{ • Aquarius • }

di Frances
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lonely Dance || Chilly { • Lil sis • } ***
Capitolo 2: *** I • Scene of a Refusal || Bitter rain tinkling { • Cherry trees in icy fields • } [Part one] ***
Capitolo 3: *** I • Scene of a Refusal || Bitter rain tinkling { • Cherry trees in icy fields • } [Part two] ***
Capitolo 4: *** II • Scene of a Mourning || Fragments { • Trembling fingers over tightened silk strings • } ***
Capitolo 5: *** III • Scene of a Weeping || Declaration of guilt { • Silent tea ceremony • } ***
Capitolo 6: *** • IV • Scene of a Departure || Painful lack of Dialogue { • Side – B ~The rotator • } ***



Capitolo 1
*** Lonely Dance || Chilly { • Lil sis • } ***



Aquarius

~ Blossoms falling in January ~

 

 

 

Lonely Dance || Chilly { • Lil  sis • }

 

 

 

 

« Il nobile Byakuya è un uomo generoso.» l’anziano zio me lo ripeteva in continuazione, agitando l’indice raggrinzito davanti a me come in un severo ammonimento « Cerca di non mettere alla prova la sua pazienza.»

 

Ricordo il primo giorno in cui lo vidi. Lo guardai da lontano mentre attraversava gli anditi dell’accademia; notai a malapena gli uomini che lo seguivano e il fiato mi mancò quando si fermò davanti a me, chiedendomi come mi chiamassi.

 

Sono fortunata.

 

Mio fratello è una persona meravigliosa.

 

 

Sono felice. Non sono mai stata così felice…!

 

…Però…

 

Quando alzo gli occhi, incontro sempre la sua schiena. Mio fratello ha le spalle larghe ed una camminata altera. Dovrei accontentarmi di poter camminare al suo fianco, io, che sono una ragazza così scialba. Non dovrei sentirmi triste quando lui distoglie lo sguardo o mi chiede freddamente di non disturbarlo.

Sono una ragazza così fortunata.

 

Però…

 

 

…vorrei tanto poter fare in modo che lui mi ami.

 

 

 

(xxx)

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tite Kubo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Nota dell'autrice: Salve a tutti V_v Dunque mi accingo a pubblicare il mio progetto Kuchiki, non senza remore. La mia solita one-shot che dura più del dovuto e che tenta in qualche modo di entrare nelle complicate menti degli altrettanto complicati pg di Tite Kubo sensei. E non nascondo che scrivere del mio personaggio preferito e del suo mondo ( di sua moglie, di sua sorella...di suo nonno...) sia stata una delle sfide più ardue che mi sia mai capitato di affrontare; le ore di ricerche riguardo giapponesità&affini hanno bruciato notti e tempo, ma hanno dato i loro frutti, o almeno credo XD perchè è così ù_ù I Kuchiki incarnano il VERO spirito Giapponese. E per questo io li adoro <3 

Il titolo ha una lunga storia >_> E' noto il fatto che Byakuya sia nato a Gennaio, sotto il segno dell'Aquario. A causa di un errore di traduzione nella versione italiana, per un lungo periodo ho pensato che anche Rukia fosse dello stesso segno. Ragion per cui, essendo questa fic dedicata al loro rapporto Niisama/Neechan, mi sembrava di aver trovato il titolo perfetto: due fratelli acquisiti che si assomigliano incredibilmente e che sono nati sotto lo stesso segno. Beh, magnifico <3 ...poi ho scoperto la cruda realtà: Rukia è giustamente Capricorno. Ma "Aquarius" aveva ormai trovato la sua collocazione perfetta nel mio cuore di Byakushifangirl <3

Inoltre, questa fic è dedicata in gran parte a Keute, compagna di fissazioni riguardo Byakuya Kuchiki, grazie alla quale mi è venuta voglia di scrivere fanfiction su Bleach. Spero che il mio omaggio al nostro comune idolo silenzioso possa essere di tuo gradimento, Keu XD E ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno commentato/letto/ favvato il mio precedente lavoro Jigoku Chou. Vi sono davvero molto grata!

Buona proseguimento =)



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Capitolo 2
*** I • Scene of a Refusal || Bitter rain tinkling { • Cherry trees in icy fields • } [Part one] ***


  I Scene of a Refusal || Bitter rain tinkling { • Cherry trees in icy fields • }

 

« Byakuya Niisama…»

Tutte le volte che lei lo chiamava, sembrava chiedergli perdono per avergli appena arrecato un gran fastidio. Usava un linguaggio impersonale, molto posato e cerimonioso, senza alzare mai la voce o tralasciare il titolo onorifico. Gli parlava di rado, solo quando era strettamente necessario, limitandosi a salutarlo quando lo incontrava nei corridoi, a rispondere in fretta quando lui le porgeva qualche domanda. Sembrava quasi terrorizzata dall’idea di pronunciare qualche parola che potesse offenderlo o che semplicemente non fosse di suo gradimento. Dunque preferiva rimanere in silenzio, con il capo basso ed un’espressione contrita in volto.

Eppure, anche se ogni volta sembrava diventare più fioco ed incerto, il suo richiamo pieno di timorosa aspettativa lo faceva sempre voltare.

Quel pomeriggio, Rukia aveva bisbigliato il suo nome con timidezza, raggiungendolo mentre avanzava solitario lungo i portici della residenza dei Kuchiki.

Era una giornata umida che si avviava pigramente al termine, trascinando nel cielo plumbeo delle nuvole gonfie di tempesta. L’aria odorava di pioggia e le foglie di bambù frusciavano sospinte da un vento freddo che proveniva dal nord, nell’enorme giardino centrale della magione.

Lui aveva sempre trovato piacevole passeggiare fra gli arbusti e le azalee di quel pittoresco paesaggio che i Kuchiki si erano tramandati di generazione in generazione: gli piaceva specialmente osservare il momento in cui calava la notte e le lanterne di granito si accendevano delle fioche e diffuse luci delle candele, quando poteva cullarsi nel frinire dei grilli e nello scrosciare dell’acqua contro le pietre. Osservava i riflessi mutevoli sulle squame della carpe senza che nessun’altro interferisse, senza che nessuno, nel silenzio della notte, gli ricordasse quanto potesse essere arduo sostenere sulle proprie spalle il peso di una nobiltà millenaria come quella a cui apparteneva. Quella stessa antica aristocrazia di cui era l’ultimo erede diretto e ventottesimo capofamiglia.

Le libellule volteggiavano leggere sul pelo dell’acqua, mentre lo shishidoshi di una fontana batteva ripetutamente, con un rumore sordo, sul basso tsukubai di pietra. Rukia arrivò vicino a lui con il fiato grosso, tenendo forte in un pugno la stoffa del suo abito.

Dopo che si fu fermata, Byakuya la vide stringersi nelle spalle, cercando di riprendere fiato, vestita dello shihakusho nero: era così piccola che le maniche del kimono arrivavano a lambirle i polsi, formando delle ampie pieghe intorno alla forma sottile delle sue braccia. Gli hakama nascondevano quasi del tutto i tabi bianchi che le fasciavano i piedi, mentre i lembi dell’obi arrivavano quasi a sfiorarle le ginocchia. L’elsa della sua zampakuto appariva appena fra le pieghe della cintura, intrecciata di seta viola.

Byakuya aspettò che si riprendesse, mentre il vento gonfiava le sue ampie maniche. Avvolta in quella divisa, Rukia aveva un’aria sperduta, quasi che si fosse trovata costretta ad indossarla pur avendo la consapevolezza di non esserne ancora all’altezza.

Sentì la sua mano tremante insinuarsi fra le proprie dita e poi stringere con un insolito impeto: anche se lui non glielo aveva mai impedito in alcun modo, Rukia era sempre stata restia persino a sfiorargli la veste. E l’espressione che lui lesse sul suo viso leggermente accaldato, quando si voltò a guardarla, era un misto di ansia ed impazienza.

« Byakuya Niisama.» ripeté, stringendogli la mano « Se non vi è di disturbo…vorrei mostrarvi una cosa.»

Byakuya si limitò a restituirle lo sguardo, senza mutare espressione, senza fare caso al moto inaspettato che aveva fatto congiungere le loro mani. Quelle dita che Senbonzakura aveva reso sicure e ruvide rimasero immobili, insensibili, e non ricambiarono il gesto. Eppure, in qualche modo, la stretta energica e fremente di Rukia gli fece desiderare per un solo istante di poterla accompagnare a quel modo ovunque andasse, tenendola per mano al proprio fianco.

« Perché hai con te la spada?» le domandò, muovendo brevemente gli occhi verso la sua katana « Sai che non gradisco che tu la porti anche in casa. »

Nell’udire quelle parole, l’entusiasmo di Rukia si trasformò rapidamente in esitazione. Le sue dita scivolarono in fretta lontano da quelle di Byakuya, andando a tormentare con discrezione la stoffa dell’obi. Quando aprì bocca per giustificarsi, le parole sembrarono scivolarle fra le labbra a fatica:

« …So bene ciò che mi avete raccomandato, Niisama…» fece una pausa, mentre la voce diventava sempre più impercettibile «…perdonatemi per la mia disubbidienza.»

Byakuya batté rapidamente la palpebre. Quella che aveva posto era stata una semplice domanda, non aveva mai avuto intenzione di sgridarla.

« Cosa volevi mostrarmi?» continuò, dopo qualche istante di silenzio. Lo aveva contrariato il fatto di aver causato involontariamente quel suo repentino cambiamento d’umore. Rukia attese qualche momento prima di bisbigliare, leggermente scoraggiata:

« Solo se potete impegnare un po’ del vostro tempo…» 

Byakuya annuì piano, senza un’esitazione, ed una folata di vento particolarmente energica si insinuò sotto il porticato facendo ondeggiare i capelli di entrambi in una danza senza criterio.

Bastò quel semplice cenno di approvazione perché il volto di Rukia si ricolorasse d’eccitazione:

« Vi ringrazio, Niisama. » improvvisò un inchino, tremando di impazienza « Vi prego, venite.» lo invitò, raggiungendo di corsa la curva del portico, incespicando appena sui lembi troppo lunghi degli hakama. Si fermò ad aspettarlo poco prima di sparire dietro l’angolo, le gote arrossate e gli occhi grigi che sembravano mandare scintille. Byakuya sospirò silenziosamente, guardandola, così impacciata nella sua fremente attesa: poi si avviò con calma verso di lei, raggiungendola in poche e posate falcate. Le andò dietro in silenzio, il vento che scuoteva i suoi abiti e la seta pregiata del suo scialle, in un muto ed immobile diletto mentre lei gli faceva strada come una bambina irrequieta, chiamandolo in continuazione per accertarsi che continuasse a seguirla, attraverso i corridoi dell’enorme magione Kuchiki.

« Byakuya Niisama!»

Andava bene. Gli piaceva particolarmente l’accento che il proprio nome assumeva quando era Rukia a pronunciarlo. E quella sua voce era una musica così rara e piacevole che avrebbe potuto rimanere ad ascoltarla per ore intere senza mai stancarsene.


{ •  ***  • }

 
Si stupì quando la vide poggiare con diligenza le dita sull’elsa della spada, fermandosi al centro dell’estesa piazza di tiro con l’arco. La lama della zampakuto scivolò fuori dalla sua guaina con un sibilo acuto e metallico, riflettendo la luce fioca del pomeriggio lungo tutta la sua lunghezza; un istante dopo Rukia la impugnava con entrambe le mani, in perfetta posizione d’attacco.

Mentre le sopracciglia si aggrottavano leggermente in un moto di allarmato sconcerto, Byakuya si immobilizzò nell’atto di scendere l’ultimo gradino della bassa scalinata che colmava il dislivello fra il portico rialzato e la terra battuta. Rukia era immobile e concentrata come non l’aveva mai vista. I bersagli di paglia sorgevano alle sue spalle come pittoresche sculture decorate di insegne vergognose, cerchi concentrici dipinti di vernice bianca e rossa; immobili sui loro piedistalli, mostravano le sfilacciature di anni ed anni trascorsi sotto il tiro esperto e spesso violento degli arcieri provetti di alto lignaggio.

« Che cosa succede, Rukia?» Byakuya lo chiese con tono deciso, senza perdere d’occhio il taglio luminoso di quella zampakuto sfoderata senza preavviso. Poteva sentire l’acerbo reiatsu di Rukia scorrere su quella lama, intrecciarsi in sottili ed invisibili filamenti azzurri lungo i suoi capelli, contornando tutta la sua sagoma. La zampakuto stessa sembrava emanare un insolito bagliore, pulsando e vibrando come fosse viva; la cosa non fece altro che metterlo maggiormente in allarme.

La esaminò in silenzio per degli istanti che sembrarono un’eternità, domandandosi insistentemente quali fossero le sue intenzioni, aspettando una risposta; poi la vide sollevare gli occhi di scatto, le labbra che assumevano una curva soddisfatta:

« La sento, Niisama.» lo guardò con intensità, congiungendo compostamente i piedi l’uno al fianco dell’altro e sollevando la spada dritta davanti a sé, con una sola mano « Riesco a sentirla chiaramente.»

Il soffiare del vento sollevò e fece danzare intorno alla sua figura nera una miriade di foglie secche cadute con l’autunno, un ballo convulso di sfumature rosse, castane e arancioni che si mescolavano alla polvere e alla sabbia. In quel turbine frenetico, gli occhi di Rukia rimasero aperti e decisi, fissi fieramente in quelli del suo nobile fratello adottivo.

Guarda, Niisama.

Ci sono riuscita. L’ho raggiunta.

Voglio che tu sia il primo a vedere.

 E fu a quel punto che lei dischiuse appena le labbra, muovendosi in gesti che pareva conoscere già da tempo. La mano libera scivolò lungo il braccio destro, mentre il polso ruotava fino a che la lama non fu completamente rivolta verso il basso.

Gli occhi di Byakuya si spalancarono di colpo, mentre le pupille rimpicciolivano fino a sparire quasi del tutto nelle scure iridi blu.

 

« Mae, Sode no Shirayuki.»

 

Lei pronunciò quella parole con tanta decisione ed autorità che la sua voce sembrò riecheggiare imperiosa e definitiva sovrastando qualsiasi altro suono.

Fu un attimo, un battito di ciglia.  Le foglie parvero immobilizzarsi nella loro rapida caduta, il vento fermò la sua corsa, il gracchiare dei corvi appollaiati sugli alberi si interruppe di colpo e divenne muto, mentre le loro ali si arrestavano nell’atto di spiccare il volo – una fuga terrorizzata in un mulinello di penne nere. Byakuya smise di udire ogni rumore, e per dei lunghi istanti vi fu solo silenziosa e fredda immobilità.

Rukia era al centro di quella stasi, composta ed elegante nello sprigionamento gelido del suo shikai. La zampakuto brillava bianca come neve nella sua mano ferma, tintinnando, urlando ad alta voce la propria gioia, sfrigolando di un reiatsu puro ed inviolato, irrequieto, freddo e tagliente come un pugnale di ghiaccio. Un lungo nastro di seta candida schioccò piroettando attorno all’esile figura della piccola shinigami, poi tornò immobile lungo la lama, pendendo da una corta catenina che lo univa all’elsa.

Byakuya fu costretto a socchiudere gli occhi quando i frammentari riverberi della lama lo raggiunsero: l’energia spirituale emanata da quella spada andava ben aldilà di qualsiasi sua aspettativa.

E in quel momento, poco prima che il tempo riprendesse a scorrere – le foglie che improvvisamente toccavano terra e gli uccelli che si libravano lontano nel cielo nuvoloso, in un acuto sovrapporsi di grida gracchianti – Rukia Kuchiki sembrò sfavillare di una bellezza indescrivibile, impugnando quella sua spada bianca con il nobile portamento di una divinità dei ghiacci.

Quando quel bagliore svanì e lei abbassò la spada sfoderata, sollevando lo sguardo verso di lui, Byakuya si sentì assalire da un’angoscia soffocante. Ebbe l’immediata consapevolezza del legno scricchiolante dei gradini sotto i propri piedi, delle gambe e delle braccia che si erano fatte di colpo rigide, degli spasmi nervosi ed involontari che facevano contrarre e distendere i muscoli delle dita. Respirando piano, rifuggì gli occhi di Rukia che lo cercavano e lo imploravano, voltandole le spalle senza proferire una sola parola.

E mentre si allontanava, chiuse gli occhi cercando di non pensare all’espressione di completo smarrimento che Rukia aveva assunto nel vedere la sua reazione.

 

Cosa ho fatto? Cosa ho fatto per dispiacerti?

Ti prego, Niisama. Dimmi cosa ho sbagliato.

 

Lei glielo chiese sconsolatamente con quella breve occhiata, un attimo prima che la lucentezza di Sode no Shirayuki si disperdesse e tornasse il bagliore opaco lungo la lama di una semplice zampakuto.

Byakuya non riuscì a risponderle e la lasciò sola, in silenzio, mentre iniziavano a cadere le prime gocce di pioggia.

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Capitolo 3
*** I • Scene of a Refusal || Bitter rain tinkling { • Cherry trees in icy fields • } [Part two] ***


 

Si permetteva di rado di arrivare per ultimo quando il capitano Yamamoto convocava un’assemblea; tuttavia, quella mattina, quando varcò con passo tranquillo le due enormi porte spalancate, sentì gli sguardi di tutti gli altri dodici capitani – schierati ordinatamente gli uni di fronte agli altri, come avversari pronti a fronteggiarsi – posarsi su di lui quasi all’unisono.  Concesse ad ognuno di loro un’occhiata distratta, salutandoli con un serio e rispettoso cenno del capo, mentre senza dire una parola raggiungeva il proprio posto, tra l’imponente capitano Kyoraku e la minuta Retsu Unohana della Quarta Brigata.

Le grandi lanterne illuminavano abbondantemente l’intera sala delle assemblee, l’ampio salone che si estendeva nel cuore della caserma della Prima Squadra e che era sede decisionale dell’intero Gotei Tredici. Gli haori bianchi affiancati portavano impressi i numeri caratteristici di ogni singola brigata, pendendo dalle spalle di quegli shinigami che conservavano nel loro portamento un’autorità superiore a qualsiasi altra. Ogni volta che Byakuya entrava in quella sala, con l’adunanza al completo, l’ondata di reiatsu che lo investiva era a malapena sopportabile: un malessere che tutti cercavano di affievolire limitando l’emanazione, ma che tuttavia sembravano patire in ugual misura.

Qualcuno tossì attutendo il rumore nel palmo della mano, qualcun altro si schiarì la voce, Toushiro Hitsugaya incrociò le braccia con aria contrariata, un basso ringhio parve scuotere la maschera di legno che nascondeva il volto del misterioso capitano Komamura. Byakuya intravide con la coda dell’occhio il lento movimento del capitano dell’ottava compagnia che spostava appena l’ampio cappello di paglia ed il tic nervoso che di tanto in tanto coglieva la palpebra sinistra di Mayuri Kurotsuchi, distorcendo il suo sorriso statico ed artificiale.

Sin dalla prima volta che vi era entrato, indossando il mantello che lo identificava come il neo eletto comandante della Sesta Brigata, Byakuya aveva percepito l’atmosfera pesante che costantemente permeava la sala: molte delle personalità presenti non riuscivano a stare insieme nella stessa stanza per più di qualche istante senza iniziare una contesa. Era una tensione fastidiosa ed irritante da cui lui non si era mai fatto influenzare, limitandosi ad ascoltare in un dignitoso silenzio.

L’uomo che aveva tossito poco prima fu colto da un improvviso e più violento attacco di tosse; un sopracciglio assottigliato del Capitano Ichimaru si inarcò in un’espressione impietosita, mentre lui prendeva il respiro e rompeva quel silenzio scomodo:

« Nya, » miagolò, con voce acuta « accidenti, Juusantai taichou. Dovrebbe riguardarsi di più, o finirà per ammalarsi di nuovo. Non dovrebbe strafare, con l’età che ha.»

Juushiro Ukitake ci mise qualche istante prima di riprendersi del tutto; respirò profondamente e deglutì, poi tornò composto, con un sorriso tranquillo ad illuminargli le labbra pallide. Il volto smunto portava ancora i segni della sua persistente malattia: pochi giorni prima aveva subito una ricaduta dalla qualche ancora faticava a risollevarsi.

« Ti ringrazio, Ichimaru. Ora sto bene.» gli rispose, con tono grato, massaggiandosi la nuca, la mano che si insinuava fra i lunghi capelli bianchi « Mi spiace di arrecarvi disturbo.»

« Nessun disturbo, capitano.» borbottò con voce cavernosa Kenpachi Zaraki, senza guardarlo, con le braccia conserte ed espressione vacua; un sorriso grottesco apparve sulla sua bocca, mentre la cicatrice che gli solcava il volto si increspava in maniera inquietante « Piuttosto dovremmo lamentarci alquanto del ritardo del nostro qui presente signor capitano di sangue blu

Byakuya dischiuse gli occhi, squadrandolo appena da sotto le lunghe ciglia nere. Quel breve scambio di sguardi fece in modo che il Capitano dell’Undicesima allargasse il sorriso, mugugnando:

« …Il signorino Kuchiki oggi è meno incline del solito a sopportare le provocazioni. Sarà per qualche problema in famiglia?»

« Suvvia, Zaraki–san…» si intromise a voce bassa e conciliante il capitano Unohana, sorridendo in quella maniera che riusciva silenziosamente a tenere a bada chiunque – anche i più arroganti ed agguerriti membri dell’undicesima divisione – « Non siate aggressivo con il capitano Kuchiki. Può capitare a tutti di arrivare in ritardo, non è vero?»

Byakuya si rifiutò di sprecare fiato per rispondere alle petulanti ingiurie di Zaraki e si limitò ad ignorarlo, abbassando nuovamente il capo; questo fu sufficiente a zittire il ghignante capitano numero undici, anche se come sempre, non avrebbe mai ammesso la sconfitta.

« Siamo venuti qui a perdere tempo o c’è un motivo?» sbottò tagliente la piccola Soi Fon della Seconda Brigata – e comandante delle Forze Speciali. Lo shihakusho e l’haori attillati mettevano in risalto il suo fisico magro ed allenato, mentre i cerchi dorati che le decoravano i capelli tintinnavano ad ogni suo movimento, all’estremità di due lunghe e sottili trecce.  

« Chiedo venia, piccola comandate Fon!» intonò ancora Ichimaru, sollevando una mano, con un tono che sconfinava nello scherno in maniera fin troppo palese « Non era nostra intenzione infastidirti.» la giovane shinigami ebbe un fremito, ma riuscì a controllarsi con facilità.

« Silenzio.» il suono imperioso di quella voce fece repentinamente ammutolire i capitani. Genryuusai Yamamoto si alzò in piedi dal suo seggio, poggiando entrambe le mani in cima al suo nodoso e spesso bastone. La barba bianca gli ricadde sul petto lunga e folta, intrecciata con un nastro viola.

L’anziano shinigami fece qualche passo tra le due file allineate:

« Non vi ho convocati perché litighiate.» lì ammonì, aprendo appena gli occhi, mentre il volto veniva solcato da profonde rughe d’espressione « Come vi ha giustamente fatto notare il Capitano Soi Fon, nessuno di noi ha tempo da perdere.» il suo cipiglio accusatore si spostò velocemente da Ichimaru a Zaraki « Mi sbaglio, forse?»

« Nossignore! » rispose prontamente Gin, con un sorriso divertito stampato sulle labbra, mentre Kenpachi si limitava a sbuffare, distogliendo lo sguardo.

« Bene.» la voce roca di Yamamoto tornò atona, mentre si voltava lentamente per tornare al suo seggio « Preferirei non dovervi più richiamare.»

Mentre osservava con poca partecipazione la figura del Capitano Generale che occupava nuovamente il proprio scranno, Byakuya colse appena il bisbiglio tranquillo che sfuggì dalle labbra incurvate di Shunsui Kyoraku:

« Più il tempo passa, e più il vecchio Yama diventa spaventoso.»

Byakuya sbatté le palpebre, tornando a focalizzare la sua attenzione altrove: la cosa non gli interessava.

« Dunque, proseguiamo con l’ordine del giorno. Ukitake.» esordì infine Yamamoto, tossicchiando « Volevi proporre un’elevazione di grado. Di cosa si tratta?»

Il capitano della Tredicesima Divisione annuì debolmente, facendosi avanti di un breve passo, il volto contratto in una maschera sofferente: checché ne dicesse, era evidente che la malattia continuasse a tormentarlo anche in quello stesso istante. Ad ogni modo tentò di ergersi in tutta la sua statura quando, schiarendosi la voce, annunciò:

« Volevo sottoporre al giudizio dell’assemblea una decisione che mi sono ritrovato a contemplare da qualche giorno a questa parte.» la sua espressione si indurì « La mia sottoposta Kuchiki Rukia possiede uno shikai notevole. E’ mia intenzione elevarla al grado di quarto seggio della mia brigata.»

Gli occhi di Byakuya volarono rapidi e imperturbabili ad Ukitake; sentì nuovamente quello spasmo nervoso percorrergli le dita delle mani, ma rimase immobile, in ascolto.

Vi fu un attimo di smarrimento e di completo mutismo prima che i capitani esprimessero le loro opinioni: il primo a parlare fu Kyoraku, sollevando perplesso il bordo intrecciato del suo copricapo:

« Uno shikai tanto forte da meritare un seggio nella brigata, Juushiro? La signorina Kuchiki è appena arrivata, mi sbaglio?»

Ukitake annuì gravemente:

« La signorina Kuchiki entrerà a far parte definitivamente della mia divisione tra una settimana. Tuttavia ho avuto modo di osservare le sue capacità mentre si allenava nel campo addestramento della mia caserma.» il suo sguardo deciso si spostò sulla piccola sagoma del capitano della Decima Brigata « E’ una zampakuto di ghiaccio come la sua, Hitsugaya,» poi tornò a rivolgersi all’intera assemblea « e se ben addestrata, potrebbe raggiungere il livello di capitano senza particolari difficoltà.»

Ichimaru sghignazzò appena, esibendosi in un sorrisetto compiaciuto:

« Che sorpresa, ne? La piccola Rukia sfodera uno shikai che colpisce il capitano Ukitake a tal punto...» si strinse nelle spalle « perché un semplice seggio, allora? Se il suo reiatsu è davvero così straordinario, fai di lei una bella e promettente luogotenente.»

Byakuya rimase silenzioso, cercando di trattenere un improvviso e violento impulso che lo aveva quasi spinto a poggiare la mano destra sull’elsa di Senbonzakura. Lo mandava in bestia che l’argomento di conversazione fosse Rukia, che tutti parlassero di lei come se lui non fosse presente ad ascoltarli, e che Ichimaru si riferisse a lei con così poco rispetto. Tuttavia non diede alcun segno di fastidio e continuò ad ascoltare.

« L’idea del luogotenente non è malaccio,» interloquì ancora Kyoraku, un attimo prima di volgersi in direzione del vicino capitano della Sesta Brigata « Capitano, il posto di ufficiale aiutante nella tua divisione è vacante, nevvero?»

Un profondo grugnito di disapprovazione provenne da Kenpachi Zaraki:

« La Sesta Brigata in mano ai Kuchiki? Non sia mai che vogliate rovinare l’intero Gotei.» scosse il capo, facendo tintinnare rumorosamente le campanelle che decoravano la sua stravangate acconciatura « Se alla Sesta serve un luogotenente, ti cedo il mio sesto seggio con piacere, Capitano. Chissà che la tua natura silenziosa non gli chiuda quella bocca larga che si ritrova.»

« Byakuya.» il richiamo di Ukitake gli fece alzare lo sguardo immediatamente; sentire che il proprio nome non veniva affiancato dal titolo onorifico non smetteva mai di sorprenderlo. Tuttavia non ribatteva quando era Juushiro a chiamarlo in maniera confidenziale: anche se il suo volto gioviale suggeriva tutt’altro, il tredicesimo capitano lo aveva accompagnato durante la sua crescita ed il suo tirocinio, e si era inginocchiato profondamente nel giurargli fedeltà quando, durante la cerimonia che aveva investito Byakuya del ruolo di nuovo capofamiglia dei Kuchiki, lo aveva osservato indossare per la prima volta lo scialle ed il kenseikan.

« Volevo una tua opinione in merito, prima di prendere qualsiasi decisione.» le parole di Ukitake persero per un istante la loro fermezza, mentre una sua mano correva rapida a soffocare qualche debole colpo di tosse « Cosa ne pensi?»

« Potrebbe essere una buona occasione per la signorina Kuchiki.» aggiunse sommessamente Kaname Tousen, lo sguardo cieco che esplorava il vuoto, la carnagione scura che colorava i suoi lineamenti marcati ed austeri, mentre i capelli neri come pece gli ricadevano intrecciati lungo la schiena, legati da un nastro.

Gli sguardi di tutti si concentrarono su Byakuya Kuchiki: lui abbassò leggermente le palpebre, tornando a fissare un punto indefinito sul pavimento di legno. Ognuno di quegli illustri shinigami si aspettava la stessa risposta; tuttavia, quando chiuse gli occhi e si accinse a rispondere, ciò che disse non sembrò soddisfare le loro aspettative.

« No.»

Le occhiate di tutti divennero improvvisamente confuse: Ukitake sgranò appena gli occhi, basito:

« No?»

« La tua proposta riempie di orgoglio sia me che Rukia e onora il nome del nostro casato intero, capitano.» spiegò cautamente Byakuya, sovrastando il basso mormorio che aveva preso a serpeggiare fra le due schiere di shinigami « Ma il seggio è un dono che non possiamo permetterci di accettare, date le attuali capacità di Rukia.» Yamamoto si lasciò sfuggire un rumoroso verso di disapprovazione, soffiando attraverso i lunghi baffi che gli nascondevano la bocca, ed il sorriso di Gin Ichimaru venne inaspettatamente sostituito da un’espressione innocente di puro disorientamento.

Ukitake tuttavia sembrava quello più turbato: avanzò qualche passo deciso verso il capitano Kuchiki, stringendo le mani a pugno:

« …ma perché? Byakuya, hai visto anche tu quanto sia potente lo shikai della signorina Kuchiki. Il seggio è il minimo che potrei darle.» scosse il capo energicamente, guardandolo quasi con astio « Negarglielo sarebbe un’ingiustizia. Non ti permetterò di...»

« Juushiro Ukitake.» la voce imperiosa di Byakuya lo interruppe ancora prima che potesse concludere la frase « Ti prego di stare al tuo posto. Non hai il diritto di prendere decisioni che influenzino così profondamente il futuro di Rukia.»

Il volto di Ukitake si colorò di un leggero livore, mentre le sopracciglia nere si aggrottavano minacciosamente, sprofondando fra i suoi stanchi occhi infiammati di rabbia. Quando prese il fiato per ribattere, la sua voce aveva assunto un tono particolarmente cupo:

« Sono il suo Capitano.»

« Non ho mai affermato il contrario …» Byakuya Kuchiki gli rivolse un’occhiata gelida « …ma Rukia è prima di tutto mia sorella.»

Ukitake si fermò nell’atto di protestare, la voce che gli moriva in bocca. Si limitò a fissare Byakuya per qualche istante, senza trovare le giuste parole per sostenere la propria causa.

« Rukia è un membro del mio clan e mia erede. E’ mio dovere indicarle quale sia la strada migliore da percorrere. Non ho intenzione di lasciarti fare ciò che più ti aggrada.»

Quelle parole estremamente brusche fecero cadere un silenzio gravoso su tutti i presenti; il reiatsu di Byakuya era improvvisamente diventato intenso e minaccioso, e creava un bizzarro contrasto con l’immobilità dei suoi equilibrati lineamenti che non tradivano alcun turbamento. Sul volto di Gin Ichimaru era riapparso il sorriso, mentre Kenpachi ridacchiava: il resto dell’assemblea sembrava tutt’altro che divertita.

« Il capitano Kuchiki ha ragione, Ukitake–san…» fu il tono conciliante del capitano Aizen a dissolvere quell’atmosfera tetra; era rimasto silenzioso ed in ascolto fino a quel momento, ma quando aprì bocca la tensione sembrò affievolirsi. La sua voce ed i suoi gesti bonari avevano sempre avuto quell’effetto « Dovremmo rispettare il volere del nobile Byakuya.»

Il capitano della Sesta Brigata fece un breve passo avanti, abbandonando il proprio posto nello schieramento, concedendo ad Aizen una sola breve occhiata sprezzante; sapeva che non sarebbe di certo stato l’intervento pacificatore del Capitano della Quinta Divisione a stabilire chi, fra il capofamiglia dei Kuchiki l’erede degli Ukitake, avrebbe conquistato la vittoria in quella battaglia.

« Non ho intenzione di acconsentire alla promozione di Rukia. Per questo motivo, vi prego di non chiedermelo mai più.» lo disse con un tono fermo che non ammetteva repliche, rivolgendosi all’adunanza intera « Capitano Ukitake, vi auguro una rapida guarigione.» lo aggiunse con cortesia, guardandolo di sfuggita un attimo prima di rivolgersi a Yamamoto, inflessibile « Ora imploro che mi diate il permesso di ritirarmi.»

Non servivano spiegazioni quando era un Kuchiki a chiedere. Il capitano generale acconsentì con un lento cenno del capo, senza aggiungere altro, mentre gli altri shinigami osservavano – Byakuya si voltò in un sommesso frusciare di vesti, avanzando a grandi passi verso l’uscita senza degnare nessuno di loro neppure di un’occhiata.

Tuttavia si fermò poco prima di oltrepassare le due grandi porte ancora spalancante, mentre un tuono preannunciava l’ennesima tempesta autunnale.

« Zaraki Kenpachi.» sillabò lentamente, senza espressione nella voce « La prossima volta che oserai pronunciare una sola parola con l’intento di infangare la mia casata,» voltò il capo il tanto necessario ad intravedere con la coda dell’occhio la sagoma possente di quello sfacciato bellicoso del Rukongai, poi concluse, il tono che fremeva d’ira ben controllata « potresti mettermi nella disdicevole condizione di dover punire codesta tua indole irrispettosa.»

E detto questo scomparve con un solo, silenzioso passo del suo rinomato ed impeccabile shunpo.

{ •  ***  • }

 

Le sentì mentre faceva scorrere delicatamente le doppie porte; la sua ombra minuta venne proiettata, mentre si inchinava, lungo tutto il tatami della stanza:

« Niisama, sono di ritorno dal primo incontro con la mia nuova squadra.»

« Che seggio?» lui glielo domandò con urgenza, senza lasciarle dire nient’altro, senza neppure voltarsi a guardarla. Ci fu un attimo di imbarazzato e contrito silenzio prima che lei trovasse la forza di bisbigliare:

« Sono estremamente dispiaciuta…» la voce si fece fioca « una persona con la mia forza non può sperare di ottenere una posizione elevata subito dopo essere entrata nella brigata.»

Byakuya deglutì appena, mentre una liberatoria sensazione di sollievo gli percorreva tutto il corpo, dandogli nuovamente la possibilità di respirare. Aveva involontariamente trattenuto il fiato fino a quel momento, in un moto di ansiosa incertezza.

« Capisco.» fece una pausa, poi aggiunse, senza troppa attenzione « Puoi ritirarti.»

E mentre sentiva che lei strisciava via, richiudendo le porte, Byakuya continuò a fissare le proprie lunghe dita adagiate sulla stoffa del kimono, stando seduto sui talloni, nella sua stanza buia.

 

Cerca di capire, Rukia. L’ho fatto per proteggerti.

 

Se lo disse con forza, quasi volesse convincersene lui stesso. Ma più se lo ripeteva, più lo assaliva la consapevolezza di non aver agito nell’interesse di Rukia. Se solo lo sprigionamento di Sode no Shirayuki non gli fosse apparso così spaventoso, se solo non avesse intravisto negli occhi di Rukia quella determinazione, quella luce che la faceva sembrare così lontana.

Respirò lentamente, mandando la testa all’indietro con un mugolio soffocato; sentì i muscoli del collo rilassarsi, mentre i capelli neri gli ricadevano liberi lungo la schiena.

 

Sono un egoista.

 

Aprì lentamente gli occhi, scrutando il soffitto nell’oscurità, colmandosi di quel silenzio assoluto ed innaturale, cercando un conforto che sapeva di non poter ricevere.

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Capitolo 4
*** II • Scene of a Mourning || Fragments { • Trembling fingers over tightened silk strings • } ***


 II  Scene of a Mourning || Fragments { • Trembling fingers over tightened silk strings  • }

 

Capitava spesso che al calar del sole Rukia si sedesse sul porticato esterno, composta sui talloni davanti al giardino in stile zen che Ginrei Kuchiki aveva curato per anni sul lato ovest della magione, fino al giorno della sua dipartita.

Subito dopo la cerimonia di successione, Byakuya aveva esplicitamente richiesto che i propri alloggi fossero spostati in una stanza che affacciasse sul versante occidentale, ai piani superiori; poco prima che il tramonto terminasse, trovava gradevole osservare come il bagliore infuocato del sole discendente bagnasse le pietre candide e perfette disposte accuratamente – con precisione quasi maniacale – appena sotto di lui. E gli ricordava con una leggera fitta di nostalgia quando, molti anni prima, aveva visto la schiena di suo nonno china su quelle pietre, mentre con il rastrello tra le dita tracciava spirali e onde sulla sabbia bianca.

Fin da quando era giovane, quell’angolo di completa calma era spesso stato il luogo in cui, chiudendo gli occhi, aveva tentato di disperdere la tensione accumulata durante le giornate di intenso allenamento, quando sentiva i muscoli bruciare per la stanchezza, ed il sudore scivolargli lungo le guance accaldate, i capelli fradici che gli si incollavano sulla fronte e lungo il collo. Quando aveva bisogno di ritrovare sé stesso al termine di un estenuante scontro di shunpo con l’arrogante e sfuggente principessa del clan Shihouin, dopo che lei era apparsa dal nulla – come sempre faceva, senza motivo apparente – e aveva provveduto a provocarlo il tanto necessario da fare scoppiare la sua impetuosa e sfrontata collera.

Erano passati tanti anni da allora, eppure il ricordo dei consigli saggi di suo nonno e delle sue pacate abitudini – consumate in quel giardino di pietra – avevano ancora l’effetto di tranquillizzarlo.

Quando sentì la prima nota stonata e vibrante provenire dal piano inferiore, Byakuya dischiuse gli occhi mentre stava seduto fra le shoji accostate, la testa poggiata mollemente sullo stipite della porta scorrevole.

A volte Rukia si ritirava da sola in quell’angolo silenzioso dell’enorme tenuta, portando con sé un piccolo ed antico shamisen. Infilava le mani nel ghiaccio ingoiando bassi gemiti di dolore, e poi poggiava le dita intirizzite e tremanti sulle sottili corde di seta; le pizzicava con delicatezza, continuando a suonare fino a che i polpastrelli non le sanguinavano, fino a quando non smetteva di sbagliare e non riusciva a completare la composizione senza mancare una sola nota.

Byakuya la ascoltava ogni volta, seduto sul balcone della sua stanza, senza fare commenti: non era sicuro che Rukia si fosse mai resa conto di non essere sola. Anzi, temeva che la consapevolezza di avere un ascoltatore – e l’idea che l’ascoltatore fosse proprio suo fratello – l’avrebbe indotta a smettere di suonare, domandando scusa. E probabilmente lui non avrebbe mai più avuto modo di assistere a quelle sue timide esibizioni.

Era tradizione del clan Kuchiki che le donne sapessero suonare lo shamisen alla perfezione. Byakuya ricordava i movimenti aggraziati ed allo stesso tempo sicuri di sua madre, avvolta in un kimono cerimoniale fastosamente ricamato, sulle quelle tre corde tese, come in un rito sacro che lei sapeva compiere senza una sola incertezza. L’aveva sempre osservata pieno di ammirazione, senza essere capace di distogliere gli occhi dalla sua figura così bella, dalle sue dita, dal suo volto sereno e sempre sorridente anche in quella sua estrema concentrazione. Da quando se n’era andata, pochi mesi dopo la morte di suo marito, Byakuya aveva sempre sentito la mancanza del suono melodioso e palpitante che solo lei era in grado far scorrere fra le corde dello shamisen.

Rukia non aveva mai dimostrato particolari capacità; spesso i maestri se ne erano lamentati con Byakuya – a volte attribuendo il suo poco talento alle sue umili origini – ma lui li aveva sempre ripresi con cupa freddezza, invitandoli a non riferirsi mai più a lei con quel tono sfrontato.

« Rukia conserva l’onore del clan.» li ammoniva, lanciando loro occhiate glaciali « Se oserete ancora sminuirla, sarò costretto a prendere provvedimenti spiacevoli.» Questo bastava a farli tacere, nella maggior parte dei casi.

Tuttavia Rukia sembrava interpretare i propri continui insuccessi come un’offesa nei confronti del suo fin troppo generoso fratello maggiore: si allenava spesso, durante il tempo libero, quando non doveva indossare la tenuta da shinigami, tentando di colmare con l’esercizio le lacune dovute alla sua goffaggine ed all’inesperienza.

Capitava che Byakuya rimanesse immobile ad ascoltarla anche per ore intere, respirando lentamente, continuando a chiedersi il perché di quello strenuo sforzo a cui Rukia si sottoponeva ogni giorno. Ogni sua azione, ogni sua parola, ogni movimento che compieva impugnando la katana, ogni battito di ciglia: sembrava che tutta la vita di Rukia, sin da quando era stata adottata, scorresse in funzione di lui. In un continuo ed estenuante tentativo di renderlo fiero di averla come sorella, come per sdebitarsi per quel dono che le era stato offerto senza preavviso, senza pretendere nulla in cambio.

 

Perché lo fai, Rukia? Non devi dimostrarmi nulla.

Perché non riesci a capire?

 

…perché non riesco a fartelo capire?

 

Le dita di Rukia toccarono la corda sbagliata, troncando la lenta melodia che quella sera era già stata interrotta innumerevoli volte. Byakuya la sentì sospirare di frustrazione e poi riprendere da capo, con maggiore impeto. Anche se non poteva vederla, riusciva ad immaginarsi il suo cipiglio: conosceva molto bene la risolutezza che le si dipingeva in volto quando cercava di raggiungere un obbiettivo. L’unica sua espressione che gli era quasi del tutto sconosciuta era il suo sorriso.

Ebbe una sfocata rimembranza quando la musica riprese ad un ritmo più sostenuto. Il suono dello shamisen era inconfondibile e – sin da quella lontana fioritura dei ciliegi, cinquanta anni prima – gli provocava una profonda e dolorosa fitta al petto.

Rivide per un solo istante quella figura minuta e ricurva che si impegnava su quelle stesse corde, avvolta negli abiti pensanti, mentre il sole le inondava il volto leggermente incavato. Lo shamisen suonato da lei assumeva una tonalità diversa da quella che aveva caratterizzato le melodie eseguite da sua madre, ma gli aveva sempre e comunque suscitato un immenso piacere. Ricordava perfettamente quanto aveva amato ascoltarla, guardarla mentre si concentrava su quello strumento affusolato che accumunava tutte le donne della sua vita.

 

Byakuya deglutì piano, lasciandosi cullare dalla musica incerta prodotta dello shamisen impugnato da Rukia.

 

Era assurdo e struggente che, nella sua ricerca di perfezione, Rukia tentasse inconsapevolmente di assomigliare a sua sorella.

 

Quando i ricordi che la riguardavano tornavano nitidi ed intensi alla sua mente, gli era quasi impossibile smettere di pensarci.

 

Ma forse, in realtà, la memoria di Hisana non lo aveva mai abbandonato.

Neppure per un istante, da quando lei aveva chiuso gli occhi e lo aveva lasciato per sempre.


      {•  ***  •}

 

« E’ tutta colpa mia, Byakuya-sama…» distesa sul futon, la fronte imperlata di sudore, quelle erano le parole che le uscivano di bocca «…se solo fossi stata più forte…» abbassava lo sguardo, ansimando leggermente, cercando di trattenere le lacrime «…non avrei permesso che mi abbandonasse...»

Byakuya le rispondeva posando leggermente le labbra sulle dita tremanti, seduto al suo fianco:

« Pensa solo a guarire, Hisana. Il resto non ha importanza.»

Lei strizzava forte gli occhi, le lacrime che le inondavano il volto, mordendosi le labbra per non urlare.

Si sentiva colpevole e non riusciva a perdonarsi. Bastava un mancamento, un peggioramento di salute, ed entrambi vedevano i loro sogni sfumare in quella stanza da letto, vicino a quel futon dove lei stava distesa, al buio, in preda alla febbre, in preda al rimorso di aver deluso ancora – senza poter fare nulla – le aspettative di suo marito.

 

« La nobile Hisana non potrà più avere figli.»

 

Lei piangeva, mormorandogli le proprie scusa disperate, abbracciandolo, unendo le loro mani nell’addormentarsi al suo fianco. Byakuya la baciava, le sussurrava parole che riuscivano a calmarla come nessun’altra medicina; poi guardava il suo volto magro e le sue guance salate di lacrime, senza riuscire a chiudere occhio, stringendola a sé mentre respirava il profumo dei suoi capelli.

 

Finché poteva avere lei, non gli interessava nient’altro.

 

Amava il suo sorriso. Amava il taglio dolce dei suoi occhi.

L’aveva sposata per vederla sorridere durante ogni singolo giorno della sua vita.

 

“ State facendo un errore, nobile Byakuya.”

Erano le parole con cui tutti lo accusavano tacitamente, osservandolo mentre avanzava lungo i corridoi, silenzioso nel suo incedere impeccabile e maestoso; nessuno aveva mai smesso di opporsi, di ricordargli quanto era stato avventato in quella sua scelta. Di quanto era stata vergognosa la sua risolutezza, quanto insolente il suo oltraggio alla legge, di quanto disonore aveva portato sul buon nome della casata.

« Vi prego di smettere di tormentarmi con tali insensate parole.» era la risposta garbata che forniva a quelle accuse, quando non gli era più possibile ignorarle.

 

Hisana era sua. Era stata la sua unica pretesa, dopo tutti quegli anni trascorsi in un costante ed ubbidiente sottostare alle decisioni che altri avevano preso per lui.

 

“Diventerai uno shinigami”

 

“Indosserai gli hakama di chi pratica il kidoh”

 

“Sarai il prossimo capofamiglia del casato Kuchiki”

 

“Impugna la spada”

 

“Rispetta la legge. Proteggila con tutto te stesso, fino a quando non avrai più fiato nei polmoni”

 

“Studia, studia, studia. Tempra la tua anima. Diventa forte.”

 

“Non rispondere alle provocazioni.”

 

“ Sii freddo, sii posato, sii l’esempio ed il modello esemplare per l’intera Seiretei.”

 

“Sii l’uomo che il clan vuole che tu sia.”

 

Quando aveva indossato lo scuro kimono cerimoniale, il kenseikan intrecciato fra i suoi capelli, aveva accolto la mano tremante di Hisana nella sua senza prestare la benché minima attenzione agli sguardi pieni di disapprovazione che avevano seguito ogni suo passo, nel santuario, finché non si era seduto con lei davanti all’altare.

 

Il sacerdote vestito di bianco aveva fatto tintinnare gli anelli del suo shaku, assistendoli durante lo svolgersi di quella silenziosa e tesa cerimonia. Hisana aveva bevuto i suoi tre brevi sorsi di sakè poggiando delicatamente le labbra sul bordo delle tazze, la sua bocca rossa e piccola che le sfiorava timida laddove anche Byakuya, qualche istante prima, aveva posato la propria.

Lui aveva seguito i suoi gesti senza riuscire a distogliere gli occhi dalla sua figura, avvolta in quell’abito sfarzoso che era appartenuto a generazioni e generazioni di giovani spose Kuchiki, i fermagli preziosi che scintillavano fra i suoi sottili e lunghi capelli neri, acconciati secondo la tradizione del clan.

In quel momento Hisana gli era sembrata tanto bella e perfetta nel suo silenzioso sedergli al fianco, che tutte le motivazioni con cui i parenti gli si erano opposti avevano perso ogni significato. Nessuno di loro aveva il diritto di sminuire quella donna, sostenendo che il suo sangue non fosse degno di unirsi a quello di un Kuchiki.

 

Aveva recitato la formula rituale con voce decisa e profonda, senza avere una sola esitazione.

« Kuchiki Byakuya.» aveva concluso, poco prima che Hisana, inspirando, ripetesse le sue stesse parole, la voce melodiosa che fremeva:

« Kuchiki Hisana.»

 

Inchinandosi all’unisono, ripetendo in silenzio il nome dell’altro all’infinito come una solenne promessa, avevano offerto all’altare i rami di sempreverde che avrebbero suggellato la loro unione.

Non si era mai pentito per un solo istante di quella decisione, anche se aveva deluso le aspettative dell’intero clan. Anche se aveva infranto la legge a cui i suoi antenati si erano dedicati anima e corpo. Anche quando le continue pressioni lo spingevano al limite, bastava sfiorare con la punta delle dita la fede dorata che non toglieva mai dall’anulare per ritrovare la propria determinazione. Bastava che Hisana continuasse ad accoglierlo con il suo sorriso, dopo una lunga giornata di lavoro; bastava potersi distendere vicino a lei, la testa poggiata sulle sue gambe, con gli occhi chiusi, mentre lei gli carezzava il volto ed insinuava le dita sottili e morbide fra i suoi capelli. Bastava che lei parlasse.

« Nobile Byakuya.»

Lui dischiudeva le palpebre: il volto di Hisana era sereno:

« Avete voglia di conversare un po’ con me?» era sempre cortese, mentre lo sfiorava con il suo tocco delicato.

Sul volto di Byakuya appariva un’espressione quasi divertita. Forse sua moglie non aveva nemmeno la più pallida idea di quanto  fosse follemente innamorato di lei.

« Ti ascolto, Hisana.»

 

Non aveva mai domandato altro.

Voleva solo che nessuno gli negasse la presenza di sua moglie.

 

Era una richiesta così vergognosa…?

 

« Sua Eccellenza Byakuya …»

 

Quella sera, quando i medici erano venuti a cercarlo, cadeva una fitta nevicata. Il laghetto nel giardino era diventato un ampio specchio di ghiaccio, mentre le pietre e i rami spogli degli alberi sembravano pittoresche sculture punteggiate di bianco.

 

« Le condizioni di salute della nobile Hisana si sono aggravate...»

 

Le mani ed i piedi nudi di Hisana erano sempre stati freddi. Anche le sue guance e le sue labbra, a volte, quando lo baciava, erano esangui e gelide. L’avvolgeva fra le pieghe del proprio kimono, abbracciandola, sperando che servisse a farle ricolorare il volto. Lei aveva sempre soffocato qualche colpo di tosse, ringraziandolo e chiedendogli scusa, anche se il suo sorriso si faceva sempre più spento.

 

« …ha avuto un mancamento questa mattina…abbiamo dovuto somministrarle …»

 

A volte si erano seduti insieme fra i fusuma aperti, avvolti nello stesso spesso ed imbottito shikibuton, gli occhi rivolti al cielo che rifletteva le scintille multicolori dei fuochi d’artificio invernali. Quell’anno, Hisana aveva detto di averli apprezzati più del solito, ma Byakuya l’aveva sentita tossire con una violenza preoccupante. Anche se lei diceva di stare bene, lo spettacolo pirotecnico di quell’inverno non gli aveva suscitato altro se non una terribile inquietudine.

 

«…possiamo fare poco ormai, se non alleviarle la pena…»

 

Era stato un inverno particolarmente rigido. Uno dei più freddi e duri che Byakuya ricordasse.

 

«…la nobile Hisana potrebbe non raggiungere la fine della prossima primavera.»

 

Forse fu il più gelido inverno della sua vita.

 

Non si era allontanato dal suo capezzale neppure un istante. La guardava stringendole la mano inerte, mentre il suo petto si alzava ed abbassava con difficoltà ed il suo volto diventava sempre più magro, i suoi polsi sempre più esili. Le sorrideva debolmente quando la vedeva svegliarsi, chiedendole come stesse, sperando che la sua presenza potesse portarle conforto. A mano a mano che i giorni passavano, la veglia diventava sempre più penosa, sempre più difficile accettare l’idea che lei stesse davvero per andarsene.

 

Il giorno in cui lei aveva chiuso gli occhi per sempre, non era ancora iniziata la fioritura dei ciliegi. Quell’anno non aveva fatto in tempo a vederla.

Aveva abbassato le palpebre con le ciglia bagnate, lacrime di gratitudine che le solcavano le guance, ed era morta con il suo nome sulle labbra:

« …Nobile Byakuya…»

 

La mano di Hisana era diventata fredda ed immobile, abbandonata nella sua. Anche nella morte, il volto della donna che aveva amato con tutto sé stesso conservava una bellezza ed una serenità che sapeva di non poter dimenticare. Il gemito di dolore che gli era sfuggito dalle labbra era parso rimbombare nella stanza vuota in un eco senza fine, sovrastando anche il rumore del vento.

 

Per ironia della sorte, la fioritura dei ciliegi era iniziata il giorno del suo funerale. Avvolto nell’abito nero a lutto, Byakuya aveva guardato i petali scivolare via dai loro rami, mentre lo scampanellio provocato dagli ospiti gli riempiva le orecchie in una continua processione che si fermava davanti al feretro di Hisana.

 

Perché?

 

Quei cinque anni passati con lei erano trascorsi veloci come in un sogno. Ora che lei non c’era più, era difficile riabituarsi alla lentezza estenuante con cui i giorni avevano ripreso a susseguirsi.

Era diventato tutto più faticoso.

Più difficile sorridere, più difficile esprimersi, più difficile comunicare con gli altri.

Aveva dimenticato quanto potesse essere monotona e fredda la vita di un nobile.

 

Quarantanove giorni dopo il funerale – il mese più lungo che avesse mai affrontato – si era ritrovato a riaccostare i battenti del butsudan che onorava il ricordo di Hisana con mani tremanti, chiudendo forte gli occhi. Si era accasciato davanti al piccolo altare, la fronte premuta contro il legno smaltato, mentre i lembi dell’abito si distendevano attorno alle sue gambe, sul tatami.

 

Perché Hisana?

Perché mi hai lasciato?

 

Ogni volta che apriva le ante del butsudan e rivedeva il suo sorriso, immortalato nella sua dolcezza, era difficile richiuderle e andarsene. Batteva velocemente le palpebre, rifiutando quella profonda disperazione che lo assaliva quando ripensava a lei.

 

Ti ho amata, Hisana.

 

Un anno dopo, aveva trovato Rukia quasi per caso. Nell’attimo in cui l’aveva vista – così simile a sua sorella, così piccola nei suoi abiti accademici – gli era parso di assistere ad un miracolo. Le ultime parole di Hisana non gli avevano mai dato pace, ma in quel momento il suo cuore aveva ritrovato una tranquillità inaspettata.

 

Nobile Byakuya…

Vi supplico…

 

…trovate la mia sorellina

 

…usate il vostro potere per proteggerla…

 

Non ho il diritto di essere chiamata “sorella”…

 

…vorrei….

 

…che le permetteste di chiamarvi “fratello”.

 

Non sono stato in grado di proteggerti, Hisana.

Non ho saputo impedire che tu mi lasciassi.

 

Aveva risposto con silenzioso sprezzo alle proteste. Ancora una volta gli uomini che gli stavano attorno cercavano di impedirgli di fare come gli dettava il suo cuore.

Ma dopo che il destino gli aveva portato via Hisana, non avrebbe permesso che loro gli portassero via la sua unica via di redenzione.

 

Ti amo, Hisana.

 

Il santuario in cui riposavano i suoi nobili genitori era vuoto e silenzioso; seduto sui talloni, si era inchinato davanti alle loro due tombe affiancate fino a far toccare il volto contro il tatami, pronunciando sommessamente quelle parole che si era ripetuto tante volte dal giorno dell’adozione di Rukia.

 

Sarò la legge.

Sarò la giustizia.

Sarò un Kuchiki.

 

Quel solenne giuramento – e la promessa fatta a sua moglie – avrebbero guidato i suoi passi da quel momento in poi.

Hisana.

Non smetterò mai di amarti.

 

{•   ***   •}

 

Byakuya aprì lentamente gli occhi, mentre sentiva il calore del tramonto scivolare via lungo la linea spigolosa del proprio profilo, lasciando spazio al bagliore ceruleo della luna.

Rukia aveva ormai smesso di suonare.

 

{•   ***   •}

 

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Capitolo 5
*** III • Scene of a Weeping || Declaration of guilt { • Silent tea ceremony • } ***


III  Scene of a Weeping || Declaration of guilt { • Silent tea ceremony • }

 

« Rukia.»

Lei sobbalzò ingoiando un sussulto, quasi fosse stata sorpresa a compiere gesti inconsulti. Si voltò meccanicamente, le braccia rigide lungo i fianchi fasciati dallo stretto e semplice kimono di taffettà violetta.

« Ti ho spaventata?» domandò Byakuya, le braccia incrociate e nascoste nelle maniche dell’abito; i capelli sciolti – liberi dal kenseikan – gli ricadevano sulle spalle e sul volto, sfiorandogli il collo. Rukia lo guardò per qualche istante, gli occhi che si sgranavano in maniera impercettibile, poi le guance le si colorarono appena mentre scuoteva energicamente il capo:

« No, Byakuya Niisama…a…» fece una pausa «…vi prego di perdonarmi, avevo la testa altrove…» si rannuvolò di colpo, le sopracciglia che si corrugavano in una maschera di desolazione.

Byakuya dischiuse le labbra, tentando di interpretare la sua espressione. Continuava a non capire.

« Vorrei che mi assistessi nella cerimonia del the, Rukia.» la informò, senza mezzi termini, cosa che le fece alzare lo sguardo immediatamente « Ne hai voglia?» avrebbe dovuto essere una richiesta cortese, ma le parole che gli scivolarono dalle labbra tuonarono perentorie e definitive come un ordine.

Rukia parve sorpresa ma annuì senza una sola esitazione:

« Certo, Niisama…» i suoi grandi occhi blu brillarono per istante « Sarà un onore per me!»

Byakuya annuì:

« Capisco.» le voltò le spalle, facendole un breve cenno con una mano « Seguimi.»

I passi affrettati di Rukia si sovrapposero immediatamente ai suoi, mentre avanzavano in direzione della Chashitsu – la stanza in cui l’intera stirpe del clan aveva sempre celebrato il rituale del the, sin dall’antichità –. E nel loro silenzioso incedere, Byakuya cercò Rukia numerose volte, con la coda dell’occhio. Lei era contrita, fissava i propri piedi che si posizionavano l’uno davanti all’altro senza distogliere mai lo sguardo.

 

E’ colpa mia, Rukia?

Cosa posso fare?

 

Nonostante desiderasse ardentemente conversare con lei, non gli riuscì di articolare alcuna frase di senso compiuto. Anche se nella sua mente si accavallavano parole confuse – domande su di lei, su cosa stesse pensando in quel preciso istante – non fu in grado di dare loro un ordine, e si costrinse al silenzio.

Non trovava il modo di dimostrarle quanto profondamente anelasse a quel contatto con lei, a quel rapporto di familiarità che in ogni momento – strenuamente – cercava di offrirle, in tentativi impacciati che subito fallivano a causa della sua incapacità. Con quelle parole fredde che gli uscivano di bocca come a negare qualsiasi minima manifestazione d’affetto.

 

Cosa devo fare?

 

{•   ***   •}

 

La sala del thè era abbastanza piccola: contava la larghezza di pochi tatami, mentre la luce filtrava con difficoltà attraverso le finestre schermate. In fondo, nel basso tokonoma, l’ambiente spoglio era animato da una graziosa composizione di ikebana, sovrastata da un lungo dipinto di calligrafia shodō che pendeva sulla parete rientrata.

Byakuya aveva sempre interpretato il passo con il quale metteva piede in quella stanza, chinando appena il capo per oltrepassare la bassa entrata, quasi come una sorta di transizione: l’attimo in cui si immergeva completamente nel mondo che gli era stato lasciato in eredità da Ginrei Kuchiki.

« Il luogo in cui si svolge la cerimonia del thè deve conciliare la riflessione e deve permettere ai partecipanti di trovare la giusta via per la catarsi interiore.» gli aveva sempre ricordato suo nonno, durante le sue lunghe ed estenuanti lezioni di chanoyuu – la via del thè. Gli aveva insegnato a sedere sui talloni mantenendo la giusta postura, colpendolo fra le scapole con un frustino di canna ogni qualvolta, sfinito, suo nipote si era ritrovato ad incurvare le spalle; era sempre stato rigido riguardo al fatto che Byakuya dovesse imparare alla perfezione la disciplina dei più esperti maestri dello zen.

« Tieni sempre la schiena eretta, Byakuya, qualsiasi cosa tu faccia.» glielo diceva mostrandogli compostamente quali gesti compiere per sollevarsi in piedi, tenendo le mani sulle ginocchia « Non curvarti mai. Non mostrare segni di debolezza.»

Dopo che si furono seduti sul tatami, l’uno di fronte all’altro, e nel momento in cui, con gesti moderati e meticolosi, Byakuya lasciò cadere la polvere di thè verde nella ciotola di ceramica, su di loro cadde un silenzio assoluto. Così era la cerimonia del thè: senza che alcun rumore lo disturbasse, Byakuya versò l’acqua calda nella tazza, facendo in modo che dall’hishaku di legno non colasse una sola goccia. L’esperienza gli aveva insegnato a non commettere errori.

Rukia seguì i suoi movimenti senza distogliere gli occhi un istante: quasi rapita, lo guardò mentre mescolava lentamente la bevanda, poi la accolse con gratitudine fra le mani quando lui gliela offrì, esibendosi in due cortesi e brevi inchini prima di portare il bordo ondulato della tazza alle labbra.

Ma fu quando lei poggiò la ciotola sul tavolo, che Byakuya se ne accorse.

Lo vide nella curva brusca che assunse la sua bocca e nella piega affranta che curvò le sue sopracciglia, in un moto che non aveva niente a che fare con la sua solita remissività, con quella sua inspiegabile tendenza a sottovalutarsi. Lo vide nel rapido fremito che ebbero le sue mani un attimo prima di tornare composte in grembo, nello sguardo schivo che gli rivolse per un solo brevissimo istante, prima di tornare a fissare, rossa in volto, la stuoia intrecciata sul pavimento.

Byakuya si sentì pervaso da una strana, incalzante sensazione d’urgenza. Per la prima volta da che l’aveva conosciuta, la sua sorellina adottiva sembrava disperatamente domandargli aiuto.

« Rukia.» nel rompere quel silenzio così all’improvviso sentì un brivido gelido risalire lungo la schiena; gli sembrò di aver appena violato una regola millenaria.

Lei sollevò gli occhi, atterrita:

«…cosa c’è, Niisama?» lo chiese con un fil di voce, incerta. Byakuya non si era mai permesso di interrompere la cerimonia così bruscamente.

Il giovane Kuchiki adagiò la tazza sul tavolo, senza fare alcun rumore; quando si rivolse ancora a Rukia, la sua voce aveva nuovamente assunto quel suo caratteristico tono perentorio:

« C’è qualcosa che vuoi dirmi?»

Il sangue defluì velocemente dalle guance di Rukia; guardò suo fratello per degli istanti che parvero dilatarsi all’inverosimile, con la bocca dischiusa come nell’atto di dire qualcosa. Sul volto le si leggeva un profondo smarrimento e, da qualche parte nei suoi occhi grandi e spalancati, il panico. Una paura intensa che sembra attanagliarla dal profondo, impedendole quasi di riprendere fiato.  

«…n-no, Niisama…» ebbe un’esitazione «…non ho intenzione di farvi perdere tempo…»

Con quella risposta così impersonale, Byakuya vide quel barlume di speranza, quello spiraglio che sembrava essersi aperto nella spessa parete di insicurezze che li separava, svanire così com’era apparso. Per un solo istante pensò addirittura di esserselo immaginato.

« Capisco.» bisbigliò, quasi rassegnato, posando lo sguardo sulla mistura spumosa immobile nella pregiata tazza del thè.

« …Però, Niisama…» la voce tremante di Rukia gli diede un sollievo inimmaginabile. Spostò gli occhi su di lei: sembrava che tentasse in qualche modo di nascondersi, stringendosi energicamente nelle spalle.

«…sono accadute delle cose…di cui mi sento in dovere di informarvi…»

E Byakuya annuì, ripetendo quelle tre parole con lo stesso identico tono di tanti anni prima:

«…Ti ascolto, Rukia.»

{•   ***   •}

« Niisama, io sono un’assassina.» quando lo disse, la voce di Rukia non fu percorsa dal minimo tremore « La mia lama si è macchiata del sangue di un uomo innocente e di un crimine atroce.» fece una pausa prima di alzare gli occhi verso di lui e annunciare, ferma « Niisama, ho ucciso Shiba Kaien.»

Quel nome rimase sospeso fra di loro, riecheggiando nella stanza vuota e buia, mentre la polvere danzava a mezz’aria nella luce fioca.

Il cipiglio di Byakuya rimase immoto, quasi che le parole di Rukia non lo avessero raggiunto; la guardò freddamente, senza che il suo volto lasciasse trapelare qualsiasi emozione. Forse fu quella reazione a farle perdere il coraggio – l’insofferenza dipinta sul volto di suo fratello – ; tuttavia, anche se la sua voce non riusciva più a trovare la giusta determinazione, sembrava decisa a non rinunciare a quella confessione:

« E’ stato un incidente, durante una battaglia contro un Hollow. Pensavamo di essere all’altezza delle circostanze, ma in breve la situazione si è terribilmente aggravata.» le dita ebbero un fremito, serrate con forza sulle ginocchia « Il nobile Kaien insisteva di voler combattere senza che gli prestassi il mio ausilio…il Capitano era con noi…ma non abbiamo potuto fare niente. Il Capitano parlava di onore, di orgoglio…ma io…io non capivo.» Rukia chiuse gli occhi, la voce che diventava un sibilo « Volevo aiutarlo, volevo sfoderare lo shikai e soccorrerlo. Non riuscivo a capire come il Capitano potesse concepire di stare lì immobile a guardare...! Volevo fidarmi del Capitano e di Kaien-dono…ma mi sentivo così inutile! » abbassò lo sguardo sulle proprie piccole mani « Si è gettato sulla mia spada e io l’ho trafitto. E’ morto fra le mie braccia, mentre il suo sangue mi inzuppava il kimono, mescolandosi alle gocce di pioggia. Osando dirmi “grazie” per ciò che avevo fatto. E quasi non mi rendevo conto…di quanto in fretta la vita lo stesse abbandonando…io non…» scosse forte il capo « Non riesco a credere di aver compiuto un’azione tanto imperdonabile.» interruppe di colpo quel suo confuso monologo, chinando profondamente il capo: il suo tono tornò stabile « Il Capitano Ukitake si è proposto gentilmente di riferirvi di persona l’accaduto, ma non potevo permettere che le mie gesta impure che macchiano il vostro onore giungessero alle vostre orecchie per mezzo di qualcun altro. Niisama, so di non essere degna del perdono di nessuno. Sono pronta a subire le conseguenze delle mie azioni.»

 

Sono una creatura così meschina.

Non merito la tua tolleranza, Niisama.

Merito solo il tuo disprezzo.

 

Byakuya la guardò intensamente per qualche breve istante, prima di fare leva sulle ginocchia per risollevarsi in piedi.

 

Kaien Shiba.

 

Bastava che Rukia pronunciasse quel nome perché un’insopportabile sensazione di fastidio si impossessasse dell’altero ed impassibile Byakuya Kuchiki.

« Se la mia domanda non vi appare inopportuna, Niisama…» poco tempo dopo essere entrata nella tredicesima Brigata, facendo una pausa prima di proseguire, lei glielo aveva domandato mentre si dirigevano assieme, al sorgere del sole, verso la sede del Gotei Tredici «…che opinione avete di Shiba Kaien?»

Byakuya le aveva indirizzato un’occhiata bieca, con la coda dell’occhio, senza smettere di avanzare. Aveva risposto con tono incolore e rigoroso:  

« Non gradisco la sua compagnia e non mi comporta diletto conversare con lui. Inoltre non approvo gli ideali che muovono i suoi gesti. Tuttavia, Rukia,» nel riprenderla, non le aveva concesso neppure uno sguardo « non è mia abitudine rispondere a codeste domande. Sarebbe opportuno che ti curi di contenere la tua invadenza.» Lei, in risposta, si era chiusa in un silenzio desolato.

 

Byakuya non aveva mai avuto nulla contro quell’uomo. Non si era mai curato di lui ed aveva sempre ignorato la sua fastidiosa tendenza a trascurare la legge della Soul Society.

Tuttavia v’era stato qualcosa nel tono di Rukia, qualcosa nella sua espressione, in quella sua curiosa e tuttavia innocente domanda. Aveva percepito un insolito accento nella voce della sua sorellina che pronunciava il nome di Kaien Shiba – qualcosa che gli era suonato come stima devota ed illimitata –, che lo aveva letteralmente fatto infuriare.

 

Senza aprire bocca, in due lunghi passi girò attorno al basso tavolo sui cui era ancora poggiata quella tazza piena di tè verde fumante.

Rukia strinse gli occhi con forza, senza risollevarsi dal suo profondo inchino, ascoltando il rumore attutito e frusciante dei tabi di suo fratello sul tatami. Di colpo, iniziò a tremare di terrore.

 

Mio fratello mi odia.

Se ne andrà senza un solo commento.

 

E d’ora in poi, mi rivolgerà solo sguardi pieni di vergogna.

 

« Alza gli occhi, Rukia.»

 

{•   ***   •}

 

Byakuya si sedette lentamente al suo fianco, mantenendo la schiena eretta; quando Rukia obbedì, mordendosi le labbra, ricambiò il suo sguardo tentennando; sembrava così terrorizzata e smarrita allo stesso tempo, facendosi sempre più piccola fra le pieghe del suo kimono viola, che per un attimo Byakuya si chiese se non stesse sbagliando tutto per l’ennesima volta. Inspirò appena, incerto, soppesando le parole per iniziare: quando aprì bocca, si accorse di non aver mai affrontato una sfida altrettanto ardua, durante tutta la sua vita, fino a quel momento:

« Alcuni individui si arrischiano ad affermare che quando un uomo ha la fortuna di nascere fra le braccia di un clan nobile, non abbia motivo di preoccuparsi di nulla. In maniera ottusa e presuntuosa osano accusarci di accidia e di lussuria, giudicandoci solo in base alle ricchezze ed alla gloria che ci siamo tramandati di generazione in generazione, fino ad oggi. Ci valutano senza conoscere o comprendere nulla di noi, schiavi di pregiudizi ingiusti. Ed è quando quegli ignoranti popolani mettono in discussione i principi che muovono le nostre azioni, che il nostro orgoglio viene maggiormente intaccato.» fece una pausa, scuotendo appena il capo « Molti di loro non posso neppure immaginare quanto possa essere ardua la vita di un nobile. Quanto possa diventare faticoso compiere anche le azioni più elementari, ogni giorno, quando sei l’uomo nelle cui mani giace la storia di un clan antichissimo; quando non puoi deludere le aspettative di nessuno e sei costretto  ad accollarti così tante responsabilità da non riuscire più a pensare ad altro.»

Byakuya chiuse lentamente gli occhi, sospirando profondamente, sentendo che lo sguardo di Rukia diventava sempre più perplesso; non le aveva mai parlato così apertamente, toccando argomenti che lo riguardavano così da vicino. Lei sembrava diventare più impaurita ad ogni parola, sempre più imbarazzata all’idea che suo fratello le stesse donando quella faticosa confidenza, sempre più terrorizzata nell’aspettativa che lui, da un momento all’altro, le infliggesse una severa punizione.

E poco prima di riprendere, Byakuya riuscì a vedere chiaramente l’enorme distanza che li separava: aveva corso così tanto per raggiungerla, così all’improvviso, pronunciando quelle poche parole, che lei sembrava disorientata, troppo spaventata e intontita per riuscire a ragionare in maniera razionale, per capire come reagire.

« La vita di un nobile è una continua ed estenuante ricerca delle legge, nel tentativo di garantire che ogni decisione presa dal governo e dal Gotei sia rispettata senza imprevisti, assicurandosi che la giustizia trionfi in ogni circostanza, con qualsiasi mezzo.» dischiuse le palpebre, tentando in ogni modo di addolcire il tono

« Rukia.» esordì « La via della giustizia non sempre è facile da percorrere. Non basta avere fiducia e  credere fermamente che l’onestà sia sufficiente perché ogni cosa vada per il meglio. A volte, per quanto possa sembrarti scorretto, è necessario sporcarsi le mani.  La mia stessa lama, Rukia, in molte occasioni » fu una confessione dolorosa e sofferta, ma il suo tono non vacillò « non ha esitato a diventare un mezzo di giustizia, quando si è rivelato necessario.»

Rukia non disse una sola parola. Si limitò a fissarlo, tremando come una foglia, le labbra serrate e le palpebre che battevano velocemente, mentre gli occhi le diventavano in fretta lucidi in un tenace tentativo di controllarsi.

« Rukia.» continuò ancora Byakuya, abbassando appena la voce « Nessuno ti biasima per ciò che hai fatto. Neppure Shiba Kaien, che nel suo ultimo respiro ha impresso le parole necessarie a ringraziarti di avergli permesso di perseguire la sua giustizia.»

E dopo quelle parole, l’espressione di Rukia subì un cambiamento repentino: la paura divenne angoscia, mentre un gemito soffocato le sfuggiva dalle labbra, fra i denti stretti fra di loro. Bastò una sola occhiata al suo volto congestionato ed ai suoi occhi gonfi – che con un grande sforzo era riuscita a mantenere asciutti – perché Byakuya si sentisse afferrare da una tristezza straziante.

« Capisco quanto possa essere straziante affrontare una tale disgrazia. Ciò nonostante, Rukia…» con una leggera esitazione, le mostrò lentamente le mani aperte « …le braccia di un fratello dovrebbero essere sempre pronte ad accogliere il dolore di sua sorella.»

Rukia sembrò porgli una domanda silenziosa e attonita. E lui rispose con un breve cenno del capo:

« …puoi farlo, Rukia.»

E a quel punto i sentimenti di Rukia traboccarono, senza che lei potesse fare niente per trattenersi ancora. Portando le mani alla bocca che lentamente si distorceva in una smorfia disperata, gli occhi le si riempirono di lacrime ed un lungo e penoso singulto sembrò scuoterla tutta, risalendole la gola. Si abbandonò nell’abbraccio di suo fratello in un movimento fluido e spontaneo, singhiozzando, le guance bagnate, mentre veniva scossa da profondi sussulti.

« …perdonatemi, Byakuya Niisama…» mormorò mentre il pianto le impastava la voce, nascondendo il volto fra le pieghe del suo kimono che si inumidiva velocemente, lasciando scorrere quelle lacrime che aveva trattenuto così a lungo per dimostrargli di essere alla sua altezza. All’altezza di suo fratello che non si era mai permesso di mostrare le proprie debolezze in maniera così vergognosa.

Byakuya la strinse a sé con lieve impaccio, senza muoversi o dire niente, lasciando semplicemente che si sfogasse fino a che non ne avesse più avuto le forze. Sentirla così vicina, per la prima volta, anche se lei non poteva mostragli altro che la sua tristezza, lo colmò di un tenero benessere.

 

Quando lei smise di gemere e singhiozzare, chiuse gli occhi e poggiò una guancia sul petto di Byakuya, respirando piano, gli occhi gonfi ed il volto bagnato. Sfinita e ancora profondamente sconvolta, sembrò lasciarsi cullare dal battito tranquillo e regolare del cuore di suo fratello; lui la guardava, silenzioso ed impassibile nel tentativo incerto di confortarla e di attenuare il suo dolore.

 

Kaien Shiba.

Byakuya non aveva mai avuto nulla contro quell’uomo. Si era sempre limitato ad ignorarlo, provando fastidio nel vederlo al fianco di Rukia, chiedendosi quale fosse il motivo per cui lei lo ammirasse così tanto, o come lui riuscisse a farla ridere così facilmente.

 

Tuttavia, in quelle ore che seguirono, Byakuya Kuchiki lo rimpianse profondamente.

Se solo la tua vita non si fosse interrotta così bruscamente, Shiba Kaien.

 

Forse ora Rukia starebbe ancora sorridendo.

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Capitolo 6
*** • IV • Scene of a Departure || Painful lack of Dialogue { • Side – B ~The rotator • } ***


 IV  Scene of a Departure || Painful lack of Dialogue { • Side – B ~The rotator • }

 

Byakuya si voltò appena verso l’uomo che gli aveva appena rivolto la parola, interrompendo il proprio incedere. Lo sguardo che gli rivolse era talmente gelido e sinistro che Juushiro Ukitake strinse forte le labbra le une contro le altre, aggrottando le sopracciglia.

« Che cosa significa?» chiese, austero, scandendo lentamente le parole.

Ukitake non batté ciglio e gli tenne testa senza difficoltà:

« E’ come ho detto. La signorina Kuchiki ha ricevuto un incarico di stazionamento nel mondo terreno.»

Era una mattina soleggiata, leggermente afosa; il capitano della tredicesima Brigata lo aveva raggiunto muovendo un perfetto passo di shunpo, incrociandolo mentre si dirigeva verso il suo ufficio, nel quartiere della Sesta Brigata, dove lo attendevano i rapporti trascritti dai suoi sottoposti e la nota di trasferimento – a cui avrebbe dovuto apporre una firma – che riguardava l’uomo che, in meno di un mese, sarebbe diventato il suo vice capitano.

Alla fine, dopo tante lamentele, il Capitano Zaraki era davvero riuscito a fare in modo che la promozione a luogotenente aiutante venisse approvata dall’assemblea. Il primo incontro formale con Renji Abarai si era svolto quella mattina, in una piccola e spoglia stanza, nel cuore della caserma della Sesta Divisione. Nel preciso istante in cui Byakuya aveva incontrato lo sguardo determinato di quell’uomo, su di loro era calata un’atmosfera pesante. Renji Abarai aveva risposto ad ogni sua domanda con formalità estrema e con voce ferma, senza tuttavia chinare il capo neppure una volta. Forse era stata quella sua aria fiera e quella sua parlata sfrontata a fare in modo che Byakuya si spazientisse, o i suoi sguardi insolenti che celavano un’indole selvaggia ed ostinata. Ad ogni modo, si era preoccupato di rispondere alle sue frecciatine di sfida con una fredda e sprezzante indifferenza: una volta terminato l’incontro, aveva congedato quell’uomo ripagandolo con la sua stessa arroganza:

« Codesto nostro primo colloquio mi ha alquanto deluso, Abarai Renji.» lo aveva informato, mentre gli voltava le spalle « Spero che in tempo per la cerimonia d’incarico tu possa aver modo di riflettere riguardo quale sia il giusto comportamento da tenere in presenza del tuo Capitano. Ora puoi ritirarti.»

Le scuse farfugliate di Abarai ed il suo inchino impacciato non erano affatto bastati a migliorargli l’umore.

Byakuya sentì nuovamente quello spasmo nervoso percorrergli l’intera lunghezza delle dita, mentre studiava il cipiglio deciso di Ukitake. Questa volta, il Capitano sembrava essersi ripreso bene dalla malattia e appariva in salute: aveva un bel colorito e gli occhi riposati. Tuttavia era triste pensare che, ultimamente, i periodi durante i quali quell’uomo era in forma fossero diventati molto più rari e brevi rispetto a quelli che lo vedevano costretto a letto.

« Quando è stata fissata la sua partenza?» domandò Byakuya, cercando di moderare il tono.

Ukitake sembrò riflettere qualche istante prima di fornirgli la risposta. Alzò gli occhi al cielo per controllare la posizione del sole, sfiorandosi con le dita il mento squadrato, poi annuì:

« Ho dato ordine che il portale venisse aperto quattro ore dopo il mezzogiorno. Quindi, suppongo che la signorina Kuchiki lo stia attraversando in questo momento.»

La mandibola di Byakuya si serrò violentemente, mentre sentiva la collera montare assieme al flusso di reiatsu che si gonfiava, irrequieto, dentro di lui e in Senbonzakura.

« Perché non sono stato avvertito?»

Ukitake scosse il capo, incrociando le braccia:

« Kuchiki ha preferito evitare di comunicartelo.» il suo sguardo divenne di colpo duro e sembrò accusarlo « Temeva che tu avresti risposto con la tua solita freddezza e ha scelto di andare senza dirti nulla.»

Byakuya corrugò la fronte.

« Quanto tempo?»

« Un mese.» le parole di Ukitake suonarono definitive come una condanna. Il Capitano della Sesta Brigata abbassò brevemente lo sguardo, scrutando il pavimento con la coda dell’occhio.

 

Rukia…

 

« Byakuya, dimmi la verità.» dopo qualche istante di silenzio, la voce del tredicesimo capitano gli fece nuovamente alzare gli occhi: l’espressione dipinta sul volto dell’uomo celava disappunto ed una strana malinconia al tempo stesso « Se lei te lo avesse detto, le avresti impedito di partire?»

 

Si.

 

Byakuya non rispose, ricambiando lo sguardo di Ukitake senza che il proprio umore fosse tradito dal cipiglio. Quando Juushiro riprese, la sua voce era venata di tristezza; era il tono che Byakuya aveva sentito tante volte: quello di un uomo che non può fare a meno di dare i propri saggi consigli, sapendo che purtroppo il giovane Kuchiki non avrà mai la giusta tempra e l’umiltà di seguirli.

 

« Byakuya, perché la tratti così?»

 

L’occhiata con cui Byakuya gli rispose brillava di fredda rabbia e parve penetrare nello sguardo castano di Ukitake con tanta violenza che quest’ultimo preferì non aggiungere altro.

Come osi pormi una tale domanda?

 

Come osi parlare, senza sapere nulla?

 

« Capitano Ukitake, abbiamo entrambi molto lavoro da portare a termine.» disse, superandolo, frusciando nel suo haori bianco da capitano « E’ stato un piacere conversare con te, stamane.»

 

Vide per un solo istante il volto afflitto di Rukia e gli parve di udire la sua voce che gli chiedeva scusa, un attimo prima di focalizzare nella mente il luogo in cui veniva aperto il senkaimon. Mentre la pregiata sciarpa dei suoi avi gli volteggiava attorno, fu lì in meno di un istante, con pochi, affrettati passi di uno shunpo particolarmente inquieto ed impreciso.

 

{•   ***   •}

 

Aveva sperato ardentemente di poterla rivedere, prima che lei partisse. Non aveva intenzione di sgridarla o di impedirle di andare, visto come stavano le cose: avrebbe voluto solo poter essere presente nel momento in cui lei avrebbe varcato il portale, imbarcandosi nella sua prima vera missione da shinigami. In quanto suo fratello maggiore, sarebbe stato giusto poterle augurare buona fortuna, raccomandandole di fare del suo meglio.

Ma quando raggiunse l’altura, non trovò nessuno. Non v’era traccia del torii di pietra, né riusciva a percepire la scia del reiki impiegato nella sua materializzazione. Una farfalla infernale stava battendo le proprie ali freneticamente, volando in direzione del Quartiere generale del Gotei, forse a confermare l’avvenuta partenza di Rukia, emettendo un fioco bagliore viola.

 

Troppo tardi.

 

Se lo disse malinconicamente, rimproverandosi di essere stato così cieco.

Si fermò in mezzo al nulla, rivolgendo gli occhi al cielo immobile ed al sole impietoso. Il caldo non lo aveva mai infastidito tanto come in quell’occasione.

 

Rukia, perché lo hai fatto? Perché non me l’hai detto?

Perché ti tieni tutto dentro?

 

Si era illuso che il loro rapporto fosse cambiato, che fossero finalmente riusciti a capire qualcosa l’una dell’altro, dopo che lei aveva pianto così disperatamente fra le sue braccia. Credeva che Rukia avesse compreso quanto fosse difficile per lui esprimerle il proprio affetto, o mostrarle quanto effettivamente gli fosse indispensabile la sua presenza. Quanto fosse arduo per lui ricominciare ad amare in maniera spontanea, dopo che la vita lo aveva messo alla prova in così tante occasioni e la sua anima era stata temprata dallo stesso fuoco che manteneva perennemente affilate le mille lame di Senbonzakura.

Ma evidentemente non era stato sufficiente perché l’insicurezza di Rukia svanisse del tutto.

 

Rukia, continuo a sbagliare qualsiasi cosa faccia.

E’ davvero così difficile per te ammettere che io possa accettarti solo per quello che sei?

E’ davvero così difficile dimostrartelo così che tu capisca quanto sei importante?

 

Digrignando appena i denti, ebbe il sospetto che tutti gli sforzi compiuti fino a quel momento fossero stati vani e si sentì percorrere da un’insopportabile e dolorosa sensazione di impotenza. La strada da percorrere era ancora così dannatamente lunga.

 

E la mano di Rukia era così sfuggente.

 

Siamo entrambi così ottusi.

 

Io troppo orgoglioso per ascoltare.

 

Lei troppo riservata ed umile per chiedere.

 

Rukia, non so come fare a udire la tua voce.

 

Perché non vuoi aiutarmi?

 

La comunicazione fra di noi è impossibile.

 

Byakuya scosse il capo, portandosi fino al bordo dell’altura. Lo strapiombo si estendeva profondo e pericoloso fino alla porta ovest della Seiretei, incombendo minacciosamente sugli edifici fatiscenti del Junrinan del Rukongai.

Lasciò scivolare i piedi fino al ciglio sdrucciolevole, facendo precipitare nel baratro polvere, terra e sabbia. Gli edifici del Seireitei si ergevano alle sue spalle bianchi e maestosi, mentre l’immobilità dell’aria ed un silenzio assoluto lo opprimeva assieme a quel caldo asfissiante.

Rimase immobile a scrutare il Rukongai fino a che il sole non si accinse a discendere ad occidente, in una muta contemplazione che assomigliava molto ad una speranzosa ed inutile attesa.

Sapeva fin troppo bene che aspettare non sarebbe servito a nulla.

Voltò le spalle al Rukongai ripercorrendo a ritroso, lentamente, quel tragitto che aveva coperto con rapidi passi veloci. La sua espressione era equilibrata e fiera, i suoi occhi di nuovo del tutto seri ed impenetrabili.

Un mese, Rukia.

Un mese è molto tempo quando si è d’indole impaziente.

Tuttavia aspetterò.

 

E quando sarai tornata, Rukia…

Ricomincerò da capo.

Rimedierò a tutti i miei errori.

 

Ti darò tutto ciò di cui hai bisogno.

 

Byakuya Kuchiki riprese ad avanzare, conservando il portamento elegante e le movenze posate dell’uomo che era il ventottesimo capofamiglia di un casato aristocratico ed antico.

 

E a quel punto, Rukia

diventerà così facile chiamarci “fratello” e “sorella”.

End

(xxx)





Nota dell'autrice:
Qui finisce. Con il bianco.

Grazie a tutti voi che avete commentato e aggiunto questa storia ad i preferiti, grazie a chi mi ha sostenuta mentre faticosamente scrivevo, grazie a chi mi ha dato l'idea. Ve ne sono davvero grata :3
Spero di tornare presto a scrivere su Bleach <3
Mata ne ~

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