Burn in my frozen heart like a dancing flame

di L S Blackrose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Heartless ***
Capitolo 3: *** Brave new life ***
Capitolo 4: *** To freedom and beyond ***
Capitolo 5: *** Time has come ***
Capitolo 6: *** First look ***
Capitolo 7: *** This means war ***
Capitolo 8: *** Welcome to the jungle ***
Capitolo 9: *** Stronger ***
Capitolo 10: *** Curse ***
Capitolo 11: *** Fight fire with fire ***
Capitolo 12: *** Hard out here ***
Capitolo 13: *** Carry on ***
Capitolo 14: *** Are you still having fun? ***
Capitolo 15: *** If you don't swim, you'll drown ***
Capitolo 16: *** Break the ice ***
Capitolo 17: *** Ready or not ***
Capitolo 18: *** Fear of the dark ***
Capitolo 19: *** Unholy ground ***
Capitolo 20: *** Bend the rules ***
Capitolo 21: *** Not again ***
Capitolo 22: *** Morning tide ***
Capitolo 23: *** Afraid of the midnight ***
Capitolo 24: *** I feel the change coming on ***
Capitolo 25: *** Beware ***
Capitolo 26: *** At the point of no return ***
Capitolo 27: *** Under your spell ***
Capitolo 28: *** Ready, aim, fire ***
Capitolo 29: *** Don't wanna let you go (part 1) ***
Capitolo 30: *** Don't wanna let you go (part 2) ***
Capitolo 31: *** For your entertainment ***
Capitolo 32: *** Work this out ***
Capitolo 33: *** To be loved ***
Capitolo 34: *** Let it go (part 1) ***
Capitolo 35: *** Let it go (part 2) ***
Capitolo 36: *** All of us ***
Capitolo 37: *** Stay away from that knife ***
Capitolo 38: *** Like a satellite ***
Capitolo 39: *** A little piece of heaven ***
Capitolo 40: *** Seize the night ***
Capitolo 41: *** Closer ***
Capitolo 42: *** Another mountain to climb ***
Capitolo 43: *** Ice, blood and rain ***
Capitolo 44: *** Journey to the past ***
Capitolo 45: *** Revenge, sweet revenge ***
Capitolo 46: *** Flying without wings ***
Capitolo 47: *** Smoke and mirrors ***
Capitolo 48: *** Never surrender ***
Capitolo 49: *** No end, no beginning ***
Capitolo 50: *** Rebirthing ***
Capitolo 51: *** The rise and the fall ***
Capitolo 52: *** Looking for trouble ***
Capitolo 53: *** Here in my arms ***
Capitolo 54: *** Cradled in love ***
Capitolo 55: *** Not over yet ***
Capitolo 56: *** Game on ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





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Prologo




Zelda



La Cerimonia della Scelta sconvolge la tua intera esistenza.

Non ho mai preso sul serio mio padre quando lo ripeteva ai miei fratelli più grandi, ma ora che il giorno si avvicina sento un’inquietudine crescere pian piano dentro di me, come un fremito che arriva fino al centro delle ossa.

Quale sarà la mia scelta?

È una domanda che mi assilla da una settimana a questa parte.
Mi punzecchia il cervello come una zecca fastidiosa: mentre mangio, appena prima di dormire, quando cerco di leggere…

È così grave non avere aspettative?
Essere così poco ambiziosi da voler soltanto vivere in pace la propria vita, indipendentemente dalla fazione in cui si vive?
Potrei anche rimanere negli Eruditi assieme a tutta la mia famiglia.

Se non fosse che…

Sospiro e lancio un’occhiata alla mia stanza.
Due pareti sono totalmente ricoperte da un’immensa libreria che ospita una quantità spropositata di volumi e testi scolastici; la scrivania occupa un posto d’onore sotto l’unica finestra della camera, posta esattamente al lato opposto della porta.

In questo spazio abbastanza ampio l’ordine regna sovrano.
Non ci sono fogli sparsi, il cestino è vuoto e sulle mensole di legno non c’è traccia di polvere.
Dovrei essere fiera di me stessa: la precisione e la disciplina, a cui mio padre tiene particolarmente, sono ormai parte di me, inscindibili.

Eppure mi sembra tutto così vuoto, così normale, così….noioso.

Questa sensazione mi sconvolge.
Non ho mai provato repulsione entrando in una biblioteca.
A scuola sono la più brava della classe, leggere è sempre stata una delle mie passioni.

Cosa è cambiato?

Mi prendo la testa tra le mani.

Io sono cambiata.

Essere l’unica ragazza in una famiglia composta da soli uomini - quattro fratelli maggiori più mio padre – mi ha fatto maturare più in fretta rispetto alle mie compagne di classe. Loro sanno già cosa vogliono diventare: scienziate, dottoresse, insegnanti.
Hanno pianificato il loro futuro già da molto tempo.
Poche tra loro hanno preso in considerazione l’idea di cambiare fazione.

Nemmeno io ho mai preso sul serio questa opzione.

L’idea di ritrovarmi in un ambiente sconosciuto, assieme a persone con un modo di vivere e di pensare differente dal mio mi spaventa.

Eppure stai pensando di farlo, sussurra una voce nella mia mente.
Avrei davvero il coraggio di diventare una trasfazione?
Non riesco a rispondere a questa domanda e non ho nessuno con cui poter parlare.

Mio padre e i miei fratelli non possono venirmi in aiuto, in quanto sono nati Eruditi ed Eruditi sono rimasti.
A nessuno di loro verrebbe mai in mente che io potrei aver voglia di lasciarli, hanno sempre fatto affidamento su di me per tutto: la gestione della casa, la cucina, il bucato…più che parente, sono la loro schiava.
Da quando mia madre è morta, non ho mai sentito tutto questo come un peso opprimente come lo avverto ora.

E quale delle quattro fazioni farebbe al caso mio?

Le visualizzo mentalmente. Il primo simbolo che mi appare è quello degli Abneganti, due mani che si stringono l’una all’altra.
Ho sempre provato rispetto, anche una sorta di ammirazione, per questa fazione così altruista, che mette il bene comune al primo posto.

La scarto velocemente, con una smorfia.
Non potrei mai diventare così altruista.
Un conto è occuparsi della propria famiglia – che per me è un dovere -, un altro è aiutare persone sconosciute.

E poi vestire sempre di grigio e cercare di farsi notare il meno possibile è impensabile per una come me che è abituata a continui elogi.
Orgoglio ed egoismo fanno entrambi parte del mio carattere ed è qualcosa che non potrò mai cancellare, nemmeno se facessi mille opere buone.
Con questo non voglio dire di essere vanitosa, ma tengo al mio aspetto e mi piace che gli altri notino le mie buone qualità.

I Candidi?
Scoppio a ridere al solo pensiero.
Ho dei segreti che terrò sempre e solo per me, perciò questa fazione non l’ho mai presa in considerazione.
Nemmeno per un istante.
Non sono mai riuscita a capire come una persona sana di mente riesca a sopportare quell’orribile siero che ti fa sputare a forza ogni segreto, ogni cosa orribile che preferiresti non venisse mai alla luce.

Allora i Pacifici, borbotta quella vocetta in tono sarcastico.
Come se fosse umanamente accettabile!
Vestire di giallo e rosso, saltellando per i campi al ritmo del banjo non può essere un’opzione.
Mi sento ridicola solo per averci pensato!

Traccio una grossa croce sopra il simbolo dei Pacifici che fluttua nel mio cervello.

Gli Intrepidi sono l’unica fazione rimasta.
La vocetta ridacchia, prendendomi in giro.

Ma davvero, Zelda? Fai sul serio? Gli Intrepidi? Come no!

Appoggio la fronte al legno scheggiato della scrivania e mi passo le mani tra i capelli folti e scuri.

Io, una ragazzina, tra gli Intrepidi.

Devo essere impazzita.

O veramente disperata.

Perché in questo preciso momento mi rendo conto di aver preso la decisione definitiva.

La scelta che cambierà il corso del mio avvenire.

 





 
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Ciao a tutti! Se siete giunti al mio messaggio vuol dire che avete letto il Prologo della mia storia ;) Se vi è piaciuto – e anche se non vi è piaciuto – vi prego di commentare, recensire, farmi conoscere la vostra opinione ;) ci tengo molto, perciò fatemi sapere cosa ne pensate!
Anche le critiche (costruttive!) sono ben accette ;) Un bacio a tutti, da Lizz!

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Capitolo 2
*** Heartless ***






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Can't you see he's the heartless
Your pain won't ever be love
It doesn't matter how hard you try
To you all is lost

(H.I.M)


Capitolo 1


Eric



Un verso irritato accompagna il mio brusco risveglio.

Quei maledetti incubi.
Si insinuano nel mio inconscio come piccoli serpenti velenosi che mi impediscono di dormire.

Mi alzo dal letto come un automa e mi guardo allo specchio.
Mi piace quel che vedo.
D’altronde, tutti vorrebbero essere me. Come dargli torto?

Eric, Capofazione degli Intrepidi.

I miei piercing sono già una moda, i tatuaggi che ho sul collo e sulle braccia sono i più richiesti al Pozzo.
Io e la mia immagine riflessa ci scambiamo un’occhiata soddisfatta.

Poi però ricordo che giorno è e cosa mi ha spinto ad alzarmi così presto.

Impreco sonoramente.

Il dannato Giorno della Scelta.

Mi passo una mano sul viso, esasperato e infastidito da quel che mi aspetta.

Cosa può esserci di più irritante di una banda di ragazzini schiamazzanti?

Già mi immagino quegli odiosi bimbetti trasfazione, allegri e soddisfatti di aver scelto di entrare a far parte degli Intrepidi.
Poveri idioti, non sanno a cosa vanno incontro.
Nemmeno io lo sapevo quando ho scelto di lasciare gli Eruditi, ma sono sempre stato furbo e svelto ad imparare.
Niente riesce a cogliermi di sorpresa.
Intelligenza e forza, mischiate ad un pizzico di crudeltà, sono armi preziose per chi, come me, sa usarle senza farsi inutili scrupoli.

Tutti sono utili, nessuno è indispensabile.

Non ho bisogno di alleati, né tantomeno di amici.
Se fossi stato un sentimentale non sarei diventato uno dei più giovani leader degli Intrepidi.

Mi piace essere temuto, mi fa sentire invincibile.

Non avrei mai provato questa sensazione se fossi rimasto negli Eruditi, perciò mi congratulo per l’ennesima volta con me stesso per la brillante decisione.

Ma non sei il più forte. Quattro è migliore di te.

Dannazione. E questo pensiero da dove arriva?
Il mio cervello ormai dovrebbe aver capito che al solo suono di quel soprannome il mio istinto omicida prende il sopravvento.

Quattro. Anche solo pensare a lui mi provoca una rabbia cieca.
Comincio a sentire le mani fremere per la voglia di tirare un pugno a qualcuno.

Quel Rigido deficiente, che tutti osannano solo perché ha il numero più basso di paure nella storia degli Intrepidi, mi fa venire il voltastomaco.
Mi torna alla mente il giorno in cui hanno esposto i risultati dell’iniziazione e la furia si innalza a livelli allarmanti nelle mie vene.

Ero sempre io il primo della lista. Il primo a saltare, il più forte negli scontri con gli altri iniziati, uno dei migliori nelle simulazioni… e poi arriva questo schifoso Abnegante, che riesce a soffiarmi il primo posto nella graduatoria finale.
Ancora non riesco a capire come ho fatto a controllarmi.
Avrei tanto voluto fargli sparire quel sorriso impacciato dalla faccia a suon di calci.

Controllo, Eric, mi ripeto per calmarmi.
Potrò anche essere impulsivo, cattivo, meschino e via dicendo, ma non sono uno sprovveduto, né tantomeno un ingenuo.

Sono un Capofazione e devo dimostrare agli altri Intrepidi che non sono inferiore a quel coglione che si fa chiamare con un numero.
Perché alla fine il moccioso si è rivelato essere un codardo, quando gli hanno proposto un lavoro ai vertici.
Come si fa a essere così stupidi da rifiutare una proposta del genere?
Dovrebbe chiamarsi Uno, come il numero dei suoi neuroni ancora in vita.

Io non aspettavo altro. È sempre stato questo il mio obiettivo: il potere.
Cosa c’è di meglio del potere?
Impartire gli ordini, vedere gli altri abbassare gli occhi al tuo passaggio, prendere le decisioni in qualsiasi situazione.
Io vivo per questo.

È passato solo un anno, eppure non mi stancherò mai.
Adoro essere uno dei capi, mi fa sentire così…vivo. E importante. E ammirato.

Tutti hanno paura di me. Lo vedo nei loro occhi quando incrociano il mio sguardo di ghiaccio.

È così eccitante.

Passo la lingua su uno dei piercing che adornano il mio labbro inferiore e trattengo un ghigno.
Ci sarà da divertirsi, con questi iniziati. Così innocenti ed ingenui… potrei perfino provare un briciolo di tenerezza per loro, se avessi un cuore.

Purtroppo nel mio petto non c’è spazio per questi sentimenti. Bontà, affetto, amore…per me sono come una pestilenza.
Più distanza metto tra me e loro, più al sicuro sarò. La corazza che ho creato in questi anni non si infrangerà mai più, per nessuna ragione al mondo.

Mi avvio verso il Pozzo con passo deciso, mentre nella mia mente compilo una lista delle punizioni che potrei infliggere alle nuove reclute.
Dopotutto, forse non mi annoierò.

 





 
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Ciaoooo! Grazie grazie e ancora grazie a chi a visitato il Prologo della storia. Sono emozionata come una bambina la mattina di Natale ;) ;) ;) Spero che il Cap vi piaccia: ho cercato di entrare nella mente di Eric per quanto possibile e spero che il risultato sia buono… fatemi sapere cosa ne pensate ;)
Un bacio a tutti dalla vostra Lizz!!! ;)
p.s. mi scuso in anticipo per gli eventuali errori!

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Capitolo 3
*** Brave new life ***




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Capitolo 2




Zelda




Il test è fondamentale, dicevano.

Serve ad aiutarti a scegliere la fazione che più ti si addice, dicevano.

Come no, tutte balle!

A me questo stupido test non è servito praticamente a nulla.

Rimango distesa a letto, rannicchiata sotto le coperte color azzurro cielo – uno dei pochi ricordi di mia madre sopravvissuto nel corso degli anni – e apro gli occhi di scatto.

Il grande giorno è arrivato.

La Scelta mi attende.

Può una sola parola, di due sillabe appena, incutere tanto terrore? Non lo credevo possibile, eppure, se ci penso, sento un gusto amaro in bocca e le gambe tremare.

Mi stupisco di me stessa, sono sempre stata una persona abbastanza coraggiosa.
Di certo non la prima a buttarsi nelle situazioni più rischiose, ma non sono neanche una codarda che si tira indietro quando viene provocata o sfidata.

Eruditi.

Il mio risultato era alquanto prevedibile.
Con un cognome come il mio, mi sarei stupita maggiormente se fosse uscita una fazione diversa.

Fisso le mappe del cielo attaccate al soffitto della stanza, su cui spiccano le varie costellazioni che ho imparato a memoria per gioco, per dimostrare a mio padre che non sono inferiore a quei geni dei miei fratelli.
Le guardo come se negli spazi tra una stella e l’altra ci fosse la risposta che sto cercando.

Sospiro e mi copro il viso col lenzuolo.

D’accordo, Zelda. Un bel respiro.

Sento i polmoni dilatarsi fino al limite. Trattengo il fiato per alcuni secondi, finché riesco ad avvertire il ritmo martellante del mio cuore.
Pulsa con forza nelle orecchie, come se mi stesse incitando a non mollare, ad andare avanti nonostante le difficoltà.

D’altronde nessun altro crede in me.
Nemmeno mio padre, che mi definisce la vergogna della famiglia perché i miei voti sono molto più bassi di quelli presi dai miei fratelli alla mia età.

Lui non sa che nel test del quoziente intellettivo ho battuto perfino lui, il grande dottor Blackburn, il chirurgo più gettonato della città.

Una delle poche soddisfazioni personali che la vita mi ha concesso.

È per questo che sapevo per certo il verdetto del test attitudinale.
Un cervello come il mio dovrebbe rimanere negli Eruditi, continuare a studiare e prepararsi a diventare una personalità di spicco, seguendo l’esempio del mio caro paparino.

Quando non riesco più a trattenere il respiro, rilascio l’anidride carbonica e fingo che assieme a lei se ne stia andando anche la tensione che mi opprime il petto come una gabbia e mi ha impedito di dormire questa notte.

Sono sicura della mia decisione, non mi farò spaventare dalle difficoltà.
Sono stata abituata ad affrontare qualsiasi cosa, da quando un tumore si è portato via mia madre.

La mia adorata mamma, l’unica persona in grado di capirmi, l’unica con cui poter confidarmi e parlare liberamente senza correre il rischio di essere derisa o umiliata.

Se fosse ancora viva probabilmente mi direbbe di seguire l’istinto ed è quel che farò.

Mi districo dal groviglio di coperte e mi alzo dal letto con decisione.

Farò quel che è giusto per me. Gli altri possono anche andare al diavolo.


 
* * *

 
Davanti al palazzo nel quale avrà luogo la Cerimonia della Scelta si è formata una numerosa folla.

Il miscuglio di colori è tale da sembrare che un arcobaleno sia caduto giù dal cielo per posarsi sull’asfalto della città.

L’effetto è abbastanza comico. Riesco addirittura a fare un piccolo sorriso, nonostante l’ansia e il terrore di essere sul punto di commettere un errore.

Coerenza, Zelda.

Mi libererò mai di quella vocina odiosa che mi sussurra all’orecchio nei momenti meno opportuni?

Credo proprio di no.

Ad ogni modo, cercherò di farci l’abitudine, altrimenti la mia già precaria sanità mentale potrebbe svanire del tutto e non sarebbe una buona cosa, visto che sto per gettarmi in pasto agli Intrepidi.

La fazione che sto per scegliere non è sicuramente famosa per intelletto o saggezza.

Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a decidermi in suo favore.
Ne ho abbastanza di libri e studio: anche se fossi la più brava di tutta la scuola, per mio padre resterei una nullità e io non sono disposta ad accettare di trascorrere un giorno in più in compagnia di quelle canaglie dei miei fratelli.

Quattro zotici che fingono di essere dei dottori di talento.

Mi chiedo come abbiano fatto a superare i livelli di istruzione medica.
Deve esserci lo zampino di mio padre, la sua influenza riesce a giungere in tutti gli angoli della città senza sforzo.
Non potrebbe essere altrimenti, visto che dirige tutti gli ospedali, di ogni quartiere.
I suoi figli non devono essere da meno, lo farebbero sfigurare.

Mi immagino l’espressione che farà quando capirà che me ne sto andando per sempre.
Sulle mie labbra si disegna un ghigno perfido che non riesco a reprimere.

- Si può sapere perché stai ridendo, Zel? Se trovi un lato divertente in tutto questo, ti prego, fa ridere anche me! – supplica una voce resa spezzata dall’ansia.

Mi volto di lato e mi trovo faccia a faccia con Alicia, che mi sta guardando con gli occhi spalancati.
Le sue iridi azzurre sono quasi trasparenti, rese più sottili dall’ingrandirsi delle pupille. Ha i capelli legati in una treccia elaborata che le ricade su una spalla.

Io continuo a sorridere e mi sporgo in avanti per passarle un braccio sulle spalle. – Andiamo, Ali, non ti starai spaventando per così poco! Dobbiamo solo decidere del nostro futuro, cosa vuoi che sia? -.

- Grazie tante. Ti preferivo quando stavi zitta – replica acidamente, allontanandomi con una spinta molto poco delicata.

Getto indietro la testa e rido. - Anche io ti voglio bene, ma non c’è bisogno di essere così sdolcinati -.

Alicia mi guarda socchiudendo minacciosamente le palpebre. Poi sospira e mi abbraccia.
Sento le sue mani tremare quando mi circonda la schiena. – Sii seria, Zelda – sussurra, posandomi il mento alla spalla. – Non è solo il futuro che mi spaventa. Sei così felice di lasciare anche me? Sai bene che se cambi fazione non ci rivedremo mai più -.

Alicia è l’unica persona che conosce la mia decisione di lasciarmi gli Eruditi alle spalle. È la mia migliore amica, per lei non ho segreti.

La stringo a mia volta. – Sai perfettamente perché devo farlo. Non riesco più a vivere in quella famiglia. Ho bisogno di andare via da qui – mormoro, cercando di farmi udire solo da lei. I miei fratelli potrebbero essere vicini, non voglio rovinargli la sorpresa.

Ali mi da dei colpetti tra le scapole, solidale. – Lo so, Zel. Ho sempre saputo che tu hai più fegato di tutti e cinque gli uomini di casa tua messi insieme e ora lo stai dimostrando -. Scioglie l’abbraccio e cerca di sorridere, ma ha le labbra tirate e gli occhi lucidi. – Per una volta devi scegliere egoisticamente e so che prenderai la decisione più giusta. Resta il fatto che mi mancherai un sacco! Come farò senza di te? Senza le tue battute pessime per il resto della vita? Mi sento già persa -.

- Puoi sempre venire a trovarmi alla residenza degli Intrepidi! – esclamò, tanto per spezzare la tensione. – Magari riesco anche a convincerti a farti un tatuaggio -.

Alicia storce il naso. – Sì, certo – borbotta, sarcasticamente.

- Neanche per farmi compagnia? -.

- Ma neanche per tutti i libri del mondo! -.

- Un piercing? -.

- Forse … quando vedrò una coppia di elefanti ballare il tip tap! -.

Scoppio a ridere, ma torno seria in fretta. – Anche tu mi mancherai -.

Ali tira su col naso, voltando appena il capo per non farmi vedere che sta per piangere. – Beh, forse ci rivedremo, dopotutto. Ti romperai talmente tante ossa da aver bisogno del miglior fisioterapista della città e io mi divertirò a vederti soffrire -.

Quindi anche la sua Scelta è definitiva. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso. - Per forza. Non mi farei torturare da nessun altro dottore, puoi starne certa! -.

- Ehi, Zeldy! -.  

Quel disgustoso soprannome interrompe bruscamente la nostra conversazione.

Non può che trattarsi di uno dei miei fratelli (barra cervelli-di-gallina) che mi ritrovo come parenti.

Infatti Clark, il secondogenito, spunta alle mie spalle e mi scompiglia i capelli più con cattiveria che come prova di affetto.

– Nervosette, eh? – esclama allegramente, dimostrando la più completa mancanza di tatto sulla faccia della Terra.

Mi trattengo a fatica dall’allungare le mani e soffocare lui e quel suo sorrisetto sornione che tanto detesto.

– Ginocchia che tremano e tutto il resto, scommetto. Ah, non preoccupatevi, dura poco -.

Mi lancia un’occhiata divertita. – Ci vediamo dopo la Scelta, Zeldy! – conclude, allontanandosi verso un gruppo di Eruditi della sua età.

Meglio, così non finirò in carcere per fratricidio.

Alicia fa finta di rabbrividire. – Ora capisco perché non li puoi vedere. I tuoi fratelli sono decisamente … -.

Non termina la frase, sembra cercare il termine più adatto per descriverli.

-… insensibili? –, suggerisco, mentre continuo a fissare la schiena di Clark, nella vana speranza di vederlo inciampare e cadere a terra.

Ali alza le spalle. – Tu sei troppo buona. Io pensavo più a ‘deficienti’, ma fa lo stesso -.

Lascia perdere le battute e si volta verso l’edificio di vetro.

Un gruppo di Pacifici ci passa accanto. Sono rumorosi e allegri, vestiti di rosso e giallo come un fuoco che divampa.
Un po’ li invidio, sembrano così spensierati. Io non riuscirei mai a lasciarmi andare in quel modo.

Alicia li osserva e scuote la testa, borbottando un ‘babbei’ tra sé e sé.

Un rumore appena accennato mi obbliga a distogliere l’attenzione da lei e dal suo disprezzo per i Pacifici.

Il fischio di un treno in avvicinamento diventa sempre più forte e io cerco con gli occhi l’inizio della locomotiva.

Non appena scorgo le luci della prima carrozza sento il cuore aumentare i battiti in modo esponenziale.

Il treno scivola sulle rotaie come un serpente di acciaio liquido, accorciando sempre più la distanza che lo separa dall’edificio.
Le porte dei vagoni si aprono di scatto e centinaia di figure vestite di nero si gettano al di là delle rotaie.
Sembrano quasi delle ombre guizzanti, tanto sono veloci ed aggraziati nei movimenti.

Fra poco sarò una di loro, penso con convinzione, ma non posso impedirmi di sentire un brivido lungo la schiena.

Ci metto solo mezzo secondo a capire che non è paura, bensì eccitazione.

Le figure in nero atterrano sull’erba accanto ai binari e sfrecciano verso di noi come un fiume in piena.

Alicia guarda assieme a me l’entrata trionfale degli Intrepidi nel palazzo e mi posa una mano sulla spalla.

– Guarda, Zelda -.

La sua voce è allo stesso tempo sarcastica e deferente.

– La tua nuova famiglia è venuta a prenderti -.







 
 
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Ciaooo belli!!! ecco un nuovo capitolo, questa volta dal punto di vista della mia Zelda…spero vi piaccia ;)
ringrazio in anticipo chi lo leggerà! Se volete commentare, non esitate a farlo… tengo molto ai vostri pareri, perciò fatemi felice (bastano anche poche parole) ;)
non siate timidi, forza ;)
Vi pongo una domanda, tanto per rompere il ghiaccio: voi cosa avreste fatto al posto di Zelda? Sareste rimasti in quella famiglia? Avreste cambiato fazione?
Al suo posto, credo avrei reagito allo stesso modo…ma forse non avrei avuto il coraggio di scegliere gli Intrepidi. Magari gli Abneganti, di certo non i Candidi ;)
Rispondete, così facciamo due chiacchiere ;)
Un bacio a tutti
Lizz

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Capitolo 4
*** To freedom and beyond ***




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Capitolo 3

 



Zelda



La sala in cui ha luogo la Cerimonia è ampia e luminosa.

La folla-arcobaleno si è riversata in massa all’interno e, quando vi metto piede anch’io, la prima cosa che i miei occhi individuano è il grande tavolo dove sono poste le cinque coppe, in fila, leggermente distanziate l’una dall’altra.
Sono bianche, ovali e su ciascuna spicca il simbolo della rispettiva fazione.

Le fiamme degli Intrepidi sembrano essersi impresse indelebilmente nella mia retina, fatico a mettere a fuoco l’ambiente che mi circonda.

Quel marchio…lo sento già parte di me.

Alicia è quasi costretta a trascinarmi oltre la soglia.
Mi guarda con preoccupazione, forse perché interpreta male la mia immobilità e il mio sguardo esaltato.

Cerco di darmi un contegno e la seguo attraverso quel mare di colori che riempie ogni angolo della sala.

Ci mettiamo in fila, in ordine alfabetico, assieme a tutti gli altri sedicenni che oggi sceglieranno il loro destino.
Davanti a me due Candide stanno chiacchierando tranquillamente, senza mostrare segni di nervosismo.

Tutto il contrario dell’Abnegante che mi segue: è un ragazzo smilzo, dai capelli chiari. Ha le spalle incurvate, quasi volesse chiudersi in se stesso come un riccio, e si sta massacrando le unghie a forza di mordicchiarle.
Quando vede che lo sto fissando, sbianca ancora di più, facendomi preoccupare.

Sto già riportando alla memoria la giusta procedura di rianimazione in caso di svenimento, quando noto che, da pallide, le sue guance si stanno colorando di un rosso vivo. Gli rivolgo il miglior sorriso incoraggiante che le mie labbra riescono a formare, ma lui distoglie lo sguardo in fretta.

Torno a osservare le Candide, che continuano imperterrite a parlare.
Possibile che siano così rilassate? Non hanno nemmeno un briciolo dell’ansia che sembra divorare l’intero gruppo attorno a noi come una belva affamata?

Alzo gli occhi al cielo. Non vedo fili collegati alle loro bocche, quindi deduco che vadano a batteria o energia solare.

Perlustro il resto della fila con una rapida occhiata.
Alicia è quasi negli ultimi posti, poiché il suo cognome inizia per T.
Mi manda un bacio quando i nostri sguardi si incrociano.

Io ricambio con una strizzata d’occhio.

Sto ancora sorridendo, quando i miei occhi vengono catturati da una figura che si sta facendo largo in mezzo alla folla di spettatori che si è posizionata lungo il perimetro della stanza, lasciando a noi sedicenni lo spazio centrale.

Il mio sorriso si spegne di colpo, come se avessi premuto un interruttore.

Mio padre, col suo passo atletico, raggiunge Clark e gli dà una pacca sulla spalla.
Accanto a lui prende posto Alfred, il maggiore dei miei fratelli.
Li osservo ridere e scherzare sentendo una fitta al petto.

Nessuno di loro mi sta guardando, non fanno neanche finta di cercarmi.
Come se non esistessi.

Stringo i pugni e le unghie si conficcano nella carne morbida del palmo, facendomi sussultare.

Cosa ti aspettavi? Che venissero ad abbracciarti?

La voce nella mia testa è tornata a farsi sentire.
Me la immagino con le sembianze di un piccolo scarafaggio che zampetta avanti e indietro sulle mie spalle.
Ho il terrore degli scarafaggi, insetti inutili e disgustosi.

Sii realista, Zelda. A loro non importa un beneamato cavolo di te e della tua Scelta.
Loro sono qui solo perché è un evento pubblico e possono farsi notare. 


La blatta blatera a vanvera, ma per una volta mi trova d’accordo.

La mia ‘famiglia’ non è qui per me, né per la mia Scelta.
Mi hanno sempre data per scontata, come fossi un fermaporta ancorato al pavimento: impossibile da spostare, fastidioso, ma, tutto sommato, utile.

Sento gli occhi pungere e abbasso lo sguardo a terra.

Non piangerò.

Non qui.

Non ora.

Non a causa loro.

Torno a fissare il simbolo degli Intrepidi, come se fosse una specie di talismano capace di infondermi una nuova forza.

Quelle fiamme bruceranno dentro me, spazzando via tutta l’oscurità che regna nel mio animo e donandomi una nuova identità, un nuovo inizio.

Pregusto già lo sconcerto che causerò ai miei cari parenti e mi sento orgogliosa di me stessa.

Immersa nei miei pensieri, ascolto a malapena il discorso di rito di uno dei leader dei Candidi.

L’anno scorso, quando ero ancora tra gli spettatori per applaudire la Scelta di mio fratello Jarod – un altro Erudito, che sorpresa – spettava ai Pacifici il compito di presentare l’evento. Le fazioni si alternano ad ogni Cerimonia: probabilmente tra un anno toccherà agli Abneganti.

Il Capofazione Candido non è l’eccezione che conferma la regola, purtroppo.
Le mie speranze di un discorso breve ed indolore sfumano come una goccia d’inchiostro versata in una bottiglia d’acqua.

Perdo la cognizione del tempo e mi rifiuto di prestare attenzione a qualsiasi altra parola pronunciata dalla sua voce fiacca e strascicata.

Un Pacifico alla mia destra ha il capo reclinato in avanti.
Quando una delle ragazze Candide tossisce, lui scatta come se l’avessero punto e si stropiccia gli occhi, guardandosi attorno disorientato.

Allora non sono l’unica che sta per addormentarsi.

Lancio un’occhiata dietro le mie spalle.

Alicia risponde roteando gli occhi.
Con le mani, senza farsi notare dagli altri, mima una fionda e fa finta di beccare il Candido in mezzo alla fronte.
Io mi copro la bocca con le dita per non lasciarmi scappare una risatina, resa isterica dalla tensione.


 
* * *

 
Dopo un'altra mezz’ora, il leader ancora non accenna a smettere.

Va avanti imperterrito a parlare, ma è evidente che nessuno gli sta più prestando attenzione.
Perfino i membri della sua stessa fazione continuano a lanciare occhiate esasperate all’orologio e ad aggrottare le sopracciglia in un cipiglio di fastidio.

La salvezza di tutti è una donna Intrepida, alta e snella, vestita di nero e con i capelli corti, tinti di verde.
Sale i pochi gradini che la separano dal palco rialzato con un balzo e afferra il microfono da sotto il naso del Candido, spegnendolo di scatto.

L’uomo la guarda, ammutolito.
Fa per obiettare, ma poi nota le espressioni non proprio benevole dei presenti e getta la spugna.
L’intera sala scoppia in un lungo applauso, ma credo sia interamente indirizzato all’Intrepida più che all’oratore soporifero.

La microscopica parte di me che aveva ancora delle riserve sulla fazione più impulsiva della città si scioglie come neve al sole.
Mi basta guardare quella donna per vedere la nuova libertà che mi aspetta.

Grazie al suo intervento, la Cerimonia della Scelta ha finalmente inizio.

La prima che viene chiamata sul palco è una delle mie amiche Erudite, Cassidy Adams.
Alta e slanciata, con una folta chioma di capelli biondi e ricci, è sempre stata la ragazza più popolare della scuola.
Quello che la maggior parte delle persone non sa è che, sotto il suo aspetto da bambolina, Cassidy nasconde un quoziente intellettivo da primato.

Non mi stupirei se riuscisse a primeggiare all’università di medicina, anzi me lo auguro.
I miei fratelli hanno un bisogno disperato di umiliazioni che li aiutino ad abbassare quelle odiose creste da galletti che si ritrovano.   

Dopo di lei – che ovviamente sceglie di rimanere negli Eruditi – è il turno delle due ragazze Candide che mi precedono.
Entrambe decidono di restare nella loro fazione di nascita.

Approvo in pieno.
Nessun altro avrebbe potuto tollerare la loro parlantina insopportabile.
Se avessero scelto gli Intrepidi, mi sarei assicurata personalmente il loro silenzio.
Le avrei imbavagliate e gettate in qualche ripostiglio.

Sento che da due giorni a questa parte il lato più violento di me sta venendo a galla.
Sto risvegliando una parte del mio carattere di cui ignoravo totalmente l’esistenza.

Forse sto perdendo la passività e la condiscendenza tipiche della sindrome da topi-di-biblioteca-a-tempo-pieno.

Il mio consigliere, trattino scarafaggio immaginario trattino coscienza interiore, sembra apprezzare questo atteggiamento.
Se avesse i pollici, sono sicura che sarebbero entrambi all’insù.

- Zelda Blackburn – esclama il Sonnifero Ambulante, leggendo la lista che tiene a due millimetri dagli occhi con fare impacciato.
Dovrebbe comprarsi un paio di occhiali, se continua così diventerà cieco entro breve.

Muovo le gambe verso il palco, dove le coppe mi attendono.
Mi sembra di udire dei bisbigli tra la folla.
Alcuni sono sorpresi, altri trasudano sarcasmo.

- … la figlia di Blackburn! -.

- Sì, la minore -.

- L’ennesima dottoressa, scommetto -.

- Il padre dovrebbe esserne fiero. Una così bella ragazza, un intelletto così brillante -.

Cerco di non ascoltarli.

Focalizzo tutta la mia attenzione sul coltello che mi sta porgendo Mister Parola Facile.
Lo prendo e, con un gesto rapido, incido il palmo della mano sinistra.

La lama lascia una scia scarlatta sulla pelle e io faccio un passo avanti, posizionandomi esattamente davanti alla coppa degli Eruditi.

Gli spettatori non sembrano sorpresi.
La mia decisione era davvero così scontata?
Credevano davvero che sarei rimasta e diventata ‘l’ennesima dottoressa Blackburn’?

Peggio per loro. Non me ne frega un bel niente della mia famiglia agiata e influente.

Incrocio gli occhi di mio padre, che finalmente mi sta degnando della sua attenzione.
Mi sembra rilassato, a proprio agio, in tranquilla attesa.
Non mi concede nemmeno il beneficio del dubbio.
Pensa di aver collezionato un’altra perla da aggiungere alla sua collezione di vittorie personali.

Povero illuso.

Solo mio fratello Clark non sorride.
Mi sta osservando perplesso, un sopracciglio scuro alzato.
Forse si sta chiedendo perché ci metto tanto a stendere la mano sulla coppa degli Eruditi che mi sta proprio di fronte.
Ha sempre sostenuto che fossi un po’ strana e non si è mai trattenuto dall’esprimerlo.

Oh, fratellone, non ne hai idea.

Il sorriso che rivolgo nella loro direzione assomiglia più ad un ghigno quando alla fine allungo la mano.

Ma non davanti a me.

Alcune gocce del mio sangue sfrigolano quando precipitano sui cardoni ardenti.

E’ musica per le mie orecchie.

Io continuo a sorridere, anche quando vedo le espressioni dei membri della mia famiglia.

Stupefatti, allucinati, arrabbiati. Queste sono le rispettive emozioni che affiorano sui volti di Alfred, Clark e mio padre.

Mi darei una pacca sulla spalla da sola.
Sono proprio fiera di me stessa.
E libera, finalmente.

Il signor Sono-una-cosa-sola-con-il-microfono rimane impalato a fissarmi, così come il resto della sala.
Ho compiuto un miracolo, a quanto pare.
L’ho lasciato senza parole.

Tra le mani goffe stringe una benda bianca - che in teoria dovrebbe porgermi - ma non da segni di vita.
Sto per prenderla da sola, ma un’altra persona precede il mio gesto.
L’Intrepida dai capelli verdi quasi gliela strappa via a forza e mi fissa dritto negli occhi.
Riesco a scorgere divertimento, stupore e anche un pizzico di rispetto nelle sue iridi color grigio fumo quando allunga il braccio e mi passa il pezzo di stoffa.

- Hai del fegato, ragazzina – mormora, per farsi udire solo da me.
Con il capo indica il trio composto dai miei familiari.

Sa bene chi sono, ovviamente.
Mio padre ha operato parecchi Intrepidi.
Anzi, per la precisione, il 90% dei suoi pazienti è composto da Intrepidi. La cosa non mi ha mai sorpreso.
Io mi limito ad annuire. Non saprei cosa risponderle.

Afferro la pezza candida e la premo sul palmo. La ferita era sottile e si è già quasi rimarginata da sola.

Almeno, penso con una punta di ironia, non mi servirà aiuto per i punti di sutura.

Crescere in una famiglia composta esclusivamente da medici ha i suoi vantaggi inaspettati.
Sono perfettamente in grado di medicare, disinfettare e cucire ogni tipo di ferita.
Conosco le principali procedure di pronto soccorso e rianimazione.
Sono capace di rimettere a posto articolazioni, spalle, dita e caviglie slogate.

Sono sicura che queste abilità mi torneranno molto utili durante l’iniziazione.


 
* * *

 
Attendo la fine della Cerimonia in mezzo alla mia nuova fazione.
Quest’anno solo pochi altri giovani hanno optato per gli Intrepidi.

Alicia mi ha salutato con la mano quando mi è passata davanti per raggiungere le nostre amiche nel gruppo degli Eruditi.
Mi fissano tutte.
Sorpresa, perplessità, soggezione si alternano sui loro volti come luci intermittenti.

Si stanno di certo chiedendo se non sia del tutto impazzita.
Probabilmente stanno analizzando probabilità, diagrammi e percentuali, creando grafici mentali per riuscire a interpretare logicamente la mia Scelta.

A mio beneficio va detto che la mia decisione ha una sua logica.
Magari non del tutto chiara a sguardi esterni, ma ponderata.

Non sono ammattita, non sto dando i numeri, non ho scelto i Pacifici, per l’amor del cielo!

Eppure non sono solo le mie amiche a fissarmi.
Lo stanno facendo anche gli Intrepidi della mia età, quelli adulti e gli Eruditi che circondano mio padre e i miei fratelli.

Evito con cura di guardare nella loro direzione.
Da oggi in poi non avremo più contatti.
Mai più.

Dubito seriamente che vengano a trovarmi nella mia nuova casa. Io di certo non tornerò indietro.

- Ciao – fa una voce alla mia sinistra.

Mi giro e mi trovo faccia a faccia con un Intrepido rimasto Intrepido.
Ha i capelli lunghi e scuri, tra i quali spicca una ciocca azzurro cielo, che si intona perfettamente alla tonalità chiara dei suoi occhi. 
Una cicatrice sbiadita gli trapassa il labbro inferiore arrivando fino al mento ed entrambe le sue orecchie sono adorne di piercing.

L’insieme non stona, anzi è uno schianto, con quel fisico asciutto e slanciato che esibisce volutamente con abiti attillati.

Mi rivolge un sorriso cordiale, senza tracce di ironia. – Hai fatto bene a lasciare quella fazione noiosa – continua. – Noi siamo molto meglio -.

- E siamo contenti di averti con noi, bellezza – replica un altro Intrepido, della stessa età.

I suoi capelli biondi sono la prima cosa che noto, perché sono a dir poco abbaglianti.
Non me ne intendo, ma una sfumatura del genere non può essere naturale. - Mi stavo giusto disperando con Felix per l’assenza di presenza femminile, ma poi ti ho vista arrivare. Una ragazza splendida come te non poteva certo passare il resto della vita sui libri! Sarebbe stato uno spreco assurdo -.

Mi fa l’occhiolino con complicità e io non posso far altro che scoppiare a ridere.

L’Intrepido moro alza gli occhi al cielo. – Lascia perdere mio fratello, farnetica spesso e volentieri -.
Mi porge la mano che io stringo con piacere. – Io sono Felix, mentre lui è mio fratello Xavier -.

Il biondo non si limita a stringermi la mano, ma mi passa un braccio sulle spalle. – Siamo gemelli, ma sono sicuro che una ragazza intelligente come te non farà fatica a capire chi tra noi due sia il più divertente. Pronta a spassartela? -.

Io alzo un sopracciglio. – Spiacente, ma io preferisco i mori – ribatto, sorridendo a Felix.

È una bugia, ma loro non possono saperlo.

Felix ride a sua volta e mi da il cinque.

Xavier non batte ciglio, fa solo un lungo sospiro. – Adesso capisco perché non sei rimasta negli Eruditi. Il tuo cervello deve essere difettoso -.

Toglie il braccio dalle mie spalle e comincia a scompigliarmi i capelli in maniera affettuosa, come farebbe un fratello con la propria sorellina.

Come i miei fratelli non hanno mai fatto con me.

Questi due Intrepidi mi piacciono.
Sono simpatici e socievoli come un Erudito non potrebbe mai essere.

- Ehm, scusate … -.

Una ragazza vestita di rosso, una Pacifica, interrompe dolcemente il nostro dialogo scherzoso.
È di alcuni centimetri più bassa di me, con una lunga chioma castana legata in una coda di cavallo.
I suoi occhi sono grandi, verde foglia e contornati da lunghe ciglia scure. È molto carina.

E infatti Xavier rivolge subito tutta la sua attenzione su di lei. – Trasfazione?- le chiede, interessato.

Lei annuisce, ma guarda me, non lui.

- Lo sapevo che quest’anno le più belle sarebbero venute da noi! – esclama Xavier, dando un amichevole pugno al braccio di Felix. – Avete sentito? Noi abbiamo le ragazze più belle della città! – urla ad un gruppo di Candidi poco distante.

Loro lo guardano ad occhi spalancati.
Mi appunto mentalmente di essere più gentile con Xavier.
Dopotutto non sono molte le persone che riescono a zittirli.
Un alleato del genere mi farebbe comodo.

- La pianti?! Se ti piace così tanto aprire quella bocca larga che ti ritrovi, perché non hai scelto i Candidi? Avresti fatto un favore a tutti! – replica Felix, scuotendo la testa e facendo tintinnare i piercing alle orecchie.
Usa un tono severo, ma si vede che sta solo prendendo in giro il fratello.
Sono molto affiatati, è un piacere guardarli.

Io stringo la mano alla Pacifica. – Sono Zelda -.

Lei annuisce. – Leslie, piacere - dice, scostando una ciocca di capelli che le ricade sugli occhi. – So chi sei. Tuo padre ha curato mio cugino che si era rotto una gamba. Detto tra noi, è il più tonto della famiglia -.

Io rido, ma non sono del tutto divertita.

In questa dannata città, esiste qualcuno che non conosca la mia famiglia?
Spero di non dover sentire pronunciare il mio cognome in continuazione anche nella residenza degli Intrepidi.

Parliamo del più e del meno finché la Cerimonia non finisce.

A quel punto, senza nessun preavviso, la folla in nero inizia a correre verso l’uscita, trascinandoci con sé.
Leslie mi prende per mano per non perdermi di vista in mezzo alla calca e io sento che presto diventeremo amiche.
O almeno lo spero.

Xavier e Felix corrono accanto a noi, sprizzando vitalità da tutti i pori e gridando assieme agli altri Intrepidi.

La mia compostezza se ne va in frantumi e comincio a urlare anch’io.

Questo è il giorno più bello della mia vita.

 
 


 
 
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Ciaooo! Quando comincio a scrivere non riesco più a smettere, perciò ecco a voi il nuovo capitolo!! ;) è sempre narrato da Zelda, ma prometto che dai prossimi il suo punto di vista si alternerà a quello di Eric, tanto per non farci mancare nulla ;)
l’Eric che ho in mente è diverso, per aspetto, da quello descritto dalla Roth nel libro… assomiglia più all’attore nel film, per intenderci ;) 
spero vi sia piaciuto il capitolo.. se volete, commentate, mi fa sempre molto piacere ;)
La domanda questa volta è … *rullo di tamburi* … che soprannome dareste ad un Candido che non smette mai di parlare? xD
io mi sono divertita a inventare nomignoli per quel leader, spero che vi strappino un sorriso ;)
a presto, un bacio
Lizz

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Capitolo 5
*** Time has come ***




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Capitolo 4

 

Zelda


Non appena metto piede fuori dall’edificio, con i muscoli delle gambe doloranti dopo aver corso per decine di rampe di scale, il sole mi ferisce gli occhi.

Ogni suo raggio è una lancia infuocata che passa senza pietà attraverso le mie pupille, rese sensibili a causa del buio da cui siamo appena emersi.

Non ho nemmeno il tempo di fermarmi a prendere fiato: gli Intrepidi che mi circondano non smettono di correre, diretti alle rotaie.
Mi affretto a tenere il loro passo per non rimanere indietro.
Devo essere all’altezza di questa fazione, fosse l’ultima cosa che faccio.

Leslie corre al mio fianco, i capelli lunghi che ondeggiano ad ogni falcata.
Mi lancia un sorriso quando si accorge che la sto guardando. – Se questo è il ritmo che terremo d’ora in poi, di certo i chili di troppo non saranno in cima alla lista dei problemi – esclama ad alta voce per sovrastare il rumore di decine di piedi che toccano l’asfalto.

Faccio per risponderle, totalmente d’accordo, ma la nera folla si ferma di botto e sono troppo impegnata a frenare lo slancio - per non franare addosso a chi mi sta davanti - per parlare.

Quasi volo tra le braccia aperte di Felix, che si era già preparato al mio arrivo brusco. Mi afferra per le spalle, stabilizzandomi, e non mi trattiene più del necessario.
Xavier fa lo stesso con Leslie, ma il suo abbraccio è un po’ troppo appassionato. Lei lo ringrazia e se lo scrolla di dosso con gentilezza.
Io rido, mentre Felix alza gli occhi al cielo per l’ennesima volta.

Quando l’inizio della locomotiva spunta a pochi metri da noi, il gruppo in nero comincia a correre in fila indiana lungo le rotaie.
Io e gli altri tre li imitiamo, mentre il treno ci passa a fianco, fischiando piano.

Felix salta per primo, afferra una maniglia con una mano e sblocca il pulsante che mantiene le porte chiuse con l’altra.
Con un balzo felino, Xavier lo segue.
È evidente che sono abituati a farlo, come io sono abituata ad elencare elementi chimici a memoria.

Io non so cosa devo fare, come saltare…

Il trucco è non pensare. Agisci e basta, Zelda.

Mi butto di lato e cerco di aggrapparmi a qualcosa per tirarmi su.
Le dita si chiudono attorno ad una maniglia di metallo poco distante da quella usata dai fratelli e la uso per darmi la spinta necessaria per gettarmi dentro la porta aperta.

Non devo cadere, non devo cadere, non devo cadere.

Quando sbatto contro qualcosa di duro capisco di avercela fatta e riesco ad aprire le palpebre.

Non mi ero resa conto di averle chiuse.

Felix mi stringe la vita con un braccio e sento il suo petto tremare mentre scoppia a ridere. – Non so proprio come tu abbia fatto a salire ad occhi chiusi. Me lo dovrai insegnare -.

- Una vera Intrepida, non c’è che dire! – esclama un’altra ragazza, dall’altro capo del vagone. Anche lei indossa abiti neri e ha i capelli tinti di una strana sfumatura di arancione.

Mi sorride con calore, trasudando approvazione. È più alta di me, decisamente attraente con quegli occhi azzurri truccati di nero per metterli in risalto. Il suo volto, dai lineamenti delicati, non si addice particolarmente ad un’Intrepida. Credo sia uno dei motivi che l’hanno portata a rovinare la propria pelle perfetta, facendosi tatuare una spirale di filo spinato che va da una tempia all’altra.

- E’ stato spettacolare, bellezza -, rincara la dose Xavier.
Di lui vedo solo la schiena, perché si sta sporgendo all’esterno per aiutare Leslie a salire.
La tira su senza sforzo, come se pesasse solamente cinque chili.

Lei lo ringrazia, senza fiato, e poi si accascia sul pavimento sporco del vagone.

Mi domando cosa abbia spinto una ragazza dolce e tranquilla come Leslie ad abbandonare i Pacifici. Per finire negli Intrepidi oltretutto!

Sarà in grado di maneggiare un’arma? Riuscirà a mettere da parte bontà e gentilezza per lasciar spazio a determinazione e sprezzo del pericolo?

Scuoto la testa. Potrei rivolgere le stesse domande a me stessa.

Xavier rimane di fianco alla porta. Il suo sorriso a trentadue denti mi abbaglia tanto quanto i suoi capelli. – Mai visto niente di simile. Ed era la tua prima volta! Ti terrò d’occhio, potresti essere un’avversaria temibile -.

Alzo gli occhi al cielo nell’abituale reazione esasperata che solo Xavier riesce a suscitare.
Tutti questi complimenti rischiano di confondermi.
Mi metto vicino a Leslie, che si sta massaggiando l’avambraccio.
- Tutto bene? – chiedo.
Lei fa una leggera smorfia. – Niente di rotto, mi sarò solo procurata un livido -.
- Il primo di una lunga serie – dice un ragazzo seduto qualche metro più in là.

È un Erudito, la sua faccia non mi è nuova, ma non riesco ad associarla ad un nome.
Il suo sorrisetto sarcastico mi ricorda molto quello di mio fratello Clark, perciò mi concentro su Leslie per non cedere all’impulso di toglierglielo dalla faccia con uno schiaffo.

Le afferro il polso con due dita, cercando di essere delicata per non procurarle altro dolore.
– Lasciami dare un’occhiata – mormoro, sfiorando la pelle gonfia e rossa dell’avambraccio.
Per fortuna la sua autodiagnosi si rivela azzeccata, è solo una brutta contusione. – Niente di grave, tra pochi giorni tornerai come nuova -.

- Sempre se sopravvivi – aggiunge l’Erudito con la stessa dose di ironia mista a cattiveria che ha usato un attimo fa.

Sento le dita prudere.

Immagino me stessa prenderlo per i capelli e sbatterlo con furia sulla parete di acciaio.
Mi impongo di restare lucida, non voglio creare casini ancora prima di arrivare a destinazione.

Ma lui ha decisamente passato il limite e non lascerò correre questa volta.

Mi volto di scatto e lo fulmino con lo sguardo. – Te l’ha mai detto nessuno che un imbecille non dovrebbe mai mettere in mostra la propria imbecillità? -.
Faccio un passo in avanti e mi chino per guardarlo dritto negli occhi.
Quando parlo, lo faccio a pochi centimetri dal suo viso. - Fai un favore a te stesso e a noi qui presenti: chiudi il becco! -.

Il mio tono è salito di parecchie ottave senza che me ne rendessi conto: rimbomba sulle pareti rigide del vagone, riuscendo quasi a sovrastare il fischio incessante del treno.

Questo ragazzo mi ricorda troppo Clark e proprio non sono riuscita a trattenermi.

Lui ha gli occhi sbarrati e sembra farsi più piccolo ad ogni parola che mi esce di bocca. – Ehi, calma. Stavo solo scherzando! – si giustifica, balbettando.

Non credevo di riuscire ad incutere tanto terrore.

Nel petto sento l’orgoglio gonfiarsi come un palloncino e il mio insetto guida esprime tutto il suo consenso scuotendo le antenne.

Dietro di me Felix lancia un fischio di apprezzamento e Xavier batte le mani sulla parete come se mi stesse incitando a cominciare una rissa.

Faccio un respiro profondo per calmarmi: decido di non picchiare nessuno, almeno per il momento.
Allungo la mano verso il ragazzo Erudito. – Sono Zelda. Perdonami, non avevo intenzione di assalirti -.

Lui fissa le mie dita come se da un momento all’altro potessero morderlo.
Alla fine mi da una stretta incerta. – Oliver. Nemmeno io volevo essere scortese -.

- Siamo tutti un po’ tesi – aggiunge Leslie, con la dolcezza tipica dei Pacifici che riesce a placare anche gli spiriti più ribelli.

Dovrà farne a meno nel luogo dove stiamo andando, altrimenti la classificheranno come una debole e non posso permettere che accada.
Sento di essermi già affezionata a lei e non voglio perderla.

I due fratelli Intrepidi hanno dipinta sul volto un’espressione delusa.
Probabilmente speravano di assistere ad uno scontro coi fiocchi: pugni, sangue e tutto il resto.
Sarà per un’altra volta, di certo non mancheranno i combattimenti durante l’iniziazione.

Il vento che entra dalla porta aperta mi scompiglia i capelli, facendo fluttuare attorno al mio viso disordinate onde color ebano.

Osservo il panorama familiare del quartiere degli Eruditi sfrecciare via.
Gli edifici che oltrepassiamo ora sono più bassi: alcuni hanno i vetri delle finestre frantumati, altri sembrano essere stati invasi dai rampicanti, che ricoprono ogni centimetro libero delle facciate in cemento.

Il treno prende una curva a media velocità, obbligandomi a spalmarmi sulla parete del vagone per non venire sbalzata fuori.
Il sole luccica sulla superficie in vetro di un palazzo poco distante ed io socchiudo le palpebre per riuscire a scorgere in anticipo il luogo verso cui siamo diretti.

Anche io dovrò cercare di limitare i comportamenti e le caratteristiche associate agli Eruditi, tra le quali spicca di certo la curiosità.

Come recita il motto, la Fazione viene prima del sangue.

* * *
 

Eric


Socchiudo gli occhi a causa del riverbero del sole e impreco sottovoce per la centesima volta.

Sono seduto sul cornicione che da sul baratro in attesa di quel maledetto treno che condurrà qui il manipolo di iniziati di quest’anno.

Che gioia.

Al diavolo Max e le sue richieste insensate!
Perché l’ha chiesto a me?
Non poteva mandare quassù quell’imbecille, buono a nulla di Quattro?

Oh no, il belloccio starà di sotto, pronto a prendere al volo chi avrà il coraggio di lanciarsi, neanche fosse l’eroe della situazione.  

Sbatto con forza un pugno sul cemento del cornicione.

Mi sento uno zotico a stare fermo su questo tetto, sotto questo sole fastidioso, solo per accogliere quegli stupidi sedicenni che di certo si ammazzeranno l’un l’altro per scendere dai vagoni.
Di sicuro una buona percentuale di loro non riuscirà nemmeno ad arrivare indenne fin qui, figuriamoci buttarsi nel baratro.

Ed io cosa dovrei fare? Aiutarli? Incoraggiarli?
Dargli una pacca amichevole sulla spalla?!

Dannazione, non sono mica la loro fottuta balia!

Sbuffo sonoramente e gli Intrepidi intorno a me – dei leccapiedi pronti ad obbedire ciecamente ad ogni mio minimo cenno – mi guardano di sottecchi, stando ben attenti a non incrociare il mio sguardo furioso. Scommetto che si aspettano di vedermi perdere il controllo e scagliare qualcosa contro di loro da un momento all’altro.

Purtroppo per me - ma meglio per loro – non ho nessun’arma a portata di mano.

Meglio non avere oggetti contundenti vicino, quando si aspetta un gruppo di ragazzini esuberanti.
Potrei cedere alla tentazione - cioè usarli come bersagli mobili - ma sospetto che Max non ne sarebbe affatto entusiasta.

Peccato.

Vorrà dire che mi divertirò con loro durante l’iniziazione vera e propria.
Lì non avranno scampo, dovranno per forza tirare fuori le unghie, i denti e tutto il loro arsenale personale per cercare di sopravvivere.  

Quando scorgo i primi vagoni del treno, diretti a tutta velocità verso di noi, le mie labbra si curvano in un ghigno e mi alzo in piedi senza fretta.

Nessuno degli altri Intrepidi osa muoversi verso le rotaie, sanno perfettamente che gli iniziati devono cavarsela da soli, a cominciare da ora.

Hanno scelto noi, liberamente, sapendo a cosa andavano incontro.

Adesso tocca agli Intrepidi scegliere chi di loro potrà restare nella fazione.

Incrocio le braccia e divarico le gambe.

Sarò la prima cosa che vedranno non appena atterreranno su questo tetto, perciò mi assicuro di assumere l’atteggiamento più minaccioso del mio repertorio.

La mia faccia non si dimentica in fretta, è un dato di fatto. 

Io sarò il loro peggiore incubo in queste settimane e faranno bene a tenerlo a mente.

I primi a scendere dai vagoni in corsa sono – ovviamente – Intrepidi di nascita.
Riescono tutti a non inciampare, o rovinare a terra, ma non mi sarei aspettano niente di meno.

Li accolgo con un cenno del capo quando si avvicinano al cornicione, poi li lascio alle loro chiacchiere per osservare l’arrivo dei trasfazione.

Non voglio perdermi neanche un istante della loro patetica entrata in scena.

 
* * *

Zelda


Leslie stringe convulsamente il mio braccio.
Se non molla subito la presa, finirò per perdere la sensibilità delle dita.

Felix e Xavier si sono appena lanciati fuori dal treno e ci stanno urlando di scendere prima che acquisti maggiore velocità.

- Ho paura, Zelda -.

La voce di Leslie trema un po’.
Ha gli occhi sbarrati come quelli di un animale finito in trappola. – Non posso farlo. Mi ucciderò -.

L’Erudito – Oliver – è accanto a noi. La pelle del suo volto ha assunto una sfumatura verdastra che non gli invidio.
Prima che possa dargli una spinta e scaraventarlo fuori, lui prende la rincorsa e vola al di là delle rotaie.
Cade a terra, ma si rialza quasi subito, per cui non deve essersi rotto nulla.

Resto leggermente delusa.
Ammetto di avergli augurato almeno una spalla lussata; la mia dose di fortuna giornaliera deve essere agli sgoccioli.

Il terrore di Leslie è palpabile, come se fosse avvolta da una soffocante membrana impermeabile che niente, nemmeno il fuoco, riesce a scalfire.

Stacco la sua mano dal mio braccio con un gesto secco. – Vuoi diventare un’Esclusa? – grido per farmi udire sopra al rombo del treno.

Se non ci sbrighiamo, rischiamo di precipitare al di là del tetto, e tanti saluti.

Il mio sguardo si fa rovente.
Non ho nessuna intenzione di finire spiaccicata sull’asfalto venti metri più giù, ma non posso neanche abbandonare la mia compagna di viaggio.

Lei si morde un labbro, poi scuote la testa. Nei suoi occhi verdi vedo accendersi la scintilla di determinazione che stavo aspettando.
Fa un passo indietro e si butta, urlando.

Bene, Zelda, è il tuo turno.

Mi rendo conto di essere l’unica rimasta a bordo.
Manca sempre meno alla fine del tetto, il mio tempo è quasi scaduto.

Chiudo gli occhi per un attimo, trattenendo il fiato.

Quando stacco i piedi dal bordo della porta mi sembra quasi di volare.

 
* * *

Eric


Scruto con attenzione ciascun trasfazione, non appena si avvicinano al cornicione.

Due Candidi e un Erudito sono stati i primi ad atterrare.
Tutti e tre hanno le ginocchia sbucciate e dei brutti graffi sul viso.

Alzo un sopracciglio. Tipico.

L’anno scorso io ero sceso con molto più stile, non mi ero nemmeno sporcato i vestiti.

Analizzo le varie corporature: sono tutti maschi, ben piazzati.
Stando alle probabilità, almeno uno di loro sarebbe dovuto cadere in piedi.

Le speranze che avevo alimentato, seppur minime, di avere una recluta all’altezza, vanno in fumo all’istante.

Avevo sopravvalutato le capacità di questi mocciosi.

Dietro di loro, sbuca una ragazzina, l’unica presenza femminile di quest’anno, a quanto pare.

È malconcia, imbrattata di polvere grigia dalla testa ai piedi, ma riesco comunque a intravedere la sfumatura rosso acceso dei suoi vestiti…una Pacifica?!

Non è possibile…

Ma fa sul serio?

Invece di raggiungere il gruppo, rimane seduta a terra, tenendosi una caviglia.
Dalla smorfia che appare sulle sue labbra credo proprio che sia conciata male.

Peggio per lei, nessuno l’aiuterà.

Sto per aprire bocca, per invitare le reclute a dare inizio al loro cammino negli Intrepidi, quando un movimento al limite estremo del mio campo visivo mi obbliga a voltare il capo.  

Ormai davo per scontato che le disgrazie fossero finite, invece una figura esile si lancia dall’ultimo vagone del treno e fende l’aria come un proiettile.

A causa della luce del sole che mi arriva dritta in faccia, in un primo momento metto a fuoco soltanto una macchia indistinta, blu e nera.

Nella frazione di secondo che segue, sono costretto a spingere l’autocontrollo al massimo della potenza per non mostrare nessuna emozione, per mantenere la mia posa autorevole e l’espressione gelida.

Perché sono talmente esterrefatto da non riuscire a credere ai miei stessi occhi.  







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Ciaooo a tutti! come promesso, il capitolo è narrato da entrambi i personaggi ;)
Cosa ne pensate? Riuscite ad avvertire la suspense? Perché nel prossimo cap ci sarà il primo incontro tra i due e non vedo l’ora di farvelo leggere ;) Cosa penserà lei di quel leader freddo e dai tratti crudeli? Ed Eric come reagirà alla vista della bella Zelda?
Continuate a seguire e lo scoprirete presto ;) Se avete commenti, critiche o consigli, scrivetemi pure! Come ho già detto, mi fa molto piacere conoscere i vostri pareri ;)
Domanda: a voi chi piace di più tra Xavier e Felix? xD
Un bacio da Lizz


p.s. il titolo del capitolo è un omaggio alla canzone 'Time has come' dei Sunrise Avenue ;)

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Capitolo 6
*** First look ***




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Capitolo 5



 

Eric


È una ragazza l’ultima a scendere da quel treno decrepito, che continua la propria corsa imperterrito, indifferente a chi gli sta intorno.

Siamo seri, non è per la ragazza in sé che sono così sbalordito.

Da quella distanza non vedo altro che i suoi abiti blu da Erudita e la massa di capelli ondulati color onice che fa da cornice al suo viso pallido.

No, la cosa che mi ha completamente spiazzato è stato il modo in cui è scesa dal vagone.

La mia mente riavvolge la scena e mi ritrovo a guardarla nuovamente, come al rallentatore, istante dopo istante.

Il salto di quell’esile figura non è certo stato uno dei migliori.
Anzi, lo slancio era un po’ debole, per un soffio non ha mancato il tetto.
Se si fosse mossa con qualche secondo di ritardo sarebbe inevitabilmente precipitata al suolo come un uccellino ferito.

Però l’atterraggio…wow.

Wow?! Ma dico, stai scherzando Eric?
Che razza di parola è? Pensi come un ridicolo adolescente adesso?!
E poi ti vanti di essere uno dei leader!


Il mio cervello si sta ribellando contro di me, cosa inaudita.
Non è mai successo, non sono mai rimasto senza parole, totalmente spiazzato, come in questo momento.

Piantala di fare il fesso, Eric, e ritorna in te!

Cerco di mettere in pratica gli ordini che mi sto autoinfliggendo, ma è più facile dirsi che a farsi.
Sto ancora guardando verso la ragazza, che nel frattempo si è avvicinata alla Pacifica seduta a terra.

Tra tutti i nuovi iniziati, solo l’Erudita dai capelli neri è stata capace di cadere in piedi.

Beh, forse non proprio in piedi, ma almeno non è inciampata o caduta come quei sacchi di patate dei suoi compagni.

Credo di essere stato l’unico ad accorgersene, perché tutti gli altri erano voltati verso il baratro che si staglia alle mie spalle, troppo impegnati a tremare di paura per lanciare un’ultima occhiata al treno.

Dopo quel salto incerto, la ragazza è riuscita ad allungarsi in avanti, ha proteso le braccia e ha eseguito una perfetta capriola aerea, atterrando sulle piante dei piedi come un’atleta professionista.

È stata la cosa più aggraziata che io abbia mai visto.

Un’acrobazia del genere è questione di pochi secondi, ma richiede abilità e prontezza di riflessi.
Io mi sono allenato duramente per riuscire ad eseguire un doppio salto mortale, perciò riesco a calcolare la dose di forza che quella ragazza nasconde sotto quell’aspetto da perfettina.

Forse questa iniziazione non sarà del tutto deludente.

Devo ricordarmi di tenerla d’occhio.

Quando capisco che la mia mente è tornata di nuovo a funzionare dopo quel rimbambimento momentaneo – dovuto sicuramente all’effetto malsano che il sole ha su di me -, mi schiarisco la voce per richiamare l’attenzione dei presenti.

In realtà, sono costretto ad ammettere a me stesso che l’unica persona che sono interessato a attirare è quella misteriosa ragazza…

…che mi sta completamente ignorando, neanche fossi un insetto insignificante schiacciato contro un vetro.
È troppo impegnata a soccorrere quella debole Pacifica che non è stata neanche capace di saltare da un treno senza ferirsi.


 
* * *

Zelda


- Smettila di stringerti la gamba e fammi vedere – ripeto per la decima volta a Leslie, cercando di togliere di mezzo le sue dita che sono avvolte attorno alla caviglia come se avessero paura di vederla sparire da un minuto all’altro.

Sono ancora agitata per il salto, sento l’adrenalina pompare nel sangue ad ogni respiro.
I muscoli delle gambe non smettono di tremare: mi inginocchio sul duro cemento per non dare a vedere quanto quell’atterraggio mi abbia scossa nel profondo.

Come accidenti ho fatto?

Questa volta non ho chiuso le palpebre.

Ho vissuto ogni singolo, terrificante, elettrizzante istante ad occhi ben aperti.

Mentre galleggiavo nell’aria, sfidando la forza di gravità e i miei limiti fisici, il mio intelletto da Erudita ha calcolato che bastava che mi fossi lanciata con un mezzo secondo di ritardo per finire giù dal cornicione del palazzo.

Non basta aver corso per un’infinità di rampe di scale, essere salita e scena da un treno in corsa e sopravvissuta a due salti praticamente mortali: ora ci si mette anche la mia mente con le sue previsioni non richieste.

È in uno di questi momenti che vorrei essere nata nella fazione dei Pacifici.
Almeno loro vivono senza ansie, non hanno il cervello programmato per analizzare ogni tua singola azione involontaria e formulare il verdetto senza un minimo di tatto.

Neanche fossimo due entità scisse. Non dovremmo collaborare, invece di ostacolarci a vicenda?

Sospiro e mi passo una mano tra i capelli.
Non è solo a causa della mia mente iperattiva che sto formulando pensieri a dir poco isterici.

Quella acrobazia.

Non sapevo di essere ancora in grado di fare una cosa del genere.
È passato tanto di quel tempo che credevo che certi impulsi fossero spariti del tutto dalla mia memoria senza lasciare tracce.
È interessante sapere di essermi sbagliata.
Specialmente perché ora so di potermi fidare ciecamente del mio corpo. La mente può anche andare in tilt, ma lui saprà sempre cosa fare.

Quando ho capito di essere al sicuro sul tetto, con entrambe le mani e le piante dei piedi premute contro il ruvido cemento, mi sono sentita una vera Intrepida.

Adesso capisco cosa vogliono dire quando parlano di istinto e coraggio.
Non sono virtù che si possono imparare con la pratica o recitando un libro di teoria a memoria.
Ci si nasce e basta.
Ed io ho finalmente compreso di essere nata per entrare a far parte di questa fazione.

Però adesso preferisco concentrarmi su Leslie piuttosto che rivivere quella scena un’altra volta.
Sarà anche stato incredibile e mozzafiato, ma sono ancora psicologicamente sconvolta e ho bisogno di levarmelo velocemente dalla testa.

La mia compagna trasfazione mugola quando la mia mano tocca l’articolazione. La pelle è tesa e, mentre continuo a premere delicatamente per capire quanto è grave, vedo gli occhi di Leslie diventare lucidi, segno che non è una semplice botta.

- Temo sia slogata – mormoro, corrugando le sopracciglia. – Posso metterla a posto, se mi dai il tuo permesso -.

- Ehi voi due! – ringhia una voce aspra e impaziente a due passi da me.

E' puro veleno.

Non ha nessuna pietà.


 
* * *
 

Eric


– Volete che vi porti dei biscotti? Un the, magari? – sbraito.

Gli Intrepidi che mi circondano si irrigidiscono immediatamente.
Sanno benissimo che quando uso questo tono la situazione promette male.
Mi hanno già visto alle prese con la rabbia e posso affermare con sicurezza che non sono uno spettacolo che qualcuno ci terrebbe a rivedere.

Se quelle due pensano che lasci perdere solo perché sono delle femmine, hanno fatto male i loro conti.

Sono un Capofazione ed esigo rispetto, dannazione.

- Alzatevi immediatamente, o vengo lì e giuro che vi butto di sotto senza pensarci due volte! -.

La Pacifica sussulta e tiene gli occhi bassi mentre mi avvicino minacciosamente, alla stregua di una frana che si stacca da una parete rocciosa e precipita a valle senza controllo.

Per sua fortuna, non è lei il mio obiettivo, perciò le presto poca attenzione.

Quella che voglio veder tremare di paura è la ragazza in blu.

L’Erudita è immobile come una statua, ha le spalle irrigidite dalla tensione e non ha il coraggio di alzare lo sguardo.
La mia aura glaciale, intrisa di crudeltà, deve essere giunta fino a lei.

Almeno in questo non fa eccezione.

La sua voce pacata, che mi arriva distintamente all’orecchio sebbene sia appena un sussurro, mi fa ricredere.
- Devo curarla – dice. - Con questa caviglia slogata non riuscirà a camminare -.
Il suo tono è fermo, chiaro, per nulla intimorito.

Forse l’ho sottovalutata.

Questa ragazza è un’eccezione con la E maiuscola.

Non ha neanche la decenza di mostrarsi impaurita di fronte a me?
Da quando in qua un iniziato ha il coraggio di rispondermi?

Nemmeno Quattro si permetterebbe di discutere un mio ordine, figuriamoci delle pappamolle di sedicenni.

Eppure lei l’ha fatto.

E, tanto per finire in bellezza, mi lascia nuovamente di stucco, perché alza il capo di scatto e mi fissa dritto negli occhi.

Mi guarda e nelle sue iridi scure non vedo alcuna traccia di paura, solo una forte determinazione che sembra accendere la loro calda sfumatura nocciola di mille riflessi color del fuoco.

Vedo il suo volto per la prima volta e tutto quello che provo è un senso di smarrimento, mescolato a confusione, come se all’improvviso il cemento sotto ai miei piedi fosse svanito e stessi precipitando nel vuoto.

L’ho già vista? Ci siamo già incontrati?

Sarebbe logico, visto che veniamo entrambi dalla stessa fazione.

Tuttavia i suoi lineamenti non mi sembrano familiari.

Se avessi già visto degli occhi come quelli – leggermente a mandorla, contornati da lunghe e folte ciglia scure – me ne ricorderei, altroché.

Occhi che mi stanno sfidando come nessuno fa più da molto tempo. 

Maledizione, Eric! Che ti prende?
Hai già visto belle ragazze in vita tua, no?! Perciò smettila di catalogare la lunghezza delle sue ciglia come un cretino qualsiasi!
Muovi il culo e fai il tuo dovere!


Queste urla mentali, dettate da un buonsenso che credevo perduto per sempre, mi danno la scossa necessaria per tornare a fulminare la ragazza con un’occhiata più dura del cemento che ci circonda.

– Pensi che mi importi? – sibilo, socchiudendo le palpebre.
La mia voce è cattiveria pura, conosco bene l’effetto che riesce a produrre: corrode gli animi con la stessa facilità con cui un acido distrugge i metalli.

Sposto il mio sguardo sprezzante dall’Erudita alla Pacifica. - Gli incapaci che non riescono nemmeno ad entrare nella residenza non meritano la mia considerazione, né quella degli altri Intrepidi. A voi la scelta -.


 
* * *

Zelda


Un tipo che è meglio evitare.

Se l’avessi incontrato al quartiere degli Eruditi, avrei pensato questo di lui.

Ora invece, mentre lo fisso senza parlare, penso che sia anche una persona da non contrariare, per nessun motivo.
Mi ricorda un serpente, subdolo e velenoso, pronto ad aspettare un mio passo falso per avvolgermi con le sue spire fino a stritolarmi.

Eppure il ragazzo che mi sta di fronte non può essere molto più grande di me. Uno o due anni al massimo.

È alto e muscoloso, vestito di nero dalla testa ai piedi.
I suoi capelli sono talmente corti da non permettermi di capire il loro vero colore: potrebbero essere sia castani che biondi, ma comunque una sfumatura chiara, a giudicare dalle sopracciglia.

Ha due piercing piantati nel labbro inferiore, uno sul sopracciglio sinistro e svariati anelli lungo le orecchie.
Dalla maglietta nera e attillata che indossa spuntano due tatuaggi paralleli che risalgono fino al collo.
Sulle braccia ne ha molti altri: cerco di visualizzarli tutti, ma perdo il conto dopo i primi dieci.

Tuttavia continuo ad osservare il suo corpo perché non voglio guardarlo troppo a lungo negli occhi.

Ho commesso un errore quando ho alzato il volto verso il suo, perché per qualche momento sono rimasta imprigionata in quelle iridi d’acciaio come se fossi caduta in una rete di fil di ferro.

Hanno lo stesso colore del cielo durante un temporale, grigio fumo, con alcune pagliuzze d’argento all’interno.
Magnetiche come i lampi che sfrecciano tra le nuvole e, probabilmente, altrettanto mortali.

Mi rendo vagamente conto che ci stiamo fissando, immobili, a pochi centimetri di distanza, da parecchi secondi.

Le persone attorno a noi sono diventate solo delle ombre indefinite, perché nel mio campo visivo non vedo altro che il suo sguardo di ghiaccio.
In questi pochi istanti non ho quasi battuto le palpebre, ma, sotto la sua nuova occhiata che sembra voler mandare a fuoco le mie retine, mi affretto ad abbassare il capo.

Lui vuole farmi paura - l’ho capito subito - e, contro ogni previsione da parte mia, ci sta riuscendo perfettamente.
Però è un timore strano, dettato da un groviglio di sensazioni che non hanno niente a che fare col terrore che quel ragazzo fa di tutto per incutere...

Andiamo, Zelda! Sarà anche carino, ma in questo momento faresti meglio a restare lucida! Non puoi permetterti distrazioni!

Lo schiaffo mentale inviatomi dal mio insetto guida è tale da riportarmi bruscamente alla realtà.
Lascio perdere le emozioni che Mister Sguardo-di-pietra è riuscito a suscitare nella mia mente già parecchio scossa e porgo una mano a Leslie.

- Tu sei forte, l’ho visto – sussurro a mezza voce, con un sorriso appena accennato. - Dimostra a tutti che non sei debole come credono, ma che dentro di te c’è una vera combattente -.

Lei è senza fiato, posso solo immaginare il conflitto interiore che la sta attanagliando, come se il dolore fisico di per sé non fosse già difficile da sopportare.

Dopo una frazione di secondo che mi appare lunga quanto un intero secolo, vedo i suoi occhi verdi accendersi all’improvviso, come se glieli stessi illuminando da dentro con una torcia.

È questo che intendevo quando parlavo della sua forza nascosta.
Leslie sarà anche una Pacifica, ma ha del potenziale insospettabile, forse addirittura all’altezza di quello di un vero Intrepido.

Afferra la mano che le sto porgendo come se fosse la sua sola speranza di salvezza e si tira su, seppur a fatica.

Ci giriamo entrambe per fronteggiare l’Intrepido dagli occhi grigi, che nel frattempo è rimasto ad osservare le nostre mosse con un cipiglio tra l’ironico e l’esasperato.

Sarà anche carino, ma quando ricomincia a parlare mi fa venire voglia di staccargli a forza i piercing con un bel paio di tenaglie.

– Sono felice che vi siate finalmente degnate di prestarmi attenzione, vi ringrazio – esclama, con un tono talmente tagliente, e allo stesso tempo sarcastico, da riuscire a scuotere le mie terminazioni nervose tutte in una volta.

Ho le braccia percorse da spasmi, segno che manca poco al termine del mio livello di sopportazione.

Il tizio in nero ci lancia un’altra lunga occhiata e poi inclina il capo. – Stavo giusto per dare inizio alla vostra iniziazione, perciò fatevi avanti! – aggiunge, e avverto una sfumatura beffarda nella sua voce, come se stesse ridendo alle nostre spalle di una battuta che non possiamo capire.

Gli altri Intrepidi si scansano per farlo passare e lui si avvicina al cornicione opposto a quello dove siamo atterrati noi iniziati.
Ci salta sopra con un rapido balzo e comincia a camminare su e giù come se niente fosse. Di certo non ha paura dell’altezza.

Con un dito ci fa cenno di raggiungerlo. – Andiamo, ragazze, non ho tutto il giorno a disposizione. Sbrigatevi a saltare e facciamola finita -.

Io e Leslie avanziamo a piccoli passi perché lei si sta tenendo a me come farebbe con una stampella.
Quando arriviamo al cornicione appoggiamo entrambe le mani sul cemento e guardiamo giù.

Sotto di noi si estende un’ampia voragine dall’aspetto poco rassicurante.
Non riesco a capire quanto sia profonda, perché tutto ciò che i miei occhi decifrano è densa oscurità.
Una corrente d’aria soffia verso l’alto, segno che quel grosso buco non è un vicolo cieco.
Deduco sia quella l’entrata per la residenza della mia nuova fazione.

Come mai la cosa non mi sorprende?

Solo gli Intrepidi potrebbero voler correre il rischio di ammazzarsi anche solo per entrare in casa propria.

Il ragazzo tatuato alla mia sinistra, che rimane in equilibrio perfetto a un millimetro dal baratro, fa una smorfia con le labbra che identifico come un sorriso.
– Gli iniziati hanno il privilegio di saltare per primi – esclama, e vedo gli altri Intrepidi sogghignare.
Xavier e Felix si coprono la bocca con una mano per trattenere le risate.

Torno a fissare il vuoto che si estende ai piedi dell’edificio, come una bocca spalancata, pronta a inghiottirmi tutta intera.

Sono certa che non può trattarsi di una prova mortale.

Sei sicura o stai solo cercando di autoconvincerti?

Sono più propensa per la seconda ipotesi suggeritami dal mio fidato amico consigliere.

Ma in fin dei conti quali opzioni rimangono?
Abbandonare tutto, rifiutandomi di saltare, per diventare un’Esclusa?

Le mie dita stringono convulsamente il cemento del cornicione fino a far sbiancare le nocche.

Preferisco buttarmi nel vuoto, magari finire dritta in una vasca piena di squali – cosa che non mi stupirebbe visti i gusti contorti di questa fazione – piuttosto che vivere il resto della mia vita come una nullità, una fallita.

Gli altri trasfazione che sono scesi prima di me dal treno – Oliver e i due Candidi di cui non conosco i nomi – si sporgono verso il basso seguendo il nostro esempio, ma poi spalancano gli occhi e fanno qualche rapido passo indietro.

L’Intrepido dagli occhi grigi scoppia in una fredda risata gutturale che però si spegne quasi subito.
– Cosa state aspettando? Che vi accompagni per mano? Muovetevi! – tuona, facendomi sussultare.

Osservo Leslie.
È bianca come un lenzuolo, ma le sue iridi continuano a brillare, spiccando sul volto magro come due pietre preziose.
Quando incrocia il mio sguardo, tra noi scorre un messaggio silenzioso.

Facciamogli vedere di cosa siamo capaci noi donne.

Senza degnare di una sola occhiata l’Intrepido, mi arrampico sul cornicione.
Una folata di vento minaccia di farmi perdere l’equilibrio, ma tengo le piante dei piedi ben salde.

Sento quello sguardo di ghiaccio perforarmi la nuca, ma la mia attenzione è interamente rivolta al vuoto davanti a me.

Prendo un respiro, getto indietro i capelli e sbottono la camicetta blu fino in fondo.
È troppo stretta, meglio avere libertà di movimento. Chissà cosa mi aspetta.

Faccio l’occhiolino a Leslie e alla fine mi azzardo a lanciare un’occhiata al ragazzo.
Ha le braccia incrociate, ma ha perso quel sorrisetto condiscendente con il quale ci fissava poco fa.

- Prima le signore – mormoro quasi tra me e me.

Ho la soddisfazione di vedere i suoi occhi grigi spalancarsi, anche se di poco.

Non so cosa mi spinga a farlo – forse l’adrenalina, o l’eccitazione del momento – ma gli rivolgo con un sorriso luminoso, appena prima di gettarmi nel baratro a braccia spalancate.






 
 
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Eccomi di nuovo con un altro capitolooo ;) da quando ho cominciato a tradurre in parole il film mentale che mi ero fatta su Eric, sono diventata una specie di macchina da guerra e non mi fermo più ;) mi piace un sacco scrivere, specialmente dal punto di visto del nostro Capofazione (della serie, Modalità Perfidia ON) ;)
dopo molte revisioni, questa è la descrizione del primo incontro tra Eric e Zelda…spero di aver reso bene le loro emozioni! Vi è piaciuto? Fatemi sapere che ne pensate!
Riuscirà lei a far breccia nel suo cuore di pietra? Ne vedremo delle belle, fidatevi di me ;)
continuate a seguire e a scrivermi!!
In particolare ci tengo a ringraziare di nuovo tutte le persone che hanno recensito la storia, quelle che la seguono e chi l’ha messa tra le preferite: vi adoro <3

Alla prossima,

Lizz

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Capitolo 7
*** This means war ***






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Capitolo 6





They say before you start a war,
you better know what you're fighting for.

 
 (The Cab, Angel with a shotgun)




 

Zelda



Non ho neanche il tempo di urlare, il salto è troppo breve per permettermi anche solo di aprire bocca per dare sfogo alle emozioni discordanti che mi gonfiano il cuore.

So solo che il terrore non è più in cima alla lista: ha lasciato il posto ad un eccitante entusiasmo, che è come una ventata di aria fresca in un caldo pomeriggio d’estate.

I pochi secondi che impiego per raggiungere il fondo della voragine sembrano durare un’eternità, come se stessi galleggiando senza peso in una vasca piena d’acqua.

Mi sono buttata con la faccia in avanti, ma, mentre ero in volo, il mio corpo si è voltato di propria volontà ed ora mi ritrovo a dare la schiena all’oscurità che si intravede sotto di me.

Chiudo gli occhi per un attimo, ma non ho paura.

Un momento prima sto nuotando nel vuoto, un attimo dopo sono immobile, distesa a pancia in su sopra qualcosa di elastico e ruvido allo stesso tempo.

Sbatto le palpebre e mi guardo attorno. Sono caduta su una grande e spessa rete di corda scura, posta lungo tutta l’ampiezza del buco, che ora sta sopra alla mia testa come un grande occhio, intento ad osservare ogni mia mossa.

Mi metto seduta e alzo la testa verso il palazzo.
Parecchi metri più in alto noto il profilo della testa di Leslie sbucare dal cornicione che la separa dal baratro.

Inspiegabilmente scoppio a ridere e le faccio ampi gesti per invitarla a scendere.

Accanto a lei, immobile come una statua, si staglia l’alta e possente figura dell’Intrepido dagli occhi grigi.
Si è voltato durante il mio salto, quindi, per l’ennesima volta, ci ritroviamo occhi negli occhi.
Mi sembra di scorgere un barlume di rispetto nella sua espressione gelida, ma non posso esserne sicura, vista la distanza che ci separa.

Mi allontano dal centro della rete per far spazio a Leslie, che nel frattempo è riuscita a salire sul cornicione, nonostante la caviglia dolorante.

Mi trascino fino al bordo e afferro una delle mani che vedo apparire nel cerchio di luce creato dal grande foro.
La mano in questione ha dita forti, calde e callose.
Mi aiuta, con gentilezza, a scivolare giù, finché i miei piedi non toccano di nuovo il suolo.

Quando alzo il capo incrocio un paio di occhi bellissimi, blu come il mare, che per un attimo mi lasciano disorientata.
Poi metto a fuoco il resto della figura, un pezzo alla volta.
È un ragazzo abbastanza alto, ma molto muscoloso.
Tipico fisico da Intrepido, suggerisce il mio cervello da Erudita con sarcasmo. 
Anche lui, come tutti qui, è vestito di nero, ma il suo volto ha un qualcosa di diverso che in un primo momento non riesco a definire.
Poi capisco cosa lo distingue dagli Intrepidi in cui mi sono imbattuta finora: l’assenza di piercing, capelli multicolori e tatuaggi evidenti.

Ha un aspetto sobrio, ma di certo non ha bisogno di avere del metallo piantato nel corpo per incutere timore.

Mi lascia la mano non appena mi stabilizzo e fa un mezzo sorriso. – Una ragazza! – esclama, in un tono roco che mi ricorda un’eco che rimbalza tra le pareti di una grotta. – Significa che hai vinto la scommessa, Lauren -.

Si volta di lato, dove è appena apparsa un’Intrepida dai capelli scuri come l’inchiostro.
Lei non fa eccezione per quanto riguarda i piercing, dal momento che ne ha tre sullo stesso sopracciglio.

Mi sorride, raggiante. – Eccellente! – dichiara, mentre mi da una pacca affettuosa sulla spalla. – Così quel porco maschilista di Eric dovrà ricredersi! -.

Si sporge in avanti, guardando in su verso il cornicione da dove gli altri iniziati stanno per saltare.
Agita un pugno in aria e il suo sorriso diventa un ghigno perfido.
– Beccati questa, Eric! – urla, e sono certa che la sua voce riesca ad arrivare perfettamente fin lassù. – Hai trovato pane per i tuoi denti! -.

Così è quello il nome dell’Intrepido dagli occhi grigi.

Eric.

Ah, quindi ora che conosci il suo nome cosa vorresti fare?
Scriverlo mille volte e disegnarci intorno dei cuoricini?!


Ho fatto bene ad andarmene dagli Eruditi, penso con un sospiro rassegnato.
Non sono poi così intelligente come credevo.

Metto da parte le emozioni contrastanti che provo per Sguardo di Ghiaccio, seppellendole in un cassetto della mente.
Le analizzerò con calma più tardi.

La ragazza dai capelli scuri – Lauren – si volta di nuovo verso di me.
Non ha smesso di sorridere. – A te l’onore, Quattro –.

L’Intrepido dagli occhi blu si china leggermente in avanti, fissandomi con un sopracciglio alzato. – Come ti chiami, trasfazione? – chiede, in tono brusco, ma anche lui ha un’espressione divertita. Suppongo non abbia molta stima di Eric, o perlomeno è quel che si intuisce dall’occhiata complice che scambia con Lauren.

Non mi ha riconosciuta, è già qualcosa. Alla fine esiste qualcuno che non conosce la mia falsa famiglia perfetta.

Non ho esitazioni. – Zelda – affermo con sicurezza.
Potrò anche abbandonare il mio cognome come fosse un rifiuto tossico di cui voglio sbarazzarmi alla svelta, ma il mio nome è prezioso.
L’ha scelto mia madre, è una delle poche cose che ancora di tengono legata alla sua memoria.
Ovunque sia, spero mi stia guardando e sia fiera di me.

Il ragazzo – io e lui in quanto a nomi propri stravaganti possiamo farci concorrenza – annuisce e lancia un grido. – Prima a saltare, Zelda! -.

Dal tunnel che riesco a vedere di sfuggita in mezzo all’oscurità arrivano altre urla, come se ci fosse una folla in attesa.
Conoscendo la mania di esibizionismo tipica di questa fazione, di certo è così.

Ignoro le grida di esultanza, mi afferro i gomiti e resto a fianco della rete, aspettando l’arrivo di Leslie.
Le ci sono voluti alcuni minuti per decidersi a saltare, ma alla fine vedo il suo corpo esile cadere dal cielo come una meteora.

Lauren allunga le braccia verso di lei e l’aiuta a scendere.

Mi affretto a raggiungerla, per controllare lo stato della slogatura: di sicuro quel balzo non ha giovato alla sua caviglia.
Lei si getta su di me e affonda il viso nella mia spalla.

Sta tremando.
Mi accorgo con un secondo di ritardo che lo fa perché sta ridendo, non a causa del volo terrificante. – E’ stato…è stato… - comincia, ma le labbra non riescono a completare la frase. È eccitata come una bambina che sale per la prima volta sull’altalena.

Roteo gli occhi con impazienza. - Sì, sì, magnifico. Ora fammi vedere – sbotto bruscamente, mentre mi chino vicino alla sua gamba.

Muovo piano l’articolazione, premendo leggermente con le dita su un pezzo di pelle alla volta.
Lei geme sonoramente quando le afferro il tallone: si sente un crack appena accennato, segno che tutto è tornato al proprio posto.

Quando mi rialzo, spazzolandomi i pantaloni sporchi di polvere, trovo parecchie paia di occhi puntati su di me.

Quattro, Lauren e Leslie mi stanno osservando come fossi una specie di animale in via di estinzione.

Io sento le guance riscaldarsi: non mi è mai piaciuto essere al centro dell’attenzione.

- Beh, che c’è? – borbotto, imbarazzata. – Sono cresciuta in una famiglia di dottori. Sistemo ossa e articolazioni da quanto ho dieci anni -.

La mia confessione non sembra sortire alcun effetto, perché tutti e tre continuano a fissarmi meravigliati, come se avessi appena ammesso di essere in grado di volare.

Decido che è meglio cambiare discorso. – Prova a fare qualche passo per vedere se riesci a camminare – mormoro a Leslie, mentre la sorreggo.

Lei appoggia il piede a terra, lo muove un po’ e poi torna a guardarmi con stupore e ammirazione.
– Incredibile, non sento più neanche il dolore! Tu sei una forza! Grazie – esclama, mentre io, esasperata da tutti questi complimenti, mollo la presa sul suo gomito.

Lauren batte allegramente le mani. – Non una, ma ben due ragazze sono saltate per prime! Alla faccia dell’orgoglio maschile. Già mi immagino l'espressione di Eric! -.

- In realtà siamo le uniche ragazze trasfazione – aggiungo io, alzando le spalle.

- Ancora meglio! Erano anni che una ragazza non saltava per prima. Almeno il nostro Capofazione pieno di sé la smetterà di sputare sentenze con quella sua lingua da serpente -.

Avevo ragione: l’Intrepido dagli occhi grigi non è ben visto all’interno della sua stessa Fazione.

Beh che ti aspettavi? Hai visto anche tu il suo atteggiamento da sono-il-migliore e sfidami-a-tuo-rischio-e-pericolo, no?

Se poi si aggiunge che è anche uno dei leader, allora i conti tornano.
Ma come può un ragazzo così giovane essere già un Capo?
Forse tra gli Intrepidi l’età non conta.

Mentre formulo questi pensieri, noto che tutti gli altri iniziati – interni e trasfazione – sono saltati giù e si stanno allontanando dalla rete per raggiungere il nostro gruppo.

Quattro, però, non distoglie lo sguardo dal palazzo da cui sono caduti.
– Lo sapevo. Non poteva sprecare un’occasione per mettersi in mostra – sibila tra sé, con palese avversione.

Alzo gli occhi anch’io e vedo un’ombra scura fendere l’aria come una palla di cannone.

Eric si è gettato dal cornicione subito dopo l’ultimo iniziato: non credo facesse parte del programma, visto il commento di Quattro.
L’avrà di certo fatto per impressionarci.

Compie un perfetto salto mortale in avanti, atterrando di schiena, esattamente al centro della rete.
Si da lo slancio con un colpo di reni e torna in posizione verticale.
Potrà anche essere egocentrico, crudele e senza cuore come dicono, ma non si può certo dire che non sia un’atleta formidabile.

Perlustra con lo sguardo il tunnel davanti a sé, fino a soffermare i suoi occhi temporaleschi su di me.
Un brivido mi corre lungo la schiena, quasi come se mi stessero passando un cubetto di ghiaccio sulla spina dorsale.

Faccio finta di instaurare una barriera tra me e lui.
Non voglio guai, non voglio e non posso sentirmi attratta da un ragazzo del genere, neanche se fosse solo per curiosità.

Ho sempre avuto un debole per i caratteri complicati, dalle mille sfaccettature, quelli che non si comprendono del tutto neanche dopo anni di familiarità.
Quei caratteri che scopri un millimetro alla volta, che continuano ad essere fonti di sorprese inaspettate, che sono parte integrante di una personalità oscura ed impenetrabile.

Interessanti e coinvolgenti come un mistero da risolvere.

E’ esattamente questo che penso quando i suoi occhi toccano i miei.

Avrei voglia di analizzare il suo modo di fare centimetro per centimetro, per riuscire a capire cosa lo porta ad agire così freddamente e con quell’atteggiamento sprezzante che fa scappare tutti a gambe levate.

So che non accadrà mai e questo mi fa infuriare e innervosire ancora di più.
Dirigo la mia frustrazione contro la mia stessa mente, che è partita per la tangente contro tutte le obiezioni sollevate dalla ragione.
Se fossi sola, mi prenderei a schiaffi.

Grazie al cielo Eric non mi sta più guardando. 

Con un altro balzo calcolato ha superato la fine della rete, mettendosi a fianco di Quattro.
L’Intrepido dagli occhi blu si irrigidisce di colpo come se si trovasse a un passo da un temibile cobra a due teste.

- Attenzione, iniziati – tuona Eric, inchiodando con un’occhiata fulminea ognuno di noi.
Non si sofferma troppo a lungo su di me, per cui tiro un respiro di sollievo.

– Siete riusciti a superare la prima prova, perciò, d'ora in poi, potrete abitare nella residenza degli Intrepidi, dove vi preparerete ad affrontare la vostra iniziazione -.

Il suo tono neutro, quasi annoiato che mi fa innervosire.
Ritiro immediatamente ogni pensiero positivo che ho formulato sul suo conto.

Indica Quattro con un cenno del capo. – Quattro sarà l’istruttore dei trasfazione, mentre io addestrerò gli iniziati interni -.

Nessuno fiata, ma percepisco la tensione che aleggia tra i due Intrepidi come una corda tirata al massimo, molto vicina al punto di rottura.

Eric fa un accenno di sorriso.

È abbastanza inquietante, ma questo è uno dei motivi sui cui poggia la mia irrazionale attrazione per lui.
Un tipo del genere deve avere per forza dei segreti nascosti dietro quella corazza all’apparenza fredda e insensibile.
Cosa lo ha fatto diventare così?

Magari nulla, Zelda. Magari ha avuto la disgrazia di nascere con quel pessimo carattere, punto e basta. Non lasciarti trasportare dall’immaginazione!

Immersa nei miei ragionamenti futili, mi sono persa il resto del discorso, ma dubito che fosse qualcosa di interessante, viste le espressioni delle persone che mi circondano.

Mi accorgo di essere l’unica a fissare il Capofazione dritto in faccia.
Gli altri Intrepidi sono intenti ad annuire ad ogni sua parola, mentre gli iniziati si guardano attorno, o hanno gli occhi costantemente puntati a terra.

Sono decisamente più saggi di te.

Forse Eric è come un animale selvatico.

Se lo guardo troppo a lungo negli occhi potrebbe decidere di volermi ammazzare perché ho avuto il coraggio – o la follia – di sfidarlo.

In quel momento tace di colpo e ci fa segno di seguirlo nelle profondità del tunnel.

L’oscurità è quasi totale, fatta eccezione per delle piccole lampade appese lungo le pareti di roccia.
Non vedo neanche dove metto i piedi, mi lascio guidare dal rumore dei passi.

D’un tratto sento un braccio muscoloso circondarmi la vita.

Nel buio individuo una cascata di capelli biondi e lisci.
Xavier mi stringe a sé come se stesse per morire ed io fossi l’unica cosa in grado di salvarlo.

- Emozioni forti, eh? Bellezza, non hai ancora visto nulla – sussurra al mio orecchio in tono seducente.

Mi mordo un labbro per non ridere. – Sono d’accordo con Felix – mormoro di rimando, lasciandolo perplesso.

- Mi sa che sei un po’ confusa – borbotta, alzando le sopracciglia color del sole. - Guarda che io sono Xavier, il più bello dei due. Felix non ha aperto bocca -.

- No, ma sta alzando gli occhi al cielo -.

Da dietro giunge un colpo di tosse, ma posso scommettere che Felix l’ha fatto per mascherare una risata.
La sua voce mi arriva distintamente all’orecchio, sebbene sia appena un sibilo.
– Vedi, fratello, io e Zelda ci capiamo -.

Xavier guarda alternativamente Felix e me, come se l’avessimo tradito.

- Zitti! – intima Eric, fermandosi di botto in fondo alla galleria.
Fulmina Xavier con lo sguardo quando vede il modo in cui mi sta abbracciando. – Non intendo sopportare le vostre chiacchiere, né le vostre smancerie un minuto di più. Vi avverto: fate silenzio, o vi getto nel Pozzo senza pensarci due volte! -.

Xavier stacca immediatamente le mani da me e le alza davanti a sé come se Eric gli stesse puntando contro un fucile.

Continuando a camminare accanto a Leslie, che ha riso durante il nostro scambio di battute scherzose ed è ammutolita di colpo dopo l’ordine di Eric, raggiungiamo il cosiddetto ‘Pozzo’.

È un’ampia grotta scavata nella roccia: sulle pareti sono stati praticati dei larghi fori per ospitare negozi, appartamenti e magazzini.
Le piccole caverne secondarie comunicano tra loro mediante degli stretti passaggi scolpiti nella pietra, ma senza protezioni.

Non so come facciano le persone a percorrerli senza guardare continuamente giù con il terrore negli occhi.
Basta farci l’abitudine, immagino.

Il soffitto del Pozzo è di vetro trasparente, sopra al quale vedo stagliarsi un altro palazzo.
In ogni angolo della grotta ci sono gruppetti di figure in nero che parlano, urlano, cantano a squarciagola o ridono sonoramente.

Nelle sale di ritrovo del quartiere degli Eruditi tutti erano composti, tranquilli, non si sentiva nemmeno una mosca volare.
Sento che mi piacerà questo nuovo stile di vita, più libero, senza freni, senza pensieri.

La voce cupa di Eric si infiltra di nuovo tra i miei pensieri. - Quello è lo strapiombo – sta dicendo, indicando con un cenno un angolo buio del Pozzo.

Al di là di una ringhiera di ferro, sulla quale sono seduti degli Intrepidi, sento dell’acqua scorrere: dopo un’occhiata più attenta mi accorgo anche della profonda voragine dalla quale proviene il suono del torrente.

- E’ da lì che vi getterò se vi azzardate a infastidirmi di nuovo – esclama in tono tagliente.

Leslie rabbrividisce, mentre Xavier finge di sbadigliare, beccandosi una delle occhiate ammonitrici di Felix.

Anche io mi auguro con tutto il cuore che Eric non lo veda: sarebbe capace di fargli saltare via tutti quei denti brillanti e perfetti per molto meno.

Dopo alcuni minuti di marcia, arriviamo in un corridoio poco illuminato.
Eric spinge con un calcio ben assestato una delle porte color ruggine e la tiene aperta mentre entriamo.

- Visto che quest’anno pochi esterni hanno avuto il coraggio – o la stupidità, dipende dai punti di vista – di scegliere la nostra fazione, gli interni condivideranno il dormitorio con i trasfazione – dichiara, in un tono che non ammette repliche.

Mi sembra che la notizia non sconvolga i nati Intrepidi più di tanto.
Anzi, Xavier si illumina come una lampada al neon e gli altri si scambiano sorrisetti, come se avessero già qualche scherzetto per noi esterni in mente.

- Spogliatevi e gettate i vostri abiti nell’inceneritore. Non metteteci troppo, o vi verrò a prendere e non sarà un’esperienza piacevole. Fossi in voi, preferirei arrivare per la prima volta in mensa con tutti i vestiti addosso – ordina il Capofazione, allontanandosi con Quattro e lasciandoci soli nella stanza.

Senza perdere tempo, ci togliamo gli abiti blu, rossi, bianchi e neri, senza imbarazzo per quanto mi riguarda, e ci affrettiamo a mettere quelli sistemati in pile sopra i letti.

Infilo una maglietta nera aderente, un paio di pantaloni elasticizzati (sempre neri) e corti stivali (il nero è d’obbligo).
Aspetto che anche Leslie abbia finito e ci fiondiamo entrambe fuori della porta, dove troviamo Quattro ed Eric appoggiati alla parete.
Quest’ultimo sembra vagamente compiaciuto dalla nostra velocità.

Lancio il fagotto dei miei vecchi abiti nell’inceneritore con maligna soddisfazione.
Non voglio più vedere, o indossare, un abito blu in vita mia.

Faccio per allontanarmi, ma una mano mi blocca il braccio in una stretta d’acciaio.

Gli occhi di Eric stanno fissando il braccialetto d’argento che porto allacciato al polso. - Tutto quello che proviene dal vostro passato, oggetti e vestiti, deve essere bruciato. È la tradizione – spiega, in tono mellifluo.

Resto pietrificata, la mia mente è in caduta libera.
Mi rifiuto di avergli appena sentito pronunciare quelle parole amare come fiele.

Quando lui vede che non ho nessuna intenzione di fare quanto ha ordinato, si china a pochi centimetri dal mio volto. – Gettalo. Subito. Non lo ripeterò – sibila, socchiudendo le palpebre.

Tutto quello che vuoi, ma non il mio bracciale, vorrei urlare.

Apparteneva a mia madre.
È l’unico suo oggetto personale che sono riuscita a salvare dalle grinfie di mio padre, che ha venduto tutti i gioielli e vestiti appena dopo la sua morte.
Separarmi da questa sottile catenina sarebbe come strapparmi un lembo di pelle.

Non può farlo, no, no, non voglio.

Lo supplico con gli occhi visto che non posso farlo a parole.
Vedo una scintilla di indecisione, quasi di compassione nel suo sguardo di ghiaccio.

Ma devo averla solo immaginata, perché lui, senza preavviso, strappa il gancetto del bracciale e lo butta nel fuoco.

Stringo i pugni e mi volto per non vederlo bruciare.

Ho già abbastanza fuoco dentro di me da tenere a bada, se non voglio rischiare di perdere il controllo e cavagli quelle iridi grigie con le unghie.

L’incendio che mi scorre nelle vele fa evaporare perfino le lacrime che avevano cominciato a inumidirmi gli occhi.

Se mi avesse picchiata a sangue, fino a farmi svenire, mi avrebbe fatto meno male.
Avrei perfino potuto perdonarlo, un giorno o l’altro.

Ma questo no.

Non potrò mai perdonarglielo.






 
 
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Ciaoooo a tutti ;) il nuovo capitolo è leggermente più lungo degli altri, spero vi piaccia! Sono riuscita a scriverlo nel tempo libero, ma vi dico già che – causa di forza maggiore, ovvero esami – non so quando potrò postare il prossimo :’(
Comunque Zelda è finalmente arrivata alla residenza degli Intrepidi e ha già capito che con Eric non si scherza.
Cosa succederà? Il cuore di Eric sarà realmente freddo e grigio come i suoi occhi? Il prossimo capitolo sarà quasi totalmente narrato dal punto di vista del nostro macho, perciò non perdetevelo, mi raccomando ;)
Continuate a farmi sapere che ne pensate, ci tengo molto ;)
Un bacio,
Lizz
 
p.s. il titolo del capitolo è un omaggio alla canzone degli Avenged Sevenfold ;)

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Capitolo 8
*** Welcome to the jungle ***




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Capitolo 7



 

Eric



Conto gli iniziati uno per uno, mentre escono dal loro nuovo dormitorio.

Sono leggermente deluso: ammetto che mi sarebbe piaciuto umiliarli un po’, obbligandoli a raggiungere la mensa mezzi nudi.

Contro ogni previsione, le due uniche ragazze trasfazione sono state le prime a raggiungerci, dimostrando di essere sveglie quanto basta per sopravvivere all’interno della fazione.

Peccato per quel piccolo episodio di ribellione da parte dell’Erudita.
E dire che cominciava quasi a piacermi.

Certo, mi ha fatto perdere la stupita scommessa che avevo fatto con quella stronza di Lauren, ma il suo salto è stato niente male, quasi all’altezza del primo.

Chissà perché tra tutti gli iniziati mi è rimasta impressa solo lei.

Cos’ha di così speciale?

I suoi occhi sono la prima cosa a cui penso.
Illuminati dalla luce del sole sembrano divampare come due fiamme guizzanti, dai riflessi dorati.
Non ho potuto fare a meno di notare il modo con cui si sono intrecciati ai miei quando è salita su quel cornicione.

Ti ha lasciato senza parole per tre volte nel giro di dieci minuti, un vero record.

Detesto quando il mio cervello formula pensieri sarcastici di propria iniziativa.

Però ha ragione, quella ragazza è senza dubbio pericolosa.

Quando le ho afferrato il polso, attirato dal bagliore prodotto da quel bracciale argentato, ho sentito una scossa percorrermi tutte le dita e risalire lungo l’avambraccio, fino alla piega del gomito.

Questo fatto assurdo e inspiegabile è stato sconvolgente, ovviamente, ma non è stata la cosa più sconvolgente accaduta in quei cruciali istanti.

Quando mi sono chinato per mettere i miei occhi all’altezza dei suoi – nel vano tentativo di impaurirla – lei mi ha lanciato un’occhiata supplichevole, chiedendomi in modo silenzioso di risparmiare quell’oggetto a cui deve essere molto affezionata.

E la cosa allarmante è che per un momento ho pensato di dargliela vinta e lasciarglielo tenere.

Io, l’imparziale e crudele Capofazione che fa tremare di paura perfino gli Intrepidi adulti, ho quasi assecondato il volere di una stupida sedicenne.

L’ho sottovalutata.

L’ho sottovalutata parecchio.

Ignoravo il potere di persuasione che i suoi occhi cangianti riescono a scatenare, come una tempesta che può controllare a piacimento.
Deve nascondere un potente carisma dietro quella facciata da ragazzina perbene, una sorta di miccia in attesa della giusta scintilla che la faccia esplodere.
Una forza interiore che potrebbe facilmente competere con la mia.

Annuisco tra me e me. Ho fatto bene a mantenere il controllo, a non cedere.

Se fossimo stati soli, forse – e dico forse - avrei potuto mostrare un po’ di magnanimità, ma sotto gli occhi vigili di Quattro non posso permettermi di mostrare alcuna debolezza. Ne potrebbe approfittare per cercare di scavalcare la mia autorità e questo non deve assolutamente accadere.

Tuttavia quello sguardo, l’occhiata che lei mi ha lanciato dopo che le ho strappato di dosso il bracciale…non potrò dimenticarla facilmente.
Se avesse avuto una pistola a portata di mano, di sicuro non avrebbe esitato a usarla contro di me.
Ho sentito distintamente la vampata di furia che ha dovuto reprimere per non assalirmi, come se avessi acceso una candela a poca distanza dal mio petto.

Sarà stato difficile per lei dire addio a quell’oggetto, ma per me lo è stato il doppio.

Ho dovuto sopportare il suo bruciante disprezzo, che mi ha gettato, senza filtri, direttamente in faccia e ora sto tentando di convivere con qualcosa che credevo morto e sepolto da tempo, ormai: il senso di colpa derivante dalle mie azioni di crudeltà gratuita.

Maledetta ragazzina!

Perché ha dovuto fare tutta quella scena per una misera catenina? Perché ci tiene tanto?

A me non sembrava nulla di speciale, non era nemmeno argento lavorato o costoso.

Era forse un regalo? C’entra un ragazzo?

Ma, cosa ancora più terrificante, perché me lo sto chiedendo?!

Eric, stai forse recuperando l’adolescenza perduta?
Cosa farai ora, ti metterai a scrivere poesie e sognare ad occhi aperti?
Cerca di riprenderti, sei un leader, non un fottuto imbecille!


Questo monologo non porterà a nulla, rischia solo di far innalzare ulteriormente il livello di pazzia al quale sono giunto.

Devo cercare di placare questa – prego sia temporanea – follia, o finirò per fare la figura dell’idiota davanti agli iniziati.

Gli iniziati.

Mi ricordo della loro presenza alle mie spalle quando siamo ormai a metà strada dalla mensa.
Questo significa che hanno imparato la lezione e hanno definitivamente smesso di urtarmi i nervi con il loro chiasso fastidioso e inopportuno.
Se prima non avessi soffocato uno dei miei soliti scatti di rabbia, avrei davvero finito per appendere uno di loro a testa in giù nello strapiombo.

Forse te la sei presa tanto solo perché quel ragazzino stava abbracciando la tua nuova ossessione, sussurra una voce maligna al mio orecchio.
È addirittura più tagliente del mio tono abituale, il che la dice lunga.

No, non credo proprio fosse quello il motivo, rispondo, infastidito, scacciando quella presenza indesiderata come farei con un insetto.
Mi hanno urtato il sistema nervoso, io li ho zittiti, fine.

Questa giornata è cominciata male e sta andando sempre peggio. Sono finito a fare dialoghi immaginari con me stesso, davvero fantastico.

Ho un bisogno disperato di allenarmi al poligono, tre ore di fila come minimo.
Mi ci fionderò non appena mi sarò sbarazzato di questi insignificanti mocciosi.

Con la coda dell’occhio osservo il gruppetto composto dai gemelli Intrepidi e dalle due ragazze trasfazione.
Sembrano già molto affiatati, camminano vicini e ogni tanto si scambiano delle occhiate complici.

Perché la cosa mi scoccia? Li invidio, forse?

La mia totale assenza di amici è assolutamente volontaria.

Non sopporto la vicinanza delle persone, per cui allontano chiunque si azzardi anche solo a sorridermi o a trattarmi con confidenza.

Però hai provato qualcosa quando quella ragazza ti ha sorriso.

Questa volta non posso dar torto al mio maligno suggeritore.

L’Erudita si è voltata verso di me appena prima di saltare giù dal tetto.
Non verso la sua amica e nemmeno verso i due gemelli.
Verso di me.

Altro shock, l’ennesimo di questa dannata giornata che sembra non avere fine.

Il suo sorriso, aperto e sincero, senza tracce di ironia o sfida, mi ha sfiorato come un raggio di luce che penetra dal cielo durante un mattino burrascoso.
Uno spettacolo bellissimo, sebbene io detesti profondamente il sole.

Lei sembra essere un’eccezione a tutto.

La guardo di sbieco mentre cammina.
Non è tanto alta, ma ha un bel fisico.
Quei vestiti neri le stanno decisamente meglio degli abiti blu da Erudita, mettono in mostra la curva morbida dei suoi fianchi e…

Che diavolo mi passa per la testa?! Sto veramente prestando attenzione a una ragazza, un’iniziata per di più?

Devo mettere le mani su una pistola al più presto, ne va della mia salute mentale.

Quando arriviamo alla mensa, molti tavoli sono già al completo.
Tutti si voltano verso di noi al nostro passaggio, neanche fossimo un corteo trionfale.

Come temevo, non appena scorgono gli iniziati gli Intrepidi ammassati nella stanza iniziano a gridare, battere i pugni e le posate sui tavoli, producendo un fracasso infernale.

Trattengo a fatica un grugnito di fastidio.
Le persone che incontro oggi sembrano far di tutto per farmi imbestialire e posso affermare con sicurezza che non finirà bene.

Mollo il gruppo al centro della mensa senza proferire parola e mi dirigo verso il tavolo dei Capifazione, dove Max mi accoglie con una sonora pacca sulla spalla.
– Ben fatto, Eric – afferma, apparentemente soddisfatto del mio lavoro. – Li hai condotti sani e salvi fin qui, è già un notevole traguardo -.

Gli altri sghignazzano, ma io non sono proprio in vena di battute: ne ho abbastanza di quei bambocci di iniziati.
Non sopporterei la loro vista un minuto di più.
Non voglio neanche sentirli nominare, a meno che non sia strettamente necessario.
Se penso che un anno fa ero anche io uno di loro…
Ho la nausea.

Max comincia a discutere delle nuove procedure per le simulazioni con gli altri leader, quindi ne approfitto per allontanarmi.
Non ho fame, per cui mi dirigo in direzione del poligono.
Di sicuro basterà la vista di tutte quelle armi a calmare i miei nervi tesi.

Perlustro la sala con un’occhiata, senza un motivo apparente.
Quando individuo l’esile figura dell’Erudita, seduta su una panca poco distante in compagnia dei suoi amichetti e di Quattro, faccio una smorfia.

Ormai sta diventando un’abitudine involontaria. E senza dubbio ridicola.

Prevedibile, Eric.

Il verso di irritazione che mi sale alle labbra non impedisce ai miei piedi di iniziare a percorrere a ritroso la mensa, in direzione del gruppetto.

Mantengo una certa distanza e mi appoggio a un tavolo, incrociando le braccia: da lì riesco a decifrare bene le espressioni dei loro volti e a captare la conversazione.
Non sembrano accorgersi che li sto spiando, meglio così.

Mi concentro per afferrare ogni singola parola, rifiutandomi categoricamente di chiedermi il motivo di tanto interesse.

- … assaggiare la torta! – sta dicendo uno dei gemelli, quello dai capelli chiari.

Gli si illuminano gli occhi non appena suo fratello – che mi sta decisamente più simpatico – ritorna al tavolo con un vassoio carico di fette del rinomato dolce al cioccolato che tutte le altre fazioni ci invidiano.

Io non l’ho mai potuto soffrire, troppo zucchero per i miei gusti.

Quattro, invece, ne va pazzo: è l’ennesima dimostrazione di quanto le nostre personalità siano agli antipodi.

Tutti si servono una generosa porzione, tranne l’Erudita.

Ha le labbra piene ridotte in una linea sottile, gli angoli che si incurvano lievemente all’ingiù.
Fissa la torta come se avesse i denti aguzzi.

La Pacifica che le siede a fianco nota la sua espressione e fa la stessa domanda che vorrei porle io: - Non ti piacciono i dolci? -.

La ragazza dai capelli neri scuote la testa. – Non quelli al cioccolato. Lo detesto – mormora, senza staccare gli occhi da quella fetta di torta. – E’ tutto tuo, Xavier -.

Senza abbandonare la smorfia di disgusto, spinge il piatto verso il gemello biondo, che lo prende senza farselo ripetere due volte.
Il moro e la Pacifica si scambiano un’occhiata sbalordita, prima di tornare a posare i loro occhi spalancati su di lei.

Quattro è immobile, con la forchetta a mezz’aria. – Come fa a non piacerti il cioccolato? – chiede, squadrandola come se lo avesse appena accoltellato con una delle posate.

Lei alza le spalle, ma non risponde alla domanda.

Ha le spalle curve, come se volesse sprofondare in se stessa e nascondersi ai loro sguardi.
Si vede benissimo che è a disagio, come fanno quegli idioti a non capirlo?

Sto quasi per avvicinarmi per darle la possibilità di togliersi dall’imbarazzo.
So cosa si prova quando gli altri ti assalgono con domande indesiderate, mentre vorresti solo essere lasciato in pace.

Ma sono troppo curioso di sapere come andrà a finire, per cui rimango immobile ad osservarli.

Come sospettavo, il gemello biondo non ha intenzione di lasciar cadere l’argomento, confermando i miei sospetti sulla sua stupidità.

- Tu sei l’Erudita più strana che io abbia mai incontrato – esclama, con la bocca piena.

Mi fa venire voglia di strozzarlo.

- Secondo me è per questo che te ne sei andata dalla tua fazione: come può una persona che si definisce intelligente, detestare una delle cose più buone che esistano al mondo? Il tuo cervello è difettoso come sostenevo – aggiunge, annuendo tra sé, scatenando risatine da parte del resto del gruppo.

D’accordo, ora ho decisamente voglia di commettere un omicidio.

Possibile che non si accorgano di nulla?

Sono ciechi, o cosa?

Dannazione, l’ho capito io a metri di distanza! E loro, che le stanno praticamente appiccicati, non riescono a notarlo?

La ragazza Erudita non sta ridendo, nonostante il tono dell’amico fosse scherzoso, per nulla offensivo.

La sua espressione si è fatta di pietra, assomiglia in modo inquietante alla mia.

Incrocia le braccia e abbassa gli occhi sul tavolo.
Se non fossi così concentrato su di lei non riuscirei a sentire le parole che alla fine si decide a pronunciare.

- Anche voi lo odiereste, se, quando eravate bambini, vostro fratello maggiore vi avesse fatto bere a forza una tazza di cioccolata corretta al cianuro – sbotta, stringendo i pugni. I capelli ondulati le nascondono il viso, per cui non riesco a capire quale sia la sua espressione.

Rimango scioccato da quella confessione e, come me, tutti gli altri.

Il biondino balbetta delle scuse, imbarazzato.
Quattro ha le sopracciglia corrugate, formano una spessa linea sulla fronte.
La Pacifica e l’Intrepido dai capelli neri sembrano entrambi mortificati e non si azzardano a fare altre domande.

L’Erudita rompe quell’improvviso silenzio, alzandosi di scatto dalla panca. – Torno subito – mormora, sempre senza incrociare gli sguardi dei suoi amici.
Si volta ed esce a grandi passi dalla mensa, diretta chissà dove.

Rimango con gli occhi puntati sulla sua schiena, divorato dall’indecisione.
Sarebbe un’occasione troppo perfetta per sprecarla…

Non dovevi recarti al poligono, Eric?

Mi maledico da solo.
Sto cercando scuse inutili solo per giustificare la mia curiosità morbosa nei confronti di quella trasfazione.

Ma io non ho bisogno di scuse.

Se voglio fare la figura dell’imbecille, correndo dietro ad una ragazza, lo faccio e basta.

Ci metto mezzo secondo per decidere di seguire il mio istinto e mi dirigo verso l’uscita, infischiandomene di tutto e di tutti.

Voglio solo trovare quell’esterna, per cercare di capire il motivo di quello scatto improvviso che l’ha spinta a fuggire via come una saetta.

La individuo subito: il Pozzo è pressoché deserto, fatta eccezione per alcuni gruppi di bambini che corrono da una parte all’altra, troppo impegnati a giocare per prestarmi attenzione.

E’ appoggiata con i gomiti alla ringhiera dello strapiombo e mi da le spalle.
I capelli le scendono fino a metà schiena in morbidi riccioli, dello stesso colore delle tenebre.

Mi fermo a pochi passi da lei e cerco di ricomporre la mia tipica espressione impenetrabile.

Cosa dovrei dirle?
Che l’ho seguita?
Che l’ho vista allontanarsi e volevo solo assicurarmi che non si perdesse?
Anche nella mia mente queste scuse suonano patetiche.

Mi sto già pentendo di averla seguita.

Proprio mentre sto per voltarmi per tornare sui miei passi, lei sospira.
– E’ tutto a posto, Leslie. Ora vengo – dice, in tono rassegnato.

Poi si volta e sbarra gli occhi quando vede me al posto della sua amica.

In un nanosecondo il suo volto passa dalla sorpresa alla diffidenza. – Sei venuto a punirmi? – chiede, impassibile.
Mi aspettavo un’ondata di furia cieca, invece si limita a socchiudere le palpebre e incrociare le braccia.

Ammiro il suo autocontrollo.

Io sfodero un ghigno e mi appoggio alla ringhiera a pochi centimetri da lei. – In realtà volevo sapere perché sei scappata dalla mensa. Fra poco Max pronuncerà il discorso di rito e sono certo che tu non voglia perderlo -.

Il tono sfacciato che mi esce di bocca sembra farla infuriare ancora di più.

I suoi occhi ambrati inchiodano i miei: non ho scampo, rimango intrappolato in quelle profondità infuocate.
La domanda che mi pone non è quella che mi aspettavo. – Perché ci stavi spiando, poco fa? –.

Ah, quindi se n’è accorta. È coraggiosa, bella, atletica e pure arguta.

Ora capisco perché mi attrae così tanto. Devo proprio tenerla d’occhio.

- Pura curiosità – rispondo, in tono volutamente indifferente.
È il momento giusto per metterla alle strette. – Quindi non ti piace il dolce degli Intrepidi…-.
Lascio la frase in sospeso e la osservo attentamente.

Si irrigidisce immediatamente e il suo sguardo si fa duro come la pietra. – Non sono affari tuoi -.

- Non usare quel tono con me, ragazzina, o passerai dei guai -.

Rimaniamo a fissarci in cagnesco per alcuni minuti, nessuno dei due intende cedere.

- Pensi di spaventarmi, vero? È questo che vuoi? – sibila lei, digrignando i denti. – Beh, mi dispiace deluderti, ma non mi fai paura -.

Si sporge verso di me ed io faccio molta fatica a non indietreggiare.
La vampata di odio che emana riuscirebbe ad incendiare il torrente sotto di noi.

- Puoi anche minacciarmi, picchiarmi, punirmi quanto vuoi, ma non riuscirai mai a spezzarmi – aggiunge, con impeto.
Poi abbassa la voce, come se parlasse tra sé. - Ho vissuto sedici anni in compagnia di quattro crudeli fratelli maggiori e non hai idea di cosa ho passato -.

Rimango immobile a fissarla, tentando inutilmente di riprendermi dallo shock.

Come ha osato?

Come osa parlarmi in questo modo?!

Soffoco l’impulso che mi sta suggerendo di prenderla di peso e gettarla oltre la ringhiera.
Vorrei tenerla sospesa sopra lo strapiombo fino a farle implorare pietà.   
Ha proprio bisogno di una dose di salutare terrore.
Deve capire che non tollero affronti del genere, né ora, né mai.

L’afferro per i capelli e l’attiro a me con un gesto secco.
Lei cerca di divincolarsi, ma non glielo permetto.

Se in questo momento qualcuno ci stesse guardando, potrebbe facilmente scambiarci per una coppietta intenta a scambiarsi effusioni in pubblico.

Il nostro abbraccio, però, non ha nulla di tenero.

Avvicino le labbra al suo orecchio, per assicurarmi che capisca e assimili le mie parole una ad una.
– Fossi in te, mocciosa, starei attenta: non sono una persona a cui piace scherzare. Cerca di non scordarlo, se vuoi sopravvivere qui dentro – sussurro, spingendola bruscamente contro la ringhiera.

Sono esattamente davanti a lei, imprigiono il suo esile corpo con entrambe le braccia.
Quando mi chino sul suo viso, una ciocca dei suoi capelli mi sfiora la fronte. – Io non dimentico facilmente, puoi starne certa -.

Faccio un passo indietro, senza staccare gli occhi dai suoi.

Ha mantenuto la parola, non sta tremando di paura come mi auguravo facesse.

La mia ira non è riuscita a scalfire quella barriera invisibile e impenetrabile che la protegge come uno scudo scolpito nel diamante.

Forse ha davvero vissuto esperienze peggiori, o incontrato persone più terrificanti di me.

Dopo le mie parole, lei abbassa gli occhi sul proprio polso e traccia una linea immaginaria con le dita.
– Nemmeno io, Eric – mormora, in tono freddo.

Sussulto impercettibilmente quando pronuncia il mio nome.

Si allontana dalla ringhiera e mi supera, stando ben attenta a non sfiorarmi.

Mentre si allontana in direzione della mensa, la sento ripetere quelle due parole.

Non è una minaccia, ma una semplice constatazione.

- Nemmeno io -.

 
 






 
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Eccomi di nuovo ;) Alla fine sono riuscita a terminare il capitolo, nonostante la mole di studio…a dire il vero è anche merito del libro di filologia, perché continuava a provocarmi, sottoponendomi frasi del tipo “mettiamo in evidenza la DIVERGENZA…” o “questa è una varietà ERUDITA di…” ahahahah
Comunque, che ve ne pare? Ho cercato di mettermi nei panni di Eric, spero di essere riuscita ad esprimermi al meglio ;) fatemi sapere che ne pensate!
In questo capitolo è un po’ nervosetto (non si nota, vero?), ma anche incuriosito e affascinato da Zelda… come andrà a finire? Riusciranno a superare le loro DIVERGENZE (scusate, non ho saputo trattenermi) o finiranno per ammazzarsi a vicenda?
Continuate a seguire e lo saprete ;)
(avvisatemi se trovate errori)
Un bacio,
Lizz
p.s. il titolo del capitolo è un (poco velato) tributo ai mitici Guns n’ Roses ;)

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Capitolo 9
*** Stronger ***





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Capitolo 8





Zelda




Prendo un bel respiro prima di rientrare in mensa.

Il diverbio con Eric ha richiesto l’impiego di tutto il mio autocontrollo, i miei nervi stanno ancora fremendo.

Ora capisco perché nessuno degli altri riesce a fissarlo negli occhi: gli abissi che si nascondono in fondo a quelle iridi grigie sono spazi inesplorati, pericolosi e bui come le profondità degli oceani.

Le persone normali, quelle sane di mente, preferiscono rimanere su terreni conosciuti, non avventurarsi in luoghi potenzialmente oscuri, abitati da chissà quale specie assassina.

Io no.

A me sono sempre piaciute le cose strane, insolite e ambigue: fa tutto parte della mia natura essenzialmente curiosa e intraprendente.
Quando ero piccola, risolvere gli enigmi era il mio gioco preferito: riuscivo sempre a battere i miei fratelli e loro non perdevano occasione per farmela pagare.

Come quando Alfred mi ha fatto bere quella tazza di cioccolata avvelenata.

Sento i muscoli del collo tendersi.

Ogni volta che ripenso a quell’episodio vengo assalita da un’ondata di nausea e da un terrore così intenso che mi impedisce di respirare.
Tutto il mio corpo ricorda quel giorno, come se fosse una ferita impossibile da rimarginare, nonostante svariati anni di cure.

Quando Felix ha piazzato davanti a me quella fetta di torta, poco fa, mi sono quasi sentita mancare.

Anche solo l’odore dolce del cioccolato rischia di provocarmi le convulsioni, come se stessi affogando in una pozza d’acqua poco profonda, ma fossi troppo terrorizzata per raggiungere la superficie e trarmi in salvo.

Ho dovuto afferrare la panca di legno con entrambe le mani e respirare dalla bocca per non vomitare.
Avrei voluto prendere l’intero vassoio e scaraventarlo con rabbia nel cestino.

Come se quel ricordo traumatico non fosse, di per sé, già abbastanza da sopportare, ho dovuto affrontare anche gli sguardi increduli dei miei vicini di tavolo, che non la finivano più di stressarmi con le loro domande.
Se non fossi stata troppo occupata a celare il panico che si stava facendo strada nelle mie vene, avrei perfino potuto ridere alla battuta di Xavier.

So che non l’ha detto per offendermi e non io sono così permalosa da prendermela per una semplice punzecchiatura, ma in quel momento gli avrei volentieri mollato un sonoro ceffone.

Vedere gli altri ridere di me è stata l’ultima goccia.

I miei condotti lacrimali stavano giusto aspettando l’occasione più propizia per tracimare.
Sono dovuta correre via per calmarmi e non scoppiare a piangere.

Non sono mai stata una ragazza piagnucolosa.
Preferisco mordermi le labbra fino a farle sanguinare piuttosto che mostrarmi debole agli occhi altrui.

Tuttavia, in poche ore ho vissuto esperienze che hanno messo a dura prova il mio sangue freddo e la mia capacità di sopportazione deve essere giunta al limite.
Sono come una bomba a orologeria pronta ad esplodere al minimo tocco.

Speravo di trarre beneficio da quella fuga, invece si è rivelata una lama a doppio taglio.

Perché, perché Eric mi ha seguita?

Brutto stronzo, non potevi lasciarmi sola per due minuti?!
Cosa pensavi, che stessi architettando un piano per farti fuori?
Beh, non è detta l’ultima parola, posso sempre strozzarti nel sonno!


Avrei voglia di urlargli contro questi pensieri, anche solo per sfogarmi, ma credo di aver già fatto abbastanza per oggi.

Dopo che gli ho parlato con quel tono furioso e irrispettoso, ho pensato che mi avrebbe presa per la gola e soffocata lentamente, per farmi gustare ogni singolo minuto di agonia.

Sarebbe proprio nel suo stile.

Invece - cosa assolutamente inspiegabile - mi ha lasciata tornare indietro tutta intera.
Ho avuto l’impressione che volesse aggiungere qualcosa dopo che gli ho – sottilmente – rinfacciato la perdita del mio adorato bracciale, ma è rimasto zitto mentre mi allontanavo.

Pensavi si fosse pentito? Povera illusa.

Il mio inconscio ha ragione, Eric non è un essere umano.

E’ molto più simile ad una roccia: fredda, senza cuore, incapace di provare emozioni.

Per questo che, anche se si impegna al massimo, non riuscirà mai a spaventarmi.

Perché sono esattamente come lui, una ragazza dai tratti scolpiti nella pietra.

Quasi nulla riesce a filtrare all’interno della spessa armatura che ho costruito attorno al mio cuore, con cura, anno dopo anno, per proteggerlo, per impedirgli di infrangersi in mille pezzi, ma, allo stesso tempo, per avere un luogo in cui rifugiarmi, al quale solo io posso accedere.

Da quando mia madre è morta, ho vissuto esperienze sgradevoli, che non auguro a nessuno.
Ho lottato duramente per diventare ciò che sono ora, soffocando in continuazione il mio animo troppo sensibile.

Il mondo in cui vivevo non era fatto per i deboli dal cuore tenero.

Un’altra persona, probabilmente, si sarebbe arresa, avrebbe ceduto, ma non io.

Non Zelda Blackburn.

Ciò che non ti uccide, ti fortifica.

Erano quelle le parole incise all’interno del bracciale argentato.
Ci ho messo anni per comprendere appieno il loro significato, per metterle in pratica, per dimostrare a me stessa che sono più forte di quello che sembro, più forte di quanto credevo.

Grazie all’intervento di Eric, quell’oggetto, simbolo delle mie vittorie personali e del legame profondo che ancora mi unisce a mia madre, ora è ridotto in cenere.
Distrutto, perduto per sempre.

E quel bastardo insensibile ha anche il coraggio di spiarmi, pedinarmi e, per finire, chiedermi spiegazioni che io non darei nemmeno ai miei amici, figurarsi ad un ragazzo odioso come lui.

E poi, perché mai gli interessa?!
Di certo stava solo cercando di provocarmi, magari per avere un valido motivo per punirmi o cacciarmi dalla fazione.

Grrr, lo detesto!

Spalanco la porta della mensa con un’energica spallata e mi fiondo all’interno, prima di ritrovarmelo di nuovo davanti.
Non risponderei delle mie azioni, questo è poco ma sicuro.

Ritorno al tavolo a passo di carica e mi butto sulla panca, vicino a Xavier.
Nei piatti non è rimasta neanche una briciola di dolce, per cui il mio umore migliora un po’.

Leslie mi posa una mano sulla spalla. – Va tutto bene, Zelda? – chiede, in tono preoccupato, guardandomi fisso per decifrare la mia espressione.

Io mi limito ad annuire, cercando di sembrare convincente.

Chissà che faccia farebbe se le raccontassi del mio litigio con Eric.
Inorridita, suppongo.

Lei non avrebbe saputo tenergli testa come ho fatto io: sarebbe sicuramente scoppiata in lacrime sotto lo sguardo raggelante del Capofazione.

Xavier si sporge verso di me, con fare imbarazzato. – Senti, Zelda…io non volevo…cioè, non avevo idea…-.
Deglutisce e non riesce nemmeno a finire la frase.

Lo vedo in difficoltà e mi intenerisco.
Appoggio la mia mano sulla sua, dandogli una leggera stretta rassicurante. – Non fa nulla, davvero. Lascia perdere -.

Sta per ribattere, ma un’occhiata di Felix lo costringe a tacere.

Scambio uno sguardo con il gemello dagli occhi azzurri.
Lui intercetta al volo il mio muto ringraziamento e mi sorride come per dire ‘di nulla, è un piacere’.

In quel momento sento la porta aprirsi di nuovo con un tonfo.

So perfettamente chi l’ha spinta, perciò non mi volto per seguire la figura possente di Eric con gli occhi, come stanno facendo tutti gli altri attorno a me.

Intreccio le dita e fisso un punto impreciso sulla parete.

Non posso fare a meno di notare che nemmeno Quattro si scomoda a guardare l’ingresso del Capofazione.
Provo un’immediata simpatia nei suoi confronti: non sarà una persona affabile, ma almeno una cosa in comune l’abbiamo.

L’odio profondo per Eric.  








 
 
- - - - - - - - - - - - - -
Ciaoooo a tutti ;) ecco a voi un nuovo capitolo!
E’ breve rispetto ai precedenti perché punta più a descrivere i sentimenti di Zelda che a narrare la sua vita all’interno della nuova fazione. Mi interessava spiegare l’origine della forza che la rende immune all’influenza di Eric, spero di esserci riuscita! (da notare gli insulti gratuiti che gli indirizza ahahah)
Fatemi sapere che ne pensate ;)
Domanda: qual è la vostra scena preferita di Divergent che vede Eric come protagonista? La mia è quando osserva gli allenamenti dei trasfazione e Tris dice ‘…lasciarci con Eric è come ingaggiare una babysitter che passa il tempo ad affilare coltelli’ ;)
me lo immagino proprio nei panni di una babysitter ahahahahah
alla prossima,
Lizz

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Capitolo 10
*** Curse ***




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Capitolo 9



 

Eric



Spingo la porta della mensa con furia, come se il mio vero obiettivo fosse quello di sfondarla e non semplicemente toglierla di mezzo per entrare.

La mia collera ha raggiunto l’apice, comincio ad avere la vista appannata: le cose attorno a me iniziano a tingersi di rosso come se stessi guardando attraverso un vetro colorato.

È il segnale che indica che la mia millimetrica dose di pazienza giornaliera è esaurita.
Finita, prosciugata, svanita senza possibilità di ritorno.

Se ora qualcuno si azzardasse anche solo a guardarmi di traverso, si ritroverebbe a terra all’istante, con un paio di ossa rotte.
Magari anche qualche dente, perché no?

Sento il lato oscuro della mia mente prendere forma.

Ha le sembianze di un animale feroce, appena fuggito da una gabbia, irritato per la prigionia prolungata, affamato e assetato di vendetta.

Quella ragazza.

Il mostro ringhia e comincia ad affilare i lunghi artigli.

Quella dannata ragazza vuole proprio morire!

Non c’è altra spiegazione.
Cos’altro può spingerla a continuare a sfidarmi in questo modo?
Ha addirittura osato urlarmi contro! A me, un Capofazione!

Avrei potuto punirla per quell’affronto.
Avrei dovuto punirla, maledizione!

E cos’ho fatto, invece?
L’ho lasciata tornare dai suoi amichetti sana e salva, senza nemmeno un graffio su quella sua pelle pallida e perfetta.

Prima gli occhi, poi i capelli e adesso la pelle.
Le hai fatto proprio una radiografia completa, eh Eric?


Preferisco di gran lunga l’animale selvaggio a questa voce fastidiosa.
La mia coscienza ha scelto il momento meno opportuno per tornare a galla e insultarmi con i suoi commenti derisori.

Avverto molti sguardi posarsi su di me quando rientro nella sala.
Alcuni giovani Intrepidi si zittiscono di colpo e rimangono a fissarmi con gli occhi sbarrati.
Credo che il mio aspetto sia in sintonia con il mio umore: ho gli occhi ridotti a fessure, le labbra serrate e tutti i muscoli in tensione.

Evito con cura di passare accanto al tavolo dei trasfazione e torno accanto a Max, che si sta preparando a declamare il proprio discorso, lo stesso di ogni anno.

Lo so a memoria, perciò mi siedo sulla panca e allungo le gambe davanti a me, preparandomi all’ennesimo momento di noia.
Cercherò di sfruttarlo per lasciar sfumare la rabbia che mi sta consumando come un rogo.
Devo riacquistare una parvenza di calma, non intendo lasciarmi condizionare oltre dalle insulse parole di una sedicenne.

Incrocio le braccia e mi appoggio con la schiena al tavolo, mentre Max si alza in piedi.

Non appena si schiarisce la voce con un colpo di tosse, il baccano attorno a noi si spegne di colpo.
Da questo si capisce quanto sia influente la sua autorità, lui sa benissimo farsi temere e rispettare dal resto della fazione.
È sempre stato il mio modello, rispecchia esattamente il tipo di persona che volevo diventare.
Autoritario, inflessibile, coraggioso. Un vero Intrepido insomma.

Max sale su uno dei tavoli con un balzo atletico e gira su se stesso per incrociare quanti più sguardi possibile.
Cercare di conquistare l’attenzione del pubblico è la prima regola per un leader e lui è uno che ci sa fare.

Il silenzio è totale.
L’intera sala pende dalle sue labbra, ansiosa di non perdere nemmeno una sillaba del discorso.
Alzo gli occhi al cielo.

Forse ai trasfazione potrà sembrare un evento insolito, ma gli Intrepidi dovrebbero esserci abituati.
Com’è che continuano a fare quelle facce adoranti e curiose?
Ormai dovrebbero saper recitarlo meglio di lui.
Max non brilla certo per originalità, ripete le stesse identiche parole ad ogni occasione importante.

Inizia dando il benvenuto agli iniziati – puah – e poi snocciola una per una le frasi che compongono il Manifesto della nostra fazione.

Noi crediamo nella libertà dalla paura, nel negare alla paura il potere di influenzare le nostre decisioni.
Noi crediamo negli atti di coraggio ordinari, nel coraggio che spinge una persona a ergersi in difesa di un'altra.
Noi crediamo nel riconoscere la paura e la misura in cui essa ci governa.

Bla bla bla e via dicendo.

Perdo il filo dopo il quarto punto e devo piantarmi le unghie nel braccio per non rischiare di addormentarmi.
Questa notte ho dormito meno del solito, appena quattro ore. Non c’è da stupirsi se mi sento incazzato col mondo.

Dopo l’ultima frase - Noi non crediamo che qualsiasi altra virtù è più importante del coraggio – un boato riecheggia tra le pareti della mensa.
Una parte degli Intrepidi batte i piedi a terra, l’altra tiene il ritmo colpendo ripetutamente i tavoli con le posate, in un crescendo che minaccia di farmi veramente esplodere.

Al diavolo Max e i suoi discorsi troppo esaltati!

Lui si inchina leggermente, ricambiando le acclamazioni con un mezzo sorriso.
Poi si volta verso di me e mi invita a raggiungerlo con un cenno.

Non promette niente di buono. Sento una nuova minaccia per i miei nervi in agguato.

L’ultima volta che mi ha chiamato per parlarmi, è stato per assegnarmi il compito di accogliere quel gruppo di fottuti sedicenni.
Mi sto ancora chiedendo cosa ho fatto di male per meritarmi una punizione del genere.
Avrei preferito affrontare il mio scenario della paura a ripetizione, sarebbe stato senza dubbio più gratificante.

Mi alzo, piazzandomi a fianco degli altri leader, in attesa di ordini che prego non comprendano contatti ravvicinati con quella feccia che va sotto il nome di ‘iniziati’.

Le mie speranze vanno in fumo non appena Max apre bocca.
– Accompagnali al dormitorio e illustra loro le principali fasi dell’iniziazione – dice, guardandomi fisso.
Deve esserci qualcosa di strano nella mia espressione, perché, subito dopo quella richiesta, aggrotta la fronte e ammorbidisce il tono.
– Poi vai pure a riposare, mi sembri esausto -.

Ma guarda, vorrei replicare, non me n’ero accorto!

La colpa è tutta tua, che mi obblighi a recitare la parte di una dannata babysitter!

Non ci credo.
Ditemi che non è vero.
Non può avermi davvero chiesto di scortare di nuovo quei bambinetti di qua e di là.
Cosa sono diventato, una guida turistica?!

Datemi. Subito. Una. Pistola.

Non so se per usarla contro di me – e risparmiarmi questo ingrato compito – o per far fuori gli iniziati, mi serve un minuto per decidere.

Minuto che non ho.

Va bene, Eric, sii logico. Prima li spedisci a nanna, prima potrai rilassarti.

Molto bene, allora.

Chiamo a raccolta la poca forza di volontà che mi rimane e mi dirigo impettito verso il gruppetto che tanto speravo di togliermi da sotto il naso.

Dodici maledette ore senza vedere le loro penose facce è chiedere troppo?
Mi consolo pensando che potrò torturarli a mio piacimento durante gli allenamenti.

Appena mi avvicino, a passo pesante, l’Erudita si irrigidisce e non accenna ad alzare lo sguardo dal tavolo.
Forse la piccola lezione che le ho dato è stata sufficiente, l’ha dissuasa dal provocarmi ulteriormente.
Me lo auguro davvero.

- Seguitemi – intimo, in tono freddo, e mi dirigo verso la porta senza aspettare che si alzino dalle panche.
Peggio per loro se rimangono indietro: per oggi, i miei atti di clemenza sono ufficialmente terminati.

Cammino fino al dormitorio e mi volto a guardarli quando sono ormai alla porta.

Per mia sfortuna, ci sono tutti.
Ed io che speravo di avere un valido motivo per incatenare uno di loro al di là del parapetto!
Sarebbe stata una scena memorabile.  

Uno di loro? Eric, ammettilo, hai pensato subito a quella ragazza.

Aizzo il mio animale interiore contro quella voce subdola, fino a soffocarla del tutto.
Penso già abbastanza a quell’Erudita senza che la mia coscienza si impicci.

Cerco di concentrarmi su quello che devo dire, per non lasciarmi scappare l’occasione di spaventarli come meritano.
– Oltre ad essere uno dei vostri istruttori, io sono anche un Capofazione, perciò sovrintenderò al vostro percorso di iniziazione – comincio, in tono cupo. – Tengo molto alla puntualità, quindi vedete di farvi trovare in palestra alle otto precise di ogni mattina. Gli allenamenti durano fino alle sei, poi siete liberi di fare quello che volete. Avrete anche dei giorni liberi tra una fase e l’altra dell’iniziazione -.

Breve, diretto, conciso. Ben fatto, Eric!

Meno male che ogni tanto il mio inconscio mi rivolge anche dei complimenti, oltre a quei commenti stressanti che rischiano di mandarmi fuori di testa.

- I trasfazione verranno valutati separatamente dagli interni, ma alla fine ci sarà una sola classifica -.
Ora viene la parte divertente, penso, sfoderando un ghigno. – La classifica stabilirà chi di voi resterà nella fazione e chi dovrà andarsene. In tutto siete tredici: cinque trasfazione e otto interni. Al termine dell’iniziazione tre di voi verranno eliminati e diventeranno degli Esclusi -.

La mia ultima frase viene accolta da un gelido silenzio.
Nessuno ha il coraggio di protestare, nemmeno i due Candidi.
Buon segno, vuol dire che hanno capito che non sono in vena di chiacchiere.

Tengo aperta la porta per farli entrare nel dormitorio e loro mi sfilano davanti uno per uno.
L’Erudita è in coda al gruppo, ha le braccia incrociate e tiene gli occhi bassi.
Non sembra sconvolta dalla rivelazione sulla classifica, ma non sta neanche sorridendo.
Quando oltrepassa la soglia, però, volta il viso e mi da un rapido sguardo.

Non aspettavo altro. Il mio ghigno si allarga.

- Buona fortuna, piccola – sussurro, chinandomi in avanti e sfiorandole la guancia con due dita.

Non so bene perché lo faccio, non mi faccio domande.

Dopo il mio gesto, l’Erudita rimane impietrita, quasi scioccata.
Socchiude leggermente le labbra, poi si tira indietro di scatto e mi incenerisce con un’occhiata. – Ti ringrazio, Eric – mormora in tono sarcastico, enfatizzando il mio nome come se fosse una maledizione.

Chiude la porta dietro di sé con forza e io devo trattenermi per non scoppiare a ridere.

Ridere? Io? E da quando in qua?

Scuoto la testa, disgustato. Cosa mi ha fatto quella mocciosa?
 
Sono proprio curioso di sapere come una ragazzina esile e apparentemente indifesa come lei possa sperare di battere uno dei maschi nei combattimenti corpo a corpo.
Finirà in infermeria, ricoperta di lividi, o peggio.

Aggrotto la fronte.

Perché quest’ultimo pensiero mi lascia turbato?



 
* * *
 

Zelda



Va al diavolo!

Non ho il coraggio di gridarglielo, ma lo sibilo tra i denti mentre sbatto la porta.

Grazie al cielo nessuno ha visto la scena, altrimenti dovrei sorbirmi milioni di domande e sguardi sbalorditi.

Rimango a fissare il metallo arrugginito che mi sta davanti per un bel pezzo, nel tentativo di calmare il respiro.
Se voleva farmi venire un infarto, ci è riuscito in pieno.  

Mi passo una mano sulla guancia che lui ha toccato e mi mordo un labbro per non imprecare ad alta voce.
Accidenti a lui e ai suoi occhi!

Basta che ti sfiori un attimo e tutto l’odio che dici di provare nei suoi confronti svanisce? Complimenti, Zelda, ridacchia la mia voce interiore, senza un minimo di rispetto per il mio orgoglio ferito.

Ho voglia di urlare. E di picchiare qualcuno. Forse entrambe le cose.

Stupida che non sei altro!

Quando si è chinato verso di me non ho capito più nulla.

La mia mente si è svuotata di colpo, come se i miei pensieri fossero legati ad una candela e lui ci avesse soffiato sopra, spegnendola.

Avevo le sue iridi grigie a cinque centimetri di distanza, riempivano tutto il mio campo visivo, era impossibile concentrarsi su qualunque altra cosa.

Il suo sguardo, in particolare, mi ha confusa.
Non era freddo come quello che mi ha rivolto poco fa, vicino allo strapiombo. Anzi, sembrava quasi divertito.

Quando ha allungato la mano pensavo volesse farmi del male, invece si è limitato a sfiorarmi con la punta delle dita, neanche fossi fatta di fragile cristallo.

Quel tocco così leggero e inaspettato mi ha mozzato il respiro.  

Sono rimasta talmente sorpresa da non riuscire a rispondergli con la giusta dose di cattiveria.
Prima mi vuole quasi ammazzare, poi mi prende in giro, come faccio a stargli dietro?!

Quel ragazzo promette guai. Devo stare attenta, o finirò per lasciarci la pelle.

Sospiro e torno con i piedi per terra. Mi ero quasi dimenticata di essere circondata da altre persone.

Leslie si sta pettinando i capelli, seduta su uno dei letti addossati accanto alla parete.
Mi chiama con un cenno della mano. – Ti va di dormire vicine? – chiede, con una punta di insicurezza.

Le sorrido. – Ma certo. Cosa pensavi, che avrei preferito Xavier a te? – esclamo, prendendo la rincorsa e buttandomi al volo sul materasso vicino al suo.

Ho sempre desiderato farlo, ma mio padre non tollerava schiamazzi e me l’ha sempre impedito.
Anche se l’avessi fatto quando lui non era in casa, ci avrebbero pensato i miei fratelli ad informarlo e mi avrebbe punita ancora più severamente.

- Così mi ferisci, Zelda – sospira Xavier, in finto tono tragico.

Senza preavviso, si getta su di me e inizia a farmi il solletico.
Mi contorco tra le lenzuola, cercando di togliermelo di dosso.

Invoco l’aiuto di Leslie, ma lei non riesce ad alzarsi dal letto.
È piegata in due dalle risate, si tiene la pancia con entrambe le mani. – Siete troppi buffi. Dovreste vedervi – dice, col fiato corto.

Guardo Xavier. Lui guarda me. E di comune accordo partiamo all’attacco.

Dieci minuti dopo siamo tutti e tre senza fiato.

Felix ci guarda con un sopracciglio alzato, appoggiato con gli avambracci alla testiera del letto di Leslie. – Che bambini – commenta, scuotendo lentamente la testa.
Si siede accanto a me con un sospiro e mi passa le dita tra i capelli, cercando di sciogliere i nodi causati dalla lotta.

Gli altri Intrepidi, Oliver e i due Candidi sono rimasti ad osservarci perplessi per tutto il tempo.

Alla fine la ragazza con i capelli arancioni che mi ha rivolto la parola sul treno prende l’iniziativa e si avvicina a noi.
- Siete uno spasso. Sarei rimasta a guardarvi per tutta la notte – esordisce, con un sorrisetto furbo sulle labbra piene.
Allunga la mano verso di me. – Sono Melanie, ma potete chiamarmi Mel -.

Le altre due ragazze Intrepide seguono il suo esempio e si siedono sul mio letto.
Si chiamano Nora e Violet e sono cugine. La prima ha i capelli castani tagliati corti, la seconda è bionda: hanno entrambe gli occhi scuri, color mogano.
Stranamente, non hanno segni distintivi particolari, ovvero piercing e tatuaggi.
Mi sembrano molto simpatiche e socievoli, a differenza dei loro compagni maschi, che rimangono a distanza e non ci rivolgono la parola.

Vengo a sapere i loro nomi da Melanie: quello alto è Blake, il biondo con i rasta è Scott, mentre il terzo, dai capelli color rubino, si chiama Roger. Hanno scelto dei letti a castello vicini e stanno discutendo animatamente tra loro.

Oliver – l’Erudito antipatico – sembra aver stretto amicizia con i due Candidi, di cui ancora ignoro l’identità.
Il trio si è installato all’altro lato della stanza, il più lontano possibile da noi.
Non posso che esserne contenta.
Se penso che fra non molto dovrò scontrarmi con loro, ho già i brividi.
Sono tutti più alti e muscolosi di me, non sarà per niente facile batterli.

Però ho sedici anni di lotte con i miei fratelli alle spalle, perciò non sono del tutto priva di esperienza in materia.
Dovrò solo affinare la tecnica.

Guardo gli Intrepidi seduti vicino a me: loro non saranno miei avversari durante i combattimenti.
Mi sento già più sollevata.

E’ la prima volta che mi sento a mio agio in mezzo a un gruppo di persone sconosciute, come se sentissi una sorta di legame, un’affinità che ci accomuna.

Con le mie amiche Erudite ero in confidenza, certo, ma tra noi c’era anche parecchia competizione per ottenere i migliori risultati nei test scolastici.
A causa della pressione e dell’ansia, a volte finivamo per litigare furiosamente.

Sento un sorriso farsi strada sul mio volto.

Io sono un’Intrepida, questa è la mia vera casa e farò di tutto per dimostrare di esserne degna.






 
- - - - - - - - - - - - - -

Ecco a voi il mio sclero post-esame, ovvero il nuovo capitolo ;)
Ero molto in sintonia con l’irritazione di Eric oggi, quindi ho voluto accontentare le sue fan con un bel pezzo narrato dal suo punto di vista ;) fatemi sapere che ve ne pare!
L’ispirazione me l’ha data anche l’incontro ravvicinato con uno Shadowhunter: non sto scherzando, il ragazzo in questione era vestito di nero dalla testa ai piedi e assomigliava in modo impressionante a come mi immagino Will Herondale… pazzesco!
Ok, va bene, cambiamo discorso sennò non la finisco più ;)
Domanda: sono curiosa (che novità!)… qual è la vostra frase/scena preferita della storia, almeno fin qui? Cosa vi ha emozionato di più? ;) rispondete se potete, ci tengo molto ;)
Un bacio a tutti,
Lizz
p.s. il titolo è un piccolo tributo agli Imagine Dragons e alla loro canzone ;)

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Capitolo 11
*** Fight fire with fire ***




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Capitolo 10


Zelda



Guardo la pistola che Quattro mi ha appena piazzato tra le mani come se fosse una specie di pianta carnivora pronta a sbranarmi al minimo movimento.

Ho letto parecchi libri sulle armi, è un argomento che mi ha sempre affascinato.
Io e Damien, il mio terzo fratello in ordine di età, da bambini ci divertivamo a costruire finti fucili per giocare agli Intrepidi.
Nostro padre si arrabbiava, dicendo che non avevamo un briciolo di rispetto per il suo lavoro e che saremmo diventati dei delinquenti: ammetto che forse aveva ragione a infuriarsi e a prenderla sul personale, in fondo vedeva ferite da arma da fuoco ogni giorno e non doveva essere uno spettacolo piacevole.

Sospiro pensando a Damien.

Lui è l’unico che mi facesse sentire parte della famiglia, o almeno ci provava.
Da piccoli eravamo inseparabili: assieme a nostro cugino Travis formavamo un trio molto affiatato, inventavamo mille giochi e ci divertivamo un sacco.

Tutto è finito con la morte della mamma.
Damien è diventato sempre più freddo nei miei confronti, ha cominciato ad ignorarmi perfino a cena e, in seguito, ha accettato un incarico che lo ha portato ad andare ad abitare nella zona più lontana del quartiere degli Eruditi.

Dopo la morte di mia madre, questa è stata la cosa che mi ha ferito di più.
Credevo mi volesse bene, che fosse un alleato oltre ad un fratello, invece mi ha abbandonata senza mai voltarsi indietro.
Travis ripeteva in continuazione che non era colpa mia, che l’aveva fatto perché non riusciva a sopportare di starmi vicino, perché assomigliavo troppo alla mamma, a cui Damien era attaccatissimo.

È vero, la sua morte ha sconvolto lui più di tutti gli altri miei fratelli messi assieme.
Ma anche io soffrivo ed ero la più piccola, avevo solo sette anni.
Avrebbe potuto esprimere quello che provava, sfogarsi con me come faceva abitualmente quando nostro padre lo sgridava.
Avremmo dovuto parlarne, invece ha preferito scappare come un codardo, lasciandomi in mezzo a quei dottori pazzi.

La frustrazione si accende dentro di me come se avessi gettato un fiammifero su un cumulo di polvere da sparo.

La pistola è pesante, devo sostenerla con entrambe le mani per tenerla alzata davanti al viso.
Imito la posizione che Quattro ci ha appena illustrato – gambe divaricate e braccia parallele al terreno – e premo il grilletto.

L’arma rimbalza all’indietro e per un soffio non mi colpisce la guancia.
Il rumore prodotto dal colpo minaccia di perforarmi i timpani.
Con uno sbuffo di irritazione noto che il mio proiettile non ha nemmeno sfiorato il bersaglio.

Al mio fianco, Leslie sta tendendo la pistola il più lontano possibile da sé e non ha ancora sparato un colpo.
Posso solo immaginare cosa voglia dire per una Pacifica, che è vissuta con la convinzione che le armi siano la più grande sciagura dell’umanità, tentare di superare questa avversione per la violenza. Dovrà gettarsela alle spalle, se vuole rimanere negli Intrepidi.

E poi, chissà cosa l’ha spinta a sceglierli.
La guardo con la coda dell’occhio: un giorno o l’altro glielo chiederò.

Quattro sta passando in rassegna ogni trasfazione, lanciando commenti sarcastici verso Oliver, che ha quasi atterrato con un braccio uno dei Candidi - Paul lo chiama –, dopo il contraccolpo dovuto allo sparo. L’istruttore scuote la testa e il suo cipiglio si fa sempre più cupo man mano che si avvicina a noi ragazze.

Leslie non ha ancora premuto il grilletto, nemmeno una volta, perciò posso solo immaginare le parole dure che lui le rivolgerà tra pochi secondi.
Io, almeno, sono riuscita a centrare il bersaglio al terzo colpo.

Devo escogitare un diversivo, almeno per distogliere l’attenzione da lei quando basta per darle il tempo di prendere coraggio.

Questo non è il posto adatto ai deboli, Zelda. Forse è arrivato il momento di farlo capire anche a Leslie.
Non sopravvivrà se continua a comportarsi come una bambina impaurita.


Do un calcio mentale alla mia coscienza, serrando i denti.

Potrà anche aver ragione, in un certo senso, ma io voglio bene a Leslie e non intendo voltarle le spalle proprio quando il gioco si fa duro.
Non sono mica crudele come Eric.

Quando lei incrocia il mio sguardo, vedo che ha la fronte ricoperta di sudore.
Mimo con le labbra la parola ‘diversivo’ e premo il grilletto proprio quando Quattro è a due passi da me, puntando la pistola contro la parete, senza uno scopo preciso.

In quell’istante, la porta del poligono si apre e sento una morsa di terrore serrarmi lo stomaco.
Non ho preso la mira prima di sparare, ma non credevo neanche che potesse succedere.

In una frazione di secondo, il mio proiettile colpisce la parete dietro ai bersagli e rimbalza più volte, finendo per conficcarsi esattamente sulla parte superiore della porta.

A due centimetri dalla testa di Eric.

Stringo convulsamente la pistola e inizio a prepararmi ad una morte lenta e dolorosa.
Questa volta non lascerà perdere, ne sono più che sicura.

La sua espressione è imperscrutabile.

Alza gli occhi verso il proiettile e poi li posa su ognuno di noi, fino a soffermarsi sulla pistola tra le mie mani.
Affila lo sguardo e incrocia minacciosamente le braccia. – Bene, bene – comincia, in tono abbastanza controllato.
La vena che gli pulsa sul collo dice tutto il contrario.

– Pensavo dovessi insegnargli a sparare, non riesci neanche a portare a termine un compito così semplice? – sibila, avvicinandosi a Quattro e guardandolo a due centimetri dal volto. – Mi aspettavo che perfino un buono a nulla come te riuscisse a controllare dei sedicenni, ma a quanto pare mi sbagliavo -.

Sputa fuori le ultime parole in tono acido e poi si volta e punta un dito contro di me. – E tu, ragazzina. Non provare a farlo di nuovo, se non vuoi che ti usi come mio bersaglio personale. Ti assicuro che mi divertirei -.
Ha gli occhi ridotti a fessure, sembrano lampeggiare di furia a stento repressa. – Per oggi avete finito con le armi. Nel pomeriggio comincerete ad allenarvi per i combattimenti corpo a corpo. Andate! – ringhia.

I miei compagni appoggiano le pistole sul tavolo al centro della stanza e sfrecciano oltre la porta.
Io so bene che non ha ancora finito con me, perciò rimango ferma dove sono.

I lampi prodotti dalle sue iridi grigie sembrano trapassarmi da parte a parte quando ricomincia a parlare. – Visto che ti piace così tanto giocare con le armi, rimarrai qui durante la pausa pranzo – ordina, indicando gli armadietti posti lungo il lato opposto ai bersagli. – Quattro ti mostrerà come fare. Pulisci ogni singola pistola, mi aspetto di vederle brillare -.

Io annuisco, non mi azzardo a rispondergli questa volta.
In confronto a questo, la sua reazione di ieri vicino alla ringhiera può essere definita come un dolce buffetto sulla guancia.

Ora so per certo quanto si è trattenuto. Ora ho davvero paura di lui.

Lui non sembra sorpreso dalla mia remissività.
Fulmina Quattro e me con un’altra occhiata furiosa e poi esce a grandi falcate dal poligono.

Mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo quando la porta si chiude pesantemente alle sue spalle.
Adesso è il turno del mio istruttore, mi aspetta un’altra predica.

Tuttavia quando prendo coraggio e lo guardo in faccia, noto che sta sorridendo. – Dovrei sgridarti, Zelda. Lo sai, no? – chiede, alzando le sopracciglia fin quasi all’attaccatura dei capelli.

Io annuisco e abbasso gli occhi sulle mie scarpe.

- Bene – esclama lui di colpo, facendomi sussultare.

Rialzo la testa di scatto. Non ha smesso di ridacchiare. – Visto che sai di aver sbagliato, non serve che aggiunga altro. Vieni, ti mostro cosa devi fare -.
Si dirige verso uno degli armadietti e lo apre.

Io lo seguo. – Ma ho quasi colpito una persona – ribatto, perplessa. – Non dovresti punirmi, o qualcosa del genere? -.

Quattro non perde l’espressione divertita. – Ti è già stata assegnata una punizione, penso che possa bastare – replica, tirando fuori alcuni astucci e impilandoli uno sull’altro. – Inoltre, non stavi per colpire una persona -, il suo sorriso si fa più ampio, - stavi per colpire Eric -.

Calca il nome come se pronunciarlo gli lasciasse un sapore amaro in bocca.
Mi guarda con serietà, ora. – La prossima volta che vuoi creare un diversivo per proteggere la tua amica dai miei rimproveri e vedi Eric nei paraggi -, apre di scatto una custodia e mi passa l’arma, con un ghigno perfido sul volto – fammi un favore: assicurati di non mancarlo -.



 
* * *
 

Eric



Esco dal poligono prima di mettere le mani addosso ad uno dei due.

O a tutti e due.

Sono talmente furioso che potrei prendere fuoco da un momento all’altro, come una spugna imbevuta di benzina. 

Metteresti volentieri le mani addosso all’Erudita, e sappiamo bene entrambi che non sarebbe per farle del male.

Dannazione a me e ai miei pensieri fuori controllo!

Credevo di potermi dimenticare in fretta di questa ragazzina che da ieri si è insinuata nella mia mente come una lunga spirale di fumo tossico.
Invece la curiosità malsana che provo nei suoi confronti mi fa percepire la sua presenza a un chilometro di distanza, neanche fosse una lampada in mezzo all’oscurità.

Nemmeno due ore di duro allenamento in palestra mi hanno aiutato a rilassarmi.

Mi sono svegliato con un mal di testa atroce e ora ci si mette pure quella mocciosa che tenta di uccidermi!

Se si fosse trattato di un altro iniziato, avrei seriamente considerato la possibilità di appenderlo al soffitto per le caviglie, tanto per sfogarmi un po’.

Ma quando si tratta di lei non ragiono lucidamente come vorrei.

Perfino Quattro deve essersi accorto di quanto poco ho sfruttato il mio potere, visto che infliggere torture è sempre stato il mio passatempo preferito.
Il sorrisetto che aveva sul volto la diceva lunga.

Non posso permettermi errori, sono un Capofazione, accidenti.
Non posso lasciarmi influenzare da un bel paio di gambe o da quegli occhi così espressivi.
Non devo pensare a quanto quella ragazza sia attraente e nemmeno a quanto fosse sexy con quell’arma tra le mani.

Disgustato da me stesso come non accadeva da tempo immemorabile, mi dirigo verso la mia stanza.
In questo momento non sono dell’umore adatto per affrontare quella mensa affollata.

Mi irrigidisco di colpo quando noto una figura familiare appoggiata alla parete, a poca distanza dalla porta che conduce al mio appartamento privato.

- Che vuoi? – l’apostrofo in tono brusco.

Josie scuote la folta chioma ramata con un gesto che vuole essere sensuale e che, invece, ottiene l’effetto opposto: mi da il voltastomaco.

So perfettamente cosa vuole, non è una novità.
Si presenta alla mia porta quasi ogni settimana, cercando di sedurmi.
Una volta era talmente ubriaca che ho dovuto portarla di peso in infermeria.
Non so perché lo faccia, cosa spera di ottenere?  

Magari ti vede come una sfida interessante e vuole solo divertirsi un po’.

Lei si avvicina a me, facendo ondeggiare i fianchi, e mi passa un dito sul mento. – Sbaglio, o sei un po’ nervoso, Eric? -.
La sua voce acuta mi ferisce le orecchie come carta vetrata.
Sfoggia un sorriso languido e si sporge verso di me con quel fare civettuolo che tanto detesto. – Hai bisogno di rilassarti. Il lavoro di un Capofazione è così stressante -.

Tu sei stressante, vorrei commentare, ma mi trattengo.

Forse ha ragione.

Forse il tipo di divertimento che ha in mente lei è proprio quello che mi serve in questo momento.

Abbasso gli occhi e la guardo. – Quindi, cosa vorresti propormi? – sussurro, alzando un sopracciglio.
Potrei sempre aver interpretato male le sue intenzioni…

Quando mi afferra per i fianchi e si alza sulle punte per cercare di baciarmi, capisco di aver interpretato benissimo.
Mi scosto prima che possa avvicinarsi di più. – Possiamo divertirci insieme, Josie, ma alle mie regole – ribatto, in tono fermo.

Lei fa per protestare, ma sotto il mio sguardo d’acciaio si arrende.
Sa perfettamente quanto poco mi piacciano le smancerie.
Se vuole venire a letto con me si deve adeguare, prendere o lasciare.

- Niente baci -. La mia voce è inflessibile. – Chiaro? -.

- Tutto quello che vuoi, Eric – replica lei, strusciandosi contro di me con fare provocante.

Lei non è attraente come quella trasfazione – anzi, per essere precisi Josie è attraente quanto un letto di chiodi – ma per il momento mi accontento.

Spengo il cervello e mi lascio trascinare all’interno della stanza.



 
* * *
 
 

Zelda



Seguo ogni mossa di Quattro, cercando di memorizzare tutti i passaggi al primo colpo.  

So già come si smonta una pistola, ho studiato centinaia di libri sulle armi assieme a Damien, ma non voglio rischiare che il mio istruttore lo venga a sapere.
Potrebbe iniziare a farmi domande a cui probabilmente preferirei non rispondere.

Mi concentro sul lavoro che sto facendo per non lasciar vagare la mente a briglia sciolta.
Primo passo, scaricare l’arma.
Faccio slittare indietro il carrello, sfilo il caricatore e controllo che non ci sia il colpo in canna.
Secondo passo, rimuovere un pezzo alla volta con delicatezza.
Rilascio la slitta, rimuovo il blocco, separo il carrello dal corpo centrale della pistola, tolgo la molla e, infine, sfilo la canna.
È più facile eseguire manualmente i vari passaggi che spiegarli ad alta voce.
Poi procedo con la pulizia.

Quattro rimane ad osservare i miei movimenti con cipiglio critico, ma non trova nulla da ridire.
La sua voce cavernosa spezza il silenzio che si è protratto per quasi un quarto d’ora.

- Ci sai fare con le armi – commenta, in tono neutro.

Faccio finta di nulla, alzo le spalle e continuo a tenere gli occhi puntati sul pezzo che tengo tra le mani.

- Di solito le ragazze trasfazione hanno paura, non riescono nemmeno a toccare una pistola senza rabbrividire – continua, incrociando le braccia muscolose.
Sento i suoi occhi azzurri trapanarmi il cranio.

- A mio fratello piacevano le armi – confesso alla fine, per farlo smettere.
Detesto i complimenti e reagisco male quando qualcuno me ne fa uno.
Meglio tagliare corto. – Ho letto parecchi libri sull’argomento, tutto qui -.

Lui annuisce e accenna un sorriso sghembo. – Interessante – mormora, quasi tra sé. - Forse comincio a capire -.

Mi fermo di botto e lo guardo dritto in faccia. – Capire cosa? –.

- Il motivo per cui Eric ti tratta in modo diverso dalle altre persone –.

Mi occorre un minuto buono per digerire la frase. – Non so di cosa parli – ammetto con un filo di voce. – Mi ha minacciata, mi ha urlato contro, mi ha punita. Non fa così con tutti? -.

Quattro estrae l’ennesima arma dall’armadietto accanto a sé. – Sì, ma con te è diverso. Credo si sia reso conto che non lo temi come fanno gli altri iniziati. Lo hai sconvolto –.

- Eric non sembra il tipo di persona che si sconvolge facilmente – borbotto, ripensando al nostro battibecco vicino allo strapiombo.
Cerco di cambiare discorso. – Sembri conoscerlo bene. Siete amici? -.

Il mio istruttore mi fissa come se l’avessi appena insultato. – Certo che no. Ma abbiamo fatto l’iniziazione insieme, l’anno scorso. Eravamo entrambi trasfazione -.

Ora tocca a me essere sconvolta. – L’anno scorso? – esclamo, spalancando gli occhi.

Quindi Eric ha solo un anno più di me? Non ci credo.

Quattro, però, annuisce. – Temo non mi abbia ancora perdonato di averlo battuto -.
Non aggiunge altro, ma capisco cosa vuole dire.

- Sei arrivato primo – completo al posto suo. In un certo senso me l’aspettavo. – E allora perché i Capifazione non hanno scelto te, invece di Eric? Si sarebbero risparmiati un sacco di problemi -.

Il suo sorrisetto si allarga. – A me quel posto non interessava -.

- Preferisci addestrare le reclute? – chiedo, in tono scettico. - Ora capisco perché sei arrivato primo, di certo il coraggio non ti manca -.

Lui non risponde, è troppo impegnato a fissarmi.
Le sue sopracciglia ormai sono diventate un tutt’uno con i capelli.
Non capisco cosa ho detto di così sconcertante, finché non abbasso gli occhi sulle mie mani.

Ho rimontato una pistola pezzo per pezzo senza neanche accorgermene.

Quattro ha un’espressione talmente sbalordita che per poco non scoppio a ridere. - E pensare che non te l’avevo ancora mostrato – mormora, leggermente deluso, rimettendo l’arma nel fodero. – Ce l’hai nel sangue. Mi aspetto grandi cose da te, Zelda -.

Sento che sto per arrossire, per cui abbasso lo sguardo sul tavolo.
Ricompongo tutte le armi e aiuto il mio istruttore a collocarle negli armadietti al loro posto.

Ormai la pausa pranzo è quasi terminata, ma ci dirigiamo ugualmente verso la mensa.
Camminiamo vicini, senza parlare, mentre percorriamo i corridoi bui della residenza.

D’un tratto, una porta a pochi passi da noi si apre ed esce una ragazza Intrepida ridacchiando.

Ha i capelli lunghi, rosso scuro, e indossa una minigonna talmente corta che, se si chinasse, potrei facilmente intravedere la sua biancheria intima.
Ammesso che la porti.

Quando nota la nostra presenza, si affanna a sistemarsi i vestiti e ad abbottonare quella striminzita camicetta nera che le lascia i fianchi scoperti.

Il suo aspetto non lascia molto all’immaginazione, si capisce benissimo quale sia stata la sua attività nell’ultima ora, o più.

E non fa nulla per nasconderlo. Che ragazza volgare.

Disgustata, le passo accanto senza degnarla di un’ulteriore occhiata.

Al mio fianco, Quattro si irrigidisce quando lei lo saluta con una mano dalle unghie lunghe e dipinte di un rosso acceso.
- La conosci? – chiedo, in tono indifferente.
Lui fa un brusco cenno del capo per confermare la mia supposizione.

Proprio mentre stiamo per arrivare al Pozzo, sento distintamente una porta sbattere e mi volto in modo automatico per cercare la fonte del rumore.

Ora la ragazza dai capelli rossi non è più sola nel corridoio.

Al suo fianco è comparso Eric.

Si sta sistemando la maglietta nera sul petto muscoloso e fa un mezzo sorriso quando lei si aggrappa alle sue spalle in modo civettuolo, spalmandosi su di lui con tutto il corpo.

Potrei vomitare.

Mi sto per voltare di nuovo, per togliermi da davanti agli occhi quella scena ripugnante, quando i suoi occhi grigi si spostano dalla ragazza a me, in una frazione di secondo.

Non perdo tempo a decifrare la sua espressione.
So solo che la mia è ironica, sprezzante e schifata.

Giro il viso e continuo a camminare.

Quando sono ormai a distanza di sicurezza dalla coppietta, faccio un respiro profondo.

E maledico me stessa per l’amarezza e la delusione che sto provando.






 
 
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Ciaooo ;) Ecco a voi il nuovo capitolo!!!
ora la storia comincia a farsi più interessante, non trovate? ;)
che ne pensate? Scrivetemi in molti, mi fa piacere conoscere i vostri pareri ;)
Il pensiero di Zelda ‘Potrei vomitare’ è un omaggio alla frase preferita di Piton in HP, l’ho trovata perfetta per la situazione xD anche perché Severus è uno dei miei personaggi preferiti *.*
Spero di riuscire a postare presto!! Farò del mio meglio ;)
Un bacio,
Lizz

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Capitolo 12
*** Hard out here ***





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Capitolo 11

 


Zelda




Quando raggiungiamo la mensa, gli altri hanno già pranzato e si stanno contendendo le ultime fette di dolce.

Quattro ed io ci sediamo vicini, davanti a Leslie, che fa sparire in fretta la torta non appena mi vede arrivare.

Le sorrido mentre prendo posto e Xavier, che se ne sta appollaiato sopra al tavolo, ci passa un vassoio pieno di panini. – Li abbiamo sgraffignati apposta per voi – sussurra con fare cospiratorio.

Io ne prendo due e passo il resto al mio istruttore.
Non so perché continua a sedersi al nostro tavolo, forse non ha molti amici all’interno della fazione.

Felix mi lancia un’occhiata desolata. – Giornata dura, eh? –.

- Così sembra – borbotto, dando un piccolo morso al pane.
La scena a cui ho appena assistito sembra avermi fatto passare del tutto l’appetito.

- Ed è appena cominciata – esclama Quattro, in tono stranamente allegro.
È la prima volta che lo vedo così rilassato.
Forse non è severo e tenebroso come me lo sono immaginato.
Con me finora è stato gentile, un adorabile cucciolo rispetto a quel serpente di Eric.

Mastico il boccone, fantasticando di gettare il Capofazione dagli occhi grigi nel baratro in dieci modi diversi.
Non capisco perché ce l’abbia a morte con noi iniziati. Ha soltanto un anno in più e pure lui era un esterno.

Chissà da che fazione proviene: a giudicare dai suoi modi pratici e calcolati, direi gli Eruditi, eppure non mi sembra di averlo mai incrociato nel quartiere.

Di certo non era un Abnegante.

Al solo pensiero di Eric vestito di grigio, in atteggiamento umile e altruista, comincio a ridacchiare.
Gli altri mi fissano incuriositi.

- Mi sa che tutte quelle armi ti hanno dato alla testa – commenta Xavier, alzando gli occhi al cielo.

- Armi? Oh, qui sì che si ragiona! – esclama una voce entusiasta sopra la mia testa.

Mi volto per vedere a chi appartiene e incrocio lo sguardo di un Intrepido più grande, dalla pelle scura, decisamente carino.

Lui mi rivolge un sorriso abbagliante. – Vi spiace se mi siedo con voi? Agli altri tavoli fanno solo discorsi noiosi! -.

- Ehi, Zeke! – fa Quattro, scostandosi per concedergli di sedersi sulla panca.
L’altro gli da il cinque e prende posto. Mi è praticamente appiccicato, ma non mi lamento.

È solare, simpatico, irradia la sua gioia di vivere a metri di distanza come un calorifero.
Non lo conosco, ma lo adoro già.

- Loro sono gli iniziati di quest’anno – spiega Quattro, presentandoci uno ad uno.

Zeke ci fa un cenno, senza smettere di sorridere. – Ah, carne fresca, dunque. E cosa ne pensate del vostro istruttore? Avete già voglia di strozzarlo? – chiede, ammiccando.

Quattro rotea gli occhi e noi scoppiamo a ridere.

Zeke intavola un’accesa conversazione su armi e caricatori con Xavier, mentre Felix spara una raffica di domande sull’iniziazione a Quattro, che gli risponde a monosillabi mentre mastica il panino.

Leslie ne approfitta per parlarmi all’orecchio. – Grazie per prima – sussurra. – Mi dispiace tanto di averti fatto passare un guaio con Eric. Lui è così…terrificante -.

- Già – annuisco, dandole un pugno per scherzo. – Ma almeno ho imparato a pulire una pistola. Sospetto che mi tornerà utile in futuro -.

Leslie fa un piccolo sorriso tentennante. – A proposito di armi… volevo chiederti un favore -.
Sospira e continua in tono timido. – Io sono una frana in tutto, ma tu sei brava, ti viene naturale, non potresti…darmi una mano? -.
Pronuncia le ultime tre parole in tono talmente fievole che devo chinarmi verso di lei per udirle.

Mollo di scatto il panino, che cade sul piatto con un tonfo sordo.
Mi allungo sul tavolo, le prendo il viso tra le mani e la fisso dritto negli occhi. – Ascoltami bene – esordisco, in tono autoritario. – La devi smettere di sminuirti. Ho sempre creduto che i Pacifici fossero dei rammolliti, ma poi ho conosciuto te e mi sono dovuta ricredere. Non osare mai più darti della ‘frana’, perché, se lo fossi davvero, non saresti mia amica. A me non piacciono le persone deboli -.

Leslie ha le labbra spalancate. – Quindi…siamo amiche? Veramente? –.
Quando mi vede annuire, il suo volto si riempie di felicità.
Mi abbraccia di slancio e io le accarezzo i capelli.

I ragazzi si sono voltati a guardarci, perplessi e incuriositi.  

Una voce sarcastica, alle mie spalle, interrompe la gioia del momento.

- Che quadretto toccante -.

Sento il sangue ribollire al suono di quel tono ironico e sprezzante.
Mi volto lentamente per non cedere alla tentazione di alzarmi in piedi e lanciarmi su di lui.

Eric è appoggiato con la schiena alla parete e mi sta guardando.
I piercing sul suo labbro inferiore catturano la luce quando sorride. – Ho esaminato il tuo lavoro, iniziata –.

Anche io ho notato gli effetti del tuo, vorrei rispondere, ripensando agli abiti spiegazzati della ragazza dai capelli rossi.

– Accettabile – aggiunge lui. – Ma la prossima volta che tenti di colpirmi non sarò così generoso con la punizione -.

Fa un cenno a Quattro e Zeke e si volta per uscire dalla mensa.

Oh no, non così in fretta, caro mio.

- Mi chiamo Zelda – replico, in tono educato.

Mi da fastidio essere apostrofata con il nome di ‘iniziata’ in continuazione.
Non mi importa se lui è un Capofazione.
Potrebbe anche essere il Re degli Intrepidi: farà meglio a tenere a mente il mio nome, perché sarò la sua spina nel fianco per tutto il tempo in cui resteremo in contatto.
Qualcuno dovrà pur tenerlo con i piedi per terra e fargli perdere un po’ di quel suo atteggiamento da megalomane.

– E, tanto per la cronaca, se avessi davvero voluto colpirti, ora saresti morto – concludo, con un sorriso per sminuire l’effetto delle mie parole.
Non ho usato un tono offensivo, per cui non ha motivo di prendersela.

I gemelli si girano a fissarmi con la bocca aperta e così fa anche Zeke.
Quattro, invece, continua a mangiare il panino come se niente fosse, ma gli angoli delle sue labbra tradiscono un ghigno.

Eric riporta i suoi occhi su di me con studiata lentezza.
Le lunghe ciglia bionde che fanno da contorno alle iridi grigie lo fanno assomigliare ad una lince arrabbiata. – Ti prendi gioco di me, mocciosa? –.

- Chi, io? No, non mi permetterei mai – rispondo, sbattendo le palpebre con aria innocente.

Corruga la fronte davanti al mio sorriso, sembra incerto.

Eric, incerto? Impossibile.
Forse sta solo meditando l’ennesimo piano diabolico per farmi pagare la mia sfacciataggine.

- Sarà meglio – sibila alla fine. – E ora sbrigatevi, non ammetto ritardatari agli allenamenti -.

Senza aggiungere altro, si allontana ed esce dalla mensa come un fulmine.

- Wow -.
Zeke scandisce l’esclamazione lettera per lettera, mentre rimane a fissarmi, gli occhi color nocciola spalancati.
– Ragazza, sei una forza della natura. Non ho mai incontrato nessuno che osasse ribattere in quel modo ad Eric -.

Quattro parla con la bocca piena. – C’è sempre una prima volta – dice, inclinando il capo da un lato.
Mi guarda con un’espressione orgogliosa, da fratello maggiore.

Zeke si sposta più vicino a me, praticamente mi abbraccia. – Ti prego, dimmi che sei single! Noi due siamo fatti l’uno per l’altra -.

Io e Leslie ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
Il suo modo di fare è troppo simile a quello di qualcuno di nostra conoscenza.

E infatti, - Mettiti in coda, amico, l’ho vista prima io! – esclama Xavier, dandogli una gomitata.

L’unica cosa che posso fare è imitare Felix e alzare gli occhi al cielo.



 
* * *
 

Eric



L’ora passata con Josie non è servita a farmi dimenticare la mia ossessione compulsiva per quell’odiosa ragazzina.

Ovunque mi giri, ovunque vada, me la ritrovo davanti agli occhi.
E se non la incontro per caso, faccio di tutto per trovarla, a costo di sembrare uno di quegli idioti vittime degli ormoni.  

E per quale motivo, poi?
Solo perché è bella?

No, non credo. Se devo essere oggettivo, la sua amica è molto più carina.

Ma non ha quella forza interiore che tanto mi attrae nell’Erudita.

Zelda, mi correggo. Dovrò cominciare a chiamarla per nome, perlomeno nella mia testa.  

Se iniziassi a pensare a lei in modo pragmatico, come se fosse una delle tante ragazze della residenza, forse perderebbe un po’ del potere che sembra esercitare su di me.

È come un rebus, un problema da risolvere.
Finché non avrò scoperto cosa si cela sotto la superficie, non sarò contento e non riuscirò a togliermela dalla testa.

E cosa ti fa credere che ci sia qualcosa da scoprire?

Lo so e basta.

Potrebbe essere solo una sciocca ragazza, come tutte le altre, una per cui non vale la pena perdere tempo, né energie.

NO!

La mia coscienza tace di colpo dopo il mio ringhio mentale.

Zelda potrà anche essere seccante e sfacciata - una vera e propria vipera, insomma -, ma di certo non è superficiale o noiosa come il resto del genere femminile in cui mi sono imbattuto finora.

Nasconde qualcosa.
Sarà divertente portare alla luce i suoi segreti.

Si può sapere perché lo fai, Eric?

La mia voce interiore parla in tono stanco ed esasperato: non è abituata ad essere sconfitta e messa da parte.  

Non rispondo alla provocazione, anche perché, a dire la verità, non so nemmeno io perché sto facendo tutto questo.

Solo per curiosità?
Per noia?
Non mi vengono in mente altri motivi.

Mi dirigo in direzione della palestra dove avranno luogo gli allenamenti dei trasfazione.
Ormai ho rinunciato a seguire l’iniziazione degli interni, ma dubito che sentano la mia mancanza.
Sapranno cavarsela benissimo anche senza di me.

Mi siedo a cavalcioni su una delle sedie di legno disseminate lungo la parete e appoggio gli avambracci sullo schienale.
Da questa posizione potrò osservare le mosse di ogni singolo iniziato.  

Dopo neanche dieci minuti, la porta della stanza si apre, lasciando passare quell’imbecille di Quattro.
Lui non sembra sorpreso di vedermi: mi passa davanti senza degnarmi di uno sguardo e si piazza accanto alla lavagna di ardesia, sulla quale inizia a scrivere i nomi dei trasfazione.

Non ho idea del perché lo stia facendo adesso, visto che i combattimenti avranno luogo domani.
Tuttavia ne approfitto per impararli a memoria e studiare le combinazioni migliori per gli scontri.
Sarebbe interessante mettere quelle due ragazze una contro l’altra, me lo appunto mentalmente.

La porta si apre nuovamente e gli iniziati fanno il loro ingresso.
Come al solito, i miei occhi passano svogliatamente in rassegna tutti e cinque, rimanendo infine catturati dalla ragazz…da Zelda.

Analizzo il suo corpo, mentre si posiziona accanto ad uno dei sacchi neri da pugilato, in attesa della spiegazione di Quattro.
È magra, ma non del tutto priva di muscoli. Se è riuscita ad eseguire quell’acrobazia, nel bel mezzo di un salto da un treno in corsa, non deve essere del tutto fuori allenamento.

Avrà seguito uno dei corsi di ginnastica promossi dagli Eruditi: anche io ne avevo frequentato uno in vista della Scelta.
E devo dire che mi è stato parecchio utile.

Quattro illustra i vari modi per sferrare calci e pugni, poi li lascia provare da soli.

Nessuno sembra avermi notato, non sarebbero così rilassati se sapessero che li sto guardando.
Forse sono diventato tutt’uno con le ombre dell’angolo senza rendermene conto.

Non che a me importi molto degli altri quattro.
Io sono qui solo per Zelda.

La ragazza mi da le spalle e sta di fronte al sacco, la schiena dritta e le spalle rigide.
Mi infastidisce non poter vederla in viso, vorrei decifrare le sue espressioni e studiare i suoi movimenti allo stesso tempo.  

Comincia a colpire il cuoio, ma i suoi pugni non spostano il sacco di un millimetro.

Alzo gli occhi al cielo: come spera di riuscire a battere quegli energumeni dei suoi compagni con affondi così deboli?

Con i calci se la cava meglio, devo ammetterlo.
Se punta su quelli, forse avrà qualche possibilità di vincere le lotte in programma.

Quattro sta esaminando la ragazza Pacifica, che mi sembra piuttosto goffa e scoordinata.

A cosa diavolo stava pensando quando ha scelto di venire a vivere tra gli Intrepidi?
Doveva rimanere a ballare in mezzo ai campi, assieme ai suoi amichetti svampiti.
Finirà dritta tra gli Esclusi con un biglietto di sola andata.

Quando Quattro le corregge la posizione delle braccia, sfiorandola appena, lei sussulta e arrossisce.
Lui non sembra farci caso, continua a mostrarle pazientemente i giusti movimenti e darle suggerimenti per migliorare.

Dalle labbra mi esce un grugnito.
Non approvo questi metodi troppo gentili nei confronti delle nuove reclute: devono diventare dei guerrieri, non dei rammolliti.

L’istruttore dei miei stivali sembra aver percepito il mio verso di disapprovazione, perché smette di prestare attenzione alla Pacifica e si volta verso di me.

È forse un ghigno quello che vedo comparire sul suo detestabile volto?
Rimango confuso, con le sopracciglia aggrottate, non capisco le sue intenzioni.

Lui distoglie in fretta gli occhi da me e li posa sull’Erud…su Zelda.

Si avvicina lentamente a lei, per correggere la sua posizione proprio come ha appena fatto con l’altra trasfazione, ed io sento una fitta di fastidio scuotermi da capo a piedi.

Non voglio che la tocchi, il solo pensiero mi da la nausea.

Prima che il mio cervello logico e pragmatico possa intervenire e dissuadermi, sono già scattato in piedi e mi sto avvicinando ai due.

Non perdo tempo ad analizzare la mia reazione quasi automatica, in questo momento mi importa solo di impedire che le schifose mani di Quattro si posino su Zelda.

Non lo voglio nemmeno a due millimetri da lei: spetta a me risolvere il mistero che aleggia su quella ragazza, ormai è diventata una questione di orgoglio personale.

Di solito ottengo sempre ciò che desidero, ad ogni costo e con ogni mezzo, lecito o meno.
Ostacolarmi diventerebbe sinonimo di morte certa.

Quattro alza un sopracciglio quando mi vede arrivare a passo di carica.

La sua espressione ironica non mi piace per nulla, gli spaccherei volentieri la mandibola, tanto per fargli perdere quell’insopportabile sorrisetto che ha come unico obiettivo quello di mandarmi fuori dai gangheri.

- A lei ci penso io – dico, alzando una mano per fermarlo prima che possa accostarsi troppo alla ragaz…a Zelda.

Lui non sembra affatto sorpreso dalle mie parole, quasi si aspettasse questa mia reazione ai limiti dell’assurdo.

Alza le spalle e si fa da parte. – Come vuoi – risponde, mentre torna sui propri passi per controllare i tre ragazzi, che si stanno sfogando sui loro sacchi come se ne andasse della loro vita.

Zelda si è irrigidita di colpo al suono della mia voce, ma non si è voltata per guardarmi in faccia, come suo solito.

Riprende a colpire il cuoio con rapidi pugni, mettendoci più impegno rispetto a prima e aggiungendo un pizzico di ferocia.
Sono più che sicuro che sia un messaggio diretto a me, sta di certo fantasticando di colpire la mia faccia in quel modo.

Trattengo una risata.
Questa ragazza è proprio uno spasso.

- Finirai per distruggerti le nocche, se continui così – dico, muovendo un passo verso di lei.
Le blocco una mano a mezz’aria e la giro.
Sul dorso ci sono già delle piccole ferite, un altro paio di colpi e inizieranno a sanguinare.

- E allora? A te cosa importa? – replica lei, in tono acido.
Sfila la sua mano dalla mia, con stizza, e incrocia le braccia sul petto.
I suoi occhi di fuoco ardono nei miei. – Perché sei qui? Per irritarmi a morte? O stai forse aspettando che provi di nuovo a farti fuori per sbaglio? -.

Se il suo scopo è quello di farmi arrabbiare, non si sta impegnando a dovere.

Trovo le sue parole stranamente divertenti, devo mordermi un labbro per non ridere della sua espressione accigliata.

Questa sua vena ribelle inizia decisamente a piacermi, mi invita a provare una sorta di rispetto per lei.

Forse mi sono semplicemente stancato di tutti gli sguardi spaventati che sembrano accompagnarmi ad ogni passo.
Forse sto solo cercando un avversario che riesca a tenermi testa.
Dopo molte ricerche, credo di averlo finalmente trovato.

- Domani inizieranno i combattimenti corpo a corpo – replico, mettendomi al suo fianco.
Le nostre braccia quasi si sfiorano. – Credo che tu non voglia arrivarci impreparata. Mi sbaglio? -.

Zelda stringe le labbra. Dopo alcuni secondi scuote la testa.

- Bene, quindi sta zitta e ascoltami -. Il mio tono è freddo e autoritario, ma non sembra scuoterla più di tanto.
Ci avrei scommesso. Niente di quanto io dica o faccia sembra sconvolgerla o intimorirla come dovrebbe.

- Riprendi la posizione – ordino, mettendomi alle sue spalle.
La sommità della sua testa arriva a malapena al mio mento.
Mi chiedo di nuovo in che modo spera di mettere al tappeto uno di quei ragazzi, molto più pesanti e alti di lei.

Zelda obbedisce all’istante e alza le braccia davanti al viso come le ha mostrato Quattro.

Prima che possa muovere in avanti il pugno, la afferro per i fianchi e la immobilizzo. – Non in quel modo – esclamo, scuotendo la testa esasperato.
Poso la mia mano sopra la sua e intreccio le dita, guidando i suoi movimenti come se fossi un burattinaio.

Lei sussulta, ma non mi scaccia via.
Strano, avevo previsto almeno un calcio negli stinchi, per non dire di peggio.  

Mi assicuro che abbia memorizzato tutto, passaggio per passaggio, prima di mollarla.
Rimango a fissarla mentre riprova e non trovo nulla da ridire.
Faccio un cenno d’approvazione. – E ricordati di tenere il pollice all’interno, se tieni alle tue ossa -.

Lei si massaggia le nocche, con espressione soddisfatta.
Per un attimo sembra immersa in un mondo tutto suo, i suoi occhi sono a chilometri di distanza.

Quando li riporta su di me, però, il suo sorriso si spegne di colpo, come un falò sotto un potente acquazzone. – Suppongo di doverti ringraziare, anche se non capisco perché tu ci tenga ad aiutarmi -.

Il suo tono mi irrita.
Forse è per questo che ho smesso di operare buone azioni, nessuno le apprezza.
Al diavolo. – Eri talmente patetica, sei riuscita a muovere a pietà perfino un cuore di pietra come il mio – replico io, e non sto scherzando.

Al di là della mia curiosità nei suoi confronti, penso veramente che sia penosa.
Come un uccellino che finge di essere un feroce falco predatore.

- Ma sono anche sicuro che tu nasconda del potenziale in questo tuo corpicino esile – aggiungo, puntando un dito sulla sua fronte. – Vedi di tirarlo fuori in fretta -.

Il mio tono serio e per nulla sarcastico l’ha lasciata di stucco.

Non vedo cosa ci sia di così sorprendente.
Sarò anche spietato e crudele per natura, ma sono anche imparziale nel giudicare i miei avversari: ammiro le qualità altrui al pari delle mie, non ho problemi ad ammetterlo.

- Cerca di non deludere le mie aspettative – concludo, voltandole le spalle e avviandomi verso la porta.

Sento i suoi occhi di fuoco su di me e provo un strano senso di trionfo.







 
- - - - - - - - - - - - - - -
Ciaoooo gente ;) eccovi il nuovo capitolooo, spero vi piaccia ;) è entrato in scena il nostro Zeke, yeah!!
Eric è sempre più incuriosito da Zelda, cerca in tutti i modi di carpire i suoi segreti… ci riuscirà? Lei continuerà a tenerlo a distanza?

Continuate a seguire e lo scoprirete ;)

Nei prossimi capitoli ci saranno delle scene parecchio movimentate, perciò non perdetevele xD


Un ringraziamento speciale a fireslight, Perla Bane, Deathbat_Hunter, ele10, smelly13 per aver recensito quasi ogni capitolo, vi adoro *.*

Alla prossima avventura,
Lizz

p.s. il titolo è un omaggio alla canzone di Lily Allen (l’ho ascoltata tipo 50 volte negli ultimi giorni, ormai è un’ossessione) ;)

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Capitolo 13
*** Carry on ***




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Capitolo 12


Zelda




Fisso la mia mano destra con sospetto, come se mi avesse appena ingannata e non volesse ammetterlo.

Traditrice, penso, con un sospiro.

Il braccio che Eric ha toccato non ha ancora smesso di formicolare, neanche mi avesse colpita ripetutamente con uno stimolatore di impulsi elettrici.

Mi sdraio sul letto a pancia in giù e mi copro la testa col cuscino.

Perché l’ha fatto? Perché mi ha aiutata?

Ma soprattutto, perché solo me?
Non ha degnato gli altri nemmeno di una misera occhiata, ha focalizzato tutta l’attenzione sul mio allenamento.

Quando ho sentito la sua voce fredda sbucare da quell’angolo buio - simile ad una presenza malefica giunta apposta per rompere il mio già precario equilibrio mentale - per un attimo ho creduto di avere le allucinazioni.

Lo fa apposta?

Non faccio neanche in tempo a rilassarmi e riprendere il controllo dopo i nostri battibecchi che subito me lo ritrovo davanti.

Il fatto allarmante è che ogni nuovo incontro con lui mi sconvolge più dei precedenti.

Quando mi ha preso la mano, ho sentito chiaramente il mio cuore mancare un battito.

Avrei dovuto tirargli una gomitata in faccia, ordinandogli di lasciarmi andare e di non azzardarsi a toccarmi ancora, ma il mio corpo non sembrava in grado di eseguire gli ordini impartiti dal mio cervello.
Ero come paralizzata.

Non me l’aspettavo, nemmeno in un milione di anni avrei pensato che mi avrebbe offerto il suo aiuto.
D’accordo, i suoi modi sono stati come al solito bruschi e freddi, ma in fondo fanno parte del suo carattere.

Tuttavia la sua presa su di me è stata gentile, ha guidato i miei movimenti con una pazienza che non gli avrei mai associato.

Sento che un po’ dell’odio che covo nei suoi confronti è svanito e che comincio a vederlo sotto una nuova luce.
Certo, non potrò mai dimenticare la crudeltà con cui ha distrutto uno dei miei tesori più preziosi, ma non posso impedirmi di provare una sorta di attrazione per questo lato della sua personalità.

Accidenti a me!

Dovrei passare ogni minuto del mio tempo libero ad immaginare di appiccare fuoco al suo letto mentre dorme, o ad un modo per farlo inciampare e cadere nello strapiombo, invece mi ritrovo a pensare a quanto sia affascinante.

Deve esserci davvero qualcosa che non va nel mio cervello, Xavier ha colto nel segno.

Una voce allegra riesce a rompere il corso dei miei pensieri.
E’ una sorta di corda a cui mi aggrappo per impedirmi di affogare del tutto nell’autocommiserazione.

- In piedi, gente! – canticchia Melanie, mentre afferra il mio cuscino e me lo toglie dalla faccia con uno strattone.
Alla mia sinistra, Leslie emette un gemito e capisco che l’Intrepida l’ha gettato su di lei. - Su, su, ragazze! Alzatevi, non fatevi pregare! –.

Apro gli occhi con un lamento.
Il viso di Mel è un millimetro dal mio e mi sta fissando con un tipico sguardo da cucciolo ferito. – Per favore – esclama, unendo i palmi delle mani in una muta supplica.

Mi passo una mano tra i capelli scompigliati e sospiro.
Non riesco a resistere quando qualcuno mi guarda in quel modo, è più forte di me.
Ho anch’io un lato tenero, dopotutto.
E questa volta ha la meglio su di me, perché mi ritrovo a borbottare: - D’accordo, ma dammi un secondo per rimettere in moto le articolazioni -.

Ricordo bene che ieri sera ci aveva chiesto di accompagnarla a fare shopping dopo gli allenamenti, così ne avrebbe approfittato per farci da guida attraverso la residenza.

Ora mi sto pentendo di aver accettato, vorrei soltanto rimanere sotto le coperte e dormire fino a domani.
Mi sento come se mi fossi appena lanciata a tutta velocità contro un muro: ho i muscoli a pezzi e le nocche mi bruciano in modo insopportabile.

Decido di accontentare Mel, così potrò fermarmi un attimo in infermeria e rifornirmi di pomata e bende.

Mi alzo in piedi e la mia schiena protesta con un sonoro scricchiolio.
Sgranchisco le braccia con lenti movimenti circolari, prima di infilarle in una maglia lunga e nera.

Melanie mi guarda inarcando un sopracciglio. – Per fortuna che ci sono io – dice, in tono di evidente disapprovazione. - Hai un disperato bisogno di vestiti nuovi. E di gusto per sceglierli -.

Alzo gli occhi al cielo. – Sentiamo, perché ne avrei bisogno? Questi sono perfetti per gli allenamenti -.

Lei mi gira attorno, esaminandomi con occhio critico dalla testa ai piedi.
Sbuffa, mettendosi le mani sui fianchi come se fosse un generale davanti alle proprie truppe. – Certo, ma conciata in questo modo non farai colpo su nessuno! -.

- E quindi? Non sono mica alla ricerca di un ragazzo -.

- Ovvio, l’hai già trovato – esclama Xavier, passandomi un braccio attorno alle spalle.
Sorride a Mel, che ricambia con un’occhiataccia. – Posso unirmi a voi, bellezze? -.

- Certo, tesoro – replico io, sbattendo le ciglia con fare civettuolo.
Se verrà con noi Melanie non potrà torturarmi più di tanto.

Lei mi fulmina con lo sguardo, ma alla fine si arrende.
Prende Leslie per un braccio e ci trascina entrambe fuori dal dormitorio.

Il Pozzo è gremito di gente, ci sono gruppetti di persone ad ogni angolo.
Alcuni cantano a squarciagola, altri improvvisano passi di danza acrobatici che mi lasciano a bocca aperta.

- Non credevo che anche agli Intrepidi piacesse ballare – mormoro, quasi tra me e me.

Xavier mi prende a braccetto. – Per chi ci hai presi? Nessuno balla bene come un Intrepido! – esclama, indicando un ragazzo che in quel momento esegue un perfetto salto all’indietro. – Facciamo anche delle gare ogni tanto, Felix è uno dei campioni in carica! Una sera vi portiamo con noi – aggiunge, mentre superiamo il gruppetto di ballerini.

Ci dirigiamo verso le scale di roccia che conducono alle gallerie piene di magazzini e negozi di ogni genere.
Melanie procede implacabile, a grandi falcate, finché non trova il posto giusto: con un gridolino si fionda in mezzo ai vestiti e inizia a rovistare in mezzo alle grucce.

Incrocio le braccia e mi appoggio alla parete, accanto a Xavier, lasciando le mie due amiche alle prese con tutta quella roba ammassata alla rinfusa.

Fare compere non mi è mai piaciuto, lo trovo una perdita di tempo.
Al quartiere degli Eruditi non rimanevo mai troppo tempo in un negozio: entravo, davo un’occhiata veloce e prendevo solo quello che mi serviva.

Mentre sto architettando un piano per fuggire e rifugiarmi in qualche sgabuzzino isolato, Mel torna da noi di corsa e mi sventola davanti al naso un pezzo di stoffa nero e striminzito.
Fatico a considerarlo un abito vero e proprio e faccio una smorfia quando lei mi invita a provarlo.

Insiste talmente tanto che alla fine sono obbligata a cedere.
Questa me la pagherà, poco ma sicuro.
La incenerisco con lo sguardo mentre mi infilo in un camerino.
Lei risponde con un sorriso angelico.

Avevo ragione. La cosa che sto indossando ora non può essere definita ‘vestito’.

E’ tutto nero, con dei sottili motivi geometrici color argento sul corpetto.
E’ corto – a mio parere, ai limiti della decenza -, stretto e decisamente scollato, sia sul davanti che sulla schiena.

Farei prima ad andare in giro in biancheria intima.

Mi torna in mente l’abbigliamento volgare di quell’Intrepida dai capelli rossi e mi rendo conto di assomigliarle in modo raccapricciante.
Sento che sto per vomitare: io non sono quel tipo di ragazza.
– Te lo puoi scordare, Mel! – urlo, ai limiti dell’isteria.

Mi imbarazza uscire dal camerino conciata in questo modo, figuriamoci andare in giro per la residenza.

- Lascia giudicare a noi – risponde lei, in tono allegro.

Digrigno i denti, maledicendola in silenzio.
Sistemo la scollatura come posso ed esco senza nemmeno darmi un’occhiata allo specchio.
Ho troppa paura di quello che potrei vedervi riflesso.

Appena scosto la tenda, Xavier lancia un lungo fischio di apprezzamento.
Sento le guance diventare bollenti e tengo lo sguardo puntato sulle mie mani intrecciate.

Melanie mi esamina a lungo e poi annuisce. – Niente scuse, è perfetto per te – esclama, compiaciuta.

- Mi stai mandando fuori di testa, Zelda – rincara la dose Xavier, con un sorrisetto birichino sul volto.
Mi squadra da capo a piedi più volte, con sguardo a dir poco famelico, facendomi arrossire ancora di più.

L’unica che mi viene in aiuto è Leslie. – Stai molto bene, ma se non ti piace possiamo cercare qualcos’altro – dice, beccandosi un’occhiataccia da Mel.

Quest’ultima si avvicina a me e fa scorrere un dito sul ricamo del vestito. – Fidati di me, Zelda. È perfetto – replica, fissandomi negli occhi.
Sembra stia cercando di inviarmi un messaggio silenzioso, ma non riesco ad afferrarlo.

Ritorno in camerino e me lo tolgo in fretta, gettandolo al di là della tenda senza troppa cura.
Quando esco, Melanie mi porge un pacchetto. – Sarà il mio regalo di benvenuto – sentenzia, con un tono che non ammette obiezioni.

Prendo l’incarto e la ringrazio in tono acido.
Lo seppellirò senza tante cerimonie sul fondo al mio armadietto.
Non vedrà mai più la luce.

Scendiamo le scale per tornare al Pozzo in fila indiana. Io tengo gli occhi puntati a terra, stando ben attenta a dove cammino.
Devo ancora abituarmi a questi passaggi sospesi, ho troppa paura di scivolare e cadere giù.

Mentre passiamo accanto alla ringhiera che da sullo strapiombo, sento qualcuno chiamarmi per nome.

Zeke mi saluta con la mano e, dopo avermi fatto l’occhiolino, mi invita a raggiungerlo.
Al suo fianco Quattro scuote la testa, esasperato.
Melanie e gli altri si fermano a chiacchierare, ma io tiro dritto, diretta in infermeria.

Ci arrivo senza perdermi nemmeno una volta, il che ha dell’incredibile visto il mio pessimo senso dell’orientamento.

Sulla porta è appeso un cartello scritto in maiuscolo che recita ‘CERCASI ASSISTENTE’, seguito da indicazioni su come formulare la domanda e le abilità richieste.
La scritta è sbiadita, quindi deve essere lì già da parecchio tempo.

Ovvio, nessun Intrepido che si rispetti prenderebbe in considerazione un impiego del genere.
Sarebbe più una mansione da Erudita. Io potrei facilmente svolgerla…

No, Zelda, mi ripeto con convinzione. Lascia perdere il passato e cerca di comportarti da Intrepida. La fazione prima del sangue, giusto?

Spingo la porta senza bussare ed entro.

L’infermeria è abbastanza grande: uno stretto corridoio centrale, affiancato a destra e a sinistra da brandine dall’aspetto scomodo, conduce ad un altro piccolo locale adibito a magazzino, dove sono collocati i medicinali e il vario materiale medico.

Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse e da dietro la tenda bianca sul fondo della sala spunta una donna.
Il suo fisico slanciato è nascosto sotto un lungo camice bianco, che fa risaltare la sfumatura color petrolio dei capelli corti e lisci.

- Posso esserti utile? – esordisce, guardandomi con malcelata curiosità.

- Sono Zelda – rispondo, avvicinandomi a lei a piccoli passi.
Questa donna mi incute una sorta di strano timore: forse mi ricorda troppo i dottori che mi sono lasciata alle spalle. – Sono solo venuta a chiederle un po’ di pomata e bende – continuo, mostrandole i dorsi scorticati delle mani.

Lei annuisce e apre uno degli armadietti.
Quando si volta di nuovo verso di me, sulle sue labbra sottili sboccia un sorriso contornato da piccole rughe. – Trasfazione, eh? Non preoccuparti, i primi giorni sono i più duri -.

- Me lo ripetono tutti – replico, afferrando al volo il tubetto di crema.
Faccio un sospiro prima di continuare a parlare. – Ma ho l’impressione che col tempo la situazione peggiori, anziché migliorare -.

Lei fa una roca risata. – L’importante è non mollare. Ciò che non uccide, fortifica -.

Sussulto e mi sfioro il polso quasi in modo automatico.
Sento il cuore martellare nel petto e il respiro accelerare.

La donna deve essersi accorta della mia strana reazione, perché mi rivolge uno sguardo perplesso. – Stai bene, cara? Sei pallida come un lenzuolo. Vuoi sederti? – chiede, in tono preoccupato.

Io scuoto la testa con decisione.
La ringrazio in fretta e scappo via veloce, come se avessi un branco di feroci lupi alle calcagna.

Mentre sfreccio verso il dormitorio, sento l’eco delle sue parole rimbombare tra le pareti del mio cranio.

Ciò che non uccide fortifica.








 
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Ciaooo sono tornata ;)
il capitolo è più breve del solito, ma è un pezzo importante all’interno della storia.
Ricordate, ogni particolare è fondamentale, perciò non disperate se Eric questa volta non ha fatto la propria comparsa ;) si rifarà nei prossimi!
In compenso, avete notato l’immagine iniziale?! L’ho fatta io in un momento di noia ;) ditemi che ne pensate! Io mi ispiro a quello sguardo quando scrivo i pezzi di Eric; quegli occhi sono qualcosa di stupendo e terrificante allo stesso tempo ;)
Alla prossima, continuate a seguire ;)
Un bacio, Lizz
p.s. il titolo è un altro tributo ai miei adorati A7X ;)

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Capitolo 14
*** Are you still having fun? ***





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Capitolo 13



 

Eric



Questa mattina mi sono svegliato stranamente di buon umore.

Non so come interpretare questo cambiamento radicale, rispetto al giorno precedente, ma di certo ha a che fare con gli scontri in programma.

Sento un ghigno perfido salirmi alle labbra e non faccio nulla per trattenerlo.

Oggi si comincia a fare sul serio, finalmente.
Ho già stabilito le coppie che dovranno sfidarsi e non vedo l’ora di gustarmi lo spettacolo.

Zelda avrà una bella sorpresa, chissà che non l’aiuti a sopprimere, o quanto meno a tenere a freno, quella sua insopportabile lingua biforcuta.

Ho riflettuto a lungo su tutto quello successo fino ad ora e ho concluso che devo darci un taglio: basta pensare a lei, basta continuare a cercarla, ma, specialmente, basta trovare ogni minimo pretesto per toccarla.

La scena di ieri non dovrà più ripetersi in futuro, mi sono già esposto a sufficienza.
Sono un Capofazione e, in quanto tale, non posso lasciarmi incantare dalla bellezza, o dal carisma, di una ragazzina che ancora non ha superato l’iniziazione.

Quando – e se – diventerà un’Intrepida a tutti gli effetti, potrò riprendere a prestarle attenzione.
Nel frattempo il mio unico scopo sarà assicurarmi di seguire attentamente ogni sua mossa, tanto per curiosità.

Ti contraddici da solo, Eric.

Non do retta alla voce subdola della mente, finirei per perdere la calma duramente conquistata.
Quando arrivo in palestra, gli iniziati sono già in riga, in attesa di ordini.
Splendido.

Faccio il mio ingresso, certo che basti la mia sola vista a spaventarli e non vengo deluso dalla loro reazione.
L’unica che sembra non notarmi affatto è – ovviamente – Zelda: ha gli occhi persi nel vuoto e continua a disegnare linee immaginarie sul proprio polso con il pollice.

Faccio una smorfia.
Sono costretto ad ammettere che la preferivo quando mi guardava in faccia.

Quattro – quel cretino – fa finta di nulla ed inizia a spiegare il meccanismo dei combattimenti.
Io mi siedo sulla solita sedia e guardo distrattamente i nomi scritti alla lavagna.

Ho proposto io le coppie, ma Quattro non ha sollevato obiezioni.
Forse si aspettava quelle combinazioni, alla fine i trasfazione sono solo cinque per cui le scelte erano limitate.

Uno dei ragazzi – Paul - oggi non combatterà, mentre le due ragazze avranno la possibilità di mostrarci quanto è alta la loro soglia del dolore.

Nessuna di loro vincerà l’incontro, questo è certo.

Quello che mi interessa scoprire è quanto tempo resisteranno, prima di iniziare a supplicare di far terminare il combattimento.
C’è sempre qualcuno che spera di indurmi a compassione. Poveri illusi.

Non ammetto rese.
O si vince o si soccombe.
L’incontro termina quando uno dei due viene messo al tappeto e ci resta.

Quattro ha terminato il suo discorsetto e si è voltato verso di me per la prima volta da quando sono entrato nella stanza.
Sta aspettando che lo raggiunga e annunci la fortunata coppia che avrà l’onore di aprire la fase delle lotte.

Mi alzo e mi piazzo accanto alla lavagna.
Squadro gli iniziati uno ad uno e mi compiaccio di vederli tremare.
Punto gli occhi su Zelda come se fossi un avvoltoio affamato che ha appena avvistato la propria preda. – Prima le signore – dico, ovvero la frase che lei ha sussurrato prima di tuffarsi dal tetto il primo giorno.

Mi rivolge uno sguardo stupito, anziché provare a fulminarmi.
Probabilmente si sta chiedendo come mai io abbia citato le sue esatte parole.

Ricordo ogni singola sillaba pronunciata dalle tue labbra, vorrei aggiungere. Come se le avessi incise a fuoco nella mia mente. Non chiedermi il perché, non me lo so spiegare nemmeno io.

Visto che voglio sembrare sicuro di me, come un Capofazione dovrebbe essere, e non comportarmi come un ragazzino alla prima cotta, assumo la mia consueta maschera dai tratti crudeli e continuo. – Zelda e Ian saranno i primi. Cominciate! – ordino, facendo loro cenno di piazzarsi al centro del cerchio tracciato col gesso.

Mi ubbidiscono quasi all’istante.
Lei non sembra spaventata, ma è decisamente pallida.
Ian è molto alto, praticamente la sovrasta, come se fosse una gigantesca montagna e lei solamente un’esile collinetta.

Forse ho esagerato.
Avrei dovuto lasciarla combattere contro la sua amica, almeno avrebbe avuto qualche speranza di vincere.
Questa lotta, invece, sembra persa in partenza e non posso che provare pena per lei.

Non essere ridicolo, Eric. Prima o dopo sarebbe toccato anche a Zelda.
Non può scappare all’infinito, dopotutto sapeva bene a cosa andava incontro quando ha Scelto.


Questo pensiero, anziché rassicurarmi, o quanto meno calmarmi, sempre far crescere l’ansia che si sta gonfiando come un’onda alla vista della differenza di stazza tra i due avversari.

Da quando ti preoccupi per qualcuno?, chiede la parte più malvagia della mia mente in tono sarcastico.

La risposta giusta sarebbe ‘mai’, perché l’unica persona di cui mi curo sono io stesso ed è sempre stato così.
Non i pochi amici che ho avuto, né dei membri della famiglia che ho lasciato.

Tuttavia l’inquietudine che sento è maledettamente reale ed è indirizzata verso quella ragazza, che, mentre io combatto contro me stesso, si è spostata esattamente di fronte all’altro iniziato.
Ha le braccia magre alzate davanti al volto, l’unica sua difesa contro i colpi che Ian sta per infliggerle.

Forse questo timore è dovuto alla consapevolezza.
So perfettamente che Zelda non è in grado di difendersi, né abbastanza forte da sferrare il primo attacco.

Potresti rimanere sorpreso, non sottovalutarla come hai già fatto. Lei è l’Eccezione, no?

Ci sto sperando con tutte le mie forze.
Non voglio vederla soccombere sotto ai miei occhi, senza poter muovere un dito per aiutarla.

Avresti dovuto pensarci prima di metterle contro quel Candido.





 
* * *


 

Zelda




Guardo l’energumeno che mi sta di fronte socchiudendo gli occhi e valutando le possibilità che ho di batterlo.
Meno di zero, le percentuali sono tutte a mio sfavore.
Eppure l’unica cosa a cui riesco a pensare in questo momento non ha nulla a che fare con Ian, che sembra spaventato tanto quanto me.

Lo odio. Lo detesto. Lo torturerò e lo ammazzerò.

Ripeto queste parole nella mia testa senza sosta.

Devo sopravvivere. Per fargliela pagare. Fosse l’ultima cosa che faccio.

Questo mantra mi da la forza di rimanere all’interno del cerchio.
Forse dovrei concentrarmi sul combattimento che sta per iniziare, ma non ho mai lottano contro una persona in vita mia per cui non saprei nemmeno da dove iniziare.

Le risse con i miei fratelli non contano. Questo è un duello serio, non stiamo giocando.

Quanto vorrei avere Eric come avversario!
Probabilmente mi stenderebbe dopo due secondi, ma almeno potrei avere la fortuna di riuscire a pestargli un piede.

Perché ha voluto che combattessi per prima? E contro Ian, poi?
Vuole vedermi morta? Vuole gongolare alla vista del mio sangue?

Sento i suoi occhi di pietra su di me.
Probabilmente sta ridendo sotto i baffi, pregustando la mia scontata sconfitta.

Lo odio con tutta me stessa, non avrei mai pensato di riuscire a provare un sentimento del genere.
È come un acido corrosivo che lascia dietro di sé soltanto vuoto e distruzione.
Sento il sangue prendere letteralmente fuoco nelle mie vene.

Non mi importa di perdere, l’unica soddisfazione che non voglio dargli è quella di mostrarmi debole.
Non supplicherò Ian di fermarsi, finché avrò fiato continuerò a combattere.
La parola ‘resa’ non esisterà mai nel mio vocabolario.

Aspetto che sia il mio avversario a fare la prima mossa.
So di essere abbastanza veloce, per cui proverò a schivare i colpi e, nel frattempo, tenterò di organizzare una strategia.

Il pugno di Ian arriva come previsto e si dirige a tutta velocità contro la mia guancia come un sasso lanciato da una fionda.
Mi sposto in tempo e lui si sbilancia in avanti con tutto il peso.
Ne approfitto per dargli una spinta alla base della schiena che lo manda tutto disteso a terra.

Avverto delle risatine alle mie spalle.
Mi azzardo a guardare di lato con la coda dell’occhio e noto prima l’espressione compiaciuta di Quattro, poi quella impenetrabile di Eric.
Quest’ultimo fa un millimetrico cenno col capo, incitandomi a proseguire.

Ian si sta rialzando e io lo lascio fare.
Non sono una codarda: non avrei mai il coraggio di colpire un avversario alle spalle e nemmeno quello di infierire su una persona a terra.

Il ragazzo massiccio ha una nuova luce negli occhi scuri, quasi mi stesse accusando di aver giocato sporco.
Credo che ora si cominci a fare sul serio. Forza, Zelda.

Tengo i pugni alzati, aspettando una sua minima distrazione per colpirlo.
Valuto le varie opzioni: se gli sferrassi una gomitata al naso otterrei un buon risultato, ma dubito che perfino Ian sia così stupido da non riuscire a schivarmi.

Un pugno diretto in faccia sarebbe un’arma a doppio taglio.
Mi ferirei, potrei anche rompermi le dita, perciò la scarto.
Gli unici obiettivi a cui posso puntare sono stomaco, ginocchia e piedi.
Scelgo il primo per comodità, gli altri sono troppo prevedibili.

Ci guardiamo in cagnesco per alcuni secondi, poi lui si slancia in avanti.
Il suo movimento repentino mi coglie alla sprovvista, l’avevo sottovalutato.

Non capisco cosa intende fare finché non mi afferra per i fianchi.
Mi alza con facilità, sebbene io scalci e cerchi di divincolarmi.
Quando mi sbatte a terra sento l’aria uscire dai polmoni tutta d’un colpo, come se avessi fatto scoppiare un palloncino con uno spillo.

La forza dell’impatto mi lascia intontita, vedo piccole lucette biancastre lampeggiare ai limiti del mio campo visivo.
Non promette bene.
Sbatto le palpebre un paio di volte per recuperare lucidità e mettere a fuoco Ian.

È seduto sopra la mia gabbia toracica e ansima pesantemente.
Cerco di togliermelo di dosso, lotto con braccia e gambe fino a restare a corto di fiato.
La sua mole mi impedisce di respirare, sento che sto per soffocare.

Gli pianto tutte e dieci le unghie nel braccio e vengo ripagata con un manrovescio alla tempia.
Un altro pugno si abbatte sulla mia mandibola e avverto distintamente l’odore del mio stesso sangue mescolarsi a quello acre del sudore e al sapore amaro che mi è salito in gola.

Continuo a cercare di spostare Ian, lo spingo con tutte le mie forze, ma è irremovibile, una specie di ancora che mi tiene bloccata a terra.

Lotto, mi dibatto, ma vedo sempre più sfocato.
Quando comincio a percepire delle ombre nere, che fluttuano attorno a me come tentacoli di tenebra, capisco di essere giunta al limite, i miei polmoni chiedono pietà.

L’ultima cosa che vedo prima di perdere i sensi è la possente figura di Eric: è in piedi ora, il suo profilo si staglia in controluce.

Giro la testa e chiudo gli occhi, soddisfatta di non essermi lasciata sfuggire neanche un gemito per tutta la durata dell’incontro.





 
* * *


 

Eric



- Levati di mezzo! – ringhio, mentre prendo il Candido per i capelli e lo strattono senza alcuna pietà. – Imbecille, non vedi che la stai soffocando? -.

Nessuno avverte la nota di panico nella mia voce, sono troppo affannati ad accerchiare il corpo inerte di Zelda.

- Tranquilli, è solo svenuta – assicura Quattro, tastandole il polso.
Fulmina Ian con uno sguardo che potrebbe incendiare un’intera foresta. – Ma c’è mancato poco. Cosa credevi di fare? Avresti potuto ucciderla! -.

Il ragazzo sembra pietrificato.
Ha la fronte ricoperta di sudore e parla con voce fievole. – Io…non volevo…non me ne sono accorto -.

Quando ti punterò una pistola alla tempia e farò fuoco, te ne accorgerai eccome, vorrei gridare.
Cerco di controllare la vampata di rabbia che mi sta offuscando il cervello e pensare in modo razionale.

Ma come diavolo posso pensare in modo razionale quando Zelda è riversa a terra, priva di sensi, tutto per colpa mia?

Sarei dovuto intervenire non appena quel tizio l’ha scaraventata a terra.
Ho sentito distintamente le sue ossa colpire il pavimento, con uno schiocco che mi ha fatto rizzare tuti i peli sulla nuca.

Nonostante tutto ha continuato a muoversi e a lottare come una tigre inferocita.
L’ho sottovalutata di nuovo, non credevo potesse resistere fino a quel punto.
E stavo per permettere che quel…quel…

Dannazione, sono troppo sconvolto.
Non riesco nemmeno a trovare un insulto abbastanza spietato per quel rifiuto umano che ha osato condurla a un passo dalla morte.
Sarebbero bastati pochi fottuti secondi e a quest’ora la luce che rende i suoi occhi così speciali si sarebbe spenta per sempre.

Come ho potuto? Come ho fatto a rimanere impassibile a guardare?!

Mi inginocchio accanto alla sua testa.
Ha un labbro spaccato e un rivolo di sangue le scende lungo la guancia, partendo da una ferita alla tempia.
La pelle del viso è rossa e tesa, segno che non manca molto alla comparsa dei lividi.

La Pacifica le accarezza dolcemente i capelli.
Il suo mento trema leggermente, sembra stia cercando di non piangere.
Per la prima volta non la trovo patetica.

In questo preciso istante vorrei piangere anch’io, sfogare tutta la frustrazione e la rabbia che ho accumulato in questi giorni come una catasta di legna, secca al punto giusto, pronta per essere bruciata.

- Spostati – ordino alla Pacifica.
Lei si volta a guardarmi, probabilmente stupita dal mio tono di voce roco e decisamente meno freddo del solito.

Non mi importa di comportarmi da psicopatico, voglio solo assicurarmi che Zelda sia fuori pericolo.
Quel Candido potrà invocare pietà finché vuole: non ne avrò neanche un briciolo se questa ragazza ha anche una sola costola incrinata.

Con attenzione, faccio scivolare un braccio sotto la sua testa e l’altro sotto le cosce.
Cerco di muoverla il meno possibile, in caso le ferite fossero più gravi di quello che sembrano.
A me fanno già paura così come sono.

È solo una delle iniziate. Hai visto decine di scontri, non dovresti reagire così.

Cosa vuoi che me ne importi?!

La mia mente si ritrae, spaventata dalla veemenza del mio stesso pensiero.
Ho assistito a molti incontri, è vero, ma nessuno ha mai rischiato di morire.
D’accordo, ci sono state fratture multiple, ferite abbastanza profonde e copiose pozze di sangue, ma niente di così grave da farmi preoccupare come sto facendo ora.

Alzo il corpo inerte di Zelda, stupendomi di quanto poco pesi sebbene sia svenuta.

Quattro mi guarda con la fronte corrugata per un attimo, poi annuisce tra sé. – Te la affido, Eric. Non farmene pentire – sibila al mio orecchio, in tono minaccioso.
 
Chiudi il becco, razza di imbecille.
Cosa credi, che voglia gettarla dallo strapiombo?
!

Non mi scomodo a rispondere.
Lui tiene aperta la porta per farmi passare e io avanzo il più velocemente possibile verso l’infermeria.

Fortunatamente non incrocio nessuno durante il tragitto, non saprei proprio come spiegare questo mio improvviso slancio di compassione.
La mia reputazione potrebbe risentirne, ma, per la prima volta nella mia vita, non me ne importa un accidenti.

Do un’occhiata al volto tumefatto di Zelda.
Il fatto che continui a respirare mi da un po’ di sollievo, ma sento ancora un brivido percorrermi la schiena, per cui accelero il passo.

Spalanco la porta dell’infermeria con un calcio, facendo tremare il vetro.
La donna Intrepida incaricata al servizio medico mi viene incontro, chiaramente stupita di vedermi piombare lì dentro come un fulmine.

Sposta rapidamente l’attenzione da me alla ragazza che tengo tra le braccia: emette un gemito alla vista del sangue e dei lividi che stanno lentamente comparendo.
– Ma è Zelda! Oh, povera cara! – esclama, lasciandomi interdetto.

E questa tipa come fa a conoscerla?!

- Mettila qui, Eric – continua, indicandomi il lettino più vicino.
Credo sia una delle poche persone a cui sono disposto ad obbedire.

Cerco di essere delicato, ma dubito che Zelda riesca ad avvertire qualcosa in questo momento.
È praticamente in coma.

- E’ reduce da uno scontro piuttosto violento – mi affretto a spiegare, mentre l’infermiera comincia a tastare piano le ossa del cranio della ragazza.

Deglutisco e distolgo lo sguardo da quello spettacolo.
Non mi sono mai sentito così a disagio, come un bambino in attesa della predica dei genitori.
Vorrei esserci io al suo posto, su quella brandina: almeno non sarei divorato dal senso di colpa.

La donna col camice mi incenerisce con un’occhiata. – Devo spogliarla per controllare le ferite, Eric. La tua presenza non è gradita – decreta in tono aspro.

Io alzo un sopracciglio.
Vorrei restare, per avere la certezza che Zelda non sia in pericolo di vita, ma non ho argomenti in mio favore.

Giro sui tacchi ed esco sbattendo la porta.





 
* * *


 
 

Zelda




Sento qualcosa di freddo premermi sulla fronte.

Le palpebre sembrano pesanti come macigni, per aprirle faccio appello a tutta la mia forza di volontà.

- Lasciala in pace, Ted – sibila una voce che identifico subito.
È quella dell’infermiera che ieri mi ha ripetuto uno dei motti preferiti di mia madre.

Ci metto un minuto per mettere a fuoco il luogo in cui mi trovo.
I miei occhi socchiusi lacrimano quando sento un dolore ferirmi il petto ad ogni respiro.
Afferro con le dita intorpidite la stoffa ruvida che mi copre i fianchi ed emetto un gemito.

- Si è svegliata! –.
Questa voce squillante non ha nulla a che fare con quella pacata dell’infermiera.

Apro del tutto gli occhi e cerco di mettermi a sedere.
Due mani salde mi afferrano per le spalle e rispediscono la mia testa sul cuscino prima che possa protestare.
L’infermiera sospira e mi scosta alcune ciocche di capelli dalla fronte. – Cerca di restare ferma, Zelda. Almeno fino a questa sera -.

Quando parlo, sento le labbra secche e gonfie. – Qual è il verdetto? – chiedo, con un tono che vorrebbe essere ironico e che, invece, mi esce roco e fiacco.

- Niente di rotto, ma potresti avere una commozione cerebrale – replica la donna, mentre conta sottovoce le mie pulsazioni. – Ti terrò qui per il resto del pomeriggio, tanto per non correre rischi -.

- Hai fatto a pugni? – chiede la voce limpida che ho sentito poco fa.
Giro appena il capo e inquadro la figura alla mia sinistra.

Seduto su uno sgabello, a poca distanza dal mio letto, c’è un bambino Intrepido.
Non può avere più di sette o otto anni.
Ha vispi occhi azzurri e folti capelli chiari, all’apparenza soffici come seta, che lo fanno apparire dolcissimo.

Gli faccio un mezzo sorriso. – Si nota molto, vero? -.

Lui annuisce. – Non devi essere molto forte se hai permesso al tuo avversario di ridurti così – afferma, in tono saccente.
A quanto pare il suo aspetto angelico non sembra essere in sintonia con il suo caratterino pungente.
– Mio padre dice sempre che un vero Intrepido non si arrende mai -.

- Ted, smettila – borbotta l’infermiera, facendogli cenno di uscire. – Zelda deve riposare -.

Il bambino fa una smorfia, ma non si alza.
Nonostante l’offesa che mi ha appena rivolto, sento una sorta di affinità con lui.
Mi ricorda molto me stessa, non so per quale motivo.

- No, non fa nulla – ribatto, con un cenno del capo appena accennato.
Tamburello con le dita sulla brandina. – Ted, vuoi venire vicino a me? -.

Lui tentenna per un attimo, ma poi si siede sul bordo del letto.

- Chi è il tuo papà? – chiedo, mentre l’infermiera mi lancia un’occhiata riconoscente e sparisce dietro la tenda.
Deve essere stata incaricata di badare al bambino, ma non mi sembra molto entusiasta di averlo tra i piedi.

- Max, il Capofazione – replica lui, illuminandosi.

Stento a crederci, non si assomigliano per nulla. – E la tua mamma dov’è? -.

Capisco subito di aver fatto la domanda sbagliata. Il suo volto si fa cupo, mentre mi risponde.
Due semplici parole che ho ripetuto spesso anche io, quando a scuola mi chiedevano dei miei genitori. – E’ morta -.

Ora capisco perché vedo in lui una parte di me. – Anche la mia – sussurro.
Faccio per accarezzargli una mano, ma lui ritrae la sua di scatto.

Mi fissa a lungo, poi si china in avanti e allunga un dito per sfiorarmi la guancia.
Mi tocca appena, ma sento comunque una fitta di dolore, segno che i lividi hanno già fatto la loro comparsa.

- Non mi sono arresa, sai? Ho lottato finché ho potuto, ma il mio avversario era molto forte – racconto, mentre lui spalanca gli occhi color del cielo.
– Tuo padre ha ragione, un Intrepido non deve mai mollare, ma deve anche essere capace di riconoscere i propri limiti -.

Ted rimane interdetto, non sa cosa rispondermi. – Però hai perso – obietta dopo alcuni minuti.

- Sì, ma non mi sento sconfitta. Mi batterò ancora e ancora, finché non riuscirò a vincere -.

Mi guarda aggrottando le sopracciglia color del grano. – Non sei come le altre ragazze -.

- Cosa te lo fa pensare? -.

- Non ti lamenti, non hai nemmeno pianto – continua, in tono leggermente deluso. – E non mi hai cacciato via -.

Gli sorrido. So come ci si sente ad essere abbandonati a se stessi da un genitore troppo impegnato.
Inoltre, ho sempre avuto una passione per i bambini: mi piace donare loro le attenzioni di cui hanno bisogno, quelle che a me sono mancate durante l’infanzia.
– Perché mi sei simpatico – ribatto, allungando di nuovo la mano verso di lui.
Questa volta non mi respinge, anzi, mi stringe delicatamente le dita. – Ti dispiace se dormo un po’? Sono distrutta -.

Ted fa una smorfia di delusione. Forse avrebbe preferito parlare ancora con me.
Il pensiero mi fa sorridere di nuovo.

- Puoi stenderti accanto a me, se ti va – aggiungo, prima che possa mettere il broncio.

Lui non se lo fa ripetere e scivola sotto al lenzuolo.
Appoggia la testa sulla mia spalla, stando attento a non farmi male.

Mi si stringe il cuore.
Questo bambino è così solo, potrei avvertire la sua fame d’affetto a chilometri di distanza.
Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.

Potrei sempre chiedere a Max di assumermi come babysitter, penso, con un ghigno.

Gli passo una mano tra i capelli, mentre scivolo nel sonno.










 
 
- - - - - - - - - - - - - - - - - -
Non vi libererete di me così in fretta muahaha

Ok, facciamo le persone serie. Ecco il nuovo capitolo ;) fatemi sapere che ne pensate!

Ho voluto aggiungere il bambino (che trovo dolcissimo <3), avrà anche lui una parte fondamentale nella storia ;)

Spero di riuscire ad aggiornare presto!
Un bacio a tutti,
Lizz

p.s. la canzone che da il nome al titolo è di Eagle Eye Cherry ;)

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Capitolo 15
*** If you don't swim, you'll drown ***






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Capitolo 14



 

Zelda



Mi sveglio alcune ore dopo con un forte mal di testa.

Le tempie pulsano in modo insopportabile, ma mi farei tirare volentieri un altro pugno da Ian, se servisse a farmi perdere conoscenza di nuovo.
Sempre meglio che avvertire un acuto dolore alle costole ad ogni minimo movimento.

Mi passo una mano sul volto ed emetto un leggero lamento quando sfioro la guancia destra.

- Quel livido ti dona – sussurra una voce dal fondo del mio letto. – Avevo ragione su di te: sei una tipa tosta -.

Apro gli occhi di scatto e incrocio quelli di Quattro, che se ne sta seduto a cavalcioni su una delle sedie di legno.

Mi fissa con le sopracciglia aggrottate. – Come ti senti? -.

A disagio, vorrei rispondere. Il suo sguardo mi sta mettendo in imbarazzo, prego di non arrossire.

- Sopravvivrò. Non vi libererete di me così facilmente – replico, e gli strappo un sorrisetto. – Da quanto tempo sei qui? Sei stato tu ad accompagnarmi? -.

Quattro si incupisce. – No, è stato Eric -.

D’accordo, la botta che ho preso in testa deve essere stata parecchio forte.
Ho pure le allucinazioni sonore, oltre a tutti questi lividi pulsanti. – Fammi capire bene. Lo stesso Eric che mi ha urlato addosso? Quell’Eric? – chiedo, con voce strozzata.

- Ne conosci altri? – rilancia il mio istruttore, sospirando. – Si è offerto spontaneamente, così l’ho lasciato fare. Sono venuto il prima possibile, per assicurarmi che tu stia bene -, alza un sopracciglio, - cioè, bene per quanto possano concederlo quelle ferite -.

Non so perché, ma la sua frase mi fa ridere.
Me ne pento all’istante, perché il dolore al petto mi toglie il fiato. – Quindi adesso sono in debito con Eric – sbotto, pronunciando il nome del Capofazione come se fosse un insulto. – Fantastico -.

- Credo siate pari – mi corregge gentilmente Quattro. – Hai quasi rischiato di morire sotto la sua supervisione. Credo si sia preso un bello spavento -.

- Dubito seriamente che si spaventi per così poco -. Il mio tono è acido e sarcastico. – Dopotutto, iniziato più, iniziato meno, che differenza fa per lui? -.

- Gli altri non sono te ed Eric se ne sta rendendo conto – mormora Quattro, talmente piano che credo di aver capito male le ultime parole.
In caso contrario, cosa vorrebbe significare?

Preferisco cambiare argomento. – Ted dov’è? – chiedo, mentre perlustro la stanza con un’occhiata.

Quattro scoppia a ridere, come se avessi appena raccontato una barzelletta. – Se me l’avessero detto, non ci avrei mai creduto. Ma l’ho visto con i miei occhi – replica, mentre mi guarda sbalordito. – Come sei riuscita ad addomesticare quel bambino? Nessuno tra gli Intrepidi riesce a tollerare la sua presenza per più di tre secondi -.

Mi scappa una smorfia. – Addomesticare? Cos’è, un animale? -.

- Poco ci manca – ribatte lui. – E’ dispettoso, maleducato ed incredibilmente viziato. Quando Max ha deciso di affidarlo alle cure di Elizabeth, ho creduto che alla nostra povera infermiera venisse un infarto -.

- Non mi è sembrato così cattivo come lo descrivi. Per l’amor del cielo, è solo un bambino. Anche io alla sua età ero pestifera! – esclamo, piccata.

Quattro ride di gusto. – Va bene, ma Ted non lascia avvicinare nessuno, non si fa toccare da nessuno – continua, tornando serio. – Quando sono entrato e l’ho visto accanto a te, pensavo di avere le visioni -.
Affila lo sguardo e mi fissa intensamente. – Sei una strana ragazza. C’è qualcosa in te…non saprei come definirlo. Attiri le persone come se fossi una qualche specie di calamita. Nemmeno Eric può resisterti, per quanto si sforzi -.

Maledizione, la vuole piantare con queste frasi profetiche senza senso?
Perché deve tirare fuori Mister Sguardo di Pietra ogni due secondi?
Sto facendo di tutto per dimenticare che è stato lui a portarmi qui, che sono stata tra le sue braccia e che mi ha vista conciata così.
E Quattro decisamente non mi sta aiutando a farlo!

Ma poi, perché mi sento così in imbarazzo?
Mi importa qualcosa di quello che Eric pensa di me?
Di norma – e se fossi una persona coerente – la risposta sarebbe ‘col cavolo che mi importa’, invece mi importa.
Eccome se mi importa.

Voglio conquistare il suo rispetto.
Voglio che mi veda come una persona forte.
Che capisca di essersi sbagliato sul mio conto.
Che mi consideri come una sua pari, non solamente una fragile ragazzina.

La situazione è più grave di quanto pensassi.

Zelda, no, non puoi pensare a lui in quel modo. No, no, e ancora no!

Faccio finta di collocare questi pensieri pericolosi in una cella della mia mente.
La chiudo e getto la chiave in qualche luogo oscuro in cui mi sarà impossibile ritrovarla.

- Che ore sono? – domando, mentre cerco di alzarmi dal letto.
È stretto e scomodo, non voglio rimanerci un minuto di più.

Quattro scatta in piedi e mi afferra per un braccio. – Credo che faresti meglio a restare sdraiata. Puoi passare la notte qui -.

Neanche morta! – Ce la faccio – dichiaro, in tono risoluto.
Muovo due passi, poi sono costretta ad appoggiarmi a lui, senza fiato.

Il mio caro istruttore mi rivolge uno sguardo ironico.

- D’accordo, messaggio ricevuto. Ma non voglio passare la notte in infermeria – sbuffo.
Mi rendo conto di sembrare una bambina testarda e capricciosa, ma non me ne importa nulla.

- Scordatelo. Non mi assumo la responsabilità di portarti fuori di qui -.

- Per favore – supplico, sbattendo ripetutamente le ciglia.

Quattro scoppia a ridere. – Spiacente, ma con me quel metodo non funziona. Ti consiglio di usarlo su Eric, avresti maggiori probabilità di riuscita -.

- Sentiamo, cosa dovrebbe usare su di me? – esclama una voce fin troppo familiare dal fondo della stanza.

Eric ha aperto la porta senza emettere il minimo rumore e ci sta fulminando con i suoi occhi grigi.
Osserva il braccio che Quattro mi sta tenendo attorno alla vita come se volesse staccarglielo col pensiero.

- Nulla, era solo una battuta – si affretta a spiegare il mio istruttore.
Però non riesce a nascondere un ghigno quando ricomincia a parlare. – Eric, ti dispiacerebbe accompagnare Zelda al dormitorio? Mi sono appena ricordato di avere un impegno improrogabile -.

Promemoria per me: strozzare Quattro alla prima occasione.

Eric alza un sopracciglio dopo quella richiesta a dir poco assurda. – Non dovresti rimanere qui? Sei conciata piuttosto male -.

Sento le guance riscaldarsi sotto il peso del suo sguardo, ma mi consolo pensando che il viola dei lividi nasconderà il rossore improvviso. – Sentite, voglio solo andare al dormitorio. E ci andrò, con o senza il vostro aiuto – borbotto, districandomi dalla presa di Quattro.

Riesco a fare solo pochi passi.
Una fitta al fianco mi fa perdere l’equilibrio e devo afferrare lo schienale di una delle sedie per non cadere a terra.

- Ammiro la tua tenacia, ma credo che per oggi tu abbia corso abbastanza rischi. Non è il caso di sfidare la sorte – decreta Eric, in tono freddo.

Sto per ribattere con la giusta dose di cattiveria, ma lui non me ne da il tempo.

Con due falcate è già al mio fianco.

Non riesco nemmeno a protestare, è troppo veloce.
Mi prende in braccio con facilità, come se pesassi solo pochi chili, e, senza proferire verbo, si avvia lungo il corridoio che conduce al dormitorio.

Sono talmente sbalordita che non riesco nemmeno a salutare Quattro.
Non che se lo meriti, vista la situazione imbarazzante in cui mi ha cacciato.

- Non dovevi disturbarti. Ce l’avrei fatta anche da sola – mormoro, evitando di guardarlo in faccia.
Il tocco delle sue mani mi mette abbastanza a disagio, non ho certo bisogno di lasciarmi confondere anche dai suoi occhi grigi.

– Come no – sbuffa, tra l’ironico e l’esasperato. – Eri uno spettacolo veramente penoso. Mi sono quasi sentito in imbarazzo per te -.

Incrocio le braccia con stizza, trattenendo un gemito quando una fitta mi percorre il torace.
Se il suo obiettivo è quello di insultarmi, non sono obbligata a prestargli attenzione. Che vada al diavolo.

- Che c’è, perché non parli? – chiede lui all’improvviso. – Hai paura di me? -.

La domanda è talmente assurda da farmi alzare gli occhi al cielo. - Al momento l’unica cosa di cui ho paura è di imbattermi in uno specchio –.

Eric non ribatte.
Mi decido ad incrociare il suo sguardo, tanto per sapere se l’ho offeso o fatto arrabbiare per l’ennesima volta.
Incredibilmente, sembra che stia facendo di tutto per non ridere.

Ah, quindi sotto tutta quella freddezza glaciale si nasconde una scintilla di senso dell’umorismo. Interessante.

Il silenzio che ha accolto la mia battuta si protrae fino alla porta del dormitorio.
Eric mi rimette in posizione verticale, con una delicatezza che mi lascia senza parole.

Ma basta il suo abituale tono gelido a riportarmi alla realtà. – Pensi di riuscire ad arrivare incolume al tuo letto? – mi prende in giro, squadrandomi da capo a piedi e soffermandosi sulla ferita alla tempia.

- Farò il possibile – ribatto, aspramente.
Quel suo tono condiscendente mi urta i nervi più di qualsiasi altra cosa.
Proprio non lo tollero. – Grazie per l’interessamento -.

La mia rispostaccia non sembra offenderlo, anzi gli strappa un ghigno. - E’ un piacere -.

Non aspetta che io entri. Si gira e si allontana senza aggiungere altro.






 
* * *


 

Eric



Sto sorridendo come un cretino.

Per fortuna che nei paraggi non c’è nessuno.

L’ironia di Zelda è impagabile.
Ho dovuto far uso di tutto il mio autocontrollo per non scoppiare a ridere a quella sua battuta sugli specchi.

Quante altre ragazze avrebbero risposto così?

La maggior parte delle interne non ha nemmeno il coraggio di salutarmi con un cenno, figuriamoci avvicinarsi per parlarmi.
Zelda, invece, sembra essere immune al terrore che sono abituato a suscitare, riesce perfino a punzecchiarmi.

Lo ammetto.
È una persona troppo interessante: non posso spegnere la mia curiosa attrazione per lei così all’improvviso.
Ormai ci sono dentro fino al collo, tanto vale proseguire.

Studio a mente la strategia da utilizzare, come se stessi per prendere parte ad una battaglia e non semplicemente cercando di capire un’altra persona.
Ragiono meglio se ho un piano pianificato in ogni minimo particolare.

Punto uno: analizzare le informazioni che già possiedo.

Cosa so di lei?

Apparteneva alla mia stessa fazione.
Ha abbastanza fegato per saltare per prima dal tetto, per combattere contro un tizio alto quasi il doppio di lei, fino quasi alla morte.

Meglio non soffermarsi troppo su questo dettaglio, potrebbe tornarmi la voglia di mettere le mani addosso a quel Candido.

Riprendo con l’elenco: è coraggiosa, non esita a sfidarmi apertamente e riesce a guardarmi negli occhi più a lungo di qualsiasi altra persona;
è ironica, ma non sorride spesso; è anche gentile – con tutti, eccetto che con me -, ha aiutato spesso la Pacifica, sebbene si conoscano appena;
è decisamente carina e gli altri Intrepidi – specialmente i due gemelli – sembrano attratti da lei, quindi in questo non sono l’eccezione che conferma la regola.

Con una smorfia di delusione, mi rendo conto di sapere molto poco di lei.

E alcuni particolari che sono riuscito a carpire dalle sue conversazioni con gli altri iniziati non fanno nulla per aiutarmi a capirla.
Anzi, mi riempiono la testa di altre mille domande.

Qual è il significato di quel bracciale?
E che diamine c’entra il cianuro col cioccolato?!

Sbuffo, frustrato.
Mi devo impegnare di più.
Riuscirò a risolvere il mistero che circonda quella ragazza, a tutti i costi.
È una promessa solenne che faccio a me stesso.

Certo, Eric. Continua a ronzarle intorno.
Ammettilo, sei solo alla ricerca di un’altra possibilità per toccarla come hai fatto oggi.


C’è del vero nelle parole che compaiono nel mio cervello come scritte al neon.

Ho quasi provato simpatia per quell’idiota di Quattro – un fatto senza precedenti - quando mi ha proposto di aiutare Zelda a raggiungere il dormitorio.

L’avrei aiutata in ogni caso: non potevo permettere che rischiasse la pelle due volte nello stesso giorno.
Sarebbe potuta inciampare e cadere dritta nello strapiombo, vista la sua incredibile fortuna.

Inoltre, averla tra le braccia mi ha trasmesso una bella sensazione.
L’ho lasciata andare, con riluttanza, solo due minuti fa e sto già cercando di orchestrare un'altra situazione per poterla avvicinare di nuovo.

Sono decisamente ammattito.

E penso proprio che sia una condizione irreversibile.

Con un sospiro brusco mi affretto ad entrare nello studio di Max.
Ha riunito tutti i Capifazione per spiegarci le nuove procedure che riguardano le simulazioni a cui sottoporremo gli iniziati tra breve.

Mi saluta con un cenno del capo quando prendo posto accanto a lui.

Mentre illustra i dettagli sui vari sieri da usare, pronuncia spesso la parola ‘divergenti’.
Mi concentro su ogni sillaba per riuscire a comprenderne il significato.

A quanto pare tra noi ci sono degli individui in grado di resistere in modo prolungato ai sieri per le simulazioni.
Riescono a controllare gli scenari mentali a loro piacimento e impiegano la metà del tempo per uscirne.

Il nostro obiettivo, per ora, è quello di scovarli e stilare una lista di nomi.
Max non specifica altro, ma credo che il suo vero scopo abbia poco a che fare con il semplice censimento che ci ordina di portare a termine.

Bevo un sorso di caffè, mentre rimugino sul suo discorso.

All’improvviso la porta della stanza si spalanca.
Tutti i presenti si voltano per capire il motivo di quell’interruzione, ma si rilassano quando vedono che si tratta solo di Ted, il figlio di Max.

Provo una strana simpatia per quel bambinetto.
È vivace, tenace, non ha nemmeno paura di trovarsi alla presenza di cinque Capifazione: è il degno erede di suo padre.

- E’ successo qualcosa? Stai bene? – chiede Max, visibilmente preoccupato, facendolo sedere sulle proprie ginocchia.

Ted scuote la testa, i capelli biondi che schizzano da tutte le parti. – Devo solo dirti una cosa. È importante – esclama, in tono eccitato.

Max sbatte le palpebre, perplesso. – Certo, piccolo. Cosa vuoi dirmi? -.

- Ho deciso che mi sposerò – dichiara il bambino, con un tono talmente convinto da far scoppiare a ridere gli altri Capifazione.

Io continuo a sorseggiare il caffè, spiando la reazione di Max.
E’ determinato, il moccioso.

Suo padre spalanca gli occhi, sbalordito. – Non ti sembra di essere troppo giovane? -.

- Papà, non ho detto che mi sposerò ora – continua imperterrito Ted, corrugando le sottili sopracciglia.
Sulle sue guance spuntano due fossette. – Ho solo scelto la ragazza giusta -.

Max scuote piano la testa. Il suo tono è esasperato. – E sentiamo, chi sarebbe? -.

- Si chiama Zelda – confessa il piccolo, illuminandosi.

Il caffè mi va di traverso e inizio a tossire.

James, che siede alla mia destra, mi da leggere pacche sulle spalle finché non mi calmo.
Io neanche lo ringrazio, sono troppo scioccato.

Quella ragazza è una vera e propria persecuzione.

Perché la sento nominare ovunque vada?
Perché tutti sembrano conoscerla?

Prima l’infermiera – non l’avevo mai vista preoccuparsi così per nessuno -, adesso questo bambino.
Come fa a incantare tutti in questo modo?
Credevo di essere io il problema, invece sembra che il raggio d’azione del suo potere sia più ampio.

Max mi sta guardando con un sorrisetto sarcastico dipinto sul volto. – Mi sembra di aver già sentito parlare di questa ‘Zelda’ -.

Cerco di rimanere impassibile mentre rispondo. – E’ la trasfazione che è saltata per prima -.

- Ah, già – esclama lui, annuendo. Si volta nuovamente verso il figlio. – E si può sapere dove l’hai conosciuta? -.

Penso di capire perché è così sorpreso, ma, allo stesso tempo, felice.

Qui alla residenza non ci sono molti bambini dell’età di Ted e gli adulti lo tollerano solo perché è il figlio di un Capofazione.
Max mi ha confidato che da quando sua moglie è morta, Ted tiene a distanza tutti ed è diventato sempre più solitario.
Gli unici che possono toccarlo sono suo padre e, qualche volta, Elizabeth, l’infermiera.

Quando Max nomina Zelda, Ted si volta a fissarmi. – La conosci? – chiede, con sospetto.

Alzo le spalle, fingendo indifferenza. – Un po’. Ho assistito al suo incontro oggi -.

- E’ stata brava, vero Eric? -. Il piccolo si illumina di nuovo mentre parla di lei.

Mi auguro di non avere la sua stessa faccia emozionata quando rispondo. – Abbastanza. Non ha vinto, ma ha saputo tenere testa al suo avversario -.

- Sì, l’ha detto anche lei – fa lui, annuendo con decisione. – Ha aggiunto anche che non si arrenderà, che ci proverà di nuovo, finché non vincerà -.

Tipico di Zelda.
Sento che sto sorridendo e mi affretto a riprendere un contegno.

- La ragazza promette bene – commenta Max. – Ma non è un po’ grande per te, Ted? -.

Il piccolo tentenna. – Forse – ammette alla fine. – Però è carina, papà. Quasi come la mamma -.
Si gira e mi sbircia di sottecchi. – Non è vero, Eric? -.

Frena, ragazzino, cosa c’entro io in questo discorso?

- Cosa? – chiedo, sperando di aver interpretato male la sua domanda.

Lui mi guarda, speranzoso. – Zelda è bella, vero? -.

Ormai mi stanno fissando tutti, in attesa del mio verdetto.

Cosa sono diventato, un’attrazione pubblica?
Hanno forse capito che anche a me interessa quella ragazza?


Chiudo gli occhi e sospiro. – Sì, Ted –.

Dichiaro la sconfitta, alzo bandiera bianca e continuo: – Zelda è bella -.




 
* * *

 

Zelda




Mi rigiro senza sosta nel letto, ingarbugliandomi tra le lenzuola, alla ricerca di una posizione comoda.

Ho male dappertutto, dalla schiena alle costole.
Devo limitare ogni respiro per non rischiare di impazzire a causa delle fitte di dolore, quasi avessi degli aghi piantati sottopelle.

Sento il leggero russare di Xavier alla mia destra e mi concentro su quel debole fischio, cercando di rilassare i muscoli.

Il sonno non si decide ad arrivare.
Aspetto per un tempo infinito, poi spalanco gli occhi e mi siedo sul materasso.

Il movimento brusco mi fa gemere, per cui mi tappo la bocca con la mano per non svegliare il resto della camerata.

Scalcio via le coperte e afferro le scarpe. In punta di piedi, a piccoli passi e dosando ogni minimo gesto, raggiungo la porta ed esco.

Non ho una meta precisa in mente, perciò mi dirigo in bagno, tanto per fare qualcosa.
Quando intercetto la mia immagine riflessa nello specchio mi lascio scappare un grugnito: ho un aspetto orribile.

Mi lego i capelli in una coda ed esamino le varie ferite.
Si stanno lentamente rimarginando e, con mio immenso sollievo, sono meno gonfie di oggi pomeriggio.

Il livido bluastro che spicca sotto lo zigomo destro mi inquieta di più.
Lo tocco delicatamente e stringo gli occhi quando lo sento pulsare sotto le mie dita.
Mi fa male, ma è nulla rispetto al dolore che avverto alle costole.

Alzo piano la maglia nera che uso come pigiama ed esamino con cipiglio critico la gabbia toracica.
Ha assunto la stessa tonalità che esibisco in faccia, non posso far altro che spalmarci sopra altra crema e sperare che domani il dolore non mi impedisca di combattere.
Al solo pensiero di un nuovo incontro mi viene la nausea.

Apro il rubinetto e mi butto manciate di acqua gelida in viso.
E’ un balsamo per la mia guancia e mi aiuta a riflettere con più lucidità.

Finora mi sono basata sull’istinto, una delle qualità che vengono maggiormente apprezzate tra gli Intrepidi.
A volte mi è tornato utile, ma mi rendo conto di non poter vincere il prossimo combattimento affidandomi solo al caso e alla fortuna.

Mi resta una sola cosa da fare: devo combinare il mio cervello da Erudita con la mia indole da Intrepida, e devo riuscirci entro domani.

Il mio sguardo si accende, ho già in mente la prossima mossa.

Scivolo fuori dal bagno e corro verso la palestra.
Non so se mi è permesso recarmici a quest’ora: visto che non incontro nessuno sulla mia strada, proseguo.

Il dolore è tornato a farsi sentire, ma fingo di non badarci.

Mi piazzo davanti al sacco di cuoio nero e lo studio in silenzio per alcuni minuti.
Lo immagino con la faccia di Ian, un colosso di muscoli che devo far di tutto per sconfiggere.

Da dove comincio?

Non posso sfruttare la forza fisica perché lui ne possiede il doppio.
È anche veloce, quindi devo cercare di anticipare i colpi, se non voglio avere anche l’altra metà del viso dolorante e dipinta di un bel violetto.

Mantieni la tensione. Le braccia devono essere sempre pronte a scattare.
Non lasciarti prendere dal panico.


Sussulto al ricordo di quella voce, dolce e autoritaria al tempo stesso.

Ero solo una bambina quando mia madre mi ha impartito la prima lezione di autodifesa.

Non so come facesse a conoscere quelle mosse, non gliel’ho mai chiesto.
Lei si è limitata a spiegarmi che ogni persona deve saper difendersi in caso di pericolo, anche un’Erudita.

È stata lei a trasmettermi la passione per la ginnastica e la danza, attività che non erano viste di buon occhio nel nostro quartiere.
Io approfittavo di ogni momento libero per allenarmi, era una sorta di valvola di sfogo, ma dovevo farlo in luoghi poco frequentati e lontano dai miei fratelli.
Se mio padre l’avesse saputo, non mi avrebbe più lasciato uscire di casa da sola.

Dopo la morte della mamma ho lasciato perdere, non aveva senso senza di lei.
Inoltre, cercavo di fuggire da ogni ricordo che la riguardasse per non soffrire ulteriormente.

Espando la mia memoria, volo indietro nel tempo, focalizzo tutti i movimenti che ho ripetuto fino allo sfinimento per farli diventare atti automatici.

Prendo un respiro profondo e li metto in pratica, uno dopo l’altro.







 
 
 
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Ciaooo ;) ecco il nuovo capitolo gente!

Vi siete accorti che, man mano che si va avanti, Eric impreca sempre meno?
ahaha continuate a seguire, ci saranno interessanti sviluppi ;)


Che posso dire di Ted? È un fenomeno quel bambino!!

Fatemi sapere che ne pensate!
Voglio ringraziare di cuore chi recensisce, chi ha inserito la storia tra le preferite, chi la segue, chi la legge in silenzio… spero vi divertiate tanto quanto mi diverto io a scrivere ;)


Un bacio a tutti,
Lizz

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Capitolo 16
*** Break the ice ***






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Capitolo 15


Eric




Questa volta non voglio nessuna responsabilità per quanto riguarda i risultati dei combattimenti, perciò ho ordinato a Quattro di estrarre a sorte i nomi.

Non sono per nulla contento delle coppie, ma è tardi per protestare.

Avrei preferito escludere Zelda, almeno per questa mattina.
Purtroppo la sorte non si è espressa in suo favore e a me non rimane che accettare il fatto compiuto.

La Pacifica è ancora a letto da ieri pomeriggio, messa decisamente peggio della sua amica dopo l’incontro di ieri contro Oliver.
Ed è proprio con quest’ultimo che si dovrà misurare Zelda.

Sento già una morsa di panico serrarmi la gola.

Me ne sto appoggiato alla parete, il più lontano possibile dalle lampade, così nessuno potrà leggere le mie espressioni facciali in tempo reale.
Meglio non correre rischi, non voglio certo passare per uno di quei rammolliti che piagnucolano quando vedono una ragazza in difficoltà.
Ho una reputazione da difendere: il rispetto e la stima degli altri Intrepidi per me verranno sempre al primo posto, non importa quanto mi stia interessando a quell’Erudita.

Gli iniziati arrivano dopo pochi minuti. I tre maschi entrano per primi, Zelda è l’ultima della fila.
Sono tutti e quattro silenziosi ed evitano di guardarsi reciprocamente in faccia.

Cerco di non fissare il volto della ragazza più del necessario.
E’ viva, respira e cammina: non mi serve sapere altro.

Ma non posso impedirmi di provare una rabbia feroce, una furia incendiaria che mi invita a picchiare a sangue il Candido che l’ha ridotta così.

Fra pochi minuti la scena si ripeterà e non credo di essere psicologicamente in grado di affrontarla.
Forse dovrei andarmene, lasciare a Quattro il compito di supervisionare il resto degli incontri.

Non lo farai e lo sai. Sei forse un codardo?

Digrigno i denti.
Certo che no, io disprezzo chi fugge davanti al pericolo o si tira indietro per paura di fallire.

Pianto i piedi per terra e incrocio le braccia, facendo finta di fondermi con la parete.
Che lo spettacolo inizi pure, sono pronto.

Quattro chiama la prima coppia di sfidanti, ovvero i due Candidi, che si avviano al centro del cerchio.
Rimangono a fronteggiarsi per alcuni secondi, poi scattano in avanti nello stesso momento, col risultato di scontrarsi a metà strada.
Entrambi mugugnano quanto le loro teste entrano in collisione, producendo un sonoro crack.

Strano: vista la loro stupidità, mi aspettavo che il loro cranio suonasse a vuoto.

Scuoto la testa davanti a tanta goffaggine.

Quattro si sta mordendo un labbro per non scoppiare a ridere e, lanciando un’occhiata agli altri iniziati, mi accorgo con stupore che anche Zelda fa fatica a rimanere seria. Gli angoli della sua bocca sono piegati all’insù, in un sorrisetto furbo.

Alzo un sopracciglio.
Non mi sembra nervosa e nemmeno impaurita.

Dovrebbe esserlo, no?

La pelle vicino ai piercing si tende quando mi scappa una smorfia di fastidio.

Ormai dovrei esserci abituato: si tratta di Zelda, il che, in poche parole, significa che i miei schemi comportamentali mentali sono praticamente inutili.
Non posso basarmi sull’esperienza e nemmeno sull’intuito, perché quella ragazza stravolge ogni mia singola previsione.

La luce delle lampade le illumina solo metà faccia, ma riesco comunque a notare il livido violaceo anche a questa distanza.
Mentre la osservo, assorto, gira appena la testa e punta lo sguardo sull’Erudito contro cui dovrà combattere tra pochi minuti.

Lo squadra da capo a piedi, probabilmente per valutarne le capacità e ricavarne la migliore strategia per batterlo.

Alzo gli occhi al cielo.
Davvero pensa di riuscire a sconfiggerlo?
Oliver è anche più alto di Ian e ha molti più muscoli.

Zelda non sembra spaventata da quello che vede.
Stringe le palpebre e il suo sguardo si accende di determinazione, quasi avesse un piano ben definito in mente.

Lo spero per te, piccola.

I miei pensieri trasudano sarcasmo al pari della mia espressione.

All’improvviso mi tornano in mente le parole di Ted.

Ha aggiunto che non si arrenderà, che ci proverà di nuovo, finché non vincerà.

Inclino il capo, osservandola attentamente come lei sta facendo con Oliver.
A dir la verità, noto qualcosa di diverso dal solito, una scintilla di risolutezza che ieri non c’era.

Il suo aspetto non è quello tipico del perdente, occhi bassi e spalle curve.
La sconfitta subita non sembra aver spento il suo spirito combattivo, l’audacia che ai miei occhi la distingue dagli altri iniziati come fosse una perla luccicante in mezzo a grezzi pezzi di carbone.

Me ne rendo conto perché io avevo quello stesso atteggiamento arrogante prima di un duello.
Zelda è sicura di vincere, o quanto meno è la sensazione che mi trasmettono la linea serrata della mascella e i muscoli contratti delle braccia.  

Quando Quattro chiama il suo nome, si fa avanti senza esitare un solo istante, confermando le mie supposizioni.

Oliver non lascia trasparire alcuna emozione, sembra una statua scolpita nel granito.
La guarda con le sopracciglia aggrottate, come se stesse aspettando il suo permesso per iniziare lo scontro.

Zelda non approfitta dell’indecisione del suo avversario per attaccare: rimane immobile con le braccia piegate e leggermente allargate verso l’esterno.
Flette le dita come se fossero artigli e fissa Oliver intensamente, non batte neanche le palpebre.

Dopo alcuni secondi di stallo, l’Erudito muove un passo in avanti e fa scattare il braccio destro verso il torace di Zelda.

Mi accorgo di star trattenendo il respiro, ho i muscoli rigidi come pietra.
Forse lasciare la stanza non è una cattiva idea.
Non sono affatto preparato a rivivere la stessa scena di ieri.

Sto già per avviarmi verso la porta, quando un movimento improvviso mi fa riportare gli occhi sull’incontro.

Sono talmente sbalordito che sento che la mia mascella potrebbe spalancarsi da un momento all’altro.

Ho fatto bene a rimanere, sapevo che quella ragazza non mi avrebbe deluso.

Poco prima che il pugno di Oliver si abbattesse su di lei come un proiettile, Zelda si è spostata leggermente di lato, fuori tiro.
Ha allungato una mano ed ha afferrato il polso dell’avversario con una presa fulminea, prima di torcerlo fino a farlo gemere di dolore.

Si china in avanti ed Oliver è costretto ad assecondare i suoi movimenti se non vuole ritrovarsi con le ossa spezzate.

Zelda continua a torcergli il braccio finché non si sdraia a terra, poi si siede sulla sua schiena, ignorando i suoi patetici tentativi di fuga.

Nella palestra si sentono solo i lamenti dell’Erudito: tutti i presenti, me compreso, hanno gli occhi puntati sulla scena e trattengono il fiato.

Ormai inarrestabile, Zelda gli afferra entrambe le mani, punta le ginocchia sul suo dorso per impedirgli di muoversi e, infine, si scioglie i capelli.

Non capisco cosa intende fare, finché non usa l’elastico per legare entrambi i polsi di Oliver, alla stregua di un paio di manette.

Quando ha finito scuote la folta chioma corvina e punta due dita sulla nuca del compagno, imitando la canna di una pistola.
Sulle sue labbra aleggia un sorrisetto soddisfatto.

Dopo alcuni istanti di silenzio, Quattro scoppia a ridere. – Penso proprio che la vincitrice di questo scontro sia Zelda – esclama, compiaciuto.
Poi si volta verso di me. – Tu che dici, Eric? -.

È un fatto senza precedenti, non ho mai assistito a niente del genere.
Di solito la sconfitta viene determinata dalla perdita di conoscenza di uno dei due contendenti, non è mai accaduto che qualcuno riuscisse ad immobilizzare l’avversario senza farlo svenire.

Mi inumidisco le labbra. – Dal momento che Oliver non sembra in grado di muoversi…-.

Quattro non mi lascia nemmeno terminare la frase. – Ottimo! Ben fatto, Zelda – si complimenta, cerchiando il suo nome sulla lavagna con un gesso colorato. – Credo che ora tu possa lasciarlo andare -.

Zelda obbedisce e scende dalla schiena di Oliver, sciogliendo il nodo dell’elastico.
L’Erudito la fissa ansimando, con gli occhi spalancati come quelli di un cerbiatto che si è imbattuto in un cacciatore.
La sua espressione, tra l’offeso e il patetico, mi fa quasi scoppiare a ridere.

- Come ci sei riuscita? – chiede Paul, incredulo tanto quanto me.

Zelda si stringe nelle spalle. – Fortuna, presumo -.

Lui può essere così tonto da cascarci, ma io so benissimo che la fortuna non c’entra nulla.

Quella ragazza sapeva benissimo cosa stava facendo, aveva pianificato tutto già prima dell’inizio dell’incontro.
La sua espressione concentrata, la posa delle braccia…ora mi è tutto chiaro: ha già sperimentato quella presa in precedenza.

Ma con chi?
E perché non l’ha usata ieri?!
Dannazione, mi sarei risparmiato quel mezzo infarto!

Quattro sta congedando gli iniziati, per cui impiego solo un istante a decidere la mia prossima mossa.
Questa volta la ragazza non mi scapperà, dovrà rispondere alle mie domande.

Le blocco la strada prima che possa uscire dalla porta. – A quanto pare sono costretto a ricredermi – attacco. – Hai lottato come una pantera. I miei complimenti -.

Il mio tono neutro e per nulla ironico sembra averla spiazzata. Mi fissa per alcuni secondi, incerta, poi sorride.

Adesso sono io quello confuso: è la prima volta che mi rivolge un’espressione così raggiante, molto diversa dal suo solito sguardo inceneritore.

- Grazie, Eric -. Pronuncia il mio nome senza la solita cattiveria. Mi piace come suona.

- Dove hai imparato quei movimenti? – chiedo a bruciapelo, prima che possa sfuggirmi.
Voglio una risposta e l’avrò, a costo di fargliela sputare a forza.

Zelda mi fissa intensamente.
Sembra stia lottando con se stessa, indecisa se concedermi una spiegazione oppure no.
Alla fine sospira. – Avevo quattro fratelli che si divertivano a prendermi di mira – replica, in tono rassegnato, neanche le stessi estorcendo la verità con la tortura.
– Ho dovuto imparare a difendermi -.

- E i tuoi genitori non dicevano nulla? – chiedo, corrugando la fronte.

- Mia madre è morta – continua, abbassando lo sguardo. - E mio padre non si curava molto di me -.
Dal suo tono si capisce che parlare di lui non le fa piacere.

Altro punto da aggiungere alla mia lista personale: la sua famiglia non le manca per nulla.

Mi torna in mente all’improvviso il suo sguardo d’orrore davanti alla fetta di torta al cioccolato.

Cosa le è successo? Cosa le hanno fatto?

Prima o poi lo verrò a sapere, ma sospetto non sia un racconto molto divertente.
Trattengo un sospiro: allora una cosa in comune l’abbiamo. Nemmeno io ho avuto un’infanzia piacevole.
 
Scaccio via i ricordi che si stanno facendo largo nella mia mente.

Forse è per questo che sento questa bizzarra attrazione nei confronti di Zelda.
Perché per certi versi ci assomigliamo: siamo entrambi combattivi e non ci lasciamo spaventare facilmente.

Mi chino in avanti e le appoggio le mani sulle spalle.
Ci fissiamo negli occhi per qualche istante, ghiaccio e fuoco che si mescolano.

Vorrei dirle tante cose: che comincio a capirla, che mi dispiace per tutte quelle volte in cui l’ho sgridata o minacciata, che mi piacerebbe conoscerla meglio…

Cosa sono tutti questi pensieri sciocchi? Cerca di ricordare chi sei, Eric, tuona la voce della coscienza, facendomi tornare bruscamente alla realtà.

- Avresti potuto usare quelle mosse anche ieri – replico, nel mio consueto tono tagliente e lievemente ironico.
- Il tuo obiettivo dovrebbe essere quello di vincere, non di finire al tappeto come una pappamolla. Mi sbaglio? -.

Zelda non sembra offendersi più di tanto.
Anzi, fa un sorrisetto maligno. – Hai ragione, ma, se avessi vinto, tu non mi avresti portato in braccio. È stato divertente -.

Alza le spalle e mi supera.

Io rimango lì impalato, la guardo finché non sparisce lungo il corridoio.

Non c’è che dire. Ha un vero talento nel lasciarmi senza parole.









 
 
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Ciaoo gente ;) ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia!

Eric comincia pian piano a sciogliersi. Il merito è tutto di Zelda, è lei che fa la differenza ;)

Fatemi sapere che ne pensate ;)
Alla prossima, spero di riuscire a postare presto!

Un bacio,
Lizz

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Capitolo 17
*** Ready or not ***








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Capitolo 16


Zelda




Non appena imbocco il corridoio che conduce al dormitorio, getto indietro la testa e scoppio a ridere.

Deve essere colpa della tensione pre-incontro, ma non riesco a smettere e dopo pochi secondi mi scendono le lacrime.

La faccia di Eric era troppo divertente.

Avrei voluto scattargli una foto, tanto per immortalare il momento.
Sembra che il mio nuovo obiettivo sia quello di farlo ridere, ci sto quasi riuscendo.

Non so come mi è uscita quell’ultima frase, però è stata un colpo di genio.
È rimasto talmente sorpreso da non riuscire a replicare come suo solito.

Mi sembra di aver vinto due volte nel giro di pochi minuti. Prima contro Oliver, anche se per lui ho provato compassione…quasi.

È più forte di me: ogni volta che lo guardo, rivedo in lui mio fratello Clark – quell’idiota di mio fratello Clark – e muoio dalla voglia di fargli perdere quel sorrisetto arrogante.
Quando l’ho immobilizzato, non stava affatto sorridendo. Scalciava e si dimenava come un ossesso, neanche stessi per tagliarlo a fette.

Non gli ho torto un capello, per l’amor del cielo!
Non ha riportato nemmeno un misero graffio!
Dovrebbe ringraziarmi, spargere petali di rosa sul mio cammino, o che so io.

D’accordo, magari la presa che ho usato per fermare il suo pugno è stata un po’ fastidiosa, ma cosa si aspettava?
Che lo lasciassi fare? Che mi inginocchiassi a terra, permettendogli di colpirmi, senza neanche provare a combattere?

Ha fatto male i suoi conti.
Io non sono una ragazzina debole, io sono Zelda.
Dovrà imparare a portarmi rispetto, altrimenti la prossima volta non sarò così delicata.

La sua espressione era impagabile.

Quando varco la soglia del dormitorio sto ancora ridacchiando.
Mi asciugo le tracce di lacrime e raggiungo il letto di Leslie.

Le mie condizioni fisiche non sono nulla rispetto alle sue.
Siamo entrambe finite in fondo alla classifica, ma quello, per il momento, è l’ultimo dei miei pensieri.

Mi siedo al suo fianco e le sfioro il dorso della mano.
Ha i capelli castani sparsi a ventaglio sul cuscino e alcune ciocche le ricadono sull’occhio sinistro, circondato da un livido dello stesso colore del mio.
Riesce a malapena ad aprirlo, nonostante tutti gli impacchi di ghiaccio che io e Felix le abbiamo applicato ieri sera.

- Ehi – faccio, cercando di usare un tono abbastanza frivolo. – Vuoi sapere la novità? -.

Leslie fa un sorriso sghembo. – Spara -.

- Indovina: chi è la vincitrice dell’ultimo battibecco contro Eric? – chiedo, allegramente.
Il mio tentativo di farla divertire è piuttosto penoso, lo ammetto, ma qualcosa dovevo pur inventarmi.
Più stupido è, meglio è, perciò avanti tutta!

Lei fa una risatina debole. – Quando c’è di mezzo quel Capofazione, io scommetto sempre e solo su di te – risponde. – Cosa ti ha detto stavolta? Ti ha punita di nuovo? -.

Scuoto la testa. – No, anzi, si è complimentato con me per l’incontro -.
Per un attimo l’espressione allegra lascia il posto ad una decisamente sbalordita. – Sembrava quasi…curioso. Mi ha anche fatto alcune domande. Secondo te, cosa può significare? Che mi sta preparando un agguato? Più cose sa di me e più dettagliato sarà il suo piano per eliminarmi? -.

Leslie ci pensa su. – E se invece volesse far colpo su di te? – propone, mentre io faccio una smorfia schifata. – Dopotutto è un ragazzo, ha solo un anno più di noi -.

- E’ di Eric che stiamo parlando – sbotto, arricciando il naso. – Non potrebbe mai guardarmi in quel modo. Lui detesta tutti, noi iniziati in particolare -.

Lei alza le spalle, ma se ne pente all’istante perché emette un gemito e intuisco che quello all’occhio non è l’unico livido che lo scontro le ha regalato.

Mi alzo dal letto. – Hai fame? Posso portarti qualcosa? – domando, in tono gentile.

Prendermi cura delle altre persone è una delle cose che mi riesce meglio, sono troppo sensibile alla sofferenza altrui.
A casa i miei fratelli chiamavano sempre e solo me quando stavano male, ero la loro infermiera personale. Dicevano che la mia presenza li faceva sentire meglio, ma di sicuro era perché li viziavo e non perché mi volessero veramente bene.

- No, ma grazie per averlo chiesto – mormora Leslie, chiudendo gli occhi. – Ho solo bisogno di riposare. Tu va pure, non preoccuparti per me -.

- D’accordo – sospiro, avviandomi verso la porta. - Quando torno ti porto del ghiaccio e qualcosa da mangiare –.

Leslie fa una risatina. – Va bene, mamma -.

Mi sto già avviando in direzione dell’infermeria, quando vedo una chioma infuocata corrermi incontro. – Ehi Mel – la saluto.

Lei non si scomoda a rispondermi. Mi afferra un braccio e comincia a trascinarmi verso il Pozzo.
– Ehi, calma, dove mi stai portando? – chiedo, sospettosa.
- Lo vedrai – canticchia, procedendo a passo marziale.

Alzo gli occhi al cielo con un sospiro.
Non mi sono mai piaciute le sorprese, preferisco sapere tutto in anticipo e nei minimi particolari.
Tipica sindrome da cervello Erudito.

Melanie non spiccica parola finché non arriviamo davanti alla tendina di perline che separa il corridoio dall’ingresso di uno dei negozi.
Osservo la scritta incisa sulla parete e scuoto la testa. – Oh no -.

- Oh sì – ribatte Mel.
Scosta le perline, facendole tintinnare e scompare all’interno.

- Non se ne parla – sibilo.

La gente che transita lungo le scale di roccia si volta a guardarmi, incuriosita.
Dalle mie labbra esce un verso indefinito, di fastidio e di esasperazione mischiate assieme, ma alla fine mi decido a varcare la soglia per seguire Mel.

Prima quel ‘vestito’, adesso questo. Quando capirà che l’abito non fa il monaco?
Io mi sento già un’Intrepida, non mi servono marchi indelebili sulla pelle per provarlo.

Il tatuatore si gira verso di me quando entro e fa un sorrisone davanti alla mia espressione arcigna. – Ciao. Prima volta, eh? -.

Spero di essermi solo immaginata quel velo di ironia nascosta.
Non mi faccio deridere da un uomo del genere: ha decine di piercing su tutto il volto e la pelle interamente coperta di disegni, dal collo fino alle dita delle mani.
Quella vista mi provoca un brivido di repulsione.

Lo ignoro e cerco Mel con gli occhi.
Lei è qualche metro più in là, intenda ad osservare la bacheca su cui sono esposti i tatuaggi più alla moda.

Mi piazzo alle sue spalle e incrocio le braccia. - Avrei fatto meglio ad andare al poligono ad allenarmi assieme ai gemelli – borbotto, mentre scorro i vari disegni con gli occhi. Li trovo abbastanza raccapriccianti.

Mel passa un dito sul vetro. – Mi serve un consiglio –.

- Spiacente, non credo di essere la persona giusta a cui chiederlo -.

Lei va avanti a parlare come se non avessi aperto bocca. – Sono indecisa tra questi due – dice, indicando alternativamente il disegno di una fenice dalle piume dorate e quello di una tela di ragno dai bordi argentati.

Ammetto la sconfitta. Sono entrambi molto carini.
– Ma non hai già dei tatuaggi? Vuoi ridurti come quel mostro laggiù? – sussurro, accennando col capo al tatuatore che mi sta ancora fissando.

Mel sbuffa. – E’ arte, Zelda – afferma. – Tu eri un’Erudita, dovresti capirlo meglio di tutti gli altri -.

- Ok, ok – rispondo, alzando le mani in segno di resa.
Mi chino verso la bacheca e osservo entrambi i disegni con cipiglio critico. Poi punto l’indice sulla ragnatela. – Preferisco questo -.

- Anche io! – esulta lei, abbracciandomi di slancio. – Lo vedi, siamo in sintonia! -.

Chiama il tizio al bancone con un cenno e lui si avvicina. – Allora, ragazze, avete scelto? -.

Mel sembra una bambina al parco giochi, ci manca solo che inizi a saltellare in preda all’entusiasmo.
Mi guarda, raggiante, prima di seguire il tatuatore sul retro.

Rimango sola nel negozio.
Per far passare il tempo mi siedo su una delle poltroncine foderate di pelle nera e comincio a sfogliare alcuni album.
L’arte in sé mi ha sempre affascinato, per cui non posso non rimanere incantata a guardare alcuni dei disegni, specialmente quelli dai colori vivaci.

- Hai visto qualcosa che ti piace? – chiede una voce di donna alle mie spalle.

Prima che possa rispondere, l’Intrepida in questione si siede sul bracciolo della poltrona e mi prende il raccoglitore dalle mani.
Inizia a scorrerlo velocemente e nel frattempo mi fa alcune domande: il mio colore preferito, la mia data di nascita e altre sciocchezze del genere.
Io rispondo a monosillabi, ma alla fine lei fa un sorriso soddisfatto e mi mette davanti agli occhi una pagina su cui spicca il disegno di una stella a otto punte.

Io rimango a fissarla come ipnotizzata. – Cos’è? – mi arrischio a chiedere.

- Si chiama ‘stella del caos’ o ‘caosfera’ – spiega lei. – In passato era il simbolo di una forma di magia, legata anche a teorie scientifiche e alla matematica. Coloro che la praticavano ritenevano di poter cambiare la realtà -.
Si interrompe per sorridermi. – Tu eri un’Erudita, hai studiato e approfondito quasi tutte le materie conosciute, no? Ma poi hai deciso di cambiare, scegliendo gli Intrepidi. In poche parole, tu sei una Stella del Caos -.

Rimango a fissare quel disegno nero per un bel pezzo. Tutto quello che lei ha detto è vero, sarebbe proprio il simbolo adatto a me.
Ha anche un suo fascino.
Ci metto mezzo secondo a decidermi.

Mezz’ora dopo Mel ed io usciamo dal negozio. Lei è eccitata, io un po’ meno.
La ragazza – Tori, si è presentata prima di iniziare con la tortura – non mi ha fatto male: la tecnica che ha usato è una delle novità di quest’anno, o almeno così ha detto.

Entro questa sera la pelle irritata tornerà come nuova, tutto merito di una pomata speciale di provenienza Erudita, e potrò perfino togliere la benda.
Allungo una mano e sfioro il sottile rigonfiamento tra le scapole. – Non voglio altre sorprese – dico a Mel, che mi cammina a fianco. – Almeno per i prossimi trent’anni -.

- Quanto la fai lunga, è solo un piccolo tatuaggio. Non ti ho mica chiesto di tuffarti in una vasca piena di meduse assassine –.

- Tatuaggio? Ho sentito bene?! –.

La voce squillante di Xavier per poco non mi assorda. Sbuca dall’oscurità del tunnel, con Felix alle calcagna.
Fa per abbracciarmi, ma io alzo le braccia e lo tengo lontano. – Apprezzo l’entusiasmo, ma è meglio di no. Sono ancora dolorante -.

Lui fa una smorfia delusa. – Quindi non posso vederlo? -.

- Solo questa sera – aggiungo, prima di cambiare discorso. – Com’è andata al poligono? -.

Felix fa un ghigno perfido. – Xavier non colpirebbe il bersaglio nemmeno se fosse grande il doppio e illuminato da luci al neon – spiega, facendomi ridere. – E’ una causa persa -.

- Almeno io sono riuscito a battere il mio avversario oggi – rilancia scaltramente Xavier. – Cosa che non si può dire di te, caro il mio fratellino impiccione -.

I gemelli bisticciano per tutto il tragitto, mi fanno venire il mal di testa.
Quando entriamo in mensa mi siedo il più lontano possibile da loro, incastrandomi tra Quattro e Zeke.

Quest’ultimo non sembra per nulla infastidito, anzi, si sposta sempre più vicino, finché le nostre gambe non si toccano. – Il tuo istruttore mi stava raccontando del tuo incontro di oggi – esordisce, rivolgendomi un sorriso che va da un orecchio all’altro. – Mi vuoi sposare? -.

Non posso fare a meno di ridere. – Certo che potevi scegliere un luogo più romantico per la proposta, non ti pare? -.

Quattro fa un ghigno. – Mi ha obbligato a descrivere l’incontro fin nei minimi dettagli. E sta ripetendo da mezz’ora la stessa frase e cioè…-.

L’altro non lo lascia finire. – Cioè sentiti libera di mettermi al tappeto in quel modo quando vuoi – mormora al mio orecchio in tono provocante.

Scuoto lentamente la testa, senza perdere il sorriso. – Stai attento a quel che desideri, Zeke. Potrei prenderti in parola -.

Vedo una luce maliziosa lampeggiare nei suoi occhi scuri. – Bellezza, non aspetto altro -.

Alzo un sopracciglio e scambio uno sguardo con Quattro.
Lui inclina il capo come a dire ‘che aspetti? E’ tutto tuo’ e io non me lo faccio ripetere.

Afferro la mano che Zeke tiene sul tavolo e gliela torco, portandola dietro la sua schiena.
Lui è troppo sbalordito, non fa in tempo a fermarmi.
Mi alzo in piedi e gli prendo anche l’altro braccio. Punto il palmo della destra tra le sue scapole e, con l’altra mano, imprigiono le sue.

Zeke finisce con la testa nel piatto, schizzandosi tutto il viso con il sugo della pasta.

Quattro per poco non soffoca dalle risate, i gemelli non sono da meno.
Sembra che perfino le persone ai tavoli vicini facciano fatica a rimanere serie, infatti dopo pochi secondi sento alcuni fischi di approvazione.

Mollo Zeke e mi volto per concedere un inchino educato ai miei ammiratori.
Con mia grande sorpresa, noto che anche i cinque leader stanno sorridendo.
Vedo addirittura una scintilla di apprezzamento nello sguardo grigio e abitualmente freddo di Eric.

Imbarazzata, torno a sedermi.
Zeke si sta pulendo le guance col tovagliolo, ma non mi pare offeso, né indispettito dal mio attacco. – Tempismo perfetto, Zelda – ridacchia, leccandosi le labbra sporche di sugo.

- Contento? Posso sempre rifarlo, una volta o l’altra – replico, sbattendo le ciglia con fare innocente.

Lui sorride. – Ci conto -.




 
* * *


 

Eric




Sento gli angoli delle labbra scattare all’insù ogni volta che ripenso alla scena.

L’umiliazione di quello stupido di Zeke non ha prezzo, ma se penso che è stata opera di Zelda, mi sento stranamente compiaciuto.

Appoggio i piedi sul tavolo del mio ufficio e do un’occhiata all’orologio.
È quasi mezzanotte, Quattro dovrebbe arrivare a momenti.

Ho organizzato una piccola sorpresa per i nostri cari iniziati.
Di solito giochi di questo tipo vengono organizzati alla fine del percorso di iniziazione, invece quest’anno ho voluto anticipare i tempi.

Mi alzo di scatto quando sento picchiare due volte contro la porta.
Esco e mi ritrovo a poca distanza da Quattro, che se ne sta appoggiato alla parete a braccia incrociate.

Lo supero, senza rivolgergli la parola, e mi avvio a passo spedito verso il dormitorio delle reclute.
Chissà che facce faranno quando, svegliati bruscamente dai loro bei sogni, troveranno me ad osservarli, come un felino dagli artigli scoperti.
Sento già l’odore della paura nell’aria.

Quando raggiungo la porta arrugginita, giro piano la maniglia, attento a non emettere nemmeno il minimo rumore, ed infine varco la soglia.  

Quattro mi segue come un’ombra, senza fiatare.
Sembra che anche lui si stia divertendo, non riesce a trattenere un ghigno quando passiamo a pochi centimetri dai letti degli ignari ragazzini.

Li osservo uno ad uno, illuminati solo dalla luce fioca che entra dalla porta aperta.

So bene chi sto cercando.

Focalizzo il mio obiettivo dopo pochi passi.
Zelda è sdraiata di fianco, il lenzuolo le copre appena i fianchi. È rannicchiata in posizione fetale, con le mani unite vicino al volto.

Sembra rilassata, ma poi noto il sudore che le imperla la fronte e sono costretto a ricredermi.
Le sue palpebre si muovono avanti e indietro, a scatti, come se fosse prigioniera in un incubo e non riuscisse a trovare la via d’uscita.

Se la sveglio ora, le faccio solo un favore.

- In piedi! – tuono, battendo le mani con forza.

Nessuno degli iniziati reagisce al mio ordine, dormono beati come agnelli.

Anche io avevo lo stesso sonno pesante prima di attraversare la fase delle simulazioni: adesso scatto anche al minimo cigolio.

Aumento il volume della voce.
Dopo tre tentativi, finalmente raggiungo il mio scopo.

Mi godrei volentieri i loro sguardi spaventati e sconvolti, se non fossi così concentrato su Zelda.

È stata la prima a svegliarsi ed è rimasta a fissarmi ad occhi spalancati per alcuni secondi, prima di passarsi una mano sul volto.
La sua espressione terrorizzata non mi è sfuggita, ma dubito che fosse a causa mia.
È più probabile che fosse la conseguenza dell’incubo di cui era preda.

- Avete cinque minuti per prepararvi – ringhio, socchiudendo minacciosamente gli occhi. – Non avrò pietà per i ritardatari -.

Prima di uscire, lancio un altro sguardo alla ragazza.
E’ immobile, le onde ribelli dei capelli le nascondono il viso, impedendomi di leggere la sua espressione.
L’unica cosa che noto è il suo respiro accelerato.

- Pensi di farcela, Zelda? – sibilo, in tono ironico.

Lei mette le gambe fuori dal letto e si alza in piedi come un automa.
Non indossa un pigiama, ma una semplice tuta da ginnastica.
Infila una maglietta sopra la canottiera nera, lega i capelli e allaccia in fretta le scarpe.

Rimango a fissarla sbalordito.

Come fa ad essere così carina senza nemmeno un filo di trucco?

Josie non esce mai senza almeno tre chili di roba in faccia e a me non piace lo stesso.

Zelda allarga le braccia. – Sono pronta, signore – dice, sfidandomi col suo sguardo di fuoco.

La paura ha lasciato il suo viso, sul quale la determinazione è tornata a divampare.

Ora la riconosco.










- - - - - - - - - - - - -
Sono tornata gente ;) in questo capitolo Eric non ha avuto molto spazio, ma si rifarà nel prossimo eh eh!

Vi è piaciuta la scena con Zeke? ahahah

Continuate a seguire e a farmi sapere che ne pensate, ci tengo molto ;)

Un bacio a tutti,
Lizz

p.s. la canzone che da il titolo al capitolo è dei Lawson ;)

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Capitolo 18
*** Fear of the dark ***








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Capitolo 17



 

Zelda




Aiuto Leslie ad allacciarsi le scarpe, poi sfrecciamo lungo i corridoi del Pozzo, seguendo i nostri compagni di stanza e altri Intrepidi che non conosco.

Xavier e Felix ci affiancano, rimangono vicino a noi fino ai binari.

La folla in nero si ferma di botto quando Eric fa un cenno.
Con la mano indica una scatola nera piazzata a pochi passi dalla rotaie. – Ognuno prenda un fucile! – grida.

Sto per farmi avanti, quando una mano mi afferra la spalla. - Ci penso io, tu prendi i proiettili di riserva – mormora Felix, superandomi e fiondandosi sulla pila di armi.

La scatola di munizioni è qualche passo più in là, ma nessuno sembra averci fatto caso.
Mi chino e sgraffigno alcuni caricatori, per poi distribuirli ai miei amici.

Quando ci hanno svegliati così bruscamente ho pensato subito al peggio.
Un attacco, un’emergenza, un incendio nella residenza…ed ora mi ritrovo tra le mani manciate di proiettili di vernice!

Qual è lo scopo di tutto questo trambusto? Vogliono metterci di nuovo alla prova?

È stato già abbastanza traumatico svegliarmi a pochi passi da Eric, che non ha fatto altro che fissarmi per tutto il tempo in cui è rimasto nel dormitorio.
Non può concedermi un attimo di tregua? Adesso si diverte a tormentarmi pure di notte?

Infilo in tasca le munizioni e stringo tra le braccia il fucile che Felix ha recuperato per me.
Non è molto pesante, ma mi ispira comunque soggezione.

- State pronti – mormora Quattro, mentre una luce fende il buio della notte.
Il treno si sta avvicinando rapidamente, quindi cominciamo a correre in fila lungo i binari.

Il primo a saltare dentro è Eric.
Si infila nel vagone con un salto atletico e calcolato, ma non si volta indietro per aiutare il resto di noi a raggiungerlo.

Alzo gli occhi al cielo. Tipico.

Quattro afferra una delle maniglie e, con la mano libera, fa salire Leslie.
Io continuo a correre accanto al treno finché non individuo un gancio sporgere, circa all’altezza delle mie spalle.
Mi do lo slancio e mi butto di lato.
Colpisco la parete esterna del vagone con la spalla, procurandomi l’ennesimo livido.

Stavolta non c’è nessuno ad aiutarmi: allungo la gamba e, con una mezza piroetta, entro nella carrozza.
Il mio orgoglio esulta quando constato di essere stata una dei più veloci.

Quattro mi fa un cenno, con un’espressione compiaciuta, mentre Eric rimane semplicemente a fissarmi.
Distolgo lo sguardo e mi appoggio alla parete accanto a Leslie.

Quando tutto il gruppo è a bordo, Eric ricomincia a parlare. – Lo scopo di quest’uscita è di mettervi alla prova con uno dei giochi tradizionali degli Intrepidi: strappabandiera – esordisce, in tono autoritario. – Ci divideremo in due squadre, formate da interni e trasfazione. Una scenderà per prima e nasconderà la propria bandiera. Dopo alcuni minuti di vantaggio, la seconda farà lo stesso -.
Lancia un’occhiata a Quattro. – Comincia tu -.

Il mio istruttore mi rivolge un sorrisetto. – Voglio Zelda –.

Eric fa una leggera smorfia di delusione.
Cosa significa, che mi voleva nella sua squadra?
A quel pensiero mi sento stranamente lusingata.

- Ian – continua il Capofazione, dopo un istante di esitazione.

Quattro sceglie Leslie, credo più per compassione che per altri motivi.
Eric opta per Oliver: quindi la sua sarà la squadra degli energumeni. Sempre meglio che avere quell’antipatico Erudito come alleato.

Alla fine il mio team è composto da Felix, Nora, Scott, Leslie e Mel, sono piuttosto soddisfatta.
Trattengo un ghigno di fronte all’espressione triste di Xavier.

- Scendiamo per primi – ordina Quattro, che se ne sta in bilico sul bordo della porta.

Mi metto il fucile a tracolla e mi assicuro che il caricatore di scorta sia ben protetto in tasca, non voglio certo perderlo durante il volo.

Salto per prima, ormai so cosa devo fare.
Eseguo la mia solita capriola e atterro in piedi, questa volta.

Dal vagone sento provenire un lungo fischio di apprezzamento che porta la firma di Xavier, ormai è un’abitudine.
Ricambio con un sorriso, prima di seguire la mia squadra attraverso le strade buie della città.

Camminiamo in silenzio per dieci minuti buoni, fino ad arrivare ad un incrocio.
Gli edifici che ci circondano appaiono vuoti e cupi, hanno quasi tutti i vetri delle finestre frantumati.
Sono abbastanza inquietanti da guardare, perciò riporto gli occhi sul mio istruttore.

- Idee su dove nasconderla? – fa lui, sventolando la bandiera arancione davanti a sé.

Felix si gratta il mento. – Che ne dite di quel vicolo? -.

Indica una stretta stradina che separa due palazzi, in mezzo alla quale si apre una voragine di media grandezza.
Una specie di porta d’accesso per la bocca dell’inferno.

Mi passo la lingua sulle labbra, diventate improvvisamente secche.
Incrocio le braccia e mi afferro i gomiti. Io lì non ci vado.

Sfortunatamente Quattro sembra apprezzare il piano. – Non male, Felix. Da lì potremo controllare i dintorni senza essere visti dall’altra squadra – mormora, dirigendosi verso le ombre.
Evita il grosso buco sull’asfalto con un salto, poi sparisce nel vicolo.

- Che state aspettando? – sibila. – Venite! -.

I miei compagni obbediscono all’istante, mentre io mi impunto. – Alcuni di noi non dovrebbero andare in perlustrazione? – chiedo, a bassa voce.

Mi rendo conto di avere sei paia di occhi addosso - alcuni scettici, altri stupiti - ma continuo come se niente fosse. – Se restiamo tutti qui, ci troveranno subito. Sentiranno un rumore, o qualcosa del genere. Dovremmo confondere le acque -.

- Non è una cattiva idea – commenta Scott, lasciandomi di stucco.
È la prima volta che mi guarda in faccia da quando sono arrivata alla residenza.

- Buon piano – aggiunge Mel, annuendo. – Sapevo che il tuo cervello da Erudita sarebbe tornato utile, prima o poi -.

Anche Quattro dà la sua approvazione. – D’accordo. Chi si offre volontario? -.

Io, Felix e Mel alziamo la mano.

- Fate attenzione – bisbiglia Leslie, mentre ci allontaniamo.
Le faccio un sorriso rassicurante prima di voltarmi e prestare attenzione a dove stiamo andando.

La strada che percorriamo è dissestata: lungo i marciapiedi ci sono cumuli di mattoni rotti e altro ciarpame che non perdo tempo ad analizzare.
Stringo il fucile contro il petto e socchiudo le palpebre, cercando di distinguere qualcosa nella fitta oscurità che ci circonda come un sudario.

Calpesto dei vetri rotti, producendo un rumore che, nel silenzio della notte, risuona come un colpo di cannone.

Ho i muscoli delle spalle irrigiditi dalla tensione e lancio occhiate frenetiche a destra e a sinistra, mentre cerco di controllare il ritmo del respiro.

Un velo di sudore mi copre la fronte e ho la bocca talmente secca che faccio fatica a deglutire.

Mi impongo di continuare ad avanzare, ignorando le fitte di panico che mi percorrono da capo a piedi come punture di spilli.

Ad un certo punto, Felix si ferma e tende l’orecchio. – Lo sentite anche voi? – chiede, in un sussurro.

Trattengo il fiato e chiudo gli occhi per concentrarmi meglio.
Un suono ritmico, proveniente da un punto poco distante da noi, spezza il velo di silenzio che avvolge la città.

- Sono passi – mormora Mel, indietreggiando. – L’altra squadra ci sta venendo incontro -.

Felix ci fa segno di tacere e indica un passaggio tra due magazzini fatiscenti.

Mi esce un sospiro spezzato quando mi accuccio a terra: pensavo di essermi lasciata l’oscurità alle spalle, invece sono finita dritta nelle sue grinfie.
Mi tappo la bocca con la mano, per non emettere nemmeno un fievole gemito.

Pochi secondi dopo, alcune figure ci passano accanto.
I loro profili sono più scuri delle ombre della notte, riesco a distinguerli bene anche senza una torcia.

I membri della squadra di Eric si fermano in mezzo alla strada, bisbigliano tra loro e poi continuano ad avanzare.
Aspetto che si allontanino, poi mi sporgo per vedere dove sono diretti.

Corrono in direzione di un alto edificio, situato circa cento metri più in là del nostro nascondiglio.
Una macchia di colore attira il mio sguardo, facendomi alzare in piedi di scatto. – Hanno la bandiera – sibilo. – Dobbiamo seguirli -.

Felix mi prende per il polso prima che possa uscire allo scoperto. – Uno di noi dovrebbe avvertire la squadra – dice, indicando la direzione da cui siamo venuti. – Devono stare pronti, non sono molto lontani -.

- Vado io – propone Mel. – Mi so orientare meglio di voi due messi insieme, poco ma sicuro -.

Felix non obietta. – Come vuoi. Noi attacchiamo – replica, scoccandomi un sorrisetto. – Pronta, Zelda? -.

Comincio a correre prima che lui finisca di pronunciare il mio nome.
Sento la sua protesta soffocata, ma non ci bado.

Impiego solo pochi secondi per raggiungere il palazzo dove si sono rifugiati i nostri avversari.

Mi appoggio con la schiena al muro e guardo in su.
A poca distanza da me c’è una scala a pioli, all’apparenza vecchia e arrugginita, ma credo possa reggere il mio peso. – Seguimi – sussurro a Felix.

Sto attenta a dove metto i piedi e salgo un gradino alla volta.
La scala ondeggia leggermente, ma almeno non cigola.
Quando raggiungo la finestra del secondo piano, noto che al posto del vetro è stato posizionato un pezzo di stoffa ruvida e scura.
Lo sposto con un braccio ed entro.

La stanza in cui sono capitata è pressoché vuota, fatta eccezione per un tavolo di acciaio addossato alla parete.
I muri sono spogli, per terra ci sono pile di riviste umide e maleodoranti. La puzza di muffa mi fa arricciare il naso.

Felix procede verso la porta, che è mezza aperta e inclinata verso il basso.
I cardini potrebbero cedere da un momento all’altro, perciò mi affretto a seguire il mio compagno lungo il corridoio.

- Dividiamoci – mormora lui.

Basta quell’unica parola a farmi rizzare i capelli. – Ok – rispondo. La voce mi esce roca, sembra che mi stiano strozzando.

Felix si dirige a sinistra, io prendo la direzione opposta.
Sto tremando da capo a piedi, ma mi sforzo di ritrovare una parvenza di calma, o quanto meno di lucidità.

Arrivo ad una rampa di scale e comincio a salire.
Quando giungo al piano superiore sento un colpo sordo provenire dalle mie spalle.

Faccio appena in tempo ad abbassare la testa: un proiettile mi sfiora i capelli, andando a schiantarsi contro il muro.
La vernice schizza dappertutto, puzza più dell’umidità di quella stanza.

Storco la bocca e inizio a correre.

Il corridoio buio sembra non aver fine, sento l’eco dei miei stessi passi rimbombare tra le pareti.
Il mio cuore batte veloce, sento ogni singolo livido pulsare.

Quando volto l’angolo, appoggio le mani alle ginocchia e faccio alcuni respiri profondi.
Mi stanno per raggiungere e non ho vie d’uscita.

D’accordo, non stanno per farmi fuori, ma non voglio nemmeno dargli la soddisfazione di catturarmi.
Ho sempre detestato perdere, non mi consegnerò a loro senza lottare.

I miei inseguitori sono sempre più vicini, devo decidermi subito.

Alla fine del corridoio scorgo uno scintillio: la debole luce della luna, che prima era nascosta dalle nubi, sta illuminando una barra d’acciaio su cui spicca un pulsante rosso.

Azzero la distanza che mi separa dall’ascensore e premo ripetutamente il bottone.
Le porte si aprono con un fruscio e io mi fiondo all’interno. Le osservo chiudersi e tiro un respiro di sollievo.

Un click appena accennato mi fa sobbalzare.

Quando volto la testa, mi ritrovo faccia a faccia con la canna di un fucile, puntata contro il mio petto.

La luce della lampada posta sul soffitto della stretta cabina illumina un volto spigoloso, su cui spiccano due occhi grigi, lucenti e micidiali come pugnali ricoperti d’argento.

Eric è appoggiato mollemente contro la parete opposta alla porta: tiene l’arma con una mano sola, mentre usa l’altra per premere uno dei pulsanti alla sua destra.

Con uno scossone poco rassicurante, l’ascensore comincia a muoversi verso il basso.

- Ciao, piccola -.

Il Capofazione fa un sorrisetto, ha la stessa espressione compiaciuta e affamata di un lupo che ha appena catturato la propria preda.

– Ti sono mancato? -.





 
* * *



 

Eric




Invece di spalancare gli occhi come farebbe qualsiasi altra persona in una situazione del genere, Zelda li riduce a fessura e incrocia le braccia.

Le sue reazioni sono sempre il contrario di quello che mi aspetto, è questo che mi affascina in lei.

Prima o poi riuscirò a capirla e allora mi sbarazzerò di questa curiosità morbosa e fastidiosa che mi spinge a cercarla in continuazione.

Questo incontro non è stato casuale: poco fa mi sono affacciato alla finestra per osservare il panorama e l’ho vista entrare nell’edificio assieme al gemello moro.
Mi ci sono voluti solo tre secondi per organizzare tutto, la stavo aspettando a braccia aperte.

Abbasso il fucile con lentezza calcolata. – Cosa speravi di fare? – chiedo, in tono sprezzante. – Non mi sembra che venire qui da sola sia stata una mossa molto intelligente. Mi sarei aspettato di meglio da un’Erudita -.

Zelda alza il mento. - Io non sono più un’Erudita – sibila. - Ficcatelo in testa -.

Alzo un sopracciglio. – Mi pareva di averti già detto di non usare quel tono con me – ringhio, avvicinandomi a lei.

Le strappo il fucile dalle mani e la guardo dall’alto con cattiveria. – Fidati, tu non vuoi vedermi veramente arrabbiato. Specialmente in uno spazio così stretto e senza vie di fuga -.

Zelda abbassa di colpo la testa e le sue guance si tingono di rosa.
Altra reazione inspiegabile…non sarà mica in imbarazzo?

Faccio una smorfia.
Mi sento inutile, non riesco nemmeno a spaventare una ragazzina.
Dovrei essere io quello imbarazzato, non lei.

L’ascensore continua a scendere lentamente, con continui cigolii e piccole scosse di tanto in tanto.
È un modello alquanto obsoleto, impiega cinque minuti buoni solo per passare da un piano all’altro, ma almeno funziona.

Quando un sobbalzo, più forte dei precedenti, fa tremare le pareti, capisco di aver parlato troppo presto.
Zelda si aggrappa a me per non cadere e fissa le pareti come se si stessero restringendo poco a poco.

Perché questa gabbia infernale riesce a intimorirla e io no?

Dopo l’ennesimo sussulto, l’ascensore si blocca del tutto.

Zelda si affretta a togliere la mano dal mio braccio e comincia a premere i pulsanti uno dopo l’altro. – Non è possibile – borbotta, tirando un pugno contro la parete.

La luce sopra le nostre teste inizia ad affievolirsi, fino a spegnersi del tutto.
Al suo posto inizia a lampeggiare una piccola spia di emergenza, che tinge ogni cosa di un rosso smorto.

- Non sta accadendo – mormora ancora Zelda, mettendosi le mani nei capelli.
Ora ha veramente gli occhi spalancati e le pupille dilatate dal panico. – No, no -.

Sono quasi tentato di mollarle un ceffone, di sicuro si tratta di un attacco isterico.
Questa sua reazione mi delude: credevo fosse forte, per essere una ragazza, invece è esattamente come tutte le altre.

- Che c’è, soffri di claustrofobia? – chiedo, mentre lei chiude gli occhi e si accuccia a terra.

Il mio sarcasmo sembra passarle attraverso, continua a tenere la testa tra le mani e non mi risponde.
Le sue dita tremano e ha i muscoli scossi da continui spasmi.

- Ehi – faccio, scuotendola per le spalle.
Non dà segni di vita, inizio a sentire una certa ansia. – Zelda! -.

Allontana le mie mani con uno schiaffo. - Non mi toccare! –.

Il panico nella sua voce mi scuote da capo a piedi, come l’onda d’urto che segue una detonazione improvvisa.

Sotto il mio sguardo allarmato, lei si circonda le ginocchia con le braccia e sprofonda la faccia nei pantaloni della tuta.

Sono pietrificato, non connetto più.
Riesco quasi a sentire il battito accelerato del suo cuore.
Qualcosa mi dice che questa reazione isterica non è dovuta ad una semplice fobia degli spazi chiusi.

Riprovo a toccarla.
Questa volta non mi scaccia via. – Senti, usciremo di qui, ok? -.
Il mio tentativo di sembrare convincente e rassicurarla non sortisce alcun effetto perché continua a tremare.

Aspetto cinque minuti, ma Zelda rimane muta come una tomba.
La delicatezza non è il mio forte, perciò ci rinuncio. – Si può sapere cosa ti prende?! – sbotto, esasperato.

Alla fine, quando sto per perdere ogni speranza, si decide a degnarmi di una spiegazione.
Sussurra alcune parole, a voce talmente bassa che devo chinarmi verso di lei per afferrarle tutte. - Ho paura del buio –.

Rimango sbalordito, poi faccio una secca risata. – Tutto qui? -.

Mi incenerisce con lo sguardo.
La rabbia sembra infonderle un po’ di energia, perché lentamente si alza in piedi.
Guarda il soffitto della cabina, dove la lucetta rossa continua a lampeggiare. – Non dovrebbe esserci una botola, o qualcosa del genere? – chiede, con voce spezzata.

- E’ un modello troppo vecchio – replico io, scuotendo la testa.
Sono contento che abbia ricominciato a parlare, cominciavo a sentire il suo panico strisciare verso di me.

Zelda impreca sottovoce, poi si sfila la maglietta.
Rimango a fissarla in silenzio, mentre si siede di nuovo e appoggia la schiena alla parete.
Getta indietro la testa e chiude gli occhi. Ha la fronte ricoperta di sudore, segno che la paura non le è passata del tutto.

La sta affrontando, è già un inizio.
So cosa si prova quando ci si trova faccia a faccia con i propri demoni interiori: certe cose non si scordano così facilmente, specialmente se sono collegate a fatti realmente accaduti.

Aggrotto la fronte. Se voglio delle risposte per svelare i suoi misteri, questo è il momento giusto.

Mi siedo accanto a lei, mantenendo però una certa distanza. – Parlarne potrebbe farti sentire meglio – comincio, osservandola con la coda dell’occhio.

Fa una leggera smorfia. – Mi stai chiedendo di confidarmi? Con te? -.
Dopo qualche istante fa una risata, ma è vuota e senza allegria.
Inclina la testa e mi fissa negli occhi. – Vuoi sapere una cosa buffa? -.

- Sentiamo -.

- Mi fa piacere essere imprigionata in questo ascensore con te – dice, lasciandomi a bocca aperta.
Letteralmente.

- La situazione è più grave di quanto pensassi – sbotto, freddamente. – Cominci a vaneggiare. Dopo il delirio, cosa viene? La pazzia definitiva? -.

Zelda scuote il capo. – Cosa hai capito? – esclama, alzando gli occhi al cielo. – Preferisco te perché sei cinico, indifferente e hai modi bruschi. Se qualcun altro mi avesse visto così, probabilmente avrebbe fatto di tutto per farmi sentire meglio, mi avrebbe consolato… -.
Si blocca e stringe le labbra. – Ed io non l’avrei sopportato. Detesto vedere degli sguardi compassionevoli posarsi su di me, neanche fossi un cucciolo smarrito -.

Siamo più simili di quanto pensassi. Altro appunto da aggiungere alla lista.

Ma poi, sul serio mi vede cinico? E indifferente?!
Dannazione, ho rischiato più infarti da quando l’ho incontrata che non nei 17 anni precedenti!

Perché la cosa mi dà fastidio? Io sono così, no?

I miei farfugliamenti mentali si interrompono di colpo quando Zelda ricomincia a parlare.

- Avevo cinque anni –, prende un respiro, – e mio fratello maggiore, Alfred, si divertiva a raccontarmi delle storie spaventose, di mostri e tutto il resto. Ricordo che ogni notte mi svegliavo urlando -.

Rabbrividisce leggermente, ma continua a raccontare.
Ormai pendo dalle sue labbra, non mi lascio sfuggire nemmeno una sillaba.

- Una sera i miei genitori ci hanno lasciati a casa da soli e i miei fratelli ne hanno approfittato per giocarmi uno dei loro stupidi scherzi. Mi hanno letto una storia che parlava di una creatura spaventosa che viveva nel buio delle cantine e che si divertiva a mangiare i bambini -.

Non sono tanto sicuro di voler sapere il resto della storia, sembra già abbastanza raccapricciante così com’è.

In che razza di famiglia viveva?! Prima il cianuro, ora questo.

- Alfred ha aperto la porta della nostra cantina, gli altri tre mi hanno gettato dentro e hanno chiuso a chiave. Sono rimasta lì per tutta la notte, finché mia madre non mi ha trovata. Ho urlato, e urlato, e urlato -.
Si passa una mano tra i capelli e mi guarda. – Puoi ridere, se vuoi. Ammetto che, raccontata così, suona come una specie di barzelletta -.

Non sono proprio in vena di ridere.
Vorrei prendere i suoi fratelli e torturarli uno per uno.

Non avrei nessuna pietà, nessuna.

– E’ orribile – dico, in tono cupo.
Sto già meditando un piano per rintracciare quegli idioti, ma mi servono più informazioni. – Hai detto che tuo fratello si chiamava Alfred? -.

Lei annuisce.

Alfred, Alfred… cosa mi ricorda?

Sbarro gli occhi. No, non può essere.
L’unico a chiamarsi così era…

- Alfred – ripeto, con voce a stento controllata. – Come Alfred Blackburn? -.

Zelda sussulta al suono di quel cognome.

- Sei una Blackburn – sussurro.
Sono completamente esterrefatto, gli occhi potrebbero schizzarmi fuori dalle orbite in qualsiasi momento.

Non riesco a crederci, è troppo inverosimile.

Maledizione a me, come ho fatto a non capirlo prima?

Lei è quella Blackburn!












 
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Ciaooo a tutti ;) ecco il nuovo capitolo! Fatemi sapere che ne pensate ;)

Ho delle precisazioni da fare:

- la storia che ha raccontato Zelda esiste davvero, si intitola “La cosa in cantina” ed è di David H. Keller (veramente terrificante!);

- ho fatto riferimento alla 'bocca dell'inferno' in onore di Buffy l'Ammazzavampiri (mi piaceva troppo quel telefilm);

- il titolo del capitolo è quello di una canzone degli Iron Maiden ;)

Continuate a seguire perché ogni mistero verrà svelato (a tempo debito) e ci saranno anche delle piccole sorprese nel corso della storia ;)


Un bacio, a presto!
Lizz

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Capitolo 19
*** Unholy ground ***








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Capitolo 18



 

Zelda




Eric era un Erudito, ci avevo visto giusto.

E da come ha appena pronunciato il mio cognome, deduco che conoscesse bene la mia famiglia.
Non c’è da stupirsi, mio padre era molto famoso nel quartiere e, in un certo senso, anche i miei fratelli.
Di sicuro più per la loro arroganza che per vero e proprio talento.

Osservo il Capofazione, che si è zittito di colpo dopo aver scoperto la mia vera identità.

No, non l’avevo mai visto prima di quel giorno sul tetto, ne sono certa.

Allora come fa lui a conoscere Alfred?
Se non l’ho mai incontrato a scuola, significa che non frequentava quella privata, dove mio padre mi obbligava ad iscrivermi ogni anno.
Nel programma avanzato, ovvio.

Non ricordo di averlo neanche mai incrociato per le stradine vicino a casa o in biblioteca.
A pensarci bene, forse potrei averlo già incontrato, o sfiorato per caso, tuttavia il suo volto non mi è rimasto impresso.

Certo, prima di un anno fa non aveva tutti quei piercing in faccia o dei tatuaggi così aggressivi.
Ora è impossibile non notarlo, spiccherebbe in mezzo ad una folla anonima come una colomba rinchiusa in una gabbia di corvi.

Visto che non si decide a parlare, lo faccio io. – Conoscevi mio fratello? -.

La sua risposta è secca. – Sì -.

Non aggiunge altro per un bel pezzo.
Mi chiedo a cosa sia dovuta quest’improvvisa freddezza: fino ad un minuto fa non la smetteva di farmi domande, mentre ora è immobile come una statua, le labbra strette in una linea dura.

- Ti ha fatto qualcosa? – mi azzardo a domandare, pensando ai bambini che Alfred si divertiva a tormentare quando giocavamo al parco.

- Se mi avesse anche solo guardato storto, a quest’ora sarebbe morto – scatta Eric, facendomi sussultare. – E ora sta zitta! -.

Scuoto la testa davanti al suo repentino cambiamento d’umore e nascondo la faccia nel tessuto morbido dei pantaloni. – Se l’avessi ucciso, mi avresti solo fatto un favore – mormoro, troppo piano perché possa sentirmi.

Parlare con Eric stava cominciando ad aiutarmi a dimenticare dove ci troviamo.
Ora sento che il panico è tornato: chiudo gli occhi e cerco di controllare il ritmo del respiro.

E se dovessimo rimanere rinchiusi qui per tutta la notte?

Ti sembra il momento di formulare pensieri pessimistici, Zelda?
Sbaglio, o hai un quoziente intellettivo al di sopra della media? Usa il cervello e reagisci!


La voce autoritaria dell’insetto guida non mi irrita più come succedeva quando ero ancora un’Erudita.
Adesso è un piacere sentirla, significa che non sono sola: non mi ha abbandonata come hanno fatto tutti gli altri che conoscevo.
Udire i suoi ordini bruschi è quasi un sollievo, mi aiuta ad emergere pian piano dalle sabbie mobili del panico.

D’accordo, serve un piano.

Tiro indietro i capelli e mi strofino la fronte con le dita, mentre analizzo mentalmente la situazione.

L’ascensore si è bloccato da circa mezz’ora, o più.
Siamo fermi tra il secondo piano ed il primo.
I pulsanti non funzionano e la luce d’emergenza continua a lampeggiare sul soffitto: probabilmente il tutto è dovuto ad un’interruzione di corrente elettrica.

Cosa si deve fare in questi casi?

Aspettare che arrivi qualcuno è fuori discussione: potrebbero volerci ore, se non l’intera notte.
Nessuno sa che siamo qui e chissà quanto ci impiegheranno a scoprire che siamo scomparsi.

Lancio un’altra occhiata ad Eric.

Quello che gli ho confessato prima è vero, sono felice che ci sia lui in questo ascensore con me e non qualcun altro.
Se fossi intrappolata assieme a Quattro, o Felix – per non parlare di Xavier! - sarei molto più imbarazzata di quanto non sia ora.

Non riesco a spiegarmelo, ma questo ragazzo, per quanto si sforzi, non riuscirà mai ad intimorirmi.
Al contrario, la sua vicinanza mi trasmette una bella sensazione, come se sapessi per certo che non potrebbe mai farmi del male.

Eric avverte il mio sguardo e mi incenerisce con i suoi occhi grigi. – Maledizione, smettila di fissarmi – sbotta, in tono aspro.

- Che c’è, ti sto mettendo a disagio? – chiedo, con un mezzo sorriso.
Irritarlo sta diventando una delle mie attività preferite, è stranamente divertente.

- Piantala e basta – sibila lui, digrignando i denti.

Sospiro e faccio leva sulle braccia per alzarmi in piedi. – Quante storie – borbotto, tra me e me. – Sei bello da guardare, tutto qui. Non c’è bisogno di arrabbiarsi -.

L’assenza di sarcasmo nella mia voce gli impedisce di rispondermi per le rime: sono piuttosto sicura di averlo lasciato a bocca aperta.
Beh, può interpretare la mia frase come vuole. Era solo un parere oggettivo, non una dichiarazione.

Lo ignoro e mi concentro.
Fisso le porte dell’ascensore come se avessi il potere di fracassarle col pensiero.

Sto facendo di tutto per contrastare questo terrore irrazionale che mi paralizza da capo a piedi, ma non ho ottenuto molti risultati.
Ho caldo, sebbene abbia braccia e spalle scoperte, e molta sete.

Non mi fermo neanche a pensare se sia una buona mossa da fare, agisco e basta.
Tiro un pugno contro la parete con tutta la forza che mi rimane, poi un altro e un altro ancora.

L’ascensore trema leggermente, ma rimane bloccato nello stesso punto.
Sto per colpire di nuovo lo spesso acciaio che mi sta tenendo prigioniera, ma qualcosa mi blocca.

Due mani forti si chiudono attorno ai miei polsi e mi tengono ferma.

Eric mi sbatte contro la parete e mi guarda negli occhi con ira. – Stai cercando di ucciderci entrambi? – grida, a pochi centimetri dal mio volto.
Ha il respiro affannoso come il mio, devo averlo proprio spaventato con la mia reazione isterica.

Rimaniamo a fissarci per un lungo momento.

La sua presa si ammorbidisce un po’, ma continua a tenermi bloccata col suo corpo massiccio, non posso muovermi di un millimetro.

Ho le sue labbra all’altezza dei miei occhi.
In un istante di follia mi chiedo che effetto farebbe baciarlo, sfiorare quei piercing con la lingua… proverei disgusto o semplice piacere?

Deglutisco e abbasso lo sguardo.
Che diavolo mi viene in mente?
Perché sto facendo certi pensieri su di lui?
Si tratta di Eric, per l’amor del cielo!
Cosa c’è che non va in me?!

La poca distanza che ci separa di certo non mi aiuta a mantenere la calma.
Il tocco delle sue dita mi provoca dei brividi lungo la schiena, sento i polpastrelli formicolare.

Sto per allontanarlo per riprendermi il mio spazio personale, quando una scossa inattesa fa tremare tutte e quattro le pareti.
Da sopra proviene un cigolio acuto e l’ascensore scatta verso il basso a tutta velocità.

L’improvviso vuoto d’aria mi chiude lo stomaco: trattengo il respiro e mi aggrappo alla maglietta di Eric.

Lui non mi respinge, anzi sento le sue braccia cingermi i fianchi, come se volesse farmi da scudo col proprio corpo.

Chiudo gli occhi, preparandomi al peggio, e appoggio la fronte contro il suo petto.
Potremmo morire da un momento all’altro: ormai non ho più nessun pudore, non me ne frega niente.

La cabina scende per altri tre o quattro metri, poi si ferma di botto.

Rimaniamo immobili, sento solo il suono dei nostri respiri e il battito forsennato del mio cuore.

Il trillo di un campanello spezza la bolla di silenzio in cui siamo intrappolati da parecchi secondi, e, come per miracolo, le porte d’acciaio si aprono.
Mi occorrono alcuni istanti, ma alla fine mi rendo conto che il peggio è finito.

Eric mi lascia andare di scatto, recupera il fucile da terra e si affaccia oltre la soglia con prudenza. – A quanto pare siamo salvi – dice, scrutando a destra e a sinistra. Poi esce, senza guardarmi, e si avvia lungo quello che credo sia un corridoio che conduce all’entrata dell’edificio.

L’oscurità in cui si è appena tuffato è anche peggio della stretta cabina dell’ascensore.
Osservo la fitta cortina di tenebre ad occhi spalancati e la paura, che la vicinanza di Eric aveva magicamente allontanato, torna a paralizzarmi.

- Si può sapere che aspetti? – sbraita il Capofazione dopo pochi secondi.
La sua voce sprezzante mi fa sobbalzare, come il fragore di un tuono nel bel mezzo della notte. – Muoviti, o ti lascio qui -.

Serro i denti e, in un unico movimento, infilo la maglietta che avevo gettato sul pavimento.
Afferro il fucile e lo stringo forte contro lo sterno, immaginandolo come una sorta di barriera che mi difende da tutto ciò che si nasconde e striscia nell’oscurità.

Prendo coraggio e avanzo lungo il corridoio, sperando che Eric non mi abbia abbandonata a me stessa.
Ne sarebbe capace, vista la poca pazienza che possiede.

Mi ero illusa di aver fatto breccia nel suo cuore con la storia della mia paura, credevo di aver scorto delle emozioni nei suoi tratti di pietra mentre gli raccontavo quell’episodio orrendo. Devo essermi sbagliata.

Andiamo Zelda, cosa pensavi? Che ti avrebbe accompagnata per mano fino all’uscita?
Rassegnati, quel ragazzo non è umano. Vedi di non lasciarti trasportare dalle tue fantasie.


La mia coscienza è nel giusto, sono io che non voglio ascoltarla.

Volevo abbattere i muri che ha eretto attorno a sé per difendersi dal resto del mondo, invece non li ho nemmeno scalfiti.
Confidarmi con lui è stato del tutto inutile, come se avessi cercato di rompere un vetro armata solo di un fragile ramoscello.

Speravi di fargli compassione? O che ti avrebbe offerto una spalla su cui piangere?
Non sei niente per lui, Zelda. Ficcatelo in testa una volta per tutte.


Già, è vero. Lui è un Capofazione, mentre io sono solo una fragile e sciocca iniziata trasfazione.
Cosa speravo di ottenere? La sua amicizia? La sua stima?

Non succederà mai, perché mi vedrà sempre come la ragazzina debole e patetica che ha paura del buio. Ridicola, no?

Sento gli occhi pungere e abbasso prontamente lo sguardo.
La tensione accumulata in così poco tempo minaccia di farmi tracimare come un fiume in piena e questo decisamente non è il momento giusto per scoppiare a piangere.

Mi stupisco di me stessa. Non più ho versato una sola lacrima da quando mia madre è morta: ho inghiottito tutto il dolore della perdita, usandolo come una sorta di combustibile per andare avanti e sopportare quei cinque pazzi.
Non sono mai crollata, niente riusciva a spezzarmi.
Ero come un giunco, mi flettevo assecondando la furia della tempesta, ma non le permettevo di distruggermi.

Ora, invece, mi sento fragile come un calice di cristallo.
Basterebbe una brezza leggera a farmi cadere e non avrei scampo, finirei in mille pezzi.

Questi pensieri cupi e malinconici hanno il loro lato positivo.
Senza rendermene conto, sono riuscita a percorrere il corridoio oscuro del piano terra, fino alla porta che conduce all’esterno.
Eric non se n’è andato come aveva minacciato, anzi, mi sta aspettando appoggiato allo stipite.

Mi sento sollevata, riesco quasi a rivolgergli un sorriso. Quasi.

Mi sta guardando come fossi una qualche specie di animale fastidioso a cui è incaricato di badare.

Beh, grazie tante. Sono capace di cavarmela anche da sola, come hai potuto notare.

Gli passo accanto e lo supero senza degnarlo di una misera occhiata.

Non appena metto piede fuori dall’edificio, due figure mi corrono incontro e si gettano su di me con impeto.
Leslie mi abbraccia con dolcezza, invece la stretta di Mel assomiglia più ad una presa di wrestling.

– Zelda, io ti uccido! – esclama quest’ultima, scuotendomi più volte.

Faccio una smorfia quando mi lascia andare. - Sei sulla buona strada – replico, massaggiandomi le spalle.

- Ti stiamo cercando da più di mezz’ora! – continua lei, passandosi una mano tra i capelli color tramonto. – Dove diamine eri finita? -.

Scocco uno sguardo ad Eric.
Si sta dirigendo verso Quattro, probabilmente per spiegargli la situazione, e non ci sta prestando la benché minima attenzione.

Sospiro. – Sono stata… trattenuta – dico, con un gesto della mano. – Niente di grave. Solo un piccolo incidente con un ascensore -.

- E’ colpa sua? – chiede Mel, indicando il Capofazione col pollice. – Se è così, gli faccio il culo -.

Mi affretto a scuotere la testa. – Ti sbagli. Eric mi ha aiutata, in un certo senso -.
Accompagno la mia spiegazione con un’alzata di spalle.

Il cipiglio di Mel è profondamente scettico, ma non aggiunge altro.
Ci incamminiamo verso i binari, seguendo il gruppo in nero che ci precede.

Una figura si stacca dalla piccola folla e ci raggiunge.
Felix si piazza al mio fianco e mi scruta attentamente. – Va tutto bene, Zelda? – chiede con gentilezza. – Sono corso a cercarti non appena la partita è finita, ma sembravi svanita nel nulla -.

Meglio allontanare l’attenzione da me.
Nessuno dovrà mai sapere cosa è successo in quella cabina, me lo porterò nella tomba. – Non ti preoccupare, ho solo avuto un piccolo incidente. A proposito, chi ha vinto? – domando, in tono interessato.

Xavier spunta alle mie spalle e mi scompiglia i capelli. – Noi, naturalmente! – esclama, mentre colpisce il braccio del fratello con un pugno amichevole.

- E’ stata colpa mia – ammette Mel, storcendo il naso. – Mi hanno seguita e sono riusciti a soffiarci la bandiera mentre eravamo impegnati a sparare -.

A quel punto mi accorgo che sia lei che gli altri hanno gli abiti coperti di roba viscida e puzzolente.
Xavier ha addirittura alcuni schizzi nei capelli: invece di toglierseli, li esibisce con orgoglio, neanche fossero trofei di guerra.

Quando arriviamo alla residenza ho le lacrime per il troppo ridere.
Mi butto sul letto e prendo sonno all’istante.

 










 
- - - - - - - - - - - - - - -
Ciaooo a tutti ;) ecco il nuovo capitolo! Fatemi sapere che ne pensate ;)

E’ più breve dei precedenti perché manca il punto di vista di Eric: ho preferito separare i due pezzi per ottenere un capitolo unico, cioè il prossimo ;)
Non fatevi prendere dall’ansia, ogni mistero verrà risolto (altrimenti chiameremo Sherlock) ;)

Questa storia è una specie di gioco a incastro, ho già tutto in mente, perciò attenzione ai dettagli!

Alla prossima (spero sia presto),
Lizz

p.s. il titolo è un tributo all’ultimo album della mia band preferita, i Sunrise Avenue (prima o poi troverò qualcuno che li conosce!) xD
 

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Capitolo 20
*** Bend the rules ***





Capitolo 19







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Era una bella casa, quella in mezzo al boschetto di tigli.

Spaziosa, all’apparenza confortevole, la tipica abitazione della gente ricca.

Il bambino dai capelli biondi non ci aveva mai fatto caso perché non passava spesso da quelle parti.
Prendeva quella strada solo quando i pochi amici che aveva lo invitavano a giocare al parco, il che accadeva assai raramente.

Quel pomeriggio Jack, il suo vicino di casa, l’aveva costretto a seguirlo perché aveva bisogno di un altro componente per formare una squadra di calcio e lui non aveva potuto rifiutare.
Mentre camminavano fianco a fianco, in silenzio, il bambino dagli occhi grigi si divertiva a gettare rapide occhiate alle belle villette a schiera che si stagliavano fiere contro il cielo limpido d’estate. Quello era ‘l’angolo dei ricchi’, come lo chiamava sua madre: ci vivevano tutte le persone più famose del quartiere degli Eruditi.

Il bambino avrebbe dato qualsiasi cosa per poter anche solo varcare una di quelle soglie e vedere con i propri occhi tutte quelle stanze grandi e lussuose.
Non sarebbe mai successo, lo sapeva: lui era solo uno dei tanti abitanti della periferia, frequentava la scuola pubblica, non apparteneva a quel mondo.

Ma quella casa rossa, che si scorgeva appena a causa della fitta siepe che la circondava, lo attraeva come una calamita.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle alte finestre che brillavano sotto i raggi del sole come centinaia di prismi.

- Sai chi ci abita? – chiese ad alta voce, indicando la villa con un cenno del capo.

Jack la guardò e fece una smorfia. – Perché lo vuoi sapere? -.

- Semplice curiosità – disse il bambino, con un’alzata di spalle.

L’amico distolse lo sguardo dalla casa e sussurrò solo due parole. – Alfred Blackburn -.




 
* * *


 

Eric




Di nuovo quel sogno.

Credevo di essermene liberato già da tempo, invece è tornato a perseguitarmi.

Mi passo una mano sugli occhi.
Sapevo che quella ragazza portava guai, il mio istinto non sbagliava a suggerirmi di starle lontano.

Avrei dovuto capirlo, dannazione! Perché non ho dato retta al mio cervello?
Mi sarei risparmiato tutti questi ricordi indesiderati che sopraggiungono nella mia mente con prepotenza, come se venissi investito a ripetizione da una pioggia violenta e gelata.

Riuscirò mai a lasciarmi il passato alle spalle? Abbandonare la mia vecchia fazione non è servito a molto, a quanto pare.

Con un grugnito di fastidio, mi alzo dal letto.
Se non altro, questa notte ho dormito meglio del solito: credevo non sarei mai riuscito ad addormentarmi dopo tutti quei fatti inspiegabili accaduti in città.

Ogni volta che apre bocca, Zelda mi sconvolge.
Per quanto lotti con me stesso, non riesco più a togliermela dalla testa.
La penso in continuazione, è una battaglia persa.

Quel racconto…come si può fare una cosa del genere ad una bambina?
Nemmeno io saprei essere così crudele.
Un conto è punire per correggere dei comportamenti che non mi vanno a genio, un altro è infliggere ferite psicologiche che non si rimargineranno mai.

Io e lei abbiamo molto in comune: gli stessi mostri che ci inseguono dal passato, lo stesso carattere duro e ribelle, la voglia di dimostrare che valiamo qualcosa e che non siamo inferiori agli altri.

Nonostante tutto il lusso di cui era circondata, lei non era felice.

Ripenso alla nostra conversazione nell’ascensore: il mio cervello ha registrato ogni singola parola, ma non posso dire di esserne sorpreso.
Ricordo ogni minimo particolare che la riguardi, sin da quando è scesa su quel tetto.

Potrei essere più patetico?
Ne dubito seriamente.

E il modo in cui mi guardava…come se non fossi un Capofazione, un leader temuto da tutti, a cui nessuno osa avvicinarsi, ma semplicemente un ragazzo incontrato per caso.

Sapevo già di non aver alcun potere su di lei, ma sono rimasto comunque sorpreso dalla familiarità che si è instaurata mentre eravamo prigionieri di quella gabbia infernale.
Come se con lei potessi abbandonare la maschera di crudeltà che mi contraddistingue, senza aver timore di essere deriso o umiliato.

Mi fa piacere essere imprigionata in questo ascensore con te.

Come se Zelda avesse la chiave per abbattere le barriere che ho eretto per difendermi dai sentimenti e dalle persone che mi circondano.
Come se, assieme a lei, potessi essere semplicemente me stesso, Eric e basta.

Sei bello da guardare, tutto qui. Non c’è bisogno di arrabbiarsi.

Mi prendo la testa tra le mani.

C’è mancato poco, davvero poco.
Toccarla è stato uno dei tanti errori che non mi sarei dovuto permettere, specialmente in quello spazio così ridotto.

Tutta quella pelle scoperta a pochi centimetri da me, le sue labbra piene leggermente socchiuse…dannazione, ero a tanto così dal baciarla!

Grazie al cielo quell’ascensore ha interrotto i miei pensieri fuori controllo con un tempismo a dir poco perfetto.
Se avessi seguito i miei desideri, mi sarei spinto troppo oltre, fino al punto di non ritorno.

Ogni volta che la tocco sento l’elettricità scorrermi nelle vene come fuoco liquido, è una sensazione che da assuefazione.
Come se stessi precipitando nel vuoto e lei fosse una specie di ancora a cui aggrapparmi.
Lasciarla andare diventa sempre più difficile: vorrei solo seguire l’istinto e abbandonarmi a queste emozioni così nuove per me.

Invece non devo cedere, non posso.

Non dopo aver scoperto chi è veramente!

Sento i miei tratti indurirsi: ho la mascella serrata come se stessi lottando per mantenere la concentrazione.
È così, devo far ricorso a tutto il mio autocontrollo per non pensare a Zelda.

Non devo pensare a quanto fosse piacevole abbracciarla.
Non devo pensare a quanto il suo tocco mi abbia segnato profondamente.
Non devo pensare a quanto preferirei averla ancora vicino a me, per scorgere nei suoi occhi di fuoco lo stesso sguardo sincero e affascinato di poche ore fa.

Al diavolo! Lei è quella Blackburn, non devo dimenticarlo.

Voglio che il mio cuore si spezzi di nuovo?
Certo che no. Il passato è passato, non posso cancellarlo, ma posso far sì che non si ripeta mai più.

Lotterò con tutte le mie forze per impedire che quella ragazza rovini ciò che ho costruito in questi ultimi anni.





 
* * *



 
Quando arrivo in palestra, Quattro sta scrivendo i nomi degli iniziati sulla lavagna.
Volta appena la testa e fa un cenno, mentre mi piazzo al mio solito posto di osservazione.
Io lo ignoro e mi appoggio al muro.

Oggi si concluderà la fase dei combattimenti corpo a corpo.
Lancio un’occhiata alla classifica appesa alla parete: Zelda è circa a metà, grazie alla vittoria contro Oliver.

Credevo avessi deciso di bandirla definitivamente dai tuoi pensieri, Eric.
Sei uno smidollato, non riesci neanche a lasciarla perdere per dieci fottuti minuti?


Stringo i denti e cerco di liberare la mente.

I miei buoni propositi se ne vanno in frantumi quando gli iniziati entrano. Scorgo la chioma corvina di Zelda e trattengo il fiato.

Mi guarderà in modo diverso dopo ciò che è accaduto in quel palazzo?
Si sarà pentita di avermi raccontato quell’episodio della sua infanzia? Continuerà ad ignorarmi?

Tengo gli occhi puntati su di lei finché non si accorge che la sto fissando.
Sbatte le palpebre e corruga le sopracciglia, come se si stesse chiedendo il motivo di questo improvviso interesse.

Devo ancora capirlo anch’io. Mettiti in fila, piccola.

Getta un’occhiata alla lavagna.
Quando capisce di essere esclusa dai combattimenti, torna a fissarmi e mi rivolge un ghigno.

Bisbiglia qualcosa alla sua amica Pacifica, poi si dirige verso di me.
Verso di me?!

Seguo ogni suo passo con un sopracciglio inarcato, chiedendomi cosa diavolo abbia in mente.
Il mio cuore aumenta progressivamente le pulsazioni man mano che la distanza tra noi si annulla.

Zelda si ferma ad un metro da me e si appoggia con la schiena alla parete.
Non mi perde di vista neanche per un secondo. – Ciao Eric – dice, dopo alcuni istanti di silenzio.

Non avverto tracce di ironia, perciò abbandono il cipiglio cupo. – Zelda – rispondo, inclinando il capo nella sua direzione. – A cosa devo questo piacere? -.

Lei alza le spalle con aria indifferente. – Volevo solo sapere perché mi stavi fissando -.

- Tutto qui? -. Spero di essermi solo immaginato la sfumatura di delusione nella mia voce.

Fa un sorrisetto. – Sì e no – replica, mentre riporta lo sguardo sui compagni che si stanno affrontando all’interno del cerchio. – Non volevo rimanere ad annoiarmi mentre Leslie combatteva. Preferisco parlare con te, che stare vicina ad Oliver più dello stretto necessario -.

Ignoro l’improvvisa voglia di sorridere come un’idiota e mi concentro sull’Erudito. - Non mi sembra così spaventoso. Dovrei essere io quello da cui dovresti scappare, non quell’incapace che non riesce nemmeno a batterti nel corpo a corpo -.

Lei sospira. – Eric, tu non mi fai paura – dice, con un mezzo sorriso. – Mi dispiace minare in questo modo la tua autostima, ma cerca di fartene una ragione -.

D’accordo, ora la presa in giro è del tutto esplicita. – Stai attenta, Zelda – ribatto, in tono freddo.

Lei non sembra dar peso alla mia frase perché continua a sorridermi. – Non hai ancora risposto alla mia domanda -.

- Quale? -.

Alza gli occhi al cielo. – Perché mi stavi fissando? -.

Non mi viene in mente niente di brillante: nessuna frase divertente, nemmeno qualche commento tagliente che la metta a tacere una volta per tutte. – Perché sei bella da guardare – dico alla fine, imitando il tono esasperato che ha usato lei nell’ascensore per le stesse parole.

È anche una mezza verità: Zelda è oggettivamente una bellezza, l’ho ammesso anche davanti agli altri Capifazione quando Ted me l’ha chiesto.
Se Max le avesse prestato attenzione per più di mezzo secondo, penso che non avrebbe problemi a darmi ragione.

Lei scuote il capo con aria divertita. – Mi ha rubato la battuta, non vale –.
L’ultima parola le esce strozzata.
Sbianca di colpo e si tappa la bocca con una mano per trattenere un gemito d’orrore. – Oh, no – sussurra, fissando un punto davanti a sé a occhi sbarrati.

La sua presenza è riuscita a farmi dimenticare il luogo in cui mi trovo e l’incontro a cui, in teoria, dovrei assistere.
Mi accorgo che il combattimento sto giungendo al termine: Paul ha messo la Pacifica al tappeto con un pugno ben assestato, dubito che riesca a rialzarsi.

Devo ricredermi, quella ragazza è più forte di quanto sembri.
Si rimette in piedi a fatica, ansimando pesantemente, e prova perfino a colpire il Candido con un calcio agli stinchi.
Ammirevole, ma del tutto inutile.

L’avversario l’afferra per i capelli e la sbatte a terra.
Sento distintamente lo schiocco prodotto dalle sue ossa quando entrano in collisione con il pavimento.
Quel suono orrendo mi ricorda troppo il primo incontro di Zelda, rimango impietrito.

Sussulto quando sento una mano sfiorarmi il braccio. – Eric, ti prego, fermalo – mormora Zelda, in preda al panico. – La ammazzerà -.

Vorrei dirle che quella ragazzina morirà comunque, perché finirà tra gli Esclusi senza possibilità di ritorno.
È l’ultima della classifica, non ce la farà mai a superare l’iniziazione.

- Ti prego – ripete lei, guardandomi negli occhi.
È lo stesso sguardo di muta supplica che mi ha rivolto quando le ho ordinato di gettare nel fuoco quel bracciale.

Maledizione, come ho fatto a resisterle l’altra volta?

Ora mi sembra impossibile negarle ciò che vuole. – Basta così! – tuono, e Paul obbedisce all’istante, facendo dei rapidi passi indietro.
Zelda mi ringrazia sottovoce, prima di correre verso il cerchio.

La Pacifica è distesa immobile, ha la faccia ricoperta di sangue.
Zelda si morde un labbro, mentre esamina le ferite. – L’incontro è finito, no? Posso portarla in infermeria? – chiede a Quattro.

Lui aspetta il mio consenso, poi annuisce.

Paul si fa avanti per aiutarla, ma Zelda lo respinge con un’occhiataccia. – Non ho bisogno del tuo aiuto, hai già fatto abbastanza – sbotta, in tono sprezzante.

Con delicatezza, infila le braccia sotto il corpo inerte dell’amica e la solleva.
Non vacilla nemmeno per un secondo, procede a grandi passi, la schiena dritta come un fuso.

Ci lascia tutti di stucco, rimaniamo a fissarla a bocca aperta finché non svanisce al di là della porta.

Si può sapere dove nasconde tutta quella forza?






 
* * *




 

Zelda





- Non ti azzardare! – esclamo, prendendo Leslie per le spalle prima che possa mettere i piedi fuori dal letto.

Le ho permesso di lasciare l’infermeria un paio di ore fa, ma questo non vuol dire che può fare quello che vuole.

Sono rimasta al suo fianco finché non ha ripreso conoscenza e ora recito la parte della mamma apprensiva.
Osservo il suo aspetto con un sospiro: ha il viso gonfio e un taglio sul sopracciglio sinistro.

Posiziono un cuscino dietro la sua schiena e le avvicino il vassoio della cena. – Ti ho portato anche la mia porzione di dolce –.

Leslie mi rivolge uno sguardo furbo. – Grazie, so quanto ti è dispiaciuto separartene -.

Se riesce a fare del sarcasmo significa che non sta poi così male. – Per te questo e altro, bellezza – replico, imitando il tono seducente di Xavier.

Il biondo in questione mi incenerisce con lo sguardo dall’altro lato della stanza, mentre Felix, che se ne sta seduto sul mio letto, scoppia a ridere.

Siamo gli unici ancora nel dormitorio, gli altri sono usciti da un pezzo.
Li ho sentiti bisbigliare tra loro per tutto il pomeriggio, eccitati ed emozionati per la festa di questa sera.

Fino a prova contraria, noi iniziati non dovremmo saperne nulla, l’ingresso all’evento è proibito ai minori di diciassette anni.
È una delle ricorrenze tradizionali degli Intrepidi e possono parteciparvi solo i membri effettivi della fazione.

In tutta sincerità, a me non interessa.
Preferisco rimanere qui a prendermi cura di Leslie piuttosto che rischiare di farmi punire da uno dei Capifazione o dal mio istruttore.
Sto cercando di farlo capire anche ai gemelli, ma non c’è verso.

Proprio quando Xavier sta per gettare la spugna, dalla porta del dormitorio entra Mel con un sorriso a 250 watt.
Manda all’aria tutti i miei sforzi con una sola frase. – Rimango io con Leslie, tu va’ pure a divertirti -.

La mia mascella potrebbe spalancarsi da un momento all’altro. – Mi hai stressato per tutto il giorno, ed ora mi vieni a dire che non ci vuoi più andare?! Si può sapere che è successo? Stai male? -.

Davanti alla mia espressione sconvolta, lei risponde con un occhiolino. – Tranquilla, Zel, sto benissimo – replica, sedendosi sul materasso al mio fianco. – Io ci sono già andata l’anno scorso, invece per te è la prima volta. Non te la vorrai perdere, vero? -.

Faccio un lungo sospiro. – D’accordo. Mi cambio e arrivo -.

- Posso ricordarti di quel bellissimo vestito che…-.

- No, Mel – dichiaro, in tono che non ammette repliche.

Non sono dell’umore adatto per essere sexy, affascinante, o quello che è.
Voglio solo passare una serata con i miei amici: meno gente mi nota, meglio è, specialmente perché noi a quella festa non dovremmo proprio esserci.

Apro l’armadio e tiro fuori le prime cose che mi capitano davanti.
Scappo in bagno, infilo un paio di calze nere lavorate e un top viola sopra gli shorts.

Mel sembra apprezzare l’abbinamento, forse perché la maglia lascia spalle e schiena scoperte proprio come piace a lei. – Divertitevi – cinguetta, salutandoci con la mano. – Vi affido Zelda. Non fatela ubriacare e tenete d’occhio i suoi ammiratori -.

Felix risponde con un ‘Certo, non preoccuparti’ proprio nel momento in cui Xavier esclama ‘Quali ammiratori?!’ in tono accigliato.

Scuoto la testa.
Mi sistemo i capelli, lasciandoli sciolti sulle spalle e prendo in prestito un po’ dell’ombretto scuro che usa sempre Mel.
L’essenziale, non mi piace esagerare col trucco.

Mentre getto un’occhiata veloce allo specchio, mi torna in mente la ragazza dai capelli rossi che ho visto avvinghiata come edera addosso ad Eric.
Lei di certo impiegherà ore per dipingersi il viso in quel modo.
Spero proprio di non incrociarla.

Chissà chi è. La sua fidanzata? Un’amica?

Getto la spazzola nel cassetto con rabbia.

Perché me lo sto chiedendo?! Cosa me ne importa di Eric e di chi frequenta?
Può portarsi a letto mezza residenza, fatti suoi. 


Xavier mi tiene aperta la porta del dormitorio mentre esco.
Questo sfoggio di galanteria mi fa sorridere, non è proprio il tipico comportamento da Intrepido.
Me lo aspetterei da un Abnegante, o al massimo da un Pacifico. Probabilmente vuole solo fare colpo su di me.

Non so dove stiamo andando, mi limito a seguire i gemelli.
Percorriamo rapidamente i corridoi scolpiti nella roccia, fino a giungere ad una piattaforma circondata da grandi finestre, dalle quali riesco a vedere l’intera città.

Con un secondo di ritardo, mi accorgo che non si tratta di semplici finestre, ma di veri e propri ascensori di vetro.

Felix preme un pulsante e le porte di una delle cabine si aprono con un cigolio.

Sento un brivido lungo la schiena. - Ci vediamo lassù – annuncio, fiondandomi sulla porta che conduce alle scale di emergenza.

Impiego solo qualche minuto per raggiungere il tetto dell’edificio.
Non è lo stesso da cui sono saltata, questo è leggermente più alto e spazioso.

E molto affollato.
Ci saranno più di cento Intrepidi attorno a me: quasi tutti hanno una bottiglia in mano e cantano a squarciagola.
Alcune ragazze mezze nude ballano sul cornicione del palazzo, spero non siano ubriache.

Alle mie spalle sento un trillo, poi i gemelli si fanno strada in mezzo alla folla e mi vengono incontro.
– Di qua – sussurra Felix, posandomi una mano sulla schiena per guidarmi.

Ci avviciniamo ad un gruppetto che se ne sta in disparte, nell’angolo più lontano del tetto.
Sono tutti giovani, prevalentemente maschi, e formano un piccolo cerchio coi loro corpi.

Non capisco cosa stiano facendo finché non vedo lo stereo ai loro piedi.

Mi si illuminano gli occhi: sono gli stessi ragazzi che ho visto al Pozzo.
Eseguono dei passi di danza in sincronia, poi ognuno sfida gli altri con la propria coreografia.
Fanno dei salti spettacolari, precisi e coordinati. - Rimarrei a guardarli per tutta la notte – mormoro tra me.

- Ah sì? – mi risponde una voce brusca. – Potrei assegnarti attività molto più produttive da fare se hai tutto questo tempo libero -.

Deglutisco e mi volto lentamente per incrociare lo sguardo torvo di Quattro.

Accanto a lui c’è Zeke, allegro come sempre. – Andiamo, amico – esclama quest’ultimo, dando una spallata al mio istruttore. – Non stanno facendo niente di male. Ci siamo imbucati anche noi l’anno scorso, non farla tanto lunga -.

Quattro alza gli occhi al cielo. – Stai mettendo in discussione la mia autorità, Zeke? -.

- Non mi permetterei mai, vostra maestà –.

Rido dell’espressione esasperata di Quattro.
Nemmeno lui riesce a rimanere serio a lungo quando è insieme a Zeke.
Mi stringo nelle spalle. – Sono solo venuta a dare un’occhiata. Non rimarrò molto –.

- Ma il bello viene adesso, piccola – dice una voce tagliente di mia conoscenza.

Eric scende dal cornicione dove stava seduto e punta dritto verso di me.
Non mi ero nemmeno accorta che fosse lì: quando vuole è molto bravo a celare la propria presenza.

Si avvicina così tanto che sento il suo fiato sul collo.
Immagino già la predica che ha in serbo sugli iniziati disobbedienti, ma, per una volta, sembra decidere di lasciar perdere. – Bel tatuaggio – dice, invece, piazzandosi alle mie spalle per osservarlo meglio.

Zeke segue il suo esempio, incuriosito. – Non sapevo te ne fossi fatta fare uno! Così mi piaci, ragazza – esclama, mentre io roteo gli occhi spazientita.

I loro sguardi puntati sulla mia schiena mi stanno mettendo in imbarazzo. – Sì, è stata Tori a convincermi. È una…-.

- Una caosfera – mi interrompe Eric.
Sento le sue dita percorrere il contorno del disegno e sussulto. Che sta facendo?!

Lui sembra pensare la stessa cosa, perché leva la mano di scatto. – Ottima scelta – mormora, nel consueto tono freddo.

Non riesco a guardarlo negli occhi.
Due complimenti nel giro di un minuto? Quanto avrà bevuto?

Degli schiamazzi attirano la mia attenzione.

Due ragazzi stanno trasportando una lunga sbarra di ferro, all’apparenza molto solida ed elastica, vicino al cornicione.
La gettano in modo che arrivi fino al palazzo adiacente e poi si spostano.
Sul tetto è sceso il silenzio, tutti gli occhi sono puntati su quel pezzo di metallo.

Che succede?

Trasalisco quando la voce di Eric risponde alla mia domanda mentale. – Quella è la 'Trave' – sibila al mio orecchio. – Le ragazze si sfidano ogni anno a percorrerla, ma non tutte ritornano sane e salve -.

Rabbrividisco.
Esiste una tradizione degli Intrepidi che non abbia come scopo la mutilazione, o, peggio, la morte?

A mio parere, essere coraggiosi non vuol dire rischiare continuamente la vita, ma saperla affrontare in tutte le sue sfide.
Ci sono già abbastanza pericoli nel mondo che ci circonda, non serve certo crearne di nuovi.

Mentre fisso con orrore crescente il baratro che si staglia sotto quel pezzo di ferro, una ragazza si stacca dalla folla e sale sul cornicione con sicurezza.

Impiego qualche istante a capire di chi si tratta.
È l’edera, cioè l’Intrepida dai capelli rossi che speravo di non rivedere mai più.

Sotto il mio sguardo schifato, si sfila le scarpe col tacco alto e sbottona la camicetta, gettandola a terra.
Tutto quello che le rimane addosso sono un paio di pantaloncini cortissimi e il reggiseno.

I ragazzi che mi circondano hanno gli occhi fuori dalle orbite e iniziano a fischiare.
Non c’è da stupirsi: quella ragazza - dal comportamento discutibile e disinibito - ha davvero un bel fisico.

Comincia a camminare piano lungo la trave.

Non mi sembra spaventata, deve averlo già fatto parecchie volte.
Arriva a metà e si ferma. Allarga le braccia e si piega all’indietro, alzando una gamba.

Mi mordo un labbro. Dovrebbe essere terrorizzata, ho paura io per lei!

La folla esplode in applausi e grida.
Lei torna ad appoggiare tutte e due i piedi sul ferro e ci concede un mezzo sorriso.

Poi scatta e fa una sforbiciata in avanti.
Altri fischi da parte dei maschi.

L’unico che non la sta guardando con la bava alla bocca è Eric.
Scuote la testa e fa una smorfia.

Non riesco a trattenermi dal domandare: – Non sei preoccupato per la tua ragazza? -.

Lui mi fissa come se fossi impazzita. – Josie non è la mia ragazza – replica, in tono aspro.

Quindi è solo una tizia che si porta a letto per divertimento.
Non capisco se la cosa mi dia più fastidio o piacere.

In quel momento l’eder…cioè Josie, fa un salto all’indietro e atterra esattamente sul cornicione, tra gli applausi generali.

Sorride alla folla, poi fa saettare i suoi occhi fino a incrociare i miei.

Stringe appena le palpebre quando vede Eric al mio fianco.
Alza il mento e fa un ghigno.
Io so perfettamente cosa significa: mi sta lanciando una sfida.

- No, Zelda – mi sussurra Quattro, mettendomi una mano sulla spalla per trattenermi.

Anche Zeke sta scuotendo la testa, nel tentativo di dissuadermi.
Devono aver capito che non sono una persona che si tira indietro quando viene provocata.

- Allora, ragazzina – mi apostrofa Josie. – Che c’è, hai paura? -.

La preferivo quando camminava sulla trave: almeno stava zitta e c’era sempre quella minima possibilità che precipitasse nel vuoto.

- No – rispondo, liberandomi dalla presa di Quattro e raggiungendo il cornicione. – Anzi, sarò felice di dimostrarti che quegli esercizi si possono fare tranquillamente con tutti i vestiti addosso -.

Sento delle risatine provenire dalla folla.
Josie, invece, ha perso l’aria spavalda e derisoria.

Mi volto e scruto a mia volta gli Intrepidi riuniti sul tetto. – Chi di voi sa eseguire un salto mortale all’indietro? – chiedo, stringendo i pugni.
Spero che la mia voce sembri convinta e ferma.

Vedo parecchie mani alzarsi, compresa quella di Eric.
Il suo sguardo non è freddo come al solito, anzi, sembra bruciare nel mio.

Rilancio con più sfrontatezza. - E un salto mortale all’indietro con avvitamento? -.

Cala il silenzio, riesco quasi a sentire il ronzio dell’elettricità che scorre nei cavi sopra di noi.
Le mani si abbassano di colpo e tutti mi fissano ad occhi spalancati.

Soddisfatta, salgo sulla trave.
Ne saggio la resistenza e avanzo a piccoli passi fino ad arrivare circa a metà.

Il vento mi scorre sulla pelle nuda delle spalle e mi irrigidisco quando una folata improvvisa mi fa sbilanciare.
Allargo le braccia e prendo un respiro profondo.

Non ricordo con precisione quante volte ho provato l’esercizio che sto per compiere.
Mi sono slogata entrambe le caviglie nei primi tentativi, ma ho continuato a perseverare finché non sono riuscita a raggiungere la perfezione.

Chiudo gli occhi per un attimo.

Non ho paura, non posso avere paura.

Devo usare tutte le mie forze per mantenere l’equilibrio e la concentrazione al massimo.
Fletto le ginocchia e la trave scricchiola piano sotto di me.

Non ho paura.

Trattengo il fiato e salto.









 
 
 
 
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Ciaoooo a tutti ;) ecco il nuovo capitolo! Spero vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate!

Eric è in continua lotta con se stesso, specialmente adesso che sa chi è Zelda realmente. Cosa è successo nel quartiere degli Eruditi? Si erano già incontrati prima di quel fatidico momento sul tetto? Continuate a seguire e lo scoprirete ;)

Ho alcune domande per voi ;)

La prima è: “Quanto odiate Josie da 1 a 10?” (Ahahahaha)
La seconda è più seria: “Qual è la frase pronunciata da Eric che vi è rimasta più impressa?”

Alla prossima,

Lizz


p.s. se trovate errori, ditemi che correggo ;)

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Capitolo 21
*** Not again ***







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Capitolo 20

 


How dare you break my lonely heart
and dance on the pieces?
(Sunrise Avenue)





 

Eric





Il mio cuore batte talmente forte che sento ogni singola pulsazione rimbombarmi nelle tempie.

Ho un groppo in gola che quasi mi impedisce di respirare.

Dannata ragazza, vuoi farmi morire?! È questo il tuo obiettivo?
Perché ti assicuro che non manca molto!


Non avrei mai creduto che si sarebbe fatta avanti, accettando la sfida lanciatale da Josie senza battere ciglio.
Sottovalutarla sta diventando un’abitudine molto pericolosa per la mia salute fisica e mentale.

Dovrei raggiungere quella maledetta trave, prendere Zelda per i capelli e trascinarla al sicuro sul tetto.
Ma non posso, perché mi renderei ridicolo davanti a mezza fazione.

Vorrei chiudere gli occhi e riaprirli solo quando questa prova si sarà conclusa.
Invece li tengo spalancati, non batto nemmeno le palpebre per non perdere neanche un istante della scena.

So che Zelda è un’atleta - l’ha dimostrato in varie occasioni -, ma voler eseguire un salto del genere, mentre si trova sospesa nel vuoto, mi sembra vada ben oltre le sue capacità.

Spero proprio di sbagliarmi.
Non voglio neanche pensare a cosa le succederebbe se cadesse da quest’altezza.

Senza pensarci, mi sposto automaticamente vicino al cornicione: almeno potrei avere una minima possibilità di aiutarla se le cose dovessero prendere una brutta piega.
Quattro sembra leggermi nel pensiero perché si piazza accanto a me e appoggia entrambi i palmi sul cemento.
Non perde di vista Zelda nemmeno per un istante: ha gli occhi socchiusi e le sopracciglia aggrottate.

Come mai tutto questo interesse per quella ragazza? Che ci sia qualcosa tra loro?

Mi sembra impossibile, ma poi comincio a ricordare di averli visti spesso assieme.
Pranzano allo stesso tavolo in mensa, li ho visti scherzare al Pozzo e, quando mi sono recato in infermeria per accertarmi sulle condizioni di Zelda, erano soli.

Stringo i pugni. Se anche stessero insieme, a me non dovrebbe importare.
Cerco di convincermi, ma avverto comunque una scintilla di gelosia accendersi nella mia mente.

Zelda è la mia eccezione, il mio mistero da risolvere.
Quell’idiota farà meglio a starle alla larga.

- Ciao, Eric –.

Josie si è materializzata al mio fianco senza che me ne accorgessi.
Fa uno dei suoi soliti sorrisi languidi e mi sfiora il braccio con un’unghia laccata di rosso. – Ti sono piaciuta? -.

- Sì, sì – borbotto in tono brusco.
Non mi scomodo neanche a guardarla. Tengo gli occhi puntati su Zelda, che nel frattempo si è fermata circa a metà della trave.

Josie non demorde, cerca di nuovo di attirare la mia attenzione.
Mi cinge il collo con le braccia e si strofina su di me. – Ti va di divertirti un po’? – sussurra con voce roca. – Andiamocene da questa festa noiosa. Conosco un bel posticino…-.

- Chiudi il becco, Josie – sibilo, scrollandomela di dosso. – Non sono in vena. Va’ ad importunare qualcun altro -.

Lei si stacca da me e fa un passo indietro.
La sua espressione ferita non mi commuove nemmeno un po’.
Sono troppo preso da Zelda: in questo momento ho occhi solo per quella dannata ragazza sulla trave.

- Dobbiamo fermarla! – esclama uno dei gemelli, quello biondo. Ha gli occhi spalancati.

Sta per avvicinarsi al cornicione, ma il fratello lo trattiene per una spalla. – No, Xavier – mormora, senza staccare gli occhi dall’Erudita. – Zelda sa quello che fa -.

Vorrei avere la sua stessa fiducia.

Tutti sul tetto sembrano trattenere il fiato quando la ragazza flette le ginocchia e allarga le braccia.
La sbarra di ferro oscilla leggermente sotto i suoi piedi e il sangue mi va alla testa.

Non cadere. Ti prego Zelda, non cadere.

Lei prende un respiro profondo, alza le mani verso l’alto e si allunga.
Poi si china in avanti, prendendo lo slancio necessario e salta.

Ho in mente una sola parola, la stessa che ho pensato quando l’ho vista compiere quella capriola mentre si lanciava dal treno.
Wow.

Questa volta non me la prendo con me stesso per la poca fantasia o per l’ammirazione che provo nei suoi confronti.
Le facce sconvolte e adoranti degli altri Intrepidi mi fanno capire che nemmeno loro hanno mai visto niente del genere.

Chi diavolo è quella ragazza?

Ha mantenuto la parola, eseguendo un impeccabile salto all’indietro.
Con avvitamento.
Ed è atterrata sulla trave con leggerezza, la sbarra non si è nemmeno mossa.

Non appena alza di nuovo le braccia, per riacquistare l’equilibrio, sul tetto scoppia il finimondo.
La folla applaude e fischia, ma, per una volta, tutto questo fracasso non mi da fastidio.

Mi metterei a festeggiare anch’io...se Zelda fosse al sicuro.
Invece è ancora sospesa nel vuoto: la stella nera sulla sua schiena attira il mio sguardo più della luna che brilla tra le nubi.

Quando si volta verso di noi, noto il suo sorriso: è raggiante, fiero, arricchito da un pizzico di arroganza.
La cosa più bella che abbia mai visto.

Percorre a ritroso la trave e scende dal cornicione con un piccolo balzo, ignorando la mano tesa di Quattro, che si era fatto avanti per aiutarla.
Zelda fa un piccolo inchino e tutti gli Intrepidi esultano, alzando le bottiglie di birra verso di lei e battendo le mani a tempo.

Nessuno di noi dimenticherà molto presto quest’evento.
La voce si spargerà in tutta la residenza e, entro poche ore, tutti conosceranno il nome dell’iniziata trasfazione che è riuscita a battere la campionessa in carica.

Mi sento stranamente orgoglioso.
Quella ragazza ha un talento fuori dal comune, potrebbe addirittura aspirare ai primi posti della classifica.
Se dovessi scommettere su qualcuno, la mia scelta ricadrebbe, senza esitazioni, su di lei.

Tuttavia Zelda non sembra prestare troppa attenzione alle acclamazioni e ai cori intonati dai componenti della fazione.
Si china a terra e raccoglie un fagotto nero.
Ci metto mezzo secondo a capire che è la camicetta che Josie si è sfilata poco prima di eseguire il suo numero sulla sbarra sospesa.

Zelda appallottola il pezzo di stoffa e lo getta alla proprietaria, centrandola dritta in faccia. – Tieni – dice, in tono sprezzante.
Alza un sopracciglio e squadra Josie da capo a piedi, con una smorfia di disgusto, prima di aggiungere un: – Potrebbe servirti -.

Alcuni ragazzi ridacchiano e nemmeno io riesco a trattenere un sorrisetto.

Josie non replica, rimane a fissare la trasfazione con gli occhi socchiusi. Conoscendola, probabilmente sta meditando vendetta.

Zelda la supera e si dirige verso i gemelli.
Non appena li raggiunge, quello biondo le circonda la vita con le braccia e la fa volteggiare in aria.
Lei scoppia a ridere e io sento una fitta di gelosia scuotermi il petto.

Anch’io vorrei abbracciarla in quel modo.
Vorrei che quello sguardo complice e divertito fosse diretto a me, non a quell’odioso iniziato.

Eric, mi ammonisce la voce della coscienza in tono autoritario. Stai forse diventando sentimentale?
Adesso cosa farai, le comprerai dei fiori e scriverai versi in rima?


Serro i denti e me la prendo con me stesso per quei pensieri ridicoli.
Devo darci un taglio, non posso lasciarmi incantare di nuovo da quella ragazzina.
Non importa quanto sia splendida. O intrigante.
O a quanto la sua personalità magnetica mi faccia desiderare di avvicinarmi a lei sempre di più.

Mi sembra di essere finito in un labirinto, circondato da alte siepi che mi impediscono di orientarmi.
Zelda si trova esattamente al centro di questa realtà immaginaria, la sua figura è illuminata da un raggio di sole, riesco a scorgerla ovunque mi trovi.

Invece di lasciarmi guidare da quella visione, io continuo ad arretrare in cerca di una via d’uscita: mi allontano sempre più dalla luce, rifugiandomi all’ombra del groviglio di siepi.

Scegliere Zelda sarebbe facile.

Significherebbe smettere di lottare contro il fiume di emozioni che, sin dalla prima volta che l’ho vista, fa di tutto per condurmi dritto tra le sue braccia.
Tuttavia il mio orgoglio si oppone fermamente ad una scelta del genere, solo un debole accetterebbe di arrendersi senza lottare.
Perciò continuo ad avanzare controcorrente, spingendomi sempre più lontano da lei e da tutto ciò che rappresenta.

Non ripeterò lo stesso errore.
Mi sono lasciato alle spalle tutte le mie vuote illusioni quando ho scelto di diventare un Intrepido.

Ora non sono più quel bambino ingenuo che voleva solo essere accettato e amato.
Ho smesso di credere nei buoni sentimenti e ho imparato a diffidare delle persone che mi circondano, dalla prima all’ultima.

Non sarà certo una ragazza a farmi cambiare idea.

Dannazione, non Zelda Blackburn!
Combatterò fino all’ultimo respiro, non la lascerò entrare nel mio cuore un’altra volta per poi sentirlo infrangersi in mille pezzi.

Scuoto la testa, cercando di liberarla da quel caos di riflessioni.

Mi accorgo solo in quel momento che la causa di tutti i miei problemi sta lasciando la festa.

La folla si divide per farla passare - neanche fosse la Regina della fazione - e tutti la seguono con lo sguardo, mentre si avvia verso la porta che conduce alle scale di emergenza.

Faccio un mezzo sorriso. Dopo l’incidente dell’altra sera, anch’io ho deciso di rinunciare per un bel pezzo alle comodità offerte dagli ascensori.
Certo, non mi dispiacerebbe rimanere intrappolato di nuovo in una di quelle cabine ristrette, a patto di avere Zelda con me.

Oh no, Eric, si lamenta il mio lato ribelle. Non di nuovo.
Sbaglio, o non dovevi più lasciarti condizionare da quella ragazza?


Alzo gli occhi al cielo. La mia forza di volontà è più debole di quanto credessi.

Sento un sospiro alle mie spalle. Quando mi volto, Zeke si sta facendo aria con una mano come se stesse per svenire.

Sotto il mio sguardo perplesso, dà una gomitata a Quattro e indica Zelda con un cenno del capo. - Quella ragazza diventerà mia moglie – esclama, mentre gli altri Intrepidi scoppiano a ridere. - Non accetterò un ‘no’ come risposta -.

Quattro scuote la testa. – Continua a sognare, Zeke – replica, con un sorrisetto furbo.

Io non rido.

Tutta la determinazione che avevo accumulato per impedirmi di pensare a quella trasfazione è andata in fumo, si è sciolta come neve al sole.

Al diavolo.

Fulmino Zeke con uno sguardo intenso, come se volessi incendiargli i capelli con la sola forza del pensiero.

Prima di mettere le mani addosso a Zelda dovrà passare sul mio cadavere.

Mi siedo sul cornicione, a poca distanza dalla sbarra di ferro.
Afferro la prima bottiglia che trovo e, senza preoccuparmi del contenuto, la butto giù d’un fiato.














 
- - - - - - - - - - - -
Ciaoo gente ;) ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia!

Eric comincia a dare i primi segni di cedimento, ma la sua lotta interiore non è ancora terminata.
Accadrà qualcosa che gli farà cambiare idea?


Continuate a seguire, la meta non è lontana ;)

Un bacio a tutti,
Lizz

p.s. la canzone del titolo è sempre dei miei adorati Sunrise Avenue <3

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Capitolo 22
*** Morning tide ***





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Capitolo 21

 





Come to me now
And together we’ll go
Where the clear winds blow
Far and beyond
Leaving behind
All our sorrow and pride
Kissin’ them goodbye
Into another life

Won’t you come with me?

Love is still here
Never will it leave
You’re always with me
And I’m always with you

(Poets of the Fall)






 

Zelda





Credo di essere l’unica nel dormitorio abituata a svegliarsi presto.

Sono già le sette e nessuno dei miei compagni ha ancora aperto gli occhi.
D’accordo, oggi abbiamo il giorno libero, ma non mi sembra una buona scusa per poltrire a letto.

Lancio un’occhiata ai miei amici mentre mi chino per allacciare le scarpe.
Xavier russa come un treno, non so come faccia Felix a dormirgli accanto: abitudine, presumo.
I gemelli sono rientrati parecchie ore dopo di me dalla festa, li ho sentiti benissimo mentre arrancavano a passo strascicato verso le loro brandine.

Mi scappa un sorrisetto. Erano entrambi ubriachi, cantavano canzoncine sconce a mezza voce e facevano cozzare a tempo le bottiglie di birra che erano riusciti a sgraffignare sul tetto. Ho dovuto ficcare la testa sotto al cuscino per frenare le risate.

Ora sono praticamente in coma. Mi stupirei molto se riuscissero a riprendere conoscenza prima di mezzogiorno.

Alzo gli occhi al cielo e mi chiudo la porta alle spalle senza fare rumore.
I corridoi della residenza sono deserti, l’unico suono che sento è il martellare ritmico dei miei piedi sulla roccia.
Credo che anche gli altri Intrepidi non si faranno vedere in giro molto presto, la maggior parte di loro sarà in preda ai postumi della sbronza.

Io non bevo mai alcol.
Non capisco che gusto ci sia ad ingerire una sostanza che abbia come unico scopo quello di aiutarti a perdere il contatto con la realtà fino a farti star male.

Ricordo molto bene la sera in cui mio fratello Jarod è tornato a casa ubriaco fradicio.
Non avevo mai visto mio padre così infuriato, di solito gliela faceva sempre passare liscia, non l’ha mai neanche messo in punizione.

Sono dovuta intervenire di persona, altrimenti l’avrebbe massacrato a suon di schiaffi. Ho trascorso l’intera notte in camera di Jarod, osservando il suo petto alzarsi ed abbassarsi. Non l’ho lasciato solo nemmeno per un minuto, avevo troppa paura che potesse finire in coma etilico.

Jarod non mi ha mai ringraziato – non che io ci sperassi -, ma almeno ha cominciato a chiamarmi per nome, invece di rivolgersi a me con il suo solito irritante appellativo di ‘stupida ragazzina’.

Cammino senza meta per circa dieci minuti.
Mi sento stranamente di buon umore, potrei mettermi a canticchiare da un momento all’altro.

Ripenso alla festa, al mio salto sulla trave, agli applausi della folla.
Quella Josie ha avuto quel che meritava: forse l’umiliazione subita l’aiuterà a diventare più umile, o quanto meno ad abbassare la cresta.

Il modo in cui si strusciava su Eric…bleah, raccapricciante.
Tuttavia lui non sembrava entusiasta di quelle attenzioni. Mi domando perché.
Gli altri Intrepidi non facevano che sbavare, come se non avessero mai visto una donna in vita loro.

Sospiro. Uomini: basta un bel paio di gambe a mandarli fuori di testa.

Immersa nelle mie fantasticherie, non bado a dove sto andando.
Svolto a destra ad un bivio e mi ritrovo davanti ad una massiccia porta d’acciaio.

Alzo un sopracciglio, perplessa. Chissà perché i miei piedi mi hanno condotta dritta verso il poligono di tiro.

Beh, già che sono qui, tanto vale allenarsi un po’.

Spingo la maniglia ed entro. La stanza è illuminata da una sola lampada, le altre sono focalizzate sui bersagli.
Batto le palpebre, per abituarmi alla semi oscurità.

Non appena metto a fuoco la figura seduta accanto agli armadietti delle armi, trattengo il fiato e il mio cuore comincia a battere all’impazzata.

Eric volta di scatto la testa quando sente la porta sbattere e rimane a fissarmi con le sopracciglia inarcate. – Tu che ci fai qui? – esordisce, in tono aspro.

Credo sia il saluto più gentile che ci si possa aspettare da lui.
Almeno non mi ha urlato contro, né ordinato di fare dietrofront e tornarmene di corsa al dormitorio.

Mi limito ad alzare le spalle. – Voglio allenarmi – dico, avvicinandomi agli scaffali dove sono custoditi i caricatori.
Ne estraggo uno e prendo un astuccio dall’armadietto. Nel farlo, sfioro per un attimo il braccio di Eric, ma lui non si tira indietro.

Mi sta ancora fissando incredulo. – Non hai il giorno libero? – chiede, dopo un attimo.

- Sì, fino a prova contraria -.

La mia risposta sembra confonderlo ancora di più. – E come mai non te ne sei rimasta a letto? Non hai proprio nient’altro da fare? Che ne so, truccarti, sistemarti i capelli…? -.

- … e ricamare fazzoletti, magari? – lo interrompo, scoccandogli un’occhiata ironica.
Il suo tono sprezzante mi urta i nervi e fa scattare automaticamente l’interruttore del mio sarcasmo. – Per chi mi hai preso? Per una Pacifica? -.

Innesto il caricatore e Eric fa un piccolo sussulto quando il click risuona nella stanza.
Guarda la pistola tra le mie mani e fa una smorfia: forse sta ricordando di quando gli ho quasi fatto un buco in testa.

Gli rivolgo un ghigno. – Piccolo consiglio: mai offendere una donna mentre impugna un’arma carica – sussurro, mentre prendo posizione.

Sento i suoi occhi su di me. Se pensa di mettermi a disagio, ha fatto male i calcoli.
Dimentico dove – e, soprattutto, in compagnia di chi – mi trovo, non appena mi concentro sull’obiettivo.

Stringo la pistola con entrambe le mani e inquadro il bersaglio, socchiudendo leggermente le palpebre.
Premo il grilletto a ripetizione: ormai il rumore non mi ferisce più i timpani.
Le mie dita sostengono bene il peso dell’arma, non le permettono di rimbalzare all’indietro e colpirmi in faccia come le prime volte.

Quando finisco i proiettili, abbasso le braccia e conto i colpi andati a segno.
Il centro della figura di cartongesso è crivellato di fori, ho mancato il bersaglio solo due volte.

Mi giro verso Eric. Si è appoggiato al tavolo e non ha smesso di guardarmi. – Non male, per una principiante – dice, tamburellando con le dita sull’acciaio. – Ma sono sicuro che potresti fare di meglio -.

Non vuole proprio darmi soddisfazione, eh? Staremo a vedere.

– Hai ragione – esclamo, prendendo un altro caricatore.

Lui non mi ferma, anzi mi squadra da capo a piedi con una lunga occhiata.
Mi posiziono con le gambe divaricate, le braccia distese e prendo la mira.

La voce dura del Capofazione mi ammonisce prima che possa premere il grilletto. - Ferma –.
Si piazza alla mia sinistra e mi posa due dita sotto al mento. – Tieni su la testa. E sciogli i muscoli, sei troppo tesa -.

Non lo guardo, ma annuisco e seguo i suoi consigli.
Potrebbe essere l’istruttore ideale, se usasse un po’ meno quel tono saccente e lievemente derisorio.

Rimane al mio fianco mentre svuoto il secondo caricatore e noto un sorriso soddisfatto increspargli le labbra quando conta i colpi andati a segno. – Decisamente meglio – commenta. Poi fa un ghigno. – Per oggi può bastare. Non vorrai farci rimanere senza munizioni, vero? -.

Faccio una smorfia delusa. – Mi piacciono le armi, non ci posso fare nulla – borbotto, mentre apro uno degli sportelli e prendo il kit per pulire la pistola.
Mi appoggio al tavolo, smonto i vari pezzi e, dopo averli lucidati fino a farli brillare, li rimetto insieme in velocità.

Quando mi volto per posizionare l’arma al suo posto, sbatto contro il petto di Eric.
Non mi ero accorta che si fosse avvicinato così tanto.

Mi toglie la pistola dalle mani e la esamina minuziosamente, da ogni angolazione.
Appena termina l’ispezione, ricevo il premio a cui stavo aspirando.
Le sue iridi grigie esprimono allo stesso tempo ammirazione ed incredulità.

- Non stavi scherzando – mormora, facendo saettare lo sguardo dall’arma a me come se stesse guardando una partita di tennis. – Si può sapere come fai? -.

Devo afferrare il tavolo per non perdere il contatto con la realtà e non lasciarmi ingabbiare da quello sguardo ardente che trasforma i suoi occhi d’acciaio in argento fuso. - Come faccio cosa? – balbetto, facendo un passo indietro.

Eric non mi dà tregua. – Prima quella capriola in aria, poi il salto mortale sulla trave e ora questo – sbotta, indicando la pistola. I suoi occhi si stringono. – Chi sei veramente? -.

Cerco di recuperare un po’ della mia ironia innata, ma ho la mente annebbiata. – Solo una ragazza dalle mille risorse – ribatto, con un’alzata di spalle.
Ora la vuoi smettere di fissarmi come se volessi entrare nel mio cervello? È alquanto imbarazzante.

Non l’ho convinto, ma non so nemmeno che risposta si aspettasse.
Chi pensa che sia, un’eroina? Un’eletta? Una persona fuori dall’ordinario?

È fuori strada. Totalmente fuori strada.

Sono solo diversa dalle altre ragazze, tutto qui.

Eric ed io continuiamo a fissarci per parecchi secondi, ormai queste nostre occhiate prolungate stanno diventando un’abitudine.
Lui sembra essere in attesa di un mio cedimento, un’ammissione di sconfitta.
Povero illuso.
Se qualcuno mi provoca, divento un avversario molto accanito. Specialmente se ho davanti un carattere duro quanto il mio.

Alla fine è lui il primo a tirarsi indietro. – Già, in effetti potrei aver sopravvalutato le tue capacità – replica, passandosi un dito sul mento. – Dopotutto, non sei nemmeno riuscita a battere quel Candido durante il primo incontro -.

La sua frase mi colpisce dritta in faccia. – Però ho messo al tappeto Oliver – replico, digrignando i denti. – Quello non conta per te? -.

Eric inclina il capo, lo sguardo percorso da una scintilla di maligno divertimento. – Io ho vinto contro tutti i miei avversari l’anno scorso, so riconoscere un perdente quando lo vedo. E tu -, continua, puntandomi l’indice sulla fronte, - mia cara Zelda, rientri nella categoria. Con Oliver hai avuto solo fortuna -.

Adesso lo strozzo. O gli sparo.
Quanti anni di prigione comporta l’assassinio di un Capofazione?
Potrei sempre farlo passare per uno sfortunato incidente…maledizione, ho già scaricato la pistola!

La mancanza di armi e oggetti contundenti mi obbliga a sfruttare il mio arsenale personale.
Lo fulmino con lo sguardo più micidiale del mio repertorio, ma lui non batte ciglio.
Ha ancora in faccia quel dannato sorrisetto strafottente che fa da contorno alla sua abituale espressione sprezzante.

Alla fine esplodo. – La vuoi smettere di criticare tutto quello che faccio? Visto che ti ritieni tanto superiore, perché non mi alleni tu?! –.

La mia furia rimbomba come un’eco tra le quattro pareti della stanza.
Mi pento delle mie parole nell’esatto istante in cui mi escono di bocca.
Ora ho davvero superato il limite: vorrei scappare a nascondermi, possibilmente in una buca profonda.

Sei un’idiota, Zelda.

Contrariamente alle mie previsioni, Eric non pare sorpreso dalla mia reazione.
Anzi, annuisce piano tra sé. – Mi chiedevo quando ci saresti arrivata – replica, in tono tranquillo, lasciandomi allibita.

Ma che…? Aveva pianificato tutto?

Di fronte alla mia espressione sconvolta, il suo ghigno si allarga.
Senza aggiungere altro, si avvia verso l’uscita.
Rimango a fissare il profilo delle sue spalle, convinta di aver interpretato male le sue intenzioni.
È l’unica spiegazione possibile.

Il Capofazione spinge la porta, poi si volta a fissarmi. – Che c’è, vuoi un invito scritto? – chiede, inarcando un sopracciglio. - Hai forse paura? -.

Butto l’astuccio con la pistola nell’armadietto e mi avvicino ad Eric. – Tu non mi fai paura – sibilo, imitando il suo sguardo intenso di poco fa.

- Perfetto – fa lui, mentre esce dalla stanza.






 
* * *



 

Eric





Non so se complimentarmi con me stesso per questa brillante idea o prendermi a schiaffi.

Osservo Zelda di sottecchi mentre procediamo fianco a fianco, in silenzio, verso la palestra.
Il destino continua a giocarmi degli stupidi scherzi, l’ha condotta da me anche questa mattina.

Di tutti i posti in cui poteva finire, perché proprio il poligono?!
Perché non può essere una ragazza come tutte le altre, che passano cinque ore di fila davanti ad un armadio solo per scegliere la maglia giusta da indossare?

La sua risposta è stata talmente semplice da farmi ammutolire.

Mi piacciono le armi, non ci posso fare nulla.

Dannazione, ha rimontato una pistola pezzo per pezzo in neanche cinque secondi!
Io l’anno scorso ho impiegato parecchi giorni solo per riuscire a capire come sfilare un caricatore in maniera corretta.
Ma come diavolo fa?!

Maneggiava quell’arma con una tale sicurezza…
Se non conoscessi così bene le sue origini, la scambierei di sicuro per un’iniziata interna.

Questa sua abilità innata ha riacceso la mia curiosità nei suoi confronti.
Ero talmente ansioso di metterla alla prova che non ho saputo resistere: sapevo perfettamente che non si sarebbe mai tirata indietro dopo essere stata sfidata.

I punti in comune tra le nostre personalità stanno aumentando in maniera imbarazzante.
Forse dovrei cominciare a preoccuparmi.


Attraversiamo il Pozzo e prendiamo la rampa di scale che conduce alla palestra.
Non c’è nessuno in giro, tanto meglio.
Cosa direbbero gli altri leader se mi vedessero in compagnia di una trasfazione?
Beh, di certo non penserebbero ad un appuntamento romantico.

Ah, quindi è questo che hai in mente?

No, certo che no!
Me la prendo con il mio inconscio che mi pone queste domande fastidiose.  
Voglio solo vedere quanto è brava, fino a che punto riesce a sorprendermi. Stop.

La voce nella mia testa mi prende in giro e sghignazza.
Stai solo cercando ogni scusa per poterla toccare. Un ridicolo adolescente, ecco quello che sei!

E se anche fosse?
Sono pur sempre un uomo: Zelda è attraente, sono libero di desiderarla, no?
Questo non vuol dire che mi sto trasformando in un deficiente sdolcinato e compulsivo.
Credo sia una cosa abbastanza normale, dannazione!

La mia coscienza non rilancia con uno dei suoi commenti perfidi, né con l’ennesima obiezione, quindi suppongo di aver vinto.

Apro la porta della palestra con un sorrisetto compiaciuto dipinto sul volto.
Accendo le luci e mi dirigo verso la montagna di materassini disposta lungo la parete.
Non li abbiamo mai usati durante gli allenamenti, sono nuovi di zecca.
Ne prendo alcuni e li dispongo a formare un quadrato al centro della stanza.

Zelda osserva ogni mia mossa con cipiglio critico. – Ma che premuroso – commenta, mentre si lega i capelli in una treccia. – Credevo avresti approfittato dell’assenza di testimoni per farmi fuori -.

- Posso sempre cambiare idea – ribatto, scoccandole un’occhiataccia. – Adesso chiudi il becco e mettiti in posizione -.

Le mie maniere brusche non sembrano offenderla.
Fa esattamente quanto ho ordinato: si piazza davanti a me con le braccia alzate e rimane in attesa della mia prossima mossa.

Le giro intorno lentamente, valutando i punti di forza del suo fisico esile. – Allarga le ginocchia e tieni le piante dei piedi ben salde a terra -.
Le raddrizzo la schiena con una mano. – Mento in alto. L’avversario non deve percepire quanto sei tesa, rilassa i muscoli delle spalle -.

Quando assume la posizione corretta, mi sistemo di nuovo davanti a lei.
Alzo un sopracciglio. – Colpiscimi – dico, allargando le braccia come per invitarla a tirarmi un pugno nello stomaco.

Le sue labbra si socchiudono per la sorpresa. – Puoi ripetere? Credo di aver capito male – mormora, sgranando gli occhi.

La sua espressione sbalordita per poco non mi fa scoppiare a ridere. – Non puoi permettere che l’avversario ti attacchi per primo, finiresti a terra nel giro di due secondi. Usa la tua velocità -.

- Contro Oliver… - fa per dire, ma io la interrompo con un gesto secco.

- Quello è l’Erudito più stupido che io abbia mai incontrato – affermo, con una smorfia schifata. - Ti ha sottovalutata e questo gli è costato la sconfitta. Un vero Intrepido non avrebbe mai giudicato dalle apparenze. Prendiamo per esempio la tua amica Melanie: è piccola, magra, i suoi tratti delicati la fanno sembrare una bambolina. Eppure nessuno degli interni ha il coraggio di provocarla -, faccio un ghigno, - perché sanno bene a cosa andrebbero incontro -.

Zelda alza gli occhi al cielo. – Sì, so perfettamente quello che intendi dire. Mel ha la stessa forza distruttrice e implacabile di un treno in corsa -.
Corruga le sopracciglia e prende un respiro profondo. Poi, senza preavviso, fa scattare il pugno verso il mio torace.

Mossa sbagliata, piccola.

Le afferro il polso con una mano, obbligandola ad allungare il braccio verso l’alto.
Lei tenta di sfuggirmi, ma la blocco passandole un braccio attorno alla vita.
La tengo stretta a me per alcuni secondi, sento il suo respiro affannoso sfiorarmi la clavicola.

Quando la libero, fa qualche passo indietro e si strofina gli avambracci.  
Mi guarda come se le avessi appena fatto un torto.

Cosa si aspettava, di riuscire a battermi al primo colpo?

Faccio una breve risata. – Ti avevo detto di colpirmi, non che mi sarei fatto colpire – preciso, con un’alzata di spalle. – Riprova. Non ti lascerò uscire di qui finché non riuscirai a cogliermi di sorpresa almeno una volta -.

Zelda sbuffa. – Potrebbe volerci tutto il giorno -.

- Impegnati. Mantieni la concentrazione, non lasciarti distrarre dal mio fascino – ribatto, usando il tono arrogante che di solito la fa infuriare.

- Non c’è pericolo – sibila lei, scattando di lato.
Prova a tirarmi un calcio, ma le blocco la gamba con una presa che la fa cadere lunga distesa sul tappetino.

Mi inginocchio al suo fianco e le punto una mano sullo sterno.
Lei mi fissa ad occhi spalancati. – Di nuovo. In piedi – esclamo, afferrandola per le anche e tirandola su di peso.

Perdo il senso del tempo mentre la guardo provare e riprovare.
Non riesce nemmeno ad avvicinarsi al mio petto, blocco ogni sua mossa in tempo.

La cosa strana è che nessuno di noi perde la pazienza.
Se si trattasse di un altro iniziato, me ne sarei già andato da un pezzo, l’avrei abbandonato a se stesso senza pensarci due volte.

Ammetto che lottare contro Zelda è divertente: non cede mai, nemmeno quando le mie braccia la immobilizzano e non ha più speranze di fuga.

Dopo ogni sconfitta, si rialza da terra e torna a fronteggiarmi con maggior tenacia.
Ha la mia totale approvazione. Così agisce un vero Intrepido, non si arrende mai.

Non so per quanto continuiamo a combattere, di sicuro parecchie ore.
Alla fine, dopo l’ennesima caduta sui materassini, Zelda si rifiuta di continuare. – E’ inutile, Eric – mormora, passandosi una mano sugli occhi.

Ha la fronte imperlata di sudore e ansima come se avesse corso per dieci chilometri. – Sei…una specie di roccia. Non riesco nemmeno a sfiorarti! -.

Il suo tono sconfitto mi delude. – Quindi ti arrendi? -.

Zelda annuisce. – So riconoscere un perdente quando lo vedo –.

Non so cosa rispondere.
Distolgo lo sguardo dal suo corpo steso a terra e le volto le spalle.

Vorrei spiegarle che non dicevo sul serio, che ho pronunciato quelle stesse parole solamente per provocarla, che la ammiro più di qualsiasi altra persona per non aver smesso di combattere, nonostante si stesse confrontando con me, un avversario di gran lunga più esperto di lei.

La sua voce mi distrae prima che riesca a formulare una frase di senso compiuto. - Grave errore, Eric – esclama.

Non riesco neanche a voltarmi del tutto.

Zelda si getta su di me di peso, facendomi perdere l’equilibrio.
Finiamo entrambi lunghi distesi sui tappetini.

- Non ti hanno mai detto di non voltare le spalle all’avversario? – dice lei, guardandomi negli occhi con una scintilla di malizia.
Si siede a cavalcioni su di me e approfitta del mio sconcerto per immobilizzarmi entrambe le braccia.
Quando vede la mia espressione scioccata, fa un ampio sorriso compiaciuto. – Non te l’aspettavi, vero? -.

- Io no di certo –.
Quella voce cupa e familiare mi fa sussultare. Dannazione, cosa ci fa lui qui?

Zelda gira il capo e incontra lo sguardo corrucciato di Quattro, che se ne sta appoggiato allo stipite della porta.
Arrossisce leggermente, come se fosse stata sorpresa a fare qualcosa di proibito. – Ehm, ciao, Quattro – balbetta.
Mi lascia andare e si alza in piedi di scatto, tenendo gli occhi puntati a terra.

- Si può sapere che diavolo sta succedendo qui? – tuona lui, facendo saettare lo sguardo da Zelda a me.

Le sue iridi blu sono piene di sospetto e disprezzo.
Chi crede che sia, un maniaco? Per la miseria, ero io quello sotto di lei!

Faccio un ghigno. - So come potrebbe apparire la situazione ad occhi esterni, ma ti assicuro che non stavamo facendo niente di così scandaloso – dico, indicando Zelda con un cenno del capo. - Ha solo messo al tappeto un Capofazione. Dovresti essere fiero di lei -.

L’assenza di cattiveria nel mio tono lascia Quattro di stucco.
Batte le palpebre diverse volte prima di sfoggiare l’eloquenza che lo contraddistingue con un “Ah”, appena accennato.

Dobbiamo averlo proprio sconvolto. Ma perché poi? Cos’è, geloso?

Poi ricordo da che fazione proviene e per poco non scoppio a ridere.
Giusto, tra gli Abneganti non sono ammesse pubbliche dimostrazioni di affetto, non si stringono nemmeno la mano.

Mi tornano in mente le parole che Amar usava quando voleva stuzzicarlo: ‘Rigido una volta, Rigido per sempre’.
Non avrebbe potuto trovare frase più azzeccata.
Vedermi praticamente appiccicato a Zelda deve essere stato un bel colpo per lui.

Ad essere sinceri, a me quella posizione non dispiaceva per nulla.

Mi avvicino alla trasfazione. – Credo che tu abbia superato la prova – affermo, mettendole una mano sulla spalla. – Non dimenticare quello che ti ho insegnato. Ora puoi andare -.

Lei fa un sorriso timido. – Grazie, Eric -.

Si fionda nel corridoio, senza azzardarsi ad incontrare di nuovo lo sguardo di Quattro.

Lui scuote la testa. Incrocia le braccia e mi fissa con uno sguardo minaccioso. – Da quando in qua dai lezioni private agli iniziati? -.

- Zelda è un’eccezione – rispondo, sorridendo per quel gioco di parole che solo io posso capire. – E’ in gamba, per essere una ragazza. Potrebbe aspirare ai primi posti della classifica -.

Quattro fa un gesto scocciato. - Questo l’ho già capito da un pezzo – replica. – Invece vorrei sapere il motivo del tuo interesse nei suoi confronti. Cosa vuoi da Zelda? -.

Sembra il classico discorso del fratello maggiore iperprotettivo. – Semplice curiosità – aggiungo. – Vedilo come una sorta di esperimento -.

Lui mi afferra per un braccio mentre gli passo davanti per uscire dalla palestra. – Te lo dirò solo una volta, Eric, perciò apri bene le orecchie – ringhia, fissandomi con ira a stento trattenuta. – Azzardati a farle del male, osa anche solo sfiorarla senza il suo permesso, e te la vedrai con me -.

Quattro termina la minaccia e mi lascia andare di colpo.
Senza darmi il tempo di replicare, mi volta le spalle ed esce a grandi passi dalla stanza.













 
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Ciaoooo a tutti ;) spero che il capitolo vi sia piaciuto ;)

Eric cerca di illudersi che Zelda non gli interessi, ma poi si contraddice da solo come avete potuto notare ahahaha

Domanda per voi: visto che la musica è una delle mie passioni, mi chiedevo che canzone assocereste ad Eric… io credo una metal, tipo ‘Die, die, my darling’ dei Metallica ahaha ce lo vedo mentre la canta sotto la doccia pensando agli iniziati xD

aspetto i vostri commenti, non deludetemi ;)

A presto,
Lizz

p.s. il titolo è un tributo ai Poets of the Fall, un’altra delle mie band preferite ;) Le parole di ‘Morning Tide’ sono stupende <3

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Capitolo 23
*** Afraid of the midnight ***






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Capitolo 22




 

Zelda





Prendo un bel respiro prima di varcare la porta della mensa.

Mi sento le guance in fiamme e ho il fiato corto per aver corso a tutta velocità dalla palestra fino a qui.
Volevo mettere quanta più distanza possibile tra me, quei due Intrepidi e la situazione imbarazzante che si era creata.

Lo sguardo che aveva Quattro quando ci ha visti per terra era terrificante. Però ho il sospetto che non fosse diretto a me, bensì ad Eric.
Lo fissava come se volesse dargli fuoco.

Mi mordo un labbro.
È stata una mattinata interessante, il tempo è volato senza che me ne accorgessi.

Ammetto di aver giudicato male quel Capofazione: certo, è odioso e tutto il resto, ma questa volta si è comportato quasi in modo gentile con me.
Mi ha aiutata spontaneamente e durante l’allenamento non mi ha fatto del male. Credevo ne avrebbe approfittato per vendicarsi di tutte le volte in cui gli ho risposto per le rime o l’ho sfidato, invece sono ancora tutta intera e senza nemmeno un livido.

Mi sono perfino divertita.
Il mio orgoglio è salito alle stelle quando sono riuscita a coglierlo di sorpresa e la sua espressione stupefatta era a dir poco esilarante.
Un po’ mi dispiace che Quattro ci abbia interrotti. Chissà come sarebbe andata a finire se fossimo rimasti soli…

Scuoto la testa. Di certo non in modo romantico.
Mi avrebbe allontanata bruscamente come suo solito, o peggio.

Non devo farmi illusioni, non importa quanto stia cominciando a piacermi passare del tempo in sua compagnia.
Eric è Eric, un Capofazione irraggiungibile.
Non ci sono vie di mezzo, è inutile che speri che cominci ad interessarsi a me come ragazza e non solo come un’iniziata bisognosa di aiuto.

Dopotutto, lui ha già il suo passatempo personale, ovvero quella Josie che gli si avvinghia addosso ad ogni occasione.

Cosa potrebbe volere da me?
Se gli piacciono le ragazze di quel tipo – disinibite, provocanti e un tantino volgari – io di certo non rientro nella categoria.
E sicuramente non mi abbasserò mai a quel livello solo per farmi notare da lui.

Spingo la porta della mensa e vengo investita dal solito chiacchiericcio che la fa da padrone.

I miei compagni sono seduti al solito posto, ma sono più mogi del solito.
Mi posiziono accanto a Leslie e lei mi passa un piatto pieno di patatine fritte. – Ti sei svegliata presto, stamattina – dice, mentre mescola la sua tazza di caffè.

Noto che anche gli altri, più che pranzare, stanno facendo colazione.
Sorrido ai due gemelli, che hanno gli occhi gonfi di sonno e le spalle curve come se stessero per crollare da un momento all’altro.

- Ma che belle occhiaie – commento, sfiorando la guancia di Xavier con un dito.

Lui si lascia sfuggire un lamento. - Zelda, sarai anche uno schianto, ma il sarcasmo di prima mattina proprio non lo tollero –.

Mel, che se ne sta seduta sopra al tavolo con le gambe accavallate in una posa seducente, scoppia a ridere. – Ma quale mattina! È mezzogiorno passato -.

Xavier mi circonda la vita con un braccio e appoggia la testa sulla mia spalla. – Lasciatemi in pace – bofonchia, in tono scocciato.

Felix annuisce e affonda il viso tra le braccia conserte, usandole come cuscino.
Avevo ragione, sono proprio distrutti.

- Come sei morbida, Zelda – mormora Xavier, mentre io gli accarezzo i capelli con le dita.

Scambio uno sguardo con Leslie ed entrambe alziamo gli occhi al cielo.

Osservo la luce delle lampade riflettersi nelle ciocche bionde di Xavier.
Quando vivevo nel quartiere degli Eruditi non avevo nessun amico maschio, al di fuori di mio cugino Travis.
Credo fosse a causa dei miei fratelli: intimidivano tutti, nessun ragazzo osava avvicinarsi a me, distoglievano lo sguardo al mio passaggio come se fossi una portatrice di sventura.

Ma la colpa è, in parte, anche mia.
Ho sempre provato una sorta di avversione per il genere maschile ed i cinque esemplari con cui condividevo le giornate non hanno fatto proprio nulla per farmi amare l’altro sesso.

Tuttavia, da quando ho conosciuto i gemelli, mi sono sempre sentita a mio agio in loro compagnia.
Mi piace flirtare in maniera scherzosa con Xavier, prenderlo in giro assieme a Felix ed assecondare le loro idee a dir poco stravaganti.
Con loro non mi sento mai in imbarazzo, a differenza di quando sono assieme ad Eric.

Sussulto. Si può sapere perché sto paragonando quel Capofazione ai gemelli?
Sono due universi a parte, come i poli di una batteria.

Alla fine mi rendo conto del perché toccare Xavier non mi fa nessun effetto: il mio cuore non aumenta i battiti, non sento il respiro accelerare.
Praticamente tutto il contrario della sensazione che provo ogni volta che Eric mi sfiora, come se una scossa elettrica mi percorresse la pelle.

La scoperta improvvisa mi blocca il respiro.
Sento il sangue abbandonare il mio volto tutto d’un colpo e le pupille dilatarsi.

Mi sto innamorando di lui.

Oh, no. No, no, non può essere.

Non essere stupida, Zelda.
La voce della mia coscienza è calma, cerca di farmi ragionare.
Come potrebbe piacerti uno come Eric? Andiamo, siete due mondi completamente diversi!

Ma quale altra spiegazione c’è?

Mi passo le mani sul volto, cercando di farmi un’idea precisa del casino che sto combinando.
I miei sentimenti si mescolano, schizzano fuori controllo tra le pareti del mio cranio come palline da ping pong lanciate a tutta velocità.

Xavier percepisce l’immobilità del mio corpo e si scosta da me.
Aggrotta le sopracciglia davanti alla mia espressione sconvolta. – Ehi, va tutto bene? – chiede, con una nota preoccupata nella voce.
Mi toglie alcune ciocche ribelli dalla fronte, mentre io scuoto piano la testa.

- Ciao, gente! – esclama allegramente Zeke, mentre prende posto davanti a me.
Il suo sorriso smagliante si spegne di botto quando posa lo sguardo sul mio viso. – Sei pallidissima, Zelda. Cosa ti è successo? -.

Dopo quella frase tutti si voltano verso di me.
Vorrei sparire, diventare tutt’uno con la panca su cui sto seduta o sprofondare nel pavimento.
Detesto essere al centro dell’attenzione e detesto che gli altri mi assillino di domande.

Una voce brusca mi viene in soccorso. – Probabilmente ha già saputo la notizia – dice Quattro, mentre si appoggia al tavolo accanto a Zeke con entrambe le mani.

I miei compagni spostano i loro occhi su di lui e io tiro un respiro di sollievo, ringraziando il cielo per quell’interruzione così propizia.

- Quale notizia? – chiede Mel, sporgendosi verso l’istruttore con curiosità.

- Il Giorno delle Visite è stato anticipato – dichiara lui, sotto gli sguardi orripilati dei presenti.

- A quando? – domanda Felix, con una smorfia.

- Domani -.

Quell’unica parola rimane sospesa su di noi come una balestra pronta a scattare.
I gemelli si scambiano un’occhiata terrificata, mentre Mel si attorciglia una ciocca di capelli attorno ad un dito con fare indifferente.

- Dubito che i miei genitori verranno – bisbiglia Leslie, mordicchiandosi le unghie. – Dovevate vedere le facce che hanno fatto dopo la mia Scelta. Come se non fossi più figlia loro -.

Le stringo una spalla con solidarietà. – Ti farò compagnia io. Nemmeno i miei parenti si faranno vedere, su questo non ci sono dubbi -.

Xavier arriccia il naso. – Non sapete quanto vi invidio – replica, mentre suo fratello annuisce vigorosamente. – Nostra madre non ci lascerà in pace un attimo. Ci farà il terzo grado. Ho già i brividi -.

Gli sorrido. – Sembra una donna interessante. Mi piacerebbe conoscerla -.

I gemelli mi guardano come se mi fossi bevuta il cervello.
Mel ridacchia, ma mi sembra nervosa. Anche lei deve avere qualche problema con la propria famiglia.

- Che ne dite di fare un giro? Dobbiamo approfittare del giorno libero – propongo, cercando di alleggerire l’atmosfera.

Zeke mi fa l’occhiolino. – Ecco la mia ragazza! – esclama. Le sue sopracciglia vanno su e giù quando si gira a guardare l’amico. – Possiamo portarli al Percorso Sospeso. Che ne dici, Quattro? -.

L’istruttore non mi pare molto entusiasta, ma fa un cenno affermativo col capo.

Zeke si sfrega le mani e ci rivolge un sorrisetto perfido. – Allora, chi ci sta? -.

Visto che nessuno degli altri spiccica parola, mi faccio avanti io. – Come l’hai chiamato? Percorso…? -.

- Percorso Sospeso – ripete lui, scandendo per bene le sillabe. – Si trova nei piani più alti della residenza. Si comincia salendo una scala di corda, per poi arrivare ad una piattaforma a qualche metro da terra. Da lì partono delle funi che collegano i vari ostacoli da superare per giungere dall’altra parte della stanza. Vince chi impiega meno tempo -, il suo ghigno si allarga, - e arriva tutto intero fino all’uscita -.

Faccio finta di pensarci su. – Mi pare un piano un po’ azzardato. Dobbiamo mettere in conto probabili fratture in caso di caduta dalle funi… -.

Gli altri iniziati annuiscono con convinzione.

Mi alzo di scatto dalla panca e batto il pugno sul tavolo. – Che stiamo aspettando? – esclamo, facendoli sussultare.

Zeke getta indietro la testa e scoppia a ridere. – Sapevo che non mi avresti deluso -.
Si precipita al mio fianco e mi prende a braccetto. – Vieni, mia splendida ragazza. Lascia perdere queste finocchiette. Ce la spasseremo, noi due soli -.

Xavier e Felix scattano nello stesso istante. – Finocchiette a chi?! – ringhiano, mentre Quattro alza gli occhi al cielo per l’esasperazione.

Dopo un acceso battibecco su quanto sia offensivo quell’insulto – a me non sembrava così terribile, ma gli Intrepidi la pensano diversamente – ci avviamo, tutti e sette, alle scale di roccia.

Ho proprio voglia di sperimentare questa nuova sfida.

Qualsiasi cosa, pur di non rimuginare troppo su Eric.
Non ho intenzione di trascorrere il pomeriggio a fantasticare su quanto siano affascinanti i suoi occhi o a quanto vorrei vederli ardere di nuovo come è accaduto ieri sera alla festa.






 
* * *




 

Eric





Dopo l’ennesima flessione, mi rialzo da terra e faccio un sorriso soddisfatto.

Mi piace tenermi in forma, allenare i miei muscoli è diventato quasi un dovere. Mi aiuta a combattere lo stress e anche ad allontanare i pensieri che, da tre giorni a questa parte, minacciano di mandarmi fuori di testa.

Mentre recupero la maglietta nera - della quale mi ero liberato prima di cominciare gli esercizi -, lo sguardo mi cade sui tappetini impilati con ordine vicino ai sacchi da boxe.

Li ho rimessi a posto personalmente, per combattere la voglia di inseguire Quattro e di … beh, ‘dirgliene quattro’.
L’ironia del gioco di parole mi fa sorridere per un attimo, ma torno serio in fretta.
Quell’idiota ha avuto il fegato di minacciarmi, per poi uscire impettito dalla stanza, di sicuro compiaciuto di aver avuto l’ultima parola.

Quanto avrei voluto avere un coltello a portata di mano.
Forse dovrei appenderne uno alla cintura, tenendolo pronto per ogni evenienza. Di certo mi risparmierei un sacco di fastidi.

Lancio un’occhiata all’orologio appeso al muro: sono le undici in punto.
Ho fatto più tardi del solito, ma non mi importa granché. Non riuscirò comunque a dormire.

Al solo pensiero degli incubi che mi aspettano mi sale la nausea.
Chiudo la porta e mi avvio a passo lento verso il mio appartamento.

Mentre mi accingo a svoltare verso la rampa di scale che conduce direttamente alla mia stanza, vedo una persona correre verso di me.
Mi blocco sul primo gradino e alzo un sopracciglio quando scopro che si tratta di Elizabeth, l’infermiera.

Ha il camice aperto, le svolazza alle spalle come un paio di ali candide.
Si ferma a pochi centimetri da me e prende fiato. – Grazie al cielo ti ho trovato, Eric – dice, con una nota di panico nella voce. – Sai dov’è Max? -.

- Doveva recarsi al quartiere degli Eruditi per prelevare i nuovi sieri per le simulazioni – spiego, in tono sbrigativo. – Per quale motivo lo cerchi? -.

Lei si passa una mano tra i capelli. Sembra stanca e nervosa. – Ho provato a dissuaderlo, ma James non mi ha voluto ascoltare e … -.

La interrompo subito, seccato. – Arriva al punto -.

I suoi occhi si spalancano come quelli di un uccellino finito in trappola. – Si tratta di Ted – balbetta. – Max l’aveva affidato a me, ma James ha voluto portarlo a giocare con i coltelli e … si è ferito, povero piccolo -.

Aggrotto la fronte. – In modo grave? – chiedo, allarmato.
L’ansia di Elizabeth mi sta contagiando. Al diavolo James e le sue iniziative di pessimo gusto!

- No, non proprio, ma … -.

Faccio un gesto stizzito. – Ma cosa?! -.

Lei sospira. – Ted non vuole che lo tocchi – ammette. – Devo disinfettare il taglio e ricucirlo, ma non mi permette nemmeno di avvicinarmi. Continua a ripetere che vuole Zelda e nessun altro -.

Rimango perplesso per un istante, poi annuisco. – Capisco. Beh, in tal caso sarà meglio farla venire subito in infermeria -.
Prima che Elizabeth possa obiettare, mi giro e percorro il corridoio che conduce alla camerata degli iniziati.

Non dovrei essere così eccitato, né sorridere come uno stupido come sto facendo adesso davanti alla porta del dormitorio.

Ringrazio mentalmente Ted per essersi fatto male: sono curioso di vedere come si comporterà Zelda quando mi vedrà piombare su di lei come un falco nel bel mezzo della notte.

Giro la maniglia, attento a fare meno rumore possibile.
Lascio la porta leggermente aperta: la luce che riesce a filtrare dalla fessura mi permette di orientarmi in mezzo alle file di brandine.

Gli ignari ragazzini dormono come agnelli, nessuno di loro si accorge della mia invasione silenziosa.
Mi dirigo senza esitazione verso il mio obiettivo, riuscirei ad individuare il profilo di Zelda anche nell’oscurità più completa.

La forza che mi spinge verso di lei è potente, quasi fossimo uniti a doppio filo.

Quella ragazza mi attrae a sé come se fosse una fiamma, calda, luminosa e invitante: io sono la falena che si avvicina incauta, troppo affascinata dal bagliore per riuscire a fiutare in tempo il pericolo che nasconde. O forse ne sono pienamente consapevole, ma voglio lo stesso riscaldarmi accanto a quel fuoco, infischiandomene delle conseguenze.

Attento, Eric. Finirai per bruciarti.

Al diavolo. Il rischio mi piace, mi è sempre piaciuto.

Rimango ad osservare Zelda per alcuni minuti.
Dorme profondamente, il suo petto si alza e si abbassa con regolarità.
Le lunghe ciglia scure spiccano sul suo volto pallido, incorniciato da ciocche selvagge di capelli corvini.

Mi piacerebbe toccarli, sentire la loro morbidezza sulle dita.
Sto già allungando una mano, ma mi blocco a pochi millimetri da lei.

Non fare lo stupido, Eric. Ricordati perché sei qui.
Giusto, il marmocchio. È lui la priorità.

Mi gratto il mento mentre penso a come svegliarla senza farle fare un infarto.
Non voglio certo che si metta ad urlare e attiri l’attenzione dell’intera camerata.

Faccio un respiro profondo, poi mi siedo accanto a lei.
Il materasso cede sotto il mio peso, ma non emette nessun rumore.
Cerco di non lasciarmi distrarre da quei lembi di pelle che il lenzuolo lascia scoperti e sussurro piano il suo nome.
Il primo tentativo va a vuoto.

Le tocco delicatamente una spalla e lei emette un lieve gemito. – Zelda – ripeto, chinandomi sul suo viso. – Ehi, mi senti? -.

La ragazza batte le palpebre due volte per mettermi a fuoco.
Quando mi riconosce sussulta e sbarra gli occhi.
Mi affretto a tapparle la bocca con una mano per prevenire grida isteriche e quant’altro.

- Calma, ok? – mormoro, nel tentativo di tranquillizzarla.
Aspetto che il suo respiro ritorni normale, poi la lascio andare. Mi porto un dito alle labbra. – Non fiatare e seguimi -.

Lei annuisce, con gli occhi ancora spalancati. Sembra che la stia ipnotizzando.

Agguanta le scarpe, se le infila e poi mi raggiunge nel corridoio.
Una volta chiusa la porta, mi squadra con gli occhi ridotti a fessure. – Grazie al cielo dormo vestita – sibila, mentre si lega i capelli con l’elastico che porta sempre al polso a mo’ di braccialetto.

Faccio un sorrisetto. – Ti assicuro che un dettaglio del genere non sarebbe bastato a fermarmi – dichiaro, lanciandole un’occhiata maliziosa. – Ti avrei fatta comunque uscire di lì, con o senza vestiti -.

Zelda arrossisce, ma non abbassa lo sguardo. – Hai trenta secondi per spiegarmi il motivo di tanta sollecitudine – ribatte, incrociando le braccia. – Prega che sia importante, altrimenti ti stendo -.

È la minaccia più invitante che qualcuno mi abbia mai fatto.

Il mio sorriso si fa più ampio. - Proposta allettante, ma sarà per la prossima volta. Elizabeth ha bisogno di te in infermeria – spiego, in fretta. – Si tratta di Ted -.

Lei rimane spiazzata, chissà cosa si aspettava. – Cosa è successo? -.

- E’ ferito, ma non lascia che Elizabeth lo medichi – rispondo, in tono cupo. – Ha chiesto di te -.

Zelda sbianca e si porta una mano al petto. – Perché non l’hai detto subito? – esclama, prima di precipitarsi lungo il corridoio.

Io sono mezzo passo dietro di lei.
Spalanca la porta dell’infermeria e si fionda dentro come un fulmine.

Deve tenere molto a quel bambino: non correrebbe in questo modo se si trattasse di me, ci scommetto tutto quello che ho.

Non appena la vede, Ted tende le braccia verso di lei.
Ha gli occhi lucidi, si vede che sta facendo di tutto per non scoppiare a piangere.

Zelda gli si siede accanto e gli sorride. – Ciao, tesoro – mormora, accarezzandogli piano i capelli.

Il piccolo non respinge il suo tocco, anzi le circonda il collo con le braccia e comincia a singhiozzare.
Rimango accanto alla porta, indeciso se andarmene o restare.

Elizabeth fa un respiro di sollievo. – Grazie per essere venuta, Zelda –.

- Ci mancherebbe – sussurra la ragazza.
Scosta un po’ il bambino da sé e gli prende il braccio per esaminare la ferita.
I suoi lineamenti si distendono quando vede che si tratta di un taglio poco profondo.

L’infermiera si avvicina a Ted per disinfettarlo, ma lui si tira indietro. – No, lasciami stare – strilla, scuotendo la testa. – Fa male -.

Elizabeth fa un respiro secco. - Devo solo pulire la pelle, Ted -, cerca di calmarlo, senza risultato. – Vuoi che si infetti? -.

Il bambino chiude gli occhi e continua a fare i capricci.

- Adesso basta! – sbotta Zelda, facendo sussultare sia lui che me.

Ted smette di piangere di colpo e la fissa ad occhi sbarrati, come se gli avesse appena mollato un ceffone.

Il tono della ragazza si addolcisce. – Farà male solo per poco, te lo prometto -.
Il piccolo stringe le labbra, non pare molto convinto, ma almeno la pianta di lamentarsi.

Zelda si volta verso l’infermiera. – Posso farlo io – dice, indicando il kit di pronto soccorso con un gesto. – Ho curato i miei fratelli per anni -.

Quella frase non riesce a far scomparire l’espressione dubbiosa di Elizabeth, così aggiunge a malincuore: - Mio padre è Fergus Blackburn -, come se quella fosse una spiegazione più che sufficiente.

Funziona, perché l’infermiera abbandona il cipiglio diffidente e fa un piccolo cenno col capo. – In tal caso, hai campo libero – dichiara, alzando le mani.

Non credevo che un semplice nome potesse fare un simile effetto.
Il padre di Zelda ha davvero un grande potere, sia nel quartiere degli Eruditi che qui tra gli Intrepidi.

– Vado a vedere se Max è tornato – annuncia Elizabeth, mentre si avvia verso la porta.
Io faccio per seguirla, ma lei mi ammonisce con un’occhiata dura. – Non perdere di vista quel bambino -.

Alzo un sopracciglio. – Zelda non basta? -.

- Sei uno dei Capifazione, o sbaglio? – rilancia lei, facendomi sbuffare. – Ti reputo più intelligente di James. Non deludermi -, conclude, uscendo a grandi passi.

Roteo gli occhi per l’irritazione e mi siedo su uno dei letti.
Quando riporto lo sguardo in direzione di quei due pericoli ambulanti, scopro che Ted mi sta fissando con insistenza.

- Perché lui non se ne va? – chiede a bassa voce a Zelda.

Perché da Eric il Capofazione mi sto trasformando in Eric il Babysitter a tempo pieno, vorrei rispondergli in tono acido.

Zelda si gira a guardarmi e fa un sorrisetto. – Perché mi serve il suo aiuto – afferma, facendomi cenno di raggiungerla.

Non so per quale ragione acconsento a prendere ordini da lei, ma faccio come chiede senza fiatare.

Le porgo la valigetta di pronto soccorso, mentre Ted continua a fissarmi con sospetto.
Zelda mi ringrazia e spruzza un po’ di disinfettante su un batuffolo di cotone.
Lo passa sulla ferita e il bambino stringe i denti. – Porta pazienza – gli sussurra, in tono dolce.

Estrae una pila di bende dalla scatola e un astuccio nero di pelle. Lo apre e tira fuori un ago dalla punta sottile che luccica sotto la luce delle lampade.
A quella vista, Ted si copre con il lenzuolo e piagnucola.

Zelda fa finta di non accorgersi della sua reazione.
Passa un filo nella cruna dell’ago e poi si china verso la ferita.
Il bambino cerca di togliere il braccio, ma la presa della ragazza è ferrea.

Si vede che non è la prima volta che esegue quell’operazione.

- Adesso sdraiati, Ted – ordina, in tono fermo, mentre lo spinge giù delicatamente. Il piccolo fa una smorfia, ma obbedisce.

Mi sfugge un ghigno. Ci sa proprio fare con i bambini.

Zelda continua a parlare in tono rilassato. – Adesso devo metterti i punti – spiega, accennando all’ago che tiene in mano.
Ted deglutisce rumorosamente, provo quasi pena per lui.

- Devi solo stare calmo, non sentirai nulla – aggiunge, scostandogli i capelli dal volto.
Lui annuisce piano, poi chiude gli occhi.

La ragazza comincia a passare il filo da una parte all’altra della ferita, con movimenti esperti e precisi.
Rimango a fissarla, ammaliato.

Quando finisce, avvolge il braccio di Ted con una lunga benda bianca, poi si china e gli dà un bacio sulla fronte. – Bravissimo piccolo. Sei stato molto coraggioso -.

Il bambino si illumina a quelle parole.
Quando Zelda fa per alzarsi dal letto, lui la trattiene per il polso. – Non rimani con me? –. La sua vocetta si incrina sull’ultima parola.

La ragazza sposta lo sguardo da lui a me, come se mi stesse chiedendo consiglio.
Io mi limito ad allargare le braccia in un gesto spazientito, poi mi stendo sul letto.
Ho l’impressione che la faccenda andrà per le lunghe, quindi tanto vale mettersi comodi.

Zelda segue il mio esempio e Ted le si accoccola vicino.
Poggia la testa sulla sua spalla, mentre lei continua ad accarezzargli i capelli.

Quel bambinetto non ha idea di quanto io lo stia invidiando in questo momento.

Nessuno si è mai preso cura di me in questo modo, nemmeno mia madre quando ero piccolo.

- Vuoi che ti canti qualcosa? – mormora Zelda, dopo alcuni istanti.
Per un folle momento immagino che si stia rivolgendo a me, poi sento il semplice ‘Sì’ di Ted e torno a rilassarmi.

La voce dolce della ragazza comincia ad intonare alcune frasi di una canzone che conosco anch’io, una delle tipiche ninne nanne degli Eruditi.

Non aver paura della mezzanotte, piccolo mio. Non fuggire via spaventato.
Non aver paura della mezzanotte, bambino mio. Non sei solo.

Chiudo gli occhi. Mi sembra di tornare indietro nel tempo.

Solo perché non riesci a vedere il mistero che si cela nel buio, non significa che ti farà del male.
Non conoscerai la tua forza finché non avrai sconfitto i tuoi demoni.
Non aver paura della mezzanotte, piccolo mio.


Quella voce vellutata è l’ultima cosa che sento prima che il sonno si avventi su di me.






 

* * *


 
Il bambino dai capelli chiari passeggia in solitudine lungo la strada che conduce al boschetto di tigli.

Ha le mani infilate nelle tasche dei pantaloni che indossa, sporchi e spiegazzati a causa della rissa appena conclusa.
Sorride soddisfatto, mentre calcia via una lattina dal suo cammino.
Si è procurato solo un taglio sul mento, ben poca cosa rispetto ai lividi che è riuscito ad infliggere a quei bulletti che lo tormentavano in continuazione a scuola.


L’espressione allegra si spegne lentamente, non appena pensa alla strigliata che gli darà sua madre non appena tornerà a casa e si farà vedere in quelle condizioni.

‘Un’altra volta? Sono stanca dei tuoi comportamenti infantili! Vuoi diventare un selvaggio? Sentirai tuo padre! Ti darà tante di quelle botte che te ne ricorderai a vita! Sei solo una nullità, non posso credere che tu sia veramente mio figlio…’

Il bambino scuote la testa per scacciare quelle parole che lo feriscono come punture d’insetto.

È quasi il tramonto, il momento della giornata in cui può dimenticare le continue lotte con i compagni di classe e il disprezzo dei genitori.


Nessuno conosce il suo segreto, nessuno sa dove si reca ogni giorno da alcune settimane a questa parte.
Quella scoperta rimarrà sempre e solo sua.


Non appena scorge la siepe, si affretta ad arrampicarsi sul tronco della ormai familiare quercia che lo ospita tra i suoi rami come una vecchia amica.
Si nasconde tra le fronde e rimane in attesa.
Da lì riesce a malapena ad intravvedere le mura della casa rossa nella fioca luce del crepuscolo.


Non rimane deluso nemmeno quel giorno.
La melodia di una canzone, seppur debole e lontana, arriva alle sue orecchie distintamente.


Quando sarai inquieto, io calmerò gli oceani per te.
Nel tuo dolore, io asciugherò le tue lacrime.
Quando avrai bisogno di me, io sarò l’amore che ti starà accanto.


Sospira.

Darebbe qualsiasi cosa per poter entrare in quel giardino e scoprire a chi appartiene quella voce.
Ma sa bene che rischierebbe la pelle: in quella casa vive Alfred Blackburn, uno degli individui più meschini e cattivi che abbia mai incontrato.

Terrorizza adulti e bambini, non sarebbe una buona idea farsi beccare nella sua proprietà come un ladro.


Gli occhi grigi del bambino si chiudono, mentre si lascia cullare dal quel canto armonioso.

È l’unica cosa che lo aiuta a sentirsi meno solo, che gli infonde speranza.
Quella voce sembra comprenderlo meglio di qualsiasi altra persona.








 
* * *



 
Mi sveglio di soprassalto quando qualcuno mi chiama per nome.

Elizabeth è china su di me e mi guarda con un sorriso condiscendente. – Dormito bene, Eric? -.

Scatto a sedere come se mi avesse minacciato con un paio di forbici.
Maledizione, mi sono addormentato!

Mi passo una mano sugli occhi e impreco a bassa voce.
Ted è ancora a letto, ma di Zelda non c’è traccia.

L’infermiera coglie la mia occhiata e fa un altro sorrisetto. – La ragazza se n’è andata qualche minuto fa – dice, con una nota di ammirazione nella voce. – I suoi punti di sutura sono perfetti. Non avrei saputo fare di meglio -.

Io mi limito ad annuire, sono ancora intontito.
L’orologio mi comunica che sono le sette e mezzo ed io rimango a fissarlo, perplesso.
Da quando ho terminato l’iniziazione, questa è la prima volta che dormo per più di sei ore di fila. E senza incubi.

Di certo il merito va a Zelda e a quella sua canzoncina.

Arriccio il naso, ripensando al ricordo che è tornato a ripopolare il mio – di solito vuoto - mondo dei sogni.

Mentre mi alzo, noto un vassoio appoggiato al comodino accanto alla mia brandina.
Allineati in bell’ordine ci sono una tazza di caffè fumante, un muffin e alcuni biscotti.

Corrugo la fronte e guardo Elizabeth.

Lei sorride. – E’ per te – afferma. – Da parte di Zelda -.









 
- - - - - - - - - - - - - - - -
 Ciaooo gente ;)
ecco il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto (la mia vena romantica inizia ad emergere ahahah) ;)


La freddezza di Eric crolla a picco quando si tratta di Zelda, ma riuscirà lei ad entrare veramente nel suo cuore di pietra?
Continuate a seguire, mi raccomando ;)


Ringrazio chi legge, chi recensisce, chi segue la storia: un bacio a tutti!!!

Alla prossima,
Lizz

p.s. ok, veniamo alle canzoni. Sono traduzioni, non proprio letterali, di alcuni versi di ‘Afraid of the midnight’ dei Sunrise Avenue e di ‘Temple of Thought’ dei Poets of the Fall ;) se avete tempo ascoltatele, sono stupende!

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Capitolo 24
*** I feel the change coming on ***





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Capitolo 23




 

Zelda




Nessuno dei miei amici si è accorto della mia uscita notturna, o almeno credo.

Di sicuro mi avrebbero assalita di domande se mi avessero visto sgattaiolare fuori dal dormitorio nel cuore della notte.
In compagnia di Eric per giunta.

Immagino le loro facce sconvolte e rido sotto i baffi.
A dire il vero, quando mi sono svegliata e mi sono ritrovata i suoi occhi grigi a pochi centimetri dal volto, ero convinta di sognare.
Ma mi sono accorta subito che non poteva essere: in un mio sogno, Eric sarebbe stato senza dubbio più gentile.  

Scuoto la testa. Devo ancora riprendermi dallo shock.

Piazzo il mio vassoio su un tavolo a caso e mi siedo sulla rigida panca di legno.
La mensa è pressoché deserta, fatta eccezione per qualche Intrepido che afferra un muffin al volo e scappa in velocità verso l’uscita.

Mi gusto la colazione con calma, mentre ripenso agli avvenimenti di questa notte.

Quando Eric mi ha fatta uscire a forza dal dormitorio, ho pensato che si trattasse di un’altra prova della tradizione degli Intrepidi. Invece era tutto il contrario.

Povero Ted. Al mio ingresso in infermeria i suoi occhi si sono illuminati come se, da semplice ragazza, mi fossi trasformata all’improvviso in un raggio di sole.
Mi sono commossa, sembrava così felice di vedermi.
I miei quattro fratelli messi insieme non avrebbero potuto trasmettermi nemmeno una briciola dell’affetto che ho sentito quando quel piccolo mi ha abbracciata.

La sua ferita non era grave, sono serviti solo alcuni punti: non gli rimarrà nemmeno la cicatrice.
Ma è bastata a mandarmi su tutte le furie.

Come si fa a portare un bambino a giocare con i coltelli?

Stacco un morso della mia brioche immaginando che sia la testa di quel James.
Spero davvero che Max lo appenda a testa in giù sopra lo strapiombo, se lo meriterebbe.

Mentre sono immersa in queste perfide fantasticherie, sento un brivido percorrermi la schiena, come se mi trovassi in mezzo ad una corrente di vento gelido.

Sento la sua presenza prima ancora di voltarmi, come se il mio corpo reagisse spontaneamente alla sua vicinanza. 

Non so se la cosa mi faccia piacere.

- Immagino di doverti ringraziare –. Eric mi guarda dall’alto con un sopracciglio inarcato. - Cominciavo a credere che fossi acida e scontrosa per natura, invece anche tu hai un lato gentile. Interessante -.

Il suo sarcasmo non mi fa nessun effetto.
Bevo un sorso del mio thè tenendo lo sguardo puntato sulla parete.
Se lo ignoro, probabilmente deciderà di andarsene e lasciarmi in pace.

Contrariamente alle mie aspettative, Eric si sposta e si siede di fronte a me.
Quando appoggia tra noi il vassoio che gli avevo preparato, noto che i dolci sono ancora intatti.

- Avresti dovuto mangiarli – lo prendo in giro, afferrando uno dei biscotti. – Non sono l’unica acida a questo tavolo -.

Eric mi incenerisce con lo sguardo. Vuole mettermi in guardia, ma, invece di spaventarmi, la sua ira mi diverte. – Non mi piacciono i dolci – replica, col suo solito tono brusco. – Non metto lo zucchero neanche nel caffè -.

Indico la tazza vuota con l’indice. - Ah, quindi l’hai bevuto? Non avevi paura che stessi tentando di avvelenarti? -.

Lui si sporge verso di me. – Ammetto di averci pensato per un attimo – confessa, trattenendo un ghigno. – Ma poi mi sono detto che avevi avuto campo libero per tutta la notte: se davvero avessi voluto farmi fuori, avresti agito mentre dormivo -.

Il suo ragionamento mi fa ridere. - Acuta osservazione – mi complimento, alzando la tazza di thè come se gli stessi dedicando un brindisi.

Mi osserva in silenzio per alcuni minuti, poi indica con un cenno il muffin sul vassoio. – Lo vuoi tu? -.

Stringo gli occhi. – Sai benissimo che detesto il cioccolato -.

- Già – fa lui, chinando il capo di lato. – Per via di quello scherzo al cianuro, giusto? -.

Caspita, ricorda proprio ogni particolare.

Faccio scorrere un dito sul bordo della tazza e sospiro. – Come mai questa curiosità? Stai prendendo ispirazione per una nuova punizione da infliggere? -.

Eric alza le spalle. – Qualcosa del genere – ribatte, in tono volutamente annoiato.
Finge indifferenza, ma vedo nel suo sguardo che non si arrenderà facilmente. So bene che, quando vuole una risposta, la ottiene sempre.
Non credo sia fisicamente programmato per accettare un rifiuto.

Alla fine non riesco più a sostenere il peso dei suoi occhi su di me, quindi cedo. - E sia – sbotto, appoggiando le braccia al tavolo. – Anche se non capisco perché ti interessi tanto -.

Prendo un respiro profondo e continuo. – Avrò avuto cinque o sei anni, non ricordo con precisione -.
Eric non perde una parola, mi guarda fisso come se riuscisse a vedere la scena proiettata sulla mia fronte.
– Mio fratello maggiore, Alfred, aveva approfittato dell’assenza dei miei genitori per entrare nello studio di mio padre. Non so cosa volesse fare, esperimenti credo -.

Afferro la panca con entrambe le mani per impedire loro di tremare. – Io stavo giocando in giardino quando lui mi ha chiamata. Mi ha messo tra le dita questa tazza di cioccolata, ordinandomi di bere -. Mi sta salendo la nausea, ma proseguo col racconto.
È quasi liberatorio poter dirlo finalmente a qualcuno. Anche se quel qualcuno è Eric.

- Ho capito subito che c’era qualcosa di strano. Il suo sguardo, il modo in cui analizzava le mie reazioni…sembrava uno scienziato alle prese con la propria cavia da laboratorio. Avevo la gola in fiamme, i muscoli contratti fino allo spasmo… -. Rabbrividisco al ricordo di quelle sensazioni. – Se mia madre non mi avesse trovata pochi minuti dopo, molto probabilmente sarei morta -.

Eric sembra sorpreso dal mio tono calmo e ragionevole.
Probabilmente si aspettava che mi mettessi ad urlare come una pazza mentre rivivevo la scena nella mia mente.
Invece il mio rigido autocontrollo riesce a nascondere bene il turbamento che mi scuote internamente come una tempesta.

Finisco di bere il mio thè con calma.
Quando poso di nuovo gli occhi sul Capofazione, noto che non ha smesso di studiarmi con le sue penetranti iridi grigie. – Forse comincio a capirti – afferma dopo qualche attimo di silenzio. – Hai vissuto per anni con mostri molto peggiori di me, per questo starmi vicina non ti mette in agitazione -.

Tu non sei un mostro, vorrei dirgli, ma mi mordo la lingua prima di lasciarmi sfuggire quelle parole.

- Eri solo curioso di sapere perché non riesci a farmi paura? – replico, in tono lievemente ironico. – Cos’è, una specie di ossessione per te? Tutti devono temerti, altrimenti non dormi la notte? -.

Mi lancia un’occhiataccia, ma gli angoli delle sue labbra si piegano leggermente all’insù.
Riuscirò a farti ridere prima o poi.
Chissà che suono ha la sua risata divertita…

Eric si alza di scatto dalla panca e si china verso di me.
I suoi occhi luccicano quando incontrano i miei. – Fra poco cominceranno le simulazioni – dice, in tono mellifluo. – Tieniti stretto il tuo sarcasmo, piccola. Ne avrai bisogno -.

Si allontana prima che possa trovare la voce per replicare.

Avevo ragione, credo proprio di essermi presa una cotta per lui.
Bocca secca, mani sudate, imbarazzo dovuto alla sua vicinanza… i sintomi ci sono tutti.
Alzo gli occhi al cielo. Sono una causa persa.

Continuo a fissare il profilo delle sue spalle muscolose, mentre lui si dirige verso il tavolo dei Capifazione.
Max lo saluta con un cenno mentre prende posto al suo fianco, poi il suo sguardo scivola attraverso la mensa, giungendo fino a me.

È forse una scintilla di rispetto quella che vedo riflessa nei suoi occhi scuri?
China appena il capo nella mia direzione ed io capisco che mi sta inviando un muto ringraziamento per essermi presa cura di Ted.
Gli rispondo con un sorriso timido, prima di riportare l’attenzione sulla mia colazione.

Sbatto le palpebre per la sorpresa, quando un braccio tatuato entra nel mio campo visivo.
Xavier prende il muffin dal vassoio che Eric ha abbandonato sul tavolo e gli dà un morso feroce. – Buongiorno, dolcezza – esclama, mentre si accomoda al mio fianco.
I suoi capelli chiari sono più spettinati del solito.

- Ti sei alzato presto – replico, scrutandolo da vicino. – Sei sicuro di sentirti bene? -.

Lui diventa serio tutto d’un tratto. – In effetti no – risponde, in tono cupo. – Il solo sapere che fra poco vedrò mai madre basta a mettermi in agitazione -.

La mia voce si addolcisce dopo quell’affermazione. – Posso chiederti perché? -.

Xavier fa un sospiro. – Tu puoi chiedermi tutto quello che vuoi, Zelda – dichiara, come se stesse confessando una debolezza imbarazzante.
Ruba un biscotto dal mio vassoio, lo lancia in aria e poi lo riprende al volo con i denti. – Il fatto è che mia madre si aspetta di vedere Felix e me nei primi posti della classifica. Non so come potrebbe reagire una volta scoperto che non siamo riusciti nemmeno ad entrare tra i primi cinque -.

Gli sistemo alcune ciocche bionde con le dita. – Siamo solo alla prima fase dell’iniziazione – dico, corrugando le sopracciglia. – Vi rifarete, siete in gamba -.

Xavier scuote la testa. – Non conosci mia madre. Lei vuole solo il meglio, si sentirebbe umiliata se i suoi figli non fossero all’altezza delle sue aspettative -.

- Beh – ribatto, con un sorrisetto furbo. – Puoi sempre presentarmela. Se la conversazione dovesse prendere una brutta piega, farò del mio meglio per distrarla da voi e dalla classifica -.

Lui soppesa le mie parole, poi mi getta le braccia al collo. – Zelda, sei la migliore – esclama, stringendomi in una presa soffocante. – Ti bacerei -.

Sento un colpo di tosse alle mie spalle. - Le vostre smancerie mi hanno fatto passare l’appetito – afferma Mel, con una smorfia, mentre fa il giro del tavolo per sedersi di fronte a noi.

Xavier mi lascia andare e si china con fare malizioso verso di lei. – Ah, sì? Pensa se l’avessi vista flirtare con Eric poco fa! -.

Mel si blocca con la tazza di caffè a mezz’aria e mi fissa a bocca spalancata.

Le mie guance scottano, credo siano diventate di un bel rosso acceso. – Ma che dici? – esclamo, fingendomi indignata. – Non stavamo affatto flirtando! -.

Xavier mi tocca lo zigomo con le nocche. – Allora perché sei arrossita? -.

Cerco di trovare una frase per replicare, ma Melanie mi precede. – Anche se fosse, non ci trovo nulla di male – dice, in tono rilassato. – Dopotutto, Eric ha un suo fascino -.

Annuisco senza rendermene conto. – Sì, è carino – ammetto a bassa voce.

Xavier guarda alternativamente Mel e me, scioccato. – Carino? Eric, carino?! – sbotta, prendendomi il visto tra le mani e guardandomi fisso negli occhi. – Ma si può sapere cos’ha che non va il tuo cervello?! -.

Credimi, me lo sto chiedendo anch’io.

- Tu sei carina, Mel è carina, io sono carino… -. Si blocca e fa finta di pensarci su. – A dire il vero, io sono molto più che carino, anzi sono un vero schianto e… -.

- Falla finita – lo interrompe Mel, con un gesto stizzito.

Lui le rivolge uno sguardo offeso, poi lancia un’occhiata verso il tavolo dei Capifazione.
Gli sfugge una smorfia. – A quanto pare, anche Eric pensa che tu sia carina – borbotta, infastidito. – Non la smette di fissarti -.







 
* * *



 

Eric





Non riesco a concentrarmi su quello che sta dicendo Max.

Da quando mi sono seduto accanto agli altri Capifazione, non ho prestato nemmeno un briciolo di attenzione ai loro discorsi.
I miei occhi sono rimasti puntati sul volto di Zelda per tutto il tempo.

L’ho osservata mentre scherzava con quell’interno – il più antipatico dei due gemelli -, sentendo la rabbia dentro di me salire a livelli epici.
Ho dovuto stringere il bordo del tavolo con entrambe le mani per impedirmi di schizzare verso quell’idiota come un toro inferocito.
Gli staccherei volentieri quei capelli tinti uno per uno, lentamente, con un paio di pinzette.

Oppure potrei rompergli entrambi gli arti superiori, così la pianterebbe di abbracciare Zelda in quel modo appassionato.
Dannazione, non è mica la sua ragazza!

Se è per questo, nemmeno la tua. E poi come fai a sapere che quei due non stanno insieme?

Quest’ultimo pensiero mi provoca un vuoto allo stomaco.

Mi concentro ad analizzare i loro movimenti.
Zelda sembra rilassata mentre gli parla, lo guarda negli occhi e non sembra imbarazzata a stargli così vicino.
Quando gli sfiora i capelli con le dita, digrigno i denti e la vena sulla mia tempia destra inizia a pulsare.

Pensa se si baciassero. Che faresti?

La mia coscienza la deve piantare di mettermi in testa certe idee!

Sono già abbastanza occupato a tenere a freno la mia furia, non mi occorrono altri motivi per voler togliere di mezzo quell’iniziato.
Stringo i pugni, fantasticando di schiacciarlo tra il pollice e l’indice come se non fosse altro che una piccola pulce fastidiosa.

Mentre lo sto fissando con astio, il ragazzetto mi lancia un’occhiata.
Da incuriosita, la sua espressione si fa infastidita, addirittura minacciosa.
Dice qualcosa a Zelda e lei abbassa lo sguardo sul tavolo, come se fosse a disagio.
Riesco a vedere chiaramente le sue guance colorarsi di un rosa intenso e batto le palpebre, confuso da quella reazione.

Cosa le ha detto quel tipo? Che la stavo osservando?

Beh, al diavolo. Io ho tutto il diritto di guardarla, se mi va.

Zelda sembra far di tutto per non incrociare i miei occhi.
Si alza dalla panca e mormora alcune parole ai suoi due amici, prima di incamminarsi verso la porta a passo spedito.

Mi sforzo di lasciarla perdere, ma resisto solo pochi minuti.

Mi invento una scusa e mi dirigo verso le cucine, dalle quali si può accedere all’uscita secondaria che sbuca direttamente al Pozzo.

Il mio inseguimento dura poco, localizzo la ragazza non appena metto piede nella grotta.
È poco distante dalla ringhiera dello strapiombo, accanto ad una coppia di Candidi che sta discutendo animatamente.
Le famiglie degli iniziati sono riunite in piccoli gruppi lungo tutto il perimetro del Pozzo, in attesa di incontrare i loro cari figli.

Muovo qualche passo in direzione di Zelda, ma mi blocco non appena noto la sua postura rigida.

Ha i muscoli delle braccia contratti come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro e, sebbene da qui io veda soltanto il profilo del suo volto, riesco a scorgervi un’espressione terrorizzata.

Ha lo sguardo puntato davanti a sé, non batte nemmeno le palpebre.

Cosa ha visto di così spaventoso?

D’un tratto, tre figure vestite di azzurro si staccano dalla folla e avanzano verso di lei.

Sono tre ragazzi, alti e slanciati.
Sotto la luce delle lampade, noto le sfumature quasi bluastre dei loro capelli corvini, pettinati all’indietro.

La somiglianza tra loro è evidente, non può trattarsi di una semplice coincidenza.

Sento la mia mascella contrarsi.

Quelli sono i Blackburn, i fratelli di Zelda.













- - - - - - - - - - -

Ciaooo ;) spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate ;)

Riuscite ad avvertire il cambiamento di Eric? Ormai non gli importa più un tubo di cosa le persone possono pensare di lui e della sua ossessione per Zelda ahahaha

Alla fine riuscirà a mettere da parte l’orgoglio e far luce sui propri sentimenti? Confidate in lui e in me ;)

Alla prossima,
Lizz

p.s. il titolo è un verso della canzone Change, dei Poets of the Fall ;)

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Capitolo 25
*** Beware ***








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Capitolo 24



 

Zelda




Sono paralizzata.
Fatico a respirare, mi sembra di avere una catena di ferro avvolta strettamente attorno al petto.

È un incubo. Deve esserlo. Non sta accadendo davvero. Qualcuno mi svegli.

Stringo i pugni contro i fianchi quando incontro gli sguardi dei miei tre fratelli, che si sono staccati dalla folla e si stanno dirigendo a passo tranquillo verso di me.

- Ehi, Zeldy! – fa Clark, spalancando le braccia come se volesse stringermi a sé.

Io indietreggio, un brivido di repulsione mi corre giù per la schiena. – Non provare a toccarmi – sibilo, rivolgendogli il mio miglior sguardo minaccioso.

Sembra funzionare.
Clark si blocca come se avesse sbattuto contro un vetro invisibile e mi fissa come se non mi riconoscesse.
Anche Damien, che rimane nelle retrovie, sgrana gli occhi.

A casa non mi sarei mai permessa di usare quel tono con loro. Ma ora le cose sono cambiate, non sono più la loro serva, il loro giocattolino.
Sto per diventare un’Intrepida e ho tutta l’intenzione di dimostrarglielo.

L’unico che non si mostra impressionato dalla mia audacia è Alfred.
Mi viene vicino e mi fa scorrere un dito sulla guancia. Mi ritraggo istintivamente, ma lui mi afferra un polso e me lo torce fino a farmi gemere.

I suoi occhi scuri luccicano, perfidi e divertiti. – Bene, bene – esordisce, squadrandomi da capo a piedi. – Hai messo su qualche muscolo dall’ultima volta che si siamo visti -. Scuote il capo come se stesse rimproverando una bambina dispettosa. – Ci hai giocato proprio un bello scherzetto, cara sorellina. Nostro padre è ancora profondamente scosso, nessuno di noi si aspettava questa tua Scelta -.

- Sì, immagino il vostro dispiacere – dico, cercando di non mostrare alcuna emozione.
La sua stretta mi sta facendo male, se continua così perderò la sensibilità delle dita. – Credevo di avervi fatto un favore. Non dicevate sempre di non volermi tra i piedi? -.

Alfred si china ancora di più verso di me.
È talmente alto che deve piegare la schiena per mettere i suoi occhi all’altezza dei miei. – Non fare la furba con me – mormora, a un soffio dal mio orecchio.
Il suo tono velenoso mi fa rizzare tutti i capelli in testa. – Hai una vaga idea di ciò che hai combinato? Vieni da una delle famiglie più ricche della città, che vanta più di tre generazioni di Eruditi e tu, stupida ragazzina, che fai? Decidi di mollarci così, di punto in bianco? -.

Le sue dita lunghe e fredde stritolano le ossa del mio polso fino a farmi lacrimare gli occhi. – Meriti una lezione. Questo è per la vergogna a cui ci hai sottoposti -.

Vedo il suo braccio libero scattare all’insù e chiudo le palpebre d’istinto.
Tuttavia, il colpo atteso non arriva.

Quando sento il gemito strozzato di Alfred mi azzardo a riaprire gli occhi.
Davanti a me è comparsa una figura possente che lo ha obbligato a lasciarmi andare.

Osservo la scena a bocca aperta.

Le dita di Eric sono strette attorno al collo di mio fratello: i muscoli del suo avambraccio tatuato guizzano mentre stringe la presa.
Gira appena la testa per guardarmi in faccia. – Tutto bene? – chiede, bruscamente.

Io mi limito ad annuire e mi massaggio il polso. Sulla pelle stanno cominciando ad apparire i segni delle cinque dita di Alfred. 

Eric lo lascia andare di scatto.
Mio fratello ha gli occhi fuori dalle orbite: si tocca la gola e inizia a tossire.
Fissa il Capofazione con la faccia paonazza. – E tu chi diavolo sei? – sbotta, fumando di rabbia.

Fossi in te terrei la bocca chiusa, fratellone, penso, vedendo i muscoli del collo di Eric tesi al massimo. Anzi no, continua a provocarlo. Spero proprio che perda le staffe e ti riduca in poltiglia.

Contrariamente alle mie aspettative, Alfred non sembra intimorito dall’occhiata di fuoco che Eric gli sta rivolgendo.
Ammetto di averlo sottovalutato. - Togliti di mezzo, buffone – gli intima, mentre stende le braccia avanti per dargli una spinta.

Eric non batte ciglio, ma so benissimo che non lascerà perdere quest’affronto.

Ora lo ammazza.

Più che spaventati, i miei pensieri sono speranzosi.
Mi sento come una bambina a cui è stato appena mostrato un pacco regalo grande e luccicante.

Prima che Alfred possa anche solo sfiorarlo, il Capofazione gli afferra il polso con una mossa fulminea e lo scaraventa a terra.
Dentro di me esulto, vorrei saltellare di gioia.

Eric gli punta un piede sul petto e lo guarda dall’alto con un sopracciglio inarcato. – Credo di non aver sentito bene – dice, in tono volutamente calmo e composto. – Hai detto qualcosa? -.

Finalmente vedo apparire una scintilla di panico negli occhi di Alfred.
Sembra un insetto finito per sbaglio nella tela di un grosso ragno, che si agita inutilmente per divincolarsi, anche se sa bene che non esistono vie di fuga.

Ha gli occhi spalancati e le pupille dilatate: fissa Eric come se lo stesse ipnotizzando e balbetta qualche parola sconnessa. – N-o…no…io… -.

Scuote la testa e alza le mani in segno di resa.

Eric lo squadra da capo a piedi con la sua ormai celebre occhiata azzardati-a-fiatare-e-sei-carne-morta, poi si sposta e lo lascia respirare.
Alfred ansima come se avesse corso a perdifiato per cinque chilometri e striscia all’indietro, fuori dalla portata del Capofazione.

Quest’ultimo si volta verso di me e mi rivolge un ghigno. – Di solito non sono ammesse risse nel Giorno delle Visite – afferma, con una vena ironica nella voce. – Ma se vuoi picchiarli, fa pure. Mi girerò dall’altra parte -.

Sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di baciarlo.

Gli faccio un ampio sorriso. – Mi stai dando campo libero? -.

- Ne hai tutto il diritto -. I suoi occhi grigi sono seri ora, non c’è più traccia di ironia.
Mi rendo conto all’improvviso che lui conosce i miei trascorsi con questi tre imbecilli meglio dei miei nuovi amici.

Faccio per ringraziarlo, ma un movimento mi distrae.
Alfred si è rialzato in piedi e sta per gettarsi su Eric con il pugno alzato.

No!

Il mio corpo si muove d’istinto, con velocità e precisione.
Spingo da parte il Capofazione e mi paro davanti a mio fratello. Aspetto che la sua mano chiusa sia a pochi centimetri dal mio volto, poi gli afferro il polso con una mossa repentina. Lui non se l’aspetta, perciò perde l’equilibrio e si sbilancia in avanti.

Lo colpisco allo stomaco con una ginocchiata e Alfred cade a terra per la seconda volta nel giro di pochi minuti.
Mugugna dal dolore e si raggomitola su se stesso.

Non provo né pietà, né compassione.
Può colpire me, urlarmi addosso, ma non gli permetto di alzare le mani su Eric, né su nessun altro.

Mi inginocchio al suo fianco e gli prendo una ciocca di capelli. Tiro finché non alza la testa e mi guarda negli occhi. - Vigliacco – sibilo, quasi sputandogli la parola in faccia. – Lo vedi quello? – chiedo, facendolo voltare verso lo strapiombo.

Alfred osserva il buio che regna al di là della ringhiera con gli occhi sbarrati, il suo pomo d’Adamo va su e giù. - Sei fortunato che io abbia un cuore, altrimenti ti avrei già gettato nel torrente. E senza un briciolo di rimorso -.

Lo mollo e mi rivolgo a Clark e Damien, che sono rimasti immobili a guardarci.
Nel Pozzo non si sente alcun rumore, gli occhi della folla sono tutti puntati sulla scena.

- Non siete i benvenuti qui – dichiaro, puntando l’indice verso l’uscita. – Andatevene! -.

Clark porge una mano ad Alfred e lo rimette in piedi a fatica. – D’accordo, d’accordo. Ce ne andiamo – farfuglia, indietreggiando lentamente come se si trovasse al cospetto di una pantera arrabbiata con i denti scoperti.

Continuano a lanciarmi occhiate intimorite finché non varcano la soglia del tunnel, poi le loro figure slanciate scompaiono nell’oscurità.

Punto i miei occhi socchiusi su Damien, che non si è mosso di un millimetro. – Quale parte della frase ‘non siete i benvenuti qui’ non ti è chiara? – ringhio, muovendo un passo in avanti.

Ora sono esattamente a un palmo di distanza da lui, che mi guarda intensamente con i suoi occhi verde scuro.
È l’unico ad averli ereditati da mia madre.

- Zelda, io … - comincia, ma si interrompe e scuote la testa.
I suoi tratti spigolosi si ammorbidiscono e sulla sua fronte appare una piccola ruga.

Prima che possa ribattere con una battuta pungente, Damien si china su di me e mi cinge con le braccia. Trattengo il fiato e mi irrigidisco.

- Volevo solo chiederti scusa. Per tutto – sussurra, con le labbra contro il mio orecchio. Il suo tono è incerto e spezzato.
Sento le sue dita stringersi convulsamente alla mia maglietta. – E voglio anche complimentarmi per la tua Scelta. Scommetto che qui non troverai nessuno coraggioso come te, sei sempre stata la più forte di tutta la famiglia -.

Le sue parole mi confondono.
Mi sembra di tornare indietro nel tempo, a quando io e lui eravamo soltanto due bambini spensierati che si divertivano a giocare assieme.
Nonostante tutto, gli voglio bene. Più che a tutti gli altri componenti della famiglia messi insieme.

Lo abbraccio goffamente. – Grazie, Damien -.

- Non ringraziarmi, sorellina. Non me lo merito – bisbiglia lui a bassa voce. – Sono stato insensibile, un vero imbecille. Avrei dovuto proteggerti, avrei dovuto … -.

Mi stacco e lo guardo dritto in faccia. – So difendermi da sola, Damien -.
Scandisco bene le parole, accompagnandole da un gesto eloquente in direzione dell’uscita.

Lui fa un sorriso storto e annuisce. – L’ho notato -.

Sbaglio, o ha gli occhi lucidi?

Si schiarisce la voce e cerca di riprendere un contegno. – So che non ho il diritto di chiedertelo, puoi anche mandarmi al diavolo se vuoi – continua, passandosi nervosamente una mano nei capelli. – Ma vorrei parlarti. In privato -.
Si interrompe e lancia un’occhiata ad Eric, che è rimasto a fissarci con le braccia conserte e un cipiglio non proprio benevolo sul volto.

Damien dimostra di avere molto più buonsenso di Alfred, non lo guarda direttamente negli occhi. – Sempre che al tuo…ehm…ragazzo vada bene -.

Arrossisco. – No, lui non è … -.

- Potete andare al poligono. Lì nessuno vi disturberà – si intromette Eric, fulminando mio fratello con le sue micidiali iridi d’acciaio. – Zelda ha una buona mira, non ti conviene provocarla. Vi concedo dieci minuti -.

Sbatto le palpebre, perplessa.
Quello che mi sta davanti non può essere il vero Eric. È così…accomodante.
E non ha corretto Damien quando lo ha chiamato ‘mio ragazzo’!

- Io…grazie, Eric – balbetto, mentre prendo mio fratello per un braccio e lo trascino verso l’altro lato del Pozzo.

La gente si fa da parte al nostro passaggio, guardandoci ad occhi spalancati.
Non so quale sia la mia espressione, ma di certo rispecchia il loro stesso sconcerto.

Damien non apre bocca finché non chiudo la porta del poligono.
Si siede sopra al tavolo con un balzo e fa un profondo respiro. Io mi accomodo su una delle sedie addossate alla parete, osservandolo attentamente.

Non ho proprio nessuna idea di cosa voglia parlarmi.
Cosa può esserci di così importante e urgente? E perché non poteva dirmelo davanti ad Eric?

- Volevo venire da solo a trovarti, ma quei due hanno insistito – borbotta, in tono contrariato. – Sapevo che sarebbe finita in questo modo, Alfred ce l’ha a morte con te. Continuava a ripetere che sei solo un’ingrata, la vergogna della famiglia e bla bla bla -.

Damien fa una smorfia disgustata prima di continuare. – Hai fatto bene ad andartene. Non so proprio come hai fatto a sopportare quegli idioti per tutti questi anni senza ribellarti -.

- Tu eri uno di loro, Damien – replico in tono gelido. – Non hai mai mosso un dito per aiutarmi. E sai bene che con Alfred non si scherza. Come avrei potuto ribellarmi? -.

Lui mi rivolge uno sguardo contrito. – Mi dispiace, Zelda – mormora di nuovo, stringendo il bordo del tavolo con entrambe le mani.
Le sue nocche diventano livide. – Io…non avrei dovuto assecondarli. Ti abbiamo trattata in modo crudele e tu non lo meritavi -.

- Non mi servono le tue scuse – dico, incrociando le braccia al petto. – Non potrò mai perdonarti per avermi lasciata in balìa di quei mostri. Eri l’unico di cui mi importava, l’unico a cui ero affezionata. E mi hai abbandonata -.

La ruga sulla fronte di Damien si accentua. – Lo so – risponde. – Ho preferito la mia sicurezza alla tua. Sono un vigliacco, proprio come Alfred. Un vigliacco egoista -.

Il suo commento amaro mi spiazza. – Cosa vuoi dire? Non capisco -.

Lui si alza dal tavolo e si guarda attorno con attenzione.
Si avvicina a me e mi posa le mani sulle spalle. – Sono dovuto fuggire da casa nostra – bisbiglia senza quasi muovere le labbra. – Nostro padre stava collaborando con i Capifazione degli Eruditi e non potevo permettere che mi scoprisse -.

Penso di avere un grande punto interrogativo dipinto in faccia.
Di che accidenti sta parlando? Nostro padre stravedeva per lui, aveva i voti più alti di tutta la scuola.

Le iridi color giada di Damien si fissano nelle mie.
Riesco a scorgervi determinazione, vergogna, ma soprattutto paura, molta paura.

– Cosa ti è successo? – mi azzardo a chiedere, visto che lui non si decide a spiegarsi.

Lui si china verso di me come ha fatto al Pozzo poco fa. Sembra allo stesso tempo stanco e rassegnato. – So che di te posso fidarmi, ma devi promettere di non dirlo a nessuno. Per nessun motivo –.

Annuisco, ancora confusa dalla piega presa dal discorso.

Damien sospira e fa un sorriso tirato. – Io sono un Divergente, Zelda -.











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Ciaooo a tutti ;) in questo periodo non ho molto tempo per scrivere, perciò non fatevi prendere dal panico se non posto velocemente: la storia non finirà tanto presto ;)

Spero che il nuovo capitolo vi piaccia: le cose si stanno facendo più complicate del previsto, ma tutto ha uno scopo preciso!

Fatemi sapere che ne pensate ;) (quanto sono dolci Eric e Zelda che si difendono a vicenda?)

Alla prossima,
Lizz

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Capitolo 26
*** At the point of no return ***






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Capitolo 25




 

Eric




Impreco a bassa voce.

Sto passeggiando su e giù lungo il corridoio che porta al poligono da quasi dieci minuti.
Fisso la spessa porta d’acciaio e digrigno i denti.

Eric, sei un fottuto imbecille!

Mi passo una mano sul volto. Non avrei dovuto reagire in quel modo, ma proprio non sono riuscito a trattenermi.

Io che difendo un’iniziata? Questa giornata passerà alla storia.
Per fortuna che al Pozzo c’erano soltanto le famiglie dei trasfazione.

Tiro un calcio alla parete di roccia. Quei maledetti Blackburn!

Ho dovuto far ricorso ad ogni singola goccia di autocontrollo per non prendere Alfred per il colletto di quella sua impeccabile camicia inamidata e gettarlo nello strapiombo.

Come hanno osato presentarsi qui?
E mettere di nuovo le mani addosso a Zelda? Inconcepibile.

E adesso la ragazza è lì dentro, assieme a uno di quegli idioti.
Cosa avrà mai da dirle? E perché lei ha accettato di parlargli?
Dopo tutto quello che le hanno fatto passare, dovrebbe aver voglia di tirargli addosso dei coltelli affilati, non di farci quattro chiacchiere.

Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo.  

Devo smetterla di pensare e ritrovare la calma.
Subito.

Ho già dato prova della mia impulsività, non ho certo intenzione di rendermi ridicolo di nuovo.
Prendere a testate la porta del poligono è l’unica cosa che vorrei fare in questo momento, ma non è un’opzione praticabile.

La mia testa potrebbe scoppiare da un secondo all’altro. Sia per l’irritazione che per la confusione.

Perché mi hai difeso, Zelda?

Quando le ho dato il via libera per scatenare le sue doti di combattente contro il trio di imbecilli, i suoi occhi ambrati si sono illuminati e mi ha sorriso.
Era solo la seconda volta che vedevo quel sorriso diretto a me: spontaneo, radioso, senza ironia né disprezzo.

Sono rimasto talmente meravigliato da non accorgermi dell’assalto di Alfred.
Se Zelda non mi avesse spinto via, probabilmente quell’idiota sarebbe riuscito nel suo intento.

Per la prima volta nella mia vita qualcuno ha preso le mie difese.
E non una persona qualunque, ma un’iniziata trasfazione.
La mia iniziata trasfazione barra ossessione barra mistero da risolvere.  

Almeno il mio allenamento personale non è stato del tutto inutile.

Sento le labbra tendersi in un accenno di sorriso. In realtà, questo l’ho pensato dopo.

Mentre la guardavo, riuscivo solo a pensare a quanto fosse bella e a quanto mi sentissi lusingato dal suo gesto.
Ha messo al tappeto suo fratello per proteggermi. Per proteggere me!

È anche per questo che non ho corretto l’altro Blackburn quando ha insinuato che io fossi il suo ragazzo.
Così ci penserà bene prima di seguire l’esempio di Alfred, ovvero cercare di farle del male.
Giuro che se vedo anche solo un graffio sul viso di Zelda, quel giovane ha le ore contate.

Ma sentilo. Stai viaggiando un po’ troppo con la fantasia, mio caro Eric. Ora ti credi veramente il suo ragazzo?

Che gioia, la mia coscienza è tornata a farsi sentire. Come accade sempre nei momenti meno opportuni, quando ho solo bisogno di ragionare con logica e razionalità.
Però ha ragione, avrei dovuto mettere in chiaro le cose da subito. Appena Zelda uscirà da quella stanza comincerà a tempestarmi di domande imbarazzanti.
Ormai la conosco troppo bene, lei e la sua curiosità saranno la mia rovina.

Non ho mai avuto difficoltà a mentire e sono un campione nel mettere a tacere le persone che mi infastidiscono.
Il problema è che, quando gli occhi di quella dannata ragazza si posano nei miei, sento il cervello svuotarsi completamente e dimentico all’istante chi sono e quali sono i miei doveri.

Dall’inflessibile Capofazione quale sono, mi trasformo in un rimbambito che ha solo voglia di sorridere come un idiota e che farebbe qualsiasi cosa per lei, anche esporsi ad una pubblica umiliazione.

Riprendi una parvenza di dignità, Eric.

Non mi lascerò confondere dal suo sguardo, mi comporterò normalmente.
Meglio se tengo gli occhi puntati su quel Blackburn e …

Un movimento mi fa scattare e perdo il filo dei miei ragionamenti.
Volto appena la testa e mi ritrovo di fronte la Pacifica, l’amica di Zelda, che mi fissa ad occhi sbarrati.

- Tu che ci fai qui? – chiedo, in tono volutamente minaccioso.
Lei non è come l’altra trasfazione, ha davvero paura di me e la cosa mi diverte.

Mi guarda come se avessi il potere di ridurla in cenere con un semplice gesto della mano. – Sono venuta a cercare Zelda – spiega, tenendo gli occhi bassi. – Al Pozzo ho sentito cosa è successo e volevo assicurarmi che stesse bene -.

È la frase più lunga che le abbia mai sentito pronunciare e l’ha detta senza nemmeno balbettare.

La ragazzina fa progressi.

Non posso fare a meno di provare un briciolo di rispetto nei suoi confronti.
Abbandono il cipiglio cupo e indico la porta con il pollice. – E’ lì dentro con suo fratello. Ho concesso loro dieci minuti – dico, mentre torno ad appoggiarmi con la schiena alla parete. – Il tempo è quasi scaduto -.








 
* * *





 

Zelda





Gli occhi di smeraldo di Damien sono a un centimetro dai miei.
Sembrano volermi trasmettere un messaggio, ma il mio cervello sta ancora elaborando la frase che si è appena lasciato sfuggire.

Divergente. Lui è un Divergente.

E con questo? Che vuol dire? È forse un nome in codice?

Rimango a fissarlo, inespressiva. – Non ho idea di cosa tu stia dicendo – sbotto, aggrottando le sopracciglia. – Spiegati meglio -.

Lui fa un lungo sospiro, poi torna a sedersi sul tavolo. – Non ho tempo per rivelarti i dettagli – risponde, inchiodandomi con lo sguardo. – Ti dirò quello che so a grandi linee. L’unica cosa che conta è che non dovrai mai ripetere quella parola, né ai tuoi nuovi amici né al tuo ragazzo -.

Sbuffo sonoramente. – Quello non è il mio ragazzo -.

Damien alza un sopracciglio con aria divertita. – E lui lo sa? –.

Sto per ribattere, ma un suo gesto mi blocca. – Non ho molto tempo – dice, grattandosi il mento. – I dieci minuti sono quasi terminati e non ho nessuna voglia di ricevere lo stesso trattamento di Alfred. Ti sei scelta proprio un bel tipo, eh? -.

- Una volta per tutte, quello non è … -.

- Ho visto come ti guarda – taglia corto mio fratello.
Ha il tipico ghigno di chi la sa lunga, mi irrita parecchio. – Lo hai difeso da Alfred, quindi significa che ci tieni a lui. Mi sbaglio? -.

Vorrei negare, ma le mie guance bollenti mi smascherano.
Distolgo lo sguardo da Damien e faccio un rigido cenno col capo.

- Non ti preoccupare, sorellina – replica lui, in tono più dolce. – Anche lui è interessato a te -.

- Certo – borbotto io, alzando gli occhi al cielo. – Eric è un Capofazione e, come se non bastasse, odia le persone, noi iniziati in particolare. Non mi guarderebbe nemmeno se fossi alta, bionda e ricoperta di tatuaggi -.

Damien fa un fischio. – Un Capofazione, eh? Beh, devi piacergli molto, visto che si è gettato su Alfred come una belva inferocita. Per un momento ho creduto che gli avrebbe staccato la testa a morsi -.

Mi stringo nelle spalle. – Io non mi sarei lamentata – dico, affilando lo sguardo. - Ma perché stiamo parlando di Eric? Sto ancora aspettando una spiegazione -.

Vedo chiaramente la reticenza di Damien. Intreccia e scioglie le dita, si sistema il colletto della camicia, fa di tutto pur di non guardare verso di me.
Credo di non averlo mai visto così pallido.

Aspetto che dica qualcosa, ma rimane in silenzio per un minuto buono e alla fine perdo la pazienza. - Senti, non sei obbligato a parlarmene – aggiungo, alzandomi dalla sedia e dirigendomi verso la porta.

Mi afferra il polso mentre gli passo davanti: la sua presa è morbida, gentile, tutto il contrario di quella di Alfred.

- Essere un Divergente significa che la mia volontà, le mie emozioni e percezioni non possono essere controllate. I sieri su di me non hanno nessun effetto – dichiara, in tono neutro, come se stesse recitando a memoria una poesia.

- I sieri? Intendi quel liquido che ci hanno iniettato prima del test attitudinale? -.

Damien annuisce. – Ogni fazione ne ha uno, le tipologie variano. Fra poco tu sperimenterai quello degli Intrepidi -.

- E tu come fai a sapere di essere immune? -.

- Perché il mio test è risultato inconcludente, Zelda – replica lui, massaggiandosi la fronte come se avesse un gran mal di testa. – Ho scelto di rimanere negli Eruditi per non attirare l’attenzione. I Capifazione stanno dando la caccia ai Divergenti e dubito che abbiano buone intenzioni. Nella migliore delle ipotesi, vorranno fare esperimenti su di noi, ma io non ho nessuna intenzione di essere trattato come una cavia da laboratorio -.

Rabbrividisco leggermente. – E chi lo vorrebbe? -. Tolgo la sua mano dal mio polso e gliela stringo. – Ancora non capisco perché mi stai dicendo tutto questo -.

Damien arrotola una ciocca dei miei capelli tra le dita. – Ho sentito delle voci al quartiere generale. Alcuni scienziati stavano parlando delle nuove simulazioni degli Intrepidi e uno si è lasciato sfuggire che i tuoi Capifazione -, fa una pausa e indica la porta con un cenno del capo, - stanno collaborando con i nostri per riuscire a scovare quanti più Divergenti possibili. Volevo solo metterti in guardia -.

Sbuffo. – Damien, se sei qui per sapere se anche io sono una Divergente, ti risparmio la fatica -.
Lo guardo negli occhi con la massima serietà. – La risposta è no, non lo sono. Il risultato del mio test era chiaro come il sole: Erudita -.

Lui percepisce la sincerità delle mie parole e fa una smorfia di delusione. – Ah. Credevo…va bene, non importa. –.
È evidente che si aspettava una conferma alle sue supposizioni. – Fa comunque attenzione agli altri iniziati: ho sentito che anche quest’anno ci sono stati alcuni test senza risultati certi. Se scopri qualcosa di strano, non esitare a chiamarmi -.

Mette una mano nella tasca interna della camicia e mi porge una catenina dorata, alla quale è legato un piccolo medaglione color rame, decorato con sottili disegni di rampicanti. Lo riconosco all’istante. – Dove l’hai trovato? – esclamo, mentre Damien chiude il gancetto dietro al mio collo. – Papà l’aveva gettato via! -.

- Ti sbagli – mi contraddice lui, gentilmente. – L’ho preso io dal cofanetto di mamma prima che nostro padre si impossessasse di tutti i suoi gioielli. E l’ho leggermente modificato -.

Riesco ad avvertire chiaramente una nota di orgoglio nella sua voce.
Fa scattare il ciondolo e mi mostra l’interno. – Funziona come una trasmittente, io ne ho uno uguale. Se premi questo pulsante, capirò che desideri parlarmi e cercherò di trovare un modo per incontrarti -.

Lo fisso con un’espressione scettica e lui risponde con un sorrisetto furbo. – Fidati, sorellina. So essere molto persuasivo se mi impegno -.
Dà un’occhiata all’orologio e sussulta. – Strano che il tuo ragazzo non ci abbia ancora … -.

Non riesce nemmeno a terminare la frase, perché Eric sceglie proprio quel momento per far irruzione nel poligono.
Le sue iridi grigie mandano lampi. – Tempo scaduto. Fuori! – tuona, in direzione di mio fratello.

Damien ed io gli passiamo davanti senza fiatare e sbuchiamo nel corridoio poco illuminato.
Mi accorgo subito che un’altra persona ci sta aspettando.
Leslie si stacca dalla parete e fa un passo verso di me, circondandomi con le braccia. – Stai bene? – sussurra, guardandomi fisso negli occhi. Mi sistema i capelli ed esamina il mio viso con cipiglio critico.

Annuisco e le sorriso. – Niente di grave. Una normale rissa tra fratelli – rispondo, stringendomi nelle spalle.
Mi scosto per indicarle Damien con un cenno. – Lui è Damien. Damien, ti presento la mia amica Leslie -.

Mio fratello non apre bocca, si limita a fissare Leslie ad occhi spalancati.
Noto un leggero rossore sulle sue guance e rimango sbalordita.

Non ci posso credere. Per la prima volta in vent’anni, Damien è attratto da una ragazza!

Gli tiro una gomitata non proprio delicata e lui sobbalza.
Sbatte le palpebre due o tre volte, come se non credesse ai propri occhi e poi si schiarisce la voce con un colpo di tosse. – Piacere di conoscerti, Leslie – dice, porgendole la mano.

Lei non proferisce parola, ma ricambia la stretta.
Guarda mio fratello come se non avesse mai visto un ragazzo in vita sua ed io alzo gli occhi al cielo.

Non c’è che dire, un vero e proprio colpo di fulmine.

Dopo qualche secondo, Damien si riscuote e si gira verso di me.
Mi guarda come se si fosse completamente dimenticato della mia presenza ed io trattengo una risata. – Beh, allora… arrivederci, Pulce – mormora, mentre mi abbraccia.

Quel soprannome mi fa sorridere. Lui e Travis mi chiamavano sempre così quando eravamo bambini ed io non perdevo l’occasione per fargliela pagare. – Abbi cura di te, Damien – gli sussurro, prima di scoccargli un sonoro bacio sulla guancia.

La mia piccola vendetta.

Lo faccio perché so che le dimostrazioni pubbliche di affetto lo mettono in imbarazzo e infatti lui mi guarda con aria torva.

Scuote la testa, poi lancia un’occhiata ad Eric, che è rimasto in silenzio, al mio fianco, per tutto il tempo.
L’espressione di Damien si indurisce mentre lui e il Capofazione si squadrano a vicenda.

Oh, no.

Adesso è venuto il momento del discorso ‘tratta bene mia sorella, altrimenti ti spacco la faccia’.
Vorrei diventare invisibile. Eric non è il mio ragazzo, accidenti! Cosa devo fare per farglielo capire? Scrivermelo in fronte?

Ma Damien ha in serbo l’ennesima sorpresa.
Fa un sorriso mesto e si rivolge al Capofazione guardandolo dritto in faccia. – Ragazze speciali come mia sorella non si trovano tutti i giorni – afferma, senza la minima traccia di sarcasmo. – Vedi di non dimenticarlo -.

Eric rimane perplesso e non replica. I nostri occhi si incrociano ed io alzo le spalle per togliermi dall’imbarazzo.

Damien mi fa l’occhiolino, poi offre il braccio a Leslie come un autentico gentiluomo. – Ti va di accompagnarmi a fare un giro? – le chiede, mentre sfoggia uno dei suoi sorrisi più abbaglianti.

Mio fratello non mi è mai sembrato così attraente come in questo momento.
Ovviamente sta cercando di fare colpo su Leslie, sfoderando tutto il proprio fascino.

Una fatica inutile, visto che l’ha già conquistata alla prima occhiata.
I due si allontanano lungo il corridoio, lasciandomi sola con Eric.

Faccio di tutto per non guardarlo in viso.
Le parole di Damien sembrano fluttuare attorno a noi come un eco senza fine: se adesso incrociassi le sue iridi d’acciaio, diventerei di un bel rosso acceso.

Sento i suoi occhi su di me, ma tengo lo sguardo saldamente puntato a terra.
Vorrei domandargli per quale motivo non ha corretto Damien prima - di certo mi avrebbe risparmiato tutto questo imbarazzo -, ma aspetto che sia lui a parlare per primo.

Quando lo fa, il mio cuore perde un battito. – Non ti ha fatto del male, vero? – chiede, in tono sorprendentemente gentile.

Alzo la testa di scatto e per un attimo mi perdo nelle profondità grigie dei suoi occhi.
Possibile che si stia davvero preoccupando per me?

Scuoto la testa. - No, abbiamo solo parlato –.

- Meglio così –.

Rimaniamo a fissarci per un minuto buono, nessuno dei due apre bocca.
Mi sembra di star combattendo una lotta silenziosa, fatta di sguardi e sottintesi.

Sto per defilarmi lungo il corridoio, quando Eric alza una mano e si sporge verso di me.
Afferra una ciocca dei miei capelli che era sfuggita alla coda e la rigira piano tra le dita.

Lo sguardo che mi rivolge pare indeciso e stranamente… vulnerabile. – Zelda, io… -.

Trattengo il respiro. Sento il cuore in gola e fatico a deglutire.

Eric lascia la frase in sospeso e si tira indietro bruscamente, come se si fosse reso conto solo in quell’istante di quanto fossimo vicini.

I suoi occhi ora sono più cupi, il muro che ho cercato di abbattere una volta è tornato e non mi permette di vedere cosa si nasconde al di là della sua espressione di pietra.

Il Capofazione aggrotta le sopracciglia e guarda la propria mano come se non gli appartenesse.
Mi lancia una lunga occhiata, poi gira i tacchi e sparisce in fretta nel buio del corridoio.

Rimango immobile per un tempo indefinito, cercando di tornare a respirare normalmente e di calmare le pulsazioni del mio cuore impazzito.

Faccio una solenne promessa a me stessa.
Un giorno prenderò coraggio e metterò Eric con le spalle al muro.
Lo tempesterò di domande finché tutti i dubbi che il suo comportamento bizzarro mi ha messo in testa non verranno chiariti.

Ma non è questo il giorno.

Sospiro e mi dirigo a passo malfermo in direzione del Pozzo.
Adocchio le rampe di scale di roccia e alzo un sopracciglio quando mi accorgo che, parecchi piani più su, Mel mi sta invitando a raggiungerla.
Accanto alla tendina di perline che separa il suo negozio dal resto dei magazzini, Tori mi saluta con la mano.  

Perché no?

Ho proprio voglia di farmi fare un altro tatuaggio.











 
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Ciaooo gente ;) eccovi il nuovo capitolo, fatemi sapere che ne pensate!

Manca pochissimo al crollo delle barriere del nostro Capofazione, non perdetevelo ;)
alcuni dei prossimi capitoli, quelli più importanti per la trama della storia, saranno narrati (totalmente) prima da Zelda e poi da Eric. Li dividerò in due parti e deciderete voi quale punto di vista preferite (o anche entrambi se volete) ;)


A presto,
Lizz
p.s. la frase 'Ma non è questo il giorno', è un chiaro tributo al 'Signore degli Anelli' ahaha ;)

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Capitolo 27
*** Under your spell ***






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Capitolo 26




 

Zelda





Tori mi fascia entrambi gli avambracci con attenzione e scrupolosità.

La spessa benda bianca nasconde la pelle arrossata e i nuovi marchi neri che la ornano. – Puoi toglierla stasera. La pomata agisce in fretta – dice, mentre fissa la garza con un pezzo di nastro adesivo anch’esso candido.

Non appena finisce la sua opera, sgranchisco i muscoli e le dita delle mani. Mi sento decisamente meglio della prima volta che sono entrata nel suo negozio: leggermente indolenzita, ma contenta come una bambina nel giorno del suo compleanno.

Mel è rimasta tutto il tempo al mio fianco, seduta su una poltroncina girevole.
Ha voluto sapere per filo e per segno cosa è successo al Pozzo con i miei fratelli, non mi ha dato tregua finché non ho esposto i fatti nei minimi dettagli.
Alla fine del racconto ha lanciato un piccolo fischio, le sopracciglia inarcate in un’espressione di esasperata incredulità. – Caspita. Voi Blackburn non passate di certo inosservati! – esclama, schioccando le dita. Si china verso di me, ho i suoi occhi ad un millimetro dai miei. – Ed Eric ti ha salvata? Che cosa dolce -.

Non riesco a trattenermi, rido di cuore. – Se ti sentisse, ti scuoierebbe viva – rispondo, sistemandomi la maglietta mentre mi alzo dal divanetto di pelle sul quale ero distesa.

- Prima dovrebbe prendermi – replica lei, facendomi l’occhiolino. – Secondo me gli piaci -.

- Cosa te lo fa pensare? – chiedo, fingendo indifferenza.
Pago il tatuaggio con uno di quei gettoni che ci hanno consegnato pochi giorni fa, una specie di buoni da spendere nei negozi del Pozzo a nostro piacimento. Saluto Tori con un sorriso, poi esco nel corridoio semi deserto.

Mel mi sta alle costole, non ha nessuna intenzione di lasciar cadere il discorso. – Beh, vediamo -. Fa finta di pensarci su, poi comincia a contare sulle dita. – Primo, ti ha aiutata durante l’allenamento. Secondo, ti ha portata in braccio. Non una, ma ben due volte! Terzo, stava flirtando con te in mensa. Quarto, stamattina ti ha difesa e … -.

La zittisco con un gesto della mano, prima che qualcuno la senta. – D’accordo, ho capito – sbotto, alzando gli occhi al cielo. – Mi stai facendo pentire di essermi confidata con te -.

Lei fa un sospiro tragico. – Zelda, sto solo cercando di aiutarti -. Mi passa un braccio attorno alle spalle mentre camminiamo e abbassa la voce per farsi udire solo da me. – Non possono essere tutte coincidenze. È evidente che -, mima con le labbra il nome di Eric, - è interessato a te. Non vedo dove sia il problema -.

- Il problema –, affermo, sussurrando a mia volta, - sta proprio qui. Cosa dovrei fare, secondo te? Bussare alla sua porta e dirgli ‘ehi, credevo di odiarti, ma adesso ho scoperto che mi piaci. Tu cosa provi per me?’ -. Al solo immaginare la scena, scoppio a ridere. – E’ assurdo. Non so neanche perché ne stiamo parlando -.

Mel rotea gli occhi, spazientita. – Questo atteggiamento non ci porterà da nessuna parte -. Scuote la testa. – Siete entrambi testardi e orgogliosi. Se si aggiunge che Eric è un Capofazione, allora rimarremo in questa situazione di stallo fino all’anno prossimo -.

Alza l’indice e me lo sventola davanti al volto. – Devi sapere che gli uomini fanno solo finta di essere coraggiosi. Non lo ammetterebbero mai, ma hanno una paura folle di noi donne. Non importa quanto siano innamorati, non faranno mai il primo passo, credi a me – mi ammonisce, in tono sbrigativo e saccente.

- Quindi dovrei farlo io? – chiedo, alzando un sopracciglio.

- Ovviamente -.

- Sii seria, Mel! -.

Lei mi scruta a lungo in silenzio.
Proprio quando sto per tirare un respiro di sollievo, mi prende per il braccio e mi trascina in una nicchia del muro di roccia. Si piazza di fronte a me, le mani sulle mie spalle. – Lui ti piace? – sibila, inchiodandomi con lo sguardo.

Rimango un attimo interdetta davanti a quella veemenza, poi annuisco mio malgrado.

- Quanto ti piace? -.

- Troppo – borbotto, distogliendo gli occhi dai suoi.

Credo sia la prima volta che qualcuno mi costringe ad esprimere i miei sentimenti ad alta voce. Devo ammettere che è liberatorio, mi sento come se mi fossi tolta un peso opprimente dal petto.

Adesso non posso più fingere, dopo questa confessione non si torna indietro. – Credo di essere innamorata di lui. Oh, Mel, che posso fare? -. La voce mi si spezza sull’ultima parola, ho la gola serrata in una morsa.

Lo sguardo di Melanie si fa più dolce. Mi abbraccia con calore. – Non ti preoccupare, troveremo un modo per farlo cadere ai tuoi piedi -. I suoi occhi si illuminano all’improvviso ed io capisco che ha già un piano in mente. – Ti ricordi la festa di cui ti parlavo prima? -.

Annuisco e lei comincia a sparare frasi a raffica. Devo concentrarmi per starle dietro. – Grandioso! Il vestito ce l’hai già, dobbiamo solo pensare agli altri particolari. Accessori, trucco…come ti acconcerai i capelli? Non importa, ci penserò io. Vedrai, Zelda, non riuscirà a toglierti gli occhi di dosso neppure per un istante! -.

D’accordo, ora ho veramente paura.
Le idee di Mel mi fanno lo stesso effetto di un volo da cento metri d’altezza senza protezione.

Reprimo un brivido e cerco di parlare in tono neutro. – Così è questo che dovrei fare per attirare la sua attenzione? Vestirmi in modo volgare e magari strusciarmi su di lui come fa quella Josie? -. Socchiudo le palpebre e le rivolgo un’occhiataccia. – Scordatelo. Non mi renderò ridicola solo per fare colpo su un ragazzo. Se veramente gli piaccio, dovrà accettarmi così come sono -.

Mel alza gli occhi al cielo. – Quanto sei suscettibile, perfino peggio di un’Abnegante. Non ti ho mica chiesto di spogliarti davanti a tutti! – esclama, e le sue labbra rosso fuoco disegnano un ghigno furbo. – Devi solo fare in modo che Eric perda la testa, e cosa c’è di meglio di un bel vestitino corto e scollato? -. Incrocia le braccia e inclina il capo di lato, senza perdere quel sorrisetto perfido. – Non vuoi lasciarlo a bocca aperta? Pensaci, Zelda -.

Lo sto facendo.
Mi sto immaginando la scena come se stessi creando un mio film personale.
La festa, la musica che rimbomba tra le pareti di roccia del pozzo, Eric che mi guarda ad occhi spalancati mentre mi faccio largo tra la folla con addosso quel misero pezzo di stoffa che Mel continua a chiamare impropriamente ‘vestito’… mmm, ammetto che l’idea comincia a tentarmi.

Mi massaggio le tempie con movimenti circolari, come se stessi riflettendo.
Alla fine ricompenso Mel con un ampio sorriso. – Geniale – affermo, dandole il cinque.

- Lo so, lo so, sono fantastica – ribatte lei, con un gesto di finta modestia che contrasta con l’espressione estremamente compiaciuta che ha stampata in faccia.

Lancio un’occhiata al suo orologio. – E’ quasi ora di pranzo. Faccio un salto in infermeria per vedere come sta Ted, poi vi raggiungo in mensa –.
Prima di voltarmi, le strizzo l’occhio con aria maliziosa. – Se vedi Leslie, chiedile com’è andata con mio fratello. Mi hanno dato l’impressione di essere molto affiatati -.

Mel boccheggia. – Leslie e tuo fratello?! Che cosa aspettavi a dirmelo? – strilla.
Sfreccia via prima che possa abbozzare una scusa. Leslie mi strozzerà, ma era l’unico modo per farla smettere di pensare a me e alla mia irrazionale attrazione per Eric. Spero davvero che non si azzardi a farne parola con nessuno.

Mi avvio a passo deciso verso l’infermeria.
Quando spalanco la porta, Ted scivola giù dalla brandina e mi corre incontro. Lo afferro al volo e gli faccio fare una giravolta. – Come ti senti, tesoro? – chiedo, mentre gli scompiglio affettuosamente i riccioli biondo cenere.

Lui mi sorride, sembra un sole in miniatura. – Bene. Elizabeth mi ha cambiato la fasciatura -. Fa una piccola smorfia. – Le ho detto che volevo lo facessi tu, ma lei non mi ha lasciato uscire per cercarti -.

- Lasciala respirare, Ted – commenta una voce profonda dall’angolo dell’infermeria.

Max mi guarda e fa un leggero cenno col capo.
E’ seduto su una sedia accanto al letto di Ted ed io mi sento in imbarazzo per non essermi accorta prima della sua presenza. – Ho sentito che hai avuto una mattinata molto movimentata, trasfazione -.

Faccio un debole sospiro. – Le notizie volano veloci -.

Il Capofazione alza un sopracciglio con aria divertita. - Hai davvero messo al tappeto tuo fratello? Davanti a tutte le famiglie degli iniziati? -.

Scrollo le spalle. – Se l’è cercata – mi limito a dire, senza alcuna traccia di rimorso. – Ha cercato di colpire sia me che un Capofazione. È stato fortunato ad essersi procurato solo qualche livido -.

Max getta indietro la testa e scoppia a ridere. La sua risata è roca e gutturale, ma piacevole da ascoltare. – Sì, tutto sommato gli è andata bene – replica, con uno scintillio negli occhi scuri. – Sono colpito: a quanto pare, Eric non si sbagliava su di te. Hai del fegato, ragazzina -.

Perché arrossisco al solo suono del suo nome?
Datti un contegno, Zelda.

Ted mi tira leggermente la maglietta per attirare la mia attenzione. – Eri con lui, prima? -.

- Lui, chi? – chiedo, presa alla sprovvista.

– Eric -.

Il suo tono sembra quasi geloso, mi fa intenerire. - Mi ha aiutata a mandare via i miei fratelli – riassumo a suo beneficio. – Sono persone veramente cattive -.

Ted spalanca gli occhi e non aggiunge altro.

Max si alza di scatto dalla sedia e viene verso di noi. – Scusa, piccolo, ma ora devo andare. Ho un incontro importante -. Fa una carezza a Ted, poi il suo sguardo si posa su di me. Mi lancia una lunga occhiata, come se mi stesse valutando. – Ti dispiace tenerlo d’occhio? Ha la brutta abitudine di cacciarsi nei guai quando lo lascio solo -.

Caspita, mi sta affidando suo figlio. Beh, di sicuro sono più responsabile di quel James.
Come può un cretino del genere essere stato nominato Capofazione, proprio non lo capisco.


- Ma certo – ribatto, facendo l’occhiolino a Ted. – Ci divertiremo assieme. E le assicuro che ci terremo alla larga da coltelli e lame di qualunque tipo -.

Il sorriso di Max diventa un ghigno. – Ottima risposta. Sento che mi posso fidare del tuo buonsenso -.
Annuisce piano e poi esce dalla porta, lasciandoci soli nell’infermeria.

Ted quasi saltella per l’entusiasmo. – Che bello! Cosa facciamo adesso? -.

- Tanto per cominciare, sarà meglio mangiare qualcosa. Non hai fame? -.

Lui fa segno di sì col capo.

– Allora andiamo in mensa, così ti faccio conoscere i miei amici. Vedrai, sono molto simpatici – continuo, mentre gli tengo aperta la porta.

Ted sguscia sotto al mio braccio e ci avviamo fianco a fianco verso il refettorio rumoroso.
Appena prima di entrare, mi prende per mano ed io gli sorrido.

Mel, Leslie, Quattro e Zeke sono seduti al solito posto, ma dei gemelli non c’è traccia.

- Buongiorno, gente – esclamo, e Zeke si interrompe a metà frase per rivolgermi un sorriso a trentadue denti.

Leslie ha le guance rosse come un pomodoro, quindi capisco di averla appena salvata dell’ennesimo terzo grado di Mel.
Mi affretto a sedermi sulla panca e Ted si piazza alla mia destra. – Ragazzi, lui è Ted, il figlio di Max -.

Gli altri lo salutano e si presentano a turno.
Quando Quattro e Zeke lo coinvolgono in un acceso dibattito su chi sia l’Intrepido più coraggioso della residenza, la timidezza del bambino svanisce di colpo e anche io mi rilasso.

- Xavier e Felix? – chiedo, girandomi verso Leslie.

Lei indica un punto impreciso della mensa. – Ci raggiungono dopo -.

Perlustro la sala con lo sguardo e li vedo: sono in piedi, in coda per il cibo, assieme ad una donna minuta e chiacchierona che non può essere altri che la loro madre.

Quando Xavier si accorge che li sto fissando, mi saluta con la mano ed io gli faccio segno di venire a sedersi al nostro tavolo.
In fin dei conti, gli ho fatto una promessa.

Il mio sorriso si allarga.
Non vedo l’ora di farmi raccontare gli episodi imbarazzanti della loro infanzia.









 
* * *





 

Eric





Una cosa è certa: i leader degli Eruditi nascondono qualcosa.

Ho accompagnato Max all’incontro che si è svolto al Centro di controllo della città e, oltre ad essermi annoiato a morte, quella è l’unica conclusione a cui sono giunto.

Jeanine Matthews, il primo dei Capifazione Eruditi in ordine di importanza, continuava a ripetere che questi cosiddetti Divergenti sono un pericolo per il governo e per ogni singola fazione. Sembrava quasi una fanatica, è ossessionata da loro come io lo sono da Zelda.

Ha perfino cercato di reclutarmi per un progetto di ricerca: sarei stato il suo braccio destro nella caccia spietata contro questi individui - da lei definiti ‘il cancro della società’. Il mio secco rifiuto l’ha spiazzata, non ha aggiunto altro per un bel pezzo.

A dire il vero non le ho prestato molta attenzione, ho detto di no solo per farla smettere di blaterare a vanvera.

Il mio corpo poteva anche trovarsi lì con loro, davanti a centinaia di monitor, ma la mia mente viaggiava altrove.
Su altre frequenze, di sicuro più interessanti di quei discorsi senza senso su persone che dispongono del potere di manipolare i sieri e le simulazioni.

Non riesco a capire il fervore con cui Jeanine si accanisce su queste ricerche, non ne vedo l’utilità.
Alcuni tra noi possiedono caratteristiche che li rendono adeguati a più fazioni e non ad una soltanto…

E allora? Dovrebbe importarmene qualcosa?

Avrei voluto alzarmi in piedi, sbattere un pugno sul tavolo e sbraitare quelle riflessioni in faccia a Jeanine.
Magari le avrei cancellato dal volto quell’espressione leggermente spiritata che compare sui suoi lineamenti ogni volta che dalla bocca le esce la parola ‘Divergenti’.

Invece di apparire calma e ragionevole, come un Erudito dovrebbe essere, mi ha dato l’impressione di trovarmi davanti ad una bambina capricciosa.
Non faceva altro che lagnarsi perché il piano non andava come aveva previsto. Ci mancava solo che cominciasse a fare smorfiette e a pestare i piedi per terra.

Sbuffo sonoramente e spicco un balzo per raggiungere il cornicione del tetto del Centro.
Il treno che mi condurrà di nuovo alla residenza degli Intrepidi dovrebbe arrivare da un minuto all’altro.

Max è rimasto nell’edificio per supervisionare le ultime modifiche alle procedure di simulazione che dovremo iniziare a usare tra pochi giorni.
Gli iniziati di quest’anno avranno l’onore di provare il nuovo siero, progettato apposta da Jeanine per individuare più in fretta i suoi cari Divergenti.

Il fischio della locomotiva in avvicinamento mi fa alzare lo sguardo.
Lascio perdere i primi vagoni, mi getto dentro all’ultimo e afferro una maniglia per mantenere l’equilibrio.

Mi sporgo all’esterno e l’aria fresca del crepuscolo mi investe come un colpo di frusta.
Osservo il panorama della città, illuminato dagli ultimi raggi cremisi del tramonto.

Quel colore caldo e luminoso mi riporta alla mente un paio di occhi che, a questo punto, credo di conoscere quasi meglio dei miei.
Due iridi cangianti, dalle profondità infuocate, che riescono a farmi provare sensazioni contrastanti.
Sfuggono al mio controllo, mi lasciano frustrato e confuso, come se stessi cercando di afferrare degli sbuffi di fumo con una semplice rete a maglia larga.

Zelda.

Anche solo pronunciare il suo nome mi provoca un brivido lungo la schiena.

Ha un suono così gradevole.
Come d’abitudine, un sorriso idiota si fa strada sulle mie labbra.

Ho provato a resisterle, ho cercato di lasciarla perdere e di trattarla come una ragazza qualsiasi.
Ogni mio tentativo è andato a vuoto, un buco nell’acqua dopo l’altro.

Che ne è stato della tuo carattere freddo e insensibile di cui andavi tanto fiero?
Quella trasfazione ha una pessima influenza su di te, dovresti detestarla.


La mia coscienza ha ragione.
Prima che arrivasse Zelda, non avevo mai avuto dubbi né esitazioni. La sua vicinanza ha rivoluzionato il mio universo personale, ha messo tutto in discussione.
Mi ha perfino fatto vergognare delle mie azioni crudeli.

Puoi ancora farcela, devi combattere questi sentimenti ridicoli prima che prendano il sopravvento.
Non mollare proprio adesso!


Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo.

No, non posso.

Non è troppo tardi, Eric.

Sì, invece.

Se la mia coscienza avesse sembianze umane, in questo preciso istante assomiglierebbe ad un gigante, alto e imponente, con le mani sui fianchi.
Lo immagino mentre mi guarda contrariato, le folte sopracciglia corrucciate in un cipiglio esasperato e derisorio. Per quale motivo? Non sei forte abbastanza?

Mi lascio scappare un grugnito di fastidio.
No, non è per questo. Ho semplicemente capito che combattere contro me stesso non porta a nulla.

Il mio titano immaginario mi squadra con evidente disapprovazione.

Ti stai rifiutando di lottare?
Come puoi permettere a quella ragazzina di trasformarti in un debole bamboccio?
E perché poi?


Perché… perché…

Un sospiro strozzato mi esce dalle labbra quando realizzo il vero motivo del mio improvviso cedimento.
Non è dovuto ad una debolezza momentanea, potrei benissimo continuare a fingere di non provare nulla nei confronti di Zelda, so di essere forte abbastanza da riuscirci.

Solo che non voglio farlo.

Perché sono innamorato di lei.

Non appena questo pensiero si forma nella mia testa, capisco che la verità è finalmente venuta a galla.
Non avrei potuto reprimerla per sempre, prima o poi sarei crollato.
E’ stato un bene che sia accaduto ora, mentre sono solo, isolato da tutto.

Cosa dovrei fare, adesso? Scatenarmi come una belva?
Prendere a pugni la parete d’acciaio del vagone? Inveire contro me stesso per sfogare la rabbia e la frustrazione?

Incredibilmente, sento l’accenno di una risata salirmi in gola.

Invece di trattenerla, getto indietro la testa e rido, rido, rido finché non avverto una fitta al fianco.
Mi lascio cadere sul fondo lercio del treno e mi passo una mano sulla fronte.

Non ricordo l’ultima volta che ho riso così tanto.
Ad essere precisi, non ho mai avuto neanche un motivo per sentirmi spensierato o divertito, specialmente nei sedici anni trascorsi nella fazione degli Eruditi.

Quando mi rendo conto di quanto la presenza constante di Zelda mi abbia cambiato, faccio una smorfia e scuoto la testa.
Quella ragazza deve avermi lanciato una sorta di incantesimo.

Scorgo il profilo del tetto del palazzo sul quale devo scendere e mi lancio fuori dal vagone senza esitare.
È esattamente in questo punto che l’ho vista per la prima volta.

Come ho fatto a convincermi di poterla tenere a distanza?

Dannazione, sono innamorato di lei da quasi sette anni, da quando mi arrampicavo su quella quercia per sentirla cantare.
Non posso più nasconderlo, nemmeno a me stesso.

Zelda è la stessa persona che popolava i miei sogni quando ero bambino, quella presenza misteriosa che mi consolava nei momenti più bui.
Che bizzarra coincidenza.

Prendo la ricorsa e mi tuffo nella voragine.
Quando atterro sulla rete di corda, sto ridendo di nuovo, per questo strano scherzo del fato.















- - - - - - - - - - - - - -
Ciao a tutti ;) dopo molta fatica, ecco il nuovo capitolo! Ditemi cosa ne pensate ;)

Finalmente Eric ammette i suoi sentimenti per Zelda (era cotto da un pezzo, ma Mister Orgoglio non poteva permettersi di cedere).
Cosa farà adesso? Si deciderà a parlarle o aspetterà il 31 febbraio? xD


Alla prossima, un bacio a tutti!

Lizz

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Capitolo 28
*** Ready, aim, fire ***






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Capitolo 27




 

Zelda





Mi lascio scivolare a terra accanto a Mel e mi siedo sul freddo pavimento di roccia.

Oggi ha ufficialmente inizio la seconda fase della nostra iniziazione, siamo tutti nervosi e agitati.
Perfino i gemelli se ne stanno mogi, appoggiati al muro accanto a noi, e non accennano neanche una battuta.

Il corridoio in cui ci troviamo è deserto, termina in un vicolo cieco, fatta eccezione per una porta d’acciaio che conduce chissà dove. So che dobbiamo entrare lì dentro per affrontare un test o un’altra prova di tipo sconosciuto e che sarà Quattro a supervisionarla.

Durante le ultime due ore, più della metà di noi iniziati ha varcato quella soglia, ma nessuno è tornato indietro, quindi deve esserci per forza un’uscita secondaria.  A meno che l'obiettivo di Quattro non sia quello di farci fuori uno alla volta.

Mentre osservo la porta massiccia con attenzione, come se stessi cercando di penetrare all’interno della stanza col pensiero, l'istruttore esce fuori e ci guarda uno per uno, fino a soffermare i suoi occhi blu sui gemelli. – Felix – chiama, facendogli cenno di seguirlo.

Xavier gli dà una pacca sulla spalla e io gli sorrido per incoraggiarlo. Felix non proferisce parola: scrolla le spalle e si avvia verso la fine del corridoio.
Quattro tiene aperta la porta per permettergli di entrare e poi la richiude di scatto, lasciandoci tesi e silenziosi.

Siamo rimasti solo in tre: Xavier, Mel ed io.
Ho le membra indolenzite, non sono abituata a starmene immobile per ore senza far nulla. In questo momento troverei piacevole anche un combattimento all’ultimo sangue contro Ian: almeno avrei uno scopo e non starei così in ansia.

Detesto trovare delle incognite sul mio cammino. Non ci si può preparare adeguatamente per una prova del genere, visto che nessuno si è degnato di illustrarci il procedimento.

Sarà una sorpresa. Ed io detesto le sorprese.

Mi sgranchisco la schiena e abbasso lo sguardo sulle mie braccia. I nuovi simboli neri che mi sono fatta tatuare sugli avambracci hanno ricevuto la totale approvazione di tutti i miei amici. Perfino Scott è venuto ad ammirarli quando ieri sera Xavier mi ha esortato a togliere le bende. Se non avessi ceduto, sono sicura che me le avrebbe strappate di persona, era troppo entusiasta.

Passo un dito sulla spirale che avvolge la mia pelle dal polso fin quasi alla piega del gomito. Ad una prima occhiata, può sembrare un disegno semplice, una riga nera senza alcun significato, ma non è così. Sorrido nel ripensare al lavoro minuzioso di Tori e alla sua soddisfazione una volta terminato.

La leggera spirale è formata da piccole fiamme stilizzate, sottili lingue di fuoco che sembrano inseguirsi lungo i miei avambracci.

Volevo un tatuaggio che rispecchiasse il mio carattere, ma che, allo stesso tempo, mettesse in risalto la mia appartenenza alla fazione.
E cosa vi è di meglio del simbolo degli Intrepidi? Si intona perfettamente al mio animo combattivo e all’incendio che mi scorre nelle vene ogni volta che provo emozioni forti o mi trovo in difficoltà.
È quasi un fuoco magico, mi dà la forza di lottare e mi protegge.

Dopo un quarto d’ora – l’ho cronometrato con l’orologio di Mel – Quattro spalanca nuovamente la porta.
È il turno della mia amica, che si alza rigidamente dal pavimento e raggiunge l’istruttore a testa alta. Non ha l’aria impaurita, ma all’ultimo istante, poco prima di seguirlo all’interno della sala misteriosa, si volta e mi lascia uno sguardo combattuto.

Io alzo i pollici verso di lei e cerco di sorriderle in modo rassicurante.
Il mio muto – e patetico – incoraggiamento sembra confortarla: annuisce e i muscoli delle sue spalle si rilassano visibilmente.

Quando la porta si chiude, Xavier sospira e si siede al mio fianco, nel posto lasciato libero da Mel.
Non mi guarda, non dice nulla.
Si limita a giocare con una ciocca dei miei capelli: la intreccia, la arrotola attorno ad un dito, poi la scioglie e ricomincia da capo.

È stranamente rilassante osservare i suoi movimenti, ma dopo alcuni minuti il silenzio si fa pesante e anche un po’ imbarazzante.
Mi lambicco il cervello, alla ricerca di un argomento di conversazione che ci distragga dal pensiero dell’ignoto che ci attende.

Non mi viene in mente nulla.

Senza rendermene conto, mi metto a canticchiare sottovoce una delle canzoni preferite di mia madre. Un modo come un altro per ingannare il tempo e spezzare la tensione.

Crescimi un giardino di rose,

dipingi i colori del cielo e della pioggia,

insegnami a parlare con le loro voci,

mostrami come fare e io riproverò ancora.

Senza te…

Mi interrompo all’improvviso, quando mi accorgo che Xavier ha lasciato ricadere di scatto la mano dai miei capelli.
Mi giro e lo trovo a fissarmi intensamente, le labbra leggermente socchiuse. Sbatte le palpebre alcune volte, le sopracciglia corrugate, come se si fosse appena svegliato da un bel sogno e si rifiutasse di ammettere di essere tornato alla realtà. – No, per favore, non smettere – supplica, mentre un sorriso impacciato si fa strada sul suo volto. Si schiarisce la gola con un colpo di tosse. – Hai una voce talmente piacevole che per un attimo mi sono scordato dove mi trovo, perché sono qui ... ed anche il mio nome -.

Rimane semplicemente a fissarmi, in educata attesa.

Oh, al diavolo.
Perfino Eric mi ha sentita cantare e non è scappato via urlando.
Se non mi sono vergognata l’altra sera, non vedo perché dovrei farlo ora davanti a Xavier.

Chiudo gli occhi e mi lascio andare.
I versi mi vengono alle labbra facilmente, modulo la voce per renderla più melodiosa.

Senza te io non sono nulla,

e la vita è soltanto un gioco morboso,

se sono assieme a te, niente sembra impossibile

Riapro le palpebre mentre le ultime note della canzone si propagano tra le pareti di roccia del corridoio.
Xavier mi sta ancora fissando rapito. Fa per dire qualcosa, ma una voce proveniente dall’ombra alle nostre spalle lo precede.

- Che quadretto romantico -.

Bastano quelle tre parole a farmi rabbrividire.
Quando mi volto e incrocio lo sguardo freddo e impenetrabile di Eric mi sento quasi mancare.
Adesso capisco cosa voleva dire Xavier: in quei pochi istanti in cui i miei occhi rimangono prigionieri dei suoi, dimentico dove mi trovo e perché, il mio nome e tutto il resto.

Il Capofazione fissa Xavier con disprezzo.
Si sofferma su di lui per circa mezzo secondo, poi le sue iridi grigie si posano su di me e lì rimangono. – Scusate, vi ho interrotto? – chiede, fingendosi mortificato. – Non badate a me, continuate pure a fare quello che stavate facendo -.

Il suo tono ironico e gelido non riesce a mascherare una sottile nota di fastidio.
Sembra quasi … geloso.
Mi sto sicuramente sbagliando, non c’è altra spiegazione.

Quando finalmente ritrovo la voce, la porta tanto temuta si apre, facendomi sussultare.

Quattro alza le sopracciglia davanti al cipiglio cupo di Eric e alle nostre facce a dir poco sconvolte, ma si riprende in fretta e invita Xavier a seguirlo.

Devo mordermi la lingua per non imprecare, o per non supplicare il mio istruttore di scambiare il mio turno con quello del gemello.

Perché, perché devo sempre rimanere sola con Eric?
Perché si creano sempre situazioni imbarazzanti quando c’è lui nei paraggi?


Mi impongo di stare calma e di non dare a vedere quanto la sua vicinanza mi turbi.

Lui mi sta ancora fulminando con lo sguardo, come se gli dovessi una spiegazione per il mio comportamento.
Faccio l’indifferente e continuo a far scorrere le dita lungo il mio nuovo tatuaggio.

- Mi dispiace di aver interrotto il vostro momento romantico – aggiunge lui dopo alcuni secondi, sempre in tono sarcastico e tagliente. – Spero che il tuo ragazzo non si sia offeso -. Pronuncia l’ultima parola a denti stretti.

Sbuffo sonoramente. – Tanto per cominciare, non hai interrotto proprio nulla. Stavo solo canticchiando per far passare il tempo – replico, e lo vedo alzare un sopracciglio davanti alla palese onestà della mia voce. Poi gli rivolgo un sorrisetto malizioso. – Inoltre, fino a prova contraria, il mio ragazzo saresti tu -, continuo indicandolo con l’indice.

Ho la soddisfazione di vederlo spalancare gli occhi. – Ti faccio presente che ora, per colpa tua, i miei fratelli credono che io sia fidanzata con un Capofazione -. Mi tocco il mento e faccio finta di rifletterci su. – Beh, almeno ci penseranno due volte prima di venire di nuovo a disturbarci con i loro comportamenti immaturi e violenti -.

Eric fa un sospiro scocciato. - La smetti mai di parlare? – borbotta, in tono irritato, ma noto che i suoi lineamenti sono più distesi e che la ruga che gli si forma sulla fronte quando è seccato da qualcosa è scomparsa.

Noti anche il minimo dettaglio, eh?

La mia voce interiore vuole prendermi in giro, ma io so come metterla a tacere.
Quando si tratta di lui, non mi sfugge più nulla, penso, accompagnando il pensiero con un’alzata di spalle mentale.

E infatti la mia coscienza non replica. Sicuramente avverte la sincerità delle mie parole.

Faccio una smorfia. – E’ la tensione. Comincio a blaterare a vanvera quando sono agitata – spiego, scuotendo la testa. – Ma volevo comunque ringraziarti per aver preso le mie difese ieri mattina. E mi scuso anche a nome di Alfred -.

Eric si avvicina a me e mi guarda dall’alto del suo metro e ottanta.
Io sono ancora seduta per terra, mi sento come una bambina piccola e indifesa che sta per essere fatta prigioniera da un gigante. – Non devi né scusarti né ringraziarmi – dichiara, incrociando le braccia. – Siamo pari -.

È la risposta più gentile che mi abbia mai dato.
Credo stia per aggiungere qualcosa, ma viene interrotto da Quattro, che esce di getto dalla stanza.

- Devo portare Xavier in infermeria – annuncia, guardando prima me, poi il Capofazione.

Mi si gela il sangue. – Cos’è successo? – chiedo, con un filo di voce, immaginando il peggio.

L’istruttore scuote la testa, non sembra preoccupato. – Niente di grave, ma dovrai aspettare qui un altro pò. Non so quanto ci vorrà -.
Sposta gli occhi su Eric e socchiude le palpebre. – A meno che tu non voglia prendere il mio posto -.

Si squadrano a vicenda per alcuni istanti, poi Eric alza le spalle.

Quattro annuisce e mi punta addosso i suoi occhi blu zaffiro. – Te la senti di sostenere la prova sotto la sua supervisione? – chiede, accennando al Capofazione.

Eric sogghigna quando gli lancio un’occhiata, basta quello sguardo ironico a farmi decidere. – Certo – affermo con decisione.
In questo momento mi importa poco di chi mi sottoporrà al test, voglio solo portarlo a termine e lasciar sfumare l’ansia che mi ha accompagnato in tutte queste ore di attesa.

Entro nella stanza prima che Quattro cambi idea e mi ordini di aspettarlo.
Non ce la farei proprio ad attendere un secondo di più.

Eric mi segue e chiude la porta alle nostre spalle.
La stanza in cui ci troviamo non è molto grande: ha le pareti spoglie, grigie e anonime, sembra quasi un ripostiglio.

Al centro c’è una poltrona reclinabile di metallo, identica a quella su cui mi sono distesa il giorno del test attitudinale. Accanto ad essa vi è una macchina complicata, piena di cavi e collegata ad un monitor.
Le uniche fonti di illuminazione sono una piccola luce posta accanto alla sedia e il riflesso bluastro dello schermo del computer.

Eric mi fa cenno di sedermi ed io obbedisco senza fiatare.
Appoggio il capo sul poggiatesta e rabbrividisco leggermente quando il mio corpo entra in contatto col freddo metallo della poltrona.

Guardo Eric armeggiare con la tastiera: attacca un filo rosso sangue alla macchina, poi schiaccia un tasto e il monitor si illumina.
È attento, scrupoloso, si vede che conosce perfettamente la procedura.

Mi piace osservarlo in questa semi oscurità. La sua presenza, invece di intimorirmi ulteriormente, sembra riuscire a calmare i miei nervi tesi.
E’ la stessa sensazione che si prova prendendo fiato dopo dieci minuti di apnea subacquea, quando finalmente si arriva in superficie e i polmoni sono liberi di espandersi a loro piacimento.

Eric afferra una siringa, piena di uno strano liquido arancione e preme lo stantuffo per far uscire le bolle d’aria. - La simulazione ti insegnerà a controllare le emozioni durante una situazione di paura – spiega, mentre avvicina quell’ago enorme al mio collo.

Chiudo gli occhi e trattengo il fiato.
Lui mi mette una mano sulla nuca per farmi stare ferma, poi mi inietta il siero.
Non fa male, sento solo una leggera puntura. È stato più delicato di quanto pensassi.

Riapro le palpebre e il Capofazione inarca un sopracciglio. – Hai paura degli aghi? Non sei tu quella che è vissuta in una famiglia di medici? Dovresti esserci abituata -.

- Sono abituata a fare le iniezioni, non a subirle – lo correggo, massaggiandomi il collo.

Lui rimane a fissarmi, con un sorriso appena accennato.
Almeno uno di noi due si sta divertendo.

- Il siero farà effetto tra pochi secondi. Provocherà una sorta di allucinazione, che io potrò vedere sul monitor. Il tuo obiettivo è riuscire a sconfiggerla nel minor tempo possibile, io dovrò registrarla e poi inviarla al server dell’amministrazione -. Eric si interrompe e mi mette una mano sulla spalla. – La simulazione termina quando ti calmi, quindi cerca di non farti prendere dal panico -.

Non lo sto più ascoltando.
Ho la mente annebbiata, il respiro comincia a farsi più affannoso e le palpebre sembrano pesanti come macigni.

Lui si china su di me.
Nei suoi occhi scorgo uno sguardo nuovo, intenso, molto diverso da quello freddo e sarcastico che mi riserva di solito. – Puoi farcela, Zelda – mormora, un attimo prima che i miei occhi si chiudano definitivamente.








 
* * *





 

Eric





Lascio con riluttanza la presa sulla spalla di Zelda.
Vorrei continuare a toccarla, stringerle la mano, ma mi impongo di allontanarmi da lei.

Mi piazzo sulla sedia davanti al computer e premo dei tasti in successione.
Lo schermo si spegne per un attimo, poi si illumina di colpo, permettendomi di vedere chiaramente il profilo di Zelda.

Faccio appena in tempo a notare i suoi capelli neri come un’ala di corvo.
Il monitor si fa sempre più scuro, fino ad avvolgerla completamente in una fitta oscurità, nella quale scorgo solo il contorno della sua figura.

Non mi è mai capitato niente del genere.
Provo a premere una combinazione di pulsanti, ma la simulazione risulta attiva e tutto procede secondo lo schema prestabilito.

Fisso corrucciato lo schermo nero pece, finché realizzo cosa sta accadendo.
Non è un errore di sistema, né un’interferenza.

È il buio. Zelda ha una paura folle del buio.

Mi volto verso di lei e mi accorgo di averci azzeccato.
I suoi occhi si muovono sotto le palpebre chiuse, come se stesse cercando con tutte le sue forze di svegliarsi da quell’incubo.

Esito un attimo, poi allungo la mano e sfioro dolcemente il suo avambraccio, seguendo le linee sinuose del suo nuovo tatuaggio. – Cerca di calmare il respiro – dico ad alta voce, anche se so bene che non può sentirmi. – E’ solo una simulazione, non è reale -.

Rimango a fissare i suoi lineamenti contratti per cinque lunghissimi minuti.
Vorrei entrare nel computer, prenderla in braccio e portarla fuori da quell’allucinazione che la sta facendo soffrire.

Potrei staccare i cavi dalla macchina, o prenderla a pugni fino a ridurla in piccoli pezzi, sono quasi pronto a farlo.
Farei qualsiasi cosa pur di cancellare la paura dal volto di Zelda, che si sta agitando sulla poltrona come se avesse le convulsioni.

Ma questa è una delle prove che deve superare se vuole entrare a far parte degli Intrepidi e deve affrontarla da sola.
Io non posso far altro che rimanere a guardare, impotente e in preda all’agitazione.

Ricordo molto bene la sua reazione isterica dell’altra volta, mentre eravamo imprigionati in quel maledetto ascensore.
Il panico non le permetteva di ragionare lucidamente, ha quasi rischiato di farci uccidere entrambi.

Controllo l’orologio.
Sono trascorsi sette minuti da quando le ho iniettato il siero.
In media un’allucinazione dura dai dieci ai quindici minuti, quindi ne avrà ancora per un po’.

Stringo i denti. Il mio record personale è di sette minuti, non sono mai riuscito a fare di meglio.
E non ci tengo a riprovare.
Tutti dicevano che il segreto era calmare il ritmo del respiro, ma è molto più facile dirlo a parole che metterlo in pratica.

Faccio scorrere le mie dita lungo tutto l’avambraccio di Zelda, lentamente, avanti e indietro.
Mi distrae dal panico che minaccia di sopraffarmi: l’empatia che provo nei confronti di questa trasfazione è sconvolgente.

Visto che non posso guardarla agire sullo schermo, mi concentro sui suoi lineamenti e noto un impercettibile cambiamento.
La fronte è più rilassata e le labbra sono leggermente socchiuse.

Deglutisco.
D’accordo, devo smetterla di guardare la sua bocca, non è affatto una buona idea.
Serro la mascella e mi affretto a posare gli occhi da un’altra parte per non cedere all’irresistibile tentazione di baciarla.

Prima o poi lo farò, ma non ora.
Non sono certo un maniaco che approfitta di una ragazza incosciente.

A tempo debito, Eric. A tempo debito.

Zelda emette un suono inarticolato e scatta a sedere.
Ha il respiro accelerato e gli occhi sbarrati, ma almeno è uscita dalla simulazione.

– Nove minuti. Ottimo – decreto, salvando il file e staccando il cavo dalla macchina.

Lei non sembra far caso a me, né alle mie parole. Si passa le dita tra i capelli e fa alcuni respiri profondi.
Lancia parecchie occhiate allarmate alle proprie gambe, come se fossero una qualche specie aliena e ripugnante. – Tu … tu hai visto tutto? – chiede, con voce spezzata, senza incrociare il mio sguardo.

- In realtà, c’era molto poco da vedere – rispondo, mentre spengo il computer. Questa era l’ultima simulazione della giornata, perciò disattivo tutto. – Lo schermo era completamente oscurato. Paura del buio, eh? -.

Cerco di usare un tono morbido e distaccato per non farla sentire troppo a disagio.
So per esperienza che non è per niente piacevole farsi vedere così vulnerabili e spaventati, anzi è parecchio umiliante, specialmente per un carattere orgoglioso come il nostro.

Zelda annuisce e si sfrega le braccia con le mani. – Non vedevo nulla, sentivo solo una presenza accanto a me e delle dita viscide che mi afferravano per le caviglie -. Reprime un brivido. – Era orribile -.

- Come hai fatto ad uscire così in fretta? – chiedo, nel tentativo di distoglierla da quel ricordo raccapricciante. – La prima simulazione è sempre la più dura. Di solito gli iniziati ci mettono ben più di nove minuti a superarla -.

È anche vero che i normali iniziati non sanno eseguire un salto mortale all’indietro con avvitamento su una trave sospesa nel vuoto.

Alzo mentalmente gli occhi al cielo.
Zelda è speciale, l’ho sempre saputo. Ha messo al tappeto anche me, quindi è ovvio che riesca a battere una semplice allucinazione meglio di chiunque altro.

Lei sembra pensarci su, poi mi lancia un’occhiata perplessa. – Non lo so – dice. – Credo … cioè mi sembra … di … aver sentito la tua voce -.
Corruga le sopracciglia come se si stesse sforzando di risolvere un problema a doppia incognita.

Mi coglie alla sprovvista, non posso trattenere una smorfia imbarazzata. – E cosa ti avrei detto? -.

- Che era solo una simulazione, non era reale -.

Mi mordo la lingua per non lasciarmi scappare un’imprecazione.
Dannazione, mi ha davvero sentito mentre lo dicevo, non stava scherzando.

Ma non è possibile, il siero non permette interferenze dall’esterno.
Anche se, a dire il vero, Zelda è talmente imprevedibile e fuori dal comune che, a mio avviso, dovrebbero creare un siero solo per lei.

- Devi essertelo immaginato – ribatto, voltandole le spalle per nasconderle la mia espressione turbata.
Nel frattempo cerco di riflettere sulla giusta mossa da compiere.

Devo riferire questa anomalia agli altri Capifazione?
Zelda correrebbe dei rischi se Jeanine venisse a scoprirlo?
Potrebbe essere una Divergente?

Apro la porta e rimango a fissarla mentre si alza lentamente, come se non si fidasse del proprio corpo.
No, non credo che Zelda sia una Divergente.
Gli Eruditi non facevano che ripetere che quegli strani individui riescono ad uscire dalle simulazioni in pochi minuti, lei invece ce ne ha messi ben nove.
Un buon tempo, ma di certo non il migliore.

L’unica cosa che non mi so spiegare è come abbia fatto a udire il mio incoraggiamento.
Dovrò tenere gli occhi aperti e seguire personalmente le sue simulazioni. Meno persone vengono a sapere di questa stranezza, meglio è.

Tengo aperta la porta per farla passare e ci avviamo verso il Pozzo fianco a fianco.
La guardo di sottecchi: non sta avendo la reazione che mi aspettavo.
Niente urla, né lacrime, né crisi isteriche.

Sono un po’ deluso.
Mi sarebbe piaciuto se si fosse gettata tra le mie braccia in cerca di conforto, l’avrei tenuta stretta e consolata…

Maledizione, ho davvero immaginato una scena del genere?!
Non mi riconosco più.
Dov’è finito il caro vecchio Eric, cinico, crudele e freddo come il ghiaccio?

Faccio una smorfia scocciata. Non so se voglio sul serio riavere indietro il mio vero io.

Credo di preferire la compagnia di Zelda.

Un boato inaspettato mi distoglie dalle mie sciocche fantasticherie.

Ci blocchiamo entrambi in mezzo al corridoio.
Zelda si volta di scatto verso di me, in preda al panico. – Eric, quello era … -. La sua voce si affievolisce, non completa la frase.

Lo faccio io per lei. – Sì, era uno sparo – sibilo, cominciando a correre verso la fine del tunnel.
Lei mi segue, non le ordino di aspettarmi lì perché tanto non mi ascolterebbe.

Cosa diavolo sta succedendo?

Non appena arrivo alla grotta, noto una numerosa folla ammassata lungo le pareti di pietra.
Tutti sono immobili e muti come statue, si sente distintamente il rumore del torrente che scorre sotto ai nostri piedi.
Gli occhi spalancati delle persone presenti sono puntati su una figura che si trova in piedi, accanto allo strapiombo.

È quell’iniziato che Zelda ha battuto nel combattimento corpo a corpo.
L’Erudito, Oliver.
Tra le mani stringe una pistola e ha un’espressione folle dipinta sul volto. Sembra quasi spiritato.

Scorre con gli occhi tutti gli Intrepidi radunati a pochi passi da lui, come se stesse cercando il bersaglio perfetto.

Un ghigno perfido e perverso gli increspa le labbra quando scorge Zelda accanto a me.
La indica con l’indice della mano libera, l’altra sorregge il peso dell’arma. – Tu! – sbraita, come un pazzo furioso. – E’ colpa tua, tutta colpa tua! Sono l’ultimo in classifica, diventerò un Escluso, ed è tutta colpa tua! -.

Zelda si irrigidisce e trattiene il fiato davanti a quelle accuse.
Non appena quel fottuto iniziato metterà giù la pistola, lo raggiungerò e gli spaccherò la faccia, così imparerà a tenere la bocca chiusa.

Mi sforzo di analizzare la situazione per capire come fare a togliergli l’arma prima che possa premere di nuovo il grilletto.
Il mio intuito mi mette in guardia: quel ragazzo è totalmente fuori controllo, se anche cercassi di rabbonirlo non cederebbe.

Il ghigno di Oliver si accentua.
Si muove in fretta, non faccio neanche in tempo a dire a Zelda di buttarsi a terra.

L’Erudito punta l’arma verso di noi e fa fuoco.













 
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Ciao a tutti! Sono tornata con un nuovo capitolo, scrivetemi in tanti, fatemi sapere che ne pensate ;)

Dedico questo nuovo episodio alla mia amica Giulia. Grazie di tutto, davvero! <3
Per aver letto la storia, per l’incoraggiamento che mi dai, per le battute ‘pericolose’ ahahaha ti voglio bene <3


Chiedo perdono per la suspense delle ultime righe, non era premeditata, ma il capitolo stava diventando troppo lungo così ho dovuto dividerlo ;)

Non perdetevi il prossimo!!!
Lo scriverò prima dal punto di vista di Zelda, poi da quello di Eric, perché è uno dei più importanti della storia ;)


A presto, un bacio

Lizz

p.s. la canzone che dà il titolo al cap è degli Imagine Dragons, mentre i versi cantati da Zelda sono una mia personale traduzione (e interpretazione) della canzone Roses dei Poets of The Fall ;)

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Capitolo 29
*** Don't wanna let you go (part 1) ***




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Capitolo 28




(Parte 1)




 

Zelda






Un click. Un semplice, leggero, metallico click.

Eppure quel click è il suono più minaccioso che io abbia mai sentito: fende l’atmosfera tesa che aleggia intorno a me come un colpo di cannone.
Il ritmo del mio cuore accelera, ormai non sento più nulla, tranne le sorde pulsazioni nelle orecchie.

Non faccio in tempo a registrare tutti i fatti che accadono nei secondi successivi allo sparo, so solo che lo sguardo di Oliver puntato su di me mi immobilizza, impedendomi di compiere una qualsiasi azione sensata.
I suoi occhi perforano i miei, sono carichi d’odio, di rancore e di gelosia.
Gli occhi allucinati di un pazzo.

Vuole uccidermi, lo vuole sul serio, glielo leggo in faccia.
E quando spara lo fa con precisione e intenzione: mira esattamente al centro del mio petto.

Non riesco a muovermi.
Rimango a fissare la canna della pistola con gli occhi sbarrati, come un cerbiatto finito in trappola. Quel buco nero riempie il mio campo visivo, quasi non sento le urla provenire dagli Intrepidi ammassati lungo la grotta.

Un attimo prima sono in piedi, i muscoli contratti e il respiro spezzato, un attimo dopo mi ritrovo a terra, senza capire come ci sia finita.
Batto le palpebre due volte e metto a fuoco la persona che mi ha tratta in salvo con uno scatto degno di un felino.

Le braccia di Eric mi circondano i fianchi e mi tengono premuta contro il suo corpo, come se avesse paura di vedermi sparire in uno sbuffo di fumo. Quando incrocio i suoi occhi grigio acciaio noto una traccia di apprensione. – Stai bene? – chiede, aggrottando le sopracciglia.

Impiego qualche secondo a rimettere in moto il cervello. Quando, finalmente, riesco a formulare una risposta, la voce mi esce roca e strozzata. – Sì, credo di sì -.

Altre urla, questa volta più acute, ci fanno scattare.

Eric si scosta da me e si alza in piedi con una mossa veloce.
Con la coda dell’occhio noto che tiene una mano premuta contro il fianco sinistro, ma non vi presto molta attenzione.

Oliver ha ancora la pistola puntata verso di noi, ma ora il suo braccio è percorso da spasmi.
Dopo un momento che mi pare eterno, abbassa lentamente l’arma e la guarda con disgusto, come se si fosse reso conto solo in quell’istante di dove fosse e cosa stesse per fare. La getta lontano da sé, si butta in ginocchio e si prende la testa tra le mani. Vedo le sue spalle tremare, in preda a singhiozzi incontrollati.

Il lamento che riesce a filtrare attraverso le sue dita premute contro il volto è straziante, mi perfora i timpani.
Non riesco a rimanere impassibile di fronte a tutta quella disperazione, anche se lo vorrei.
Tipico di me, non posso resistere alle richieste d’aiuto, nemmeno se provengono da uno psicopatico che ha appena attentato alla mia vita.

Dimentico che ha appena cercato di uccidermi, dimentico i suoi occhi accesi di furia, dimentico ogni cosa tranne quella figura accasciata a terra.

Non mi appare come una minaccia: è solo una persona fragile, instabile e confusa, che ha solo bisogno di sfogarsi e di qualcuno disposto ad ascoltarla e tenderle una mano.

La mia voce interiore comincia a sbraitare contro di me non appena formulo quel pensiero fin troppo altruista anche per i miei standard.

Se la pensi così, allora la pazza sei proprio tu Zelda! Ha mirato al tuo cuore, per l’amor del cielo!
Non puoi lasciar perdere il tuo animo buono e gentile per un momento e limitarti a odiarlo come farebbe una ragazza normale?!


Escludo quelle urla mentali scuotendo il capo.
No, non posso fingere di essere ciò che non sono. Io sono fatta così e non cambierò mai.

Quando muovo un passo verso Oliver, una mano si chiude attorno al mio polso per trattenermi. – Sei impazzita? – sibila Eric, senza guardarmi in faccia.
Anche il Capofazione sta fissando l’Erudito: a differenza di me, nelle sue iridi non c’è alcuna pietà, solo risentimento e disprezzo. – Cos’hai intenzione di fare? Aspiri al suicidio? -.

Non replico, mi limito a guardarlo in viso finché non si decide a incrociare i miei occhi. – Voglio sapere perché l’ha fatto. Ha bisogno d’aiuto – dichiaro in tono risoluto. – Lasciami andare -.

Eric stringe gli occhi a fessura e si china verso di me, spaventosamente vicino. - Te lo puoi scordare! – ringhia, stringendo le dita attorno al mio braccio. – Guardalo, maledizione! Quel ragazzo ha perso del tutto la ragione, potrebbe ammazzarti nel giro di due secondi in preda a un attacco di rabbia. Cosa pensi di fare, andare da lui e offrirgli una spalla su cui piangere? Sai quale sarebbe la sua reazione? Ti stringerebbe entrambe le mani attorno al collo e non mollerebbe la presa finché non ti vedrebbe esalare l’ultimo respiro! -.

Ci guardiamo in cagnesco per alcuni secondi, poi lui mi lascia andare di scatto.
Scruta la folla come per sincerarsi che nessuno si sia accorto della familiarità con cui ci siamo appena parlati. Probabilmente non vuole che gli altri Intrepidi si facciano strane idee su di noi.
Mi viene quasi da ridere.

Eric che protegge una trasfazione? Che evento imperdibile.

Il suo tentativo di riprendere un contegno passa inosservato, perché nessuno ci sta minimamente prestando attenzione.
Tutti gli sguardi delle persone radunate nella grotta sono fissi su Oliver.
Alcuni energumeni si stanno facendo avanti per prenderlo e, molto probabilmente, traferirlo in una cella di massima sicurezza con le pareti imbottite.

E cosa ci trovi di strano? Ha appena sparato in mezzo ad una folla senza un motivo apparente!

Non sono d’accordo con il mio inconscio.
Un motivo ci deve essere, non può essere passato da ragazzo controllato a sociopatico in poco meno di ventiquattro ore!
Qual è il fattore scatenante? Devo saperlo.

Mi lancio in avanti prima che Eric possa impedirmelo. Lo sento imprecare alle mie spalle, ma non mi fermo.
Raggiungo Oliver e poggio un ginocchio a terra. I quattro Intrepidi che l’hanno circondato mi lanciano un’occhiata perplessa, poi cercano Eric con lo sguardo.

Non vedo la sua espressione, ma capisco che ha dato l’ordine di lasciarmi procedere. Le guardie si immobilizzano, tuttavia rimangono a pochi passi da noi, pronti ad intervenire nel caso Oliver perda la testa di nuovo e cerchi di azzannarmi come un leone inferocito.

Do un calcio alla pistola, facendola rotolare verso uno degli Intrepidi che prontamente la raccoglie.
Prendo un respiro profondo e tocco leggermente la spalla di Oliver.
Lui sussulta e toglie le mani dal volto per guardarmi. Ha le guance rigate di lacrime, gli occhi iniettati di sangue e il labbro inferiore che trema.

Sento lo strano impulso di abbracciarlo, ma mi trattengo. – Cosa ti è successo, Oliver? – sussurro, stringendo le palpebre e mantenendo un tono severo. Non devo dimenticare il suo recente episodio di follia, devo andarci cauta.

Lui rimane a fissarmi in silenzio, riesco quasi a percepire i suoi pensieri confusi.
Il suo cipiglio assassino è scomparso, quindi la mia voce si addolcisce un po’. – Perché l’hai fatto? Cosa ti ha spinto a reagire così? -.

L’Erudito scuote piano la testa e posa lo sguardo sulle sue mani aperte come se non le riconoscesse. – Io… io… - balbetta e deglutisce rumorosamente. Lancia una rapida occhiata alle persone che ci circondano e i suoi occhi si spalancano per l’orrore. – Non lo so. Dopo la … la simulazione … non riuscivo più a liberarmi di quelle immagini … era … orrendo. Tutto quel sangue … -. Un altro singhiozzo gli fa tremare le spalle.

Posso solo immaginare la sua allucinazione, ma se è riuscita a fargli perdere la testa in questo modo deve essere stata tremenda.

Ma non giustifica quello che ha fatto.

- Hai tentato di uccidermi, Oliver – affermo con la massima calma.

Lo afferro saldamente per le spalle e non gli permetto di distogliere lo sguardo. Lui mi fissa come farebbe un coniglio davanti ad un serpente a sonagli e spalanca la bocca, da cui però non esce alcun suono.

- Cosa speravi di ottenere? – lo incalzo di nuovo, nella speranza di farlo reagire e sfogare.

Oliver ha gli occhi lucidi e la mascella rigida.
Mi guarda per un lungo momento, poi scuote la testa. – Mi dispiace, Zelda – mormora, un istante prima di spingermi violentemente a terra.

Sento Eric sbraitare degli ordini, ma non riesco ad afferrarne il senso.
Sbatto le palpebre, ancora stordita dall’impatto con il freddo pavimento di roccia. Gli Intrepidi si lanciano verso l’Erudito in simultanea, ma Oliver scatta all’indietro, sfuggendo per un soffio al loro attacco.

I nostri occhi si incrociano per una frazione di secondo ed è allora che intuisco le sue vere intenzioni.
Un urlo strozzato si fa strada nella mia gola quando lo vedo correre in direzione della ringhiera di ferro.
Mi alzo in piedi, ma è già troppo tardi.

Oliver si arrampica sulla balaustra che oscilla paurosamente sotto il suo peso. Fermati, vorrei gridare. Non farlo, ti prego, non farlo.

Accade tutto così in fretta che non posso fare altro che rimanere impotente a guardare.
Gli Intrepidi si gettano verso di lui, intimandogli di scendere, ma Oliver non sembra sentirli.
Lancia loro un’occhiata desolata e vuota, un attimo prima di buttarsi nel baratro.

Mi tappo la bocca con entrambe le mani.

Dalla folla provengono delle grida strozzate e tutti si dirigono verso il punto dove è appena saltato Oliver. Alcuni ragazzi si danno di gomito e confabulano, come se stessero assistendo ad un evento insolito, ma spassoso.
Cosa sperano di vedere? Il suo cadavere? Ho la nausea.

Sento le ginocchia cedere e cadrei a terra se un paio di mani forti non mi afferrassero per la vita giusto in tempo.
Mi lascio sostenere senza opporre resistenza. So benissimo a chi appartengono quei tatuaggi, e in questo momento mi importa poco di cosa potrebbero pensare gli altri Intrepidi. In ogni caso nessuno sta guardando verso di noi.

Alzo lentamente la testa e mi perdo per un istante all’interno degli abissi delle iridi di Eric.
Lui rimane stupito e confuso di fronte alle mie lacrime, come se fossi un cavallo imbizzarrito e non sapesse cosa fare per domarmi.

Mi aggrappo alla sua maglietta e appoggio una guancia contro il suo petto.
Lo sento sussultare leggermente: per un attimo temo di aver osato troppo, so che non gli piacciono le smancerie, ma, inspiegabilmente, lui non fa nulla per respingermi. Anzi, comincia ad accarezzarmi i capelli, con una tenerezza di cui non lo credevo capace.

La sua vicinanza mi fa dimenticare tutto il resto, perfino il suo odore riesce a tranquillizzarmi.
Un misto di sudore, polvere da sparo e … sangue?

Mi scosto bruscamente, come se mi fossi scottata, e Eric alza un sopracciglio. – Cosa …? – fa per chiedere, ma io lo ignoro.
Faccio scorrere le dita lungo il suo torace, sperando di sbagliarmi.
Tolgo di mezzo il suo braccio e rimango impietrita. Sulla stoffa della maglietta si sta allargando una macchia più scura del tessuto stesso.

Rabbrividisco involontariamente. – Santo cielo, ti ha … - esclamo, ma non faccio in tempo a dire ‘colpito’ perché Eric mi tappa la bocca con una mano.

- Zitta – mi intima, accompagnando quel brusco ordine con uno sguardo duro come l’acciaio.

Prima che possa ribattere, il Capofazione si volta e imbocca uno dei corridoi che – lo so per esperienza – conduce alla sua stanza.
Resto immobile per qualche secondo, incerta se seguirlo oppure no. Dal suo atteggiamento si può intuire che non desidera compagnia, né qualcuno che gli presti soccorso. Mi domando quanto grave sia la ferita, se il proiettile sia penetrato sotto pelle o se l’abbia solo colpito di striscio.

Emetto uno sbuffo scocciato.

Al diavolo lui e il suo orgoglio! Si è ferito per proteggermi, non posso far finta di nulla. Comincio a correre nella direzione opposta.

Non vuole che lo aiuti? Beh, è un problema suo.

Non lo lascerò in pace finché non avrò appurato che non corre rischi.
Sarà anche un Capofazione, ma di certo non è immortale!

Spalanco la porta dell’infermeria con slancio eccessivo e il vetro trema pericolosamente. La stanza è deserta, probabilmente Elizabeth è corsa al Pozzo non appena Oliver ha iniziato a sparare. Purtroppo l’unico che è rimasto ferito ora non si trova più lì, penso tra me con ironia.

Afferro uno scatolone vuoto e comincio a gettarci dentro ogni cosa utile che mi capita sotto mano.
Fasci di bende, disinfettante, l’astuccio con ago e filo, cerotti e un sacchetto pieno di batuffoli di cotone.
Dopo essermi assicurata di avere il minimo indispensabile per curare quel testardo Capofazione, schizzo fuori dall’infermeria e torno sui miei passi.

Seguo con raccapriccio le gocce di sangue che si è lasciato alle spalle: risaltano in modo impressionante sul pavimento di roccia. La scia scarlatta mi conduce direttamente davanti alla porta degli appartamenti privati di Eric.
Poso a terra la scatola, faccio un respiro profondo e busso due volte.

Le mie orecchie catturano un grugnito di fastidio. Conto mentalmente fino a dieci, poi, con tutta la grazia e la delicatezza che mi contraddistinguono, comincio a colpire freneticamente lo stipite.

Questa volta sento distintamente le imprecazioni di Eric, ma non demordo.
Mi sta facendo preoccupare a morte. Non gli darò tregua finché quella ferita non sarà ricucita.  

- Vattene! – ringhia lui. Il suo tono non promette bene, ma ci vuole ben altro per scoraggiarmi.

- Per favore, fammi entrare – replico io, continuando a colpire ripetutamente l’acciaio arrugginito.
Sto quasi per scorticarmi il palmo, ma non mi importa.

Passano alcuni minuti.
Eric rimane cocciutamente barricato nella sua stanza e io perdo definitivamente la pazienza.
Digrigno i denti. – Dannazione, Eric! – sbotto, e la mia voce rimbomba nel corridoio semibuio. - Apri. Questa. Maledetta. Porta. – scandisco, accompagnando ogni parola con un pugno.

Sento dei passi provenire dall’interno e faccio un rapido passo indietro.
Appena in tempo, perché quell’idiota di un Capofazione spalanca la porta e per un soffio non mi colpisce in piena faccia.

Eric si limita a incenerirmi con lo sguardo, per poi ritornare nella stanza, senza dire una parola.
Recupero lo scatolone e con un colpo d’anca richiudo la porta alle mie spalle.

Do un’occhiata veloce ai pochi mobili presenti, senza soffermarmi per più di un istante su ciascuno di essi. Un armadio, una scrivania, alcune mensole, un letto al centro. È la tipica camera di un soldato, ordinata in modo maniacale e priva di decorazioni. Le pareti sono spoglie, di un bianco immacolato, fatta eccezione per una figura di cartone appesa ad un chiodo accanto alla porta.

Quella vista mi strappa un sorriso. Figurarsi se Eric non aveva il proprio bersaglio personale!

Appoggio il mio kit di pronto soccorso sulla scrivania e comincio ad allineare l’occorrente sul ripiano.
Quando mi giro, noto che il paziente mi sta fissando con un’espressione incredula e sospettosa. – So cosa vuoi fare – esordisce in tono divertito. – E la mia risposta è no -.

La sua voce ha qualcosa di strano.
Lo scruto da capo a piedi, per poi lanciare un’occhiata di disapprovazione alla bottiglia che tiene in mano. È piena solo per metà di un liquido trasparente, ma dallo sguardo inebetito del Capofazione capisco che non si tratta di semplice acqua.

Alzo gli occhi al cielo. Ci mancava solo l’alcool!
Come se la situazione non fosse già complicata di per sé.

Mi avvicino a passi lenti e calcolati fino a trovarmi esattamente di fronte a Eric, che se ne sta seduto comodamente sul letto.
Faccio per prendergli la bottiglia, ma lui scuote la testa e scoppia in una risata fragorosa. – Niente da fare, piccola – biascica, bevendo un altro lungo sorso. Si pulisce la bocca con il dorso della mano, posa la bottiglia sul comodino e mi fa un sorriso malizioso. – Allora, bellezza, posso esserti utile? – chiede, incrociando le braccia dietro la testa.

Mi mordo il labbro per trattenere una risata.

Caspita, quella roba deve essere parecchio forte. Quanto ci ha messo a fare effetto, cinque minuti?
Sospiro, esasperata. Almeno in questo stato non sentirà molto dolore quando gli medicherò la ferita.

- Devo toglierti la maglietta – dichiaro, nel tono più autoritario possibile.

Lui alza le braccia, senza perdere l’aria divertita. – Ai tuoi ordini -.
Poi mi guarda come per dirmi ‘fai pure di me ciò che vuoi’ e faccio molta fatica a non scoppiare a ridere.

Beh, devo dire che l’Eric ubriaco ha il suo fascino. Non è sprezzante come al solito, anzi lo trovo spassoso.
Comincia decisamente a piacermi la sua risata spensierata, vorrei tanto sentirlo ridere così anche da sobrio.

Una volta sfilata la maglia, la piego alla meno peggio e mi dirigo verso la porta socchiusa alla mia destra. Una delle fortune di essere un membro effettivo della fazione è quella di avere un bagno privato. Getto il fagotto in un catino, poi riempio il lavandino di acqua calda e vi immergo un asciugamano.

Torno nella stanza, prendo cotone e disinfettante dallo scatolone e avanzo risoluta verso il paziente decisamente alticcio.
Lui non mi perde di vista neanche per un secondo, osserva con curiosità ogni mio movimento.

Socchiudo gli occhi ed esamino attentamente la ferita, evitando di lasciarmi distrarre da tutti quei tatuaggi e muscoli scolpiti.
Grazie al cielo il proiettile gli ha solo sfiorato il fianco sinistro, tuttavia il taglio è abbastanza profondo e deve essere medicato al più presto.

Mentre passo il disinfettante sulla sua pelle, Eric comincia a canticchiare sottovoce.
Mi sforzo di ignorarlo, devo mantenere la concentrazione.
Finisco di pulire con cura la ferita, poi vado a prendere l’asciugamano inzuppato d’acqua. Lo strizzo un po’ e lo uso per togliergli il sangue dall’addome.

Alcune parole della canzone che Eric sta tentando di riprodurre - col suo tono incerto da ubriaco - mi sembrano familiari.

…l’inchiostro può macchiare la mia pelle, i miei jeans possono essere strappati. Io non sono perfetto, ma giuro …

Cerco di ricordare dove l’abbia già sentita.
Nel frattempo impugno ago e filo ed approfitto dello stato di grazia del Capofazione per mettergli i punti di sutura.

Purtroppo la pace dura poco.

Alla prima puntura dell’ago, lui schizza a sedere sul letto come se gli avessi gettato una secchiata di acqua gelida in viso.
Rimane a fissarmi come se mi vedesse per la prima volta, poi si scosta bruscamente, imprecando. – Che diavolo…? – ringhia, facendo saettare lo sguardo da me all’ago che tengo tra le dita. La sbornia sembra essergli passata all’improvviso.
Corruga le sopracciglia e i suoi occhi luccicano in maniera pericolosa. – Mi sembrava di averti detto di andartene! Vattene, trasfazione, e lasciami in pace! -.

Lo preferivo da ubriaco, decisamente.

Tento di lasciar perdere il suo scatto d’ira, ma Eric continua a ringhiare insulti e minacce e mi impedisce di avvicinare di nuovo l’ago alla sua pelle.
Ci provo tre volte, poi sbuffo d’impazienza e agisco d’impulso.

Mi chino in avanti e gli tappo la bocca. Con la mia.

Eric smette all’istante di inveire contro di me e si irrigidisce: sento sulle labbra la leggera pressione dei suoi piercing.
Nessuno di noi due chiude gli occhi, le due pozze grigie che sono le sue iridi si specchiano nelle mie e vi vedo riflesse incredulità, confusione e - o mio Dio – eccitazione.

Se prima non mi ero resa conto di ciò che stavo facendo, ora ne sono più che consapevole.
Mi tiro indietro prima che la situazione precipiti ulteriormente.
Più che un bacio è stato un diversivo, ma il mio cuore batte forte e ho le guance che vanno letteralmente a fuoco.
Ringrazio il cielo di trovarmi in una stanza senza finestre e poco illuminata.

Eric mi fissa come ipnotizzato, con le pupille dilatate e un’espressione sgomenta dipinta sul volto.

Mi alzo in piedi e lo fulmino dall’alto con le mani sui fianchi. - Forse adesso la smetterai di blaterare – esclamo, cercando di far rallentare il ritmo del mio respiro.
Noto con una punta di soddisfazione che anche Mr. Ho-il-cuore-di-ghiaccio ha il fiato corto. – Sto solo cercando di aiutarti, maledizione! Lasciami finire, poi potrai tornare a sbronzarti come un … un … -.
Non riesco a trovare il termine più appropriato, quindi faccio un gesto di stizza e torno ad impugnare l’ago come se fosse un’arma.

Eric batte le palpebre, tuttavia, questa volta, mi lascia fare.
Comincio a suturare il taglio, cercando di essere delicata. Gli sfugge una smorfia, ma si guarda bene dal lamentarsi.
Dopo alcuni minuti di silenzio se ne esce con: – Un pirata? -.

Alzo un sopracciglio, senza staccare gli occhi dall’ago. - Come? -.

- Non erano i pirati quelli sempre ubriachi? Quei tizi che vivevano sui vascelli e derubavano i passeggieri delle altre navi? -.

Un sorriso involontario si fa strada sulle mie labbra. – Sì, hai ragione –.

Mi sto immaginando Eric con una benda nera sull’occhio, un pappagallo sulla spalla e una gamba di legno.
Decisamente terrificante. Senza volerlo mi lascio scappare una risata.

Lui rimane interdetto, è la prima volta che lo vedo così impacciato e confuso in mia presenza.
Il mio assalto deve averlo proprio sconvolto. - Cosa ho detto di così divertente? -.

- Niente – rispondo, mentre termino i punti di sutura. – Sono solo stupita che tu conosca quelle storie -.

Il Capofazione mi lancia una strana occhiata. – E perché, non dovrei? – replica, sulla difensiva.

Non raccolgo la provocazione, ma gli strizzo l’occhio. – Allora, Eric il Pirata, come ti senti? Non è stato così tremendo, vero? Dovresti avere più fiducia nelle mie capacità -.
Lui abbassa lo sguardo sul taglio, ormai quasi invisibile.

Fa per tastare i punti, ma lo blocco in tempo. – Alza le braccia, prima devo metterti la benda -.

Eric obbedisce senza protestare.
Per fasciare bene la ferita devo far passare la garza attorno alla sua schiena più volte.
Praticamente lo abbraccio, ma non sembra dargli fastidio. A me neppure.

Quando mi rialzo per mettere in ordine l’occorrente da riportare in infermeria, noto il suo sguardo posarsi più volte sulle mie labbra e avverto un brivido lungo la schiena. Chissà cosa gli passa per la testa. Di certo è rimasto sorpreso dal mio bacio, ma cos’altro ha provato?
Disgusto? Piacere? Semplice indifferenza?

Pulisco l’ago sotto il getto del rubinetto, lavo sia la maglietta che l’asciugamano e li appendo alla doccia per farli asciugare.

Mi trattengo in bagno anche più del necessario, nella speranza che l’alcool torni a fare effetto.
L’unica cosa che voglio ora è sgattaiolare via senza che Eric mi noti. La ferita è a posto, lui sta bene, non mi resta altro da fare che tornare al dormitorio, gettarmi sul letto e dormire a oltranza.

Sono stanchissima, mi sembra di avere un peso opprimente sulle spalle. Prima la simulazione, poi l’attacco di Oliver e il suo suicidio, infine il bacio non premeditato con Eric. E non siamo nemmeno a metà pomeriggio! Spero davvero che le sorprese per oggi siano finite: non penso di essere fisicamente in grado di reggerne un’altra, neanche se fosse una delle idee strampalate di Mel!

Scuoto la testa, ben attenta a non guardarmi allo specchio. Mi appoggio al lavandino e osservo le gocce d’acqua che scivolano dolcemente sulla ceramica.
All’improvviso ricordo dove ho già sentito le parole che Eric stava canticchiando poco fa.
Era una delle canzoni della mamma, una delle mie preferite.

Come fa lui a conoscerla?

Ritorno nella stanza a passo di carica, decisa a risolvere il mistero, ma mi fermo sulla soglia del bagno.
Il mio sguardo si intenerisce: Eric ha gli occhi chiusi e respira piano, perfino i tratti del suo viso sembrano meno spigolosi del solito.

Alla fine l’alcool ha ascoltato le mie preghiere!

Faccio per prendere in mano lo scatolone, ma mi accorgo di non volermene veramente andare da quella stanza.
In preda all’indecisione torno verso il letto e mi siedo, ben attenta a non svegliare il Capofazione.

Allungo la mano e gli sfioro una guancia, soffermando per un istante un dito sulle sue labbra.
Se penso che l’ho appena baciato … ancora non riesco a farmene una ragione.
Però mi è piaciuto. Altroché se mi è piaciuto.
Ed è stato solamente un bacio di tre secondi. Chissà come sarebbe se mi baciasse sul serio …

Ok, Zelda. Basta con questi sogni ad occhi aperti. Meglio togliere il disturbo.

Sto per alzarmi in piedi – controvoglia e per l’ennesima volta –, quando Eric emette un gemito.
Rimango immobile per alcuni secondi, nell’attesa che il suo sonno si faccia più pesante, ma, anziché rilassarsi, il suo corpo si contrae come in prenda al dolore e i muscoli del viso si tendono.

Muove appena le labbra, pronuncia qualche parola sconnessa che non riesco a decifrare.

Alla fine, proprio mentre mi sto effettivamente alzando dal materasso, vengo trattenuta dal suo braccio, che mi avvolge la schiena e mi obbliga a sdraiarmi sopra di lui.
Mi stringe dolcemente a sé. La mia vicinanza sembra riuscire a calmarlo, perché il suo respiro si fa più regolare e smette di agitarsi.

Sospira di piacere e le due parole che ora gli sfuggono dalle labbra sono chiarissime. - Non andartene – mormora, sempre ad occhi chiusi.

Fisso il suo volto con sospetto.
Che stia effettivamente dormendo? O è solo un trucco per strusciarsi contro di me?

E chi se ne importa?

Appoggio la guancia nell’incavo della sua spalla e chiudo gli occhi a mia volta.
Dovrei sentirmi in imbarazzo, invece mi sento a mio agio, anche troppo.
Come se avessi appena trovato un posto che stavo cercando da tempo. Il luogo a cui appartengo.

- No, non me ne andrò – sussurro in risposta, con un mezzo sorriso.

Poco prima di cedere al sonno, mi tornano in mente i versi della canzone della mamma.

Io non sono perfetta, ma giuro … sono perfetta per te.









 
 
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Ciao a tutti! Chiedo perdono per il ritardo, ma spero di essermi fatta perdonare …. il bacio tanto atteso è finalmente arrivato!!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate, soprattutto perché il prossimo sarà lo stesso (ma raccontato dal punto di vista di Eric).

Vi piace l’idea? Lo faccio perché io personalmente detesto leggere storie narrate da solo un punto di vista, non si capisce mai cosa provano/pensano gli altri personaggi e la cosa di infastidisce un po’ xD

Alla prossima,

Lizz

p.s. la canzone che dà il titolo al capitolo è dei Five (la boy band della mia infanzia ahaha), mentre quella cantata alla fine è Endlessly dei The Cab ;)

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Capitolo 30
*** Don't wanna let you go (part 2) ***






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Capitolo 29






 

Eric












Credo che l’adrenalina impieghi solamente mezzo secondo a entrarmi in circolo. La vista si fa più lucida, sento i muscoli pronti a scattare.

L’Erudito tiene il braccio disteso davanti a sé, la pistola rivolta nella nostra direzione. Più precisamente, sta mirando al cuore di Zelda.
Non ha esitazioni, non trema neanche un po’. Ha lo sguardo allucinato, folle, è veramente uscito di senno. Stringe appena gli occhi e spara.

Nemmeno io ho esitazioni.
Non mi preoccupo neanche per un istante della mia incolumità, ogni mio pensiero è rivolto alla ragazza che mi sta di fianco.

Zelda è rimasta a fissare Oliver come se la stesse braccando, allo stesso modo di un animaletto che si trova senza preavviso al cospetto di un feroce avvoltoio affamato. Resta immobile ad aspettare il colpo, non fa nulla per schivare il proiettile che si sta dirigendo a tutta velocità verso di lei.

Maledizione!

Non presto ascolto alle urla d’orrore che rimbombano nella grotta.
Mi slancio di lato e afferro Zelda per la vita, buttandola a terra senza troppa delicatezza.
Un’atroce fitta al fianco sinistro mi avverte che non sono stato abbastanza veloce: la pallottola mi ha colpito, sebbene solo di striscio. Farebbe molto più male se mi fosse entrata sotto pelle, lo so per esperienza. Stringo la presa sulla ragazza, mentre invio un muto ringraziamento ai miei ottimi riflessi.

Almeno lei è salva.

Gli occhi di Zelda sono spalancati per la paura, ha il respiro affannoso. – Stai bene? – chiedo, osservando il suo viso con preoccupazione.

Lei ricambia il mio sguardo. Sbatte velocemente le palpebre, come se le avessi fatto una domanda oltremodo complicata e alla fine riesce a mormorare un poco convinto: - Sì, credo di sì -.

Ci fissiamo negli occhi per un interminabile momento, poi la mia attenzione viene attirata da altre urla, questa volta più acute.
Digrigno i denti, mollo la presa su Zelda e mi rialzo in piedi. Il dolore al fianco si acuisce non appena mi muovo: trattengo un gemito e premo una mano sulla ferita. Il sangue ha già iniziato a inzuppare la mia maglietta.

Quanto vorrei averla io quella pistola! Perché non ho mai un’arma a portata di mano quando serve?!
Fisso Oliver con uno sguardo d’odio puro.

Quel dannato iniziato ha davvero avuto il coraggio di premere il grilletto. Non me lo sarei mai aspettato, non lo facevo così impulsivo, o disperato.
L’ho sempre visto come un debole, non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia.
Potrei anche provare pena per lui, se non avesse osato puntare la sua fottuta arma contro Zelda – la mia Zelda, dannazione!
Se avesse cercato di uccidere me, forse sarei riuscito a provare un minimo di pietà nei suoi confronti, o almeno avrei capito il motivo di un gesto così estremo. La lista dei miei nemici è lunga, non sono esattamente l’idolo della maggior parte delle persone che mi circondano.

Ma come si può anche solo pensare di voler far del male ad una persona altruista, buona e gentile come Zelda? Dopo averla conosciuta, nemmeno io mi azzarderei mai a torcerle un capello. Mi vergognerei profondamente di me stesso, non mi darei pace se con i miei modi violenti dovessi metterla in pericolo.
Dal primo giorno, da quando l’ho sentita cantare per la prima volta, Zelda mi ha cambiato.
Lei è stata, è e - lo so per certo - sarà l’unica capace di penetrare la barriera di ghiaccio che custodisce il mio cuore.

Dannazione, Eric! Ma dico, ti sembra il momento adatto per queste riflessioni filosofiche?!
Non hai qualcosa da fare, tipo cercare di fermare quel pazzo squilibrato che ti ha appena ferito?!
Rientra nel tuo ruolo di Capofazione e vedi di restarci!


Oliver, grazie al cielo, comincia a dare segni di cedimento.
Abbassa lentamente l’arma, osservandola con orrore, neanche fosse un insetto ripugnante e velenoso, e la getta a terra con violenza. Poi, inspiegabilmente, si butta sul pavimento a sua volta e comincia ad emettere lamenti strozzati, come se lui fosse solamente una vittima e non un folle bastardo che ha appena terrorizzato mezza fazione e tentato di ammazzare una ragazza disarmata e innocente.

Non lo perdo di vista neanche per un istante. La sua potrebbe essere tutta una recita ben orchestrata, non posso permettergli di cogliermi di sorpresa una seconda volta.
Faccio un cenno alle guardie del Pozzo per invitarle a procedere all’arresto dell’iniziato.
La legge parla chiaro, finirà in carcere a vita. Probabilmente nel reparto psichiatrico.

Con la coda dell’occhio vedo Zelda accennare un passo in avanti e mi irrigidisco.
Anche lei non ha smesso di osservare Oliver, che se ne sta accovacciato su se stesso mentre piange come un bambino.

Prego che non le sia venuto in mente di fare ciò che sto pensando stia per fare.

Zelda non sembra avvertire la mia occhiata ammonitrice, così le prendo il polso prima che possa andare incontro al pericolo di propria iniziativa.
Sarebbe tipico di lei. – Sei impazzita? -. La tiro verso di me d’istinto, ma non smetto di guardare Oliver. La mia voce di fa dura e sottilmente ironica. – Cos’hai intenzione di fare? Aspiri al suicidio? -.

Che non ti venga in mente di avvicinarti a quel bastardo, vorrei aggiungere.
Non pensare neanche di chiedermelo, perché la risposta è no. Assolutamente no, maledizione!

Zelda non replica, ma sento il suo sguardo trapassarmi da parte a parte. Alla fine sono costretto ad incrociare i suoi occhi, seppur riluttante.
So benissimo quanta persuasione possano scatenare quelle iridi infuocate, non voglio dargliela vinta così facilmente.
Questa volta c’è in ballo la sua sicurezza, non un ridicolo braccialetto!

Lei non batte ciglio davanti ad una delle mie collaudate occhiatacce che, di solito, riescono a piegare anche il più coraggioso degli Intrepidi.
Uno sguardo del genere potrebbe ridurre in polvere un intero masso di granito con estrema facilità, eppure non sembra sortire il minimo effetto su questa ragazzina.

Zelda continua a fissarmi intensamente. – Voglio sapere perché l’ha fatto. Ha bisogno d’aiuto – dice in tono fermo e convinto. – Lasciami andare -.

No, la risposta è no. Assolutamente no!

Forse la vera pazza è lei, non quell’Erudito piagnucoloso.
Mi chino in avanti fino a trovarmi a un centimetro dal suo volto. - Te lo puoi scordare! Guardalo, maledizione! Quel ragazzo ha perso del tutto la ragione, potrebbe ammazzarti nel giro di due secondi in preda a un attacco di rabbia. Cosa pensi di fare, andare da lui e offrirgli una spalla su cui piangere? Sai quale sarebbe la sua reazione? Ti stringerebbe entrambe le mani attorno al collo e non mollerebbe la presa finché non ti vedrebbe esalare l’ultimo respiro! -.

Rimango a fissarla per un interminabile momento, poi ricordo - con rammarico - che non siamo soli. La lascio andare controvoglia e mi guardo attorno, nella speranza che nessuno abbia notato la mia, chiamiamola ‘simpatia’ per questa insopportabile, assurda, impulsiva, trasfazione.

Nessuno sta prestando attenzione a noi e al nostro battibecco, tutti gli sguardi sono puntati su quell’imbecille di iniziato che piange e si lamenta come se gli stessimo bruciando le dita dei piedi ad una ad una.

Però! Non sarebbe una cattiva idea…

I miei pensieri spietati vengono interrotti da una mossa fulminea di Zelda, che riesce a scattare in avanti prima che possa trattenerla.
– Maledizione! – sibilo, ma ormai è tardi. Non posso fare altro che rimanere lì immobile ad osservare la scena.

Intanto le guardie si sono posizionate intorno all’iniziato, pronte ad obbedire al mio prossimo ordine.
Quando Zelda si avvicina ad Oliver, con passi lenti e misurati come se avesse davanti un animale selvatico e imprevedibile, loro mi gettano un’occhiata interdetta.
Faccio cenno di lasciarla fare, anche se a malincuore.

Io mi becco un proiettile per salvarle la vita e lei cosa fa? Va a parlare con il pazzo che le ha appena sparato.
Logico e razionale, davvero. Non fa una piega, penso con velenosa ironia.
Ma si può essere così… così …
Dannazione, non riesco nemmeno a concentrarmi a sufficienza per trovare un termine adatto. Il mio cervello è troppo impegnato a calibrare ogni singola mossa di Oliver per prevenire un secondo raptus di follia omicida.

Zelda calcia via la pistola e una delle guardie la prende al volo.
Faccio una smorfia. Almeno le è rimasta una briciola di buonsenso, anche se millimetrica e quasi invisibile.

Oliver toglie le mani dal volto e la guarda ad occhi spalancati, come se si trattasse di un fantasma o di un’apparizione improvvisa.
Anche se tendo le orecchie al massimo non riesco a decifrare le frasi che si scambiano: distinguo solo le spalle tremanti dell’Erudito e il tono morbido di Zelda.
È lo stesso che usa con Ted, quando vuole rabbonirlo.

- Hai tentato di uccidermi, Oliver – dice Zelda a voce abbastanza alta da farsi udire da me.

Provo un’inaspettata vampata di irrazionale gelosia quando la vedo posare le mani sulle spalle del ragazzo.
Si è forse scordata il modo in cui l’ha guardata un attimo prima di premere il grilletto? Il suo sguardo feroce non le ha fatto alcun effetto? Come può trattarlo con tanta gentilezza?

Se qualcuno mi avesse prima minacciato e poi avesse tentato di farmi fuori, avrei quanto meno voglia di fargliela pagare.
Per non dire di peggio! Lei, invece, si limita a chiedergli: - Cosa speravi di ottenere? –.

Oliver impiega qualche minuto a rispondere, ma, quando lo fa, sento un brivido d’orrore percorrermi l’intera spina dorsale.
Mormora qualche parola, poi si protende in avanti e scaraventa Zelda a terra senza tante cerimonie.

- Prendetelo, dannazione! – ringhio ai cinque Intrepidi che scattano all’istante verso di lui.

Per fortuna lo vedo indietreggiare e non aggredire la ragazza.
Se l’avesse toccata di nuovo, anche solo con un dito, avrei dato l’ordine di mirare al suo cuore e fare fuoco.

L’Erudito sfugge agilmente alle guardie e si dirige verso… verso la ringhiera? Che diamine…?

Zelda si alza in piedi ed emette un gemito strozzato.
Molto probabilmente è giunta alla mia stessa conclusione.

Quando Oliver sale sulla ringhiera e si sporge nel vuoto non mi sorprendo affatto.
Le guardie gli intimano di scendere, ma lui non sembra far caso alle loro minacce o alle armi puntate sulla sua testa.
Inclina il corpo all’indietro e si lascia cadere nel baratro, senza emettere un suono.

Dalla folla si sollevano grida isteriche. La maggior parte degli Intrepidi corre verso lo strapiombo, da dove di sicuro possono ammirare il cadavere dell’iniziato in prima fila. Sempre che il torrente non l’abbia già condotto in profondità.

Approfitto dell’assenza di occhi indiscreti per avvicinarmi a Zelda.
Ad ogni passo il dolore al fianco si fa più intenso: il tessuto della maglietta entra in contatto con la pelle lacerata e mi fa stringere i denti.

Hai sopportato di peggio, mi ricorda la voce dell’inconscio in tono aspro.
Anche questo è vero, non posso che darle ragione. Per distrarmi, mi concentro sul profilo di Zelda.

Quando sono a poco meno di due passi da lei, noto che sta tremando.
Faccio appena in tempo a circondarle la vita con le braccia: se avessi agito con un secondo di ritardo sarebbe caduta di nuovo a terra.

Finalmente una reazione normale!

Non mi respinge, anzi si appoggia a me e alza lentamente la testa. I suoi occhi luccicano di lacrime trattenute, quasi mi stessero lanciando una muta richiesta di aiuto. La disperazione racchiusa in quello sguardo mi fa ammutolire, non posso fare altro che rimanere a fissarla, totalmente smarrito.

Cosa diavolo devo fare per consolare una ragazza che ha appena assistito ad un suicidio?!
Sopporto la vista di sangue e ossa spezzate, ma crollo davanti alle lacrime di una donna.
Splendido.
Se non fosse così umiliante per il mio ego, potrei quasi trovare un lato comico in questa situazione.

Tutto il caos creato da questi miei ragionamenti mentali scompare non appena Zelda appoggia la guancia al mio petto.
Quando stringe la stoffa della maglietta tra le dita, provocandomi un’altra fitta di dolore al fianco, sussulto involontariamente.
Ma, invece di allontanarla, la stringo ancora di più a me.
Mi importa poco della ferita, anche se ad ogni respiro mi sembra di avere mille aghi piantati sottopelle.
Voglio continuare a sentire il suo corpo premuto contro il mio, è una sensazione così … piacevole.

Con Josie non è mai stato così. Non ho mai avuto voglia di abbracciarla, né consolarla, né mi sono mai impietosito di fronte ai suoi capricci.
Le altre … hmmm … presenze femminili della mia vita hanno fatto tutte la stessa fine: più le conoscevo, più mi disgustavano.
Non tolleravo la loro vicinanza per più di un minuto e, alla fine, troncavo sul nascere ogni tentativo di rivendicazione nei miei confronti.

Con Zelda è diverso.
Innanzitutto, lei è sostanzialmente diversa da tutte loro.
Non è superficiale, né sciocca, e di certo non prevedibile. Se la tocco, non provo ripugnanza: anzi, voglio sempre di più.
Voglio sentirla sempre più vicina, ho addirittura voglia di baciarla, accidenti! Il che, detto da me, ha dell’incredibile, visto quanto poco sopporti le smancerie da fidanzatini.

Amare significa questo? Diventare uno stupido rimbambito che non riesce nemmeno a pensare ad altro, se non a lei, per un fottuto minuto?!
Ora capisco perché mio padre mi ha sempre detto di starci alla larga. Avrei dovuto dargli più credito.


Senza rendermene conto, comincio a far scorrere le dita tra i capelli di Zelda.
Sono morbidi proprio come avevo immaginato. Non riesco a trattenere un sorrisetto, anche se è del tutto fuori luogo in un momento come questo.

Emetto un leggero sbuffo dal naso.
Io di certo non mi dispererò per la morte di quell’iniziato.
A mio parere, ha fatto un favore alla comunità e anche a se stesso: tra il trascorrere il resto della vita in una cella e farla finita gettandomi da quell’altezza, io personalmente avrei preferito la seconda opzione.

Mentre sono perso in queste amare riflessioni, Zelda si tira indietro di colpo, sciogliendosi dal mio abbraccio come se l’avessi minacciata con una lama affilata.
Trattengo una smorfia di delusione – non ero ancora pronto a lasciarla andare – e alzo un sopracciglio con aria ironica. – Cosa …? – domando, ma lei non mi permette di finire.

Inizia a esaminare il mio torace, con un’espressione concentrata e preoccupata allo stesso tempo.
Sposta il mio braccio e si immobilizza quando nota la chiazza scura che imbratta il tessuto della maglietta.
Rimane a bocca aperta e spalanca gli occhi. – Santo cielo, ti ha … - comincia a dire, ma la interrompo a metà frase tappandole la bocca.

All’improvviso avverto una vampata di furia bruciare tra le tempie.
Scocca dal nulla come una scintilla e rende la mia risposta più dura di quanto vorrei. – Zitta – ordino, fulminandola con un’occhiata.

Non mi importa un accidenti della mia fottuta ferita, sto quasi per gridare.
L’unica cosa che volevo in questo momento, era rimanere tra le tue braccia. È chiedere troppo?!

Infuriato sia con lei che con me stesso per il brusco cambio di umore, mi volto in fretta e mi dirigo a grandi passi verso la mia stanza.
Ora che non ho più il calore del corpo di Zelda che mi fa da anestetizzante, sento la ferita tirare e bruciare come se qualcuno avesse appiccato un incendio proprio sotto la mia pelle.

Dovresti andare in infermeria, mi avverte la voce della ragione in tono saccente.
Come se non lo sapessi.
Solo perché sono innamorato – puah, spero di non dover mai pronunciare queste due parole ad alta voce! – non significa che mi stia tramutando in un completo cretino. O almeno me lo auguro!

Continuo ostinatamente a percorrere il corridoio che va nella direzione opposta, senza badare ai commenti pungenti del mio inconscio.
Nel frattempo mi sto chiedendo se Zelda deciderà di seguirmi, per medicarmi come ha fatto l’altra sera con Ted.
Una parte di me esulta all’idea, mentre l’altra – quella orgogliosa – la respinge con disgusto.

Arranco fino alla porta della mia camera, la chiudo con un calcio e mi lascio ricadere sul letto.
Ho il respiro affannoso e la fronte ricoperta di sudore. Credo di aver preteso troppo da me stesso: in fin dei conti nemmeno io sono invincibile.
Avrei dovuto ascoltare la mia coscienza e lasciarmi condurre in infermeria.
Poi però ripenso all’espressione di Zelda e stringo i denti.

No, ho fatto bene ad andarmene da lì, non permetterò che lei mi veda in questo stato.

Allungo il braccio e apro il secondo cassetto del comodino, tirandone fuori una bottiglia ancora sigillata.
Non so nemmeno cosa contiene – è stato il regalo di Max per la mia nomina a Capofazione e non ho voluto indagare troppo sul contenuto.
Conoscendo i suoi gusti, si tratta di qualcosa di forte, di sicuro abbastanza per far passare il dolore che mi tiene avvinto in una morsa.

Svito il tappo e tracanno qualche sorso. Il liquido trasparente, e all’apparenza innocuo, lascia una scia di fuoco nella mia gola.
Arriccio le labbra: è più forte di quanto mi aspettassi.
Osservo la bottiglia con un sopracciglio inarcato, chiedendomi distrattamente dove Max abbia scovato questo veleno alcolico.

In mezzo alla nuvola di torpore che si sta facendo strada in me, sento distintamente un leggero bussare alla porta.
Rischio quasi di far cadere la bottiglia quando capisco che si tratta di Zelda e mi lascio sfuggire un grugnito di fastidio.

Passano alcuni secondi, ma il mio ostinato silenzio non sembra scoraggiarla come avevo sperato.
Caparbia come suo solito, la trasfazione non si arrende e continua testardamente a colpire lo stipite.

Prima che l’alcool mi faccia perdere del tutto l’uso della ragione, mi decido ad articolare una risposta sufficientemente ostile. – Vattene! – tuono, per poi venire assalito da una vertigine che mi obbliga a gettare di nuovo la testa sul cuscino.

Non toccherò mai più un regalo di Max, lo giuro.

La voce di Zelda si fa più indistinta. – Per favore, fammi entrare – replica, non smettendo di prendere a pugni l’acciaio della soglia.
Dopo pochi secondi, il suo tono sale di alcune ottave. Scandisce le parole con colpi sempre più forti. – Dannazione, Eric! Apri. Questa. Maledetta. Porta. –.

Imprecando tra me, mi decido ad alzarmi per farla entrare.
Sempre meglio che sentirla sbraitare come un’isterica fuori nel corridoio.
Fortunatamente il mio senso dell’equilibrio tiene testa all’alcool: arrivo incolume fino alla porta e la spalanco di scatto.

Zelda fa un passo indietro e mi guarda indignata. Ne ha tutte le ragioni – ho quasi rischiato di colpirla in faccia.
La situazione mi appare sempre più divertente, credo ci sia di mezzo lo zampino del regalo-misterioso-ma-letale-di-dubbia-provenienza.
Devo combattere contro una risata che si sta facendo strada nella mia gola per conservare la mia espressione di pietra.

Rientro nella stanza a passo malfermo, spero che lei non se ne accorga.
Mi butto di nuovo sul letto e rimango ad osservarla mentre si guarda attorno con stupore.

Cosa pensava di trovare nella mia camera, macchine medioevali per le torture?
Armi di ogni tipo incastonate nelle pareti? Un cappio appeso al soffitto?


Trovo l’ultima opzione stranamente divertente.
Devo avere proprio un senso dell’umorismo perverso se l’idea di un nodo scorsoio minaccia di farmi scoppiare a ridere.
Ma molto probabilmente la colpa è dell’alcool che mi sta scorrendo nelle vene.

Zelda accenna ad un sorriso quando nota la sagoma che funge da bersaglio appesa alla parete e io sorrido a mia volta.
Mi affretto a bere un altro sorso. Preferisco di gran lunga quest’allegria forzata al senso di umiliazione che di certo proverei se fossi sobrio.

La ragazza smette di guardarsi attorno con meraviglia e appoggia uno scatolone sopra la mia scrivania.
Come ho fatto a notarlo solo adesso?

Scuoto la testa.
Com’era quel detto? ‘In alto i bicchieri, giù i pensieri’?
O era il contrario? Ma come fa un ubriaco a capire la differenza tra su e giù?!

Tutto sembra ruotare attorno a me, vedo le pareti allargarsi e restringersi.
Mi massaggio le tempie, cercando – invano – di resistere al torpore.

Mi concentro sui movimenti di Zelda e sul contenuto dello scatolone allineato sopra al ripiano.
Quando si volta per lanciarmi una breve occhiata – forse per assicurarsi che io sia ancora nel pieno delle mie facoltà mentali – io ricambio corrugando le sopracciglia.
– So cosa vuoi fare – esclamo, con un tono divertito che sembra coglierla di sorpresa. – E la mia risposta è no -.

Zelda rimane un attimo interdetta, poi mi squadra da capo a piedi, fino a soffermarsi alla bottiglia appoggiata al mio fianco.
L’occhiata di disapprovazione che mi lancia potrebbe ridurmi in cenere all’istante.
Si avvicina a me lentamente, come se fossi una pantera scappata da una gabbia e lei avesse il compito di addomesticarmi.
Cerca di sfilare la bottiglia dalla mia presa, ma i miei riflessi – seppur appannati dai fumi dell’alcool – rimangono più pronti dei suoi.

– Niente da fare, piccola – ribatto, mentre tracanno un altro generoso sorso.
Forse, dopotutto, inizio ad apprezzare i regali, chiamiamoli ‘singolari’, di Max.
Appoggio la bottiglia sul comodino e torno a posare gli occhi su Zelda.
Sento le labbra schiudersi in un sorriso. È sempre stata così bella?

Come diavolo ho fatto a non buttarmi ai suoi piedi non appena è scesa da quel treno?

L’alcool mi fa dimenticare qualsiasi prudenza, elimina ogni mia paranoia o inibizione. Incrocio le braccia dietro la testa e socchiudo le palpebre. – Allora, bellezza, posso esserti utile? – chiedo, con un tono malizioso che fatico a considerare come mio.

Incredibilmente, anche Zelda assume un’aria divertita: sembra stia facendo di tutto per non scoppiare a ridere.
Dopo un momento alza una mano e riprende un’espressione seria, come se si stesse preparando a farmi la predica.
Già mi immagino cosa sta per dire …

– Devo toglierti la maglietta –.

Ok, mi aspettavo tutto tranne questo.

Alzo le braccia con un sorrisetto. – Ai tuoi ordini –. Tu puoi spogliarmi quando vuoi, piccola.

Zelda mi sfila la maglia, ben attenta a non toccarmi il fianco, e poi si avvia verso il bagno.
Ritorna un minuto dopo con un’espressione determinata sul volto.
Prende qualcosa dallo scatolone e, alla fine, si siede sul letto accanto a me. Inizia a passare del cotone umido sul taglio, riconosco l’odore pungente del disinfettante. Non sento alcun dolore, per cui ringrazio mentalmente quell’intruglio dall’alta gradazione alcolica.

Sento una melodia frullarmi in testa e, prima che il cervello possa impedire alla mia bocca di aprirsi, comincio a cantare sottovoce.

…l’inchiostro può macchiare la mia pelle, i miei jeans possono essere strappati. Io non sono perfetto, ma giuro …

Zelda non sembra far caso a me e alla mia improvvisa vocazione canora.
Finisce di medicare la ferita e poi afferra un astuccio di pelle dalla tasca dei pantaloni. Cerco di ricordare dove l’abbia già visto, mi è familiare.

Alla prima puntura dell’ago tutti i muscoli del mio addome si tendono.
In una frazione di secondo torno perfettamente lucido, come se mi avessero tirato un pugno allo stomaco.
Sbatto le palpebre per mettere a fuoco il volto della ragazza e digrigno i denti. – Che diavolo…? – sbotto, fissando l’ago che lei tiene tra le dita come se fosse un’arma mortale. – Mi sembrava di averti detto di andartene! Vattene, trasfazione, e lasciami in pace! -.

Zelda resta spiazzata dalla mia veemenza, ma si riprende in fretta e cerca di avvicinare di nuovo l’ago alla mia pelle.

La allontano come posso: anche se sono furioso, non le farei mai del male. In fondo sta solo cercando di aiutarmi, soccorrere le persone sembra essere la sua vocazione, la sua natura.

Solo che io non voglio essere aiutato, tanto meno da lei!

Ringhio e minaccio senza sosta e, alla fine, Zelda lascia ricadere la mano che stringe l’ago.
Mi sto già gustando la vittoria, quando lei si china su di me senza darmi il tempo di indovinare le sue intenzioni.
Solo quando appoggia delicatamente le sue labbra sulle mie, mi accorgo di star trattenendo il respiro.

Non ricordo più cosa stavo facendo fino a un istante prima.

La scarica di adrenalina che ho avvertito quando Oliver ha premuto il grilletto è niente in confronto a ciò che sto provando adesso.
Il dolore al fianco è un ricordo lontano: sento solo un piacevole calore irradiarsi nelle mie vene, un dolce formicolio che parte dalle labbra e arriva fino ai polpastrelli.

Gli occhi di Zelda sono a un centimetro dai miei, altrettanto increduli e confusi, come se si fosse resa conto del suo gesto solo dopo averlo compiuto.

Dopo pochi, troppo pochi, secondi si allontana, ed io avverto una spiacevole sensazione di gelo.
Sto quasi per protendere la mano per attirarla di nuovo a me, ma mi accorgo che i muscoli non rispondono ai miei comandi.
Evidentemente sono troppo scioccato, o troppo ubriaco, per cui lascio perdere.

Zelda si alza in piedi e mi fissa con le mani sui fianchi.
Sbaglio, o è leggermente affannata?
Il mio ego esulta, anche se sono pienamente consapevole che è stata lei a baciarmi.

- Forse adesso la smetterai di blaterare – esclama, in tono deciso. – Sto solo cercando di aiutarti, maledizione! Lasciami finire, poi potrai tornare a sbronzarti come un … un … -.

Non termina la frase: scrolla la testa e riprende in mano l’ago.
Non ha tutti i torti, dovrei essere felice che si preoccupi a tal punto per me. Avrebbe potuto far finta di nulla e lasciarmi qui a morire dissanguato.
D’accordo, forse questo pensiero è stato un po’ troppo melodrammatico, ma posso sempre dare la colpa all’alcool.

Lancio un’occhiata alla bottiglia che luccica debolmente sotto la luce della lampada. – Un pirata? – mi lascio scappare, ripensando alle storie che leggevo da piccolo.

Zelda non stacca gli occhi dai punti di sutura. – Come? -.

Mi sento un vero demente, ma tento ugualmente di spiegarmi. - Non erano i pirati quelli sempre ubriachi? Quei tizi che vivevano sui vascelli e derubavano i passeggieri delle altre navi? -.

Il mio cuore manca un battito quando vedo le sue labbra aprirsi in un sorriso. – Sì, hai ragione – commenta lei, con un lieve cenno del capo.

Ho le allucinazioni? Per caso mi ha appena dato ragione?
Prendi nota, Eric, e gustati il momento. Non sentirai mai più quelle tre parole uscire dalla sua bocca.

Zelda fa una breve risata, come se avesse sentito i miei pensieri.
Corrugo le sopracciglia, perplesso. - Cosa ho detto di così divertente? -.

- Niente – replica lei, mentre termina il suo lavoro di infermiera. – Sono solo stupita che tu conosca quelle storie -.

Per chi mi ha preso, per un stupido ignorante?
Ho letto più libri di qualsiasi altro Erudito e il mio quoziente intellettivo è molto superiore alla media. – E perché, non dovrei? –.

Zelda risponde con una strizzata d’occhio, facendomi perdere il filo del discorso per l’ennesima volta. – Allora, Eric il Pirata, come ti senti? Non è stato così tremendo, vero? Dovresti avere più fiducia nelle mie capacità -.

Abbasso lo sguardo sulla ferita, fingendo che le sue attenzioni non mi facciano sentire lusingato e eccitato come un bambino che assaggia il cioccolato per la prima volta. Anche se, trattandosi di Zelda, questa non è esattamente la metafora migliore.

Allungo la mano per tastare i punti, ma lei mi blocca l’arto a mezz’aria. – Alza le braccia, prima devo metterti la benda – ordina con aria esasperata.

Mi stringo nelle spalle e faccio come dice.
Zelda prende una lunga garza bianca e me l’avvolge attorno alla schiena più volte, per assicurarsi che il fianco sia ben coperto.

Ad ogni giro di benda, sento il suo respiro sfiorarmi la pelle come una carezza.
Devo far uso di tutto il mio autocontrollo per non gettarmi su di lei e continuare il bacio da dove ci siamo interrotti.

Una volta terminata la fasciatura, lei si concede un sorriso soddisfatto. Io mi limito a fissare le sue labbra come ipnotizzato.

Sparisce oltre la porta del bagno per quella che mi sembra un’eternità.
Mi metto comodo e chiudo gli occhi con un sospiro. Scivolo immediatamente in una specie di dormiveglia, dal quale riemergo solo quando avverto il lieve tocco di Zelda.

Fa scorrere un dito lungo la mia guancia, poi sulle mie labbra, dove esita qualche istante.
Rimango assolutamente immobile, fingendo di dormire. O magari è tutto un prodotto della mia mente, chi può dirlo?
Un sogno sciocco dal quale, però, non ho intenzione di svegliarmi.

Tengo gli occhi ostinatamente chiusi, anche quando il materasso cigola debolmente, avvertendomi che Zelda si sta allontanando.

Questa volta non ti lascerò scappare.

Emetto un gemito di protesta e il mio braccio di alza di propria volontà, circondandole la vita e obbligandola a sdraiarsi sopra di me.
Il mio corpo si rilassa subito a contatto col suo. – Non andartene – mormoro, ed è quasi una supplica.

Per tutta risposta, Zelda posa la guancia contro il mio petto e sospira.
La sento pronunciare poche parole, ma sono le più piacevoli e rassicuranti che abbia mai udito. – No, non me ne andrò -.

Suona quasi come una promessa.
Quanto vorrei che lo fosse.











- - - - - - - - - - - - - -
Ciao a tutti!! Il punto di vista di Eric ha richiesto un lavoro immane, ma sono piuttosto soddisfatta del risultato.
E’ più lungo del capitolo precedente perché mi sentivo particolarmente ispirata e infatti si possono notare parecchie riflessioni … mi sono anche divertita a scrivere pensando come un ubriaco ;)

voi che ne pensate? Vi è piaciuto? O era troppo sdolcinato per gli standard di Eric?
Colpa del mio lato romantico che sta risalendo in superficie ahaha


Ho anche una nuova idea, una piccola sorpresa per i fan di questa coppia ;) la renderò pubblica verso la fine della storia, altrimenti c’è il rischio di spoiler ;)

(per inciso, la mia idea era di scrivere una trentina di capitoli, invece dubito di riuscire a finire entro i 40, molto bene)

Ancora una volta, ci tengo a ringraziare chi recensisce (cosa farei senza di voi?? Vi amo),
chi legge in silenzio (vi capisco, anche io non ho molto tempo da dedicare alle recensioni, ma vi chiedo comunque un piccolo commento *occhi da Bambi*, comunque sia, vi adoro lo stesso!),
chi ha messo la storia nelle preferite/seguite/ricordate. Un grazie immenso, mi fate felice!!! :’)


A presto,

Lizz

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Capitolo 31
*** For your entertainment ***






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Capitolo 30





 

Zelda





Apro lentamente le palpebre, per godere il più a lungo possibile della sensazione di torpore che il sonno mi ha gentilmente donato.

Non ricordo con precisione cosa stavo sognando, ma doveva essere qualcosa di veramente piacevole perché, quando mi sveglio del tutto, sorrido beata.
Era da tanto che non dormivo così bene. Quando vivevo con i miei fratelli avevo imparato a rimanere vigile anche mentre mi trovavo nel mondo dei sogni: scattavo in piedi al minimo rumore, terrorizzata dal fatto che potessero architettare qualche scherzo ai miei danni anche nel bel mezzo della notte.
Era successo poche volte, ma non avrei dato loro la sensazione di cogliermi impreparata. Di nuovo.

Sospiro e mi stiracchio leggermente, alzando le braccia sopra la testa e strizzando gli occhi per mettere a fuoco il dormitorio.
Mi aspetto di sentire i rimproveri di Mel da un momento all’altro (‘Zelda, smettila di poltrire a letto, dobbiamo andare a fare shopping!’), invece il silenzio è pressoché assoluto, interrotto solo da un respiro sommesso a poca distanza da me.

Strano, non avverto nemmeno il leggero russare di Felix, o i bisbigli di Leslie e Xavier che bisticciano di frequente, a causa della spiccata capacità del ragazzo di barare ogni volta che giocano a carte.

Quando metto finalmente a fuoco la stanza, la realtà mi colpisce come un pugno nello stomaco.

Spalanco gli occhi di colpo e scatto a sedere. Gli avvenimenti della giornata si sovrappongono gli uni sugli altri, vorticano nella mia testa in modo confuso, ma la scena avvenuta nel Pozzo mi scorre davanti come un film, precisa, nitida e terrificante.

Stringo con forza il lenzuolo candido e lo premo contro la bocca per impedirmi di emettere un gemito d’orrore.
Non so se la sensazione di disperazione che mi invade da capo a piedi sia dovuta al suicidio di Oliver, di per sé già tragico, o al fatto che non sia riuscita a impedirgli di togliersi la vita.

Il senso di colpa mi mozza il respiro in gola e non riesco a trattenere un singhiozzo. Sento le lacrime bagnarmi le guance e scendere fino al mento, prima che mi decida ad asciugarle col dorso della mano.

Non so nemmeno perché sto piangendo. Dovrei essere felice di essere uscita viva da quell’assalto ingiustificato e che il colpevole non possa più farmi del male.
Invece mi sento svuotata, impotente, con un macigno al posto del cuore.

Un altro gemito mi esce dalle labbra senza che possa farci nulla. Ho solo bisogno di sfogarmi, ne ho viste troppe da quando sono qui. Piangere non è sinonimo  di debolezza, significa solo che sono ancora capace di provare sentimenti, che sono ancora umana.

Stringo i denti e mi strofino gli occhi con le dita, mentre cerco di riprendere a respirare in modo normale.

Lancio una veloce occhiata alla mia sinistra, dove riposa un corpo caldo e muscoloso, a cui sono stata avvinghiata per la maggior parte del tempo durante il sonno.
Non che la cosa mi sia dispiaciuta, mi guardo bene dal lamentarmi.

Eric dorme profondamente, grazie al cielo non ha assistito alla mia pietosa perdita di autocontrollo.
E’ sdraiato sulla schiena, il lenzuolo lo ricopre a malapena, lasciandomi la possibilità di ammirare ampi scorci di pelle tatuata e tonica. Gli addominali scolpiti sono coperti dalla spessa fasciatura che gli ho praticato poco fa – o ore fa, non so nemmeno per quanto tempo ho dormito.

Mi sporgo dalla sua parte per dare un’occhiata alla sveglia e mi sorprendo nel constatare che sono le otto di sera passate.
Ho dormito tutto il pomeriggio in camera sua!
Se qualcuno dovesse scoprirlo potrebbe essere molto imbarazzante, specialmente se con ‘qualcuno’ si intende Mel!

Sbuffo e passo una mano nella massa arruffata che identifico come i miei capelli.
Nonostante tutto, non voglio davvero andarmene da questa stanza. Qui per qualche ora mi sono sentita al sicuro, e il merito va senz’altro alla presenza di Eric.

E alle sue braccia che ti stringevano, non dimentichiamolo!

Arrossisco ripensando al bacio che gli ho dato e al tono tenero con cui lui mi ha chiesto di rimanergli accanto. Certo, era ubriaco e gli avevano appena sparato … non c’è da sorprendersi se si sentisse un minimo confuso.

Sorrido involontariamente e rimango un bel pezzo a fissarlo.
Mentre dorme i tratti del suo volto si fanno meno spigolosi, perde la sua tipica aria di sufficienza e superiorità, assomigliando meno al rigido Capofazione degli Intrepidi e più al ragazzo diciassettenne che dovrebbe essere.

La tentazione di toccarlo è forte, troppo forte.
L’elettricità che sento vibrare in mezzo a noi quando ci sfioriamo ora è concentrata al massimo, non fa che spingermi verso di lui e devo fare un enorme sforzo per resisterle.

Attrazione fisica.
Deve essere così, non riesco a spiegarla in altro modo.

Il mio corpo è attirato dal suo, come se lo riconoscesse, come se lo stesse aspettando da tempo, come se sapesse perfettamente che è destinato a me.

Di che mi stupisco? È ovvio che mi senta attratta da lui anche fisicamente.

All’inizio mi sono innamorata del suo carattere, così simile al mio, eppure così diverso allo stesso tempo.
Mi piace anche il suo modo di fare, sebbene a volte sia eccessivamente crudele e quasi privo di tatto e sensibilità. Quasi.

Non posso certo dimenticare le innumerevoli volte in cui si è precipitato in mio soccorso: ha cercato di tranquillizzarmi quando eravamo prigionieri in quell’ascensore, si è messo in mezzo per difendermi dai miei fratelli, si è deliberatamente esposto per salvarmi dalla pazzia di Oliver, beccandosi come premio un colpo d’arma da fuoco ...

Sbatto le palpebre e inclino il capo da un lato.
Mi rendo improvvisamente conto che Eric ha un lato gentile … e che lo tira fuori solo quando è con me.
Non credo che sarebbe corso in difesa di Xavier, o Leslie, o qualsiasi altro iniziato. Forse, a suo modo, anche lui tiene a me.

Il pensiero mi rende felice e cancella l’angoscia che mi attanagliava fino a pochi attimi prima.
So bene che non devo farmi illusioni, che molto probabilmente Eric non ricambierà mai i sentimenti che ormai mi legano a lui, ma non posso impedire ad un raggio di speranza di farsi largo nel mio cuore.

Mi concedo di restare in contemplazione del suo volto per altri cinque minuti, poi mi armo di forza di volontà e mi alzo dal letto, cercando di fare meno rumore possibile.

Entro in bagno e chiudo delicatamente la porta alle mie spalle.
Mi piazzo davanti allo specchio e cerco di dare una sistemata ai miei capelli: la lotta dura circa dieci minuti e termina con la sconfitta della sottoscritta.

Sospiro esasperata e li lego in una spessa treccia, che mi ricade sulla spalla sinistra.
Mi sciacquo il viso con l’acqua fredda, per eliminare le ultime tracce di lacrime. I miei occhi rimangono rossi e lucidi, ma decisamente meno gonfi.
Concedo alla mia immagine riflessa un sorriso mesto, prima di voltarmi e tornare nella stanza.

Non riesco nemmeno a fare un passo, mi immobilizzo sulla porta del bagno e trattengo il respiro.
Eric è appoggiato con la schiena alla testiera del letto e mi squadra con i suoi occhi di ghiaccio, inarcando appena le sopracciglia chiare. – Zelda – mi saluta, con un impercettibile cenno del capo.

Non riesco a decifrare il suo tono di voce. Pare una via di mezzo tra perplessità e ironia, con l’aggiunta di un pizzico di incredulità.

Mi impongo di continuare a guardarlo negli occhi. Non arrossire, maledizione, non arrossire.
Visto che il mio corpo non risponde agli ordini del mio cervello come vorrei, abbasso lo sguardo a terra e mi tormento le mani in preda al nervosismo. – Io … ecco … - balbetto, senza sapere cosa dire.

Quando prendo coraggio e torno a fissarlo, Eric ricambia con un’occhiata preoccupata. Si sofferma sui miei occhi e stringe le palpebre. – Cos’è successo? Stai bene? – chiede, mentre cerca di alzarsi dal letto. Il movimento repentino lo fa gemere e diventare ancora più pallido.

Muovo qualche passo verso di lui.
Mi accorgo che sulla sua fasciatura si sta allargando una macchia cremisi e l’imbarazzo si dissolve di colpo.

Appoggio le mani sulle sue spalle, intimandogli con un’occhiata di darmi retta.
Eric emette uno sbuffo seccato, ma asseconda i miei ordini senza protestare, docile come un bambino. Non è da lui.
Forse il mio assalto di poche ore fa l’ha terrorizzato e ha paura che lo baci di nuovo a tradimento. Il mio orgoglio scricchiola come una lastra di ghiaccio calpestata con forza.

Stringo i pugni. Beh, non deve preoccuparsi. Non succederà più.

Lo faccio stendere sul letto e gli sistemo il cuscino dietro la testa. – Devo cambiarti le bende e dare un’occhiata ai punti – dichiaro, evitando di guardarlo in faccia. Afferro lo scatolone con i pezzi di benda avanzati e lo stringo tra le braccia. – Muoviti il meno possibile, devi dare alla ferita il tempo di cicatrizzarsi o tornerà a sanguinare -.

Quando pronuncio l’ultima parola, la mia mano è già sulla maniglia della porta che conduce nel corridoio.

Lo sento sospirare. – Zelda … – comincia, ma io lo interrompo con un gesto della mano.

– Tu resta fermo. Torno tra poco –.

Detto ciò, apro la porta e sparisco nel tunnel.








 
* * *





 

Eric






Resto immobile per alcuni minuti, con lo sguardo puntato sulla porta che Zelda ha appena varcato.

Mi lascio scappare un grugnito di fastidio e mi passo una mano sul viso, nel vano tentativo di rimettere in ordine i pensieri.

Quando mi sono svegliato – mezzo intontito, ancora vittima delle conseguenze della sbronza - ho allungato automaticamente il braccio verso l’altra parte del letto, alla ricerca delle pelle morbida, calda e profumata di Zelda.

Volevo toccarla e assicurarmi che fosse rimasta al mio fianco come aveva promesso. Temevo si trattasse di un altro dei miei sogni sciocchi, specialmente quando la mia mano non ha trovato altro che un lenzuolo spiegazzato al posto della ragazza.
Ho aperto gli occhi di colpo, tornando lucido in mezzo secondo.

Tutto quello che riuscivo a pensare era: No, no, NO! Dove diavolo è lei? Dov’è …?

I ragionamenti razionali sono andati a farsi fottere, mentre stringevo tra le dita la stoffa ancora tiepida del lenzuolo, segno che Zelda aveva veramente dormito accanto a me. Non me l’ero solo immaginato.

Ho cercato di alzarmi dal letto, stringendo i denti a causa delle fitte di dolore che mi squarciavano l’addome, ma non ho fatto in tempo a mettermi seduto che la porta del bagno si è spalancata.

Il panico irrazionale che mi aveva stretto in una morsa è svanito del tutto non appena ho incrociato quegli incredibili occhi color ambra.
Ero talmente sollevato che per poco non scoppiavo a ridere.

Non ho idea di quale fosse la mia espressione in quel momento. So solo che dopo avermi guardato in faccia, Zelda è arrossita di colpo e ha abbassato lo sguardo a terra.

La stavo mettendo in imbarazzo? Beh, di certo il mio comportamento stravagante di quella mattina non era passato inosservato.
E poi avevamo dormito insieme … ok, meglio non pensarci.

Ho cercato di concentrarmi su qualcos’altro e lo sguardo è caduto – ovviamente – sul volto di Zelda.
I capelli le ricadevano su una spalla, lasciandomi libero di esplorare i suoi tratti a mio piacimento. Ho aggrottato le sopracciglia quando mi sono soffermato sui suoi occhi.

Non si era ancora decisa a incrociare i miei, ma si intravedeva comunque un leggero rossore, sia sulle palpebre che sugli zigomi oscurati dalla cortina di ciglia scure. Aveva … pianto? Perché? Per colpa mia? Dovevo saperlo o sarei impazzito.

– Cos’è successo? Stai bene? – sono riuscito ad articolare, prima di far forza con le braccia per tentare di alzarmi da quel maledetto letto.
Mi sono lasciato sfuggire un gemito e ho stretto i denti talmente forte da portarli al punto di rottura.

Almeno tutto quel dolore è stato ripagato.
Zelda ha spalancato gli occhi, allarmata dal mio movimento brusco e mi è corsa incontro, ordinandomi di rimettermi sdraiato.

Non ero mai stato più felice di obbedire ad una donna, mi sono trattenuto a stento dal ghignare.

Tuttavia Zelda non ha mostrato di apprezzare troppo la mia remissività. Al contrario, ha serrato le labbra come se l’avessi insultata e ha continuato ad evitare il mio sguardo. Mi ha intimato di rimanere sdraiato e ho capito dal suo tono che era arrabbiata con me. Ma perché? Perché l’avevo convinta a rimanere a dormire con me?

Senza lasciarmi il tempo di formulare la domanda, lei si è scostata e si è avviata verso la porta.
Ho tentato di richiamarla indietro, ma mi ha impedito di terminare la frase con un gesto seccato della mano.

– Tu resta fermo. Torno tra poco –, ha detto in tono fermo e mi sono sentito gelare.

Dove diamine stai andando?, avrei voluto urlare. Resta con me, dannazione!

Tiro un feroce pugno al cuscino e impreco.

Cosa credevi, Eric? Che sarebbe rimasta tra le tue braccia come se niente fosse? Apri gli occhi: non hai mai fatto nulla per avvicinarla, anzi l’hai trattata da schifo spesso e volentieri, nonché  respinta ogni volta che tentava di fare un passo verso di te.
Potrai anche aver ammesso a te stesso di esserti innamorato di lei, ma Zelda è ancora ignara di tutto.


Per una volta concordo con la voce della coscienza senza lamentarmi della sua invadenza.
Dovrei davvero trovare il coraggio di confessare i miei sentimenti, ma ho paura.
Ho una paura fottuta che Zelda mi respinga e mi dica di sparire, o peggio che mi rida in faccia.

So che probabilmente è troppo gentile per farlo, ma non posso impedire a questi scenari terrificanti di formarsi nella mia mente.

Però mi ha baciato. Dovrà pur significare qualcosa, no?
Da quel che ho potuto notare, non è certo il tipo di ragazza che salta addosso al primo che passa.
L’ha fatto solo per distogliere la mia attenzione dalla medicazione o perché anche lei è attratta da me?

Sbuffo seccato e mi prendo la testa tra le mani.
Sto ragionando come uno sciocco ragazzino alla prima cotta, e credo proprio che gli effetti della sbornia non mi aiutino molto a mantenere un minimo di razionalità.

Emergo dalle mie riflessioni solo quando sento un colpo alla porta.
Il mio stomaco si contrae e boccheggio. Che sia Zelda? Non sono ancora psicologicamente pronto per affrontarla.

Credevo fossi un rispettato Capofazione e non un cretino patentato.
Ti imploro, Eric, torna in te. Sei uno spettacolo a dir poco imbarazzante.


Alzo gli occhi al cielo. Non mi mancavano affatto gli insulti gratuiti del mio inconscio.

Mi schiarisco la voce. – Avanti – esclamo, tentando di mantenere la voce ferma e ignorare le capriole del mio cuore.

Quanta fatica inutile.

– Ciao, Eric – cinguetta Josie, avanzando con la sua andatura ancheggiante dentro la stanza.

La delusione che provo deve essere evidente, perché lei batte le palpebre un paio di volte. – Aspettavi qualcun altro? – chiede, dopo aver dato una veloce occhiata al mio letto sfatto.

Devo ammettere che quando vuole può addirittura essere perspicace.
Anche le oche hanno un cervello, dopotutto.

- Cosa vuoi? – sbotto, assottigliando gli occhi.
Avrà incrociato Zelda nel corridoio? Avrà capito che era appena uscita da camera mia? Spero di no.
Quando ci si mette, Josie diventa una vera arpia.

Un mese fa ha quasi preso per i capelli una ragazzina Intrepida che aveva commesso il grosso errore di guardarmi un istante di troppo.
Se non fossi intervenuto, l’avrebbe di certo massacrata.

Faccio una smorfia. Meglio se gira alla larga dalla mia trasfazione.
Non tollero scenate di gelosia, specialmente se immotivate. Ci siamo divertiti, punto. Ora è finita.
Non stiamo insieme, non ha alcun diritto di considerarmi una sua proprietà.
Cosa diavolo devo fare per farglielo capire?!

Josie scuote i capelli e si siede sul mio letto senza aspettare un invito. – Mi sei mancato, Eric – dice, mentre mi accarezza languidamente un braccio. Fisso la sua mano con disprezzo, ma lei non sembra farci caso. – Ti va di fare qualcosa insieme, questa sera? -.

Insieme, non credo proprio.

Se ripenso che pochi giorni fa lei ed io eravamo in questa stessa stanza, nudi su questo letto, mi sale la nausea.
Avrei dovuto bruciare le lenzuola – come una sorta di rito scaramantico per togliermela dai piedi - invece di gettarle semplicemente in lavanderia.

Josie si china verso di me, sempre in attesa di una risposta.

- A dire il vero c’è qualcosa che potresti fare per me – replico, con un sorrisetto.

Lei pare sorpresa dal mio tono affabile e spalanca gli occhi quando avvicino il mio viso al suo, come se stessi per baciarla.
Vedo un lampo di trionfo nei suoi occhi, prima che li chiuda per aspettare il contatto delle nostre labbra.

Che non avverrà mai. Al solo pensiero rabbrividisco di repulsione.

Attendo qualche secondo, finché non si decide a riaprire le palpebre.
Mi guarda, confusa e spazientita e non posso trattenere un ghigno perfido.
Cerco di riassumere tutto il disgusto che mi provoca la sua presenza con una semplice parola e funziona, perché Josie rimane di ghiaccio.

- Sparisci –.








 
* * *





 

Zelda






Percorro lo stretto corridoio che conduce alla mensa a passo di carica, conscia di avere un’espressione risoluta e incendiaria dipinta in faccia.

Le poche persone che incrocio – perlopiù giovani Intrepidi che giocano a rincorrersi – si scostano al mio passaggio come se intuissero che non è proprio il momento giusto per sbarrarmi la strada.

Sono furiosa e non so perché. Cioè, so benissimo perché, ma il mio orgoglio si rifiuta di ammetterlo.

Sono uscita dalla stanza di Eric prima di lasciarmi sfuggire qualche frase compromettente del tipo ‘Se baciarmi ti ha fatto così schifo, basta dirlo’.
Non voglio fare la figura della ragazzina capricciosa e in preda agli ormoni, specialmente davanti a lui.

Spalanco la doppia porta della sala con entrambe le mani. La mensa è deserta, la cena si è conclusa da un pezzo e i tavoli sono vuoti, giù ripuliti dei piatti e degli avanzi di cibo.

Sospiro e mi avvio in direzione delle cucine, accompagnata dalle rumorose proteste del mio stomaco affamato.

Prima che possa spingere la porta a vento, questa si spalanca e per un soffio non mi colpisce il naso. – Ehi – protesto, indignata, fulminando con un’occhiata l’Intrepido che ne è uscito.

La sua faccia mi è familiare, ma non riesco a collegarla ad un nome. Forse è un Capofazione?
È abbastanza alto, moro, con i capelli lunghi fino alle spalle. Spalanca gli occhi quando si rende conto della mia presenza. – Scusa, non ti avevo vista – esordisce, in tono piatto, per nulla mortificato. Mi squadra da capo a piedi, soffermandosi sui miei avambracci. – Carini – commenta, indicando i tatuaggi con un dito.
Non sembra nemmeno un complimento detto in quel modo, per cui non replico.

Faccio per superarlo ed entrare in cucina, ma lui mi afferra un braccio. – Fammi indovinare, vorresti sgraffignare del cibo? Spiacente, ma agli iniziati non è permesso intrufolarsi in cucina -. Lo fisso, infastidita, e lui ricambia con uno sguardo severo.

Due secondi dopo, i suoi lineamenti si ammorbidiscono e scoppia a ridere. – Rilassati, stavo scherzando – esclama, mollando la presa sul mio polso. – Non proprio del tutto, però. E’ veramente vietato rubare cibo di nascosto -.

Apre la porta con una mano e si volta appena per farmi l’occhiolino. – Però io sono un Capofazione e non mi faccio scrupoli. Aspettami qui, faccio in un attimo -.

Detto questo, si fionda in cucina, lasciandomi lì impalata e abbastanza perplessa.
Torna dopo pochi minuti con una scatola di plastica piena di tramezzini e me la porge, accompagnando il gesto con uno sguardo malizioso. – Appuntamento romantico in programma? – chiede, facendomi avvampare.

- No, no – mi affretto a rispondere. – Un mio … compagno sta male e non ha potuto cenare. Mi sto occupando di lui, tutto qui -.

Sembra sbalordito. – Ah, capisco. Mi dispiace, credevo … -. Scuote la testa e mi porge la mano. – Sono James, piacere -.

Che cosa?! Stronco sul nascere qualsiasi pensiero positivo nei suoi confronti.

- Zelda – ribatto, in tono aspro, ignorando la sua mano tesa. – Tu sei quel James che ha permesso a Ted di giocare con i coltelli -.

Non è una domanda, ma lui annuisce. E arrossisce leggermente. – E tu sei la trasfazione che ha riparato alla mia mancanza di giudizio -. Fa un sorriso dolente. – Ted è molto affezionato a te, sai? Parla sempre di quanto sei coraggiosa, forte e determinata … credo che fra un po’ ti chiederà di sposarlo -.

Non posso impedirmi di sorridergli. - Ne riparleremo quando avrà la mia età – dichiaro, mentre recupero lo scatolone dell’infermeria e ci ficco dentro il contenitore con i tramezzini. – Grazie, anche a nome del mio amico -.

- Quando vuoi – risponde James, con un secondo occhiolino. – E’ stato un vero piacere conoscerti, Zelda. Mi tocca perfino dare ragione ad Eric … -.
Scuote il capo come se mi stesse confessando una debolezza umiliante. 

Inarco un sopracciglio. – A cosa ti riferisci? -.

- Oh, niente di che – afferma lui, scrollando le spalle con studiata noncuranza. – Ha solo messo in luce l’evidenza, dicendo che sei una bella ragazza -.

Per la sorpresa per poco non lascio cadere a terra lo scatolone.
Sento il cuore rimbalzare da una parte all’altra della gabbia toracica e capisco dalla vampata di calore che si irradia dal mio collo di essere diventata color ciliegia. – Io … beh, grazie – balbetto, fuggendo il più velocemente possibile dalla mensa.

Una volta in corridoio mi concedo di tornare a respirare.
Eric ha detto veramente quella frase? O era solo una presa in giro? Da quel James mi aspetto di tutto, è davvero un tipo strano.

Cammino a passo spedito fino in infermeria, pregando che Elizabeth non ci sia.
Non mi va di dare spiegazioni, anche perché sono convinta che Eric non ci tenga a far sapere della sua ferita a tutta la Residenza.

Entro nella stanza con cautela e mi dirigo senza esitazioni verso l’armadietto delle scorte.
Prendo altre bende, un tubetto di antidolorifici e due bottigliette d’acqua.

Mi accingo a ritornare sui miei passi e sento una strana sensazione nel petto, come se stomaco e cuore fossero entrambi schizzati all’insù e premessero contro la mia gola, bloccandomi il respiro.

Percorro il corridoio ormai familiare e mi fermo davanti alla porta della camera del Capofazione, indecisa se bussare o fiondarmi dentro senza annunciarmi.
L’educazione ha la meglio, mi ritrovo a colpire l’acciaio con le nocche.

Da dentro provengono alcune voci concitate, di cui una femminile acuta e lamentosa che mi fa arricciare il naso. So perfettamente a chi appartiene.

Infatti quando la porta si apre e trovo una chioma rossa e un paio di occhi furibondi a darmi il benvenuto, non sono per niente sorpresa.








 
* * *





 

Eric






Il leggero colpo alla porta arriva qualche attimo dopo la mia brillante uscita.

L’ultima parola, che ho quasi sputato in faccia a Josie, aleggia ancora nell’aria e si rispecchia nello sguardo ferito e indispettito della ragazza, che afferra la maniglia della porta e la spalanca come se volesse staccarla dai cardini.

Sulla soglia riesco a scorgere solo un profilo femminile a me molto familiare: Zelda è tornata da me.
Se non fossi ferito, potrei perfino lanciarmi in gesti d’esultanza.

- E tu che ci fai qui? – quasi ringhia Josie, bloccando la strada alla trasfazione con un braccio.
Fa saettare il suo sguardo furibondo da lei a me, come se volesse decifrare le nostre espressioni millimetro per millimetro.

Zelda sarà anche un’iniziata, ma di certo non è una sprovveduta.
Non batte ciglio davanti all’occhiata accusatrice di Josie e indica lo scatolone che tiene tra le mani con un cenno del capo. – Eric è ferito. Sono stata incaricata di medicarlo -.

Il suo tono sincero e autoritario sembra convincere Josie. L’Intrepida si decide a lasciarla passare, poi mi guarda e si morde un labbro.
I suoi occhi indugiano per un istante sulla fasciatura sporca di sangue che mi attraversa l’addome. – Scusa, Eric, non mi ero accorta … - mormora, impallidendo alla vista della macchina color cremisi.

Ah, la coraggiosa Josie non sopporta la vista del sangue? Buono a sapersi.

Scosto del tutto il lenzuolo per mettere ben in mostra le bende. – Sì, un piccolo incidente con una lama affilata. Nulla di grave – affermo, in tono volutamente annoiato. Faccio cenno a Zelda di entrare. – Grazie per essere venuta -.

L’iniziata passa accanto a Josie e posa lo scatolone sulla scrivania. – Ti vedo un po’ pallida. Sicura di stare bene? – chiede, scoccando un’occhiata sarcastica all’altra ragazza.

Trattengo una risatina quando Josie afferra convulsamente la maniglia della porta.
Il suo viso ha assunto una preoccupante tonalità verdognola. – No … io … meglio che vada – farfuglia e poi sfreccia fuori come se la stessimo minacciando con un fucile.

Zelda si volta a guardarmi e io le rivolgo un sorrisetto maligno. – Sono stata incaricata di medicarlo – ripeto, imitando il tono che ha usato poco prima. – Molto convincente -.

Lei incrocia le braccia e increspa le labbra. - Sì, un piccolo incidente con una lama affilata. Nulla di grave – dice, con voce bassa e roca, socchiudendo gli occhi con fare minaccioso.

L’espressione è così simile alla mia abituale che rimango un attimo sbalordito, prima di gettare indietro la testa e scoppiare a ridere.

Anche Zelda fatica a rimanere seria. Il sorriso che mi rivolge è uno dei più belli che abbia mai visto. – Ti vedo più rilassato, mi fa piacere -.
Si gira e comincia a tirare fuori alcuni oggetti dallo scatolone. Mi tira una bottiglietta d’acqua, che afferro con una mano sola. – Avevo un po’ paura a tornare. Credevo che mi avresti usato come bersaglio al posto di quello – afferma, indicando col pollice la sagoma di cartone.

- Perché avrei dovuto farlo? -.

Lei scrolla le spalle. – Perché stamattina non sembravi molto entusiasta delle mie … ehm … attenzioni – mormora, tenendo gli occhi bassi.

Sospiro. – Ti chiedo scusa – dico, forse per la prima volta nella mia vita.
Infatti Zelda rimane spiazzata e alza di colpo lo sguardo su di me. – Credo che tu possa capirmi. Non mi piace mostrarmi debole, né ricevere aiuto dagli altri. Detesto sentirmi in debito con qualcuno -.

Lei incassa le mie parole in silenzio, poi annuisce piano. – So perfettamente cosa vuoi dire, anche io sono molto orgogliosa – confessa, sedendosi al mio fianco. – Ma non sentirti in debito, tu mi hai salvato la vita. E questo è il solo modo che ho per ripagare -.

Veramente io ne avrei un altro in mente, penso, osservando le sue labbra con sguardo famelico.
Spero che lei non se ne accorga.

Zelda allunga le mani verso la fasciatura, ma attende il mio consenso per proseguire.
Toglie le bende insanguinate, lava via il sangue in eccesso e disinfetta il taglio, per poi coprirlo di nuovo con una lunga garza immacolata.

Fa passare la benda sulla mia schiena, circondandomi con le braccia come se volesse stringermi a sé.
Quando le sue dita sfiorano leggermente il mio fianco, reprimo un brivido.
Il mio cervello è momentaneamente in stand by, il filtro che mi impedisce di fare la figura dello stupido deve essere fuori uso, perché mi ritrovo a chiederle: - Perché mi hai baciato? -.

Zelda sussulta come se le avessi puntato la canna di una pistola alla tempia. - Ecco … io … in quel momento non mi veniva in mente nient’altro per farti stare zitto – si giustifica, avvampando.

Alzo un sopracciglio. – Quindi l’hai fatto solo per questo? -.

- Preferivi un ceffone? Sono ancora in tempo per rimediare -.

- Non ho detto questo … -.

Zelda mi interrompe con un gesto scocciato. – Mi dispiace averti disgustato, non accadrà più -.

La mia mascella è in caduta libera. Sono tentato di prendere questa dannata ragazza per le spalle e scuoterla.

Disgustato?! Dannazione, sto facendo una fatica immane per trattenermi dallo strapparti i vestiti di dosso e tu mi chiedi se mi ha fatto schifo baciarti?!
Possibile che tu non capisca cosa provo per te?


Grazie al cielo mi è rimasto un minimo di dignità, per cui evito di lasciarmi scappare quel pensiero.
D’accordo, riproviamo. Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse. - Avresti baciato Quattro? -.

Zelda spalanca la bocca, sembra scioccata. – Ma … che razza di domanda è? – esclama, con voce strozzata.

Mi stringo nelle spalle. – Semplice curiosità. Hai detto che lo hai fatto solamente per distrarmi, quindi deduco che lo faresti con chiunque, se ti trovassi di nuovo in questa situazione -.

Al solo pensiero mi sento rodere dalla gelosia.

Lei scuote la testa. – Può darsi. Ma sono sicura che non mi verrebbe mai in mente di baciare Quattro! Forse uno dei gemelli, o Scott, perfino James se fosse necessario, ma di certo non Quattro! -.

E questo Scott chi diavolo è? E cosa c’entra James?!

Se non fossi così impegnato a tenere a bada queste domande inopportune, potrei permettermi di sghignazzare per il tono con cui Zelda ha pronunciato il nome di Quattro. Come se fosse l’ultimo uomo sulla Terra a cui potrebbe mai pensare in modo romantico. Ed io che pensavo ...

- Credevo che ci fosse del tenero tra voi – dico, ostentando un’aria indifferente. – Vi ho visti parecchie volte insieme -.

Zelda alza gli occhi al cielo. – Siamo amici, tutto qui. Quattro è gentile e simpatico, ma lo vedo più come una sorta di fratello che come un possibile fidanzato -.

Non sai quanto mi faccia piacere sentirlo. Un rivale in meno.

Mi rendo conto all’improvviso che questa è la conversazione più lunga e tranquilla mai avvenuta tra Zelda e me.
Quasi un miracolo, mi ha perfino fatto ridere!

La ragazza si alza dal materasso e io sento una fitta di angoscia squarciarmi il petto.
Se ne vuole andare? Così presto?
Ti prego, resta.

Sto quasi per umiliare il mio ego e dirglielo, ma capisco che lei non sta per sparire di nuovo. Anzi prende un grosso contenitore dallo scatolone e si accomoda nuovamente al mio fianco. Apre il coperchio e mi porge un tramezzino.

Inarco un sopracciglio e Zelda ridacchia. – Credevi che ti avrei lasciato morire di fame? Avanti, abbuffati – mi invita, prendendo uno dei panini per sé.

Do un cauto morso al pane. – Dove li hai presi? -.

- Ho incontrato il tuo amico James in cucina. Si è gentilmente offerto di aiutarmi a sgraffignare qualcosa di commestibile -. Zelda smette di mangiare e mi lancia uno sguardo penetrante. – Vuoi sapere una cosa buffa? -.

Di nuovo quella domanda, come quella volta in ascensore. Non promette nulla di buono.

- Ovvero? – mi azzardo a chiedere.

- James ha detto che ti deve dare ragione su un’affermazione -.

Questo non me l’aspettavo. Esibisco il mio solito ghigno. – Ovvio, io ho sempre ragione -. Riprendo a masticare, un po’ più rilassato. - Su cosa in particolare? -.

Zelda mi lancia uno sguardo malizioso. – Davvero mi trovi bella? -.

Per poco non mi strozzo con un boccone di pane. James, io ti uccido.

Tento di sembrare impassibile, ma non credo di risultare convincente.
Ho la terrificante impressione di essere arrossito. Invece di rispondere, rilancio con un’altra domanda. Come si dice, la miglior difesa è l’attacco. – Come mai ti interessa saperlo? -.

Lei non abbassa lo sguardo mentre un altro sorriso si fa strada sul suo volto.
Sembra quasi che riesca a leggere la verità nel fondo dei miei occhi.
Quando riprende a mangiare, ha un’espressione decisamente compiaciuta.

Stringo le palpebre. – Perché mi guardi così? -.

Lei scuote la testa, senza smettere di sorridere. – Shh, mi stai rovinando il momento – mi accusa, prendendo un altro panino dal contenitore.
Apro la bocca per ribattere a tono, ma lei ne approfitta per infilarci il tramezzino.

Zelda beve un sorso d’acqua, ignorando bellamente la mia occhiata indignata. – Mangia e basta, Eric. O sarò costretta a baciarti di nuovo per metterti a tacere -.

Deve smetterla di tentarmi in questo modo, non è leale.











 
- - - - - - - - - - - - - - -
Ciao a tutti!! Chiedo scusa per il ritardo, ma vi ricompenso con uno dei capitoli più lunghi che abbia mai scritto. Mi dispiaceva dividerlo in due, così l’ho postato tutto insieme ;) spero che vi sia piaciuto! Come sempre attendo i vostri commenti, fatemi sapere cosa ne pensate ;)

È ufficiale: abbiamo perso Eric!! Ahahahaha chissà cosa si inventerà nei prossimi capitoli … non perdeteli ;)
ci sarà una bella sorpresa (no, non farà fuori James, mi dispiace, ma sono sicura che vi piacerà lo stesso)


Alla prossima,
Lizz

p.s. la canzone che dà il titolo al capitolo è di Adam Lambert ;)

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Capitolo 32
*** Work this out ***


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Capitolo 31




 

Zelda







Devo assolutamente spegnere il sorriso ebete che, da quando ho aperto gli occhi questa mattina, si è disegnato sulle mie labbra.

Trattenermi sta diventando arduo: vorrei gridare a squarciagola e saltellare di gioia, tutto in una volta.
Magari accompagnando il tutto scuotendo fianchi e capelli a tempo.

È la prima volta che mi accade, non avevo mai provato una così forte sensazione di gioia e benessere.
Di certo non per merito di un ragazzo: le uniche interazioni che ho mai avuto con l’altro sesso sono state alquanto burrascose e per nulla piacevoli da ricordare.

Ma Eric …

- Ah, allora ci siamo! – esclama una voce vivace, riportandomi con i piedi per terra.

Sbatto le palpebre e mi costringo ad accantonare le mie fantasie per prestare attenzione a Melanie, che mi guarda con un sorriso sornione dall’altra parte del tavolo.
La sua espressione curiosa e ironica si accentua quando nota il mio sorriso, che con tutti i buoni propositi del caso non sono riuscita a mascherare.
Mi passa una mano davanti al volto, muovendo le dita avanti e indietro. – Terra chiama Zelda! Pensi di ritornare in questo sistema solare, o devo venirti a prendere io? -.

Sbuffo, infastidita. – Guarda che ti ho sentita, non c’è bisogno di urlare – borbotto, inclinando la tazza per bere l’ultimo sorso di the alla menta, il mio preferito. – E poi dici cose senza senso. Cosa voleva significare quel ‘allora ci siamo’? -.

Mel strizza gli occhi, come se stesse esaminando un vetrino al microscopio. – Semplice. Sei già arrivata alla fase due -.

Inarco un sopracciglio. - La che? -.

Lei rotea gli occhi. – Ma cosa vi insegnano in quelle scuole Erudite? – si lamenta, passandosi una mano sulla fronte in modo drammatico. – D’accordo, cominciamo dal principio. Hai presente, quando incontri un ragazzo e ne rimani affascinata, pensi sempre a lui, a quanto è bello, spiritoso ecc … ecco, quella si chiama cotta . Tutto chiaro fin qui? -.

Ridacchio. – Credo di aver afferrato il concetto -.

Mel annuisce accondiscendente, come se fosse una maestra alle prese con una bambina indisciplinata e testarda. – Bene. La cosiddetta ‘cotta’ si articola in più fasi -. Si interrompe e alza un dito alla volta, mentre le elenca una per una. – Fase uno: ammissione dei sentimenti. Fase due: occhi a cuoricino e sospiri estatici. Fase tre: primo approccio. Fase quattro … beh, diciamo che questa fase non ha bisogno di parole, ma di fatti concreti -. Fa un sorrisetto malizioso e non posso fare a meno di scoppiare a ridere.

Perfetto, è venuto il momento di sganciare la bomba.

Rigiro un biscotto tra le dita, sforzandomi di mantenere un’espressione perfettamente innocente. - Se le cose stanno così, allora credo proprio di aver saltato la fase numero tre … –.
Lascio la frase in sospeso per alcuni istanti, e poi sparo di getto: - … perché uno dei fatti concreti, come li chiami tu, è accaduto proprio ieri pomeriggio -.

Mel boccheggia. Il muffin che stava per mordere le scivola di mano, andando a spiaccicarsi sul vassoio con un piccolo pluff.

Bomba sganciata. Prevista reazione di tipo isterico, che avverrà tra tre, due, uno …

– CHE COSA?! – strilla lei, con un volume di voce che dovrebbe essere dichiarato illegale.

Difatti molte teste si girano nella nostra direzione ed io alzo gli occhi al cielo. - Forse dovresti urlare un po’ più forte – replico, battendo le dita sul tavolo. Indico il lato più lontano della mensa con un cenno del capo. – Credo che quel ragazzo laggiù non ti abbia sentito -.

Melanie rimane a fissarmi per un istante, come inebetita, poi ingurgita il resto del caffè d’un fiato.
Sempre senza parlare, si alza di getto dalla panca, gira attorno al tavolo e mi prende per un braccio. Io emetto un sospiro di sconfitta e mi lascio trascinare fuori dalla sala senza opporre resistenza.

Quando passiamo accanto ad un gruppo di Intrepidi più grandi, che stanno osservando la nostra uscita di scena dandosi di gomito e sghignazzando, Mel affila lo sguardo e scopre i denti. – Che avete da guardare? – abbaia, facendoli ammutolire di colpo.

Loro alzano le mani in segno di resa e si spostano per lasciarci passare: il carattere poco paziente della mia amica è conosciuto e temuto da tutta la Fazione, a quanto pare.

Allungo la mano per aprire la porta, ma vengo preceduta da qualcun altro.
Il sorriso ironico che era spuntato sulle mie labbra dopo l’esclamazione di Mel svanisce e rimango come paralizzata.

Anche Eric si blocca sulla soglia non appena i nostri occhi si incrociano.
Mi fissa con un penetrante sguardo color acciaio e il mio cuore ha un fremito.

È incredibile come un’attività semplice e involontaria come respirare diventi superflua quando lui mi guarda in quel modo!

Eric si schiarisce la voce e interrompe per un istante il contatto visivo.
Caspita, sembra teso e impacciato quanto me!
Questo pensiero mi infonde un po’ di coraggio, per cui gli rivolgo un timido cenno. – Ciao –.

Più che un saluto è un bisbiglio, perché in questo momento non mi fido troppo della mia voce. Sono stanca di balbettare quando mi ritrovo in sua presenza: è già successo troppe volte, devo fare in modo che non diventi un’abitudine.

Il Capofazione risponde con un mezzo sorriso che provoca un aumento esponenziale dei battiti del mio cuore. – Zelda – mormora, inclinando il capo.
Come suona bene il mio nome sulle sue labbra, il suo modo di pronunciarlo mi dà i brividi …

- Zelda! -.

Ok, anche questa voce mi dà i brividi, ma non in senso positivo!

James spunta alle spalle di Eric e si fa avanti con le braccia spalancate, quasi volesse catturarmi e stringermi contro il suo petto.
Indietreggio involontariamente di un passo, ma lui riesce comunque ad avvinarsi tanto da allungare una mano per sistemarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
– Allora, come sta il tuo amico? – chiede, in tono allegro.

Non so come faccia a non accorgersi dell’occhiata fiammeggiante che gli sta riservando Eric.
Uno sguardo del genere potrebbe provocare un incendio meglio di un accendino caduto accidentalmente in una tanica di benzina.

James continua imperterrito a parlare, mentre io mi aspetto di vedere del fumo alzarsi dalla sua maglietta da un momento all’altro. – E’ veramente fortunato. Chi non vorrebbe un’infermiera personale bella e gentile come te? -.

I suoi complimenti mi stordiscono, specialmente perché vengono accompagnati dal solito occhiolino. - Lui sta … mmm … decisamente meglio – replico, prima di venire interrotta dalla voce squillante di Mel.

- Ehi, fratellone, togli subito le tue manacce da Zelda, se non vuoi che il suo ragazzo te le stacchi –.

Fratellone?!

James incrocia le braccia muscolose – credo che riuscirebbe a sollevarmi di peso con una mano sola senza il minimo sforzo – e rivolge un ghigno a Mel. – Buongiorno, sorellina -.

Sorellina?!

Mi giro repentinamente verso la mia amica, aspettando delle spiegazioni.
Lei ricambia il mio sguardo e si limita a scrollare le spalle, come se mi stesse dicendo ‘non è colpa mia se siamo parenti’.

Mi accorgo solo in quel momento di quanto si somiglino, hanno entrambi gli occhi azzurro cielo e una fossetta sul mento. – Un fratello Capofazione – commento, in tono lievemente ironico. – Potevi almeno accennarmelo -.

- Non è certo una cosa di cui vantarsi – ribatte lei, mordendosi un labbro.

Il cipiglio di James si fa minaccioso. – Attenta a come parli, mocciosa. Potrei casualmente inserire del veleno nel tuo siero di simulazione -.

Alla parola ‘veleno’, Eric corruga le sopracciglia, come se trovasse la battuta di cattivo gusto.

Melanie, invece, scoppia a ridere. - Ma certo, accomodati – rilancia, sicura di sé. – Ti ricordi cosa ha fatto papà quella volta che mi hai colorato i capelli con la vernice spray? -.

Le guance di James si fanno paonazze. – Azzardati a farne parola ed io … -.

Cominciano a battibeccare animatamente. Sospiro e mi massaggio la fronte: come ho fatto a non notare la somiglianza in precedenza?
Due caratteri così simili non possono che appartenere alla stessa famiglia.
Come nel caso dei gemelli, solo che, in confronto a loro, Xavier e Felix sono due agnellini.

Eric sembra pensarla allo stesso modo, perché emette un grugnito di fastidio e si strofina le tempie come se tutte quelle chiacchiere gli avessero provocato un tremendo mal di testa.

Mi chino appena verso di lui, approfittando del fatto che i due fratelli stanno discutendo senza sosta e non badano a noi. – Come va la ferita? – mormoro, sinceramente preoccupata.
Non avrebbe dovuto alzarsi dal letto. Un taglio del genere ha bisogno di alcuni giorni per rimarginarsi completamente, glielo avrò ripetuto almeno una quindicina di volte ieri sera prima di lasciare la sua stanza.
Sapevo in partenza che non mi avrebbe dato ascolto, ma avevo comunque voluto metterlo in guardia. Come si dice, ‘uomo avvisato, mezzo salvato’.

Purtroppo, pare che ad Eric non piaccia troppo essere salvato. Perlomeno non da me.

- Decisamente meglio – fa lui, usando le stesse parole che ho pronunciato poco prima.
Devo ammettere che ha una memoria formidabile, ricorda le frasi che dico sillaba per sillaba.

Afferro un ciuffo di capelli che mi solletica la fronte e lo arrotolo attorno ad un dito. – La tua capacità di imitazione lascia molto a desiderare – commento, strappandogli un sorriso. - Ti diverti così tanto a prendermi in giro? -.

- Abbastanza. Anche se, personalmente, credo di preferire il tuo modo di mettere a tacere la gente – replica, con una scintilla nello sguardo.
Quando capisco a cosa si riferisce, le mie guance cominciano a farsi più calde. – O forse dovrei temere quel ragazzo di cui parlava la tua amica? -.

Il tono sarcastico con cui ha evidenziato la parola mi fa ridere. – Tranquillo, non corri alcun pericolo. Per il momento non esiste nessun ragazzo che possa vantare diritti su di me -.

Mi guarda come se stentasse a credere alla mia precedente dichiarazione, ma ne fosse segretamente soddisfatto.

Credo stia per aggiungere qualcosa, ma Mel non glielo permette. – Scusateci, siamo di fretta – cinguetta, rivolgendo un rispettoso cenno del capo a Eric e una linguaccia a suo fratello.

Mi spinge fuori dalla mensa senza troppe cerimonie, ma, mentre lancio un’ultima fuggevole occhiata ai due Capifazione, riesco comunque a scorgere un lampo di delusione in quegli occhi argentati che tanto adoro.









 
* * *







 

Eric







James osserva le due ragazze sparire oltre la porta, poi si passa la lingua sulle labbra. – Che bel bocconcino – commenta, con un ghigno poco raccomandabile sul volto.

Quando realizzo che sta parlando di Zelda, i miei muscoli facciali si irrigidiscono. Mantieni la calma, Eric.

Mi precede verso il tavolo dei Capifazione – in quel momento completamente deserto - e si serve una generosa dose di caffè.
Prendo posto davanti a lui, tentando di convincermi che mettergli le mani addosso non sarebbe affatto una buona idea.

James, ignaro del mio conflitto interiore, mi guarda inarcando un sopracciglio. - Cosa sai di lei? Ha davvero il ragazzo? -.

Il mio autocontrollo comincia a dare segni di cedimento. Strano che la tazza che stringo tra le mani non sia ancora esplosa in mille pezzi. – Per quale motivo dovrebbero interessarmi le faccende personali degli iniziati? – sbotto, in tono freddo.
La maschera di disprezzo che ho deciso di usare regge solo perché non sto pensando a Zelda. Lei mi interessa eccome. – E poi non è un po’ troppo giovane per te? -, aggiungo, calcando l’aggettivo intenzionalmente.

James storce la bocca, come se avesse inghiottito un limone tutto intero. – Divertente – replica, scoccandomi un’occhiataccia. – Tanto per la cronaca, ho ventidue anni, non settanta -.

- Certo, ma agli occhi di una sedicenne sei già vecchio -.
Alzo le spalle e bevo un sorso di caffè per celare il mio ghigno trionfante.

James è una di quelle persone perennemente attive, piene di energia appena mettono piede fuori dal letto.
Insopportabili per un tipo come me che apprezza il silenzio, specialmente di prima mattina.

Il mio commento sembra avergli rovinato il buonumore.
Tiene un coltello da burro davanti al viso e continua a specchiarsi sulla lama, da ogni angolazione, forse in cerca dei primi segni della vecchiaia.
Camuffo la mia risata con un colpo di tosse e volgo lo sguardo altrove.

La ferita prude in modo fastidioso, ma sopportabile.
Ieri sera Zelda mi ha psicologicamente sfinito a suon di raccomandazioni – ‘non pensare neanche di alzarti dal letto per un giorno o due, il taglio era profondo, ha bisogno di cure’ -, prima di raccattare tutti i suoi strumenti da infermiera e salutarmi con un patetico cenno della mano.

Ed io che speravo mi prendesse in parola e usasse il suo personalissimo – e collaudato - metodo per chiudermi la bocca.

Ovviamente, non le ho dato retta. Per chi mi ha preso, per una femminuccia?
L’anno scorso ho sostenuto due combattimenti con una spalla slogata e li ho vinti entrambi. Non sarà certo una misera ferita a tenermi bloccato a letto.

Inoltre oggi è in programma il secondo giro di simulazioni, quindi devo assicurarmi di arrivare in tempo per ordinare a Quattro di togliersi dai piedi e di lasciarmi sovrintendere quella della mia trasfazione preferita.

Appoggio i gomiti sul tavolo e faccio oscillare la tazza, osservando assorto le onde che il movimento rapido crea sulla superficie del caffè.
Ripenso al sorriso che Zelda mi ha rivolto poco fa.

I nostri rapporti sono decisamente migliorati in questi ultimi giorni, ne devo assolutamente approfittare.
Specialmente visto che, grazie a non so quale miracolo, è ancora single.
Possibile che nessuno dei suoi ammiratori si sia fatto avanti? O è stata lei a respingerli?

Ho eliminato Quattro dalla lista, ma ci sono ancora i gemelli, Zeke … chi ho dimenticato?
Ah già, quel cretino che mi siede di fronte.

Per il momento non esiste nessun ragazzo che possa vantare diritti su di me.

Sogghigno, mentre porto la tazza alle labbra.

Ancora per poco, piccola. Ancora per poco.










 
* * *







 

Zelda






- Ti dispiace staccare le tue dita dal mio braccio? Mi stai bloccando la circolazione -.

Melanie si guarda attorno e mi lascia andare solo dopo essersi assicurata che non ci sia nessuno nei paraggi.
Si siede a gambe incrociate sul pavimento di roccia e con la mano mi fa cenno di imitarla. – Siamo in anticipo di mezz’ora, gli altri devono ancora fare colazione – dice, scuotendo leggermente la corta chioma ramata. – Forza, comincia a raccontare -.

Guardo con apprensione la porta che conduce alla stanza delle simulazioni, poi mi lascio scivolare a terra e appoggio la schiena alla parete. – Non so da dove cominciare –.

Mel gioca con i lacci delle scarpe, ma non mi perde di vista nemmeno per un secondo. - Ieri sera mi sembravi piuttosto su di giri quando sei tornata al dormitorio, ma avevo dato per scontato che c’entrasse il casino successo al Pozzo. Credevo fosse una reazione isterica dovuta allo shock – afferma, riducendo gli occhi a strette fessure. – Comincia col dirmi dove sei stata ieri pomeriggio. Immaginavo fossi stata ricoverata in infermeria, invece te la stavi spassando con Eric! -.
Pronuncia il nome del Capofazione con enfasi e nel frattempo mi dà una pacca sul ginocchio. – Ti decidi a raccontare? Voglio i particolari! -.

Prendo un profondo respiro. – Ieri, quando vi ho descritto i fatti, ho omesso un piccolo dettaglio – spiego, riducendo la voce ad un bisbiglio. – Il proiettile di Oliver mi ha mancato solo perché Eric si è messo in mezzo. Se non ci fosse stato lui, probabilmente ora sarei morta. Mi ha salvato la vita -.

Mel non fiata, si limita a massaggiarmi una spalla con fare rassicurante.

La ringrazio con un mezzo sorriso, prima di continuare. – Ha rischiato grosso. Se avesse reagito con mezzo secondo di ritardo, il proiettile l’avrebbe centrato in pieno, invece di limitarsi a colpirlo di striscio -. Rabbrividisco al ricordo della scia di sangue che ho seguito per raggiungere la stanza del Capofazione. – E quell’idiota non voleva nemmeno essere medicato! Avrei voluto prenderlo a schiaffi! -.

Mel ridacchia. – Non c’è dubbio, il tuo è vero amore. Di solito sono le persone a cui vogliamo bene quelle che ci fanno infuriare di più -.
Annuisce piano tra sé. – Poi che è successo? -.

Faccio una leggera smorfia. Meglio tralasciare la piccola parentesi che aveva come protagonista principale l’alcool e andare dritti al punto. – Beh, lui continuava a sbraitare come suo solito, non mi permetteva di medicargli il taglio, così l’ho … ehm … baciato -.
Mi gratto una guancia, mentre Mel spalanca occhi e bocca contemporaneamente. Mi affretto a spiegare. – Giuro che non l’avevo premeditato! In quel momento non mi è venuto in mente nient’altro per costringerlo a chiudere il becco! -.

Descrivere la scena in questo modo la rende più buffa di quanto non sia stata in realtà e  l’espressione sbalordita della mia amica di certo non mi aiuta a mantenere una parvenza di serietà.
Scoppio a ridere, seguita a ruota da Mel, che trova a malapena il fiato per esclamare: – Non ci posso credere. Zelda Blackburn, sei la ragazza meno romantica sulla faccia della Terra! -.

Non posso darle torto.

- E lui che ha fatto? Ha ricambiato il bacio? -.

Mi stringo nelle spalle. – Ecco … in realtà non gliene ho dato il tempo. Però da come mi guardava non sembrava gli fosse dispiaciuto -.

Melanie batte allegramente le mani. – Certo che no! Infatti anche stamattina ho notato che ti mangiava con gli occhi -.

Davvero? Perché io non me ne sono accorta?
Forse perché eri troppo impegnata a ricordarti di respirare. 
Ah, giusto.

Mel schiocca le dita ad un soffio dal mio naso. - Mi stai ascoltando? -.

- Scusa, ero distratta – confesso, con un sorrisetto. – Mi ero fermata a ‘ti mangiava con gli occhi’ e stavo gongolando in silenzio -.

Lei alza lo sguardo al cielo, come se stesse invocando l’aiuto divino. - Oddio, sei proprio innamorata persa – mormora, ma non riesce a trattenere un ghigno malizioso. – Comunque, se la qui presente signorina-dagli-occhi-a-cuore smettesse di fantasticare su Mr-spalle-larghe e mi prestasse attenzione, capirebbe che sto mettendo a punto un piano fantastico per la festa di questa sera -.

Oh, no. Non di nuovo.

Basta la parola ‘festa’ a terrorizzarmi, visto che per Melanie è sinonimo di vestiti indecenti, trucco esagerato e tacchi vertiginosi.
- Senti, non credo sia una buona idea … -.

- Zelda – tuona lei, puntandomi l’indice contro lo sterno.

Mi sbagliavo: i suoi occhi non sono color del cielo. Assomigliano più al bagliore blu scuro e pericoloso di una fiamma a gas.
Brillano minacciosi per un istante, poi si addolciscono assieme al suo tono. – Smettila di protestare e fidati di me. Cos’hai da perdere, in fondo? -.

Rifletto per qualche minuto, ma non trovo nulla da ribattere. – D’accordo. Faremo a modo tuo -.









 
 
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Ciao gente ;) eccomi con un nuovo capitolo!
Ho dovuto tagliarlo in due parti perché cominciava a diventare troppo lungo, il resto lo pubblicherò in settimana ;)

la sorpresa che vi avevo preannunciato non riguarda i rapporti di parentela tra Mel e James (anche se è comunque una notizia importante), ma arriverà tra qualche capitolo, non temete ;)


Fatemi sapere che ne pensate (Eric comincia a darsi da fare, fate il tifo per lui mi raccomando!) xD
come sempre mando un bacio a tutte le persone che leggono/seguono/recensiscono la storia, grazie veramente <3


Alla prossima,

Lizz

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 33
*** To be loved ***






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Capitolo 32






And I just wanna be, wanna be loved

(To be loved, Papa Roach)



 

Zelda




Il tempo questa volta scorre più veloce.

Non so se sia perché sono immersa nei miei pensieri, o perché i miei compagni impiegano solo pochi minuti a terminare le loro simulazioni. Quando anche Xavier scompare oltre la porta, mi alzo in piedi e mi spazzolo i pantaloni per liberarli della polvere grigia delle rocce.

Mi sciolgo i capelli e li pettino un po’ con le dita, tanto per fare qualcosa.
Sono terribilmente agitata, non faccio che ripercorrere attimo per attimo la mia precedente simulazione. Quando Eric ha detto che erano trascorsi solo nove minuti dall’inizio della prova, credevo stesse scherzando: ero convinta di essere rimasta sepolta in quell’antro buio per ore.

E fra poco dovrò tornarci.

Reprimo un brivido e tiro indietro i miei ciuffi ribelli con un gesto secco, per legarli di nuovo.

- Perché tormenti i tuoi capelli in quel modo? -.

Sbarro gli occhi al suono di quella voce e mi volto di scatto verso l’altra estremità del corridoio.
Eric è appoggiato pigramente alla parete di roccia, a braccia conserte, e mi fissa con un ghigno ironico. Da quanto accidenti è lì?

Visto che continuo a guardarlo senza parlare, come una povera cretina, lui prende l’iniziativa e si avvicina.
Quando arriva a un palmo da me, mi rendo conto di essere rimasta pressoché immobile per tutto il tempo che lui ha impiegato ad annullare la distanza tra noi: ho ancora le braccia piegate verso l’alto, nell’atto di avvolgere l’elastico attorno alle ciocche scomposte.

Le abbasso di colpo. – Da quando ti interessano i miei capelli? – chiedo, aggrottando la fronte.

Eric, come suo solito, risponde alla mia domanda con un’altra domanda. - Se ti dicessi che ti trovo più carina con i capelli sciolti, mi daresti ascolto? -.

Resto di nuovo imbambolata a fissarlo.
Ho sentito bene? L’ha detto veramente, o sono entrata per sbaglio in una dimensione parallela?

Accidenti, sta davvero flirtando con me! Ho la bocca improvvisamente secca. – E questo cos’era, un complimento? –, è tutto quello che riesco a dire.

Il lato arguto del mio cervello sembra aver chiuso i battenti - forse per vendicarsi dei miei pensieri troppo sdolcinati da adolescente innamorata - trincerandosi dietro un cartello con su scritto ‘momentaneamente in sciopero’.

Il ghigno di Eric si fa più pronunciato. Invece di degnarmi di una risposta, allunga la mano e ruba l’elastico che stavo rigirando tra le dita.
Lo tiene tra pollice e indice come se mi sfidasse a prenderlo.

Altro che flirt: ora la scena sta diventando comica.
Scuoto la testa, non sapendo bene come interpretare quel suo sguardo a metà tra l’ironico e il provocatorio. – Se ti piace così tanto, puoi tenerlo – dichiaro, con lo stesso tono condiscendente che userei con un bambino dispettoso. – Poi non dire che non ti regalo mai nulla -.

Eric inarca un sopracciglio, forse non si aspettava una resa così immediata.
Allarga l’elastico con le dita, lo fa scivolare attorno alla mano fino a farlo arrivare al polso, infine osserva la propria opera con aria critica.

Di fronte al suo sguardo compiaciuto, scoppio a ridere di cuore. Lui mi lancia un’occhiata sconcertata.
La sua espressione si fa spaesata, come se stesse assistendo ad uno spettacolo raro ed estremamente affascinante e volesse imprimerlo nella memoria istante dopo istante.

La mia risata si interrompe solo quando la porta in fondo al corridoio si apre con un cigolio.
Eric torna ad assumere la sua aria sprezzante – impiega solo una frazione di secondo, non so come ci riesca - e avanza di qualche passo per mettersi accanto a Quattro, che rimane sulla soglia e si limita a rivolgermi un cenno del capo.
I due confabulano sottovoce per circa un minuto, poi Eric con un dito mi fa segno di raggiungerlo.

Mi ravvio i capelli ed entro nella stanza dopo di lui, sotto gli occhi vigili dell’altro Intrepido.
Devo ricordarmi di chiedere spiegazioni ad uno dei due. Certo, sono più che contenta che sia Eric ad avviare la mia simulazione, ma sono anche curiosa di sapere per quale motivo ha insistito tanto per prendere il posto del mio istruttore, il quale non pare troppo entusiasta dell’idea.

Sotto lo sguardo implacabile del Capofazione, Quattro scuote il capo e chiude la porta senza proferire parola.

Eric prende posto davanti al monitor, facendo finta di nulla.
Decido di imitarlo: mi siedo sulla poltrona e reclino il capo sul poggiatesta, mentre cerco di rilassare i muscoli.

La tensione, che era svanita dopo la spiazzante entrata in scena di Mr-spalle-larghe – come l’ha definito Mel -, è tornata a farsi sentire.
Osservo il profilo del ragazzo con sospetto: possibile che la buffa scenetta che ha messo in piedi avesse come unico scopo quello di distogliere la mia attenzione dall’allucinazione che mi aspetta?

Riesco addirittura a sorridere. Se le sue intenzioni erano quelle, è stato veramente un gesto tenero da parte sua.

Eric schiaccia qualche pulsante, poi si alza e viene verso di me con quell’orrenda siringa.
L’ago sembra lungo quanto il mio indice, prego che sia solo una mia impressione.

Strizzo le palpebre quando preme lo stantuffo, più per riflesso che per vero dolore.
Quando mi volta le spalle per appoggiare quell’arma impropria sul tavolo, noto con sorpresa che indossa ancora il mio elastico.

- La simulazione sarà uguale all’altra? – chiedo, cercando di mantenere un tono distaccato.

Eric di sicuro non ci casca, perché, quando si gira a fissarmi, i suoi lineamenti si ammorbidiscono. La mia paura deve essere alquanto evidente. – Non necessariamente -.

- Fantastico – mormoro, rassegnata, preparandomi al peggio. Gli lancio un’occhiata supplichevole. – Se cominci a vedere scene imbarazzanti, potresti gentilmente distogliere l’attenzione dallo schermo? -.

Lui fa una breve risata. – E perdermi tutto il divertimento? -.
Scuote la testa e si piazza davanti al computer, spaparanzandosi sulla sedia girevole. - Scordatelo, trasfazione -.

Chiudo gli occhi con un sospiro.
Mi piace chiacchierare con lui in questo modo amichevole, punzecchiarlo e rispondergli a tono.
Specialmente sentirlo ridere: ogni volta che lo fa, sul suo viso compare un’espressione stupita, come se faticasse a credere di esserne capace.

Riapro le palpebre per chiedergli come mai ha ancora il mio elastico allacciato al polso, ma la mia voce si spegne non appena metto a fuoco l’ambiente che mi circonda.

Muri intonacati, di un bianco abbagliante.
Mobili di lucido e solido mogano addossati alle pareti e ricoperti di cornici dorate allineate con precisione quasi maniacale.
Sotto ai miei piedi, un tappeto soffice, color sabbia, si abbina perfettamente alla sfumatura ocra delle tende e dei cuscini ricamati dell’unico divano presente nella stanza.

Deglutisco rumorosamente. La simulazione è cominciata.











 
* * *






 
 

Eric





Le palpebre di Zelda hanno un guizzo, poi si chiudono definitivamente, vinte dal torpore artificiale sprigionato dal siero.
Dal monitor proviene un leggero ronzio, segno che la simulazione si sta avviando correttamente.

Comincio ad agitarmi, il mio respiro accelera di conseguenza.
Devo ripetermi mentalmente per almeno tre volte che è lei quella sotto esame, non io, ma l’inquietudine non accenna a diminuire.
Rimane salda al suo posto, comprimendomi il petto come se … come se … ecco, come se avessi una tonnellata di lastre d’acciaio sopra la gabbia toracica.

Esattamente la stessa sensazione che provavo quando dovevo affrontare lo scenario della paura durante l’iniziazione, l’unica prova che riusciva davvero a terrorizzarmi.
Contrastare una paura alla volta non era così tremendo - i tempi delle mie simulazioni erano eccellenti -, ma quando mi trovavo faccia a faccia con tutti i miei peggiori incubi, che sembravano volermi circondare come un branco di lupi affamati in attesa di banchettare con la mia carne, il panico non mi lasciava scampo.

Chiudo gli occhi per un attimo, per scacciare con violenza i fantasmi del passato, poi faccio schizzare la sedia girevole verso la poltrona dove Zelda è distesa.  

Le sposto una ciocca di capelli dal volto e osservo concentrato i suoi lineamenti, che si stanno facendo sempre più tirati: ha la mascella rigida e le labbra serrate in una linea sottile. Il mio respiro sembra essere coordinato al ritmo del suo, che si fa sempre più veloce, come se fosse spaventata.
Le afferro delicatamente il polso e sento il pulsare sordo del suo cuore sul mio pollice.

Non posso crederci. Da quando sono diventato così sensibile? Che questa ragazza mi abbia legato a sé con un incantesimo?
Com’è possibile che io, da sempre indifferente verso le emozioni di chi mi circonda, provi questa improvvisa empatia nei confronti della trasfazione priva di conoscenza a una spanna da me?

Emetto un esasperato sbuffo dal naso e le accarezzo la fronte con due dita, arrotolando alcune ciocche corvine tra i polpastrelli.

Ho la mente satura di dubbi. Mi chiedo se tutte le torture fisiche e psicologiche, che l’iniziazione degli Intrepidi comporta, non siano un prezzo troppo alto da pagare per divenire membri effettivi della fazione.

Se Zelda avesse saputo a cosa andava incontro, avrebbe scelto comunque di abbandonare gli Eruditi? Gli incubi del passato sarebbero stati più tollerabili da sopportare, rispetto a quelli che sta sperimentando ora e con cui dovrà convivere in futuro?

Se avesse preso una decisione diversa, le nostre strade non si sarebbero mai incrociate.
Non avrei mai più sentito il timbro della sua voce melodiosa, non avrei mai collegato quella voce ad un volto. Non mi sarei mai smarrito in quelle iridi infuocate, né avrei provato quella scossa di elettricità al lieve tocco delle sue dita sulla mia pelle. E di sicuro le mie labbra non si sarebbero mai aperte in un sorriso sincero come accade ogni volta che sono assieme a lei. Sarei morto senza conoscere il suono della mia stessa risata …

Eric! Piantala immediatamente!

Il ruggito furioso del mio inconscio mi riporta finalmente alla realtà, facendomi capire quanto quei pensieri stiano effettivamente rasentando il ridicolo.

Zelda è a un centimetro da te, brutto idiota!
Ecco, toccala e vedi di smettila con tutte queste fesserie da primadonna prima di farti venire il diabete.


La mia coscienza ha ragione, basta rimuginare. Chi se ne importa di cosa sarebbe potuto succedere se lei non mi avesse raggiunto.
Ormai è qui, no? Ed io ho intenzione di tenerla stretta.
Non lascerò che il mio stupido orgoglio si metta in mezzo di nuovo: il destino mi ha donato una seconda possibilità e non ho intenzione di sprecarla.

Un bip prolungato mi distoglie dalla contemplazione del volto di Zelda.
Lascio ricadere la mano che stava giocando con i suoi capelli e mi volto seccato verso il monitor, alla ricerca della fonte del rumore.

Mi ero del tutto scordato della simulazione: ora sullo schermo del computer è chiaramente visibile una stanza, al centro della quale si erge l’esile figura della trasfazione. Ritorno alla mia postazione originaria e mi sporgo in avanti per osservare meglio la scena che si sta materializzando davanti ai miei occhi come un film di pessimo gusto.









 
* * *






 

Zelda





Respira, Zelda. Respira.

Non funziona: sento già il primo accenno di un attacco di panico serrarmi la trachea.
Le mie mani sono fredde e sudaticce, le sfrego sulla stoffa dei pantaloni per asciugarle e cercare di riattivare la circolazione.

Chiudo gli occhi per un attimo, facendo un respiro profondo. Quando espiro, riapro le palpebre e focalizzo l’attenzione sulle pareti della stanza in cui mi trovo.

È grande e luminosa, praticamente identica al salotto della casa di mio padre.
Mi concentro sulla parete che mi sta di fronte, aguzzando le orecchie, in attesa di avvertire la voce o la presenza di uno dei membri della mia famiglia.

Nel frattempo rifletto. Qual è lo scopo della simulazione? Mettermi al cospetto di uno dei miei incubi personali, Alfred magari? E perché finora non è successo niente?

Come se avesse avvertito la mia domanda silenziosa, la stanza diventa sempre più buia e una scossa mi fa traballare.
Allargo le gambe per mantenere l’equilibrio, ma il pavimento ha un nuovo scossone, molto più prolungato del precedente.

Sbarro gli occhi quando vedo le pareti muoversi: cominciano a restringersi e a scivolare gradualmente verso di me.
I vetri delle finestre tintinnano pericolosamente. Una crepa sottile si allarga in diagonale, emettendo un agghiacciante scricchiolio che mi fa accapponare la pelle delle braccia.

Il terremoto si fa più accentuato: mi sbilancio in avanti con le braccia per non cadere a terra.
I muri continuano ad avanzare inesorabili verso di me, ma non sono disposta ad attendere di finire schiacciata.

Mentre formulo questo pensiero, le ombre della stanza abbandonano gli oggetti a cui sono legate e, come se avessero vita propria, sfrecciano sul pavimento e sulle pareti. Quelle scie oscure, che inavvertitamente ho evocato, strisciano fino alla parete completamente bianca che si trova davanti ai miei occhi e si uniscono le une alle altre, fino a formare il profilo di una porta.

L'immagine diventa ad ogni secondo più nitida: non appena noto il luccichio di una maniglia capisco che è la mia sola speranza di fuga.
Allungo la mano e afferro il pomello con dita tremanti. Sono pienamente consapevole che la situazione dall’altra parte non sarà delle più rosee, d’altronde è la simulazione stessa che mi sta imponendo di attraversare quella soglia. E, che io lo voglia o meno, sono obbligata a farlo.

Scatto in avanti, incespicando sul tappeto a causa di una nuova scossa, e mi fiondo dall’altra parte.
Quando chiudo la porta alle mie spalle, il tremolio cessa di colpo e mi ritrovo in mezzo ad una fitta oscurità. Non distinguo nemmeno le punte dei miei piedi.

Muovo un passo in avanti, alla cieca e vengo ricompensata da un leggero sfrigolio sopra la mia testa.
Una lampada al neon si accende gradualmente, subito imitata dalle sue gemelle, che mi permettono di mettere a fuoco il nuovo ambiente.

Si tratta di un lungo corridoio, all’apparenza interminabile, ai lati del quale si stagliano altrettanti infiniti scaffali di legno pieni di libri.
Rimango un attimo spiazzata dal forte odore di carta stampata, un aroma assurdamente familiare, che mi ha accompagnata nei miei primi sedici anni di vita.

Volto la testa e mi accorgo che la porta fatta di tenebre è sparita: al suo posto si staglia un altro lungo corridoio, affiancato da centinaia e centinaia di scaffali e libri.

Il mio cuore comincia a galoppare nel petto, mentre il cervello elabora i fatti in modo frenetico, cercando di reagire alla morsa del panico.
Lo scenario di quest’allucinazione è troppo simile ad un incubo frequente della mia infanzia per trattarsi di una semplice coincidenza.

Mi mordo un labbro, indecisa se proseguire o rimanere ferma al centro di una delle mattonelle a specchio del corridoio.
La voce nella mia mente mi sta urlando di restare immobile, ma io decido ugualmente di rischiare il tutto per tutto.
Alzo una gamba e appoggio la pianta del piede con cautela sulla lastra di marmo successiva.

Capisco subito di aver commesso un errore.

In seguito al mio movimento, uno dei volumi, un grosso tomo dalla copertina consunta e bucherellata, scivola dalla libreria e cade pesantemente a terra, spalancandosi esattamente a metà. Il rumore improvviso mi fa sobbalzare, ma divento rigida un secondo dopo, non appena noto il fumo.

Un sottile sbuffo grigio si alza dalle pagine ingiallite del libro in questione e solo un secondo dopo l’odore di bruciato mi pizzica le narici.

Mi impongo di rimanere assolutamente immobile, ma sto ormai perdendo il mio leggendario autocontrollo. Mi afferro i gomiti per impedire ai miei muscoli di tremare e quell’unico spostamento d’aria dà inizio all’inferno.

Uno dopo l’altro, i libri schizzano fuori dagli scaffali e finiscono ovunque, invadendo il corridoio per tutta la sua imprecisata lunghezza.
Il fuoco si sprigiona da ogni singolo volume, le fiamme divampano come se avessi coperto le pagine con una generose dose di benzina.

L’ondata di calore mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso, facendomi boccheggiare. Indietreggio istintivamente, ma mi accorgo di essere circondata: i roghi avanzano da uno scaffale all’altro, avvicinandosi sempre di più a me. L’ansia mi comprime il torace, ho la gola irritata dal fumo e non riesco più a ragionare lucidamente.
Sto quasi per lasciarmi andare all’isteria, quando mi tornano in mente le parole di Eric.

Cerca di calmare il respiro.

Sì, certo, facile a dirsi … come diavolo faccio a rimanere impassibile nel bel mezzo di un incendio?!
Comincio a tossire e mi premo velocemente una mano su naso e bocca.

E’ solo una simulazione, non è reale.
 
La sua voce è nitida, come se mi stesse sussurrando la frase nell’orecchio per incitarmi a non mollare.
Mi sembra quasi di vedere l’espressione dura e inflessibile del Capofazione, la fronte corrugata e gli occhi ridotti a fessura.

Quel ricordo mi infonde coraggio e ritrovo un briciolo di orgoglio che mi consente di ricominciare a lottare.

Non posso cedere.

Mi accuccio a terra, appoggiando gli avambracci sul pavimento e avvicinando i gomiti alle ginocchia. Nascondo la testa in mezzo alle braccia, ignorando il calore che sta diventando opprimente: ho il viso imperlato di sudore, i capelli appiccicati alla fronte, la mia pelle sta letteralmente andando a fuoco.

Smetto di prestare attenzione al mio corpo e metto in pratica uno dei metodi che usavo da piccola per addormentarmi.

Devo seguire il mio cuore, non importa quanto lontano mi condurrà.
Non mi guarderò indietro, non ci penserò due volte.


Muovo appena le labbra mentre recito i versi della canzone che mia madre mi cantava ogni sera per darmi la buonanotte.
Dopo la sua morte ho preso l’abitudine di ripeterla nella mente più volte prima di infilarmi sotto le coperte: era l’unico modo per affrontare il sonno con un pizzico di coraggio in più.

Prendi il passato, brucialo e lascialo andare.

Interrompo i miei sussurri febbrili e mi lascio scappare un ghigno. L’ironia di quelle parole non mi sfugge, specialmente visto che ho un libro in fiamme a poca distanza dalla mia coscia destra.

Andrò avanti, sono più forte di quanto tu potrai mai sapere.

Ormai sono talmente concentrata sulle parole da pronunciare che quasi non mi accorgo che il fumo non mi sta più invadendo i polmoni e che ho cominciato a respirare in modo più regolare.

Non mi arrenderò mai, non potrò mai rinunciare. E voglio solo essere, voglio solo essere … amata.

Nel scandire le ultime sillabe della parola apro gli occhi.
Batto le ciglia un paio di volte, tanto per assicurarmi che quelle iridi grigie che mi ritrovo davanti non siano l’ennesima finzione indotta dalla simulazione.

Sento qualcosa stringermi leggermente la spalla e ci metto più del dovuto a capire che si tratta della mano di Eric.
Quella consapevolezza annienta i pochi dubbi che mi annebbiavano il cervello. Chiudo gli occhi e sospiro.

Il Capofazione mi lancia un’occhiata circospetta. – Tutto a posto? – chiede, e per un momento mi pare realmente in ansia.

Nonostante avverta ancora un fastidio all’altezza del petto e voglia solo gridare e prendere a pugni ogni cosa su cui poso gli occhi, riesco perfino a rivolgergli un breve sorriso. Questo dimostra la reale portata della mia cotta. – Domanda di riserva? –, ironizzo.
Sono talmente confusa che non capisco nemmeno io come mi senta.

Eric rimane interdetto per un attimo, poi annuisce e scosta lentamente la mano dal mio braccio.
Si gira di spalle per spegnere il computer, dandomi così il tempo di riprendermi e mettermi seduta. Faccio dondolare le gambe oltre il bordo della poltrona e tiro indietro le ciocche di capelli che mi erano ricadute sulla fronte.

- Quanto? – mi lascio sfuggire, tenendo lo sguardo basso. La mia voce suona vuota e incolore alle mie stesse orecchie, fatico a riconoscerla.

Il Capofazione termina di staccare i fili e torna a voltarsi verso di me. Non alzo gli occhi, ma so che mi sta scrutando attentamente.
Il silenzio si protrae per tutto il tempo che Eric impiega a raggiungermi: si ferma a poca distanza dalle mie gambe e il suo braccio tatuato entra nel mio campo visivo.

Impiego tre lunghi secondi a registrare che mi sta porgendo un bicchiere pieno d’acqua fino all’orlo.
Mi accorgo solo in quel momento di avere la gola completamente secca. Mormoro un ringraziamento e tracanno il liquido in un solo sorso, ad occhi chiusi.

Esiste qualcosa di più delizioso?

Passo la lingua sulle labbra, raccogliendo le ultime gocce d’acqua che mi erano sfuggite.
Quando riapro le palpebre, la prima cosa che noto è lo sguardo di Eric, fortemente concentrato sulla mia bocca: le sue iridi hanno lo stesso colore dell’argento fuso e seguono come ipnotizzate il percorso della mia lingua.

Mi schiarisco la voce e ripeto la domanda per togliermi dall’imbarazzo. – Quanto … quanto tempo ho impiegato? –.

Quando Eric riporta i suoi occhi nei miei le mie dita stringono con forza il bordo della poltrona. Piega appena le labbra verso l’alto prima di rispondermi. – Cinque minuti. Congratulazioni -.

Il suo tono e la sua espressione mi lasciano perplessa. Sembra allo stesso tempo orgoglioso e sollevato. Come se, con il mio eccellente risultato, gli avessi fatto vincere un’importante scommessa, rivelandomi così all’altezza delle sue aspettative.

Accetto la sua approvazione con un’alzata di spalle. Io non mi sento per nulla contenta né soddisfatta: questa simulazione è stata molto peggio della precedente, mi ha letteralmente messa al tappeto. Sono senza forze, con i nervi ancora scossi.

Eric mi scruta dall’alto con il suo sguardo d’acciaio per qualche attimo, poi mi rivolge un sorrisetto malizioso che mi fa battere più forte il cuore. – Pare che sia giunto il mio turno – afferma, in tono sicuro e stranamente trionfante.

Di che diamine sta parlando?

Il mio intelletto non accenna a collaborare, quindi mi limito a scrollare la testa e sospirare di  frustrazione. - Il tuo turno per cosa? – chiedo, con un tono al limite dell’esasperazione.

Eric sogghigna di nuovo e fa un passo avanti. Ora le sue gambe sfiorano le mie e i nostri volti sono a pochi centimetri di distanza.
Continuo a mantenere il contatto visivo, anche se ho il cervello annebbiato e la salivazione praticamente assente.

Lui solleva entrambe le mani e le posa delicatamente sulle mie, che stanno ancora artigliando l’imbottitura della poltrona.
Le sue dita calde e forti indugiano sulla mia pelle, disegnando spirali immaginarie e scatenando ancora una volta la scintilla di elettricità tra i nostri corpi.

Prima che io possa anche solo elaborare il suo gesto inaspettato, Eric si china in avanti per mettere i suoi occhi all’altezza dei miei.
Ora non sorride più. – Per distrarti – sussurra al mio orecchio, facendomi avvampare.

Credo che l’aggettivo più adatto a me in questo preciso istante sia ‘inerme’.
Mi sento totalmente indifesa davanti a lui, in balia del suo tocco che ha il potere di infiammare ogni mia terminazione nervosa.

Chi sei tu e cosa hai fatto del vero Eric?

Vorrei ribattere con una battuta pungente, ma non ne ho facoltà.
La mia arguzia si arrende alle attenzioni estremamente gradevoli che il Capofazione mi sta riservando, gli dà carta bianca.

Eric non smette di fissarmi con quello sguardo attento e intenso che mi porta a un passo dall’iperventilazione.
Fa scorrere i suoi pollici sui miei polsi, poi le sue dita cominciano a salire lungo le mie braccia, lasciando sul loro cammino una calda scia di brividi.

Ringrazio mentalmente Melanie per aver insistito a farmi indossare quella maglietta a maniche corte invece della solita felpa con cappuccio.

Il Capofazione indugia con i polpastrelli sui miei tatuaggi, seguendone i contorni lentamente, causandomi una vampata di rossore sulle guance.
Visto che non accenno a spostarmi o a fermarlo, la sua espressione si fa più rilassata.

Credeva forse che l’avrei respinto? Povero illuso, è già tanto se mi trattengo dal circondargli i fianchi con le gambe.
Una cosa è certa: se continua con questa sua carezza a fior di pelle non rispondo più di me.

Come se avesse udito i miei pensieri fuori controllo, Eric torna a rivolgermi il suo solito ghigno sarcastico. Però, a differenza delle altre volte, mi pare sinceramente divertito dalla situazione.

Posa la sua mano destra sulla mia spalla, mentre l’altra continua a salire, sfiorandomi la clavicola.
Affonda le dita tra i miei capelli, posando i polpastrelli sulla nuca e lasciando il pollice libero di scorrere su e giù lungo il mio collo.

Avvicina il suo volto al mio, fino a che non ci ritroviamo a respirare la stessa aria. – Non mi piace essere in debito – soffia sulle mie labbra.
Il mio cuore manca un battito, ma poi inizia a pulsare a doppia velocità.

Avverto la leggera pressione dei piercing di Eric sulla bocca e chiudo gli occhi istintivamente, abbandonandomi tra le sue braccia.
Non ho mai baciato veramente qualcuno, se si esclude l’episodio dell’altra sera in camera del Capofazione.

Nessun ragazzo mi ha mai fatto provare emozioni così profonde, per cui non ho neanche mai sentito la necessità di avvicinarmi in questo modo a qualcuno.
La mia mancanza di esperienza di certo non mi impedisce di alzare un braccio e avvolgerlo attorno alle sue spalle, per annullare quei pochi millimetri che ancora ci separavano.

Eric sfiora prima il mio labbro superiore, poi passa con dolcezza a quello inferiore.
Lo lascio fare, godendomi la piacevole sensazione di torpore che il suo semplice tocco infonde alle mie membra.

Tutta la mia attenzione è focalizzata sui movimenti della sua bocca sulla mia, per cui impiego parecchio a capire che il rumore martellante che il mio udito percepisce non è il battito del mio cuore, ma qualcosa di totalmente estraneo al mio corpo.

Anche Eric sembra percepirlo. Con un debole lamento si stacca da me, anche se le sue mani rimangono saldamente ancorate alla mia pelle.
Una scintilla argentata illumina i suoi occhi, simile al riflesso della luce sulla lama di un coltello.

Il bussare alla porta si fa più accentuato ed Eric emette uno sbuffo di fastidio.
Ecco risolto il mistero del rumore molesto che ho avvertito in precedenza. – Che c'è? – ringhia, senza smettere di guardarmi.

Io cerco di tornare a respirare in modo normale, anche se si rivela un’impresa quasi impossibile visto che lui continua ad accarezzarmi la nuca con i polpastrelli.

- Max mi ha mandato a chiamarti – esclama una voce al di là della porta. – Raggiungici nel suo studio appena possibile -.
Realizzo che si tratta di James e alzo automaticamente gli occhi al cielo. È sempre in mezzo ai piedi, una vera e propria persecuzione.

Eric accenna un sorriso, pare divertito dalla mia reazione.
Gira appena la testa in direzione della porta per sbottare un: – Arrivo subito –, sempre in tono scocciato.

Non appena i passi di James si allontanano nel corridoio, il Capofazione riporta i suoi occhi su di me.
Toglie le mani dalle mie spalle per portarle sui miei fianchi e mi alza dalla poltrona con facilità. Mi trattiene per qualche istante contro di sé, per poi posarmi a terra con delicatezza.

Si scosta da me quasi di malavoglia. Pare indeciso, come se si stesse scervellando per trovare qualcosa di sensato da dire.

Lo anticipo, rivolgendogli un ampio sorriso. – Ottima mossa, Capofazione – commento, tamburellando con un dito sul suo petto. – Nascondi un talento insospettabile nell’arte di distrarre le persone -.

Eric si esibisce nel suo tipico ghigno sarcastico. – Ho imparato dalla migliore –. Si china in avanti per sfiorarmi il mento con le labbra socchiuse. – Vieni alla festa, stasera? -.

Una domanda del genere suona così strana detta da lui.
Annuisco, ma non posso trattenermi dal lanciargli un’occhiata ironica. – Dimmi che avrò l’onore di vederti ballare scatenato -.

- Ovviamente no – ribatte lui, schifato, come se gli avessi appena chiesto di travestirsi da donna per fare colpo su Quattro. – Lascio quell’onore a James: scommetto che troverai spassosa la sua naturale propensione a mettersi in ridicolo -.

Mi lascio scappare una risata davanti alla sua smorfia estremamente disgustata.

Eric mi sposta un ciuffo ribelle dietro l’orecchio – da quando è diventato così tenero? – prima di dirigersi verso la porta. – Ci vediamo dopo, Zelda – aggiunge, un attimo prima di uscire in corridoio.

Oh, ci puoi scommettere.

Mi lecco le labbra e le atteggio in un ghigno degno del mio Capofazione preferito. Mi avvio verso il dormitorio con un solo obiettivo in testa: riportare alla luce quel vestitino nero che tanto mi ero affannata a nascondere.

Vedremo se il tuo cuore è veramente di ghiaccio come ti piace far credere.

 








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Ciao a tutti!! Chiedo scusa cento volte per il ritardo, ma ho avuto un periodo un po’ pieno … spero di essermi fatta perdonare con questo lungo capitolo ;) aspetto i vostri commenti, non deludetemi!

Dedico il capitolo ad un ragazzo incontrato ieri per caso, incredibilmente identico a Jai Courtney: ho rischiato l’infarto, ma è stato utile per trovare ispirazione per la storia xD

Io direi che Eric merita un applauso: finalmente ha preso l'iniziativa. Meglio tardi che mai ahahaha

Grazie a tutti voi, che leggete il frutto dei miei film mentali: dire che vi adoro è poco!!!

Alla prossima,

Lizz

p.s. la canzone che Zelda canta nella simulazione è To be loved dei Papa Roach ;)

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Capitolo 34
*** Let it go (part 1) ***






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Capitolo 33




 

Zelda





Dire che Melanie è rimasta senza parole dopo il mio racconto dovrebbe essere classificato come il più patetico eufemismo mai pronunciato dalla specie umana.

L’Intrepida in questione non ha proferito verbo per due interi minuti, mentre io contraccambiavo il suo sguardo sbalordito con un ghigno di profondo compiacimento.
Credo che nessuno possa vantarsi di aver fatto tacere Melanie per un tempo così prolungato, anche se l’evento che ha causato tutto questo stupore non mi sembra poi così sconvolgente.

D’accordo, Eric mi ha baciata … è un fatto così scioccante?

Sembra di sì, perché Mel continua a fissarmi come se mi fossero spuntate due braccia in più.
Quando recupera l’uso della parola, rimpiango gli attimi di silenzio che mi sono appena lasciata alle spalle. – Accidenti! – esclama, mettendosi una mano sulla fronte come se stesse per svenire.

Non capisco se sia più strabiliata o soddisfatta. In ogni caso, il suo tono squillante attira su di noi l’ennesima occhiataccia da parte di Quattro, che se ne sta a pochi metri da noi, di fianco ai gemelli.
Mi sento rimpicciolire mentre i suoi occhi blu ci scrutano, infastiditi da quel chiasso che rischia di fargli perdere la concentrazione.

L’istruttore ha gentilmente acconsentito ad aiutarci ad affinare la tecnica del lancio dei coltelli, materia nella quale nessuno di noi sembra eccellere: il fatto che Xavier non riesca a centrare il bersaglio neanche di striscio la dice lunga.

Temo che le scorte di pazienza di Quattro siano già state messe abbastanza alla prova oggi - non c’è bisogno di testarle ulteriormente - per cui mi porto un dito alle labbra e invito Mel a seguirmi fuori dalla palestra.

Appoggiamo i coltelli sopra al tavolo vicino alla parete e ci defiliamo prima che Quattro si arrabbi sul serio e decida di usare noi come bersagli durante i lanci dei gemelli.

Mel non si fa pregare, anzi mi precede nel corridoio e si piazza davanti a me con le gambe divaricate e le mani sui fianchi. – Raccontami tutto! – sbotta imperiosamente, e capisco subito di non avere scampo.
Mi farà il terzo grado come suo solito, ma questa volta ne sono quasi contenta. Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno e Melanie è perfetta: so che non mi giudicherà, né andrà a spiattellare i fatti miei a tutta la fazione. Una delle migliori qualità dell’Intrepida dai capelli rossi è senza ombra di dubbio la lealtà.

Il sorriso che spunta sul mio viso mentre le rivelo i particolari del mio incontro molto ravvicinato con Eric è aperto e ammiccante: Mel ne rimane letteralmente abbagliata e ammutolisce di nuovo.
Ascolta tutto senza mai interrompermi. La vedo aprire la bocca, incurvare le sopracciglia e infine passarsi le dita tra i capelli, come fa sempre quando è nervosa o entusiasta per qualcosa. – Zelda – dice, in tono spaventosamente serio, tanto che per un attimo mi domando cosa posso aver mai fatto per indurla a rimproverarmi con quella voce così severa. Poi noto che i suoi occhi azzurri di brillano di gioia e mi rilasso.

Lei si getta su di me per abbracciarmi con calore e mi trapana un timpano esclamando: - Sei grande! L’hai fatto capitolare! Ora non ci rimane altro che assestargli il colpo finale, Eric non avrà scampo! -.

Il suo entusiasmo è contagioso, mi ritrovo a ridere contro la sua spalla. Però non mi è sfuggito il plurale nella sua frase, quindi chiedo spiegazioni.

Mel mi lancia uno sguardo tra l’ironico e l’offeso. – Non posso mica lasciarti da sola in questo frangente! Combineresti un disastro – spiega, scuotendo piano la testa. – Tu hai bisogno di un corso accelerato di romanticismo e io sono qui apposta -.

Inarco sarcasticamente un sopracciglio. – Ti faccio presente che in questo campo, Eric ed io ci facciamo concorrenza. Nessuno di noi due è un sentimentale, quindi non vedo di cosa ti preoccupi -.

Mel spalanca le braccia e alza lo sguardo verso il soffitto. – Cosa devo fare con questi due? – mugugna, ignorandomi del tutto, quasi stesse conversando con un individuo invisibile. – Lei lo bacia per farlo tacere, lui la bacia perché non vuole essere in debito … ma da quale strano pianeta venite?! -, domanda alla fine, tornando a rivolgersi direttamente alla mia persona.

Ricambio il suo cipiglio seccato con un’alzata di spalle che trasuda indifferenza. - Credo sia per questo che mi sento attratta da lui – commento con convinzione. – Le due persone meno romantiche sulla faccia della Terra dovevano per forza essere destinate ad incontrarsi, no? -.

Mel rimane un attimo in silenzio, come stesse ponderando la risposta, poi scoppia a ridere. – Il ragionamento non fa una grinza, ma resta il fatto che non potete continuare in questo modo all’infinito -. Alza un dito per puntarmelo contro. – Basta con questi incontri ambigui, ma soprattutto con questi … non riesco nemmeno a definirli baci! Ogni relazione ha il suo punto di svolta e il vostro avrà luogo stasera! -.

Ormai le sue idee non mi spaventano più, anzi, mi ritrovo ad annuire. Non mi starò Melanizzando, vero?
– Vuoi dire che lo faremo accadere stasera – la correggo e lei approva con un cenno del capo. – Tu farai il Cupido della situazione, io dovrò solo seguire i tuoi consigli ed Eric finirà nella nostra rete – continuo, dandole il cinque.

- Noto con piacere che cominci ad apprezzare il piano. Anche se, detto così, sembra più una tattica bellica che un programma di conquista – fa presente lei in tono lievemente contrariato.

- Programma di conquista? – chiede una voce sospesa tra sorpresa e divertimento.

Mel ed io ci giriamo di scatto verso Leslie, che assume un’espressione contrita davanti alle nostre facce sconvolte. – Mi spiace, non intendevo origliare. Vi stavo solo cercando per chiedervi se vi andava di aiutarmi a trovare un vestito per la festa di stasera … – aggiunge, alzando le mani come per giustificarsi. – Ma se siete impegnate non fa nulla -.

Mi rendo improvvisamente conto di aver un po’ trascurato Leslie negli ultimi giorni.
Una fitta di senso di colpa mi punge il cuore, facendomi sussultare: ho incentrato troppo i miei pensieri su Eric, finendo per dimenticarmi di tutto il resto, in particolare dei miei nuovi amici. Mi sento uno schifo. Ma spero di essere ancora in tempo per farmi perdonare.

- Ovvio che ti daremo una mano – assicuro, facendole un sorrisone e Mel annuisce con convinzione. – Dobbiamo proprio fare due chiacchiere: ti devo aggiornare sugli ultimi avvenimenti -. Iniziamo a percorrere il corridoio in direzione del Pozzo, perciò abbasso la voce per non attirare l’attenzione degli Intrepidi che incrociamo nel tunnel. – Vedi … devi sapere che … insomma … -.

- Ha baciato Eric – taglia corto Mel, lapidaria come al solito.

Leslie sgrana gli occhi, esterrefatta. Sembra sul punto di aprire la bocca per dire qualcosa, ma poi ci ripensa e rimane semplicemente a fissarmi come se, per assimilare quell’informazione, le occorresse un lasso di tempo maggiore di quello previsto.

Se non fossimo nel pieno centro della residenza, ovvero il luogo meno indicato in cui parlare di affari personali che riguardano un certo Capofazione di nostra conoscenza - spalle larghe, occhi grigio piombo, ho reso l’idea? – potrei tranquillamente ridere dell’espressione dell’ex Pacifica.

– Ti ringrazio Melanie – bofonchio, infastidita, freddandola con il mio miglior sguardo omicida.

Lei non fa una piega, anzi sogghigna come un gatto che è appena riuscito a catturare il pesciolino che nuotava tranquillo nella boccia. - Quando vuoi – assicura, compiaciuta dello shock che quella semplice frase ha causato a Leslie.

Quest’ultima fa un profondo respiro e farfuglia qualcosa del tipo: - Ma tu … voi … cosa? -.

Senza aspettare che la poverina riesca a riprendersi per aggiungere quantomeno un verbo o un complemento alla precedente frase, Mel rincara la dose: – E oggi lui ha baciato lei! -.

Mi massaggio la fronte con le dita, esasperata all’ennesima potenza.
Andiamo, è proprio necessario esternare tutto questo entusiasmo? Ci manca solo che inizi a saltellare battendo le mani!
Cosa farà quando Eric ed io … oh no, ci stavo davvero pensando?! Devo smetterla di farmi influenzare in questo modo!

Quando riporto l’attenzione sulle mie amiche – lasciando perdere quelle fantasie terribilmente piacevoli, ma decisamente fuori luogo - vedo chiaramente il punto di domanda sulla fronte di Leslie ingrandirsi fino a diventare un grosso e luminoso cartello di pericolo.

Meno tre, due, uno …

- Raccontami tutto! – esclama, in un tono molto poco da lei – e molto più da Melanie.

Alzo gli occhi al cielo, esasperata.

Chissà perché, ma mi sembra di averla già sentita …







 
* * *





 
Due ore e parecchi negozi dopo, Mel abbassa casualmente lo sguardo sul polso di Leslie e lancia un’imprecazione molto poco femminile, suscitando la smorfia di disapprovazione della ragazza alla cassa, che sta impacchettando con cura i nostri ultimi acquisti.

Con un sorriso di scuse, afferro i sacchetti carichi di trucchi, accessori e altre cianfrusaglie che le mie amiche hanno insistito per comprare, definendole – testualmente – di vitale importanza. Hanno trascorso la maggior parte del pomeriggio a confabulare tra loro e a scrutarmi di sottecchi, facendo aumentare progressivamente la mia già notevole ansia.
Contenta di aver messo la parola ‘fine’ allo shopping sfrenato pre-festa, le seguo fuori dal negozio, ben attenta a non inciampare sulla ripida scalinata di pietra.

Mel stringe al petto una borsetta dall’aria sospetta, da cui spunta l’orlo di quella che assomiglia spaventosamente ad una camicia da notte inequivocabilmente di pizzo nero. Molto simile a quella che mi hanno costretto a provare circa venti minuti fa e che ho seccamente rifiutato di comprare.

Comincio a farmi prendere dal panico.
Non essere precipitosa, Zelda, ribadisce la già nota vocetta, appartenente al mio per-niente affidabile-e-piuttosto-incasinato inconscio. Magari le piaceva e l’ha presa per sé…

Prego che sia così, anche se il cattivo presentimento non accenna a svanire. Decido di lasciar perdere e di concedere a Melanie il beneficio del dubbio.
Anche perché non può mica obbligarmi a dormire con quella … cosa, no? L’ansia per la festa mi sta facendo impazzire, non vedo l’ora di finirla con tutte queste macchinazioni e sotterfugi per conquistare Eric.

Leslie e Mel non si sono risparmiate, mi hanno sommerso di consigli, raccomandazioni - e chi più ne ha più ne metta - su cosa fare o non fare quando lo vedrò tra poche ore.

“… devi essere sensuale: muovi di più quei fianchi quando cammini, sembri un manico di scopa! Sciogli i capelli, ecco così … e per l’amor del cielo, invece di tormentarti quelle labbra con i denti, usale per uno scopo più produttivo, tipo baciare Eric come si deve! ”.

Per chi non lo avesse capito, questa è Mel.

“… ricordati che la cosa più importante è che tu sia sempre te stessa. Gli piaci, su questo non ci sono dubbi, perciò non preoccuparti. Se ti trova attraente in tuta da ginnastica e senza un filo di trucco, immagina cosa penserà quando ti vedrà con quel grazioso abitino scollato …”

C’è da dire che le parole di Leslie fanno decisamente a pugni con il bel discorsetto di Melanie.
Ciò nonostante, le trovo nettamente più rassicuranti e incoraggianti dei suggerimenti dell’Intrepida dai capelli rossi, che sembrano tratti parola per parola dal manuale per diventare la perfetta femme fatale. O, in altri termini, per imitare lo stile disinibito della cara Josie.

Mi torna subito in mente la patetica scenetta nella camera di Eric e stringo i denti.
Mi domando cosa provi davvero quella ragazza per lui – e lui per lei. Dubito seriamente che Josie sia realmente innamorata del Capofazione - non mi sembra il tipo da relazione monogama, visto il gruppo di ragazzi da cui la vedo circondata ogni volta che la incrocio per i corridoi -, ma potrei benissimo sbagliarmi.

Raggiungiamo in fretta il dormitorio, fortunatamente deserto, mentre Mel continua a borbottare pezzi di frasi a mezza voce. Distinguo solo le parole spaventoso ritardo e tacchi a spillo, quando mi passa accanto per fiondarsi ad aprire le ante dell’armadio.

La lascio in compagnia dei vestiti che sta strapazzando, in cerca di lei solo sa cosa, e appoggio i nostri acquisti sulla scrivania.
Approfitto della sua momentanea distrazione per avvicinarmi al letto con la precisa intenzione di gettarmi tra le coperte e sonnecchiare per qualche minuto. In fondo manca ancora parecchio tempo, la festa inizierà solo tra tre ore, non vedo perché dovrei …

Il pensiero rimane sospeso nel mio cervello, destinato a non avere mai una conclusione.

Con mio sommo disappunto, Melanie è riuscita ad afferrarmi il polso prima che potessi anche solo sedermi sul materasso. Mi incenerisce con i suoi occhi celesti, prima di indicare con un veloce cenno del capo la porta del bagno. – Forza, fila a farti la doccia. Non abbiamo tempo da perdere! -.

Vorrei farle notare che abbiamo davanti a noi la bellezza di tre – dico tre! – ore per prepararci, ma dal suo cipiglio cocciuto capisco che protestando non otterrei nulla. Meglio assecondarla, o finirò per sorbirmi l’ennesima ramanzina.

Con il mento alzato in atteggiamento di sfida, mi spoglio, mi avvolgo nell’asciugamano color crema e prendo possesso del bagno.
Non sono abbastanza veloce: riesco ad udire perfettamente l’elenco delle torture a cui intendono sottopormi.

Torture che mettono in pratica non appena termino di spazzolarmi i capelli ancora umidi.

Prima di affidarmi alle loro cure, faccio un respiro profondo.
Mio caro Eric, devo proprio essere cotta di te per accettare tutto questo senza lamentarmi. Spero che ne valga la pena.

Osservo il volto concentrato di Leslie, che maneggia con sicurezza la piastra per capelli. Si è gentilmente offerta di lisciare i miei riccioli ribelli - impresa che svolge egregiamente, a detta di Melanie.

Io non posso esprimere pareri, visto che mi hanno piazzata su una sedia accanto al letto e non ci sono specchi nei paraggi.

Dal canto suo, Melanie attende che ogni ciuffo sia ben stirato, per poi studiare con attenzione il suo beauty pieno fino all’orlo di trucchi di ogni tipo.
Fa saettare il suo sguardo dal mio viso ai cosmetici, forse per capire quale colore si abbini meglio alla mia carnagione e ai miei occhi.

Alla fine dell’ispezione, dopo aver rovistato senza sosta per cinque minuti buoni in quell’astuccio - ho il sospetto sia più rifornito della profumeria da cui siamo uscite un’ora fa – sceglie un eyeliner nero pece e un delicato ombretto dorato, da sfumare con uno appena più scuro.
La mezz’ora successiva è tutta un susseguirsi di ordini del tipo: “chiudi gli occhi … aprili, guarda su, guarda giù … alza la testa … ora resta ferma … perfetto!”.

Quest’ultima esclamazione segna la fine dell’opera.
Melanie ripone il tubetto di lucidalabbra rosso fuoco nella tasca del beauty e analizza meticolosamente il mio viso, alla ricerca della minima imperfezione o sbavatura che le sia sfuggita.

Leslie, che aveva saggiamente approfittato di quel lasso di tempo per lavarsi ed arricciarsi i capelli, si avvicina a noi ancora mezza svestita per ammirare il risultato.
La sua espressione compiaciuta fa a gara con quella di Melanie, che si sgranchisce le dita e comincia a raccogliere i pennelli sparsi sul mio letto.
Faccio per afferrare lo specchietto tascabile appoggiato al comodino, ma entrambe si lanciano in avanti per impedirmelo.

Mel lo nasconde nel beauty, dopo avermi fatto l’occhiolino. – Non è ancora il momento -.

I miei occhi da tenero cucciolo non incantano nemmeno Leslie, che mi rivolge un sorriso di scuse. – Fidati, Zelda, stai benissimo -.
Si inginocchia di fianco al letto, per recuperare il vestito che avevo nascosto nel cassetto del comodino e lo porge a Mel, che mi rimprovera subito per averlo stropicciato in quel modo.

- Forse lo sarebbe … se ci fosse qualcosa da stropicciare -, non riesco a trattenermi dal dire, mentre esamino quei pochi pezzi di stoffa cuciti insieme. Mi faccio coraggio e lo indosso con delicatezza. Una volta pronta, mi giro verso le mie amiche, che sogghignano pericolosamente.

- Eric ci rimarrà secco – assicura Melanie, aiutandomi ad aggiustare la scollatura abbastanza profonda.

Il tessuto avvolge con dolcezza le mie spalle, per poi cadere a cascata lungo la mia schiena – lasciando un bel pezzo di pelle scoperta! – e ricongiungersi appena sopra la curva dei fianchi. Anche se non vedo il mio riflesso, so perfettamente che l’abito è talmente corto da arrivare neanche a metà coscia.

Mi appunto mentalmente di non chinarmi per nessun motivo: le mutandine di pizzo scuro che Mel mi ha gentilmente invitato ad infilare sono deliziose, certo, ma non tanto da farmi desiderare di mostrarle a mezza fazione. Ecco, forse per Eric potrei fare un’eccezione … oh no, non di nuovo!

Zelda, dacci un taglio, basta con questi pensieri maliziosi. Prima di metterli in pratica devi capire se lui ricambia i tuoi sentimenti, quindi concentrati sull’obiettivo e niente distrazioni fino a che non avrai fatto capitolare Fiamma di Ghiaccio.

Sulle mie labbra si disegna un sorrisetto mentre ripenso a quel soprannome, coniato apposta da Melanie per non dover sbraitare ogni due secondi il nome di Eric davanti ai nostri compagni. Non voglio correre il rischio che vadano a spettegolare in giro, per cui abbiamo deciso di utilizzare quel riferimento in codice.

Devo dire che gli si addice: lui è di fatto una fiamma, in quanto Intrepido – nonché Capofazione -, una lingua di fuoco che divampa inesorabile, racchiusa nel fondo di quegli occhi di ghiaccio.

Immersa nei miei ragionamenti personali, non mi accorgo del trambusto che regna nel dormitorio mentre Melanie e Leslie finiscono di rendersi presentabili.
Anche loro indossano un vestito, e noto con piacere che quello di Melanie è decisamente più corto del mio. Invece di scandalizzarmi, quel particolare finisce per rincuorarmi.

Sono entrambe splendide e lo dico apertamente, suscitando un sorriso timido da parte di Leslie che contrasta col ghigno poco raccomandabile che spunta sulle labbra di Melanie, truccate con un rossetto viola scuro. – Non potevamo mica lasciare tutta la scena a te – mi rimbecca quest’ultima, mentre si acconcia i corti capelli con un filo di gel.

Il suo abito, aderente e provocante, color malva, lascerà i ragazzi senza fiato, ne sono convinta.
Mi chiedo distrattamente se si sia agghindata così per qualcuno in particolare.

Leslie, al contrario, è avvolta in un semplice tubino verde bottiglia, che evidenzia la sfumatura color giada dei suoi occhi. Non è eccessivamente scollato, né arricchito con pizzo o ricami particolari, eppure è impossibile non notarla: ha un’eleganza innata che incanta al primo sguardo. Vorrei tanto che Damien potesse vederla, di certo rischierebbe di strozzarsi con la sua stessa saliva al cospetto di tanta bellezza.

È incredibile quanto il carattere dell’ex Pacifica si sia fortificato negli ultimi tempi: tutto il duro allenamento fisico e mentale a cui ci sottopone l’iniziazione sembra aver portato alla luce la sua forza nascosta, eliminando quasi completamente la sua insicurezza e rafforzando la sua autostima. Perfino la compagnia costante di Mel ha i suoi lati positivi: l’Intrepida ha la rara capacità di infondere in chiunque entusiasmo e sicurezza.

Leslie, infatti, mi sta guardando con più malizia del solito, comprovando la mia teoria. – Pronta? – chiede, prendendomi la mano.

Io annuisco e chiudo istintivamente gli occhi, lasciandomi trascinare dalle due ragazze fino all’armadietto di Melanie, al cui interno troneggia un enorme specchio rettangolare, lungo quanto l’anta stessa. Aspetto che mi diano il via libera, poi apro con cautela le palpebre.

Per un momento penso che mi stiano prendendo in giro: quella non posso essere io.
Andiamo, io non ho quei capelli luminosi e ordinati, né quelle gambe affusolate, né …

Ok, mi calmo.

Respiro lentamente e cerco di far rallentare il ritmo serrato intrapreso dal mio cuore.
Inizio l’inventario dal basso, risalendo lentamente con gli occhi sul mio corpo: sandali argentati col tacco a spillo (gentilmente prestati da Melanie) che richiamano il ricamo sul corpetto dell’abito; vestito indecente … su cui non mi soffermo troppo, altrimenti comincerei con le mie mille paranoie; capelli lisci come non li ho mai visti, che mi ricadono sulle spalle in lunghe ciocche ordinate; sotto un ciuffo leggermente arricciato ed appuntato a lato della testa con una forcina, noto i miei occhi contornati da una buona dose di eyeliner, nonché da un tocco di ombretto sapientemente sfumato per evidenziare il taglio leggermente a mandorla delle mie palpebre.
Le mie ciglia non mi sono mai sembrate così lunghe e ricurve, di sicuro il merito va alla straordinaria abilità di Mel nello stendere il mascara.

Nell’incavo del mio collo luccica il medaglione di mia madre, che solitamente nascondo sotto la maglietta.
L’insieme è quasi perfetto, penso con un sospiro. Osservo con rammarico il mio polso: se avessi anche il braccialetto argentato …

Faccio una smorfia nel ricordare perché quel gioiello non è più in mio possesso. Quattro parole: tutta colpa di Eric.

Stasera pagherà per tutti i nostri conti in sospeso: il suo cuore subirà una scossa talmente potente da lasciarlo senza fiato.
Sarà la mia personale vendetta per tutte quelle volte in cui si è dimostrato sensibile quanto le armi a cui è tanto affezionato.







 
* * *





 
La musica rimbomba in tutto il perimetro del Pozzo, entrandomi nel petto e scuotendo a ritmo la mia cassa toracica.

Melanie mi sistema una piega sul corpetto dell’abito, per poi darmi una leggera spinta tra le scapole. – Avanti, è il tuo momento – bisbiglia al mio orecchio.

Siamo immerse nell’oscurità di uno dei tunnel e continuiamo a sbirciare le persone che entrano una dopo l’altra nella caverna, nella speranza di scorgere l’alta figura di Eric. Quando Mel lo vede fare il suo ingresso comincia ad agitare le braccia e a farmi cenno di andare.

Leslie mi stringe la spalla. – Stendilo – dice semplicemente.

Io rispondo con un sorriso teso, ma mi autoimpongo di raddrizzare le spalle e tenere lo sguardo alto.
Sistemo nervosamente il vestito sulle cosce, scuoto i capelli per scostarli dal volto e muovo un passo verso il Pozzo, ben attenta a non calpestare con i tacchi i frammenti di vetro e rocce disseminati in giro.

Sebbene la festa sia iniziata solo da mezz’ora, la grande grotta è già piena zeppa di gente.

Accanto alla famosa ringhiera dello strapiombo, Zeke sta intrattenendo il suo personale pubblico – composto perlopiù da fanciulle adoranti – con battutine sconce e giochetti di prestigio, tra i quali il suo speciale numero con l’accendino. Lo fa scorrere tra le dita della mano con scioltezza, per poi farlo magicamente scomparire e infine riapparire dietro l’orecchio, o in mezzo ai capelli, della persona di turno.

Si vanta di aver conquistato parecchie ragazze in quel modo, e non posso dargli torto: con quella camicia nera che sembra cucita su di lui e quel sorrisetto ammiccante, è davvero un bel pezzo di ragazzo. Il giochetto arricchisce solo l’insieme, lo fa sembrare misterioso e accattivante. Dal canto mio, non ci trovo nulla di affascinante, ma ormai è risaputo che io sono una delle due persone meno sdolcinate del pianeta.

E la mia anima gemella si trova al lato opposto del Pozzo, mi dà le spalle e pare non essersi accorta minimamente della mia presenza.

Grandioso. Un bell’inizio, davvero.

Prendo un bel respiro e comincio a farmi largo tra la folla.
Noto con piacere che le altre ragazze sono conciate come me – in alcuni casi anche peggio – quindi mi rilasso e distendo lo sguardo.
Molti ragazzi si voltano al mio passaggio, alcuni mi invitano a ballare, gli altri si limitano a fissare senza vergogna la mia scollatura. Alzo mentalmente gli occhi al cielo pensando a quanto poco basta per fare rimanere a bocca aperta la specie maschile.

Mi domando se Eric invece, visto che ha un carattere e un modo di fare tutto suo, non faccia eccezione. Poi richiamo alla memoria la tenuta poco casta che indossava Josie la prima volta che l’ho vista e digrigno i denti.
No, mi correggo subito, nemmeno lui fa eccezione.

Socchiudo le palpebre, puntando le mie iridi minacciose sulla schiena della mia preda. A noi due, mio caro Capofazione.

Sono a pochi metri da lui, quando sento la voce di Xavier chiamarmi.
Impreco tra me e me, ma non posso fare altro che voltarmi nella sua direzione.

Mi fissa con gli occhi sgranati all’inverosimile. – Sei … -, fa una pausa e deglutisce, - … stupenda -. Si passa una mano tra i capelli con fare impacciato. – Sai, per un attimo credevo di aver visto male. Quasi non ti riconoscevo … -.

Mi sembra imbarazzato. Sono io a metterlo così a disagio?
Beh, questa non è proprio la sensazione che volevo infondere con la mia mise indecente.

- Hai ragione – confermo, sbuffando senza un briciolo di grazia femminile. – Anche io stentavo a riconoscermi quando mi hanno messo davanti uno specchio -.

Xavier ride della mia espressione corrucciata, pare più rilassato. D’un tratto capisco che quell’emozione che aveva scritta sul viso poco prima non era semplice imbarazzo, ma più … soggezione.
E mi sento più sicura di me, perché quella è esattamente la sensazione che voglio far provare ad Eric e ci riuscirò.

Deve rimanere spiazzato, in preda alla confusione più totale, incapace perfino di articolare una sillaba.
Proprio come mi sento io quando mi tocca o mi guarda troppo a lungo negli occhi.

Lo cerco con lo sguardo e lo trovo nella stessa posizione di poco fa: sempre di spalle, credo stia chiacchierando con Max e gli altri Capifazione.
Quando si volta di lato per afferrare una bottiglia di birra, noto che indossa una maglietta grigio scuro sotto una giacca di pelle a maniche corte, lasciata sbottonata.

Con una punta di tristezza, rifletto che a me sembrerebbe bello anche se si vestisse con gli abiti informi degli Abneganti, o i completi eleganti degli Eruditi, o le vesti colorate dei Pacifici. Sotto qualsiasi capo di vestiario, resterebbe sempre il mio Eric, il ragazzo forte, impulsivo, testardo, lunatico, scontroso e irascibile che ho imparato prima ad apprezzare e, in seguito, ad amare.

Sì, perché io lo amo.

Non importa se ci conosciamo soltanto da una settimana e siamo passati dal guardarci con disprezzo al baciarci nelle situazioni più impensate.
Lo amo, e non lo vorrei diverso da com’è.

Sento le lacrime pungermi gli occhi e faccio dei respiri profondi per evitare di lasciar trapelare le mie emozioni interiori.
Vietato piangere se ti hanno costretto ad applicare il mascara, è una regola basilare. La mia commozione non voluta dovrà attendere per avere uno sfogo.

Sto quasi per tirarmi indietro, mandare a monte il mio piano di conquista e rifugiarmi al sicuro nel mio letto, quando Xavier mi chiede se voglio bere qualcosa.
Al mio cenno affermativo, lui mi passa un braccio attorno alla vita e mi conduce verso il tavolo adibito a buffet.

Verso Eric.

Accidenti, le mie gambe hanno scelto un pessimo momento per cominciare a dare segni di cedimento. Sento le ginocchia molli e fatico a mettere un piede davanti all’altro. Al diavolo i tacchi a spillo e chi li ha inventati!

- Zelda? Tutto bene? -.

La voce di Xavier fa breccia nei miei pensieri scoordinati e capisco di essermi immobilizzata a pochi passi dal tavolo, combattuta tra il desiderio di fiondarmi tra le braccia del Capofazione e quello di fuggire da lì a gambe levate. Mi do uno schiaffo mentale per tornare in me e stroncare quell’accenno di codardia sul nascere.

Ed Eric sceglie proprio quel momento per degnarsi - finalmente - ad incrociare il mio sguardo.

Beh, se la mia intenzione era quella di fargli avere un collasso immediato temo di esserci riuscita.
Occhi sgranati? Ci sono.
Bocca spalancata? Poco ci manca.
Confusione totale? Ce l’ha dipinta in viso a caratteri cubitali.

La radiografia accurata che mi aspettavo non tarda ad arrivare. Le sue iridi scorrono su tutto il mio corpo, lentamente, quasi volesse registrare il mio aspetto indelebilmente nella sua memoria, fin nei minimi dettagli. Non riesco a sentirmi in imbarazzo di fronte a quell’esame scrupoloso: a dir la verità non riesco a fare proprio un bel niente. Rimango semplicemente a fissarlo, finché non si decide a riportare il suo sguardo nel mio.

Non ho sempre sostenuto che i suoi occhi sono freddi?
Bene, in quell’istante ho avuto la mia personale dimostrazione di come, anche un pezzo di ghiaccio, possa provocare un’ustione grave quasi quanto il più crepitante degli incendi. La mia pelle pare bruciare sotto la sua occhiata insistente, neanche mi stesse percorrendo le braccia con l’accendino di Zeke. Le mie braccia, che questa mattina lui ha sfiorato con inaspettata dolcezza …

Non so per quanto andiamo avanti a fissarci in silenzio.
Fosse per me, potrei rimanere in questa posizione all’infinito … anche se non sarebbe male se si avvicinasse di più a me.

E lui lo fa. Avanza davvero di qualche passo, quasi avesse percepito il mio desiderio nascosto.
Solo che viene bruscamente fermato da una figura snella, avvolta in un sottile drappo di seta color antracite che copre a malapena il suo corpo nei punti fondamentali.

Josie.

I pensieri che il mio cervello formula mentre guardo quella chioma ramata spostarsi sulla spalla di Eric sono poco carini e intrisi di veleno.
Lei mi lancia una veloce occhiata derisoria, prima di infilare le mani sotto la giacca del Capofazione e stringere la stoffa della maglietta aderente all’altezza dei fianchi.

Reprimo un moto di nausea e deglutisco, senza staccare lo sguardo da quella scena degna di un film dell’orrore.
La cosa più orrenda è che Eric non accenna a spostarsi o scostarsi da lei. Rimango impassibile a fatica e dentro di me conto fino a dieci, ma la situazione non cambia.

Le sue iridi color fumo sono ancora puntate su di me, unico dettaglio positivo.
Mi illudo di averlo traumatizzato talmente tanto da avergli fatto perdere il contatto con la realtà - una bugia a cui non credo nemmeno per un secondo, conoscendo il suo incorruttibile autocontrollo.

Poteva allontanare Josie in qualunque momento e non l’ha fatto, questi sono i fatti.
Ed io mi sono stancata di aspettare un qualcosa che non avverrà mai.

Perciò saluto entrambi con un rigido cenno del capo e mi volto verso il centro della pista da ballo improvvisata da un gruppo di Intrepidi scatenati.
Individuo Felix qualche metro più in là, che si dimena a tempo e cerca di coinvolgere Leslie nella danza, ottenendo scarsi risultati, ma tante risate da parte di Xavier.

Melanie e Quattro sono poco distanti e stanno discutendo animatamente con due ragazzi di cui non conosco i nomi, sebbene li abbia già visti qualche volta in giro per la Residenza.

Indietreggio verso il corridoio più vicino, sperando di non essere notata.
Non andrò da loro: in questo momento voglio restare da sola, lontana da tutta questa confusione e da occhi curiosi.

Imbocco il primo tunnel che incontro e avanzo nel buio senza una meta precisa.
Dopo pochi passi mi fermo e appoggio la schiena alla parete.

Mi sento patetica: come ho potuto pensare di aver qualche possibilità con Eric?
È evidente che non gli interesso, mi avrà baciata solo per divertimento, o magari per una scommessa.
Che stupida a pensare che potessi piacergli davvero …

Interrompo la fase di autocommiserazione per sbottare un’imprecazione tra i denti.

Una luce improvvisa ha bucato la densa oscurità del corridoio e mi ha colpito alla sprovvista, costringendomi a chiudere gli occhi di scatto.
Quando li riapro, scorgo una figura tremendamente familiare al di là del fascio brillante di una torcia elettrica.

Eric abbassa quell’arnese micidiale per le mie pupille e mi tende la mano libera senza proferire parola.
Guardo con sospetto le sue dita distese verso di me, non sapendo come interpretare quel gesto all’apparenza innocuo.

Lui osserva la mia espressione indecisa con un sopracciglio inarcato. – Zelda, ti assicuro che non mordo – sbuffa, e, senza attendere la mia risposta, mi afferra la mano con decisione.

Vorrei protestare, dovrei protestare – sono ancora arrabbiata con lui, no? - ma non trovo la voce.
Mi arrendo e lascio che mi conduca verso la fine del tunnel.

Non lascia la mia mano nemmeno quando giungiamo davanti ad un ascensore: piuttosto che mollare le mie dita, preferisce lanciare la torcia a terra e usare l’altra mano per schiacciare il pulsante lampeggiante. Entriamo nella stretta cabina e le porte si chiudono alle nostre spalle con un piccolo schiocco.

Eric si gira e, dopo avermi scrutato per alcuni secondi negli occhi, aggrotta la fronte. – Non hai pianto – mormora, spostando una ciocca di capelli dalla mia guancia.

La nota incredula che avverto nel suo tono mi fa infuriare. - Ho il mascara – ribatto a denti stretti, come se quella fosse una giustificazione più che sufficiente. – E poi, per quale motivo avrei dovuto piangere? -. Per te?

Lui mi lancia un’occhiata indecifrabile, poi annuisce brevemente. – Hai detto bene: non ne hai motivo – dichiara con sicurezza.
Abbandona la mia mano solo per sfilarsi la giacca e metterla sulle mie spalle con delicatezza.

In risposta al mio sguardo interrogativo, sfoggia un sorriso malizioso. – Quel vestito è … -, si blocca un momento, sembra faticare a trovare un aggettivo adeguato, soprattutto perché sta ammirando con fin troppa insistenza la stoffa che copre l’inizio delle mie cosce. Si schiarisce la voce prima di continuare. – Insomma, non voglio che ti prenda una polmonite -, borbotta, tagliando corto.

Sono sempre più confusa: dove diamine stiamo andando?

Chiudo tutti i bottoni della giacca di pelle mentre aspetto con impazienza che la cabina giunga a destinazione. Con quel capo addosso mi sento più a mio agio, specialmente perché è impregnato dell’odore tipico di Eric: metallo, fumo e un altro aroma che non riesco a catalogare.

Quando le porte si schiudono con un fruscio metallico, il Capofazione mi precede all’esterno, sempre tenendo stretta la mia mano.
Mi guardo attorno e scopro di trovarmi sul tetto su cui sono saltata la prima volta: è incredibile, sempre sia passata una vita e non solamente una manciata di giorni.

E’ esattamente in questo punto che Eric ed io ci siamo incontrati, che i nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta.
Fuoco dorato contro grigio acciaio.
Come sta accadendo ora, anche se la soffusa luce delle stelle non mi permette di scorgere le sfumature particolari delle sue iridi.

Abbasso gli occhi sulle nostre mani intrecciate e il mio viso si addolcisce. - Hai paura che scappi? – chiedo, con un sorriso.

Non mi importa se fino a due minuti fa volevo mettergli le mani addosso per strozzarlo.
Non importa se fino a due minuti fa Josie si stava strusciando su di lui senza ritegno.
Eric è qui con me, ora. Ha scelto me.

Il Capofazione scuote la testa. – Certo che no – replica, facendo un passo in avanti per avvicinare i nostri corpi. – Sappiamo bene entrambi che, se anche dovessi scappare, non esiterei a riacciuffarti -.

- Corro veloce –.

Le braccia di Eric si avvolgono attorno alla mia vita. – Anche io – sussurra al mio orecchio, facendomi rabbrividire.

Si scosta appena per guardarmi in faccia e vedo una luce nuova nei suoi occhi.
So che sta tentando di comunicarmi qualcosa, ma evidentemente non riesce ad esprimerlo ad alta voce.
Ebbene, lo farà, a costo di fargli sputare la verità a forza. Non mi accontenterò di niente di meno.

Comincio con la domanda più semplice che mi viene in mente. - Perché mi hai portata qui, Eric? –.

Lui fa un sospiro e si allontana da me di alcuni passi. – Non so da che parte cominciare – confessa, strofinandosi la fronte con le dita.

Attendo pazientemente che riordini le idee, intenerita dal suo cipiglio confuso e impacciato.
Non l’ho mai visto così, sembra quasi un … ragazzo normale. Rido tra me per quel pensiero assurdo.

Le palpebre di Eric si stringono, segno che ha preso la sua decisione. – So già che mi pentirò per quello che sto per dire, quindi apri bene le orecchie perché non lo ripeterò neanche sotto tortura – esordisce, facendomi ridacchiare.

Mi fulmina con un’occhiataccia e io alzo le mani in segno di resa. – Scusa. Va avanti, ti prego, l’inizio era promettente -.

Lui rotea gli occhi, ma le sue labbra si piegano leggermente all’insù. Si schiarisce la voce e ricomincia. – Non sono pratico di queste cose, non ho mai avuto bisogno di esprimere i miei … sentimenti ad alta voce. Sto facendo un’eccezione per te, quindi evita di interrompermi e fammi finire in fretta questa tortura che mi sto autoinfliggendo -.

Mimo l’azione di chiudermi la bocca con una cerniera, suscitando un sorriso divertito da parte del ragazzo che mi sta di fronte.

- Detesto i giri di parole, perciò andrò dritto al punto –. Appoggia le mani sulle mie spalle e si fa più vicino. – Mi piaci, Zelda. Suona orrendamente sdolcinato e innaturale detto da me, ma è la verità. E sono stanco di dover reprimere l’istinto di toccarti, o baciarti, ogni volta che ti incontro -, altro sospiro, - quindi, se tu non provi nulla per me, dillo subito, così posso correre a lanciarmi nella voragine -.

Rimane in silenzio per alcuni secondi, chiaramente in attesa di una risposta.
Il rossore sulle mie guance deve essere diventato evidente perché lo vedo distendere le labbra in un sorrisetto malizioso.

Scuoto la testa. – Guai a te se ti allontani di un millimetro – dichiaro, toccandogli piano una guancia. – Se non provassi nulla per te, non ti avrei mai seguito su questo tetto. Né baciato. Due volte -.

Eric sfoggia un’espressione furba e soddisfatta. – Ah, quindi avevo ragione. Non avresti usato quel metodo per far tacere chiunque –.

- Certo che no – ribatto, indignata.
Seguo con un dito la cucitura della sua maglietta grigia, la stessa che Josie stava stringendo poco fa.
Nel ripensare alla scena le mie labbra si storcono in una smorfia.

Che Eric non manca di notare. Infila le dita tra i miei capelli e mi strofina gli zigomi con i pollici. – Qualcosa non va? – chiede, a pochi centimetri dal mio viso.

Abbasso lo sguardo, rifiutandomi di incrociare i suoi occhi. – Cosa c’è tra te e Josie? Voglio la verità -.

Lui sussulta come se gli avessi puntato un pugnale alla gola. – Non penserai davvero … non provo assolutamente nulla per lei! -.

Lo inchiodo con un’occhiata tagliente. – Ah sì? Vi ho visti parecchie volte assieme, ti stava appiccicata anche pochi minuti fa e tu non facevi assolutamente nulla per allontanarla -.

Eric reagisce come se l’avessi schiaffeggiato.
Muove un passo indietro e mi volta le spalle, stringendo i pugni lungo i fianchi. Vedo le sue spalle alzarsi, e successivamente abbassarsi, mentre fa un respiro profondo.
– Vuoi proprio farmelo dire, vero? – mormora, rimanendo immobile nella notte.

Non ho idea di cosa significhi quella domanda, perciò sto zitta, attendendo la sua prossima mossa.
Se pensa che gliela darò vinta solo perché ha ammesso di essere attratto da me si sbaglia di grosso: stavolta non se la caverà con poco, pretendo delle spiegazioni e le avrò.

- Maledizione, come puoi pensare che mi piaccia quella smorfiosa? – ringhia lui, tornando ad un soffio da me con uno scatto repentino.
La sua espressione si è indurita, non è proprio la reazione che mi aspettavo. In fin dei conti gli ho solo posto una semplice domanda, più che legittima nella situazione in cui ci troviamo.

Incrocio le braccia, quasi per difendermi. – Forse perché vi ho visti uscire dalla stessa stanza, mezzi svestiti? Forse perché lei non perde occasione per strusciarsi su di te? Dimmi, cosa dovrei pensare di tutto questo? – ribatto, in tono ragionevolmente controllato.

Le sue iridi scintillano pericolosamente. – E tu dimmi, come potrei provare qualcosa per lei, o per qualsiasi altra persona se è per questo, visto che non faccio altro che pensare a te? – sbotta, facendomi sobbalzare e arrossire allo stesso tempo. – Sì, hai sentito bene. Penso a te in continuazione, dannazione a me! A quando ti ho vista la prima volta, coi capelli al vento e l’espressione risoluta tipica di chi è abituato ad affrontare le avversità a testa alta. A quando ti sei lanciata da questo stesso tetto, facendomi perdere la scommessa e lasciandomi senza parole. A quando mi hai sfidato vicino alla ringhiera, sconvolgendomi con la tua innata capacità di fissarmi negli occhi senza rabbrividire. A quanto mi faccia infuriare vederti scherzare con gli altri iniziati, o con Quattro, mentre vorrei che lo facessi con me. A quanto sia stato vicino a baciarti in quel dannato ascensore. Al mezzo infarto che mi hai causato eseguendo quel salto sulla trave, o alla sorpresa nel vederti maneggiare le armi con insospettabile maestria. Alla fitta di invidia che ho provato verso Ted quando lo coccolavi, o a quanto mi sia sentito un perfetto cretino dopo aver ammesso di trovarti bella davanti agli altri Capifazione. Al senso di colpa che mi ha perseguitato per giorni dopo averti vista cadere sotto i pugni di Ian. A quando mi hai detto che sono bello da guardare, a quando ti sei messa davanti a me per proteggermi da quell’imbecille di tuo fratello, o a quando … -.

Non gli permetto di terminare la frase.

Afferro il tessuto della sua maglietta con entrambe le mani per tirarlo verso di me e lo bacio, mettendo finalmente a tacere quel fiume di parole.
Lui si irrigidisce per un istante, prima di rilassare i muscoli e cominciare a passare le dita tra i miei capelli.

Rassicurata dal suo tocco, sfioro tutto il contorno delle sue labbra, fermandomi solo quando la mia lingua incontra i due piercing. Ne succhio piano uno, studiando la sua reazione. Eric emette un gemito e mi circonda la vita con le braccia, bloccandomi contro il suo petto.

Le sue dita si serrano sui miei fianchi quando gli mordicchio il mento: mi allontano di poco per lanciargli un’occhiata maliziosa. Per tutta risposta, il Capofazione incurva le labbra in un ghigno che non promette nulla di buono e cala di nuovo sulla mia bocca. Pare essersi deciso a fare sul serio, a prendere il controllo della situazione.

Il bacio si fa via via più appassionato, mi aggrappo alle sue spalle per azzerare quei pochi millimetri che ancora ci separavano.
Eric passa la lingua sul mio labbro inferiore, persuadendomi ad approfondire il contatto.

Ora capisco cosa intendeva dire Mel, quando dichiarava che era giunto il momento di dargli un bacio come si deve.
Quelli che ci eravamo scambiati in precedenza non erano che mere imitazioni.

La sua lingua percorre l’interno delle mie labbra, continuando a torturarmi finché non incontra la punta della mia.
Da quel momento non capisco più nulla: di sicuro è colpa delle dita di Eric che ora stanno stuzzicando la pelle delle mie cosce, appena sotto il bordo del vestito.

Io gli accarezzo il torace, risalendo lentamente verso il collo e le guance. Avverto distintamente il brivido che gli percorre la schiena mentre passo i polpastrelli lungo l’attaccatura dei capelli sulla nuca.

Dopo un tempo indefinibile le sue mani tornano sui miei fianchi e la sua bocca si stacca dalla mia, rimanendo comunque a breve distanza.
Abbiamo entrambi il respiro affannoso, il volto accaldato e le pupille dilatate.

E un identico sorriso ebete sulle labbra.

Eric appoggia la fronte alla mia e si lascia scappare una breve risata. – Finalmente un bacio come si deve – commenta, in tono divertito.

Che fa, mi legge nel pensiero? – Ci voleva solo un po’ di pratica – bisbiglio, senza smettere di sorridere.
Mi alzo sulle punte per premere di nuovo le labbra sulle sue, ma lui mi ferma. Gli lancio uno sguardo stupito e un po’ ferito.

- Non temere, non ho intenzione di smettere di baciarti – si affretta a rassicurarmi, col suo abituale ghigno.
Tanto per rafforzare questa teoria, si china e fa scorrere velocemente la punta della lingua lungo tutto il mio collo. – Ma, prima che tu mi distragga di nuovo, devo assolutamente fare una cosa -.

Sbuffo, contrariata, quando si scosta da me per appoggiarsi contro il muretto che delimita il tetto.
Inarco un sopracciglio con aria ironica, mentre lo osservo infilare una mano nella tasca posteriore dei jeans scuri.

Lui non mi perde di vista nemmeno per un secondo: fa un respiro profondo e protende il braccio verso di me.
La mia attenzione passa dai suoi occhi ai tatuaggi dell’avambraccio, per poi focalizzarsi sul suo pugno chiuso.

Eric apre delicatamente la mano, tenendo il palmo rivolto all’insù.

Rimango senza fiato.

Perché tra le sue dita, illuminato dalla tenue luce delle stelle, brilla il braccialetto di mia madre.










 
- - - - - - - - - - - - - - - - -


Ciao gente!

Chiedo perdono per l’impressionante ritardo, specialmente a chi ha recensito il capitolo precedente: non temete, rispondo a tutti il prima possibile!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto (nel prossimo la stessa scena sarà narrata dal punto di vista di Eric), fatemi sapere che ne pensate ;)
ci ho messo un bel po’ a scriverlo, volevo che fosse perfetto, perciò tengo molto a conoscere i vostri pareri!


Ed ecco la sorpresa che vi avevo promesso: la ricomparsa del bracciale.
Vi ho stupiti? Dopotutto anche i cattivi hanno un cuore, no?
Mi auguro di non aver reso Eric troppo sdolcinato in questo capitolo, anche se doveva pur confessare la sua ossessione per Zelda in qualche modo xD


Rimango in ansiosa attesa dei vostri commenti!

A presto, un bacio a tutti ;)

Lizz

p.s. il titolo si rifà alla canzone Let it go, cantata da Elsa in Frozen (adoro quel cartone e lei in particolare) ;)
 

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Capitolo 35
*** Let it go (part 2) ***




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Capitolo 34








 

Eric






Passo la lingua sopra uno dei miei piercing, trattenendo a stento l’improvvisa e totalmente assurda voglia di mettermi a fischiettare.
 
Volto appena la testa, per lanciare un ultimo sguardo alla porta della stanza delle simulazioni, prima di svoltare l’angolo per avviarmi verso lo studio di Max.
Percorro il corridoio con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, a passo marziale, veloce anche per i miei standard: se rallentassi anche solo di mezzo secondo sarei ancora più tentato di tornare indietro per riappropriarmi delle morbide labbra di Zelda.

Come diavolo ho fatto a non baciarla prima?

Devo proprio porgere le congratulazioni al mio estremo autocontrollo che mi ha permesso di resistere per tutto questo tempo all’irresistibile tentazione di sfiorare quella pelle così soffice. E profumata. Oh sì, Zelda ha davvero un buon profumo. Sa di … beh, che diavolo ne so io di profumi?!
Però è un aroma caldo e avvolgente, che mi fa sentire come se fossi finalmente giunto alla meta dopo un lungo e tortuoso cammino.

La cosa che più mi ha sconvolto è che Zelda ha risposto al mio bacio: avverto ancora il tocco delicato e quasi titubante delle sue labbra sulle mie.
Certo, è ovvio che ci sperassi, ma sono rimasto comunque spiazzato.
Forse è per questo che sto pensando come una sciocca mocciosetta isterica...

Sbuffo sonoramente: devo riprendermi in fretta, altrimenti dovrò sorbirmi le frecciatine degli altri Capifazione.
Sono tutti così invadenti, Max e James in special modo. Da quando mi hanno offerto questo lavoro, hanno cercato in tutti i modi di scucirmi informazioni: sui miei gusti in fatto di donne, sulle mie nuove conquiste. Hanno perfino tentato di combinarmi degli appuntamenti, dannazione.

Storco la bocca, disgustato al solo pensiero delle loro sottili macchinazioni per trovarmi una ragazza.
Come se fossi un tipo da fidanzate, puah!

Quando pochi giorni fa Josie si è presentata al nostro tavolo in mensa per salutarmi – e fare la gatta morta come d’abitudine –, James ha cominciato a tempestarmi di domande su di lei e sulla nostra presunta relazione clandestina.
Una volta strappatami la conclusione che non esisteva nessuna storia – men che meno un ‘noi’ che accomunasse Josie con il sottoscritto - sfottermi e sghignazzare ogni volta che la incrociamo nei corridoi pare essere diventata l’attività preferita del mio caro collega.

Non oso immaginare cosa succederebbe se questa mia attrazione per Zelda divenisse di dominio pubblico. Le relazioni tra istruttori e iniziati non sono mai state proibite ufficialmente, soltanto altamente sconsigliate, anche se so bene cosa ci aspetterebbe se ci scoprissero…

Un momento. Sto davvero pensando di instaurare una relazione seria con Zelda?

Scusa tanto, Eric, ma a cos’altro aspiravi?
È ovvio che non puoi proporre a quella trasfazione lo stesso rapporto che avevi stabilito con Josie…


E nemmeno voglio farlo.
Allontano la voce della mia coscienza con un gesto seccato della mano, come se stessi scacciando una mosca fastidiosa.

Zelda non è come Josie, lo so perfettamente.
E so anche che, dopo averla baciata, non ho più scuse, né vie di scampo.
Devo dirglielo. Devo dirle tutto.

Se facessi finta di nulla e continuassi a trattarla come se fosse solo una delle tante iniziate, non me lo perdonerebbe mai.
Sono certo che pretenderà delle spiegazioni per il mio comportamento e non posso – non voglio – mentirle, né omettere la verità. Non credo mi sarà concessa una seconda occasione: sono già stato fortunato ad averla incontrata.

Doppiamente fortunato, se mettiamo in conto che lei, in così poco tempo, si è affezionata a me a tal punto da difendermi e prendersi cura di me come se fossi veramente il suo ragazzo. Come se fossi veramente suo.

Stringo la mascella. Non so cosa ho fatto nella mia miserabile vita per meritare un simile miracolo, ma di sicuro non ho intenzione di arrendermi proprio adesso.
Anche se sono del tutto incapace di esprimere le mie emozioni a parole, farò in modo che Zelda capisca cosa provo per lei.

Lei è stata la sola persona che mi ha dato speranza, che mi ha aiutato senza pretendere nulla in cambio.
Come il primo raggio di sole che disperde le nuvole dopo una violenta tempesta, Zelda è l’unica luce in grado di trapassare la cortina di tenebre che avvolge il mio cuore.

Lei è la mia stella, il mio sole.
Mia, come io sono suo.





 
* * *




 
Spalanco la porta della mia stanza con un calcio e giro la chiave nella serratura, isolandomi così dal caos frenetico in cui è piombata la residenza nel giro delle ultime due ore.

Sbuffando d’irritazione, mi tolgo gli stivali e mi getto di peso sul materasso.
Ad occhi chiusi, inveisco mentalmente contro Max e la sua passione sfrenata per le feste.

Possibile che capitino tutte a me? Decisamente non è la mia giornata.

Quando sono entrato nello studio personale del Capo dei Capifazione – ben cinque ore fa! - tutto mi aspettavo fuorché la richiesta assurda che ho sentito avanzare non appena James mi ha scorto sulla soglia.

“Grazie di esserti unito a noi, Eric” ha esordito Max, in tono allegro.

Già a quelle parole, una lucina rossa si era accesa nel mio cervello e aveva cominciato a lampeggiare un segnale di allarme in codice: da quando in qua Max mi ringrazia per aver ubbidito ad un suo preciso ordine?!

Purtroppo per me, nemmeno questa volta il mio intuito mi ha deluso.

“Visto che le simulazioni di oggi sono terminate, che ne dici di aiutare James con l’organizzazione della festa?” ha continuato, mentre io scoccavo un’occhiata piena d’orrore al mio collega che se la rideva sotto i baffi.
Pregavo fosse solamente uno scherzo di pessimo gusto, invece Max mi ha subito dimostrato quanto le sue parole fossero serie. “Puoi occuparti dei fornitori: sei l’unico in grado di mettere in riga quegli sciocchi dei Pacifici. Sappiamo tutti quanto siano lenti e non voglio ritardi questa volta. Deve essere tutto pronto per l’ora stabilita”.

Mi passo una mano sugli occhi. Un pomeriggio intero sprecato ad abbaiare ordini a quegli svampiti … brr, avrei preferito tornare a fare da babysitter agli iniziati.

E, come se non bastasse, ho dovuto svolgere anche il lavoro di James, visto che il belloccio si divertiva a flirtare con le ragazze addette alla preparazione del buffet e ad assaggiare i vari stuzzichini.

Ma cos’aveva in testa Max quando lo ha nominato Capofazione?!
Seriamente, ho conosciuto Pacifici molto più svegli. Con questo ho detto tutto.

Perfino Zelda non deve avere una grande stima di James, vista la sua reazione quando lui ha interrotto il nostro bacio.
Sembrava esasperata e divertita allo stesso tempo, come una madre che vede i propri figli rotolarsi nelle pozzanghere di fango.

Annuisco e sorrido tra me.
Già, è esattamente la metafora adatta a James, visto che il suo quoziente cerebrale è pari a quello di un bambino di dieci anni.

E a proposito di Zelda …

Faccio scorrere una mano sulla parte del letto che lei ha occupato ieri pomeriggio: se avvicino il lenzuolo al viso, riesco a percepire ancora una debole traccia del suo profumo.

Mi lascio scappare un debole sospiro e scuoto la testa con una smorfia di disappunto.
Averla accanto a me, nella mia stanza, mi è piaciuto molto più di quanto mi aspettassi.
Molto di più di quanto sia disposto ad ammettere. E sto già architettando un piano per farcela ritornare …

Sobbalzo quando, dopo un lasso di tempo indefinito, giro la testa verso il comodino per controllare l’ora.
Mancano esattamente quarantacinque minuti all’inizio della tanto sospirata festa (parole di James, testuali).

Scatto in piedi come se qualcuno avesse dato fuoco alle coperte e mi fiondo in bagno per darmi una ripulita.
Una rapida occhiata allo specchio dimostra che ho veramente bisogno di una doccia.
Ovviamente gelata, visto che non riesco a togliermi dalla testa l’immagine di Zelda, seminuda, addormentata nel mio letto e avvolta nelle mie lenzuola.

Non appena il getto d’acqua mi colpisce, sibilo un’imprecazione tra i denti.
Si può sapere chi me l’ha fatto fare di innamorarmi?!






 
* * *





 
Aspetto che il Pozzo sia gremito di gente, prima di fare la mia comparsa.

D’altronde il Capofazione festaiolo è Max, non io.
Io sono quello a cui piace starsene in silenzio a tirare coltelli in palestra.

Ballare non fa per me, non ci provo nemmeno: risulterei solo stupido. In più ci tengo a mantenere una certa reputazione, degna di un Capofazione come si deve.
Serio ed inflessibile, non sciocco e con la smania di mettersi in mostra (o meglio, in ridicolo). Non mi chiamo mica James.

E difatti - come volevasi dimostrare - il mio collega sta già dando il meglio di sé al centro della pista da ballo, abbracciato ad una ragazza bruna di cui non ricordo il nome.
Una della cricca di Josie, a giudicare dal tatuaggio a forma di pantera stilizzata che si intravede attraverso la stoffa trasparente del vestito. Tutti i membri della sua banda ne hanno uno uguale alla base della schiena, una specie di simbolo di appartenenza che si acquisisce dopo il superamento di una prova.
Roba da femminucce che hanno fin troppo tempo da perdere in sciocchezze.

Lancio un’ultima occhiata a James, poi inizio a farmi largo tra la calca, diretto verso il lato opposto della sala.
Nel frattempo cerco di individuare il vero motivo per cui ho accettato di presentarmi a questa pagliacciata che James insiste a chiamare ‘festa’.

Rimango deluso: di Zelda nemmeno l’ombra.
Eppure mi aveva assicurato che ci saremmo visti … dannazione a me, sto di nuovo pensando come una sciocca ragazzina in preda agli ormoni!

Calma, Eric. Non vorrai assomigliare a quelle svampite che stanno sbavando ai piedi di Zeke, vero?

Osservo la scena, palesemente schifato. Quel cretino di Zeke se ne sta appollaiato sopra la ringhiera che limita il ciglio dello strapiombo, intento a intrattenere il suo personale pubblico con stupidi giochetti di prestigio.
In quanto a voglia di mettersi in mostra (o meglio, in ridicolo), potrebbe far concorrenza a James. Inarco un sopracciglio: sarebbero una coppia stupenda, perché non ci ho pensato prima?

Lascio perdere la mia caccia al tesoro personale: se Zelda non arriverà entro i prossimi quindici minuti, andrò a cercarla personalmente.
E la troverò, dovessi perlustrare tutta la residenza da cima a fondo.

Mi posiziono di fianco a Max, che mi dà un’amichevole pacca sulla spalla mentre si complimenta per l’ottimo lavoro svolto da James e me.
Vorrei dirgli che il Capofazione che ha contribuito alla riuscita di questa festa di certo non è quello che si sta scatenando sulla pista da ballo, ma decido di lasciar perdere.

Mi volto verso il tavolo delle bibite e afferro una birra, tanto per dare l’impressione di apprezzare quest’inutile evento mondano.
L’unica cosa che vorrei fare in questo preciso istante è mandare al diavolo i miei doveri di Capofazione – che, come ho scoperto questo stesso pomeriggio, comportano anche la presenza obbligatoria a qualsiasi cerimonia o festa pubblica – fuggire da questo caos, scovare Zelda e portarla in qualche luogo isolato dove poter stare un po’ da soli. Lontani da tutto e da tutti, specialmente dai due disturbatori cronici per eccellenza, ovvero Josie e James.
Quei due sembrano essere stati creati apposta per mettermi i bastoni tra le ruote.

Faccio una smorfia, mentre termino l’ultimo sorso di birra.
Stasera nessuno mi impedirà di parlare a Zelda. Se a me stesso l’ho solo promesso, a lei lo devo.

Lancio con stizza la bottiglia vuota nel primo cestito disponibile.
Ma si può sapere perché ci mette così tanto ad arrivare? Io sto letteralmente …

- Zelda? Tutto bene? -.

… impazzendo.

Sì, sto decisamente andando fuori di testa. E, come al solito, Zelda ne è la causa.

L’affermazione che ho captato due istanti fa proveniva dal biondo gemello antipatico, ma non è stata la sua voce a farmi voltare di scatto nella sua direzione.
È stato il nome da lui pronunciato a catturare la mia attenzione e a far battere più forte il mio cuore.

Buffo: non ero forse io che sostenevo di avere un blocco di ghiaccio nel petto?
Quanto mi sbagliavo.
 
Mi sembra incredibile che un muscolo tanto piccolo possa pulsare con tutta questa potenza.
Lo sento risuonare nelle orecchie, rimbombare nella cassa toracica, martellare nel fondo della gola.

E tutto per cosa? Beh, è maledettamente semplice.
Ho davanti agli occhi la donna più splendida che abbia mai visto.
Deglutire sta diventando difficile, respirare normalmente pressoché impossibile.

Batto le palpebre un paio di volte per assicurarmi di non essere preda delle allucinazioni da alcool – di cui ho precedenti e decisamente imbarazzanti esperienze – ed infine sgrano gli occhi, come ipnotizzato da quella visione.

Accidenti.

La … la ragazza che mi sta di fronte non può essere Zelda!
Dov’è finita l’esile trasfazione che faceva di tutto pur di non farsi notare?
E si può sapere dove diavolo nascondeva tutte quelle curve?!

Probabilmente sotto le maglie di almeno due taglie più grandi che indossa sempre.

Ordino al mio inconscio di starsene zitto, se non voglio rischiare di impazzire davvero: ho già dei seri problemi a restare lucido.

Se fino a stamattina la consideravo desiderabile, ora la trovo irresistibile.
Il vestito che indossa non lascia molto spazio all’immaginazione, eppure su di lei non risulta volgare.

Anzi, apprezzo il fatto che quel pezzo di stoffa lasci le sue belle gambe interamente scoperte – solo che preferirei godere in privato di uno spettacolo del genere.
Posso percepire senza voltare la testa i mille occhi maschili incollati alla sua figura, più precisamente alla scollatura dell’abito.

Non ho nemmeno la forza sufficiente a girare la testa per fulminare quegli imbecilli con lo sguardo.
Sono ancora impegnato ad esaminare minuziosamente l’aspetto invitante di quei sottili ricami che ornano il delizioso vestito di Zelda.
Fantastico di percorrerli con le dita, per poi allungare la mano verso quella minuscola cerniera laterale – che trovo altamente stuzzicante - e …

Respiro profondamente per cercare di calmarmi.
Tutto il sangue che si era accumulato nel mio cervello alla vista di Zelda, sta scorrendo in direzione di altre parti del mio corpo … meglio se mi concentro su qualcos’altro.

Grazie al cielo, i suoi capelli lunghi – e stranamente lisci come seta – coprono una buona parte della scollatura e mi distraggono dalle fantasie che riempiono la mia mente con prepotenza. 
Anche se … chissà che effetto farebbe sentire quelle ciocche scure come la notte scorrere sulla mia, di pelle.

Ci risiamo.

Come sospettavo, il mio cervello è realmente andato in tilt.
I miei occhi rimangono incatenati a quelli color ambra di Zelda e mi ritrovo a pensare che questa mocciosa mi ha veramente legato a sé in modo inscindibile.

Il mio intero corpo non obbedisce più ai miei ordini, risponde solo a lei.
Maledizione, non può essere! Io, uno dei più temuti Capifazione dell’intera città, ridotto in schiavitù da un paio di belle gambe?

Quando giungo alla fatale conclusione del mio ragionamento mentale, rimango senza fiato e chiudo istintivamente gli occhi per tentare di nascondere la forte emozione che, sono sicuro, chiunque con un minimo di cervello riuscirebbe a scorgere nelle mie iridi glaciali.

Il legame che mi spinge verso Zelda va al di là dei rapporti fisici.
È qualcosa che nemmeno io so spiegare, ma sono certo che non si tratta solo di una passione momentanea.

In fondo ho cominciato a notare il suo aspetto esteriore solo in seguito, quando mi ero già perso nel suo modo di fare, attirato dai suoi gesti gentili e dallo sprezzo del pericolo che la contraddistingueva. Possibile che mi sia invaghito del suo carattere prima che del suo corpo?

Non appena riapro le palpebre, due istanti dopo, vengo colto dal panico.
Nello spazio davanti a me, fino a dove poco prima si stagliava l’attraente figura della trasfazione, ora c’è il vuoto.

Sento una spiacevole sensazione di gelo invadermi le ossa e faccio guizzare lo sguardo da una parte all’altra del Pozzo nella speranza di individuarla.
Perché diavolo se n’è andata così bruscamente? E cos’è che mi trattiene dall’inseguirla?

Realizzo solo in quel momento che c’è veramente qualcosa di fisico che mi impedisce di muovermi come vorrei.
Non appena abbasso gli occhi sulla figura che mi sta di fianco, sento i muscoli delle braccia diventare rigidi come pietra.
Da quanto tempo Josie mi sta abbracciando? E come diavolo ho fatto a non accorgermene prima?!

Dannazione, sono veramente un imbecille.
Anzi, rettifico: un imbecille completamente ammaliato dal fascino della ragazza di cui è innamorato per rendersi conto dell’insignificante squilibrata che gli sta praticamente incollata addosso alla stregua di una ventosa.

Scrollo Josie dal mio braccio come se mi stessi liberando di una specie di rampicante altamente velenosa e le rivolgo un’occhiata raggelante.
Non spreco nemmeno una sillaba per rimetterla al suo posto: il mio sguardo è sufficiente.

Lei indietreggia istintivamente, impaurita dalla collera che le mie iridi e la mia postura rigida le stanno trasmettendo senza alcuna pietà.
Sistemo con una smorfia di fastidio la maglietta leggermente sollevata – altro fatto di cui non mi sono minimamente accorto – e riprendo a scandagliare la grotta con ansia crescente.

A giudicare dalla velocità con cui si è allontanata da me, di sicuro Zelda non deve aver apprezzato la scena.
Nemmeno io se è per questo, avrei di gran lunga preferito che fosse la trasfazione quella spalmata su di me.

Non appena individuo la lunga chioma dell’iniziata svanire nell’oscurità di uno dei tunnel, tutto il mio corpo si rilassa.

Attraverso la pista da ballo in diagonale, infischiandomi degli sguardi infastiditi dei ballerini e lanciando occhiate truci a chiunque abbia il coraggio di sbarrarmi la strada. Quando passo accanto a James, la musica cambia e le leggere note di un lento avvolgono l’intera sala, scatenando gridolini di aspettativa da parte delle ragazze presenti.

Il mio collega mi fa l’occhiolino e mi porge la mano per invitarmi a ballare con lui. – Andiamo, piccolo, sciogliti un po’. Non è questo l’atteggiamento da tenere ad una festa -.

Mi domando se sia il caso di dare il via ad una rissa.
Se servisse a togliermi la soddisfazione di poter spaccare in due quell’espressione insopportabile che capeggia sulla faccia del mio caro collega, potrei anche farci un pensierino. Tuttavia, ho cose più urgenti di cui occuparmi: la mia priorità in questo momento è Zelda.

Decido di ripagarlo con la sua stessa moneta: allungo la mano a mia volta, ma, invece di prendere la sua, la faccio arrivare a pochi centimetri dal suo volto e alzo il medio. – Fuori dai piedi – ringhio, senza riuscire a trattenere un ghigno di sincero divertimento davanti al suo sguardo sbalordito.

Di norma, mi infurio come una belva se lui o qualsiasi altro membro della fazione si ostina a trattarmi come un ragazzino.
Non c’è nulla che mi faccia incazzare di più dei modi strafottenti di James, perciò rispondo sempre con attacchi diretti alle sue provocazioni.

Se dovessi contare le volte che Max ci ha richiamati per sottoporci ad un’interminabile ramanzina sull’importanza della collaborazione tra Capifazione e ad una punizione per la nostra mancanza di disciplina, non basterebbero le dita delle nostre mani sommate assieme.

James rimane scioccato dalla mia replica – anche troppo tranquilla, se paragonata ai miei standard – perciò, quando recupera l’uso della parola, io sono già fuori dalla sua portata.

Seguo la debole scia di profumo che Zelda si è lasciata alle spalle, inoltrandomi nel tunnel che conduce agli ascensori.
Che abbia avuto anche lei il mio stesso desiderio, ovvero quello di cercare un luogo per rimanere da sola a rimettere in ordine i propri pensieri?

Probabilmente vorrà starsene da sola a piangere, vista la scena a cui ha appena assistito.
Come credi si sia sentita nel vederti avvinghiato a quella stronza? Tu cosa avresti fatto, se ti fossi trovato al suo posto?


Mi fermo di botto in mezzo al corridoio e stringo i pugni lungo i fianchi.
La voce che mi sussurra all’orecchio ha ragione: se io avessi visto Zelda abbarbicata in quel modo addosso a qualsiasi ragazzo, sarei letteralmente esploso.

Da una parte la sua fuga repentina mi fa piacere – se è gelosa delle attenzioni che Josie mi riserva, vuol dire che prova qualcosa nei miei confronti, no? -, ma non voglio che pianga a causa mia. In fondo non ne ha motivo.

Bene, allora trovala e spiegaglielo.

Frugo nella tasca della giacca alla ricerca della piccola torcia che mi porto sempre dietro e riprendo ad avanzare lungo il tunnel con più sicurezza.

Zelda non può aver fatto molta strada, visto quanto teme il buio.
Infatti individuo il suo profilo dopo pochi metri: è appoggiata con la schiena alla parete di roccia, il capo reclinato in avanti.
I capelli le nascondono quasi interamente il volto, ma noto ugualmente la tensione della mascella e le sopracciglia aggrottate.
È evidente che si sta sforzando di trattenere una violenta emozione.

Senza preavviso, dirigo il fascio della torcia verso di lei e la sento sbottare un’imprecazione.
Alza un braccio per coprirsi gli occhi, ma lo lascia ricadere non appena si accorge di chi sta dietro alla luce che l’ha disturbata.

Stringe le palpebre e atteggia le labbra – quelle labbra che scatenano le mie fantasie più sfrenate – in una linea severa.
I suoi occhi esprimono tutta l’irritazione che cerca di nascondere, sembrano ardere come due fiamme dorate sotto il raggio della torcia.

Ecco che sul mio viso rispunta l’ormai celebre sorriso da stupido che solo lei è in grado di suscitare: e tutto perché sto pensando che, quando Zelda è arrabbiata, diventa ancora più attraente.
Vorrei solo intrappolarla tra le mie braccia e baciarla fino a lasciarla senza fiato, ma so benissimo che non gradirebbe, non al momento, perlomeno.

Mi ritroverei inchiodato a terra con uno dei suoi tacchi a spillo puntato sulla gola senza nemmeno aver il tempo di dire mezza sillaba.
Come minimo.
Abbasso la torcia, ma rimango indeciso sulla mossa giusta da compiere.

Eric, ci sei? Che ne è stato di tutti i tuoi bei ragionamenti da sciocco ragazzino innamorato? Io sono suo, lei è mia, bla bla bla?
Vedi di darti una mossa, idiota di un Capofazione!


Protendo una mano in avanti, nello stesso modo in cui James ha cercato di invitarmi a danzare un lento con lui.
Mi sento sempre più idiota ad ogni secondo che passa, visto che Zelda osserva le mie dita come se fossero lame affilate pronte a colpirla al minimo movimento brusco.

Sbuffo, esasperato da quella reticenza che mi sta ferendo nel profondo. – Zelda, ti assicuro che non mordo –.
Le afferro la mano prima che possa ribattere e riprendo a camminare, in direzione dell’altra estremità del corridoio.

Zelda non si ritrae dal mio tocco, anzi si lascia condurre fino all’ascensore senza protestare.
Come devo interpretare quest’improvviso mutismo?
Non credo sia un bene, ma preferisco rimandare i chiarimenti a quando saremo giunti al luogo appartato che ho in mente.

Una volta arrivati al cospetto della cabina d’acciaio, mi rendo conto di avere entrambe le mani occupate.
Dovrei lasciare il calore della pelle di Zelda per un’azione così banale come premere un pulsante?
La scelta non si pone nemmeno: getto senza tante cerimonie la torcia in mezzo alle rocce e premo il bottone con la mano con cui la reggevo fino a un secondo fa.

Mi pare di scorgere un sorrisino compiaciuto sulle labbra di lei.
Quando la cabina inizia a salire verso il tetto, mi azzardo a incrociare gli occhi ambrati di Zelda.

Se mi aspettavo di vederli pieni di lacrime, sono costretto a ricredermi.
Sposto un ciuffo che le ricade sulla fronte e, nel farlo, indugio con le dita sulla sua guancia. – Non hai pianto – mi lascio scappare, e immediatamente capisco che è la frase più stupida che potessi formulare.

- Ho il mascara – sibila Zelda, in tono ovvio, che sottintende ‘perfino un troglodita come te dovrebbe saperlo’. – E poi, per quale motivo avrei dovuto piangere? -.

Trattengo un ghigno divertito e annuisco brevemente. Eccola, la mia piccola guerriera.
Preferisco mille volte che mi urli contro, piuttosto che mi imponga la sua presenza silenziosa. – Hai detto bene: non ne hai motivo –.

L’ascensore è quasi arrivato alla meta, perciò mi affretto a togliere la giacca di pelle per metterla sulle spalle nude di lei.
Zelda inarca un sopracciglio con curiosità ed io mi lascio sfuggire un sorrisetto malizioso. – Quel vestito è … -.

Mi interrompo un attimo per lanciare una rapida occhiata all’oggetto che scatena immagini poco caste nella mia mente da un quarto d'ora a questa parte.
Da quando l’ho raggiunta nel tunnel, mi sono imposto di non lasciar vagare lo sguardo sul suo corpo e ho fatto bene.

Se sapesse cosa sto pensando in questo preciso momento

Mi schiarisco la voce e riporto velocemente gli occhi nei suoi. – Insomma, non voglio che ti prenda una polmonite -.

Zelda aggrotta la fronte, ma non pone altre domande.
Deve essersi resa conto di quanto la sua mise provocante stia facendo impazzire il sottoscritto, perché chiude tutti i bottoni della mia giacca fino al collo.
Il mio sollievo è palpabile.

Un trillo improvviso annuncia l’apertura delle porte.
Non perdo tempo ed esco da quella stretta – fin troppo stretta – cabina, trascinandomi dietro la trasfazione.

Mi fermo esattamente in mezzo al tetto, nel punto in cui ci siamo guardati negli occhi la prima volta.
Sto diventando fin troppo sdolcinato, accidenti a me.

Zelda lancia un’occhiata alle nostre mani intrecciate e la sua espressione cambia, facendosi più … dolce?
Le sue labbra si piegano in un sorriso sereno, senza alcuna traccia di malizia. - Hai paura che scappi? – chiede, alludendo alla stretta ferrea con cui sto imprigionando la sua mano.

Il vento fresco della sera le scompiglia leggermente i capelli: devo controllarmi per resistere alla tentazione di spostarglieli continuamente dal volto.
È così assurdo che stia morendo dalla voglia di attorcigliare le mie dita a quei ciuffi dello stesso colore delle tenebre?
Possibile che non riesca a guardare l’incavo del suo collo senza provare l’irresistibile impulso di appoggiarvi la guancia e le labbra?

– Certo che no – replico, avanzando di un passo.
Mi comporto come se fosse un animale selvatico, doso ogni gesto per non farla spaventare.
Ho paura che, da un istante all’altro, una mia parola o una mossa troppo brusca possa indurla a scappare e non voglio che accada. – Sappiamo bene entrambi che, se anche dovessi scappare, non esiterei a riacciuffarti -.

L’occhiata che mi lancia Zelda sfata il mio irrazionale terrore di vederla fuggire a gambe levate. - Corro veloce – assicura, anche se i suoi occhi dicono tutto il contrario.
Mi stanno invitando ad avvicinarmi di più ed è ciò che faccio.

Avvolgo le braccia attorno ai suoi fianchi – non aspettavo altro - e mi chino verso il suo orecchio. – Anche io – le rinfaccio, compiacendomi di sentirla rabbrividire.

So che sta per arrivare la parte più difficile del nostro incontro, perciò prendo un bel respiro e mi scosto di qualche centimetro per osservare la sua espressione.
Vorrei davvero dirle tutte le belle parole che mi ero preparato, ma mi sembra di avere un nodo in gola che blocca le corde vocali.

Andiamo, Eric, sii uomo!

Inaspettatamente, Zelda decide di facilitarmi il compito, iniziando a parlare per prima. - Perché mi hai portata qui, Eric? – domanda, con un tono tranquillo che maschera una curiosità sincera.

Mi stacco da lei per rimettere in ordine le idee. Ci vuole più coraggio a pronunciare le parole che sto per lasciarmi sfuggire che ad appendersi alla zip line senza imbracatura. – So già che mi pentirò per quello che sto per dire, quindi apri bene le orecchie perché non lo ripeterò neanche sotto tortura –.

La mia frase la fa ridacchiare. Io sto per farle una dichiarazione e lei ridacchia?!
D’accordo, come esordio non è stato molto romantico, ma che si aspettava?

Zelda avverte la mia disapprovazione e alza le mani in segno di resa. – Scusa. Va avanti, ti prego, l’inizio era promettente -.

La sua vena sarcastica non si esaurisce mai, eh?
Roteo gli occhi prima di continuare col mio bel discorsetto. – Non sono pratico di queste cose, non ho mai avuto bisogno di esprimere i miei … sentimenti ad alta voce. Sto facendo un’eccezione per te, quindi evita di interrompermi e fammi finire in fretta questa tortura che mi sto autoinfliggendo -.

Lei fa l’atto di cucirsi le labbra ed io mi rilasso notevolmente.
Beh, almeno abbiamo rotto il ghiaccio.

Il momento cruciale si avvicina e la personificazione del mio inconscio non mi aiuta per nulla, visto che si sta godendo lo spettacolo a braccia incrociate.
Aspetto uno dei suoi preziosi consigli, ma lui si limita ad osservarsi le unghie con estrema attenzione.

Alzo mentalmente gli occhi al cielo. - Detesto i giri di parole, perciò andrò dritto al punto –.
Le accarezzo le spalle, coperte dal sottile strato di pelle della mia giacca. – Mi piaci, Zelda. Suona orrendamente sdolcinato e innaturale detto da me, ma è la verità. E sono stanco di dover reprimere l’istinto di toccarti, o baciarti, ogni volta che ti incontro … -, a questo punto, il mio inconscio mima una sviolinata ed io non posso trattenere un sospiro di frustrazione, - quindi, se tu non provi nulla per me, dillo subito, così posso correre a lanciarmi nella voragine -.

Forse avrei potuto evitare l’ultima parte - mi fa apparire decisamente disperato -, ma sono certo che lo farei sul serio se Zelda mi respingesse.

Con mio immenso piacere, la vedo arrossire e accostarsi di più a me.
La sorpresa sul suo volto lascia spazio ad un’emozione più forte, che manda in corto circuito il mio intero sistema nervoso e ogni singola cellula ad esso collegata. – Guai a te se ti allontani di un millimetro – mi ammonisce, poi mi sfiora la guancia con delicatezza, quasi temesse di potermi rompere.

In verità mi sento davvero fragile: per la prima volta nella mia vita il mio cuore si è finalmente aperto a qualcuno.
Liberato da quella barriera che lo proteggeva dal resto del mondo, si è rivelato essere delicato come un sottile vaso di cristallo.
L’ho messo nelle mani di Zelda perché sono certo che saprà prendersene cura meglio di quanto possa fare io stesso.

I suoi occhi si fanno lucidi, come se fosse commossa. – Se non provassi nulla per te, non ti avrei mai seguito su questo tetto. Né baciato. Due volte -.

– Ah, quindi avevo ragione. Non avresti usato quel metodo per far tacere chiunque –.

Quando lei mi risponde: - Certo che no –, capisco di aver dato voce ad un mio pensiero senza accorgermene.
Come al solito la sua vicinanza manda fuori uso il filtro bocca-cervello, di cui ho estremamente bisogno se voglio evitare che la situazione mi sfugga di mano.

Chissà come reagirebbe se dessi voce a qualcuna delle mie fantasie che hanno come protagonista lei, me ed il suo bel vestitino …

Chiudo la bocca per evitare di lasciarmi sfuggire qualcosa e osservo la mano con cui lei sta sfiorando la stoffa della mia maglietta.
Da quando Zelda me l’ha tolta di dosso per ricucire la ferita d’arma da fuoco, è diventata la mia preferita.

- Devo toglierti la maglietta –.
- Ai tuoi ordini -.

Quel dialogo mi fa ancora sorridere divertito, ogni volta che ci ripenso.

Maledizione.
Temo di aver contratto il virus del romantico incallito, devo trovare al più presto un vaccino.

Mentre scruto il volto della ragazza, illuminato dalla luce della luna, mi accorgo che le sue labbra sono increspate in una smorfia di fastidio.
E’ chiaro che c’è qualcosa che la turba e la invito a parlarne con me.

Mi stupisco di me stesso e della naturalezza con la quale lei mi asseconda. – Cosa c’è tra te e Josie? Voglio la verità – chiede, mantenendo lo sguardo fisso sulla mia spalla.

A quella domanda, sussulto.
Mi ha decisamente colto alla sprovvista ed il mio inconscio ne approfitta per darmi di gomito. Che ti dicevo?
Oh, sta zitto. Non ti ci mettere anche tu.
Lui alza i pollici e sghignazza.

Dopo averlo scacciato in malo modo, torno a concentrarmi sulla ragazza che mi sta di fronte. - Non penserai davvero … non provo assolutamente nulla per lei! -.
Come può credere che io sia … che provi qualcosa per quella … quella …

L’occhiata fiammeggiate che Zelda mi riserva tronca sul nascere tutti i miei balbettii mentali. – Ah sì? Vi ho visti parecchie volte assieme, ti stava appiccicata anche pochi minuti fa e tu non facevi assolutamente nulla per allontanarla -.

Mi stacco da lei e indietreggio di alcuni passi, voltandole le spalle.
Non so se essere più divertito o arrabbiato dalla sua domanda.

Chissà che faccia farebbe se sapesse che Josie ed io non ci siamo praticamente mai baciati.
Certo, me la sono portata a letto, ma i nostri contatti finivano lì.
Solo sesso, niente smancerie: l’avevo messo in chiaro da subito.
Con Zelda ho fatto il percorso contrario e non potrebbe essere altrimenti, visto che le mie intenzioni verso di lei sono serie. Spaventosamente serie.

Fatico a trattenere una risata per l’assurdità della discussione.
Avrei fatto meglio a baciarla subito e lasciare le spiegazioni ad un altro momento. – Vuoi proprio farmelo dire, vero? – sussurro, capendo finalmente dove vuole andare a parare Zelda con le sue domande a tradimento.

Vuole capire fino a che punto sia interessato a lei, se abbia davvero intenzione di frequentarla perché ne sono innamorato o non stia solamente cercando una ‘nuova Josie’ con cui spassarmela.

Con uno scatto rabbioso torno a fronteggiarla. - Maledizione, come puoi pensare che mi piaccia quella smorfiosa? – esclamo, dando sfogo alla rabbia.

Mi calmo solo quando noto che Zelda si ritrae, come impaurita dalla mia reazione.
Nonostante tutto, la sua voce rimane controllata. – Forse perché vi ho visti uscire dalla stessa stanza, mezzi svestiti? Forse perché lei non perde occasione per strusciarsi su di te? Dimmi, cosa dovrei pensare di tutto questo? –.

Il suo ragionamento non fa una piega, è estremamente attenta ai dettagli.
Sta vincendo le mie resistenze, sento le emozioni uscire con violenza dal mio cuore come un fiume in piena e riversarsi su per la gola. – E tu dimmi, come potrei provare qualcosa per lei, o per qualsiasi altra persona se è per questo, visto che non faccio altro che pensare a te? – sbotto a denti stretti.

La mia veemenza la fa avvampare, ma a malapena me ne accorgo.
Ecco fatto, la diga ha ceduto.
Ho trattenuto i miei sentimenti troppo a lungo, ora li sto buttando fuori tutti in una volta. – Sì, hai sentito bene. Penso a te in continuazione, dannazione a me! A quando ti ho vista la prima volta, coi capelli al vento e l’espressione risoluta tipica di chi è abituato ad affrontare le avversità a testa alta. A quando ti sei lanciata da questo stesso tetto, facendomi perdere la scommessa e lasciandomi senza parole. A quando mi hai sfidato vicino alla ringhiera, sconvolgendomi con la tua innata capacità di fissarmi negli occhi senza rabbrividire. A quanto mi faccia infuriare vederti scherzare con gli altri iniziati, o con Quattro, mentre vorrei che lo facessi con me. A quanto sia stato vicino a baciarti in quel dannato ascensore. Al mezzo infarto che mi hai causato eseguendo quel salto sulla trave, o alla sorpresa nel vederti maneggiare le armi con insospettabile maestria. Alla fitta di invidia che ho provato verso Ted quando lo coccolavi, o a quanto mi sia sentito un perfetto cretino dopo aver ammesso di trovarti bella davanti agli altri Capifazione. Al senso di colpa che mi ha perseguitato per giorni dopo averti vista cadere sotto i pugni di Ian. A quando mi hai detto che sono bello da guardare, a quando ti sei messa davanti a me per proteggermi da quell’imbecille di tuo fratello, o a quando … -.

Per fortuna Zelda non aspetta che io perda definitivamente il controllo.
Mi attira a sé di slancio e non posso che ammutolire, lasciandola libera di mettermi a tacere come solo lei sa fare. Ovvero baciandomi.

In un primo momento mi irrigidisco. Abitualmente, dopo uno dei miei attacchi di rabbia, non sono molto propenso a gesti affettuosi verso il prossimo.
Eppure, non appena avverto le mani di Zelda scendere lungo il mio collo e sulle mie spalle, non posso che arrendermi a lei, lasciando dissolvere la mia ira come una foglia portata via dal vento.

Le accarezzo i capelli e mi chino in avanti per assecondare meglio il bacio.
Non mi aspettavo tutta questa iniziativa da parte di Zelda, mi ha piacevolmente sorpreso.

Quando passa la lingua sui miei piercing sento il sangue bruciare nelle vene e la stringo a me finché i nostri corpi non combaciano perfettamente.
Cerco di essere cauto, voglio gustarmi ogni istante, invece mi accorgo che Zelda non sembra essere dello stesso parere.
Allontana la sua bocca dalla mia - suscitando la mia immediata protesta - per lanciarmi uno sguardo provocante.

Mi mordicchia il mento, sento l’autocontrollo venir meno … al diavolo.
Getto alle ortiche ogni cautela e riprendo a baciarla come ho voluto fare da quando l’ho vista entrare nel mio campo visivo alla festa.

Le permetto di scostarsi solo quando la mancanza di ossigeno comincia a farsi impellente, non un secondo prima.
Percorro con le labbra le sue guance, la linea della mascella, la pelle sensibile del collo, fino ad arrivare all’incavo della gola.
Sento distintamente il battito accelerato del suo cuore rimbombare a contatto col mio petto e sorrido.

L’eco di quelle pulsazioni si scontra con le mie labbra socchiuse, delicatamente appoggiate sopra una delle vene che si intravedono sotto la carnagione pallida di Zelda. Le mie dita vagano sui suoi fianchi, poi sempre più giù, finché non incontrano il bordo del vestito.
La sento gemere quando i miei polpastrelli iniziano a tracciare spirali immaginarie sul retro delle sue cosce e ne approfitto per baciarla di nuovo.

Baciare Zelda ha sfatato due mie convinzioni: primo, queste smancerie che consideravo soltanto schifosi ed inutili scambi di saliva, cominciano davvero a piacermi; secondo, lei non ha la lingua biforcuta come sostenevo all’inizio, durante i nostri battibecchi.

Mi ritrovo a rabbrividire a fior di pelle quando i polpastrelli di Zelda risalgono dalle mie spalle alla base del cranio.
Ci vuole una bella dose di forza di volontà per permettermi di staccare le labbra dalle sue, ma lo devo fare subito, prima di arrivare al punto di non ritorno.

C’è ancora una cosa che devo dirle.

Il mio sorriso trionfante rispecchia il suo. – Finalmente un bacio come si deve – mormoro, infilando una mano sotto la giacca per metterla alla base della sua schiena. L’obiettivo della serata sembra essere quello di rimanere, per quanto più tempo possibile, attaccato a lei. E ci sto riuscendo.

– Ci voleva solo un po’ di pratica – commenta lei, con un luccichio malizioso negli occhi.
Quando si sporge verso di me per baciarmi di nuovo, sono costretto a fare violenza su me stesso per riuscire ad allontanarmi.
Zelda corruga la fronte, di certo si sta chiedendo il motivo di questa mia improvvisa freddezza.

- Non temere, non ho intenzione di smettere di baciarti – mormoro, tracciando con la punta della lingua il percorso che le mie labbra hanno compiuto in precedenza sul suo collo. Indugio per qualche istante nell’incavo della gola, poi alzo la testa per incrociare i suoi occhi.– Ma, prima che tu mi distragga di nuovo, devo assolutamente fare una cosa -.

Zelda mi sta esaminando con attenzione.
Mi sposto verso il muretto dal quale gli iniziati sono dovuti saltare nel vuoto e infilo una mano nella tasca dei pantaloni, dove custodisco uno dei tesori più preziosi della mia trasfazione.

Non l’ho mai lasciato incustodito da quando gliel’ho strappato dal polso.
Zelda credeva di averlo perso per sempre, che l’avessi gettato nel fuoco. Tutti dovevano crederlo, lei per prima.
Invece, stupendo anche me stesso, l’ho conservato, aspettando il momento giusto per restituirglielo.

Avevo pianificato di donarglielo al termine dell’iniziazione, ma credo di non riuscire ad attendere così a lungo.
Ho notato come Zelda tenda a sfiorare il polso attorno al quale era agganciato quel bracciale mentre è sovrappensiero, una reazione quasi automatica.

Voglio sapere perché si è ribellata ad un Capofazione pur di continuare ad indossarlo, voglio sapere cosa significa per lei.
E, più di tutto, voglio vederla felice.

Sì, è vero: sono diventato schifosamente sdolcinato.











 
- - - - - - - - - - - -

Ciao gente!! Scusate il ritardo, ormai ho davvero poco tempo da dedicare alla scrittura (con mio sommo dispiacere) ... ma alla fine sono riuscita a terminare anche questo capitolo ;)

Cosa ne dite? Che impressione vi ha fatto Eric? Troppo tenero per i suoi standard? Come sempre aspetto di conoscere i vostri pareri ;)


Di certo avrete notato che i suoi preparativi per la festa sono leggermente più corti di quelli a cui Mel e Leslie hanno sottoposto la povera Zelda xD
Josie è stata ufficialmente silurata (per la gioia di tutti) muahahah

Spero che a voi sia piaciuto leggerlo, tanto quanto ha fatto piacere a me scriverlo.
Grazie a tutte le persone che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, a chi ha recensito e a chi legge in silenzio … un bacio a tutti ;) per chi volesse conoscere in anteprima le novità sulla storia, o per qualsiasi altra curiosità (anche per due chiacchiere), mi trovate su Facebook, sulla mia pagina nuova di zecca .. vi basta digitare Lizz su 'cerca' ed il gioco è fatto ;)


Lizz
 

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Capitolo 36
*** All of us ***






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Capitolo 35







Give me all of you
Cards on the table, we're both showing hearts
Risking it all, though it's hard

Give your all to me
I'll give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning

(John Legend, All of me)






 

Eric






Il braccialetto d’argento scintilla debolmente nel mio palmo, illuminato dal chiarore di uno dei fari posti agli angoli del tetto.

Gli occhi di Zelda sono puntati su quel sottile gioiello, non lo perdono di vista nemmeno per un secondo. La sua espressione si divide tra meraviglia e sospetto, come se pensasse di vederlo scomparire da un momento all’altro nell’aria fresca della sera.
Rimango in silenzio e con il braccio rivolto verso di lei finché non si riprende dalla sorpresa e allunga timidamente una mano per afferrare la catenina. Le sue dita scorrono sulla lamina liscia del bracciale e indugiano per un lungo momento sul retro, sull’incisione che ho letto e riletto mentre mi scervellavo per capire quale fosse il legame che univa Zelda a quell’oggetto.

Ciò che non ti uccide, ti fortifica.

Faccio una smorfia nel constatare quanto quelle parole rispecchino la trasfazione.
Sembrano quasi create apposta per lei, che ha resistito per anni ai maltrattamenti dei fratelli e non si è mai spezzata. Ha continuato a lottare, non si è arresa: è nata Erudita, ma ha uno spirito degno del più coraggioso degli Intrepidi. Merita di rimanere nella fazione più di chiunque altro.

Perso nelle mie riflessioni, mi accorgo con alcuni secondi di ritardo che Zelda sta piangendo.
Ha il capo chino verso la mano che sostiene il bracciale e una lacrima si sta facendo strada lungo la sua guancia, scivolando verso il mento e poi cadendo sul cemento del tetto. Lei non sembra accorgersene: le sue labbra si contraggono e le sue spalle iniziano a tremare, scosse da violenti singhiozzi.

Corrugo la fronte. Non è di certo la reazione che mi aspettavo.
Cosa diavolo ho fatto di sbagliato?! Lo sapevo che i gesti romantici non fanno per me …

Sotto il mio sguardo atterrito, Zelda si preme una mano sulla bocca e inizia a ridere. Sì, sta proprio ridendo!
D’accordo, qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo perché io non ci sto capendo un tubo.

Sto per dare voce alla mia perplessità, ma la trasfazione mi anticipa.
Rimango abbagliato dal suo sorriso, il più luminoso che mi abbia mai rivolto. – Sei davvero uno stronzo, lo sai Eric? – esclama, un istante prima di gettarsi su di me.
Non ho nemmeno il tempo di arrabbiarmi per quell’uscita non proprio lusinghiera nei miei confronti, perché lei mi stringe a sé come se volesse stritolarmi.
Sento il calore delle sue mani irradiarsi lungo tutta la mia schiena e, quando avvicina la sua guancia al mio petto, il mio corpo si rilassa di riflesso.

Zelda si scosta solo per guardarmi in faccia e mormorare: - Un vero stronzo -.
Forse dovrei prendermela per l’insulto gratuito appena ricevuto, ma sono troppo impegnato a baciarla per riuscire a formulare un briciolo di pensiero coerente.

Scosto le labbra dalle sue solo per prendere una boccata d’ossigeno. Lei mi dà un altro piccolo bacio, appena sotto al mento, prima di puntarmi un dito contro. – Non credere di cavartela così facilmente, caro il mio Capofazione. Mi devi delle spiegazioni – sbotta, in tono severo ad accusatorio.

Passo un pollice sul suo zigomo, per asciugare l’ultima traccia di lacrime. – Non avevi detto che non potevi piangere perché avevi il mascara? – domando, tentando di sviare la sua curiosità. La mia voce suona perfettamente controllata, sebbene abbia ancora il fiato corto a causa del bacio intenso appena concluso.

La verità è che questa ragazza è un vera e propria minaccia per il mio autocontrollo.
Mantieni i nervi saldi, Eric. Non lasciarti confondere.
Come se fosse facile, con le braccia di Zelda che mi circondano i fianchi e le sue labbra a cinque centimetri dal mio viso!

Lei inarca un sopracciglio con aria ironica. – Non osare cambiare discorso – mi intima, stringendo pericolosamente gli occhi. – Non ti permetterò di andartene da questo tetto senza prima aver ricevuto esaurienti chiarimenti –.

Ah, vuoi rapirmi? Fa pure, piccola. Lungi da me lamentarmi.

Rispondo alla sua occhiata truce con un ghigno perfido. – Una delle minacce più invitanti che qualcuno mi abbia mai fatto – affermo, mentre le mie dita indugiano sul primo bottone della giacca che le ho prestato. – Siamo in un posto isolato, lontano dal chiasso infernale della festa, completamente soli … non vorrai sprecare tutto questo tempo in chiacchiere, vero? Perché io avrei un’idea migliore … –.

Zelda ignora il mio tono malizioso e fa un sospiro. – Ok, ritentiamo – borbotta tra sé prima di trafiggermi con uno sguardo risoluto. – Ti propongo uno scambio: una domanda per una domanda –.

Inarco un sopracciglio. – Mi stai dicendo che posso chiederti qualsiasi cosa? E che risponderai sinceramente? –.

- Sì, se tu farai lo stesso – assicura lei, annuendo. – Ti lascio perfino cominciare per primo –.

Alzo gli occhi al cielo. – Che trasfazione magnanima – commento, prima di dar voce ad uno dei dubbi che mi tormentano dal nostro primo incontro. – Qual è il significato di quel bracciale? Perché mi ha quasi supplicato per poterlo tenere? –.

Zelda sembra sorpresa dalla mia richiesta. Allontana le mani dalla mia schiena per mettere l’oggetto in questione tra noi ed io ne approfitto per allacciarglielo attorno al polso. – Sai che il rapporto tra me e la mia famiglia è pressoché inesistente. Hai conosciuto i miei fratelli, perciò non ti sarà difficile immaginare come fosse la mia vita fino a dieci giorni fa -.

Faccio un rigido cenno di assenso. Sento i muscoli della mascella contrarsi dalla rabbia: fantastico di piombare nel quartiere degli Eruditi e scagliarmi a testa bassa sui Blackburn al completo. Che soddisfazione sarebbe per il mio ego vederli pagare per ogni insulto, punizione e umiliazione che hanno fatto subire alla mia … la mia cosa? Ragazza?

Zelda riprende a parlare, gli occhi sempre puntati sul bracciale. – Apparteneva a mia madre. E’ uno dei pochi ricordi che sono riuscita a sottrarre a mio padre prima che li vendesse. Lei era l’unica a cui volevo bene: mi sosteneva, mi proteggeva, mi amava. E’ stata lei ad insegnarmi la mossa di autodifesa che ho usato per vincere contro Oliver –. Stringe le dita sulla catenina. – Ed è morta quando avevo sette anni –.

Questa volta, non appena vedo i suoi occhi farsi lucidi, so esattamente cosa fare.
Le passo un braccio attorno alla vita e l’attiro a me, accarezzandole i capelli con l’altra mano. La sento stringere la stoffa della mia maglietta come se fosse un’ancora di salvezza. – Questo bracciale mi lega alla sua memoria. Mi ricorda che, anche se non posso vederla o parlarle, lei veglierà sempre su di me –.

– Ora capisco – mormoro, cullandola piano tra le braccia. Non avrei mai pensato di riuscire a consolare qualcuno, sto facendo insospettabili progressi.
E sono segretamente soddisfatto che quel bracciale non sia legato al ricordo di qualche ragazzo Erudito, altrimenti entro domattina quegli intellettuali da strapazzo si sarebbero ritrovati con un membro in meno.

Medito alcuni secondi per trovare il modo di farla sorridere di nuovo. – Se tua madre fosse qui, cosa credi penserebbe di me? –.

La sento ridacchiare contro il mio petto e sorrido anch’io. – Scommetto che le sarebbero piaciuti i tuoi tatuaggi. Amava molto l’arte, da lei definita uno dei modi più puri per esprimere ciò che custodiamo nel cuore -. Alza gli occhi per incrociare i miei. – Lei non ti avrebbe giudicato per il tuo aspetto, sai? E non l’avresti mai spaventata con i tuoi modi bruschi o con le tue occhiatacce da non-fiatare-o-ti-spezzo-le-ossa –.

– Ecco da chi hai preso – commento, incurvando le labbra in una smorfia sarcastica. – Ho notato subito qualcosa di speciale in te. Eri l’unica degli iniziati che mi guardava direttamente in faccia senza rabbrividire –.

– Ed anche l’unica che ti ha quasi sparato ed è sopravvissuta per raccontarlo – mi ricorda Zelda, compiaciuta.
Sto per ribattere con una battuta pungente, ma lei mi blocca. – Ho risposto alla tua domanda, ora è il mio turno –.

Sbuffo, scocciato. – Sentiamo, cosa vorresti sapere? -.

Prego non si tratti di qualcosa di imbarazzante …

– Come mai porti i capelli così corti? –.

… ecco, come non detto.

Ma come fa?!
Possibile che riesca sempre a cogliere i miei punti deboli? Zelda è una vera mina vagante.

Mi sposto più vicino al muretto e ci salgo sopra. Lei segue il mio esempio e si siede al mio fianco, in attesa della mia risposta. – Nessuno me l’aveva mai chiesto – tento di temporeggiare, anche se so che, per quanto mi sforzi di svicolare, la sua curiosità non mi darà tregua. – Li ho tagliati quando avevo tredici anni e non li ho più lasciati crescere troppo. Due o tre centimetri al massimo –.

Zelda inclina il capo di lato. So che si sta trattenendo dal pormi altre domande, probabilmente ha anche intuito quanto poco mi piaccia parlare di me stesso e del mio passato. Mi sta concedendo il tempo di cui ho bisogno per riordinare le idee e le sono grato per questo.

– Come te, nemmeno io ho avuto un’infanzia molto felice – esordisco, in tono cupo. Non c’entra molto con la sua richiesta, lo sto dicendo solo perché voglio dirglielo. E perché mi serve per spiegarle il resto della storia. – I miei genitori non sopportavano il mio carattere ribelle e mi punivano severamente. Di solito mi picchiavano, oppure mi impedivano di uscire di casa per giorni –.

Zelda allunga la mano e intreccia le dita alle mie, un gesto che mi trasmette calore e comprensione.
Non pietà, quella non sarei riuscito a sopportarla. – Ma la loro trovata più geniale è stata quella di lasciarmi trascorrere interi pomeriggi in compagnia delle mie cugine più grandi. Mary e Rita. Gemelle – aggiungo, sentendo un nodo allo stomaco. – Non erano cattive, ma … dispotiche: mi trattavano come una specie di bambola. Avevo sempre tenuto i capelli lunghi fino alle spalle, perché a mia madre piacevano così. Loro si divertivano ad intrecciarmeli ed agghindarli con fiori e fiocchi … disgustoso -.

Scocco un’occhiata a Zelda, che si sta sforzando di trattenere una risata. – Divertente, vero? Ma io già allora non sopportavo di ricevere ordini e lasciarmi comandare a bacchetta. Quando loro hanno cambiato fazione - ora sono due Candide - ho preso un paio di forbici e ho tagliato tutte quelle ciocche bionde da femminuccia. Mia madre non mi ha parlato per mesi –. Mi interrompo un attimo per osservare il cielo stellato sopra le nostre teste. – Lo so che non posso paragonare questa storia con le … torture … che ti facevano subire i tuoi fratelli. Ma è comunque umiliante. Sei la prima persona a cui la racconto e mi aspetto che tu mantenga il segreto –.

Zelda scuote il capo. – Eric, il grande Capofazione, tiranneggiato da due ragazzine. Che esperienza traumatica – scherza, ma il suo tono è dolce, non derisorio. Osserva i miei capelli corti, sovrappensiero. – Mi sarebbe piaciuto conoscerti da piccolo. Devi essere stato un bambino bellissimo –.

Mi fingo offeso. – Questo sottintende che ora non lo sono più? –.

Zelda mi tira uno schiaffo sulla spalla. – Hai capito quello che intendevo. Mi piaci anche così, ma avrei comunque voluto vederti con i capelli lunghi, senza tatuaggi né piercing. Avremmo potuto sostenerci a vicenda, diventare amici, chissà … -. Fa un sorriso desolato e si stringe nelle spalle.

Uso la mano che non è intrecciata alla sua per sollevarle il mento. – Amici? Soltanto amici? Beh, non è proprio quello che avevo in mente mentre ti baciavo – preciso, seguendo il contorno delle sue labbra con il pollice.

Zelda si sporge verso di me con aria maliziosa. – Perché, a cosa pensavi? –.

Ecco è arrivato il momento di dirle quella cosa. Mi armo di coraggio. – A quanto fossi stato fortunato ad averti ritrovata –.

La sua espressione si fa confusa, perciò mi affretto a spiegare. – Quando ero piccolo, mentre passeggiavo con un mio amico, ho scoperto per caso una casa in mezzo ad un bosco. Mi affascinava, sembrava avvolta da un’aura di mistero … ed io adoravo i misteri. Poi, una volta, ho sentito qualcuno cantare. Una delle finestre del secondo piano era aperta, quindi mi sono arrampicato su un albero per riuscire a scorgere la ragazza a cui apparteneva quella voce. Non ci sono riuscito, così sono tornato il giorno dopo e quello dopo ancora … -.

Zelda sbarra gli occhi dopo la mia ultima affermazione. – Non è possibile … stai scherzando? Quante volte …? -.
Non completa nemmeno la domanda, devo averla proprio sconvolta.
Chiudo gli occhi per un istante. – Quasi tutte le sere. Per cinque anni –.












 
* * *











 

Zelda







“Quasi tutte le sere. Per cinque anni”

Quella frase mi avvolge come un soffio di vento caldo.
Ho la pelle percorsa da brividi; è quella sensazione di freddo che si prova dopo essere rimasti al sole troppo a lungo.

Ho sentito bene? E’ assurdo, pazzesco!
Eric si arrampicava sull’albero accanto a casa mia tutti i giorni ed io non mi sono mai accorta di nulla. Se avessi guardato fuori dalla finestra con più attenzione … siamo sempre stati in contatto … così vicini per anni …

Non perdo neanche tempo per pensare a cosa dire: gli getto semplicemente le braccia al collo e affondo il viso nell’incavo della sua spalla.
Il mio assalto improvviso lo fa trasalire, si vede che non è abituato a ricevere gesti d’affetto o lasciarsi andare con un’altra persona. Però stasera sono riuscita a scucirgli dei segreti, ho fatto breccia nella sua corazza costruita sulla reticenza e sulla sfiducia nel prossimo.

Probabilmente è a causa del rapporto burrascoso che aveva con i genitori, dell’affetto che gli è mancato durante l’infanzia; è per questo che gli costa fatica esprimere i propri sentimenti. Io, anche se per poco, ho avuto l’amore incondizionato di una madre, lui nemmeno quello.
Sotto la maschera da duro si nasconde un’anima bisognosa d’amore, delicata ed indifesa, che io farò di tutto per proteggere.

Con le dita accarezzo il profilo del suo volto, lo sento sospirare. – Perché non hai mai cercato di avvicinarmi? Di attirare la mia attenzione? Se penso che ogni giorno eravamo a pochi metri di distanza … -.

Eric aggrotta le sopracciglia come se stesse pensando a qualcosa di poco piacevole. – Volevo farlo. Un pomeriggio mi sono deciso e ho aspettato che i tuoi fratelli uscissero di casa per presentarmi davanti al cancello – spiega, distogliendo gli occhi da me per posarli sulle luci della città che si scorgono in lontananza. – Poi ho sentito delle voci e mi sono nascosto dietro un cespuglio. Ricordo che indossavi un vestito azzurro e avevi i capelli corti, ti arrivavano appena sotto le orecchie. Mi davi le spalle e stavi parlando con un ragazzo che non avevo mai visto. Lui se ne stava andando, ma, appena prima di uscire dal giardino, ti ha abbracciata e … baciata –.
La ruga sulla fronte del Capofazione si fa più pronunciata. – Non so cosa mi è preso. Avrei voluto seguire quel ragazzo e tirargli un pugno, magari due. Mi sentivo quasi … tradito –. Scuote la testa e mi guarda con interesse. – Chi era? Il tuo ragazzo? –.

Scoppio a ridere. – No, non ho mai avuto un fidanzato. I ragazzi avevano troppa paura dei miei fratelli per avvicinarsi a me –.
L’espressione stupefatta di Eric suscita un’altra risata da parte mia. – E’ la verità. Quello che hai visto era mio cugino Travis. Ed è gay –.

Il Capofazione mi lancia un’occhiata scettica. – E ti baciava sulle labbra per salutarti? –.

– Esatto, signor io-odio-le-smancerie. Era solo un piccolo bacio, molti genitori fanno lo stesso con i loro figli – replico, con un’alzata di spalle. Lo guardo di sottecchi battendo le ciglia con fare civettuolo. – E mi pare che anche a te non dispiacesse poco fa –.

Il ghigno di Eric si fa diabolico. – Ma il nostro non era solo un piccolo bacio … –.

Mi afferra una ciocca di capelli e l’avvolge attorno ad un dito: la tira appena, obbligandomi ad avvicinare il mio viso al suo.
Il mio respiro si spezza al primo contatto delle nostre bocche, quando capisco che Eric non ha più intenzione di andarci piano. Mi bacia con foga, come se le nostre vite dipendessero da quell’unione di pelle e sospiri.

Dopo alcuni minuti, quando riapro gli occhi per incrociare le sue iridi scintillanti d’argento, capisco di non avere più il cemento duro e ruvido sotto le gambe.
Arrossendo, mi rendo conto di essere seduta di traverso sulle ginocchia di Eric e di avere la sua mano aperta appoggiata alla coscia nuda.
Come ho fatto a non accorgermi di nulla?! Interpello il mio cervello, ma non ricevo alcun segno di vita.
Perfino la voce fastidiosa della mia coscienza sembra aver fatto le valigie.

Eric, esaminando compiaciuto il rossore che colora le mia guance, fa un ghigno divertito. Le nostre fronti si sfiorano, sento il battito frenetico del suo cuore sulla punta delle dita. Il ritmo dei nostri respiri si regolarizza poco a poco e, per la prima volta da quando abbiamo messo piede sul tetto, avverto l’aria pungente della notte sulla pelle.

Non riesco a reprimere un brivido ed Eric se ne accorge.
Mi solleva tra le braccia, si alza dal muretto e, senza proferire parola, si avvia a grandi falcate verso l’ascensore. Lascia la presa solo quando la porta della cabina si chiude alle nostre spalle e si appoggia con la schiena alla parete vicina ai pulsanti.

Mi rimetto in piedi a fatica, maledicendo ancora una volta quei tacchi vertiginosi che hanno come unico pregio quello di permettermi di incrociare gli occhi di Eric senza rischiare di procurarmi un crampo al collo.

Ci fissiamo a vicenda, in perfetto silenzio; la luce al neon sopra le nostre teste sfarfalla leggermente. Sorrido nel ricordare cos’è successo l’ultima volta che abbiamo condiviso un viaggio in ascensore. Quante cose sono cambiate da allora, e pensare che sono trascorsi soltanto pochi giorni.

Eric incrocia le braccia al petto. – Che programmi hai per il resto della serata? – chiede a bruciapelo.

La sua voce roca mi blocca il respiro in gola. Deglutisco e incrocio le braccia dietro la schiena per nascondere il loro leggero tremore. – Beh, la festa non è ancora terminata. Sai, avevo promesso un ballo a James … - comincio, mentendo spudoratamente per saggiare la sua reazione.

Eric socchiude minacciosamente gli occhi. Ha lo stesso aspetto di un felino pronto a balzare sulla preda, i muscoli delle spalle rigidi e la schiena curva, tipica posizione d’attacco.
Fa un sorriso sghembo e, sempre tenendo lo sguardo fisso su di me, allunga la mano per schiacciare il pulsante rosso alla sua sinistra.
Quello riservato alle emergenze.

La cabina frena di colpo la sua discesa, fermandosi con uno scossone tra un piano e l’altro. Il movimento improvviso mi fa sbilanciare e mi ritrovo con la schiena spalmata contro la parete dietro di me. – Ma cosa …? – faccio per protestare, ma vengo bloccata dal balzo repentino di Eric che, veloce come una pantera, mi ha immobilizzata tra il suo corpo e il pannello d’acciaio.

Le sue mani sono posizionate ai lati della mia testa, una sottile linea d’aria separa i nostri corpi.
Davanti alla mia espressione scioccata, il suo sorriso diventa un ghigno. Si china in avanti, le labbra a mezzo centimetro dalle mie. – Mettiamo in chiaro una cosa, trasfazione – esordisce, spostando la bocca verso il mio mento e poi lungo il collo. Continua a parlare a contatto con la mia pelle, facendomi gemere. – Non tollero che altre persone mettano le mani su ciò che mi appartiene. Sono decisamente … possessivo –.

Getto la testa all’indietro, permettendogli un accesso più diretto alla pelle della mia gola. – Questo cosa significa? Che mi consideri la tua … ragazza? – chiedo, complimentandomi con me stessa per il tono controllato della mia voce.

Eric alza il capo per guardarmi negli occhi. Le sue iridi vengono percorse da un lampo che fatico a decifrare. – Tu vuoi esserlo? – rilancia, scaltramente.
Risponde alla mia domanda con un’altra domanda, tipico di lui. Ma so che è soltanto uno dei suoi tanti meccanismi di difesa che gli permettono di nascondere una reale insicurezza. 

Appoggio i palmi contro il suo torace muscoloso. – Sì – mormoro. Avrei voluto rendergli le cose più difficili, provocarlo ancora, ma ho preferito ripiegare sulla soluzione più semplice. Non possiamo andare avanti con questi giochetti per sempre, meglio mettere subito le carte in tavola.

Eric pare sollevato, mi chiedo che risposta si aspettasse. Si china in avanti per baciarmi, ma lo fermo puntandogli un dito contro. – Questo vuol dire che stiamo insieme? – domando, seria in volto.

Lui esita, ma alla fine sorride. Non un ghigno, un vero sorriso, uno dei pochi che sono riuscita a strappargli. – Non sarà facile. Dovremo vederci in segreto e stare molto attenti a non farci scoprire. Questo fino al termine dell’iniziazione –.

Annuisco a mia volta. – E sarà una relazione esclusiva vero? –.

– Che intendi? –.

Arriccio le labbra. – Niente Josie – dichiaro, in tono che non ammette contraddizioni.

Eric si schiarisce la voce, ma è più probabile che stia tentando di mascherare una risata. – No, niente Josie. E nemmeno James – aggiunge, con un’occhiataccia che mi fa capire che non ha gradito il mio precedente scherzetto.

Batto le ciglia fingendomi innocente. – Figuriamoci. Quello non lo sopporto – ammetto, con un gesto noncurante della mano. Poi mi illumino. – La festa non è ancora terminata. Non ti andrebbe di ballare con me? – chiedo, speranzosa, anche se intuisco già la risposta.

Il Capofazione inarca un sopracciglio. – Io non ballo – dichiara, lapidario.

Ovvio. Alzo gli occhi al cielo. – Allora temo che dovremo salutarci qui – dico, delusa. – Mel e Leslie mi avevano fatto promettere che le avrei raggiunte dopo … dopo aver parlato con te –.

Eric scuote la testa. – Fa attenzione, Zelda. Nessun altro dovrà sapere di noi, altrimenti la vita nella fazione per te diventerebbe impossibile –.

- Sì, immagino. Direbbero che ti ho sedotto per guadagnarmi uno dei primi posti della classifica. O peggio – borbotto, mordicchiandomi un labbro. – Come se tu fossi uno che si lascia manipolare così facilmente! –.

A questa affermazione Eric rinuncia all’impassibilità forzata e si lascia sfuggire una breve risata gutturale. – Mi conosci meglio di chiunque altro – riflette, poi tace di colpo come se si fosse pentito di quell’ultima frase. Mi fissa con sospetto. – Hai detto che vuoi salutarmi qui. Perciò deduco che non hai intenzione di passare la notte con me –.

Più che una domanda sembra un’accusa ed è così diretta che mi fa avvampare. – Eric, non credo che … insomma … -.

Lui sembra rendersi conto solo in quel momento del doppio senso delle sue parole e sgrana gli occhi. – No! No, io non intendevo … -, fa un sospiro, - Volevo solo poter dormire di nuovo con te. Non mi aspettavo altro, davvero –. Il ghigno che accompagna quelle parole sottintende un ‘per ora’, a cui rispondo con un’occhiata stizzita.

- Non questa notte, Eric – dichiaro, risoluta. – Io non sono Josie. Non cado nel letto del primo che mi bacia e mi sussurra paroline dolci. Dovrai faticare parecchio –.

Lui rotea gli occhi. – Mi permetti almeno di salutarti come si deve? –.

Non aspetta nemmeno il mio assenso: si fionda sulle mie labbra con la stessa passione che ho avvertito pochi minuti fa sul tetto.
Un’emozione che non avrei mai associato ad un ragazzo all’apparenza freddo ed insensibile come lui.

Le sue dita corrono ai bottoni della giacca di pelle e quasi li strappano per togliermela dalle spalle. La getta a terra con disinteresse, come se fosse uno straccio vecchio. Mi passa un braccio attorno alla vita, la sua mano aperta preme al centro della mia schiena per invitarmi ad inarcarmi contro di lui. Incastra una gamba tra le mie per far combaciare meglio i nostri corpi e scende a baciarmi la pelle appena sopra le clavicole.

Prosegue con l’esplorazione fino all’inizio della scollatura, dove si blocca di colpo.
Prende un respiro profondo, come per calmarsi, e torna a baciarmi il collo, insistendo con la lingua nel punto più morbido dell’incavo della gola.

Ho gli occhi chiusi e le labbra dischiuse, le membra piacevolmente intorpidite.
Terminata la dolce tortura, Eric mi dà un casto bacio sulla bocca e si stacca da me con decisione. Anche lui sta ansimando, esattamente come me, neanche fossimo reduci da una maratona di venti chilometri.

Si inginocchia per recuperare la giacca e poi colpisce con il pugno chiuso il pulsante d’emergenza.
L’ascensore riparte con uno sussulto ed io approfitto dei pochi secondi che mi rimangono per voltarmi verso lo specchio incastonato alla parete d’acciaio. Scruto il mio riflesso con cipiglio critico e mi sfugge un gemito di frustrazione alla vista dei capelli scompigliati e del trucco mezzo sbavato. Liscio le ciocche con le dita - ottenendo un effetto piuttosto accettabile - e strofino la pelle sotto agli occhi finché anche le ultime tracce di eyeliner non sono definitivamente scomparse.

Quando sento il trillo che annuncia la fine della discesa, mi volto verso Eric. Lui mi studia da capo a piedi e si massaggia il mento. – Sei sempre bella, Zelda – proclama, in tono lievemente contrariato, come se mi stesse rivelando uno dei miei peggiori difetti. – Vedi di non fare troppe conquiste alla festa. Se James prova a toccarti, gli stacco le dita una per una. E con immenso piacere –.

Mi dà un veloce bacio sulla fronte, poi esce dall’ascensore e svanisce nell’oscurità del tunnel prima che abbia il tempo di ribattere.

Faccio un verso a metà tra il divertito e l’esasperato e abbandono a mia volta la cabina d’acciaio.
Mi sporgo sulle rocce del corridoio alla ricerca della torcia che il Capofazione ha gettato via a inizio serata.
La stringo tra le dita e la scuoto un po’ per accenderla.

Il raggio di luce mi guida fino al Pozzo, ancora gremito di gente.
Sarei potuta tornarci anche ad occhi chiusi, mi sarebbe bastato seguire la musica martellante.

Infilo la torcia nella scollatura – ovviamente il vestito non ha tasche, altro motivo in più per odiarlo – e mi avvio verso il centro della pista, dove Mel e Leslie si stanno scatenando assieme ai gemelli.

La voce di Eric mi risuona ancora nelle orecchie.
"Vedi di non fare troppe conquiste alla festa".

No, non lo farò. Non ne ho bisogno.

Sono riuscita a conquistare il tuo cuore, non mi serve nient’altro.











 
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Ciao a tutti!! Sono tornata (prima del previsto) con un nuovo capitolo, più riflessivo che d’azione.
Zelda ed Eric hanno cominciato a conoscersi e sono ufficialmente insieme! Le difficoltà per questa coppia non mancheranno, la trama si farà più movimentata … continuate a seguire mi raccomando ;)


Questa storia ha raggiunto le 200 recensioni: un vero record per me!
Un grazie a tutte le persone che hanno trovato il tempo per commentare i capitoli, mi riempite di gioia <3


tuttavia sono rimasta un po’ delusa per la quasi totale mancanza di commenti del capitolo scorso … quindi volevo sapere: non vi piace il punto di vista di Eric? Preferite che continui solo con quello di Zelda? Fatemi sapere, anche se spero che le poche recensioni siano dovute alla mancanza di tempo e impegni vari, perché ci tengo davvero molto al mio personaggio maschile e vorrei mantenere la sua presenza costante nella storia ;)

Attendo le vostre risposte ;)

Un bacio a tutti,

Lizz

p.s. colgo l’occasione per ricordarvi che potete trovarmi su Facebook qui https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?fref=ts
e, se siete fan di Draco Malfoy, anche qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2887534&i=1 la mia nuova storia ;)

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Capitolo 37
*** Stay away from that knife ***





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Capitolo 36

 

Zelda


Sono trascorsi tre giorni dalla festa. Tre giorni molto lunghi e noiosi, per quanto mi riguarda.

Noi iniziati siamo stati esonerati dalle simulazioni fino a nuovo ordine: questo, invece di rallegrarmi come dovrebbe, ha gettato un velo d'ombra sopra i progetti che avevo cominciato ad elaborare dopo la dichiarazione - discutibilmente romantica, ma infinitamente tenera - del mio Capofazione.

Le simulazioni, per quanto fossero tremende e mi lasciassero svuotata e nervosa, erano l'unico momento del giorno che mi permetteva di parlare e rimanere sola con Eric. Avrei sopportato anche mezz'ora consecutiva di allucinazioni pur di trascorrere qualche momento con lui, lontano da orecchie indiscrete e senza paura che qualcuno potesse scoprire la natura del nostro legame.

I miei piani sono andati in fumo nell'istante in cui Quattro ha spalancato la porta del dormitorio la mattina seguente alla festa. Io ero sveglia da ore, praticamente non ero riuscita a chiudere occhio, soprattutto a causa di Mel e Leslie che mi avevano intimato di non omettere neanche il più piccolo particolare su quello che era accaduto da quando mi avevano persa di vista al Pozzo. Eravamo rimaste a confabulare fino alle prime luci del giorno - si fa per dire, visto che la nostra camerata è priva di finestre -, ben attente a mantenere un tono sufficientemente inudibile e a far riferimento ai soliti nomi in codice per prevenire eventuali ascoltatori curiosi. Non che ce ne fosse bisogno, visto che gli altri dormivano beatamente, senza far il minimo caso a noi e ai nostri discorsi: i gemelli si erano addormentati non appena avevano poggiato la testa sul cuscino ed il resto della compagnia era già sprofondato da un pezzo nel mondo dei sogni quando noi eravamo rientrati nella stanza.

Stavo giusto coprendo con la mano l'ennesimo sbadiglio, quando Quattro è piombato nel dormitorio di botto, senza neanche bussare.
Sono scattata a sedere come se mi avessero punto. Ero incastrata tra le mie due amiche - strette nel mio letto con la coperta tirata su fino all'attaccatura dei capelli - che mi hanno subito imitato e sono emerse da quell'ammasso di lenzuola guardandosi attorno alla ricerca della fonte del rumore improvviso.

Non appena abbiamo messo a fuoco l'istruttore, che ci osservava con un sopracciglio alzato appoggiato allo stipite della porta, ci siamo scambiate uno sguardo allarmato, neanche fossimo state beccate a rubare. Quattro è rimasto un attimo interdetto, ma poi ci ha rivolto un sorriso rilassato. Mi aspettavo chissà quale ramanzina, o perlomeno una convocazione immediata per qualche insulsa prova di coraggio tipica degli Intrepidi, invece lui si è limitato ad attaccare un bigliettino alla bacheca degli avvisi - solitamente vuota - e ci ha rivolto un cenno prima di andarsene definitivamente dalla stanza.

Chissà cos'ha pensato nel vederci, tre ragazze in pigiama che spuntano all'improvviso da sotto un piumone, coi capelli scompigliati e lo sguardo di chi ha appena visto un fantasma. Sicuramente si sarà fatto una bella risata una volta uscito dalla camerata. Se al suo posto ci fosse stato Eric …

- Ahia! - esclama una voce indispettita a pochi centimetri da me, distogliendomi dalle mie fantasticherie. - Ehi Zelda, stai forse cercando di farmi fuori? -.

Batto le palpebre e rivolgo un sorriso di scuse a Xavier, che mi squadra diffidente e con la fronte aggrottata mentre io tolgo l'ago dalla sua pelle e strappo il filo coi denti. Tampono le poche gocce di sangue che l'ultima puntura non voluta ha provocato ed avvolgo il suo avambraccio con una spessa benda. - Ecco fatto. Scusa -.

Per tutta risposta, lui grugnisce.

- Non scusarti, Zelda - replica Felix, col suo tono pacato. Se ne sta appoggiato con un piede al muro, a braccia incrociate e un sorrisetto serafico sul volto. - Io, al tuo posto, avrei accidentalmente premuto l'ago altre due o tre volte. E di certo non mi sarei scusato -.

Xavier gli scocca un'occhiataccia dalla brandina sulla quale è disteso. - Ah ah. Che intensa manifestazione di affetto fraterno. Potrei commuovermi, davvero - lo sento borbottare sarcasticamente, mentre rimetto in ordine l'armadietto dell'infermeria.

Mi volto appena in tempo per impedirgli di alzarsi e far leva sul braccio ferito. - Sta giù - intimo, puntandogli un palmo sul petto e rispedendolo con poca delicatezza sul materasso.

Lui soffoca un gemito e sprofonda tra le lenzuola candide, portandosi una mano sulla fronte con fare teatrale. - Donna, mi stai distruggendo -.

Pronuncia l'ultima frase con un filo di voce, come se stesse effettivamente per spirare, ed io alzo gli occhi al cielo. - Avrei dovuto lasciar fare ad Elizabeth. Posso sempre chiamarla se preferisci aver a che fare con un'infermiera qualificata … -.

Xavier si riprende di colpo e si guarda attorno terrorizzato. - No, ti prego - sibila con voce strozzata. - Tu non … non … insomma, non puoi farmi una cosa del genere! Ti pregherei in ginocchio se potessi alzarmi … -.

Felix ed io scoppiamo a ridere. Sappiamo entrambi perché Xavier detesta farsi medicare da Elizabeth: non lo ammetterebbe mai, in nessun caso, nemmeno se ne andasse della sua vita, ma ha una paura folle dei dottori. Diventa oltremodo isterico se vede un camice bianco anche solo di sfuggita. Finora non ha mai trascorso più di due minuti in infermeria - è uno dei primi nella classifica degli interni e nei combattimenti ha rimediato sì e no qualche colpo di striscio, perciò non ne ha mai avuto veramente bisogno. Resta il fatto che, sebbene sia un ammasso di muscoli difficilmente abbattibile, rimane un incredibile imbranato se si parla di lame.

Come d'abitudine, non appena i gemelli hanno letto l'avviso lasciato da Quattro che ci attestava ben cinque giorni di vacanza dalle prove dell'iniziazione, hanno proposto di approfittarne per allenarci, sia con le armi che a mani nude. Mel e Leslie hanno prontamente declinato l'invito, mentre io, non avendo nessuna voglia di trascorrere il tempo libero facendo staffetta tra i vari negozi, ho accettato senza sapere a cosa sarei andata incontro.
Col senno di poi, trovo che le mie amiche siano state decisamente più sagge di me.

Il primo giorno abbiamo ripassato le varie tecniche per mandare al tappeto l'avversario. Io ho rimediato un brutto livido alla spalla dopo che Xavier mi ha atterrata con una sola abile mossa: per quanto ghiaccio ci abbia applicato, ogni volta che muovo il braccio destro sento le fitte di dolore pungermi come stiletti affilati. Xavier si è scusato mille volte, ma in realtà è stata solo colpa mia: avrei potuto facilmente parare il colpo se avessi prestato più attenzione all'incontro.

Le parole di Eric continuavano a ronzarmi in testa e mi risultava veramente difficile concentrarmi sui colpi di Xavier. I miei riflessi erano già provati dalla mancanza di sonno, se poi ci aggiungiamo anche i ricordi del bacio in ascensore …

Mi lascio scappare un sospiro e Felix mi lancia un'occhiata interrogativa. Io rispondo scuotendo la testa. - Meglio se lasciamo perdere gli allenamenti per oggi - dichiaro, suscitando l'immediata protesta da parte di Xavier.

- Andiamo, sto benissimo. È solo un graffio! - esclama, muovendo su e giù il braccio. Cerca di apparire naturale, sebbene il suo viso abbia assunto una sfumatura tra il verde e il grigio per nulla rassicurante.

Gli afferro il polso con delicatezza e riposiziono l'arto lungo il suo fianco. - Un taglio lungo dodici centimetri non lo definirei un 'graffio' - ribatto, col mio miglior cipiglio ostile. - Era abbastanza profondo, quindi non muovere il braccio più del necessario. Ora vado in mensa a prendere qualcosa da mangiare e tu resterai lì fino al mio ritorno, immobile, fermo su quella brandina. Sono stata chiara? -.

Xavier rotea gli occhi. - Sissignora - bofonchia tra i denti, vedendo che nemmeno suo fratello batte ciglio davanti alle mie disposizioni degne di un dittatore.

- Dico sul serio. Non vorrai costringermi a legarti al letto, vero? -.

Alle mie parole, gli occhi del biondino riacquistano la solita luce maliziosa. - Cosa odono le mie orecchie? - esclama, alzando entrambe le sopracciglia con ostentata incredulità. - Non esiste minaccia più deliziosa, bellezza. Potrei seriamente prenderlo come un … -.

Esco dall'infermeria senza aspettare che termini la frase.
Meglio per lui che mi ascolti, altrimenti sarò davvero tentata di incatenarlo al letto ed imbavagliarlo. E senza alcun fine romantico.

Chissà cosa succederebbe se Eric sentisse uno dei commenti sfacciati di Xavier …

Eric.

Mi fermo un attimo prima di varcare la porta della mensa e rimango a fissare una macchia di ruggine posta circa all'altezza dei miei occhi.

Ecco un altro maschio che mi piacerebbe legare al letto. E sempre senza secondi fini.

I pugni si stringono in automatico lungo i fianchi, dimostrando quanto mi costi reprimere l'irritazione. Quanto vorrei marciare verso la sua camera, aprire la porta con un calcio, prenderlo per il colletto di quella dannata giacca di pelle e …

baciarlo.

Rilascio un lungo sospiro, i miei muscoli si sciolgono di riflesso. Come volevasi dimostrare, quando si parla di Eric il mio cervello non collabora. Accidenti, non riesco nemmeno ad immaginare di mettergli le mani addosso con scopi puramente violenti! Anche se se lo meriterebbe. Un bel pugno - anzi, facciamo due! -, su quella mascella squadrata e virile che si ritrova …

L'ho visto di sfuggita in questi tre giorni, principalmente durante i pasti - con Josie immancabilmente attaccata ai suoi bicipiti - e solo una volta al Pozzo, ma non sono riuscita a parlargli. Gli sono passata a fianco per raggiungere lo studio del tatuatore, dove Mel mi stava aspettando per mostrarmi il nuovo disegno realizzato da Tori apposta per lei, ma lui non mi ha degnata di uno sguardo.

So che non potevo aspettarmi che mi baciasse nel bel mezzo della residenza, però è stato veramente difficile far finta di nulla, continuare a camminare a testa alta senza voltarmi indietro.
Mi chiedo se questa separazione forzata sia una tortura anche per lui. Di sicuro maschera i suoi sentimenti molto meglio di me.
Quanto avrei voluto rovesciare la mia tazza di the sulla testa di quella vipera dai capelli rossi quando l'ho vista accarezzargli languidamente il collo questa mattina a colazione! Per fortuna lui ha avuto il buonsenso di levarsela di dosso prima che scattassi in piedi. Mel mi ha preso in giro per delle ore per quell'attacco di gelosia isterica.

Spingo con decisione la porta della mensa e mi dirigo verso il tavolo del buffet senza guardarmi attorno, tenendo gli occhi fissi su un piccolo foro nel muro per non cedere alla tentazione di perlustrare la stanza alla ricerca del mio … del mio ... insomma, di quell'individuo arrogante dalla mascella squadrata e le spalle larghe che vorrei tanto picchiare. E baciare.

Con un ringhio di disappunto - che mi procura parecchie occhiate perplesse da parte del gruppo di Intrepidi che mi circonda -, afferro un vassoio ed inizio a riempirlo con le prime cose che mi capitano sotto mano. Terminata la mia opera, sto per girarmi e fiondarmi fuori da lì, ma mi blocco davanti al piatto dove sono disposte le fette di torta al cioccolato. I gemelli adorano quel dolce, perciò - dopo aver preso un bel respiro - avvolgo due porzioni in una tovaglietta e le appoggio accanto al resto del cibo.

Soddisfatta di me stessa, mi avvio a passo spedito verso l'uscita. Attraverso la soglia e percorro a ritroso il corridoio diretta nuovamente all'infermeria, fiera del mio autocontrollo. Se Eric riesce così facilmente a far finta che io non esista, perché io dovrei essere da meno?

Inizio a canticchiare a mezza voce, ma la mia allegria ha vita breve.
Dal corridoio alla mia destra proviene una risatina acuta che mi fa rizzare i peli sulla nuca. Tendo le orecchie e il discorso che capto mi fa irrigidire. - … di cattivo umore, Eric. Sei sempre così scontroso. Che ne dici se torniamo nella tua stanza? Io so bene come farti rilassare … lascia come te lo dimostri -.

Stritolo i bordi del vassoio in modo convulso quando dalla penombra del tunnel sbucano due figure di mia conoscenza. La coppia si immobilizza alla mia vista ed io sono obbligata a fare un respiro profondo per calmarmi e reprimere un moto di nausea.

La prima cosa che noto è la mano di Josie, infilata sotto la maglietta di Eric. La seconda, l'abbigliamento indecoroso dell'Intrepida sopracitata. Camicetta scollata all'inverosimile, shorts che coprono a malapena i primi tre centimetri di coscia e stivaletti col tacco a spillo. Arriccio le labbra. Pudore, questo sconosciuto.

Lei mi rivolge un sorriso falso come il colore dei suoi capelli. - Guarda chi si vede! La ragazzina della trave - dice a mo' di saluto. Osserva il vassoio stracolmo che tengo tra le braccia e fa un risolino, il tutto senza mollare la presa sul Capofazione.
Io mantengo lo sguardo su di lei: se osassi posare gli occhi su Eric non so come reagirei. La personificazione del mio lato oscuro mi lancia un'occhiata di delusione, alzando appena lo sguardo dai coltelli che sta affilando.

Sì, è decisamente meglio non rischiare.

- Hai un pic-nic in programma, trasfazione? Magari un appuntamento romantico? - chiede, in tono esageratamente dolce e condiscendente. Avvampo di rabbia, ma lei pare scambiare quel rossore per imbarazzo perché continua a parlarmi con voce melensa, la stessa che si usa per lodare un neonato particolarmente carino. - Ma che carina, è arrossita! Allora ho ragione. Hai sentito, Eric? Non trovi anche tu che sia una cosa tenera? Due iniziati che si appartano per pranzare insieme … anche noi lo facevamo sempre, ti ricordi? -.

Stronza odiosa.

Stringo le labbra per impedirmi di risponderle per le rime. Non ho intenzione di abbassarmi al suo livello, perciò evito di lasciarmi scappare la raffica di insulti che il mio cervello sta formulando nei suoi confronti.

Lo sguardo mi cade sul vassoio. Il mio inconscio alza entrambi i pollici e mi incita a usare Josie come bersaglio e il cibo al posto delle freccette. Le fette di torta sarebbero perfette, non sarebbe neanche una grave perdita …

… poi penso all'espressione delusa di Xavier nel vedermi arrivare senza la sua adorata dose giornaliera di cioccolato e la fantasia sfuma nella mia mente.

Josie è fortunata: tengo troppo ai gemelli per privarli del dolce di cui sono golosi. In caso contrario, le avrei già spiaccicato il dessert in faccia.

Torno a guardare l'Intrepida e le rivolgo un ampio sorriso. - Hai fatto centro. Ho un appuntamento e sono in ritardo. Divertitevi - trillo, e vengo ricompensata dall'espressione sgomenta di entrambi.

Quando passo accanto a Eric le nostre braccia si sfiorano e ho la soddisfazione di sentirlo sussultare. Proseguo sul mio cammino come se niente fosse, cercando di non accelerare troppo il passo.

Entro in infermeria e i gemelli mi accolgono con acclamazioni degne della finale di un incontro di boxe.
Non appena nota le fette di torta in bilico sopra la piramide di cibo, Xavier rimane a bocca aperta. - Zelda, sei magnifica! Nonostante il tuo odio nei confronti del cioccolato hai comunque pensato a noi. Mi farai commuovere -.

- Ti prego, risparmiami la scena - mugugna Felix, tra l'esasperato e il disperato.

Mi sforzo di ricambiare i loro sorrisi, ma rifiuto categoricamente di toccare cibo. Ho lo stomaco contratto e chiuso, non riuscirei a ingurgitare nemmeno un boccone. Bisbigliando delle scuse, fuggo dalla stanza e comincio a correre nel tunnel senza soffermarmi troppo sulla direzione da prendere.
Non ho una meta precisa in mente: mi fermo solo quando oltrepasso una porta verniciata di blu scuro che riconosco come quella della sala di addestramento degli iniziati interni. Torno indietro e appoggio il palmo sulla maniglia mentre riprendo fiato. Non vi ho mai messo piede, perciò apro la porta con una certa titubanza.
Come sospettavo, la stanza è completamente deserta. Premo gli interruttori e le luci al neon sopra la mia testa si accendono con uno sfrigolio.

Di fronte a me si estende una lunga fila di sagome di cartone, i bersagli per il lancio dei coltelli.
Perché no?
Questa mattina la ferita di Xavier mi ha impedito di portare a termine l'allenamento: visto che ho campo libero e nessun altro impegno prima di cena, tanto vale approfittarne. Apro uno degli armadietti e faccio razzia di coltelli. Ne appoggio una manciata sul tavolo posto vicino alla postazione di lancio, mettendoli in bell'ordine prima di saggiarne il peso in una mano. Sono leggermente diversi da quelli che Quattro ci ha insegnato ad usare: più lunghi e seghettati, ma ugualmente resistenti.

Porto il braccio all'indietro e lancio; la lama si conficca nella sagoma, poco più in basso del collo.
Ammetto che immaginare la faccia di Josie al posto di quella anonima del cartone è un grosso incentivo per la mia mira.

Che ne dici se torniamo nella tua stanza? Io so bene come farti rilassare.

La seconda lama affonda nell'addome del bersaglio. Alcuni ciuffi di capelli mi ricadono sugli occhi durante il lancio: tasto la pelle del polso per prendere l'elastico, ma poi ricordo che Eric deve ancora restituirmelo. Digrigno i denti e allungo nuovamente le dita verso il tavolo.

Hai sentito, Eric? Non trovi anche tu che sia una cosa tenera?

La terza lama si pianta sulla spalla sinistra della sagoma. Ormai riesco a calibrare bene la mia forza, il pugnale diviene un tutt'uno con il mio braccio: mi basta focalizzare nella mente il punto che voglio colpire per vederlo un attimo dopo trapassato dall'acciaio scintillante.

Due iniziati che si appartano per pranzare insieme … anche noi lo facevamo sempre, ti ricordi?

Osservo l'ultimo coltello con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Questo era un …

- Centro perfetto - afferma una voce tenebrosa alle mie spalle.

Non mi volto. So perfettamente di chi si tratta, i brividi che mi corrono giù per la schiena sono una prova inconfutabile. Stringo le labbra per non perdere la concentrazione e lancio le successive due lame, che si conficcano rispettivamente su femore e ginocchio destro di Jos... ehm, della sagoma di cartone.

La mia mira perfetta viene premiata da un breve applauso. - Una vera macchina da guerra - commenta Eric, che si è avvicinato silenziosamente a me mentre tiravo. Si posiziona dall'altra parte del tavolo su cui sono allineati i coltelli e fissa quelli andati a segno con un sopracciglio inarcato. - Immagino che tu stia focalizzando la mia faccia al posto di quel povero bersaglio che stai martoriando senza pietà. Non so se esserne più spaventato o lusingato -.

- Immagini male - rispondo, stringendomi nelle spalle ed ostentando una calma che sono ben lontana dal provare. - Il mio mondo non ruota tutto intorno a te, Capofazione -.

Lo sento sospirare. - Ed io che ci speravo - mormora, prima di afferrare gli ultimi due coltelli e scagliarli con ferocia sul mio bersaglio. Si piantano entrambi al centro del petto della sagoma, a pochi millimetri di distanza l'uno dall'altro.

Ignorando la mia espressione sgomenta, Eric raggiunge la fila di bersagli con poche falcate e stacca le lame una per una. Quando torna indietro mi azzardo a guardarlo in faccia per la prima volta da quando è entrato nella stanza. I suoi occhi sono, come al solito, impenetrabili.

Non gli rivolgo la parola: allungo semplicemente la mano per rientrare in possesso dei coltelli, ma lui scuote solennemente la testa. Senza curarsi del mio cipiglio perplesso, mi gira attorno lentamente e getta il bottino sul tavolo, prima di piazzarsi a gambe divaricate e braccia incrociate dietro di me. Ha la stessa postura di un generale che si appresta a dettare ordini ai subordinati e non posso impedirmi di avvertire una certa apprensione. Che intenzioni ha?

Indica il tavolo con un cenno del capo. - Tira di nuovo -.

Batto le palpebre, convinta di aver capito male. - Come? -.

- Tira di nuovo - ripete lui, con espressione impassibile.

Socchiudo gli occhi con sospetto. - Perché? -.

Eric accenna un ghigno e fa scorrere la lingua sui piercing del labbro inferiore. - Fai troppe domande, Zelda -.

Avvampo mio malgrado quando mi accorgo di aver distolto gli occhi dai suoi per posarli sulla sua bocca. Mi giro prontamente per mascherare l'imbarazzo e stringo le dita attorno all'impugnatura di uno dei coltelli. Lo lancio velocemente, senza pensare al punto da colpire, e mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo quando lo vedo infilarsi nel fianco destro della sagoma.

Mi giro verso il Capofazione con una sventagliata di capelli. La battuta tagliente che volevo rifilargli mi si blocca in gola quando vedo che la distanza tra noi è notevolmente diminuita. Si deve essere avvicinato mentre lanciavo, sento il suo respiro sfiorarmi il collo.

Lo fisso ad occhi sbarrati, ma lui pare concentrato su qualcos'altro, il volto atteggiato in un'espressione severa.
Mormora qualche parola a bassa voce: dal movimento delle sue labbra capisco che si tratta di un conto alla rovescia. Seguo la traiettoria del suo sguardo fino ad incontrare il quadrante di un orologio digitale appeso al muro e non riesco a trattenere la curiosità. - Cosa …? - comincio a chiedere, ma non riesco a terminare la domanda perché rimango spiazzata dalla mossa repentina di Eric, che mi afferra per la vita e mi attira a sé di slancio.

Unisce le mani alla base della mia schiena e mi tiene inchiodata contro il suo petto per parecchi minuti, duranti i quali rimaniamo entrambi in perfetto silenzio. Sento le sue dita risalire lungo la mia colonna vertebrale fino ad arrivare alla nuca e infilarsi tra i capelli.

Punto le mani sul suo petto per distanziarmi quanto basta per alzare il viso verso il suo. - Tu … - tento di dire, ma la domanda viene assorbita dalle labbra di Eric, che catturano le mie e mi fanno dimenticare all'istante l'irritazione e la delusione accumulate in questi tre giorni.
Sembra che il Capofazione sia fermamente deciso a non farmi parlare - le mie precedenti domande troncate sul nascere comprovano questa teoria -, probabilmente perché ha percepito la mia furia e teme che ce l'abbia con lui.

Certo che ce l'hai con lui!

Mister Spalle Larghe sa essere perspicace quando vuole. E bacia in un modo …

No, Zelda, ricorda cos'hai visto poco fa! Non fargliela passare liscia!

Giusto, devo rimanere arrabbiata. Ma è così difficile quando lui mi passa i polpastrelli sul collo e poi scende con le labbra fino alla gola … ormai ha capito il mio punto debole e lo usa per i propri scopi, per ammansirmi. Da quando si è trasformato in un perfetto seduttore? Devo essermi persa qualche passaggio …

Zelda, l'unica cosa che hai perso è la sanità mentale. Non cedere, mantieni la concentrazione!

Il mio inconscio ha pienamente ragione: il comportamento ambiguo di Eric merita una piccola vendetta. Cercando di non ridere, inclino la testa all'indietro e sfodero la mia migliore espressione seducente. - Io so bene come farti rilassare … lascia come te lo dimostri - dico, ripetendo la frase che ho sentito pronunciare da Josie nel corridoio.

Eric smette di baciarmi il collo e alza uno sguardo incredulo su di me.
Con un sorrisetto di sfida, infilo entrambe le mani sotto la sua maglietta e accarezzo in punta di dita la pelle dei suoi fianchi. Sento i muscoli tendersi al mio passaggio e un ansito sfuggirgli dalle labbra.

Fingo di non accorgermene. - Allora - sussurro al suo orecchio. - Che ne dici? Sei sufficientemente rilassato, Capofazione? -. Calco intenzionalmente l'ultima parola e nel pronunciarla seguo i contorni dei suoi addominali con l'indice.

Eric stringe gli occhi. - Per nulla. Tu mi farai diventare matto, trasfazione -.

Non faccio in tempo a replicare: in una mossa sola, lui afferra i miei polsi per obbligarmi a togliere le mani dai suoi fianchi e poi mi alza di peso per farmi sedere sul tavolo, in mezzo ai coltelli.

Allontano le lame con attenzione e mi volto a fissarlo con ironia. - Romantico come sempre -.

Lui ghigna e appoggia i palmi ai lati delle mie cosce, sporgendosi verso di me. - Zelda - mormora, sfiorandomi la guancia con le labbra. I piercing tracciano una scia fredda sulla mia pelle. - Abbiamo soltanto cinque minuti a disposizione prima che le telecamere ci inquadrino. E non ho la minima intenzione di sprecarli in chiacchiere. Perciò sarò breve -.
Eric, pratico come sempre, prende il controllo della situazione e mi alza il mento con due dita per obbligarmi ad incontrare i suoi occhi. - Sì, ti ho seguita fin qui. Sì, questi tre giorni sono stati un inferno. E sì, sei veramente sexy mentre lanci i coltelli, nonostante tu stia fantasticando di tirarli al sottoscritto. Forse un giorno ti accontenterò, potrebbe essere un'esperienza interessante -.

Gli circondo il collo con le braccia e scuoto la testa. - No, Eric. Non ti userei mai come bersaglio, neanche nella mia mente - sbotto, ripensando alla ferita che gli ho ricucito pochi giorni fa. Faccio una smorfia al ricordo del sentiero fatto di gocce di sangue che conduceva alla sua stanza. - Non hai idea di quanto mi sia sentita in colpa dopo che ti sei messo in mezzo per proteggermi dal proiettile di Oliver. Non riuscirei a farti del male. Non riesco nemmeno a concepire un'idea del genere, quindi togliti dalla testa tutti i giochetti perversi che comportano l'uso di lame e simili -.

Un silenzio attonito segue la mia affermazione, interrotto dopo poco dalla risata roca di Eric che mi scocca uno sguardo sinceramente divertito. - D'accordo, niente giochetti con le armi. Non che sia una grave perdita, visto che preferisco di gran lunga fare questo - ammette, dandomi un leggero morso sulla giugulare.

Io ricambio scoccandogli un rapido bacio a fior di labbra e poi mi lascio scivolare giù dal tavolo: i cinque minuti sono quasi scaduti, meglio riprendere un contegno.

Lui indietreggia di qualche centimetro e socchiude le palpebre come se stesse tentando di rivolvere un intricato calcolo matematico. - Se non era a me che miravi, allora con chi ce l'avevi? Ti ho sentita inveire contro qualcuno e, da quel che ho potuto capire, non erano insulti molto affettuosi -.

Ah, stavo parlando ad alta voce? Non me n'ero accorta.

- E' per questo che mi hai assalito, vero? Stavi tentando di rabbonirmi - replico, fulminandolo con un'occhiata.
Lui si trincera dietro un ghigno degno del più feroce dei predatori e resta a fissarmi in tranquilla attesa.

Incrocio le braccia con stizza, sentendomi messa alle strette. - E va bene! Stavo immaginando di colpire Josie, contento? Non è colpa mia se quella ragazza mi dà ai nervi. Ti sta sempre appiccicata come una ventosa, è una cosa … disgustosa da vedere. Non ha il minimo senso del pudore o della vergogna. Mi darebbe fastidio anche se tu non fossi il mio … -.
Mi blocco, improvvisamente insicura, e fisso il suo viso di sottecchi. La sua espressione compiaciuta mi lascia basita: credevo che mi avrebbe rimproverato per la mia irrazionale gelosia, invece sta … sogghignando. Ha lo stesso cipiglio di un gatto che si è appena mangiato il canarino.

- Il tuo ragazzo - afferma in tono deciso. - Io sono il tuo ragazzo. E non vedo l'ora di poterlo sbattere in faccia a Josie, James e a tutta la fazione -.

Questa confessione spontanea gli fa guadagnare un altro bacio, più approfondito del precedente. Ci stacchiamo controvoglia e prendiamo le distanze giusto un secondo prima che le telecamere inizino a ronzare.

Eric si sposta di qualche passo e agguanta un coltello. - Quindi non eri arrabbiata con me - mormora, fissandomi intensamente, mentre rigira la lama tra le dita.

- Eric, per quanto mi sforzi, non riesco a rimanere arrabbiata con te per più di tre secondi. Credo sia patologico - replico, strappandogli un sorriso. - È di … quella che non mi fido -.

Lui lancia la lama in aria, la riprende al volo e poi la scaglia contro il bersaglio con un movimento talmente veloce che quasi non me ne accorgo. Continuo a guardare il Capofazione - rettifico: il mio ragazzo - mentre afferra un altro coltello. Mi invita a prenderlo ed io obbedisco in automatico.
Quando le sue dita si serrano sulle mie, trasmettendomi una piccola scossa, sono estremamente tentata di usare quella lama per togliere di mezzo le due telecamere. Dall'occhiata divertita di Eric, capisco che non sono l'unica ad averci pensato. - Pazienza, mia piccola pantera. La fortuna sorride a chi sa attendere -.

Roteo gli occhi. - Quanta saggezza, Capofazione. E sentiamo, cosa dovrei fare nell'attesa? -.

- Che ne dici di una gita in città? Noi due soli - specifica lui, ed io sgrano gli occhi. Credevo fosse solo una delle sue solite punzecchiature, invece aveva un piano in mente. Non aspetta che io recuperi l'uso della parola: raggiunge la porta e sibila poche indicazioni tra i denti. - Stanotte. A mezzanotte. Ti aspetto al Pozzo -.

Rimango immobile come una statua per parecchi minuti.
Eric mi ha appena dato un appuntamento? L'ha fatto veramente? Sono sveglia o sto sognando?

Il freddo acciaio della lama premuto sul mio palmo mi assicura che sono perfettamente cosciente. Rimetto a posto i coltelli abbandonati sul tavolo e mi avvicino alla fila di bersagli per prendere quello lanciato da Eric. Solo allora mi accorgo della sua posizione: è conficcato nella parte sinistra della sagoma, esattamente nel punto in cui batte il cuore.


 


 

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Ciao a tutti! Chiedo scusa per il ritardo con cui pubblico il capitolo, spero di riuscire a velocizzare i tempi in vista del prossimo ;)

Per chi ancora non lo avesse visto, ho postato un racconto con protagonista Eric (& sfondo natalizio). Fa parte di una raccolta di one-shot collegate a questa storia e lo trovate qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2957498&i=1

Fatemi sapere cosa pensate di entrambi, sono curiosa di leggere le vostre impressioni (*occhioni dolci *)! Vi lascio anche il link della mia pagina facebook, vi aspetto qui https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966

Buone feste gente!! Un bacio da Lizz

p.s. il titolo del capitolo è in onore di una canzone che mi ha accompagnato durante la stesura: Stay away from that monkey di Jimmy McCracklin (se la trovate ascoltatela, ve la consiglio!).


 

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Capitolo 38
*** Like a satellite ***







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Capitolo 37


 

You can be my whole world
If I can be your satellite
You and I every night

(Nickelback)



 

Eric





 

Alzo il mento e mi passo una mano sulla mascella, fissando la mia immagine riflessa nello specchio con cipiglio critico.

Dopo un'accurata analisi del mio viso abbasso gli occhi e sistemo nervosamente il colletto della giacca di pelle. Ispeziono rapidamente il resto dei vestiti per controllare di non aver dimenticato nulla di importante. Tipo i pantaloni.

Scuoto la testa ed esco dal bagno a passo pesante, spegnendo l'interruttore con fin troppa foga. Un rapido sguardo alla sveglia mi fa imprecare a mezza voce. Mancano ancora venti minuti a mezzanotte ed io sto già andando fuori di testa.

Mi butto a sedere sul letto e tento di rilassare i muscoli delle spalle muovendo piano il collo, avanti e indietro. Mi appoggio sui gomiti e faccio scorrere il palmo aperto sul lenzuolo immacolato, lisciando le lievi pieghe causate dai miei movimenti nervosi.

Il mio comportamento sta rasentando il ridicolo. Vorrei proprio sapere cosa diavolo ha innescato questa improvvisa metamorfosi della mia personalità.
Da Capofazione tutto d'un pezzo a sciocca donnicciola, un cambiamento a dir poco allarmante. Ci manca solo che mi metta a strillare come una ragazzina perché i capelli non stanno in ordine.

Lancio uno sguardo sconfortato al bersaglio appeso al muro di fronte al letto. Dov'è finita la freddezza che mi contraddistingueva, il mio marchio di fabbrica?

Probabilmente si è sciolta come neve al sole sotto le occhiate di fuoco che ti lanciava Zelda stasera a cena.

Stiracchio le labbra in un mezzo sorriso. La voce della coscienza sceglie sempre i momenti meno opportuni per tornare alla carica. Non si faceva sentire da un bel pezzo, mi ero quasi illuso che fosse scomparsa definitivamente. E invece eccola qui, pronta a fondermi neuroni e materia grigia in un colpo solo. Come se l'ansia che mi stringe il petto in una morsa non sia già di per sé umiliante da sopportare.

Non riesco a credere che una cosa semplice come un appuntamento riesca a mandarmi così in confusione, fatico a riconoscermi. Magari dipende dal fatto che si tratta del mio primo vero appuntamento con una ragazza.

Alzo gli occhi al cielo. Patetico è dir poco.

E Zelda non collabora proprio per niente.
Per colpa sua non ricordo nemmeno cos'ho mangiato a cena, né chi mi sedeva accanto sulla panca.

Ero troppo concentrato ad osservare i suoi movimenti e a rispondere alle sue continue occhiate velate di ironia e malizia. Ad un certo punto mi ha fatto una linguaccia degna di una bambina di cinque anni, intimandomi con un labiale difficilmente fraintendibile di smetterla di fissarla, e non ho potuto evitare di sorridere come un completo idiota.

James - che in quel momento si stava alzando dal tavolo dopo aver spazzolato ben tre fette di dolce una dopo l'altra - è rimasto a guardarmi con il vassoio a mezz'aria ed un'espressione sbalordita sul volto. Ho davvero temuto che stesse per formulare una domanda imbarazzante delle sue, in tipico James' style, invece si è limitato a scrollare le spalle, per poi andarsene a flirtare con l'Intrepida di turno lasciandomi, fortunatamente, una perfetta visuale sui tavoli degli iniziati.

Il sorriso mi è morto sulle labbra quando mi sono reso conto che la mia ragazza aveva approfittato del mio attimo di distrazione per svignarsela.

La mia ragazza. Ancora non mi sembrava vero di poterla considerare tale...

- Carina quella - aveva commentato allora un ragazzo appoggiato al tavolo dietro al mio.

A quell'esclamazione, l'espressione delusa scolpita sul mio volto aveva lasciato spazio ad un cipiglio assassino.
Ormai il mio radar personale era stato collaudato a sufficienza: sapevo anche troppo bene quante vittime potesse mietere il fisico slanciato di Zelda, combinato con la sua personalità magnetica. Non passava di certo inosservata quando girava per la residenza. Spesso mi ero dovuto trattenere a forza per non mettere le mani addosso a qualche giovane Intrepido che aveva commesso l'imperdonabile errore di guardarla una volta di troppo.

Quella frase, detta con quel tono in particolare, non poteva che essere riferita a lei. Siamo seri, nessuna delle altre iniziate può competere con Zelda. Specialmente dopo il suo numero acrobatico sulla trave. Si era conquistata il rispetto della maggior parte della fazione, nonché un folto stuolo di ammiratori.

Mugugnando qualche insulto tra me avevo seguito lo sguardo del cretino che aveva osato guardare la mia trasfazione e definirla solamente carina.
Zelda stava di fatto lasciando la mensa dopo aver rimesso a posto il vassoio, a quanto pare non ero l'unico ad essersene accorto. Squadrando gli esemplari maschili seduti agli altri tavoli, almeno dieci avevano gli occhi puntati sulla schiena dell'iniziata - la maggior parte guardava leggermente più in basso, maledetti idioti pervertiti! - e stavano a dir poco sbavando. Disgustoso.

Con una mano sulla porta, Zelda si era voltata furtivamente per sbirciare nella mia direzione. L'occhiata provocante che mi ha lanciato da sopra la spalla prima di uscire dalla sala è stata il colpo di grazia. Sono stato sul punto di mandare all'aria i miei progetti per la serata: in quell'istante volevo solo rapirla e rinchiuderla nella mia stanza per almeno ventiquattr'ore. E al diavolo l'appuntamento.

Ritorno alla realtà con uno sbuffo di frustrazione. Resistere al richiamo degli ormoni è più difficile di quanto credessi, specialmente perché ogni volta che mi ritrovo a contatto con Zelda i sopracitati si coalizzano con il mio cuore, con l'intento di organizzare una festicciola nel mio petto...che ha come unico fine quello di farmi impazzire.

Apro in silenzio la porta della mia stanza e mi avvio lungo il tunnel, diretto al dormitorio degli iniziati.
Sono in anticipo, ma non ce la faccio ad aspettare un minuto di più.

Rigiro tra le mani un piccolo affarino argentato, utile e assolutamente indispensabile se si vuole uscire di nascosto dalla Residenza.
Essere uno dei Capifazione ha i propri vantaggi, chiunque farebbe carte false per entrare in possesso di un aggeggio del genere. Per questo Max mi ha fatto promettere di non rivelare a nessuno l'esistenza di questo fantastico congegno altamente tecnologico e direttamente collegato con i monitor del centro di controllo. È sufficiente puntare il laser contro una delle telecamere e premere il piccolo pulsante posto alla sommità del rettangolo di metallo: per circa trenta secondi la trasmissione dei dati viene interrotta e si può tranquillamente sgattaiolare fuori senza essere scoperti.
L'ho utilizzato solo una volta, tanto per mettere alla prova l'ingegno degli Eruditi e sono rimasto positivamente colpito. Non capita spesso che quei cervelloni riescano a sorprendermi.

Disattivo due delle telecamere piazzate nel corridoio e mi appoggio al muro, esattamente davanti alla porta della camerata dei bambinetti.
Mi piacerebbe entrare...magari Zelda proprio in questo istante si sta sbarazzando del pigiama...

Mi accorgo di essermi sporto in avanti inconsapevolmente. Ho già la mano protesa verso la maniglia, ma mi fermo prima di toccarla. Ritorno ad incrociare le braccia, la schiena ben premuta contro la parete fredda e umida del tunnel.

Ecco, è proprio questo che intendevo quando sostenevo che quella ragazza è pericolosa. Quando c'è di mezzo lei non ragiono, mi lascio influenzare dalle emozioni.
Che adesso mi stanno suggerendo di spalancare la porta e recuperare la mia ragazza, che sia vestita o meno.

Accidenti a me. Non devo assolutamente immaginarmi Zelda mezza nuda.
Proprio no, se voglio mantenere sotto controllo la tempesta ormonale che di sicuro mi assalirà non appena la vedrò.

Però sono curioso...chissà cosa indossa sotto quelle tute informi...magari un bel completino di pizzo nero...

Ok, Eric dacci un taglio. E asciugati la bava.

Mentre tento di scacciare dalla mia testa ogni pensiero che abbia a che fare con le parole Zelda e senza vestiti, l'uscio che sto contemplando da quasi cinque minuti si apre lentamente.
Trattengo il fiato, sento il ritmo delle pulsazioni rimbombarmi nelle tempie. L'esile figura di Zelda sguscia fuori dal dormitorio senza far rumore: in una mano regge un paio di anfibi, l'altra è stretta al bordo della porta, che richiude piano per prevenire eventuali cigolii. Tutta quella scrupolosità mi fa ridacchiare sommessamente.

Lei sobbalza, voltandosi di scatto verso di me. Non appena mi riconosce, le sue labbra si schiudono in un ampio sorriso che sembra brillare nella penombra del corridoio. - Che fai qui? Non dovevi aspettarmi al Pozzo? -.

Scrollo le spalle. - Può darsi che fossi un tantino impaziente. Sono solo venuto ad assicurarmi che non mi dessi buca -.

Zelda fa un gesto vago con la mano. - E come potrei, dopo che mi hai chiesto in modo così romantico di uscire con te? - bisbiglia sarcasticamente e mi viene incontro. Si appoggia alla mia spalla per mantenere l'equilibrio mentre si infila le scarpe. Al suo tocco il mio cuore impazzisce.

Mi viene automatico portare le mani sui suoi fianchi. La felpa che indossa nasconde le sue splendide curve e mi infastidisce un po'.
Specialmente perché non posso fare a meno di chiedermi cosa indossi sotto

Di nuovo, Eric? Eh dai, controllati maledizione.
Devo censurare questi pensieri da maniaco prima che Zelda me li legga in faccia.

Sia ringraziata questa felpa larga e coprente. Non so proprio cosa sarebbe potuto succedere se si fosse presentata con qualcosa di corto e scollato. L'unica volta che l'ho vista con un abitino succinto per poco non ci rimango secco.
L'ho già detto che mi sento patetico come un ragazzino alla prima cotta? Ora sto anche farneticando tra me, fantastico.

Zelda sistema i lacci delle scarpe e scuote la testa per portare i capelli dietro le spalle. - Da quando mi hai rubato l'elastico non sono più riuscita a domarli - si lamenta alzando lo sguardo su di me.

Tenta di raggiungere il mio polso, dove ancora soggiorna il suddetto bottino di guerra, ma io sono più veloce e le fermo la mano prima che raggiunga l'obiettivo. - Quello non ti serve. A me piacciono i tuoi capelli sciolti e selvaggi - ammetto, infilando le dita tra le ciocche scure come la notte. Mi piace sentire la loro morbidezza sulla pelle.

Zelda chiude gli occhi quando i miei polpastrelli scendono a carezzarle la nuca. Dalle labbra le sfugge un sospiro che mi fa immobilizzare all'istante.
Nella mia testa scatta un campanello d'allarme e mi tiro indietro di colpo, schiarendomi la voce. - Meglio andare - suggerisco, mentre disattivo di nuovo le telecamere sopra le nostre teste. Non so quanto è passato dall'ultima volta che ho premuto il pulsante, ma dubito che qualcuno si insospettisca nel vedere due persone passeggiare per i corridoi. L'importante è che non si accorgano che abbiamo messo piede all'esterno.

Zelda scruta prima l'aggeggio, poi me, con curiosità. Ricambio l'occhiata con espressione eloquente, indicandole la mia mano ancora adagiata sul suo fianco. - Se continuiamo così l'appuntamento si sposterà nella mia stanza. Senza possibilità di ritorno -.

Lei nasconde una risata dietro il palmo della mano. - Come se la cosa ti dispiacesse … - mi punzecchia, rifilandomi una gomitata giocosa. - Forza, sbrighiamoci. Non vedo l'ora di scoprire dove hai intenzione di portarmi -.

- Se ti aspetti un luogo romantico con tanto di candele, rose rosse e cuscini a forma di cuore mi sa che … -.

Non faccio nemmeno in tempo a completare la frase che Zelda mi chiude la bocca con un rapido bacio. - Non ho mai potuto soffrire queste scemenze da fidanzatini - sibila, storcendo il naso in una smorfia schifata. Poi si lascia sfuggire un sorrisetto. - Ti immagini che faccia farebbero gli altri Intrepidi se ti vedessero comprare un cuscino a forma di cuore? -.

Borbotto qualcosa, mentre lei si sforza di reprimere una risata. Scuoto la testa e la precedo lungo il tunnel che conduce allo strapiombo, disattivando quasi ogni telecamera che incrocio sul mio cammino. Quando usciamo dal Pozzo, diretti all'ascensore - ovvero l'unico accesso al tetto - Zelda sta ancora ridacchiando.

La fulmino con lo sguardo e lei alza le mani. - Scusa, è più forte di me. Il pensiero di te che mi regali un cuscino a forma di cuoricino rosso, magari con i nostri nomi ricamati sopra … -.

Si morde un labbro per non ridere, facendomi alzare gli occhi al cielo, quasi ad invocare un aiuto divino. - Cosa devo fare con te? - mormoro, spingendola dolcemente dentro alla cabina dell'ascensore.

Una volta raggiunto il tetto, mi allaccio al collo il telecomando e controllo l'orologio. - Il treno dovrebbe essere qui a momenti … - dico, e subito noto la luce dei fari della locomotiva fendere l'oscurità. I vagoni si dirigono verso di noi a tutta velocità.

Scatto di lato e comincio a correre, seguito a breve distanza da Zelda. Spicco un salto e, aiutandomi con le braccia, mi isso in uno dei vagoni centrali. Faccio appena in tempo ad alzarmi in piedi e ruotare su me stesso: Zelda sceglie proprio quel momento per fiondarsi all'interno, atterrando tra le mie braccia.
L'impatto mi coglie di sorpresa, facendomi finire lungo disteso sul pavimento del vagone. Con lei sopra.

La sensazione di dejà-vu mi strappa un ghigno. - Ti piace davvero tanto mettermi al tappeto, eh? - chiedo, osservando con divertimento il rossore sulle guance di Zelda. Le sistemo i capelli dietro le orecchie. - Almeno questa volta non verremo interrotti da quell'idiota di Quattro -. Se ripenso alla minaccia che mi ha rivolto quel mattino in palestra, sento ancora il sangue ribollire nelle vene.

Zelda pare imbarazzata. - Scusami. Non volevo piombarti addosso in questo modo -.

Cerca di spostarsi, ma glielo impedisco. - Ti sembra che mi stia lamentando? - ribatto, tenendola stretta per la vita.
Probabilmente a causa dello spostamento repentino, la felpa da me tanta odiata le si è leggermente alzata sulla schiena. Ne approfitto per sfiorarle un fianco e lei sussulta.

I suoi occhi ambrati sembrano più scuri nella penombra del vagone. L'unica fonte di luce è una piccola lampada al neon posizionata nell'angolo opposto a dove siamo distesi. Mi torna in mente il panico che ha assalito Zelda quando entravamo imprigionati nell'ascensore. Le mie braccia si stringono attorno al suo corpo di riflesso, come se volessi inglobarla dentro di me per impedirle di provare di nuovo quella sensazione orribile. - E' troppo buio? Se vuoi accendo la torcia, la porto sempre con me -.

Faccio per infilare una mano in tasca, ma Zelda la blocca e la riposiziona sulla sua schiena. Scuote la testa, congiunge le braccia sopra il mio petto e ci appoggia il mento. Mi squadra attentamente per qualche secondo, come se mi stesse valutando. - Vuoi sapere una cosa buffa? - sbotta a sorpresa, e fa un mezzo sorriso davanti alla mia espressione estremamente riluttante e diffidente.

Ogni volta che mi pone quella domanda mi si rizzano i capelli in testa: la maggior parte dei momenti più imbarazzanti della mia vita è legata a quelle cinque parole. L'ultima volta che le ha pronunciate è perfino riuscita a farmi arrossire.
Inconcepibile.
Con un sospiro, mi preparo psicologicamente all'ennesimo colpo che ridurrà in briciole il mio ego.

Come se riuscisse a captare i miei pensieri allarmati, Zelda addolcisce lo sguardo e mi accarezza gentilmente la fronte con le dita. - Quando sono assieme a te il buio è l'ultimo dei miei pensieri - confessa, facendomi ammutolire. I suoi polpastrelli tracciano il contorno delle mie sopracciglia con delicatezza. Rimango a fissarla, in attesa che continui il discorso. Sotto il mio sguardo bruciante, lei si china in avanti e mi lascia un soffice bacio nel piccolo incavo sopra il mento.

Il mio respiro accelera. In quegli occhi ambrati che tanto adoro riesco a scorgere un sentimento talmente potente da lasciarmi tramortito. Fatico perfino a deglutire: nemmeno quando ho dato il mio primo bacio ero così nervoso.

La mia ragazza continua a guardarmi negli occhi, inconsapevole di avermi appena mandato in corto circuito il cervello. - Quando sono con te non ho mai paura. Anche quella volta in ascensore la tua presenza mi trasmetteva sicurezza. Se sei accanto a me il buio non può farmi nulla. Mi basta guardarti negli occhi per trovare tutta la luce di cui ho bisogno -.

La serietà e la dolcezza che impregnano quelle parole mi fanno lo stesso effetto di un pugno nello stomaco.
Ringrazio mentalmente la mancanza di illuminazione. Distolgo in fretta lo sguardo dal viso della trasfazione e fisso un punto qualsiasi del vagone. Ho la gola stretta e gli zigomi in fiamme. Non replico, non mi fido della mia voce in questo momento.

Passano i secondi e Zelda si muove a disagio sopra di me. - Io … insomma … nella mia testa il discorso suonava molto meno sdolcinato, lo ammetto -. Fa una risatina nervosa e scaccia un ricciolo ribelle dalla guancia. - Non volevo … -.

Si ferma e scuote lentamente il capo, le labbra strette in una linea sottile.
Punta i palmi ai lati della mia testa e cerca di sfuggire dalla mia presa per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Non ci riesce perché le mie braccia si rifiutano di lasciarla andare. Avverto il battito dei nostri cuori e, in tutta sincerità, non saprei dire quale dei due sia il più rapido.

Ora Zelda ha la guancia premuta contro la mia spalla, il suo respiro mi solletica l'incavo del collo.
So che si aspetta che io dica qualcosa e lo farei, se sapessi cosa dire. La sua dichiarazione spontanea mi ha lasciato senza parole, mi ha completamente destabilizzato. Nella mia testa c'è il vuoto totale: temo che per i miei poveri neuroni questa volta non ci sia nulla da fare. Riposino in pace.

Mi sento come se il mondo si fosse rovesciato all'improvviso. Come se l'ago della mia bussola interiore avesse deciso di non indicare più il nord, ma schizzasse da una parte all'altra alla ricerca di un nuovo punto fermo. Le parole di Zelda hanno inciso un solco nel mio cuore, una traccia che non potrà mai essere rimossa.

Non ha detto di amarmi. Se l'avesse fatto, mi avrebbe comunque colpito, ma forse mi sarei ripreso molto più in fretta.

Ha detto che si sente al sicuro con me. Che sono la sua luce nel buio. Si fida di me.

Le accarezzo i capelli, mentre tento di dominare l'intensa emozione che mi scuote da capo a piedi.
Lei non poteva saperlo, ma per me la fiducia viene prima di tutto, anche dell'amore. Sono dibattuto tra l'impulso di buttarmi in ginocchio ai suoi piedi, piangendo come un bambino, e quello di baciarla fino a lasciarla senza fiato. Opto per una via di mezzo, visto che il mio amor proprio è già stato sufficientemente compromesso.

Appoggio le labbra sulla sua fronte e le scocco piccoli baci su tutto il viso. Le mie dita scorrono sull'orlo della sua maglia e la sollevano leggermente. Quando premo il palmo alla base della sua schiena, sospiriamo entrambi. Con il pollice traccio piccoli cerchi sulla sua pelle e mi compiaccio di sentirla fremere.

Zelda si lascia coccolare per qualche minuto, strusciando il viso contro il mio collo. Poi, quasi controvoglia, si alza sui gomiti e mi fissa intensamente. - Eric, io … non volevo offenderti, né metterti a disagio … ho solo detto quello che sentivo. So che non ti piacciono le smancerie e non ... -.

Le chiudo la bocca con l'indice. L'altra mano è ancora sotto la sua maglia e non ho la minima intenzione di toglierla da lì. Per nulla al mondo. - Non mi hai offeso. Al contrario. Solo … non me l'aspettavo -. Prendo un bel respiro, ma la voce mi esce comunque roca e spezzata. - Ecco, io … nessuno mi ha mai ... -.

Quasi balbetto nel pronunciare le ultime parole. Serro i denti e chiudo un attimo le palpebre per dominare la rabbia verso me stesso.

Un applauso per l'appassionata dichiarazione. Sei proprio un rubacuori, Eric. La mia coscienza mi deride senza pietà, accennando un ironico battito di mani. Tu sì che sai far cadere le donne ai tuoi piedi. Pietoso, non ho altro da aggiungere.

Mi azzardo ad alzare lo sguardo e scopro che Zelda mi sta osservando con un sorriso che va da un orecchio all'altro. Confuso, inarco un sopracciglio.

Lei continua a sorridere come se avesse appena vinto il primo premio alla lotteria. - Guarda che non ti ho detto quelle cose perché tu ricambiassi con una qualche frase a effetto, o una serenata in rima - dice, tranquillamente. - Lo so che sei un vero disastro con le parole. Non sei nemmeno capace di farmi un complimento come si deve. E mi va bene così, mi piace troppo il tuo carattere burbero e scontroso -.

Alzo entrambe le sopracciglia per esprimere tutto il mio scetticismo, ma lei continua come se niente fosse. - Non voglio che ti sforzi per farmi piacere. Io capisco dal tuo sguardo, dai tuoi gesti che … tieni a me -. Percorre la mia guancia con le labbra, sfiorando appena il contorno della mascella.

Mi lascio scappare un breve gemito di rassegnazione. - Ero patetico, vero? -.

Lei ridacchia piano, forse per non offendermi. Fatica sprecata, il mio ego è già a pezzi. - Sì, sembrava che ti stessero strozzando. O che ti avessi puntato un fucile alla gola -. La sento sorridere contro la mia pelle. - Non ti preoccupare. Imparerai. Nel frattempo sta zitto e baciami -.

Quando mi parla con questo tono sarei disposto a fare qualunque cosa. È stupefacente come con poche parole riesca a mettermi fuori combattimento.
Non lo ammetterei neanche sotto tortura, ma adoro ricevere ordini da lei.

Come potrei non tenere a te, Zelda? Tu mi fai sentire importante, apprezzato. Mi salvi da me stesso.
Prima di conoscerti non pensavo affatto al futuro, a cosa avrei fatto, a chi avrei voluto accanto. Ora lo immagino anche troppo bene, perché ogni mio progetto ruota attorno a te come un satellite. E, anche se so benissimo di non meritarti, non ho nessuna intenzione di lasciarti andare.

Ecco, dannazione. Questo avrei dovuto dirle! Non fare la figura del cretino che non è neanche capace di mettere insieme soggetto, verbo e complemento.
Perché nella mia testa formulo certe perle di saggezza se poi la mia bocca si rifiuta di lasciarle uscire?

Beh, la bocca non serve solo per parlare … Vedi di farti perdonare, Eric. Datti da fare.

Zelda mi mordicchia il labbro inferiore, mentre le mie dita risalgono lungo la sua schiena. La sua pelle è così morbida e calda … mi fa venire voglia di baciarne ogni millimetro. Farò in modo che accada. E presto.
Quando il mio indice trova il gancetto del suo reggiseno, ghigno tra me. Infilo le dita sotto il bordo dell'indumento e sciolgo il ferretto con un'abile mossa.

Vediamo come reagisce la mia piccola pantera ... Mi aspetto come minimo uno sguardo di disapprovazione, che non tarda ad arrivare. Zelda smette di baciarmi e si scosta da me, freddandomi con un'occhiataccia.

Rispondo con il mio miglior sorriso innocente, ma dubito di riuscire a incantarla. Infatti lei arriccia le labbra e scuote la testa come se si trovasse al cospetto di un bambino veramente indisciplinato. La sua espressione indignata dura circa due secondi, prima di venire sostituita da un sorrisetto furbo e malizioso. Si inumidisce le labbra e socchiude leggermente le palpebre, scrutandomi dall'alto.

Il suo cipiglio astuto mi ricorda quello di un giocatore di poker che sta per chiudere la partita con una scala reale: compiaciuto, sicuro di sé e consapevole di aver appena ridotto gli avversari sul lastrico. Quello sguardo dice 'inchinati a me, non puoi resistermi'.
E posso assicurare che funziona perché rimango a fissarla ad occhi sbarrati, ad un passo dall'apnea.

Zelda si inarca contro di me, facendo aderire i nostri corpi ancora più di prima. Le mie cellule stanno sicuramente andando a fuoco, non c'è altra spiegazione per il calore che avverto al centro del petto.

La mia tanto-bella-quanto-letale ragazza preme la lingua sul mio collo. - Mi stai sfidando?Vuoi giocare, Capofazione? - mormora, causando un aumento esponenziale della mia temperatura interna. - Non chiedo di meglio. Ti accontento subito -.

Non intuisco le sue intenzioni finché non porta le braccia all'indietro: afferra entrambe le mie mani in una presa decisa, allontanandole dalla sua schiena. Il mio lamento di protesta non viene nemmeno preso in considerazione.

Zelda richiude rapidamente il reggiseno, per poi costringermi ad allungare le braccia sopra la testa. Le tiene ferme e sposta le gambe ai lati delle mie, le ginocchia premute contro i miei fianchi. Mi ha praticamente immobilizzato.
Non sono mai stato più impaziente, la mia eccitazione sta raggiungendo livelli preoccupanti. E pensare che siamo completamente vestiti e ci tocchiamo a malapena. Questa donna è la persona più pericolosa che io abbia mai conosciuto. Prima o poi ci lascerò le penne, me lo sento.

Zelda riprende a baciarmi. Comincia piano, semplicemente sfiorando le mie labbra con le sue. Ignora i miei tentativi di approfondire il bacio e stringe la presa sui miei polsi quando provo a liberarmi. Non che ci avessi messo molto impegno. Questa posizione mi piace fin troppo.

Il treno imbocca una curva stretta, inclinandosi pericolosamente. Sono talmente intossicato dal profumo di Zelda e dal sapore dei suoi baci che ci metto più del dovuto a rendermi conto che saremmo dovuti scendere dal vagone già da un pezzo.

Mi permetto di farlo notare anche alla mia ragazza durante la breve pausa tra un bacio e l'altro. - A meno che la tua idea di appuntamento non comprenda una visita alle fattorie dei nostri cari amici Pacifici, ci conviene uscire subito da qui - riesco a borbottare, e non con poche difficoltà visto che Zelda continua imperterrita a darmi piccoli morsi su tutta la mascella. - Direi che ti sei vendicata abbastanza -.

- Oh, ma non ho nemmeno cominciato. Sai, vorrei tanto sapere una cosa - replica lei, a pochi centimetri dalla mia bocca. Proprio quando mi aspetto di ricevere un altro bacio, Zelda si allontana per posare su di me il suo sguardo indagatore. - Cos'è questa storia dei due iniziati che pranzano insieme? -.

Ci metto un minuto buono per capire a cosa si riferisce. E scoppio a ridere. - Fammi capire: stiamo di nuovo parlando di Josie? Strano, perché mi sembrava che avessimo deciso di escluderla categoricamente dal nostro rapporto. Ovviamente, a meno che tu non stia pensando di coinvolgerla in una cosa a tre … -.

Zelda mi tappa la bocca con una mano prima che possa terminare la frase. - Eric, piantala. Stai diventando inquietante. Ti ho solo fatto una semplice domanda, cosa ti costa rispondere? -.

- Sei gelosa, piccola? - la sfido, mascherando la soddisfazione con un sorrisetto ironico che so la farà infuriare.

Lei non si dà per vinta. - Devo ricordarti che tu pensavi che ci fosse del tenero tra me e Quattro? Non sei certo nella posizione per farmi la predica. E, comunque sia, la mia è solo pura curiosità -.

Il mio sorriso si allarga. - Come no. Quindi se ti dicessi che quando ci incontravamo di nascosto il pranzo era l'ultimo dei nostri pensieri … -.

- … io ti direi di tenere i particolari per te, se non vuoi che in cambio ti riveli quelli del mio focoso primo incontro con James -.

Il repentino cambio di argomento mi fa boccheggiare. Sgrano gli occhi e, non appena assimilo la reale portata dell'affermazione di Zelda, mi appunto mentalmente di fare un bel discorsetto al mio collega. Un discorsetto molto poco teorico. Comincia a correre, bello.
Dalla gola mi esce un ringhio. - Dimmi che stai scherzando. Se ha osato metterti le mani addosso, giuro che lo distruggo -. Tutti sanno che James è il classico dongiovanni, bello e con una lunga scia di cuori spezzati alle spalle, ma se solo prova a toccare Zelda …

- Eric, frena - sbuffa lei, prendendomi il viso tra le mani per inchiodarmi con i suoi occhi di fuoco.
Smetto all'istante di pensare a James e al modo migliore per torturarlo. Anzi, smetto di pensare a qualsiasi cosa che non sia la ragazza che mi sta accanto.
Mi sento sciogliere come un cubetto di ghiaccio messo troppo vicino ad una candela. - Non è successo nulla tra me e James. Credevo che il tuo cervellino da Erudito avesse captato la nota di sarcasmo nelle mie parole, ma a quanto pare il tuo lato Intrepido ha prevalso sul buonsenso. Come sempre, del resto -.

Adesso l'ironia è chiaramente percepibile. Le scocco un'occhiata minacciosa e colgo l'occasione per invertire finalmente le posizioni. Ora sono io che la tengo prigioniera, le mani sui suoi polsi. - Stai demolendo il mio orgoglio maschile. Spero che tu te ne renda conto -.

La trasfazione non perde l'espressione divertita. - Ora capisci cosa intendevo quando parlavo del tuo carattere burbero? Sei adorabile quando metti il broncio -.

La tenerezza nella sua voce mi spiazza. Decido di lasciar evaporare la discussione e rispondere alla sua precedente richiesta. Altrimenti non usciremo più da questo vagone traballante. - Sei esasperante - bofonchio, affondando il volto nell'incavo della sua spalla per respirare meglio il suo profumo. - Ma mi piaci anche per questo. E, tanto per chiarire, Josie è stata il mio incubo personale durante l'iniziazione. Se mi presentavo in mensa per la pausa pranzo mi stava appiccicata tutto il tempo. Mangiavo da solo il più delle volte, nascondendomi in qualche stanza vuota del Pozzo solo per evitarla -.

Vorrei che ci fossi stata tu al suo posto. Quest'affermazione, però, la tengo per me.

Zelda rimane in silenzio per parecchio tempo. Alla fine mi deciso ad incrociare i suoi occhi, non sapendo come giudicare l'apparente assenza di reazione. Alzo un sopracciglio con aria interrogativa, pronto a chiedere spiegazioni. Lei mi precede. Getta indietro la testa e scoppia a ridere.

Non so se incenerirla con lo sguardo o lasciarmi contagiare dalla sua risata. Nel dubbio, uso il mio solito sarcasmo. - Sono contento che le mie disavventure ti divertano tanto -. Zelda continua a sghignazzare, così passo all'attacco diretto. Mi abbasso su di lei, sorreggendomi sui gomiti, ben attento a non farle male e premo il corpo sul suo. Ogni singolo centimetro del mio corpo.

La risata di Zelda si spegne di colpo. Con un ghigno di vittoria dipinto sul volto, le scosto alcuni ciuffi ribelli dalla fronte e appoggio le labbra nel piccolo incavo tra le sopracciglia. - Non ci si comporta così, sai? Una brava ragazza dovrebbe fare di tutto per consolare il proprio fidanzato, non ridere delle sue disgrazie -.

Lei si morde il labbro inferiore con espressione colpevole. - Non temere. Rimedio subito, piccolo - assicura, soffiando l'ultima parola direttamente sulle mie labbra.

Questo bacio non ha nulla in comune con quelli che ci siamo scambiati finora. Parte lentamente e si fa via via più ardente.
Sensuale, totalizzante. È una scintilla che si tramuta in incendio.

Le mie mani sono esattamente dove dovrebbero essere, cioè premute sulla pelle nuda dei suoi fianchi. Alzo leggermente il busto per non gravarle addosso col mio peso. Rimango sorpreso quando lei inarca la schiena per assecondare il mio movimento, un riflesso involontario che mi fa mugugnare di soddisfazione. Scendo con la bocca sul suo collo, il punto debole di Zelda.

Inizio a succhiare la pelle al di sotto del mento, la sento sospirare al mio orecchio. Le mie dita si spostano sul suo stomaco e risalgono lentamente verso l'alto.
Altri gemiti da parte sua. Sono totalmente preso da lei, sento solo il suono del suo respiro accelerato, il battito sincronizzato dei nostri cuori. Se esplodesse una bomba ai miei piedi, in questo momento faticherei ad accorgermene.

Zelda ricambia le mie carezze con altrettanta passione. Mentre le mie labbra si ricongiungono alle sue, i suoi polpastrelli si infiltrano sotto la mia maglia e cominciano a solleticare la pelle sopra il bordo dei miei pantaloni. I miei muscoli si contraggono e ansimo sulla sua bocca.
Eric. Fermati. Anzi, fermala. Ora.

D'accordo, farlo a bordo di un treno è una delle mie fantasie ricorrenti.
Di sicuro lo proporrò a Zelda un giorno, fosse solo per gustarmi la sua reazione scandalizzata.
Ora meglio rallentare, finché ancora riesco a ragionare razionalmente.

Respiro profondamente e contemporaneamente faccio leva sulle braccia per alzarmi in piedi. Zelda protesta debolmente, facendomi ghignare.
Abbasso gli occhi per controllare lo stato dei miei vestiti e rimango scioccato quando mi accorgo di non indossare più la giacca.
Non ricordo di essermela tolta ... quando diavolo è successo? La cerco con lo sguardo e la individuo dopo qualche momento, appallottolata contro la parete.
La sollevo con un dito, scoccando un'occhiata sospettosa a Zelda. Lei ricambia sfoggiando la sua migliore espressione di candida innocenza.

- Sei tremenda - la rimprovero, scuotendo la testa. Infilo rapidamente la giacca e mi avvicino alla porta del vagone per perlustrare il panorama con lo sguardo. L'illuminazione in questa parte della città è pressoché inesistente, fatta eccezione per qualche sporadico lampione risalente alla preistoria.

Mi tengo con la mano al bordo della carrozza e mi sporgo all'esterno per individuare il punto migliore per l'atterraggio. Una folata di vento mi fa sbilanciare.
La mano di Zelda mi agguanta il braccio per aiutarmi a mantenere l'equilibrio. Mi giro verso di lei, sorridendo sornione davanti alla sua espressione preoccupata. - Tutto a posto, piccola. Seguimi - esclamo, prima di saltare dal vagone.

Mi sembra di sentirla borbottare qualcosa che suona come pazzo sconsiderato.
Un attimo dopo si lancia dal treno, senza esitare, e mi raggiunge in due falcate. Si passa una mano tra i capelli scompigliati, guardandosi attorno con curiosità. - Ci siamo allontanati parecchio dal centro, vero? Dove siamo? -.

La precedo, facendomi largo tra l'erba alta da cui siamo circondati. - Siamo molto vicini alla recinzione. Non è proprio il posto che avevo in mente per il nostro primo appuntamento, ma sai com'è, sono stato …diciamo ... distratto -.

Con la coda dell'occhio la vedo alzare le spalle. - Io lo trovo perfetto, invece. Ci sono meno probabilità che ci scoprano e di sicuro non dovremo preoccuparci di quelle maledette telecamere che ci osservano e registrano ogni nostro minimo passo -.

Annuisco tra me. Non ha tutti i torti. - E scommetto di riuscire a scovare anche un angolino sufficientemente romantico -. L'occhiata scettica di Zelda non si fa attendere. - Che c'è, non mi credi? Donna di poca fede … -.

La prendo per mano quasi senza pensare. Dopo quel bacio sul tetto, la sera della festa, e le confidenze che abbiamo condiviso, mi viene naturale cercarla e toccarla. Non posso farne a meno.

Lei intreccia le dita alle mie e sorride. Continuiamo a camminare per alcuni minuti, evitando le pozze di fango e le buche nel terreno. La luce della luna è appena sufficiente a impedirci di inciampare ogni due metri a causa dell'erba umida e dei pezzi di legno disseminati dappertutto. L'aria fresca della notte profuma di terra e acqua stagnante. La combinazione non è così male. Sa di … libertà.

– Hai ragione. Questo posto mi piace – bisbiglia Zelda, quasi con reverenza. Osserva il cielo stellato con le sopracciglia aggrottate. – Mi mancava trascorrere del tempo all'aria aperta. A casa mi piaceva leggere in giardino o stare semplicemente stesa sull'erba ad osservare le foglie mosse dal vento. Era rilassante –. Si interrompe e mi guarda di sottecchi. – La residenza degli Intrepidi è fantastica, tecnologica e funzionale, ma … ecco … –.

– A volte ti senti soffocare – concludo io, cupamente. – Sì, capita anche a me. E a tutti gli altri, penso. Nessuno si abitua veramente ad abitare sottoterra. Ogni tanto organizziamo delle gite in città, anche e soprattutto per voi iniziati. Per non farvi cadere in depressione –.

La nota beffarda del mio tono mi fa guadagnare un'altra occhiataccia. – Sì, sì, sfotti pure la tua povera ragazza trasfazione – sbuffa lei, anche se non riesce a sopprimere il mezzo sorriso che ha stampato in faccia da quando l'ho presa per mano. – Sto ancora aspettando di vedere il tuo presunto angolo romant ... –.

Zelda si blocca di colpo, non termina nemmeno la frase. Trattengo un ghigno compiaciuto di fronte alla sua espressione adorante. Mi sposto alle sue spalle e la circondo con le braccia. - Stavo per dirtelo. Siamo arrivati -.
Strofino le labbra sulla pelle sensibile dietro il suo orecchio. - Allora, che ne dici? -.


 



 


 

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Ciao a tutti!! Sono in ritardo, lo so. Chiedo umilmente perdono, ma l'ispirazione mi aveva momentaneamente abbandonata. Ora invece sono in pieno attacco di Erichite acuta (scusate il mio cervello malato, non trovavo altro modo per spiegarlo).

Allora, di fatto l'appuntamento tra i nostri due protagonisti è appena cominciato, ma ho dovuto spezzarlo perché rischiava di diventare lungo più di venti pagine. O scrivo troppo, o troppo poco: non conosco vie di mezzo ;)

Non sono molto soddisfatta di questo capitolo, lo dico sinceramente. C'è qualcosa che non mi convince, quindi aspetto di leggere i vostri commenti per sapere come appare ad occhi esterni. Secondo voi dove si trovano Eric e Zelda? Qual era la misteriosa destinazione romantica? ;)

Vi lascio il link della mia pagina Facebook, in cui troverete estratti dei capitoli, anticipazioni, citazioni e soprattutto molte molte molte foto di Jai (non perdetevi il video in cui dà mostra delle sue doti canore xD) ;) https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966

Ringrazio tutti voi, che trovate il tempo di leggere e recensire la mia storia. Siete fantastici!! *.*

Un bacio a tutti,

Lizz

p.s. ringrazio anche i Nickelback per il loro meraviglioso ultimo album … che ho ascoltato a ripetizione mentre scrivevo ;) Yeah!

p. p. s. il congegno spegni-telecamere è una mia invenzione ;)

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Capitolo 39
*** A little piece of heaven ***



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Capitolo 38




 

Zelda




 

Spettacolare.

Non trovo altri aggettivi per descrivere l'ambiente che mi circonda. Batto le palpebre più volte per assicurarmi che non si tratti di un sogno o di un prodotto della mia fervida immaginazione.

No, è tutto reale. Come il calore delle braccia che mi avvolgono i fianchi.

Apro la bocca per dire qualcosa, ma la richiudo quasi subito. Non so esprimere quello che sento a parole.
Forse è così che si è sentito Eric quando poco fa gli ho gettato in faccia quell'appassionata dichiarazione.

Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. L'aria fresca mi solletica le guance e porta ulteriore scompiglio nella massa di onde scure che mi ricadono sulle spalle.

Ho sempre temuto la notte, l'oscurità che inghiotte ogni cosa. Da quando ho subìto quel trauma da bambina, non sono più riuscita a rimanere troppo a lungo in mezzo al buio. Se dovevo tornare a casa tardi la sera, non mi allontanavo mai dalla luce rassicurante dei lampioni che fiancheggiavano la strada. Mai e poi mai avrei percorso lo stretto sentiero che tagliava in mezzo al bosco, la scorciatoia usata abitualmente dai miei fratelli. Preferivo camminare mezz'ora in più, piuttosto che permettere alle tenebre di ghermirmi coi loro neri artigli.

Riapro le palpebre e appoggio le mani sopra le braccia di Eric. Il fatto che io resista in mezzo al buio senza sentirmi soffocare prova la veridicità delle mie precedenti affermazioni.

Eric è il mio faro nella notte: non mi vergogno di ammettere quanto stia diventando importante per me averlo vicino. Se la mia sincerità lo mette in imbarazzo è un problema suo. Prima o poi imparerà a comportarsi da essere umano, a smettere di restarsene chiuso nel suo guscio ed esternare le sue emozioni. Me ne assicurerò personalmente, in fondo è tutta questione di pratica.
E non la pratica che ha sempre in mente lui quando mi propone un soggiorno prolungato nella sua stanza.

Come se avesse percepito il corso dei miei pensieri, Eric aumenta la stretta attorno alla mia vita. Sento il suo fiato sul collo. - Allora, ti piace? - sussurra a contatto con la mia pelle, facendomi rabbrividire.

Getto indietro la testa, appoggiandomi al suo petto con la schiena. - Avevi ragione. Questo posto è … meraviglioso -.

Non lo vedo in viso, ma posso immaginare il ghigno compiaciuto che gli solca le labbra mentre risponde. - Credevo avessimo appurato che io ho sempre ragione -.

Arrogante e sfacciato come al solito. - Noto con piacere che il tuo ego non ha subito danni irreparabili - sbuffo, scuotendo la testa con rassegnazione.
Mi libero dalla sua stretta e avanzo di qualche passo, facendomi strada in mezzo all'erba alta con prudenza. Alcune rocce ricoperte di muschio sbucano dalla vegetazione: mi siedo su una di esse, lo sguardo sempre puntato sul panorama che mi sta di fronte.

A poca distanza da me si estende una pozza d'acqua - un lago o uno stagno, difficile stabilirlo a causa del buio -, piatta e scura come una lastra d'onice. Un gigantesco specchio che riflette la luce delle migliaia di stelle che popolano la notte. L'effetto complessivo è da togliere il fiato: sembra di galleggiare nello spazio, è quasi impossibile distinguere il confine che separa il cielo dalla terra.

Mi lascio scappare un lungo sospiro di beatitudine. Astronomia era una delle mie materie preferite: so a memoria i nomi delle costellazioni e la loro etimologia. Dopo aver impiegato mesi a pregare mio padre, ero riuscita ad ottenere il permesso di incollare i poster della mappa del cielo al soffitto della mia stanza. Alicia mi aveva dato una mano, sbuffando e facendo smorfie quando cominciavo a tempestarla di dati scientifici o mi dilungavo nell'analisi degli elementi chimici che caratterizzavano i sessanta satelliti di Giove.

Ad un certo punto aveva alzato gli occhi al cielo e sbottato: - Zelda Blackburn! Vedi di piantarla. , Marte ha due satelliti. Lo so. Si chiamano Phobos e Deimos. , so anche questo -. Mi aveva puntato un dito contro e poi aveva indicato l'atlante di astronomia. - Se hai intenzione di continuare a blaterare informazioni a caso come se avessi appena ingoiato un manuale, giuro che me ne vado. Dopo essermi assicurata di spedire te e il tuo geniale cervellino tra i tuoi adorati satelliti! -.

Ancora rido se ripenso alla sua espressione battagliera. Per farmi perdonare le avevo regalato uno dei miei libri di medicina, un tomo voluminoso sull'apparato locomotore. A casa ne avevamo talmente tanti che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Alicia ha sempre proclamato di voler diventare medico: è stata una delle prime cose che mi ha detto quando ci siamo conosciute.

Osservo la luce degli astri sulla superficie dell'acqua. Non mi manca affatto la mia vecchia vita, però rimpiango di aver dovuto rinunciare all'amicizia di Ali. Ne abbiamo passate tante assieme: mi è stata vicino dopo l'abbandono di Damien, non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio. Sapevo di poter contare su di lei in qualunque situazione.
Alla fine sono stata io a tradirla, andandomene dalla fazione.

- Zelda -.

Sobbalzo al suono del mio nome. Mi volto di lato e scopro che Eric mi ha raggiunto. È seduto sulla roccia accanto alla mia e mi sta fissando. Un raggio di luna gli colpisce il viso, creando un gioco di luci e ombre quasi surreale.
Solo quando si sporge verso di me per prendere una ciocca dei miei capelli tra le dita riesco a scorgere il luccichio argentato nei suoi occhi. - Sei pensierosa - commenta, inarcando un sopracciglio. - Qualcosa non va? -.

Da come lo dice, sembra quasi si stia sforzando di trattenere la curiosità, uno dei tratti peculiari degli Eruditi che nemmeno la vita nella nuova fazione è riuscita a sopprimere. Credo gli costi molta fatica non ordinarmi esplicitamente di sputare il rospo, visto che è nella sua natura comandare gli altri a bacchetta. Non penso abbia mai tollerato proteste o rifiuti.

Che cambiamento rispetto a quando ci siamo conosciuti. Una settimana fa molto probabilmente mi avrebbe agguantato per la gola e fatto sputare la verità a forza.

Sono contenta che la mia vicinanza abbia un effetto positivo su di lui.
Eric sta smussando alcuni aspetti troppo estremi del suo carattere, riscoprendo virtù perdute da tempo - o mai acquisite, dipende dai punti di vista -, come la pazienza. Chi l'avrebbe mai detto che il temibile e suscettibile Capofazione dagli occhi di ghiaccio riuscisse ad attendere con calma la risposta del suo interlocutore, senza minacciarlo di morte o standogli col fiato sul collo?
Sono fiera di lui.
Anche se tecnicamente ho il suo fiato sul collo.

Intreccio le dita e scuoto la testa. - Non è nulla. Stavo solo ripensando alla mia vecchia stanza -. Mi fermo e lo guardo un attimo. Visto che l'ordine di 'finirla con i giri di parole e andare dritta al punto' non arriva, gli sorrido compiaciuta.

Sulla fronte di Eric si disegna una piccola ruga. Mi pare quasi di sentire gli ingranaggi lavorare nella sua mente, alla ricerca di un motivo che spieghi la mia espressione divertita. Nonostante tutto rimane silenzioso, di sicuro in attesa che continui il discorso.
Comincio a pensare che l'idea di costringermi a parlare non gli sia neanche passata per l'anticamera del cervello. Mi sento orgogliosa come una mamma che sente per la prima volta suo figlio recitare le tabelline a memoria.

Mi muovo talmente veloce che lui non fa in tempo a reagire. Gli passo un braccio attorno al collo per avvicinarlo a me e premo le labbra sulle sue. È un bacio breve e casto rispetto a quelli che ci siamo scambiati sul treno, eppure quando mi stacco lo sento ansimare.
Inclino la testa di lato e lo scruto con curiosità.

Gli occorrono alcuni secondi per recuperare il controllo. Quando lo fa, mi guarda in cagnesco. - Vuoi farmi morire? - borbotta, con un tono a metà strada tra accusa e rassegnazione. Prende un breve respiro e piega la testa in avanti, fino ad appoggiare la sua fronte alla mia. - Non fraintendere. Mi piace, e molto, che tu prenda l'iniziativa. Ma la prossima volta cerca di avvertirmi prima di attaccare -. Chiudo gli occhi quando avverto il tocco freddo dei suoi piercing sulla guancia. - Non appena ti avvicini smetto di pensare. E' come se premessi il tasto reset sul mio cervello. E vado in apnea -.

Si blocca come se temesse di essersi lasciato scappare una parola di troppo. Mi dà un veloce bacio sulla tempia, poi si allontana e distoglie lo sguardo da me per posarlo sul laghetto. Ha le labbra incurvate in una smorfia risentita. - Proprio una confessione virile, non c'è che dire. Mi piacerebbe sapere perché quando sono con te riesco sempre a fare la figura dell'idiota -.

Vorrei replicare con un sarcastico 'Perché lo sei', ma decido di aver pietà di lui. - Eric, guarda che per me è lo stesso. Credi mi piaccia stressarti con la mia perenne gelosia nei confronti di Josie? Semplicemente, non riesco a trattenermi. Chiedi a Melanie: mi ha preso in giro per ore l'ultima volta che ho dato di matto quando vi ho visti vicini in mensa. E, se proprio vuoi saperlo, spesso anche io dimentico di respirare se sei nei paraggi -.

Eric si volta di scatto, un'espressione soddisfatta si fa largo sul suo viso. Forse non aveva mai fatto caso all'effetto che la sua sola presenza ha su di me. Assurdo, perché perfino Xavier - che non brilla in quanto ad intuito - se n'era accorto.

Dopo un attimo di esitazione, il Capofazione allunga la mano e torna a giocare con una ciocca dei miei capelli. - Sono felice di saperlo. Ma quel bacio per cos'era? -.

Imito il suo celebre ghigno. - Un premio -.

- Un premio? - ripete lui, in tono scettico. - Un premio per cosa? -.

- Lo so io - replico, e mi compiaccio di notare la perplessità nel suo sguardo. Può insistere quanto vuole: non gli svelerò nulla del mio piano segreto per riportare alla luce la sua umanità, assopita sotto la dura scorza da Intrepido insensibile. Ogni volta che si comporterà in modo civile col prossimo, riceverà un premio, un incentivo per incoraggiare i suoi sforzi.

Lui fa schioccare la lingua. La mia risposta vaga non deve essergli piaciuta, visto che continua a scrutarmi come se stesse passando il mio cervello ai raggi x. Alla fine si arrende, ovviamente dopo avermi inchiodato con un'occhiata che urla 'te la lascio passare per ora, ma non finisce qui'.

Rimaniamo entrambi in silenzio per qualche minuto, in una muta contemplazione del lago. Eric continua ad arrotolare la mia ciocca tra le dita. Sembra che lo faccia senza accorgersene, quasi fosse un movimento involontario. Mentre lo osservo di sottecchi, lui si porta i miei capelli alle labbra. Li sfiora appena e fa un respiro profondo. Mi sento avvampare. È un gesto così … intimo.

Eric sembra avvertire l'insistenza del mio sguardo perché si gira nella mia direzione. - Mi stai fissando - afferma, e il suo cipiglio diviene inquisitorio. - Devo preoccuparmi? Stai meditando un altro attacco? -.

Gli schiaffeggio la mano libera, ma non riesco a trattenere un sorrisetto. - Credo di averti già detto che sei bello da guardare, no? -.

- Beh, non mi dispiacerebbe se lo ripetessi di tanto in tanto - fa lui, con una nota beffarda nella voce. Si picchietta il mento, fingendosi meditabondo. - Diciamo tre o quattro volte al giorno. Come minimo -.

- Ma come siamo vanitosi, signor Capofazione -.

- Siamo? -.

- Sì, tu e il tuo ego -. Eric risponde al mio sorriso. Gli scocco un bacio sulla guancia, poi abbasso gli occhi sulla sua mano che sta ancora stringendo i miei riccioli. - Sbaglio, o hai una fissazione per i miei capelli? -.

La sua reazione mi lascia a bocca aperta. Se non fosse impossibile, direi che il Capofazione dalle iridi di ghiaccio è appena arrossito alle mie parole. Distoglie lo sguardo da me per posarlo su un punto indefinito del terreno.

Ma brava, Zelda. E' la seconda volta che lo metti a disagio nel giro di un'ora. Sai bene che detesta parlare di sé, dei suoi sentimenti.
Rispetta i suoi tempi, per l'amor del cielo, e chiudi quella boccaccia.

La ramanzina del mio inconscio mi fa sentire come una bambina beccata a rubare nel barattolo delle caramelle.
Faccio per dire qualcosa, ma la risposta di Eric mi precede. Prima di parlare fa un respiro profondo. I suoi occhi sono tornati nei miei. - E' stata una delle prime cose che ho notato quando sei scesa dal treno - confessa a bassa voce. Lascia ricadere la mia ciocca e infila le dita nella mia chioma all'altezza della nuca. - Hanno il colore della notte, ma sotto una luce intensa assumono sfumature più chiare, quasi blu. Non ho mai visto niente del genere -.

Alzo le spalle. - E' una caratteristica di famiglia, una sorta di marchio. Mio padre lo chiamava il 'gene Blackburn' -.

Eric storce la bocca al suono del mio vecchio cognome. Mi liscia alcuni ciuffi per poi lasciarli ricadere oltre le mie spalle. - Sono selvaggi e ribelli, eppure morbidi come seta. E poi, beh, il nero è il mio colore preferito -. Si schiarisce la voce. Lo fa ogni volta che teme di lasciarsi sfuggire un pensiero di troppo, ormai lo conosco. - Quindi , ho un' ossessione per i tuoi capelli. Contenta? -.

Temo che non riuscirò mai ad abituarmi a questo lato di Eric. Riesce ad apparire tenero senza sforzarsi, senza neanche volerlo.
O forse sono i miei occhi a forma di cuoricino che distorcono la realtà.

L'unico fatto certo è che, quando Eric mette il broncio, non rispondo più di me. Vuole apparire distaccato e minaccioso, invece ha l'aspetto di un cucciolo in cerca di coccole. Lo penso, ma non glielo dirò mai.
Ne va della mia vita. Credo abbia sparato a qualcuno per molto meno.

Mi alzo dalla roccia e mi piazzo davanti a lui che se ne sta a braccia conserte e guarda ovunque tranne che verso di me.
Tenta di ignorarmi, di certo si sta pentendo della confidenza che mi ha appena concesso, ma io so benissimo come farlo cedere. Poso le mani sulle sue ginocchia e faccio leva sui palmi per sporgermi in avanti fino ad arrivare con le labbra a un soffio dalle sue. - Adesso tocca a me svelarti un mio piccolo segreto -.

Non mi piace metterlo in imbarazzo. Non voglio obbligarlo a dire ciò che vuole tenere per sé. Il minimo che posso fare è fargli capire che ammettere i propri sentimenti non è un crimine punibile per legge. Con me non deve nascondersi né fingere.
Io lo adoro così com'è, piercing inclusi. Non lo cambierei di una virgola.

Eric fa un lungo sospiro. Non capisco se è d'esasperazione o di sconfitta. - Va bene. Sgancia la bomba. Ormai sono preparato alle tue spiazzanti rivelazioni spontanee … -.

Incastro per un istante le labbra dentro le sue, poi mi tiro indietro e gli sussurro all'orecchio con un tono sufficientemente malizioso: - Ti ho mai detto che ho un debole per i biondi? -.



 

* * *


 

Mezz'ora dopo siamo entrambi distesi a terra, in mezzo all'erba umida.

Eric ha un braccio ripiegato sotto la testa, mentre l'altro soggiorna stabilmente attorno alla mia vita. Io ho la testa appoggiata al suo petto, gli occhi mezzi chiusi e un'espressione beata in faccia.

È da tanto tempo che non mi sento così in pace col mondo, così rilassata. Stiracchio le braccia e mi alzo su un gomito per rivolgere un'occhiata al mio ragazzo. Sulle sue labbra aleggia un sorriso. Sembra … sereno. Tutto il contrario di quando ci troviamo all'interno della residenza, dove deve mantenere la rigida maschera di Capofazione.
So che non è facile gestire un incarico del genere. Il potere comporta sempre sacrifici: gli hanno assegnato questo ruolo a soli sedici anni, chissà che duro addestramento ha dovuto affrontare per meritarselo. Anche se ama dare ordini e infierire su noi poveri iniziati, è giovane, tanto giovane.
A volte dimentico che ha solo un anno più di me.

Mi sfugge un sospiro. Io di sicuro non riuscirei a gestire una simile responsabilità. Per un attimo fantastico sui possibili lavori che mi saranno proposti al termine dell'iniziazione. Magari Elizabeth mi accetterà come aiuto infermiera. Sempre meglio di dover pattugliare la città o sorvegliare la recinzione col fucile in spalla …

Eric interrompe il flusso dei miei pensieri tirandomi una ciocca di capelli. - A che pensi? - mi chiede, scrutando intensamente la mia espressione assorta.

Scuoto la testa. - Niente di importante - replico, forse troppo sbrigativamente.

Infatti lui inarca un sopracciglio, facendomi capire che non ha la minima intenzione di accettare per la seconda volta una risposta così vaga. - Zelda - esordisce, in tono tanto calmo quanto pericoloso. - Questo doveva essere un normale appuntamento tra un ragazzo e una ragazza, invece si è trasformato nella 'serata delle confessioni imbarazzanti'. Almeno per quanto mi riguarda -. Si acciglia lievemente. - Adesso tocca a te. Non penso riuscirai a sconvolgermi più di quanto tu abbia già fatto. Da questa sera i segreti tra noi sono ufficialmente aboliti -.

Mi viene da ridere. - Quasi non ti riconosco quando parli così - ribatto, sfiorando con la punta di un dito i tatuaggi sul suo collo. - Niente più segreti? Di nessun tipo? Sei proprio sicuro? Guarda che una volta stretto un patto con me non si torna indietro, ti avviso -.

Eric esita per mezzo istante, ma poi annuisce gravemente e mi porge la mano. Sondo a lungo il suo sguardo serio accompagnato da un ghigno appena accennato. Alla fine cedo e ci stringiamo la mano in modo quasi formale. - Sembriamo due idioti - sbuffo, leggermente perplessa dalla piega presa dalla situazione.

Lui continua a sogghignare, tenendo ancora stretta la mia mano tra le sue. Senza smettere di guardarmi mi posa un bacio sul palmo, prima di intimare un lapidario: - Sto aspettando -.

Certo. Ed io dovrei formulare una risposta concreta mentre lui mi fissa così, come se mi stesse scavando nella mente. E' già tanto se mi ricordo come si fa a respirare. - Beh, ecco … - inizio, ma la voce mi abbandona del tutto quando Eric passa la lingua sul pezzetto di pelle tra un dito e l'altro.

Oh, santo cielo. Qualcuno lo fermi.

È appurato: ho assolutamente bisogno di un cervello nuovo. Il mio ormai è andato. Defunto, svanito, caput.
Oddio sto impazzendo. Respira, continua a respirare.

Fortunatamente riesco ad incamerare abbastanza ossigeno per proseguire con quello che stavo dicendo. - Pensavo a ... al futuro. A cosa mi aspetta una volta finito il percorso di iniziazione -.

Dallo sguardo che mi lancia Eric capisco di averlo colto di sorpresa. Percepisco la tensione dei suoi muscoli, la mia risposta deve averlo turbato.
Dopo un momento di stallo, lui alza una mano e mi sfiora il viso, dalla fronte al mento. - Non ti devi preoccupare di questo. Gli altri non possono competere con te. Sono sicuro che il tuo nome sarà uno dei primi della classifica -.

Il suo tono, dolce come non l'ho mai sentito, mi lascia senza fiato. Con gli occhi lucidi, appoggio il viso sulla sua mano, assecondando le sue carezze. - Per forza, sei il mio ragazzo. Sei praticamente obbligato a scommettere su di me -.

Lui si stringe nelle spalle. - Può darsi. Ma sono sempre obiettivo nel valutare un potenziale avversario. Ho capito che sei una tipa in gamba dal momento in cui sei saltata giù dal treno -.

Sorrido nel ricordare la sua gentile accoglienza. - Tanto in gamba da riuscire a spodestare un Capofazione? - lo punzecchio, e lui si vendica scompigliandomi i capelli.

Rimaniamo seduti a chiacchierare per molto tempo. Eric è molto più sciolto rispetto all'ultima volta che siamo rimasti da soli. Parla anche più di me.

Mi racconta alcuni episodi della sua infanzia, dei pochi amici che aveva nel quartiere degli Eruditi e quali sono stati i motivi che l'hanno spinto a scegliere di andarsene dalla fazione. Lo ascolto con attenzione, rispettando gli attimi di silenzio tra una frase e l'altra ed evitando di interromperlo con continue domande. Non mi perdo una parola della parte riguardante la sua iniziazione, nemmeno mentre descrive un combattimento particolarmente violento durante il quale ha slogato la mascella ad un compagno.

- Se non fosse stato per il Rigido, sarei risultato primo in classifica. Purtroppo non posso competere con uno che ha solo quattro paure - borbotta, facendo schioccare le nocche come se si stesse preparando ad un incontro di boxe. Molto probabilmente sta immaginando di prendere a pugni il tizio che l'ha battuto, ovvero Quattro …

Un momento. Ha appena chiamato Quattro 'Rigido'? Devo aver sentito male, non può essere. - Come sarebbe? Vuoi farmi credere che il mio istruttore è un ex Abnegante? - esclamo, divisa tra perplessità e legittimo stupore.

Eric fa un sorrisetto maligno. - Già. E non un Rigido qualunque ... -.

Il modo in cui pronuncia la frase mi fa irrigidire senza un motivo apparente. Ho un brutto presentimento. - Che vuoi dire? -.

- Tieniti forte -, mi intima in tono scherzoso. - Suo padre è nientemeno che il capo del governo. Marcus Eaton -.

Sento il sangue cristallizzarsi nelle vene, la mia espressione si fa di pietra. Mi ritrovo a ringraziare il buio che ci circonda e che riesce a camuffare l'orrore che mi percorre i lineamenti.
I miei pensieri si fanno frenetici. Marcus Eaton. Quattro è il figlio di Marcus Eaton. Quindi il vero nome di Quattro è … Tobias.
Lui è Tobias Eaton. Quel Tobias Eaton!

Eric spezza il mio silenzio attonito con una breve risata. - Se avessi saputo che bastava questa semplice rivelazione a farti ammutolire, mi sarei risparmiato parecchie discussioni -. Non pare essersi accorto dell'anomalo pallore sul mio viso, né di quanto mi abbia sconvolto scoprire le vere origini del mio istruttore. Meglio così. Ci sono alcuni segreti che non posso condividere con nessuno, nemmeno con Eric. Sono sepolti nella mia mente e lì devono rimanere.

- Non so cosa dire. Non riesco nemmeno ad immaginare Quattro in veste di Abnegante - mormoro, cercando di apparire il più naturale possibile. Lancio un'occhiata terrificata al mio ragazzo. - Hai altre sorprese sconcertanti in mente? Tipo confessare che James in realtà è un ex Erudito? -.

Eric fa una faccia schifata. - D'ora in poi evita di pronunciare il suo nome in mia presenza. Preferirei dimenticare l'esistenza di quell'imbecille del mio collega, se non ti dispiace -.

Batto le palpebre, incuriosita dalla sua reazione aggressiva. - Perché, che ha fatto? -.

Mi guarda come se la risposta fosse ovvia. - Non perde l'occasione per provarci con te. Non hai notato le occhiate che ti lanciava oggi in mensa? -.

Corrugo la fronte. - No, non ci ho fatto caso. Guardavo te -.

Eric rimane interdetto per qualche secondo, quasi stordito dalla mia replica sincera e spontanea. Poi inizia a ridere. Anzi, a sghignazzare.

Mi sono persa qualcosa? Che ho detto di così divertente?

Va avanti per parecchi minuti. Io lo fisso inespressiva, aspettando che l'ilarità faccia il suo corso.
La scena è a dir poco irreale: ha perfino le lacrime agli occhi per il troppo ridere.

- Quindi non hai fatto caso nemmeno agli altri Intrepidi che sbavavano al tuo passaggio? O a quel cretino che ha rischiato di inciampare nel carrello dei vassoi perché era troppo occupato a sbirciare nella tua scollatura? -.

- Io no, ma tu sì, a quanto pare - sbotto, alzando gli occhi al cielo in maniera plateale. - Si può sapere perché la cosa ti diverte tanto? -.

Eric scuote la testa, ma il sorriso ebete non accenna a scomparire dal suo volto. - Ne ero certo. Tu non sei come le altre ragazze. Sei un universo a parte. La mia eccezione -.

Mi ritrovo abbarbicata addosso a lui senza capire come ci sia finita. Un attimo fa ero seduta al suo fianco, ora ho le gambe intrecciate alle sue e le mani sul suo petto. Non ho la minima intenzione di protestare, anche se ancora mi sfugge il filo logico del suo precedente discorsetto.

Eric infila la mano sotto la mia maglietta e percorre la curva del mio fianco con l'indice. - Ti chiamavo così all'inizio, sai? La mia eccezione. Lo sei davvero, in tutti i sensi -. Mi spinge ancora di più contro di sé, facendomi boccheggiare. - Sei l'eccezione che conferma tutte le regole. E sei mia -, puntualizza, prima di far incontrare le nostre labbra.

Mi bacia con prepotenza, come se temesse di vedermi scomparire da un momento all'altro. Gli allaccio le braccia al collo, rispondendo con altrettanta passione. Vorrei avesse i capelli un po' più lunghi solo per poterli scompigliare ed infilarci le dita come sta facendo lui con i miei. La sua lingua traccia il contorno della mia bocca, lentamente, ed io ringrazio il cielo di trovarmi in posizione orizzontale. Ho i muscoli della stessa consistenza della gelatina. Sento caldo, tanto caldo. E mi sembra di avvertire il tocco delle sue mani ovunque: sulle spalle nascoste dalla felpa, sulla schiena, sui fianchi, su … Ehi, sbaglio o mi ha appena palpato il sedere?!

- Cattivo ragazzo -, soffio, mordendogli il mento. Ogni volta che lo faccio, Eric emette un verso indistinto, a metà tra gemito e mugugno. Sembra stia facendo le fusa. - E poi hai il coraggio di fare scenate di gelosia solo perché becchi qualcuno a fissarmi? Dovresti compatirli, invece. Loro possono solo guardare, mentre tu … beh, è ovvio che non ti fai problemi a toccare -. Sorrido a contatto con le sue labbra quando avverto la sua risata roca rimbombare contro il mio petto.

Lo bacio di nuovo. Adesso sono io che non mi faccio problemi a toccare.
Non so bene come, ma, dopo qualche tentativo andato a vuoto, riesco finalmente a sfilargli la giacca. E la maglietta.
Le getto sopra le rocce e mi fermo ad osservare il torace nudo del mio ragazzo. Davvero una bella visione, non c'è che dire.
Avevo già avuto l'occasione di ammirare i suoi addominali quando l'ho medicato, ma diciamo che in quel momento sbavare senza ritegno come sto facendo ora non rientrava nelle mie priorità. Adesso posso farlo con tutta calma.

La mia espressione da pervertita fa inarcare un sopracciglio al diretto interessato. - Guarda che puoi farlo - dice, in tono stranamente serio.

- Fare che cosa? - chiedo ingenuamente.

Ecco rispuntare il suo solito ghigno arrogante. - Spogliarmi. Non negare, lo stai facendo con lo sguardo. E anche nella realtà -. Butta l'occhio sui vestiti che gli ho appena tolto e fa spallucce. - Se credi che ti fermerò, ti sbagli di grosso. Sentiti libera di farlo quando vuoi, piccola -.

Beccata. Avvampo mio malgrado, ma non smetto di fissarlo. La luce della luna, seppur debole e opaca, delinea perfettamente il suo torace nudo. Mi incanto ad ammirare i numerosi tatuaggi che si inseguono sulla sua pelle, simili ad ombre d'inchiostro. Non sono particolarmente vistosi: hanno tutti uno stile geometrico e ben definito.

Seguo il contorno del simbolo degli Intrepidi, delle fiamme stilizzate posizionate a sinistra, appena sotto la clavicola. Il respiro di Eric accelera progressivamente sotto il tocco delle mie dita, facendosi sempre più affannoso. La mia mano scende lungo il suo sterno, tracciando il profilo degli altri disegni.

Il Capofazione mi ferma prima che possa posare il palmo sul suo stomaco, bloccandomi il polso in una presa ferrea. - Odio doverlo dire, ma forse è il caso di tornare alla residenza - annuncia, picchiettando sul quadrante del suo orologio ipertecnologico che segna le tre di notte. Lo guarda come se volesse distruggerlo col pensiero. - Più rimaniamo fuori dalla Guglia, più possibilità ci sono che qualcuno noti la nostra assenza. O, peggio, che ci veda ritornare insieme -.

Annuisco. Ha ragione: sarebbe un disastro se qualche Intrepido ci vedesse sgattaiolare per i corridoi a quest'ora. In che modo potremmo spiegare la nostra gita in città? Prego che i filmati delle videocamere non riportino nemmeno una piccolissima traccia del nostro passaggio.

Mi alzo in piedi e recupero i vestiti di Eric. Infila maglia e giacca in silenzio, meccanicamente ed evita accuratamente di guardarmi. Il suo umore è tornato cupo, cattivo segno. Vorrei sapere a cosa sta pensando, conoscere il motivo di questo improvviso cambiamento, ma mi impongo di tacere per non risultare troppo invadente.
Si gira e si incammina verso i binari senza proferire parola. Rimango impalata ad osservare la sua figura allontanarsi sempre più da me, fondendosi col buio della notte.

Resto sola accanto al lago. Alzo la testa verso il cielo e mi perdo nell'ammirare la luce soffusa delle varie costellazioni che solcano la volta celeste. Mi soffermo su tre stelle in particolare, quelle che compongono la cintura di Orione. Sono sempre state una specie di punto di riferimento per me: le osservavo sempre prima di andare a dormire e mi disperavo se qualche nube di passaggio mi impediva di vederle sorgere.

Non appena riporto lo sguardo sulla superficie nera dello stagno, mi rendo conto di essere sola in mezzo all'oscurità. E di non provare assolutamente nulla. Non tremo, non sto andando in iperventilazione né sento la necessità di scappare a nascondermi. E so benissimo a chi devo questo miracolo: a colui che è riuscito a farmi apprezzare la magia della notte.

Volto le spalle allo stagno e comincio a correre alla cieca nell'oscurità. Per due volte rischio di inciampare in qualche radice che sbuca dal terreno, ma non rallento finché non individuo Eric. Ha percorso pochi metri e se ne sta immobile come una statua in mezzo all'erba incolta, le gambe divaricate e i pugni stretti lungo i fianchi. Non se n'è andato, mi ha aspettata.

Di sicuro mi sente arrivare perché ricomincia a camminare. Sento affiorare la prima scintilla di rabbia e procedo a grandi falcate per stargli dietro. Il suo comportamento da stronzo mi urta il sistema nervoso. - Eric, aspetta. Fermati! -.

Lui rallenta impercettibilmente l'andatura. Di certo non mi aspettavo che mi obbedisse al primo tentativo: quando parte per la tangente sa essere più testardo di un mulo. E dire che stavo per chiedergli se …

Zelda, non essere codarda. Sfodera il tuo asso nella manica e fagli pagare questo suo odioso atteggiamento.

Prendo un bel respiro, cercando di trovare il coraggio per pronunciare la frase che ho sulla punta della lingua. - Eric, per favore. Guardami - mormoro, a voce talmente bassa che dubito riesca a sentirmi.

Invece lui si blocca di colpo, probabilmente stupito dal mio tono spezzato e quasi supplichevole. Si volta verso di me con riluttanza ed il modo in cui mi guarda mi fa sentire estremamente vulnerabile. Perché non me ne sono stata zitta?

Oh, al diavolo. Ora o mai più. - Ecco io … mi stavo chiedendo se la tua proposta è ancora valida -. Nelle sue iridi grigie vedo spuntare un barlume di confusione. Azzardo un mezzo sorriso. - Posso … dormire con te stanotte? -.

Ecco, l'ho detto. Ovviamente arrossisco. Una parte di me è tentata di rimangiarsi tutto, ma so che dopo questa richiesta non si torna indietro. Attendo la sua reazione col cuore in gola.

Lui sbarra gli occhi e rimane a fissarmi come se mi vedesse per la prima volta. Apre bocca, ma poi la richiude e scuote la testa.

Mi sento raggelare. Ma come mi è venuto in mente di chiedergli una cosa del genere? Meglio se torno indietro e mi butto nel lago.

Sto per mettere in atto il mio piano di fuga, quando noto un sorriso farsi largo sul volto di Eric. Dapprima incerto, quasi incredulo, fino a diventare talmente ampio da farmi temere gli possa venire una paralisi. - Puoi ripetere? Non credo di aver sentito bene. Probabilmente sto vaneggiando perché non puoi avermi davvero chiesto di … -.

- Di passare la notte con te? Sì, l'ho appena fatto. Ma non montarti la testa perché ti avverto che dormiremo soltanto. Nessuna trattativa, prendere o lasciare -. Meglio avvisarlo in partenza di non tirare troppo la corda.

L'insopportabile sorrisetto malizioso che gli solca le labbra non viene scalfito dalle mie parole. - Posso almeno toccarti, o mi staccherai la mano se solo ci provo? -.

Sbuffo, irritata dal suo tono strafottente. - Certo che puoi toccarmi. Puoi anche sbirciare mentre mi cambio, o spogliarmi tu, così facciamo prima -. La mia uscita gli fa strabuzzare gli occhi. - Quello che intendevo dire è che non voglio che ci … spingiamo oltre, per ora -.

In fin dei conti stiamo insieme da quanto? Nemmeno una settimana, e ci conosciamo ancora molto poco. So che il genere maschile ragiona in modo diverso: le loro emozioni si manifestano in modo … diciamo ... più immediato - bastava ascoltare le conversazioni tra i miei fratelli per rendersene conto -, ma non ho intenzione di essere considerata la Josie di turno da nessuno.

Eric arriccia le labbra in una smorfia per niente contenta. - Tenterò di accontentarmi - borbotta.

Incrocio le braccia e gli rivolgo un'occhiata stizzita. Per i miei standard questa è una grande concessione. Se solo si azzarda a ...

Lui alza le mani in segno di resa. - Ho afferrato il messaggio. Puoi stare tranquilla, Zelda, non sono un maniaco. Non farò niente che tu non voglia. Certo, non posso prometterti che me ne starò buono e non farò nulla per convincerti -. Lo guardo come se volessi dirgli 'Non credo proprio ci riuscirai' e lui replica con una roca risata di scherno. - Fidati, so essere molto persuasivo se mi metto d'impegno … però la decisione spetterà sempre e solo a te -.

Mi appunto mentalmente di riprendere il discorso in un altro momento. Eric è abituato a prendere quello che vuole quando vuole, senza tener conto del volere o dei sentimenti altrui. Se tiene veramente a me e mi rispetta come sostiene, dovrà dimostrare di riuscire a dominare questo suo lato prepotente. Io sto tentando di andargli incontro, mi aspetto che anche lui muova qualche passo verso di me.

Maledizione, sto pensando come un'Abnegante! Cervello nuovo, cercasi.

In pochi passi raggiungo Eric e lo abbraccio, passandogli le mani sulla schiena.
Lui appoggia il mento sul mio capo, il suo respiro mi solletica i capelli. Mi dà un leggero bacio e mi avvolge le spalle con un braccio, premendomi di più contro di sé. - Voglio che tu ti senta al sicuro quando sei con me. So benissimo che è ancora presto per … approfondire la nostra relazione -. Si schiarisce la voce: da questo capisco che è imbarazzato quanto me.

Mi domando se abbia mai fatto un discorso del genere alle ragazze che ha frequentato in passato. Credo proprio di no, non è un tipo molto loquace. Di certo con le altre non perdeva tempo a parlare.
Dovrei essere gelosa delle storie che ha avuto prima di conoscermi, invece mi sento stranamente soddisfatta. Io sono una dei pochi, se non l'unica, che è riuscita a scorgere il vero Eric, quello imprigionato dietro i vari strati che compongono la sua armatura di Capofazione Intrepido.

Mi stringo a lui. Più che un abbraccio, la mia è una presa di wrestling. - Lo so - mormoro, affondando la guancia nell'incavo della sua spalla. - Perché mi fido di te. Anche quando fai lo stronzo -.

Il suono della sua risata mi arriva alle orecchie, dolce come musica. - Questa mi pare di averla già sentita. Sai, sei la prima persona che ha il coraggio di insultarmi direttamente. Mi hai dato dello 'stronzo' talmente tante volte che ormai, più che un'offesa, mi sembra un dato di fatto -.

Chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dal battito regolare del suo cuore. - Sono pur sempre la tua eccezione, no? -.

Per tutta risposta lui annuisce.

Il fischio sommesso di un treno in avvicinamento ci fa sussultare. Eric si riprende più velocemente di me: mi afferra la mano e mi trascina verso i binari. Le sue dita non mollano la presa sulle mie nemmeno mentre saltiamo per entrare nel vagone.

Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto verso la residenza, lui con le braccia allacciate appena sotto il mio seno e io con il capo reclinato contro il suo petto.

È questo il mio posto, il mio piccolo angolo di paradiso.


 


 

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Ciao a tutti! Sono tornata con un nuovo capitolo e spero davvero che vi piaccia perché io sono in piena crisi :'( Ho avuto un blocco assurdo da metà mese in poi, non riuscivo a scrivere nulla...ho rifatto tre volte il capitolo prima di essere soddisfatta, perciò ci tengo molto a sapere che impressione vi ha fatto, se ci sono passaggi noiosi ecc. così mi faccio un'idea generale e vedo cosa migliorare e su cosa focalizzare il racconto per renderlo più scorrevole (anche commenti negativi saranno ugualmente ben accetti!) ;) Invoco disperatamente il vostro aiuto!

Ok, dopo questo sfogo torniamo a parlare dei nostri protagonisti ;) Eric è cambiato molto da quando ha confidato i suoi sentimenti a Zelda: si sta aprendo sempre di più e lei non è da meno. E' vero che la sua visione del mondo è un po', come dire … da Rigida, ma bisogna capire la situazione: è vissuta in una famiglia composta unicamente da uomini, che non la consideravano e la maltrattavano (chi più chi meno). In conclusione, non ha una buona opinione del genere maschile, quindi già il fatto che si fidi di Eric (che non è proprio il prototipo del fidanzato affidabile e affettuoso) dimostra quanto tenga a lui ;)

Sono diametralmente opposti: lui preferisce agire, lei discutere; lui è un tipo fisico, lei più mentale...in pratica si completano a vicenda ;)

Resto in attesa dei vostri commenti...e di ritrovarvi nella mia pagina Facebook dove potrete vedere le mie personali 'creazioni artistiche', foto dei protagonisti, citazioni varie di libri, canzoni … e chi più ne ha più ne metta ;) Scrivetemi se avete domande o curiosità, o anche solo per scambiare opinioni!

Lizz –-> https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=bookmarks

Supportatemi nelle mie follie xD Con affetto, un bacio dalla vostra Lizz!

p.s. nel prossimo capitolo tornerà un personaggio a voi noto … di chi si tratta? E come mai Zelda conosce Tobias Eaton? Vi lascio col mistero (che verrà risolto più avanti).

p.p.s. la canzone che dà il titolo al capitolo è degli Avenged ;)


 


 

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Capitolo 40
*** Seize the night ***





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Capitolo 39





 

Tonight, I start the fire
Tonight, I break away

Break away from everybody
Break away from everything
If you can’t stand the way
This place is
Take yourself to higher places

(Three Days Grace)







 

Zelda



 

Il viaggio di ritorno dura molto meno di quanto mi aspettassi.

Non appena intravedo il profilo familiare del tetto sul quale sono saltata il Giorno della Scelta, mi stacco dall'abbraccio di Eric e mi posiziono alla sua sinistra. Il treno sobbalza e prende velocità in prossimità di una curva, poi rallenta impercettibilmente mentre avanza sul rettilineo che conduce al nostro punto d'arrivo.

Eric mi rivolge un rapido cenno del capo. Indietreggia per prendere la rincorsa e si fionda all'esterno del vagone senza emettere suono. Scorgo la sua figura possente fendere l'oscurità della notte e atterrare sulla ghiaia del tetto. Le gambe attutiscono l'impatto senza alcuna fatica: accenna solo qualche passo per frenare lo slancio, ma la postura rimane impeccabile.

Gli concedo pochi secondi di vantaggio, perché si possa spostare così da non doverlo investire di nuovo come ho fatto all'andata. Faccio un rapido passo indietro, poi salto, dandomi la spinta con braccia e gambe contemporaneamente. I capelli mi schiaffeggiano il volto mentre eseguo la capriola aerea che tanto piace al mio ragazzo.

Vorrei imitare i movimenti disinvolti di Eric, ma dubito di riuscirci.
Almeno cado in piedi, invece di ruzzolare sui sassolini: è già un ottimo risultato. Scosto i capelli facendo ondeggiare il capo e raggiungo il Capofazione.

Mi correggo: per la verità è lui a raggiungere me.

Mi agguanta per la vita, alzandomi di qualche centimetro da terra, e incolla le labbra alle mie come se ne andasse della sua vita. Gli prendo il viso tra le mani e ricambio il bacio con trasporto, le vene ancora divampanti d'adrenalina. Lui mi fa fare una piccola piroetta in aria prima di mettermi giù. Mi ritrovo a ridere come non ho mai fatto, spensierata come una bambina.

Eric mi afferra il mento, inclinando il mio viso verso l'alto per potermi guardare negli occhi. - Sei troppo sexy quando salti in quel modo - sussurra, mentre si china per posare un bacio tra le mie sopracciglia.
Mi sento leggera e, a dirla tutta, anche leggermente intontita.

Eric sorride. I suoi denti brillano nella notte. - Preferisci seguire le regole o lasciarti tentare dal rischio? -.

Stringo le palpebre, cercando di trovare un senso alla sua domanda. Lui solleva le sopracciglia, sfidandomi con uno sguardo scintillante d'argento. Mi mordo l'interno della guancia. - Le regole sono noiose -, è la mia replica finale. - Sono fatte per essere infrante -.
Tipica filosofia Intrepida. Ci sto prendendo un po' troppo la mano, non so se sia un bene.

Il mio ragazzo approva il ragionamento, travolgendomi con un altro bacio. Mi accorgo che ci siamo mossi solo quando sento il basso muretto che delimita il cornicione premere contro il retro delle mie cosce.

Eric lancia una breve occhiata all'entrata scavata nel soffitto del palazzo sottostante. - Ufficialmente, nessuno è autorizzato a usare quest'ingresso, a meno che non si tratti di un'emergenza. Ufficiosamente, gli Intrepidi lo usano praticamente ogni volta che la noia prende il sopravvento. Entrare nella residenza grazie ad un banalissimo ascensore non è abbastanza rischioso, secondo il loro punto di vista -. Si volta verso di me e mi rivolge un occhiolino complice. - Ma noi sappiamo benissimo quanto quelle gabbie di metallo possano diventare infide. Dico bene? -.

Alzo gli occhi al cielo. - Sottoscrivo. Specialmente se si ha una paura folle del buio e si è costretti a rimanere chiusi in una cabina in compagnia di un minaccioso Capofazione -. Fingo di rabbrividire dal terrore. - Un'esperienza che ti segna a vita -.

Il ghigno di Eric si accentua, diventa predatorio. - Allora è una fortuna che quel minaccioso Capofazione non ti abbia mai detto cosa stava pensando mentre ti stringeva a sé in quell'ascensore - ribatte, a bassa voce. Si sporge su di me e porta la bocca all'altezza del mio orecchio. - O che quel Capofazione non ti abbia mai accennato alle sue fantasie erotiche che hanno come sfondo un treno in corsa -.

Il suo tono roco, mischiato al modo in cui pronuncia la frase, mi fa avvampare. La voglia di scherzare mi è passata di colpo, ma non intendo dargliela vinta. Mi schiarisco la gola con un colpo di tosse. - Chissà. Magari un giorno potrei accontentarlo - affermo, posando le labbra sul suo collo per percorrere le linee nette del tatuaggio.

Eric deglutisce e perde in un istante tutta la sua spavalderia.

Preso in contropiede, eh? Credevi di riuscire a mettermi in imbarazzo? La pantera ha sfoderato gli artigli. Farai meglio a stare in guardia, Capofazione.

Lui sussulta quando la mia lingua scivola sulla carne tenera della gola. I suoi muscoli si tendono come elastici pronti a scattare. Si ritrae da me, le pupille dilatate perfettamente visibili sotto i raggi di luna che piovono dal cielo. La sua mano afferra impaziente la mia e mi sospinge verso il cornicione. - Prima le signore - annuncia, con una punta d'ironia.

Sembra divertirsi a citare le mie stesse frasi, quasi se le fosse appuntate su un taccuino per sfoggiarle alla prima occasione e fare colpo su di me. Se è questo il suo scopo, direi che si è meritato la promozione a pieni voti. Vuol dire che mi ascolta quando parlo e, conoscendo gli uomini, non è una cosa così scontata.

Lo assecondo e salgo sopra al muretto, una mano ancorata alla sua e l'altra piegata verso l'esterno per mantenere l'equilibrio. Il vento che soffia dal basso mi fa svolazzare i capelli e solleva di qualche centimetro la mia felpa. Azzardo uno sguardo di lato. - Dì la verità. A quante ragazze hai già fatto vivere quest'esperienza? Saltare in due dal cornicione, intendo -.

Lui alza un angolo della bocca. - Se ti dicessi che sei la prima, mi crederesti? -.

- Sì - rispondo, senza la minima esitazione. - In fin dei conti abbiamo abolito i segreti tra noi, giusto? Quindi non vedo perché dovresti mentirmi -.

Eric annuisce. - Non ti ho mai mentito. E non lo farò mai, se potrò evitarlo -. L'ultima parte della frase la pronuncia a voce talmente bassa da farmi credere di essermela solo immaginata.

- Lo so. Tendi ad essere brutalmente sincero in qualunque occasione -.
Gli sorrido con gratitudine e lui sfodera l'ennesimo ghigno, prima di chinarsi e passare un braccio attorno alle mie gambe. Mi solleva, ignorando le mie deboli - e poco convinte - proteste.

Mi aggrappo con le unghie alla sua giacca. - Se manchi la rete, giuro che ti ammazzo - intimo, ma mi accorgo subito che il ragionamento non ha molto senso. Se dovessimo balzare fuori dai confini di sicurezza, finiremmo inevitabilmente spiaccicati al suolo.
Ed è altamente improbabile che uno di noi ne esca vivo.

Eric getta indietro la testa e scoppia a ridere. - Non aver paura, piccola. Ho una mira invidiabile -.

Se questa è la sua idea di risposta rassicurante, abbiamo molto lavoro da fare.

Sto per replicare con una battuta sarcastica … che mi rimane bloccata in gola perché lui flette le gambe e spicca il volo, trascinandomi con sé.

Il vuoto d'aria mi fa boccheggiare. Nascondo istintivamente la faccia contro il petto di Eric, le braccia aggrappate al suo collo in una presa che farebbe invidia al più letale dei serpenti stritolatori elencati nei miei vecchi libri di biologia.

Ricomincio a respirare solo una volta atterrata sulla rete di corda, dopo essermi assicurata di avere tutte le ossa a posto.
Il Capofazione accenna un'altra risata, prontamente soffocata dalla sottoscritta.

Gli piombo addosso come un avvoltoio, battendogli l'indice sui pettorali. - La prossima volta rischierò un viaggio in ascensore - sibilo, ma la mia voce è tutt'altro che minacciosa. Ho il fiato corto e le gambe che tremano. Non temo l'altezza, ma un volo di undici metri non è quel che si dice uno scherzetto.

Eric non sembra aver udito le mie parole. Ride come un pazzo, la testa gettata all'indietro e gli occhi chiusi. E' più allegro questa notte di quanto non sia mai stato in tutta la sua vita, sono pronta a scommetterci.

Mi metto in ginocchio sulla rete, scuotendo il capo. - Sono contenta che rischiare la vita ti diverta tanto. D'ora in poi non mi farò nessuno scrupolo ad approfittare di un tuo attimo di distrazione per farti inciampare dallo strapiombo -.

Tiro un pugno per nulla giocoso sulla sua spalla, ma il mio tono è palesemente divertito. La sua ilarità è contagiosa, è bellissimo vederlo ridere.

Eric impiega qualche secondo a calmarsi. - Dovevi vederti in faccia. Eri troppo buffa -.

Mi fingo offesa e metto il broncio. - Esilarante, davvero - borbotto, afferrando il bordo della rete per calarmi giù. Strofino via la polvere dai pantaloni e ficco le mani nelle ampie tasche della felpa. - Bene, allora ti saluto. La buffa trasfazione se ne torna alla sua camerata. Addio -, proclamo solennemente, avanzando nel tunnel a testa alta, senza voltarmi indietro.

Come avevo previsto, non faccio nemmeno in tempo a percorrere pochi metri che Eric mi affianca. Mi si piazza davanti: il suo fisico muscoloso blocca la mia austera avanzata. Mi guarda dall'alto in basso con un sopracciglio inarcato e le mani sui fianchi. - Dove credi di andare? - insinua, una luce pericolosa negli occhi grigi. Muove un passo in avanti, costringendomi ad indietreggiare.

Mi ritrovo con la schiena premuta contro la parete, in trappola. Mi arrendo con un'alzata di spalle. - Non vado da nessuna parte. Come vedi, non posso muovermi -.

Il sorriso del Capofazione diviene insolente. - Esattamente. Non vai da nessuna parte senza di me - puntualizza, dopo aver fatto un altro passo in avanti.
Mi appiattisco contro il muro, le sue mani ai lati della mia testa mi bloccano ogni via di fuga.

Eric mi fissa divertito, pienamente consapevole che non muoverò un muscolo per fermarlo, qualunque cosa abbia in mente. Dopo un intenso scambio di sguardi, toglie i palmi dalla parete e mi afferra per i fianchi, caricandomi in spalla alla stregua di un sacco di patate.

Mi dibatto per circa tre secondi, poi rinuncio e mi lascio trasportare. Nella mia mente sto già meditando vendetta: questa dimostrazione di forza bruta e prestanza fisica non resterà impunita.

Sconterai tutto, con gli interessi. Vedremo chi la spunterà.

Lui mi tiene ferma con un solo braccio, il mio peso non sembra disturbarlo. Cammina con la schiena dritta come se niente fosse. Quasi mi aspetto che inizi a fischiettare.

Quando raggiungiamo la fine del tunnel, Eric fa ricomparire lo strano aggeggio che mi ha mostrato davanti al dormitorio. Usa il piccolo telecomando per mettere temporaneamente fuori uso le videocamere: gli basta dirigere il laser nei punti dove sono nascoste.
Alcune sono mimetizzate talmente bene che mi sorprendo che riesca ad individuarle. Alzo gli occhi al cielo, mentre ondeggio, assecondando il movimento della sua camminata: conoscendolo, molto probabilmente ha memorizzato l'intero impianto di sorveglianza.

Attraversiamo il Pozzo e ci inoltriamo nei corridoi della residenza senza incontrare anima viva. La fortuna sembra essere dalla nostra parte, per cui mi rilasso e lascio andare la giacca di Eric, alla quale mi ero ancorata con tutte e dieci le dita.

Il mio ragazzo mi rimette a terra solo davanti alla soglia del suo appartamento. Apre la porta e si scosta di lato. - Fa come fossi a casa tua - dice in tono allegro, mentre con un ampio gesto della mano mi invita a entrare.

Storco la bocca e avanzo nel buio senza degnarlo di una risposta. Sento la porta chiudersi alle mie spalle, poi una debole luce squarcia l'oscurità della stanza. Volto appena la testa e scorgo Eric in piedi accanto al bersaglio di cartone, ancora con l'indice premuto sull'interruttore.

Comincio a sfilarmi le scarpe, ignorando volutamente la presenza del Capofazione.
Pensavo mi sarei sentita in imbarazzo una volta rimasti soli, invece ho solo voglia di provocarlo.

Sto forse tirando fuori la Josie che è in me?

Arriccio le labbra in una smorfia d'orrore. Mi spavento da sola nel pensare certe cose.

Rimango voltata verso il lato opposto della camera, esattamente davanti al letto e mi comporto come se fossi davvero sola a casa mia.
Eric mi ha esortato a farlo, no?

Con un sorrisetto perfido, procedo col piano. Calcio via gli anfibi, poi afferro la cerniera della felpa e la abbasso lentamente, sfilando una manica dopo l'altra e rimanendo in maglietta.
Mi pare di udire un respiro spezzato alle mie spalle, ma non posso dire di esserne certa. Tolgo i calzini e li appallottolo dentro le scarpe come faccio sempre.

Quando mi rialzo, quasi sbatto contro Eric: si è mosso silenzioso come un felino, non l'ho sentito avvicinarsi. I suoi occhi sembrano ardere come due fiamme d'argento, il modo in cui mi fissa mi fa attorcigliare lo stomaco.

Posa le mani sulle mie, che si erano già mosse sul bordo inferiore della maglietta. - Lascia fare a me -, sussurra, suadente. - Non vorrai negarmi questo piacere, vero? -.

La sua voce è ammaliante come il suono della brezza tra le fronde degli alberi. Glielo avevo promesso, quindi gli lascio campo libero.

Allontano le dita dalla stoffa e mi affido al tocco esperto delle sue dita.
Eric esita solo per un momento, poi mi sfila la maglia, facendola scorrere dai fianchi alle spalle e indugiando il più possibile sulla mia pelle.
Per agevolare i suoi movimenti porto le braccia sopra la testa: lui ne sfiora ogni centimetro prima di togliere di mezzo l'indumento una volta per tutte. Lo getta sopra la scrivania con un gesto secco, senza interrompere il contatto visivo. Dai miei occhi, il suo sguardo si abbassa sulla mia gola, per poi cadere sul mio seno.

Rimpiango di non aver indossato il completino di pizzo blu che Mel mi ha regalato ad inizio settimana, per festeggiare il mio avanzamento in classifica. Quello che avrebbe lasciato Eric a bocca aperta! Invece l'intimo che ho addosso ora è molto semplice, nero a tinta unita, con un minuscolo fiocchetto di raso viola al centro.

La mia voce interiore scaccia alla svelta queste sciocche preoccupazioni.
Tanto per lui non farebbe differenza: vorrebbe comunque togliertelo di dosso.

A quel pensiero, sorrido. Interrompo la radiografia a cui mi sta sottoponendo con studiata disinvoltura: - Non avresti qualcosa da prestarmi per dormire? -.

I pensieri che gli attraversano la mente sono chiaramente visibili nelle sue iridi: Dormire? E chi ha parlato di dormire?, sembrano voler dire. Il mio sorriso si fa sarcastico. - Una delle tue magliette, magari -, lo incalzo, vedendolo spaesato.

Gli bastano pochi secondi per riprendere l'atteggiamento sfacciato. - E per quale motivo? Giuro che non mi scandalizzo se vieni a letto così - afferma, stringendo possessivamente la pelle morbida dei miei fianchi. - Nuda sarebbe ancora meglio, ma significherebbe sfidare la sorte se poi non vuoi ... -.

Lo zittisco prima che si lasci trasportare troppo dalla fantasia. - Eric -, esordisco, posandogli i palmi sul petto. Tono autoritario e sguardo truce, ottima combinazione. - Prima mi darai una maglietta, prima potrai avere l'onore di sfilarmi i pantaloni -, gli soffio a un centimetro dalle labbra.

Lui non se lo fa ripetere. Si allontana da me giusto il tempo di aprire un cassetto ed arraffare un indumento a caso.

Faccio per prendere la maglietta nera che mi porge, ma lui alza il braccio, tenendola fuori dalla mia portata. - Te la dovrai guadagnare - mi avvisa, scoccando un'occhiata eloquente alle mie gambe.

Stiamo giocando allo stesso gioco, a quanto pare.

Rido sottovoce, e apro le braccia come per invitarlo a farsi avanti. Anziché sentirmi a disagio, mi sto divertendo.

Eric appallottola la maglia e la tira verso il letto, dove atterra tra i cuscini. Il suo sguardo acceso di desiderio accarezza tutto il mio corpo, facendomi fremere. Appoggia le mani appena sopra il bordo dei miei pantaloni e poi fa scattare gli occhi nei miei, quasi mi stesse chiedendo il permesso.
Non l'ho mai visto così insicuro.

Annuisco, rassicurandolo con lo sguardo.
Lui slaccia l'unico bottone e abbassa in fretta la lampo. Mi sostengo con una mano alla sua spalla, quando si china per abbassarmi i pantaloni. Me li toglie con una mossa fulminea, buttandoli da qualche parte nella stanza.

Sento le guance bruciare. Nessun ragazzo mi ha mai vista così, se escludiamo i miei fratelli e Travis. Loro non fanno testo perché sono di famiglia, mi hanno visto crescere; con Eric è tutto un altro discorso.
Non perché mi vergogno - ho un buon rapporto col mio corpo -, ma perché lui mi guarda come se volesse imprimersi ogni millimetro della mia pelle nella memoria. Come se fosse … in adorazione.

Appoggia un ginocchio a terra e rimane a guardarmi, le labbra socchiuse. Il tempo sembra fermarsi: mi fischiano le orecchie, il cuore batte così forte che temo possa schizzare fuori dal petto da un momento all'altro.

Eric passa i polpastrelli sulla mia pelle con delicatezza, quasi temesse di rompermi o ferirmi. Chiude gli occhi per un istante: la vena che gli pulsa sulla tempia tradisce tutta l'agitazione che sta tentando di celare.
Si schiarisce la voce e si massaggia la fronte con due dita. - Zelda, copriti -, mi supplica. - Subito, prima che io perda il controllo -.

Ha un'aria talmente seria che non oso replicare. Cammino all'indietro verso il letto e mi lascio cadere tra le coperte. Allungo la mano per recuperare la maglietta e la infilo in silenzio, sondando l'espressione combattuta di Eric che non si è più mosso dal pavimento.
Mi accorgo solo ora che è ancora vestito di tutto punto. Non si è nemmeno tolto la giacca.

Fa un respiro secco, poi riporta l'attenzione su di me. Sono seduta al centro del letto, i capelli scompigliati che si fondono col colore della maglietta che mi arriva circa a metà coscia. La mia posizione non ha nulla di seducente, anzi mi sento terribilmente infantile.
Eppure Eric sbarra gli occhi come se avesse di fronte chissà quale divinità ultraterrena. Sibila tra i denti un'imprecazione che non mi sognerei mai di ripetere. - Così è peggio - mormora, con voce strozzata. Lo vedo scomparire oltre la porta del bagno senza avere il coraggio di chiedergli spiegazioni.

Tre secondi dopo lo sento aprire il getto d'acqua della doccia e ringhiare una sfilza di parolacce.
Scoppio a ridere, nascondendo la faccia sotto al cuscino per non farmi udire da lui.
Ecco qual era il problema! Mi copro la bocca col lenzuolo, il corpo scosso dalle risate.

Uomini: basta un po' di pelle scoperta a mandarli fuori di testa.

Mi metto a sedere e cerco di ricompormi, anche se fatico a riprendere un'espressione seria. Qualche minuto dopo, Eric esce impettito dal bagno, coperto solo da un paio di boxer neri. Si appoggia al muro con una spalla e incrocia le braccia al petto, guardandomi fisso.

Mi sa che ora sono io quella che rischia di perdere il controllo.

Ho una mente medica: sono stata abituata sin da piccola a vivere il corpo umano, il mio e quello altrui, con naturalezza. Non mi crea imbarazzo vedere altre persone nude, altrimenti non avrei potuto convivere con quattro adolescenti maschi che il pudore proprio non sapevano dove stesse di casa.
Eppure mi ritrovo ad arrossire come se non avessi mai visto un uomo mezzo nudo.

Il corpo di Eric è un'opera d'arte. Non batto neanche le palpebre per analizzare scrupolosamente ogni particolare, dalle gambe muscolose alle ampie spalle coperte di tatuaggi. Quando arrivo al viso, il ghigno compiaciuto che vi trovo non mi stupisce per nulla. - Sono contento che il panorama sia di tuo gradimento, piccola -.

Mi piace troppo quando si rivolge a me con quel vezzeggiativo. Se lo facesse qualcun altro, rischierebbe grosso.

Circondo le ginocchia con le braccia e gli sorrido innocentemente. - Calmati i bollenti spiriti? -, oso chiedere. I suoi lineamenti sono più distesi, ma il suo corpo è ancora in tensione: lo capisco da come se ne sta immobile, non accenna nemmeno ad avvicinarsi a me.

La mia domanda gli fa alzare gli occhi al cielo. - Non del tutto - mugugna, umettandosi le labbra. Riduce le palpebre a fessura. - E vederti indossare i miei vestiti non aiuta -.

Abbasso lo sguardo sulla maglia nera. - Oh. Se turba tanto il tuo equilibrio psicofisico, posso sempre toglierla -.

Scuote la testa. - Per carità, Zelda, non mi tentare. Meno pelle vedo, meglio sarà per entrambi -. Mi lancia un'occhiata penetrante, passandosi la lingua sui piercing. - A meno che tu non abbia cambiato idea … -.

Cerca di fingere che non gli importi, ma percepisco comunque una nota di delusione nel suo tono.
Stringo il lenzuolo tra le dita, sento la rabbia divampare nel petto. Pensavo avesse compreso i miei sentimenti, invece si comporta come se lo stessi torturando volontariamente. Come se lo stessi respingendo solo per godermi la sua frustrazione.

Perché non riesce a capire? Cosa c'è di così difficile da capire?

Forse Alicia ha ragione quando sostiene che gli uomini sono dotati di un solo neurone che funziona a giorni alterni. Se non dici loro le cose come stanno, non ci arriveranno mai.

Bene. Vuole la verità? Avrà la verità.
Sono stanca di queste sue continue allusioni. Userò il suo metodo: sarò brutalmente sincera.

Mi alzo dal letto e affronto il mio ragazzo a testa alta. - Io sono vergine, Eric - ringhio, chiudendo le mani a pugno.
Non arrossisco nemmeno mentre glielo confesso e, se non fossi così arrabbiata, troverei la sua espressione sbalordita estremamente comica. - Capisco che tu sia abituato a frequentare un altro tipo di donna, però devi piantarla di … di … farmi sentire in colpa! -. Sento gli occhi farsi lucidi come mi capita ogni volta che mi infiammo.

Eric apre bocca per dire qualcosa, ma lo metto a tacere puntandogli un dito contro. - No, stavolta parlo io. E tu mi starai a sentire - sibilo, incrociando le braccia al petto, quasi volessi proteggermi da lui. - Stiamo insieme da nemmeno una settimana. Io non ho mai avuto un ragazzo, non avevo neanche mai baciato nessuno prima di te! Ho vissuto con cinque uomini per sedici anni, cinque uomini che mi hanno fatto odiare il genere maschile. Prima di conoscere te, anche solo l'idea di avere al mio fianco un fidanzato mi repelleva. Quindi perdonami se non riesco a lasciarmi andare come vorresti! -. Una lacrima fa capolino sulla mia guancia. La scaccio via con un gesto rapido e secco della mano.

Avrei voluto affrontare questo discorso con calma, spiegandogli tranquillamente il mio punto di vista.
E' vero, mi aveva avvertito che avrebbe provato a tentarmi, ma non così. Mi fa sentire la cattiva della situazione, la ragazza insensibile che non vuole dare soddisfazione al fidanzato.
Gli sto già concedendo quello che ho negato a chiunque altro: può baciarmi, può toccarmi e se mi avesse chiesto di fare quella doccia fredda assieme a lui non mi sarei opposta …

Non sono ancora pronta a concedermi completamente a lui. Non sono nemmeno un membro effettivo della fazione, potrei venire cacciata in qualsiasi momento. Mi sento insicura, confusa, instabile come un albero a cui hanno strappato le radici.

Lo sguardo di Eric è cupo e indecifrabile. Muove cautamente un passo verso di me, ma non osa toccarmi. Probabilmente ha intuito che sono carica e pronta a esplodere come una bomba a mano a cui hanno tolto la sicura.

Deglutisco. Ho la gola stretta, la voce mi esce spezzata. - Maledizione, non ti sto chiedendo la castità a vita, solo … non sono pronta! Non sono pronta, ok? -. Il mio tono si è fatto più freddo, letale come il morso di un serpente. - Se è solo sesso quello che vuoi da me, allora sarà meglio finirla qui. Se il sesso è così fondamentale per te, puoi tranquillamente andare a cercarti un'altra con cui spassartela! Una più disponibile e meno complicata di me! -.

Gli sputo le ultime parole in faccia. Non credo di aver pronunciato così tante volte la parola 'sesso' in una conversazione - anche se il mio è stato più un monologo.
La sua espressione è visibilmente sconvolta: è rimasto immobile ad ascoltarmi senza muovere un muscolo. Ha la mascella e le spalle rigide, sembra stia trattenendo il fiato.

Visto che non replica, gli passo davanti per raggiungere la porta. Come si dice, chi tace acconsente.

Come siamo arrivati a questo punto?

Mi sento svuotata, vedo tutto offuscato a causa delle lacrime che premono per scendere dai miei occhi. Non mi importa di essere scalza e mezza svestita: l'unica cosa che voglio in questo momento è correre al dormitorio e lasciarmi confortare dagli abbracci rassicuranti delle mie amiche.
E piangere, piangere come non ho mai fatto.

Allungo la mano verso la maniglia, ma non riesco a raggiungerla. Una sagoma scura si frappone tra me e la porta.

Eric incombe su di me, le labbra serrate in una linea dura e gli occhi fiammeggianti. Fuggo il suo sguardo, non voglio che mi veda piagnucolare come una bambina. Fisso una crepa nel muro alle sue spalle. - Lasciami passare, Eric -.

Lui si irrigidisce. - No -, sbotta stringendo i pugni lungo i fianchi.

Gli occhi mi bruciano. Trattengo un singhiozzo. - Fammi uscire. Non puoi obbligarmi a restare -.

Lo sento inspirare bruscamente, poi con la coda dell'occhio vedo le sue spalle abbassarsi. Il suo tono si fa più basso, quasi sofferente. - No, hai ragione, non posso obbligarti. Ma ti ho già lasciata andare una volta. So quanto fa male, non lo farò mai più -.

Mi giro a guardarlo, stupita.
Deglutisce, la sua voce si fa più profonda. - Quante probabilità c'erano che scegliessi la mia stessa fazione? Ho avuto una seconda occasione per conoscerti e starti accanto. Non intendo sprecarla. Questo stronzo non ti lascerà fuggire facilmente -. Fa un sorriso tirato. - Sei pazza se credi che possa sostituirti con un'altra come se niente fosse. Tu sei unica, Zelda. E io ti voglio -. Il suo sorriso si spegne, gli occhi diventano d'acciaio. - Ma rispetto la tua decisione. Vuoi aspettare? Allora aspetteremo. Preferisco trascorrere mille notti con te, anche solo tenendoti per mano, che … beh … -, si gratta la nuca, imbarazzato, - spassarmela con un altro tipo di donna -.

Mi mordo un labbro. Le sue parole mi arrivano dritte al cuore, affilate come stiletti.
Ed è la fine.
Scoppio a piangere, coprendomi il viso con entrambe le mani.

Eric non mi permette di nascondermi a lungo: mi afferra le braccia e me le scosta dalla faccia con gentilezza. Mi infila le dita tra i capelli, massaggiandomi la nuca e provocandomi dei brividi lungo la spina dorsale.

Asciuga le mie lacrime con i pollici, prima di appoggiare la fronte alla mia. Il suo respiro caldo mi accarezza le guance. - Quando sarai inquieta, io calmerò gli oceani per te. Nel tuo dolore, io asciugherò le tue lacrime -.

Impiego qualche istante a capire che si tratta di una delle canzoni di mia madre: Eric pronuncia i versi come se stesse recitando una poesia.
Sono trascorsi anni, eppure lui non sbaglia una parola: deve avere una memoria di ferro.

Chiudo gli occhi, mi lascio cullare dalla sua voce e dal tocco delle sue dita. - Quando avrai bisogno di me, io sarò l’amore che ti starà accanto. Allontanerò le tue paure -.

Le sue labbra si posano sulle mie, leggere e morbide come i petali di una rosa. Un piacevole calore si irradia in tutto il mio corpo, non avverto più né rabbia né inquietudine.

- Così che tu possa lasciar andare tutte le tue paure - completo io, e mi ritrovo a sorridere.
Quello che ha appena detto mi ha profondamente commossa. Vorrei dirgli talmente tante cose che non so da dove iniziare.
Mi limito ad avvolgerlo in un abbraccio che spero gli trasmetta almeno un decimo dell'amore che provo per lui.

La sua pelle è calda, il suo cuore batte veloce quanto il mio. Sospira tra i miei capelli, e, quando mi guarda, la sua espressione è distesa e sollevata. Mi prende in braccio come ha fatto sul cornicione e si dirige verso il letto. Si siede sul materasso, sempre tenendomi stretta al petto come se fossi il suo tesoro più prezioso. Forse crede che voglia scappare.

No, Eric, non fuggirò. Non da te. Come ho potuto anche solo pensare di farlo?

Mi accoccolo a lui, che non smette di darmi soffici baci sui capelli. Mi sento al sicuro, la furia che mi animava fino a poco fa si è volatilizzata al suono della sua voce.

Un po' mi vergogno se ripenso alle parole che gli ho appena urlato contro. - Scusa - bisbiglio, tenendo gli occhi puntati sui suoi tatuaggi. - So che non mi costringeresti mai a fare qualcosa che non voglio. E' solo che … -. Boccheggio, non sapendo come continuare.

- … Che? - mi sollecita lui, mentre accarezza dolcemente la pelle della mia schiena.
Traccia lenti cerchi con i polpastrelli: è incredibilmente rilassante e mi fa sciogliere.

- Mi sono sentita … messa alle strette. Non so come spiegarlo -. Prendo fiato. - Cerca di metterti nei miei panni. Non ho nessuna esperienza e sono una ragazza. E poi … -. Corrugo le sopracciglia, incerta su come proseguire.

Eric mi lancia una strana occhiata e si china a baciarmi il collo.
Ora neanche volendo riuscirei a proseguire.
Sento la sua lingua nell'incavo della gola e non riesco a pensare a nient'altro. Un mio gemito gli fa rialzare la testa di scatto.

Si schiarisce la voce. - Punto uno - dice con convinzione, picchiettando l'indice sul mio mento. - Io non ti merito -.

L'assurdità di quella frase mi fa alzare gli occhi al cielo. - Che sciocchezza - sbotto, guardandolo storto. - E' proprio una … -.

Eric mi tappa la bocca con le dita. - No, piccola, niente da fare. Stavolta parlo io e tu mi starai a sentire -.

Ha ripetuto le esatte parole che gli ho detto poco fa. Mi arrendo con uno sbuffo, senza risparmiargli un'occhiataccia delle mie.

Lui mi rivolge un sorrisetto divertito. - Un discorso splendido, il tuo. Diretto e conciso, non avrei saputo fare di meglio -. Tamburella con le dita sul mio ginocchio scoperto. - Direi di saltare la parte iniziale. Che non sono vergine lo saprai già, immagino … -.

Avvampo. Più per colpa delle sue carezze che dell'allusione al mio recente monologo. - Eric, non osare prendermi in giro -.

- Non lo sto facendo. Anzi, sono contento di non dovermi preoccupare di presunti ex fidanzati. Mi hai risparmiato una spedizione punitiva molto cruenta nel quartiere dei Lassi -.

Ok, è appurato che il mio ragazzo ha seri problemi. - Quindi picchieresti qualcuno solo perché mi ha toccata o baciata? -. Lui annuisce gravemente e io sgrano gli occhi. - Tu sei pazzo. Allora io che dovrei fare? Far fuori mezza fazione? -.

- Mezza fazione? -, ripete lui, incredulo. Mi guarda come se gli avessi appena rivelato di provenire da un'altra galassia. Stringe la presa sul mio ginocchio. - Tu … pensi che sia stato con tutte quelle ragazze? -.

- Perché, non è così? -.

- Certo che no! - esclama, con veemenza tale da farmi sobbalzare. - Il mio primo pensiero è sempre stata la carriera. Ho dovuto impegnarmi molto per conquistare il posto di Capofazione, non avevo tempo da perdere a correre dietro alle ragazze -, sospira. - In verità erano loro a cercarmi e … nessuna durava più di una notte -.

- Però, romantico - commento sarcasticamente. - Vedi, è anche per questo che sono diffidente con voi uomini. I miei fratelli si vantavano in continuazione delle loro conquiste e di come avessero scaricato quella o quell'altra ragazza. A volte facevano anche gare o scommesse -. Scuoto la testa, disgustata.

Eric mi stringe a sé con forza. - Se pensi che il mio scopo sia portarti a letto per poi scaricarti, sei una povera illusa*. Tu non sarai mai una storia di una notte, per me -. Il suo sorriso malizioso fa mancare un battito al mio cuore. - Anche perché una sola notte con te non mi basterebbe affatto -. Fa scorrere una mano lungo la mia coscia, fino ad arrivare al bordo della maglietta. Il suo sguardo ora è serio. - Mi ero preparato un bel discorso, ma come al solito tu mi hai fatto perdere il filo. Dov'ero rimasto? -.

Arrotolo una ciocca di capelli attorno a un dito. - Al punto uno, mi sembra. 'Io non ti merito', eccetera -.

Lui stringe gli occhi. - Già. Non ti merito. Lo so benissimo. Ma se hai deciso che ti vado bene come fidanzato, chi sono io per oppormi? -.

Sorrido. - Giusta osservazione -.

- Punto due -, continua Eric, come se non avessi parlato. - Non sono bravo a mettermi nei panni degli altri. Quindi sono doppiamente fortunato ad avere te come ragazza, visto che sei sincera quasi come una Candida -.

Sto per protestare, ma lui mi afferra i fianchi con entrambe le mani. Il mio respiro si spezza e mi ritrovo ad annegare nei suoi occhi color piombo fuso. - E terzo - mormora, le labbra che toccano la pelle del mio collo ad ogni parola. - … Meglio se non te lo dico -.

Gli lancio uno sguardo scocciato e lui soffoca una risata.
Mi ravvia i capelli, prima di scoccarmi un rapido bacio. - Adesso basta parlare. Andiamo a dormire, piccola -.

Mi sposto di lato, sgusciando fuori dal suo abbraccio e lui si alza dal letto per spegnere le luci della stanza. Lascia accesa solo una piccola lampada sulla scrivania: di sicuro lo fa per me perché lui si sa orientare benissimo anche al buio.

Lo osservo muoversi, i muscoli che si tendono sulla sua schiena catturano tutta la mia attenzione. Mi mordicchio l'unghia del pollice, mentre ripenso a quello che mi ha appena detto.

Non ti merito.

Stupidaggini.

Non sono bravo a mettermi nei panni degli altri.

L'avevo già capito il primo giorno, dopo due secondi di conversazione.

E terzo ... meglio se non te lo dico.

Eric termina il suo giro di ricognizione nella stanza, poi si volta. I nostri occhi rimangono incatenati per una manciata di secondi, prima che lui si decida a venire verso di me. La sua andatura mi ricorda quella di un felino a caccia: passi misurati, muscoli tesi e sguardo attento.

Indietreggio istintivamente, fino a toccare la testiera del letto con la schiena.
Il Capofazione si ferma a pochi centimetri dal materasso, osservandomi con un sorriso carico di promesse. - Se continui a guardarmi così, potrei non rispondere delle mie azioni … - mi avverte, appoggiando palmi e ginocchia sul letto.

- Così, come? - chiedo, ostentando innocenza.

Eric avanza a quattro zampe sul materasso. Mi fissa come se fossi un prelibato pezzo di carne e lui fosse a digiuno da settimane. Si ferma poco distante da me e inclina il capo di lato. - Come se volessi mordermi - sussurra, ed io sorrido con aria colpevole.
E' fin troppo bravo a decifrare i miei pensieri, mi chiedo come ci riesca.

Spalanco le braccia in un tacito invito. - Vieni da me, Capofazione -.

Obbedisce all'istante. Allargo le ginocchia e lui mi copre col suo corpo, ma senza veramente toccarmi. Le sue mani sono ai lati della mia testa. - Adoro quando mi dai ordini, lo sai? - mormora, mentre fa scorrere le dita lungo il colletto della maglietta che gli ho chiesto in prestito.

Tira la stoffa finché non riesce a scoprirmi una spalla e poi inizia a mordicchiarmi la pelle all'altezza della clavicola. La sua lingua disegna piccoli cerchi, risalendo con decisione fino alla mia gola. Ormai ansimo senza controllo, tremo e avvampo allo stesso tempo.
Avvolgo un braccio attorno alle spalle di Eric, tirandolo a me. Voglio sentirlo più vicino, lo strato d'aria che ci divide non ha motivo d'esistere.

Il mio gesto lo prende alla sprovvista, per un attimo smette di baciarmi il collo. Il suo ansito mi arriva direttamente all'orecchio, provocandomi una scarica di brividi lungo la schiena. Ora sento distintamente il suo corpo statuario premere sul mio, così come la sua eccitazione coperta soltanto dalla sottile stoffa dei boxer.

Eric si solleva sui gomiti per non schiacciarmi. Mi lancia uno sguardo penetrante, gli occhi velati di desiderio.
Gli accarezzo la schiena con la mano libera, partendo dalle scapole fino ad arrivare ai fianchi. I suoi muscoli si contraggono sotto i miei polpastrelli, si inarca contro di me di riflesso.
Il sangue scorre rovente nelle mie vene, sto bruciando tra le fiamme del piacere. Quando Eric si struscia su di me, facendo scontrare i nostri bacini, smetto di respirare. Il cuore mi martella nelle tempie, non riesco a trattenere un gemito.

Eric, che aveva appoggiato la fronte sul mio petto, alza la testa quanto basta per rivolgermi un sorrisetto compiaciuto.
Infila un braccio sotto la mia schiena e, con una leggera pressione del palmo, mi invita ad andargli incontro. Divarico un altro po' le ginocchia e assecondo i suoi movimenti con una naturalezza che stupisce me per prima.

Le mie dita seguono la linea della sua colonna vertebrale, scorrendo lentamente verso il basso.
Il respiro di Eric accelera progressivamente, fino a bloccarsi del tutto non appena inizio a passare le unghie alla base della sua schiena, un millimetro sopra l'elastico dei boxer.

Ispira bruscamente e chiude per un attimo gli occhi, la mascella rigida. Con il corpo ancora allacciato al mio, Eric inclina il viso per strofinare le labbra sulla mia guancia. - Zelda -, ansima, il tono reso roco dalla tensione e dal desiderio. - Se non vuoi spingerti oltre, fermami ora. Non sono sicuro di riuscire a controllarmi ancora per molto -.

Fermarlo? Che sta dicendo? Perché dovrei fermarlo? Si sta così bene tra le sue braccia...

Batto le palpebre, cercando di riemergere dalla nuvola di torpore che mi avvolge le membra.
Eric non è di aiuto, visto che continua a strusciarsi su di me tenendomi stretta per i fianchi. I suoi pollici mi accarezzano pigramente l'addome, mentre la sua lingua si intreccia alla mia, facendomi perdere definitivamente la ragione.

E' solo quando avverto le sue mani scendere verso le mie cosce che ritrovo un pizzico di lucidità. In un attimo mi ricordo chi sono, dove mi trovo e, soprattutto, il motivo per cui dovrei fermarlo prima che arrivi al punto di non ritorno.

Con uno sforzo titanico riesco a staccare le mani da lui per fermare l'avanzata delle sue dita curiose. - Eric, io … -.

Il Capofazione ricomincia a baciarmi, impedendomi di terminare la frase. Intreccia le dita alle mie e mi obbliga ad allargare le braccia ai lati del corpo, ignorando i miei tentativi di protesta.

Mi irrigidisco istintivamente, il languore che mi pervadeva ha lasciato il posto ad una fredda diffidenza.
Non capisco a cosa sia dovuto questo improvviso cambiamento, mi sento come … bloccata.
Ed Eric lo percepisce perché smette all'istante di baciarmi.

Apre gli occhi e mi guarda con un'espressione di finto rimprovero. - Zelda, rilassati. Non avevo intenzione di forzarti, stavo solo ... -.

- Lo so. Scusa -. Mi mordo il labbro e fuggo il suo sguardo indagatore.

Che mi prende?

Due secondi fa mi sentivo leggera e sicura di me, anche troppo a mio agio stretta nell'abbraccio appassionato di Eric, mentre adesso mi sembra di avere un pezzo di metallo al posto del cuore. Braccia e gambe sono rigide come sbarre d'acciaio, i muscoli tesi come se mi stessi preparando ad attaccare.

Non dovrei sentirmi così, non con Eric. Mi fido di lui, so che non mi farebbe mai del male.
Voglio continuare a baciarlo e toccarlo, sentire la sua pelle sfiorare la mia. Ma …

ma non posso fare a meno di pensare.

Penso troppo. Sono fin troppo razionale, mi detesto per questo.
Non riesco a lasciarmi andare perché non faccio che chiedermi cosa succederebbe se non dovessi farcela, se non riuscissi a superare le prove dell'iniziazione. Sarei costretta ad andarmene, a lasciare la residenza, i miei nuovi amici, Eric.
Mi sento sotto pressione, vigile e sulle spine come un animale ferito messo all'angolo da un branco di feroci predatori.

Quando riporto gli occhi in quelli del Capofazione scopro che lui mi sta fissando intensamente. - Zelda, parlami. Non sarò molto paziente, ma ti giuro che sono capace di stare zitto e ascoltarti per dieci minuti senza dare in escandescenze. Qualunque sia il problema -.

Il suo tono ironico mi strappa un timido sorriso. Alzo una mano e gliela poso sulla guancia. - Te lo direi volentieri se lo sapessi -. Mentre rifletto, percorro il contorno della sua mascella con le dita. - C'è qualcosa che mi frena. Credo abbia a che fare con un incubo che faccio spesso di recente -. Esito per un momento, ma poi sospiro e decido di raccontarglielo. - Sogno di fallire le ultime prove dell'iniziazione, di diventare un'Esclusa. Ti vedo cancellare il mio nome dalla classifica, vedo il disprezzo e il disgusto nei tuoi occhi. E' orribile -. Deglutisco. - Penso sia per questo che non riesco a … rilassarmi del tutto -. Mi porto una mano tra i capelli e gemo di frustrazione. - Mi dispiace, credimi. Sono un disastro -.

- Già. Sei veramente complicata, piccola - commenta Eric, a due centimetri dalla mia bocca. Il suo ghigno ferino è tornato all'attacco. - E io adoro le cose complicate -.

Prende il mio labbro inferiore tra i denti e lo tira piano, prima di passarci sopra la lingua. Lo fa un paio di volte e, inspiegabilmente, i miei muscoli si rilassano. Comincio a credere che Eric conosca il mio corpo molto meglio di quanto lo conosca io stessa.
Sa perfettamente cosa fare per mettermi a mio agio. E come baciarmi fino a farmi perdere la testa.

Quando ci separiamo, abbiamo entrambi il respiro affannoso. Tuttavia il sorriso di Eric è sparito: i suoi occhi grigi mi scrutano con estrema serietà. - Due settimane - dichiara, dopo alcuni secondi di silenzio.

Inarco le sopracciglia, lievemente perplessa.

- Mancano due settimane circa alla fine dell'iniziazione - specifica lui, rotolando di lato sul letto.

L'assenza del suo corpo caldo mi destabilizza, avverto una spiacevole sensazione di gelo. Dura solo un attimo, perché Eric mi avvolge con entrambe le braccia non appena mi infilo sotto le coperte. Incastra una gamba tra le mie e mi passa le dita tra i capelli sparsi sul cuscino. - Ecco cosa faremo. Tanto per cominciare, non dormiremo più insieme fino a quando tu non diventerai un membro effettivo della fazione. E da domani sarà meglio limitare anche i contatti troppo ravvicinati -. Nel pronunciare la frase, fa scendere la mano lungo la mia gamba, stuzzicandomi l'interno coscia con le dita. La mia espressione sconcertata lo fa ghignare. - Bada bene, lo dico soltanto per salvaguardare la poca sanità mentale che mi resta, non per altri motivi. Una volta conclusa l'iniziazione, riprenderemo da dove ci siamo interrotti poco fa -.

Il suo tono basso e roco è pura, oscura tentazione. Ogni sillaba che pronuncia è una piccola scossa elettrica che si propaga dalla nuca ai polpastrelli, ho la pelle d'oca sulle braccia. Se riesce a farmi questo effetto solo parlando, non oso immaginare cosa succederà quando sentirò il suo corpo nudo - tutto il suo corpo nudo - a contatto col mio.

Oh, perché non posso essere una di quelle ragazze capaci di cogliere l'attimo? Una di quelle che seguono l'istinto, senza rimuginare troppo sopra ogni singolo particolare? Una come … beh ... Josie. Ecco, lei è esattamente così.

Storco il naso. Pessimo paragone.

Eric richiama la mia attenzione stringendo delicatamente la presa sul mio fianco. - In cambio ti chiedo solo una promessa -.

Ci avrei scommesso. Lui non fa mai nulla per nulla, ogni sua concessione ha un prezzo. Ricambio il suo sguardo malizioso con uno estremamente diffidente. - Ovvero? -.

Il suo indice si infila sotto il bordo delle mie mutandine e ne segue il contorno con calibrata lentezza. Mi mordo le labbra per soffocare un gemito. - Non appena uscirà la classifica finale, non appena leggerai il tuo nome tra quelli degli ammessi negli Intrepidi, mi cercherai tra la folla e verrai da me -.

- E...? -.

- E niente. Questo è il patto. Allora, ci stai? -.

Non posso fare a meno di chiedermi cosa ci sia sotto, sento puzza di bruciato.
O Eric è diventato improvvisamente magnanimo, o sono io che non riesco a individuare il tranello che mi sta tendendo.

Decido di concedergli il beneficio del dubbio. Decido di fidarmi. - Affare fatto - concludo, e Eric si sporge dalla mia parte per sigillare l'accordo con un bacio che mi lascia senza fiato.

Si stacca da me con riluttanza e si sistema nervosamente sul materasso. - Ora dormi, piccola - mormora.

Più che un gentile invito sembra un ordine perentorio, mi fa ridacchiare. Mi accoccolo addosso a lui, usando il suo petto come cuscino. - Come desidera, Capofazione -.

Ti amo, mio scontroso, irascibile, tenero Eric.


 


 


 


 


 


 


 

- - - - - - - - - - - - - - -

Ciao a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo: ci ho lavorato per giorni, correggendo e eliminando pezzi, e ancora non sono soddisfatta. Lo trovo confusionario...ditemi sinceramente se vi ha fatto schifo, non mi offendo!

E' stato difficile immedesimarmi in Zelda stavolta. Detto tra noi … io avrei ceduto ad Eric dopo due secondi, senza rimpianti xD

Spero di essere riuscita a rendere il suo carattere, il suo punto di vista. Zelda è forte e coraggiosa, ma nasconde una punta di fragilità e insicurezza dietro gli artigli da pantera. Ed è normale, vista la perdita precoce della madre e il poco affetto e supporto che le hanno riservato padre e fratelli durante l'adolescenza. Lei ed Eric sono due persone complicate, per questo si capiscono a vicenda ;)

Ho dovuto dividere il capitolo perché rischiava di diventare troppo lungo, quindi la persona di cui avevo preannunciato il ritorno arriverà nel prossimo ;) [suspence...]

Come al solito, vi invito a passare nella mia pagina Facebook, dove troverete link, foto dei personaggi, citazioni varie e anticipazioni:

[ https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?sk=timeline ]

Grazie a chi segue la storia, chi recensisce, chi l'ha messa tra le seguite/preferite/ricordate, chi legge in silenzio. Un grande abbraccio a tutti voi, dal primo all'ultimo!

Aspetto di conoscere le vostre impressioni sul capitolo ;)

A presto, baci

Lizz

p.s. la canzone che viene citata è 'Temple of Thought' dei Poets of the Fall (da me considerata la canzone ufficiale di questa coppia). Ringrazio i Three Days Grace (che naturalmente nessuno conoscerà, sigh): le loro canzoni mi hanno aiutato a trovare ispirazione. Li adoro *.*

p.p.s. * la frase in grassetto nel capitolo fa da punto di incontro tra questa storia e quella parallela che ho postato di recente (Share your horizon with mine).

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Capitolo 41
*** Closer ***





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Capitolo 40




 

I can feel her on my skin
I can taste her on my tongue
She's the sweetest taste of sin
The more I get the more I want

She wants to own me
Come closer

(Ne-Yo)







 

Eric


Percepisco un movimento al mio fianco, qualcosa di solido mi colpisce il polpaccio.
Scatto a sedere sul letto, il corpo già in posizione d'attacco.

Mi occorrono alcuni secondi per mettere a fuoco la mia stanza, avvolta nella debole luce della lampada d'emergenza posta sopra la scrivania. Socchiudendo gli occhi, rivolgo l'attenzione al corpo che riposa dall'altra parte del materasso.

La tensione che animava i miei muscoli si spegne di colpo. Faccio un lungo sospiro, passandomi una mano sulla nuca.

Fatico a credere che Zelda sia davvero qui con me: arrivo perfino a pizzicarmi un braccio per provare a me stesso che non si tratta di un sogno.
Se poi ripenso al modo in cui me l'ha chiesto … Ci ho messo un pò a riprendermi dalla sorpresa e assicurarmi che non stesse scherzando.

Posso … dormire con te stanotte?

No, avrei voluto rispondere. Non solo stanotte. Ogni notte. Per sempre.

La direzione presa dai miei pensieri non mi piace per nulla. Stanno assumendo una sfumatura schifosamente sdolcinata.
Mi compatisco da solo, da non crederci.

Per prevenire altri folli ragionamenti - di sicuro dovuti alla mancanza di sonno -, mi concentro su Zelda. La osservo dormire: è stesa su un fianco, rannicchiata su se stessa, il viso girato verso di me. Tiene le mani unite accanto alla testa, i capelli scuri le nascondono quasi totalmente la faccia.

Glieli scosto con cautela, ben attento a non svegliarla. Ha un'espressione tranquilla, le sopracciglia distese e respira in modo regolare. Mentre le accarezzo la fronte, scendendo con le dita lungo la guancia, mi torna in mente il suo acceso monologo risalente a poche ore fa.

La mia piccola pantera ha gli artigli affilati.

Scuoto la testa, serrando le labbra per frenare una risata. Spesso, troppo spesso, dimentico che è ancora un'iniziata.
Per quanto mi riguarda, è entrata a far parte della fazione da quando mi sono reso conto che è in grado di rimontare una pistola pezzo per pezzo in meno di cinque secondi. Una delle tante volte in cui è riuscita a spiazzarmi e lasciarmi senza parole.

Una ragazzina Erudita con la passione per le armi? Vogliamo scherzare?

Assolutamente inconcepibile, ma estremamente affascinante.

Lei è un'Intrepida tanto quanto lo sono io. L'ha dimostrato in più occasioni, non sono l'unico a pensarla così. Perfino Max la stima, e posso assicurare che è molto difficile andargli a genio. Ha incantato James, perfino Ted, nonché buona metà della fazione con le sue incredibili acrobazie.

Quando le ho detto che non la merito, parlavo sul serio. Cosa ci fa una ragazza fuori dal comune come lei assieme ad uno come me?
Io, che non sono neanche capace di farle capire fino a che punto abbia perso la testa per lei. La amo più di quanto ami me stesso - e questo la dice lunga, visto che sono un narcisista all'ennesima potenza -, eppure non riesco a lasciarmi sfuggire due, semplici, banali parole.

Se un mese fa qualcuno mi avesse detto che mi sarei innamorato di un'iniziata in meno di due settimane, gli avrei fatto lo scalpo. Come minimo.

Sbuffo, arricciando le labbra in una smorfia.
Zelda ed io siamo davvero agli antipodi. Lei è la regina indiscussa dei discorsi: non si è scomposta più di tanto nemmeno quando ha proclamato la propria verginità, mentre io fatico anche solo a farle un complimento. Non so mai che parole usare, ho sempre il timore di offenderla o, peggio, di fare la figura dell'idiota. Cosa che capita anche troppo spesso quando sono in sua compagnia.

Mi avvicino di più a lei, circondandole la vita con un braccio. Se davvero non dormiremo più insieme fino alla fine dell'iniziazione, allora voglio godermi al massimo le poche ore che mi rimangono. Le resterò appiccicato finché non arriverà il momento di uscire di qui.

Affondo il viso nel cuscino, a pochi centimetri dal suo, e sfioro le sue labbra con le mie. Lei mugola qualcosa nel sonno, per poi muoversi inconsapevolmente verso di me: intreccia una gamba tra le mie e allunga un braccio sul mio addome. Ora il suo viso riposa sul mio petto, il suo fiato caldo mi solletica la pelle.

Esalo un lungo sospiro, carico di frustrazione. Averla così vicina, mezza svestita, e poterla a malapena sfiorare è una tortura a dir poco atroce. Vorrei fare ben altro che stringerla a me e darle casti baci infantili, ma per il momento devo accontentarmi.

È già tanto se sono riuscito a impedirle di fuggire a gambe levate dalla mia stanza. Non ho intenzione di commettere altri errori. Nessun passo falso.
Non me la lascerò sfuggire proprio adesso che sono riuscito a conquistarla.

Sarò anche privo di tatto e intuito per quanto riguarda le faccende sentimentali, ma ho capito quello che Zelda ha tentato di comunicarmi con il suo complicato ragionamento. L'iniziazione degli Intrepidi è la più impegnativa delle cinque, sia dal punto di vista fisico che psicologico, lo sanno tutti. E' ovvio che si senta sotto pressione, sono stato uno stupido a non pensarci.

Avrei dovuto mettermi nei suoi panni invece di stuzzicarla in continuazione come un pervertito che non pensa ad altro che al sesso. Zelda non è esperta come Josie o come le Intrepide che ero abituato a portarmi a letto.

Non è un semplice passatempo per me. E' la mia ragazza, dannazione. L'unica persona che abbia mai amato. Dovrei pensare a proteggerla, a prendermi cura di lei - ciò che fa ogni fidanzato che si rispetti, insomma -, non a spingerla a fare qualcosa per cui non è ancora pronta.

Com'è che ha detto? Non ti sto chiedendo la castità a vita...

Un sorriso divertito fa capolino sul mio volto. Strofino la guancia sui morbidi capelli di Zelda, inspirando il loro profumo di … fragola.
Annuso meglio. Sì, non c'è dubbio, sa proprio di fragola.

Una lampadina si accende nella mia testa. Ora capisco perché ogni volta che mi avvicino a lei sento l'assurdo impulso di assaggiarla.
Non l'ho mai detto a nessuno - e nessuno dovrà mai scoprirlo! -, ma ho una passione infantile per le fragole. Le mie preferite sono quelle selvatiche: quando ero piccolo mi divertivo a cercarle in mezzo ai cespugli nel boschetto vicino a casa. Più piccole rispetto a quelle che mia madre comprava al mercato, avevano un sapore inconfondibile e intenso. E un profumo che mi faceva venire l'acquolina in bocca.

Arriccio il naso. I miei pensieri stanno di nuovo prendendo una brutta piega, una piega molto poco virile.

Mi sto addolcendo troppo. Devo piantarla di sorridere come un imbecille come sto facendo ora mentre osservo Zelda dormire rannicchiata addosso a me e riprendere un contegno.
Passo le dita tra i suoi capelli. E' così tenera mentre dorme: più che ad una pantera assomiglia ad un docile agnellino.

Spero che la mia vicinanza contribuisca ad allontanare gli incubi che la perseguitano. Di certo la sua presenza aiuta a tenere a distanza i miei.
Anche se sentirla così vicina mi provoca un altro tipo di problema. Un problema decisamente fisico che si potrà risolvere solo con una bella doccia gelata. La prima di una lunga serie.

Due settimane. Soltanto due settimane, mi ripeto come un mantra quando avverto la sua coscia sfiorare la mia.

Impreco tra i denti e mi impongo di rilassare i muscoli. Ho accumulato così tanta tensione in queste ultime ore che sento potrei scoppiare da un momento all'altro.

Cerco di sincronizzare il ritmo del mio respiro a quello regolare di Zelda; il metodo sembra funzionare.
Le palpebre si fanno sempre più pesanti e pian piano mi assopisco.





 

* * *



 

A svegliarmi questa volta è un ruggito, simile a quello di un leone a cui hanno appena pestato la coda.

Alzo la testa dal cuscino solo per decifrare i numeri che lampeggiano sul quadrante della sveglia: le sei e venti del mattino.
Con uno sbuffo infastidito mi passo una mano sul viso. Dal bagno proviene un'altra sonora imprecazione, poi l'uscio si spalanca di colpo.

La figura esile di Zelda si staglia in controluce sulla soglia: sembra davvero una leonessa, con quella criniera di capelli ribelli che sparano da tutte le parti.

- Buongiorno, piccola - borbotto, ancora mezzo addormentato.

Lei non risponde. Cattivo segno.

La guardo avanzare verso di me e posizionarsi ai piedi del letto. Incrocia le braccia e mi squadra dall'alto con cipiglio ironico. - Dormito bene, Capofazione? - chiede, tamburellando con le dita sui tatuaggi dell'avambraccio.

Ho come l'impressione che stia per accusarmi di qualcosa.
La sua espressione mi ricorda quella di un avvocato, calmo e all'apparenza innocuo, in procinto di sfoderare la prova decisiva per incastrare l'imputato e sbatterlo in galera fino alla fine dei suoi giorni.

Aggrotto le sopracciglia. - Mmm...si? - farfuglio, sempre più confuso. Non ho idea di dove voglia andare a parare, ma a giudicare dalle maledizioni che stava lanciando in bagno non sarà niente di piacevole.

La mia ragazza mi scocca un'occhiata furente. Poi sospira e inclina il capo di lato. - E' più forte di me - bofonchia, mentre un piccolo sorriso si apre sulle sue labbra. - Non riesco a rimanere arrabbiata con te. Non quando sembri un bambino trascinato a forza fuori dal mondo dei sogni -.

Bambino? Mi ha appena dato del bambino?!

Il torpore causato dalle poche ore di sonno scivola via di colpo, come se mi fossi immerso in una piscina di acqua ghiacciata. Mi metto in ginocchio sul materasso e, con un movimento fulmineo, protendo il braccio e afferro il polso di Zelda.

Lei non si aspettava la mia mossa repentina, di conseguenza si sbilancia in avanti e cade tra le mie braccia, che la imprigionano in una presa ferrea.
Una gabbia dalla quale non può scappare...non prima di aver pagato per il suo precedente affronto, perlomeno.

Zelda scalcia e si dimena, ma alla fine deve arrendersi alla mia forza. Mi guarda in cagnesco e io ricambio con una pigra alzata di spalle. - L'hai voluto tu, trasfazione - dichiaro, mentre strofino una gamba sulla sua. - Ti sembro forse un bambino? -.

Lei si morde un labbro e batte le ciglia con fare civettuolo. - Mmm...no? - mormora, copiando la mia risposta di poco prima.

Nei suoi occhi brilla una luce maliziosa. China la testa verso il mio collo e segue con le labbra la linea geometrica dei miei tatuaggi. Lo fa un paio di volte, prima di darmi un leggero morso sul mento.
Quando riprende a parlare, fatico a recepire le sue parole: ho gli occhi chiusi, la testa gettata all'indietro sui cuscini per facilitare il percorso delle sue labbra. - Invece sì. Sei un bambino. Un bambino molto dispettoso - asserisce lei, sfuggendo al mio abbraccio, ma restando comunque a cavalcioni su di me.

Sposta i capelli dietro le spalle e scosta la mia maglia per mettere bene in mostra il collo. - Guarda qua. Adesso mi spieghi come faccio a nasconderlo? -.

Riemergo dallo stato di beatitudine nel quale ero sprofondato e punto lo sguardo sul pezzo di pelle che Zelda mi sta indicando. Un sorriso compiaciuto si allarga sul mio volto nel notare un segno vermiglio poco più in alto della giugulare. Ci passo un dito sopra, senza smettere di sogghignare.

La mia reazione non viene particolarmente apprezzata dalla mia ragazza. Ha le palpebre ridotte a fessura, sembra si stia trattenendo a stento dal mettermi le mani addosso.

Invece di spaventarmi, quello sguardo getta benzina sul fuoco che mi scorre sottopelle.
Distolgo gli occhi per recuperare un po' di lucidità, ma capisco subito di aver peggiorato la situazione: mi ritrovo a fissare come ipnotizzato le gambe di Zelda, quegli scorci di pelle nuda che spuntano dall'orlo della maglia.

Un'irresistibile tentazione.

Prima che possa ordinare alle mie dita di alzarsi e toccarla, lei mi prende il viso tra le mani e mi bacia. O, per meglio dire, bacia ogni singolo millimetro del mio labbro inferiore con studiata lentezza, facendomi letteralmente impazzire.

Vorrei reagire, esortarla a darmi un bacio come si deve, ma il profumo della sua pelle, combinato con il calore che mi trasmette il contatto dei nostri corpi mi impediscono di muovermi. La mia capacità motoria ha rassegnato le dimissioni dal momento in cui Zelda ha posato la sua bocca su di me.

Lei alza un po' la testa per guardarmi negli occhi. I suoi capelli mi solleticano il torace. - Un succhiotto. E pure in bella vista. Sei incredibile - sibila, fremendo d'irritazione. Con uno sbuffo scosta un ciuffo che le ricade sulla fronte. - Dovrei vendicarmi facendone uno a te, ma non si noterebbe nemmeno in mezzo a tutti questi tatuaggi! -.

Sorrido senza potermi trattenere. - Peccato. L'idea mi piaceva - affermo, portando una mano sul suo ginocchio destro. Le accarezzo la coscia e risalgo verso l'alto, trascinando su anche la stoffa della maglia, fino a giungere alla curva dei fianchi.

Zelda rimane interdetta per un istante, probabilmente combattuta tra la voglia di lasciarmi fare e quella di rompermi le dita ad una ad una, ma poi le sue labbra si curvano in un ghigno. Si china in avanti di nuovo e inizia a passare la lingua sulla pelle sensibile tra la mia nuca e l'orecchio, scendendo inesorabile verso la gola.

Il mio gemito di sorpresa si trasforma in breve tempo in un sospiro di piacere. Le labbra di Zelda baciano, succhiano e sfiorano tutto il mio collo.
Ho perso qualsiasi contatto con il mio lato razionale, il mio cervello si è rifiutato di assistermi in questo frangente. Mi immagino la personificazione del mio inconscio mentre dipinge un grande cartello con la scritta 'Arrangiati, Eric', per poi sbattermelo allegramente in faccia.

I baci di Zelda sono delicati, languidi: non sta mettendo in pratica nessuna vendetta. Anzi, mi sta … coccolando.

Se questo è il risultato, credo proprio che mi farò dare del bambino più spesso.

Non ho mai permesso a nessuna delle mie conquiste di prendersi tutta questa confidenza con me e con il mio corpo. Avevo sempre io il controllo della situazione e riducevo i baci al minimo indispensabile, mentre ora mi ritrovo a pregare perché questa squisita tortura a cui la mia trasfazione mi sta sottoponendo non finisca tanto presto.

E' strano, è diverso. Ma mi piace, altroché!

Quando le labbra di Zelda si posano in un punto imprecisato tra la spalla e il collo, una scarica di brividi mi percorre la spina dorsale. Inarco la schiena e gemo, stringendo spasmodicamente il lenzuolo tra le dita.

Siamo sicuri che qui l'inesperta sia lei e non io? Perché inizio a nutrire dei seri dubbi!

Lei schiocca la lingua. - Ha ha - esclama, in tono trionfante. - Ho trovato il punto debole del temibile Intrepido dagli occhi di ghiaccio -.
Pronuncia la frase canticchiandola come se fosse una sorta di inno di giubilo, poi continua a tempestarmi di baci e morsi finché non imploro pietà. Anche se con scarsa convinzione.

- Ringrazia il mio rigido autocontrollo se non ti sono ancora saltato addosso - affermo, tentando di suonare minaccioso.

Zelda non raccoglie la provocazione. Anzi, soffoca una risata contro il mio petto. - Mmm … a proposito di cose rigide … - mormora, strusciandosi su di me con fare inequivocabile.

Trattengo rumorosamente il fiato, il mio cuore perde un battito.

Lei risponde alla mia occhiataccia con un sorriso luminoso. - La tua faccia scandalizzata è impagabile, Eric -.

Sono dibattuto tra la voglia di strozzarla e quella di implorarla di continuare a baciarmi. - Attenta, Zelda. Stai giocando col fuoco -.

Lei ridacchia sottovoce e porta le labbra a un centimetro dalle mie. - Hai paura di bruciarti, mio Capofazione? -.
Il suo tono si fa più basso e sensuale verso la fine della domanda: il modo in cui sottolinea quel possessivo mi fa venir voglia di strapparle quei pochi vestiti che ancora mi separano dal suo corpo e impedirle di uscire dalla mia stanza per almeno ventiquattr'ore.
E lo farei veramente se non le avessi promesso di tenere le mani a posto fino alla fine dell'iniziazione.

Sapevo che mi sarei pentito, dannazione.

Chiudo gli occhi per un secondo e mi massaggio una tempia con le dita. Devo trovare un modo per sfogare tutta questa tensione sessuale che mi sta consumando come un rogo prima di morire per autocombustione.

Il mio silenzio si protrae per alcuni minuti, mentre tento di far rallentare il respiro.
Certo, avere una ragazza distesa sopra di me non agevola la realizzazione dell'impresa.

Zelda appoggia il mento sui miei pettorali, fissandomi da sotto in su. Viste da vicino, le sue iridi sembrano più chiare, quasi del color del sole al tramonto. - Eric, sputa il rospo - ordina in tono categorico, picchiettando l'indice sul mio naso ad ogni sillaba.

Grugnisco un rifiuto, evitando di incrociare il suo sguardo, ma lei non demorde. Si sporge per lasciarmi un bacio all'angolo della bocca. - Sei diventato immobile come una statua. Ti succede ogni volta che sei teso o stai pensando a qualcosa di poco piacevole, ormai l'ho capito. È colpa mia? Ho … fatto qualcosa di sbagliato? -.

Batto un pugno sul materasso. - Non dire assurdità - sbotto, forse più duramente di quanto volessi. - Sono solo … piuttosto su di giri -, minimizzo lanciando un'occhiata eloquente in direzione dei miei boxer. - Non credevo che trattenere gli impulsi fosse così difficile ... -.

- Oh. Allora è davvero colpa mia - mormora lei, con le sopracciglia corrucciate. - Scusa, mi sposto subito -.

Che cosa?! No!

- Tu non ti muovi -. Calco ogni parola per ribadire meglio il concetto e riporto entrambe le mani sulla sua schiena per prevenire fughe indesiderate. La tengo incollata a me come se fosse l'unica riserva di ossigeno del pianeta. - E' un mio problema. Finora non ho mai avuto bisogno di sopprimere i miei istinti. E' un'esperienza nuova, la vedo come una sfida contro me stesso. Sto … testando i miei limiti -.

E lo faccio per te. Perché non voglio rovinare tutto. Perché, visto che non riesco a dirti che sono innamorato di te, lascio che siano le mie azioni a fartelo capire.

Da perplessa, l'espressione di Zelda si fa giocosa. - Una sfida, eh? - insinua, scoccandomi tanti piccoli baci sul petto. - Non temere, ne uscirai vincitore. Cosa vuoi che siano due settimane? -.

Roteo gli occhi. - Già, cosa vuoi che siano due settimane? - la scimmiotto, condendo con pesante sarcasmo ogni singola lettera. - Due settimane di continue docce fredde. Una prospettiva magnifica -.

- Vedi il lato positivo … - mi incoraggia lei ed io rispondo con una smorfia di puro scetticismo.

Ah, quindi esiste anche un lato positivo?

Zelda continua a sorridere. Con i polpastrelli mi massaggia delicatamente i muscoli tesi delle spalle e porta le labbra all'altezza del mio orecchio, come se stesse per svelarmi un segreto. - L'acqua fredda tonifica la pelle - sussurra, mentre le sue dita sottili continuano a premere sulla mia pelle con tocchi decisi ed esperti.

Mi sento già più rilassato. Distendo le braccia lungo i fianchi e le lascio piena libertà di manovra. - Tanto lo so che mi vuoi solo per i miei muscoli - mugugno, con gli occhi chiusi per assaporare al meglio questi attimi di estasi allo stato puro.
Zelda è una continua fonte di sorprese: il suo massaggio mi infonde una calma che non provo nemmeno dopo ore di intensa attività in palestra.

- Ovvio. Per quelli e per i tatuaggi - mi stuzzica lei, un attimo prima di premere con le dita su quel punto sensibile che ha recentemente scoperto.

Sussulto come se avessi preso la scossa, dalla gola mi sfugge un gemito roco.
Dico amaramente addio a quella divina parentesi di tranquillità. I muscoli del mio addome si contraggono di riflesso, annunciando che il mio livello di sopportazione ha quasi raggiunto il limite massimo.

Zelda si muove su di me, sento la sua gamba sfregare contro il mio inguine. Ormai i miei ansiti riecheggiano nella stanza, non mi preoccupo nemmeno di trattenerli. Sono a tanto così dal perdere il controllo.

Con l'ultimo briciolo di lucidità che mi rimane tento di mettere in guardia la mia ragazza. - Se continui a provocarmi, potrei non rispondere delle mie … -, le labbra di Zelda si spostano dalla spalla all'incavo del collo, facendomi perdere momentaneamente il filo del discorso, - … azioni - termino, con voce spezzata, respirando a fatica.

Bastano un paio di baci a metterti al tappeto?, mi sbeffeggia la mia vocina interiore. Zelda è un vero portento. Dovrebbe scrivere un libro: Come far fuori un Capofazione in poche semplici mosse.

Sono troppo impegnato a incamerare ossigeno per badare alle prese in giro della mia coscienza.

Dopo avermi leccato languidamente le labbra, Zelda sfoggia un sorriso soddisfatto. - Messaggio ricevuto - afferma, allontanando entrambe le mani da me. Senza aggiungere altro si butta di lato sul letto, privandomi del calore del suo corpo e del suo tocco delicato in un colpo solo.

Sento improvvisamente freddo, come se stessi camminando a piedi scalzi su una spessa lastra di marmo. Reprimo un brivido.

Afferro il polso di Zelda proprio mentre sta per scendere dal materasso. - No, aspetta. Stavo scherzando - esclamo precipitosamente, temendo che voglia andarsene.

Abbiamo ancora alcune ore libere prima di colazione: volevo sfruttarle per stare il più possibile assieme a lei, visto che quando usciremo da questa stanza saremo costretti a mantenere le distanze.

La sensazione di freddo non accenna a svanire, anzi si accentua a quel pensiero.
Intreccio le dita alle sue e cerco di trascinarla di nuovo a letto. - Torna qui, baciami ancora. Credo di poter resistere un altro po' … -.

Lei scuote la testa. - Veramente avrei un'idea migliore - assicura, passandosi una mano tra i capelli scompigliati con fare noncurante.

Mi alzo su un gomito e la studio con malcelata curiosità. - Qualsiasi proposta è ben accetta -.
A patto che comprenda un contatto molto ravvicinato tra i nostri corpi, aggiungo tra me.

Zelda si tocca le labbra con l'indice. - Stavo pensando … la tua doccia è grande abbastanza per due persone, no? -.

Eh? Che c'entra la … ?

Impiego all'incirca due secondi per raggiungere la sua lunghezza d'onda.
Sento che sulle mie labbra si sta formando un sorriso che va da orecchio a orecchio, per cui mi premuro di soffocarlo prima di fare la figura dell'idiota. Dentro di me sto esultando come se avessi superato il mio scenario della paura in meno di cinque minuti.

Sta davvero pensando quello che sto pensando stia pensando …? No, mi sa che ho frainteso.

Meglio esserne sicuri. Punto lo sguardo nel suo e scelgo con cura le parole. - Suppongo di sì. E' larga il doppio di quelle nel dormitorio degli iniziati - dico, in tono neutro. - Purtroppo non ho mai avuto occasione di collaudarla -.

- Che spreco -.
Zelda scuote il capo e si avvia verso la porta del bagno. La spalanca e poi gira la testa quanto basta per lanciarmi uno sguardo malizioso da sopra la spalla.

È la copia esatta di quello che mi ha rivolto in mensa ieri sera a cena, talmente ardente da poterlo paragonare alla caduta di un accendino in una cisterna piena di materiale altamente infiammabile.

Con un rapido gesto si sfila la maglia e me la tira in faccia.
La mia espressione scioccata le ruba una sonora risata. - Accidenti, ti ho proprio sconvolto. Ok, Eric. Quando ti sarai ripreso, raggiungimi -.

Mi strizza l'occhio, poi getta indietro i capelli e sparisce nel bagno prima che possa mettere insieme una degna replica.

Solo quando sento l'acqua scorrere realizzo che non si tratta di un sogno o di un'allucinazione.
Zelda mi ha appena invitato a fare la doccia assieme a lei. Non avevo capito male.

Provo a deglutire, ma la saliva mi rimane incastrata in gola.

Una doccia. Io e lei. Insieme. Nudi.

Lo sapevo che prima o poi i miei sforzi sarebbero stati ricompensati.








 

* * *







 

Zelda



 

Ci metto più di mezz'ora per rivestirmi.

Eric è una continua fonte di distrazione, specialmente se se ne sta sdraiato sul letto coperto solo da un misero asciugamano.
I suoi occhi seguono ogni mio minimo movimento e fa di tutto per impedirmi di ritrovare gli indumenti che questa notte ha disseminato per la stanza mentre mi spogliava.

Percorro il perimetro della camera più volte, ma non c'è traccia della mia maglietta.
Mi volto verso il mio ragazzo di sfuggita, per chiedergli se per caso l'abbia vista, e porto le mani ai fianchi quando noto che l'oggetto in questione è ben stretto nel suo pugno.

Eric ricambia il mio cipiglio ostile con un'alzata di sopracciglia. - Cercavi questa? - insinua, facendo roteare in aria l'indumento. La osserva come se fosse un bottino di guerra, un ghigno di autocompiacimento sulle labbra. Protendo il palmo in avanti, in attesa che me la porga, invece lui si limita a scuotere lentamente la testa. - Se la vuoi, vieni a prenderla -.

Il suo tono di voce nasconde mille sottintesi, mi accarezza la pelle come un morbido manto di velluto.
Il Capofazione non batte ciglio di fronte alla mia posa minacciosa - che poi tanto minacciosa non è, visto che lo sto affrontando con addosso soltanto pantaloni e reggiseno! -, e si butta all'indietro sul materasso, sorreggendosi sui gomiti. La sua pelle è ancora cosparsa di gocce d'acqua, che brillano come perle alla luce della lampada.

La doccia sembra avergli fatto molto bene, lo vedo decisamente più rilassato rispetto ad un'ora fa. Continua a fissarmi con un lampo malizioso nelle iridi grigie. Gli angoli delle sue labbra si piegano all'insù come se avessero volontà propria.

Rinuncio al mio finto atteggiamento stizzito per rivolgergli un tenero sorriso.
Accenno qualche passo, avvicinandomi a lui fino a far scontrare le nostre ginocchia. Eric si rimette seduto e io appoggio il palmo alla sua guancia. - Sei bellissimo - mormoro, mentre faccio scorrere le dita sul suo viso dai tratti spigolosi. Contemplo ogni particolare come se lo vedessi per la prima volta: gli zigomi in rilievo, l'ampia fronte, le sopracciglia color del grano, le labbra sottili dalla piega volitiva. E infine i suoi occhi spalancati.

La mia vocina interiore mi sta dicendo che questo è il momento giusto per confessargli quello che provo per lui.
Sono sicura dei miei sentimenti, quindi perché attendere ancora? Solo perché temo la sua reazione?

Mi mordo l'interno della guancia. Non posso continuare a chiudermi a riccio, a nascondermi nel mio guscio fatto di razionalità e timori.
Eric mi ha lasciata penetrare le barriere d'acciaio che separavano la sua anima dal resto del mondo, mi ha fatto accedere al suo cuore. Mi ha dato fiducia, non voglio essere da meno. Desidero condividere ogni cosa con lui, anche le mie paure.
Per cui, dopo aver preso un bel respiro, incrocio il suo sguardo. - Non vorrei allarmarti, ma credo … credo … -.

Mi blocco e digrigno i denti. Le parole non vogliono uscire dalle mie labbra. Stupido orgoglio.

Dai, Zelda, puoi farcela.

Gli occhi di Eric mi scrutano con attenzione. La fiamma che brucia nelle sue iridi riscalda ogni cellula del mio corpo come se avessi appena bevuto una tazza di the bollente. E mi sprona a continuare. - … credo di essermi innamorata di te -.

La voce traballa verso la fine della frase, ma non penso che lui ci faccia caso. Temo di avergli provocato uno shock: rimane tramortito per almeno un minuto, prima di ricominciare a respirare. Batte le palpebre come se faticasse a mettermi a fuoco e … arrossisce?
- Non volevi allarmarmi, eh? - replica, dopo essersi schiarito la voce. - Troppo tardi. Mi hai tolto almeno dieci anni di vita -.

Mi mordo un labbro, in attesa che dica qualcos'altro. Non pretendo che ricambi con una dichiarazione appassionata, o mi chieda di sposarlo.
Vorrei solo capire se quello che gli ho detto lo lascia indifferente o lo ha emozionato come ha emozionato me mentre lo dicevo.

Lui non parla, né si butta ai miei piedi. Semplicemente … scoppia a ridere.

Ride veramente, di gusto, una risata piena che non credevo potesse mai uscire dalla sua bocca.
Di tutte le reazioni che poteva avere, questa è l'unica che non mi sarei mai aspettata. Resto immobile a guardarlo, il cuore che batte come un tamburo nel petto.

Eric porta gli occhi nei miei. I suoi sembrano più argentati che mai, splendono come due pietre preziose.
Ma non sono nulla in confronto al suo sorriso: è molto più che abbagliante, trasfigura completamente tutto il suo volto.

Anziché replicare con qualche frase presa dal suo repertorio di battute ironiche, Eric si limita a circondarmi i fianchi con le braccia. Mi attira a sé, allargando le gambe per farmi spazio. Appoggia la guancia al mio ventre e mi bacia la pelle poco sopra l'ombelico.
Il contrasto tra il calore del suo respiro e il freddo metallo dei piercing mi provoca un brivido che si estende dalla nuca alle punte dei piedi.

- Come ho fatto a vivere per sedici anni senza di te? - mormora lui, a voce talmente bassa che non capisco se l'ha detto davvero o se sia semplicemente frutto della mia immaginazione.
Alza la testa e mi fissa a lungo negli occhi. Non so cosa riesce a scorgervi, ma il viso gli si illumina come se gli avessi puntato contro una torcia. Le sue mani aperte premono all'altezza delle mie scapole. - Dillo ancora - mi prega, la voce morbida e suadente.

Passo le dita sulla sua nuca, tracciando delle spirali tra i suoi capelli cortissimi. - Sono innamorata di te -.
Questa volta lo dico con convinzione, in tono sicuro e senza balbettare.

Eric mi fa sedere sulla sua coscia: con un braccio mi tiene incollata a sé, mentre con l'altra mano mi accarezza le tempie, le guance, il mento.
Il suo sorriso è più ampio che mai. Sarei capace di fare qualsiasi cosa pur di vederlo perennemente sulle sue labbra.
Perfino il suo sguardo diventa più dolce, più intimo. Mi fa sentire importante, bella, invincibile.

Appoggia la fronte alla mia, i nostri respiri si mescolano. - Se mi vuoi, sono tuo -.

Quelle cinque, semplici parole mi entrano dentro come un soffio di vento.
Arrivano fino al centro del mio cuore e lo avvolgono in un abbraccio caldo e protettivo.

Certo che ti voglio.

Invece di rispondergli, inclino la testa e lo bacio. Un lungo bacio che si conclude solo nel momento in cui l'incendio provocato dal contatto tra la mia pelle e la sua non si espande in tutte le cellule del mio corpo.

Eric tormenta con la lingua il mio labbro inferiore. - Suppongo che questo fosse un - mormora, un leggero ansito nella voce. - Anche se non capirò mai perché, tra tutti, tu abbia scelto me -.

Non avrà intenzione di ricominciare con quelle stupidaggini del 'Io non ti merito', vero?

Allaccio le dita dietro il suo collo. - Non c'è nulla da capire -. Premo le labbra sulle sue. Una, due volte. - E, sinceramente, pensi che io sia capace di portare avanti la conversazione ancora per molto se te ne stai appiccicato a me mezzo nudo? -.

Il ghigno che mi aspettavo arriva puntuale. - La cosa è reciproca, piccola -.

Eric si getta di schiena sul letto; gli cado sopra.
La sensazione di dejà-vu mi fa scoppiare a ridere. Risata che si spegne di colpo non appena lui fa scorrere un dito sulla mia schiena, seguendo le curve della colonna vertebrale. Quando arriva al bordo del reggiseno, il suo sorriso da canaglia mi fa alzare gli occhi al cielo. - Te l'avevo detto di non perdere tempo a vestirti … - sussurra al mio orecchio, dopo avermi mordicchiato il lobo.

Vorrei ribattere a tono, ho già una battuta perfetta in mente … ma le sue labbra che sento scendere piano verso il mio petto mi fanno cambiare idea.




 

* * *


 

I miei passi ritmati rimbombano tra le pareti di roccia grezza, producendo un suono simile a quello della pioggia che cade su una sottile superficie di metallo.

Cammino a testa bassa, per non incrociare gli schermi vigili delle videocamere.
Tra un bacio e l'altro, Eric mi ha spiegato che al Centro di controllo ci sono Intrepidi che sorvegliano i monitor ventiquattr'ore su ventiquattro, perciò devo stare molto attenta. Meno gente sa che ho trascorso la notte fuori dal dormitorio degli iniziati, meglio è.

Per fortuna i tunnel a quest'ora del mattino sono poco frequentati: non sono molti gli Intrepidi abituati ad alzarsi presto. I miei compagni d'iniziazione non fanno eccezione, quindi di loro non mi preoccupo.

Procedo verso la mensa, con le mani infilate nelle tasche della felpa e il cappuccio ben calato in testa, cercando di tenere un basso profilo.
Difficile, perché sono talmente felice che mi sembra di poter spiccare il volo da un momento all'altro.

Non so che ore siano, né per quanto tempo il mio ragazzo ed io siamo rimasti a rotolarci tra le lenzuola. In senso letterale e che di romantico ha ben poco, visto che ad un certo punto Eric ha iniziato a farmi il solletico e il precedente abbraccio passionale si è trasformato in un'accesa lotta … che si è conclusa con la colossale disfatta della sottoscritta.

Canticchiando sottovoce, accelero di poco l'andatura. Spero davvero che l'ora di colazione non sia già finita perché sono affamata.
Quando all'orizzonte si staglia la doppia porta che conduce alla mensa, tiro un respiro di sollievo. Ci sono ancora molti Intrepidi che stanno sgomitando per entrare, significa che sono arrivata in tempo.
Mi metto in coda, dietro una coppia che si sta scambiando un bacio che descrivere come focoso è riduttivo.

Abbasso il cappuccio e mi passo le dita tra i capelli, cercando di riportare un po' d'ordine tra le ciocche scomposte. Improvviso una treccia laterale e la chiudo con l'elastico che sono finalmente riuscita a sottrarre ad Eric.

La fila si muove di qualche metro; io rimango a debita distanza dai due che mi precedono. Hanno momentaneamente smesso di mangiarsi la faccia a vicenda, ma sono ancora attaccati come ventose.
L'uomo butta quasi per caso l'occhio su di me: avrà pressapoco l'età di James, forse qualche anno di più. Dopo avermi fissata per una manciata di secondi con un sopracciglio inarcato, accenna un sorriso complice e mi fa l'occhiolino.

E questo che vuole?

Corrugo la fronte, perplessa, ma non ho tempo di chiedergli nulla perché due braccia mi afferrano da dietro, facendomi sobbalzare.
Mi rilasso appena riconosco i tatuaggi sugli avambracci.

Xavier appoggia il mento sulla mia testa. - Buongiorno, bellezza - esclama, prima di lasciarmi andare. - Dov'eri finita? Melanie ti sta cercando dappertutto come una pazza -.

- Beh, che sia pazza non è una novità -.

Ci voltiamo entrambi verso l'altro ramo del tunnel, dove James ha fatto la sua comparsa.
Ci raggiunge in poche falcate, seguito a ruota dalla sorella che gli dà una gomitata nelle costole per quel commento poco lusinghiero. - Sarà. Ma ricorda che da qualcuno dovrò pur aver preso - ribatte, con un sorrisetto impertinente che le fa guadagnare un'occhiata truce da parte del Capofazione.

Quando si accorge della mia presenza, Melanie schiocca le dita. - Eccoti qui. Ho setacciato ogni angolo del Pozzo per trovarti. Si può sapere a che ora ti sei svegliata? Non ti ho nemmeno sentita uscire dal dormitorio - afferma, scrutandomi con le palpebre strette.

Faccio spallucce. - Non ho guardato l'ora. Abbastanza presto, comunque -.

Non le ho detto dell'appuntamento con Eric. Rimedierò al più presto, non appena lei, Leslie ed io ci ritroveremo sole in un posto privo di videocamere e persone indiscrete.

Gioco distrattamente con la cerniera della felpa. - Oggi è l'ultimo giorno di libertà. Che cosa vi va di fare? -.
Mi giro per guardare sia Melanie che Xavier negli occhi, ma la mia domanda rimane sospesa nel vuoto.

Sia i miei amici che James mi stanno fissando a bocca aperta. Anzi no, spalancata.

Il primo a riprendersi è Xavier. Non che riesca a formulare qualcosa di sensato perché se ne esce con: - Zelda, che … ? Come … quando … ? -.

I suoi occhi chiari sono puntati sul mio collo, così come quelli dei due fratelli. Quando realizzo cosa stanno guardando, ogni millimetro di pelle dalla mia fronte al mento diventa bollente.

Merda. Adesso capisco l'occhiata del tizio di prima.

Incasso la testa nelle spalle, nel vano tentativo di nascondere il marchio scarlatto che spicca sulla mia gola, gentile omaggio di Eric. - Io … ehm … - mormoro, arrossendo ancora di più.

Xavier e James mi fissano come se li avessi in qualche modo traditi. Melanie, al contrario, dopo qualche attimo di stupore, si illumina di un sorriso orgoglioso e alza i pollici. Sapevo che il suo intuito avrebbe anticipato le mie spiegazioni …

… quindi non mi è chiaro perché torni a sgranare gli occhi come se avesse di fronte un esemplare di rettile particolarmente repellente. Mi punta un dito contro ed esclama: - Chi ti ha fatto quel succhiotto?! -, in tono squillante ed esageratamente sorpreso, facendo voltare praticamente tutte le persone della fila.

Vorrei sprofondare. Dopo averla strangolata, si intende.

La fulmino con lo sguardo, mentre cerco inutilmente di nascondere il corpo del reato sotto la stoffa della maglietta.
Cosa le è preso? Di sicuro aveva capito che era stata tutta opera di Eric, visto che è una delle poche a conoscenza della nostra relazione clandestina.
E allora perché diavolo ha …

- Nottata di fuoco, eh? Buon per te, trasfazione -.

Oh no. Questa voce no. Non ora. Vi prego, tutti, ma non lui.

Mi volto e mi rendo conto che le mie preghiere sono state vane.

Eric si piazza accanto a Mel e mi squadra da capo a piedi, soffermandosi infine sul mio collo. Il ghigno sprezzante che gli attraversa il viso è uguale a quelli che mi riservava nei primi tempi. Sono i suoi occhi ad essere diversi. Più brillanti, più caldi, più … soddisfatti.

Storco il naso, mi rifiuto di dargli corda.
Lui dà una pacca sulla spalla a James - che ha ancora un'espressione frastornata sul volto -, poi mi passa accanto per entrare in mensa. Fende la folla senza battere ciglio, tutti si spostano per lasciarlo passare. Uno dei tanti vantaggi di essere leader.

Rivolgo un'occhiata ostile alla sua schiena. Accidenti a lui e alle sue manie di protagonismo. E a Mel, che non è capace di tenere la bocca chiusa. Dovrebbe stare dalla mia parte, non allearsi con Eric per mettermi in imbarazzo. Di sicuro l'aveva visto arrivare, per questo gli ha fornito quel commento su un piatto d'argento. Adesso tutti penseranno che ho un ragazzo segreto, o chissà che. E, di conseguenza, quelli che lui considera come rivali mi lasceranno in pace.

Non male come piano. Anche se poteva evitare di infierire: Melanie aveva già fatto sufficiente pubblicità al suo … lavoretto.

Dopo avermi rivolto un ultimo sguardo di sbieco, James segue l'esempio del suo collega e sparisce in mezzo alla calca.

Xavier non dice nulla, anzi fugge i miei occhi. Più che irritato, o geloso, sembra a disagio.

Ci pensa Mel a toglierci d'impiccio. Inizia ad elencare a voce alta le attività che potremmo fare nel pomeriggio, catalizzando l'attenzione di Xavier su armi e sport, i suoi argomenti preferiti.

Non so cosa mi spinga a voltare il capo proprio in quel momento. Forse un presentimento, quel qualcosa che molti chiamano sesto senso.
Fatto sta che mi giro, deviando il mio sguardo dai miei amici al fondo del tunnel che si allunga come un serpente alle mie spalle.

E lo vedo. Vedo mio fratello.

Riconoscerei quei lineamenti tra mille. Trattengo il respiro, mentre osservo la sua elegante figura incedere a passi misurati nel corridoio. Il contrasto tra i suoi capelli d'ebano e il candore della camicia che indossa mi ricorda i quadri appesi nella stanza di mia madre, disegni a carboncino su sfondo bianco.

Quando i suoi occhi incontrano i miei, un sorriso nervoso gli increspa le labbra. Batto le palpebre un paio di volte, tanto per assicurarmi di non avere le visioni.

Cosa ci fa Damien nella residenza degli Intrepidi?


 







 

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Ciao a tutti! Ecco qui l'ultimo parto della mia mente malata. Capitolo abbastanza lungo e complesso (almeno da scrivere): vediamo Eric alla scoperta del suo lato tenero (vogliamo parlare della sua passione per le fragole??) e Zelda bersagliata da commenti imbarazzanti su tutti i fronti xD

E per finire la ricomparsa di Damien. Alcune di voi l'avevano intuito, brave! ;)
Cosa accadrà adesso? Che ci fa lui in mezzo agli Intrepidi?

Vi lascio il link dell'altra breve storia con protagonisti Eric e Zelda in un contesto differente (per chi volesse darci un'occhiata) → http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3055800&i=1

E vi aspetto come sempre nella mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

Un bacio a tutti,

Lizz

p.s. la canzone che dà il nome al titolo è ovviamente di Ne-Yo ;)


 


 

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Capitolo 42
*** Another mountain to climb ***






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Capitolo 41




 

Zelda



 

Damien si ferma ad un metro da me e mi sorride con dolcezza, come faceva sempre quando, da bambina, correvo da lui dopo aver fatto un brutto sogno. Mi accoglieva nel suo letto e mi teneva stretta finché non mi calmavo, asciugandomi le lacrime col lenzuolo e tentando in tutti i modi di farmi sorridere. Questo finché non ha cominciato ad assecondare gli altri miei fratelli nei loro perfidi scherzi.

Lo fisso con le sopracciglia corrugate, sondando i suoi occhi verde giada in cerca di spiegazioni. Lui però sfugge quasi subito il mio sguardo per scoccare un'attenta occhiata ai miei amici, che sono rimasti sconvolti dalla sua improvvisa comparsa esattamente come me. Gli Intrepidi ancora in fila si danno di gomito e lanciano occhiate sprezzanti ai suoi abiti blu che urlano 'Erudito' da ogni cucitura.

Damien non pare troppo impressionato da quella gelida accoglienza, di certo se l'aspettava. Raddrizza la schiena e scruta la folla come se stesse cercando qualcuno in particolare.
Leslie, forse?
Credo di aver indovinato perché lo vedo abbassare le spalle e sospirare quando non la individua in mezzo alla calca.

La sua espressione delusa mi fa intenerire. Gli vado incontro, infischiandomene dei bisbigli increduli degli altri membri della fazione. - Non ti facevo così ... intrepido, fratello - esclamo, tirandogli un leggero pugno sulla spalla. - Ti sei presentato da solo nella tana del lupo. Hai avuto fegato, sono colpita -.

Damien storce il naso e borbotta qualcosa a proposito dell'uso improprio del sarcasmo di prima mattina. Poi mi squadra da capo a piedi e torna a sorridere. - Ti trovo in forma, sorellina. Ormai nessuno potrebbe più scambiarti per un'Erudita -, afferma, indicando i tatuaggi sui miei avambracci.

Replico con un ghigno degno di Eric. - Lo prendo come un complimento. Tu, invece, sei sempre il solito damerino ingessato - rilancio, guadagnando un'altra occhiataccia. - Dai, fatti abbracciare. Mi sei mancato -.

Gli passo un braccio attorno alla vita e lo attiro a me, seppellendo la faccia nella sua camicia bianca a righe blu. Gliela stropiccio di proposito, ben sapendo quanto detesti farsi vedere con i vestiti fuori posto, e approfitto della vicinanza per sibilargli nell'orecchio: - Insomma, ti decidi a dirmi perché diavolo sei qui? È successo qualcosa di grave? -.

Che qualcuno degli Eruditi abbia scoperto che lui è un Divergente?

Un brivido mi scuote le membra e stringo con più forza la stoffa della sua camicia.
Da quando me l'ha confessato, ho tenuto occhi e orecchie ben aperti per captare qualsiasi indizio che potesse smascherare gli altri Divergenti nascosti tra i miei compagni d'iniziazione. Purtroppo non è servito a nulla, non sono riuscita a cavare un ragno dal buco.

Avvertendo il mio nervosismo, Damien si affretta a negare. - No, è tutto a posto. Tranquilla, pulce - bisbiglia, accarezzandomi la schiena con gentilezza.

In un altro momento, sentirmi apostrofare con quell'odioso soprannome mi avrebbe fatta infuriare, invece ora il suo tono, tenero e lievemente ironico, mi fa sorridere. Tuttavia non gli risparmio una frecciatina. - Perché non vieni a fare colazione con noi? Sono sicura che Leslie arriverà a momenti -.

Lo sento trasalire. Mi stacco da lui per guardarlo in faccia: è paonazzo e boccheggia come un pesce tirato fuori a forza da un acquario. - Tu … ma che … cosa ti fa credere che io …? -.

La sua risposta frammentata, e il rossore che gli chiazza gli zigomi, confermano i miei sospetti. Gli strizzo l'occhio. - Andiamo, si vede lontano un chilometro che ti piace. Quando te l'ho presentata sei rimasto a fissarla sconvolto, come se non avessi mai visto una donna! -.

Mio fratello prende fiato, probabilmente per contraddire le mie supposizioni, ma sotto il mio sguardo eloquente decide - saggiamente - di lasciar perdere. Si passa una mano tra i capelli, mentre io gli aggiusto il nodo della cravatta.

Melanie e Xavier lo salutano con un cenno del capo quando prendiamo di nuovo posto nella fila. Gli occhi chiari dell'Intrepida scrutano con curiosità Damien, dall'alto in basso, quasi gli stessero prendendo le misure. Di fronte al mio cipiglio perplesso, lei ridacchia e scandisce un 'però, niente male tuo fratello' con le labbra.

Alzo lo sguardo al cielo, scuotendo la testa. Ora la sua curiosità può dirsi soddisfatta: è dal Giorno delle Visite, da quando ho accennato al colpo di fulmine tra lui e Leslie, che Mel smaniava per conoscerlo. Presumo che adesso, dopo l'accurata radiografia a cui l'ha sottoposto, voglia dare la sua approvazione a Leslie con i suoi soliti gesti eclatanti che non passano inosservati. Sarebbe divertente vedere la reazione di mio fratello, mi auguro che l'ex-Pacifica si sbrighi ad arrivare.

Abbasso il viso per nascondere un sorriso e continuo ad avanzare a fianco di Damien fin dentro la mensa, seguendo la coda di persone in attesa della colazione. Il mio sguardo perlustra la sala, soffermandosi per una frazione di secondo su ogni esemplare maschile, finché non individuo il mio obiettivo. Perfino da quella distanza posso scorgere la sfumatura color tempesta nelle iridi di Eric. E' di profilo rispetto a me e sta parlando con qualcuno, ma mi è impossibile capire di chi si tratti a causa della folla che mi oscura la visuale.
Per un attimo immagino che il suo interlocutore sia Josie e la mia gelosia si accende, ma poi scorgo la chioma rosso fuoco dell'Intrepida nell'angolo opposto della mensa e mi rilasso.

Quel qualcuno, in ogni caso, farebbe meglio a battere in ritirata prima di rimetterci la pelle. O le ossa.
So bene come il Capofazione possa diventare letale come - e peggio di - uno scorpione se irritato e, a giudicare dalla postura rigida delle sue spalle, capisco che sia molto più che arrabbiato. Furioso è il termine più appropriato. Sembra si stia trattenendo a fatica dall'afferrare la giacca azzurra della persona con cui …

Un attimo. Una giacca azzurra? Ho visto bene? Mi alzo in punta di piedi, per guardare oltre la schiena dell'Intrepido che mi precede, e ne ho la conferma: accanto ad Eric, intenta a riempire il piatto con una generosa fetta di dolce al cioccolato, c'è … Jeanine Matthews, la Capofazione degli Eruditi.

Per la sorpresa, mi aggrappo al braccio di Damien. - Non sei qui da solo. Sei venuto assieme a lei - mormoro, mentre il mio cervello lavora frenetico per mettere insieme i pezzi del puzzle.

Due Eruditi che piombano nella residenza degli Intrepidi di primo mattino. Non può promettere nulla di buono.

Damien segue la direzione intrapresa dai miei occhi prima di annuire con un secco cenno del capo.
Deglutisce e si abbassa per parlarmi direttamente nell'orecchio. - Sì, ma non credere che io faccia i salti di gioia. Jeanine mi ha praticamente obbligato ad accompagnarla, in quanto suo nuovo assistente -. Pronuncia l'ultima parte della frase come se le parole bruciassero sulle sue labbra. - Ha voluto me espressamente. E non guardarmi così, Zelda: non mi lascerò scappare quest'opportunità. Sfrutterò questa collaborazione forzata per scoprire cosa sta macchinando quella donna -.

Spalanco gli occhi, allarmata dalla determinazione irosa che avverto nella sua voce. - Damien, no. È pericoloso. Ti caccerai nei guai. E se lei ti … -.

Non faccio in tempo a terminare la mia ramanzina che lui mi interrompe scuotendo la testa. I suoi occhi rimangono incollati alla figura di Jeanine, che sta seguendo un Eric decisamente poco amichevole al tavolo dei Capifazione.

Lo sguardo di Damien si assottiglia. - Non sono uno stupido. Se mi fossi rifiutato di aiutarla in questo nuovo progetto sperimentale, avrei attirato dei sospetti. Invece, in questo modo, posso rimanere aggiornato e analizzare tutto ciò a cui sta lavorando. Non preoccuparti per me, sorellina, so quello che faccio -.

Mi mordo le labbra per non replicare. Maledetto idiota, si sta gettando in un covo di vipere di sua spontanea volontà.
Trattenendo l'impulso di prenderlo per il colletto della camicia e scrollarlo fino a togliergli queste idee scellerate dalla testa, mi limito a sospirare. - Lo spero - bofonchio, mentre afferro con stizza un vassoio e inizio a riempirlo con le prime cose che mi capitano sotto mano. Prendo una tazza di the al limone per me e passo un bicchiere di carta, pieno di caffè fumante, a Damien.

Mentre mi chino in avanti per afferrare una brioche, un brivido mi percorre la schiena, come se mi fossi trovata senza preavviso in mezzo ad una corrente d'aria gelida. Giro la testa di lato e mi ritrovo gli occhi di Eric puntati addosso. Una fredda smorfia, lontana anni luce dal sorriso spensierato che di solito mi riserva quando siamo soli, gli solca le labbra.

E' seduto al tavolo dei Capifazione, con Jeanine da un lato e Max dall'altro, e dalla spessa ruga che gli attraversa la fronte intuisco che non si sta affatto divertendo. Pare un bambino costretto a prendere parte ad una conversazione seria e noiosa, per soli adulti.

Stiracchio le labbra in un ghigno sadico. Povero piccolo.
Mi fa talmente pena da spingermi a gettargli una metaforica fune di salvataggio. Una personalizzata e decisamente originale fune di salvataggio. Mi passo la lingua sulle labbra e articolo silenziosamente la parola 'doccia'.

Eric reagisce come se gli avessi rifilato una ginocchiata in pieno stomaco: sbarra gli occhi e quasi sputa il caffè che stava bevendo.
Ridendo tra me, torno a dedicare la mia completa attenzione al buffet. Rifornisco il piatto con alcune fette di pane tostato ricoperte di burro e marmellata e una manciata di biscotti. Tutta l'attività fisica di stanotte - sia dentro che fuori dal letto di Eric - mi ha fatto venire un discreto appetito.

Mi volto verso Damien per chiedergli se vuole un muffin, e noto che lui mi sta fissando a sua volta, in viso un'espressione allucinata.
Inarco un sopracciglio. - Sei sbiancato, fratello. Ti senti bene? Forse è meglio se ci … -.

- Chi ti ha fatto quel succhiotto?! - ringhia lui, gli occhi color smeraldo fissi sul mio collo. Mi sposta la felpa per scoprire del tutto il segno rosso e ci passa sopra due dita, quasi sperasse di farlo scomparire con un semplice tocco.

Allontano la sua mano con un gesto annoiato. - Ma non sapete dire altro? - borbotto, prima di prenderlo sottobraccio e trascinarlo il più lontano possibile dagli altri Intrepidi, che lo stanno ancora osservando con malcelata ostilità. Ci sediamo ad un tavolo isolato, uno di fronte all'altro.

Damien ha le sopracciglia corrugate e fa saettare lo sguardo dal mio collo al centro della mensa, dove è collocato il tavolo dei Capifazione.
Appurato che Eric mi sta ancora fissando, la sua mano si stringe attorno al bicchiere di cartone. - A quanto vedo non ha perso tempo. E dire che pensavi di non piacergli - sibila, prima di mordere un biscotto con fare aggressivo.

È la prima volta che vedo Damien così agitato. Non sarà mica geloso di me?

Appoggio le dita sopra le sue, allentando la presa convulsa con cui stavano stritolando il cartone. - Sbaglio, o sei stato tu a dirgli che 'ragazze come mia sorella non si trovano tutti i giorni'? -, lo cito e lui si passa una mano sul viso, demoralizzato. - Direi che ti ha preso in parola. E, tanto perché tu lo sappia, ora siamo ufficialmente una coppia. Beh, forse non proprio ufficialmente -, mi correggo, arricciando le labbra. - Dobbiamo aspettare la fine dell'iniziazione per rendere pubblico il nostro rapporto. Io non sono ancora un membro della fazione, mentre lui è uno dei leader perciò … -.

- E' proprio questo che mi preoccupa! - scatta Damien. - Il fatto che lui è un Capofazione. Ti prego, dimmi che non ti ha costretta a fare nulla che non volessi, altrimenti giuro che gliela faccio pagare -, minaccia, alludendo al succhiotto che sta ancora guardando con astio, come se vi fosse inciso sopra 'proprietà di Eric', in chiare lettere scarlatte.

Inclino il capo di lato e trattengo un sorriso di scherno. Davvero crede che qualcuno possa obbligarmi a fare qualcosa che non voglio?
Forse dice così perché non mi ha mai vista sparare o tirare coltelli.
Pensa ancora a me come alla sorella minore indifesa e studiosa, che usciva di casa solo per andare a scuola o a fare la spesa. Beh, dovrà ricredersi. Quella persona non esiste più. E' morta nel momento in cui il mio sangue si è mescolato ai carboni ardenti nella ciotola destinata agli Intrepidi.

Scocco un'occhiata ad Eric e poi osservo le braccia magre di Damien con aria di sufficienza. - E' più alto di te, è un esperto di armi di ogni tipo e scommetto che alcuni dei suoi muscoli non sono nemmeno riportati nei libri di anatomia. Potrebbe ucciderti ad occhi chiusi, metterti al tappeto in un secondo. Come speri di farcela? - lo stuzzico, godendomi la sua espressione sgomenta.

Damien esita solo un istante. Stringe la mascella e fa un gesto seccato con la mano. - Non importa come, un modo troverò. Credimi, Zelda: se mai dovesse farti del male, non mi farò scrupoli. Mi sono comportato da codardo per troppo tempo e me ne vergogno profondamente -.

Le sue parole, sincere e appassionate, mi riscaldano il cuore.
Mi sporgo sul tavolo per sistemargli un ciuffo di capelli che gli ricade sulla fronte. - Non sarà necessario. Detto tra noi: l'unica arma che Eric teme veramente sono le mie labbra. Credimi, diventa docile come un gattino quando … -.

Mio fratello si affretta a tapparmi la bocca prima che possa concludere la frase. - Per favore, ti supplico, risparmiami i dettagli - esclama, visibilmente terrorizzato. - Sto mangiando, non vedi? Un po' di rispetto per il mio povero stomaco -, conclude, sventolando un biscotto davanti ai miei occhi, portandolo come prova della sua precedente affermazione.

Rimaniamo a fissarci per alcuni secondi, poi scoppiamo a ridere in simultanea.
Damien si riprende prima di me e sfoggia un cipiglio severo. - Comunque non stavo scherzando. Non mi fido dei tipi come quello -, e indica Eric con un cenno del capo, - abituati a trattare le ragazze come se fossero intercambiabili -.

Lo squadra da capo a piedi e il mio ragazzo ricambia l'occhiata, un sorriso di scherno dipinto sul volto. Di sicuro ha capito di essere l'argomento principale della nostra conversazione perché guarda mio fratello come se volesse dirgli 'non ti conviene metterti contro di me' o, meglio, 'tua sorella è mia, fattene una ragione'. Damien non ha speranze di spuntarla: il vincitore della battaglia di occhiatacce è indubbiamente Eric.
Ci scambiamo uno sguardo complice, prima che lui torni a darci le spalle per parlare con James.

Damien storce la bocca. - Resto della mia idea: non mi piace. E poi è troppo vecchio per te -.

Il suo tono scontroso provoca un'altra risata da parte mia. - Ma se è più giovane di te! - esclamo allegramente, mentre sorseggio il the. - Ha diciassette anni -.

Mio fratello strabuzza gli occhi. - Dici sul serio? - chiede, sconcertato. - Beh, ne dimostra di più -, replica infine, come se quello fosse un motivo sufficiente per invitarmi a lasciar perdere il Capofazione. - E non mi piace come ti guarda -.

Sbuffo, esasperata da tanta insistenza. - Perché, come mi guarda? -.

- Come se … ti stesse spogliando con gli occhi - commenta Damien, a denti stretti, neanche stesse confessando un triplice omicidio.

Gli tiro addosso un biscotto, colpendolo in pieno petto. - Sei insopportabile, fratello. Peggio di una zitella acida - affermo, e la sua occhiata indispettita non fa che aumentare la mia ilarità. - Non temere per me e la mia virtù. Ti assicuro che sono capacissima di gestire Eric. D'altronde, non ha nessun bisogno di spogliarmi con lo sguardo, mi ha già vista nuda - confesso, facendo spallucce e ignorando il gemito scandalizzato che esce dalle labbra di Damien. - Secondo me sei solo seccato per non aver ancora visto Leslie -.

Dal rossore che compare sulle sue guance, e che lui si affretta a nascondere dietro al bicchiere di caffè, capisco di aver fatto centro. Mi sporgo verso di lui. - Lei ti piace, vero? -.

Damien fa un lungo sospiro sconfortato. - Sì. E non solo perché è bella - mormora, con lo sguardo puntato sul vassoio come se vi fosse riflesso il volto dell'ex-Pacifica. - Abbiamo parlato un po' durante il Giorno delle Visite. È simpatica, e dolce, e gentile, e … -. Abbassa la voce e mi inchioda con uno sguardo penetrante. - … credo sia come me -.

Il modo in cui lo dice mi fa capire che non si sta riferendo ad una somiglianza puramente caratteriale. Mio fratello sospetta che Leslie sia una Divergente. - Cosa te lo fa credere? -.

Il tono di Damien cala ulteriormente: mi tocca leggere il labiale per stargli dietro. - Ho fatto qualche ricerca. Ti avevo detto che alcuni dei test attitudinali avevano dato risultati incerti, no? - domanda, e io annuisco. - Ebbene, ho rubato la password dal computer di Jeanine … -.

- Tu cosa?! -.

- … per accedere ai file top secret -, continua lui, come se non avessi parlato, - e posso assicurarti che non è stato affatto facile, perché erano nascosti molto bene. Sono riuscito a sbloccarne qualcuno e mi sono imbattuto quasi per caso nel test di Leslie -. Fa un respiro profondo e si guarda attorno per accertarsi che nessuno ci stia ascoltando. - Sono sicuro al novanta percento che sia una … che sia come me -.










 

* * *







 

Eric




 

- Stai sorridendo -.

Impiego qualche secondo per realizzare che la voce - estremamente fastidiosa - che ha interrotto il mio scambio di occhiate assassine con il fratello di Zelda appartiene alla persona che mi sta di fronte.
Altri non è che James, il mio caro collega, che se ne sta seduto scomposto sulla panca e mi sta guardando sgomento. Ha il braccio bloccato a metà strada tra la sua bocca e il tavolo, il caffè che oscilla paurosamente lungo il bordo della tazza. Sembra pietrificato. E mi fissa come se mi fosse spuntato un terzo braccio in fronte.

La sua precedente affermazione diventa una domanda incredula: - Stai sorridendo? Tu?! Di prima mattina? No, decisamente non è una cosa positiva - proclama, mentre sbocconcia una fetta di torta con aria pensierosa. Ingurgita un sorso di caffè, poi appoggia la tazza sul tavolo con violenza.

Al mio fianco, Jeanine arriccia le labbra in una smorfia schifata per i modi poco raffinati del mio collega, prima di ritornare a conversare con William, uno dei Capifazione più anziani. E' da quando mi sono seduto che cercando di coinvolgermi nelle loro discussioni impregnate di formule e termini scientifici.

Jeanine e la sua corte di cervelloni - tra cui l'odioso fratello della mia trasfazione - sono arrivati poco dopo l'alba, a quanto mi hanno riferito. La scienza non può aspettare, ha asserito lei con convinzione quando l'ho incrociata davanti al buffet. Ha continuato a blaterare di progetti sperimentali, elencando codici e sequenze numeriche a ripetizione per almeno dieci minuti.
Non sono mai stato più vicino al commettere un omicidio. E dire che le occasioni non mi sono mancate.

Ovviamente non ho ascoltato una parola del suo brillante sfoggio di erudizione. Ero troppo preso ad augurarle mentalmente di strozzarsi con un boccone di torta. Il nostro dolce al cioccolato sembra piacerle particolarmente, motivo in più per detestarli. Lei e il dolce.

James mi sta ancora guardando sospettoso. Alzo le spalle con indifferenza e mi ficco in bocca un pezzo di toast. Lui scuote la testa e lancia un'occhiata sarcastica a Jeanine, prima di tuffarsi di nuovo sul vassoio della colazione. Allora una cosa in comune l'abbiamo: nemmeno a James sta simpatica quella donna.
Lo terrò presente, se mai mi servisse aiuto per occultare il suo cadavere.

- Abbiamo ultimato un prototipo di siero all'avanguardia per il secondo giro di simulazioni. La procedura di base è la stessa, ma ci sono dei particolari meccanismi da non trascurare - sta dicendo l'Erudita in questione a Will, che annuisce meccanicamente mentre mastica uova e pancetta.

Soffoco un'imprecazione tra i denti. Quale persona sana di mente parla di questi argomenti a colazione?

Nessuno degli Intrepidi che mi circonda sembra particolarmente sveglio e ricettivo, nemmeno Max che ha gli occhi puntati sul pavimento come se vi stesse leggendo la soluzione ai misteri dell'universo.

Mi isolo dal chiacchiericcio insistente di Jeanine richiamando alla mente i piacevoli ricordi di stanotte. Più precisamente, di questa mattina.
Mi sfugge un lamento di frustrazione che maschero prontamente con un colpo di tosse. Chi me lo ha fatto fare di uscire dalla mia stanza per piombare in questa dimensione da incubo, popolata da Eruditi saccenti e Intrepidi sonnolenti? Non avrei fatto meglio a chiudere la porta a chiave e avviluppare Zelda ben stretta tra le mie lenzuola per impedirle di fuggire?

Ti dispiacerebbe aiutarmi a spogliarmi?

Non userò mai più un asciugamano in vita mia.

Risento nelle orecchie i gemiti di Zelda, il calore inebriante della sua pelle a contatto con la mia, il sapore dolce, quasi fruttato, delle sue labbra; le sue mani su di me, dapprima incerte poi sempre più tenaci. Ho la mente talmente concentrata sull'immagine del suo corpo cosparso di mille gocce d'acqua che impiego qualche secondo di troppo a tornare nel mondo reale. Mondo nel quale Max mi sta ripetendo per la terza volta la stessa domanda.

- Sei strano stamattina - afferma, osservandomi con un sopracciglio inarcato. - Ti senti bene? -.

- Mai stato meglio -. Sto solo sbavando nel ripensare alla mia ragazza nuda, niente di preoccupante.
Sono tentato di dirglielo solo per vedere la sua reazione e quella di James, ma per stavolta lascio perdere. Non vedo l'ora che l'iniziazione finisca, così da poter sbandierare pubblicamente il mio legame con Zelda.

A proposito della trasfazione …

Devo ricordarmi di vendicarmi per la sua sfacciataggine di poco fa. Quando ho letto sulle sue labbra la parola 'doccia', ho davvero rischiato di sputare il caffè in faccia a James.

Mi ha colto di sorpresa. Ero tutto concentrato sul fratello Erudito: non l'ho perso di vista nemmeno per un secondo da quando l'ho visto entrare in mensa in compagnia di Zelda. Memore dell'episodio del Giorno delle Visite, ero pronto a scattare in piedi alla prima mossa sospetta contro la mia trasfazione. Ma lei non pareva infastidita, né impaurita, anzi lo guardava affettuosamente e chiacchierava fitto fitto con lui.

La sua occhiata provocante mi ha preso alla sprovvista, così come il modo in cui si è leccata le labbra. Un flirt in piena regola. E soprattutto sleale, perché non ho avuto il tempo di riprendermi e ripagarla con la stessa moneta. E' tornata a parlare col fratello come se niente fosse, poi si sono accomodati all'altro lato della stanza, senza più degnarmi di uno sguardo. Questo finché l'Erudito non ha iniziato a lanciarmi occhiate di fuoco senza un apparente motivo.

I suoi occhi verdi erano pieni d'accusa e ira. Già durante il Giorno delle Visite mi aveva classificato come il ragazzo di Zelda: ora, anche grazie al succhiotto in bella vista sul collo della trasfazione, ne ha avuto la conferma. Sì, amico, è opera mia. Sono innamorato di tua sorella e tu non ci puoi fare proprio niente.

Butto un'altra occhiata ai due Blackburn e li vedo impegnati in un'accesa discussione. Zelda ha le braccia incrociate al petto, i pugni stretti, il corpo in tensione. Mi chiedo cosa abbia scatenato questo improvviso cambiamento, visto che fino a pochi minuti fa rideva di gusto e scherzava allegramente col fratello.

L'Erudito - Damien, se non ricordo male -, le afferra le mani e le stringe tra le sue, come se stesse cercando di confortarla. Le dice qualcosa sottovoce e lei annuisce piano, ma percepisco il suo nervosismo anche da questa distanza.

Dopo alcuni secondi di silenzio, lui si sporge in avanti per posarle un bacio in fronte. Le mormora poche parole, poi si alza dalla panca con la compostezza tipica degli Eruditi. Lo osservo muoversi in mezzo al labirinto di tavoli e sedie con disinvoltura, ignorando gli sguardi truci degli Intrepidi.
A malincuore, mi ritrovo a provare una punta d'ammirazione per il suo sangue freddo. Se qualcuno osasse guardarmi in quel modo, non risponderei di me. Damien, invece, mantiene i nervi saldi e avanza attraverso la sala fino a giungere al mio tavolo.

Gli rivolgo un cenno e lui tentenna per un istante prima di ricambiare con un mezzo sorriso.
Direi che abbiamo appena raggiunto una tregua: probabilmente non mi darà mai la sua benedizione, ma forse non gli dà troppo fastidio che io ronzi intorno alla sorella. In ogni caso, la sua opinione non conta. Non ho certo bisogno del suo permesso per stare vicino a Zelda.

Damien Blackburn saluta rispettosamente tutti i Capifazione, prima di rivolgersi a Jeanine. - Signora, io torno al lavoro. Devo finire di collaudare il programma e apportare le ultime modifiche per adattarlo al nuovo siero -.
Il suo tono è pratico e professionale, la giusta dose di competenza più un pizzico di affettazione: il prototipo del perfetto assistente, insomma. Non mi stupisco che sia stato scelto da Jeanine in persona per sovrintendere il progetto sperimentale.

La Capofazione approva con un cenno. - Aspettami nella sala computer. Arrivo subito -.

Damien mi guarda un'ultima volta - ed è un'occhiata d'avvertimento in piena regola - prima di dirigersi verso l'uscita.













 

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Ciao gente! Dopo molta fatica, ecco il nuovo capitolo: scusate per l'attesa, ma questo mese proprio non ho avuto tempo per scrivere. Cosa ve ne pare? Scommetto che non vi aspettavate che Damien fosse così coraggioso (sia per aver rubato la password sia per aver tentato di dissuadere Eric dallo stare troppo vicino a Zelda) Ovviamente il nostro Capofazione non lascerebbe Zelda per niente al mondo, quindi il problema non si pone ;)

Dedico il capitolo a Kaimy e Kaithlyn, voi sapete perché. Grazie di tutto <3

Come al solito, vi aspetto su Facebook qui → https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

E per chi volesse leggere la scena della doccia, a rating rosso, la trovate nel secondo capitolo di Take my heart and let it burn ;)

Un bacio, a presto

Lizz

p.s. colonna sonora del capitolo: Heroes, di Måns Zelmerlöw *.*


 


 

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Capitolo 43
*** Ice, blood and rain ***






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Capitolo 42




 

Zelda




 

Tamburello con le dita sul ginocchio, a ritmo di una melodia che mi frulla in testa da stamattina. Giocherello con una ciocca di capelli, mentre osservo di sottecchi i miei compagni di iniziazione. Nessuno di loro sembra particolarmente entusiasta di riprendere il rituale delle simulazioni.

Quattro ci ha svegliati praticamente all'alba, intimandoci di prepararci psicologicamente alla terza fase del modulo, quella riservata al superamento dello 'scenario della paura', così l'ha definito lui. Ci ha spiegato in cosa consiste e come verremo valutati. Eric me ne aveva già parlato durante il nostro appuntamento ed ero perfino riuscita a scorgere un guizzo di terrore nella sua espressione. Se questa nuova prova a cui vogliono sottoporci fa paura al più giovane Capofazione Intrepido di tutti i tempi, deve trattarsi di qualcosa di veramente orribile.

Oggi si terrà l'ultima simulazione del secondo modulo, poi cominceremo ad esercitarci per la prova finale. Damien aveva accennato qualcosa su un progetto sperimentale, quindi presumo che l'obiettivo di quest'ultima prova sia quello di usare noi iniziati alla stregua di cavie da laboratorio. Avremo l'onore di testare il nuovo prototipo di siero.

Magnifico. Non sto nella pelle.

Come d'abitudine, io sono l'ultima della fila. Man mano che il corridoio si svuota, i miei muscoli diventano sempre più tesi. Sento la pelle formicolare come se il sangue avesse cessato di circolare ed una morsa mi serra lo stomaco ogni volta che la porta in fondo al tunnel si apre.

I minuti si trascinano lenti, perdo il senso del tempo. Perfino Melanie ha perso l'aria spavalda e ha sostituito la sua vivace parlantina con un muro di silenzio. Entrambe alziamo il capo quando il cigolio dell'acciaio annuncia che anche Xavier ha portato a termine il test.
Mi si stringe il cuore quando lo vedo uscire traballando dalla stanza, un'espressione vacua in volto e due profondi cerchi scuri attorno agli occhi, come se non dormisse da giorni. Faccio per alzarmi e andargli incontro, ma Quattro scuote impercettibilmente la testa e con uno sguardo mi intima di rimanere al mio posto.

Melanie ed io ci scambiamo un'occhiata. Xavier si allontana lungo il corridoio a passi malfermi, le braccia ciondoloni: la sua andatura meccanica non è per niente rassicurante.

Mi accorgo di tremare leggermente. Stringo forte la mano a Melanie prima che lei si alzi in piedi per seguire Quattro in quell'antro delle torture. Rimango a fissare la porta grigia per non so quanti minuti, finché non avverto un'altra presenza al mio fianco.

Un profumo familiare mi ha fremere le narici. So di chi si tratta senza nemmeno voltarmi. - Credevo che oggi non saresti venuto - affermo, sempre con lo sguardo puntato sull'ingresso della sala delle simulazioni. - Non dovevi andare in città con gli altri leader? -.

Eric si appoggia alla parete di fronte a me con la schiena. Con la coda dell'occhio lo vedo incrociare le braccia al petto. - Per lasciarti da sola con Quattro? Neanche morto - borbotta in tono cupo. - Potrebbe approfittarsi di te mentre sei incosciente. Non voglio correre rischi -.

Mi volto di scatto a guardarlo. Quando capisco che è la sua non è una battuta, scoppio a ridere di gusto. - Sei incredibile - mormoro, scuotendo la testa.

Vorrei proprio sapere come gli vengono certe idee.
Quattro in veste di maniaco? Ma per favore. È pura fantascienza.

- Sì, me lo dicono in molti - commenta lui, con fare svogliato. I suoi occhi non mollano i miei nemmeno per un istante. - Non stavo scherzando. Non ho intenzione di lasciare che quel Rigido ti tocchi, o ti consoli, quando posso farlo io. E poi James è stato più che felice di scambiare il suo turno di ronda col mio. Ha detto che, a differenza mia, ha cose più interessanti da fare di notte che andarsene in giro col fucile in spalla -.

Corrugo la fronte. - Oh, non ho dubbi in proposito. Da quel che ho sentito, ha molte ammiratrici tra le Intrepide. Forse anche più di te -.

Eric rotea gli occhi. - Cosa ci sia da ammirare in lui resta un mistero. E' vanitoso e pettegolo, una primadonna travestita da Intrepido -.

Nella mia testa si forma l'immagine di James in gonnella, con tanto di tacchi alti e boccolosa parrucca biondo platino.
Mi mordo le labbra per non ridere e rilascio un lungo sospiro. I commenti taglienti di Eric sono un toccasana per la mia ansia da simulazione. Sono felice che sia venuto ad assistermi. Se non ci fosse, dovrebbero inventarlo.

I minuti passano relativamente veloci quando sono in sua compagnia. Infatti, quando Melanie esce dalla stanza assieme a Quattro, la mia espressione si fa stupita: o è stata tremendamente veloce a superare la simulazione, o sono io ad aver perso il senso del tempo a causa dello sguardo infuocato di Eric.
Mi alzo e aspetto che Melanie mi raggiunga. Appare scossa, ha la pelle d'oca sugli avambracci, ma rifiuta categoricamente l'aiuto di Quattro, che l'aveva presa per il gomito per sorreggerla.

Mel lancia una rapida occhiata ad Eric, poi mi guarda e, nonostante tutto, riesce anche ad ammiccare maliziosamente. Mi rifila una pacca sulla spalla e mi sibila poche parole all'orecchio: - Preparati, questa volta è tosta -.

Il tono con cui pronuncia l'ultima parola mi dà i brividi. Si avvia verso il Pozzo, scortata dal nostro istruttore, che si gira una sola volta prima di sparire nel buio del tunnel. Rivolge uno sguardo d'avvertimento ad Eric, che risponde con un'occhiata che spero di non sperimentare mai nella vita. Odio allo stato puro.

Non appena entro nella stanza, il mio respiro inizia a farsi affannoso. Non ho mai sofferto di attacchi di panico, ma so riconoscere i sintomi.
Sul tavolino, accanto alla tastiera del computer, è appoggiata una siringa. La luce proveniente dal monitor illumina il liquido al suo interno, colorandolo di una densa sfumatura bluastra.

Stringo i pugni con talmente tanta foga che le unghie si conficcano nei palmi.
Non voglio quel siero dentro di me.
Se solo penso che è sono stati Jeanine e la sua squadra di scienziati a produrlo, mi sale la nausea. A giudicare dalle facce sconvolte dei miei compagni e da quello che ho sentito bisbigliare ad alcuni di loro nel corridoio, quel liquido dall'aspetto innocuo rende le allucinazioni ancora più realistiche. Si insinua più a fondo nell'inconscio, scava nella memoria per portare a galla le nostre peggiori paure.

Che razza di diavoleria hanno inventato gli Eruditi questa volta?

Devo esercitare tutta la mia forza di volontà per spronare le mie gambe ad avanzare fino alla poltrona reclinabile. Mi siedo rigidamente e chiudo gli occhi per concentrarmi sul ritmo del respiro. Sento Eric picchiettare qualche tasto, mentre sibila tra i denti insulti a caso contro Quattro.
Quel borbottio mi distoglie per un attimo dalla fase di meditazione. - Perché non provi ad andarci d'accordo? Non è così male. Ogni tanto fa perfino qualche battuta divertente -.

Eric non si scomoda a rispondere. Ho ancora le palpebre abbassate, per cui mi accorgo che si è avvicinato solo quando sento le sue labbra sul collo. Il tocco freddo dei piercing mi fa lo stesso effetto di una puntura di spillo: si propaga come un'onda lungo il mio corpo, scuotendo ogni mia terminazione nervosa.

Apro gli palpebre e per un istante mi sembra di naufragare in una pozza di piombo fuso: i suoi occhi sono vicinissimi ai miei, potrei facilmente mettermi a contare le sue ciglia una per una. - Rassegnati, Zelda. Non riuscirai mai a convincermi ad andare d'accordo con quel Rigido, o con chiunque altro -.

Traccio con l'indice il contorno delle sue labbra. - Quindi io sono un'eccezione anche in questo -.

Il suo sospiro si infrange contro il mio palmo. - Lo sei sempre stata, in tutto. Non so come, ma riesci a tirare fuori la parte migliore di me -. Si ritrae appena e mi posa una mano sulla coscia. - Non stupirti quando dico che non riuscirò mai a farmi degli amici. Le mie, già piuttosto esigue, dosi di pazienza e gentilezza sono riservate interamente a te -.

Quale onore. Lungi dal commuovermi per quest'ammissione, stringo le labbra. - Vorresti dire che la tua incapacità di socializzare è colpa mia? -.

Le sue dita si stringono attorno al mio ginocchio. - Al contrario. Se non fossi arrivata tu, probabilmente non avrei mai immaginato di poter provare qualcos'altro oltre a rabbia e odio. Mi sono addolcito molto da quando ti conosco -. Fa una smorfia schifata mentre lo dice e mi strappa un piccolo sorriso.

- Ne sono contenta - mormoro, e lui risponde scrollando le spalle.

Torna accanto al computer per prendere la siringa ed io distolgo lo sguardo quando preme lo stantuffo per liberare il liquido dalle bolle d'aria. Torna da me e mi tiene ferma la testa con una presa decisa, mentre avvicina la siringa al mio collo. Stringo i denti appena sento l'ago entrarmi sottopelle.
La simulazione deve ancora iniziare, ma ho già i muscoli paralizzati dalla paura.

Eric getta lo strumento diabolico nel cestino e si china su di me per darmi un bacio che dura troppo poco per i miei gusti.
Faccio per protestare, ma la voce mi rimane incastrata in gola. Il siero sta agendo in fretta: la vista si fa appannata e i contorni della stanza meno definiti. L'ultima cosa che noto prima che gli occhi si chiudano contro la mia volontà, è lo sguardo tormentato di Eric.





 

* * *




 

Una luce calda e dorata si posa sulle mie palpebre serrate: è quasi un invito a riaprirle.
Dopo aver buttato fuori l'aria dai polmoni in un lungo sospiro, mi decido a fronteggiare il potere del nuovo siero.

A noi due, malefico liquido azzurro.

Se mi aspettavo di vedere l'interno della mia vecchia casa come nella scorsa simulazione, rimango delusa.
E leggermente perplessa.

Attorno a me si estende un'immensa distesa di … ghiaccio. I miei piedi poggiano sull'unica roccia nel raggio di chilometri: sono sola, non avvisto nessuna forma di vita nei paraggi. Dopo un attimo di esitazione, mi inginocchio per toccare con mano la superficie di quella lastra grigio perla.
Mossa sbagliata.
Avrei fatto meglio a restare calma e immobile sulla roccia, aspettando che terminasse l'effetto del siero. Mi maledico da sola.

Mi ritraggo, stringendomi le braccia al corpo, mentre osservo con orrore crescente la crepa che si sta allargando sul ghiaccio.
La roccia trema sotto di me: mi sposto d'istinto, arretrando fino a posare gli stivali sulla lastra biancastra.
Appena in tempo.
Come se fosse stata colpita da una granata, la pietra si spacca a metà e affonda nella crepa che si sta espandendo a vista d'occhio.

Dalle profondità di quell'oceano ghiacciato proviene un rombo tale da farmi cedere le ginocchia. Le scosse che seguono sono violente, peggio di quelle precedenti. Mi rannicchio a terra e cerco di tacitare il battito forsennato del mio cuore.
La simulazione si nutre della paura che si espande nelle mie vene come fiele, devo assolutamente calmarmi.

Raggiungo dei risultati positivi solo dopo il quarto respiro profondo, ma vengono spazzati via dallo spettacolo raccapricciante a cui sono costretta ad assistere.

Dalla ramificazione di crepe comincia a fuoriuscire un liquido denso, color cremisi, che in breve tempo imbratta ogni centimetro della lastra di ghiaccio. Vorrei spostarmi, fuggire, correre via da quell'orrore, ma c'è qualcosa che mi blocca. Qualcosa di concreto.

Due tentacoli neri, simili a quelli che mi avevano tenuta prigioniera nella prima simulazione, sono avvinghiati alle mie caviglie. In un tentativo disperato, cerco di staccarli e spezzarli usando le mani. Inutile: rimedio solo un taglio sul palmo e alcune unghie spezzate.

Trattenendo un singhiozzo, tento di afferrare qualcosa per impedire a quei lacci di trascinarmi all'interno di una delle voragini da cui continua a eruttare quel fluido rosso, dall'odore penetrante e rugginoso. Alcune lacrime, di frustrazione e impotenza, mi scorrono sulle guance quando capisco che resistere è impossibile.

Smetto di opporre resistenza. Rilasso le braccia e trattengo il fiato nell'avvertire il liquido strisciare sotto i vestiti, caldo e appiccicoso a contatto con la pelle. Ormai sono immersa fino alle spalle: l'odore dolciastro mi provoca dei conati, ho i capelli totalmente impregnati di quella sostanza vischiosa.
E' sangue, non ci sono dubbi. Ho tentato di non pensare a quella parola fino a ora, fingendo che fosse una qualche specie di vernice, ma ho troppa esperienza con incidenti e ferite per confonderlo con altri liquidi. Un'esperienza in particolare spicca tra i miei ricordi, ma non intendo riviverla ora.

Tengo la testa più in alto che posso, posticipando il momento in cui quel mare rossastro mi inghiottirà.
Eppure l'unico modo per uscire da quest'incubo è proprio quello: devo lasciarmi affogare.
Devo sottomettermi al potere del siero.

E sia.

Dandomi la spinta con le braccia mi lascio scivolare sotto il ghiaccio. Non appena immergo totalmente la testa in quel mare rossastro, capisco che è la cosa giusta da fare. Un ronzio indistinto mi invade le orecchie, anticipando la fine della prova.

Un ultimo sforzo, Zelda.

I polmoni bruciano per mancanza di ossigeno. Lo stimolo di respirare si fa sempre più pressante, il mio corpo reagisce in modo involontario. Apro la bocca, aspettandomi di avvertire il sapore dolciastro del sangue sulla lingua, invece non accade nulla.

Inspiro un odore pungente, un misto di disinfettante e rivestimenti in pelle. Allargo le dita e tasto delicatamente le cuciture sui bordi della poltrona reclinabile, tanto per sincerarmi di essere veramente fuori pericolo.
Apro gli occhi con cautela e mi ritrovo a fissare le crepe sul soffitto della sala delle simulazioni.

Ce l'ho fatta.

Esalo un sospiro tremante e mi rannicchio su me stessa, stringendomi le gambe al petto.
Tremo come se fossi in preda alle convulsioni, in modo incontrollabile. Avverto alternativamente caldo e freddo, il cuore che martella incessantemente contro le costole. Mi sembra di soffocare, come se i polmoni si fossero improvvisamente rimpiccioliti, arrivando a misurare una manciata di centimetri.
Mi sporgo in avanti, portandomi le mani alla gola.

La voce agitata di Eric giunge soffocata alle mie orecchie, come se si trovasse dalla parte opposta della stanza e si limitasse a bisbigliare.
Mi lacrimano gli occhi e il mio respiro si fa sempre più veloce. La sensazione di soffocamento non accenna ad attenuarsi, mi sento come se qualcuno mi stesse stringendo con violenza la trachea.

Le pareti della stanza ondeggiano davanti ai miei occhi: l'unica cosa a cui riesco a pensare è che devo uscire da qui, se voglio tornare in me.
Non so cosa contenesse quel siero, ma era dieci volte più potente dell'ultimo che ho sperimentato.
Sento un gran calore espandersi nel petto, la pelle tirare e pizzicare. Ho la fronte e le guance ricoperte di sudore freddo.

I muscoli scattano come quelli di un animale tenuto per troppo tempo al guinzaglio. Mi alzo dalla poltrona, inciampando nei miei stessi piedi e scanso con ferocia le braccia di Eric, fattosi avanti per afferrarmi prima che cadessi. Mi sbuccio un ginocchio, ma ho talmente tanta adrenalina in circolo da non sentire più niente al di fuori di quella morsa rovente ai polmoni.

Alle mie spalle Eric continua a chiamarmi, dicendo frasi che mi paiono prive di senso.
Il mio cervello è come racchiuso in una bolla insonorizzata, che respinge ogni stimolo proveniente dall'esterno. Le mie gambe si muovono in automatico, portandomi in direzione del Pozzo. Alla vista di quell'ambiente affollato e rumoroso, dalla gola mi esce un rantolo.

Mi manca l'aria, i vestiti che indosso mi paiono stretti alla stregua di rampicanti. Quasi mi strappo di dosso la maglietta mentre corro verso gli ascensori che conducono al tetto. Premo freneticamente uno dei pulsanti luminosi: la cabina impiega troppo tempo a scendere, mi fa perdere la pazienza.

Spingo con rabbia la porta che cela le scale di emergenza e mi avvio su per le rampe, salendo i gradini a due a due. Quando giungo alla fine, la furia che animava i miei muscoli si spegne di colpo, come se avessi premuto un interruttore. Mi sento svuotata, inerme come una farfalla racchiusa in una teca di vetro.

Il cielo sopra di me è dello stesso colore degli occhi di Eric: grigio acciaio, solcato da nuvole più scure, cariche di pioggia. Scorgo una scia luminosa in lontananza, seguita da un rombo simile a quello che ho avvertito nella simulazione, poco prima che il ghiaccio di spezzasse.

Inizio a battere i denti: non capisco se è per la paura, o per la sferzata di aria fredda che mi colpisce le spalle nude come uno schiaffo. L'adrenalina che mi manovrava fino a pochi secondi prima pare essersi prosciugata: mi accascio a terra e rimango immobile, con lo sguardo perso nel vuoto.

La pioggia inizia a cadere, infradiciandomi in breve tempo i pochi abiti che mi sono rimasti addosso: ho tolto scarpe e calzini strada facendo, restando in pantaloni e reggiseno. Mi sembra di avvertire ancora quel liquido vischioso sul viso, in mezzo alle dita, sotto la stoffa dei jeans.
Strizzo le palpebre ed escludo dalla mente ogni suono che non sia lo scrosciare incessante della pioggia e il ruggito lontano dei tuoni.

Mi stringo le braccia attorno al busto e lascio che l'acqua fredda mi scorra sulla pelle, spegnendo l'incendio che mi opprimeva il petto. Dopo alcuni minuti ricomincio a respirare con regolarità, espandendo con soddisfazione i polmoni. Mi sento rinata, di nuovo padrona di me stessa.
Apro gli occhi e, tra le ciglia cosparse di piccole gocce trasparenti, mi accorgo che c'è qualcuno al mio fianco, una figura nera che si frappone tra me e il cielo.

Le iridi di Eric sono più cupe delle nuvole tempestose. Indugiano qualche istante sulla pelle scoperta dei miei fianchi, per poi incollarsi ai miei occhi come se volessero estrarmi i pensieri direttamente dalla testa.

Eric alza le mani con estrema lentezza, mostrandomi i palmi aperti e tentando di rassicurarmi con lo sguardo. La sua espressione, preoccupata e decisa allo stesso tempo, vale per me più di mille parole di conforto.

Mi getto su di lui con impeto, circondandogli la vita con le braccia e seppellendo la faccia nella sua maglietta.
Lui rimane impietrito dalla mia reazione: forse pensava che volessi allontanarlo come ho fatto poco fa nella stanza delle simulazioni. Lo stringo ancora più forte, il corpo scosso da singhiozzi silenziosi. - Scusa - balbetto, tirando su col naso. - Non so cosa mi sia preso -.

Lo sento sospirare come se si fosse tolto un peso enorme dal cuore. - Non è colpa tua. Quel siero … non ho mai visto niente del genere - mormora, posando una mano al centro della mia schiena. La differenza di temperatura tra il suo palmo caldo e la mia pelle umida di pioggia mi fa sussultare. - Non so come ci siano riusciti, né che formule abbiano usato, ma quel liquido penetra molto più a fondo rispetto a quello che usavamo all'inizio. Scava nella memoria, risveglia ricordi sepolti nelle zone più oscure della mente -.

Affondo il viso nell'incavo del suo braccio, mentre lui fa scorrere le mani quasi distrattamente lungo la mia schiena.
Ad un certo punto, forse stanco del mio mutismo, Eric mi obbliga ad incrociare i suoi occhi. Mi scosta i capelli dalla fronte e mi afferra il viso per impedirmi di distogliere lo sguardo dal suo. - Dimmelo - ordina, in tono perentorio.

So che si riferisce al ricordo che ha innescato la simulazione, glielo leggo negli occhi.
Deglutisco, sentendo in bocca un gusto amaro, e tento di sottrarmi alla sua presa, ma riesco solo a farlo innervosire. - Non intendo ripetermi - sbotta, e nella sua voce affiora una nota rabbiosa che mi lascia di stucco.
Osservo meglio i suoi lineamenti e mi accorgo solo ora di quanto sia rigida la sua mascella.
È più che arrabbiato: è incazzato nero. Ma perché?

Mando giù la saliva a fatica. - Avevo … avevo quattordici anni. Mi trovavo in periferia, poco oltre il quartiere degli Abneganti -. Prendo fiato e sondo l'espressione di Eric. Pare più rilassato rispetto un minuto prima, ma la ruga sulla sua fronte non accenna a svanire. - Ci ero andata assieme ai miei compagni del corso di biologia per studiare le piante velenose che crescono vicino alla palude. Gli insegnanti e alcuni Intrepidi ci avevano scortati fin lì e pattugliavano i dintorni. Mi chiedevo perché fossero tutti nervosi finché … finché un uomo non è sbucato dal nulla. Ho capito subito che era un Escluso: indossava dei pantaloni gialli, una maglietta azzurra e un gilet grigio -. Non mi sorprendo di riuscire a ricordare anche quei dettagli insignificanti. Quel giorno mi ha segnato profondamente, facendomi capire fino a che punto la disperazione possa agire sulla psiche di una persona. - Conoscevo quell'uomo. Lo avevo visto parecchie volte vicino all'ospedale, a mendicare. Era gentile, mi salutava sempre, una volta ha perfino aiutato i paramedici a scaricare dei feriti dall'ambulanza. Ma quel giorno era diverso: i suoi lineamenti erano contorti dalla rabbia, sembrava un mostro. Aveva un fucile tra le mani e quando ha cominciato a sparare … -. Mi blocco e chiudo con forza le palpebre. Ho la scena impressa nella mente, talmente precisa che mi pare impossibile risalga a più di due anni fa. - C'era così tanto sangue. Prima che un Intrepido lo uccidesse, l'Escluso aveva sparato a più di venti persone, me compresa -. Abbasso lo sguardo sulla mia spalla destra, indicando una sottile cicatrice ormai sbiadita. - Mi ha preso solo di striscio per fortuna, così ho potuto aiutare gli altri. Quando sono tornata a casa avevo i vestiti e le braccia ricoperte di sangue. Non è morto nessuno, ma ho avuto incubi per mesi -.

Eric traccia con un dito i contorni seghettati del taglio e aggrotta la fronte. - Ricordo quell'episodio. Ha fatto molto scalpore, i giornali ne hanno parlato per settimane -. Scuote la testa e mi accarezza le guance. - Mi dispiace -.

Quasi non lo ascolto. Sto ancora ripensando all'Escluso, ai suoi occhi lucidi di follia. Aveva lo sguardo disperato e rassegnato, simile a quello che mi ha lanciato Oliver prima di gettarsi all'indietro nello strapiombo. Lo sguardo di chi non ha nulla da perdere, nulla per cui continuare a vivere.

Da quel giorno mi sono spesso chiesta se il sistema delle fazioni fosse davvero quel meccanismo ineccepibile che ci avevano insegnato a rispettare e studiare fin dalla nascita. Probabilmente anch'io, se un giorno dovessi diventare un'Esclusa, coverei del risentimento verso la società.
Emarginati, dipendenti in tutto dalla carità degli Abneganti e obbligati a sottostare ad un governo che non agisce mai nel loro interesse.

Come possiamo pretendere che gli Esclusi non si ribellino?
A me pare un dato di fatto. Una semplice legge di causa ed effetto, azione e reazione come nei principi della dinamica.

Persa nei miei pensieri, mi sono estraniata dal mondo, scordandomi totalmente della presenza di Eric. Quando riporto gli occhi nei suoi, noto che il suo sguardo si è fatto più gentile.

Mi faccio più vicina e lui mi asseconda: il suo abbraccio mi avvolge come una coperta, facendomi dimenticare perfino lo sferzare della pioggia che sta trasformando il tetto in un'enorme pozzanghera.

China la testa e mi bacia una spalla. - Non farlo mai più - sussurra sulla mia pelle, con voce grave. - Non scappare più in quel modo -.

Ora comprendo perché prima era così infuriato. In preda al panico l'avevo respinto, impedendogli di toccarmi ed ero corsa via senza fornirgli spiegazioni. In quel momento ho pensato solo a me stessa, mi sono lasciata guidare dall'istinto di sopravvivenza, ignorando tutto il resto.

Eric risale con la bocca il mio collo, leccando via le gocce d'acqua che incontra lungo il percorso.
Quando si ritrae per parlarmi, mi sento rimpicciolire sotto il suo sguardo carico di rimprovero. - Non mi sono mai spaventato tanto in vita mia, forse più di quando Oliver ha tentato di spararti. E dire che avevi ottenuto un ottimo tempo, appena tre minuti e mezzo. Quando ti ho vista schizzare via in quel modo ho temuto il peggio -. La voce sembra abbandonarlo e distoglie gli occhi da me come se si vergognasse. - Non farmi mai più una cosa del genere -.

- Ero sconvolta, non riuscivo a respirare. Non mi sono fermata a riflettere -. Gli massaggio i muscoli tesi delle spalle e lo sento rilassarsi poco a poco. - Hai ragione, avrei dovuto almeno ascoltarti. Scusami -.

Eric inclina il capo di lato, le iridi percorse da una scintilla divertita.
Sembra aver ritrovato il buonumore, non posso che esserne sollevata. - Potresti ripetere? - chiede, sporgendosi in avanti col busto finché non mi ritrovo distesa con la schiena sul cemento bagnato.

- Ti ho detto che mi dispiace e che avrei dovuto ascoltarti … -.

Scuote la testa e si abbassa così tanto su di me che sento i contorni dei suoi addominali premermi sul ventre. - Prima di questo - ribatte, afferrando tra indice e pollice una delle spalline del mio reggiseno. La tira leggermente verso di sé prima di farla scorrere oltre la mia spalla.

Ripeto tra me il nostro dialogo. Quando capisco il suo gioco, alzo esasperata gli occhi al cielo. - Dovresti prendere provvedimenti. Il tuo ego si è talmente gonfiato che credo il tuo corpo fatichi a contenerlo tutto -.

- So quanto tu tenga al mio corpo, ma ti assicuro che sta benissimo - replica e, tanto per confermarmi quell'affermazione, struscia il bacino contro il mio. Poi, con i denti, abbassa anche l'altra spallina del reggiseno.

Se c'è una cosa che Eric sa fare bene, è distrarmi. Riesce a farmi sorridere nei momenti più impensati e ho appena scoperto che i suoi baci sono la cura perfetta contro gli attacchi di panico.

- Hai ragione - mormoro, quasi gemendo sotto gli assalti delle sue labbra. Mi è corso dietro come un vero cavaliere, senza curarsi di cosa potrebbero pensare gli altri membri della fazione. Il minimo che possa fare è dargli ciò che vuole. - Ho detto che hai ragione -.

Per tutta risposta, lui si avventa a baciarmi con foga.
Infilo le mani sotto la sua maglia, spingendo verso l'alto la stoffa finché non riesco a sfilargliela del tutto. Interrompe il bacio solo per gettarsela alle spalle, poi torna a coprirmi col suo corpo.

Il contatto tra le nostre pelli mi fa pensare allo sfregamento di due pietre focaie: l'attrazione tra noi è potente, paragonabile alle scariche elettriche dei fulmini che sfrecciano sopra di noi. Quasi mi stupisco che l'acqua attorno a noi non inizi ad evaporare man mano che il bacio si fa più passionale.

- Mi piace quando mi dai ragione - dichiara Eric dopo alcuni minuti, lasciando emergere il suo fidato ghigno. - Peccato che accada così raramente … -.

Chissà perché. Approfitto del suo attimo di distrazione per spingerlo di lato e gli rotolo sopra. - Oggi mi sento generosa. Ti sei guadagnato quelle due paroline magiche, ma non farci l'abitudine -.
Gliele ripeto più volte, come se stessi canticchiando una canzone, mentre scendo a baciargli il collo, il petto, le spalle.

Eric mi lascia fare per un po', poi intreccia una gamba tra le mie e mi afferra i fianchi per invertire le posizioni.
Non sento più il gancetto del reggiseno premermi sulla schiena e non mi stupisco più di tanto quando vedo che il Capofazione stringe l'indumento nel pugno, come un trofeo.

Sbuffo, ma non posso impedirmi di sorridere. - Ci hai preso gusto a spogliarmi, eh? - domando, mentre lui china la testa per posarmi un bacio nell'incavo tra i seni.

Eric fa scorrere le dita fino alle mie scapole, facendo leva per farmi inarcare verso di lui. Muove le labbra in circolo fino a raggiungere il mio ventre. Ad ogni movimento i piercing mi solleticano l'epidermide, causandomi dei fremiti in tutto il corpo.
Le sue dita afferrano il bordo dei miei pantaloni e si impadroniscono del bottone, sfilandolo dall'asola senza esitare. - Non ne hai idea, piccola -. Mi inchioda con uno sguardo di fuoco mentre tira giù anche la cerniera. - Non ne hai idea -.









 

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Ciao gente! Ogni tanto mi rifaccio viva. Chiedo scusa per il ritardo e vorrei approfittare di questo angolino per ringraziarvi! Quando ho iniziato questa storia, quasi per gioco, non pensavo che avrebbe ottenuto tutti questi risultati: ben 305 recensioni, 105 di voi l'hanno inserita tra le preferite e 101 tra le seguite. Che dire? Sono veramente commossa e spero di non deludervi. Il sostegno che mi date, anche con poche parole, è veramente ciò di cui ho bisogno per non arrendermi quando ho il cosiddetto 'blocco' (cosa che capita spesso in questo periodo, sarà lo stress).

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi invito a dare un'occhiata anche alla storia collegata a questa, ovvero 'Take my heart and let it burn', che contiene dei capitoli extra ;) Per chi volesse, ho scritto anche un'altra breve long su Zelda ed Eric, ambientata in un contesto diverso [Share your horizon with mine].

Vi lascio come al solito il link della mia pagina Facebook, utile per rimanere al passo con gli aggiornamenti → https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

Un bacio a tutti da Lizz ;)

p.s. non ho avuto tempo per rispondere alle recensioni che mi avete lasciato, ma lo farò al più presto. Grazie ancora!


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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Capitolo 44
*** Journey to the past ***







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Capitolo 43



 

Zelda



 

Inspiro a pieni polmoni l'aria frizzante del mattino, ricca di odori che mi fanno ripensare ai momenti trascorsi assieme a mia madre quando ero bambina. L'aroma di erba tagliata, arricchito da una nota salmastra proveniente dalla vicina palude, mi ricorda le nostre camminate silenziose in mezzo ai cespugli del sottobosco.

Mia madre collaborava con il laboratorio di farmacia dell'ospedale, specializzato in medicina naturale. E' grazie a lei se ho imparato a riconoscere i vari tipi di piante e servirmene in caso di bisogno.

Appoggio un ginocchio a terra e strappo un ciuffo di menta piperita che fa capolino da un cespuglio di anonime erbacce infestanti. Lo porto al naso e ne inspiro l'aroma frizzante e pungente. Strofino la fogliolina tra le dita, prima di strapparne un pezzo con i denti.

Inizio a masticarla sotto lo sguardo sconvolto e schifato di Melanie. - Tu non stai bene - mi accusa, arricciando il naso. - Stai cercando di avvelenarti? Forse è un effetto posticipato del siero, dovresti farti controllare -.

Alzo gli occhi al cielo. - E' solo menta. Ne vuoi un po'? -. Le porgo quel che rimane del ciuffo di foglie, ma lei lo allontana da sé come se si trattasse di un mazzo di ortiche.

Prima che possa gettarlo a terra e calpestarlo, Leslie la precede e glielo ruba da sotto il naso. Annusa le foglioline spugnose con aria nostalgica. - Mi fa venire in mente la mia vecchia fazione. Cresce praticamente ovunque attorno alle fattorie, perfino in mezzo ai campi -.

Mordicchia un angolino della foglia, con lo sguardo perso all'orizzonte. Melanie guarda ancora con sospetto l'innocua piantina di menta per qualche istante, poi scrolla le spalle e si passa una mano tra i capelli.

Entrambe seguiamo la traiettoria dello sguardo di Leslie, puntato sui grandi spazi verdi e gialli che si stagliano al di là della recinzione. La spessa rete di metallo sormontata da filo spinato pare infinita vista da qui: si estende per chilometri, fino a dove arrivano i miei occhi e anche oltre.

Ai suoi piedi ci siamo noi, un gruppetto sparuto di iniziati che ci guardiamo attorno con soggezione.
Alcuni di noi, più precisamente Paul, Nora e Felix, sono rimasti alla Residenza, confinati in infermeria. Il nuovo siero ha avuto degli effetti inattesi su di loro, provocando nausea e capogiri. Non li invidio per nulla: l'attacco di panico che mi ha causato quel liquido malefico è stato più che sufficiente. Evidentemente Jeanine non aveva previsto questa falla nel suo prezioso progetto sperimentale, perché un team di scienziati è accorso ad analizzare l'anomalia subito dopo il termine delle simulazioni.

Tipico zelo di origine erudita.

Quelli di noi che sono usciti pressoché incolumi dall'incontro col siero, sono stati esonerati da qualsiasi attività programmata per un paio di giorni, in attesa che gli Eruditi terminino le loro ricerche.
Questo non significa che Quattro ci abbia lasciati a poltrire a letto o gironzolare per il quartiere a nostro piacimento. Al contrario, ci ha fatti alzare all'alba tutte le mattine e ci ha accompagnati in giro per la città per mostrarci la vera vita da Intrepidi.
Oggi, dopo un breve viaggetto in treno, ci ha condotti alla recinzione e ci ha spiegato i vari compiti dei soldati che marciano senza sosta lungo la rete metallica coi fucili in spalla: controllare che nessuno si avvicini troppi ai confini, esaminare i carri dei Pacifici - gli unici autorizzati ad entrare e uscire - che riforniscono la città di frutta e verdura, pattugliare la strada. Insomma, un lavoro piuttosto ripetitivo e, secondo quanto ha detto, privo di possibilità di avanzamento in carriera.

Non mi pare un'opzione così allettante come ho sentito ripetere a Melanie: spero proprio di rientrare tra i primi cinque della classifica, così potrò scegliere da sola il lavoro che più mi si addice. Sono sempre più convinta che mettere a disposizione della fazione le mie doti mediche sia la scelta più giusta.

Osservo soprappensiero la coppia di soldati che mi passa accanto e mi sforzo di ricambiare i loro sguardi impassibili. Sono entrambi sulla trentina e fissano me e le mie amiche con distacco. Il sorriso arrogante che ci rivolgono prima di proseguire con la loro marcia è molto simile a quello che ci riserva Eric ogni volta che ci incrocia nei corridoi.

Ci sfottono, in pratica.

Sulle mie labbra si forma un sorriso sarcastico. Dopo quel pomeriggio sul tetto, durante il quale non abbiamo fatto altro che baciarci e accarezzarci, ho visto il mio caro Capofazione solo questa mattina, poco prima di uscire dalla Residenza.
Non ci ha risparmiato le sue solite frecciatine taglienti, ho dovuto mordermi la lingua per non rispondergli a tono. Detesto quando fa il prepotente, ma dubito di riuscire a smussare questo lato del suo carattere. È fatto così e probabilmente non cambierà mai.

Mentre gli altri iniziati chinavano il capo al suo passaggio, quasi fosse una specie di divinità scesa in terra, io ho continuato a fissarlo negli occhi per tutto il tempo. Vedevo dal suo sguardo che aveva qualcosa in mente, ma non ho capito cosa fosse finché non mi si è piazzato di fronte. Quando mi ha afferrato il mento credo di aver lanciato un gridolino, più per la sorpresa che per autentico timore. È da un pezzo che Eric ha smesso di farmi paura.

Lui si è chinato su di me e per un folle attimo ho creduto che mi avrebbe baciata davanti a tutti. Stavo per respingerlo, per impedirgli di compiere un gesto sconsiderato come quello, ma le sue parole mi hanno anticipata. “Fai bene a portarli a spasso”, ha detto, rivolto al nostro istruttore. “Hanno bisogno di prendere un po' di sole. Sono tutti così pallidi”.

Il suo tono fintamente preoccupato non ha incantato nessuno. Quattro ha proseguito lungo il tunnel senza degnarlo di una risposta ed i miei compagni si sono affrettati a seguirlo, intenzionati a rimanere nel raggio di azione di Eric il meno possibile.
Approfittando dell'assenza di sguardi indiscreti, mi sono scrollata di dosso la sua mano e gli ho lanciato un'occhiata stizzita, che ha suscitato una risatina da parte sua.

Eric si è scostato da me e mi ha lasciata passare. Non prima di avermi dato una pacca sul sedere, però. - Goditi la gita, piccola - ha mormorato, con un'espressione fin troppo compiaciuta sul volto.

Gli ho risposto alzando il medio e mi sono affrettata a rincorrere i miei amici, che mi avevano distanziata di un bel pezzo. L'eco della sua risata sommessa mi ha perseguitato finché non ho imboccato la rampa di scale che conduce al tetto. A quanto pare il mio caro ragazzo si diverte un mondo ad indispettirmi. Prima o poi gli farò passare la voglia, parola mia.

Un'altra coppia di soldati ci passa di fianco, ma questi non sembrano nemmeno prenderci in considerazione. Sono un uomo ed una donna, e si vede lontano un miglio che tra loro c'è una forte complicità. I loro volti mi paiono familiari, probabilmente li avrò incrociati al Pozzo o in mensa. Li osservo attentamente e trasalisco quando mi rendo conto che il ragazzo alto e moro è lo stesso che mi ha fatto l'occhiolino l'altra mattina, dopo aver notato il succhiotto sul mio collo.

Me la do a gambe prima che mi riconoscano, lasciando Melanie e Leslie a chiacchierare con Scott e Xavier. Infilo le mani in tasca ed alzo lo sguardo sul filo spinato che delimita la recinzione. Nessuno ha mai saputo spiegarmi con chiarezza per quale motivo è stata costruita: gli insegnanti e gli adulti a cui ho posto la domanda mi hanno propinato risposte vaghe e per nulla convincenti.

Studio in silenzio la struttura imponente di rete metallica, fantasticando su come deve essere il mondo all'esterno. Mi sarà mai concesso di attraversare la barriera per scoprirlo?

Sospiro e scuoto la testa per liberarmi di quei pensieri che poco si accordano con la mentalità della mia nuova fazione. La mia curiosità da Erudita non è facile da sopprimere, ma devo darci un taglio. Mi sto impegnando al massimo per diventare un'Intrepida: il mio compito in futuro sarà quello di proteggere gli abitanti della città e assicurarmi che nessuno di loro attenti alla propria incolumità, mettendo piede fuori dai limiti stabiliti. Me compresa.

Alzo la testa per godermi i pochi raggi di sole che riescono a bucare lo spesso strato di nubi. Il calore è piacevole e conto di assorbirne il più possibile, visto che fra poco torneremo al nostro rifugio sotterraneo e chissà quando ci permetteranno di uscire di nuovo. Le parole di Eric mi risuonano nelle orecchie e, a malincuore, devo dargli ragione: da quando mi trovo alla Residenza la mia pelle ha perso progressivamente colore, diventando quasi grigiastra. Di questo passo diventerò albina.

Un fischio acuto richiama la mia attenzione. Mi guardo attorno con curiosità, scorgendo Zeke qualche metro più il là: tiene il fucile a tracolla e mi fa segno di avvicinarmi, abbagliandomi con un sorriso a trentadue denti. Alla sua destra, Quattro alza gli occhi al cielo. Quando fanno così, assomigliano in maniera impressionante ai due gemelli.

Vado loro incontro e Zeke mi passa un braccio attorno alle spalle. - Ehi, bellezza - esclama, dandomi un'amichevole strizzata. - Stavo giusto dicendo al tuo istruttore quanto mi abbia fatto piacere vedervi. Questo lavoro può diventare davvero noioso a volte -, ammette, indicando con un cenno del capo la squadra di Intrepidi appostata davanti al cancello. - Ma se ci sei tu è tutta un'altra storia. Vederti mi ha illuminato la giornata. E poi ... -.

- Sì, sì, abbiamo afferrato il concetto - lo interrompe Quattro, rifilandogli una spallata giocosa. - Ora piantala di parlare e torna a lavorare -.

Zeke risponde con una smorfia offesa ed è restio a lasciarmi andare. Solo dopo essere stato richiamato da un altro Intrepido, probabilmente un suo superiore, si decide ad allontanarsi. Mi schiocca un bacio sulla guancia e ci saluta sventolando il fucile. - A dopo, amico - dice a Quattro, che annuisce prima di avviarsi nella direzione opposta.

Do anche io le spalle al cancello da cui stanno entrando i carri dei Pacifici, carichi di frutta appena raccolta, e vado dietro al mio istruttore. Non so perché ma ho la strana sensazione che voglia che lo segua.

Quattro si ferma in cima ad una bassa collinetta ricoperta d'erica e si volta a guardarmi. La sua espressione divertita mi lascia interdetta per un attimo. - Mi stai spiando, trasfazione? - chiede, posizionandosi a braccia conserte.

Avvampo e scuoto la testa. Forse il mio intuito fa fatto cilecca questa volta: non mi sembra contento di avermi tra i piedi.
Magari voleva solo restarsene da solo per qualche minuto e io gli ho scombinato i piani. Indecisa se tornarne indietro oppure no, rimango a fissare i suoi occhi blu zaffiro finché una parola, un nome, non mi sfugge dalle labbra. - Tobias -, mormoro, e lo vedo irrigidirsi, trattenere il respiro.

Nel realizzare la reale portata della mia affermazione, mi tappo la bocca con la mano e lo guardo ad occhi sbarrati.
Cosa diavolo mi salta in mente? Perché mi sono lasciata sfuggire quelle poche sillabe? Avevo giurato a me stessa che mai più avrei rivangato il passato, che non mi sarei intromessa in questioni che non mi riguardano. Eppure eccomi qui, a rivelare al mio istruttore che io so. Che ricordo. Che sono una dei pochi a conoscere la vera storia della famiglia Eaton.

Lo sguardo di Quattro non si separa dal mio per un lungo momento. Non capisco cosa provi: sembra in balia di un intenso vortice di emozioni e rimane immobile a soppesarmi, come un falco predatore che vola in circolo sopra la preda, valutandola con cautela, prima di scendere in picchiata ed imprigionarla tra gli artigli.

Il silenzio prende forma attorno a noi, così denso e teso che mi sento stringere la gola. Dopo alcuni minuti di stallo, lui esala un lungo sospiro e si lascia cadere sull'erba secca. Si siede a gambe incrociate e chiude gli occhi. - Mi chiedevo quanto ci avresti messo a ricordarti di me - bisbiglia, intrecciando le dita tra gli steli d'erba. Ne strappa alcuni, prima di aprire le palpebre: nelle sue iridi scure scorgo solo rassegnazione. Vedendo che non accenno a parlare e continuo a guardarlo intimorita, batte un palmo a terra per invitarmi a sedermi.

Lo faccio in modo meccanico, senza distogliere lo sguardo dal suo. - Io non … -, mi schiarisco la voce. - Non intendevo riaprire vecchie ferite. Non so nemmeno perché l'ho detto. Io … mi dispiace. Non lo dirò a nessuno, te lo prometto e … -.

Quattro fa un mezzo sorriso. - Zelda, respira. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, non ho intenzione di punirti per questo. Non sentirti in colpa per qualcosa che non hai potuto controllare o dimenticare -.

Deglutisco. Il suo tono si è fatto più dolce, mi ha preso alla sprovvista. Credevo mi avrebbe gridato contro, intimandomi di non immischiarmi in faccende personali che non mi riguardano, invece mi sta fissando con gentilezza e … riconoscenza?

Stacca gli occhi da me per puntarli sui campi verdi che si intravedono oltre la rete metallica. - Io ti ho riconosciuta dal primo istante, sai? Ero piccolo, ma ricordo perfettamente quel giorno, come se fosse ieri -. Fa una pausa, prende un altro respiro profondo. - Invece tu non avevi capito chi ero, vero? -.

Scuoto il capo. - E' stato grazie ad Eric. Ti ha chiamato 'Rigido' e … -. Mi mordo la lingua prima di confessare qualcosa di compromettente. Tipo che il Capofazione ed io siamo usciti insieme dalla Residenza e che abbiamo una relazione. Quattro potrà anche essere un Intrepido a tutti gli effetti, ma la sua natura di Abnegante influenza ancora molto il suo modo di vedere le cose. Se gli dicessi che ho trascorso più tempo nella stanza di Eric che nel mio dormitorio, di sicuro gli provocherei un infarto.

Nell'udire il nome di Eric, il mio istruttore drizza le orecchie. Ora sembra veramente furioso. - Eric, eh? - bofonchia, strappando un ciuffo d'erba con violenza. - Fammi indovinare: si stava pavoneggiando come suo solito e per caso gli è sfuggito il mio vero nome -. L'amarezza nella sua voce cela una paura più profonda: quella di venire smascherato davanti a tutta la fazione.

- L'ha detto solo a me - mi arrendo a confessare. - Eravamo soli quando me l'ha rivelato. E io non lo dirò a nessuno, lo giuro -.

Il suo cipiglio si fa ancora più cupo. Scommetto che se avesse Eric a portata di mano, non esiterebbe a tirargli un pugno. - Cosa c'è tra voi? - mi chiede bruscamente, facendomi sussultare.

Mi ha messo con le spalle al muro, per cui negare sarebbe solo una perdita di tempo: non sono mai stata troppo brava a raccontare bugie.

Mi stringo nelle spalle. - Mi sono innamorata di lui. Non chiedermi com'è successo, perché non lo so nemmeno io - replico, e per poco non scoppio a ridere davanti alla sua faccia sconvolta. Mi sento stranamente a mio agio a parlare con Quattro.

- Non avrei mai pensato di dirlo, ma è evidente che lui ricambia i tuoi sentimenti -. Pronuncia ogni parola a denti stretti, neanche gliele stessi estorcendo sotto tortura. - Ti guarda in un modo che è … beh, poco da Eric. Non so se mi spiego -.

Annuisco e sorrido. Ho capito perfettamente cosa intende. Quattro fa un sospiro, ma poi un angolo della sua bocca si piega all'insù. - Solo tu potevi riuscirci. E dire che l'avevo pure minacciato -.

Sulle prime batto le palpebre, convinta di aver frainteso, ma davanti alla sua espressione convinta mi sfugge una risata. - Cos'hai fatto? -.

Lui sfoggia un'espressione prettamente innocente. - Mi sono ripromesso di vegliare su di te. Ho cercato di aiutarti, per quanto possibile. E, beh, quando mi sono accorto che ti ronzava attorno in continuazione ho messo in chiaro che, se ti avesse fatto del male, se la sarebbe vista con me -.

Mi immagino la reazione di Eric. - Ecco perché è sempre così geloso quando ci vede insieme - commento, sorridendo. - E' stato gentile da parte tua, ma sono perfettamente in grado di badare a me stessa. Magari un giorno riuscirò pure a farvi andare d'accordo -.

Quattro borbotta qualcosa che suona come 'utopia'. - Ne dubito. Tra me e lui è stata antipatia a prima vista. Non provarci nemmeno, sarebbe fatica sprecata -.

Rimaniamo in silenzio, ad ascoltare la brezza che fruscia tra i fili d'erba. Vorrei chiedergli un sacco di cose, ma non trovo il coraggio. E non vorrei ferire i suoi sentimenti. Come mi sentirei se qualcuno venisse da me e mi riportasse alla memoria gli orrori della mia infanzia che ho fatto di tutto per dimenticare?

Allungo una mano verso la sua, gli sfioro il dorso con i polpastrelli. Lui abbassa lentamente gli occhi sulle mie dita, poi li riporta nei miei. - Quattro - mormoro. - Sta per 'quattro paure'? -.

Lui inarca un sopracciglio. - Eric diventa molto loquace in tua presenza, eh? - replica, con un ghigno che assomiglia in maniera inquietante a quello del Capofazione. Poi torna serio e risponde alla mia domanda con un rigido cenno del capo. - Sono sicuro che potresti indovinarne almeno due, se volessi -.

Il ricordo di quel giorno rimbalza prepotente nella mia mente. Stringo le dita di Quattro di riflesso e lui non scosta la mano.
Non so per quanto tempo rimaniamo in quella posizione, ma ad un certo punto sento il bisogno di alzarmi per sgranchirmi le gambe. E per infrangere quella bolla fatta di tensione e angoscia che ci ha tenuti avvolti per gran parte della conversazione.

Il mio istruttore mi imita, fissandomi con un misto di imbarazzo e gratitudine. - Andiamo. Si torna a casa - annuncia, precedendomi giù per il pendio. Si volta di poco per sorridermi da sopra la spalla. - Se dico ad Eric che mi hai stretto la mano, credi che tenterebbe di uccidermi nel sonno? Pagherei per vedere la sua reazione -.

- Non siamo a questi livelli - ribatto, cercando di convincere anche me stessa. - Acqua in bocca, comunque -.




 

* * *



 

Ormai sono talmente abituata a viaggiare in treno, da non aver più bisogno di reggermi ai sostegni d'acciaio. Sto perfettamente in equilibrio anche senza appoggiarmi alla parete della carrozza, ma, non appena il mezzo prende velocità, mi premuro di allontanarmi dalla porta rimasta aperta e mi piazzo tra Leslie e Xavier, entrambi seduti sul pavimento.

Melanie sta discutendo con Scott di non so quale scommessa fatta un paio di giorni prima. Inclino il capo e li osservo accuratamente, cercando di capire se tra loro stia nascendo qualcosa o se siano semplicemente amici come sostiene la diretta interessata. Mel mi ha rivelato che lei e Scott erano molto legati da bambini. Poi, crescendo, hanno cominciato a frequentare compagnie diverse e il loro rapporto è pian piano sfumato. Si salutano, parlano qualche volta, ma niente di più. Strizzo gli occhi e analizzo metodicamente i loro movimenti. Mmm, staremo a vedere. Non sarebbero male come coppia.

Lo sguardo mi cade sul profilo corrucciato di Quattro, appoggiato con una spalla alla parete opposta alla mia. Il paesaggio scorre veloce ai lati dei binari, ma lui non sembra interessato agli scorci di vegetazione che si intravedono tra i palazzi fatiscenti o al colore opaco del cielo.
E' un bel ragazzo, mi ritrovo a pensare. Non posso nemmeno paragonarlo ad Eric, perché sono due canoni di bellezza opposti: biondo e pallido contro moro dalla carnagione olivastra.

Faccio un sospiro mesto. Come ho fatto a non riconoscerlo subito, appena mi ha aiutata a scendere dalla rete di corda dopo il salto?
E' strano che non mi sia bastato guardarlo in volto per capire chi fosse: due iridi di quel colore particolare sono molto difficili da trovare. Riporto la mente a quel giorno, rivedo la paura tremolare in quegli occhi blu come una notte stellata.

Era così piccolo. Molto diverso dall'uomo che è diventato. Ora nessuno potrebbe guardarlo e classificarlo come una persona fragile e indifesa, ma io so che una piccola parte di lui lo sarà sempre. Proprio come me.

Chiudo gli occhi ed esploro i cunicoli della memoria finché non mi imbatto nella scena che sto cercando.

Casa Eaton era l'esempio lampante dello stile di vita del perfetto Abnegante: dipinta di grigio, all'interno come all'esterno; il mobilio ridotto all'essenziale, tutto in perfetto ordine. I lamenti provenienti dal piano superiore erano l'unica nota stonata in quell'ambiente severo e quieto.

Mia madre conosceva Evelyn Eaton. Erano state compagne di scuola, ma erano diventate amiche da adulte, quando avevano sposato due delle personalità di spicco della città. Si incontravano spesso e si sedevano vicine ad ogni evento pubblico: non era raro vederle passeggiare fianco a fianco per strada, o pranzare insieme quando i mariti erano al lavoro. Tuttavia non si poteva dire che si conoscessero veramente. Non avevamo mai invitato gli Eaton a casa nostra, come loro non avevano mai invitato noi. Ogni famiglia tiene ben custoditi i propri segreti e le nostre non facevano eccezione.

Per cui ero rimasta sorpresa quando mia madre, durante una delle nostre passeggiate pomeridiane, aveva imboccato la stradina di ciottoli che conduceva nel quartiere degli Abneganti. Si era diretta senza esitazione verso la casa degli Eaton ed aveva bussato educatamente. Non c'era nessuno in giro quel giorno, forse perché faceva troppo caldo per uscire.

Evelyn ci aveva aperto quasi immediatamente, come se si fosse appostata dietro alla vecchia porta scrostata e ci attendesse impaziente. Il suo comportamento aveva qualcosa di strano: tremava convulsamente, sembrava terrorizzata, e cercava di coprirsi il viso con i capelli mentre parlava. Solo quando il raggio di sole proveniente dal lucernario le ha illuminato le guance, mi sono resa conto che le macchie scure sulla sua pelle non erano dovute alla penombra del corridoio.
Erano lividi. Lividi recenti. E il responsabile di quello scempio poteva essere solo uno.
Nemmeno una bambina come me avrebbe mai creduto ad una caduta accidentale dalle scale: all'ospedale mi era già capitato di vedere vittime di violenza fisica o reduci di una rissa. Quelle di Evelyn erano quel tipo di ferite, inferte con intenzione.

“Arriverà a momenti. Eleanor, devi aiutarmi”, ripeteva a mezza voce, torcendosi le mani. Mia madre mi ha convinta ad aspettare accanto alla porta, voleva parlare con Evelyn da sola, ed io ero stata più che felice di allontanarmi da quello spettacolo tremendo.

Stavo per sedermi su uno dei gradini della stretta scalinata di legno, quando ho avvertito un rumore provenire dal piano di sopra. Spinta dalla curiosità avevo raggiunto il pianerottolo e avevo seguito quel suono soffocato, simile al lamento di un animale ferito. Alla fine del corridoio c'era una porta incassata nel muro, più piccola delle altre: la fonte del rumore stava lì dentro.

Per nulla impaurita, avevo girato la chiave nella toppa e avevo aperto la soglia di quello che era a tutti gli effetti uno sgabuzzino. Solo che non era vuoto. Accovacciato in un angolo, immerso nel buio più fitto, c'era un bambino: era lui che si lamentava.

Non appena mi ha vista ha smesso di colpo di singhiozzare ed è rimasto a fissarmi con gli occhi spalancati.
Ricordo di aver allungato una mano per convincerlo ad uscire da quell'antro oscuro e polveroso, ma lui ha scosso freneticamente la testa. “Se esco da qui, penserà che sia stata mamma a liberarmi e se la prenderà di nuovo con lei”.

Quelle parole non mi avevano fatto effetto, allora. Nel ripeterle nella mente adesso, mi si gela il sangue. In confronto a quello che ha passato Tobias, la vita con i miei fratelli può essere definita un'oasi di pace, un paradiso.

Ricordo di avergli chiesto a chi si riferisse, ma lui era rimasto zitto. Visto che non si decideva a raggiungermi, mi ero fatta spazio tra il ciarpame e mi ero seduta al suo fianco. Ero poco paziente da bambina, detestavo chi mi contrariava. Ero una piccola despota, una sorta di Eric in miniatura.
Sorrido a quel pensiero e torno a fissare il volto impassibile di Quattro, che non si è mosso di un millimetro da quando siamo saliti a bordo del treno.

In quel momento lui si gira verso di me ed inarca un sopracciglio quando scopre che lo sto guardando insistentemente. Se Eric fosse presente, di certo fraintenderebbe la mia occhiata intenerita e si infiammerebbe di gelosia. Ma io sono ben lontana dal fare pensieri romantici sul mio istruttore.
Sto solo rivivendo quell'abbraccio, l'abbraccio in cui l'ho avvolto mentre gli sussurravo parole di conforto in quel ripostiglio. L'abbraccio che lui non ha ricambiato, almeno non fisicamente. L'unico vero abbraccio che probabilmente ha mai ricevuto.

Quattro corruga le sopracciglia di fronte al mio sorriso, non sapendo come interpretarlo.
Gli strizzo l'occhio e poi mi volto verso Xavier, che mi ha dato un pizzicotto sul polpaccio per richiamare la mia attenzione. Mi chiede se mi va di cenare in infermeria per far compagnia a Felix ed io accetto con entusiasmo.

Il mio recente viaggio nella memoria mi ha resa bendisposta verso tutti, ha tirato fuori il mio lato tenero. In questo momento potrei perfino dedicare un sorriso sincero a Clark, o abbracciare Alfred, o parlare a Josie senza alcun tipo di sarcasmo …

Mi blocco e storco il naso. No, ritiro tutto.
L'ultima opzione va oltre le mie capacità.
È proprio come ha detto Quattro riguardo ad una possibile amicizia tra lui ed Eric.

Utopia.










 

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Ciao gente! Come state? Stavolta ho aggiornato in anticipo, siete contenti?

Lo so, il capitolo è più corto rispetto agli altri, ma mi serviva un attimo di stacco per spiegare come mai Zelda conosce la storia di Quattro. Ecco risolto il mistero. Che ne dite? Ve l'aspettavate? Aspetto i vostri commenti ;)

Per chi se lo fosse chiesto, no, la storia non sta per finire, anzi mancano più di dieci capitoli (o giù di lì) e poi ci sarà il seguito, ovvero Divergent/Insurgent ripercorsi dal punto di vista di Eric e Zelda. Vi avviso già da ora che ci saranno episodi scioccanti, che probabilmente vorrete una mia foto solo per usarla al tiro a bersaglio, ma vi chiedo di avere fiducia in me e di non lasciarvi ingannare dalle apparenze. Solo questo posso dirvi ;)

Vi lascio come al solito il link della mia pagina Facebook, utile per rimanere al passo con gli aggiornamenti → https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

Un bacio a tutti,

Lizz

p.s. se voleste dare un'occhiata alle altre mie storie delle serie, ne sarei veramente felice. Grazie a tutti per il sostegno!


 


 


 


 


 

 


 


 


 


 


 

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Capitolo 45
*** Revenge, sweet revenge ***







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Capitolo 44

 




I feel like I'm flying
I got my head in the clouds
Never thought I was crazy
Until you came around

(Three Days Grace, Goin' Down)


 





 

Zelda


Mi sveglio bruscamente, con la sensazione di star precipitando nel vuoto. Apro gli occhi, ma il senso di smarrimento peggiora quando mi ritrovo circondata dall'oscurità più completa. Di solito almeno una delle piccole lampade d'emergenza resta accesa, invece adesso il dormitorio è un'unica massa di tenebra nella quale non riesco ad individuare nemmeno il profilo di Leslie, che dorme nel letto accanto al mio.

Chiudo le palpebre e mi stringo le ginocchia al petto, mentre provo a calmare il ritmo del respiro. Ho la fronte imperlata di sudore, i capelli appiccicati al collo e le lenzuola avviluppate attorno al corpo come una qualche sorta di rampicante.

Mi concentro sull'udito anziché sulla vista, ascoltando il debole russare di Xavier e i borbottii senza senso di Melanie, che a quanto pare non smette di parlare nemmeno nel mondo onirico. Passano alcuni minuti e finalmente il tremore ai muscoli si affievolisce, lasciandosi dietro soltanto un lieve senso di spossatezza.

Tuttavia il cuore ancora non si decide a smettere di martellarmi nel petto. Ho le dita fredde e i palmi sudati, come mi accade solo quando sono agitata o impaurita. Sempre ad occhi chiusi lascio ricadere le gambe fuori dal materasso, mi districo dal groviglio di lenzuola e cerco a tentoni una delle mie felpe e le scarpe. Il tempo di infilarle e sono già fuori dalla porta.

Chiudo la cerniera della felpa e mi tiro le maniche fin sopra le mani, per tentare di riscaldarmi. Mi sfugge una smorfia quando incrocio i miei stessi occhi riflessi sulla superficie appannata dello specchio.

Dire che i miei capelli sono scompigliati è un eufemismo. Riporto un po' d'ordine tra le ciocche con le dita e li raccolgo in una maldestra crocchia. Mi metto di profilo per osservare il mio operato e sbuffo, contrariata. E' parecchio umiliante da dire, ma, in qualità di parrucchiere, Eric mi supera di gran lunga.

Scoraggiata, prendo una salvietta dal contenitore e la inumidisco prima di passarla su viso e collo per eliminare le ultime tracce di sudore freddo. Mi massaggio il viso con i polpastrelli, dalla fronte al mento, come ho imparato ai corsi propedeutici di medicina, per far tornare un po' di colore sulla pelle e distendere i muscoli. Dopo qualche respiro profondo, do le spalle allo specchio e mi appoggio con le anche al lavandino. Di tornare a dormire non se ne parla proprio. Il mio corpo si rifiuta di muoversi in direzione della camerata.

Non voglio tornare di nuovo in quel sogno.

Rabbrividisco a fior di pelle mentre le immagini mi scorrono davanti agli occhi. L'incubo era talmente vivido da poter essere paragonato ad una delle tante simulazioni che ho dovuto affrontare in questa settimana.

Lauren e Quattro ci hanno spiegato come funziona il terzo modulo dell'iniziazione e da un po' di giorni ci stanno esaminando uno per uno. Lo scenario è settato su quello personale di Lauren: a turno ci viene assegnata una paura da superare nel minor tempo possibile, il tutto per prepararci all'esame finale, che avverrà tra meno di una settimana.

Io ho dovuto combattere contro la paura di restare murata viva e quella di venire buttata fuori dagli Intrepidi. La prima è stata semplice da superare: non soffro di claustrofobia, per cui ho impiegato più o meno due minuti per trovare un espediente per impedire alle pareti di schiacciarmi. Affrontare una paura non mia mi ha permesso di mantenere il sangue freddo e la mente lucida, e di battere perfino Xavier, che è risultato uno dei migliori nelle simulazioni sin dal primo giorno del secondo modulo.

Le cose si sono complicate quando ho dovuto combattere contro i miei stessi incubi. Fallire l'iniziazione ed essere buttati fuori dalla nuova fazione è una paura che accomuna tutti noi aspiranti Intrepidi. Ultimamente mi è capitato spesso di sognare di finire tra gli Esclusi, di immaginare la mia vita senza i miei nuovi amici, senza Eric.

L'incubo che mi ha svegliata poco fa era molto simile alla scena che ho vissuto nello scenario di Lauren, solo che, al posto di vedere i volti disgustati e alteri dei suoi vecchi compagni di iniziazione, avevo davanti agli occhi le iridi d'acciaio di Eric, piene di dolore e risentimento. Eravamo sul tetto del palazzo, sferzato da forti raffiche di vento, tanto che era difficile rimanere stabilmente in piedi. Ci fissavamo in silenzio, mentre attorno a noi infuriava la tempesta e il rombo dei tuoni si intensificava fino a divenire un ruggito costante, un boato tale da coprire ogni altro suono.

Accecata dagli schizzi della pioggia scrosciante, protendevo le braccia verso Eric, ma il vento inesorabile mi scagliava via, facendomi scivolare oltre il bordo del cornicione. Lo sguardo atterrito del Capofazione è l'ultima cosa che sono riuscita a scorgere, prima che la furia della tempesta si abbattesse su di me e mi facesse precipitare nel vuoto.

Mi stringo nelle spalle, avvolgendomi ancora di più nella felpa come se volessi diventare un tutt'uno con la stoffa. Vorrei scacciare il ricordo del sogno, togliermi dalle orecchie le mie stesse urla di terrore, invece non faccio che ripensarci. Per ora il mio nome è circa a metà della classifica, ma se dovessi fallire il test finale …

Scuoto risolutamente la testa. Non voglio lasciare gli Intrepidi e tutte le persone che ho conosciuto e che ho imparato ad amare. Eric, Leslie, Melanie, Quattro, i gemelli … sono diventati parte della mia vita, non riesco ad immaginare un futuro senza di loro.

E se non ce la facessi? Lauren ha detto che il numero delle paure varia da individuo a individuo, e questa è la cosa che mi terrorizza di più. Potrei averne quattro come trenta; nessuno sa con certezza quanti ostacoli dovrà superare prima della prova. E se le mie paure fossero troppe per gli standard degli Intrepidi? E se non riuscissi a superarle tutte?

Afferro il bordo del lavandino e stringo la presa finché non perdo sensibilità alle dita. Se il mio peggior incubo dovesse diventare realtà, diventerei un'Esclusa e non mi sarebbe più permesso mettere piede nella Residenza. Non potrei rivedere i miei amici, né Eric.

Eric

Prima di soffermarmi a riflettere, sono già uscita dal bagno e sto correndo lungo il tunnel. Ho spento il lato razionale del mio cervello, non mi chiedo nemmeno se quello che sto facendo sia saggio o appropriato. Non mi importa che qualcuno mi veda. Me ne sbatto delle conseguenze: la sola cosa che voglio al momento è fiondarmi tra le braccia di Eric.





 

* * *




 

Eric



 

Assicuro la fondina della pistola alla cintura e controllo per l'ennesima volta di aver la sicura inserita.
Non si è mai troppo prudenti: una volta James ha rischiato di sparare alla gamba di Max durante un giro di ricognizione e non è stata un'esperienza particolarmente piacevole. Quando si arrabbia, il Boss - così ci divertiamo a chiamarlo durante le riunioni tra Capifazione - mette davvero paura. Ha terrorizzato perfino me, il che è tutto dire.
Non ci tengo a scatenare il suo lato crudele, specialmente non stanotte. Mi ha concesso l'onore di sostituirlo come caposquadra, quindi dovrò comportarmi in modo impeccabile visto che le nuove reclute addette alla ronda dovranno sottostare ai miei ordini e lui sarà al mio fianco in semplice veste di osservatore.

Il mio tirocinio come Capofazione non è terminato dopo l'anno previsto, ci sono ancora molte cose che devo imparare ed è un onore che sia stato Max a offrirsi di farmi da mentore. Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se al suo posto mi avessero appioppato James.

Rabbrividendo di raccapriccio al solo pensiero, spengo le luci della stanza e mi chiudo la porta alle spalle. Ho ancora la mano sulla maniglia quando le mie orecchie captano uno scricchiolio sospetto provenire dal tunnel alla mia destra. Giro di scatto la testa e socchiudo gli occhi. Sì, il mio udito non mi ha ingannato. Qualcuno sta veramente salendo la breve scalinata che separa il mio appartamento dal resto della Residenza.

Mi appiattisco contro il muro di roccia e porto d'istinto una mano alla cintura, dove, oltre alla mia fidata Glock, ho allacciato anche una coppia di coltelli da lancio. Le mie dita si stringono attorno all'impugnatura di uno di essi, mentre i passi riecheggiano tra le pareti, sempre più rapidi e ravvicinati.

Chi può essere? Ho un brutto presentimento.

Il mio cervello sta già passando in rassegna i peggiori scenari possibili, quando una figura sbuca da dietro la brusca curva del tunnel. Le piccole luci che costellano le pareti di pietra si infrangono su una massa selvaggia di capelli scuri a me molto familiari.

Lascio ricadere le braccia lungo i fianchi con un sospiro di sollievo. Non mi ero neanche accorto di aver trattenuto il respiro. Mi do mentalmente dell'idiota. Cosa mi aspettavo? Che qualcuno stesse cercando di attentare alla mia vita? Che stessi per diventare la povera vittima di un'imboscata?
Babysitter per iniziati, circondato da incompetenti, sessualmente frustrato e pure irrimediabilmente paranoico. Che vita d'inferno.

La principale fonte di tutti i miei più recenti colpi di testa si immobilizza in mezzo al corridoio non appena mi mette a fuoco. Nel buio noto solo il ritmico alzarsi ed abbassarsi delle sue spalle e il sibilo affrettato del suo respiro.

Faccio un passo verso di lei, trattenendomi a stento dall'urlare. - Sei impazzita? Si può sapere che diavolo ci fai qui a quest'ora? -. Il mio furioso ringhiare si trasforma in un basso tono preoccupato dopo neanche due secondi, mentre vaglio le possibili opzioni che hanno spinto la mia ragazza a lasciare il dormitorio a notte fonda. Che qualcuno degli iniziati l'abbia … Dannazione, mi sto immaginando il peggio.

Le vado incontro e l'afferro per un braccio, scuotendola senza alcuna delicatezza. - Zelda, cos'è successo? Stai bene? Qualcuno ti ha aggredita? Dì qualcosa, altrimenti io … -.

Zelda non scoprirà mai il resto della frase che stavo per pronunciare, perché mi si getta tra le braccia con uno slancio notevole, facendomi quasi perdere l'equilibrio. Mi abbraccia stretto, aggrappandosi alla mia giacca come se non riuscisse a reggersi in piedi.
Tutto ciò non fa che aumentare la mia ansia, per cui la prendo di peso e la trascino nella mia stanza. L'assenza di proteste da parte sua non è per niente rassicurante: l'altra volta ha scalciato come un'indemoniata quando l'ho caricata in spalla, mentre ora si lascia condurre docile fino al letto.
Slaccio le armi dalla cintura e le posiziono sulla scrivania, prima di sedermi accanto a Zelda. La scruto per ben tre volte da capo a piedi per assicurarmi che non sia ferita o che non abbia i vestiti strappati.

Se solo qualcuno ha osato toccarla …

Le sfioro il viso per invitarla a guardarmi negli occhi. I suoi sono cupi, come se sulle sue iridi fosse improvvisamente calato un velo a celare il loro abituale bagliore. - Parla, Zelda - sbotto, quasi in tono di supplica.

E lei finalmente rompe quell'atroce silenzio che mi stava portando lentamente alla pazzia. Ma quello che le esce di bocca è ancora più scioccante.

- Ti voglio - mormora in tono basso e roco, facendomi trasalire.

Il mio cervello si svuota all'istante, come se lei ci avesse soffiato dentro, disperdendo il groviglio di pensieri che si erano accumulati da quando mi è apparsa di fronte. Da modalità strage, la mia mente si sintonizza su modalità intontimento totale e rimango un lungo momento imbambolato a fissarla a mia volta.

Zelda non si scompone, non pare neanche imbarazzata.
Strano, molto strano.
Di solito arrossisce anche alla minima allusione al sesso. Ora, invece, sembra a proprio agio, e continua a guardarmi con insistenza.
Non so cosa rispondere, mi ha letteralmente messo al tappeto. Apro e chiudo la bocca per due volte, ma non ne esce alcun suono.

Lei rimane seria, ma non mi sfugge il lampo di determinazione che le attraversa il viso quando allunga la mano per posarla sulla mia guancia. Resto immobile, come se il suo tocco avesse tramutato la mia pelle in pietra, ma il mio respiro accelera. La tensione che sento crescere nell'aria raggiunge il punto critico non appena la trasfazione, con un movimento brusco, si alza dal materasso.

Sto ancora tentando di decifrare la situazione, per cui la sua mossa successiva mi coglie alla sprovvista: Zelda mi posa entrambi i palmi sul petto e mi spinge all'indietro, prima di mettersi a cavalcioni delle mie gambe.

La mia attività cerebrale si azzera completamente al primo contatto tra le nostre labbra. Rispondo al bacio quasi automaticamente, mantenendo i sensi all'erta. Tutto questo non è da Zelda. Cosa l'ha spinta a raggiungermi in piena notte per saltarmi addosso in questo modo?

Stacco la bocca dalla sua con parecchia difficoltà. - Zelda, non … - comincio a dire, ma vengo distratto dai movimenti della mia ragazza, che approfitta della mia momentanea distrazione per slacciarmi i bottoni della giacca.

Le sue dita scorrono sulla leggera stoffa della maglietta finché non incontrano il bordo inferiore e ci si infilano sotto con intraprendenza.
Deglutisco e mi sforzo di restare lucido, di riprendere il discorso, ma basta un altro suo bacio a mandare in frantumi la mia già scarsa forza di volontà. Senza smettere di tormentarmi le labbra con i denti, Zelda si scosta di poco da me per tirare giù la cerniera della propria felpa. La contemplo ad occhi sbarrati, nello stesso modo in cui guarderei un possibile avversario armato fino ai denti. Solo che l'arsenale che dispone la trasfazione è dieci volte più pericoloso e infido delle peggiori macchine di tortura progettate nei secoli. Il suo intero corpo è un'arma a doppio taglio, se usato contro di me.

Tento nuovamente di parlare, e, nuovamente, vengo zittito. Zelda si sbarazza della felpa e fa lo stesso con la mia giacca, gettando entrambe in un luogo remoto della stanza. Le sue mani corrono impazienti sui miei fianchi e si fermano solo per un istante sulla cintura dei pantaloni, prima di passare oltre. Ricomincia a baciarmi, quasi con urgenza, lasciando vagare le dita alternativamente sulle mie cosce e sul mio addome.

Non so cosa mi prenda: questo assalto fuori programma, invece di eccitarmi, mi causa un senso di smarrimento che mi impedisce di reagire. Subisco passivo le carezze audaci di Zelda ed è solo quando la sento strusciarsi provocatoriamente su di me che realizzo che qualcosa non torna. Sento una spiacevole sensazione di inquietudine strisciarmi giù per la schiena.

Cerco di capire cosa mi trattenga. Non ho fatto altro che immaginare un momento del genere per tutta la settimana, e ora che Zelda è qui, nel mio letto, sopra di me, con gli occhi lucidi di passione e le mani affondate nelle tasche posteriori dei miei pantaloni, cosa faccio? Mantengo le distanze e nemmeno tento di spogliarla? No, decisamente c'è qualcosa che non va in me. E di sicuro la mia passività non è dovuta a mancanza di desiderio: la tensione che avverto al basso ventre può confermarlo.

Ma allora cosa mi frena?

A rispondermi ci pensa la mia voce interiore. La personificazione del mio inconscio non si faceva viva da un po', ammetto di aver sperato di essermene finalmente liberato. Invece, più in forma che mai, mi scocca un'occhiata condiscendente e mi bussa due volte con le nocche sulla fronte, come se si stesse assicurando che il mio cervello sia ancora al proprio posto. Quel gesto pare dare una scossa ai miei neuroni, perché all'improvviso mi è chiaro il motivo della mia scarsa partecipazione nonostante Zelda mi stia stuzzicando abbastanza esplicitamente.

L'ultima volta che ho provato a tentarla in quel senso, per poco non l'ho fatta fuggire a gambe levate. Le sue parole mi rimbalzano nella testa, arrivandomi ovattate alle orecchie, come se mi trovassi in fondo ad una piscina e qualcuno tentasse invano di chiamarmi da sopra il pelo dell'acqua.

Io sono vergine, Eric.

Perdonami se non riesco a lasciarmi andare come vorresti.

Non sono pronta, ok?

Se è solo sesso quello che vuoi da me, allora sarà meglio finirla qui.

Fatico molto ad associare la trasfazione timorosa che ha pronunciato quelle parole - e che mi ha strappato la fastidiosa promessa di aspettare la fine dell'iniziazione per fare quello che ho voglia di fare da quando l'ho baciata per la prima volta -, con la ragazza spregiudicata che in questo preciso istante mi sta slacciando i pantaloni.

Perché capitano tutte a me? Perché? Cosa ho fatto di male?

Per un momento accarezzo l'idea di lasciarla fare, di assecondarla e vedere fin dove intende spingersi, ma un crampo allo stomaco - che classifico come senso di colpa - mi intima a non perdere tempo e fermarla. Ci deve per forza essere un motivo nascosto dietro quest'improvviso accesso di passione.
E io intendo scoprire di cosa si tratta. Immediatamente.

Sibilando un'imprecazione tra i denti, mi riscuoto dall'immobilità e le blocco le mani prima che riescano a varcare la linea di non ritorno, ovvero l'orlo dei miei boxer.

Intreccio le caviglie a quelle di Zelda e le afferro i polsi, ribaltandola sulla schiena. La sovrasto, imprigionandola sotto di me con gambe e braccia, e la guardo attentamente in faccia. Grazie al cielo sono io quello mezzo svestito, altrimenti non riuscirei a mantenere il controllo. Davanti agli occhi, senza che possa impedirlo, mi passa l'immagine di Zelda nuda, ricoperta da mille gocce d'acqua.

Faccio un respiro secco e metto qualche centimetro di distanza tra i nostri colpi accaldati.
La mia mente deve piantarla di complottare contro di me, dannazione.

E' stato già abbastanza traumatico percepire che sotto questa maledetta maglietta Zelda non indossa nulla se non la propria pelle. Ma dove sono i reggiseni quando servono? Quel semplice indumento, che qualche giorno fa trovavo estremamente superfluo, ora mi farebbe comodo. Almeno mi eviterebbe pensieri isterici, fantasie spinte e … ah, lasciamo perdere.

Mi schiarisco la voce. - Si può sapere che ti è preso? - chiedo, allentando un po' la presa sulle braccia di Zelda.

La mia domanda e il mio tono serio fanno vacillare la sua espressione determinata.
Batte le palpebre e, dopo alcuni secondi, nei suoi occhi vedo sorgere un barlume di incertezza. Si morde le labbra e rimane a fissarmi con aria colpevole. Tenta di dire qualcosa, ma poi scuote la testa, distogliendo lo sguardo dal mio. E arrossisce. Questo mi dà la conferma che è tornata in sé.
Mollo i suoi polsi e le permetto di mettersi seduta: non troppo lontana da me, comunque.

Zelda fa un sospiro tremolante, portandosi una mano sugli occhi. - Ho avuto un incubo - ammette, senza farsi pregare. Forse ha intuito che sono sul piede di guerra e pronto ad un interrogatorio coi fiocchi. Sapere che nessuno le ha fatto del male basta a tranquillizzarmi, ma le faccio cenno di finire il discorso.
- È da quando abbiamo iniziato le simulazioni che continua a perseguitarmi. Credo di avertene già parlato. Nel sogno vedo il mio nome in fondo alla classifica e capisco di dover lasciare la Residenza. Tutti i miei amici mi voltano le spalle e poi ci sei tu: ti chiamo, ti porgo la mano, ma tu mi guardi con disprezzo e mi lasci lì da sola e … -.
Il labbro inizia a tremarle e non termina la frase. Non l'ho mai vista così fragile, così vulnerabile. Nemmeno quando ha rischiato di essere colpita dai proiettili di Oliver, o quando siamo rimasti bloccati in quell'ascensore, o dopo una delle simulazioni.

Mi passo una mano sulla mascella. - Capisco. Ma ancora non mi è chiaro perché ti sei gettata su di me con l'intento di violentarmi -. Zelda arrossisce fino alle punte dei capelli e io mi godo il suo imbarazzo con un ghigno ben stampato in faccia. - Non che mi sia dispiaciuto, figuriamoci, ma mi chiedevo cosa avesse innescato questa tua smania improvvisa. Credevo avessimo deciso di aspettare -.

E non intendo rimangiarmi la promessa, per quanto mi costi. Se c'è una cosa di cui vado fiero, è proprio la mia capacità di tener fede alla parola data.

Lei vaga con lo sguardo per la stanza, mordicchiandosi le labbra. - E' vero, però quando mi sono svegliata ho iniziato a pensare che … ecco, che tra pochi giorni potrei venire espulsa dalla fazione e mi è preso il panico -. Mi lancia un'occhiata di sottecchi e il rossore sulle sue guance si intensifica. - Se i miei peggiori incubi si avverassero, non vorrei andarmene col rimpianto di non … -.

- Stronzate! - sbotto, mettendo fine alle sue patetiche giustificazioni. Preso da una furia cieca, le afferro entrambi i polsi con una mano e la spingo di nuovo sul materasso. Premo la mano libera sul suo ventre e chino la testa per mettere i nostri volti alla stessa altezza. Zelda trattiene il fiato e impallidisce. - Devi piantarla di lasciarti condizionare dai tuoi incubi. Dov'è finita la ragazza che, già dal primo giorno, ha avuto il fegato di contrastare un Capofazione? -. Le mollo i polsi e porto il palmo sulla sua guancia. - Dov'è finita la ragazza che si è messa in mezzo per impedire ad Alfred di colpirmi? Dov'è finita la ragazza che, nonostante la trattassi in modo orribile, mi è stata accanto e mi ha … fatto innamorare di lei? -. L'ultima frase doveva essere una domanda, invece suona come un'affermazione.

Il mio tono si è abbassato fino a diventare un lieve sussurro che si infrange sulle labbra che Zelda ha socchiuso per la sorpresa.
Ci fissiamo a vicenda per una manciata di secondi, finché non resisto più. Affondo la bocca nella sua e lei risponde al mio bacio con un entusiasmo tale da farmi girare la testa. Una vampata di calore si dirama dalla mia nuca all'addome, seguendo il percorso intrapreso dalle mani di Zelda. Le mie sono già sotto la sua maglietta, voraci e impazienti di toccare quanta più pelle possibile.
Nei punti in cui i nostri corpi si incontrano la mia pelle brucia come se ci avessi applicato sopra dei tizzoni ardenti. Zelda inarca la schiena, spingendo i fianchi contro di me, facendomi gemere. Preda di un'incontrollabile frenesia, le sollevo la maglia fino alle spalle e passo febbrilmente le labbra sul suo seno, tracciandone i contorni con la lingua. Struscio la guancia contro quelle curve morbide, mugolando d'apprezzamento. Solo quando avverto le gambe di lei serrarsi attorno alla mia vita, mi impongo di rallentare e calmarmi.
Zelda non è in sé, mi ripeto. Sarei un vile ad approfittarne, ed io posso anche essere paranoico e psicotico, ma di certo non sono un maniaco. Una volta tornata lucida, lei non me lo perdonerebbe mai.

La promessa, ricordati la promessa.

Dopo un ultimo bacio a fior di labbra, mi rimetto seduto e riprendo fiato. Gli occhi di Zelda sembrano brillare di luce propria nella penombra della stanza. Nel ripensare a quello che le ho detto, un calore anomalo mi sale dal collo agli zigomi. Davvero ho ammesso di essermi innamorato di lei? L'ho fatto veramente?

Mi massaggio la nuca, evitando il suo sguardo. Beh, più o meno. Cioè, non era esattamente una dichiarazione, ma … maledizione, sto reagendo di nuovo come una ragazzina isterica!

Il mio cervello deve essersi preso la serata libera.

Tossicchio, a disagio, e volto le spalle al letto mentre mi sistemo la maglietta. Mi riapproprio delle armi e della giacca, cominciando ad abbottonarla.

Arrivato al terzo bottone mi fermo e scocco un'occhiata alla trasfazione. E' seduta sul bordo del materasso e sta giocherellando con la cerniera della felpa che si è rimessa addosso. Sentendosi osservata, alza il capo e sorride. Prima che possa dire qualcosa di stupido o schifosamente sdolcinato come in precedenza, lei mi raggiunge. Mi allaccia gli ultimi bottoni, poi mi posa le mani sul petto, sospirando. - Perché ti sei fermato? Pensavo lo volessi anche tu -.

Inizio a scuotere la testa già a metà della frase. - Lo faremo quando ti sentirai pronta. Non perché hai paura, o perché vuoi dimostrare qualcosa a te stessa. Ma, soprattutto, lo faremo quando non avrò un gruppetto di matricole da sorvegliare -. Mi sporgo per baciarle la fronte e sorrido a contatto con la sua pelle. - A causa tua sono in ritardo per il giro di ronda. La prossima volta che decidi di tendermi un agguato, assicurati che abbia l'intera notte a disposizione -.

Zelda fa sfoggio della sua squisita grazia piantandomi una gomitata dritta nello stomaco. - Lo terrò presente - replica con stizza, prima di sorpassarmi e aprire la porta.

Ridacchiando tra me, la seguo in corridoio e mi premuro di chiudere l'uscio a chiave. Mentre ci dirigiamo verso il Pozzo, formulo mentalmente una lista di scuse plausibili per giustificare il mio, seppur minimo, ritardo. Di solito sono estremamente puntuale, anche troppo se paragonato ai miei colleghi. Sono certo che Max per questa volta chiuderà un occhio. In fondo, lui stesso è un ritardatario cronico.

Arrivati davanti al dormitorio degli iniziati, utilizzo il mio aggeggio elettronico per mettere fuori uso le videocamere. Le lucine rosse dei sensori si spengono non appena premo il pulsante e Zelda non perde tempo: mi passa un braccio attorno al collo per invitarmi ad abbassarmi su di lei e mi coinvolge in un altro dei suoi - ormai collaudati e irresistibili - baci incendiari.
Non volendo esagerare e cadere di nuovo in tentazione, mi accontento di appoggiare i palmi sui suoi fianchi. Lei, al contrario, non si fa troppi problemi: le sue mani sono tornate a riappropriarsi del mio fondoschiena e lo palpano senza alcuna vergogna.

Dalla gola mi esce uno strano suono, una via di mezzo tra un gemito e un lamento. Questa ragazza mi ucciderà, prima o poi.
Mi stacco da lei ansimando, con la sensazione che i miei vestiti si siano tutto d'un tratto ristretti. Specialmente la parte alta dei jeans.

- Accidenti a me. Avrei dovuto lasciarti fare. Ecco cosa ci guadagno a comportarmi da bravo fidanzatino - borbotto, sistemandomi nervosamente la cintura.

Zelda inclina la testa e mi fissa con cipiglio curioso. - Quindi mi hai respinta per … -, esita un attimo, alla ricerca del termine più adatto, - … correttezza, non perché non ti andava di … -. Lascia in sospeso la frase e mi sorride compiaciuta.

Roteo gli occhi e faccio un gesto in direzione della stoffa tesa dei miei pantaloni. - Ti ho forse dato quest'impressione? -.

La sua espressione divertita si addolcisce. Mi passa due dita sul collo, seguendo il contorno dei miei tatuaggi. - Hai ragione tu. Se mi avessi assecondata, probabilmente me ne sarei pentita. Sai, devo ricredermi: non sei affatto male come fidanzato -.

Storco la bocca in una smorfia offesa. - Piccola insolente - soffio, mordendole il mento per scherzo. - Però mi hai dato ragione. Tre volte nel giro di un mese. Mi sento un dio -.

Lei ride e noto con soddisfazione che i suoi occhi sono tornati del loro colore abituale. Non vi è più traccia di quell'ombra cupa che li rendeva freddi e distanti. Le tolgo un ricciolo dalla fronte, poi le faccio cenno di entrare nel dormitorio.

Zelda annuisce e mi dedica un sorriso malizioso prima di sparire nel buio della camerata. Resto a fissare l'acciaio scrostato della porta per un abbondante minuto, nell'attesa di recuperare la calma glaciale che mi contraddistingue. E non posso farlo se la mia mente ritorna ogni due secondi a focalizzarsi sul ricordo delle gambe della trasfazione allacciate ai miei fianchi, delle mie labbra affondate nelle sue, delle sue mani sulle mie cosce …

D'accordo, diamoci un taglio.

Prendo un profondo respiro e raddrizzo le spalle, intimandomi di indietreggiare per non cedere alla tentazione di fare irruzione nel dormitorio, riprendermi Zelda, darmi malato e tornare al mio appartamento per riprendere da dove io stupidamente l'ho interrotta. Un piano niente male, ma con scarse possibilità di successo e una lista infinita di conseguenze negative.

Bocciato a priori, mi rimprovera la voce della ragione a cui rispondo con un grugnito di fastidio.

Quando giungo al Pozzo, trovo ad aspettarmi l'intera squadra di novellini, ma di Max neanche l'ombra. Sollevato di non dover subire una delle sue interminabili paternali sulla serietà che ci si aspetta da un leader, sulle responsabilità che comporta il nostro ruolo e via dicendo, mi piazzo davanti alle reclute e li riporto all'ordine.

Cinque minuti e un paio di occhiatacce dopo, ecco apparire il Boss. Ci viene incontro e scruta i ragazzini uno per uno, valutandoli con un sopracciglio inarcato. Quasi nessuno ha il coraggio di ricambiare il suo sguardo. Deludenti.

Max incrocia le braccia dietro la schiena. - Direi che possiamo andare - proclama, invitandoli con un cenno ad avanzare in direzione dell'ascensore.

Tutti obbediscono senza fiatare. Sto per prendere posto all'inizio della fila, ma il Boss mi richiama con un cenno. Lo affianco, in attesa di istruzioni. Lui si limita a darmi una pacca sulla schiena. - Scusa per il ritardo, sono stato trattenuto -.

- Nessun problema - ribatto, in tono professionale. - Ho approfittato del tempo a disposizione per portarmi avanti col lavoro. Li ho strigliati a dovere -.

Max ride sotto i baffi. - Ben fatto -. Si massaggia distrattamente le tempie, come se avesse un atroce mal di testa. - Ted non riusciva ad addormentarsi. Alla fine ho dovuto leggergli l'intero Codice degli Intrepidi, non ne voleva sapere di prendere sonno -. La sua espressione sconfortata mi strappa un ghigno. - Temo che quel ragazzino abbia un'insana passione per i libri. Di questo passo mi ritroverò un altro Erudito in famiglia -. Scuote la testa con aria afflitta.

Credo si riferisca a sua sorella gemella, Miriam, che ha scelto di abbandonare la fazione di nascita in favore degli Eruditi.
Non so molto della vita privata di Max, ma credo che lei sia l'unico membro della sua famiglia ancora in vita. Sua moglie è morta dando alla luce Ted, mentre suo fratello maggiore è stato ucciso durante uno scontro tra Intrepidi e Esclusi. Ricordo quell'episodio perché è accaduto poco dopo la fine della mia iniziazione. La notizia ha fatto molto scalpore, specialmente perché Michael, così si chiamava, è stato colpito vigliaccamente alle spalle mentre tentava di proteggere dei bambini innocenti. Da allora il suo nome viene pronunciato con reverenza, ed è spesso portato ad esempio quando si parla di come dev'essere un vero Intrepido. Coraggioso, leale, impavido.

Max si schiarisce la voce, riportandomi al presente. - In ogni caso, credo che le mie vicende personali non siano nulla in confronto alle tue -, dice, alzando allusivamente le sopracciglia.

Alzo di colpo la guardia. - A cosa ti riferisci? -.

Lui mi strizza l'occhio. - Avanti, non essere timido. Puoi confidarti con me -. Vedendomi esitante e sulla difensiva, si stringe nelle spalle. - D'accordo, come vuoi. Tanto prima o poi scoprirò di chi si tratta -, minaccia, sorridendo con l'aria di chi la sa lunga.

La mia espressione perplessa mi accompagna fin dentro l'ascensore, dove io e Max ci piazziamo in prima linea, proprio accanto alla parete dove sono collocati i pulsanti dei vari piani e lo specchio …

Strabuzzo gli occhi alla vista della mia immagine riflessa, portandomi istintivamente una mano al collo.

Ma cosa …?

Soffoco una risata, trasformandola in un colpo di tosse. Adesso mi spiego l'occhiata astuta di Zelda e il tono malizioso di Max.
Riporto l'attenzione su quel segno vermiglio che sbuca impertinente dal colletto della mia maglia. A quanto pare, la mia trasfazione ci sa fare.
Mi passo la lingua sulle labbra, mentre il mio ghigno si allarga.

Alla fine hai ottenuto la tua vendetta, piccola.


 














 

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Ciao gente! Come va? Spero che il capitolo vi sia piaciuto ;)

Il punto di vista di Eric mi ha fatto proprio penare. Di solito quando scrivo ho già in mente dialoghi e scene, quasi sentissi i personaggi parlare nella mia testa (è un po' inquietante, lo so), invece questa volta erano come spariti. Solo negli ultimi giorni ho trovato un po' di ispirazione e mi sono messa ogni sera a buttare giù qualche pezzo, fino a ottenere un capitolo come si deve.

Bene, dopo avervi annoiato con i miei discorsi senza senso, torniamo alla storia. L'iniziazione di Zelda sta quasi per terminare (diciamo tra due o tre capitoli) e finalmente Eric si lascia sfuggire un qualcosa che assomiglia vagamente a una dichiarazione d'amore. Ahimè ne ha di strada da fare, ma almeno è un inizio, diamogliene atto xD

Aspetto i vostri pareri e nel frattempo vi ringrazio per l'entusiasmo e il sostegno che date a me e alla storia. Ringrazio in particolare Emy Bff che giusto ieri ha segnalato la mia storia all'amministrazione per l'inserimento tra le scelte. Grazie di cuore a te, a tutte le persone che l'hanno inserita tra le preferite/seguite/ricordate e a chi recensisce <3

Vi lascio come al solito il link della mia pagina Facebook, utile per rimanere al passo con gli aggiornamenti → https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

Baci da Lizz

P.S. Le informazioni sulla vita di Max sono di mia invenzione. Visto che nei libri della Roth si parla molto poco di lui, ho voluto immaginare un pezzo della sua storia ;)


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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Capitolo 46
*** Flying without wings ***





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Capitolo 45

 




 

I'm looking to the sky to save me
Looking for a sign of life

Make my way back home when I learn to fly high

Fly along with me, I can't quite make it alone

(Foo Fighters – Learn to fly)







 


 

Zelda


- Avanti il prossimo! -.

La voce allegra di Lauren mi fa scattare sull'attenti. L'Intrepida esce canticchiando dalla stanza che noi iniziati abbiamo affettuosamente ribattezzato 'Antro degli Orrori', e mi saluta con un sorriso affabile. Scribacchio il mio nome sul foglio che mi porge, ovvero la lista delle vittime già immolate all'altare dello scenario della paura.

Xavier, che mi passa a fianco dopo aver terminato il test, alza una mano per invitarmi a battere il cinque. Schiaffo debolmente il palmo contro il suo e lui tenta un sorriso di incoraggiamento, che però non arriva agli occhi. Non so che tipo di paura abbia dovuto affrontare - Lauren le alterna in modo tale da farcene provare una nuova ogni volta -, ma la sua espressione mi rivela che non è stata per niente una passeggiata.

- Ci vediamo dopo la tortura - bofonchio, prima di seguire Lauren nell'Antro.

L'istruttrice degli interni mi rivolge a malapena la parola: sta prendendo freneticamente appunti su un blocco a spirale e si ferma quel tanto che basta per afferrare una siringa da un ripiano accanto alla porta. Ormai so come funziona il procedimento, quindi mi avvio da sola verso il centro della sala e mi piazzo dentro il riquadro disegnato con il gesso, attendendo pazientemente che Lauren mi inietti il siero.

La luce fredda e bluastra delle lampade al neon che delimitano il perimetro della stanza rende l'ampio ambiente ostile e quasi alieno. Alcuni graffiti ornano il muro alla mia destra, mentre nell'angolo in fondo è visibile la postazione di controllo, leggermente rialzata e delimitata da spesse pareti di vetro.

Quattro è seduto là dentro: il suo sguardo schizza da uno schermo all'altro, le sue dita volano sulla tastiera. Ha la fronte aggrottata, come se le immagini che sta fissando fossero confuse o difficili da decifrare; ad un certo punto apre bocca, quasi certamente per richiamare l'attenzione dell'altra persona presente nella cabina. Mi accorgo che si tratta di James solo quando si abbassa verso i monitor e la luce gli illumina il viso. Anche lui inarca le sopracciglia e stringe le labbra.

Mi chiedo cosa stiano guardando. Le simulazioni precedenti? Che abbiano riscontrato qualcosa di anomalo, una traccia che conduce ai presunti Divergenti?

Mi mordo l'interno della guancia, maledicendo Damien. Mio fratello era in buona fede quando mi ha affidato l'incarico di spiare i miei compagni per individuare possibili comportamenti sospetti, ma mi ha dato troppo pochi indizi, poco materiale su cui lavorare.
Come faccio a capire chi di loro è diverso, se non ho accesso né ai risultati delle simulazioni, né a qualsiasi altro file presente nei loro fascicoli? Poteva almeno insegnarmi ad entrare nel software degli Intrepidi, o fornirmi username e password di uno dei Capifazione.
È lui la mente dell'operazione Salviamo-i-poveri-divergenti-dalle-grinfie-di-Jeanine, mentre io sono solo un'inutile pedina che se ne sta immobile sulla scacchiera, in attesa della mossa dell'avversario. Non è una bella sensazione. E' spiacevole quasi quanto avvertire un ago di cinque centimetri piantato nel collo.

Ago che Lauren estrae molto più delicatamente di quanto non abbia mai fatto Eric, devo dargliene atto. Il tocco dell'Intrepida mi ricorda le carezze di mia madre. Quando stavo male, un suo abbraccio era meglio di qualsiasi medicina. Chiudo gli occhi, focalizzando il suo volto sottile, reso ancora più scarno dalla malattia, e le iridi verde giada, dello stesso colore di quelle di Damien. Rivedo il suo sguardo fiero e combattivo, specchio del carattere forte che l'ha accompagnata fino alla morte.

Mai arrendersi. Ricorda, mia piccola Zelda, ciò che non uccide fortifica.

Sto ancora pensando al motto di mia madre quando qualcosa di ruvido mi sfiora un braccio. E di certo non in modo gentile.

La simulazione è cominciata senza che me ne accorgessi: niente vertigini, né ronzii nelle orecchie. Ora mi trovo in un tunnel stretto e umido, simile a quelli che bisogna percorrere per giungere al negozio di Tori.

Chissà quale paura mi toccherà stavolta. Spero sia migliore di quella dell'altro ieri: troppi ragni per i miei gusti. Mi stringo nelle spalle, cercando di prepararmi al peggio.

Rumore di passi. Volto la testa di lato giusto in tempo per vedere due individui dal volto coperto piombare su di me e afferrarmi per le braccia. Ci metto mezzo secondo a capire cosa sta succedendo.

Ah, giusto. La paura del rapimento.

Stranamente non sono agitata. Forse c'entra il fatto che la paura non mi appartiene, ma rimango calma fino a che i due uomini mascherati non decidono di sollevarmi. Uno mi tiene per le braccia, l'altro per le gambe e cominciano a correre in direzione di un corridoio scarsamente illuminato. A quel punto, in parte perché la situazione mi ricorda troppo la prima volta che Eric mi ha presa in braccio, in parte perché è così improbabile da risultare comica - chi mai tenterebbe di rapirmi? Ma andiamo! -, mi rilasso talmente da scoppiare a ridere.

Al primo suono della mia risata, i due delinquenti si bloccano di scatto e la loro presa sul mio corpo si indebolisce. Scalcio con violenza, mulinando braccia e gambe contemporaneamente finché non riesco a colpire uno dei due alla mascella e a rimettermi in piedi.

Dopo un attimo di confusione, i rapitori tentano di riacciuffarmi. Li lascio avvicinare, per poi scansarmi rapidamente, rotolando fuori portata, ed è con soddisfazione che li vedo scontrarsi a metà strada. Con un sorriso che trasuda arroganza, allargo le braccia e batto un piede a terra. - Tutto qui quel che sapete fare? Beh, piuttosto deludente -.

Uno dei due reagisce alla mia provocazione e si slancia in avanti con l'intento di buttarmi a terra. Socchiudo gli occhi, concentrata al massimo, ripetendo a mente i consigli di Eric.

Colpisci per prima. Agguanto il polso dell'assalitore con entrambe le mani e lo torco fino a fargli emettere un gemito di pura agonia, per poi sferrargli un pugno sullo sterno.

Individua i punti deboli dell'avversario e sfruttali a tuo vantaggio. Dopo un'attenta valutazione, decido che un calcio alla rotula sia la giusta soluzione. Colpirlo all'inguine mi pareva troppo scontato, poco originale e non mi avrebbe permesso di udire l'appagante scricchiolio di ossa spezzate. La vena di sadismo nei miei pensieri mi strappa un ghigno.

L'influenza di Eric si accentua ogni giorno di più.

Sempre ostentando indifferenza, muovo un dito davanti al passamontagna dell'uomo ai miei piedi. - Bambino cattivo. Mamma non ti ha insegnato le buone maniere? -. Fingo di togliere un granello di polvere dalla mia inesistente manicure. - Per quanto ancora dovrò picchiarti prima che tu capisca che le signore non si toccano neanche … -.

Batto le palpebre, il resto della ramanzina rimane sospeso sulla punta della lingua. Le figure dei rapitori sfumano fino a sparire nel nulla e Lauren mi viene incontro battendo le mani. - I miei complimenti, Zelda - esclama, sorridendomi con approvazione. - Spero proprio di poter contare su di te in caso qualcuno decidesse di rapirmi! -.

- In quel caso proverei più pena per il mandante del crimine che per te, Lauren - si intromette la voce asciutta di James, che si sporge fuori dalla cabina di monitoraggio per mandarci un bacio.

Lauren non lo calcola neanche di striscio. - Risultato eccellente. Uno dei tempi migliori - dice, a voce sufficientemente alta da essere udita fino in fondo alla sala. - Continua così e avremo finalmente una donna ai vertici della classifica. Sono anni, due per la precisione, che nessuna riesce a varcare la linea del quarto posto -. Sospira sconsolata. - Non li sopporto più. Sono maschilisti e pure pettegoli - confessa, puntando il pollice verso James e Quattro, che confabulano a bassa voce mentre attraversano la sala. - Per non parlare di Eric. Lui è il più odioso di tutti -.

Mi premo una mano sulle labbra per trattenere una risata, proprio nel momento in cui una voce arrogante sbotta alle mie spalle un: - Scusa, Lauren, non ho capito. Cosa sarei io? -.

Giro il capo talmente in fretta da procurarmi un crampo al collo. Appena oltre la porta, appoggiato al muro con le braccia incrociate, Eric fa bella mostra di sé, dei propri muscoli e della sua migliore espressione sprezzante. Da quanto tempo è lì?

Lauren ed io ci scambiamo un'occhiata complice, poi lei si sporge verso il Capofazione battendo le ciglia. - Oh, ciao Eric. Tempismo perfetto: stavo giusto dicendo a Zelda quanto tu sia estremamente … amabile e disponibile con tutti -.

Eric socchiude minacciosamente le palpebre, ma non ribatte. È troppo impegnato a fissare James, che mi si è avvicinato in silenzio e ha appoggiato entrambe le mani sulle mie spalle. - Peccato che tu ti sia perso la simulazione di Zelda. È stata eccezionale - afferma, del tutto ignaro del pericolo che sta correndo. Il mio ragazzo lo sta guardando come se volesse saltargli alla gola, ma James continua come se niente fosse. - Veramente magnifica. Lo ha ammesso anche Quattro e sai quanto è difficile strappargli un commento positivo -.

Oh oh. Lo sguardo di Eric non promette nulla di buono. Quattro ricambia tranquillamente l'occhiata carica d'odio del Capofazione, quasi lo stesse sfidando a sferrare il primo attacco. La temperatura nella stanza cala di qualche grado mentre i due si fronteggiano senza parlare, in una battaglia fatta di sguardi taglienti e testosterone a mille.

Se Quattro possedesse anche solo un briciolo della sfacciataggine di Eric, questo sarebbe il momento giusto per lasciarsi sfuggire qualche particolare sulla nostra amichevole chiacchierata della settimana scorsa. Ma Tobias non lo farà, non è così stronzo. Vero? Vero?

Meglio filarsela. Mi faccio piccola piccola, cercando di sgusciare tra James e la porta senza che mi notino.

Sfortunatamente, Eric decide proprio in quell'attimo di averne abbastanza di Quattro e punta lo sguardo su di me. - Non così in fretta, trasfazione - sbotta, muovendosi di lato per bloccarmi il passo. Mi è talmente vicino che sono costretta ad inclinare la testa per poterlo guardare dritto negli occhi. - Sono venuto a chiamarti per ordine di Max. Riguarda Ted -.

Il modo in cui lo dice mi provoca un vuoto allo stomaco. - Che cos'ha? Sta male? -.

Eric inarca un sopracciglio, rimanendo imperturbabile davanti alla mia espressione allarmata. - Per chi mi hai preso? Per la sua balia? -. Mi volta le spalle, uscendo a grandi passi dalla stanza. - Piantala di starnazzare e vieni con me. Non ho tutto il giorno -.

Devo mordermi la lingua per non ribattere a tono. Oltrepasso la soglia come una furia, senza nemmeno salutare gli altri Intrepidi.

Starnazzare? Starnazzare?! Come si è permesso? Capisco che dobbiamo far finta di non sopportarci, ma poteva anche trattarmi in modo, come dire, relativamente umano. Ma forse è chiedere troppo a sua maestà, il Re degli Psicotici.

Sono così inviperita da non accorgermi che la strada che stiamo facendo non porta affatto all'infermeria, né agli alloggi dei membri della fazione. Me ne rendo conto solo quando Eric si ferma davanti ad una porta incrostata di ruggine e si guarda attorno alla ricerca di videocamere. - Dove diavolo … - comincio a chiedere, ma lui mi tappa la bocca con una mano e usa l'altra per spingermi oltre la soglia.

Finisco in una stanzetta microscopica, buia e piena di polvere. Mi faccio largo a tentoni, inciampando su oggetti sparsi sul pavimento e respirando a fatica a causa dell'aria satura di umidità. Una lampadina dotata di sensore di movimento si accende sul soffitto, illuminando l'interno di uno sgabuzzino, pieno di mobili vecchi e martoriati, pezzi di computer e cavi elettrici.

Mi appoggio con cautela ad un tavolino scheggiato e scocco ad Eric con un'occhiata stizzita. - Fammi indovinare. Max, Ted … ti sei inventato tutto, dico bene? -. Pronuncio la domanda in tono mortalmente calmo, scrocchiando le nocche.

Il mio ragazzo fa un breve sospiro. - Era una scusa credibile, no? -.

Incrocio le braccia per non cedere alla tentazione di mettergli le mani addosso. - Certo. Ma era proprio necessario darmi dell'oca? -.

Eric alza un sopracciglio. - Non ti facevo così permalosa -. Invece di arretrare di fronte alla furia che la mia intera persona emana a ondate, mi sorride ammiccante. - E devo dire che vale la pena farti arrabbiare. Fosse soltanto per il modo in cui mi stai guardando adesso -.

Allunga una mano con lentezza estrema, come se temesse che potessi azzannargliela. Beh, ammetto che il pensiero mi ha sfiorata per un momento, ma si è dissolto assieme a tutta la mia stizza non appena ho posato gli occhi sul collo del Capofazione. Più precisamente sulla striscia di pelle tra la maglietta e l'inizio della linea dei tatuaggi, dove il marchio della mia vendetta risalta come un vermiglio bocciolo di rosa in un vaso di gigli.

Perché ti sei fermato? Pensavo lo volessi anche tu”.
Lo faremo quando ti sentirai pronta. Non perché hai paura, o perché vuoi dimostrare qualcosa a te stessa”.

Il ricordo della tenerezza dimostrata da Eric la notte scorsa è sufficiente a farmi dimenticare ogni istinto bellicoso. Perciò quando lui prende l'iniziativa, chinandosi su di me, gli vado incontro e accolgo con piacere le sue labbra tra le mie. Forse imprimo troppa forza nell'abbraccio, perché lo sento gemere e mettere fine al bacio in modo brusco.

Prima che possa fare domande, Eric fa un respiro profondo e sposta la bocca sulla mia guancia, tracciando un sentiero di morsi fino a giungere al mio orecchio. - Zelda, ti spiacerebbe togliere la coscia dal mio … -, fa una pausa e mi bacia la pelle sensibile dietro al lobo, - … inguine? -.

Oh.

Indietreggio come se mi fossi scottata, cozzando contro il bordo tagliente di uno dei mobili. Eric stiracchia le labbra in un ghigno divertito, degno di uno squalo che ha appena imprigionato tra le fauci un ingenuo pesciolino che gli nuotava attorno. Un bel pesciolino rosso, data la sfumatura delle mie guance. - Dove scappi? - mi rimprovera il predatore in questione, sollevandomi per mettermi a sedere sulla superficie polverosa del tavolo addossato alla parete.

Eric affonda il viso nell'incavo del mio collo, sfiorandomi la clavicola con la punta della lingua. Gli passo una mano sulla schiena, spingendolo ancora di più contro il mio petto. Lui mormora qualcosa di incomprensibile, prima di tirarsi indietro. - Puoi anche non crederci, ma non ero venuto a cercarti con lo scopo di portarti nel primo ripostiglio disponile e saltarti addosso -. Il mio sopracciglio scatta ironicamente all'insù, accentuando il ghigno del Capofazione. - In realtà volevo proporti una piccola gita … -.

Quasi non lo ascolto: tutti i miei sensi sono sintonizzati sui movimenti dei suoi pollici, che stanno accarezzando pigramente l'interno delle mie cosce. Mi sfugge l'ultima parte della frase, quindi non afferro il nome della destinazione. Annuisco comunque: basta la parola 'gita' ad accendere la mia curiosità e la voglia di evadere dalla residenza.

Sembra passato un secolo dall'ultima volta che ho visto la luce del sole e l'azzurro del limpido cielo d'estate. Vivere nei cunicoli sotterranei degli Intrepidi è come abitare in un mondo umido, fatto di sola roccia, dove la notte regna perpetua.

Per fortuna esiste Eric. Non sarà proprio un fidanzato convenzionale, di certo non si comporta come un principe, ma sa come farmi felice.

Gli circondo il viso con le mani e premo le labbra sulle sue, già dischiuse. Mi sforzo di imprimere nel bacio tutta la mia approvazione per quest'appuntamento fuori programma, tutta la mia contentezza e l'eccitazione che derivano dal poter stare da sola con lui, anche se di nascosto e per poco tempo. Ormai conto con trepidazione i giorni che mi separano dalla fine dell'iniziazione: meno di una settimana. Non vedo l'ora di poter rendere pubblica la mia relazione con Eric, potergli parlare liberamente, toccarlo e guardarlo senza temere i giudizi del resto della fazione.

Indugio con le labbra sulle sue, incapace di staccarmi, godendomi il calore dei nostri corpi allacciati. Alla fine, seppur riluttante, è lui a sciogliere l'abbraccio. Scendo dal tavolo con un saltello, scuotendo i vestiti ricoperti di polvere. Anche Eric contribuisce all'impresa, togliendomi una ragnatela dai capelli e spazzolandomi i pantaloni. La sua mano si sofferma sul mio fondoschiena più del dovuto, facendomi ridacchiare. - Sarà meglio andare, prima che qualcuno ci scopra -.

Il Capofazione assume all'istante la sua tipica espressione imperscrutabile. Apre la porta dello stanzino e si sporge all'esterno per controllare che non ci sia nessuno in vista. - Via libera. Non parlare e stammi vicino - sibila, intrecciando con forza le dita alle mie.

Mi obbliga a tenere il suo passo, fermandosi solo in corrispondenza delle videocamere per disattivarle. Quando arriviamo all'altra estremità del tunnel ho il fiato corto, sia per la corsa che per l'agitazione. Eric spinge la maniglia di una porta di servizio e mi fa segno di precederlo su per la rampa di scale. Salgo i gradini due a due, ansimando per lo sforzo e sbuco su uno dei tetti che si affacciano sulla voragine, l'ingresso secondario alla Residenza.

Stiracchio le braccia, alzando il viso verso il cielo. L'aria è rovente, ma dopo un mese di tunnel umidi e freddi, questo calore è quasi una benedizione. Di fianco a me appare un'ombra: Eric mi ha raggiunta. Sento le sue dita lavorare frenetiche tra i miei capelli e rimango sorpresa non appena capisco cosa sta facendo. Gli porgo l'elastico prima che me lo chieda e lui lo attorciglia all'estremità della treccia. Esamino il risultato con la coda dell'occhio e accenno un applauso, al quale Eric ribatte con un mezzo inchino altrettanto ironico.

Scattiamo entrambi al fischio del treno in avvicinamento, cominciando a correre lungo il cornicione. Questa volta sono io la prima a prendere posto nel vagone. Il Capofazione rimane accanto alla porta, facendomi supporre che la nostra meta non disti molto dal complesso degli Intrepidi.

La mia intuizione si dimostra esatta: due minuti più tardi, dopo aver saltato su una piattaforma ricoperta di ghiaia, ci ritroviamo a percorrere una delle strade che conducono all'Hancock, il grattacielo più alto di quella zona della città. Ci dirigiamo verso l'imponente struttura nera, su cui risaltano le travi incrociate a vista, e superiamo una serie di porte semi distrutte fino ad arrivare agli ascensori.

Eric pigia il pulsante dell'ultimo piano e mi fa l'occhiolino. - Pronta per la vera iniziazione intrepida? -.

La cabina risale i piani talmente in fretta da farmi vacillare. - In cosa consiste? - chiedo, mentre seguo con gli occhi la lucina che illumina un numero dopo l'altro, fino a soffermarsi sul cento.

Eric non risponde. Mi precede fuori dall'ascensore e punta un dito sul buco sopra le nostre teste. Qualcosa, e mi chiedo cosa, deve aver sfondato il soffitto del centesimo piano: ci sono frammenti di vetro e calcinacci dappertutto. Senza darmi altre indicazioni, il mio ragazzo si avvia su per la traballante scaletta di alluminio che conduce oltre l'apertura.

Mi incanto a fissare i movimenti fluidi del suo corpo, il guizzare dei muscoli sotto la maglietta aderente, e solo quando è ormai a metà percorso realizzo davvero il pericolo che sta correndo. E mi si gela il sangue nelle vene. - Pazzi. Voi Intrepidi siete tutti pazzi - ringhio, guardandolo dal basso con i pugni puntati sui fianchi.

La risata del Capofazione riecheggia in quel che rimane del pianerottolo del centesimo piano. - Avresti preferito ammuffire e morire sepolta in mezzo ai libri? - mi prende in giro, muovendo un dito per invitarmi a raggiungerlo.

Grugnisco una rispostaccia. Ecco perché si è premurato di legarmi i capelli. Sapevo che doveva esserci un motivo più che valido, ma non mi aspettavo di dover addirittura scalare un edificio!

Beh, c'è riuscito Eric. Non sarò da meno.

Strofino i palmi sudati sui pantaloni, tiro su le maniche della maglietta fino ai gomiti e poso un piede sul primo gradino. - Pazzi. Siamo tutti pazzi - bofonchio, mentre risalgo i gradini con prudenza, le mani ben piantate ai lati della scala.

Non so quanti minuti dopo, arrivo sana e salva e tremante sul tetto. Eric mi ricompensa con un sorriso orgoglioso e io mi fiondo tra le sue braccia, dove rimango fino a che il battito del mio cuore non torna regolare. Non posso credere di averlo fatto veramente.

Il Capofazione mi alza il viso per un rapido bacio. - Ben fatto, piccola - quasi grida per farsi udire al di sopra del rombo del vento. - Ma il bello viene adesso -.

Lo osservo prendere un fagotto nero da un mucchio accanto al bordo del cornicione e agganciarlo ad uno dei cavi d'acciaio collegati ai pali posti al centro del tetto. I miei occhi si spostano da un particolare all'altro, sommando il tutto per giungere alla soluzione del mistero. Grattacielo più cavo d'acciaio più imbragatura più carrucola uguale ...

- Zip line - afferma Eric, esaltato.

No. Il risultato della mia operazione mentale non è la zip line. A mio modesto parere, grattacielo più cavo d'acciaio più imbragatura più carrucola uguale pazzia estrema. Questa mia convinzione si rafforza quando Eric termina di allacciarmi la cintura di sicurezza attorno ai fianchi e mi ritrovo a fissare il panorama della città. Da qui la palude che costeggia la recinzione sembra solo una macchia verde e bruna sulla linea dell'orizzonte.

Il mio ragazzo non ha bisogno d'aiuto per indossare l'imbragatura: in meno di dieci secondi è pronto e si piazza alle mie spalle, abbracciandomi saldamente. - Non temere - mi sussurra all'orecchio. - Ci sono io con te. Non ti lascerò nemmeno per un istante -.

Il mio lato orgoglioso si ribella a quelle parole. Vorrei ribattere che ho dimostrato in più di un'occasione di sapermela cavare egregiamente anche da sola. Vorrei mentire, dirgli che non ho paura, che non mi serve il suo sostegno. Eppure l'unica frase che mi esce di bocca è: - Piantala di starnazzare, non abbiamo tutto il giorno -.

Un attimo dopo sto precipitando nel vuoto. Il sole mi acceca e il vento mi ruggisce all'orecchio, impedendomi di sentire qualsiasi altro rumore. Compresa la risata sguaiata di Eric, che intreccia le gambe alle mie e mi obbliga ad aprire le braccia verso l'esterno, come se fossero un paio d'ali. Mi lacrimano gli occhi e il respiro mi si mozza in gola quando prendiamo velocità, sfrecciando quasi perpendicolari al suolo.

La zip line può essere considerata il simbolo degli Intrepidi, riassume tutte le qualità venerate dalla fazione. Coraggio. Sprezzo del pericolo. Intraprendenza. E incoscienza, aggiungo mentalmente, mentre un fiotto di adrenalina mi fa schizzare il cuore a mille.

Scorgo con la coda dell'occhio i profili delle nostre due figure riflessi sulle vetrate dei palazzi che scorrono di fianco al cavo. Visto che siamo entrambi vestiti di nero e allacciati come tralci di vite ad un pergolato, non si distingue dove finisco io e comincia Eric e viceversa.

In lontananza noto un'insegna luminosa, una grossa X incassata in un muro e attorniata da scritte fatte con la vernice spray. Provo un moto di delusione quando comprendo che la lettera segna il termine della nostra corsa. Come un uccellino che spiega le ali per la prima volta, ho provato il terrore dell'ignoto, accantonato ben presto dall'entusiasmo del volo, dalla sensazione di libertà data dal fruscio del vento tra i capelli, dall'ebbrezza della velocità.

Ed è già giunta l'ora di tornare al nido.

Il Capofazione toglie la mano dalla mia per tirare la manopola dei freni: lo stridio del metallo che cozza contro il cavo è fastidioso, mi ferisce i timpani. Vorrei premermi i palmi sulle orecchie, ma non oso muovermi. Mi stacco da Eric solo quando siamo completamente fermi, con i piedi ben appoggiati sull'asfalto. A quel punto mi avvento su di lui, scoccandogli baci su tutto il viso. La treccia che mi legava i capelli si è sciolta durante la discesa, i capelli mi ricadono su viso e spalle in una nuvola vaporosa.

Eric sghignazza e mi tira scherzosamente le ciocche arruffate. - Dovresti vederti. Sembri un cucciolo di leone appena uscito da una centrifuga -. Gli rifilo un'occhiataccia e lui ride ancora più forte.

Metto su un broncio da principessa offesa e mi volto dall'altra parte, tentando di domare i ciuffi scomposti. Eric mi raggira e mi prende il mento tra pollice e indice, alzandomi il viso per decifrare la mia espressione. - Sei particolarmente suscettibile oggi -, commenta, pensieroso, facendo scorrere il pollice sul mio labbro inferiore. - E bellissima. Anche se i tuoi capelli sembrano un cespuglio di rovi -.

Sbuffo, ma non riesco a trattenere un sorrisetto. - Tu sì che sai come lusingare una donna - mormoro, passando la mano sulla sua guancia dove la leggera traccia di barba mi pizzica la pelle. - Adesso capisco perché nessuna ti vuole -.

Eric ripaga la mia frecciatina con un ghigno. Porta avanti il viso fino a far scontrare i nostri nasi e sta al gioco. - Nessuna? Proprio nessuna? Ne sei sicura? - insinua, inclinando il capo per baciarmi un angolo della bocca.

Poso le mani sulle sue spalle per mantenere l'equilibrio. Le ginocchia si sono fatte improvvisamente deboli. - Ovviamente. Chi mai sarebbe così avventata da rischiare di innamorarsi del temuto Eric dagli occhi grigi? -.

L'Intrepido sopracitato finge ingenuamente di pensarci su. Poi mi solleva, facendomi fare un giro in aria. - Esiste solo una persona abbastanza coraggiosa. In questo momento è stretta tra le mie braccia e … -. Mi guarda e i lineamenti del suo volto si addolciscono, trasformando il ghigno in un sorriso gentile. - … e ci resterà per molto, molto tempo -.

Getto indietro la testa, agitando i capelli con fare malizioso. Gli circondo i fianchi con le gambe, accavallando le caviglie alla base della sua schiena. - Ti stai mettendo nei guai, Capofazione. Potrei prenderti in parola -.

Eric regge il mio peso con un braccio solo, infilando l'altra mano tra i miei capelli. - E' quello che spero - ribatte, pizzicandomi la nuca. Un brivido caldo mi scorre giù per la colonna vertebrale. - Questo vuol dire che verrai a vivere con me dopo aver terminato l'iniziazione? -.

Cosa? Il cambio di argomento mi lascia stordita. Batto le palpebre e guardo il mio ragazzo come se fosse apparso dal nulla. - Vi-vivere con te? - balbetto. Eric annuisce, ma il mio cervello ancora non connette. - Intendi abitare insieme? Nel tuo appartamento? -.

Lui rotea gli occhi, esasperato e divertito in ugual misura. - , Zelda. Abitare insieme. Hai presente? Condividere il letto, l'armadio, il bagno. Soprattutto la doccia - afferma, alzando allusivamente le sopracciglia.

Sul mio viso si allarga un sorriso che va da orecchio a orecchio. - Io … certo che voglio vivere con te! Lo davo quasi per scontato - esclamo, facendolo ridere di nuovo.

- Stai diventando sfrontata, piccola - mormora, a un soffio dalla mia bocca. Mi succhia le labbra, mordicchiandole fino a farmi gemere. - Mi piace. Molto -.

E lo dimostra, baciandomi fino a togliermi il respiro.


 







 


 

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Hola chicas! Mi state odiando, vero? Vi chiedo scusa per l'attesa, ma questi ultimi mesi sono stati un tormento. Zero idee, zero voglia di scrivere.
Per una come me, e penso per chiunque ami scrivere, trovarsi davanti una pagina bianca e non avere idee su come riempirla, è un incubo. Mi sentivo veramente depressa. Quindi non so cosa ho combinato con questo ultimo capitolo. Vi è piaciuto? Spero di non aver deluso le vostre aspettative e resto in attesa dei vostri pareri.

Tornando alla storia, siamo quasi alla fine dell'iniziazione e Eric in questo capitolo compie un passo importante, ovvero chiedere a Zelda di andare a vivere insieme. E la porta sulla zip line!! Io sarei morta, ve lo dico sinceramente. Non so se avrei avuto il coraggio di salire quella scaletta, anche se ad attendermi ci fosse stato Jai Courtney in persona! Da brava Erudita, lascio lo sport agli Intrepidi e mi tengo i miei adorati libri ;)

Ho concluso anche l'altra FF, 'Share your horizon with mine'. Fateci un salto se avete tempo! In ogni caso vi aspetto su Facebook, https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

Bacione a tutti da Lizz


 

p.s. Il titolo del cap è un omaggio all'omonima canzone dei Westlife.

p.p.s. Avvisatemi se trovate errori.


 


 

 

 

 

 


 


 


 


 


 


 


 

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Capitolo 47
*** Smoke and mirrors ***







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Capitolo 46

 

 

Zelda

 


 

- … e poi mi sono ritrovata circondata da uno sciame di insetti schifosi. Questa notte mi sono alzata due volte - due volte! - per controllare che non ci fossero vespe o cavallette sotto al letto, sentivo ancora il ronzio nelle orecchie, sapete? -.

- Mm mm -. Annuisco quasi in automatico, fingendomi calma e attenta alla conversazione. In realtà ho perso quasi tutta l'ultima parte del discorso di Mel perché sono stata troppo impegnata a nascondere il brivido di fastidio che mi ha percorsa quando, con la coda dell'occhio, ho notato il gruppetto di ragazzine in sosta accanto al tavolo dei Capifazione.

Spezzo a metà un biscotto al limone, cercando di dominare la vampata di irrazionale gelosia che mi fa digrignare i denti. Il rumore secco attira l'attenzione di Melanie, che interrompe prontamente la discussione sulle possibili paure che dovremo affrontare domani durante la prova finale dell'iniziazione e mi scruta in viso con aria astuta.

Osserva il biscotto ormai ridotto in briciole sul mio vassoio, prima di voltare la testa per dirigere lo sguardo verso l'altro lato della mensa. Soppesa la situazione per qualche secondo, poi soffoca una risatina. - Sei una causa persa - esclama, dandomi un pugno non troppo leggero sulla spalla. - Credevo avessi superato la fase della gelosia compulsiva -.

La frecciatina non fa che acuire il mio umore tetro. - Lo credevo anch'io - bofonchio, senza perdere di vista la smorfiosa bionda che si è seduta in mezzo ai Capifazione, vicino ed Eric. Decisamente troppo vicina ad Eric.

Il biscotto che mi capita tra le mani sta per fare la stessa fine del precedente, ma Felix me lo sfila abilmente dalle dita prima che possa ridurlo in poltiglia. - Mi sono perso qualcosa? - chiede, mentre sbocconcia il quadrato di pasta frolla. Il suo sguardo tranquillo vaga da me all'Intrepida al suo fianco. - Avanti, rendetemi partecipe. Mi hanno sempre incuriosito le chiacchiere tra ragazze -. Ci sorride, poi mette una mano sul cuore con fare teatrale. - Mi impegno a mantenere il segreto -.

Mel aspetta il mio cenno di assenso prima di spifferare tutto: - Zelda può sembrare una ragazza dura e distaccata, ma sotto sotto è disgustosamente romantica e… -.

- Taglia corto, Mel - ringhio, facendo ridacchiare Felix.

- Oh, d'accordo. Volevo arrivarci per gradi per non scioccarlo, ma se insisti … -. Si scosta un ciuffo di capelli dalla fronte e posa una mano sull'avambraccio del gemello. - Zelda se la fa con Eric -.

Il tatto con cui Mel diffonde la notizia è paragonabile a quello di un cinghiale lanciato a folle corsa verso dei soprammobili di cristallo. Ovvero nullo. Ma tanto ormai non ci faccio più nemmeno caso. Soprattutto non quando sono impegnata ad osservare i movimenti studiati della bionda che si sta prendendo fin troppe libertà con Eric. Se non stacca subito le sue dita dalla spalla del mio ragazzo vado lì e gliele spezzo come sto spezzando i biscotti nel piatto.

Alle parole di Melanie, Felix per poco non sputa il boccone di muffin che sta masticando. - No! -.

- Si! - squittisce con enfasi la sopraccitata vincitrice del premio “Sono la quintessenza della delicatezza”.

- Il Capofazione? Proprio quell'Eric? - continua il gemello, chinandosi verso di lei con fare complice.

- Quanti altri Eric conosciamo? - sibilo io a mezza voce, ma nessuno dei due pare farci caso.

- Allora era lui il ragazzo del succhiotto - commenta Felix, con un sorrisetto malizioso che fa concorrenza a quelli abituali di Xavier. Mi fa l'occhiolino, poi torna subito ad interrogare Melanie come se io non fossi presente. - E da quanto va avanti? -.

Lei si avvicina al suo orecchio, abbassando il tono per non farsi udire da orecchie indiscrete. - Beh, da qualche settimana. E lui le ha già chiesto di andare ad abitare insieme dopo l'iniziazione! -.

Felix fa un fischio. - Wow. Quindi è una cosa seria - mormora, voltando il capo per gettare un'occhiata al Capofazione. - Ora capisco molte cose. Per esempio dove andavi quando sparivi dalla circolazione per interi pomeriggi -. Annuisce tra sé e alza il pugno chiuso per far cozzare le nostre nocche. - Bel colpo, ragazza. Da quel che sento in giro, la maggior parte delle Intrepide sarebbe disposta a tutto pur di passare anche solo una notte con Eric -. Alza un sopracciglio e il suo sguardo si fa curioso. - Allora, è veramente dotato anche sotto le lenzuola, o sono solo dicerie? -.

- Felix! - mi indigno, arrossendo d'imbarazzo. Non mi sarei mai aspettata una domanda del genere da lui. Se non fosse per la cicatrice sul suo viso e per i capelli neri, sarei portata a credere di avere davanti Xavier.

Mel è piegata in due dalle risate, si appoggia addirittura al bicipite del gemello per non cadere dalla panca. Mi passo una mano sulla fronte, trattenendo l'impulso di colpire entrambi, usando il vassoio come una mazza da baseball. - D'accordo, vecchie comari, dateci un taglio. La mia pazienza è già messa a dura prova - borbotto, scoccando un'altra occhiataccia alla biondina che se ne sta appiccicata al mio ragazzo. La spallina della maglietta che indossa le sta scivolando sempre più giù lungo il braccio, ormai ha un'intera spalla scoperta. Inutile dire che i maschi seduti attorno a lei non la stanno guardando propriamente negli occhi mentre parla.

Melanie fiuta il pericolo perché smette all'istante di ridere. - Oh oh. Conosco quello sguardo -. Dà un colpetto con la spalla a Felix. - Fa qualcosa, prima che Zelda scopra le zanne e vada alla carica -.

Lui fa scrocchiare le nocche, una scintilla guizza nei suoi occhi color cobalto. - Ma io voglio vederla all'opera. Cinque gettoni che fa secca la biondina -.

Socchiudo le palpebre con sospetto, distogliendo momentaneamente l'attenzione dai Capifazione per portarla sul ragazzo che mi siede di fronte. - Siamo sicuri che tu sia davvero Felix e non Xavier con i capelli tinti? -.

- Con i capelli al naturale, semmai - replica Mel, allungando una mano per sistemargli le ciocche scure e scomposte. Felix asseconda il suo tocco quasi in automatico e il sorriso tenero che le rivolge fa scattare un interruttore nella mia mente. Perfino i miei propositi guerrafondai nei confronti della svampita bionda passano in secondo piano, quando capisco cosa significano gli sguardi che i due Intrepidi seduti di fronte a me si stanno lanciando da parecchi minuti.

Oh, cielo. Questi due si piacciono. E ne sembrano totalmente inconsapevoli. Come ho fatto a non accorgermene prima? Forse ora inizio a capire quel modo di dire, l'amore rende ciechi. Su di me si può applicare al contrario: i miei sentimenti non mi impediscono di vedere i difetti o le mancanze di Eric, ma ciò che accade nel mondo circostante. Come se avessi uno specchio davanti agli occhi, una barriera riflettente su cui non c'è spazio per altri che per il Capofazione e me stessa.

Il senso di colpa mi fa boccheggiare. No, il mio amore non può essere circoscritto ad una sola persona. I miei amici mi sono stati accanto quando Eric ancora non mi conosceva e non mi considerava: non posso essere così egoista da trascurarli solo perché mi sono innamorata.

Non accadrà più. E ora occupiamoci di questi due.

Come se avesse captato i miei pensieri, Felix distoglie gli occhi da quelli di Mel e guarda con curiosità il sorrisetto che mi incurva le labbra. - Hai fatto in fretta a seppellire l'ascia di guerra. Ed io che speravo in un combattimento all'ultimo sangue tra te e la bambolina bionda - confessa, allungandosi sul tavolo per afferrare un'altra manciata di biscotti da un vassoio rimasto incustodito.

Approfitto della sua distrazione per osservare meglio Melanie e noto che la sua mano è ancora appoggiata al braccio del gemello. Non l'ha spostata nemmeno quando lui si è alzato in piedi per scambiare un saluto con un gruppetto di ragazze assiepato nel tavolo di fronte al nostro. A quanto pare non sono l'unica che si rode dalla gelosia, è un buon segno. Vediamo di dare una svegliata anche a Felix.

Mi prendo qualche secondo per cancellare ogni traccia di divertimento dalla mia espressione e poi do campo libero al mio lato drammatico. Che la recita abbia inizio. - Oh, no. Eric sta guardando da questa parte - gemo, fingendomi intimorita. Esagero giusto un tantino, sgranando gli occhi come se avessi visto Max ballare sopra alla panca mezzo nudo a ritmo di samba.

Alla mia esclamazione, Felix fa per voltarsi, ma io gli premo una mano sul polso per impedirglielo. - No, non girarti. Se vede che lo guardi la prenderà come una sfida. Dice sempre che tu e Xavier mi state troppo appiccicati. Vedi, anche lui è abbastanza geloso di me -.

'Abbastanza' non rende l'idea, bercia la mia vocina interiore. La ignoro e continuo col mio teatrino. - Adesso mi toccherà ripetergli fino all'esasperazione che tra me e te non c'è nulla. In fondo stavamo solo parlando...non ha motivo di minacciarti...oddio, spero davvero che non se la prenda con te! -.

Il mio tono preoccupato da damigella in pericolo sembra sortire l'effetto sperato, perché Felix serra la mascella. Rimane in silenzio per circa tre secondi prima di scoccare uno sguardo a Mel. - Ci sta ancora guardando? - mi domanda, senza perdere il contatto visivo con la mia amica.

- Sì e non pare contento... -. Questa volta non ho mentito: Eric sta veramente guardando da questa parte. Accentuo il tono lamentoso, piagnucolo qualche altra frase senza senso, ma dentro di me sto esultando.

Il soggetto ha abboccato. Ripeto: il soggetto ha abboccato.

Per la prima volta nella storia, io e la voce della mia coscienza ci troviamo d'accordo. Infatti Felix allunga una mano verso il viso di Melanie, lo sguardo acceso da una luce dolce e determinata allo stesso tempo. - Allora sarà meglio fugare qualunque dubbio... - sussurra tra sé, e si china su di lei per premere gentilmente le labbra sulle sue.

Mel sussulta e sbarra gli occhi, presa alla sprovvista, ma non si tira indietro. E' un bacio delicato, uno sfioramento di labbra appena accennato, eppure rischio seriamente di commuovermi. Sia per l'intensità del momento, che per la buona riuscita della mia recita.

Alla faccia di Eric che dice sempre che sono incapace di mentire.

Dopo alcuni secondi Felix interrompe il contatto e si stacca da Melanie come se si fosse scottato. Qualcosa sta effettivamente andando a fuoco: la pelle delle sue guance, ad esempio. Apre la bocca, ma non ne esce alcun suono.

Mi schiaffo una mano sulla faccia: sono quasi tentata di dargli uno scappellotto. La scena mi ricorda troppo il primo bacio tra me e il Capofazione, con la sottile differenza che quella volta né io né Eric eravamo in condizioni di fare chissà che. Io ero troppo intimorita e lui, beh, troppo ubriaco. Invece i miei due amici non hanno nessun motivo, fisico o etico, per nascondere l'attrazione che provano l'uno per l'altra. Ma Felix non si decide ad alzare lo sguardo dal pavimento, anzi nasconde gli occhi dietro al ciuffo blu che gli ricade sulla fronte. Si sposta leggermente sulla panca per allontanarsi da Melanie e io sto già per disperarmi, ma - sia ringraziato il cielo! - lei lo ferma. Blocca la sua precipitosa ritirata posandogli una mano sulla nuca e con una mossa decisa lo attira a sé, lasciandolo andare solo dopo avergli dimostrato che il precedente bacio non l'aveva soddisfatta per nulla.

Ridacchiando sottovoce, sguscio via dalla panca e mi defilo verso il tavolo del buffet. Mi azzardo a sbirciare solo una volta entrata in possesso di una gustosa brioche alla marmellata. I miei due amici si stanno baciando appassionatamente, incuranti dei fischi e dei commenti poco velati provenienti dai tavoli tutt'intorno.

Ah, l'amore. Con un sospiro ricco di soddisfazione e benevolenza, mi giro per prendere un bicchiere di succo d'arancia. La mia mano si blocca a metà strada.

Eric non dà mostra di avermi notata, anche se è talmente vicino da sfiorarmi il gomito. Si versa con tutta calma una buona quantità di caffè, mentre io rimango intrappolata tra il muro e il suo braccio teso. Alzo ironicamente un sopracciglio e lui ricambia con un ghigno al di là del bordo della tazza. Prima di tornare al tavolo, si piega in avanti per afferrare un pezzo di pane tostato e, nel farlo, mi sussurra poche parole all'orecchio: - Tra dieci minuti. Al poligono -.




 

*


 

Arrivo in anticipo di un minuto, ma lui è già lì ad attendermi. Fa scattare il suo aggeggio tecnologico e, dopo essersi accertato di aver reso cieche le videocamere, mi fa cenno di entrare nel locale semibuio. Aspetto che disattivi anche le spie luminose all'interno della sala, poi lo fronteggio con le mani sui fianchi in una posa da maestrina. - Ce ne hai messo di tempo per liberarti della bambola bionda - gli faccio notare, mentre lui mi ruota attorno per aprire una porticina a lato degli armadietti che ospitano ogni tipo di arma.

Eric si appoggia con una spalla allo stipite. - Non mi hanno mai attirato le bionde - afferma, guardandomi da sotto in su con malizia. - Ormai dovresti sapere che sei tu l'unica bambola con cui voglio giocare -.

Alzando gli occhi al cielo, lo precedo in quello che è senza ombra di dubbio uno sgabuzzino, anche se leggermente più spazioso di quello in cui mi ha trascinata l'ultima volta. Osservo con apprensione le pareti scrostate e le numerose ragnatele che pendono dal soffitto. Non riesco a contenere uno sbuffo. - Possibile che la tua idea di appuntamento coincida soltanto con posti polverosi, umidi e probabilmente abbandonati da chissà quanto tempo? - sibilo, mentre Eric richiude la porta dietro di sé, ben attento a lasciare un piccolo spiraglio di luce. Una gentilezza che mi fa letteralmente sciogliere.

Gli avvolgo le braccia attorno al torace prima ancora che riesca a voltarsi completamente verso di me. Strofino la guancia sul suo petto come farebbe un gattino contro la caviglia del padrone che lo coccola. - Mi sei mancato in questi giorni -.

Lo sento inspirare profondamente. Ricambia l'abbraccio, posandomi le mani sui fianchi. - E lo dici a me? Sono stati quattro giorni molto lunghi. Per non parlare delle notti - asserisce, muovendo i pollici in piccoli cerchi. - Mi sono perfino rifiutato di far cambiare le lenzuola questa settimana -.

Emetto un gemito d'approvazione quando le sue labbra mi sfiorano la pelle dietro l'orecchio. - E perché l'avresti fatto? -.

Il suo sospiro mi scompiglia i capelli. - Perché avevano ancora il tuo odore -.

Mi tiro leggermente indietro per scoccargli un bacio sul mento. Poi mi ricordo una cosa importante. - Come sei riuscito a fermare Bruce? L'hai corrotto per caso? -.

Bruce, il ragazzo incaricato delle pulizie degli appartamenti dei leader e di quelli di alcuni membri di spicco della fazione, è conosciuto in tutta la residenza per l'eccessivo zelo con cui svolge i propri compiti. Ho sentito più di qualche volta gli altri Intrepidi prenderlo in giro, ma lui non si scompone di una virgola. Si limita ad alzare le spalle con un autocontrollo formidabile e a ripetere sempre la stessa frase: “Siete solo invidiosi perché scopo più di voi”.

La prima volta che abbiamo assistito alla scena, io e Leslie avevamo gli zigomi doloranti per il troppo ridere. In più di un'occasione Bruce ha messo a tacere i Capifazione con quell'insinuazione, tanto da farmi credere che per sia veritiera in tutti e due i sensi. Non mi stupirei affatto: anche se spesso veste i panni di una casalinga disperata, Bruce è un ragazzo ben piazzato e davvero attraente.

Eric sorride con strafottenza. Credo sia l'unico in grado di far desistere un ossessivo compulsivo come Bruce dalla sua maniacale opera di pulizia. - No. Gli ho solo detto che l'avrei usato come bersaglio per esercitarmi con i coltelli, se solo si azzardava a mettere piede nella mia stanza. L'ha terrorizzato di più il pensiero di dover lavar via il sangue dal pavimento che quello delle ferite da taglio -. Mi passa l'indice sulle labbra per spingermi a dischiuderle. - L'unica cosa che mi ha aiutato a dormire in queste notti è stato il ricordo di te tra quelle lenzuola. Di te, mezza nuda e con le gambe avvolte attorno ai miei fianchi. Temevo che, se avessi lasciato entrare qualcun altro, quel ricordo sarebbe stato...in un certo senso...contaminato. Io... -. Vedo che è in difficoltà dal modo in cui storce la bocca e irrigidisce le spalle. Vorrebbe dire qualcos'altro, è evidente, ma si trattiene.

Gli poso entrambe le mani sul petto e gli rivolgo lo stesso sorriso luminoso di quando mi ha chiesto di andare a convivere. Lui rimane per qualche secondo spiazzato, come se non si fosse aspettato una reazione del genere da parte mia. - Che c'è? Perché mi guardi così? -.

E' forse una nota d'imbarazzo quella che sento nella sua voce? Il mio sorriso non accenna a spegnersi. - Puoi ripetere l'ultimo pezzo? Voglio assolutamente appuntarmelo da qualche parte -.

- … -.

- Eric, era una frase dolcissima quella che hai appena detto! -.

Lui rotea gli occhi. La sua espressione è una via di mezzo tra rassegnazione e sarcasmo. - Lo senti questo rumore? -.

Batto le palpebre, guardandomi attorno. - Rumore? Quale rumore? -.

- Quello del mio ego che va in frantumi -.

Non ce la faccio a rimanere seria dopo una battuta del genere. Anche Eric si lascia scappare una roca risata di gola che si spezza quando comincio a far scivolare le dita lungo il suo collo e le spalle, scendendo con lentezza sui pettorali.

Chiude gli occhi per un attimo. - Cosa... - comincia a chiedere, ma si interrompe non appena la mia mano raggiunge la pelle tesa dello stomaco sotto la maglia.

Mi alzo in punta di piedi per baciargli un lato del collo. - Mi sto solo assicurando che, oltre al tuo ego, non si sia frantumato nient'altro - mormoro, invertendo la rotta intrapresa dalla mia mano per raggiungere la sua schiena. Le mie unghie premono dolcemente sui muscoli sotto le scapole, provocandogli un brivido.

Con un luccichio pericoloso nelle iridi d'acciaio, Eric si riscuote dall'immobilità. Mi passa un braccio dietro le cosce, sollevandomi quanto basta perché i nostri volti si trovino alla stessa altezza. Gli circondo il busto con le braccia per sorreggermi, il corpo schiacciato contro il suo.

Lui mi morde scherzosamente una guancia. - Allora, come procede la perlustrazione? Hai riscontrato qualche anomalia? -. Nel dirlo muove il bacino in modo allusivo, strappandomi un ansito. - Se la tua idea comprende una visita accurata, sappi che sono totalmente favorevole -.

Sto per ammettere l'intenzione di sottoporlo ad una visita molto più che accurata, ma un rumore improvviso mi blocca le parole in gola.

Eric si irrigidisce tra le mie braccia e volta di scatto la testa verso la porta. Mormora un'imprecazione e si sposta silenziosamente, piazzandosi accanto ad una delle griglie d'aerazione presenti nella parete che dà sulla stanza principale del poligono.

Quello che scorge tra i buchi della grata pare confonderlo, perché socchiude gli occhi e la sua espressione si fa confusa. Allunga un braccio per invitarmi a raggiungerlo e mi fa spazio per permettermi di sbirciare a mia volta tra le fessure. Facendo attenzione a dosare anche il minimo respiro, avvicino il viso alla griglia e rimango a bocca aperta. Due figure si stagliano nella penombra della sala, i profili che si mimetizzano con quelli delle sagome di cartone di scorta addossate vicino agli armadietti.

Apro e chiudo le palpebre alcune volte prima di rendermi conto che la vista non mi sta ingannando, che la scena a cui sto assistendo non è frutto della mia fervida fantasia. Probabilmente non sarei riuscita ad immaginare una situazione paradossale come questa neppur volendo.

A pochi passi da me, l'inconfondibile sagoma di James sta abbracciando una figura più piccola, più minuta. Una figura che ho imparato a conoscere molto bene, dopo quasi un mese trascorso a dormirle accanto.

Deglutisco e una sensazione per nulla piacevole mi serpeggia sulla nuca. Perché la persona ingabbiata tra le braccia tatuate e muscolose del Capofazione è la stessa ragazza che ha rubato il cuore a mio fratello.

Leslie.


 








 

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Ciao a tutti! Sono imperdonabile, lo so. Mi vergogno tantissimo per avervi fatto aspettare tutti questi mesi. Portate pazienza, d'ora in poi dovrei riuscire ad essere più veloce. Non abbandonerò la storia finché non sarà terminata, quindi non disperate se mi faccio attendere.

Di recente ho anche scoperto un palese plagio su Wattpad: 'Burn in my frozen heart like a dancing flame' è stata copiata parola per parola, inclusi i commenti dello spazio autrice, da una persona che ha avuto il coraggio di spacciarla per sua (mettendo anche la modalità 'tutti i diritti riservati'). Ora, non sto qui a dirvi quanto la cosa mi abbia irritata e ferita. Il danno ormai è fatto e la storia copiata è stata cancellata (ringrazio mille volte chi mi ha aiutato a segnalarla), ma mi auguro veramente che episodi del genere non capitino più.

Io ho deciso di condividere la mia passione per la scrittura senza chiedere né pretendere nulla in cambio: mi aspetto soltanto che chi legge i miei lavori li tratti con lo stesso rispetto con il quale tratterebbe i propri. Non fate agli altri quello che non volete che gli altri facciano a voi.

Bene, dopo questo sfogo, torniamo alla storia. In questo capitolo, collocato cronologicamente quattro giorni dopo il precedente, troviamo Eric e Zelda alle prese con una nuova scoperta. Cosa succederà? Come si evolverà la situazione? Tutto si chiarirà nel prossimo episodio, che posterò al massimo verso fine mese. La mia vena sadica ha colpito ancora, ma non fatevi ingannare dalle apparenze. Niente è come sembra ;)

Vi ringrazio per non aver abbandonato la storia, per aver continuato a mandarmi messaggi e recensioni. Il vostro sostegno conta moltissimo per me!

Un bacione a tutti, a presto!

Lizz

p.s. il mio nickname cambierà a Lizz Evenrose (per renderlo uguale a quello di Wattpad).

p.p.s. tenete a mente Bruce: non è solo un personaggio secondario.


 

Mi trovate nella mia pagina Facebook, utile per rimanere aggiornati sulle storie in corso → https://www.facebook.com/Lizz-1487353441540966/?ref=aymt_homepage_panel

Vi lascio anche il link del mio profilo di Wattpad → https://www.wattpad.com/user/Lizz_Evenrose

E del mio nuovo blog → http://ecletticalettrice.blogspot.it/


 

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Capitolo 48
*** Never surrender ***






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Capitolo 47




 


 

Zelda



 

Non so per quanto tempo resto immobile davanti alla grata, gli occhi sbarrati puntati sulle mani di James che circondano le spalle di Leslie.
Ad un certo punto avverto il braccio di Eric serrarsi attorno alla mia vita e il suo respiro sul collo. - Tutto bene? -, mi chiede. Nel suo sussurro capto una vena di preoccupazione, forse causata dall'eloquente sconcerto che ho stampato in faccia.

No che non va tutto bene, accidenti!

Quella là fuori è Leslie, la stessa ragazza che trascorre ogni momento libero a chiedermi di raccontarle qualcosa a proposito di mio fratello, che sospira sconsolata quando Damien non si presenta alla residenza assieme al team di Eruditi che collabora con i nostri Capifazione. Vederla ora abbracciata a James è come ricevere un manrovescio direttamente sulla mandibola. Se prima ero impallidita, adesso sento le guance scottare dall'indignazione. Leslie farà meglio a darmi delle spiegazioni, e subito.

Mi giro verso Eric. Lui mi sta ancora osservando, in attesa di una risposta. - Puoi disattivare le videocamere? - chiedo, facendo un cenno con la testa verso la sala del poligono.

Il Capofazione aggrotta la fronte, la sua espressione si vela di sospetto. - Piccola, cos'hai in mente di fare? -.

Chiudo per un attimo gli occhi, cercando di calmarmi. - Qualcosa non torna. Vivo quasi ventiquattr'ore su ventiquattro assieme a Leslie e non l'ho mai sentita nominare James neanche di striscio. Inoltre … -, mi mordo l'unghia del pollice, indecisa se confessare ad Eric quel particolare. Niente più segreti, mi ripeto.
- Inoltre, a lei interessa mio fratello. Damien -, preciso, sapendo quanto poco gli piaccia sentir parlare di Alfred e compagnia. Invece Damien pare andargli sufficientemente a genio, chissà per quale motivo.

Eric si passa la mano sul mento e riflette in silenzio per qualche istante. Lancia un'occhiata di sbieco attraverso la grata. - Hai ragione, qualcosa non torna -. Indica le lucette spente delle videocamere e i suoi tratti si fanno risoluti. - James non si è mai fatto problemi a flirtare in pubblico, è già successo che si portasse a letto qualche iniziata negli anni passati -. La sua mano si stringe sul mio fianco, per poi scivolare via. Mi passa accanto e si dirige alla porta.
- Andiamo. Sono proprio curioso di sapere perché si sta nascondendo -.

Il cigolio dei cardini arrugginiti anticipa la nostra comparsa e fa sussultare la coppia abbracciata. James e Leslie si voltano entrambi verso di noi, ad occhi sbarrati. Quelli del Capofazione, dapprima sorpresi, si assottigliano con fare minaccioso, mentre quelli di Leslie sono … pieni di lacrime?

No, decisamente qualcosa non va.

James è il primo ad infrangere la pesante cappa di silenzio piombata sulla sala alla nostra entrata in scena. - Che ci fate qui? - sbotta, liberando Leslie dal suo abbraccio e spostandosi in modo da frapporsi tra lei ed Eric.

Il mio ragazzo non batte ciglio. - Potrei farti la stessa domanda, collega - replica, enfatizzando l'ultimo termine con ironia.

I Capifazione si fronteggiano in una battaglia fatta di braccia incrociate e atteggiamento ostile. Una muta sfida che nessuno dei due ha intenzione di perdere. Il mio sguardo invece non abbandona Leslie: lei mi fissa di rimando, le guance arrossate dal pianto e le spalle scosse da singhiozzi silenziosi. Non perdo altro tempo a pensare: mi slancio verso di lei, scansando sia Eric che James.

Leslie rimane ferma, non muove un muscolo mentre la tengo stretta a me. Sembra che non abbia nemmeno la forza necessaria ad alzare le braccia: si limita a posare la fronte sulla mia spalla e a sussurrare poche parole spezzate: - Mio padre...sono stati loro...come hanno potuto? -.

Non sapendo che dire, le accarezzo i capelli come ho fatto con Ted quella volta in infermeria. Nel frattempo cerco di fare il punto della situazione, per venirne a capo di quell'intricato puzzle. Proprio come pensavo, lei e James non si erano dati appuntamento qui al poligono per amoreggiare o chissà che altro. Lui la stava semplicemente consolando. Ma perché? Cos'è successo di così grave da farla piangere? E cosa c'entra suo padre?

Turbata e confusa, rivolgo uno sguardo al Capofazione più anziano. Lui non sta più fulminando il mio ragazzo con i suoi occhi azzurro ghiaccio. Ha messo da parte l'aria truce e si sta passando una mano tra i capelli, quasi si sentisse a disagio.

Rilascia un sospiro stanco e si rivolge di nuovo ad Eric. Questa volta con meno astio. - Dobbiamo parlare. Ma in un luogo più … sicuro - afferma, indicando con un dito la videocamera posta esattamente sopra le nostre teste.

Le iridi color tempesta di Eric si posano prima su Leslie, ancora tremante tra le mie braccia, poi su di me e la sua mascella si irrigidisce. - D'accordo -. Più che un'affermazione, la sua sembra una vera e propria dichiarazione di guerra. James farà meglio ad assecondarlo, altrimenti non finirà bene per nessuno di noi.
- Vediamoci tra pochi minuti nel mio studio. Mi assicurerò di spegnere i microfoni -. Voltandoci le spalle con malcelata irritazione, guadagna l'uscita in due ampie falcate ed esce dalla stanza facendo sbattere la porta.

James storce la bocca in una smorfia sarcastica. - Ora tutto ha un senso - esordisce, guardandomi con interesse. - Tu ed Eric, eh? Ecco perché ogni volta che ti nomino scatta come un cobra a cui hanno tranciato la coda -. Scuote la testa con aria afflitta. - Si può sapere come fai a sopportarlo? È più intrattabile di una donna incinta. Per non parlare dei suoi modi gentili: paragonato a lui, un gatto a nove code è delicato e inoffensivo quanto una spazzola per capelli -.

A quella battuta, Leslie alza il viso dal mio petto e sorride mestamente. - Sono sicura che qualunque oggetto, anche il più innocuo, in mano ad Eric si trasformerebbe in un'arma micidiale -.

James ci pensa su, poi fa spallucce. - Non posso darti torto -. Quando incrocia gli occhi di Leslie il suo sorriso si addolcisce. Si avvicina a noi e le posa una mano sulla spalla. - Se non te la senti di parlarne, possiamo … -.

Lei lo interrompe con un cenno della mano. - No. Sono stanca di tutti questi segreti. Questa nuova scoperta è stata un duro colpo, ho bisogno di raccontarlo a qualcuno -. James fa per replicare, ma lei lo anticipa: - Mi fido di Zelda. Le affiderei la mia vita -.

- E' proprio quello che farai, se le dirai la verità - bofonchia lui, scuotendo la testa.

Stanno entrambi parlando come se io non fossi presente, eppure non me la sento di intervenire. Ancora non capisco dove vogliano andare a parare.

James mi scruta con attenzione, poi emette un verso che è per metà ringhio e metà lamento insofferente. - Di Zelda ci possiamo fidare, d'accordo. Ma di Eric, che mi dici? -.

Leslie si morde un labbro e mi lancia uno sguardo quasi colpevole prima di rispondere. - Correrò il rischio. In fondo, ci sarebbe utile. Damien non ti ha forse detto che non ha accettato di collaborare nel progetto di Jeanine, nonostante lei lo stia praticamente supplicando in ginocchio da mesi?-.

Dopo quell'affermazione non posso restare in silenzio. - Jeanine cosa? Mi volete spiegare di che diavolo state parlando? -.

James getta le braccia in aria con stizza. - Oh, va bene, dannazione - esclama, con un tono talmente drammatico da far sorridere Leslie. - È una follia, ma hai ragione, il loro aiuto potrebbe farci comodo -. Mi strizza l'occhio e la sua espressione si ammorbidisce. - E adesso raggiungiamo il tuo uomo, prima che prenda fuoco per la troppa furia repressa -.




 


 

* * *




 


 

Eric



 

Il ticchettio dell'orologio a muro accompagna il tamburellare delle mie dita sul tavolo. Un suono ritmico e persistente che rimbomba tra le pareti del mio ufficio, uno studio senza finestre a mio esclusivo uso. Uno dei tanti privilegi che spettano ai leader.

E tanto per rimanere in tema...Getto un'occhiata in tralice a James, appoggiato alla parete nella sua tipica posa da duro.

- Allora? - scandisco, battendo due dita sul piano in acciaio. - Vi decidere a parlare, o preferite che vi obblighi io? Magari puntandovi un pugnale alla gola, che ne dite? -.

L'ex Pacifica deglutisce rumorosamente, ma non si scompone più come accadeva nei primi tempi: questo indica quanto poco mi sia impegnato nel formulare la minaccia.

È snervante constatare quanto la vicinanza di Zelda mi renda docile e accondiscendente. Emetto uno sbuffo dal naso, alla stregua di un toro pronto a caricare. Sto quasi per alzarmi in piedi, scaraventare la sedia addosso a James e appendere la ragazzina alla parete al posto dell'orologio, quando una mano fresca si posa sulla mia.

Zelda intreccia le dita alle mie, fermando il loro tamburellare nervoso. Osservo le nostre mani unite, prima di spostare gli occhi nei suoi. Lei ricambia con un sorriso e un'altra stretta leggera. Il suo tocco mi calma, spegne il fuoco che mi infuria dentro e mi permette di pensare con più lucidità. E visto che manca tanto così alla realizzazione del mio progetto iniziale – quello che includeva l'omicidio di James, tanto per chiarire -, trascino Zelda verso di me, facendola sedere sulle mie ginocchia. In questo modo sono sicuro di riuscire a mantenere i nervi saldi, qualsiasi cosa stiano per confessare i miei due graditi ospiti.

James fa una smorfia ironica nel vedere il mio braccio allacciato alla vita di Zelda e sembra sul punto di uscirsene con una delle sue infelici battute di spirito, ma all'ultimo decide - saggiamente, a mio modesto parere - di tacere. Forse anche a causa dello sguardo truce che gli sto lanciando da sopra la spalla della mia ragazza.

Zelda mi guarda con la coda dell'occhio e mi stringe un ginocchio con la mano libera. Annuisco rigidamente e sposto l'attenzione verso l'iniziata seduta sull'unica altra sedia disponibile, collocata davanti alla mia scrivania. Non sta più piangendo disperata come poco fa, però ha i lineamenti tesi e le mani che tremano, sebbene stiano stringendo spasmodicamente i braccioli della poltroncina.

Mi schiarisco la voce. - Niente di quanto direte uscirà da questo ufficio, questo posso garantirvelo - esordisco, dominando l'impazienza di concludere in fretta questo strambo incontro.

Ho capito dagli sguardi che si lanciano che c'è qualcosa di più grosso in ballo di una semplice tresca tra iniziata e Capofazione. James non avrebbe quella faccia da funerale se stesse semplicemente per rivelare di essersi innamorato e di aver trascorso qualche momento rovente in compagnia dell'ex Pacifica. Non ci sarebbe nulla di male, nessuna legge della fazione lo vieta esplicitamente. Oltretutto, non è niente che non abbia già sperimentato in prima persona.

La ragazza alza gli occhi dal pavimento e li posa su di me, fissandomi intimorita e grata allo stesso tempo. - Non vorrei coinvolgervi, non è giusto nei vostri confronti, ma arrivati a questo punto non ci sono alternative. Pensavo di riuscire a tenerlo per me, mi sono trasferita in questa fazione proprio per nascondermi. Ero terrorizzata, all'inizio. Credevo che mi avreste esclusa dall'iniziazione già alla fine del primo modulo, invece ce l'ho fatta, anche se per miracolo -. Fa un sorriso tirato in direzione di Zelda. - Ovviamente devo ringraziare la mia buona stella per averti incontrata. Se non ci fossi stata tu, probabilmente mi sarei arresa a bordo del treno che ci ha condotti qui -. Zelda apre bocca e fa per intervenire, ma l'altra la blocca con un gesto. - Avrei voluto confidarmi con te dopo l'inizio del secondo modulo, ma poi ci sono stati alcuni imprevisti che mi hanno convinta a tacere. La morte di Oliver, innanzitutto. E in seguito il potenziamento del siero per le simulazioni -. L'iniziata si morde le labbra e abbassa gli occhi sulle proprie mani. - Non è stato un caso. Sapevano della mia esistenza e mi stavano braccando, volevano farmi uscire allo scoperto con uno dei loro trucchetti sperimentali. Combattere contro il nuovo siero ha richiesto tutte le mie energie, e alla fine credevo di essere stata furba, di aver evitato le trappole. Invece...sono stata scoperta -, aggiunge, lanciando uno sguardo a James.

Lui alza un angolo della bocca e le si avvicina per darle una pacca sulla spalla. - E' vero, ma te la sei cavata alla grande, per essere una novellina -. La guarda come un fratello orgoglioso osserverebbe la propria sorellina allacciarsi le scarpe da sola per la prima volta. - Sei stata brava, è solo che … -.

Batto un pugno sulla scrivania, facendoli sobbalzare entrambi. - Smettetela con tutte queste inutili moine! -. Se Zelda non fosse comodamente seduta sulle mie gambe, di sicuro mi sarei già fiondato su James per togliergli quell'espressione idiota dalla faccia a suon di schiaffi. - Mi avete stufato, voi e tutto questo discorso senza senso. Vi do dieci secondi per uscire di qui con le vostre gambe, altrimenti … -.

- Sei una di loro, vero? -.

La voce calma di Zelda, che era rimasta in silenzio per tutto il monologo dell'ex Pacifica, interrompe la mia sfuriata e fa irrigidire sia l'altra ragazza che James.

Il mio collega riduce gli occhi a fessura. - A quanto pare il fratellino ha parlato - dice, e scuote la testa. - L'avevo messo in guardia, fin dall'inizio, ma non mi ha ascoltato. Si è gettato direttamente in bocca agli squali -.

Sento distintamente il brivido che scuote il corpo di Zelda e le stringo la mano di riflesso. - Mi stai dicendo che tu sai che Damien è … è un … -.

- Divergente - completa James al suo posto, scandendo bene ogni lettera.

Zelda e l'ex Pacifica sussultano in simultanea al suono di quella parola e anch'io ho serie difficoltà a rimanere impassibile. James continua a parlare come se niente fosse. - Ho seguito io il suo test attitudinale, quattro anni fa, e falsificato personalmente il risultato. Sapevo a cosa sarebbe andato incontro se non l'avessi fatto: l'avrebbero fatto sparire, o sarebbe rimasto ucciso in circostanze misteriose. Non sarebbe certo stata la prima volta. Prendiamo Michael, il fratello di Max, o Amar, uno dei nostri migliori istruttori, oppure … -.

- Oppure mio padre - mormora la ragazza al suo fianco, con voce strozzata. - Faceva parte di un gruppo di volontari, collaborava col governo per ottenere aiuti per gli Esclusi. Era sempre allegro e disponibile con tutti, non perdeva mai la calma. Sapeva farsi amare dalla gente, era rispettato anche dai membri delle altre fazioni -. L'iniziata emette un sospiro e si passa una mano sulla fronte. - Io...ho sempre creduto che si fosse trattato di un incidente. Non c'erano testimoni e quel proiettile vagante che l'ha ferito a morte non poteva essere stato sparato apposta per lui, no? Per quale motivo, poi? E invece … -. I farfugli della ragazza culminano in un pianto sommesso che la fa tremare dalla testa ai piedi.

A quel punto, Zelda scatta in piedi e va ad avvolgerle le spalle con un braccio, come ha fatto poco prima nel poligono. Alzo mentalmente gli occhi al cielo. La mia ragazza non riesce proprio a restarsene ferma a guardare le persone in lacrime, deve per forza correre a consolarle. Questo lato tenero del suo carattere, che tanto contrasta col mio, è uno dei tanti motivi che mi spingono a tenermela stretta.

Lei è la luce che tiene a bada le tenebre che si celano dentro di me.

La voce saccente di James si inoltra tra i miei pensieri, riportandomi al presente. Mi affretto a mascherare la mia espressione intenerita - e il mio sorriso da idiota innamorato - prima che qualcuno se ne accorga.

- … quando ha cominciato a diventare un pericolo per l'equilibrio della città -, sta dicendo il mio collega all'amica di Zelda, - e per i suoi piani a lungo termine, Jeanine ha deciso di toglierlo di mezzo. Tuo padre non cercava solo di aiutare gli Esclusi: quello era solo un pretesto per mettere in salvo i Divergenti che riusciva a scoprire. Ha cercato di convincere anche me, ma non me la sono sentita di abbandonare mia sorella. Dopo la morte dei miei, mi è rimasta solo lei -.

Credevo che, dopo Zelda, niente e nessuno sarebbe più riuscito a lasciarmi a bocca aperta, ma evidentemente avevo sottovalutato James. Il suo tono serio e saggio mi sconvolge talmente tanto da farmi perdere per un attimo il filo del discorso. Adesso che ci faccio caso, da che lo conosco non l'ho mai sentito parlare molto di sé o della sua famiglia. Di solito si limita a descrivermi i suoi incontri amorosi o i flirt con questa o quella ragazza, scendendo senza alcun pudore fin nei minimi dettagli. Dettagli di cui spesso farei volentieri a meno.

Non avrei mai pensato che la ragione che lo spingeva a glissare le domande troppo personali dipendesse dal fatto che lui fosse … - Divergente - sbotto, poggiando i palmi sul ripiano della scrivania. - Ecco perché conosci tutti questi particolari. Tu sei un dannato Divergente -.

Lui scrolla le spalle, facendo schioccare le articolazioni del collo. - Però, che acume - mi sfotte, lanciandomi un'occhiata sarcastica. - Chissà perché Jeanine si ostina a volerti come collaboratore nel suo progetto. Sarai anche portato a rivestire il ruolo di leader, e non metto certo in dubbio il tuo talento con le armi, ma quanto ad intuito e spirito di osservazione puoi tranquillamente far concorrenza a un ... -.

La furia mi brucia in corpo come alcol su una ferita aperta. - Non osare parlarmi con questo tono! -.

- La verità fa male, piccolo? -.

- Fottiti, brutto … -.

- Fatela finita. Subito -.

Il sibilo di Zelda freccia nella stanza e ci fa voltare all'unisono verso di lei. Non intendo ammetterlo neanche sotto tortura, ma la sua espressione furiosa è una delle cose più spaventose che io abbia mai visto. Mi fa scendere un brivido per nulla piacevole lungo la schiena e noto con soddisfazione che anche James è notevolmente impallidito. - Abbiamo problemi più urgenti della vostra sfida a chi ha più testosterone in corpo. Che, per inciso, perdereste entrambi in questo momento visto che la virilità e la maturità dei vostri discorsi sfiorano quelle di due bambini di cinque anni -.

Crack. Le parole di Zelda demoliscono in un sol colpo ben calibrato ciò che rimaneva del mio ego e mi fanno sentire piccolo e insignificante quanto una pulce. Detesto perdere il controllo e rendermi ridicolo davanti a lei. Dannazione.

Stringo le dita sul bordo del tavolo e tento di recuperare la calma, cosa non facile dal momento che la vista mi si sta tingendo di rosso come mi accade durante uno dei miei soliti attacchi di furia cieca. Chiudo gli occhi e respiro lentamente, tentando di dominare la voglia di scagliare ogni oggetto a portata di mano contro le pareti.

Sento vagamente Zelda dire qualcosa agli altri due, prima di avvertire il tocco delle sue mani sulle guance. Apro le palpebre di scatto, talmente sorpreso da quel gesto da dimenticare per un istante l'ira che mi scorre sotto pelle. Non faccio neanche in tempo a chiedermi cosa abbia in mente di fare che mi ritrovo le labbra impegnate a ricambiare automaticamente e con trasporto l'impeto delle sue. Zelda mi fa scorrere le dita tra i capelli e sulla nuca, e quel tocco è sufficiente a far evaporare ogni goccia di quella rabbia che mi incendiava le vene come il più mortale dei veleni.

- Va meglio? - mi chiede in un sussurro, perché solo io possa sentirla. Con la coda dell'occhio noto che sia James che l'altra iniziata stanno deliberatamente guardando altrove, forse per concederci una parvenza di privacy.

Prima di risponderle la bacio di nuovo, indugiando con le labbra sulle sue finché qualcuno alle nostre spalle non si schiarisce rumorosamente la voce. - Ora va meglio - decreto, soddisfatto, e con un tono perfettamente udibile anche dall'altra parte della residenza. Sento James sbuffare e l'altra ragazza soffocare una risatina.

Zelda, invece, non sembra affatto contenta. Ha la fronte corrucciata e si vede che vorrebbe dire qualcosa, ma alla fine si limita a scuotere la testa. - Niente più segreti - sentenzia infine, liberandosi dal mio abbraccio per rivolgersi anche agli altri due. Punta un dito contro James. - Al punto in cui siamo non ha senso nascondere il resto della storia. Tu ci dirai tutto quello che sai, a cominciare dall'inizio -. Lui annuisce gravemente; il sorriso è definitivamente svanito dal suo volto non appena Zelda l'ha interpellato. Lei sospira e si stringe nervosamente le mani al petto. - E poi io vi parlerò di ciò che mi ha riferito Damien. Ma prima dobbiamo giurare di non rivelare mai nulla a nessuno -. Nel dirlo mi lancia un'occhiata tremendamente seria. - Non so cosa ti abbia offerto Jeanine per spingerti ad aiutarla a stanare i Divergenti. L'unica cosa che so è che non voglio vederti diventare una pedina nelle sue mani. Quella donna è capace di qualunque bassezza pur di ottenere ciò che si è prefissata, non si fermerà davanti a niente. Ha già ucciso in passato e non esiterà a farlo di nuovo -. Zelda mi afferra una mano e se la posa sul cuore, stringendola tra le sue. - Se mi vuoi al tuo fianco, devi promettermi che non ti lascerai persuadere, che lotterai assieme a me per aiutare i Divergenti -.

- Già - aggiunge James, in tono ostile. - Tu sei quello che ha meno da perdere. Perfino Zelda non può ritenersi normale al cento per cento. Spero che tu ne sia al corrente -.

Un velo di sudore gelido mi ricopre la fronte e le tempie a quella frase. Digrigno i denti, ripensando a quando io stesso avevo iniziato a sospettare della possibile divergenza di Zelda. Interrompo l'eloquente spiegazione di James con un gesto scocciato. - Non sei l'unico ad aver riscontrato delle anomalie nelle sue simulazioni - ribatto, in tono astioso. - Perché credi che abbia supervisionato personalmente ai suoi test? Mi sono accorto fin da subito che qualcosa non funzionava come da procedura -.

James inclina il capo e mi sorride quasi con rispetto. - E bravo il mio piccolo. Speravo davvero che non fossi un pivello senza cervello come quelli che ti hanno preceduto -.

Detta da lui, quell'affermazione è quasi un complimento. Non riesco nemmeno a prendermela, soprattutto non quando Zelda ha gli occhi sgranati dal terrore. Le sfioro il dorso della mano e il polso col pollice, nel tentativo di tranquillizzarla. - Non sei Divergente, Zelda. Ho confrontato i tuoi test con quelli di altri iniziati e non ho notato grandi differenze. E' vero, ci sono alcune irregolarità, ma si notano a malapena e … -.

- … e sarebbero sufficienti a Jeanine per rinchiuderla in un laboratorio e usarla come cavia per i suoi esperimenti - asserisce James, scuro in volto.

Nell'ufficio cala un silenzio tombale, frammentato soltanto dal ronzio dell'impianto di aerazione. Punto gli occhi sulla mia ragazza e ripenso alle parole di James. Il mio collega si sbaglia: io ho anche troppo da perdere se venissimo scoperti. Mi porterebbero via Zelda, il mio futuro, tutto ciò che mi rimane di buono in questa vita.

Le sfioro una guancia con la nocca dell'indice, facendola voltare verso di me. - Nessuno ti toccherà, capito? Io non lo permetterò. E ti do la mia parola che non denuncerò agli Eruditi né tuo fratello né i tuoi amici -. Zelda mi sorride con gratitudine e James alza il pugno in segno di vittoria, ma si blocca di colpo nel vedere la mia espressione gelida. - Tuttavia, se uno di voi dovesse diventare un problema, non mi farò alcuno scrupolo ad eliminarlo. La mia priorità è Zelda, voi siete solo degli scomodi e fastidiosi effetti collaterali. Posso sopportarvi, ma non azzardatevi a metterla in pericolo. Sono stato chiaro? -.

I due annuiscono con convinzione. Trascorriamo l'ora successiva a parlare e discutere. Scopro che è stato proprio il padre dell'ex Pacifica a rivelare a James le sue doti di Divergente, durante il test attitudinale. In seguito, dopo essersi rifiutato di lasciare gli Intrepidi, James ha imparato da solo a gestire e mascherare le proprie capacità per non far saltare la copertura. L'iniziata - Leslie, mi appunto mentalmente - spiega che non sapeva nulla di tutto questo fino a stamattina, quando James l'ha convocata per metterla al corrente delle sue scoperte e della verità sulla morte del padre.

- Per questo stavi piangendo - conclude Zelda, storcendo il naso. - Ed io che credevo che stessi tradendo mio fratello con lui! -.

Leslie arrossisce furiosamente, mentre James fa spallucce. - Tecnicamente lei e Damien ancora non stanno insieme. Perdona la franchezza, Zelda, ma tuo fratello non ci sa proprio fare con le donne. E' il classico Erudito che apprezza più un programma informatico di ultimo livello che le dolci curve femminili, non so se mi spiego -.

- Ha parlato l'esperto - gli rinfaccia velenosa l'ex Pacifica. E' la prima volta che la sento usare un tono del genere, anche James pare preso in contropiede. - Non sei forse tu quello che sbava senza ritegno dietro a Josie? Ho visto come l'hai guardata quando ci è passata accanto mentre parlavamo -.

James diventa paonazzo in un nanosecondo. - Cosa? No, hai frainteso. Io non la stavo affatto guardando. Non la guardavo in nessun modo. Perché dovrei guardarla? Josie è ... insomma non ... -. Lo sconclusionato balbettio con cui si difende dalla provocazione dell'iniziata non fa che triplicare i sospetti sulla sua presunta cotta per Josie.

Rido tra me e me. La vuoi? Tanti auguri, amico.

Zelda non pare aver colto l'allusione alla sua nemica per eccellenza. È immersa nei propri pensieri e si tamburella l'indice sul mento. Lascio Leslie e James al loro battibecco e mi chino verso di lei, toccandole la fronte con le labbra.

Lei alza gli occhi nei miei e constato con piacere che il panico dovuto alle precedenti rivelazioni ha lasciato il posto a logica e determinazione. - So che la cosa non ti piacerà, ma ho bisogno di incontrare Damien -. Fa un respiro profondo e giocherella con il ciondolo che porta appeso al collo. - Mi aveva fatto promettere di contattarlo quando avessi appreso delle informazioni utili. Aveva già dei sospetti su Leslie, quindi prima gli raccontiamo tutto, prima potrà prendere provvedimenti. Far sparire le prove, diluire i sieri, infettare i server di Jeanine, qualunque cosa gli venga in mente -.

Il mio cipiglio si incupisce. - E fammi indovinare: vorresti andarci da sola -, quasi ringhio.

Lei perde l'aria pensierosa e mi regala un sorriso malizioso. - Certo che no. Ti sto chiedendo di accompagnarmi -.











 


 

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Ciao a tutti! Questa volta il capitolo è più lungo e spiega molte cose utili. Forse molti di voi avevano capito che Leslie era Divergente, ma chi si aspettava che anche James lo fosse? Lo aveva nascosto molto bene, che ne dite? Fingersi stupido e vanesio lo ha aiutato a passare inosservato. Per questo tempo fa ho detto che James è uno dei miei personaggi preferiti: i suoi comportamenti abituali sono solo una facciata, in realtà è astuto come una volpe. Non lasciatevi mai ingannare dalle apparenze.

Avete anche scoperto perché lui e Leslie si trovavano al poligono, e non era certo un motivo romantico. Nel prossimo capitolo ci aspetta l'incontro con Damien e (rullo di tamburi) la fine dell'iniziazione! Siete felici? Vi ricordate la promessa che Eric aveva strappato a Zelda? Cosa pensate abbia in mente?

Aspetto come sempre i vostri commenti sul capitolo, e vi ringrazio per non aver abbandonato la storia!

Alla prossima,

la vostra Lizz


 


 

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Capitolo 49
*** No end, no beginning ***







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Capitolo 48

 






If there's no end
There can be no beginning

So breathe your life in my shades of grey
Or kill the lights and we'll fade away

(Poets of the Fall)


 


 

Zelda


 

Il ciondolo vibra a contatto con le mie dita. Mi affretto ad aprire il medaglione e premere il piccolo pulsante al centro, poi rimango in attesa. Seduti sul cornicione a poca distanza da me, Eric e Leslie non mi perdono di vista. Più precisamente, hanno gli occhi puntati sulla collana che tengo tra le mani e la scrutano, rispettivamente, con impazienza e aspettativa. Lo sguardo che io rivolgo al ciondolo, al contrario, è di totale ammirazione. Per quanto sia stata abituata fin da piccola alla tecnologia avanzata in puro stile Erudita, non posso non sorprendermi nel toccare con mano l'ultimo modello nel campo dei dispositivi di comunicazione a distanza.

Quando Damien mi ha consegnato la collana, appartenuta in precedenza a nostra madre, non mi ha illustrato nel dettaglio le modifiche che vi aveva apportato. Credevo si trattasse di un banale cerca-persone formato ridotto, collegato con il gemello posseduto da mio fratello. Damien l'aveva definito 'trasmittente', ma io non avevo veramente afferrato il concetto finché non l'ho aperto e osservato meglio.

Geniale. Si poteva definire solo in quel modo l'opera di sofisticata ingegneria racchiusa tra le mie mani. Oltre al bottoncino posto di lato (il pulsante di attivazione) e a quello interno (che avvia la chiamata), Damien ha installato un minuscolo schermo nel lato libero del ciondolo, dove appaiono in successione i messaggi in codice che lui mi sta inviando.

Mentre attendo la fine della risposta, e nel frattempo decifro e memorizzo le singole lettere, sorrido tra me: mio fratello, quel genio incompreso, è riuscito a trasformare un semplice gioiello in una futuristica versione dei walkie talkie con cui ci divertivamo a giocare da bambini.

La mamma sarebbe così fiera di lui! Papà ha sempre spronato Damien affinché studiasse medicina, ma alla fine ha dovuto arrendersi all'evidenza: il suo terzogenito non avrebbe mai maneggiato un bisturi con la stessa maestria con cui manipola cavi, software e codici informatici.

Sullo schermo del medaglione appaiono altri due simboli, poi la comunicazione termina con un lungo bip. Tre punti, una linea, un altro punto. Se la memoria non mi inganna, dovrebbero significare qualcosa come 'ricevuto' o 'inteso'. Perfetto.

Richiamo con un cenno i miei due compagni d'avventura. Eric si piazza al mio fianco in neanche mezzo secondo, il braccio ancora alzato nell'atto di disattivare l'unica videocamera posta sul tetto con il suo aggeggio distorci-frequenze.

- Damien ha detto di tenerci pronti. Il treno dovrebbe arrivare a momenti - comunico, e Leslie accoglie le mie parole con un gridolino emozionato.

L'occhiata che Eric le riserva congelerebbe un vulcano in eruzione. - Qualcuno mi può spiegare cosa ci fa lei qui? - sibila, e suppongo che si stia rivolgendo a me, dal momento che sono l'unica altra persona presente.

Alzo gli occhi al cielo. - Qualcuno ti direbbe che, siccome è lei il nocciolo della questione, ha tutto il diritto di partecipare alla nostra piccola riunione notturna - affermo, risoluta. E prima che il Capofazione possa ribattere, gli porgo la collana perché me la riagganci attorno al collo. Lui mugugna qualcosa a proposito delle mie idee avventate e potenzialmente suicide, poi mi scosta i capelli da un lato e richiude velocemente il gancetto. Nel farlo, coglie l'occasione per posarmi un paio di baci poco sotto la nuca, provocandomi un brivido.

Con un ghigno compiaciuto sul volto, Eric fa un passo indietro e si avvicina al bordo del tetto per scrutare i binari. Un fischio prolungato preannuncia l'arrivo del treno, i cui fari fendono l'oscurità della notte e illuminano di riflessi ramati i lunghi capelli di Leslie, che le svolazzano attorno al viso quando inizia a correre lungo il cornicione. La imito, lasciando il Capofazione in coda al gruppo. Saltiamo nel primo vagone disponibile, poi ci appiattiamo contro la parete per fare spazio ad Eric.

Quanto invidio la prestanza fisica del mio ragazzo! Non gli occorrono che pochi movimenti ben calibrati per salire a bordo, e, quando si rialza, non ha nemmeno un capello fuori posto. A differenza di noi ragazze, che sfoggiamo una pettinatura che assomiglia più a un covone di fieno che all'ordinata cascata di boccoli che questa sera Melanie ci ha acconciato personalmente. Leslie ed io siamo sgattaiolate fuori dal dormitorio alcune ore dopo la fine della festicciola data dai nostri compagni per celebrare le ultime ore da iniziati. Domani sera saremo Intrepidi a tutti gli effetti. Se riusciremo a superare il test finale, naturalmente.

Mi stringo le braccia al petto e cerco di reprimere i pensieri negativi. Ce la farò, devo farcela. Il fallimento non è contemplato.

Eric richiude il portellone del vagone e ci si appoggia contro con la schiena. - Allora, dov'è il caro fratellino? - chiede, scrocchiando le nocche come se si stesse preparando ad un incontro di pugilato. Nella penombra dello scompartimento non riesco a interpretare bene la sua espressione, per cui prego che non abbia intenzione di sfogare l'ira che sta trattenendo tutto il giorno su mio fratello.

Ormai ho imparato a conoscerlo e fiuto a chilometri di distanza il preludio di uno dei suoi frequenti attacchi di rabbia. Stamattina sono riuscita a prevenirne uno, appena prima che raggiungesse il limite, prima che il turbine di fuoco che infuria dentro la sua anima di ghiaccio superasse gli argini e facesse terra bruciata tutt'intorno. Per fortuna ho trovato un metodo a prova di bomba per farlo calmare e impedirgli di commettere qualche crimine violento: è sufficiente un mio bacio per cancellare la furia distruttiva che rende le sue iridi affilate come lame.

Eric intercetta il mio sguardo e mi strizza l'occhio. Questo atteggiamento giocoso mi fa tirare un sospiro di sollievo: temevo decidesse di portare avanti anche questa sera la sua personale campagna anti-Blackburn - rivolta principalmente contro Alfred, ma senza disdegnare gli altri componenti della mia famiglia. Invece il mio ragazzo sembra stranamente di buon umore. - Piccola, sei sicura che sia riuscito veramente a prendere il treno? Forse siamo stati un po' troppo ottimisti - riflette, e la luce della luna che filtra tra le fessure del tetto del vagone illumina di sfuggita il suo ghigno. - Voglio dire, il massimo di attività motoria che gli Eruditi si concedono equivale a spostare il mouse da una parte all'altra della scrivania. E non credo proprio si possa classificare come 'sport' -.

- Ti ringrazio per la fiducia, cognatino - sbotta una voce per nulla allegra, proveniente dal buio alla mia destra.

La chioma scarmigliata di Damien fa capolino dalla porta mezza divelta che collega il nostro scompartimento al successivo. Con una spinta, mio fratello si libera dei pezzi di metallo che gli sbarrano la strada e ci raggiunge, sorreggendosi alla parete con un braccio per non perdere l'equilibrio.

Saluta Eric e me con un cenno sbrigativo, troppo impegnato a fissare Leslie con un'espressione che mai, nemmeno tra mille anni, avrei pensato di scorgere sul suo viso. Si avvicina alla mia amica lentamente, barcollando a causa degli scossoni del vagone, senza distogliere lo sguardo da quello di lei. La scena pare tratta direttamente da uno dei vecchi film strappalacrime che guardavo assieme alla mamma, quasi trattengo il fiato in attesa di vedere come andrà a finire.

Vai, fratello. In barba a James che diceva che non...

Forse ho cantato vittoria troppo presto. Mentre lo incito mentalmente, Damien rovina tutta quella squisita premessa inciampando nei propri piedi.

Sono quasi tentata di coprirmi gli occhi con le mani, ma, grazie al cielo, all'ultimo mio fratello ritrova la stabilità necessaria a risparmiargli un contatto ravvicinato con il pavimento lercio del vagone. E' vero, frana lo stesso addosso a Leslie, però va detto lo fa con una certa eleganza. Lei gli circonda in automatico la vita con le braccia per sorreggerlo e ciò che accade in seguito rispecchia esattamente la scena da film che avevo in mente.

Sospiro trasognata e mi accorgo della vicinanza di Eric solo quando lui mi tira a sé con entrambe le mani. Lo sento respirare contro il mio orecchio e borbottare un infastidito: - Ma che diavolo hanno tutti, oggi? Prima lo spettacolino dei tuoi amichetti a colazione, adesso questo -. Da come lo dice, sembra si stia riferendo a un qualche genere di reato punibile con la morte, invece che a una semplice coppia impegnata in un un bacio appassionato.

Appoggio la schiena contro il suo petto e inclino il capo, permettendogli di baciarmi più agevolmente il collo. - E scommetto che tu non vuoi essere da meno -.

La sua risata mi scuote la schiena. - Certo che no. Ma se ora ti baciassi come vorrei, senza trattenermi, probabilmente finiremmo per traumatizzare irreversibilmente i due piccioncini laggiù -.

Ne dubito fortemente. I due piccioncini in questione sono avvinghiati l'uno all'altra con un trasporto tale da farmi quasi sentire in imbarazzo. Sono talmente presi da quello che stanno facendo che non noterebbero nemmeno l'esplosione di una granata.

Dopo alcuni minuti, probabilmente stufo di rivestire i panni del guardone, Eric batte un pugno contro la parete del vagone, facendo sobbalzare sia me che la dolce coppietta. Damien e Leslie sembrano rendersi conto solo in quell'istante di non essere soli e sfoggiano la stessa sfumatura di rosso sulle guance, visibile grazie alla luce della torcia che il Capofazione gli sta puntando contro. - Se avete finito -, proferisce il mio ragazzo, tagliente come scaglie di vetro, - ci sarebbero questioni più urgenti da risolvere -.

Damien si schiarisce nervosamente la voce. Nonostante sia chiaramente a disagio, non accenna a lasciare andare Leslie. - Giusto - concorda, puntando finalmente gli occhi su di me. Ricambia il sorriso che gli sto rivolgendo solo finché non si accorge delle braccia di Eric avvolte poco sotto il mio seno. L'espressione che gli attraversa il viso non è delle più felici, ma capisce da solo che non è in condizioni di muovere proteste. Specialmente non dopo lo spettacolo che lui e Leslie ci hanno offerto.

Mio fratello fa un respiro profondo e, quando riprende a parlare, il suo tono risulta controllato come al solito. - Non so come facciate voi Intrepidi a considerare questi treni un mezzo di trasporto sicuro. Sono riuscito a prendere questo solo dopo aver tentato tre volte e per poco non ci rimetto un braccio -.

- Peccato non aver potuto assistere - replica Eric, e questa volta intervengo a difesa di Damien tirandogli una gomitata in pieno stomaco. Di sicuro fa più male a me che a lui, che si limita ad accusare il colpo in silenzio. Gli do le spalle, quindi non posso decifrare la sua espressione, ma colgo il sorriso nella sua voce. - Non abbiamo molto tempo. In media, un treno impiega circa un'ora e mezza per compiere il giro dell'intera città. Contando che la tua fermata dista mezz'ora dalla nostra, ti conviene cominciare a parlare, Lasso -.

A beneficio di Damien va detto che non coglie la provocazione, né decide di rispondere all'insulto ricevuto. Si limita a lanciare un'occhiata di fuoco al Capofazione, per poi infilare una mano nella tasca della giacca. Ne estrae un portachiavi a forma di foglia e a quella vista quasi mi commuovo.

Lui nota la mia espressione e rotea gli occhi. - Sì, lo ammetto, ho tenuto tutti i tuoi regalini, anche i più orrendi. Non ho buttato neanche quella specie di lucertola di terracotta che mi hai dato quando andavi all'asilo -.

- In realtà era un alligatore. Un Melanosuchus niger. Si sono estinti da secoli, ma in alcune vecchie leggende si narra che portassero fortuna - preciso, senza potermi trattenere. Dietro di me sento Eric ridacchiare sottovoce e lo ripago con un'altra gomitata. Sicuramente domani mi spunterà un livido sul braccio, ma almeno me lo sarò procurato per una buona causa.

- Già, mi ricordo. Hai sempre avuto una strana passione per i rettili - afferma Damien, guardando intenzionalmente il Capofazione e le sue mani posate sui miei fianchi.

Prima che il mio ragazzo possa ribattere a tono, Leslie si inserisce nella conversazione e, come d'abitudine, tenta di riappacificare gli animi. Solo che stavolta lo fa con decisione, da vera Intrepida. - Direi di terminare qui la gara di insulti, considerato che siete in parità, che il tempo scarseggia e che Zelda ed io vi troviamo estremamente noiosi. Senza offesa - puntualizza, ed io annuisco per ribadire il concetto. Dopo aver debitamente applaudito l'eloquenza di Leslie.

- In futuro avrete tutto il tempo di scannarvi a vicenda. Ora pensiamo alle cose importanti - aggiungo, e mi cimento in un riassunto di tutto quello che James ci ha detto nel pomeriggio, a partire dall'annuncio della divergenza di Leslie per arrivare alla scoperta dei veri colpevoli della morte di suo padre.

Damien non batte ciglio nemmeno quando accenno alle anomalie riscontrate nelle mie simulazioni: ciò mi fa supporre che ne fosse già a conoscenza, o che lo sospettasse. - Non nasconderò di aver dato un'occhiata ai tuoi test, tanto per sicurezza - ammette, facendo girare il portachiavi attorno all'indice. - Ad un primo esame, non ho rilevato quasi nulla. Solo alla terza visione ho individuato delle alterazioni nei codici di sorgente -.

Corrugo le sopracciglia di fronte a quell'ammissione. - Ma la sorgente non è stabilita dal programmatore in fase di programmazione? -.

- Esattamente - conferma lui, con un rigido cenno del capo. - E il dettaglio più stupefacente è che i codici cominciavano a cambiare durante il test, non all'inizio o alla fine. Ciò esclude un errore di sistema o un'irregolarità nella normale procedura di simulazione -. Damien esita, poi mi porge il portachiavi. Solo adesso noto che accanto alla foglia è appesa una chiavetta USB. - Ecco, potrete farvi un'idea voi stessi. Ho inserito tutti i file in mio possesso, le mie ricerche e le registrazioni dei test tuoi e di Leslie. I dati si distruggeranno automaticamente dopo la prima visualizzazione -.

Afferro con mano tremante il piccolo oggetto e lo fisso con lo stesso terrore che riserverei ad un cucciolo di scorpione. Damien, purtroppo, non ha ancora finito. Quando pronuncia la frase seguente, sento il sangue abbandonare del tutto il mio volto e le gambe tremare. - Se le mie ipotesi non sono errate, tu non hai semplicemente alterato le simulazioni: tu le hai manipolate a tuo piacimento -.

Se non fossi appiccicata ad Eric, sarei caduta in ginocchio a quella rivelazione. - Come può essere? -. La voce mi esce strozzata e gracchiante, fatico a riconoscerla come mia. - Xavier e Melanie mi hanno battuta in velocità in quasi tutte le simulazioni. Ho perfino avuto un attacco di panico dopo la prova con il nuovo siero. Se fosse come dici, sarei la prima in classifica! -.

Mio fratello scuote solennemente la testa. - Non è questione di quanto tempo ci si impiega, ma di come lo si impiega. Noi Divergenti -, e indica Leslie e se stesso, - possiamo sfruttare le nostre capacità per accelerare il processo, e quindi risultare più veloci a superare una simulazione, ma non controllare gli effetti del siero. Ovvero quello che fai tu -.

Il groppo che mi preme in gola si ingigantisce fin quasi a soffocarmi. Deglutisco a fatica e pongo una delle domande che mi ronza nella mente da quando James ed Eric hanno accennato alla mia anormalità nei test. - Se...se non sono Divergente, allora cosa sono? -.

- A dire il vero … -.

- Zelda -. La voce di Eric si sovrappone a quella di mio fratello, trasmettendomi un'inaspettata sensazione di calore. Con un'abile mossa, il Capofazione mi fa voltare verso di lui e mi prende il mento tra due dita, obbligandomi ad inclinare il viso verso il suo. - Tu sei Zelda. La mia ragazza. La sorella del qui presente genio informatico con aspirazioni suicide. L'amica di Leslie, di Melanie e, purtroppo, anche dei gemelli fastidiosi -.

Non so se mi stupisca di più il suo sguardo serio, eppure dolce, o il fatto che abbia pronunciato correttamente i nomi dei miei amici. Il Capofazione tende ad appioppare dei nomignoli, spesso nient'affatto carini, alle persone che non gli vanno particolarmente a genio. Secondo la sua personale classificazione, Quattro è 'il Rigido', Xavier 'il gemello antipatico' e James...beh, dipende dal momento. Nel suo caso, gli epiteti offensivi si sprecano.

- Tu sei te stessa. Niente di più, niente di meno. Non lasciarti condizionare dalle parole di tuo fratello - mi esorta, fulminando Damien con un'occhiata. - E tu, Erudito, vedi di piantarla. Zelda non ha bisogno di altro stress, né delle tue insinuazioni senza senso. Ho promesso di non denunciarti a Jeanine e di non alzare un dito su di te, ma se farai soffrire la mia ragazza o la metterai in pericolo... -. Eric fa una pausa eloquente e allunga una mano per afferrare il colletto della camicia di Damien. - … scappare non ti servirà. Perché io ti cercherò. Non mi darò pace finché non ti avrò trovato. E quando accadrà -, il suo pugno si stringe sulla cravatta di mio fratello, facendolo boccheggiare, - ti spezzerò le ossa, una ad una, lentamente. Finché non mi implorerai di ucciderti -.

Il suo tono mi fa rabbrividire. Non sta scherzando, è mortalmente serio. Se si stesse rivolgendo in quel modo a me, mi sarei già precipitata giù dal treno pur di sfuggirgli. Ancora una volta mi ritrovo ad ammirare il sangue freddo di Damien. Fino ad un mese fa pensavo fosse il peggiore dei codardi, lo accusavo di avermi abbandonata e di essere sparito dalla mia vita senza prima aver fatto nulla per aiutarmi a contrastare il resto della famiglia. Ora conosco le ragioni che l'hanno spinto a scappare e la mia stima per lui non fa che crescere di giorno in giorno. E mi spinge a mediare la discussione prima che degeneri irrimediabilmente.

Appoggio una mano sul petto di Eric, attirando la sua attenzione e interrompendo la cruenta sequenza di minacce. - E sentiamo, cosa ci faresti con le ossa di Damien? Una collana? Una cintura? -.

Eric ricambia il mio sorriso ironico con uno letale quanto il morso di una vipera. - Idee interessanti, ma io pensavo a qualcosa di più divertente. Non so, magari usarle per giocare a Shangai -. Mentre lo dice, fa scorrere gli occhi sul corpo di Damien come se stesse valutando mentalmente le misure del suo apparato scheletrico. - Qualcosa mi verrà in mente. Sei avvisato, Lasso -.

La mascella di Damien ha un guizzo. Per un attimo credo stia per dare il via all'ennesimo duello verbale, invece...scoppia a ridere. Una risata allegra, piena, divertita. - Shangai, eh? Beh, sempre meglio che rimanere alla mercé di Jeanine e dei suoi esperimenti scientifici -.

Mi strizza l'occhio, mentre Leslie ridacchia sottovoce. Anche Eric perde un po' del suo cipiglio truce in favore di un'espressione più civile. Accetta la mano che Damien gli porge e la stringe, siglando così l'inizio dell'alleanza e della lotta contro i progetti distruttivi di Jeanine.

- Fate attenzione domani - ci avverte Damien, qualche minuto prima che il treno arrivi alla sua fermata, in pieno quartiere erudita. - Quest'anno la prova finale della vostra iniziazione non sarà una passeggiata. Il siero è stato nuovamente potenziato e calibrato sulla base dei risultati delle simulazioni -. Notando l'espressione scoraggiata di Leslie, addolcisce il tono. - Ho piena fiducia in voi, conosco le vostre capacità e so che supererete il test senza problemi. Solo, state attente -.

Damien posa un ultimo bacio sulle labbra di Leslie e, dopo una strizzata d'occhio e un rigido cenno del capo (rivolti rispettivamente a me e ad Eric), prende la rincorsa e salta oltre il bordo del vagone.



 

* * *
 


 

Alfred mi viene incontro, camminando tranquillamente. Tiene le mani in tasca e mi guarda con quel suo tipico cipiglio farcito di supponenza. Rimango immobile ad osservarlo, sapendo benissimo cosa mi aspetta.

Nove. Ho superato con successo nove situazioni dettate dalle mie paure più segrete, alcune delle quali veramente terrificanti. Come può esserlo rimanere rinchiusi in una cella buia e stretta, impotente e terrorizzata, o guardare i tuoi amici morire uno dopo l'altro senza poter far nulla per salvarli. In quei casi, come mi era stato suggerito in precedenza da Quattro, ho chiuso gli occhi, tentando di regolarizzare il ritmo del respiro, in attesa che il siero decidesse di lasciarmi proseguire.

Non è stato semplice. Non lo è stato affatto. Ma ho stretto i denti e tenuto sotto controllo il lato del mio cervello che mi suggeriva di reagire e combattere contro la simulazione.

Forse comincio a capire cosa intendeva Damien quando ha accennato alla mia capacità di manipolare il siero. Durante i test precedenti ho agito senza pensare, attirando così i sospetti dei supervisori e di mio fratello, escogitando dei metodi alternativi per sfuggire alle mie paure. Invece la chiave era affrontarle di petto, fare ciò che il siero ordinava di fare. Buttarmi in mezzo alle fiamme, sparare ai miei amici, gettarmi in una piscina piena di serpenti. Ed ora, prendere la tazza che Alfred mi porge con leziosa gentilezza.

Non posso trattenere una smorfia di disgusto alla vista della sostanza viscida che riempie il contenitore fino all'orlo. Dall'odore sembra si tratti di cioccolata calda, ma potrebbe anche essere fango, per quanto mi riguarda. La troverei comunque ripugnante, come qualsiasi dono proveniente da Alfred.

- Bevila - mi ordina lui, in tono suadente. Alle sue parole, la sostanza misteriosa inizia a gorgogliare e un filo di vapore si alza dalla tazza. - Bevila tutta, Zelda -.

No, non farlo.

Il mio cervello si impunta e per un secondo mi vedo nell'atto di rovesciare tazza e contenuto sui capelli perfettamente pettinati di mio fratello. Ma non posso. Devo sottomettermi alla volontà del siero, non ribellarmi. Questa è la prova finale, ci sono anche alcuni collaboratori di Jeanine venuti apposta per studiare le nostre performance e il buon funzionamento del nuovo siero.

Se sospettassero qualcosa...

Senza esitazioni muovo un passo avanti e afferro con sicurezza il manico della tazza. Sono un'Intrepida e noi crediamo nella libertà dalla paura, penso mentre la sostanza vischiosa mi scivola giù in gola.

Lotto contro la nausea e termino a fatica di bere, prima che uno spasmo allo stomaco mi faccia quasi piegare in due dal dolore. La tazza cade a terra e Alfred sorride. - Brava bambina -. Mi tocca una guancia con le sue lunghe dita fredde e la mia pelle comincia a bruciare. Cado in ginocchio, contorcendomi, scossa da spasmi alle gambe e al petto. Chiudo gli occhi e mi lascio vincere dal dolore.

D'un tratto avverto un tocco caldo sulle spalle, lasciate scoperte dal top. Riapro le palpebre con cautela e scopro di poter respirare liberamente, senza quell'orribile costrizione a livello delle costole.

Quattro è inginocchiato al mio fianco e mi guarda con circospezione. La sensazione di calore che avverto ai lati del collo è data dalle sue mani, che si soffermano sulle mie braccia e fanno leva per rimettermi in piedi. - Stai bene? - mormora, squadrandomi in cerca di ferite o chissà che altro.

- Sì - rispondo, e, mentre osservo le pareti coperte di disegni colorati della stanza dello scenario della paura, comprendo che il test è ufficialmente terminato.

Col cuore in gola osservo il team di Eruditi uscire dalla cabina di supervisione, ma loro non mi degnano nemmeno di un saluto. Escono in tutta fretta, seguiti dai cinque Capifazione Intrepidi. Eric evita accuratamente di guardarmi, invece James mi strizza l'occhio con complicità. Capisco dall'occhiata che mi lancia che niente è andato storto, che il mio test non ha riportato anomalie.

Sospiro di sollievo e prendo con mani tremanti il bicchiere che Quattro mi porge, colmo di acqua fresca. - Te la sei cavata alla grande, Zelda - approva il mio istruttore con un sorriso che mi infiamma d'orgoglio. - Mi stupirei se finissi dopo i primi cinque. Sei stata una tra le più veloci, nonostante avessi più di nove paure da superare -.

Finisco di bere e scrollo le spalle. - A me basta diventare Intrepida a tutti gli effetti, non mi interessa il posto in classifica -.

Quattro amplia il suo sorriso. - Se riuscissi a trasmettere almeno un quarto della tua umiltà ad Eric, di sicuro qui dentro vivremmo tutti molto, molto meglio -. Scuote la testa e si incammina lungo la scalinata che conduce al Pozzo. Lo seguo all'istante, diretta alla mensa. Quando raggiungo la tavolata riservata agli iniziati, mi fiondo sul primo vassoio che mi capita tra le mani. - Ehi, quello è il mio pranzo! - esclama Xavier, scandalizzato, tentando di recuperare il piatto che gli ho sottratto.

- Era - specifico, cominciando a tagliuzzare un hamburger. Notando la mia voracità, Xavier smette di protestare e mi passa anche un muffin ai mirtilli, uno dei tanti che aveva impilato sul proprio vassoio. - E' stata dura? - chiede, comprensivo.

Annuisco - unica risposta possibile visto che ho la bocca piena di patatine fritte - e lui mi dà una pacca solidale sul braccio, prima di riprendere a chiacchierare con gli altri maschi.

Melanie e Felix siedono alla parte opposta del tavolo e sono uno tra le braccia dell'altra, intenti a scambiarsi baci e carezze.

- Sono disgustosi, vero? - commenta Leslie con una risatina, nel vedermi alzare gli occhi al cielo. - Almeno durante i pasti potrebbero scollarsi. O eventualmente cercare una stanza, o un ripostiglio -. Nel pronunciare l'ultima parola, mi fa l'occhiolino. Sbocconcia un pezzo di torta al cioccolato e si riempie il bicchiere di succo d'arancia. L'odore dolciastro del cacao mi colpisce come un pugno, facendomi passare l'appetito. Metto giù le posate e prendo un bel respiro.

Aver completato lo scenario della paura non significa aver eliminato definitivamente le mie paure. Ora le conosco, so quali sono e quante. Ma non è sufficiente lottare contro i propri incubi per farli sparire. Una fiamma solitaria non basta ad illuminare la notte. Le ombre torneranno a perseguitarmi - lo faranno sempre -, perché vivono in me, fanno parte di me.

Ascolto svogliatamente i discorsi tra Xavier e Scott finché sulla sala non piomba il silenzio. Qualcuno batte le mani a ritmo sui tavoli, mentre Max si alza in piedi.

Il momento è giunto, penso, stringendo le mani in grembo. Il Capofazione abbraccia tutti noi con uno sguardo, poi estrae un oggetto minuscolo dalla tasca della giacca. Assomiglia al telecomando anti-videocamere di Eric e, molto probabilmente, è di foggia erudita. - Tra pochi secondi vi presenterò la classifica finale. Iniziati, in piedi - ordina, e noi obbediamo all'istante, schizzando in piedi neanche le panche si fossero improvvisamente rivestite di spilli.

Azzardo un'occhiata in direzione dei Capifazione, radunati attorno a Max. Eric è appoggiato con un fianco al tavolo, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo puntato verso il lato opposto della mensa. Come poco fa, sembra stia facendo di tutto pur di non rischiare di incrociare i miei occhi. Sento l'irritazione serpeggiarmi sulla nuca: ho la gola secca, il respiro corto, l'ansia a mille e il mio ragazzo si rifiuta di guardarmi. Non chiedo molto; un'occhiata veloce, una breve manifestazione di sostegno, invece nulla. Come se non conoscesse i miei dubbi e le mie paure.

Quando sto per rinunciare e voltarmi verso il muro sul quale verrà proiettata la classifica, le iridi color fumo di Eric intercettano le mie: si posano sul mio viso e lì rimangono. Basta quel breve contatto a smorzare il panico che si è annidato nel mio ventre sotto forma di insetti svolazzanti. Il cuore batte forte contro le costole, ogni pulsazione mi rimbomba nelle tempie. Al mio fianco sento Leslie trattenere il fiato e Xavier irrigidirsi non appena Max preme il pulsante sul telecomando.

Mi occorre più tempo del dovuto per mettere a fuoco la lista di nomi, ma noto subito quello che cercavo: il mio è tra quelli e tanto mi basta. Leggo quelle cinque lettere parecchie volte, per assicurarmi di averle viste davvero, e sento gli occhi farsi lucidi dall'emozione. Ce l'ho fatta. D'ora in poi nessuno potrà separarmi dalla mia nuova famiglia, dai miei amici, da una casa che sento mia molto più di quella in cui sono cresciuta.

Da Eric.

Avverto a malapena le urla di gioia dei miei compagni. La figura distante del mio Capofazione assorbe tutta la mia attenzione: si è tolto di dosso l'atteggiamento distaccato che l'aveva accompagnato per tutta la mattina e sorride apertamente. Un sorrisetto molto arrogante - a mio esclusivo beneficio, ne sono certa. Sicuramente starà pensando “te l'avevo detto, no? Non c'era nulla da temere”, ma, al di là dell'ironia chiaramente percepibile, i suoi occhi brillano d'orgoglio. E d'aspettativa.

Un ricordo inaspettato bussa alle porte della mente e il mio “oh” di comprensione non si sente nemmeno in mezzo alle chiacchiere degli altri Intrepidi, raccolti attorno a Xavier per acclamarlo con tutti gli onori degni del primo classificato. Risento la voce roca di Eric nell'orecchio, le sue labbra sfiorarmi il collo, come se fosse realmente vicino a me e non al lato opposto della mensa.

Non appena uscirà la classifica finale, non appena leggerai il tuo nome tra quelli degli ammessi negli Intrepidi, mi cercherai tra la folla e verrai da me.

La promessa - il patto stipulato quella notte, nel buio della sua stanza -, risuona nel mio cervello con la stessa prepotenza di una sirena antincendio. Tuttavia, conoscendo Eric e le sue idee imprevedibili, molto probabilmente un rintocco funebre risulterebbe più appropriato.

Al solito, il mio ragazzo dà l'impressione di leggermi nella mente a proprio piacimento: infatti, senza farsi notare da altri, con due dita mi fa segno di raggiungerlo.

Per un attimo sono tentata di girare i tacchi e darmela a gambe. L'espressione sfacciatamente compiaciuta sul suo volto non lascia presagire nulla di buono, ma decido di rischiare. Non è nella mia natura rimangiarmi la parola data e, in fin dei conti, cosa potrebbe inventarsi di così terribile? Dopo essermi misurata con il lato oscuro di me stessa nello scenario e aver superato la tanto temuta iniziazione, posso affrontare qualsiasi cosa.

Risoluta, comincio a farmi largo tra la folla esultante e punto verso il tavolo dei Capifazione. Eric intuisce le mie mosse e si sposta a sua volta, venendomi incontro. Si piazza esattamente al centro della sala, sempre con quel sorriso insolente piantato in faccia. Abbassa le braccia lungo i fianchi e, catturati da quel movimento, i miei occhi scorrono automaticamente dalle sue ampie spalle ai muscoli del torace: la maglietta che indossa è - ovviamente - nera, talmente attillata da sottolineare ogni curva degli addominali. Non indossa il suo solito gilet di pelle, né la spessa cintura per le armi. I jeans scuri infilati negli anfibi sono strappati all'altezza delle ginocchia e gli fasciano le cosce come una seconda pelle. Se aggiungiamo anche i piercing e i tatuaggi in bella vista, l'insieme è un concentrato di virilità che dà alla testa. Non c'è da stupirsi se le ragazze che gli passano accanto gli lanciano continue, lunghe e neanche troppo velate occhiate provocanti. Senza armi né divisa e con quel ghigno sulle labbra, Eric assomiglia più a un delinquente che a un soldato. Ed è maledettamente attraente, tanto da bloccarmi il respiro.

Non mi rendo conto di aver interrotto la mia determinata marcia attraverso la mensa finché lui non alza gli occhi al soffitto ed, esasperato dalla mia titubanza (io sarei più propensa a definirlo shock anafilattico dettato da troppo testosterone nell'aria), percorre i pochi metri che ci separano a lunghi passi.

Arrivato talmente vicino da sovrastarmi e obbligarmi a inclinare il capo per guardarlo negli occhi, Eric continua imperterrito a sfoggiare quel suo ghigno saputo. - Quinto posto. Un buon piazzamento, complimenti piccola - esordisce, protendendo una mano e afferrando tra due dita una mia ciocca di capelli sfuggita alla coda. La attorciglia lentamente attorno all'indice. - E noto con piacere che non ti sei dimenticata del nostro piccolo accordo -.

Faccio spallucce, lasciandolo libero di giocherellare con i miei capelli. - Mantengo sempre la parola data, dovresti saperlo. Ora cosa hai intenzione di fare? -.

Attendo che mi risponda e che rimetta a posto la mia ciocca ribelle, invece, imprevedibile come sempre, lui allunga la mano libera per sciogliere l'elastico che tiene imprigionata la mia folta chioma, facendomela ricadere sulle spalle in onde disordinate. Eric approfitta del mio momento di incertezza per passarmi un braccio attorno alla vita e sospingermi contro di sé.

Il contatto con il suo corpo mi trasmette un brivido che si propaga fino alle dita dei piedi e il mio cuore ha un sussulto più forte dei precedenti. Nella mia testa lo paragono al suono prodotto da una freccia che, dopo aver attraversato un percorso irto d'insidie, si ricongiunge al bersaglio, colpendolo in pieno centro.

Eric affonda le dita tra i miei capelli, posando il palmo sulla mia nuca, e concentra lo sguardo sulle mie labbra. - L'intenzione iniziale era di prenderti per mano, condurti in giro per la Residenza e presentarti ad ogni singolo Intrepido come la mia ragazza. Poi minacciare pubblicamente i tuoi ammiratori, a cominciare dal gemello biondo e da Zeke, che in questo momento mi stanno guardando come se volessero attaccarmi al muro al posto della bacheca degli avvisi -. Faccio per voltarmi e verificare di persona le sue parole, ma lui non me lo permette. - Ho cambiato idea a metà strada. Sprecherei troppo tempo ed energie, e, francamente, non ne varrebbe la pena. Molto meglio un approccio più diretto e pratico -.

- E quale sareb... -.

Eric non mi lascia nemmeno terminare la frase: china la testa e le sue labbra volano sulle mie, lambendole con una delicatezza che mi sorprende più di tutti gli intrighi che aveva architettato per rendere pubblica la nostra relazione.

Mi aspettavo un bacio molto più rude, una vera e propria rivendicazione del territorio, da perfetto maschio alfa. Un bacio carico di possesso, un concentrato di passione che avrebbe fatto arrossire perfino quel libertino di James. Al contrario, la sua bocca sulla mia sembra quasi esitare: mi sfiora appena, i piercing tracciano senza fretta il contorno delle mie labbra.

Capisco la sua tattica solo quando mi schiaccio contro di lui, alzandomi in punta di piedi per passargli le braccia attorno al collo, smaniando un contatto più profondo.

Eric vuole che sia io a condurre il gioco: in questo modo, tutti capiranno che l'ho scelto di mia volontà e non potranno accusarlo di avermi messo le mani addosso come un maniaco. Avvinghiata a lui come sono ora, è facile scordarsi che solo poche persone sono a conoscenza della nostra storia e che la maggior parte dei membri della fazione ha assistito ai nostri battibecchi e crede che tra noi scorra solo odio.

Realizzo in un attimo come deve apparire la scena agli occhi dei più: di sicuro molti Intrepidi staranno pensando che sia l'ennesima ingenua, soggiogata dal fascino dannato dell'esperto Capofazione. La ragazzina che si farà usare e poi verrà gettata via, perché tutti conoscono le abitudini di Eric e nessuna fa eccezione.

Una trovata ingegnosa, quella del mio ragazzo. Lasciare che sia io a sedurre lui. E' a prova di obiezioni di qualunque sorta. D'altronde, chi contesterebbe la sua buona fede? Il suo bacio era innocente quanto quello di un bambino, sono io che poi l'ho trasformato in un qualcosa di più focoso e meno adatto ai minori. Geniale, assolutamente geniale. È in questi momenti che riesco ad intravedere sprazzi della sua inscindibile personalità erudita. Controllata, calcolatrice, meticolosa e attenta ad ogni dettaglio, anche il più insignificante.

Così simile alla mia.

Incurante di essere in bella vista, al cospetto di tre quarti della mia nuova fazione e tra le braccia di uno degli esemplari maschili più gettonati, do ad Eric esattamente ciò che si aspettava, un bacio che non scorderà tanto facilmente. Ci stacchiamo ansanti, con le labbra gonfie e, nel mio caso, con i capelli in uno stato pietoso. L'espressione stralunata con cui Eric ricambia il mio sorriso mi riempie di soddisfazione. Voleva lo spettacolo, l'ha ottenuto.

Dalla folla che ci circonda, dopo qualche secondo di stallo e silenzio di tomba, partono fischi e applausi inaspettati. I commenti che arrivano dal mio tavolo sono i più imbarazzanti di tutti, specialmente quelli proferiti da Melanie. Anche gli altri Intrepidi non ci risparmiano frecciatine e battutine pungenti.

- Dateci dentro, ragazzi! -.

- Ma trovatevi una stanza, per la miseria -.

- Sempre a lui tutte le fortune... -.

- Avete visto come gli è saltata addosso? Che donna. Zelda sei tutte noi! -.

- Perché non ha scelto me? Perché lui? Perché? -.

- Mi passi un'altra fetta di torta? -.

Nel mezzo delle chiacchiere, l'unico che non perde il proprio aplomb è Quattro. Seduto tranquillamente sulla panca, non pare essersi accorto del trambusto che io e il mio ragazzo abbiamo scatenato. Si limita a scroccare il dolce dal piatto di Zeke, troppo impegnato a recitare la parte dell'innamorato respinto per accorgersi del furto.

- Credo proprio che il tuo piano abbia funzionato. Nella fazione non si parlerà d'altro per almeno una settimana - bofonchio, affondando la guancia nell'incavo del braccio di Eric. - Spero che tu sia contento -.

- Oh sì - replica, con il trionfo nella voce. Mi accarezza le spalle e il collo, ogni centimetro di pelle lasciato scoperto dal top. - Sono molto, molto contento -. Fa scorrere un dito lungo la cerniera che tiene chiuso l'indumento, arrivando alla base della mia schiena. - E lo sarei ancora di più se potessi rapirti e spogliarti di questo affare scollato e invitante, ma, purtroppo, Max e James mi hanno assoldato e intimato di aiutarli con i preparativi per la festa di stasera. Non ho potuto oppormi, dannazione. Quei due non accettato un 'no' come risposta -.

Ridacchio del suo tono indispettito e, per la prima volta dopo settimane - o forse anni -, mi sento completamente felice. Tanto che non riesco a spegnere il sorriso stupido che mi danza sulle labbra, nemmeno quando incrocio lo sguardo color nocciola di Josie.

L'Intrepida dai capelli rossi mi osserva dal tavolo del buffet con espressione ironica, indugiando con gli occhi sulle braccia di Eric avvolte attorno alla mia vita. Poi fa spallucce, come se quella scena non la toccasse più di tanto, e, inaspettatamente, alza il bicchiere nella mia direzione, dedicandomi un brindisi.

Scioccata da quella - seppur riluttante - dimostrazione di rispetto, rimango ancora più stupita quando Eric si stacca da me e, con una rapida occhiata, fulmina chiunque stia ancora confabulando su di noi. - Che avete da guardare? Volete il bis? -.

Alla nostra sinistra, William fa un fischio d'approvazione e James, al suo fianco, finge di asciugarsi una lacrima di commozione. - Il mio piccolo -, lo sento mormorare, - avete visto? E' diventato un vero rubacuori. Ha preso tutto da me -.

Max fa una risata roca. - Eric ha trovato pane per i suoi denti. Sono una bella coppia, voi che dite? -.

- Che siete dei pettegoli senza speranza. Io vorrei solo mangiare in santa pace, una volta tanto. James, ti spiacerebbe passarmi una mela? -. Josie si sporge per indicargli uno dei frutti, mettendo in mostra la generosa scollatura del vestito. E troncando definitivamente la conversazione.

Anche se avessero continuato a sparlare di noi, non me ne sarebbe potuto importare di meno. Incitato dai fischi degli Intrepidi, Eric mi sta baciando di nuovo. Concedendo al nostro pubblico un bis di tutto rispetto.
















 

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Ciao a tutti! Vi sono mancata? Avete per caso voglia di tirarmi qualche bel pomodoro maturo? E' comprensibile. Mi scuso per avervi fatto aspettare così tanto, ma spero che la lunghezza del nuovo capitolo - e il contenuto, ovviamente! - bastino a perdonare il ritardo (almeno un pochino).

E' finita l'iniziazione! Evviva! Siete contenti? Scommetto di sì, è da più di 40 capitoli che vi annoio con le mille paranoie di Zelda. Finalmente è diventata Intrepida a tutti gli effetti, andrà a vivere assieme ad Eric e vivranno tutti felici e cont...ah no, ho sbagliato storia. Non siamo nel mondo Disney, quindi aspettatevi di tutto ;)

Dovrebbero mancare meno di dieci capitoli alla fine, farò il possibile per postarne uno (o due, tempo permettendo) al mese. Non abbandonatemi, continuate a seguire la storia, abbiate fiducia!

Come sempre, resto in attesa dei vostri commenti, pensieri, consigli. Fate contenta questa povera autrice, postate una recensione. Anche piccola piccola.

Un bacione a tutti,

Lizz


 

p.s. AAA cercasi fan del Trono di Spade con cui fangirlare. Sto leggendo i libri e ho bisogno di qualcuno che mi capisca. Sono circondata da babbani, mondani e profani. Se anche voi siete fan della saga di Martin, raggiungetemi su Fb!


 

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Capitolo 50
*** Rebirthing ***


 


 

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[breve riassunto dei capitoli precedenti: Zelda ha concluso l'iniziazione, raggiungendo il quinto posto nella classifica. Come promesso ad Eric, dopo la proclamazione dei risultati l'ha raggiunto e lui le ha dato un bacio spettacolare davanti a tutta la fazione, ovviamente per marcare il territorio da bravo maschio alpha. Zelda era troppo felice di essere finalmente riuscita ad entrare nella fazione, quindi ha sorvolato e lasciato perdere. Ma come si dice, chi semina vento, raccoglie tempesta....xD Enjoy!]

 

 


 

Capitolo 49

 


 

Zelda

 

- Vi siete davvero superati, questa volta -. Il mio tono colmo d'ammirazione fa sorgere una smorfia sulle labbra di Eric.

- Non ne voglio parlare - borbotta, massaggiandosi la nuca col palmo della mano libera. L'altra regge una bottiglia di non so quale intruglio alcolico. Gentilmente offerto da Max, come al solito. - Mi hanno fatto sgobbare per tutto il pomeriggio, neanche fossi il loro schiavetto. Non so come, non so quando, ma di sicuro gliela farò pagare -, conclude, quasi ringhiando.

Le sue cupe minacce mi strappano un sorrisetto. Allungo una mano e gli rubo la bottiglia prima che possa portarsela alle labbra. Assaggio un sorso con molta cautela, mentre lui mi guarda con quella che potrei definire solo condiscendenza. A cui si aggiunge l'ilarità quando comincio a tossire, la gola in fiamme. - Ma che diavolo è questa roba? - mugugno, rispedendo in fretta la bottiglia al legittimo proprietario.

Il Capofazione butta giù un lungo sorso prima di rispondermi. - Qualcosa di potenzialmente letale, ma almeno ha un buon sapore -.

- Sa di menta bruciata -.

Lui fa spallucce. - Di sicuro migliore della birra che piace a James -. Mentre lo dice, scocca un'occhiata piena di livore al collega, in quel momento impegnato a flirtare con un gruppetto di Intrepide tra le quali noto la chioma inconfondibilmente rossa di Josie.

Scuoto la testa e mi sposto un po' più vicina ad Eric, seduto sulla roccia accanto alla mia. - Sai, nomini spesso James. Troppo spesso. Dovrei esserne gelosa, per caso? -.

L'espressione altamente schifata del mio ragazzo è impagabile. Eric beve un altro po', poi getta via la bottiglia. - Ti rivelo un segreto - mormora, agguantandomi per la vita prima che possa schivarlo. Mi fa accomodare in braccio a lui, stringendomi al petto con entrambe le braccia. China la testa verso la mia, poggiando le labbra vicino al mio orecchio. - Tutte le volte che nomino il mio caro collega, in realtà sto pensando a un modo per ucciderlo, occultarne il cadavere e farla franca. Purtroppo è impossibile, visto il numero dei suoi ammiratori all'interno della fazione. Ma sognare non costa nulla, no? -.

Il suo tono fintamente affranto mi fa ridere. - Tanto lo so che non lo faresti mai, neanche se ne avessi la possibilità. Che vita sarebbe, senza James? -.

- Di sicuro una vita molto più felice, per quanto mi riguarda. Ma ora basta parlare di lui - borbotta, abbassando la testa per baciarmi una spalla. Si sofferma con le labbra alla base del collo e alza per un attimo gli occhi verso i miei. - Stasera niente vestitino scollato? Mi deludi, piccola -.

- Credi sia stato semplice sfuggire a Melanie? - replico, con un ghigno. - Per fortuna sono riuscita a distrarla quanto bastava per sgattaiolare via dal dormitorio. Meglio la tuta da ginnastica, che quell'obbrobrio pieno di lustrini che voleva costringermi ad indossare -.

L'espressione di Eric si fa incuriosita. - Lustrini, eh? E dimmi, quanta pelle lasciava scoperta? -.

Il mio ghigno diventa malizioso. - Hai presente quello dell'ultima festa? Ecco, moltiplica per due e aggiungici calze a rete e tacchi a spillo -.

Lui ci pensa su, poi socchiude gli occhi. - Mmm, allora credo che la tuta sia stata un'ottima scelta. Non ti avrei fatta rimanere in mezzo a questa folla di maschi arrapati nemmeno per un secondo, se ti fossi vestita come la scorsa volta - confessa, giocherellando con la cerniera della mia giacca e tirandola giù di alcuni centimetri. - Quando ti ho vista con addosso quel vestito, non riuscivo a pensare ad altro se non a togliertelo di dosso. In mille modi diversi -. Eric mi bacia una guancia, poi inclina la testa per sussurrarmi: - Alcuni molto fantasiosi, altri decisamente perversi -.

Lo scosto da me, ridacchiando. - Eh, no. Se stai cercando di sedurmi, sappi che non funzionerà se prima non mi inviti a ballare -. La sua faccia da martire non mi impietosisce neanche un po'. - Se non ti va, posso sempre chiedere a … -.

Prima che possa anche solo nominare uno dei gemelli, Eric mi ha già fatta alzare dalla roccia e trascinata verso la pista da ballo. Zigzaghiamo tra la folla finché non arriviamo nell'angolo più buio, dove il mio ragazzo, sempre con la stessa espressione da condannato al patibolo, mi circonda la vita con le braccia, spingendomi contro di sé. - Ti avevo detto che questa sera non avresti ballato con nessun altro. L'avevi dimenticato? -.

- Ti riferisci alle minacce che hai rivolto a Zeke e Xavier? Difficili da scordare, visto che perfino la pelle scura di Zeke è sbiancata quando gli hai detto che avresti ...-.

Eric mi bacia prima che possa terminare la frase. - Mi ricordo cos'ho detto, piccola. E non esiterei a metterlo in pratica se quei due si azzardassero ancora a contraddirmi -. Mi passa le dita sulla guancia in una carezza che dichiara affetto e possesso allo stesso tempo. - Voglio stare da solo con te almeno per la durata della festa, visto che poi tornerai nel dormitorio a festeggiare assieme ai tuoi compagni, mentre io me ne starò nel mio letto tutto solo … -. Faccio per protestare, proponendogli di raggiungerlo nel cuore della notte, ma lui mi posa un dito sulle labbra. - Ed è giusto così. Devi goderti questi ultimi momenti dell'iniziazione, perché da domani entrerai ufficialmente nella fazione e verrai sommersa di nuove regole, doveri e lavoro -. Eric sorride, passandomi una mano tra i capelli. Ci stiamo ancora muovendo a tempo di musica, anche se non scatenati come le coppie che ci passano a fianco. - Posso sopportare un'altra notte senza di te, Zelda, perché so che sarà l'ultima. Da domani ti avrò tutta per me, ogni giorno e ogni notte. Finalmente -. L'occhiata quasi adorante che gli lancio lo lascia leggermente sospettoso. - Perché mi guardi così? -.

- Credo sia una delle frasi più romantiche che tu mi abbia mai detto - ammetto, e lui alza un sopracciglio con scetticismo. Approfitto della sua confusione per dargli un bacio a fior di labbra. - Devo assolutamente appuntarmela da qualche parte perché dubito ce ne saranno altre in futuro -.

- Saggia decisione -. Eric sorride e accenna con la testa verso la ringhiera che dà sullo strapiombo. - Andiamo dai tuoi amici, prima che attirino troppo l'attenzione. Le urla del gemello idiota stanno cominciando a urtarmi i nervi -.

Solo in quel momento mi rendo conto che Xavier mi sta chiamando a squarciagola per invitarmi a raggiungerli. Felix e Melanie se ne stanno abbracciati e si guardano negli occhi con trasporto, come se non esistesse nient'altro che loro. Mi chiedo se anche Eric ed io suscitiamo un simile pensiero in chi ci guarda. Forse no, perché in pubblico, in genere, il Capofazione tende a tenere un comportamento riservato e scostante. A meno che non voglia rivendicare il proprio territorio - che, in poche parole, sarei io -, come ha fatto oggi a pranzo e come sta facendo ora, mentre, sotto gli occhi di tutti i miei amici, mi stringe a sé e mi travolge in un lungo bacio. Più scenografico che passionale, a dirla tutta. Quando mi lascia tornare a respirare, gli rivolgo uno sguardo ammonitore a cui lui replica con uno dei suoi ghigni da predatore.

Zeke, seduto poco distante, si porta una mano al cuore con fare teatrale. - Oh, Zelda. Noi due eravamo fatti l'uno per l'altra. Come posso vivere senza di te? -.

Le micidiali iridi d'acciaio di Eric indugiano sull'altro Intrepido per qualche istante. Credo decida di prenderla con filosofia, perché sorride di nuovo. Anche se è il sorriso di uno squalo affamato che ha fiutato una preda succulenta. - Beh, Zeke, se hai un desiderio di morte imminente, sarò felice di accontentarti. Quando vuoi, basta chiedere -.

Vedo le labbra di Quattro tremare come se stesse cercando di trattenere una risata, il che ha dell'incredibile dato che lui ed Eric sono in guerra aperta dalla prima volta che si sono incontrati. Zeke guarda il Capofazione, poi me, e infine sorride apertamente. - Anche se mi costa molto ammetterlo, non c'è dubbio che siate una bella coppia. Riconosco una battaglia persa, non ho mai avuto nessuna speranza con Zelda -. Fa spallucce e, incurante del pericolo, dà una pacca sul braccio di Eric. - Tientela stretta, amico. Ragazze speciali come lei non... -.

- ... non si trovano tutti i giorni. Sì, lo so. Me l'hanno già detto - scandisce Eric con enfasi. Si volta verso di me e sussurra: - E me ne sono accorto da tempo anche da solo -.

La serata trascorre veloce, tra le chiacchiere degli Intrepidi che, a turno, vengono a presentarsi e darci il benvenuto nella fazione. Alcuni di loro, specialmente i maschi, commentano la scena del bacio in mensa, complimentandosi a suon di pacche sulle spalle ed espliciti doppi sensi. Il mio palpabile imbarazzo non contagia il Capofazione, dal momento che il suo sorrisetto tronfio non svanisce nemmeno quando gli assesto un'energica gomitata sullo stomaco. Poco strategica e decisamente dolorosa per la sottoscritta, tanto per precisare.

Dopo il brindisi tradizionale dedicato ai nuovi membri della fazione, Xavier e Scott propongono il ritorno anticipato al dormitorio per festeggiare l'ultima notte da iniziati. Gli altri li seguono a ruota, non senza aver prima fatto incetta di alcolici. Lascio che Melanie e Leslie mi precedano, incerta su cosa fare. Vorrei trascorrere la notte con Eric, ma allo stesso tempo ci terrei a stare con i miei compagni: d'ora in poi abiteremo in alloggi differenti e suppongo ci vedremo raramente, ad eccezione dei pasti.

La mia espressione dubbiosa fa sorridere il mio ragazzo. - So esattamente a cosa stai pensando … - mi sussurra, avvicinando il viso al mio. La carezza delle sue dita ruvide sulla guancia mi provoca un brivido. Alla luce dei faretti della pista da ballo, i suoi occhi grigi assumono riflessi d'argento e mi riportano alla memoria il nostro primo appuntamento segreto, quando mi ha condotta fuori dai confini della città. Mentre mi fissa con insistenza, le sue iridi hanno la stessa identica sfumatura del bagliore della luna sulla superficie di quel laghetto. Anche quella volta ha saputo leggermi nel pensiero, intuire il mio bisogno di evasione, di libertà, di vivere un istante lontano da tutto e da tutti.

E' stupefacente quanto riesca a capirmi, a …

- … non vedi l'ora di vedermi nudo di nuovo, vero piccola? -.

Il suo sussurro malizioso interrompe i miei sogni ad occhi aperti. Mi fa prima sobbalzare e poi arrossire, dal momento che il Capofazione ha entrambe le mani sotto la mia maglietta, pericolosamente vicine al bordo del reggiseno.

Questa non è di certo la risposta che mi aspettavo: credevo stesse parlando seriamente, invece è un'altra delle sue manipolazioni. Una manipolazione in tutti i sensi, penso, mentre i suoi palmi scorrono lungo la mia schiena. Ma non ho certo intenzione di lamentarmi.

Sposta le labbra sulla mia guancia, il tocco freddo del metallo dei suoi piercing crea un delizioso contrasto con la mia pelle accaldata.

Alla fine si scosta per osservarmi e annuisce, compiaciuto. - Ecco l'espressione che preferisco -, commenta, prendendomi il mento tra pollice e indice. Ghigna ancora notando il mio rossore, poi si fa stranamente serio. - D'ora in avanti non ti dovrai più preoccupare di nulla, Zelda. Hai superato l'iniziazione, sei stata ammessa nella fazione, domani ti troveranno un lavoro...non hai più niente da temere -. Eric china la testa e mi dà un bacio: non spettacolare come quello di oggi pomeriggio, ma ugualmente passionale. Quando stacca le labbra dalle mie, mi accorgo di essergli praticamente spalmata addosso.

Lui ha di nuovo quel sorrisetto soddisfatto. Mi lascia andare con riluttanza e fa un passo indietro. - Quindi adesso rilassati e vai a festeggiare con i tuoi compagni. Da domani inizia la vera vita intrepida, vedrete che finirete per rimpiangere queste settimane da iniziati -.

Ignoro la frecciatina e mi dirigo verso il tavolo del buffet. Afferro una bottiglia a caso, piena di un liquido denso e color ruggine. Eric me la toglie di mano prima che possa assaggiarne un sorso e la sostituisce con un'altra, dall'aspetto molto più appetibile. - Fidati, ti ho risparmiato una brutta fine - proclama, lanciando uno sguardo di disgusto all'oggetto in questione.

Annuso il contenuto della bottiglia da lui scelta e faccio una smorfia. - Succo di frutta? Seriamente? -.

Il Capofazione annuisce, reciso. - I tuoi compagni erano già piuttosto alticci poco fa, non oso pensare al loro stato da qui a un'ora. Non mi fido di loro da sobri, figuriamoci quando sono sbronzi. Meglio se non bevi alcol, ti voglio lucida e pronta a prenderli a pugni in caso si permettano di allungare le mani -.

Scuoto la testa con rassegnazione. Una parte di me vorrebbe prendere lui a pugni, mentre l'altra si scioglie come gelato al sole: dietro all'ordine imperioso, si nasconde un istinto protettivo che non manca mai di sorprendermi. Eric fa fatica ad esprimere i propri sentimenti a parole, ma di sicuro sa dimostrarmeli con i fatti. E di certo io apprezzo molto di più queste piccole premure che lunghi discorsi sdolcinati.

Bevo un sorso del mio succo alla fragola e gli sorrido oltre il collo della bottiglia. - Sai, in realtà alla tua lista mancava un punto -.

Eric incurva le sopracciglia, un punto di domanda dipinto in viso. - Quale lista? -.

- Quella dei fattori che dovrebbero rassicurarmi, quando hai detto che non ho più motivo di aver paura -. Sorrido della sua espressione perplessa. - Hai dimenticato il più importante. Se d'ora in poi potrò vivere più serena, è solo perché so che avrò te. Perché so che non dovrò lasciarti, che mi aiuterai ad affrontare la situazione difficile che coinvolge mio fratello e Leslie, che potrò dormire tranquilla perché ci sarai tu al mio fianco e … -.

Eric non mi permette di terminare quella che si profilava come una diabetica confessione d'amore in piena regola. Mi schiaccia contro il suo petto e mi tiene semplicemente stretta, per almeno cinque minuti, senza parlare. Sento il suo cuore battere allo stesso accelerato ritmo del mio e i suoi muscoli farsi sempre più tesi, finché non scioglie la presa e appoggia la fronte alla mia. Le sue dita scorrono lungo il mio collo, avanti e indietro, lentamente. I suoi lineamenti sono piuttosto cupi, vorrei tanto sapere il percorso intrapreso dai suoi pensieri. L'ho di nuovo messo in imbarazzo? Che ho detto di così scioccante? Lui sa già che lo amo, quindi perché …

I miei discorsetti mentali si bloccano al suono della sua voce, che suona roca e soffocata contro il mio orecchio. - Sono tuo dalla prima volta che ti ho sentita cantare. Mi prenderò cura di te, Zelda. Te lo giuro sulla mia vita -. Le sue labbra si posano sulla mia fronte per un momento, le sento muoversi contro la mia pelle. - Dormi bene stanotte, piccola, perché è l'ultima che passerai senza di me. E le prossime ho intenzione di tenerti ben sveglia -.

- Non vedi l'ora di rivedermi di nuovo nuda, vero? - replico, scimmiottando il tono malizioso che aveva usato prima per la stessa domanda.

- Puoi scommetterci, piccola. Vederti, toccarti e baciarti. Ovunque -.




 

*




 

Mi sveglio con un sospiro di beatitudine, un dolce languore mi avvolge il corpo come una coperta di lana morbida. L'eco delle parole di fuoco pronunciate da Eric mi ha seguito nel mondo onirico e, ripensandoci a mente lucida, i sogni che ho fatto erano talmente vividi da farmi dubitare di averli solo immaginati inconsciamente. Le sue mani su di me, la sua bocca che vagava lungo mio corpo...erano soltanto un prodotto della mia mente?

Vederti, toccarti e baciarti. Ovunque.

Piuttosto accaldata, lancio di lato coperta e lenzuolo e mi guardo intorno. No, non mi trovo nella stanza del Capofazione, questo è certo. Dal letto alla mia destra proviene un discreto russare, opera di Melanie, e poco distante dal mio, steso sulla schiena in mezzo ad una decina di cuscini, c'è Xavier beatamente addormentato. Perciò sì, mi sono immaginata tutto.

Con un lamento di delusione, metto i piedi fuori dal letto e mi stiracchio. Il dormitorio non è silenzioso come d'abitudine al mattino presto. La porta si apre in continuazione per lasciare entrare o uscire uno dei miei compagni, reduci dalle bevute della notte scorsa. La processione verso i bagni è iniziata poco dopo la fine della gara a chi ingurgitava più birra, ovviamente organizzata e sponsorizzata da Scott e Xavier. Entrambi ci hanno dato dentro di brutto, scolando una lattina dopo l'altra. Felix e Melanie erano troppo impegnati a sbaciucchiarsi in un angolo per alzare un dito per fermarli, quindi ci abbiamo provato Leslie ed io, le uniche rimaste sobrie. Ogni tentativo è andato in fumo, visto che gli altri membri della compagnia continuavano ad incitarli e a passare loro nuove bottiglie.

Il risultato di tutto questo era prevedibile: sia Scott che Xavier hanno trascorso gran parte della notte in bagno, praticamente abbracciati al water. Come faccio a saperlo? Beh, perché sono rimasta tutto il tempo con loro, troppo preoccupata che si facessero male per abbandonarli al loro destino. Dopo averli ricondotti al dormitorio sani e salvi (più o meno) e aver scambiato uno sguardo con Leslie, che nel frattempo si era occupata di rimettere in ordine, mi sono fiondata a letto, lasciando i miei due protetti ad arrancare verso i loro materassi.

A giudicare da ciò che vedo, solamente Scott è stato in grado di arrivarci senza problemi. Alzando gli occhi al cielo, scavalco il corpo inerte di Xavier e mi dirigo verso il mio armadietto. Una volta vestita e pettinata, lancio un'occhiata al resto della camerata. Alcuni dei miei compagni sono già in piedi e non hanno un bell'aspetto, anzi sfoggiano un colorito e delle occhiaie da spavento.

Ripenso all'ordine poco educato di Eric, che mi ha desistito dal commettere il loro stesso errore. Se mi fossi data alla pazza gioia anch'io, a quest'ora avrei un aspetto ancora peggiore, considerato quanto poco reggo l'alcol. Ringrazio mentalmente il Capofazione, anche se ieri sera, per un attimo, ho fantasticato di prendere la bottiglietta di succo di frutta e di ficcargliela su per il …

- ...naso! Il mio povero naso, ahi! -.

L'esclamazione soffocata, seguita da un certo buon numero di parolacce, mi coglie di sorpresa. Mi volto in tempo per assistere alle prodezze da contorsionista di Xavier, che sta tentando di mettersi seduto. Credo che nel rialzare il busto dal pavimento abbia inavvertitamente battuto la faccia contro una delle gambe del mio letto, perché lo guardo massaggiarsi il naso con cautela. Ecco spiegato a cos'erano dovute quelle imprecazioni lamentose.

Torno sui miei passi e gli sventolo due dita davanti alla faccia. - Buongiorno, bellezza. Quante sono queste? -. Anche se parlo sottovoce, per non disturbare chi ancora dorme beato, Xavier sembra capirmi perché annuisce e apre la bocca per rispondermi. La richiude. Batte le palpebre tre volte. Si massaggia la fronte, poi il collo. Infine crolla di nuovo sul pavimento, in mezzo alla pila di cuscini. Come siano arrivati lì è presto detto: stanotte, dopo circa un'ora da quando si era accasciato a terra, Xavier ha iniziato a intonare qualche canzoncina di dubbio gusto, incitando gli altri a fare altrettanto. Sospiro, inginocchiandomi accanto al gemello.

Per fortuna che si tratta di cuscini e non coltelli. Mai infastidire un gruppo di Intrepidi freschi d'iniziazione, hanno un'ottima mira.

Dopo essermi accertata che respiri, lo copro con una coperta e lascio una bottiglietta d'acqua sopra al comodino per quando si risveglierà. Assolto il mio compito di babysitter, esco dal dormitorio e mi avvio verso la mensa. Non ho controllato l'ora, ma dalle poche persone che incrocio nei corridoi deduco di essere in anticipo per la colazione.

Entro ugualmente nella sala e mi accontento di ciò che è già stato posizionato sul tavolo del buffet perché muoio di fame. Riempio il vassoio con una tazza di thé bollente, una decina di biscotti e un muffin ai lamponi. Soddisfatta del bottino, mi siedo su una delle panche vicine alla porta, nella speranza di veder entrare almeno un viso amico. Il numero degli Intrepidi presenti in mensa non supera la dozzina e solo il tavolo dei Capifazione ne ospita più di due; il resto dei membri della fazione preferisce mangiare in piedi per risparmiare tempo.

Bevo il mio thé in silenzio, fantasticando su quale sarà il mio nuovo lavoro. Quattro ci aveva detto che solo i primi cinque della classifica avrebbero avuto il privilegio di poter scegliere, gli altri si sarebbero dovuti adeguare alle esigenze del momento. Il mio quinto posto mi assicura la libertà di scelta, eppure c'è solo un ruolo che mi interesserebbe ricoprire e non sono del tutto sicura che sia tra le mie possibili opzioni.

Mentre mastico l'ultimo boccone di muffin, noto che Max e un altro Intrepido che non riconosco si stanno dirigendo verso la porta. Li guardo meglio, incuriosita dallo sconosciuto, un uomo sui trent'anni, alto quasi quanto Eric.

Ho un vago ricordo di lui, è forse un Capofazione? Oltre a Max, James ed Eric, non ho mai avuto l'opportunità di avvicinarmi agli altri due, conosco solo i loro nomi.

L'Intrepido misterioso ha i capelli più lisci che io abbia mai visto, color mogano: li porta lunghi fino alle spalle, pettinati all'indietro con una buona quantità di gel. Un tatuaggio sbuca dal colletto della maglietta nera, un altro si estende su tutto il suo braccio destro. Come se avesse avvertito la mia attenta osservazione, l'Intrepido si volta nella mia direzione e, appena mi vede, si ferma. Aggrotta le sopracciglia, come se fosse confuso, e richiama l'attenzione di Max battendogli su una spalla. Si scambiano poche parole, sempre guardandomi. Vedo Max annuire e salutarmi con un cenno, prima di scomparire oltre la porta.

L'altro uomo mi si avvicina con passo sicuro e, non appena mi si piazza davanti, rimango imbambolata a fissarlo. Oltre ad avere una folta chioma di capelli lucidi e impeccabili che gli invidio, ha degli occhi mozzafiato, che cambiano colore a seconda della luce. Prima, mentre lo guardavo parlare con Max, mi erano sembrati verde scuro; adesso, illuminati direttamente dalle lampade al neon, sono di un azzurro tendente al grigio. Quest'uomo è talmente bello da sembrare finto, ma non ne pare consapevole. Non oso pensare a come si pavoneggerebbe James se avesse la sua faccia.

Quando parla scopro che la sua voce è all'altezza di tutto il resto, pacata e gentile. - E' un piacere conoscerti finalmente di persona, Zelda -. Allunga una mano, senza badare al fatto che lo sto fissando a bocca aperta come se avessi davanti una divinità. I suoi occhi verde-azzurri mi scrutano con benevolenza, senza alcuna traccia di malizia o ironia. - Sono William, uno dei cinque Capifazione. Ho supervisionato e valutato il tuo test finale -. Fa una breve pausa per sorridermi e io rischio seriamente uno shock anafilattico. - Sei stata una vera sorpresa, sono molto orgoglioso di te. D'ora in avanti sarò il tuo mentore, ti aiuterò ad integrarti nella fazione e trovare il lavoro adatto a te. Tutto bene? -.

Credo si riferisca alla mia espressione stralunata, quindi cerco di ricompormi. Non è affatto facile: il suo sorriso è talmente splendente da bruciarmi le retine. Non è che per caso sto ancora sognando, vero? - Ehm, grazie, io...sì -. Ti prego, cervello, trovami qualcosa di intelligente da dire. - E' solo che … -.

- Che non mi hai mai visto in giro. Sì, è comprensibile. Lavoro al Centro di controllo e svolgo quasi tutti i turni di giorno. Oggi sono a disposizione dei miei nuovi protetti, ma non mi aspettavo di incontrarne uno prima di pranzo -. Un altro sorriso incendia-retine. - Se non hai altri programmi, che ne dici di venire nel mio ufficio tra mezz'ora? Così possiamo conoscerci meglio e parlare del tuo percorso nella fazione. Sono sicuro che troveremo un lavoro che valorizzi il tuo potenziale -.

Annuisco quasi in automatico. Lui mi stringe la mano e mi dice di finire la mia colazione con calma. - Ho delle faccende da sbrigare, ma di sicuro finirò in tempo. Ti aspetto al Pozzo -.

Mi ripeto mentalmente il suo discorso, guardandolo muovere alcuni passi verso l'uscita. La sua compostezza, la dizione impeccabile, il lessico mai ripetitivo... Scatto in piedi, facendo quasi rovesciare la tazza. - William! Eri un Erudito, vero? -.

Lui gira la testa quanto basta per sorridermi e farmi l'occhiolino. - Sapevo che noi due saremmo andati d'accordo. Chiamami pure Will. Ci vediamo dopo, Zelda -.

Torno a sedermi e rimango a fissare il punto da qui è sparito, chiedendomi se non si sia trattato di un'allucinazione, o di un miraggio. Troppo bello per essere vero, mi ripeto.

Ad un certo punto sento una mano stringermi la coscia e mi riscuoto dall'immobilità. Non mi sono nemmeno accorta dell'arrivo di Eric, che se ne sta seduto a cavalcioni della panca, il corpo proteso verso di me. La sua mano libera si posa sulla mia guancia e nel giro di un secondo il mio mondo ritorna stabile. Un'occhiata alle sue iridi grigio acciaio che mi scrutano con preoccupazione è sufficiente a farmi dimenticare William e tutta la sua stupefacente perfezione.

- Stai bene? Sei pallida -. Il pollice di Eric traccia dei cerchi sulla mia pelle. - Quando sono entrato avevi lo sguardo fisso nel vuoto e non mi hai neanche sentito chiamarti. E' successo qualcosa stanotte? Chi devo uccidere? -.

- No, sto bene. Più o meno -. Mi schiarisco la voce. - Ho appena avuto un incontro ravvicinato con un tuo collega e mi sento come se mi avesse travolto un treno in corsa -.

Eric inclina la testa di lato. Dalla piega delle sue labbra sembra quasi che stia trattenendo un sorrisetto. - Fammi indovinare. Hai conosciuto William -.

Al mio cenno di assenso, lui scoppia a ridere. - Non sei la prima a rimanere stupita. Will fa...un certo effetto, glielo concedo. Soprattutto alle ragazze -.

Non stento a crederlo. - E'...allucinante. Come fa ad esistere un uomo così bello? Se non lo avessi visto con i miei occhi, non ci avrei mai creduto! Come ho fatto a non notarlo in queste settimane? -.

Eric ride ancora. - Lo so io, perché. Eri troppo impegnata a guardare me -.

Mi sa che ha ragione. Ma non gli darò la soddisfazione di ammetterlo, è già abbastanza presuntuoso per tutti e due. - Ho appuntamento con lui tra poco. Sapevi che è il mio mentore? -.

Lui annuisce. - Sì, ogni Capofazione è responsabile di uno o più di voi iniziati. Max, Evan ed io ci siamo spartiti gli interni, James e William i trasfazione -. Eric si massaggia la mascella, sovrappensiero. - Capisco cosa vuoi dire quando dici che è indescrivibile. Will è...Will. È impossibile arrabbiarsi con lui, perfino io non ci riesco. È una specie di diplomatico all'interno della fazione, tutti si rivolgono a lui quando hanno dei problemi. Però non si mette in mostra, è per questo che tutti lo ammirano -.

- Vedi, è troppo perfetto per essere vero. È bello, gentile, disponibile, affascinante e … -.

- Sposato -.

Blocco la mia descrizione degna di una fan sfegatata per puntare gli occhi sul mio ragazzo. - E questo cosa c'entra? -.

Eric stringe le palpebre. - Era per non farti venire strane idee. Da come parlavi di lui, sembravi in estasi. Mi spiace deluderti, ma Will è felicemente sposato ed è da poco diventato padre. Di due gemelle -.

- Due gemelle? Caspita. Loro sì che vantano un patrimonio genetico inattaccabile. Quando cresceranno, faranno strage di cuori -. Sorrido e poso la mano sopra la sua, sulla mia coscia. - Mi hai detto tutto questo perché pensavi volessi provarci con lui? Ah, ma io ho già un ragazzo. E molto geloso, per giunta... -.

L'aria cupa di Eric si smorza dopo la mia affermazione. - Ed è mille volte più bello di William... -.

- … è pericoloso e irascibile... -.

- ...e affascinante... -.

- ...paranoico... -.

- ...alto e forte... -.

- …dispotico... -.

- ...molto sexy... -.

Ad ogni aggettivo, Eric si china sempre più verso di me. Gli punto un dito contro per tenerlo a distanza, mentre termino il discorso. - E' spietato, iperprotettivo e brutalmente sincero -. Gli avvolgo il braccio libero attorno alla schiena, attirandolo a me. Appoggio la guancia sul suo petto e sospiro. - Ma lo amo lo stesso e nessuno può competere con lui -.

Lo sento rilassarsi e accarezzarmi i capelli con la punta delle dita. - Lo stesso vale per me, piccola. E a questo proposito, ti stavo cercando per darti questa -. Tira fuori dalla tasca della giacca una catenella a cui è appesa una chiave. - Non appena avrai finito di parlare con William, porta pure le tue cose in camera mia. Oggi sarò impegnato con l'allenamento dei nuovi soldati, quindi è probabile che non ci vedremo fino a stasera -. Mi allaccia la collana al collo e mi sorride. - Dopo cena ti darò il benvenuto ufficiale nella mia stanza. Qui non posso farlo perché siamo in pubblico e non mi piace dare spettacolo -.

Alzo gli occhi al soffitto. - Non ti crederei nemmeno se stessi dicendo sul serio -. Gli do un rapido bacio e mi alzo dalla panca. - Ora vado, William mi starà aspettando -.

Gli volto le spalle e mi avvio verso l'uscita della mensa. Ad un passo dalla porta mi giro e gli mando un bacio. - A dopo, tesoro -, esclamo, in tono sufficientemente alto da essere udito anche dal Pozzo.

Il gruppo di Intrepidi che stava entrando proprio in quel momento lancia delle occhiate allibite prima a me, poi ad Eric.

Ebbene sì, io sono l'unica che può metterlo in imbarazzo e sopravvivere per raccontarlo.

Chi la fa, l'aspetti, piccolo.


 










 

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Ciao a tutti! Dopo mesi nei quali mi disperavo per trovare le parole giuste da scrivere, è venuto fuori questo nuovo capitolo. Spero che vorrete continuare questa avventura assieme a me, anche se vi farò impazzire con i miei imperdonabili ritardi.

Il blocco dello scrittore è una brutta bestia. Ho tante idee in testa, ma non riesco a dar loro forma: è parecchio frustrante. Però non mollerò, la storia non resterà incompleta. Ve lo devo, dopo tutto il sostegno che mi avete dato. Vi adoro!

In questo nuovo capitolo facciamo la conoscenza di William, uno dei cinque Capifazione. Mi piaceva questo personaggio nato dalla mia mente contorta, ma in precedenza non ho mai avuto modo di inserirlo e farvelo conoscere, quindi ho approfittato. Lo troverete anche nel prossimo capitolo (e spero anche più avanti!).

Nel frattempo vi saluto e vi ringrazio per la pazienza: se vorrete continuare a seguirmi ne sarò davvero felice!

Un bacio a tutti,
 

la vostra Lizz


 

p.s. la canzone che dà il titolo al capitolo è degli Skillet.

 

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Capitolo 51
*** The rise and the fall ***




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Capitolo 50

 



 

Zelda


L'ufficio di William è un po' più grande di quello di Eric, ma molto meno ordinato. Sopra la scrivania, in equilibrio precario, ci sono pile di fogli e cartellette e, praticamente nascosto dietro tutte quelle scartoffie, noto lo schermo di un computer. Osservo quel caos con un sorrisetto.

Beh, un difetto William doveva pur averlo, dopotutto.

Il Capofazione mi invita ad accomodarmi sulla poltroncina davanti al tavolo ingombro, poi prende posto a sua volta. Si massaggia la nuca e fissa il disordine davanti a sé con un'espressione colpevole. - Mi ripeto sempre di dare una sistemata qui dentro, ma non trovo mai il tempo -. Sposta alcuni moduli scritti fittamente e una decina di plichi legati da robuste graffette, riuscendo a liberare la tastiera del computer. Digita qualche tasto, probabilmente la password, e lo schermo si illumina. Vedo i suoi occhi socchiudersi e la sua espressione farsi scura per un momento, finché non riporta lo sguardo su di me.

Accenna un sorriso e prende di nuovo a rovistare tra i fogli che ha davanti a sé. - Allora, Zelda, parlami di te -.

Mi mordo un labbro. - Non credo ci sia molto da dire - confesso, a disagio.

William alza gli occhi dalla cartelletta su cui stava scribacchiando e mi scruta attentamente. - Non avere paura, non ci sono risposte sbagliate. Non è un test, sto solo cercando di conoscerti per capire quali mansioni farebbero al caso tuo -. Vedendomi tentennante, si passa una mano tra i capelli e fa una smorfia. - Ti ho intimidita? Ti chiedo scusa, mia moglie mi ripete sempre di essere meno diretto -.

La sua espressione si fa più dolce non appena nomina la compagna: deve amarla molto. Non so perché, ma a quel pensiero sento la tensione sciogliersi un po'. - No, è che non mi piace parlare di me stessa. Ogni volta che qualcuno me lo chiede, mi chiudo come un riccio -. Faccio spallucce. - Ma davvero non saprei cosa dire, a parte che ho deciso di lasciare la mia vecchia vita perché mi stava stretta e mi faceva soffrire. Ho scelto gli Intrepidi perché era la fazione che più si adattava al mio carattere e non me ne sono pentita: ho trovato una famiglia che mi accetta per quella che sono, che mi vuole bene e di cui mi fido. L'unica cosa che desideravo era superare l'iniziazione e ora non potrei essere più felice -.

William annuisce, sempre con un sorriso sulle labbra. - Sei una ragazza straordinaria, Zelda, ma tendi a sottovalutarti. Ho visto le tue simulazioni e assistito al tuo test finale di persona, quindi posso dirti in tutta sincerità che la fazione è fortunata ad averti tra i suoi nuovi membri -.

Il complimento mi fa arrossire, ma William non pare farci caso perché i suoi occhi sono tornati allo schermo del computer. - Hai raggiunto il quinto posto nella classifica. Questo significa che hai libera scelta sul lavoro che svolgerai da oggi in poi -. Mi porge un pacco di fogli. - Qui ci sono i vari posti disponibili. Leggi pure con calma e poi ne discuteremo assieme. Se hai dubbi, chiedimi pure. Sarò felice di aiutarti -.

Il suo tono gentile e il suo atteggiamento disponibile, che tanto contrastano con i modi spicci e bruschi della maggior parte degli Intrepidi, mi colpiscono talmente che non riesco a spiccicare parola. Abbasso lo sguardo sui fogli, mentre lui torna a digitare sulla tastiera. Fisso le parole scritte, ma non ne comprendo il significato. In mente ho solo quel cartello, quello che ho visto appeso alla porta dell'infermeria il primo giorno che vi ho messo piede. C'è ancora, ho controllato questa mattina prima di dirigermi in mensa. Inizio a scorrere le varie pagine, finché non trovo quello che cerco. Appoggio il resto del plico sulla scrivania e mi schiarisco la voce per richiamare l'attenzione di William. Il Capofazione distoglie gli occhi dal computer per fissare prima me, poi il foglio che gli sto porgendo. Lo prende e legge le poche righe stampate, per poi tornare a guardarmi. Ha le sopracciglia corrucciate. - Ne sei sicura? -.

Annuisco una volta, con convinzione. - Sì -.

William si massaggia il mento. - Non preferiresti un posto da istruttrice? Te la cavi molto bene con le armi, da quanto ho potuto leggere sulla tua scheda personale -.

Ci avevo pensato. Eric mi aveva suggerito la stessa cosa, ammettendo a malincuore che sarei stata un'insegnante molto più brava di lui. Ma io so per cosa sono portata, in quale ambito il mio talento potrebbe essere più utile alla fazione. - Ti ringrazio per la proposta, ma non credo faccia per me -.

William resta in silenzio per qualche minuto, poi ridacchia sottovoce. - Beh, io ci ho provato e Max di certo non potrà sostenere il contrario -. Alza entrambe le mani e si allunga sulla sedia, più rilassato. - Lungi da me costringerti a fare qualcosa che non rientra nelle tue corde. Questa scelta spetta esclusivamente a te -. Sempre sorridendo, raccatta una penna semisepolta sotto una decina di fascicoli rilegati e mi porge un nuovo foglio, sul quale spiccano due firme: la sua e quella di Elizabeth, la capo infermiera. Lo guardo con la sorpresa dipinta in viso. Lui fa spallucce. - Elizabeth ed io siamo stati compagni d'iniziazione. Le dovevo un favore, quindi le ho promesso che avrei fatto il possibile per convincerti ad accettare il posto. Alla fine non ce n'è stato bisogno, ma, se dovesse chiedertelo, puoi fingere che sia stato, almeno in parte, merito mio? -. Mi fa l'occhiolino e io ricambio il sorriso, prima di apporre sul contratto l'ultima firma mancante: la mia.


 

 

*



 

Elizabeth quasi mi soffoca con un abbraccio quando mi presento assieme al mio mentore in infermeria. Emette un lungo sospiro sollevato, poi mi lascia andare e si affretta a staccare il cartello che ancora fa capolino oltre il vetro della porta. Lo straccia e getta i piccoli pezzetti di carta nel cestino con un gesto che trasuda soddisfazione. - Sinceramente, non osavo sperarci. Tutti parlano di te con grande entusiasmo, perciò dubitavo avresti scelto un ruolo così poco popolare -.

Scambia un'occhiata eloquente con William, che accenna un mezzo inchino e mi appoggia le mani sulle spalle come un papà orgoglioso. - Ti avevo detto di lasciar fare a me, no? Dubitavi forse delle mie capacità di persuasione? -.

Nessuno che non sia cieco potrebbe mai dubitarne, penso tra me. Con il suo carattere amabile e il suo aspetto magnifico, William non faticherebbe a persuadere anche il più riottoso degli Intrepidi. Uno fra tanti, Eric. Infatti non credo che il mio Capofazione potrebbe mai arrabbiarsi con lui, o rispondergli per le rime come fa con James.

Elizabeth sorride a William. - Non ho dubitato di te nemmeno per un istante, ma temevo che Max potesse immischiarsi e farti passare dalla sua parte. È da quando ha visto gli allenamenti di Zelda al poligono che spera di includerla nel team degli istruttori -.

William ride. - Sfortunatamente per lui, questa ragazza ha le idee ben chiare e non permette a nessuno di decidere al posto suo -. Mi dà una stretta rassicurante e fa un cenno ad Elizabeth. - Te la affido. Sono sicuro che insieme formerete una squadra imbattibile -.

Dopo un ultimo occhiolino nella mia direzione, esce di scena. E io posso tornare a respirare normalmente.

Elizabeth mi tende la mano. - Benvenuta a bordo, collega. Pronta a cominciare? -.

Lo sono di certo e lei non si fa scrupoli a farmi cominciare all'istante. Ha già un camice bianco pronto per me, al quale basta applicare la targhetta col mio nome. Dopo mezz'ora - durante la quale mi ha spiegato in termini specifici le mie mansioni, l'organizzazione dell'infermeria e del magazzino adiacente, e tutto ciò che mi serve sapere nell'immediato -, sono già pronta ad entrare in azione.

Indosso il camice e lego i capelli, prima di uscire dall'infermeria per il mio primo incarico. Nel corso della mattinata mi capita di chiedermi se i miei compagni – i gemelli, nello specifico - alla fine ce l'abbiano fatta a riprendersi dalla sbornia e siano riusciti a muovere qualche passo fuori dal dormitorio.

Finisco di cambiare le bende ad un giovane Intrepido rimasto ferito durante un'esercitazione, passo a controllare un bambino che si è recentemente slogato il polso sinistro e infine, approfittando dell'assenza di altri compiti urgenti, mi fermo a giocare con Ted, dopo averlo incrociato nei corridoi. Pranziamo assieme, dal momento che né le mie amiche, né gli altri si presentano in mensa.
Ted non smette un attimo di parlare e io di sorridere. Sono talmente felice di far parte di questa fazione che non riesco a contenere l'entusiasmo e quasi getto le braccia al collo di Quattro quando prende posto accanto a me. Mentre mangiucchia la bistecca che ha nel piatto, mi osserva di sottecchi con un sorrisetto compiaciuto. - Allora alla fine l'ha spuntata Elizabeth - afferma, accennando col capo al mio camice. - Mi sarebbe piaciuto averti nella mia squadra di istruttori, ma approvo la tua scelta -.

Alzo le spalle. - Non credo mi si addica molto il ruolo di insegnante. Mi sento più a mio agio ad aggiustare caviglie slogate e ricucire ferite da taglio -.

Quattro annuisce. - E il tuo ragazzo come l'ha presa? - chiede, con finta innocenza.

Bevo un sorso d'acqua, senza scompormi. - Gli avevo già accennato le mie intenzioni. Quando mi vedrà in infermeria, anziché in palestra a dare ordini, non rimarrà molto sorpreso -.

Il mio ex istruttore sorride a mezza bocca. - Conoscendolo, credevo avesse tentato di indirizzarti verso un ruolo di comando, o perlomeno, verso un lavoro che comprendesse l'uso di qualche arma. Ma forse ho fatto male i miei conti: Eric tiene davvero a te, quindi di sicuro si sentirà sollevato a non saperti lì fuori in pericolo. Specialmente in questo periodo -. Quattro ha abbassato la voce verso la fine del discorso, probabilmente per non farsi udire da Ted, che, di fronte a lui, mangia con appetito il suo hamburger.

Mi chino verso l'istruttore con curiosità. - Cosa significa “specialmente in questo periodo”? Cosa sta accadendo lì fuori? -.

Quattro sospira e appoggia le posate nel piatto. - Sembra che gli Esclusi siano in fermento, da un paio di settimane a questa parte. È per questo che Max ha incrementato i turni di guardia e sta sottoponendo i nuovi soldati a duri addestramenti. Non sappiamo cosa abbiano in mente, ma non vogliamo farci trovare impreparati -.

Rimango pensierosa fino alla fine del pranzo, chiedendomi cosa stia succedendo all'interno della città. Non mi sorprende che gli Esclusi si stiano facendo sentire, né che abbiano sete di vendetta nei confronti delle altre fazioni, viste le condizioni precarie in cui si trovano. Invece mi preoccupa sapere che il ragazzo che amo, alcuni dei miei amici e tutti gli altri Intrepidi che conosco si trovino fuori dalla Residenza, in costante pericolo di finire in un'imboscata e di non uscirne vivi, come è accaduto al fratello di Max.

Scaccio questi pensieri dalla testa, prima di farmi prendere dal panico. In caso qualcuno si faccia male, ci sarò io, qui, pronta ad intervenire.

Torno in infermeria, dove trascorro alcune ore seduta alla scrivania a leggere i libri di medicina che mi ha consigliato Elizabeth. Dopo aver riempito almeno dieci pagine di appunti, decido che per oggi può bastare.

Metto in ordine le poche cose sparse sopra i tavoli, poi riprendo la mia borsetta con il kit di pronto soccorso e mi avvio verso la stanza dell'Intrepido che ho visitato stamattina. Le bende vanno cambiate almeno tre volte al giorno, ha detto Elizabeth, quindi meglio dargli una controllatina prima di ce...

Delle urla improvvise mi fanno trasalire nel bel mezzo del corridoio. Mi guardo attorno e, visibilmente preoccupata, mi dirigo verso la galleria che conduce al Pozzo. Aguzzo le orecchie: sembra che le grida provengano proprio da lì. Affretto il passo, mentre penso ad almeno cinque scenari diversi sulle possibili cause di queste urla stridule...finché non raggiungo la grande sala e la preoccupazione lascia spazio all'incredulità.

Al centro del Pozzo un gruppo di Intrepidi, tutti ragazzi giovani e tutti senza maglietta, sta svolgendo quello che, almeno a prima vista, si direbbe un allenamento fisico intensivo. Le grida che ho udito appartenevano ad un folto gruppetto di ragazze, che si stanno sbracciando per attirare l'attenzione dei suddetti soldati e che li incitano a togliere anche quei pochi indumenti che ancora indossano.
E credo proprio che i ragazzi lo farebbero volentieri, che si spoglierebbero senza alcun indugio per mettere in mostra muscoli sodi e tatuaggi virili, se solo non avessero alle costole un Capofazione più duro e inflessibile dell'acciaio.

Alla vista di Eric, a petto nudo come tutti gli altri, che incita le reclute a seguirlo in un veloce giro di corsa lungo il perimetro del Pozzo, mi lascio sfuggire un sospiro di ammirazione e mi appoggio mollemente alla parete, per godermi meglio lo spettacolo.

Osservo il corpo agile e muscoloso del mio ragazzo mentre si muove in giro per la sala, e non riesco nemmeno ad ingelosirmi nel constatare che la maggior parte delle ragazze urlanti sta facendo esattamente la stessa cosa. Eric è davvero un portento, un insieme di forza ed eleganza dal quale è impossibile distogliere gli occhi. Le reclute lo imitano e lo seguono, tentando di seguirne i movimenti e l'andatura, ma si vede benissimo che, più che correre, stanno arrancando. Chissà da quanto tempo si stanno allenando: a giudicare dal sudore e dalle espressioni sfinite, direi troppo. Hanno decisamente bisogno di una pausa.

Spinta da compassione nei loro confronti - nessuno di mia conoscenza potrebbe tenere il ritmo di Eric senza sputare entrambi i polmoni dopo pochi minuti - mi stacco dalla parete e mi dirigo verso il centro del Pozzo. Eric, che sta per terminare il quinto giro della sala, si trova esattamente dalla parte opposta, ma di sicuro non impiegherà molto a mettermi a fuoco. Il mio camice bianco spicca in mezzo alla folla vestita di scuro come una rosa rossa in un campo di gigli.

Capisco perfettamente il momento in cui registra la mia presenza: Eric blocca la propria corsa in modo talmente improvviso che le reclute rischiano di franargli addosso. Sbraita qualche ordine e, con mia somma gioia, vedo il sollievo dipingersi sui volti dei soldati, che approfittano dell'allontanamento del loro comandante per riposare le membra stanche. Io continuo a camminare, fingendo di non aver assistito alla scena.

Ad un certo punto devo fermarmi, perché qualcuno afferra la stoffa del mio camice, impedendomi di proseguire. Volto appena la testa e incrocio lo sguardo stupito di Eric. - Cosa ci fai qui? - mi chiede, piuttosto bruscamente.

Piego le labbra in un sorriso sarcastico. - Anch'io sono felice di vederti, tesoro -.

All'ultima parola, Eric emette uno sbuffo dal naso che posso paragonare solo a quello di un toro pronto a dare battaglia. - Ti diverti un mondo a mettermi in imbarazzo, vero? -.

- Curioso, potrei dire lo stesso di te -.

Lui rotea gli occhi, per poi fissarli sull'indumento che stringe tra le dita. La sua espressione si divide tra divertimento e rassegnazione. - Sapevo che Max non l'avrebbe avuta vinta, stavolta. Congratulazioni per il tuo nuovo lavoro, piccola -.

Mi abbraccia con trasporto, sollevandomi da terra come se non pesassi nulla. Prima che mi lasci andare, gli scocco un bacio sul collo. - Grazie. Questo vuol dire che non sei deluso dalla mia decisione? - chiedo, con una vena di titubanza nella voce. Ne avevamo già parlato e lui mi aveva assicurato il suo appoggio, ma un conto è la situazione ipotetica, un altro la realtà concreta.

- Certo che no, se questo significa che non dovrò preoccuparmi di vedere troppi ragazzi girarti intorno. Come sarebbe successo se avessi accettato il posto di istruttrice -. Mi scruta attentamente da capo a piedi, prima di chinare la testa per baciarmi. Mi passa un braccio attorno alla vita e non mi permette di allontanarmi nemmeno quando ci giungono alle orecchie i fischi impudenti degli altri Intrepidi.

Con tutta la calma del mondo, Eric scosta le labbra dalle mie e scocca un'occhiata micidiale alle reclute ancora intente a fissarci. Osservo con una strana soddisfazione le loro espressioni sogghignanti diventare vere e proprie maschere di terrore. - Un minuto e si ricomincia - scandisce lentamente il mio ragazzo in direzione dei soldati. Ogni sillaba ha il sapore della vendetta che non esiterà a mettere in pratica non appena gli avrò voltato le spalle. A giudicare dalla luce sadica che gli brilla negli occhi, alla fine dell'allenamento delle reclute resterà ben poco.

Poveretti. Certo che se le vanno proprio a cercare, però.

Dopo aver zittito i sottoposti impiccioni, Eric torna a guardarmi. Quando incrociano i miei, i suoi occhi si fanno più dolci, ma stranamente seri. - Hai già portato le tue cose in camera nostra? -.

Camera nostra.

Ha un bel suono, un suono rassicurante, che mi riporta alla mente l'unica notte che abbiamo passato insieme. La forza e il calore delle braccia di Eric attorno a me, i suoi baci decisi e possessivi, il suo sguardo pigro e disarmante al nostro risveglio. Ora potrò gustarmi queste cose ogni giorno, potrò averlo per me ogni notte.

Il mio sospiro di felicità fa scattare in su il sopracciglio di Eric. Alla sua occhiata interrogativa, rispondo scuotendo la testa. - No, non ancora. Sono stata piuttosto impegnata e non penso di riuscire a traslocare prima di cena -.

Il pollice del Capofazione mi accarezza pigramente il collo. - Ti hanno già messa all'opera? Che efficienza -. Guarda con disprezzo i soldati, tutti ancora seduti a terra per riprendere fiato, e una smorfia gli increspa le labbra. - Di certo non si può dire lo stesso dei tuoi compagni d'iniziazione, visto che la maggior parte di loro ha sostenuto il colloquio solo dopo pranzo. Quegli smidollati non entreranno in azione prima di domani, e ... -. Si blocca e stringe le labbra. La sua espressione si fa ancora più tirata e cupa.

Gli premo una mano sul petto. - Finisci la frase. Lo vedo che c'è qualcosa che ti turba -.

Lui lascia andare un sospiro. - Non volevo farti preoccupare, per questo non te ne ho parlato stamattina. Il fatto è che di recente gli Esclusi si stanno comportando in modo strano e … -.

- … e Max vi sta sottoponendo a turni massacranti, ronde e allenamenti continui - completo io, con cipiglio severo. - Sì, lo so. Me l'ha detto Quattro a pranzo -.

Eric socchiude le palpebre a fessura. - Quel Rigido non dovrebbe andare in giro a divulgare questo genere di informazioni senza essere stato autorizzato. E sentiamo, che altro ti ha detto? -.

L'ansia che avevo scacciato torna a farsi sentire, mi comprime il petto. - Perché, c'è dell'altro? -.

Lui non risponde e io mi sento gelare. Eric deve percepire la mia improvvisa immobilità, perché ricomincia ad accarezzarmi la schiena. - Non è nulla di allarmante, ma non posso dirtelo adesso. Devo rispettare gli ordini di Max -. Il suo tono fermo mi fa capire che non ho alcuna speranza di estorcergli delle informazioni, in nessun modo, finché non deciderà di mettermi al corrente.

Ricambio il suo sguardo con uno altrettanto determinato. - D'accordo. Promettimi solo che farai attenzione e che non ti getterai volontariamente in situazioni pericolose -.

Eric inarca di nuovo il sopracciglio, ma stavolta la sua bocca si stende in un sorriso. - Questo te lo posso promettere, piccola. Non farò nulla che possa impedirmi di tornare da te -. Mi sfiora la fronte con le labbra, prima di fare un passo indietro. - Stanotte probabilmente farò tardi: mi hanno assegnato il turno di ronda assieme a James. Non aspettarmi alzata -, fa una pausa e mi lancia uno sguardo allusivo e provocante, - ci penserò io a svegliarti quando tornerò -.

Gli rivolgo un sorriso malizioso. - Quindi farei meglio a non indossare nulla, giusto? -.

Eric si passa la lingua sui piercing con fare pensieroso, poi posa gli occhi sul mio camice aperto. - Nulla, a parte questo -. Unisce i due lembi di stoffa e chiude uno dei bottoni. Negli occhi aleggia una luce predatoria. - Sarà un vero piacere potertelo togliere -.

- Fa in modo di tornare tutto intero e potrai giocarci quanto vorrai -.

Lui fa per dire qualcos'altro, poi scuote la testa. - A stanotte, allora -. Un ultimo bacio ed è già fuori dalla mia portata. Lo guardo tornare dalle reclute con un misto di ansia, rimpianto e desiderio.

Solo allora mi accorgo di essere osservata.

Anzi, di essere circondata.

Dalle stesse ragazze che poco fa gridavano come ossesse e che, mentre chiacchieravo e flirtavo con Eric, si sono spostate silenziosamente alle mie spalle come cornacchie pronte a banchettare con un povero animaletto indifeso. Infatti iniziano a gracchiare non appena il Capofazione si allontana.

- Allora state davvero insieme! -.

- Come ti invidio! Eric è uno sballo -.

- Mette una paura del diavolo, ma è davvero super sexy! -.

- Come hai fatto a conquistarlo? Bacia bene, vero? -.

- L'hai davvero chiamato 'tesoro' di fronte a tutti? -.

Sospiro tra me.

Sarà un lungo pomeriggio.

 


 

* * *

 


 

Eric


 

Quanto vorrei che James la smettesse di parlare. Siamo usciti dalla Residenza circa un'ora fa e, nel tempo che abbiamo impiegato a raggiungere la periferia del quartiere dei Candidi, il mio collega si è lanciato in un monologo che fra poco mi vedrò costretto ad interrompere, in modo brutale. Ovvero puntandogli il fucile alla gola.

Non sto prestando attenzione alle parole che gli escono di bocca più di quanto non stia osservando il procedere silenzioso delle reclute che Max mi ha costretto a portarmi dietro in questa ronda fuori programma.

L'unica cosa che desidero in questo momento, a parte due minuti di silenzio, è tornare di corsa al quartier generale, fiondarmi in camera e restare da solo con la mia ragazza per almeno una settimana.

E' chiedere troppo? Evidentemente sì, o non mi troverei di pattuglia nel mio giorno libero.

Maledetti Esclusi. Durante le ultime settimane non hanno fatto altro che creare disordini in tutti i quartieri, specialmente in quello dei Candidi. Non c'è da stupirsi che Max abbia incrementato i turni di guardia, il numero delle squadre addette alla sorveglianza della recinzione e stia sottoponendo tutti, Capifazione inclusi, ad allenamenti continui.

Ci eravamo illusi di averli tacitati per sempre, dopo aver respinto il loro attacco più forte, avvenuto pochi mesi fa. Come siano riusciti a procurarsi nuove armi e munizioni è un mistero che nemmeno gli Eruditi sono riusciti a spiegarsi. E le minacce nei confronti degli Intrepidi non si sono fatte attendere: siamo l'unica fazione che ha il potere di tenerli a bada, gli unici in grado di proteggere la città dal caos che gli Esclusi tentano con ogni mezzo di creare.

Stringo con più forza il fucile, mentre scruto il profilo degli edifici in rovina. Questa parte della città è la meno illuminata: riusciamo a procedere solo grazie alle torce che portiamo alla cintura. In ogni caso non è affatto semplice: le strade sono dissestate, in certi punti l'asfalto è estremamente cedevole e minaccia di sgretolarsi sotto i nostri piedi se non prestiamo sufficiente attenzione.

Nel frattempo, James continua a dar aria alla bocca. Come se non ci trovassimo in territorio nemico, ma stessimo semplicemente partecipando ad una gita di piacere. Nonostante tenga la voce bassa, le sue parole rimbombano nel silenzio della notte come colpi di pistola.

Lo lascio blaterare per altri cinque minuti prima di fermare l'avanzata della squadra e mettergli la canna del fucile all'altezza del petto. - Se non chiudi il becco di tua spontanea volontà, dovrò pensarci io -. I soldati attorno a me trattengono il fiato. In realtà ho la sicura inserita, ma nessuno può accertarsene in quest'oscurità.

Il mio basso ringhio non gli fa battere ciglio. James si limita ad allontanare l'arma con una mossa annoiata della mano. - Come vuoi. Stavo solo cercando di allentare la tensione -.

Non abbasso il fucile. - Stai dando un pessimo esempio. Non siamo qui per parlare, ma per eseguire degli ordini. E il tuo comportamento sconsiderato potrebbe metterci tutti in pericolo -.

Alla luce delle torce elettriche riesco a vederlo alzare gli occhi al cielo. - D'accordo, scusa. Non ti scaldare, piccolo -.

Scopro i denti. - Non chiamarmi piccolo -.

- Tesoro, allora -.

Non so quale dei soldati abbia il fegato di ridacchiare, ma smette immediatamente quando mi vede portare una mano alla cintura, dove ho allacciato dei coltelli da lancio. Ho già le dita strette attorno all'impugnatura, quando un brivido mi fa rizzare i capelli sulla nuca.

Non riesco nemmeno a voltarmi del tutto: l'esplosione squarcia la notte e tutto quello che mi circonda si colora di rosso.

Rosso sangue.



 

 

* * *


 

 

Zelda



 

Sono ferma da cinque minuti davanti alla porta della stanza di Eric e ancora non mi sono decisa ad entrare. La chiave che stringo tra le dita è quasi diventata un tutt'uno con il palmo della mano per quanto la stringo forte.

Il cuore batte veloce nel petto e mi sento decisamente stupida ad esitare in questo modo, ma non posso farne a meno. Una volta entrata non sarò più l'iniziata trasfazione che cercava solamente di fuggire dai fantasmi del passato e sognava di trovare finalmente un posto che le appartenesse, una vera famiglia. Una volta entrata lì dentro il passaggio da iniziata a membro effettivo della fazione diventerà definitivo, così come il mio rapporto con Eric.

Camera nostra.

Quando William ha finito di completare la mia scheda personale, con tutti i dati sul mio nuovo lavoro e il mio punteggio del test finale, mi ha chiesto se avessi già deciso con chi condividere la stanza. Arrossendo come una bambina beccata a rubare caramelle, gli ho spiegato la situazione e lui ha annuito, sembrando piuttosto compiaciuto. Il perché mi sfugge tutt'ora.

Mentre infilo la chiave nella serratura e spingo con cautela la porta, mi ritorna in mente ogni minuto trascorso qui con Eric: il nostro primo bacio, i battibecchi e le dichiarazioni avvenuti tra queste mura. In questa stanza è iniziata la nostra storia e forse è per questo che mi sento così emozionata.

Accendo la luce e mi guardo intorno: come al solito, l'ordine regna sovrano. Trascino la mia sacca fino all'armadio e rimango di stucco quando apro le ante: Eric ha già sistemato le proprie cose in modo da lasciarmi spazio, più di metà armadio a completa disposizione. Lo stesso vale per l'armadietto del bagno e per la scrivania, che inauguro appoggiando la pila di libri di medicina gentilmente donatami da Elizabeth.

Non impiego molto tempo a sistemare le poche cose che ho portato con me dal dormitorio. La collana che mi permette di comunicare con Damien e il braccialetto di mia madre sono gli unici oggetti che ritengo veramente importanti: li nascondo in fondo ad uno dei cassetti della scrivania, per sicurezza.

Prima che me ne andassi definitivamente dalla camerata, Melanie e Leslie mi hanno abbracciato e lasciato tra le mani il loro regalo d'addio, un piccolo pacchetto che non ho ancora aperto.

Neanche dovessimo separarci per i prossimi vent'anni.

I gemelli mi hanno salutata con abbracci spacca-costole come se stessi partendo per combattere una guerra dalla quale è improbabile far ritorno. Questo la dice lunga su cosa pensino effettivamente della mia relazione con Eric. A nulla sono valse le mie rassicurazioni: quando ho superato la porta mi stavano ancora fissando come una madre guarderebbe l'unico figlio incamminarsi disarmato verso il nemico.

Dovrò trovare un modo per farli andare d'accordo, anche se non sarà per niente semplice.

Guardo di sfuggita la sveglia sul comodino: la mezzanotte è passata da poco e tutta la stanchezza che ho accumulato in questi giorni comincia a farsi sentire. Faccio una doccia veloce e decido di non assecondare i desideri di Eric.

Questa sera si fa a modo mio, caro Capofazione.

Appendo il camice accanto all'armadio e frugo nei cassetti alla ricerca di una maglietta da usare come pigiama. Prendo la prima che mi capita tra le mani, la indosso e mi lego i capelli in due trecce, per evitare che durante la notte si trasformino in un cespuglio indomabile come al solito. Una volta sistemata, scelgo uno dei libri di medicina e mi stendo a pancia in giù sul materasso. Alla fine del secondo capitolo le palpebre si fanno pesanti, così decido di spegnere la luce e tentare di dormire.

Mi svegliano i colpi alla porta.

Qualcuno sta bussando come se volesse sfondarla a mani nude.

I miei occhi assonnati mettono a fuoco le lancette della sveglia: segnano le tre e mezza del mattino. Un'occhiata veloce all'altro lato del materasso e alla luce spenta del bagno bastano a farmi capire che Eric non è ancora tornato.

Un brutto presentimento si affaccia nei miei pensieri quando i colpi alla porta si fanno più pressanti.

La preoccupazione mi serra la gola mentre corro ad aprire. Riconosco la figura minuta che mi si presenta davanti anche senza l'aiuto delle deboli luci del corridoio. - Melanie - sussurro, faticando ad udire la mia stessa voce a causa del battito che mi risuona nelle orecchie come un ritocco funebre. La domanda che vorrei porle mi rimane sulle labbra perché lei si slancia verso di me, gettandomi le braccia al collo e mozzandomi il respiro. Solo quando pronuncia il mio nome con voce spezzata capisco che sta piangendo.

E Mel non piange mai.

- Mio fratello - la sento singhiozzare contro la mia spalla. - Mio fratello … lui è ... -.

Un altro singulto le scuote il petto e non le permette di completare la frase.

- Cosa, Melanie? Cos'è successo a James? - domando, cercando di dominare la paura che mi paralizza da capo a piedi.

Perché stanotte James faceva parte della stessa squadra di Eric. Quindi qualsiasi cosa gli sia accaduta durante il giro di ronda … coinvolge direttamente anche il mio ragazzo.

No. Per favore, no.

 

 

 


 

 

 

 

 

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
 

Ciao a tutti! Ogni tanto mi rifaccio viva. Ecco il nuovo capitolo, dove finalmente si vede un po' d'azione. Cosa sarà successo a Eric e James? Io lo so, ma sono sadica dentro e quindi ve lo dirò nel prossimo capitolo (*risata malefica*).

A parte gli scherzi, mi spiace farvi aspettare così tanto tra un capitolo e l'altro, ma proprio non riesco a scrivere in tempi brevi. Voglio farvi leggere qualcosa di scritto bene, quindi mi prendo il mio tempo (anche troppo, forse), ma spero che il risultato valga l'attesa. Questo lo dovete decidere voi, e mi farebbe davvero piacere conoscere i vostri commenti/pareri sulla storia.

Come sempre vi ringrazio per non avermi ancora mandata a quel paese, per continuare a seguirmi e per aver dato una possibilità a questa fanfiction. Grazie di cuore!

Un bacio a tutti,

la vostra Lizz


 

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Capitolo 52
*** Looking for trouble ***




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Capitolo 51

 


 


All damn night and all day
Stay out of my way
I'm looking for trouble

(Divide the Day, Looking For Trouble)




 

Zelda


 

Mi vesto ed esco dalla stanza meno di dieci secondi dopo l'arrivo di Melanie. Corriamo insieme, a perdifiato, attraverso i corridoi silenziosi e oscuri della Residenza, senza indugiare lungo le rampe di scale che solitamente percorriamo con cautela per prevenire scivolate e conseguenti cadute nel vuoto. In questo momento potrei perfino camminare su un tappeto di spine e chiodi senza rendermene conto: sento l'adrenalina bruciare nelle vene come acido e il panico appannarmi la vista.

Non Eric. Non Eric.

Non Eric.

Continuo a ripetermi queste parole, una litania che non lascia spazio a nessun altro pensiero coerente. So bene quanto il mio desiderio sia egoista: gli altri suoi compagni, James compreso, potrebbero essere morti o feriti, stando a quello che Max ha riferito a Melanie. Lei stava tornando nella stanza che divide con Felix, quando si è imbattuta nel Capofazione che parlava concitatamente con un folto gruppo di Intrepidi, tutti armati fino ai denti. Non appena ha capito ciò che era successo, ovvero che la squadra di ricognizione notturna era rimasta vittima di un'imboscata da parte degli Esclusi, è corsa a chiamarmi.

Per favore, non Eric.

Il cuore rimbalza da una parte all'altra del petto, il suo pulsare è talmente forte da impedirmi di sentire qualsiasi altra cosa. Melanie mi supera nell'ultimo tratto delle gallerie, arrivando per prima alla porta dell'infermeria. Davanti all'uscio aperto ci sono Evan e William, entrambi scuri in volto, che si zittiscono non appena facciamo la nostra comparsa. - Dove sono? - chiede loro Melanie, la voce debole e ansimante per la corsa. - Stanno bene, vero? -. Più che una domanda, suona come una preghiera e il mio cuore manca un battito quando noto l'espressione costernata di William. Mi sento impallidire e mi appoggio al muro, colta da una vertigine improvvisa.

Non Eric. Non lui. No.

No.

William scuote la testa, ma non risponde alla richiesta disperata di Melanie. Le tiene aperta la porta, facendole cenno di entrare. Vedo la mia amica esitare, pallida come un lenzuolo; le prendo la mano e la sento tremare nella mia stretta. Varchiamo la soglia insieme, fermandoci attonite dopo pochi passi: ogni letto è occupato da un Intrepido, seduto o disteso. Nella penombra non riconosco nessun volto e rimango paralizzata in mezzo alla stanza, troppo spaventata per avvicinarmi alle brandine. Basta un'occhiata per constatare come molti di quei ragazzi siano in gravi condizioni: larghe chiazze scure coprono le bende e le lenzuola, e i loro respiri sono a malapena percepibili.

Al mio fianco, sento Melanie sobbalzare. Un singhiozzo le sfugge dalle labbra, mentre si avvicina ad una delle brandine. - Fratellone – mormora, toccando la mano immobile di James. E' steso sopra al lenzuolo, riconoscibile soltanto grazie ai tatuaggi che sbucano dalla maglietta ridotta a brandelli. Una spessa benda gli avvolge metà del viso, dalla fronte al naso, ma noto con sollievo che respira regolarmente.

Melanie posa la mano sulla sua e gli si siede accanto, il petto scosso dai singhiozzi. - Non lasciarmi, fratellone. Non lasciarmi sola – supplica, la voce che le si spezza sulle ultime sillabe.

Le lacrime mi scendono sulle guance e sul collo senza che me ne accorga, e non trovo nemmeno la forza per tentare di arginarle. Dovrei darmi da fare, cercare Eric e poi aiutare Elizabeth a controllare i feriti, ma sono paralizzata dalla paura. Un cieco terrore si è impadronito di me, rendendo le mie membra dure come granito. Sono un'infermiera, mi ripeto. Devo recuperare il mio solito, formidabile autocontrollo, altrimenti non mi …

- Non preoccuparti, Melanie. Se la caverà -.

Mi giro di scatto, con un movimento talmente repentino che la treccia in cui ho raccolto i capelli mi frusta la spalla. La porta che dà sullo studio privato di Elizabeth ora è aperta e un'alta figura ne oltrepassa la soglia, dirigendosi verso gli armadietti di medicine. Apre un'anta e fruga dentro alla ricerca di qualcosa.

Io rimango semplicemente a fissarlo, inebetita e scossa da continue vertigini.

Eric.

Solo una parte della mia mente nota il suo leggero zoppicare e le bende che gli avvolgono la coscia destra e il braccio sinistro; l'altra è talmente felice di vederlo da non riuscire a ragionare lucidamente.

- Dovresti stenderti anche tu, Eric – lo rimprovera Elizabeth, uscendo a sua volta dallo studio con uno scatolone pieno di rotoli di garza tra le braccia. - Le tue ferite non sono gravi, ma dovresti comunque riposarti. Diglielo anche tu, Zelda. Forse a te darà ascolto -.

Al sentire il mio nome, Eric smette di cercare tra le medicine e si volta verso di me. Non so quale espressione sia impressa sul mio viso: so solo che gli basta lanciarmi un'occhiata per far cambiare il suo cipiglio, da seccato ad allarmato.

Deglutisco e prendo un respiro, cercando di dominare la nausea. - Stenditi su quel letto – mi sento dire, il tono inaspettatamente severo e controllato, quasi meccanico. - Immediatamente -.

Eric corruga le sopracciglia ed esita una frazione di secondo, ma poi indietreggia verso la brandina che Elizabeth gli sta preparando e si siede, sempre senza distogliere gli occhi da me. Allunga un braccio per invitarmi a raggiungerlo e io mi muovo a fatica, come se stessi combattendo contro una violenta corrente contraria. Le lacrime mi annebbiano la vista e sento la sua voce chiamarmi come da una lunga distanza. Il mio campo visivo si riempie di luci bianche e nere; non appena mi siedo al suo fianco, sento le forze venire meno.

Quando la nube di torpore si dirada e i miei sensi tornano all'erta, sento qualcuno accarezzarmi il braccio. Apro le palpebre a fatica, sfregandole con le dita per asciugare le ciglia umide, e constato con stupore di trovarmi in posizione orizzontale. Sono stesa sullo stesso lettino di Eric, addossata quasi del tutto a lui per non ruzzolare sul pavimento.

Eric mi passa una mano sulla nuca, sciogliendomi la treccia per infilare le dita tra i miei capelli. - Zelda, dì qualcosa – mi esorta, in tono piuttosto brusco. Il suo sguardo è venato di preoccupazione e guizza dal mio viso all'espressione indecifrabile di Elizabeth, che mi si avvicina per tastarmi il polso.

- Sei vivo – è tutto quello che mi esce di bocca, e lui sposta la mano sul mio viso, osservando sbalordito le lacrime che continuano a scorrermi sulle guance. - Melanie ha sentito quello che vi è successo ed è venuta subito a chiamarmi. Ero terrorizzata. Io … -. Mi mordo un labbro per soffocare un singhiozzo e mi stringo a lui, il corpo percorso da un sollievo quasi doloroso.

- Un semplice capogiro – annuncia Elizabeth, annuendo comprensiva. - Troppe emozioni in una volta sola. Dai il buon esempio al tuo ragazzo, resta sdraiata per qualche minuto – mi ordina, prima di allontanarsi per continuare a controllare gli Intrepidi feriti. La vedo sorridere incoraggiante a Melanie e mi rilasso un altro po'.

Ho gli occhi chiusi, il viso premuto contro il petto di Eric, ma capisco dal tono della sua voce che sta sorridendo. O, meglio, ghignando. - Sapevo di fare un certo effetto alle ragazze, ma nessuna era mai svenuta tra le mie braccia prima d'ora -.

Lascio andare un sospiro. - Per un attimo ho pensato che non ti avrei più rivisto. Non ho mai provato un terrore simile, nemmeno quando Alfred mi ha usata come cavia per i suoi esperimenti – ammetto, evitando di dargli corda. So che sta tentando di alleggerire l'atmosfera, ma ho ancora davanti agli occhi le immagini di lui morto, o agonizzante al suolo. Le stesse che mi perseguitano negli incubi o a cui ho assistito durante le simulazioni. Alzo il viso per baciarlo, e non mi rendo conto di stare tremando finché lui non mi serra entrambe le braccia attorno alla vita. Con una mano mi accarezza la schiena in ampi cerchi.

- Va tutto bene, Zelda. Fai dei respiri profondi. Sto bene, piccola. Va tutto bene – lo sento mormorare al mio orecchio finché il bruciore al petto non si affievolisce e il battito del mio cuore si sincronizza con il suo. Eric sembra incredulo e un po' spaventato quando incrocio di nuovo i suoi occhi. - Zelda, va tutto bene – ripete.

Per tutta risposta, trovo la forza necessaria a tirargli un pugno. Sul petto, a debita distanza dalle ferite e dalle bende, ovviamente. - No che non va tutto bene – sibilo, indicando con un cenno del capo l'altro lato della stanza. - Potevi morire, dannazione. Quando Melanie è venuta a chiamarmi in lacrime, è stato come...come se mi avessero pugnalata. Come se mi avessero piantato una lama tra le scapole a tradimento. Ora sto avendo il primo crollo nervoso della mia vita ed è perché ti amo, razza di idiota, e non sopporto che tu rischi la vita ogni volta che esci di qui. Quindi vedi di smetterla di fissarmi e di parlarmi come se fossi una pazza appena uscita dal manicomio, ok? -.

Le labbra di Eric tremano come se stesse trattenendo un sorriso. O un'altra battutina. - Sissignora –.

Abbassa la testa per baciarmi, ma lo blocco con un'occhiataccia. - Dopo. Adesso raccontami quello che è successo, prima che ti rifili un altro pugno -.

Lui soffoca una risata. - Agli ordini, piccola -.


 

 

* * *

 

 

 

Eric


 

- Quell'idiota! L'avevo avvertito di non parlare ad alta voce, ma no, lui deve sempre fare di testa sua – ringhio, massaggiandomi la spalla sinistra, dove la stoffa della maglietta presenta diversi squarci e bruciature. - Non appena si alzerà da quel letto, ce lo farò ritornare a suon di … -.

- Lascia fare a me – mi interrompe Zelda, per aiutarmi a sfilare con cautela la maglia.

Dopo una bella ramanzina e un centinaio di raccomandazioni, Elizabeth mi ha concesso di lasciare l'infermeria, a patto che resti confinato nella mia stanza e assistito da Zelda per le prossime ore.

Avrei mai potuto rifiutare una richiesta del genere?

Certo che no.

Anche perché dubito che la mia saggia ragazza mi avrebbe permesso di muovere un altro mezzo passo senza la sua assistenza. Zelda mi ha sostenuto per tutto il tragitto fino alla nostra stanza, poi, non contenta, mi ha severamente intimato di restare disteso a letto mentre tornava in infermeria a recuperare l'occorrente per le prossime medicazioni.

Avrei mai potuto disobbedirle?

Certo che no.

Ci tengo alla pelle e so bene che Zelda non esiterebbe a legarmi al letto mentre dormo, se sospettasse che ho intenzione di alzarmi per tornare in campo e vendicarmi di quegli Esclusi da strapazzo.

Vedere la mia ragazza talmente scossa e preoccupata da svenire per l'agitazione mi ha tolto qualsiasi intento non sia quello di starle accanto. La mia sete di sangue può aspettare: avrò tutto il tempo di pianificare un degno contrattacco nei giorni a venire. Quello che desidero ora è recitare la parte del povero soldato ferito in battaglia – detto tra noi, le ferite non mi fanno poi così male - e lasciarmi coccolare un po' dalla mia ragazza.

Le ho raccontato come gli Esclusi ci abbiano sorpresi alle spalle, scaricando su di noi proiettili e piccole bombe incendiarie artigianali. Di come James si sia lanciato su di me, appena in tempo, prima che una di quelle bombe piene di chiodi esplodesse ai nostri piedi. Quell'idiota ha salvato entrambi da morte certa, ma ha rimediato una brutta ferita al cranio. Elizabeth ha dovuto chiamare un team di chirurghi Eruditi per operarlo d'urgenza: è stato un intervento abbastanza breve e, a detta loro, perfettamente riuscito.

Chissà che il mio caro collega si risvegli un minimo più intelligente di quanto non fosse prima: la sua mancanza di giudizio e di buonsenso poteva costarci cara, stanotte.

- Credi che ce la farà? -.

La voce di Zelda fa breccia tra le mie riflessioni velenose e non sono per niente sorpreso che si stia riferendo proprio all'oggetto dei miei pensieri: a volte ho l'impressione che i nostri cervelli riescano a sintonizzarsi perfettamente l'uno con l'altro. Come se fossimo due computer collegati allo stesso server.

- Non temere, James ha la testa dura. Si rimetterà più in fretta di quanto credi. Dagli qualche giorno, e lo vedrai in giro a flirtare con tutte come suo solito – la rassicuro e la sua espressione si fa un po' meno corrucciata.

Zelda osserva con attenzione le ferita alla gamba e l'ustione alla spalla. Nessuna delle due è grave: Elizabeth mi ha medicato per primo e non ha impiegato più di cinque minuti, se si contano anche la paternale sul restare a riposo per un paio di giorni e altri sproloqui a cui non ho prestato attenzione.

Dopo aver controllato con scrupolosità ogni più piccolo taglio sulla mia pelle, la mia ragazza avvicina al letto un catino pieno d'acqua e passa i successivi venti minuti a togliermi dalla pelle ogni traccia di sudore, sangue e residui di polvere da sparo. Ad un certo punto chiudo gli occhi, perfettamente rilassato, e mi sistemo meglio sul letto. La stanchezza accumulata nei giorni scorsi, tra allenamenti ed esercitazioni continui, mi piomba addosso come una scure. Nel dormiveglia avverto la presenza di Zelda al mio fianco, la sento canticchiare sottovoce. Un sorriso mi distende le labbra: è la nostra canzone.

Quando avrai bisogno di me, io sarò l’amore che ti starà accanto.

Così che tu possa lasciar andare tutte le tue paure.

Un attimo prima di sprofondare nel mondo dei sogni, le labbra di Zelda mi sfiorano la fronte. - Dormi, tesoro. Veglio io su di te -.

Potrei arrivare a farmi ferire volontariamente solo per farmi coccolare di nuovo in questo modo?

Certo che sì.


 

* * *


 

 

Zelda


 

Ho lasciato Eric qualche ora fa, mentre ancora dormiva beato, e sono tornata di corsa in infermeria per dare una mano ad Elizabeth. Dalla faccia che ha fatto quando mi ha vista oltrepassare la porta, non credo si aspettasse di vedermi tornare al lavoro dopo così poco tempo dal mio quasi svenimento. Prima che potesse anche solo avanzare qualche riserva sulle mie condizioni fisiche, ho preso posto accanto ad uno dei feriti e ho iniziato a medicargli le ferite in silenzio. Bastava dargli un'occhiata per capire che non avrebbe superato la notte; ho sentito Elizabeth e uno dei medici Eruditi discuterne sottovoce, ma mi sono rifiutata di perdere le speranze. Ho creduto in lui fino all'ultimo, finché il suo cuore non ha smesso di battere. Non conoscevo il suo nome, l'avevo solo visto qualche volta in giro per la Residenza.

Era giovane. Troppo giovane per morire in un modo così violento e repentino. Se James non avesse avuto la prontezza di gettarsi su di lui prima che la bomba esplodesse, Eric avrebbe potuto trovarsi al suo posto. Su quel letto, immobile, coperto da un telo bianco. L'ennesima vittima di questa faida tra fazioni.

Batto le palpebre per scacciare le lacrime e mi avvicino al letto dove riposa James. Mi siedo al suo fianco e gli prendo con delicatezza una mano, l'unica parte del suo corpo rimasta illesa. Il resto è un susseguirsi di fasciature e medicazioni, che ho già provveduto a controllare e sostituire più volte per evitare infezioni. Ho un debito enorme nei suoi confronti: non lascerò a nessun altro il compito di assisterlo, dovessi fargli da infermiera personale per i prossimi dieci anni. Ha salvato la vita ad Eric, non avrebbe potuto farmi regalo più prezioso.

Gli stringo la mano e ripeto i miei ringraziamenti sottovoce, anche se probabilmente non mi sentirà e non ricorderà nulla quando riprenderà conoscenza. Prima di andare ad assistere un altro dei pazienti, mi assicuro che il suo battito sia regolare e che non ci sia niente di anomalo nei suoi parametri vitali.

Non appena mi volto, mi ritrovo faccia a faccia con l'ultima persona al mondo mi sarei aspettata di vedere qui. Davanti al mio cipiglio interrogativo, Josie accenna un saluto e, sempre muovendosi in silenzio, occupa il posto accanto a James. Quando gli prende la mano tra le proprie, nella stanza si avverte un tonfo sordo: è il rumore della mia mascella che cade a terra. Rimango lì impalata per alcuni secondi, a fissare lo sguardo da lei alle loro mani intrecciate.

Josie non sembra far caso alla mia presenza e alla mia espressione sconvolta. Ha gli occhi puntati sul volto di James: non si muove e non parla, gli stringe semplicemente la mano. E' la prima volta che vedo un'espressione così seria e concentrata sul viso di questa ragazza, che forse odio e forse no.

No, decido mentre recupero altri antidolorifici e nuove siringhe nel ripostiglio. Non la odio, non più.

Non dopo aver visto nei suoi occhi lo stesso terrore che ho provato questa notte, prima di sapere che Eric era sopravvissuto incolume all'attacco. Gli occhi di una persona innamorata.

Buona fortuna, caro James. Ne avrai davvero bisogno, con lei.

 

 

*

 

 

Posso ritirare ciò che ho pensato l'altra mattina?

Dannazione, certo che odio Josie!

Forse non arrivo a detestarla ai livelli di mio fratello Alfred, ma in questo preciso istante se la giocano alla pari.

Mi lascio scappare un sospiro di frustrazione. - Vuoi stare ferma, per favore? Se ti muovi come un'anguilla finirò per infilzarti con l'ago. Non che a me dispiaccia, ma dubito che tu voglia trasformarti in un puntaspilli -.

Josie mi fulmina con un'occhiataccia. - Mi stai facendo un male del diavolo. Quanto ti ci vuole per medicare una ferita così piccola? -.

Senza badare alle altre proteste e maledizioni varie della mia cara paziente, procedo con i punti e cerco di convincermi che commettere un omicidio, ora come ora, non sia affatto una buona idea.

Primo, perché ci sono troppi testimoni intorno a noi, di conseguenza non avrei attenuanti. Secondo, perché la fazione non può permettersi di perdere nemmeno uno dei suoi membri - specialmente uno dei suoi migliori capisquadra - in un momento difficile come questo. E terzo...perché sono tremendamente curiosa di sapere cosa c'è tra lei e James.

Perciò niente omicidi.

Per ora.

Ma se continua a ringhiarmi contro come una iena a digiuno da mesi, potrei anche cambiare idea e rischiare il carcere pur di metterla a tacere per sempre.

- Ecco fatto - esclamo, sfinita, dopo qualche minuto. Mi levo i guanti e li getto nel cestino assieme alle garze insanguinate, prima di girarmi verso Josie. Se non mi stessero fissando con palese astio, potrei quasi definire belli i suoi occhi verde chiaro.

Ricambio lo sguardo alzando un sopracciglio. - Che c'è? La ferita è a posto, dovrai solo tornare tra qualche ora per un controllo. Ti fa male da qualche altra parte? - chiedo, con aria angelica.

In realtà so benissimo che ha la spalla destra lussata, ma stavolta deve essere lei a chiedermi aiuto di sua spontanea volontà. Se vuole stare meglio, dovrà lasciarsi alle spalle il suo stupido orgoglio.

Se non l'avessi incontrata per caso in corridoio durante la mia pausa pomeridiana, Josie non avrebbe mai messo piede in infermeria: piuttosto si sarebbe lasciata morire dissanguata in un angolo qualunque della Residenza senza battere ciglio. Tutto, anche la morte, pur di non abbassarsi a chiedere aiuto alla sottoscritta. In fondo posso capirla: avevo già intuito una sua debolezza, non mi avrebbe permesso di scorgerne altre.

Il mio cipiglio si ammorbidisce un po' a quel pensiero e Josie sembra notarlo. Forse scambia la mia empatia per pietà, perché reagisce con stizza. - Hai finito? Perché, se non ti dispiace, avrei di meglio da fare che stare qui con te -. Il tono velenoso con cui pronuncia quell'ultima parola mi pare un tantino eccessivo anche per una stronza del suo calibro; mi fa fremere di indignazione.

Mi alzo in piedi, le mani sui fianchi. - Avrei fatto molto prima se tu fossi rimasta immobile come ti avevo chiesto. Non so se hai notato, ma nemmeno io ho tutto questo tempo da perdere dietro alle tue lamentele da bambina viziata -. E nel pronunciare la frase, faccio un gesto con la mano ad indicare la porta che conduce nella sala principale dell'infermeria. - Ho dormito due ore stanotte, tre la notte prima. Mi sto forse lamentando? No, perché sarebbe uno spreco inutile di energie. E tu strilli come una gallina solo per farti medicare un taglio. Scusa se mi sono permessa di trascinarti qui, volevo solo impedirti di contrarre un'infezione. La prossima volta ti lascerò sanguinare in giro per i corridoi senza muovere un dito, va bene? -.

Josie pare ritrarsi davanti alla mia sfuriata, come se le avessi tirato un ceffone. La sua espressione si fa meno truce, quasi colpevole mentre lancia un rapido sguardo verso la porta. Abbassa di colpo le spalle, in un gesto di resa che la lascia senza fiato. - Pessima idea – sibila, portando una mano alla spalla dolorante.

Alzando gli occhi al cielo in una muta invocazione, mi avvicino di nuovo a lei per aiutarla. Questa volta mi lascia fare senza obiettare e dopo qualche secondo la sento sospirare di sollievo. - Era solo una lieve lussazione. Una notte di riposo e tornerai come nuova -.

Mi posa una mano sul braccio prima che possa allontanarmi. - Grazie – mormora, in tono sorprendentemente umile. - Non soltanto per me – aggiunge, e dal suo sguardo capisco bene a chi si sta riferendo.

Scuoto la testa, passandomi una mano sulla fronte. - Io non ho fatto quasi nulla, in confronto a ciò che ha fatto lui. È solo merito suo se Eric è tornato a casa con le proprie gambe. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza -. Mi siedo sul lettino di fronte a quello dove è appollaiata Josie e, trasudando innocenza, mi azzardo a chiedere: - Allora...cosa c'è fra voi? -.

Lei stringe gli occhi e sono quasi certa si sia trattenendo dal mostrarmi i denti. - Nulla che ti riguardi, novellina -.

Il mio sopracciglio scatta all'insù. Non è da lei mettersi sulla difensiva: sta di sicuro nascondendo qualcosa di importante o imbarazzante, altrimenti non si sarebbe fatta problemi a rivelarmi la natura del suo legame con il Capofazione. Josie non conosce vergogna né pudore, in questi casi, come ho già avuto occasione di sperimentare.

Decido di tentare con un altro metodo, quello della lusinga. - Non volevo metterti in imbarazzo, ero solo curiosa. Sai, ultimamente ho notato che James ti ronza attorno di continuo. In mensa non ti toglie gli occhi di dosso, quindi ho solo pensato che …-. Lascio la frase incompiuta e mi stringo nelle spalle, fingendo un'aria noncurante.

Josie mi guarda in silenzio per qualche istante, come se mi stesse valutando. Sulle prime penso che non si abbasserà a rispondere, o che ribatterà con una delle sue frasi al vetriolo, ma poi dice qualcosa che non mi sarei mai aspettata. - Se lo dici a qualcuno, ti ammazzo -, esordisce, scandendo per bene le sillabe. Riesco chiaramente a percepire il veleno celato sotto quel tono fintamente gentile. - La verità è che credo di essermi presa una cotta per James -.

Non so se scoppiare a ridere, o se mettermi le mani nei capelli. Questa sì che è una rivelazione: Josie innamorata! Probabilmente Eric nemmeno mi crederà quando glielo riferirò. Perché sicuramente glielo dirò: le minacce di Josie non mi fanno paura.

Un sorriso mi sfiora le labbra e non posso trattenermi dal domandare: - Questo significa che potrò cancellare il tuo nome dalla mia lista nera? -. Alla sua occhiata spaesata, aggiungo: - Quella con i nomi delle ammiratrici troppo espansive di Eric -.

Josie fa una smorfia. - Non farmici pensare, è stato una completa delusione. I suoi modi rudi mi avevano affascinata, lo ammetto. Era una piacevole novità rispetto agli Intrepidi con cui ero cresciuta. Ma credimi, non può competere con James. Nemmeno lontanamente. Lui a letto è una bomba – ammette, con un'enfasi che mi fa arrossire. - Se li avessi provati entrambi, mi daresti ragione. Indubbiamente James ha più esperienza di Eric, glielo concedo. Ed è anche più dotato, più fantasioso e … -.

Alzo le mani davanti a me come uno scudo. - Alt, ferma! Ti prego, risparmiami i dettagli. Non ci tengo a sapere cosa fate tu e James sotto le lenzuola -. Stringo i pugni e faccio una pausa per riprendere fiato. Josie mi guarda stranita, battendo le palpebre. - E non parlare di Eric e James come se fossero oggetti, è una cosa che mi irrita a morte! Sono persone, ok? Non due bei vestiti da provare e poi buttare -.

Josie guarda incuriosita le mie guance scarlatte. - D'accordo, scusa. Non volevo offendere nessuno -.

Senza replicare, le volto le spalle per mettere in ordine gli scaffali e prendere l'occorrente per altre medicazioni. Devo far visita ad altri tre Intrepidi prima di cena, quindi meglio abbondare con le bende e gli antidolorifici.

Chissà se riuscirò ad incontrare Eric e a parlarci per più di cinque minuti. Dal giorno dopo l'attacco, non ha fatto altro che organizzare nuove squadre di vigilanza e intensificare gli allenamenti delle reclute. Una camera in comune e non riusciamo neanche a scambiarci un saluto, dato che io lavoro tutto il giorno e la sua squadra ha il turno di ronda notturno. Ed io che pensavo che …

- Eri seria, prima? -. La voce di Josie mi distoglie dai miei cupi ragionamenti. Mi giro e vedo che mi sta fissando con sospetto. - Davvero pensi che James sia interessato a me? -.

- Per renderti così insicura, deve piacerti parecchio – replico, e ho la soddisfazione di vederla arrossire. Con un sospiro, riprendo posto sul lettino e rimaniamo a fissarci negli occhi in silenzio, finché non sbotto: - Senti, non fingerò di trovarti simpatica. Da quando ci siamo incontrate non mi hai risparmiato umiliazioni e prese in giro, quindi non aspettarti alcun favore o gentilezza da parte mia -. Josie fa per ribattere, ma io la blocco con un gesto della mano. - Questo non significa che io voglia vendicarmi. Apparteniamo alla stessa fazione, dopotutto. Dovremo trovare un modo per convivere senza ucciderci a vicenda, no? O hai intenzione di portare avanti la tua guerra contro di me per sempre? In ogni caso, sì, quello che ho detto lo penso davvero. Non sono solita raccontare bugie -.

Sembra che l'abbia colta di sorpresa, forse non si aspettava un affronto del genere. Prima di ribattere, abbassa gli occhi sul bendaggio che le ricopre metà braccio. - Nemmeno io fingerò di non trovarti insopportabile. Da quando sei arrivata qui, non hai fatto altro che mettermi i bastoni tra le ruote. Prima con l'intera fazione, poi con Eric. Era tutto un “Zelda di qua” e “Zelda di là”, “ma quanto è brava Zelda”, “ma quanto è bella Zelda” e via dicendo – afferma, con più rassegnazione che sarcasmo. - Mi avevi rubato la scena, tutti non facevano che parlare di te. Ti ammiravo e ti odiavo allo stesso tempo, specialmente perché Eric non ti mollava un attimo. Non capivo come diavolo potesse interessargli una ragazzina insignificante, quando poteva avere me. Senza offesa, eh – si premura di aggiungere.

- Ma ti pare – mormoro, senza prendermela troppo. Ormai ho capito come ragiona e credo che davvero non si renda conto di quanto le sue parole possano risultare offensive. Josie non ha filtri, dice esattamente quello che pensa. - Per questo non hai fatto una piega quando ci hai visti assieme. Eric non ti interessava veramente -.

Lei fa spallucce. - In effetti, no. Era più una questione di vanità: non riuscivo a sopportare che lui ti preferisse a me, dopo tutti i tentativi che avevo fatto per attirare la sua attenzione. Col senno di poi, avrei fatto meglio a lasciarlo perdere -.

Il suo tono di superiorità mi dà i nervi. - Evidentemente non era destino -.

- Suppongo di no. E poi, detto tra noi, non è poi tutto questo granché a letto … ma forse mi sbaglio. È freddo e controllato anche con te? -.

Vorrei trovare una qualche replica che la mettesse a tacere una volta per tutte, ma non ci riesco. Perché su questo argomento non ho alcuna esperienza, non posso mettermi a confronto con lei.

Ci pensa Josie a togliermi dall'imbarazzo, scambiando il mio rossore per una vampata di rabbia. - Comunque sia, ho trovato di meglio. E me lo terrò stretto, ci puoi scommettere -. Mi fa persino l'occhiolino, prima di scendere dal lettino con un saltello. - Quindi non preoccuparti, cara, non ho intenzione di soffiarti il ragazzo. Dormi pure tranquilla -, conclude, e se ne va ancheggiando dall'infermeria lasciandomi basita ed infastidita.


 

*


 

Dopo la mia chiacchierata con Josie, il mio umore non ha fatto che peggiorare. Nella mia testa continuavano a comparire i ricordi del giorno in cui ho visto lei ed Eric uscire dalla sua stanza, mezzi svestiti. So bene che per nessuno dei due quell'episodio ha significato molto – Josie è stata molto chiara al riguardo -, e nemmeno a me è mai importato più di tanto. Il passato è passato, e non lo si può cancellare. Forse ciò che mi ha ferito è stato dover ammettere a me stessa di non aver ancora superato quel confine con Eric. E se ancora non ci siamo spinti oltre è solo colpa mia, naturalmente. Se avessi ascoltato lui, molto probabilmente adesso avrei un sacco di aneddoti piccanti da rinfacciare a Josie...

Mi do della sciocca e scaccio quei pensieri dalla mente come se stessi estirpando delle erbacce. Come posso pensare a queste cose in un momento del genere? Quando la fazione è presa di mira dagli Esclusi e i soldati rischiano ogni minuto di non tornare più a casa dalle loro famiglie?

Devo restare concentrata, se voglio dare sul serio una mano.

La mancanza di sonno mi sta proprio giocando dei brutti scherzi, rifletto tra me, mentre procedo a passo marziale lungo il corridoio, diretta al Pozzo.

Non ho intenzione di perdere altro tempo a rodermi dalla gelosia, data la lunga lista di compiti assegnatami da Elizabeth. Devo restare concentrata e non lasciarmi distrarre dalla velata perfidia di Josie, né dai miei ormoni in subbuglio, né da … quel bel Capofazione a torso nudo appoggiato alla ringhiera che dà sullo strapiombo.

Beh, in fondo una piccola distrazione posso anche concedermela, no?

Costeggio il perimetro della sala, per osservare senza disturbare l'allenamento. Ci sono diversi gruppetti sparsi per tutto il Pozzo: chi si esercita con i coltelli, chi a smontare e rimontare armi da fuoco, chi a perfezionare la tecnica del corpo a corpo.

Eric ha le braccia incrociate e la sua migliore espressione annoiata sul viso, mentre assiste ai combattimenti dei suoi sottoposti, divisi a coppie. A giudicare dal suo sguardo sprezzante, non devono essere all'altezza delle sue aspettative.

E quando mai qualcuno lo è?, mi fa giustamente notare la mia vocina interiore.

Dopo qualche minuto, Eric concede loro una pausa e si scosta dalla ringhiera per raggiungere gli altri istruttori. Confabulano per qualche minuto, poi le loro espressioni si distendono e li sento ridere di una battuta fatta da William.

Decisa a rendermi utile – e ad avere una scusa valida per interromperli -, prendo qualche bottiglietta d'acqua dal distributore automatico e vado loro incontro.

Nel vedermi arrivare, William mi sorride con calore. - Ecco qui la mia pupilla. Zelda, la più promettente tra i nuovi membri – spiega, a beneficio degli altri Intrepidi che mi stanno squadrando con curiosità. Sono sicura che la maggior parte della fazione ancora fatichi ad associare ai nomi le facce di noi iniziati, così come fatico io a ricordarmi l'identità di tutti gli Intrepidi che incrocio. - Sei stata gentile a portarci da bere, grazie -.

Dopo aver bevuto un sorso d'acqua, uno degli istruttori fa per dirmi qualcosa, ma viene preceduto dalla voce soave di William. - Non pensarci nemmeno, Matt. Zelda è già impegnata -.

L'Intrepido richiamato aggrotta le sopracciglia. - Ah, davvero? E con chi? -.

Per tutta risposta, Eric afferra la bottiglietta che gli sto porgendo e in contemporanea mi attira a sé per baciarmi.

- Non ne avevo idea, scusa Eric. Non ci avrei mai provato con lei se avessi saputo che...-.

- Ma certo che ci avresti provato, donnaiolo che non sei altro! Tu ci provi con tutte, anche con mia moglie! -.

- Sei senza speranza... -.

- Ehi piccioncini, forse è il caso che vi troviate una stanza! -.

Chiusa tra le sue braccia, quasi non mi accorgo dei fischi e delle risate degli altri Intrepidi. Ho le mani premute sulle sue spalle forti e nessuna voglia di lasciarlo andare. Sembrano passati secoli dall'ultima volta che siamo rimasti soli per più di cinque minuti.

Da come ricambia la stretta, intuisco che anche lui è reticente a sciogliere l'abbraccio. Mi guarda con aria maliziosa, prima di affermare: - Meglio trattenerci, piccola. Siamo in pubblico -, con un tono sufficientemente udibile anche dall'altra parte del Pozzo.

Alle mie spalle gli Intrepidi ci stanno bersagliando di battute sconce e risatine, eppure non riesco a mostrarmi infastidita. Guardo Eric con ironia. - Devi sempre dare spettacolo – lo accuso, sforzandomi di non ridere per l'assurdità della situazione.

Lui mi passa le labbra sul collo. - A quanto pare c'è ancora qualcuno che ignora la nostra relazione, quindi vuol dire che finora siamo stati anche troppo discreti -, afferma, infilando le mani sotto al camice per accarezzarmi i fianchi. - Dovrei saltarti addosso più spesso, così forse gli altri maschi capirebbero l'antifona e smetterebbero di provarci con te non appena volto loro le spalle -.

Rido del suo tono fintamente scocciato e gli scocco un altro bacio. - Mi sei mancato - gli confesso quando sposta la bocca sulla mia guancia.

- Anche tu, piccola -. Lo sento sospirare. - Credevo che dopo l'iniziazione avremmo avuto qualche attimo di pace, invece è sempre peggio -.

Mi scosta da sé per guardarmi negli occhi e nelle sue iridi vedo gli stessi sentimenti che mi bruciano nel petto: preoccupazione, bisogno, frustrazione. Dalla notte dell'attacco è cambiato qualcosa; ora non cerca più di tenermi all'oscuro di tutto, non mi nasconde le sue paure, i suoi timori. Lascia che glieli legga chiaramente in faccia, li condivide con me; mi tratta da pari, non più come una damigella da proteggere.

Ed io lo amo talmente tanto, che morirei se dovessi perderlo.

Metto a tacere i miei pensieri e mi sforzo di sorridergli. - Vedrai che andrà meglio. Quando gli Esclusi si calmeranno, avremo talmente tanto tempo libero da finire per annoiarci -.

Le labbra di Eric si piegano in un ghigno. - Oh, non temere: ci penserò io ad intrattenerti, piccola. Non ti annoierai tanto facilmente -. Mi passa un dito sulle labbra e il suo sorriso si fa più rigido. - Non so a che ora tornerò stanotte, quindi non aspettarmi. Stai facendo dei turni anche più massacranti dei miei, hai bisogno di dormire - afferma, scrutando con contrarietà le ombre violacee sotto i miei occhi.

Annuisco per farlo contento, ma non so quanto riuscirò a dormire tranquilla sapendolo lì fuori in pericolo.







 

 

 

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Ciao a tutti!

 

Sì, sono ancora viva. E so di avervi fatto aspettare secoli, praticamente, per leggere questo nuovo capitolo. Mi dispiace veramente, e vi ringrazio davvero tanto per non avermi mai abbandonata, per aver continuato a seguire i miei sproloqui sulla mia pagina Facebook, per aver commentato la storia, per avermi scovata anche su Wattpad.

Tornando alla storia, cosa ne pensate dei nuovi sviluppi? Visto che non sono proprio così sadica (stile George R. R. Martin)? Amo troppo i miei personaggi per ammazzarli, quindi anche James si riprenderà. Nel prossimo capitolo ci sarà una scena che molte di voi aspettano...ma non vi anticipo nulla, perché un po' sadica lo sono davvero xD

Spero che continuerete a seguire la storia: io mi impegno ad aggiornare più velocemente d'ora in poi. Ho un sacco di progetti in mente e un po' alla volta spero di realizzarli tutti. Rendere questa fanfiction un romanzo, per farvi un esempio. Le idee ci sono, la volontà pure...è il tempo che mi manca ahah

Nel frattempo sto scrivendo anche una raccolta di racconti da pubblicare su Amazon. Il primo è già uscito (lo trovate qui) e mi servirebbe davvero tanto un'opinione esterna. Se vi ispira e se vi va di leggerlo, fatemi sapere che ne pensate!

 

Un bacio a tutti, alla prossima,

 

la vostra Lizz

p.s. per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

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Capitolo 53
*** Here in my arms ***




 

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Capitolo 52


 

Eric


 

Batto le palpebre un paio di volte e scrollo la testa per cercare di scacciare l'ondata di sonnolenza che mi sta intorpidendo i muscoli.

Un'occhiata all'orologio mi informa che mancano pochi minuti alla fine del turno di ronda della mia squadra. I primi raggi dell'alba si stanno facendo strada attraverso gli strati di nuvole ammassati sopra le nostre teste, colorando il cemento che ci circonda di varie tonalità di rosa.

Faccio segno alle reclute di fermarsi accanto ad uno degli edifici decadenti alla nostra destra, dando loro il tempo di riprendere fiato prima del ritorno alla Residenza. E' stata una nottata abbastanza tranquilla, se paragonata alle precedenti: nessun movimento nella mia zona, nessun nemico in vista. Mentre mi stropiccio gli occhi e la fronte per tentare di mantenere la concentrazione nonostante la stanchezza, ripenso all'attacco avvenuto pochi giorni fa.

Maledetti Esclusi, è stata proprio un'imboscata con i fiocchi. E se sono sopravvissuto per raccontarlo, il merito va soltanto all'intervento provvidenziale di James, il quale avrà pure dei modi discutibili e la bocca larga, ma anche degli ottimi riflessi. Non posso che ammetterlo, nonostante senta salire la nausea al ricordo del rischio che entrambi abbiamo corso e al pensiero di dovergli la vita.

Dannato idiota. Doveva proprio fare l'eroe, eh?

Nei giorni precedenti Zelda ed io non lo abbiamo lasciato solo un secondo, sempre pronti a scattare ad ogni minimo segnale d'allarme comparso nei monitor ai quali è collegato. Detesto essere in debito con qualcuno, specialmente se quel qualcuno è quasi morto per salvarmi. Durante una missione affidata a me, per giunta. Il che significa che non sono stato capace di valutare con lucidità i rischi, che non ero abbastanza preparato. Che James abbia la sua parte di colpa per non aver agito con prudenza ha poca importanza.

Non posso permettere a nessuno, specialmente agli Esclusi, di cogliermi di nuovo di sorpresa. Devo dimostrarmi all'altezza del mio ruolo, o qualcuno potrebbe anche mettere in discussione la mia nomina a Capofazione. Non erano pochi gli Intrepidi che hanno storto il naso quando Max ha dato il voto decisivo a mio favore, quindi devo impegnarmi il doppio per provar loro che si sbagliavano sul mio conto.

Dopo aver bevuto un sorso d'acqua e controllato di nuovo l'ora, riprendo in mano il fucile e richiamo i miei soldati. In fila compatta proseguiamo rasente gli edifici, diretti ai binari più vicini. Salto a bordo del treno per ultimo e conto le reclute con una certa ansia, assicurandomi di non averne perso qualcuna per strada. Non mi preoccupano le due donne - paragonate ai loro compagni maschi, sono il doppio più intelligenti e capaci -, ma gli ultimi ragazzi che mi hanno affibiato. Sono ancora inesperti, questo è il loro primo giro di pattugliamento e non vorrei dovermi sorbire l'ennesima filippica di Max, sostenitore del “ti affido i novellini, vedi di non traumatizzarli troppo”. Avrei una voglia matta di strozzarlo: dovrei essere il leader del gruppo, non la loro dannata babysitter! Lancio loro un'occhiata di sfuggita e li vedo scherzare allegramente, quindi tiro un sospiro di sollievo.

Sto compilando la lista mentale dei miei prossimi impegni, quando una delle due ragazze mi si avvicina, ondeggiando un po' a causa dei movimenti bruschi del treno. Mi pare si chiami Cora – o forse Cara? Bah, non ne ho idea – e ha di sicuro qualche anno più di me, anche se non li dimostra. Tenta di iniziare una conversazione, batte addirittura le ciglia e sono pronto a scommettere che, ad un mio minimo cenno di apprezzamento, non esiterebbe a saltarmi addosso come una tigre affamata.

Dannazione, se non fosse così seccante potrei quasi mettermi a ridere. La vicinanza di Zelda mi ha reso proprio un rammollito: ormai gli Intrepidi che incrocio per i corridoi della Residenza non si limitano ad un rapido cenno del capo e ad abbassare subito gli occhi, ma mi salutano affabilmente, oppure mi fermano in mensa per scambiare due chiacchiere. Non sono abituato a dare confidenza alle persone: in precedenza troncavo tutti questi gesti espansivi sul nascere, bastava un'occhiata per tenere gli altri a debita distanza. Il mio carattere si sta lentamente ammorbidendo, non sono più distaccato come un tempo.

Innamorarsi rende veramente imbecilli: io ne sono la prova vivente.

Scuoto la testa e poi squadro attentamente la ragazza che mi sta di fronte. - Spiacente, ma non sono interessato. Nessuna potrebbe competere con la mia ragazza -. E pazienza se si offende, sono troppo stanco per sforzarmi di fingermi educato. Con un gesto della mano la invito a sloggiare.

Invece della risposta irritata che mi aspettavo, lei ricambia con un'espressione divertita. - Allora tu e Zelda state davvero insieme! Credevo fossero solo pettegolezzi -. Fa spallucce e indietreggia a mani alzate neanche le stessi puntando contro il fucile. - Allora mi rassegno: non c'è gara. Se fossi un uomo, probabilmente ci proverei anch'io con lei -.

Non ne dubito.

Alzo gli occhi al cielo, pensando a quanto l'ammirazione per la mia ragazza all'interno della fazione arrivi quasi a sfiorare l'adorazione. Perfino Josie ha cominciato a rivolgersi a lei in modo civile, il che è tutto dire.

Ma poi, sul serio esistono ancora degli Intrepidi che non sanno della nostra relazione? E Zelda ha pure il coraggio di affermare che dovremmo essere più discreti con le effusioni in pubblico! Avevo ragione io, come sempre: dovrei saltarle addosso più spesso e davanti a più testimoni possibili, così nessun'altra tenterebbe inutilmente di rimorchiarmi.

E nessun maschio oserebbe avvicinarsi a Zelda, ovviamente.

Non appena scorgo le luci di segnalazione, faccio cenno alle reclute di prepararsi a saltare. Una volta atterrati sul tetto, sani e salvi come li voleva Max, li saluto e li lascio tornare alle loro stanze. La loro euforia è palpabile e non posso che condividerla: la nostra squadra ha diritto a due giorni di riposo dopo stanotte. Max ha dato ordine a Evan e William di supervisionare le prossime spedizioni di controllo, quindi da questo momento sono ufficialmente in vacanza.

Mi sgranchisco i muscoli e percorro il tragitto che mi separa dalla mia camera quasi di corsa. Non vedo l'ora di stendermi a letto, sperando di riuscire finalmente a dormire alcune ore a fianco di Zelda. Avevo programmato di trascorrere ogni notte con lei dopo la fine dell'iniziazione, ma non avevo tenuto conto del possibile cambiamento di turno. Quindi, con un po' di fortuna, almeno per le prossime due notti non dovrò dormire tutto solo nel mio letto.

E pensare che, fino a poche settimane fa, l'idea di dormire abbracciato a qualcuna mi faceva inorridire. Ecco un altro degli effetti dell'essere innamorato perso.

Mi fermo sulla soglia dopo aver aperto piano la porta. Nel vedere Zelda addormentata, ancora con il camice addosso, tiro un sospiro di sollievo. Almeno per qualche ora potremo condividere il letto: un miracolo se paragonato ai giorni scorsi nei quali non ci siamo visti che di sfuggita.

Mi spoglio in fretta e volo nella doccia. Cinque minuti dopo infilo un paio di boxer puliti e mi siedo sul materasso. Zelda dorme tranquilla, di traverso sul letto, i lunghi capelli neri sparsi sulle lenzuola. Probabilmente ha tentato di restare sveglia per aspettarmi, ma poi la stanchezza ha avuto la meglio sulla sua buona volontà.

Sorrido tra me e le scosto alcune ciocche dal volto. Anche se leggero, il mio tocco interrompe il suo sonno: Zelda mugugna qualcosa e socchiude gli occhi. Nel vedermi chino su di lei, mi rivolge un sorriso dolce. - Bentornato, piccolo - mormora, sfiorandomi il viso con le nocche. - Ti giuro che ho provato a restare sveglia, ma ero davvero...-.

Le poso un dito sulle labbra per zittirla. - Shh, continua a dormire. Volevo solo spogliarti per farti riposare più comoda -.

Certo, è l'unico motivo, vero? Ma che bravo fidanzatino, mi prende in giro la voce della coscienza. Sbuffo, insofferente, e fingo di non udirla. Quando allungo una mano per slacciare i bottoni del camice, Zelda scoppia a ridere.

Si tira su a sedere, soffocando uno sbadiglio. - Va bene, spogliami pure. Sono sicura che non ci impiegherai molto... -.

Il suo tono divertito mi lascia perplesso: sembra stia ridendo di una battuta di cui solo lei conosce il finale. Seguito dal suo sguardo attento, slaccio la lunga fila di bottoni e mi ritrovo a sgranare gli occhi. Perchè, sotto il camice, Zelda non indossa assolutamente nulla.

Dopo il primo istante di smarrimento, la mia espressione si fa maliziosa. - Che bella sorpresa, piccola - le sussurro, avvicinando la bocca al suo collo.

Il profumo della sua pelle calda mi fa venire l'acquolina in bocca. Vorrei baciarne ogni centimetro, leccarla e morderla fino ad esserne sazio, ma questo non è il momento giusto: sono talmente stanco che potrei addormentarmi da un secondo all'altro. Quando mi dedicherò all'impresa, voglio essere ben sveglio e ricettivo per memorizzare e gustare ogni attimo.

Le passo le labbra sul collo, facendomi poi strada verso l'incavo della gola e le sporgenze delle clavicole. Apro del tutto i lembi del camice ed esploro con la lingua i contorni delle sue forme, illuminate vagamente dalla lampada accesa sul comodino.

Zelda mi asseconda quando le sfilo l'indumento candido: senza guardare, lo getto alla mia destra, sperando di centrare la scrivania. Infilandole le mani tra i capelli, la attiro a me per baciarla. Il contatto tra la mia pelle ancora umida di doccia e la sua, che conserva il calore del sonno, mi trasmette un brivido di piacere. Zelda appoggia i palmi sulla mia schiena e, quando mi strofino su di lei, la sento gemere piano. Mi limito ad un altro bacio, prima di condurre entrambi sotto le lenzuola.

- Ho una buona notizia – annuncio, e l'espressione di Zelda si fa curiosa e un tantino speranzosa. - Max mi ha escluso dalla ronda per due giorni -.

- Ne sono felice. In effetti ti meriti un po' di riposo - commenta lei, infilando una gamba tra le mie. Di certo in questa posizione il riposo è l'ultimo dei miei pensieri. - Allora chiederò ad Elizabeth di cambiarmi i turni. Non dovrebbe essere un problema -. Mi pizzica scherzosamente un fianco. - Non vedo l'ora di averti tutto per me -.

Il fatto che reagisca alle sue parole con un semplice bacio, anziché strusciandomi addosso a lei come un animale in calore, dimostra quanto sia effettivamente distrutto. - Adesso ti conviene dormire, piccola. Ho intenzione di stancarti parecchio le prossime notti -.

La sua risata leggera è l'ultimo suono che mi arriva alle orecchie, prima che il sonno mi rapisca i sensi.


 

*


 

Sono riposato e pronto a darmi da fare. Con Zelda, ovviamente.

Mentre riempio la tazza di caffé, comincio a pensare seriamente a quello che accadrà stasera. A quello che di sicuro farò accadere stasera.

Noi due nudi, un morbido letto, un sacco di ore a disposizione...

Mi siedo sulla panca e bevo a piccoli sorsi la bevanda bollente, ragionando e rimuginando. Ad un certo punto, le idee che mi ronzano in testa si fanno concrete e inizio a stendere una lista delle cose che mi occorrono per metterle in pratica.

E so già chi mi dovrà supportare.

Se non fosse un'emergenza, neanche morto mi sognerei di chiedere aiuto. Men che meno ad un'ex pacifica problematica che ho solennemente promesso di proteggere. Tuttavia devo arrendermi all'evidenza: sono negato per tutte quelle romanticherie che piacciono tanto alle ragazze. Per fortuna Zelda non sembra apprezzarle troppo, anzi condivide con me l'odio per tutte le stucchevolezze da fidanzati...non c'è da stupirsi che mi abbia fatto innamorare.

Ma ogni tanto qualche coccola non guasta. Specialmente durante una serata speciale.

Mi alzo in piedi e mi dirigo spedito verso il tavolo dove sono seduti gli amici di Zelda. Nel notare la mia presenza, il gemello fastidioso dà una gomitata al gemello tollerabile, che sta parlando con Leslie, seduta al suo fianco.

Mi rivolgo proprio a quest'ultima, ignorando di proposito i due ragazzi. - Hai un minuto? - le chiedo, facendolo suonare più come un ordine che come una semplice domanda.

Scrutandomi interdetta, lei annuisce e mi segue fuori dalla mensa. Una volta al sicuro da sguardi curiosi e orecchie indiscrete, le spiego quello che ho in mente senza perdermi in chiacchiere.

Dopo avermi ascoltato con attenzione, Leslie mi rivolge un sorriso caloroso. Un bel cambiamento dalle occhiate raggelate che mi riservava nei primi tempi. Mi dà qualche dritta, dei dettagli a cui non avrei mai pensato. - Di sicuro la lascerai a bocca aperta. Ti posso aiutare in qualche modo? -.

La sua proposta mi coglie di sorpresa. Ci penso su un attimo, ripetendo a mente i vari punti del piano. - Potresti tenerla occupata e distrarla finché non sarà tutto pronto. Diciamo un'oretta dopo cena -.

Negli occhi verdi di Leslie brilla una scintilla di complicità. - Agli ordini, Capofazione. Consideralo fatto! -.

Si allontana quasi saltellando, neanche la serata che sto organizzando fosse dedicata a lei. Io mi dirigo dalla parte opposta, verso l'infermeria. Passerò ad assicurarmi che James non sia in pericolo di vita, poi corromperò Elizabeth per far sì che Zelda abbia i prossimi due giorni interamente liberi. Infine andrò a procurarmi il necessario per la sorpresa che ho in serbo per la mia ragazza.

Oggi pomeriggio dovrò rinchiudermi nel mio studio per sistemare alcuni documenti lasciati in sospeso e aggiornare i file di rapporto sulle ronde, ma questa sera sarà dedicata totalmente a Zelda.



 

* * *



 

Zelda



 

L'atteggiamento di Leslie era davvero sospetto. Oppure sono talmente stanca da avere le allucinazioni.

Questo pomeriggio è stato abbastanza impegnativo: ho dovuto prendermi cura di Ted per alcune ore, mentre Elizabeth e Max partecipavano ad una riunione sulla sicurezza interna; ho fatto il mio solito giro di controllo dei feriti e sono rimasta a lungo a tranquillizzare Melanie sulla salute del fratello. James sta reagendo molto bene ai farmaci e all'intervento, ci vorrà solo qualche altro giorno perché si risvegli del tutto. Ora lo teniamo sotto controllo con gli antidolorifici: ne è talmente imbottito che, anche se riprende conoscenza per qualche minuto, non riesce a rimanere vigile a lungo. Quei farmaci prodotti dagli Eruditi sono delle vere e proprie bombe.

Insomma, ho girato l'intera Residenza più volte: non c'è da stupirsi che mi senta intontita. Ciò non toglie che il comportamento di Leslie questa sera fosse parecchio strano. Subito dopo cena, senza neanche darmi il tempo di tornare in camera per cambiarmi, mi ha trascinata nella sua.

Più che una stanza, è un mini-appartamento con due stanze da letto e un bagno: in una dormono Melanie e Felix, nell'altra Leslie, Xavier e Nora. Da quanto mi ha detto Leslie, la sistemazione è ancora temporanea; al contrario, Xavier - ben lungi dal lamentarsi di condividere la camera con due ragazze -, spera davvero che sia permanente. Anzi, se fosse per lui, aggiungerebbe quanti più letti a castello possibili per ospitare altre Intrepide, così da – e lo cito testualmente - “arricchire il suo harem”. I battibecchi tra lui e Nora mi hanno fatta ridere fino alle lacrime.

Resta il fatto che tutta la situazione mi è sembrata sospetta. Voglio dire, non mi hanno nemmeno lasciato tornare in camera per avvisare Eric del ritardo! Gliel'ho chiesto per ben tre volte, ma sia Xavier che Leslie hanno fatto in modo di distrarmi per trattenermi a chiacchierare.

Affretto il passo, desiderosa di arrivare in camera e gettarmi tra le braccia del mio ragazzo. Finalmente possiamo passare del tempo insieme, quasi non ci speravo più! Sono nervosa e agitata, ma non vedo l'ora di...

Tutto il mio chiacchiericcio mentale si azzera di colpo non appena metto piede in camera. Le lampade sono spente, tranne la piccola lucina di emergenza accanto alla porta del bagno. Sul letto scorgo i contorni del corpo di Eric, avvolto dalle lenzuola. Mi avvicino senza far rumore e lo trovo perfettamente addormentato, il ritmo lento del respiro che si mescola ad un leggero russare.

Non posso crederci.

Dannazione, lo sapevo che sarei dovuta tornare prima. O almeno avvertirlo del ritardo. Sicuramente avrà aspettato e poi dato per scontato che sarei rimasta a lavorare anche stanotte. Non posso biasimarlo se la stanchezza ha avuto la meglio: mi è successa la stessa identica cosa ieri notte.

Cercando di fare piano, prendo una maglietta pulita dall'armadio e mi dirigo in bagno. Chiudo la porta e accendo la luce, decisamente delusa per la piega presa dalla serata. Ero così piena di aspettative, da non prendere nemmeno in considerazione l'eventualità che Eric potesse addormentarsi prima del tempo.

- Povero piccolo – mormoro, ridendo tra me sotto il getto della doccia.

Di sicuro era talmente distrutto che, anche se fossi tornata prima, non avrebbe avuto voglia di fare altro a parte dormire. In fondo non è poi così grave: Elizabeth mi ha dispensato da tutti gli incarichi per le prossime ventiquattr'ore, quindi la notte di fuoco che avevamo in mente è solo rimandata.

Un po' più sollevata rispetto a quando sono entrata, chiudo l'acqua ed esco dalla doccia. Dopo essermi pettinata, faccio per sciogliere il nodo dell'asciugamano quando la luce si spegne improvvisamente. Lancio un grido e mi precipito verso la porta, in preda al panico. So che non corro alcun pericolo, che nel buio non si annidano mostri di nessun tipo, ma ancora non riesco a sconfiggere questa paura irrazionale. Prima che riesca a scovare la maniglia nell'oscurità, la porta del bagno si apre e... trovo le braccia di Eric ad accogliermi.

Gli piombo addosso come un treno in corsa e balbetto delle scuse, pensando di averlo svegliato con la mia esclamazione spaventata. Poi alzo gli occhi e rimango paralizzata. Non di paura questa volta, ma di stupore.

Luce. La stanza è piena di luce.

Batto le palpebre diverse volte, incredula di fronte a quello spettacolo. Quasi quanto lo ero al nostro primo appuntamento fuori città.

Un lungo e spesso filo di lucine color avorio si estende dall'armadio alla parete opposta, passando sopra al letto come una sorta di baldacchino. Sui due comodini gemelli sono collocate delle piccole candele, presenti anche ai lati del letto e sull'unica mensola accanto alla porta. È un'illuminazione tenue, rassicurante, ma il suo significato mi fa salire le lacrime agli occhi.

Se sei accanto a me il buio non può farmi nulla. Mi basta guardarti negli occhi per trovare tutta la luce di cui ho bisogno.

- Sorpresa – mormora suadente Eric alle mie spalle.

Mi giro talmente in fretta da frustargli il petto con i capelli. Gli getto le braccia al collo e per poco non scoppio a piangere. - Eric, è bellissimo. Sei fantastico. Il miglior ragazzo del mondo – lo assicuro, coprendogli di baci tutto il viso e ogni pezzo di pelle a cui riesco ad arrivare.

Lui ridacchia compiaciuto e mi allontana delicatamente da sé per guardarmi negli occhi. - Se questa è la tua reazione, devo assicurarmi di farti più spesso dei regali -.

- Sei una delle poche persone capaci di stupirmi. Non è una cosa da poco – gli rivelo, assorta nella contemplazione delle lucine.

Mi avvicino al letto e alzo una mano per toccarne alcune: sono a forma di diamante e, assieme alle fiamme delle candele, contribuiscono a creare delle ombre astratte sulle lenzuola. - Non ti si può certo definire prevedibile -.

- Potrei dire lo stesso di te, piccola -. La sua voce roca nell'orecchio mi fa sussultare leggermente: non l'avevo sentito avvicinarsi. Mi fa scorrere le dita lungo le braccia, arrivando a raggiungere il nodo con cui avevo fissato i lembi dell'asciugamano. Lo scioglie e mi sfila l'indumento con modi gentili, appoggiandolo sulla sedia invece di gettarlo via con malagrazia.

I suoi movimenti sono lenti e calibrati, quasi fosse in attesa di un gesto di rifiuto o di allontanamento da parte mia. Ed io sono certamente agitata e quasi assordata dal battito del mio stesso cuore, ma non mi sognerei di fermarlo per niente al mondo.

Voglio che accada stanotte. Voglio lui.

Eric si prende il suo tempo, forse anche lui nasconde una briciola della mia stessa agitazione. Il suo respiro accelerato si scontra con la mia pelle provocandomi un brivido. Mi accarezza con calma le braccia, soffermandosi sulle spirali dei tatuaggi, per poi riportare le mani sulle mie spalle. - Posso continuare? - mi chiede, le labbra che viaggiano su e giù ai lati del collo.

Dubito di essere in grado di rispondere, con le sue mani che mi massaggiano alternativamente il seno e i fianchi. Indietreggio, appoggiandomi a lui, gli occhi chiusi per godermi appieno le sue carezze. Grazie al mio incoraggiamento silenzioso, le mosse di Eric si fanno più decise e intraprendenti.

Fermo l'avanzata delle sue mani quando raggiungono le mie cosce. Non perché non voglia che continui, ma perché fatico a reggermi in piedi. Prima che le ginocchia cedano, facendomi schiantare sul pavimento in modo imbarazzante, mi stacco da Eric e mi siedo sul letto. Allungo subito le braccia per invitare il mio ragazzo a raggiungermi, ma lui si inginocchia davanti a me. Restiamo a fissarci per qualche secondo, con i respiri fuori controllo e la luce che ci danza sulla pelle.

Non voglio perdermi nemmeno un secondo: devo memorizzare ogni attimo, ogni carezza, ogni bacio. Sono contenta di aver aspettato, di avergli chiesto di aspettare. Ora non ho più la mente in preda all'ansia, avvolta dal terrore di fallire l'iniziazione e di finire separata per sempre da Eric. Adesso posso donarmi a lui completamente, senza che nessun pensiero molesto sopraggiunga ad interromperci. Gli do un altro bacio, indugiando con la lingua, giocando con la sua.

Lui ricambia con passione, i polpastrelli che mi accarezzano l'interno delle cosce. - Sei sicura? - chiede di nuovo, interrompendo il bacio per guardarmi negli occhi.

Non riesco a trattenere un sorriso. - Accidenti, Eric. Se non fosse impossibile, direi che sei più nervoso di me! -.

Lui si passa una mano sulla nuca e poi tra i capelli. Alla fine sbotta: - Infatti è così -, mettendosi a sedere sul materasso. - Mi credi se ti dico che sono più spaventato di te? -.

- Non credo sia lo stesso genere di timore. Insomma...tu almeno sai cosa aspettarti. E poi, io non ho paura. Non di te comunque. Solo soltanto nervosa - affermo con decisione, afferrando le sue mani e trascinandolo pian piano fino a farlo stendere accanto a me sul lenzuolo. - Si può sapere di cosa hai paura tu? Voglio dire, non è mica la prima volta per te... -.

Lui rotea gli occhi. - Ovviamente no. Ma non ho mai...ah, dannazione! Per te è la prima volta e io non so come comportarmi con una vergine, okay? - esclama, mettendosi a sedere di scatto. Sembra faccia di tutto per non guardarmi, tiene gli occhi puntati sul bersaglio appeso accanto alla porta. - Ho paura di farti male, di non essere all'altezza, di... -.

So bene che quando è di questo umore non riuscirei mai a persuaderlo a parole. Per cui agisco nell'unico modo possibile: striscio sul letto fino a posizionarmi di fronte a lui e, con un'abile mossa, lo obbligo a stendersi di nuovo. Sotto di me, stavolta.

Lui sgrana gli occhi, preso alla sprovvista. - Sai qual è l'unica cosa a cui riesco a pensare quando ti vedo davanti a me mezzo nudo, come in questo momento? -. Prima che possa replicare, o riprendere il filo del discorso precedente, mi abbasso su di lui, strofinando il mio corpo contro il suo.

Il suo gemito di apprezzamento è estremamente gratificante; quando faccio per sollevarmi, mi afferra saldamente per i fianchi e mi impedisce di muovermi. Gli sorrido, prima di far scendere le mie labbra dalla sua guancia all'incavo tra il collo e la spalla. - In questo momento ho solo voglia di baciarti e toccarti dappertutto. E trovo offensivo che tu ancora riesca a pensare a qualcosa di coerente, con me accanto e svestita del tutto -.

Il mio tono leggero e scherzoso pare tranquillizzarlo. Il suo abbraccio si fa meno rigido, la tensione abbandona del tutto i suoi lineamenti. Mi passa le dita tra i capelli, invitandomi ad abbassare la testa per dargli un bacio. Sembra che la sua attitudine dispotica sia tornata a riemergere: assume lui il comando della situazione e io non mi sogno nemmeno di opporre resistenza.

Tra un bacio e l'altro, mi lascia solo qualche secondo per riprendere fiato; la sua mano libera traccia dei cerchi alla base della mia schiena, premendo sulle mie natiche per assecondare i movimenti dei suoi fianchi. A corto di ossigeno e col cervello definitivamente fuori uso, mi lascio andare contro di lui e tento di sfilargli i boxer, l'unica barriera ancora presente tra i nostri corpi eccitati.

Prima che possa infilare le dita sotto l'elastico, Eric inverte le posizioni, rotolandomi sopra. Mi blocca i polsi con entrambe le mani, chinando poi la testa per premermi la bocca sulla gola, il mio punto debole.

Il metallo dei suoi piercing disegna una scia fredda sulla mia pelle. Mi inarco involontariamente per far combaciare di nuovo i nostri corpi; dalla gola di Eric esce un verso strozzato, prima che si decida a liberarmi i polsi e lasciare che le mie mani tornino al loro obiettivo. Vorrei avere la forza di strappare la stoffa dei boxer, così da liberarcene più in fretta, ma riesco solo ad abbassarli sulle sue cosce. Eric se ne sbarazza il più velocemente possibile e si sdraia di nuovo sopra di me, sollevandosi sui gomiti per non schiacciarmi.

Nei punti di contatto con il suo corpo forte ed eccitato, la mia pelle scotta come se ci avessi premuto sopra un fiammifero acceso. Mi piace avvertire il suo peso su di me; mi fa sentire protetta, non minacciata.

Credo che Eric abbia una percezione sbagliata di se stesso, perché non potrebbe essere più delicato di così. Il modo in cui mi accarezza le cosce, invitandomi ad aprirle per fargli spazio; i suoi baci caldi e languidi che dal collo scendono a concentrarsi sul seno; le sue dita che mi sfiorano l'addome, tracciando dei cerchi attorno all'ombelico, per poi infilarsi piano dentro di me, stuzzicando la parte più sensibile del mio corpo... Ogni gesto è lento, calibrato, di una dolcezza incredibile.

Una dolcezza che mi sconvolge più della fitta di dolore che mi trapassa come una coltellata, quando il suo corpo si unisce al mio. Dalle labbra mi sfugge un gemito roco ed Eric si immobilizza. Sento nella tensione dei suoi muscoli quanto si stia trattenendo, quanta forza, quanta passione stia cercando di tenere a bada.

I suoi occhi scrutano il mio viso, i lineamenti contratti per lo sforzo di frenare gli istinti del proprio corpo. - Zelda, stai...- comincia a chiedere, ma si interrompe quando mi vede scuotere la testa.

- Non fermarti - mormoro, inarcandomi contro di lui. Dal modo in cui mi guarda, capisco che non gli è sfuggita la mia smorfia di dolore. Fa per ritrarsi, ma lo trattengo avvolgendogli i fianchi con le gambe. - Non fermarti, Eric...-.

Di certo lui non si fa pregare. Si muove come un'onda su di me, dentro di me. Nonostante il bruciore al basso ventre, lo stringo sempre più forte, adeguandomi ai suoi movimenti.

Per contrastare il dolore mi concentro sulla sensazione che mi trasmette la sua pelle umida che scivola sulla mia ad ogni spinta. Non credevo potesse esistere una persona con cui condividere tutta questa intimità senza provare il minimo imbarazzo. Non ho mai pensato seriamente al sesso prima di incontrare Eric, non ho mai avuto particolari aspettative riguardo alla mia prima volta. Ma sono sicura che, anche se avessi saputo in partenza quanto avrebbe fatto male fisicamente, avrei scelto comunque di donarla a lui.

Dopo qualche minuto, Eric allontana le mani dai miei fianchi per piantarle ai lati della mia testa. China la sua per posarmi la bocca sul collo, i suoi ansiti sono il suono più eccitante del mondo. - Zelda, devo...-.

- Non fermarti - ripeto, aggrappandomi a lui quando lo sento tremare.

Eric soffoca un ringhio contro la mia spalla, mordicchiandomi la pelle senza farmi male. Gli passo le mani sulla schiena, risalendo fino alla nuca, quasi cullandolo finché non si rilassa del tutto.

Freddo e controllato tra le lenzuola, lo ha definito Josie. Oh no, invece, penso con intima soddisfazione. Decisamente non lo è quando è fra le lenzuola con me.


 


 


 

 

- - - - - - - - - - - -

Waaaa che superultramega ritardo!! Sono più che imperdonabile, e mi scuso con tutte le persone che mi seguono e stanno aspettando un aggiornamento della storia da tipo...una vita. Mi cospargo umilmente il capo di cenere, e posso portare a mia difesa la mancanza di ispirazione. Proprio non riesco a scrivere se non sono dell'umore giusto, o se le scene che ho in testa risultano delle vere schifezze se le butto giù a parole.

Ci ho messo davvero tanto, ma spero che
il capitolo vi sia piaciuto. Ovviamente ho ancora l'impressione che avrei potuto scriverlo meglio. Ogni volta che lo riprendevo in mano per correggerlo e/o modificarlo, avrei voluto cancellare tutto e ricominciare da capo... Eh sì, esigo molto da me stessa e non sono mai soddisfatta! A voi cosa sembra? Lasciatemi qualche commento con le vostre impressioni, mi bastano anche poche righe! Tanto per sapere se devo abbandonare la scrittura e darmi all'ippica, ad esempio...

Comunque in realtà il capitolo non è completo: manca il pezzo dal punto di vista di Eric, ma lo posterò a breve in Take my heart and let it burn perché il rating mi pare più rosso che arancione. Quindi, per non sbagliare, lo piazzo lì e fine.

Un bacio a tutti, alla prossima,

la vostra Lizz

 

p.s. per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

p.p.s. la frase “Se sei accanto a me il buio non può farmi nulla. Mi basta guardarti negli occhi per trovare tutta la luce di cui ho bisogno” per chi non lo ricordasse, è una citazione dal cap. 37, Like a satellite.

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Capitolo 54
*** Cradled in love ***




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Capitolo 53

 


 

So with the fire still burning bright
I wanna gaze into your light
If I could see my fortune there
You know how flames can hypnotize

(Cradled in love – Poets of the Fall)





 

Zelda

 

Quando il cuore comincia a rallentare la sua folle corsa, faccio un respiro profondo ad occhi chiusi. E mi sorprendo a ridere, dandomi della sciocca per tutte le ansie che avevo accumulato finora nell'immaginare questo momento.

Ancora leggermente intontita, stiracchio i muscoli delle braccia. - Oh, Eric, è stato davvero...-.

- Un completo disastro -, sbotta lui, battendo un pugno sul materasso.

La sua ira mi fa sussultare, scaraventandomi giù di colpo dalla nuvoletta di beatitudine su cui mi stavo crogiolando. Alzo gli occhi sul suo viso e capisco immediatamente che le rughe profonde che gli solcano la fronte non promettono nulla di buono.

Attenzione, gente. Il Re delle paranoie è tornato!

Con uno sbuffo mi scosto alcune ciocche di capelli dalle guance. Cerco anche di mettermi seduta, per fronteggiare il mio ragazzo con la giusta esasperazione, ma non ci riesco. Il mio corpo non intende collaborare; i muscoli non rispondono ai miei comandi e mi sembrano della stessa consistenza della gelatina. In più, ad ogni più piccolo spostamento, avverto delle fitte per niente piacevoli al basso ventre.

Accidenti.

Lo sforzo di mettermi seduta mette alla prova i miei nervi ancora intorpiditi. Devo stringere con forza le labbra per non lasciarmi sfuggire un lamento. Ed Eric ancora non mi guarda: è fermo immobile e tiene la testa tra le mani come se stesse meditando di staccarsela dal collo. Mi è seduto accanto, eppure avverto una distanza abissale tra noi, neanche fossimo su continenti differenti con un oceano in mezzo a separarci.

Ha definito quello che c'è stato tra noi “un completo disastro”. Cosa diamine gli prende? Soltanto un minuto fa credevo che non esistesse niente di più perfetto della nostra unione, fisica ed emotiva, e adesso mi sembra di avere vicino una statua di ghiaccio, estranea ed inavvicinabile.

Altri due minuti così e gliela stacco io quella testa di rapa, penso, sentendo sopraggiungere una vampata d'irritazione. Secondo gli standard, dovrei essere io quella piagnucolante, non lui. Ero io l'inesperta, la vergine, tra noi due. Dopo aver condiviso tutte quelle sensazioni così nuove per me, dopo aver percepito quanta dolcezza nasconde inconsapevolemente nel profondo di sé, non mi aspettavo di certo questa sua improvvisa freddezza.

Le lacrime che sono riuscita a trattenere finora mi scivolano sulle guance. Eric tiene ancora la testa bassa e non si volta verso di me nemmeno per sbaglio. Ferita e mortificata, mi impongo di raggiungere il bagno per non rendere la situazione ancora più imbarazzante. Prima di tornare alla carica - leggi: prenderlo a sberle -, devo rimettermi in sesto e far sparire queste dannate lacrime.


 

*



 

Eric


 

Il rumore di una porta che si chiude mi fa alzare la testa di scatto. Perso com'ero a maledirmi col pensiero, non ho nemmeno fatto caso ai movimenti di Zelda, che al momento è sparita, senza una parola, oltre la porta del bagno.

Prima di rendermene conto, sono già in piedi, la mano stretta attorno alla maniglia. Dall'interno proviene solo il rumore dell'acqua che scorre, poi il lieve click della manopola del lavandino, infine un fruscio. Aspetto pochi secondi, poi apro piano la porta.

L'unica fonte di luce è il faretto posto sopra allo specchio del lavandino. Zelda è seduta sul piccolo sgabello accanto alla doccia, i capelli sciolti che le coprono il viso e il seno. Si sporge per afferrare uno degli asciugamani puliti, riposti in uno degli scomparti del mobiletto al suo fianco.

Non dà segno di aver notato la mia presenza, nonostante me ne stia impalato accanto alla porta aperta, quindi ci sono solo due opzioni: o è persa nei propri pensieri, oppure mi sta volutamente ignorando. Propendo per la seconda, data la postura rigida delle sue spalle. Prima che possa parlare, la sua voce mi arriva alle orecchie, metallica e piatta come quella di un robot. - Non ora, per favore. Dammi cinque minuti - dice soltanto, ma mi fa lo stesso effetto di una secchiata d'acqua gelida.

Tento di dire qualcosa, quando la vedo alzarsi dallo sgabello e fare una smorfia, come se stesse soffrendo. Alle orecchie mi risuona il suo gemito di dolore di poco fa e mi irrigidisco. Non soltanto perché mi sento in colpa per averle fatto male, ma anche perché, non appena la luce del faretto la colpisce in faccia, noto gli occhi lucidi e le guance striate di lacrime.

Muovo automaticamente un passo verso di lei. - Zelda... -.

Il suo pugno arriva inaspettato e mi colpisce dritto allo stomaco. Con forza sufficiente a farmi boccheggiare. E per fortuna non ha mirato una decina di centimetri più in basso, altrimenti mi starei rotolando al suolo in agonia.

- Idiota - ringhia lei, puntandomi l'indice contro il petto.

Sono seriamente tentato di indietreggiare, ma, al di là della furia con cui mi affronta, noto le lacrime che le scendono sul mento. - Era tutto perfetto fino a pochi minuti fa, poi in due parole rovini tutto -. Zelda si passa le mani sul viso e tira indietro i capelli. Fa un sospiro e poi mi fissa dritto negli occhi. - Perché hai detto che è stato un disastro? Per caso io...ho fatto qualcosa che... -.

- No! - esclamo, interrompendola. Non voglio nemmeno che completi quello che stava dicendo, non voglio che pensi nemmeno per un secondo che sia in qualche modo colpa sua. - Dannazione, no. Certo che no! -. La afferro per le spalle e la tiro verso di me, abbracciandola stretta. - Hai ragione, ho rovinato tutto. Doveva essere una serata speciale, invece io...ti ho fatto male. Sapevo che ti stavo facendo male e non mi sono fermato. Avrei dovuto... -. Deglutisco, imprecando tra me per la mia stupidità.

Dopo qualche attimo di silenzio, la risata di Zelda mi scuote il petto. Prima che possa chiederle cosa ci sia di così divertente nella conversazione, lei si scosta per potermi guardare in faccia. Mi accorgo con sollievo che ha smesso di piangere. - Dopotutto non sei così idiota come pensavo - dice, allungandosi per sfregarmi le labbra sulla guancia. - Mi hai appena dato ragione -.

- Anche un idiota sa riconoscere una sconfitta - replico, salvo poi ammutolire quando la sua bocca si sposta sul mio collo. E lì rimane per parecchio tempo, finché Zelda non scioglie la solida presa delle mie braccia e fa un passo indietro.

I suoi occhi si spostano verso il basso e la sua espressione si fa colpevole. - Scusa per il pugno. E' stato un gesto meschino da parte mia -.

Ora tocca a me ridere. - Ma figuriamoci, me lo sono più che meritato. Dovresti colpirmi più spesso, così magari la finirei di comportarmi da idiota -. Le accarezzo il viso, soffermandomi con i pollici sugli zigomi, prima di darle un bacio. - Ti giuro che mi sono impegnato per rendere speciale la tua prima volta. Mi dispiace che il risultato sia stato così...deludente -.

- Ecco che ci risiamo - replica lei, scuotendo la testa. - Non capisci? Ti dispiaci per le cose sbagliate -. Si dà una veloce occhiata allo specchio, poi recupera l'asciugamano che aveva appoggiato al mobiletto. Solo allora mi accorgo che il lavandino è pieno d'acqua. La mia ragazza vi tuffa dentro la stoffa e poi riprende posto sullo sgabello.

Non posso fare a meno di lasciar scorrere gli occhi sul suo corpo, la pelle nuda che mi attira come farebbe una calamita con un magnete. La mia occhiata di apprezzamento non passa inosservata: Zelda risponde inclinando il capo con un movimento sensuale. - Potresti darmi una mano? -.

- Anche tutte e due - replico in automatico, e lei ride di nuovo.

Mi chiede di frugare nello scomparto dei medicinali alla ricerca di un tubetto rosa. Ci metto un po' a scovarlo: era nascosto dietro vari flaconi di antidolorifici e scatole di garze sterili. Non l'avevo mai notato, non so nemmeno cosa contenga. Lo giro per esaminare l'etichetta e aggrotto le sopracciglia. - A cosa ti serve una pomata... -. La domanda rimane sospesa perché, non appena mi volto per passarle il tubetto, mi accorgo di cosa sta facendo. E mi irrigidisco.

Zelda sta strofinando l'asciugamano bagnato tra le cosce e ha ancora quella smorfia di fastidio sulle labbra. La raggiungo subito e mi inginocchio sul tappeto. - Posso? - chiedo, appoggiando i palmi sulle sue cosce.

Lei alza le sopracciglia sorpresa, ma poi lascia che prenda l'asciugamano.

Strofino il più dolcemente possibile la stoffa sulla pelle arrossata, lenendo il dolore ed eliminando quel che resta del sangue e del mio... Impreco tra i denti. - Sono davvero un idiota -.

- Perchè? -.

- Non ho usato un preservativo. Maledizione -. Piego l'asciugamano e lo passo sull'altra coscia. - Devo procurarti un contraccettivo d'emergenza. Vado subito da Elizabeth -.

Zelda tossicchia, come se si stesse soffocando con la sua stessa saliva. Quando le scocco un'occhiata interrogativa, le sue guance diventano di un bel rosso acceso. - In realtà ci ha già pensato Damien -. La mia espressione si fa confusa, così si affretta a spiegare: - E' stato così gentile da farmi recapitare uno dei nuovi ritrovati degli Eruditi -, mi indica il ripiano più basso del mobile, - che ho iniziato a prendere circa una settimana fa. Quindi niente problemi per quanto riguarda dei possibili bambini...per il resto è un altro discorso -.

Capisco immediatamente a cosa si riferisce. Ora tocca a me tossicchiare. - Max ci impone un check up completo una volta al mese. Finora ho sempre usato il preservativo quindi, ecco, niente malattie. Se non avessi saputo di essere sano al cento percento, non ti avrei mai...sì, insomma... -.

- Direi che siamo a posto, allora - decreta Zelda, interrompendo saggiamente il mio patetico monologo. Mi sfiora le labbra con un rapido bacio, poi mi toglie dalle mani la salvietta e la getta in un catino poco distante. - A quello penso domani. Ora passami la pomata -.

Ne spreme un po' sulle dita, prima di spalmarla con delicatezza tra le cosce. Mi elenca i vari ingredienti che compongono quel gel rosa - tutta roba naturale a sentire lei - che scopro trattarsi di un altro dei regalini di Damien. Ma che gentile. Prima o dopo dovrò pure ringraziare il mio caro cognatino per tutte queste premure, a quanto pare. - Serve a lenire il dolore e a far guarire più in fretta la pelle. Elizabeth lo usa spesso, specialmente se deve trattare ferite superficiali o scottature -.

Il suo tono da maestrina mi fa sorridere. Però l'accenno al dolore che credo stia ancora provando fa tornare a galla il senso di colpa. Una volta conclusa l'operazione col gel, le rubo il tubetto e lo ripongo nel mobile.

Avverto addosso gli occhi di Zelda, che mi stanno squadrando da capo a piedi, attenti ad ogni mia mossa. Conoscendola, è talmente perspicace da aver già intuito cosa sto cercando di nascondere dietro la mia maschera impassibile.

- Okay, qui siamo a posto. Ora torniamo in camera e parliamo da persone civili. Prometto di non alzare le mani, questa volta -

Come volevasi dimostrare.

- D'accordo, piccola -. Le mie labbra si piegano in un ghigno. - Lascia che ti porti io -.

Senza darle il tempo di avanzare una qualche protesta, la prendo in braccio e la riporto a letto. Una volta sistemati comodamente tra le lenzuola, Zelda appoggia la schiena alla testiera e osserva assorta le lucine che pendono dal soffitto. Rimango a fissare il suo profilo per quella che mi pare un'eternità, finché lei non si gira verso di me con un sorriso. - Quelle luci mi piacciono un sacco. Possiamo tenerle? -.

Il suo tono allegro e quella richiesta mi spiazzano. Credevo stesse per suonarmele di santa ragione – verbalmente parlando. - Certo, se ti fa piacere -.

Eccome se le teniamo. Resteranno esattamente dove sono e nessuno dovrà toccarle, nemmeno Bruce, con i suoi guanti gialli stile maniaco delle pulizie. Anzi, domani torno dal tizio che me le ha procurate e ordino almeno un'altra dozzina di fili. Tutto, pur di vederti sorridere come stai facendo adesso.

Zelda inclina la testa per premere la bocca sulla mia spalla. - Grazie. Perché ogni volta che le guardo mi viene voglia di toglierti di dosso tutto, anche le lenzuola -. Deglutisco, mentre le sue dita mi scorrono sul petto. - Per poter ammirare la luce dorata che si fonde con l'inchiostro dei tuoi tatuagggi. Uno spettacolo di qui solo io potrò godere -.

Invece di ringraziarla, o ricambiare il complimento, emetto uno sbuffo dal naso. - Te l'ho già detto e non mi stancherò mai di ripeterlo: io non ti merito -. Con una mossa rapida mi siedo al suo fianco e le impedisco di ribattere chiudendole le labbra con le mie. Faccio scivolare una mano sulla sua nuca, l'altro braccio che le circonda la vita per avvicinarla a me. Mi concentro sulla sua bocca per un bel pezzo, fino a sentirla languida e abbandonata tra le mie braccia.

Lasciandole il tempo di riprendere fiato, mi sposto per farle appoggiare la guancia al mio petto, i lunghi capelli che mi solleticano la pelle. Prendo un respiro, prima di iniziare a parlare. - Ti ho fatto male - dico, puntando lo sguardo nel suo. - Tanto da farti piangere. Non so cosa dire, se non che mi dispiace. Vorrei essermi fermato, vorrei aver aspettato e ...-.

- Non sarebbe cambiato nulla -. La sua mano smette di tracciare i contorni dei miei tatuaggi, ma lei non distoglie gli occhi dai miei. - Sì, mi hai fatto male. Ma non nel modo in cui pensi tu -. Alla mia occhiata scettica, Zelda risponde con un mugugno indecifrabile. - Accidenti, Eric, era la mia prima volta. Sapevo che avrebbe potuto fare male, ero preparata. Ho letto quasi l'intera biblioteca di mio padre, e ti assicuro che non contiene romanzi comici o d'avventura. Dopo tutti quei tomi di anatomia, posso dire con sicurezza di saperne più di te sul piano teorico. Giusto? -.

Grugnisco un assenso. - Ovviamente, ma... -.

- Ti sembro una ragazza debole? Che non sa sopportare il dolore? Che non è capace di difendersi? -. Lei continua il suo discorsetto incurante del mio cenno negativo. - Ti ho detto di non fermarti perché davvero non volevo che smettessi. Non perché mi sentivo obbligata, o che altro, ma perché ti volevo, e ti voglio ancora. La mia prima volta doveva essere con te, perché nessun altro, a parte te, vale quel dolore -. Sorride trionfante davanti alla mia espressione sbalordita. - Quindi, se proprio vuoi dare la colpa a qualcuno, dalla pure a me. Non mi offenderò -.

A Zelda non serve ricorrere alla violenza fisica per mettermi al tappeto: ci riesce egregiamente a parole. Come fa a dire sempre la cosa giusta al momento giusto? Come fa a sapere cosa dirmi per farmi calmare, per scongiurare uno dei miei attacchi di rabbia, per placare l'odio che provo verso me stesso?

Ignara di avermi appena messo fuori uso il cervello, lei strofina il naso contro il mio collo. - Quello che mi ha ferito veramente è stato sentirti così distante dopo. Voglio dire, lo so che non è stato semplice nemmeno per te, ma... -.

- Ti amo -.

Non mi rendo conto di averlo detto ad alta voce finché Zelda non alza il viso con aria stranita, quasi credesse di avere le allucinazioni. Prendo il suo viso tra le mani, tenendolo come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Perchè lo è. Tutto di lei è di inestimabile valore, per me. - Ti amo, Zelda. Non me la cavo bene con i discorsi, so dire solo questo -. Chiudo gli occhi per un istante, l'immagine di lei in lacrime impressa nella mente. - E sono arrabbiato con me stesso perché volevo che la tua prima volta fosse speciale, indimenticabile, come lo è stata per me. Sentirti, stare dentro di te, è stato... -. Non trovo la parola adatta a descrivere la valanga di emozioni che ho provato.

- Perfetto -. Zelda posa le sue mani sulle mie, ancora ferme sul suo viso. Solo ora mi accorgo che ha gli occhi lucidi. - E' stato perfetto. E la prossima volta sarà ancora meglio -.

Sentirla parlare di una “prossima volta” mi riempie di sollievo. Mi sfugge una breve risata. - Dovrei essere io a dirlo. Tu avrai anche ampie conoscenze teoriche, ma sono io quello esperto nella pratica. O almeno così credevo prima di stasera -.

La risata di Zelda si unisce alla mia. - Preparati, perché sto per dire qualcosa che demolirà il tuo famoso ego una volta per tutte -.

- Fai pure, ormai ci sono abituato - replico, abbassando la testa per baciarle la gola. Indugio con la lingua sul tracciato di una vena, sentendola pulsare dolcemente.

Lei inclina il capo, lasciandomi campo libero. - Non sei così esperto come tutti credono, vero? -.

- Piccola, non credere alla metà delle stronzate che sparano gli Intrepidi. Dovrebbero inserirlo come avvertimento sul manifesto della fazione - ribatto, con un ghigno sulle labbra. - Ti avevo già accennato che la mia reputazione non corrisponde del tutto alla realtà. Ho avuto le mie esperienze, ma non così tante come si dice in giro. E, tanto per la cronaca, la mia prima volta è stata terribile -.

La mano di Zelda, che scorreva su e giù lungo la mia schiena, si blocca all'altezza delle scapole. - Davvero? Mi dispiace -.

Scrollo le spalle. - Niente di tragico. Più che altro è stata un'esperienza umiliante. Un giorno o l'altro te la racconterò -.

Capisco dalla sua espressione che si sta trattenendo dal chiedermi ulteriori informazioni: la curiosità è stampata a caratteri cubitali sul suo viso. Tuttavia non cerca di forzarmi: semplicemente, mi invita ad appoggiare la testa sul suo seno, dove risuona il battito del cuore. - La tua poca esperienza non è un problema, anzi. Almeno su questo saremo quasi alla pari -. Mi massaggia la nuca con i polpastrelli, ed è talmente piacevole che per poco non mi metto a fare le fusa. - Imparerai con me. Impareremo insieme -.

- Alla pari? - bofonchio, alzando mentalmente gli occhi al cielo. - Noi due non saremo mai alla pari, in nulla. Tu sei sempre un passo avanti a me, in ogni cosa -.

Il mio tono imbronciato la fa ridere. - Beh, in questo caso avrò bisogno che qualcuno mi guardi le spalle - mormora al mio orecchio. - E io mi volterò sempre verso di te, non ti lascerò indietro -. Quando china la testa per darmi un bacio sulla guancia, i suoi capelli mi piovono sulla spalla come una cascata di seta. - Perché anch'io ti amo, Eric -.

Cosa diavolo ho fatto per meritarmi tutto questo?, mi chiedo, l'emozione che mi si condensa in gola sotto forma di un macigno che mi rende difficile deglutire.

Sciolgo lentamente l'abbraccio, sollevando la testa dal suo seno per darle un bacio. Un bacio lungo e profondo, da cui emergiamo col fiato corto e le labbra brucianti. A cui ne segue un altro, e un altro ancora, finché non mi stacco da lei, ansimante e con l'autocontrollo che minaccia di sfuggirmi di mano.

E Zelda non collabora: invece di riportarmi in carreggiata, mi ha trascinato sopra di sé e mi stringe i fianchi tra le gambe. Qualche altro secondo in questa posizione e non risponderò più di me.

Meglio mettere un freno alla passione, subito, prima di creare ulteriori danni alla mia psiche. - Ci sarà una prossima volta, piccola, ma non adesso. Qualche ora di sonno farà bene ad entrambi - decreto, la voce che mi esce di bocca a stento. Le scosto alcune ciocche di capelli dalla fronte, passando i pollici sugli zigomi arrossati. Storco le labbra in una smorfia ironica. - Specialmente a me, così magari la prossima volta durerò di più e non farò di nuovo la figura del pivellino -.

Alla mia affermazione Zelda sgrana gli occhi, per poi scoppiare a ridere di gusto. Mi libera dal suo abbraccio e aspetta che mi stenda accanto a lei, prima di appoggiare la testa e il palmo sul mio petto. - Come sempre ti preoccupi delle cose sbagliate - sostiene, tamburellando le dita sui miei tatuaggi. - Vederti perdere il controllo è stato fantastico. Se è questo l'effetto che ti faccio, non posso che esserne lusingata -.

Il suo tono estremamente compiaciuto mi fa roteare gli occhi e sorridere allo stesso tempo. Zelda non ha nemmeno una vaga idea di quale potere eserciti su di me, di cosa sarei disposto a fare per lei. Di cosa stia pensando di farle ora.

Stringo la presa sul suo fianco. - Lasciami riprendere le forze e ti mostrerò la vera portata di questo effetto -.

La sua risata mi accompagna nel mondo dei sogni come la più delicata delle ninne nanne.




 

* * *




 

Zelda


 

Un calore piacevole risale il mio corpo, avvitandosi come una spirale dal basso ventre al petto.

Per un attimo mi convinco di star ancora sognando, poi sento il fruscio delle lenzuola e qualcosa di ruvido sfiorarmi il braccio. Socchiudo le palpebre con cautela, chiedendomi se gli eventi di stanotte siano effettivamente avvenuti o se sia stato tutto un parto della mia immaginazione. Okay, le lucine sono ancora al loro posto, ma potrei anche...

Un ansito mi sale alle labbra, bloccando prontamente il pensiero che stavo formulando. Apro del tutto gli occhi e metto a fuoco un paio di labbra, accessoriate di piercing, che stanno risalendo il mio fianco in un'umida carezza.

Scatto a sedere sul letto neanche avessi preso la scossa ed Eric sorride, senza sollevare il viso dalla mia pancia. - Ben svegliata, piccola -.

Batto le palpebre, rimanendo a fissarlo come inebetita. Sondo la sua espressione, alla ricerca di possibili ricadute nelle paranoie della sera prima, ma il suo sguardo è tranquillo e il sorriso che mi rivolge è sincero e divertito.

Grazie al cielo, penso, esultando tra me. Perché al momento sarei incapace di affrontare di nuovo una discussione come quella di stanotte. È già tanto aver trovato l'energia necessaria a mettermi seduta sul materasso: sento dolore dappertutto, in modo particolare tra le gambe e in vari muscoli che non immaginavo neanche di possedere. - Buongiorno a te - bofonchio, strofinandomi gli occhi assonnati. Mentre cerco di riprendere un contatto col mondo, le labbra di Eric proseguono nella loro perlustrazione, soffermandosi sulla pelle sensibile sopra il seno.

I suoi occhi grigi catturano infine tutta la mia attenzione. Li rivedo accesi di passione, mentre lui si muove con decisione sopra di me, dentro di me...

Un momento. Abbasso lo sguardo e inarco un sopracciglio. - Sei vestito - lo accuso, osservando con astio tutti quei centimetri di tessuto e cuoio nero che mi separano dal suo corpo. - Non avevi detto che Max ti aveva esonerato dal lavoro? -.

- E' così -.

- Allora spogliati e torna a letto con me -.

- Lo farei con molto piacere, ma William mi ha mandato a chiamare. Ha bisogno di me al Centro di controllo tra un'ora -. La mia occhiata di disapprovazione lo fa scoppiare a ridere. Mi fa scorrere la punta delle dita dalle spalle al collo, per poi infilarle tra i miei capelli spettinati. - Mi accompagni a colazione? O preferisci che te la porti qui? -.

Mi lascio tentare dalla seconda proposta per qualche istante. Poi scuoto la testa e mi alzo dal letto, diretta in bagno. - Vengo con te. Così dopo posso passare a vedere come sta James -. Una veloce occhiata allo specchio mi fa capire che rimettere ordine nel cespuglio arruffato che mi ritrovo in testa impiegherà più tempo del previsto. - Ehm, va' pure avanti. Ti raggiungo tra dieci... -.

Neanche il tempo di terminare la frase che mi ritrovo Eric alle spalle, armato di spazzola. Oh, già, mi ero scordata delle sue doti di parrucchiere. Se con una pistola in mano è formidabile, con un pettine e un elastico è capace di operare magie. In meno di due minuti realizza un perfetto chignon e, quando si accorge del mio sguardo adorante, si limita ad una scrollata di spalle. - Visto? Non ci voleva molto -. Detto questo esce dal bagno e chiude la porta, per lasciarmi qualche minuto di privacy mentre finisco di prepararmi.

Sorrido tra me, per la piega presa dagli eventi. Ora siamo davvero una coppia, due persone unite da un rapporto fisico e da un forte sentimento. Che condividono gli spazi. Che discutono, si azzuffano, ma poi trovano comunque il modo di riconciliarsi.

- Mi ha detto che mi ama - ripeto più volte a bassa voce, rivolta al mio riflesso allo specchio. Non me lo sarei mai aspettata; pensavo che per lui fosse troppo da dire, che gli ci volesse molto più tempo per aprirsi, dato che ormai lo conosco bene e so come ragiona. Invece mi ha stupita, parecchie volte nel corso di questa notte, e, nel ripensare a tutto quello che abbiamo fatto e detto, le mie guance prendono colore.

Melanie e Leslie impazziranno quando glielo racconterò. Ovviamente omettendo qualche dettaglio troppo privato, che conserverò gelosamente solo per me. E finalmente potrò tappare la bocca a Josie, quando oserà rilasciare commenti poco carini riguardanti le doti amatorie del mio ragazzo. Eric non ha nulla da invidiare a James, o a chiunque altro. Lui è perfetto per me: non mi serve andare a letto con altri - come mi ha velatamente consigliato Josie - per capirlo.

Pulita e pettinata, mi vesto in fretta con le prime cose che trovo: jeans scuri e una maglietta nera a maniche lunghe che mi lascia scoperte le spalle. Il tessuto aderente attira subito lo sguardo del mio ragazzo, che mi si avvicina con lo stesso cipiglio di un leone a caccia. Un leone a pancia vuota che ha appena avvistato una preda succulenta.

Eric china la testa per baciarmi e mi solleva tra le braccia, facendomi appoggiare la schiena contro la porta. Con le gambe strette attorno alla sua vita, rispondo al suo assalto con la stessa eccitazione, finendo quasi per strappargli di dosso la giacca. Lui smette di baciarmi soltanto per darmi un leggero morso sul collo. Ridacchio sottovoce. - Mi sembri particolarmente affamato stamattina -.

Lui rispolvera il suo celebre ghigno. - Già, sarà meglio andare a fare colazione, o finirò per mangiare te -. Mi rimette in piedi e, dopo una rapida sistemata ai vestiti, usciamo dalla stanza.

Mentre camminiamo fianco a fianco lungo i corridoi, diretti in mensa, parecchi occhi si posano su di noi. Non ci teniamo per mano, non ci tocchiamo nemmeno, eppure le persone che incrociamo ci guardano come se fossimo nudi, o, peggio, ricoperti di ghirlande di fiori come dei Pacifici.

Eric non pare farci caso: tira dritto senza fermarsi a ricambiare i vari saluti e cenni del capo. Io, invece, vengo placcata ogni due o tre passi da ex pazienti, loro familiari e altra gente che conosco di vista. Quando mi libero dalle loro chiacchiere, mi accorgo che il mio amato ragazzo mi ha distanziata di parecchio. È appoggiato alla parete del tunnel quasi mezzo chilometro più avanti e mi tiene puntato addosso uno sguardo sarcastico finché non lo raggiungo. - Sempre troppo buona - sentenzia, passandomi un braccio attorno alla vita.

Mi tiene ancorata a sé per il resto del tragitto, scongiurando i tentativi di conversazione degli altri membri della fazione. In mensa c'è parecchia gente, ma la coda per il buffet non è tanto lunga. Mi piazzo alla fine della fila, rifiutandomi di saltarla grazie ai privilegi di cui gode il mio ragazzo.

Dall'occhiata che mi lancia, credo che Eric stia meditando di prendermi in spalla e trascinarmi dentro, tanto per sottolineare il proprio ruolo di macho. - Provaci, e ti giuro che mi siederò vicino a Quattro ad ogni pasto, per tutto il prossimo anno - sibilo, e la serietà della minaccia pare fare effetto.

Lui borbotta qualcosa, ma alla fine mi si incolla addosso e aspetta pazientemente il proprio turno. Gli altri Intrepidi continuano ad osservarlo con curiosità e con un pizzico di timore, come se fosse un felino apparentemente innocuo, ma fossero comunque consapevoli che basterebbe il minimo fastidio a portarlo a scoprire le zanne.

Meglio dare da mangiare al nostro leone prima che si sbrani qualcuno, mi dico, cominciando a riempire il vassoio. Prendo il caffé per Eric, il té per me, una valanga di biscotti e alcune fette di pane tostato. Poi mi ricordo che mangeremo in tavoli separati e perdo un po' della mia allegria. Allungo una mano per prendere un altro vassoio, ma Eric scuote la testa e mi precede ad un tavolo vuoto.

Prendo posto al suo fianco e gli sorrido. - Ti ricordi il giorno delle visite? Quando ti sei seduto con me a colazione? -.

Lui mi passa la tazza di té, annuendo. - Sembra sia trascorso un sacco di tempo -.

- Beh, sono cambiate molte cose da allora -. Mescolo con calma il té, aspettando che si raffreddi. - Avresti mai detto che saremmo finiti insieme? -.

- No. All'inizio mi imponevo di non restarti vicino più del necessario - replica, posando una mano sul mio ginocchio e facendomi trasalire. Le sue dita risalgono lungo la mia coscia in una lenta carezza. - Poi ho capito che sarebbe stato impossibile. Specialmente dopo averti vista affrontare i tuoi fratelli per difendere me. Una delle azioni più coraggiose a cui abbia mai assistito -.

Vengo percorsa da un brivido, quando la scena si affaccia alla memoria. Per distrarmi metto in bocca un pezzo di biscotto. - Pensa che non mi ero neanche resa conto di star flirtando con te finché non me l'hanno fatto notare i miei amici -.

- Oh, piccola - risponde lui, dopo aver bevuto un sorso di caffé. - Io ho cominciato a flirtare con te non appena sei scesa da quel treno -.

Gli rivolgo un'occhiata scettica. - Bel modo di flirtare, allora - ribatto, ripensando alle sue punizioni, ai suoi sguardi di disprezzo. - Non facevi che urlarmi contro -.

- E' il risultato che conta, no? - mi provoca, dando un morso al pane tostato.

- Tu sei proprio un... -.

- ...Capofazione? -.

Non era questo il termine che avevo in mente, ma la voce di Felix mi interrompe prima che possa terminare l'insulto. I due gemelli sono fermi a poca distanza dal nostro tavolo, entrambi con un punto di domanda dipinto in viso.

Xavier guarda prima Eric, poi il vassoio che stiamo condividendo. - Cosa ci fa un Capofazione al nostro tavolo? - chiede, con lo stesso tono che userei io se mai dovessi imbattermi in un Abnegante con i capelli tinti di viola.

Eric gli riserva un'occhiata di sprezzante sarcasmo. - Per tua fortuna non sono armato - replica, e scorgo un guizzo sul volto di Felix. Come se stesse trattenendo un sorriso. - Ti conviene approfittarne, bamboccio -.

Xavier apre la bocca per parlare, ma suo fratello lo previene con una gomitata. - Dai, sediamoci. Leslie e Melanie arriveranno fra poco -.

Invece il primo ad arrivare è Quattro, che non batte ciglio nel notare uno dei leader lontano dalla solita postazione. Lui ed Eric si scambiano un rigido cenno del capo, il massimo dell'interazione civile che ci si possa aspettare da loro.

Beh, perlomeno non si stanno squadrando come due belve assetate di sangue.

Il sopraggiungere di Melanie ci toglie dall'imbarazzo. Mentre lei ci aggiorna sulle condizioni di James, Felix va a procurarle la colazione. - Elizabeth dice che sta visibilmente migliorando, ma non ha ancora ripreso conoscenza del tutto -. Sospira, sconfortata. - Da domani devo tornare a pattugliare la recinzione. Spero che si risvegli entro stasera, così potrò sgridarlo come si deve per avermi fatto spaventare in questo modo -.

Con la coda dell'occhio vedo Eric annuire. - Si rimetterà. James ha la testa dura -.

I gemelli si voltano verso di lui ad occhi sgranati, neanche stesse per improvvisare uno spogliarello in piedi sopra al tavolo. Quattro continua a mangiare come se niente fosse, mentre Melanie sorride con gratitudine al Capofazione.

Dopo un po' i miei amici cominciano a scambiare pettegolezzi - segno che la tensione iniziale è scemata - e cercano pure di coinvolgere Eric nella conversazione. Osservo con soddisfazione il mio ragazzo mentre discute con i gemelli, senza far volare insulti o minacce. Melanie mi strizza l'occhio con complicità dall'altra parte del tavolo. Quattro non parla molto: si rivolge ad Eric solo quando gli passa accanto per uscire dalla mensa, dicendo qualcosa su una minaccia sempre valida. Il mio ragazzo gli risponde con un mezzo ringhio. Io faccio rimbalzare lo sguardo dall'uno all'altro, senza osare chiedere spiegazioni.

Preferisco concentrarmi su Melanie, che mi sta illustrando il piano per la prossima maratona di shopping. Coinvolge anche Leslie, non appena prende posto accanto a lei, alla quale non rimane altro che annuire mentre mastica il proprio muffin.

Alzo gli occhi al soffitto. - Con tutto il lavoro che ho da fare, è già tanto se trovo il tempo per dormire e mangiare. Altro che shopping -. Sotto lo sguardo affilato di Melanie, mi affretto a riformulare: - Però sono in riposo fino a domani. Possiamo andare subito, tanto non ho impegni prima di pranzo -.

Poi spero di potermi rinchiudere in camera assieme al mio ragazzo, sempre che William non trovi altre scuse per trattenerlo.

Andare in giro per i negozietti della residenza non mi entusiasma, ma servirà ad entrambe come diversivo: a Melanie, per dimenticare per qualche ora la preoccupazione per suo fratello; a me, per non restare con le mani in mano durante l'assenza di Eric. Potrei – anzi, dovrei – mettermi a studiare seriamente i tomi di medicina che Elizabeth mi ha assegnato, ma solo al pensiero mi sale un tremendo mal di testa. Ho tutta l'intenzione di godermi questa breve vacanza: i libri possono aspettare.

Una volta terminata la colazione, Eric mi saluta con un bacio frettoloso e imbocca l'uscita per recarsi al Centro di controllo. Nemmeno Leslie e i gemelli possono accompagnarci nel tour di shopping: hanno i loro compiti da svolgere, niente esonero per loro. Morale: rimango sola nelle grinfie di Melanie.

Decido di non raccontarle quello che è successo tra me e Eric stanotte: meglio aspettare che ci sia anche Leslie, altrimenti dovrei ripetere due volte la stessa storia. E già so che sarà imbarazzante e che arrossirò come un peperone, non essendo troppo abituata a spifferare in giro i miei fatti privati. Ma devo dirlo a qualcuno, condividere con le mie amiche questo passo in avanti nella relazione con Eric.

Nella mente mi scorrono delle immagini di stanotte, neanche il mio cervello fosse diventato all'improvviso una sala proiezioni.

Il corpo di Eric che combacia col mio, la sua lingua che scorre sul mio seno, le sue mani che mi accarezzano le cosce...

- Stai bene? - mi chiede Mel, distogliendo per un momento gli occhi dai vestiti che sta valutando. - Sei diventata tutta rossa all'improvviso -.

Mi schiarisco la gola con un colpo di tosse. - Tutto a posto - farfuglio, facendomi aria con una mano. Il mio viso scotta come se fossi rimasta un intero pomeriggio sotto il sole. - Ho solo caldo -.

Capisco dal suo cipiglio di non averla convinta. Tuttavia Mel lascia perdere e torna a frugare in mezzo agli scaffali pieni di indumenti. - Mi piaci pettinata così. Ti ci vorrebbe un bel paio di orecchini e qualcosa che metta in risalto...ecco! - esclama, estraendo dal mucchio un top color vinaccia. È senza spalline, dalla forma assimetrica, e con una cerniera cucita in diagonale. Quando me lo sventola davanti so di non avere altra scelta: mi dirigo senza fiatare in uno dei camerini, consapevole che se iniziassi una discussione non ne uscirei da vincitrice. Obiettivamente il top non è neanche tanto male, mi piace la scollatura – provocante, ma non troppo – e si adatta al modello di jeans che indosso, lasciando scoperta una striscia di pelle sui fianchi.

Melanie approva, annuendo, e mi passa anche un paio di orecchini pendenti dello stesso colore del top, talmente lunghi che mi sfiorano le clavicole. Sto quasi per lasciarmi convincere a comprare tutto, quando sento una voce ben nota chiamarmi, il tono squillante che rimbomba tra le pareti del negozio.

Mi volto sorpresa, mentre Josie sopraggiunge correndo. Si ferma ansante davanti al camerino e le ci vogliono un paio di minuti per riprendere fiato.

- Vi ho cercate dappertutto - esordisce, gettando indietro i capelli che le si erano appiccicati in fronte. - James si è svegliato. Elizabeth gli sta togliendo le bende e mi ha detto di chiamarvi -.

A quelle parole Melanie lascia cadere a terra i vestiti che aveva ammucchiato tra le braccia. Senza degnare Josie di uno sguardo né di un ringraziamento, si precipita fuori dal negozio. Io mi lego in vita la maglia che avevo lasciato in camerino e allungo qualche gettone al tizio dietro al bancone. Poi sfreccio dietro ad entrambe, raggiungendo Josie dopo pochi passi. Incredibile – lei mi sorride raggiante. Roba che se non lo vedi non ci credi.

- Sembra vada tutto bene. Ci riconosce e parla, ha perfino fatto una battuta -. Josie scuote la lunga chioma ramata, poi mi lancia un'occhiata di sbieco. - Carino quel top. Certo, con quel poco seno che hai non gli rendi giustizia -.

Potrei offendermi, se non notassi il suo sorriso furbo e il tono tutt'altro che pungente. Josie è talmente felice da non riuscire ad apparire stronza come al solito. Se continuasse a mantenere questo atteggiamento, potrei quasi trovarla simpatica.

Quasi.


 








 

- - - - - - - - - - - -

Ciao e ben ritrovati, cari Burners!

Stavolta sono riuscita ad aggiornare in tempi relativamente brevi. La storia procede e non manca moltissimo alla conclusione. Poi ci sarà una seconda parte, ovvero Divergent e Insurgent dal punto di vista di Eric, ma sicuramente sarà più corta di questa. Corta ma corposa!

Voi cosa ne pensate? Vi piacciono questi nuovi sviluppi? Vero che mi lasciate un commentino piccolo piccolo, che mi fa sempre tanto piacere? E se vi dicessi che sto partendo con la riscrittura della storia per trasformarla in un vero e proprio romanzo originale?!
Come sempre vi ringrazio per il supporto che mi date, vi adoro!

Un bacione, al prossimo aggiornamento!

Lizz


 

p.s. la minaccia di Quattro potete trovarla alla fine del cap. 21. La canzone che dà il titolo al capitolo è dei Poets of the Fall, sanciti ufficialmente come band della coppia Zeric.

p.p.s. per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

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Capitolo 55
*** Not over yet ***




Capitolo 54

 


 

Eric


 

- Ti conviene rimetterti in fretta -, scandisco lentamente, a beneficio del mio interlocutore. Nella fattispecie, James, che sta subendo un controllo approfondito da parte di Elizabeth da ben venticinque minuti. - E non appena ti alzerai da quella brandina, ti ci farò ritornare a suon di pugni, sappilo -.

- Quante smancerie, piccolo -, ridacchia lui, la voce arrocchita e spezzata da qualche secco colpo di tosse. - Continua così e mi farai arrossire -.

Sbuffo sonoramente e mi siedo ai piedi del lettino, continuando ad osservarlo in cagnesco. Ero appena arrivato al Centro di controllo, pronto a sorbirmi un lungo turno di monitoraggio davanti agli schermi delle videocamere, quando un giovane Intrepido è corso a chiamarmi. Era stata Elizabeth a mandarlo, per avvisarmi del miglioramento delle condizioni di James.

Sono contento di aver preso il primo treno per la Residenza e di aver potuto assistere al risveglio del mio collega. Non credevo che vederlo riaprire gli occhi e sentirlo parlare a vanvera come suo solito mi avrebbe donato tutto questo sollievo. Elizabeth ha già provveduto a convocare i medici Eruditi per una valutazione più dettagliata, ma, dato che il suo cipiglio si distende parecchio mentre esamina le condizioni del paziente, deduco che la sua diagnosi non sia poi così terribile. Quello zotico è vigile e ciarliero, e rimane impassibile perfino mentre l'infermiera gli disinfetta le ferite più profonde di spalla e collo. Gli Eruditi le hanno ordinato di non somministrare alcuna medicina, nemmeno un antidolorifico, finché non l'avranno visitato di persona. Quindi a James non resta che sopportare.

Una piccola - minuscola - parte di me è costretta ad ammettere di provare un vago rispetto per lui. Altri Intrepidi non avrebbero smesso un attimo di lamentarsi, invece il mio collega non batte ciglio, nemmeno un sospiro di dolore.

Almeno finché non volta il viso verso la porta dell'infermeria. Un vago rossore gli tinge gli zigomi e si accascia sulla brandina mugugnando come se lo stessimo arrostendo.

Confuso da quel cambio di atteggiamento, sto per chiedere spiegazioni, ma vengo preceduto da una specie di ciclone dai capelli rossi. Josie quasi mi spinge via di peso per potersi avvicinare il più possile al mio collega senza interrompere il lavoro di Elizabeth. - James, caro, come stai? -.

Ho sentito bene? L'ha davvero chiamato "James caro"?!

Aggrotto le sopracciglia, esaminando l'interazione tra i due. Josie comincia a blaterare come d'abitudine - su quanto fosse preoccupata per le sue condizioni e altre scemenze simili -, e James, ancora impegnato a fingersi moribondo, la guarda come se fosse la creatura più splendida dell'universo.

E' ufficiale: sto per vomitare.

Forse infastidita quanto me da tutte quelle moine da piccioncini, Elizabeth alza la testa per scoccare un'occhiata di sbieco a Josie. - Dato che ci metterò un po' a cambiare il bendaggio, nel frattempo potresti avvertire Melanie e Zelda? Saranno felici di sapere che il nostro paziente ha riaperto gli occhi -.

Josie stringe le labbra, palesemente contrariata, ma non replica. Si avvia di malavoglia verso la porta, lanciando un'ultima occhiata amorevole al mio collega prima di uscire.

Non so se esserne più sorpreso o disgustato. Aspetto che Elizabeth si allontani un momento per prendere dell'altro disinfettante, per poi chiedere con sufficienza: - Da quanto va avanti? -.

Noto un guizzo sulla mascella di James. - Di cosa stai parlando? -.

- Oh, hai capito benissimo, caro -, lo stuzzico, riservandogli un sorriso perfido. - Ora potrò finalmente vendicarmi di tutte le tue odiose battutine sul mio rapporto con Zelda. Non aspettavo altro: sarò sempre in prima linea, pronto ad infierire -.

James emette un lamento disarticolato, per poi accasciarsi di nuovo sul cuscino. - Quanta cattiveria in un solo uomo -, bofonchia.

Gli lancio qualche altra frecciatina - corredata di un buon numero di caro ben calibrati -, che lui accusa con un sospiro sconfortato.

Il mio attacco frontale viene interrotto dall'arrivo di Melanie, che corre ad abbracciare il fratello, scoppiando in lacrime sulla sua spalla. Credo sia la prima volta che la vedo piangere, da quando la conosco. Mi alzo dalla brandina e mi faccio da parte per concedere loro un po' di privacy. Quando sulla porta compaiono Zelda e Josie, faccio loro segno di sloggiare. - James sta bene. Meglio se torniamo dopo -, spiego, unicamente a beneficio della mia ragazza.

Lei osserva i fratelli abbracciati e annuisce, dandomi una mano a trascinare fuori una reclutante Josie. Ci separiamo da lei poco dopo il Pozzo, per poi dirigerci verso l'ufficio di Max. Devo avvertire sia lui che gli altri Capifazione dei progressi di James, ne saranno senza dubbio sollevati tanto quanto me.

- Sono davvero felice che James si sia svegliato. Come ti è sembrato? Normale? - mi chiede Zelda, dopo qualche passo.

Soffoco una risata dietro un colpo di tosse. - Non ho notato particolari cambiamenti rispetto a prima. Rimane lo stesso fesso pettegolo e fastidioso, anche se meno donnaiolo del previsto -, concludo, in tono allusivo.

La reazione di Zelda non è quella che mi aspettavo. Mi lancia un'occhiata e incurva le labbra in una smorfia di delusione, quasi un broncio infantile. - Ah, quindi l'hai scoperto. E cosa ne pensi? -.

Nemmeno la più piccola traccia di sorpresa o curiosità. Ne era già a conoscenza? Proseguo cautamente, per sondare il terreno: - Penso che siano pericolosi presi singolarmente, quindi accoppiati sono una potenziale catastrofe per chiunque li circondi. Ma non è questo il punto -, affermo, assotigliando gli occhi con sospetto. - Tu lo sapevi, vero? E perchè non mi hai detto nulla? Credevo che tra noi non ci fossero segreti -.

Zelda alza gli occhi al cielo. - Capirai, neanche fosse un evento di importanza capitale. Me l'ha confessato Josie un paio di giorni fa e mi ha chiesto di non dirlo a nessuno -.

Sbarro gli occhi, fingendomi atterrito. - E da quando mantieni una promessa fatta a Josie? -.

- Non avevo intenzione di farlo, ovviamente -, ribatte la mia ragazza, accennando una risata. - Avrei dovuto dirtelo prima, così avrei potuto ammirare in diretta la tua espressione scioccata e schifata -.

Scuoto la testa, sospirando. - Almeno ce li siamo tolti dai piedi -.

Zelda annuisce. - Già. Con tutte quelle occhiate languide che si lanciano, suppongo che non troveranno il tempo per infastidirci come fanno di solito -.

A qualche passo dall'ufficio di Max, mi volto totalmente verso di lei, squadrandola da capo a piedi. Avevo già notato il suo cambio di look, ma l'infermeria non era certo il luogo più adatto per approfondire l'argomento. - Vedo che ti sei lasciata convincere a fare shopping -. Poso gli occhi sul top scollato e approvo con un cenno. - Conoscendo gli standard di Melanie, temevo il peggio. Invece questo colore ti si addice -.

- Sapevo che avresti apprezzato -. Si alza in punta di piedi per scoccarmi un bacio a fior di labbra. - Ora pensiamo alle questioni importanti. Tu hai i tuoi colleghi da avvertire, ed io un amico da assistere e ringraziare. Diamoci da fare, Capofazione -.

Invece di lasciarla andare, le circondo i fianchi con le braccia per avvicinarla a me e baciarla di nuovo. - Zelda, nessuna questione è più importante di te, chiaro? -, puntualizzo, guardandola fisso. - Quindi non stressarti troppo e prenditela comoda, okay? Ed evita di assecondare James: non aspettava altro che essere circondato da amorevoli infermiere -, concludo, in tono sarcastico.

Lei scoppia a ridere. - Cercherò di non viziarlo troppo, lo prometto. Anche se dubito che Josie mi permetterebbe di stargli vicino più del necessario -. Dopo un'ultima stretta, scioglie l'abbraccio e mi fa cenno di andare. - Ci vediamo dopo, amore -. E, prima che possa ribattere, è già corsa via lungo il corridoio.

Lasciandomi lì a sorridere al vuoto come un povero idiota.




 

* * *

 


 

Zelda


 

Quando Elizabeth avvolge con cautela l'ultima striscia di garza attorno al suo collo, James tira un sospiro di sollievo e ci sorride. - Steso in un comodo letto, accudito da belle donne...ah, valeva la pena farsi male -, dichiara, beccandosi in risposta un'occhiataccia dall'infermiera.

- Non dirlo neanche per scherzo -, lo apostrofa di rimando Melanie, strizzandogli così forte la mano da farlo gemere. Da come la mia amica digrigna i denti, credo si sta trattenendo a malapena dal prenderlo a schiaffi. L'unica variante punitiva che si può permettere, al momento, è stritolargli le dita e direi che ne approfitta volentieri. - Eric mi ha raccontato com'è andata. Se solo tu non avessi ... -.

- Eh no, non dare la colpa a lui -, la interrompe Josie, inchiodandola con uno sguardo truce dall'altro lato della brandina. Tiene la mano libera di James tra le proprie, ma, al contrario di Melanie, la accarezza gentilmente. - Se non fosse stato per tuo fratello, a quest'ora metà della squadra sarebbe morta, Eric compreso -, commenta severamente, facendomi sussultare.

Melanie arriccia le labbra in una smorfia. - Stavo forse parlando con te? Questa è una discussione tra me e mio fratello, non ti intromettere -.

Colgo lo sguardo supplichevole di James, ma mi limito a scuotere la testa con un sorriso di scuse. - Mai frapporsi tra due rosse che litigano -, gli rispondo con il labiale. Lui emette un sospiro rassegnato e chiude gli occhi, mentre la discussione tra le due si fa più accesa.

Da quando sono tornata in infermeria – quasi mezz'ora fa – Josie e Melanie mi hanno concesso a malapena il tempo di ringraziare il Capofazione e di dargli una pacca affettuosa sul dorso della mano, per poi usare ogni mezzo per contendersi la sua attenzione. Ora però stanno esagerando: mi basta un'occhiata al viso pallido e tirato di James per capire che le uniche cose di cui ha bisogno al momento sono assoluta tranquillità e riposo.

Per fortuna ci pensa il mio capo a risolvere la questione. - Fra qualche ora arriveranno i chirurghi Eruditi. Devo chiudere la sala al pubblico e preparare il paziente per la visita -, dichiara Elizabeth, con un tono che non ammette repliche. Dirige il suo miglior cipiglio autorevole sulle due contendenti e indica la porta con una mano. - Potrete tornare nel tardo pomeriggio. Vi manderò a chiamare -.

Melanie e Josie si staccano controvoglia dalle mani di James e mi seguono verso l'uscita. Dato che è quasi ora di pranzo ne approfittiamo per fare un salto in mensa prima che si faccia troppo affollata. Ci sediamo tutte e tre attorno al primo tavolo disponibile e mangiamo in silenzio i nostri hamburger. Ad un certo punto riusciamo perfino ad avviare una conversazione senza scambiarci insulti o battute ironiche. Un bel risultato, non c'è che dire.

Man mano che la mensa si riempie, scruto i tavoli alla ricerca di qualche volto conosciuto, ma dei miei amici e di Eric neanche l'ombra. Capisco il motivo solo dopo aver intercettato per sbaglio un frammento di dialogo proveniente dal tavolo accanto.

Due Intrepidi si stavano lamentando dei turni extra che erano stati loro assegnati a causa delle continue incursioni, in varie zone della città, da parte degli Esclusi. Da quel che sono riuscita a capire, non si tratta di rappresaglie armate o di attacchi violenti, ma di semplici furti, nemmeno tanto ingenti. Eppure hanno generato il panico: agli Intrepidi arrivano richieste allarmate di ogni tipo, a cui hanno il dovere di rispondere, non importa quanto siano infondate e assurde.

- I Capifazione dei Candidi stanno dando di matto -, aveva esclamato uno dei due, mentre mangiava in fretta la propria porzione di patatine fritte. - Il Centro di controllo è un delirio. Prima ho incrociato Max ed Eric, e non mi sembravano affatto contenti -.

Tanto per usare un eufemismo, penso, mentre seguo le altre due fuori dalla mensa. Speravo che le cattive notizie fossero terminate, almeno per questa settimana.

Procediamo fianco a fianco lungo il corridoio che conduce al Pozzo e ci sediamo su alcuni cubi di cemento vicino alla ringhiera, per passare il tempo in attesa del prossimo orario di visita. Non so perchè Josie sia rimasta con noi, ma la sua presenza, stranamente, non mi infastidisce come accadeva in passato. Mi sarò abituata ad averla intorno, suppongo.

Ad un certo punto ci raggiungono alcune delle componenti della sua squadra, facilmente distinguibili grazie al tatuaggio a forma di pantera stilizzata impresso alla base della schiena, e ai loro look eccentrici e disinibiti. Una parte di me invidia i loro atteggiamenti strafottenti e impavidi, il modo ardito e impudico con cui fissano le altre persone, come se niente e nessuno potesse mai intimorirle. Conosco già alcune di loro di vista, altre mi sono del tutto sconosciute.

Ci pensa Josie, da buon capobanda, a fare le dovute presentazioni. A mio beneficio, naturalmente, dato che Melanie le conosce quasi tutte. Delle cinque che mi stringono la mano, soltanto una mi rivolge un sorriso caloroso. Si chiama Tamara ed è alta più o meno quanto Eric. Ha pelle e capelli scuri, legati in fitte treccine che le piovono sulle spalle nude. Indossa un top molto simile al mio e ha i polsi ricoperti di braccialetti di cuoio intrecciato. - Finalmente posso conoscerti! A dispetto di quanto diceva Josie, ho sempre pensato che fossi una tipa in gamba -, mi confessa. - Sai, ci sono volute settimane per farle superare quella sconfitta alla trave. Ogni volta che parlava di te diventava una iena, specialmente se ti vedeva assieme ad Eric -.

- Ma non mi dire -, replico, azzardando un'occhiata in direzione della rossa.

Josie scuote la testa. - Quella ormai è acqua passata. E diciamo che è stato un errore di valutazione da parte mia. Se non mi fossi impuntata ciecamente su Eric, avrei avuto molto più tempo per frequentare James. Lui è il migliore, sotto ogni punto di vista -, aggiunge, in tono allusivo.

Le altre ragazze sghignazzano, riuscendo a strappare un sorriso anche a Melanie, e a me non resta che scuotere la testa. Sto quasi per accettare la sfida e lanciarmi a testa bassa in difesa del mio ragazzo, quando una scarica di brividi dietro al collo mi fa immobilizzare. Porto di riflesso le mani sulle braccia, come se mi fossi appena ritrovata in mezzo ad una forte corrente di aria gelida.

Mi volto lentamente, trattenendo il respiro. Ed è come ritornare nella sala delle simulazioni.

Eccoli avanzare attraverso l'entrata, in tutta la loro arroganza di puro stampo erudita: cinque uomini vestiti di blu dalla testa ai piedi, scortati da una decina di Intrepidi. E di questi cinque uomini, due hanno sfumature di blu anche tra i capelli.

Rimango a fissare la comitiva, sentendomi percorrere da sensazioni contrastanti. Credevo avrei provato odio e rabbia, se mai avessi avuto l'occasione di rivedere i miei familiari. Invece la vista di Fergus e Alfred Blackburn mi lascia destabilizzata e un po' intontita, come se avessi ricevuto uno schiaffo inatteso e faticassi a riprendermi. Mi rendo conto di non avvertire nessun legame particolare con quei due uomini che tanto mi somigliano, il mio cervello non li identifica più come appartenenti alla mia stessa famiglia.

Una sola emozione rimane, seppur tenti in ogni modo di soffocarla: la paura. Ho la pelle d'oca sulle braccia, e un cattivo presentimento fa risuonare delle campane immaginarie nella mia mente. Resto impietrita a guardarli camminare, mentre attorno a me sento rimbombare i commenti e i bisbigli sorpresi degli altri Intrepidi. Melanie non dice nulla, ma credo abbia intuito la loro identità, perché la sento trattenere il fiato. Mi afferra una mano e la stringe forte, offrendomi il proprio sostegno.

Josie socchiude gli occhi e stringe le labbra. - E questi chi sono? -, chiede, mentre il gruppo sotto scorta passa a pochi metri da noi. - Non sono gli stessi medici che hanno operato James -.

Stringo i pugni contro i fianchi. - I due con i capelli scuri sono mio padre e uno dei miei fratelli maggiori -, le rispondo, attirando parecchi sguardi stupiti. - Degli altri tre non so nulla -.

Però noto la tensione sui loro volti. Trovarsi a contatto con tutti questi individui tatuati e ricoperti di cuoio nero deve essere un bello shock per loro, abituati a girovagare tra aule scolastiche e sale operatorie. Soltanto mio padre e Alfred sembrano del tutto a loro agio, come se fossero nel bel mezzo di un'allegra scampagnata. Le loro espressioni si alterano leggermente solo dopo avermi inquadrata, unico viso familiare in mezzo ad una folla di sconosciuti. Beh, familiare si fa per dire, perché i loro occhi, anche se della stessa sfumatura ambrata dei miei, non mi trasmettono alcun calore.

Le labbra di Alfred si piegano in una smorfia sarcastica e sulla sua fronte compare una piccola ruga. Sempre guardandomi fisso, si avvicina a nostro padre e gli bisbiglia qualcosa all'orecchio. Il dottor Blackburn replica con un secco cenno del mento, distogliendo bruscamente lo sguardo da me. Continuano a camminare senza prestare altra attenzione a noi o ai capannelli di Intrepidi sparpagliati nella sala, imboccando il tunnel che conduce all'infermeria.

- Mica male tuo fratello, Zelda -, commenta Tamara, con aria interessata. - Un po' troppo rigido, forse, ma saprei di certo come scioglierlo. E' un peccato che sia rimasto tra i cervelloni -.

In realtà è stata una benedizione, vorrei replicare. Pensare ad Alfred con una pistola a portata di mano mi suscita un altro brivido. Sarebbe troppo inquietante anche solo immaginare cosa potrebbe fare.

- Credimi, Tamara, il suo aspetto esteriore è solo una trappola. Meglio che non vi dica quello che pensa delle donne in generale, e di quelle Intrepide in particolare. Potreste volerlo incatenare a questa ringhiera e utilizzarlo come prossimo bersaglio per il tiro a segno -, dico, strofinandomi le braccia per scacciare i brividi di timore e disgusto.

- Non sarebbe una cattiva idea -, mi fa eco Melanie, i cui occhi azzurri lanciano scintille. - Sono sicura che almeno tre Capifazione su cinque ci darebbero il permesso. Ed è la maggioranza dei voti che conta, no? -.

L'accenno di furia che avvero nelle sue parole mi riscuote del tutto dall'intorpidimento. Le scocco un'occhiata quasi di scuse. - Povero James, non lo invidio proprio. Di certo si aspettava qualche bel chirurgo donna dalla lunga chioma bionda, e invece gli sono capitati quei pezzi di ghiaccio... -.

Il cipiglio di Melanie si fa più divertito che aggressivo. - Se ne farà una ragione. Almeno in questo modo evitiamo un chiassoso incidente diplomatico. Ti immagini se fosse arrivato un procace medico donna? Come minimo questa qui -, e indica Josie con il pollice, - avrebbe dato il via ad una vera e propria guerra, con tanto di bombe e tutto il resto -.

Josie le rivolge una smorfia indispettita, mentre le altre Intrepide ridono e le danno di gomito. Rimaniamo con loro a chiacchierare finchè dal buio delle gallerie non sbuca di nuovo il corteo nero e azzurro capitanato dal dottor Blackburn. Se ne vanno in tutta fretta, evitando con cura di posare gli occhi su di noi.

Solo all'ultimo, ad un metro dall'uscita, Alfred si ferma e volta il viso nella mia direzione. Non riesco a decifrare la sua espressione, è troppo lontano. Eppure percepisco benissimo il messaggio che mi sta lanciando, quasi me lo stesse sussurrando all'orecchio con quella sua voce odiosa, più fredda e micidiale di un pugnale.

Non temere, Zelda. Ci rivedremo, dicono i suoi occhi, e un altro brivido mi scende giù per la colonna vertebrale. Contraggo i pugni e rimango ad osservarlo, tesa e arrabbiata, finchè anche l'ultimo lembo della sua giacca blu non scompare nell'oscurità del tunnel.


 

* * *



 

Eric


 

Non sono mai stato così felice di tornare tra i cunicoli della Residenza. Dopo un intero pomeriggio trascorso a dare ordini alle squadre impegnate sul campo e ad inveire mentalmente contro i Capifazione dei Candidi e le loro isteriche – e insensate - richieste d'aiuto, non vedo l'ora di chiudermi in camera e starmene tranquillo tra le braccia di Zelda. Ecco, magari non proprio del tutto tranquillo, dato che ho la mente e gli ormoni in subbuglio da stamattina. Ma almeno poter ritrovare un minimo di sanità mentale e dialogare con una persona intelligente, anzichè aver a che fare con decine di incompetenti.

Non so cosa stia passando per la mente degli Esclusi in questo periodo, ma sono sicuro che dietro a tutti questi ultimi disordini ci sia una chiara spiegazione, un piano ben calibrato. Eppure non riesco a capire di cosa possa trattarsi: se volessero scatenare una rivolta, come è già accaduto in passato, perchè limitarsi a qualche sporadico assalto? E cosa sperano di ottenere scatenando il panico generale con questi tentativi di furto? Nessuna delle squadre che ho spedito nei vari quartieri è riuscita a catturare o identificare i presunti ladri – se poi di ladri si voglia parlare, dato che non è stato effettivamente rubato nulla.

Scuoto la testa e mi avvio a passo deciso verso l'ormai nota infermeria. Prima dell'iniziazione di Zelda ci avrò messo piede neanche una decina di volte: ora mi sembra più familiare della mia stessa stanza, dannazione.

Al mio ingresso, vengo accolto dall'espressione palesemente contrariata di Elizabeth. E' seduta sul lettino accanto a James e gli sta auscultando il cuore. Lui tiene gli occhi chiusi, le labbra piegate in una leggera smorfia, come se stesse trattenendo dei gemiti di dolore. Rimango ad osservare in silenzio, mantenendomi a distanza, mentre l'infermiera termina di misurargli temperatura e pressione sanguigna. - Cinque minuti, non di più. Oggi non l'hanno lasciato riposare neanche un momento -, si lamenta, dedicando uno sguardo preoccupato al viso pallido di James.

Lui mi rivolge un sorriso stanco e mi fa segno di avvicinarmi. - Allora, che mi racconti? Ho sentito che lì fuori sta succedendo il finimondo -.

Roteo gli occhi. - Direi più isterismo di massa, a cominciare da quei patetici piagnucoloni dei Candidi -, rispondo, facendolo ridacchiare. - Credo che Max abbia intuito la mia sete di sangue, perchè non mi ha permesso di mettere piede in città -.

James sospira, alzando appena la testa per sistemarsi meglio sul cuscino. - Sei sempre così impulsivo, piccolo -, commenta, con lo stesso tono condiscendente che Zelda userebbe con Ted. Sto per ribattere con una battuta pungente, ma lui mi blocca con un gesto della mano. Il suo sorrisetto impertinente scompare dietro un'espressione mortalmente seria. - Forse non è il momento adatto per dirtelo, visto che sei a un passo dal commettere qualche crimine violento. Ma è meglio che tu lo sappia da me, così puoi dare sfogo ai tuoi istinti omicidi qui, anzichè... -.

- Ho capito, taglia corto -, lo interrompo bruscamente. Il suo tono mi ha messo una certa ansia, sento le mani prudere.

Lui controlla che Elizabeth sia fuori portata d'orecchio, prima di bisbigliare: - Gli Eruditi sono stati qui. Tra loro c'erano anche il padre e uno dei fratelli di Zelda -, continua, e io mi irrigidisco come se avessi un fucile puntato addosso. James corruga le sopracciglia. - Non mi ricordo il suo nome. Alto, esile, capelli corti...somiglia a Zelda in modo impressionante -.

- Alfred -, sputo quel nome come se si trattasse di un sorso di putrido veleno. - Cosa diavolo sono venuti a fare qui? -, chiedo, a denti stretti.

- E' questo che non capisco -, ribatte James, a bassa voce. - Anche Elizabeth è rimasta sorpresa. Non è stato il dottor Blackburn ad operarmi, non l'avevo neanche mai incontrato, ma ha voluto presenziare alla visita. Con tanto di figlio al seguito -. Fa una smorfia e si strofina delicatamente la fronte, cercando di non spostare il bendaggio. - Non ho idea di cosa stia succedendo, ma ho un cattivo presentimento -.

Anche io sento crescere uno strano nervosismo, ma scoprire cosa stanno tramando quei dottori da strapazzo non è il problema più urgente. Ora devo trovare Zelda: questa visita a sorpresa deve averla turbata parecchio.

Maledetti Blackburn.

Esco dall'infermeria sbattendo la porta, fulminando con gli occhi chiunque mi si pari davanti nel corridoio. Per fortuna nessuno è così stupido da sbarrarmi la strada: si fanno tutti da parte prima che mi venga la tentazione di mettere mano alla pistola che porto al fianco.

Procedo come una furia lungo i tunnel, prendendo una scorciatoia che mi conduce velocemente al Pozzo. E' quasi ora di cena, quindi la maggior parte degli Intrepidi sarà già in coda per entrare in mensa. Mi lascio guidare dal mio intuito e non mi soffermo più di tanto a scandagliare la grande sala con lo sguardo. Credo di sapere dove si trova Zelda, quindi continuo a passo di carica finchè non mi ritrovo davanti alla massiccia porta del poligono di tiro. La apro senza esitazioni e un po' del nervosimo che mi tende i muscoli sparisce non appena scorgo la mia ragazza, seduta su uno dei tavoli accanto agli armadietti.

Non ha un'arma accanto a sè o stretta tra le dita, quindi deduco non sia venuta qui per sfogarsi come l'ultima volta. Sentendomi entrare distoglie gli occhi dai bersagli e li porta su di me. Quando mi inquadrano si fanno più dolci e caldi, e il mio cuore, quasi stesse rispondendo ad una muta chiamata, accelera i battiti.

La raggiungo in due falcate e appoggio i palmi ai lati delle sue cosce. Vorrei dire qualcosa di intelligente - e magari anche confortante -, ma non trovo le parole adatte. Mi chino su di lei e le sfioro la fronte con le labbra. - Sapevo di trovarti qui -, mi limito a dire.

Lei mi dedica un piccolo sorriso, prima di appoggiare la fronte contro il mio petto. - Devo essere davvero fuori di testa, ma trovo il poligono stranamente rassicurante. Dopo la nostra stanza, è il luogo che preferisco. Mi fa sentire sicura. Voglio dire -, continua, con una leggera traccia di ironia nella voce, - sono circondata da armi e caricatori, e ho una splendida mira. Qui nessuno può farmi del male e rimanere impunito -.

E' chiaro a chi si riferisce. Le mie dita si contraggono e quasi rischio di staccare il bordo del tavolo. Devo compiere uno sforzo titanico per mantenere la calma e non lasciarmi sopraffare dalla rabbia. Che mi condurrebbe direttamente al quartiere degli Eruditi per dare fuoco a qualcosa. Anzi, a qualcuno. - James mi ha detto tutto. Se l'avessi saputo in tempo, avrei potuto ... -.

Zelda comincia a scuotere la testa prima che possa completare la frase. - Non importa. Mi sarei comunque imbattuta in qualcuno di loro prima o poi -. Solleva il viso e noto che sta sorridendo. - Vuoi sapere una cosa buffa? -, chiede, e io alzo automaticamente gli occhi al cielo. - Credevo che averli affrontati nella mia testa durante le simulazioni mi avrebbe aiutata a superare i traumi del mio passato. Non è così. Quando li ho visti, ho avuto paura. E, allo stesso tempo, non ne ho avuta -. Emette uno sbuffo notando la mia espressione dubbiosa. - Lo so, è complicato e non riesco a spiegarlo. Ma ti posso assicurare che sto bene, quindi smettila di fare quella faccia -.

- Quale faccia? -.

Zelda inarca ironicamente un sopracciglio. - Da serial killer che sta meditando il prossimo omicidio -.

E' così evidente?

Mi schiarisco la gola e allungo un dito per giocare con uno dei suoi nuovi orecchini. - D'accordo, niente omicidi per stasera -, concedo a malincuore. - Ma se dovessi cambiare idea, sappi che sono pronto a prendere il primo treno per andare a ridurre in cenere quegli idioti -.

Stavolta la mia ragazza non si limita ad un accenno di sorriso: ride apertamente. - Non ci pensare nemmeno. Sembra trascorsa un'eternità da quando ti ho visto l'ultima volta -, afferma, circondandomi il collo con le braccia per avvicinarmi a sé. - Preferisco averti qui. Abbiamo ancora un discorso in sospeso, noi due... -.

Il cambio di argomento mi lascia spaesato. Incurvo un sopracciglio, la confusione chiaramente scritta in faccia.

- Ah, che memoria corta -, replica lei, dandomi un bacio veloce prima di accostare la bocca al mio orecchio. - Quello sui mille modi che avevi architettato per togliermi di dosso il celebre vestito. Dopo cena inizieremo dal primo della lista -. Scivola con grazia giù dal tavolo e mi prende per mano, trascinandomi gentilmente verso la porta.

Ha ragione, come sempre. Lei è l'unica Blackburn di cui mi importa e voglio prendermi cura, gli altri non valgono neanche un centesimo del nostro tempo. Scopriremo cosa stanno architettando, ma per ora possono aspettare.

Un attimo prima di posare le dita sulla maniglia, Zelda gira il viso verso di me e ammicca. - Io non dimentico facilmente, caro il mio Capofazione. E ora andiamo a mangiare, sto morendo di fame -.

Oh, anche io, penso, leccandomi le labbra. Ma di sicuro non di cibo.









 


 

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Ciao a tutti voi, cari Burners!

Come state? Mi sono impegnata tanto per riuscire a postare questo capitolo entro Natale e finalmente ci sono riuscita. Mi scuso per i lunghi tempi di pubblicazione, ma purtroppo non dipendono del tutto da me. Sapete che sono una perfezionista, quindi prima di farvi leggere un capitolo lo riscrivo e lo sistemo mille volte finché non sono soddisfatta. E questo mi porta via tempo. Spero che il risultato finale vi piaccia, e vi avverto che non manca molto alla fine della storia.

Vi aspettavate il ritorno di Alfred? Cosa vi pare degli ultimi sviluppi? Sono curiosa di sapere le vostre teorie.

Baci, al prossimo aggiornamento!

Lizz


 

p.s. per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

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Capitolo 56
*** Game on ***


Capitolo 55

 


 

Zelda

 

 

Sono trascorsi nove giorni dal risveglio di James ed è proprio vero che il tempo vola quando si è felici. Sono un'Intrepida da neanche un mese, eppure mi sembra di conoscere la Residenza e le persone che vi abitano da sempre. Mi piace questa nuova normalità, la rassicurante routine che scandisce le mie giornate: trascorro molto del mio tempo intervallando momenti di studio alle visite di controllo in infermeria e negli alloggi dei pazienti, a volte accompagnando Elizabeth negli altri quartieri per i corsi di formazione obbligatori.

Come sto facendo in questo momento, mentre l'auto inviataci dagli Eruditi accosta accanto all'entrata dell'Università di Medicina. Prendo un bel respiro prima di scendere e ritrovarmi in mezzo alla folla di studenti che sciamano lungo il viale verso le aule. Non mi sfugge il sospiro sconfortato di Elizabeth, che osserva il fiume blu e bianco che ci circonda con una leggera smorfia sulle labbra. So benissimo cosa sta pensando, e cioè che questa nostra “visita d'istruzione” è solo una grossa perdita di tempo. Tempo prezioso che avremmo potuto utilizzare in modi più proficui, anziché trascorrere quello che resta del pomeriggio a seguire un seminario sulla sicurezza. Ma gli ordini di Max non si discutono e quindi eccoci qui, pronte ad affrontare quattro ore di noia mortale, perse ad ascoltare gli sproloqui di una mezza dozzina di professori, in un quartiere che entrambe preferiremmo evitare.

Tante grazie, Max.

Mentre seguo Elizabeth dentro l'edificio, sono perfettamente consapevole degli sguardi curiosi e sospettosi che ci riservano gli Eruditi che incrociamo. Il mio capo ed io non passiamo certo inosservate, dato che per l'occasione abbiamo rispolverato la tipica divisa Intrepida: anfibi, pantaloni e maglietta a maniche corte, il tutto rigorosamente nero. Stamattina a colazione, dopo aver ascoltato con pazienza le mie lamentele sul programma di oggi, Eric mi ha suggerito di portarmi dietro anche una pistola e, dall'espressione che accompagnava le sue parole, non penso stesse scherzando.

Non del tutto, almeno.

Arrivate al banco informazioni, mostriamo i pass ai due Intrepidi della sorveglianza e seguiamo un gruppo di studenti fino a giungere all'auditorium. La grande sala è già piena, ma riusciamo comunque a trovare dei posti liberi in una delle ultime file. Sulle sedie sono appoggiate delle cartelline blu contenenti l'opuscolo del seminario, un piccolo quaderno per prendere appunti e una penna. Sfoglio distrattamente il programma, sentendo già la noia prendere il sopravvento non appena leggo i titoli degli interventi. Tutta roba barbosa e apparentemente inutile che ho già avuto occasione di studiare quando ancora appartenevo a questa fazione. - Saranno quattro ore molto lunghe -, borbotto tra me.

Elizabeth non si scomoda nemmeno ad aprire la cartellina. La getta per terra e si allunga sulla poltroncina. - Se mi senti russare, dammi una gomitata -, bisbiglia di rimando, facendomi ridacchiare.

Un'ora dopo mi rendo conto che le mie aspettative iniziali si sono rivelate molto ottimistiche, rispetto alla realtà. Nascondo uno sbadiglio, lanciando delle occhiate agli altri partecipanti. Inutile dire che sono per la maggior parte Eruditi, tutti presi a scrivere freneticamente sui quaderni o a digitare su piccoli schermi. La mia vicina non ha mai alzato gli occhi dal proprio computer, nemmeno durante il cambio di intervento. Dall'altro lato, Elizabeth ha il capo inclinato in avanti e sono piuttosto sicura si sia addormentata per davvero.

Buon per lei.

Scribacchio qualche parola sul quaderno, tanto per fare qualcosa mentre fingo di seguire il complicato intervento del nuovo relatore. Ha a che vedere con le manovre di pronto soccorso, che io eseguo alla perfezione sin dalla prima adolescenza. Quando penso che questa lenta tortura non avrà mai una fine, ecco che dall'impianto audio proviene un trillo che annuncia una breve pausa. Sveglio con discrezione Elizabeth scuotendole un braccio, poi mi fiondo fuori dalla sala per raggiungere i distributori di bevande. Prendo due bottigliette d'acqua e qualche snack, utili distrazioni che ci aiuteranno a tenere duro fino all'ora di cena. Metto in bocca una manciata di patatine e bevo un sorso d'acqua, calcolando mentalmente i minuti che mi separano dal mio momento preferito della giornata: il ritorno alla mia stanza della Residenza, dove mi attendono un bel letto comodo e un Capofazione decisamente poco vestito che mi...

- Zelda Eleanor Blackburn! -.

Voltandomi di scatto al suono di quella voce imperiosa, per poco non lascio cadere la bottiglietta d'acqua. In mezzo alla folla che si è riversata fuori dall'auditorium intravedo una chioma bionda molto familiare. Il mio battito accelera e un enorme sorriso mi si apre sulla faccia non appena Alicia, sgomitando a destra e a manca, riesce a farsi strada verso di me.

Appoggio il mio bottino vicino alle macchinette e le vado incontro. Lei si ferma a qualche passo da me per osservarmi attentamente, un sopracciglio inarcato. I suoi occhi si spostano dalla mia divisa nera ai tatuaggi che la maglietta lascia scoperti, ma la sua espressione rimane imperscrutabile. Un secondo dopo me la ritrovo tra le braccia, il viso sepolto tra le folte ciocche del colore del sole che profumano di vaniglia. Ricambio l'abbraccio, cercando di ignorare l'improvvisa fitta allo stomaco e il groppo in gola che mi rende difficile deglutire.

Non è trascorso molto tempo dall'ultima volta che ci siamo viste, eppure mi pare una vita fa. Ho pensato spesso a lei durante l'iniziazione, l'unica persona appartenente alla mia vecchia fazione che mi mancasse davvero.

Prendo fiato e mi scosto da lei per guardarla in faccia. Le sorrido, cercando di dominare le emozioni. Scoppiare a piangere in pubblico, specialmente a pochi passi da un centinaio di Eruditi, non è uno scenario contemplabile. - Ciao anche a te, Alicia -.

- Non sei affatto cambiata -, afferma lei, dopo una breve pausa. - Mi aspettavo chissà quale cambiamento, eppure sembri sempre la stessa. Certo, a parte i tatuaggi e qualche muscolo in più -. Si strofina le braccia accennando una smorfia. - Hai una stretta micidiale. Cosa diamine vi danno da mangiare? Chiodi e proiettili a colazione? -.

Scoppio a ridere davanti alla sua espressione sbalordita. - E non sai cosa riesco a fare con un'arma in mano. Ho scoperto di avere una splendida mira e un certo feeling con i coltelli da lancio -.

Alicia finge di rabbrividire. - Ricordami di non farti mai arrabbiare, allora. Eri già spaventosa prima quando ti arrabbiavi, figuriamoci ora che puoi maneggiare un'arma carica -. Lascia passare qualche secondo, mentre con gli occhi sonda i miei. E' sempre stato così tra noi: sin da bambine, con un solo sguardo riusciamo a leggerci nel pensiero a vicenda. Non so cosa riesca a vedere in me in questo momento, ma è qualcosa che la fa sorridere. - Quando ti ho vista entrare in sala pensavo di avere le allucinazioni. Mi spieghi per quale motivo stai assistendo a questa penosa conferenza? Hai per caso fatto arrabbiare i tuoi leader? Di sicuro si tratta di un qualche tipo di punizione, altrimenti non si spiega -.

Alzo gli occhi al cielo e le faccio segno di seguirmi lungo il corridoio. Allontanandoci dalla confusione, arriviamo ad una serie di porte chiuse che conducono ad altrettante aule studio. Oltre una di esse provengono delle voci, probabilmente di studenti intenti a discutere un progetto di gruppo.

Non faccio in tempo a sedermi su una delle panche a lato delle porte, che Alicia inizia a bombardarmi di domande. Tento di riassumere tutto ciò che è accaduto nell'ultimo mese in pochi minuti, tralasciando i particolari non troppo rilevanti. Alla fine del mio monologo Alicia mi guarda come se provenissi da una galassia sconosciuta. - Caspita -. Batte le palpebre e si schiarisce la voce. - Beh, sapevo che non avresti resistito più di qualche mese senza libri. E' nel tuo DNA, non puoi farci nulla -.

- A quanto pare no - confermo, giocando con il cordino del pass che mi avvolge il collo.

- Ma fammi capire bene -, continua lei, gli occhi azzurri che mi scrutano curiosi. - Stai davvero...insomma, hai un ragazzo? Uno dei Capifazione è il tuo ragazzo? Com'è successo? Voglio dire, è una notizia bomba da cui faticherò a riprendermi. Insomma, stai insieme ad un... -.

- ...Capofazione -, completo per lei, godendomi il suo sconcerto. - Sì, esatto. Se ripenso ai primi tempi, anche a me sembra assurdo -. Mi stringo nelle spalle. - Ma Eric è quello giusto. Nessun altro è come lui...e, a dirla tutta, non credo che guarderò mai più qualcun altro finché al mio fianco ci sarà lui -.

Alicia fa un sorrisetto. - Me lo devi assolutamente presentare, allora. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato che ha saputo risvegliare il tuo lato romantico -.

Per tutta risposta le faccio una linguaccia e lei scoppia a ridere. Sto per chiederle della sua iniziazione - quella degli Eruditi è più complessa e lunga rispetto alle altre -, quando la porta accanto alle nostre sedie si apre. Il rumore improvviso mi distrae e mi volto automaticamente, incrociando lo sguardo gelido di un Erudito di mezza età.

Gli occhi dell'uomo saettano da me ad Alicia, e sul suo volto aleggia un vago sospetto. Altre tre persone escono dalla stanza, affiancandosi a lui. Riconosco soltanto l'unica donna del gruppo e mi irrigidisco di conseguenza. E' la prima volta che mi ritrovo faccia a faccia con lei, e l'unica cosa a cui riesco a pensare è che non ci si aspetterebbe mai che una donna così minuta riesca ad incutere tanta soggezione. Eppure è così: Jeanine Matthews, Capofazione degli Eruditi, è tanto bella quanto scaltra, ma soprattutto una da non sottovalutare e da cui girare alla larga.

Soffocando un'esclamazione di sorpresa, Alicia scatta in piedi e saluta formalmente la donna, mentre io rimango seduta. Ricambio gli sguardi di disapprovazione degli Eruditi senza battere ciglio, fingendomi del tutto indifferente. In realtà sto sudando freddo, e non solo perché sento risuonarmi in testa gli avvertimenti di Damien, ma perché Jeanine non sta prestando attenzione ad Alicia, né agli uomini che la affiancano. I suoi occhi di ghiaccio sono puntati su di me, e non accennano a spostarsi. Ha la stessa espressione di uno scienziato intento ad analizzare una forma batterica sconosciuta sul vetrino di un microscopio. Devo sforzarmi parecchio per mantenere la compostezza e non cedere alla voglia di farle perdere quel sorrisetto arrogante a suon di schiaffi. Grazie al cielo non ho dato ascolto al suggerimento di Eric: se adesso avessi una pistola a portata di mano, sarei molto tentata di puntargliela contro.

Alla fine lei si limita a salutarci con un rigido cenno del capo, per poi procedere verso l'uscita dell'edificio scortata dagli altri Eruditi. Li osservo confabulare e continuare a voltarsi per lanciarci sguardi truci, finché non spariscono oltre le doppie porte scorrevoli.

- Accidenti, mi è quasi preso un colpo -. Alicia si passa una mano tra i capelli, mordicchiandosi un labbro. - Non so come mai, ma non mi sento mai a mio agio quando c'è di mezzo Jeanine. Non so proprio come fai ad avere una relazione con un Capofazione, a me mettono tutti una paura del diavolo -.

- Oh, quando ci si mette Eric può risultare dieci volte più spaventoso di Jeanine - mormoro, ancora scombussolata per quell'incontro imprevisto. - Ma io ho un metodo collaudato per renderlo inoffensivo -.

Alicia sorride con l'aria di chi la sa lunga. - Ah, non dire altro. Posso immaginare di che si tratta, ma dubito funzionerebbe anche su Jeanine -.

Le mie labbra tradiscono un sorriso, ma torno seria in fretta. Poso una mano sul braccio di Ali e le do una leggera stretta. - Non fidarti mai di quella donna. Qualsiasi cosa dica, qualsiasi proposta o offerta da parte sua, tu rifiuta e stalle quanto più lontano possibile, okay? -.

Le mie parole sussurrate aleggiano nell'aria tra noi, seguite da qualche attimo di silenzio attonito. Tuttavia Alicia non mi chiede spiegazioni, non accenna nemmeno ad approfondire il discorso. Annuisce e basta, e la morsa che mi stringeva lo stomaco si allenta un po'.

Non del tutto però, perché quando sto per rientrare nell'auditorium, pronta per altre due ore di noia totale, una strana sensazione mi spinge a lanciare un ultimo sguardo alle mie spalle, in direzione della porta in fondo al corridoio. Giusto in tempo per notare una figura alta e vestita di nero uscire dalla stessa aula che ospitava il gruppo di Jeanine e imboccare in tutta fretta l'uscita di emergenza.


 

*


 

Per tutto il tragitto fino alla Residenza e per gran parte della cena rimugino su quanto accaduto nel quartiere degli Eruditi. Non riesco a togliermi dalla mente le facce ostili di quegli uomini e lo sguardo glaciale che Jeanine mi ha riservato. A me soltanto, dato che non ha degnato Alicia della minima attenzione. Che credesse li stessimo spiando? Di cosa stavano discutendo di tanto importante in un'aula studio? E chi era l'Intrepido che ho visto uscire dopo di loro?

Scuoto la testa, incapace di formulare ipotesi sensate. Da quello che ci ha rivelato Damien, potrebbe trattarsi di qualcosa che ha a che fare con le ricerche di Jeanine e la sua ossessione per i Divergenti. Sembrerebbe l'opzione più probabile, a giudicare dal fastidio che il gruppo ha dimostrato nel vederci appostate accanto alla loro aula. In ogni caso, spero proprio di non dover rimettere piede nel mio vecchio quartiere nell'immediato futuro. Preferirei vigilare sulla recinzione giorno e notte, piuttosto che partecipare ad un altro di quei seminari.

Attraverso il Pozzo, gremito come al solito, e cammino a passo lento in direzione della mia stanza. Non ho notizie del mio ragazzo da stamattina: dato che non era in mensa e nemmeno in infermeria quando sono passata a salutare James, deduco che sia ancora al lavoro. Nulla di nuovo: i nostri turni non sono facili da far combaciare, c'è sempre qualche emergenza in agguato.

Sbuffando e inveendo sottovoce contro tutto ciò che cospira per tenerci lontani, sfrugo in tasca alla ricerca delle chiavi ed entro in camera. Come immaginavo, niente Eric neanche qui. Accendo le luci, prendo un cambio dall'armadio e mi fiondo in bagno. Dopo la doccia indosso una delle vecchie magliette di Eric e mi raccolgo i capelli umidi in due trecce. Rimango ferma appena oltre la porta del bagno per qualche secondo, osservando demoralizzata il letto vuoto. Prego che non mi attenda un'altra notte solitaria, come le ultime cinque.

Sì, sto tenendo il conto e non ne sono per nulla contenta.

Ma stasera mi impongo di resistere, di restare sveglia fino al ritorno di Eric. Elizabeth mi ha concesso qualche ora di riposo domani mattina, quindi è deciso: dovessi anche attendere per metà della notte, resterò sveglia.

Più facile a dirsi che a farsi: un'ora dopo sono alle prese con un grosso tomo di medicina generale e una serie ininterrotta di sbadigli. Mi sistemo meglio il libro in grembo e lancio un'occhiata truce prima alla sveglia, poi alla porta. Troppo esasperata e stanca per memorizzare anche il minimo concetto, getto il volume sulla scrivania. Mi stendo sul materasso e osservo accigliata la fila di lucine che pende dal soffitto.

Non so per quanto tempo rimango in quella posizione, ma ad un certo punto devo essermi appisolata perché vengo svegliata da un rumore proveniente dal corridoio. Mi strofino gli occhi e metto a fuoco le cifre sulla sveglia: sono quasi le tre di notte.

In un secondo la stanchezza scivola via. Presa dall'ispirazione e con un'idea ben precisa in mente, mi sciolgo i capelli e mi sbarazzo della maglietta. Mi avvolgo nel lenzuolo e mi metto a sedere sul materasso, trattenendo un sorrisetto.

Dopo aver chiuso silenziosamente la porta, Eric butta un'occhiata quasi distratta verso il letto e, nell'incrociare i miei occhi ben vigili, si immobilizza. La sua espressione incredula mi fa ridacchiare. - Bentornato, piccolo. Com'è andato il turno? -.

Lui si riscuote dalla sorpresa e mi risponde con un sospiro stanco. - Una passeggiata, rispetto alla settimana scorsa. Tanta noia, poca azione -. Si libera della giacca imbottita e la appende accanto alla porta. Voltando appena la testa mi lancia un'occhiata ironica. - E il tuo seminario? Alla fine ti sei pentita di non aver portato un'arma con te? -.

- In effetti sì -, ammetto, e il suo sorriso si fa più ampio. Rimango ad osservarlo mentre si sfila la cintura a cui sono appesi una pistola e due coltelli, riponendola in uno dei cassetti dell'armadio. Il mio sguardo scivola sul suo corpo muscoloso, illuminato soltanto dalla fila di lucine che pende dal soffitto, e la chiara ed immediata fitta di desiderio che mi percorre da capo a piedi mi fa avvampare. Adesso capisco come doveva sentirsi Eric nelle settimane in cui ci vedevamo di nascosto, quelle in cui mi aveva promesso di andarci piano e di aspettare la fine dell'iniziazione per...approfondire la nostra conoscenza sul lato fisico.

Lascio andare un sospiro e mi massaggio l'addome improvvisamente contratto. L'intenzione iniziale era di metterlo al corrente di ciò che è successo oggi, e poi dedicarci ad attività molto più stimolanti, ma decido di sorvolare sulla prima parte del piano e di lasciarmi guidare dagli ormoni.

D'altronde ho pensato anche troppo a Jeanine nelle ultime ore. Domani ne parlerò ad Eric e vedremo se sia o meno il caso di metterci in contatto con Damien. Mi rifiuto di sprecare altro tempo stando dietro a quella donna e ai suoi discutibili progetti di ricerca.

Con un gesto studiato, faccio scivolare una gamba fuori dal lenzuolo. Il movimento attira l'attenzione di Eric, che si volta verso il letto e... rimane immobile con le mani a mezz'aria.

La luce dorata delle lampadine si scontra con il grigio fumo delle sue iridi, rendendole per un istante due brillanti cerchi argentei. Sotto il suo sguardo insistente, il ritmo del mio respiro accelera e un piacevole calore mi percorre la pelle come miele bollente. I suoi occhi si spostano dal mio viso al lenzuolo che sto stringendo al seno, per finire sulla coscia che sbuca dal lenzuolo. E lì rimangono.

Lo vedo deglutire e passarsi una mano sulla nuca, prima che di decidersi a parlare. - Non so davvero come ho fatto a resistere finora -, borbotta sottovoce tra sè, mentre comincia finalmente a togliersi i vestiti. Dopo essersi liberato degli anfibi e della maglietta, si avvicina al letto e si china verso di me. Le sue labbra sfiorano per un secondo la mia spalla nuda, provocandomi una scarica di caldi brividi che sento scivolare dalla nuca al basso ventre. - Concedimi il tempo per una doccia veloce e poi sarò tutto tuo, piccola -, mi sussurra all'orecchio. La sua mano mi accarezza la coscia scoperta, scorrendo in alto fino a raggiungere la curva del fianco. Lo sento irrigidirsi e inspirare di colpo. - Zelda, ma sei... -.

- ...completamente nuda sotto al lenzuolo? Sì -, completo per lui, sorridendo divertita davanti alla sua espressione stupefatta. Mi passo una mano tra i capelli e gli strizzo l'occhio. - Doccia veloce, Capofazione. Ti concedo due minuti -.

Gliene basta uno e mezzo: ho tenuto il conto. Eric esce dal bagno con un asciugamano avvolto attorno ai fianchi e in due falcate è già al mio fianco. Si siede sul materasso, squadrandomi con gli occhi socchiusi. - A volte dimentico quanto tu sia pericolosa -, afferma, mentre io chino il capo di lato con aria maliziosa. - Davvero molto, molto pericolosa per il mio autocontrollo -.

Non faccio in tempo a replicare. La battuta pungente che mi ero preparata viene bloccata dal bacio irruento e famelico di Eric. Le sue mani si infilano tra i miei capelli, scendendo sulle spalle e lungo le braccia. Senza interrompere il bacio, intreccia le dita alle mie e il lenzuolo che stavo stringendo mi ricade in grembo. Il desiderio mi guizza sulla pelle come una fiamma impazzita; il calore che ho avvertito prima non è nulla in confronto. Le labbra di Eric si spostano sulla mia guancia, percorrendo il contorno della mascella e poi giù sulla gola. Getto indietro la testa e chiudo gli occhi, lasciandomi sfuggire un gemito.

La voce roca del mio ragazzo sembra debole se paragonata al rimbombo del mio cuore. - Non lo fare -, mi ammonisce, mordicchiandomi il collo.

Mi ci vuole uno sforzo enorme per ritrovare la parola. - Non fare cosa? -, mormoro, aggrappandomi forte alle sue spalle. Le sue dita mi stanno accarezzando l'interno coscia, uno dei punti più sensibili del mio corpo. L'incendio al basso ventre non fa che aumentare ed Eric non pare intenzionato a darmi tregua. Sospiro di nuovo e lo sento sorridere a contatto con la mia pelle.

- Non sospirare in quel modo -, si decide a rispondere. - E' una seria minaccia per il mio autocontrollo. Vorrei mantenere la concentrazione ancora per un po', così da evitare di ripetere...l'umiliazione dell'altra volta -.

Sogghignando tra me, lascio scivolare le mani sulla sua schiena fino al bordo dell'asciugamano. Il suo corpo si tende e si inarca contro il mio per assecondare i miei movimenti. - Quella che tu chiami umiliazione, per me è motivo di vanto -, replico compiaciuta, e anche ad occhi chiusi riesco a percepire che mi sta fulminando con lo sguardo.

Approfittando del suo attimo di distrazione riesco a farlo ricadere di schiena sul letto e rotolare sopra di lui. - Tanto per citarti, non so davvero come io sia riuscita a resistere senza questo per un'intera settimana -. Gli serro i fianchi tra le cosce e rimango a fissarlo per qualche attimo, tamburellando con i polpastrelli sui tatuaggi che gli adornano i pettorali. - Credo che tu abbia risvegliato una qualche specie di mostro che dormiva in me. Appena ti vedo nudo non riesco più a ragionare e l'unica cosa a cui riesco a pensare è che vorrei morderti. Dici che dovrei preoccuparmi? -.

Per tutta risposta, Eric scoppia a ridere. - Certo che no, piccola. Credo proprio di sapere come tenere a bada il tuo mostro interiore -, afferma, mentre con un dito traccia un sentiero dal mio seno al fianco.

Mi mordo le labbra per non gemere. - E se ti chiedessi di lasciare a me il... controllo, per questa volta? -, chiedo a bassa voce, quasi timorosa. Muovo appena i fianchi per fargli capire cosa intendo e sento i suoi muscoli tendersi sotto di me. Appoggio i palmi sui suoi addominali contratti e capisco dal suo sguardo che la mia iniziativa l'ha colto di sorpresa. Ma dal luccichio nelle sue iridi pare che l'idea non gli dispiaccia affatto.

- Ti direi che sarebbe una prima volta per me -, risponde, dopo un breve silenzio. Mi afferra le cosce con entrambe le mani, ancorandomi a lui come se temesse un ripensamento. Sempre tenendomi stretta, stacca la schiena dal materasso, così da ritrovarci faccia a faccia. - E' da quando mi hai messo al tappeto in palestra che sogno di trovarmi in questa posizione con te, quindi... sguinzaglia pure il mostro -.

Il suo sorriso soddisfatto si allarga quando, con una mossa veloce, sciolgo il nodo dell'asciugamano. Salvo poi svanire del tutto, per lasciare spazio ad una serie di gemiti d'apprezzamento non appena inizio a muovermi su di lui.

 

*


 

Un formicolio molto piacevole mi scalda dall'interno, un calore molto diverso da quello che ho provato la prima volta. Faccio un respiro profondo per tentare di calmare il battito accelerato, sentendomi invadere da un dolce torpore.

- Accidenti -, è l'unica parola che mi esce di bocca. Dopo aver ripreso fiato, mi volto verso Eric, che mi sta fissando con un'aria fin troppo compiaciuta. Ignorando il suo ghigno arrogante, mi giro di fianco per posargli le labbra sulla spalla. - Te l'avevo detto che con la pratica saremmo migliorati. Non serviva poi chissà quale esperienza -.

Per tutta risposta la mano di Eric si stringe con più forza sul mio fianco per avvicinarmi di più a sé. Come se fosse possibile, dato che gli sono praticamente spalmata lungo il fianco, con una gamba intrecciata alla sua. - Avevi ragione. Ho risvegliato un mostro -, ammette, beccandosi uno schiaffetto sul braccio da parte mia. Mi passa le dita tra i capelli, spargendo le ciocche scure sul suo petto. - Non l'avrei mai detto, ma ho scoperto che mi piace cederti il controllo. Mi piace...lasciarmi guidare da te. Rende tutto più intenso -. Mi scocca un sorriso da predatore che in altre circostanze mi farebbe arrossire. - Avrai anche poca esperienza, ma sai perfettamente cosa vuoi e come ottenerlo. E io sono più che felice di darti ciò di cui hai bisogno, piccola -. Il modo allusivo con cui mi accarezza la coscia enfatizza il concetto.

- Non lo metto in dubbio -, borbotto, alzando gli occhi al cielo. - Ma se non avessi agito di mia iniziativa, tu per quanto avresti continuato con la castità forzata? -, lo prendo in giro, tracciando con le dita dei piccoli cerchi sul suo stomaco.

Eric trattiene il respiro per un attimo. - Volevo aspettare per evitare di farti male di nuovo -, ammette, aggrottando la fronte. - Mi sono imposto di lasciarti in pace per qualche giorno, ma poi si sono messi in mezzo i vari turni di lavoro e quindi... -.

Sospiro. - Quindi abbiamo sprecato tempo inutilmente. E pensare che... -.

Lui non mi permette di portare a termine il rimprovero: mi afferra la gamba che copre la sua e mi fa rotolare su di lui. A giudicare dal mugulio soddisfatto che si lascia sfuggire quando allineo il corpo al suo, questa posizione deve piacergli davvero, davvero molto. Eric mi serra la vita con un braccio, tenendomi ancorata a sé e lasciandomi a malapena il tempo di prendere fiato tra un bacio e l'altro.

Dopo avermi fatto sperimentare di nuovo quella deliziosa onda di torpore, Eric rimane per qualche minuto in silenzio ad accarezzarmi i capelli. Chiudo gli occhi, totalmente senza forze e appagata come mai nella vita. La sua bocca scivola dalla mia guancia all'orecchio. - Adesso capisco perché ero così agitato durante la nostra prima volta -, mormora, dopo aver strofinato le labbra sulla pelle sensibile dietro al lobo.

- Mmm? -, è tutto quello che riesco a rispondere. Sto quasi per scivolare nel mondo dei sogni, ma mi sforzo di recepire le sue parole. E' la prima volta che gli sento usare un tono così tenero: non mi voglio perdere neanche una sillaba.

- Non era solo perché era la tua prima volta, e per questo temevo di farti male, ma anche perché sapevo che...farlo con te sarebbe stato diverso. Era un'esperienza che non avevo mai fatto -. Un bacio sulla mascella, un altro sulla gola. - Fare...l'amore quando ci sono di mezzo dei sentimenti è diverso che farlo con qualcuno di cui ti importa poco. Totalmente diverso. L'ho scoperto proprio quella sera, e ammetto di aver sudato freddo per un attimo. Mi sentivo un principiante, e di fatto lo ero -.

Nonostante il torpore che mi avvolge come una nuvola, trovo le energie sufficienti per alzare di poco la testa e scoccargli un'occhiata allo stesso tempo ironica e adorante. - Avrei dovuto registrare l'ultimo pezzo. Penso sia il pensiero più dolce che tu abbia mai formulato -.

Sulle sue guance appare un lieve rossore, ma il momento d'imbarazzo dura poco. E' di Eric che stiamo parlando, dopotutto. Prima che possa venirmi la tentazione di prendere un foglio per appuntarmi le sue precedenti affermazioni, il suo celebre ghigno è tornato all'attacco. - Se continuiamo così, non credo che ti lascerò più uscire da questa stanza -. La sua mano si muove in lenti cerchi sulla mia schiena, rendendomi molto difficile resistere al languore che mi pervade i muscoli. - Sì, penso proprio che ti terrò mia prigioniera per almeno altri tre giorni -.

La convinzione nel suo tono mi fa ridacchiare. - Non fare promesse che non puoi mantenere. Sappiamo entrambi che Max non si farebbe problemi a buttare giù la porta, per poi rispedirti al lavoro a calci. Preferirei evitare scenate imbarazzanti di quel tipo -. Lo sento sbuffare, e sorrido di nuovo.

Mi accocolo contro il suo fianco, appoggiandogli il palmo aperto sugli addominali scolpiti. Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal ritmo regolare del suo respiro.

 

*


 

Come volevasi dimostrare, Eric dovrà rinunciare a qualsiasi piano stesse mettendo a punto per rapirmi nel prossimo futuro. Poco dopo l'alba il suo cercapersone inizia a squillare con prepotenza, svegliando entrambi. Imprecando sottovoce, lui sguscia via dal letto. In meno di cinque minuti è già armato di tutto punto e pronto per uscire.

Mi alzo su un gomito, sbadigliando, ancora insonnolita e con i muscoli molli come gelatina. Se non sapessi cosa abbiamo realmente fatto stanotte, penserei di essere reduce da un incontro di boxe. E invece i ricordi sono ben chiari nella mia mente e credo proprio che ci resteranno per tutto il giorno.

Dopo essersi allacciato la pistola alla cintura, Eric mi lancia un'occhiata densa di rimpianto e desiderio. Si china su di me per baciarmi la fronte, accarezzandomi i capelli scompigliati. - A stasera, piccola -.

Rimango a fissare la porta da cui è uscito, indecisa se seguirlo o meno, ma poi decido di concedermi qualche altra ora di sonno. Vengo svegliata di nuovo poche ore dopo da un colpo deciso alla porta. Per un attimo credo di averlo immaginato, ma poi il bussare molesto riprende. Di chiunque si tratti, non deve essere un tipo paziente.

Mi alzo dal letto borbottando e prendo la maglietta di Eric dalla scrivania, infilandomela mentre cammino verso la porta. La apro con cautela e sbircio in corridoio, divisa tra nervosismo e irritazione.

Quando metto a fuoco la figura slanciata di Josie il mio viso si tende in una smorfia sarcastica. - A cosa devo l'onore? -, esordisco, senza nascondere l'evidente fastidio.

Lei non mi risponde per le rime come mi aspettavo. Fa semplicemente un passo avanti, così che possa vederla in faccia. La lampada al neon sopra le nostre teste getta una tinta bluastra sul suo viso. Josie mi rivolge un sorriso tirato e si lancia una rapida occhiata alle spalle, prima di bisbigliare due parole che mi lasciano tesa e perplessa: - Dobbiamo parlare -.


 


 


 




 

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Ciao a tutti voi, cari Burners!

Spero che stiate tutti bene e vi mando un abbraccio a distanza! Dopo mesi sono riuscita ad andare avanti con la storia e posso dire con certezza che non manca molto alla fine. Penso sui cinque capitoli, forse meno. Per restare aggiornati vi lascio i link dei miei account social qui sotto. Cosa pensate voglia dire Josie a Zelda? Sono curiosa di sentire le vostre teorie riguardo al seguito.

Un bacio, al prossimo aggiornamento!

Lizz

 

p.s. per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

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