Il magico mondo delle fiabe.

di nullusetamoremred
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo: Biancaneve. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo: Cappuccetto Rosso ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo: Biancaneve. ***


C’era una volta, in un regno molto lontano, dove tutte le praterie risplendevano dei colori dei fiori, un re con una figlia che aveva la pelle bianca come la neve. Era così bianca perché Biancaneve era malata di albinismo, infatti pure i suoi cappelli, tinti del color dell’ebano dalle sue damigelle, erano bianchi come la neve e il latte.
Un giorno, dopo la morte della madre della principessa, il re decise di risposarsi, per dare una madre alla sua bambina. Tra tutte le duchesse e regine scelse la donna più amorevole e materna che avesse mai vissuto su tutta l’isola di cui faceva parte pure il suo regno.
Giorni dopo il matrimonio cominciarono ad accadere strani avvenimenti: molti servitori vennero ritrovati decapitati nelle stalle e gli animali di compagnia della regina scomparvero uno ad uno. Il giorno del sedicesimo compleanno di Biancaneve, l’età in cui ella stessa sarebbe potuta diventare regina, il re morì in circostanze misteriose. La regina, che aveva del sangue di fata nelle vene ed era versata nelle arti magiche, scorse in Biancaneve l’assassina del padre e la colpevole delle malefatte precedenti. Capì subito di aver a che fare con una ragazza nata dall’unione di una donna e di un demonio, perché il cuore della ragazza era una macchia nera, in contrasto con il suo albinismo e la sua bellezza. Quella notte stessa chiamò un cacciatore, a cui chiese di condure Biancaneve nella foresta di notte e di strapparle il cuore, in modo che non potesse compiere altre malefatte. Il cacciatore stesso si stupì della richiesta della regina: era risaputo in tutto il regno che ella aveva un cuore candido come le nuvole estive. Eppure decise di fidarsi della sovrana, anche con qualche incertezza. Il giorno seguente il cacciatore convinse la principessa a seguirlo nel bosco. Arrivati nel mezzo di una radura nera l’uomo tirò fuori la sua arma per compiere il suo dovere. Ma Biancaneve, che era di un intelligenza malvagia, capì subito cosa stava per accadere e cercò di impietosire il cacciatore: le sue guance lattee si arrossarono e i suoi grandi occhi neri fecero sgorgare grosse lacrime che addolcirono il cuore del cacciatore. Egli, sentendosi in colpa, raccontò tutto l’accaduto alla ragazza.
Quella sera stessa il cacciatore tornò dalla regina. Ella si trovava in una delle sale più anguste e alte delle torri per compiere dei riti magici benevoli per il suo regno. Il cacciatore entrò silenziosamente senza quasi fare rumore e si accostò alla regina. Le consegnò un biglietto con sopra un messaggio. La regina lo lesse ad alta voce: “Spero che questo dono da parte mia valga come il mio cuore.” Appena ebbe finito di leggere quelle parole misteriose, il cacciatore estrasse un coltello da caccia e se lo puntò al petto. Un fiotto di sangue uscì dalla ferita che gli stava dividendo il petto a metà. L’uomo, noncurante del dolore, infilò tutte e due le sue mani nell’incavo ed estrasse il suo cuore, ancora pulsante, e con due occhi vuoti e vitrei lo porse alla regina. Poi si lasciò cadere a terra. L’urlo della donna si espanse per tutto il castello.
Biancaneve era in cerca di un rifugio momentaneo, un rifugio dove avrebbe pianificato un piano per vendicarsi della rivale e per impossessarsi del trono. In una radura la ragazza trovò una casetta dalle modeste dimensioni e, nonostante la rabbia, si scoprì stanca e decise di chieder alloggio agli abitanti di quella piccola abitazione. Ad aprirle la porta fu un piccolo uomo dalle guance piene e la barba crespa. Quando la vide due emozioni contrastarono dentro se: l’ammirazione per una creatura così tanto giovane e bella e la paura. I nani erano degli esseri sensibili, capaci di percepire le sfumature di un’anima. Nonostante il brivido iniziale le permise di passare la notte in quella casetta, che era anche condivisa dai suoi sei fratelli, anche loro nani. Mortalmente stanca, la ragazza si addormentò subito.
Il giorno dopo Biancaneve si ritrovò in una caverna fredda e buia. I nani la trasportarono lì durante il suo sonno, e la incatenarono.  Un messaggio, che la regina mandò a tutte le creature del bosco, confermò i loro presentimenti: la ragazza era malvagia e bisognava eliminarla. I nani però, che erano di animo buono, non avrebbero mai potuto commettere un omicidio, e quindi decisero di lasciarla in quella caverna gelida, aspettando che il fato facesse il suo dovere. Era appena mattina inoltrata e i sette fratelli guardarono la bella ragazza; i suoi occhi scuri promettevano rabbia e vendetta. Con il primo raggio di sole i sette nani si avviarono verso casa, sicuri di aver fatto una buona azione.
Quella notte stessa la luna era piena e nella casa dei sette nani l’unico suono udibile era il ticchettio di gocce. Tutto sarebbe sembrato regolare, purché la stanza da letto. All’interno sette corpi erano mutilati e con tutte le interiora di fuori, impiccati con i loro stessi intestini e con le ossa bianche che sbucavano fuori dalla pelle squarciata.
La regina si svegliò di colpo. Sapeva che qualcosa non andava. Appena la luna illuminò la stanza si accorse di cosa non andasse: una figura marmorea si era materializzata davanti a lei. La bella Biancaneve era ricoperta di sangue, i suoi capelli erano bianchi e il suo abito ed il suo corpo erano lacerati e pieni di fango. E i suoi occhi erano più strani che mai: erano due pupille nere-rosse in un occhio totalmente bianco, così bianco che sembrava perdersi nella pelle.  La ragazza la guardò in modo impassibile e le chiese cosa avrebbe fatto ora che era scappata da un paio di nodi dentro una stupida caverna. La regina non sapeva che fare: era impaurita e paralizzata dalla paura. Senza nemmeno darle il tempo di capire che stesse succedendo, Biancaneve spezzò il collo alla regina e si rallegrò nel vederla morta, anche se si dispiacque per la sua morte veloce ed indolore.
Il regno non visse mai un periodo tanto buio come quello sotto il governo della Regina di Neve: epidemie, violenza gratuita e povertà. Tutti si pentirono di aver creduto la vecchia regina pazza e gelosa quando accusò Biancaneve di essere il demonio. Il regno passò la sua notte più buia con la regina albina e la disperazione era l’ingrediente della vita quotidiana. I fiori appassirono, il sole era sempre coperto da nuvole nere e le strade erano sempre vuote. Biancaneve ammirò il suo regno in tutta la sua “distruzione” e sorrise.
Un principe, sempre dichiaratosi innamorato della dolce Biancaneve, quando venne a sapere la vera anima della sua amata, cadde in profonda depressione e vergogna. Deriso dai suo amici, decise di compiere un’azione tanto cavalleresca da ristabilire il suo onore. Una notte si intrufolò nel castello della regina e, mentre stava dormendo, la baciò. Biancaneve si svegliò stupita, ma anche felice di vedere davanti a sé il suo vecchio amore. Non fece in tempo per chiedere spiegazioni che il principe cadde a terra, morto. La regina sorrise a quell’immagine di morte e cominciò a tossire. Tutto davanti a lei cominciò ad essere più sfuocato e piano piano perse la vita. Il principe, infatti, prima di baciarla si tinse le labbra di un potente veleno che portò alla morte tutte e due, salvando il regno, il suo onore e il suo amore perduto.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo: Cappuccetto Rosso ***


Viveva, in una foresta della Germania, una bambina dalle dolci guance rosa e dai grandi occhi neri. Ella non aveva i genitori e il loro unico ricordo era una veste bianca lasciatele dalla madre. La bambina passò da famiglia a famiglia e per questo non acquisto mai un nome proprio ed unico: chiunque l’adottasse le cambiava il nome precedente, in modo da allontanare il malocchio. Chiunque adottasse quella dolce bambina si trovava poi in miseria.
Nonostante gli avvertimenti e  le chiacchere, Greta e sua madre decisero di adottare quella bambina perseguitata dalla sfortuna: loro non avevano più niente da perdere e avrebbero tanto voluto un viso dolce e caldo che rallegrasse le loro giornate. Gli anni passarono e la bambina venne cresciuta con sincero amore.
Il giorno del suo quattordicesimo compleanno, Greta mandò la figlia a casa della nonna per festeggiare con lei. Prima di farla uscire di casa le diede un cestino con delle focacce appena sfornate e la veste bianca con il cappuccio lasciatele dalla madre naturale. La avvertì anche di non parlare con gli sconosciuti e di non passare per la foresta. La dolce ragazzina sorrise a sua madre e si avviò.
Il sole illuminava quel cielo blu che era sopra la sua testa. Nonostante tutta la luce che c’era in quella bellissima giornata primaverile, la bambina si rabbuiò. Non riusciva a capire ma c’era qualcosa che le turbava la testolina bruna. Mise una mano paffuta nel cestino e controllò se aveva messo il coltello nel cestino. Sì, c’era.
Senza dare ascolto alla madre, la fanciulla entrò nella foresta e si mise a raccogliere dei fiori da portare alla nonna. Non ebbe nemmeno il tempo di finire un mazzo di margherite che le se materializzò davanti un grande lupo su due zampe. La guardò leccandosi le labbra e le parlò << tu sei la bambina che tua madre e la sua serva mi devono per la loro propria vita? >>.  La bambina guardò quel lupo che, dal quel che pareva, era un demone. Il mostro continuò << tu, mia cara bambina, tu sei la stessa che mi fu promessa quattordici anni fa per permettere a tua madre di essere quella strega che è ora? >>
Delle tortore sorvolarono il cielo, distraendo il demone. La ragazzina, confusa, si sedette su un tronco e guardò il lupo dritto negli occhi. Non capiva ma, in fondo, sapeva. Il lupo, eccitato, si permise di raccontarle tutto.
<< Cara bambina, anni or sono io detti a tua madre e alla sua serva, quelle che consideri rispettivamente tua nonna e tua madre, il dono della magia. Quando ella ti partorì decise di darmi la tua anima e la tua carne succulenta in cambio. Ma tuo padre, da brav’uomo che era, decise di farti nascondere facendoti adottare a destra e manca. Ma oggi, oggi che il giorno della scadenza tua madre era decisa a farti venire da lei per sacrificarti. Ma invece ti ho trovato prima io. Ora ti ucciderò, in modo da non lasciarti arrivare a casa di tua madre. Poi arriverò da lei per riscuotere la tua anima, ma tu non ci sarai e potrò prendere la sua. Due piccioni con una fava. >>
Dette quelle parole le si avvicinò, ingiallendo ovunque le sue zampe toccassero, e protesse il braccio per strozzarle il piccolo collo. Ma la dolce bambina, con un movimento veloce come il battito delle ali di un coleottero, gli tagliò l’arto. Il demone rimase a bocca aperta e la bambina, senza nemmeno pensarci due volte, gli squarciò il ventre.
Mentre il mostro rantolava nel suo sangue, la bella bruna disse << E quando hai dato i poteri a mia madre non hai pensato che potevi passarli involontariamente a quell’ esserino che aveva in grembo? >>
La ragazza bussò tre volte alla porta di noce. La madre le venne ad aprire. La guardò malamente e si trasformò: passò dall’essere quella fragile vecchietta che si fingeva la dolce nonna ad una donna fatale, dagli occhi dello stesso colore della figlia e da una bellezza magnetica, ampliata grazie alla magia. Guardò quella che pensava fosse il demone con disprezzo. Non sapeva che in realtà quella era la figlia, con addosso la sua veste non più banca e le pelli del lupo.
La figlia, travestita, si sedette e guardò quella che doveva essere sua madre. Non dimostrava più di trent’anni anche se, ne era sicura, ne avesse molti di più. A vederle insieme sarebbero sembrate sorelle. La strega si girò verso sua figlia e le parlò << Chi credi d’ingannare, ragazzina? >>
Nessuna risposta, solo un lungo ronzio da parte di una ape che si aggirava intorno ad un aiuola.
<< Chi credi d’ingannare? Il travestimento è perfetto, ma tesoro, sono tua madre. Ti riconoscerei dappertutto. >>
Un luccichio attraversò la stanza. Un coltello.
<< Amelia, dai, non vorrai mica uccidere tua madre come hai fatto con il demone. >>
Amelia, che ora finalmente conosceva il suo nome, le sputò addosso << Madre un corno. Per colpa tua ho vissuto un inferno eterno: ovunque andassi accadeva qualcosa di orribile per colpa di questi poteri trasmessimi da te. Mai nessuno ha voluto adottarmi per più di un anno. Poi tu mi volevi morta. >>
I raggi del sole entravano dalla finestrella accanto al cucinino e la risata della strega riempirono l’aria circostante. Con un gesto affettuoso tolse le pelli da dosso Amelia. << Cosa hai fatto per ucciderlo? Hai usato dell’ambrosia sul coltello? Ne sento l’odore. >>
Gli occhi di Amelia la fulminarono. << è stata Greta ad aiutarmi. Quando tu non c’eri mi ha insegnato. Mi ha sempre detto di non raccontarti niente. Mi ha insegnato a fare quel che so. >>
Le vene del collo della strega pulsarono. << Greta. Greta ha sempre avuto un debole per quel cacciatore di tuo padre. E tu hai il suo stesso fascino. Ma gliela farò pagare. E poi, cosa è che sai fare? Sporcare la lama di un coltello con dell’ambrosia? >>
Un guizzo, un lampo, odore di bruciato, di legno, di muschio e di sangue. E poi il suo cuore in mano alla bambina.
La bambina teneva in mano il cuore della madre. E la madre era viva. Non aveva deciso di ucciderla, aveva solo deciso di strapparle il cuore.
La strega guardò il gesto di sua figlia. Le aveva appena rubato il cuore.
Amelia sorrise, prese un bastone che si era portata dietro e infilzò il cuore sul terreno.
<< Diciamo che ora ti ho dannato al dolore eterno. >> E la madre urlò. Urlò perché le faceva male ed urlò perché sapeva che non sarebbe mai più finito e che nemmeno la morte l’avrebbe mai portato via.
Amelia guardò il suo riflesso in un ruscello. La sua mantellina non era più bianca. Era rossa. Era rossa, come il colore degli occhi suoi e di sua madre.

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