Mia Elbereth

di ValHerm
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La magia degli Eldar ***
Capitolo 2: *** La luce di Ilùvatar ***
Capitolo 3: *** La battaglia dei cinque eserciti ***
Capitolo 4: *** La grazia dei Valar ***



Capitolo 1
*** La magia degli Eldar ***


Mia Elbereth

 

Lay down your head and I'll sing you a lullaby
Back to the years of loo-li lai-lay
and I’ll sing you to sleep, and I’ll sing you tomorrow
bless you with love for the road that you go.



Il rumore è qualcosa di totale. Non c’è silenzio che possa reggere le urla disperate di chi ha perso tutto, la rabbia di chi combatte contro il proprio nemico, le raccomandazioni di chi teme per i propri cari. Quando la guerra arriva travolge tutti: amici e familiari, nemici e alleati. Anche in quegli istanti il rumore era feroce, violento, non un momento di silenzio, né di cordoglio. Le frecce foravano l’aria, i colpi di spada la tagliavano in due. Alcuni cadevano, altri andavano avanti. La terra era la culla di coloro che avrebbero riposato in eterno, il cielo era denso di nuvole cupe, prossime al pianto. La montagna si ergeva più maestosa di tutto il resto, e osservava. Osservava la fine dei suoi figli, che combattevano per i propri fratelli, e per lei. Lei che era il simbolo di una casa ormai perduta.
Il rumore è qualcosa di totale, colpisce tutti; ma il silenzio difficilmente può essere contrastato, quando il destino si riprende una vita. In quegli attimi così pieni di urla e terrore, in quello spiazzo regnava il silenzio. Sembrava quasi che una cupola avesse abbracciato i due che giacevano l’uno accanto all’altra, per permettere loro di poter salutare il mondo e tornare a casa.
Una giovane donna era china sul petto di un piccolo uomo, sdraiato per terra, dal volto provato. Le contrazioni che il dolore aveva causato a quel viso l’avevano reso più stanco, ma non meno bello. Rispetto alla donna, dai folti capelli rossi, l’uomo era di statura minuta: eppure l’espressione che possedeva tradiva un’esperienza maggiore, di una vita già trascorsa.

- Tauriel.

Quel sussurro sembrò risvegliare la donna dal suo stato d’incoscienza. Alzò il viso di colpo, scoprendo due occhi pieni di stelle. Erano così lucidi da sembrare quasi trasparenti. Le orecchie a punta ormai visibili, rivelarono cos’era in realtà: un elfo. La sua mano destra era stretta a pugno sulla casacca di lui, quasi convulsamente, tremando appena. L’altra stringeva un’arma insanguinata, come del resto impregnati ne erano le vesti di entrambi. Due volti persi, dai lineamenti eleganti lei, dalla bellezza selvaggia lui, eppure attraversati da rughe di pena e dolore.

- mi canteresti quella canzone?

Chiese lui, a fatica, guardandola in volto. Lei annuì, comprendendo subito a quale canto si riferisse. Cercò di avvicinarsi di più, trascinandosi, e avvertì solo allora il dolore di una lacerazione sul fianco. Non si arrese, e cantò per lui.

- and I’ll sing you to sleep, and I’ll sing you tomorrow..
bless you with love.. for the road that you..
go-.

Pronunciò l’ultima parola come un singhiozzo, perché impossibile fu per lei trattenere ulteriormente le lacrime. Quelle iniziarono a rigarle il viso da sole, senza pretendere che lei riuscisse a bloccarle. Cercò ancora di abbassare il volto, per nascondere almeno in parte la sofferenza che provava, aggrappandosi sempre più alla casacca di lui, tremando sempre più forte. Il nano riuscì ad alzare un braccio e a sfiorarle i capelli, posando delicatamente le dita su una guancia ormai bagnata. Tauriel alzò il volto, bellissimo nella sua devastazione, e lui non lasciò più andare i suoi occhi.

- Grazie.

Disse infine, sorridendo. I suoi occhi divennero improvvisamente vacui, e quando il tocco con la guancia di lei venne meno, l’elfo spalancò gli occhi.

- Kili.

Disse, afferrando di scatto quella stessa mano che stava scivolando via. Il panico si impossessò del suo volto antico, che si muoveva convulsamente in segni di diniego.

- Kili. Ti prego. No, no…

Cercò di scuoterlo, di svegliarlo, ma rispose il silenzio. Lui non c’era più.
Qualcosa si ruppe in lei in quell’istante. Silenzio e rumore protessero quell’attimo, nel mentre imperversava la battaglia. La ferita che l’elfo aveva sul fianco si allargava, ma il dolore che sentiva era interno, e nessuna medicina, né umana, né elfica, l’avrebbe mai lenito. Il pianto in cui scoppiò fu straziante, silenzioso, intenso: riempì il cielo. Il pugno stretto attorno alla sua casacca non accennò a sciogliersi. Continuava a stringersi a quel pezzo di stoffa, come se avesse paura che allentando la presa l’avrebbe perduto. Tauriel alzò di poco lo sguardo, per fissare ancora una volta l’immagine di Kili, l’ultima che avrebbe avuto modo di vedere. In quell’istante le tornarono in mente tutti gli attimi trascorsi con lui. I viaggi che le loro menti avevano immaginato assieme, la curiosità che li aveva spinti ad incontrarsi e a conoscere l’uno la storia dell’altra, la speranza di un mondo migliore.

- Sono andata lì, qualche volta. Oltre la foresta, sulle montagne, di notte. Ho visto il mondo cadere via.. e la luce bianca dell’eternità riempire l’aria.
- Ho visto una luna di fuoco una volta. Si era levata sul passo vicino a Dunland, era enorme! Rossa e dorata. Riempiva il cielo.

La luce dei suoi ricordi era tenue e pura, quanto illusoria e lontana. Un’ombra li oscurò, e lei seppe che la cupola si era rotta. L’incantesimo era finito ed erano ripiombati nell’odio della guerra che li circondava. Un orco imponente maneggiava una lancia, e la scagliò contro di lei. Tauriel afferrò nuovamente il pugnale accanto a lei e sferrò un colpo, tagliando l’arma dell’orco in due, e si alzò con uno slancio, gettandosi con tutto il suo peso contro la creatura. La lama che conficcò nel corpo del nemico fece esalare al suo avversario il suo ultimo respiro, ed entrambi si lasciarono cadere ai lati opposti del terreno. L’elfo cadde sulle ginocchia, tenendosi il fianco e respirando a fatica. Ritirò la mano rossa di sangue, e la strinse a pugno sul terreno. Guardò ancora una volta il viso dell’amato accanto a lei: sembrava che dormisse, come nella canzone che la madre le aveva cantato da piccola. Non aveva memoria di quando egli aveva potuto udirla: ma era stato normale per lei, comprendere che la canzone fosse quella.
D’un tratto si sentì perforare la schiena da un dardo appuntito. Spalancò gli occhi, sputando sangue sulla terra che la separava da Kili. Il suo respiro divenne ancora più affannoso, i sensi iniziarono a spegnersi in lei. Era stata colpita da una freccia, lo sapeva anche senza voltarsi. Avrebbe potuto resistere, se non fosse già stata ferita al fianco. Sentì la vista annebbiarsi, e non volle guardarsi indietro. Avrebbe lasciato questo mondo guardando il viso di lui, sperando che là dove sarebbe andata, l’avrebbe ritrovato. Riuscì solo a scorgere gli occhi lontani di un amico dai capelli dorati, che le apparvero vicini e cristallini nella loro sofferenza. Sorrise.

Sii forte, fratello’ avrebbe voluto dirgli.

Ma il tempo dei saluti era finito. Ritrovò il viso del nano accanto a lei, e provò un’ultima fugace serenità nel lasciare questo mondo. Strinse gli occhi per il dolore, e si lasciò cadere. L’ultima cosa che poté sentire, fu il tocco delle dita di Kili, che con la stessa incertezza e lo stesso amore, l’avevano trovata già molte lune prima.

 

May you sail far to the far fields of fortune
With diamonds and pearls at your head and your feet
And may you need never to banish misfortune
May you find kindness in all that you meet

 

Con un singulto Tauriel si alzò di soprassalto. Inspirava ed espirava affannosamente, guardandosi attorno, ad occhi spalancati, senza avere coscienza di dove si trovasse. Quando riuscì a riprendere il controllo di sé stessa, scorse parte delle sue guardie che riposava poco lontano, mentre i due elfi di turno la guardavano incerti.

-  Capitano?

Chiese uno dei due. Tauriel alzò gli occhi e iniziò a ricordare dove si trovasse, e perché. Probabilmente era stata l’ombra della montagna a confonderla. Cercò di sembrare più calma possibile.

- Quali notizie dall’oscurità?

Domandò infine.

- Nessuna capitano.

La donna si lasciò sfuggire un sospiro. Annuì.

- Mi allontano per qualche istante. Continuate a stare di guardia.

Ordinò, congedandosi. Si diresse verso un punto indistinto, tra l’ombra della montagna e la poca vegetazione che su di essa era cresciuta nei secoli. La presenza di Smaug aveva reso quel posto malsano, scagliando una maledizione molto simile a quella che aveva colpito bosco Atro. Quando si fu allontanata abbastanza dal resto dell’accampamento, si arrestò, lasciandosi cadere. Aveva immaginato tutto. Ciò che aveva visto tra i suoi pensieri più profondi era stato di un terrore ed una potenza tale da averle lasciato un tremore a livello della mano destra.  Quella stessa mano che era stretta alla casacca di Kili, quasi convulsamente, come se potesse impedire alla sua vita di scivolare via. Era stato solo un sogno. Eppure ne sentiva la ripercussione su tutto il suo essere, come se fosse oppressa da un macigno impossibile da rimuovere. Non avrebbe sperato di fare pensieri positivi durante le sue poche ore di incoscienza, ma avrebbe preferito il nulla, il vuoto, un sonno senza sogni, piuttosto che presagi neri quanto il male che si sarebbe presto abbattuto su di loro. Tuttavia c’era una sensazione che non la lasciava, e decise che avrebbe visto il re del suo popolo per farvi chiarezza. Si alzò piano, facendosi strada tra i massi e le rovine, in quel posto che era solo terra e nulla più. Erebor un tempo era senz’altro stata bellissima: le canzoni narravano delle sue sale lucenti e della sfarzosità dei suoi re. D’altronde era da tempo incommensurabile che agli elfi non era più permesso entrare nel regno che sta sotto il monte, quindi sicuramente lei non l’avrebbe mai saputo. Un ramoscello si spezzò, facendola tornare alla realtà. Si voltò di scatto con una mano pronta a tirar fuori il pugnale, prima di riconoscere un volto amico dietro di lei. Lo chiamava mellon, ma in realtà era molto di più. Si era rispecchiata così tante volte in quegli occhi trasparenti da scorgere il suo riflesso, e negli anni l’aveva visto mutare, come un germoglio che si trasforma in un albero rigoglioso. Purtroppo anche il disprezzo e l’affanno si erano uniti a quel viso sempre allegro e presente. Disprezzo per quel mondo che invece lei amava, e avrebbe tanto voluto scoprire. Legolas la guardava, in attesa. Sapeva sempre quando qualcosa la preoccupava, e spesso aveva risposte che appartenevano alla stessa saggezza del padre.

- Pensavi fossi un nano?

Chiese infine, aprendo le braccia.

- Pensavo di doverti lanciare un pugnale.

Rispose lei, rilassandosi.

- Puoi ancora farlo.

La sfidò lui, muovendo appena il capo.

- Non cerco la guerra prima del tempo. Non con la mia gente. Inoltre, t’infilzerei, mellon.

Ribatté Tauriel con un sorriso. Anche Legolas fece una piccola smorfia, avvicinandosi a lei.

- Cosa cerchi allora, Tauriel del Reame Boscoso? Perché senz’altro di qualcosa sei alla ricerca, se lasci il tuo posto nel bel mezzo della notte.

La risposta dell’elfo dai capelli dorati la disarmò. L’impetuosità della sua visione la travolse nuovamente, tanto da riuscire a sentire quelle stesse urla di sofferenza e quelle mille frecce tagliare l’aria. I suoi pensieri dovevano essere così forti da rendere partecipe perfino l’amico davanti a lei.

- Tauriel?

La preoccupazione di Legolas era palpabile.

- Cercavo il nostro re.

Rispose infine lei, scuotendo il capo.

- Perché è della sua saggezza che ho molto bisogno.

L’elfo davanti a lei la guardò a lungo.

- Se è il re che cerchi, ti condurrò da lui. Ma se posso fare qualcosa per contenere la devastazione dei tuoi occhi, non esitare a chiedere, Tauriel.

Il silenzio calò tra i due. Se mille pensieri lo riempirono, nessuno dei due lo seppe mai. Legolas fece per voltarsi.

- Io non ho il dono della preveggenza.

Disse d’un tratto l’elfo silvano dai capelli rossi. L’altro si voltò nuovamente a guardarla.

- Eppure, io mi domando: è possibile che la magia del nostro popolo possa far sì che io veda ciò che non si è ancora verificato?

Tauriel tentò di riassumere tutta la sua paura e la sua sofferenza in quell’unica domanda. Si chiese se Legolas potesse avere una risposta a ciò che lei non aveva saputo spiegare. Sperò che avrebbe potuto placare l’angoscia che le opprimeva il petto.

- La magia del nostro popolo è antica, neanche i più saggi ne conoscono tutte le manifestazioni. A volte è un immagine, un suono o una parola, ma sì, quella stessa magia ci permette di vedere cose che devono ancora verificarsi. Se penso che questo sia capitato a te? Forse. Ma ora io chiedo a te: se ciò che hai visto accadesse, cosa faresti?

L’elfo dai capelli rossi rimase in silenzio, tesa come una corda, senza potersi rilassare. Era vero, allora – pensò. L’indomani avrebbe visto la morte in volto, e niente avrebbe potuto impedirlo. Davanti a lei il viso di Legolas sembrò ringiovanire di molti anni, e lo rivide d’un tratto bambino, quando correva accanto a lei tra gli alberi di bosco Atro. I suoi occhi azzurri gentili e rilassati nelle ore di gioco o di tiro con l’arco, i duri allenamenti per essere all’altezza di colui che per entrambi poteva essere chiamato padre. La donna tentò di sorridere.

- Ti direi gi melin, mellon.

Rispose infine. La tensione che aveva lasciato il suo volto andò ad occupare quello dell’amico dai capelli dorati. I suoi occhi la scrutavano confusi, tentando di comprendere cosa lei gli stesse nascondendo. Tauriel si voltò, incamminandosi verso una meta sconosciuta, o forse semplicemente dove il destino l’avrebbe condotta sin dall’inizio.

- Tauriel.

Chiamò ancora Legolas, facendo un passo avanti. L’altra si voltò un’ultima volta.

- Gi melin. Tenna tul re.

Disse, accennando ad un sorriso. L’elfo silvano dai capelli rossi, che da molte lune non aveva avuto modo di rivedere quel sorriso, lo contraccambiò, per poi voltarsi e sparire nell’ombra della montagna.

 

Note:
gi melin: ti voglio bene
tenna tul re: a domani

Questa song/long-fic è nata come one-shot, tra le note di una canzone: ‘Sleep song’ dei Secret Garden. In seguito si è sviluppata a tal punto da doverla dividere in qualche capitolo. Ogni volta che ascolto questa canzone mi vengono in mente gli ultimi attimi della battaglia dei cinque eserciti, ed ecco qui descritta l’ultima notte prima del grande scontro. Chi ha letto il libro avrà intuito il riferimento temporale agli accampamenti di elfi e uomini sotto la montagna. Per il resto.. questa è la mia visione di come Jackson dovrebbe concludere la meravigliosa rielaborazione che ne ha tratto, descritta dal POV di Tauriel (in realtà ho più di una sola idea e più di una sola conclusione, ma questa è una delle tante). Possa una stella brillare sul nostro incontro, miei cari lettori, e spero che apprezzerete la mia storia.

ValHerm

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Capitolo 2
*** La luce di Ilùvatar ***


May there always be angels to watch over you
To guide you each step of the way
To guard you and keep you safe from all harm
Loo-li, loo-li, lai-lay


La porta dei nani era chiusa, sigillata dalle sue antiche scritture e imponente nella sua grandezza. Gli occhi di Tauriel la fissarono a lungo prima di capire che sarebbe rimasta così sino all’indomani – o sino a quando Thorin ScudodiQuercia l’avesse ritenuto opportuno. Era esattamente come se l’era aspettata: un confine netto tra i figli della montagna e quelli del cielo stellato. Nonostante tutto, aveva sentito il bisogno di recarsi lì, forse per comprendere quanto le sue sensazioni potessero essere errate ed incomprensibili. Dopo averla contemplata a lungo, in silenzio, si allontanò, giungendo in uno spiazzo abbastanza ampio, circondato da alcuni alberi che erano scampati alla furia del drago. Qui si sedette, circondata da rocce e fili d’erba secca, ripensando al verde dei suoi boschi ormai lontani. Quella stessa terra sulla quale aveva posato i suoi passi era però ricca di memoria: non poteva non provare una certa riverenza nell’essere circondata da quelle che erano le rovine di un grande popolo, che aveva affrontato una grande battaglia. Nella loro desolazione, quei resti erano la prova di quanto coraggio fosse nascosto in quei piccoli uomini.

Il coraggio.

Era stato probabilmente quello ad averla colpita, la prima volta che aveva incontrato i nani di Erebor. Caparbietà, testardaggine ed orgoglio. Eppure c’era stata una luce, accecante come il sole, che aveva veduto quando uno di loro l’aveva osservata. La sua curiosità era sempre stata malvista dagli altri elfi silvani: loro erano creature immortali e lontane, che mai si sarebbero curate della sopravvivenza degli altri popoli della terra di mezzo. Lei invece si era sempre sentita diversa, più vicina al mondo di quanto alle alte creature fosse concesso. Lo sguardo di quel nano aveva risvegliato la parte più profonda del suo essere. Avrebbe dovuto considerarlo irriverente e pieno di sé, ma in realtà lo aveva sentito vicino come nessun altro in seicento anni di vita. Avevano trascorso poco tempo insieme, ma quello scorcio di mondo che aveva immaginato accanto a lui le era bastato per desiderare giorni nuovi, colmi di vita e di speranza. Gli aveva salvato la vita due volte, e quello aveva creato un legame ancora più forte, privo di ogni logica o spiegazione. Così come irrazionale quanto forte era il suo desiderio di poterlo rivedere in quell’istante. Non sapeva cosa avrebbe potuto dirgli, ma avrebbe voluto rivedere il suo volto, ancora una volta.

Ricordò improvvisamente come aveva fronteggiato Smaug, venuto a Pontelagolungo per distruggere gli abitanti della città. L’aveva medicato da poco, la magia degli Eldar non aveva ancora ultimato il suo percorso, che già si era alzato in piedi brandendo il suo arco. Ricordò la rabbia che montò in lei e la preoccupazione che il nano potesse morire sul serio, oltre alla paura per le fiamme ardenti che avvolsero la città. Dopo avergli sussurrato una marea di insulti nella sua lingua – che Kili difficilmente avrebbe compreso – aveva concluso esasperata “sei una testa dura”. Aveva fatto poco caso alla faccia contrariata del nano e alla sua battuta di spirito legata alla sua robustezza totale. Smaug sorvolava le abitazioni, uccidendo chiunque capitasse a tiro, e mancò poco che non incenerì anche loro. Fortunatamente, ora giaceva sul fondo del lago, preda di un sonno dal quale non si sarebbe più svegliato.

Se ciò che hai visto accadesse, cosa faresti?

Le parole di Legolas le risuonarono chiare nella mente, costringendola a tornare al presente. Alzò gli occhi, ed incontrò la sua amata volta stellata. Quei punti di luce si rifletterono nei suoi occhi, pieni della loro bellezza ed eternità. Elbereth aveva deciso di illuminare quella notte più di ogni altra, chissà poi perché. I nani erano chiusi nella montagna, e il loro re non voleva saperne nulla di aiutare gli uomini o di parlamentare con gli elfi. Non c’era brillantezza in quel posto, se non quella legata alle monete d’oro e d’argento di Thror. Ma per Tauriel, quei punti celesti che la dama delle stelle aveva preparato per Manwe, erano molto più luminosi di qualsiasi tesoro dei nani. La vastità di emozioni che provava non poteva essere definita in alcuna parola delle antiche lingue del mondo. Così iniziò a cantare.


Era una melodia antica, quella che fuoriuscì dalle sue labbra. Le ricordava tempi mai vissuti, la magia di un popolo al quale nonostante tutto sarebbe sempre appartenuta. L’immagine legata a quel canto era l’unica che le ricordasse in qualche modo sua madre. Non era una vera e propria immagine, chiara e definita: era un calore antico ed avvolgente, che sapeva rassicurarla anche nei momenti più bui.
Mentre intonava le ultime parole di quella canzone senza tempo, avvertì in maniera impercettibile il rumore di un passo. Si voltò di scatto fuoriuscendo il suo pugnale. I suoi occhi, divenuti d’un tratto rigidi e affilati, si sciolsero in un attimo impercettibile. Un piccolo uomo la fissava incantato, come aveva già fatto molte volte prima d’allora. Tauriel rimise nella fodera il pugnale, lentamente, senza saper bene cosa fare, ora che lo aveva lì davanti a lei. Kili era ancora immobile al suo posto, sbatteva a tratti le palpebre, attraversato da sensazioni inspiegabili a parole.

- Scusami. Ti ho spaventata.

Riuscì a dire, mettendo una mano dietro la testa.

- Non sei il primo, stanotte. Forse sono io ad essere un po’ tesa.

Rispose lei, sedendosi nuovamente. Non sopportava di doverlo guardare dall’alto, non in quegli istanti, non dopo tutto quello che avevano passato insieme. Preferiva guardare i suoi occhi da pari a pari, dimenticando cosa li dividesse più di ogni altra cosa al mondo.

- Cosa ti preoccupa?

Chiese lui avvicinandosi. Prese posto accanto a lei.

- Il domani.

Sospirò Tauriel. Abbassò lo sguardo, sperando che lui non riuscisse a leggerle quella tristezza ed angoscia che la sua visione le aveva procurato.

- Roba da poco, insomma.

Scherzò Kili, riuscendo a strapparle un sorriso. Il sorriso. Il suo e quello che riusciva a destare in lei. Era stata quella un’altra cosa ad averla colpita, nell’immensità del palazzo del Reame Boscoso. In mezzo a tutta quella luce straniera, Kili non era riuscito a trattenerlo, e anche in quegli istanti, nel bel mezzo dell’oscurità, riusciva a sorridere. Nella vastità del regno elfico nel quale era cresciuta, Tauriel aveva visto così poche volte la luce di un sorriso, dall’esserne attratta come da una stella.

- Era molto bella, comunque.

Disse a un tratto lui, ridestandola dai suoi pensieri. Probabilmente lesse la confusione negli occhi di lei, perché si affrettò ad aggiungere:

- La canzone. Credo di essermi incantato ad ascoltarti.

Pronunciò l’ultima frase quasi come se fosse naturale aprire i suoi sentimenti a lei. Abbassò impacciato lo sguardo, quando si rese conto della forza della sua confessione. Tauriel lo fissò, senza proferir parola, sentendo però qualcosa muoversi in lei, all’altezza del petto.

- Era una ninnananna, antica come tutte le nostre canzoni. È l’unico ricordo che mi resta di mia madre. In realtà non so se fosse davvero lei a cantarmela, perché non ho un’immagine chiara a cui fare appello. Ma nel mio cuore sento che era lei. È una delle cose più care che ho.

Spiegò con affetto. Kili la fissò intensamente.

- Lo so. L’ho sentito nella tua voce, mentre la cantavi. La ami come ami le tue stelle.

Disse, perché davvero l’aveva sentito. Davvero aveva compreso. Tauriel alzò lo sguardo verso la volta celeste, in parte per le parole di Kili, in parte per nascondere le forti emozioni che le coloravano il volto. D’un tratto un pensiero la sfiorò. Il ricordo di una conversazione, avvenuta molto tempo prima.

- Le stelle che tu senti lontane.

Disse, cercando gli occhi di lui. Kili fece finta di rimuginarci su, poi alzò lo sguardo.

- Non sono più così distanti, adesso. Elbereth ti ha mandata da me per questo.

Rispose. Tauriel si voltò di scatto, non appena sentì nominare Elbereth. La dama delle stelle era nota come Varda per la maggior parte della Terra di Mezzo, ma Kili aveva usato il nome che solo gli elfi le davano. Stava per chiedergli come avesse fatto ad apprenderlo, quando lui la fissò intensamente. Accennò un sorriso.

- Melda heri Tauriel. La luce di Ilùvatar ancora ti splende in volto.

L’elfo spalancò gli occhi, non riuscendo a celare la sua sorpresa. Un nano aveva recitato per lei una frase delle antiche leggende, legata alla dama delle stelle. Kili sembrò compiaciuto dell’effetto che la sua frase ebbe su Tauriel, e cercando di nascondere un ampio sorriso, volse gli occhi nuovamente al cielo. Una volta interrotto quel contatto d’iridi, l’elfo sembrò risvegliarsi. La figura accanto a lei aveva davvero inteso cosa le aveva detto? Melda heri. La cosa certa era che o aveva imparato l’elfico in sogno, per volere dei Valar, oppure si era impegnato a studiarlo dopo averla incontrata. In entrambi i casi, un sorriso spontaneo riuscì comunque a colorarle il volto. Tauriel seguì l’ esempio del giovane e osservò quelle costellazioni che tante altre volte aveva veduto; in quell’istante le sembrarono brillare di una nuova luce. All’improvviso sentì un calore familiare sfiorarle il dorso della mano. Era un tocco esitante, delicato, di dita ruvide che cercavano le sue. Aprì appena le sue dita, quel poco che permettesse loro di intrecciarsi, e subito sentì il tocco di lui farsi più sicuro, e stringerla nel suo calore. Quelle mani, che si erano cercate altre volte, ed una volta sola si erano trovate, erano di nuovo insieme, come se solo in quell’istante avessero trovato pace.
Rimasero in silenzio per un po’, il tempo di farsi inondare da quel calore che si trasmettevano tramite le loro mani unite. La miriade di sensazioni che li travolse non potrebbe comunque essere spiegata in nessuna delle lingue correnti. Poco dopo Tauriel alzò la mano destra indicando il cielo.

- Telumehtar. Credo sia la tua costellazione. Non l’ho mai vista così brillante come questa notte.

Osservò, destando la curiosità di lui.

- Cosa vuol dire?

Chiese Kili, con un ampio sorriso. Era animato da una curiosità che la rassomigliava molto.

- Che non hai armi molto potenti.

Rispose Tauriel, con una smorfia. Lui la fissò di scatto, talmente sincero nella sua delusione da strapparle un risolino soffocato, che rivelò lo scherzo dell’elfo silvano.

- Sto scherzando. Credevo avessi imparato l’elfico, per la grazia dei Valar. È il soldato del cielo. La sua arma è una spada, corta e larga. Tu sei un’arciere, ma credo che il vostro spirito vi accomuni.

Spiegò. Tuttavia lui non era disposto a perdonarle il piccolo scherzo.

- Brava, prendimi in giro. Per la cronaca, non ho le orecchie a punta, io. Avevo imparato appositamente quella frase e ci ho messo così tanto per memorizzarla.. pensa che ho provato più volte a recitarla a mio fratello, ma sono sempre stato mandato da Ilùvatar. Non è molto romantico.

Disse risentito, senza riuscire a celare un sorriso. Tauriel nascose un risolino con la mano, immaginando Kili mentre recitava al fratello più grande i versi di Elbereth.

- Guarda come si diverte. Non lamentarti quando ti farò visitare le sale di Erebor e ti lascerò nel cuore della montagna, tra indicazioni che non sai interpretare per trovare l’uscita. Allora sì che ti sembrerò un’arma potente. Allora riderò io.

Disse il nano, con superiorità. Aveva una naturalezza così travolgente che Tauriel spalancò gli occhi, immaginandosi già lì.

- Non oseresti.

Rispose lei. Non riusciva a celare il suo sorriso nemmeno per sbeffeggiarlo.

- Hai visitato il palazzo reale elfico ed è questa la tua riconoscenza?

Chiese, fingendosi altezzosa.

- Oh certo, grazie per avermi catturato come un coniglio ed avermi permesso così di visitare le celle e le cantine elfiche. Bei barili, a proposito. Da collezione.

Tauriel boccheggiò, tra l’indignazione e il divertimento.

- Dì quello che vuoi, ma ti sono stata accanto. Perciò non oserai lasciarmi da sola nel cuore della montagna!

Esclamò, avvicinando il suo volto a quello di lui. I suoi occhi grandi sembravano realmente offesi, persi nel gioco dove insieme si erano avventurati. Kili invece si ridestò da quel sogno proprio in quell’istante.

- Non ti lascerei.

Disse, facendole mancare un battito. Anche Tauriel si ridestò dall’illusione di essere già nelle sale di Erebor, e si ritrovò improvvisamente accanto a lui, più vicina di quanto lo fosse mai stata. I suoi occhi presero a brillare. Kili alzò la mano libera per sfiorarle la guancia, esplorando delicatamente i suoi tratti, come se lei potesse svanire da un momento all’altro.

- Non ti lascio.

Sussurrò, avvicinandosi. L’emozione del momento fu palpabile. I respiri dei due erano ormai così vicini da unirsi, i loro occhi indugiavano sul viso dell’altro. Fu allora che accadde: le loro labbra si sfiorarono. Fu un tocco delicato, atteso ed incerto, come lo erano state le loro mani la prima volta che si erano trovate. Dopo il primo tocco, entrambi persero il senso della situazione, del mondo che li circondava. Il loro bacio diventava sempre più forte, passionale e disperato, perché nel suo silenzio erano sospese tutte le paure e le incertezze che in realtà li dividevano. Ma in quel momento non c’era nulla a dividerli: lei si aggrappò alle sue spalle possenti, lui esplorò la morbidezza dei suoi capelli infuocati. Cercarono così di comprendere quella scintilla che li aveva uniti sin dal primo istante, quella intensità di un contatto desiderato a lungo, celato a tutti, tranne che a loro stessi. Perché lontano dal reame boscoso, fuori dalla montagna solitaria, non erano più un nano ed un elfo troppo diversi perfino per comprendersi: erano un uomo ed una donna che si erano sentiti legati sin dal primo sguardo, che si erano desiderati profondamente, in un modo che solo Ilùvatar poteva immaginare. Quel bacio suggellò un sentimento diverso quanto profondo. Qualcosa che solo loro, nel loro essere uguali, compresero.


A poco a poco l’irruenza del loro gesto si acquietò. Si ritrovarono uno davanti all’altra, in ginocchio, fronte contro fronte, mentre si osservavano, rossi in volto e col respiro irregolare.

- Credi che avrebbe potuto amarmi?

Chiese Kili, lasciando Tauriel senza parole. Quella era stata una domanda fatta in un delirio febbrile, e l’elfo mai avrebbe creduto di poterla udire ancora. Indugiò a lungo sui suoi occhi, poi sulle sue labbra, chiudendo appena le palpebre. Poi lo guardò, intensamente.

- Li melin, hir vuin.

Rispose. Erano le parole più vicine al suo cuore che potesse pronunciare, nonostante sapesse che lui non poteva comprenderle. Kili la fissò, e le carezzò nuovamente il volto.

- Anch’io.

Rispose. Perché nonostante non conoscesse le parole, aveva compreso il sentimento della sua voce.

- Anche se non ho le orecchie a punta.

Aggiunse poi, strappandole un meraviglioso sorriso.

 

Note:
Melda heri Tauriel: mia amata Tauriel
L’altra frase si scoprirà a tempo debito. Se avete letto il Silmarillion, saprete che Elbereth/Varda è la dama delle Stelle, sposa di Manwe, signore dei Valar. Ho unito a questo capitolo un po’ delle mie ultime letture, assieme alla costellazione di Telumehtar.
La luce di Ilùvatar ancora ti splende in volto” ovviamente è una citazione del maestro Tolkien, sempre dal Silmarillion.

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Capitolo 3
*** La battaglia dei cinque eserciti ***


May you bring love and may you bring happiness
Be loved in return to the end of your days
Now fall off to sleep, I'm not meaning to keep you
I'll just sit for a while and sing loo-li, lai-lay

Quella notte stellata scivolò via più rapidamente di quanto i combattenti a guardia della montagna potessero sperare. La luce dei raggi dell’alba avvolse due figure dormienti, l’una accanto all’altra, che respiravano tranquillamente, tenendosi per mano.

Tauriel fu la prima a risvegliarsi, avvertendo il calore del giorno appena iniziato. Guardò il sole con la tristezza negli occhi: troppo poco la notte li aveva nascosti e protetti da occhi indiscreti. Non era più spaventata come il giorno prima, qualunque fosse stato il suo destino, l’avrebbe affrontato. Temeva però per la sorte dei suoi cari: la guerra avrebbe portato comunque morte e distruzione. Ma quante perdite avrebbe causato?

Voltò lo sguardo, e si soffermo sulla figura del nano dormiente accanto a lei. Sembrava così tranquillo, proprio come nella sua visione, a differenza che nelle sue paure più profonde non si sarebbe più svegliato. In quegli istanti però respirava sereno. Salda era ancora la presa sulla sua mano, come se avesse avuto paura che durante la notte l’avrebbe perduta. Si erano addormentati così, osservando le costellazioni, mentre lei pronunciava parole in una lingua tanto dolce quanto sconosciuta. Lui cercava di imitarla, e forte nella sua curiosità l’ascoltava rapito, osservandola intensamente.

Tauriel sorrise appena, consapevole che se ciò che temeva si fosse verificato, non avrebbe avuto rimpianti nella morte. Alzò la mano libera e scostò qualche ciocca di capelli ribelle dalla fronte di Kili. Chissà cosa diranno i tuoi fratelli – pensò. Chissà cosa diranno i miei. Gli ostacoli che quel sentimento aveva incontrato da quando era nato erano subito state evidenti ad entrambi. Eppure quando qualcosa di così forte ti unisce ad un altro , non c’è modo che quel nodo venga sciolto. Si resta legati.
Per l’eternità.

Consapevole di quella certezza, sentì che ciò che avrebbe affrontato dal quel momento in poi non le avrebbe fatto più paura. Si avvicinò all’orecchio di Kili e sussurrò la sua canzone.

- and I’ll sing you to sleep, and I’ll sing you tomorrow
bless you with love, for the road that you go.

Sorrise appena e gli diede un lieve bacio sulle labbra. Sapeva che era giunto il momento di andare. Sfilò pian piano la sua mano da quella del nano, salutando quell’unico momento di pace che gli era stato concesso. Si alzò, fiera nel suo portamento, e fissò il sole di quell’alba, un sole che avrebbe cominciato una giornata significativa, nel bene o nel male. Se il re sotto il monte avesse cambiato idea, molte cose sarebbero state diverse, e forse avrebbero potuto vivere in pace. Tuttavia si vociferava che una maledizione fosse legata all’oro di Thror, ed anche un uomo valoroso come Thorin ScudodiQuercia avrebbe potuto divenirne la preda. Nei suoi occhi scomparve la dolcezza e la fragilità che aveva mostrato a Kili la notte prima e ricomparve la forza ed il coraggio del capitano della guardia. Si guardò indietro un ultimo istante, in tempo per vedere il nano iniziare a muoversi impercettibilmente.

Forse lui ce l’avrebbe fatta.

Forse il principe avrebbe convinto il re.

Quando Kili aprì gli occhi verso il sole, la figura dell’elfo era già scomparsa.

 

In breve tempo Tauriel raggiunse l’accampamento elfico, tornando alla postazione che era stata riservata ai soldati del re. I suoi sottoposti la guardarono senza riuscire a trattenere la sorpresa.

- Capitano..

Iniziò uno di loro. Ma non fece in tempo a terminare la frase. Legolas apparve improvvisamente accanto alla guardia reale, con sguardo serio e duro.

- Tauriel.

Chiamò. Lei lo guardò, in attesa.

- Mithrandir ci ha annunciato una sventura ancor più grande della testardaggine di Thorin ScudodiQuercia. Orchi. Sono numerosi, e affiancati dai mannari. Preparatevi alla battaglia.

Sentenziò  il principe. Tauriel spalancò gli occhi, deglutendo l’angoscia che era improvvisamente risalita in lei. Fece un cenno col capo per risposta, concentrandosi sui suoi uomini mentre Legolas si allontanava. Avrebbe dovuto combattere, proprio come aveva previsto. Sventura e distruzione senza pari stavano per abbattersi su di loro. Un corno profondo e terribile risuonò nell’aria cupa e densa della montagna. Tauriel si voltò di scatto verso l’orizzonte.

- Ai vostri posti.

Ordinò. Allontanandosi dagli accampamenti, vide ciò che alla vista umana sarebbe stato impossibile: l’esercito degli orchi di Azog il profanatore.
L’ora era giunta.

 

Altri tre suoni risuonarono in seguito, ognuno con un’intensità diversa dall’altro: il corno elfico, dell’esercito silvano; il corno umano, dei valorosi di Pontelagolungo; il corno nanico, dei figli della montagna. In realtà, non erano i nani di Thorin quelli schierati accanto a loro: erano i nani di Dain, re dei Colli Ferrosi, giunti per dare manforte ai loro parenti, ancora chiusi nella montagna.

I tre eserciti erano schierati alle sue pendici, fermi nelle loro formazioni. Tauriel guardava dritta davanti a sé, per non mostrare il minimo cedimento, per concentrarsi solo sullo scontro e per difendere il mondo che tanto amava. Poco distante da lei, in una fila antecedente alla sua, c’era Legolas, pronto a guidare la sua armata come un degno principe del reame boscoso. Accanto a lui, re Thranduil aveva negli occhi un ardore che Tauriel non aveva mai visto riflesso nelle sue iridi azzurre. Era lo sguardo di chi una volta si era tirato indietro, e avrebbe combattuto il doppio per riparare a quell’errore.

L’elfo non poté trattenersi dal rivolgere il suo sguardo anche a Est: vide l’esercito dei nani muti nella loro potenza e compatti nel difendere la loro terra. Kili non era lì. Ne era al contempo sollevata e preoccupata. Sapeva che niente avrebbe potuto distoglierlo da quello scontro, e che probabilmente era in lotta con suo zio, negli antri di Erebor. Lui che non aveva mai visto guerre, lui che nei suoi incubi non sarebbe sopravvissuto. Tornò a guardare fisso davanti a sé, pronta allo scontro decisivo.

 

Gli orchi avanzavano rapidamente verso la montagna, ad una velocità inusuale per quelli della loro specie. Il loro comandante li motivava in una lingua troppo oscura per poter essere riferita. I mannari ringhiavano feroci, affiancando i loro alleati. Sembravano desiderosi della carne nemica, che bramavano da tempo. I tre eserciti schierati contro di loro erano in silenzio, pronti a scattare al minimo cenno dei propri condottieri. Tutti si chiedevano, dentro di loro, se il re li avrebbe raggiunti per difendere la montagna. Ogni speranza sembrava ormai perduta, persino per Dain, che non si era voltato un istante verso la porta dei nani.

D’un tratto, un rumore li riscosse. Colpi che percuotevano la porta e facevano tremare i fianchi della montagna. Tauriel si voltò in tempo per vedere i massi che chiudevano la porta crollare uno dopo l’altro e la polvere occupare il sentiero centrale. In quella stessa polvere, delle figure indistinte camminavano compatte, a passo sicuro. Tredici nani, in formazione di battaglia, guidati dal re sotto la montagna.

Fu un momento talmente solenne che gli eserciti restarono in assoluto silenzio, osservando gli ultimi eredi della stirpe di Durin farsi strada verso la battaglia imminente. Il re aveva negli occhi quello stesso fuoco di Thranduil, di Dain, e di Bard. La sua arroganza e il suo desiderio di potere sembravano scomparsi. C’era solamente forza, in lui.

La forza di un re pronto a morire per difendere il suo popolo.

I dodici nani al suo seguito si arrestarono, lasciando che Thorin si avvicinasse a Dain. I due cugini a capo dell’esercito delle montagne si guardarono, e si compresero. Dain abbassò il capo, lasciando che l’altro potesse guardare coloro che avrebbero combattuto per difendere la montagna. Thranduil e Bard sarebbero rimasti. Il re comunicò la sua gratitudine tramite uno sguardo, e non ci fu bisogno di parole per quell’attimo.

Tauriel osservava Kili, fermo nella prima fila nanica, in quanto principe del suo popolo. D’un tratto, lui voltò lo sguardo verso di lei. Non seppe cosa vide nei suoi occhi, perché un attimo dopo sorrise impercettibilmente. Anche lei provò a ricambiare quel sorriso, più denso di ricordi e malinconia di quanto l’ultima volta lo fosse stato.

Thorin ScudodiQuercia mosse qualche passo verso il plotone nemico, guardando fisso davanti a sé. Sguainò la sua spada, puntandola verso il cielo. Urlò una parola in lingua nanica, che tutti sentirono di comprendere.

Andiamo.

Iniziò a correre verso l’orizzonte, e tutti si unirono a lui: nani, uomini, elfi. Il re della montagna aveva dato il suo segnale, e la battaglia era cominciata.

Frecce vennero scoccate, colpi di spada tagliarono l’aria in due. Lo scontro fu violento ed all’ultimo sangue: gli orchi cadevano uno dopo l’altro, ma sembravano moltiplicarsi invece che diminuire. Tauriel lanciava frecce agli orchi più deboli, infilzava con la spada quelli più grandi che riuscivano ad avvicinarla. I suoi soldati combattevano con onore, proteggendo i loro compagni di stirpe umana o nanica: sembrava che l’antico odio tra le varie razze fosse scomparso, alimentando il ripudio che tutti loro provavano verso gli orchi di Azog.

Una volta abbattuta la schiera che le occupava la visuale, Tauriel intravide Kili poco distante da lei, mentre sferrava colpi di spada verso tre orchi che gli stavano addosso in contemporanea. Il nano riuscì con un colpo solo ad ucciderne due, ma il terzo li aveva usati come scudo per potersi gettare su di lui. L’elfo non ci pensò un attimo e lanciò il suo pugnale al capo dell’orco, che si arrestò di colpo, cadendo all’indietro. Kili lo guardò stupefatto per un momento, dopodiché guardò lei, e indietreggiando le si avvicinò, parando i colpi di chiunque gli si gettasse contro. Tauriel fece lo stesso, fungendo da scudo per sé stessa ed il piccolo uomo.

- Mi salvi la vita in continuazione.

Disse una volta arrivato accanto a lei, mentre continuava a sferrare colpi contro gli orchi.

- Ti da forse fastidio essere salvato da una donna?

Chiese lei senza guardarlo, lanciando frecce una dopo l’altra.

- Cosa? Non è questo!

Rispose Kili, col fiatone, dopo aver abbattuto un orco dalla statura massiccia.

- è che non smetterò mai di essere in debito con te.

Tauriel lo guardò un attimo, sorpresa della sua risposta. La testardaggine dei nani - pensò. Dopodiché si concentrò nuovamente sulla marea dei nemici intorno a loro.

- Sei uno stupido.

Rispose, infilzando un’altra orribile creatura.

- Tu mi hai salvata. In un modo che solo i Valar sanno. Non hai nessun debito con me, se non quello di rispettare la tua promessa.

Gli disse, sperando che lui ricordasse. Kili spalancò gli occhi.

Non ti lascio.

Fece un sorriso compiaciuto.

- Tornerò da te.

Rispose, infilzando un altro orco.

- Fa attenzione.

Lo pregò lei con lo sguardo, mentre entrambi indietreggiavano verso i loro eserciti.

- Tauriel!

La chiamò ancora lui. Lei si voltò un’ultima volta.

- Li melin.

Disse, voltandosi e correndo verso i nani di Erebor. Tauriel rimase ancora una volta sorpresa da quanto Kili potesse disarmarla con un semplice gesto. Cercò di staccare lo sguardo dalla sua figura e tornò ad uccidere gli orchi con forza, sperando che il nano sarebbe tornato.

La battaglia continuava ad imperversare con forza ed irruenza. Perfino gli elfi iniziarono a temere che forse la loro alleanza non sarebbe bastata, perché gli orchi di Azog li superavano in numero. Tauriel riuscì a intravedere anche il suo principe combattere alla testa del popolo silvano. Legolas stava bene. Legolas sarebbe sopravvissuto. Doveva sopravvivere. Roteando su sé stessa l’elfo tentò di uccidere più orchi insieme, mentre al suo fianco anche il resto del suo popolo si destreggiava in acrobazie ed uccisioni di massa.

Un orco imponente le si scagliò contro con un bastone coperto di punte acuminate, così Tauriel sferrò due frecce, ma quelle non bastarono. Afferrò la sua spada, ma prima che potesse infilzare la creatura, quella riuscì maldestramente a colpirle il fianco. Lei indietreggiò afferrandoselo, ma non ebbe il tempo di programmare alcun contrattacco: il mostro cadde in avanti, con una freccia acuminata che gli trapassava il cranio. Tauriel alzò gli occhi e vide la figura di Kili in lontananza, con l’arco ancora puntato. La guardò un istante e poi sparì, mentre lei tentò a denti stretti di nascondere la ferita al fianco sinistro. Trovò anche gli occhi di Legolas a fissarla, come se fosse stato sul punto di agire. Gli fece un cenno col capo e anche lui annuì, tornando a concentrarsi sulla battaglia.

Nel bel mezzo del combattimento, tra le urla di chi lasciava questo mondo e di coloro che invece continuavano a lottare, un verso indistinto riempì il cielo. Ombre copiose oscurarono i combattenti, convinti che un temporale fosse in arrivo. Così era: nuvole oscure troneggiavano sopra di loro. Ma molto più maestose e veloci, furono le aquile che occuparono il cielo. Planando una dopo l’altra, afferravano gli orchi con i loro artigli, creando immensi solchi vuoti sul terreno. Anche un altro ruggito riempì l’aria: se fosse un lupo o un orso non se n’ebbe la certezza. Però quando la creatura iniziò a correre a velocità spaventosa travolgendo chiunque si trovasse sul suo cammino, tutti lo riconobbero. Beorn il mutaforma era una figura viva nelle ultime leggende tramandate sulla sua stirpe. Persino gli orchi si misero in allarme, non appena lo riconobbero.

Gocce di pioggia sottili iniziarono a riempire l’aria, cadendo sempre più veloci e fitte. I quattro eserciti combattevano ormai senza sosta, quando il quinto – quello delle aquile – e Beorn vennero in loro soccorso. Tauriel continuò a colpire i nemici senza arrestarsi, pur iniziando ad avvertire la stanchezza del combattimento e la debolezza del suo fianco sinistro. La ferita era vivida e dolorosa nonostante lei cercasse di ignorarla.

Mentre la pioggia continuava a cadere, anche gli orchi sembravano accasciarsi uno dopo l’altro, e l’armata sconfinata che si era presentata solo poche ore prima stava visibilmente diminuendo. Tauriel non riusciva più ad avere Kili sotto la sua visuale, ma sentiva che era poco distante e che stava combattendo assieme ai suoi fratelli.

L’esercito delle aquile con a capo Mithrandir aveva ribaltato la situazione, decimando i mannari: ce l’avrebbero fatta. L’elfo silvano sentì una nuova forza animarla, come se il sollievo di coloro che erano sopravvissuti si fosse unito al loro spirito battagliero. Con un verso rauco trafisse l’ultimo orco che le occupava la visuale, e si arrestò, respirando affannosamente. Davanti a lei i corpi che occupavano il suolo erano un numero inimmaginabile: c’erano orchi, ma era impossibile non notare anche i cadaveri dei loro alleati che si erano sacrificati per la montagna. Gli ultimi comandanti delle armate nemiche si gettavano irati su di loro, fino a quando anche l’ultima creatura mostruosa fu abbattuta.

D’un tratto, un urlo riempì il cielo. Solo un essere dalla potenza e dal risentimento senza pari avrebbe potuto produrlo. Tauriel spalancò gli occhi, terrorizzata. Azog il profanatore era ancora vivo.

- Khila amin!

Esclamò Thranduil, e tutti gli elfi gli furono dietro. Persino Tauriel, nonostante la ferita, corse più veloce che poté, reggendo il passo di Legolas, poco distante dal padre.

Quando arrivarono, solo Mithrandir e Beorn erano in piedi, accanto alla carcassa dell’orco bianco. Lo stregone guardò Thranduil negli occhi, e la sua espressione fu indecifrabile per Tauriel.

- Azog il profanatore è morto.

Annunciò solennemente. Eppure non un sorriso attraversò il suo volto. Poco distante da lui vi era anche un mezz’uomo, dallo sguardo triste.

- Tuttavia temo che altri del suo esercito siano ancora nei dintorni. Fate attenzione. Ripulite queste terre, poi verrà stabilito il destino della montagna.

Concluse, cercando di fare una smorfia di contentezza. Ma c’era qualcosa nello sguardo di Mithrandir: qualcosa di malinconico e lontano.
Gli elfi si sparpagliarono, mentre Tauriel cercava di scorgere in lontananza la figura di Kili. La sua visione la travolse improvvisamente con più forza di quanto avesse fatto la notte precedente. Una sensazione orribile la oppresse all’altezza del petto, mentre ritrovava pochi dei nani della compagnia che aveva conosciuto: pochi rispetto a quanti ne ricordasse. Allora comprese.
Gli occhi dello stregone… significavano morte.

 

Note:
khila amin: seguitemi

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Capitolo 4
*** La grazia dei Valar ***


May there always be angels to watch over you
To guide you each step of the way
To guard you and keep you safe from all harm
Loo-li, loo-li, lai-lay, loo-li, loo-li, lai-lay

 

L’affanno di Tauriel divenne evidente dalla forza del suo respiro. Sperava che da un momento all’altro Kili sarebbe spuntato dietro di lei, con un sorriso ed una frase felice. Avevano vinto. Eppure non era aria di festa, quella che i sopravvissuti respiravano in quegli istanti.

Un canto nanico riempì l’aria. Era triste, antico, e tutti i figli della montagna lo intonarono. D’un tratto lo vide: Thorin Scudodiquercia era circondato dai suoi fratelli, che lo fissavano con occhi vuoti. Il suo corpo giaceva disteso sulla terra umida, immobile. Il re sotto il monte era morto.

Tauriel deglutì e abbassò lo sguardo. La solennità di quel momento la travolse, come se lei stessa avesse perso qualcosa. Non aveva conosciuto Thorin Scudodiquercia, ma qualcosa nella voce dei nani fece accrescere la sua tristezza. Erano un popolo nuovamente con una patria, ma nuovamente senza una guida. Nel suo cuore comprese che il loro re significasse anche più di questo.

Mosse qualche passo verso i nani poco distanti, continuando a guardarsi attorno, continuando a sperare che il discendente del re non lo avesse seguito nella morte. I nani che intonavano il canto erano i dieci che erano stati prigionieri nel Reame Boscoso. La loro melodia raccontava tristezza e dolore, riusciva a sentirlo anche se non poteva comprenderne le parole.

Alzando lo sguardo, Tauriel incontrò un altro volto familiare: un nano biondo giaceva disteso al suolo, poco distante dal suo re. Fili, il fratello di Kili, aveva anch’egli raggiunto i suoi antenati. Sembrava quasi che dormisse, ma era immobile nella sua forza e nobiltà. Fu allora che la paura attanagliò il cuore dell’elfo silvano. Deglutì e il suo cuore accelerò il battito. I suoi occhi cercavano avidamente sul terreno umido una traccia del più giovane erede di Durin. Sperando che avrebbe mantenuto la promessa. Sperando che fosse ancora vivo. Non ricordava di aver mai provato una tale paura in seicento anni di vita. Incurante del resto del mondo, incurante di sé stessa, lo cercava, e nella sua disperazione non riusciva a pensare ad altro.

Fu allora che lo vide.

Un nano più giovane, dalla chioma corvina, giaceva a pochi metri di distanza dal fratello. Era visibile anche tra le carcasse degli orchi che lo circondavano. Forse la sua vista acuta la stava abbandonando, o forse non aveva voluto notarlo prima. Tauriel osservò la sua figura ad occhi sbarrati, e accelerò il passo, sempre di più. Arrivò accanto a lui, e non ebbe più il cuore di reggersi in piedi.

- No..

Mormorò appena, cadendo sulle ginocchia. La sua visione tornò nitida tra i suoi ricordi. Gli occhi iniziarono a pungerle, a riempirsi di miriadi di stelle. Gli afferrò la casacca con la mano destra, proprio come aveva sognato.

- Kili.

La voce le si spezzò. Sentì improvvisamente il volto bagnato, e seppe che la pioggia si era mescolata alle sue lacrime, che copiose le rigavano il viso.

- No.. per la grazia dei Valar, ti prego..

Pregò Elbereth, disperatamente, perché convincesse Ilùvatar a non portare il nano via con sé. Ma ormai era troppo tardi.

La stirpe di Durin era stata spezzata.

Le promesse di una vita erano infrante con lei.

Kili era morto.

Iniziò a singhiozzare quasi senza accorgersene, posando il viso sul petto di lui e lasciando che le lacrime cadessero. Nella sua visione aveva avuto modo di salutarlo. Lei gli aveva cantato la sua canzone.

Perché se n’era andato senza dirle addio?

Aveva perso tutto in un solo istante, senza poter far nulla per evitarlo. Tauriel del Reame Boscoso, una creatura immortale, in quell’istante sentì qualcosa dentro di lei morire per sempre.

Mentre questi pensieri si susseguivano nella sua mente, un verso rauco la ridestò dal suo stato d’incoscienza. L’elfo alzò piano gli occhi, bagnati ma pieni di rabbia. Sapeva già cosa avrebbe veduto. L’orco che aveva già visto nel suo sogno la fissava, ferito ma immobile nella sua determinazione. La creatura alzò la sua arma con un verso mostruoso, ma Tauriel afferrò il suo pugnale impregnato di sangue, tagliò in due la lancia del nemico e lo infilzò con uno slancio. L’orco esalò il suo ultimo respiro cadendo all’indietro, e la donna ricadde sulle ginocchia, col fiato mozzato. Le cose mostruose che aveva già visto si erano comunque verificate.

La morte di Kili, l’attacco dell’orco.

Si afferrò il fianco sinistro ed attese il dardo acuminato che avrebbe decretato la sua fine. Alzando lo sguardo incontrò il volto di Kili e le sembrò sorriderle. Offuscata probabilmente nei sensi a causa della ferita, Tauriel gli si avvicinò a fatica, sistemandosi al suo fianco.

- Non ti lascio.

Disse, tentando di sorridere. Ma non riuscì a trattenere quella lacrima solitaria che le rigò il volto, mentre la pioggia era ormai cessata. Gli prese una guancia e osservò a lungo i tratti di quel viso tanto stanco quanto bello, rendendosi conto più che mai di quanto lo amasse. La notte precedente gli aveva risposto nella lingua del suo popolo, perché solo con quella avrebbe potuto esprimere al meglio il suo amore. Lui l’aveva compresa, tanto da averle ripetuto quella medesima frase pochi istanti prima di quel momento.

- Due volte mi hai chiesto se avrei potuto amarti, Kili figlio di Dis, discendente di Durin. Due volte ti risponderò. Non avrei potuto null’altro, perché ti amavo già. Li melin, hir vuin. Ti amo, mio amato.

Sussurrò, così che quella promessa fosse vissuta non solo nella lingua degli elfi, ma anche in quella che aveva permesso loro di amarsi. Abbassò nuovamente il volto sul suo petto, aspettando la fine. Invece udì un piccolo singulto provenire da sotto di lei, a livello della sua mano stretta a pugno. Tauriel alzò gli occhi spalancati, ancora rigati dalle lacrime recenti, e trovò uno sguardo socchiuso che la fissava.

- Menomale.

Sussurrò Kili con una smorfia divertita. Tossì un paio di volte mentre Tauriel lo fissava sbalordita.

- Non ero tanto sicuro del significato. Fosse stato un insulto avrei fatto una figuraccia..

Disse, con voce rauca. Ci vollero alcuni istanti prima che l’elfo realizzasse che quello non era un sogno, ma la realtà. Tauriel sorrise, quasi senza accorgersene. Il suo volto si illuminò di colpo, mentre altre lacrime scorrevano veloci, senza che lei badasse a fermarle. Le stelle brillavano ancora nei suoi occhi. Ma non erano più tristi.

- Sei vivo.

Disse soltanto, accarezzandogli la guancia.

- Certo.

Rispose lui. La sua voce era instabile, ma i suoi occhi erano vivi.

- Ti avevo fatto una promessa. Inoltre mi sarei perso la migliore dichiarazione di sempre. Non potevo certo mancare.

Scherzò, asciugandole col pollice una lacrima che le aveva rigato il volto.

- Kili.

Disse soltanto lei. Non riusciva né a fermare il sorriso né a fermare le lacrime. Si morse un labbro ringraziando il cielo, Elbereth, i Valar ed Ilùvatar. Perché avevano permesso al suo amato di restare.

Gli diede un bacio a fior di labbra, che ebbe il sapore delle lacrime e del sangue, ma anche di gioia e di speranza. Un amore senza tempo era nato a Bosco Atro e si era suggellato sotto l’ombra della montagna. I nani avrebbero pianto i loro morti e la battaglia che grazie a loro si era conclusa; ma avrebbero anche celebrato la vita di coloro che avevano protetto.

Durante la battaglia dei cinque eserciti, la speranza aveva unito tutti come uno solo. La montagna aveva protetto i suoi figli, e la terra di mezzo si era unita in un’alleanza che difficilmente si sarebbe spezzata. Stringendo l’amato nano tra le braccia, l’elfo silvano comprese fino infondo il potere della magia del suo popolo: qualunque cosa non ancora verificatasi poteva ancora essere cambiata.

A loro era concesso proprio questo: il potere di cambiare il mondo.

Così la montagna solitaria, che da tempo incommensurabile era stata occupata dal maleficio di un drago e dal male degli orchi, era finalmente libera. Sembrò risplendere sotto una nuova luce, e accogliere in un abbraccio non solo i suoi figli, ma anche coloro che per lei avevano combattuto. L’amore senza tempo di un nano e un elfo sarebbe stato da allora tramandato con lei, assieme al pensiero che il sole e le stelle non fossero più così distanti.

 

“Si tramandi sempre che Kili figlio di Dis ha amato Tauriel del Reame Boscoso. Niente riuscì mai ad intaccare il suo affetto e la sua devozione per quella creatura di luce. E se mai un giorno il nome di lei venisse dimenticato, si ricordi quello del principe dei nani, che con lealtà ed ardore amò una dama elfica dal volto sconosciuto”.

 

Così si conclude la canzone di Kili figlio di Dis, erede al trono di Durin.

 

                             Fine

 

Note dell’autrice:
Lo ammetto, questo lieto fine si è creato col tempo, perché inizialmente avrei voluto davvero riportare come io penso che la storia finirà. La verità è che sono consapevole che la morte di Kili e la fine della stirpe di Durin non si possano evitare, perché tutta la storia è legata a questo. Jackson è sempre stato fedele a Tolkien su chi doveva vivere e chi morire, e così deve essere. Tuttavia mi sono affezionata così tanto a questo personaggio, a entrambi, che ho voluto tenermi una licenza poetica un po’ più felice. La mia incognita è Tauriel, in quanto personaggio di Peter: per me dovrebbe morire combattendo, magari proteggendo proprio Kili. Desiderio del regista è collegare questa trilogia a quella del Signore degli Anelli, e se lei restasse in vita non mi spiegherei la sua assenza proprio in ISDA, se seguissi solamente il filone cinematografico. Tuttavia sono tutte ipotesi, e non vedo l’ora di scoprire il destino che il suo creatore le riserverà. Questo è stato il mio.
Grazie al maestro Tolkien, per aver creato un mondo nel quale posso sempre tornare.
Grazie a Peter Jackson, che nonostante le polemiche ha revisionato questo libro nel migliore dei modi, perché nessuno avrebbe potuto farlo meglio di lui. Grazie per aver dato spazio a quello che il maestro ha un po’ trascurato: l’amore e la sua forza di cambiare il mondo.
E ancora grazie mille a chi ha letto, seguito, recensito ed aggiunto questa mia piccola storia alle preferite.

ValHerm

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