CRESCERE.

di RaggioDiLuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** GIANLUCA. ***
Capitolo 2: *** STEFANIA. ***



Capitolo 1
*** GIANLUCA. ***


CRESCERE
La mia famiglia non è mai stata troppo legata ai parenti, li vediamo pochissimo. Per questo l'ultima volta che ho visto mio cugino era tre anni fa.
Era estate ed ero con i miei genitori, ero andata a trovare i miei nonni, che abitano lontano.
E poi, a rompere la noia di un pomeriggio interminabile, eterno, afoso, era arrivata la telefonata.
La telefonata che diceva "venite a trovarci?"
Aveva risposto mia nonna, dicendo che c'eravamo anche noi.
Beh, meglio, così facciamo incontrare anche Stefania e Gianluca, sono anni che non si vedono.
E così eravamo partiti tutti insieme, io schiacciata sul sedile di dietro con la prospettiva non troppo rosea di incontrare mio cugino.
Troppo diversi, io e lui.
Io, troppo orgogliosa per chiedere un favore qualsiasi anche ai miei genitori.
Lui, così sfacciato da telefonare a sua nonna per farsi portare dei soldi e poi dire che non erano abbastanza.
Io, troppo composta, educata in maniera tanto rigida da stare seduta a tavola per ore appena scesa dal passeggino. Abituata a non lamentarmi.
Lui che scorrazzava per casa, in mezzo alle sale dei ristoranti urlando e aggrappandosi alle sedie facendo i capricci.

Io, che chiedevo il permesso a mia nonna di mangiare una caramella.
Lui, che quando veniva da lei, una volta all'anno, le rubava di nascosto tutte quante e poi lanciava la carta sopra i mobili.
In poche parole, nella mia mente Gianluca era un bambino odioso, semplicemente troppo viziato, vezzeggiato, abituato ad ottenere ogni cosa con uno schiocco delle dita, con un sorrisino dolce alla mamma e un "papà ti voglio tanto bene, lo sai?".

E poi la macchina si era fermata e noi eravamo scesi.
Avevo appena aperto la portiera che un pallone da calcio mi aveva sfiorato  il viso.
Vicino, troppo vicino.
E un ragazzo di due anni più giovane di me, naturalmente già più alto ma ci vuole davvero poco, si era avvicinato dicendo:
-proprio ora dovevi aprire la portiera?-
mi ero ricacciata quel "e proprio ora dovevi mirare alla macchina, deficiente?" e avevo seguito i miei genitori attraverso il grande cortile.
Dopo pochi passi avevo sentito la ghiaia del vialetto scricchiolare sotto le scarpe da ginnastica nuove fiammanti di mio cugino.
Mi aveva superato correndo a pochi metri dalla porta d'entrata, mentre sua madre si affacciava chiedendoci se il cane ci dava fastidio.
Rispose lui per noi:
-Da fastidio a me, quel coso pulcioso, perchè non lo facciamo vivere in garage?-
A quella frase mio nonno, mia madre ed io ci eravamo fermati. Generazione cinofila la nostra. Mia nonna e mio padre, invece, si erano limitati a guardarci come in attesa dello scoppio.
In quanto moglie e marito di due amanti dei cani sapevano che quella frase era semplicemente, assurdamente sbagliata.
Di me non si preoccuparono. Troppo abituata ad essere educata coi parenti.
E rimasi zitta, così come fece anche mia mamma.
Gianluca in compenso venne trapassato dalle nostre occhiate ostili.
Dalla mia soprattutto.
Entrammo e mia nonna ci spedì in sala tutti e due. Inutile dire che ci alzammo solo dopo che capimmo che era inevitabile.
Altrettanto inutile dire che mi alzai per prima.
Lui mormorò un -di là- a mezza voce e io lo seguii osservandolo meglio.
Indossava normali abiti da casa: un paio di pantaloncini corti e una maglietta di qualche vecchio cartone animato che non ricordo.
Io forse facevo il primo anno di liceo, lui la prima media, o forse la seconda.
Alla fin fine era ancora un bambino, ancora di più dei suoi coetanei.
Chiuse la porta alle mie spalle e mi squadrò, improvvisamente senza quell'aria odiosamente da figlio di papà.
-ti piacciono i cani, vero?- beh, perlomeno aveva capito al volo.
-già. E a te no.-
Se lo gelai col mio tono, e probabilmente lo feci a giudicare dalla sua espressione, ne fui e ne sono tuttora più che felice.
Sono nata in una casa in cui i cani sono sacrosanti e adoro i miei quattrozampe.
Dopo quell'inizio poco promettente e ancor meno entusiasmante la situazione sembrò cambiare a poco a poco.
Lui si fece più gentile e non era difficile capire che si stava sforzando di rimediare agli errori.
Dio, era solo un bambino, sarebbe cresciuto.
Alla fine della giornata eravamo di nuovo tutti insieme.
Io facevo educatamente finta di ascoltare le chiacchiere inutili di mio padre e facevo cenni d'assenso quando le sue facce mi dicevano che dovevo annuire, ma non chiedetemi di ricordare quello che disse, ho smesso di seguire i suoi lunghi monologhi più o meno alle elementari.
Gianluca invece se ne stava placidamente seduto a gambe incrociate sul pavimento di marmo ghiacciato a giocare con una sfilza di macchinine che poi finivano inevitabilmente di trovare sulla spalliera del nostro divano, e sulle nostre spalle, la rampa di lancio perfetta per un tuffo nel lavandino pieno d'acqua.
Macchine-sottomarino. Molto rumorose, probabilmente anche impagnative da guidare perchè mio cugino si addormentò dopo un'ora, sdraiato per metà su sua madre e per metà su di me.
Al mio tentativo di scrollarmelo di dosso mia nonna mi aveva lanciato un "è stanco, povero piccolo, stai ferma"  muovendo solo le labbra.
Quando ce ne andammo ci guardò con aria assonnata e ci salutò sorridendo.
Sarà stato il sonno, ma in quel momento era anche sopportabile. Il cane non mi era andato giù, ma per il resto, per i capricci e tutto il resto, avevo concluso che bastava considerarlo ancora un bambino.
Fastidioso, viziato, ma sempre un bambino.
Il mio ricordo di lui era migliorato, anche se certo non saremmo diventati amici.
Poi non ci vedemmo più.

Fino a ieri, giovedì.
Festa patronale nella città dei miei nonni. Io e mia mamma a cena a casa dei suoi genitori. I miei nonni ormai anziani felici come bimbi di vederci, in piedi dalle sei di quella mattina per preparare la cena in modo perfetto. Tovaglia della festa.
Io e mia mamma eravamo andate lì prevalentemente per vedere la sfilata, dopo cena. C'eravamo già state e avevo bei ricordi.
Ricordi dagli occhi molto, molto azzurri.
Durante la cena mio nonno, amante appassionato di ogni tipo di sport, aveva buttato con aria casuale poche parole.
-questa sera, prima della sfilata, fanno anche la corsa ciclistica in notturna, in piazza-
Mia nonna aveva continuato a spadellare borbottando qualcosa a proposito delle zanzare che ci sarebbero state, ma mia mamma mi aveva lanciato un'occhiata.
Così, nonostante non trovi nulla nello stare in piedi due ore per vedere un gruppo di ciclisti che ogni dieeci minuti ti sfreccia davanti, avevo proposto di andarla  a vedere.
Mio nonno riprese a mangiare con gusto, soddisfatto come un bambino davanti ai pacchi sotto l'albero di Natale.
Tanto in piazza avrei potuto fuggire via e vedere un po' di gente.
Uscimmo di casa e camminammo in fretta lungo tutto il corso. La piazza brulicava come mai l'avevo vista.
Andai avanti per cercare un posto per tutti, mentre i miei nonni camminavano rimanendo un po' indietro, con calma.
Trovai un piccolo varco, tra un albero e una panchina, e mi ci infilai.
Anzi, ci infilammo, io e il mio cane.
Dopo due minuti mio nonno mi raggiunse e si mise a dispensare sorrisi a tutti quelli che incontrava, lui di solito così burbero e chiuso.
-ciao zio-
Una voce, più vicina dalle altre, ripetè quelle parole quattro, forse cinque volte. Mio nonno commentò dicendo che chiunque fosse quello "zio" aveva problemi d'udito. Qualcuno, lì accanto, rise per educazione. O forse era il clima festaiolo a renderli tutti più amichevoli, in fermento.
Vecchietti infervorati si salutavano urlando. In fondo quella città è poco più di un grosso paesone. A me non piace, la gente è snob.
Sentii il guinzaglio tirare e dall'agitarsi della coda del cane capii che mia mamma era arrivata. Con mia nonna.
-ciao zia-
Ancora quella voce, ancora nessuna risposta.
Un dubbio però mi venne, Dio santo, proprio stupida non sono anche se il mio cervello in questi giorni sembra andato in vacanza.
Mi girai verso quella voce e trovai un ragazzo appoggiato allo schienale della panchina, ad un passo, forse meno, da me.
Non lo riconobbi ma diedi una gomitata a mio nonno indicandoglielo.
-ciao, Gianluca, non ti avevo visto-
Incredibile. Avevo ragione ma non potevo comunque crederci.
Dio, quello era davvero mio cugino?
I pantaloncini sbiaditi e la maglia dei cartoni animati erano scomparsi, al loro posto spiccavano una cintura D&G, una polo e un paio di pantalono firmati e delle Hogan che non potevano avere più di qualche giorno.
Se ne stava appoggiato con la schiena, le mani affondate in tasca. Fece un sorriso asciutto, freddo, a mio nonno, poi il suo sguardo si posò su di me.
Neppure lui mi aveva riconosciuto nè aveva capito che ero con suo zio.
Quando l'uomo distolse lo sguardo, lui lo portò su di me e si spostò, in una posa degna di un calendario, poi mi squadrò, come se io non potessi vederlo solo perchè non lo guardavo in faccia.
Sentii il suo sguardo su tutto il corpo e quando mi girai lo trovai un po' troppo fisso sulla scollatura della canotta.
Gli sorrisi e lui cominciò a venirmi incontro.
Poi mi rivolsi a suo zio chiamandolo "nonno".
Ritornò ad appoggiarsi alla panchina, le guance rosse d'imbarazzo e gli occhi ridotti a fessure. Il mio giochino non gli era piaciuto.
Ci vollero altri cinque minuti buoni perchè anche mia nonna si liberasse della vicina di casa pettegola e si accorgesse di lui.
Naturalmente cominciò a ciarlare trattandoci come due bambini che non vedono l'ora di vedersi.
Ma se io sorridevo, lui neppure la guardava. Parlava a monosillabi guardando fisso davanti a sè.
Gelido, Freddo.
Cominciai a chiacchierare con altre persone. Lui rimase in silenzio.
Un silenzio che fu lui a rompere, dopo che anche mia nonna si fu arresa.
-sai qualcosa di mia nonna?-
Sua nonna è la sorella della mia. Una donna che nessuno sopporta perchè se ti vede comincia ad urlare dall'altra parte della strada e ti viene incontro cercando di spalmarti rossetto fuxia sulle guance e poi ferma le prime persone che vede (tanto conosce tutti e i cavoli di tutti) e comincia la tiritera:
"questa è la mia nipotina, la figlia della figlia di mia sorella, ma lo vedi come è cresciuta? sembra ieri che non camminava neppure! e la tua bambina come sta?  ah, ma questa piccola cucciola di zia era tanto piccola che stava in una mano..."
Eh, va beh, sarà che fin da piccola ero già taglia bonsai, ma un po' più lunga di una mano lo ero. Soprattutto contando che lei mi ha visto per la prima volta quando facevo già l'asilo.
Una vecchietta che farei a meno di incontrare e quando ci riesco lo faccio.
Ma non dico nulla come non fanno neppure mia mamma o mio nonno, solo per il fatto che mia nonna adora letteralmente sua sorella.
-l'ho vista Lunedì al mercato. Tu, Gianluca, è tanto che non la vedi?-
-beh, neppure mi ricordo. Meglio la vedo meglio sto.-
Glaciale.
Chiaro e diretto.
Mia nonna fece finta di nulla.
-quando partite in vacanza?-
-il tre, forse-
-dove andate?-
-non lo so e non mi interessa. Mamma e papà mi caricano sul camper, faccio la loro valigia personale.-
-sei arrabbiato questa sera, Gian?-
-no, sono solo cresciuto-.
Mia nonna si allontanò insieme a mia madre, mio nonno troppo impegnato a commentare le biciclette che passavano sfrecciando.
Io rimasi appoggiata al mio albero, ma con la coda dell'occhio vedevo mio cugino lanciare occhiate continue al mio cane mentre la sua mano si allungava poco a poco cercando di sfiorarne il pelo senza farsi vedere.
Lanciava occhiate anche a me, per controllare che non lo stessi vedendo.
-è sempre stata timida, non si lascia accarezzare da nessuno-
-non me ne importa nulla, non mi piacciono i cani-












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Capitolo 2
*** STEFANIA. ***


2-crescere ciao!!
a tutti quelli che avranno sicuramente pensato che questa storia fosse stata sospesa, dico: non è abbandonata e non credo di abbandonarla, ma sarà aggiornata con mooooooooooolta lentezza, perchè la sto riscrivendo da capo.
ho dovuto istallare un nuovo sistema operativo e il file di CRESCERE è andato perso nel backup...
così piano piano la riscriverò...
se qualcuno segue le altre mie storie sa già che sono super-incasinata in questo periodo, quindi vi lascio al secondo capitolo solo con un GRAZIE!
ps: la descrizione del primo personaggio è arrivata
ps2: stefania e la cugina di Gianluca sono la stessa persona, di conseguenza G. ci ha provato con la cugina, sì.

queste due precisazioni erano per rispondere al volo a delle recensioni, scusatemi!
il primo capitolo, come già scritto, era totalmente autobiografico, mio cugino ci ha davvero provato con me, ho davvero un piccolo spaniel scodinzolante, e gran parte della Stefania di questo capitolo sono io.
dai prossimi capitoli, invece, sarà pura invenzione.....

CAPITOLO 2:
Fantastico! Avevo lasciato un bambino e avevo ritrovato sotto gli occhi un ragazzo arrabbiato. Con sé, col mondo.
O forse, pensai, ero io ad essere diversa dai miei coetanei. Io che a mandare a quel paese il primo che incontro per sentirmi grande proprio non ci riuscivo.
Io che ero sempre stata la ragazza fine, quella che andava bene a scuola perché il pomeriggio stava a casa a studiare, quella che la domenica, anche con voglia zero, seguiva i genitori in montagna, nel paesino sperduto che odiava, solo per farli contenti.
Io, quella che a volte guardavano storto quando dicevo di no ad una sigaretta.
Io, quella che a diciotto non si era mai ubriacata né aveva alcuna intenzione di farlo.
Non perché pensavo che fosse qualcosa di così assolutamente da depravati, come continuava a ripetere mia nonna, semplicemente perché l’idea di non poter controllare gambe, braccia, ma soprattutto pensieri, mi aveva sempre fatto paura.
Io volevo essere padrona, non dico della situazione, quella poteva anche andare dove le pareva, possibilmente al mare, o comunque in un posto privo di zanzare, ma perlomeno di me stessa sì.
Sì, forse quella diversa ero io.
Eppure non riuscivo a non pensare al suo tono aggressivo, al suo sguardo che restava basso.
Io se sono arrabbiata, se sono convinta di ciò che dico, ti guardo in faccia.
Non ti urlo dietro, quello no, ma riesco comunque ad averla vinta, il più delle volte.
E non guardo altrove.
Perché dico ciò che penso, perché quello che dico lo credo davvero.
Perché non devo sostenere sguardi, ma solo convinzioni.
Quando invece indossi la maschera del ragazzo forte, quello che odia tutte le persone a cui in realtà è sempre stato legato...beh, allora forse guardi a terra per controllare che non cadano frammenti preziosi della tua copertura.
E non riesco neppure a credere che qualcuno riesca a sentirsi cresciuto solo perché spara un paio di grosse cazzate sui propri famigliari.
Io sono cresciuta, so che forma vorrei far prendere alla mia vita, conosco la facoltà a cui vorrei iscrivermi anche se ho finito la quarta liceo e mi aspetta l’anno finale.
Io sono cresciuta perché anche se la gente intorno a me mi guarda come se fossi un’extraterrestre, continuo ad indossare le mie antennine verdi, perché mi hanno sempre detto che si intona al colore dei miei capelli, e non rinnego la patente per astronavi.
Esatto, vengo dal pianeta dove non tutti i ragazzi devono essere i “giovani-d’oggi-la-nostra-generazione-non-era-così” e, udite udite, anche se sembrerà assurdo, vado in giro a testa alta anche senza mai aver fumato qualcosa di nascosto.
Non mi serve niente di questo per capire chi sono e quanti anni ho.
Per quello tengo sempre con me la carta d’identità. Dicono che sia meno nociva alla salute, anche se poi ogni volta il mio sorriso dalla fototessera mi toglie quattro anni di vita, dando un duro colpo alla mia autostima.

Il mio lungo monologo interiore venne interrotto da un movimento, al mio fianco.
Gianluca prese e se ne andò. Senza una parola.
Beh, la parola ce l’avevo io, ma il tono ironico era compreso nel prezzo, prendere o lasciare.
E così lanciai un –ciao- che credo interpetò, giustamente, come “ciao, non è che potresti degnarti di salutare?”.
Allora quel bambino cresciuto, quel ragazzo che si atteggiava a modello, quel cugino che non riconoscevo, si voltò.
-vado dai miei amici-
Anche mio nonno lo salutò. E lui se ne andò, mani in tasca e passo un po’ cadenzato, molto studiato, magari davanti allo specchio in camera di mamma.
Se ne andò da quegli amici che aveva ignorato fino a quando non aveva dovuto dimostrare alla cugina più grande che lui era lì col branco, ops, volevo dire gruppo.
E non si rese conto, forse me ne accorsi in ritardo pure io, che quella sua maschera era così trasparente che mi faceva solo venire voglia di abbracciarlo, così magari si sarebbe sciolta un po’.
E mentre formulavo quel pensiero mi diedi mentalmente della cretina.
Che razza di pensieri andavo a fare?
Riportai l’attenzione sulla corsa in bicicletta ma mi accorsi che mio nonno guardava da un’altra parte.
Seguii i suoi occhi e riconobbi la polo firmata e i capelli scuri di mio cugino, dall’altra parte della strada.
Se ne stava appoggiato ad una transenna. Pochi metri più indietro stavano arrivando tre ragazze.
Chissà se tra loro c’era anche quella che stava con lui.
No, non credo: gli altri due scherzavano, ridevano con loro. Lui se ne stava di spalle, sempre appoggiato alla transenna con le braccia piegate.
Qualche volta gettava un’occhiata al mio cane.
Scemo. Ma che ti costava accarezzarlo?
Va beh, non sono problemi miei.

La serata finì in fretta. Era ora di tornare a casa. Finalmente.
Ma le mie furono speranze vane.
Mia nonna sa essere sadica e non perde occasione di esserlo.
-Stefania, ti fermi qui a dormire?-
Oh, no, no, no...
-Volentieri, ma il cane?-
-sta con noi, cani li abbiamo sempre avuti-
Ah, ah, ah...ma che bello.
-oh, poi ho le lenti a contatto-
Ma mia mamma ha un lucido sprazzo di memoria, tanto raro quanto inopportuno.
-ma sono quelle giornaliere, le devi comunque buttare-
Aiuto.
-ma per domani? Non posso stare senza occhiali-
Mia nonna è sadica, l’ho già detto?
-domani le andiamo a comprare-
-ah-  esaurii le motivazione diverse dal “no, non voglio rimanere in questo buco di gente snob.”
Il brutto è che se ne accorsero tutti.
-il letto è già pronto-
Wow...ma come puoi dire di no a quei visi sorridenti?
Io e il cane, che continuava imperterrito a far danzare la sua coda di Spaniel, imboccammo le scale e ci chiudemmo in camera.
L’unica cosa che amo di quella stanza è il grande specchio a muro. In quel momento rifletteva la figura di una ragazza piuttosto bassa ma snella, capelli lunghi e assolutamente lisci senza bisogno di piastra o shampoo miracolosi, castani, di un colore reso ancora più caldo dai colpi di sole dorati.
Castani come gli occhi.  Un naso, preso tutto dal padre, leggermente grande, un po’ troppo, ma le labbra piuttosto belle e piene.
Non avevo notato le mie labbra fino al giorno in cui un mio compagno di classe, facendomi un ritratto, non l’aveva fatto vedere al mio compagno di banco.
Quello gli aveva fatto notare alcune cose, ma di tutta la risposta mi era rimasta in mente una frase sulla forma della mia bocca.
E così all’intervallo mi ero specchiata in bagno.
Caspita. Non l’avevo notato.
Sorrisii a quel ricordo di qualche anno prima. Da allora le mie labbra mi piacevano.
Mi sfilai il lungo gonnellone marrone scoprendo le gambe, abbastanza lunghe, secondo mio esclusivo parere un po’ troppo grandi in zona cosce. Su quelle nessuno aveva mai fatto ritratti o commenti.
Contavo sullo specchio.
Via anche la canotta viola acceso, con spalline sottili e scollatura più profonda del solito.
E fu allora che ripensai a Gianluca.
Ormai sarà stato a casa.
Mi tolsi le lenti a contatto ritrovando il mio spazzolino da denti nell’armadietto e il mio sapone preferito in un flacone nuovo di zecca. Ok, la città era una città di vecchi orafi con la puzza sotto il naso, ma forse due o tre giorni in quella casa, riverita e coccolata, in totale relax, lontana dalle liti furiose dei miei genitori... buon viso a cattivo gioco. Si, potevo farcela e godermela. L’unica cosa che mi mancava era il mio portatile, l’accesso a internet, la finestra lampeggiante di Messenger, ma soprattutto una bianca pagina di word che attendeva solo di essere riempita.
Beh, avrei scritto su carta.
Colta da un’illuminazione frugai nella mia borsa e ci trovai un libro appena iniziato.
Felice come una Pasqua mi gettai a letto e accesi la lampada da comodino.
Aveva una luce un po’ pallida e giallognola.
Poco efficace ma molto soft. Faceva molto atmosfera.
La spensi quasi un’ora dopo e mi addormentai tra quelle lenzuola che sapevano di una casa diversa.
In quel momento non mi accorsi, però, che il mio cellulare lampeggiava ad indicare un nuovo messaggio.
Numero sconosciuto.

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