli le spalle. Se fino ad un attimo prima era convinta di farcela, adesso vedeva la sua sconfitta avvicinarsi a grandi passi.

“Se per te è stato così traumatico, perché non me l'hai detto? Perché non te la sei presa con me? Sarebbe stato normale e giusto così! A cosa serviva tutta questa sceneggiata del non siamo fatti per stare assieme? A cosa serviva scappare? Dovevi prendertela con me, così avremmo potuto risolvere in qualche modo! Non mi hai nemmeno dato la possibilità di capire dove avevo sbagliato. Non mi sono nemmeno potuto scusare! E soprattutto, perché non mi hai fermato? Ti ho sempre detto che l'ultima cosa che volevo era spingerti a fare qualcosa, qualsiasi cosa, che tu non ti sentissi pronta a fare! Perché non mi hai detto di no? Sarebbe bastato così poco...”

Lei restava immobile, arroccata sulla sua posizione e nel contempo profondamente colpita dal suo discorso.

“Dimmi qualcosa...”

“Non ne voglio parlare” alla fine si era fatta coraggio “men che meno con te.”

“Invece direi che è proprio il caso che ne parli, e soprattutto con me, visto che sono il diretto interessato.”

“Errore. Io sono la diretta interessata.”

“Mi risulta che quella sera ci fossi anch'io con te. Sono cose che si fanno in due”.

Ancora con questa storia delle cose che si fanno in due. Francesca era mortalmente stufa dal sentire quella frase.

“Sì. Ma per te non era un problema, per me sì!”

“E allora potevi dirlo! Non capisco questa tua voglia di martirio! Abbiamo commesso uno sbaglio. Più io che te, se vuoi sapere come la vedo. E sappi che ci sto male. Che me ne sono pentito. Ma pentito di averti ferito, non di aver fatto l'amore con te! Perché, se ancora il fatto non ti fosse chiaro, io ti amo!”

Si girò di scatto e lo guardò negli occhi. Improvvisamente tutto aveva senso. Lui aveva ragione. Lei torto. Aveva combinato un disastro per volersi punire, non tenendo conto del fatto che, così facendo, non sarebbe stata l'unica a soffrire. In quel momento realizzava quanto male avesse fatto a Nicky, alla sua famiglia, ai suoi amici. E tutto per la sua cocciutaggine. Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. Sarebbe bastato che, quel pomeriggio, invece che andare da lui a fare quella scena madre, gli avesse spiegato come si sentiva. La cosa più semplice. Adesso non sapeva se era presa più dalla vergogna o dal rimorso per quello che aveva fatto.

Lui si alzò e le andò incontro. Aveva capito che lei aveva finalmente compreso la situazione, quello che lui pensava in realtà e quello che lei aveva creato nella sua mente a causa dei suoi rimorsi di coscienza. Aveva compreso che le cose non stavano come lei se le immaginava e che aveva combinato un disastro tutto con le sue mani. Ce l'aveva fatta. Ora la strada era in discesa.

Francesca si lasciò abbracciare docilmente quasi istantaneamente scoppiò a piangere.

“Mi dispiace... Io non volevo... Non pensavo...”

“Sssh” la zittì accarezzandole i capelli “È tutto sistemato. Dovevi essere tu a capire come stanno le cose. Il resto non importa. Avremo tempo di parlarne, se vorrai, quando sarai più tranquilla...”

“No!” fu presa dal panico e lo allontanò “Non va bene! Io... io... Io ho fatto un disastro! Ho fatto del male ad un sacco di persone! Non possiamo dimenticarci di tutto così! Non è giusto!”

“Sono più che certo che nessuno avrà da ridire su questo. Tutte queste persone tengono a te e vogliono solo il tuo bene. Non appena sapranno che tutto è sistemato, dimenticheranno. Io l'ho già fatto.”

Francesca si mise di nuovo a sedere sul letto e si prese la testa fra le mani.

“Tu non capisci! La situazione è molto più complicata di quello che pensi. E ti posso assicurare che appena ti avrò detto tutto non sarai più tanto propenso a perdonarmi e dimenticare...”

Anche lui si mise a sedere, al suo fianco, e la prese nuovamente tra le sue braccia.

“So già tutto.”

La testa di Francesca schizzò su e lo fissò negli occhi, esterrefatta.

“Tu cosa sai, di preciso?”

“So che aspetti il nostro bambino” le sorrise.

In quel momento credette di svenire. Lo sapeva. E sorrideva!

“Chi te l'ha detto?”

“Ma possibile che in un momento come questo tu ti preoccupi di chi me l'abbia detto?” la prese in giro.

Voleva sprofondare. Dopo tutto quello che gli aveva fatto, quel povero disgraziato aveva anche dovuto subire l'umiliazione di sapere che sarebbe diventato padre non da lei, ma da una terza persona. E, nonostante questo, era li con lei a consolarla, a prendersi colpe che secondo lei, lui continuava a non avere e ad offrirle il suo perdono. Troppa grazia.

“Se proprio lo vuoi sapere, sono state le tue amiche. Loro mi hanno rintracciato e mi hanno spiegato tutto.”

“Non doveva finire così...”

“Francesca, non importa. Davvero! È successo. È passato. Tutti abbiamo la nostra parte di responsabilità. Punto. Chiudiamo questo capitolo e pensiamo al futuro. Anzi...” si interruppe, ricordandosi di quello che aveva in tasca “ parlando di futuro... Io avrei pensato una cosa. Se a te va bene...”

“Dimmi” disse, asciugandosi le lacrime e mettendosi a sedere diritta.

“Ecco... Io ti avrei preso una cosa” le disse mettendole tra le mani una scatoletta di velluto verde scuro. Lei la aprì. Conteneva un anello in platino con il più grosso brillante che avesse mai visto in vita sua, tagliato a cuore, contornato da un'infinità di piccoli brillantini.

“Francesca” inizio, dopo aver preso un respiro profondo “vuoi sposarmi?”

“NO!” rispose lei, piccata.

“Perché no?” domandò esasperato.

“Perché me lo chiedi perché sono incinta! Non è giusto! Non va bene! È già tanto che tu sia venuto qui a perdonarmi pur sapendo quello che ti ho fatto, questo è troppo! Non me lo merito! Non va bene! Tu dovresti avercela con me, non sentirti obbligato nei miei confronti!” Sparava quelle parole con la velocità di una mitragliatrice, tanto quella proposta inaspettata l'aveva sconvolta.

“Il fatto che tu sia incinta cambia la tempistica, non l'idea” rispose pazientemente. “Te l'avrei chiesto comunque. Magari non oggi, ma non sarebbe passato così tanto...”

“Tu sei matto!”

“Io ti amo”.

“No. Tu sei matto!”

“Sono matto e ti amo, va bene?”

Lei lo guardò insofferente, poi scosse il capo.

“Non posso.”

“Puoi. Eccome! Basta che tu lo voglia.”

“Allora non lo voglio.”

Lui sbuffò esasperato. Certe volte parlare con lei era come cercare di far ragionare un mulo.

“Perché?”

“Te l'ho detto perché. Non è giusto! Tu lo fai perché pensi di doverlo fare. Probabilmente, se non ti avessero detto che aspettavo un bambino, non saresti neanche venuto a cercarmi, figurarsi chiedermi di sposarti!”

“Falso! C'è più di una persona che può testimoniare che stavo progettando di venire a cercarti già prima di parlare con le tue amiche.”

“Ma non avevi pensato di chiedermi di sposarti...”

“Non così di punto in bianco! Va bene! Ma ti ho già detto che non sarebbe passato troppo tempo comunque. Io voglio stare con te, bambino o non bambino, te lo vuoi mettere in testa?”

“E allora cos'è tutta questa fretta di sposarmi?”

“Perché voglio farlo! Vuoi davvero sapere cosa penso? Che è una perfetta scusa per non aspettare non si sa poi bene cosa! Cosa cambierebbe se lo facessimo tra un anno? Niente! Un bel niente! Sarei stato pronto per chiedertelo quando stavi ancora a Dublino, figuriamoci adesso, che ho capito com'è vivere senza di te!”

Lei lo fissava con una certa ammirazione. Le aveva espresso dei sentimenti di una rilevanza notevolissima, impressionante, dal suo punto di vista. E ormai non dubitava più sulla loro effettiva veridicità. L'unico blocco era nella sua testa.

“Tu sai cosa stai facendo, vero?”

“Sì. E voglio farlo” sorrise: ormai era pronta a cedere.

“Lo sai” disse, rivolgendo la sua attenzione all'anello “Non si può dire che tu non abbia gusto per i gioielli...”

“Non cambiare discorso!”

Silenzio. Si vedeva che si stava dibattendo tra i suoi dubbi.

“Ok. Forse ti ho messo troppa fretta. Oggi sono successe tante cose. Vuoi qualche giorno per pensarci?”

“NO!” di colpo la decisione era presa. Basta dubbi, basta tentennamenti.

“No cosa?”

“Non ho bisogno di altro tempo”

“Va bene. Allora facciamo le cose come di deve” disse, inginocchiandosi ai piedi del letto. “Francesca, vuoi sposarmi?”

Lei scoppiò a piangere, troppo presa dall'emozione. Riuscì solo ad annuire.

“È un sì?” domandò, anche lui sull'orlo delle lacrime.

“Sì” quasi urlò, inginocchiandosi anche lei per abbracciarlo.

“Ti amo, e anche il nostro bambino, più di ogni altra cosa” concluse, stringendola a sé.

“Ti amo” sorrise lei, sciogliendosi tra le sue braccia e baciandolo dolcemente, sentendosi finalmente , dopo quella che le era parsa un’eternità, protetta, amata e felice.

 

Tonight, I'm gonna make it up to you
Tonight, I'm gonna make love to you
Tonight, you're gonna know how much I missed you, baby
Tonight, I dedicate my heart to you
Tonight, I'm gonna be a part of you
Tonight, you're gonna know how much I miss you
And I miss you so

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


E oggi si conclude quest'avventura. Con l'epilogo di oggi la storia si conclude. Ancora non so se e quando pubblicherò qualcosa di nuovo, ma di certo non sarà a breve, visto che non sto scrivendo affatto ultimamente.
Rubo ancora un secondo alla storia solo per ringraziare tutti quelli che hanno avuto la bontà di impiegare parte del loro tempo a leggere la mia storia e chi mi ha aiutata a scriverla e perfezionarla: Dio solo sa quanto ne abbia avuto bisogno :).

GRAZIE!!!

********

“Dov’è il papà?” chiese Francesca a sua madre entrando in cucina, dopo aver passato al setaccio l'intera casa.

“A due metri da te, seduto a tavola, che legge il giornale” rispose la donna accennando al marito che le osservava, stupito da questa domanda.

“Non mio papà!” ribatté stizzita “Non sono ancora così rimbambita da non vedere una persona che è nella stessa stanza in cui sono io e non è nascosta sotto il tavolo o in un armadio! Sto cercando il papà di mia figlia!”

“Ah, ma potevi dirlo prima che cercavi tuo marito”.

Francesca sbuffò alzando gli occhi al cielo nell’attesa di ricevere una qualche informazione utile.

“Comunque non so dove sia…”

“Ma perché deve essere tutto così in ritardo e soprattutto incasinato proprio il giorno del battesimo!” esclamò uscendo dalla cucina, dirigendosi verso il salotto, rimettendo nervosamente al suo posto la spallina sinistra del suo svolazzante abito verde acqua, che proprio non ne voleva sapere di restarsene ferma sulla sua spalla.

“Perché non l’hai organizzato tu” affermo Alaina, che stava sistemando su un tavolino un cestino decorato con pizzo lilla contenente una ventina di bomboniere.

“Visto che quel sant’uomo di tuo marito è riuscito a legarti le mani, almeno per una volta” proseguì Stefania, che vestiva un morbido abito blu scuro, ripreso in vita, completato da un paio di sandali color bronzo, che richiamavano la tinta dei ricami che decoravano la scollatura.

“Bisognava farti sposare per farti diventare ragionevole” mugugnò Giulia.

“Certo Tessy” intervenne Astrid, chiamando Giulia con il suo soprannome, semplicemente l’abbreviativo del cognome, con fare saccente “Io vi ho sempre detto che i matrimoni aggiustano tutto!”

“Uffa!!!” sbuffò Federica, appoggiandosi al muro, nel tentativo di non cadere dalle decolleté blu, in tinta con il vestito in lino, alla cui altezza, evidentemente, non era abituata “Sembri la madre di Orgoglio e Pregiudizio!!”

“Perché, vuoi negare che abbia ragione???”

“Calme, calme!!!” le zittì Francesca, poiché aveva il “vago sentore” che, come loro abitudine, sarebbero cadute in qualche disputa di carattere morale o ideologico, dalla quale non sarebbero uscite facilmente, e comunque senza trovare un punto di accordo, nel giro delle prossime dieci ore. “Non mi interessano le vostre argomentazioni avverse o in favore del matrimonio… anche se io tifo per Astrid. In questo momento mi preme di più sapere dove cavolo si è cacciato Nicky!”

“Io sono qui da un’ora” dichiarò Elisa “e non l’ho visto”.

Tutte le altre annuirono, intendendo che anche loro non avevano sue notizie.

“Si è smaterializzato!” esclamò imboccando il corridoio che portava alle scale.

“Dov’è lui?” chiese stralunata ad Yvonne, la madre di Nicky, che stava sistemando un vaso di fiori su un mobiletto dell’ingresso.

“Nicky?”

“Sì. Siamo in ritardo. Lui è sparito. La bambina dorme e ancora la devo preparare per la cerimonia. In più tra dieci minuti inizierà ad arrivare gente da tutte le parti…”

“Tranquilla” le sorrise con tono materno “Tu va a preparare la piccola, io vado in cerca del mio bambino grande.”

 

Salite le due rampe di scale e percorso il corridoio, fece il suo ingresso nella camera della bambina, una luminosa stanza dalle pareti e le tende sui toni del lavanda al cui centro era posizionata la culla della bambina.

Trascorse qualche istante immersa nei suoi pensieri, assorta nella contemplazione di quell’angioletto.

Quanti pasticci aveva combinato credendo di fare il suo bene. Interrompere una relazione, sparire, chiudersi in se stessa, esasperare i suoi cari. E tutto per paura e cocciutaggine. O voglia di martirio, come l'aveva definita Nicky.

Violet, ai suoi occhi, ma non solo, era il ritratto della perfezione: la carnagione era chiarissima, come quella della mamma, i morbidi capelli erano dorati, gli occhi azzurri, e in lei, nei suoi lineamenti, nelle sue espressioni, non si poteva fare a meno di scorgere l’incredibile somiglianza con il suo bellissimo papà.

“E tu volevi tenermi lontano da questo splendore?” le chiese Nicky avvicinandolesi da dietro, dopo averla osservata da un angolo della stanza, e, stringendole le braccia attorno alla vita, facendola leggermente sobbalzare, dato che non si era accorta della sua presenza.

“È perfetta” soggiunse, senza staccare per un istante gli occhi dalla bambina, che si stava lentamente svegliando.

“È la nostra bambina, è ovvio che sia perfetta” ridacchiò.

“Sono stata davvero una stupida. Non riesco neanche io a capire perché ragionassi in quel modo…”

“Non te ne puoi prendere la colpa. Eri spaventata, è comprensibile. Ma le cose si sono andate come era giusto che andassero, non pensiamoci più.”

“Meno male che le ragazze si sono stufate di sopportarmi…” sospirò.

“Così adesso ti sorbisco io” rise.

“Ti ricordo che l’hai voluto tu” rispose sarcastica voltandosi nel suo abbraccio .

“Certo, e lo vorrò sempre” le sussurrò baciandola teneramente.

 

 

FINE


 


 

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