Nove mesi

di AbdullallaH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 7: *** Captolo sei. ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Con questo scritto, non intendo prendere in giro in alcun modo i Tokio Hotel.
Inoltre, non so come si sarebbero comportati in realtà, ma provo a immaginarlo.
Altra cosa, ogni fatto accaduto NON è reale =)



Introduzione.

30 marzo 2008 – Dortmund – Ore 21.30
Caro diario,
ho promesso a Denise che l’avrei portata al concerto dei Tokio Hotel per il suo sedicesimo compleanno. Quella ragazzina ha proprio perso la testa per il batterista del gruppo! Io li conosco poco, ma una promessa è una promessa e io non mi tiro mai indietro, lo sai bene.
Domani dovrò andarla a prendere e poi faremo la fila per avere dei buoni posti. Speriamo in bene, la nonna l’ha completamente affidata a me, visto che oramai sono maggiorenne.
E’ pure riuscita ad avere i pass per il backstage, così incontrerà i quattro ragazzi che domani suoneranno sul palco. Povera, lei non ha amiche, tranne me, la sua insegnante di ripetizioni, e non potevo certo mica dire di no al suo bel faccino!
Denise è una brava ragazzina, viene da una buona famiglia, aveva tante amiche. Ha passato un periodo di crisi, povera, i suoi genitori sono morti da poco… Le è rimasta solo più la nonna, che non è neppure tanto giovane. Ha iniziato a bere, fumare, andare male a scuola. Per fortuna non è entrata nel giro dei drogati di questo quartiere. Ora ha smesso, è la solare ragazza di prima, ma con l’algebra non c’è niente da fare, non vuole convivere.
Io avevo bisogno di un lavoro e fu il primo serio che trovai. Non mi andava proprio di fare la cubista in discoteca, anche perché il mio fisico non è dei migliori… Abbiamo stretto subito un forte legame, sono la sua unica amica qui. Ma sono sicura che presto tornerà a essere circondate da sue coetanee, ha un così bel carattere! E sicuramente qualche bel ragazzo le ronzerà attorno, è anche molto carina.
Ti lascio, mi sta telefonando. E’ la terza volta da questo pomeriggio, è così agitata! E continua a ripetermi le stesse cose… «Alle otto davanti a casa mia, mi raccomando» oppure «Ricorda di mettere la maglia che ti ho preso giovedì». Quanta pazienza che ci vuole! Ma in fondo la capisco, anche io impazzivo per quel gruppetto alla sua età. Non ricordo nemmeno come si chiamino ora, pensa un po’! Sicuramente presto li dimenticherà.
Bacioni!

Candice




Non ero molto sicura del Rating. Non vengono descritte scene esplicite, ma se ne accenna, e a volte le discussioni saranno un po' violente, poi capirete perchè. Quindi, come consigliato dalla guida, ho scelto quello più alto =)
Un'altra cosa... Nella FF vengono descritte tante emozioni e io in questo campo sono sempre stata un po' riservata. Cercerò di immedesimarmi e descrivere tutto al meglio per fare in modo che vi emozionate il più possibile come fanno i personaggi.
Spero ci abbiate capito qualcosa XDD
Comunque è la mia prima FF, quindi se volete dirmi qualcosa per migliorarla, dite pure.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


Capitolo uno.

«Candice! Ma dove diavolo sei finita?! Sono già cinque minuti che ti aspetto sotto casa!». Denise strillava come una matta. La sua insegnante di ripetizioni era in ritardo di soli cinque minuti e lei, agitatissima, si sfogava sbraitando al telefonino. Non una delle soluzioni migliori, soprattutto per la povera diciottenne, anzi, per il suo timpano. In fondo non era colpa sua se il traffico quel giorno era un po’ meno scorrevole del solito!
«Tranquilla, arrivo. C’è un po’ di traffico, non ti preoccupare». Come se per la piccola potesse essere facile calmarsi. Probabilmente sarebbe stata la giornata più bella della sua vita, voleva che tutto fosse perfetto.
Cercò di tranquillizzarsi, guardando camminare le persone sul marciapiede. C’erano per lo più anziani e ragazzi della sua età, che quel giorno sarebbero dovuti andare a scuola. Ma lei no, quel giorno lei non si sarebbe annoiata in classe, a fissare la professoressa che blaterava di inutili conquiste americane, o di guerre vinte da popoli che non esistevano più. Lei sarebbe stata in coda per sentirli suonare, ammirare la grinta che sfornavano nel suonare e cantare.
E poi sarebbe entrata nel backstage, li avrebbe visti con i suoi occhi, parlato, toccato con le sue mani. Non riusciva a calmarsi pensando a questo. Avrebbe incontrato il suo tanto amato batterista, Gustav, il ragazzo più silenzioso del gruppo. Non sapeva esattamente cosa ci trovava di interessante in lui. Dopotutto era un ragazzo normale, avrebbe potuto incontrarlo anche davanti casa. Corti capelli biondi, coperti da un cappellino, jeans, maglietta, giubbotto e scarpe da ginnastica. Niente di strano.
Ma il passato del ragazzo, era quello, sì, che lo faceva sentire vicino a lei.
Sicuramente lui non aveva perso i genitori in un incidente d’auto, ma le prese in giro dei compagni e altri problemi non erano state sicuramente da meno. Nonostante continuasse a pensare, un orecchio era teso alla ricerca del suono del rombo del motore di Candice.
Finalmente, la sedicenne girò la testa e vide quell’automobile così familiare e si sentì molto sollevata. Dopotutto, dieci minuti non avrebbero fatto differenza.
Velocemente salì, sedette davanti e allacciò la cintura, mentre la ragazza al volante le chiedeva: «Allora Denise, sei agitata?»
«Un po’», rispose prontamente lei «Soprattutto per quel che accadrà dopo il concerto.»
«Immagino tu non veda l’ora di incontrare…Com’è che si chiama?». Quel nome non le voleva proprio entrare in testa.
«Gustav. Non è solo quello, è incontrare tutto il gruppo che mi spaventa. Speriamo in bene». Incrociò le dita di una mano, mentre con l’altra strinse il ciondolo che i suoi le avevano regalato due giorni prima della loro morte.
Pensava spesso a come sarebbe stata la sua vita se i suoi genitori fossero ancora vivi. Spesso si chiedeva “Mamma avrebbe reagito così?”, “Papà avrebbe detto questo?”.
Era in buoni rapporti con i suoi genitori. Non avevano mai litigato per cose serie, solo qualche piccola zuffa nelle giornate ‘no’. Erano la classica famigliola felice. Fino a che… Fino a che il Signore non rivolle quelle due splendide persone con se. Così diceva sempre sua nonna. «Tesoro, i tuoi genitori erano così belli che li ha voluti lassù, vicino ai suoi angeli più buoni», raccontava indicando il cielo. Ma lei avrebbe preferito che fossero cattivi, pur di averli ancora accanto. “Perché Dio è così egoista? Perché i migliori vuole tenerli con sé?” spesso pensava, e non aveva tutti i torti. Ma lei non poteva far altro che rassegnarsi, prima o poi comunque li avrebbe rivisti. E sarebbero stati di nuovo felici, tutti e tre insieme.
«Denise, siamo arrivati», annunciò l’altra ragazza, che aveva appena parcheggiato. La sua auto ci stava appena, colpa di un imbecille che aveva parcheggiato tutto storto. Come sempre.

Appena mise i piedi sull’asfalto, Candice si sentì meglio. Dopotutto quella sera si sarebbe divertita e scatenata a tempo di musica, anche se per lei quel gruppo era quasi sconosciuto.
Li aveva visti solo nella camera di Denise, appesi alle pareti. La sedicenne aveva un sacco di loro poster, praticamente non si vedeva di che colore era stata imbiancata la stanza. Ma non si stupiva della cosa, tempo prima lo faceva anche lei.
Si sarebbe allontanata dalla noiosa routine che ormai la opprimeva da tempo.
Le due iniziarono ad avvicinarsi ad un gruppetto di ragazze, anche loro in trepida attesa. Erano appena le otto e venti del mattino, ma le persone davanti alla struttura erano già tante. Tutte ad aspettare quattro ragazzi.
Chiacchierarono un po’, soprattutto Denise, che sembrava aver trovato delle amiche della sua età o che almeno avrebbe visto più di due volte a settimana. E poi avevano un argomento in comune, almeno su quello sarebbero state tutte d’accordo.

La giornata passò abbastanza lentamente. Alcune ragazze si sentirono male, le ambulanze andavano e venivano, faceva abbastanza caldo. Più che caldo, l’aria era umida e soffocante.
Non sapevano che ora era, ma si stava facendo lentamente buio.
Un pullman nero era stato circondato da migliaia di ragazzine. Candice guardò Denise come per chiederle cosa aveva intenzione di fare: se restare o no. «Preferisco non corrergli incontro, potrei togliere la possibilità a qualche altra ragazza di incontrarli. Io li vedrò dopo».
Com’era umile quella ragazzina! Aveva solo sedici anni, ma pensava come un’adulta. E soprattutto era molto altruista. Candice non se l’aspettava per nulla.
Un quarto d’ora dopo, tornò la calma nella fila. I ragazzi erano andati a prepararsi.
Poi iniziarono ad aprire i cancelli. Candice tenne la ragazza per mano e insieme si tuffarono dentro, zigzagando tra la folla per raggiungere un buon posto.
Capitarono in seconda fila, al centro del palco. E attesero pazientemente, per quanto fu possibile, l’inizio del concerto. Denise strinse amicizia con altre ragazzine e si scambiarono il numero di cellulare per tenersi in contatto. “Come sono felice, finalmente sta uscendo completamente fuori da quel periodo di crisi. Questo concerto le farà bene, molto più dei pomeriggi passati dagli psicanalisti”.

Nel backstage…
«Uh, speriamo ci sia qualche ragazza carina!», esclamò Tom Kaulitz, il chitarrista del gruppo che quella sera si sarebbe esibito davanti a migliaia di ragazze.
Erano tutti e tre seduti su un divano bianco, di pelle. Solo Gustav era in un angolo della stanza, contro un muro, ad ascoltare musica, con lo sguardo perso nel vuoto.
«Almeno oggi che è il mio compleanno, potresti lasciarmene una!», ribattè il bassista, sistemandosi un ciuffo ribelle. «Davvero oggi è il tuo compleanno?», domandò ironicamente il gemello del chitarrista, Bill. Erano gemelli, sì, ma solo per i lineamenti del viso. Il modo di vestire e di pensare era totalmente differente. Il primo vestiva con pantaloni e maglie oversize, cappellini da baseball, nei quali erano raccolti i suoi lunghi capelli rasta. Amava collezionare le ragazze: le storie a lunga durata non facevano per lui, non voleva essere assolutamente legato da ‘un sentimento stupido come l’amore’, come spesso ripeteva al fratello. Quest’ultimo, invece, era completamente diverso. Truccava abbastanza pesantemente gli occhi di nero, curava e smaltava le unghie, che in quel periodo portava nere con french bianche. Risaltava la sua esile corporatura indossando abiti attillati. I colori che prediligeva erano il nero, il rosso e il bianco. Gli accessori erano molto particolari: borchie e teschi li caratterizzavano e ne aveva così tanti che sembrava non indossasse mai la stessa cosa due volte di seguito.
Bill teneva molto alla sua immagine, i suoi capelli erano sparati verso il cielo e tinti di nero. Lui infatti era biondo, al naturale. Impiegava più di mezz’ora ad acconciarseli a quel modo, perché doveva anche piastrarli.
«Sì, e voi due non mi avete fatto il regalo! Solo Gustav sembra essersene ricordato…»
«Come no?», ribattè Tom.
Il bassista incrociò le braccia, come se fosse offeso, mentre Bill era uscito silenziosamente dalla stanza per poi farvi ritorno pochi minuti dopo. In mano aveva un regalo. «Auguri Georg!» urlò il vocalist, porgendo il grande pacco sulle ginocchia del festeggiato.
«Sei troppo vecchio amico, ventun’anni!», scherzò il rasta, dandogli una pacca sulla spalla.
Il bassista iniziò a scartare il pacco. Pezzo di carta dopo pezzo di carta, si ritrovò in mano un nuovo basso. Ne aveva tanti, vero, ma quello era particolare: era blu fluorescente.
«Ragazzi, è magnifico!!» e li abbracciò. «Lo userò stasera stessa». Così dicendo, si sedette sul divano con lo strumento e iniziò a metterlo a punto.
Dieci minuti dopo, i ragazzi vennero chiamati a gran voce: il concerto stava per iniziare e tutti e quattro erano nervosi, ma nello stesso tempo eccitati. Avevano paura di sbagliare, di non piacere al pubblico. Tuttavia, non vedevano l’ora di salire sul palco. Tom in particolare: voleva trovare qualche bella ragazza che scaldasse il suo letto, quella notte…

«ODDIO, ECCOLI!» urlò la piccola Denise, vedendo il cappellino del rasta comparire sul palco. Riconobbe subito le prime note: Ich brech aus. Al chitarrista subito si aggregarono Georg, che muoveva le mani sul suo nuovo basso fluorescente, e Gustav, che si dimenava dietro alla sua batteria. Per ultimo comparve Bill e a quel punto tutta la sala iniziò a scatenarsi come non mai.
Anche Candice si lasciò trasportare dall’energia del vocalist, e urlò come facevano le altre ragazzine intorno a lei.
A canzone terminata, buttò uno sguardo su ogni componente: tutti guardavano la sala, meravigliati probabilmente dal numero di fans che erano lì per vederli. Volse gli occhi in direzione del chitarrista. “Ma sta guardando me?” si domandò, attonita. Il ragazzo le sorrise, malizioso, poi tornò a guardare altrove.
E sì, stava proprio fissando Candice.

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Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


Capitolo due.

“Quella è proprio la ragazza che cerco per questa sera”, pensò il chitarrista, leccandosi appena il piercing, continuando a suonare e gettando di tanto in tanto degli sguardi nella direzione di Candice.

Il concerto era ormai finito e per molte ragazze sarebbe stata la fine di un sogno durato una sera. Alcune piangevano di gioia, altre si sbracciavano per salutarli un’ultima volta.
Invece Candice e Denise li avrebbero potuti incontrare da vicino. E il loro, almeno quello della festeggiata, sarebbe continuato a durare ancora per un po’.
Munite di relativo pass, appena i ragazzi sparirono, si diressero verso le guardie del corpo.
La ragazza più grande diede i pass alla guardia, mentre l’altra più piccola disse «Ecco i nostri pass per il meet&great».
Quando si furono allontanate, dopo l’assenso dei due giganti, Candice domandò: «Ma non erano per il backstage?» «Non proprio… Io lo chiamo backstage, in realtà è un incontro tra fan. Se fossero stati per il backstage, avremmo visto tutto il concerto da dietro. E in effetti, l’idea non era brutta…»
Le due si misero a ridere alla battutina della più giovane. Continuarono a seguire il percorso, indicato da delle frecce sul pavimento. Fino a che non sentirono in lontananza le chiacchiere dei quattro artisti.
«Ehi Tomi, visto qualche bella ragazza?», domandò Bill, anche se la risposta in effetti non gli interessava più di tanto.
«Oh sì, ce n’era una davvero carina, perfetta per questa sera. E ce n’erano altre proprio niente male… Ho già mandato Saki a chiedere i loro numeri.»
Un colpo di tosse di Candice li fece girare tutti e quattro e la ragazza domandò: «Disturbiamo? Siamo qui per il meet&great…»
Tom rimase di sasso: non serviva che Saki andasse a cercarla, era lì davanti a lui. E accompagnava una minore. “Cazzo, questa sera niente. Le chiedo il numero e la chiamerò domani mattina”, decise nella sua mente.
«Oh, no no, venite pure», rispose il vocalist, battendo la mano curata sul divano.
Denise si era subito seduta affianco a lui, mentre Candice era un po’ più timida e imbarazzata della giovane. Forse perchè lei non li conosceva a dovere.
Rimase immobile per qualche istante. Poi, iniziò a camminare a grandi passi, fissandoli uno per uno, proprio come aveva fatto al concerto.
«Vi è piaciuto lo show?», domandò il bassista, incuriosito. «A me molto! E poi il tuo basso era davvero particolare. Deve essere nuovo, vero? Perché su Internet non ne avevano parlato…»
Il ragazzo iniziò a ridere, mentre Tom si avvicinò alla maggiorenne. Era davvero stupenda: occhi verdi che mandavano un bagliore particolare, capelli color ebano, forse un fisico non perfetto, ma in quel momento, il chitarrista voleva avere Candice sotto di sé. O sopra. Non aveva importanza. Voleva averla e basta. Rimase per un po’ a fissarla. Era la ragazza più bella che avesse mai visto. “Ma doveva proprio accompagnare quell’altro esserino inutile e fastidioso? Proprio questa sera?” pensò il chitarrista, frustrato.
«Posso avere il tuo numero?», le domandò dopo qualche minuto, sicuro di sé e della risposta che la ragazza le avrebbe dato.
La mora ci pensò un attimo su. “Dopotutto non ho niente da perdere, è anche un ragazzo carino!”, poi dettò il numero al chitarrista, che lo salvò nella rubrica del suo telefonino. Tutto ciò sotto lo sguardo attonito di Denise, che prese l’amica da parte e all’orecchio le domandò: «Ma tu sai chi è quello? E’ Tom Kaulitz! Il collezionista di ragazze!»
Candice le rispose: «Oh cavoli, non lo sapevo! Vabbè, pazienza… Senti, io esco, non devo dire nulla a loro quattro. Divertiti!». Poi ad alta voce aggiunse: «Scusatemi tanto, ma io non vi conosco. Vi lascio Denise, spero di potermi fidare. Tanto resto appena fuori dalla stanza ad aspettarla. Comunque il concerto è stato molto bello, davvero». Dicendo questo, uscì dalla stanza e lasciò i quattro ragazzi con la neosedicenne.
Chiacchierarono per un buon quarto d’ora, scattarono foto, i quattro firmarono autografi. Poi gli artisti avevano proprio bisogno di riposare e salutarono la ragazzina, che si era dimostrata molto simpatica e spontanea, ma soprattutto una grandissima fan.

1 aprile 2008 – Dortmund – Ore 00.10
Caro diario,
sono stata a quel concerto, anzi, sono appena tornata. Ho accompagnato Denise. Lei è rimasta in quella stanza con loro, ha chiacchierato un sacco con il batterista, così mi ha detto. Non sto qui a spiegarti di cosa hanno parlato.
Il chitarrista mi ha chiesto il mio numero, e Denise mi ha spiegato dopo che lui colleziona le ragazze. Che cazzata ho fatto! Comunque non è grave, basta che io gli dica di no e sono a posto. Cioè, praticamente vuole solo che gli faccia compagnia nel letto… In effetti potrei anche pensarci, non mi diverto da tempo. Potrebbe essere una nuova esperienza. Certo, forse non bellissima ma… E’ meglio che non inizi a farmi complessi, non si è ancora fatto vivo, quindi figuriamoci. Meno male che accompagnavo Denise, altrimenti probabilmente me lo avrebbe proposto subito.
Cambiando argomento, domani sono libera come l’aria! Mi sa che resterò a fare la cosa che amo di più, ovvero dormire. Speriamo che i vicini non si mettano ad urlare!
Comunque c’è da dire che dal vivo quei quattro ragazzi sono davvero molto in gamba. Mi sono scatenata insieme a Denise e lei poi ha trovato delle ragazze della sua età. Sono davvero contenta per lei.
Il cellulare inizia a squillare, ti lascio.

Candice

Tom. Le aveva appena mandato un messaggio, sapeva che era lui. Non poteva essere nessun’altri che il chitarrista.
«Buonanotte. Emh, non so nemmeno il tuo nome…»
Bè, era solo colpa sua. Le aveva chiesto semplicemente il numero di telefono. E lei non aveva pensato nemmeno a presentarsi.
«Mi chiamo Candice. Buonanotte anche a te, se questa sera dormirai».
Non fece in tempo a infilarsi i pantaloni del pigiama, che un nuovo messaggio era arrivato: «Credevo non mi avresti risposto. Hai un nome molto bello. Comunque dormirò, sono troppo stanco. Un bacio. Ci sentiamo domani».
“Come sarebbe a dire che ci sentiremo domani?”.
Candice preferì non pensarci e, anche lei stanchissima, si abbandonò al calore del suo stesso corpo sotto le coperte. Appoggiò appena la testa al cuscino e si addormentò, le labbra contorte in un lieve sorriso.

Il mattino dopo si svegliò verso le dieci e mezza. Aprì l’acqua della doccia e s’infilò sotto il getto. La sera prima era tornata stanca e non aveva avuto abbastanza energie per lavarsi.
Canticchiava a bocca chiusa i motivetti sentiti durante il concerto. E subito le venne in mente il chitarrista e il loro primo incontro. Lei, in mezzo a tutte quelle altre persone, il suo sguardo attonito che chiedeva “Stai guardando me?”. Lui, su quel palco, con decine di ragazze pronte a fare qualsiasi cosa per essere nel suo letto, che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
Uscì dal bagno in accappatoio e in fretta si vestì. Si accoccolò sul letto e prese dal comodino il libro che le avevano regalato per il suo compleanno. L’aveva lasciato lì a prendere la polvere, non avendo mai tempo per aprirlo. Non lesse nemmeno il titolo. Voleva semplicemente distrarsi, guardare avanti. Smettere di pensare a lui.
Sfogliava le pagine e gli occhi erano concentrati sul libro, era vero. Ma non capiva ciò che leggeva, le frasi non avevano un senso.
Un’ora dopo si arrese e decise di iniziare a prepararsi qualcosa da mangiare. In realtà non ne aveva molta voglia. Ma doveva pur ingerire qualcosa, per Dio! Proprio mentre stava scolando la pasta, il cellulare, appoggiato al tavolo, iniziò a vibrare e continuò così per un minuto, fino a che Candice, stanca, si decise a rispondere.
«Pronto?» domandò, dopo aver respirato profondamente.
«Ciao, principessa», rispose la persona dall’altra parte.
«’Giorno Tom Kaulitz. Scommetto che dici così a tutte coloro che ti porti a letto.»
«Mmh, è probabile. Allora, vogliamo vederci oggi? Alle quattro nella mia stanza.»
Le fornì l’indirizzo dell’hotel e il numero della camera, poi riattaccò dopo averle detto «A dopo, piccola», cosa che fece infastidire fin troppo Candice. Possibile che quel ragazzo fosse così… Non sapeva nemmeno come definirlo. Ma qualcosa in lui la stava facendo impazzire.
Quegli occhi… Le avevano ispirato tanto affetto e dolcezza, invece il chitarrista era un ragazzo come tutti gli altri. Superficiale. Troppo.
Possibile che quelle iridi l’avessero ingannata?
Sì, possibilissimo.
“E ora che faccio? Ci vado oppure faccio finta di niente?”. Continuò a pensarci per una buona mezz’ora. Dopotutto cos’aveva da perdere? Era da tanto tempo che non provava qualcosa di lontanamente simile per qualcuno ed era ora di spezzare quella fastidiosa routine. Si sarebbe concessa al chitarrista, tanto per divertirsi un po’. In fin dei conti, lo scopo del ragazzo era quello, perciò nessuno dei due aveva niente da perdere.
Sì, aveva deciso. “Ci vado!”.
Quando sarebbe arrivato il momento, si sarebbe semplicemente lasciata andare.

Ma Candice non sapeva che da quel giorno, la sua vita sarebbe cambiata…

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Capitolo 4
*** Capitolo tre. ***


Capitolo tre.

«Ehi Tomi!». Bill si affacciò sulla camera del gemello, che aveva appena chiuso il cellulare.
«Che c’è fratellone?» domandò il chitarrista, andandogli incontro.
«Niente. Quando Candice arriverà qui, non portartela subito a letto. Almeno, conoscila un po’ meglio!». Un silenzio imbarazzante calò nella stanza. Il vocalist lo ruppe riprendendo a parlare: «Non chiedermi come, ma so che con lei ci passerai più tempo di quello che pensi tu. Ciao!»
E poi se ne andò saltellando, lasciando Tom a bocca aperta, che fissava la porta, dove prima il gemello si era fermato. “Come cazzo fa quello a sapere sempre tutto?!”.
Poi inarcò la bocca in un sorriso, in un sorriso pieno di tenerezza. Bill era insopportabile, un bambinone, assillante, intuitivo, egoista e ficcava sempre il naso nei suoi affari. Ma gli voleva un gran bene. E in quel momento aveva solo voglia di abbracciarlo.
Corse nella camera del gemello - non bussò nemmeno - che si stava truccando, chissà per quale occasione. Gli andò incontro e lo stritolò, mentre lui urlò: «Tom che fai?! La matita, attento!!». Il rasta si staccò, lo guardò e si mise a ridere. Il vocalist aveva una grossa linea nera sulla guancia. Bagnò la spugna che era sul lavandino e la strofinò delicatamente sul guaio che il suo abbraccio aveva combinato.
Bill gli sorrise e lo strinse a sua volta. Poi tornò a truccarsi, mentre Tom si sedette sul bordo del letto. «Che mi consigli di fare?»
«Con Candice? Potresti portarla a fare una passeggiata o a prendere un gelato, oppure potreste guardare un film… Cose di questo genere». Il ragazzo non era affatto stupito.
Sapeva perfettamente che Tom avrebbe seguito il suo consiglio.
Perché?
Semplicemente perché erano gemelli.

Candice era in bagno e si stava preparando. Decise di mettere qualcosa di comodo, jeans, maglietta e sopra una felpa. Non voleva essere troppo elegante.
Voleva apparire il più naturale possibile.
Si truccò leggermente: un po’ di ombretto, giusto per mettere in risalto gli occhi, e un rossetto appena più scuro delle sue labbra. Si sistemò i capelli alla meglio e alle quattro meno un quarto uscì dal suo appartamento.
Per fortuna non aveva chiuso la porta! “Ma dove ho la testa?” si chiese, rientrando a prendere la borsa, che aveva lasciato sul tavolo in cucina.
Una volta entrata in auto, entrò in agitazione: era stata calma e tranquilla, fino a quel momento. Ora pensava e ripensava a quel pomeriggio, a come sarebbe stato incontrarlo di nuovo, alla sua poca esperienza sotto le coperte… “Oddio, adesso me ne torno a casa. Figurati, Candice, lui lo fa anche più volte al giorno mentre tu lo hai fatto solo due in vita tua!” Si concentrò sulla guida arrivata ad un incrocio, perché non ricordava chi avesse la precedenza.
Appena ci fu di nuovo un rettilineo, riprese a pensare, ad alta voce questa volta: «No, ma non fare la vigliacca! Che te ne frega? Tanto ti ha chiamata solo per quello, non vorrai mica farti strane idee, vero? Perché anche tu vuoi farlo solo per divertimento, VERO?! Ma sì, in fondo nemmeno lo conosci… E su forza, vedrai che magari nemmeno noterà la tua inesperienza. Ti stai facendo troppo problemi. Vai lì e lasciati andare. E’ così semplice!»
Qualcosa dentro di lei continuava a dirle che ciò che faceva era sbagliato; ma proprio per questo, lei aveva ancora più voglia di andarci. Anzi, non vedeva l’ora di arrivare nella camera di Tom. Da una parte, sperava di togliersi il peso di dosso subito; dall’altra, avrebbe preferito conoscerlo un po’ meglio prima che lui le saltasse addosso. Ma lei non poteva fare nulla in ogni caso, perché, pur conoscendolo poco, immaginava che il ragazzo volesse prevalere. In tutto.

«Mmh, credo che la porterò a fare una passeggiata. Ma stasera, sesso!», urlò il chitarrista al fratello, che stava mangiando degli orsetti gommosi. Uno quasi gli andò di traverso e, tra colpi di tosse varie, disse: «Va bene, fratellone». Non avrebbe potuto farci nulla. Tanto sapeva che prima o poi avrebbe messo la testa a posto. Forse. «Ricordati…», iniziò la solita frase, che Tom recitò a memoria con tono canzonatorio: «Sì, sì, il preservativo intatto, non farle male eccetera eccetera… Va bene, mammina.»
Il moro gli fece una linguaccia.
Il rasta uscì dalla stanza del gemello ed entrò nella sua, ad aspettare, impaziente, Candice. Con lei si sarebbe divertita, sì. Ma non solo sotto le coperte…
La ragazza aveva appena parcheggiato nella strada subito prima dell’hotel. Entrò, non molto a suo agio a causa dell’eccessivo lusso a cui non era abituata, e si diresse immediatamente alla reception. Il ragazzo la guardò con leggero disprezzo, forse a causa dell’abbigliamento… Chiese informazioni sulla camera del chitarrista: settimo piano. Prese l’ascensore. E salì. Il tempo non passava mai. Quegli istanti infiniti sembravano voler essere apposta un peso per lei.
Percorse il lungo corridoio e quasi si scontrò contro il carrello delle pulizie.
Ormai era arrivata. Davanti a quella grande porta di legno pregiato.
Candice alzò un braccio, con l’intento di bussare, ma si fermò a mezz’aria, insicura. Voleva riflettere ancora un po’ su quel che stava per fare. Non era una ragazza che lo faceva con il primo che aveva sotto il naso. Ma quella volta era diverso. Sentiva che se andava bene a Tom, sarebbe andato bene anche a lei.
“Ok… Eccomi”. Fece un profondo respiro, poi battè le nocche contro la porta.
«Candice?», domandò il ragazzo nella stanza. Quando sentì quella voce, la ragazza si tranquillizzò. Quella parola era stata pronunciata in un modo fin troppo dolce.
Sussurrò un debole «Sì» e pochi attimi dopo si trovò faccia a faccia con Tom Kaulitz.
Lui sorrise, vedendola un po’ nervosa, sperando di farla a sentire a proprio agio. Poi parò, per spezzare quel maledetto silenzio che si era creato tra loro: «Allora, vogliamo andare al parco a camminare? Voglio conoscerti un po’ meglio».
Candice rimase stupita, sentendo il chitarrista. Si era informata e aveva scoperto che con le ragazze parlava raramente, se non per corteggiarle, e mai prima di “divertirsi”.
Aveva interpretato male le intenzioni di Tom? Forse.

“Questa ragazza mi piace ogni attimo di più”, pensò il ragazzo, vedendosela davanti. Sembrava quasi una bambina, con quegli occhioni verdi un po’ spaesati e nervosi. La finestra era aperta, quindi si creò una corrente d’aria che mosse i lunghi e neri capelli della ragazza, facendo quasi impazzire Tom.
“E’ troppo bella”.
Eppure non era perfetta, non era una delle solite ragazze che si portava a letto: aveva qualche chiletto di troppo, la bocca non particolarmente carnosa, e si notava, da come era vestita, che non amava curarsi troppo.
Una ragazza acqua e sapone, insomma. La prese per mano, e la trascinò nella stanza. Poi la fece brutalmente sedere sul letto. Lei non si muoveva, era immobile.
“Oddio, ecco che ci siamo…” pensò Candice, un po’ terrorizzata. Ma ormai era lì, non poteva fare più niente. Se non lasciarsi andare.
Si era immaginata la scena: Tom che iniziava a baciarla e a spogliarla e via via tutto il resto.
Invece non successe esattamente così. Il ragazzo indossò un paio di occhiali da sole, tolse il cappellino e raccolse i rasta nel cappuccio della felpa rossa che aveva addosso. Dovevano uscire, andare al parco, non poteva di certo andarci così! Le fan lo avrebbero riconosciuto.
Cinque minuti dopo, insieme, uscirono dalla stanza dell’hotel.
Avevano deciso di prendere le scale, l’ascensore era occupato.
«Allora», iniziò il chitarrista, ovviamente il più estroverso dei due. «Che mi dici di te?»
«Che devo dirti emh…». Non le veniva in mente proprio nulla. Disse la prima cosa che le passò per la mente, forse l’unica. «Non sono molto brava sotto le coperte…»
Tom si mise a ridere. «Adesso non ha importanza», disse, dopo che si fu calmato. «Cosa ti ho detto? Che voglio conoscerti meglio. Lo so che vuoi saltarmi addosso qui, ma trattieniti, principessa. Mica vorresti farmi imbiancare tutto l’hotel, no?»
La ragazza arrossì leggermente alla battutina, ma lui non se ne accorse.
Nel frattempo erano usciti fuori, e la temperatura si era abbassata, anche se di poco. Candice seguì il rasta, mentre lui continuava a porle una serie infinita di domande.
«Chi era quella ragazza? Denise, intendo. Tua sorella?»
«No. Sono la sua insegnante di ripetizioni. Ha perso i genitori da un anno e ora… Bè, è appena uscita da una clinica. Fumava ed era diventata anche un’alcolizzata. Io sono l’unica amica che ha. O che aveva, almeno. Al concerto ha conosciuto altre ragazze e si sono scambiate il numero. Ha avuto una vita difficile ed è una ragazza piuttosto fragile. Se penso a tutte le volte che la vedo giù, o che da un momento all’altro di mette ad urlare… Non si è ancora rimessa completamente».
Sulla guancia di Candice era scesa una lacrima, che non riuscì a trattenere. Tom non si era mai sentito a disagio con una ragazza. Fino a quel momento.
Non sapeva esattamente cosa stesse facendo, ma la strinse a sé, per consolarla. L’aveva forse visto fare in qualche vecchio film… Che aveva guardato con il fratello, ovviamente.
La mora asciugò gli occhi, poi sussurrò «Scusami», continuando a camminare.
Entrambi rimasero per un po’ in silenzio, fino a quando Tom non riprese a parlare.
«Come mai alla fine hai deciso di venire? Non hai un fidanzato?»
Questa volta fu Candice a ridere. «No»
«Ma come no?! Una bella ragazza come te…»
Il chitarrista era davvero stupito. Com’era possibile che nessuno avesse notato quei bellissimi occhi verdi oltre a lui? Eppure, di quel particolare colore non se ne vedevano molti in giro… Erano gli unici occhi che lo avevano fatto impazzire. Erano loro ad averlo spinto a chiedere il numero di cellulare a Candice, a invitarla, a passeggiare con lei anziché scopare e basta come faceva con tutte le altre.
«Sai, hai degli occhi stupendi, sono molto particolari». Sembrava un complimento campato per aria, e lui non era certo tipo da complimenti. Se non per portarsi una a letto. Il discorso finiva sempre lì… Ma non ce la faceva, il sesso era tutto per lui. E con quella ragazza, Candice, sarebbe stato diverso solo in parte.
«Grazie, me lo dicono tutti. Sono l’unica cosa che mi piace di me».
Nel frattempo, erano arrivati al parco. Era magnifico. Gli alberi erano in fiore e ai loro piedi erano cadute moltissime gemme.
Il cielo era di un azzurro così intenso, che faceva male agli occhi a guardarlo e i pochi cumuli bianchi erano spazzati via subito dalla leggera brezza che scompigliava i capelli di Candice.
Non era mai entrata in quel parco.
Non a braccetto con un ragazzo.
Non a braccetto con Tom Kaulitz.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro. ***


Capitolo quattro.

«Allora, emh… Raccontami un po’ di te, Tom. Io non ti conosco, non sono una vostra fan.» Candice si sentiva un po’ in imbarazzo. Il rasta le aveva posto molte domande, e lei si era limitata a rispondere, come un automa.
«Come vedi, sono il più bello del gruppo e…», voleva continuare a parlare, ma la mora lo interruppe: «Mhà, a me non sembri il più bello, comunque vai avanti...»
«Non ti sembro il più bello?», domandò lui con aria minacciosa. Alzò le mani e Candice chiuse gli occhi, d’istinto. Qualche secondo dopo, visto che il ragazzo non si muoveva, lo guardò. Tom iniziò a farle il solletico. Lei rise, anche se ben presto si ritrovò senza fiato.
Quel sorriso… Era il più bello che il chitarrista avesse mai visto. Assomigliava a quello del gemello in modo impressionante.
«Allora, sono il più bello?»
La ragazza riuscì a farfugliare, tra una risata e l’altra «Sì, sì, lo sei, ma ora lasciami respirare!» Lui eseguì gli ordini e la fissò mentre faceva tre profondi respiri. Poi continuò: «Dicevo: sono bellissimo, molto modesto, a letto un qualcosa di indescrivibile…». Mentre pronunciava quelle parole, fece l’errore di guardarla negli occhi. Lei lo stava ascoltando, seria, non accennava nemmeno a un sorriso. Spostò qualche ciocca ribelle dietro l’orecchio. Vide che il ragazzo la stava fissando e per un po’ incrociò il suo sguardo; poi si guardò le scarpe, rossa per la vergogna.
Tom si scrollò e riprese a parlare: «Non sono molto bravo a descrivermi. Ascolta, ti va di andare a prendere un gelato? Sto per morire di fame e a meno che tu non voglia che ti stacchi un braccio a morsi, è meglio che ci muoviamo». Candice sorrise e seguì il ragazzo.

Si erano fatte le sei e il sole iniziava a tramontare. Candice stava gustando il gelato al cocco, il suo preferito, mentre Tom era intento a sgranocchiare gli ultimi pezzi del suo cono.
«Vado un attimo dentro a comprare una vaschetta per gli altri. Poi andiamo in hotel, così te li faccio conoscere», disse, pochi attimi dopo.
Lei annuì e si mise a fissare il paesaggio. La gelateria non era tanto distante dal parco dove il rasta l’aveva portata. Le chiome degli alberi erano dorate, in cielo non c’era una nuvola e le sembrava di stare in Paradiso. Quel ragazzo era davvero molto simpatico. Non si divertiva così tanto da troppo tempo. Aveva fatto bene ad accettare l’appuntamento. E non era così superficiale come aveva creduto; stava bene in sua compagnia.
Presa dai suoi pensieri e dal paesaggio, non si accorse che Tom era tornato. Lui la chiamò più volte, senza ottenere risposta.
“Uff, ma che sta guardando? Questa non si sveglia più…”, pensò scocciato il ragazzo. Candice non era una come le altre. Aveva davvero qualcosa di speciale.
Gli tornarono alla mente le parole di suo fratello che cercava di fargli capire che le storie di una notte non avevano senso. «Le ragazze sono tutte uguali, Bill», diceva sempre al fratello che puntualmente rispondeva: «No Tom. Ogni ragazza è diversa». Quando la vide assorta a guardare il paesaggio, il chitarrista capì che il gemello aveva perfettamente ragione. Lei, almeno, era diversa dalle solite che aveva nel suo letto.
Decise di trascinarla per un braccio. O di lì non si sarebbero mai mossi.
Quel metodo funzionò, perché la ragazza si mise a camminare.
«Ops, scusami… Allora, andiamo? Voglio conoscere il resto della band!» Tom si mise a ridere, sotto lo sguardo interrogativo della mora.
«Sai», spiegò lui «Sei davvero moooolto strana!». E tornò a ridere. “Avrebbe potuto incontrarci ieri, ma non lo ha fatto. Mentre ora non vede l’ora…”

«Ragazzi, Tom e Candice stanno arrivando!», annunciò Bill rivolto agli altri due, sbirciando dalla finestra, nella hall dell’hotel, a quell’ora deserta.
Il bassista si diresse verso l’entrata, mentre il biondo, che era seduto sul divano, abbassò la rivista che stava leggendo e iniziò una discussione con il vocalist: «Secondo me dovremmo lasciarli soli…»
«Gustav, dai, non fare il guastafeste! Tom ha bisogno di aiuto. Sento che per lui questa ragazza è diversa rispetto alle altre».
«Pff, figurati. Per lui non fa differenza, vuole solo una cosa. E lo sia meglio di me».
Il moro non rispose e continuò a volgere lo sguardo fuori dalla finestra. I due si stuzzicavano e si abbracciavano, davanti all’hotel. Poi entrarono.
«Ciao, sfigati!», salutò Tom, con il suo tipico tono. (Della serie io-sono-un-Dio). «Vi ricordate di Candice? Ma sì, Georg ci ha fatto una testa così…»
La ragazza diventò rossa per la vergogna, mentre Bill si presentò: «Ciao Candice! Io sono Bill, di sicuro ti ricordi di me», indicando i capelli. «Tom, dovrei raccontare a tutti che non sapevi come vestirti e che sbattevi la testa contro il muro, talmente eri nervoso?»
Il chitarrista cambiò subito argomento, imbarazzato, con le orecchie probabilmente rosse, mentre Georg e Gustav si misero a ridere: «Vieni Candice, andiamo…»
La strinse per la vita per farla andare avanti, girò la testa verso Bill e alzò il dito medio rivolto a lui per qualche secondo.

“Ok, ci siamo. Calmati ora. E’ arrivato il momento, ed è giusto così. Che ti aspettavi? Che cambiasse solo per te? Non sei nessuno, Candice…”. Mentre la sua mente era occupata da questi pensieri, le porte dell’ascensore si erano chiuse. Il chitarrista premette il pulsante del settimo piano e lentamente salirono.
Per lui invece, la salita era infinita. Aveva solo voglia di stare da solo con lei, in quella stanza che non conosceva per nulla, che gli era completamente estranea. In cui avrebbe probabilmente ferito i sentimenti di un’altra. Ma a lui non importava.
Candice non si accorse nemmeno di essere nella stanza di Tom, fino a quando lui non le chiese «Che ne dici di guardare un DVD mentre mangiamo una pizza?». Nemmeno si accorse di cosa le stava chiedendo. Lui aveva solo voglia di averla sotto di sé, ma il suo subconscio gli aveva fatto pronunciare quell’insolita domanda.
“COSA?! Non vuole scopare? Ma allora è davvero diverso da quel che credevo! O si sta solo prendendo gioco di me?”. Si guardò intorno, un po’ spaesata, cercando di memorizzare l’arredamento di quella camera d’hotel, troppo lussuosa per i suoi gusti.
«Umh, va bene. Scegli tu, non conosco i tuoi gusti. A me piacciono tutti i generi, adoro andare al cinema». In verità non aveva neanche voglia di pensare ad un film da poter guardare con lui. Perché in fondo non lo conosceva quasi per niente.
Il ragazzo si mise a scegliere tra la sua collezione. Da una parte, la pila di film porno. Non era proprio il caso di guardarne uno con lei. “Tanto vedremo tutto dal vivo più tardi”, pensò, leccandosi il piercing come d’abitudine. Ne prese uno a caso dall’altra pila e infilò il CD del lettore. La ragazza chiamò il servizio in camera: «Due pizze nella stanza 705, grazie».
Nemmeno cinque minuti dopo, un cameriere bussò alla porta e, dopo il permesso di Candice, entrò. Salutò i due ragazzi cordialmente, appoggiò il vassoio sul comodino più vicino, poi sparì così velocemente che la mora, nervosa e spaesata, nemmeno se ne accorse.

Quell’ora e mezza passò abbastanza in fretta. Il chitarrista aveva scelto un film noioso, ma Candice nemmeno badava al televisore. Il nervosismo le era passato. Si stava semplicemente rilassando. Non si era nemmeno accorta che il rasta continuava a spostare lo sguardo da lei al televisore. Nemmeno a lui il film interessava particolarmente.
Quando sullo schermo comparvero i titoli di coda, Tom spense la televisione e il lettore DVD. La mora rimase seduta sul letto.
Lui le chiese: «Piaciuto il film?»
Candice non sapeva mentire. Era più forte di lei dire la verità. «Emh, non ho prestato molta attenzione veramente…»
Il ragazzo andò a chiedere a chiave la porta. Poi si avvicinò a Candice, le prese il viso tra le mani e iniziò a baciarla. Ogni bacio era più passionale e intenso di quello precedente. Lei gli mordicchiò il labbro inferiore e un brivido pervase la schiena del rasta. La spinse sul letto e si sdraiò sopra di lei, sfiorandole appena il collo con la bocca...

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque. ***


Capitolo cinque.

Candice si svegliò tardi quella mattina. Era un due aprile assolato e, proprio a causa del sole che filtrava dalle tende sottili delle finestre, fu costretta ad alzarsi. In realtà non ne aveva alcuna voglia. Quel materasso era così comodo…
Sentì il vuoto di fianco a sé. Lo immaginava. Un classico, in effetti. Lui la usa una notte e la abbandona per sempre, senza lasciare tracce.
Un biglietto era piegato accuratamente sul cuscino al suo fianco. “Eh?” pensò, mentre sul volto compariva un’espressione stranita e sorpresa allo stesso tempo Lo spiegò, battè un paio di volte gli occhi per svegliarsi un po’ e iniziò a leggere quelle parole scritte con una calligrafia troppo dolce e femminile.

Ciao Candice. Mi dispiaceva sia lasciarti senza averti salutata un’ultima volta, sia svegliarti, visto che sei ancora più bella quando dormi, anche se i tuoi occhi verdi non si vedono… Ti lascio la stanza d’hotel per tutta la giornata, potrai fare ciò che vuoi. Ho già pagato e mi sono messo d’accordo con il Direttore. Non devi preoccuparti di nulla.
Volevo dirti che questa notte è stata particolare, per me. E nel pomeriggio mi sono divertito, davvero. E solitamente non passo la giornata con le ragazze…
In fondo al biglietto ti lascio il mio numero di cellulare, mi piacerebbe risentirti. Bè, sarò in America e in Europa per un mese e mezzo, ma quando tornerò in Germania potremmo organizzare un altro incontro, se ti andrà.
Ti saluto, principessa.
Un bacione,

Tom

Una silenziosa e dolce lacrima scivolò sulla guancia perfetta della ragazza e andò a morire tra le fibre della federe del cuscino che aveva ospitato i meravigliosi rasta di lui, quella notte. Quel cuscino spettatore di un’unica notte di passione tra un famoso chitarrista e una ragazza invisibile a tutti tranne che agli occhi di lui.
Candice andò in bagno. Aprì l’acqua della doccia e aspettò che diventasse calda. Poi si tolse l’intimo che aveva indossato dopo la notte con Tom e si tuffò sotto il getto di acqua bollente. Diventò subito rossa, ma quasi non se ne rese conto. Voleva semplicemente dimenticarlo. L’aveva ingannata, come aveva fatto con tutte.
E lei ci era cascata.
«Cretina, cretina!» urlava a se stessa, sbattendo la testa contro il muro a ritmo delle parole. “Credevi che perché ti ha chiamata principessa prova qualcosa di più che semplice attrazione fisica per te? Cretina!”, continuò a urlare nella sua testa. “Pensavi che le sue frasi era dolci, eh? Le userà sicuramente con tutte le ragazze che si porta a letto. Cazzo, che cretina che sono stata!!”
Non voleva più rivederlo. Voleva dimenticare quelle labbra, quel cappellino buttato per terra, quelle mani sicure, i movimenti perfetti del ragazzo. Voleva cancellarlo dalla sua memoria. Per lei, il chitarrista dei Tokio Hotel non esisteva. Non doveva esistere.
Rimase sotto la doccia per dieci minuti. Immobile, come una statua, sì, ma di porcellana. Poi chiuse l’acqua, si mise addosso uno dei tanti accappatoi e lo allacciò, mezza intontita. Tornò in camera, per raccogliere i suoi vestiti sparsi sul pavimento.
Quella notte, anche se Candice voleva dimenticarla, era stata bellissima. E lei lo sapeva perfettamente; era inutile negarlo a sè stessa.

«Tom, a che pensi?». A centinaia di migliaia di chilometri di distanza, un ragazzo dai capelli neri, sparati al vento, parlava al gemello.
Quest’ultimo continuava a guardare il finestrino, un po’ preoccupato. «Emh, le vertigini…», rispose, alludendo alla sua paura dell’altezza.
Guardò il vocalist negli occhi.
«Fratellone, non mi inganni. Che ti succede?».
“Cazzo, perché Bill deve prevedere sempre tutto quanto? Perché lui sa anche quando non parlo? Uff, quanto è odioso a volte!”
«Bhè… Con Candice…»
«Ti prego, non metterti a raccontarmi ogni particolare!», urlò il moro, disgustato solo a pensarci.
Il rasta scosse la testa e si aggiustò nervosamente il cappellino. «Me ne sono accorto solo questa mattina, eppure avevo controllato e ricontrollato prima di metterlo!». Poi, vedendo la faccia impaziente di Bill, continuò senza giri di parole: «Insomma, il preservativo si è bucato».
Il vocalist sgranò gli occhi e quasi si soffocò dicendo: «E lo hai detto a lei?»
«No. Dormiva… Le ho lasciato il mio numero di cellulare, visto che non aveva il mio; penso che mi avviserà se dovesse... E poi, come potevo dirglielo? “Ah, sai Candice, si è bucato il preservativo. Ma non ti preoccupare, al massimo avremo un paio di gambe in più che zompetteranno per la casa”. Sono agitato. Cavoli, però avevo controllato! Sono sicuro che prima era intatto. Bill, te lo giuro. Che possa cadere l’aereo in questo istante se sto dicendo una cazzata». Restò in silenzio per qualche secondo, poi parlò di nuovo: «So che mi credi».
«Ti credo, ti credo. Sei un donnaiolo ma non un incosciente!». I due gemelli si abbracciarono e il moro, cercando di tranquillizzare l’altro, continuò: «Dai, vedrai che non è successo nulla». Gli mise una mano sulla spalla, lo guardò fisso negli occhi per un po’, poi lo lasciò ai suoi pensieri. Tom riprese a guardare le nuvole al di fuori del finestrino, seduto su quel sedile di un aereo nello scompartimento prima classe. Erano perfette.
Come Candice.

«Denise, scusami, oggi arriverò un po’ in ritardo…». Candice aveva i lacci delle scarpe da ginnastica tra le mani, il cellulare tenuto tra il viso e la spalla. Era seduta ancora sul letto della stanza d’hotel che il chitarrista le aveva gentilmente donato per tutta la giornata. Aveva anche mangiato in albergo. Non voleva tornare a casa, quel giorno.
«Oh, Candice! Stavo giusto per chiamarti. Oggi la nonna mi ha dato il permesso di invitare qui le ragazze che ho conosciuto al concerto. Facciamo una sorta di festa… Vuoi venire anche tu?» «No, no, grazie mille». Era sul bordo del letto e, cercando di allacciarsi una scarpa, si sbilanciò e cadde. Un tonfo invase l’atmosfera silenziosa.
«Che è successo? Ma dove sei?», domandò Denise dall’altro capo della cornetta. La ragazza si rialzò, massaggiandosi la schiena dolorante. «Emh, niente, sono caduta dal letto. Sono in un hotel, non saprei dirti quale, ha un nome strano e…». La mora non fece in tempo a finire la frase.
«ODDIO, SEI ANDATA A LETTO CON TOM! Vero?», urlò la sedicenne spaccando un timpano all’altra povera malcapitata. La piccola non poteva credere che Candice l’avesse fatto davvero. Sì, aveva immaginato la proposta di Tom. Ma lei che accettava no, non se lo aspettava. Eppure in certo senso le faceva piacere. Sapeva che aveva sofferto d’amore qualche tempo prima. Forse andando a letto con il rasta avrebbe diminuito il suo dolore.
No, lo avrebbe solo ingrandito. Lei ci sarebbe stata male di nuovo.
«Bhè…». Lungo e interminabile silenzio. «Sì», rispose infine una ragazza, sentendo il peso dello stomaco abbandonarla. Non aveva fatto niente di male, non doveva nascondersi da niente e nessuno.
«Poi mi racconterai, vero?». Così avrebbe sicuramente capito cosa provava per quel ragazzo. Doveva assolutamente farsi riferire tutto.
Candice scoppiò in una risata. «Vedremo, vedremo. Ci vediamo domani Denise. Ciao!» Riattaccò il telefono e si buttò sul letto. Fissò per un po’ il soffitto, poi avvicinò a sé il cuscino del rasta. Lo annusò: il profumo del ragazzo era rimasto intrappolato nella federa. Restò così per un periodo di tempo che le sembrò interminabile.
Voleva dimenticarlo?
Non voleva dimenticarlo.
Sfilò la fodera, poi la piegò in quattro ed infine la mise nella sua borsetta. Dopodichè lasciò per sempre quella camera d’hotel, l’unica che conosceva veramente i sentimenti che i due ragazzi provavano l’uno verso l’altra.


Grazie mille per tutte le recensioni *WW*
Emh, ricordatevi che Bill NON ha avuto il problema alle corde vocali =)

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Capitolo 7
*** Captolo sei. ***


Capitolo sei.

6 aprile 2008 – Dortmund – Ore 18.30
Caro diario,
sono passati quattro giorni dal 2 aprile. Alla fine l’ho fatto, sono andata a letto con il chitarrista. E’ stato fantastico. Insomma, un classico: io imbranata e nervosa, lui a suo agio e… Bhè, esperto è dir poco!
Ora non so nemmeno dov’è… Da qualche parte in Europa, comunque. Mi ha lasciata sola al mattino, con un biglietto sul cuscino. Mi ha lasciato il suo numero di cellulare, ma non credo lo chiamerò mai. Ha un buonissimo profumo e… No, non posso innamorarmi di lui. So già che ci soffrirò come è successo l’ultima volta e non voglio che accada.
Basta. Con i bastardi io ho chiuso.
Però lui mi ha stupita, e non poco. E’ stato dolce e comprensivo con me, lo immaginavo diverso. Forse la mia imbranataggine gli ha fatto tenerezza, chissà.
Non lo conosco quasi per nulla (lo so, lo so. Però ci sono andata a letto), eppure so che in lui c’è una parte romantica, non scoperà e basta tutta la vita.
La devo smettere di parlare di lui.
Stop.
Meglio che vada. Un grosso bacio,

Candice



7 aprile 2008 – Dortmund – Ore 14.30
Cazzo cazzo cazzo.
Non ci posso credere, non voglio crederci. Non può essere!!
Ho un ritardo, merda. Sarebbero dovute arrivarmi ieri, invece niente. Spero che sia per le emozioni che sono arrivate tutte insieme… Oh, ma che cazzo sto dicendo?!
Eppure Tom non mi sembra un ragazzo irresponsabile. E poi abbiamo usato le precauzioni, lui ha controllato e ricontrollato il preservativo...
Se domani non mi arrivano, andrò in ospedale a fare un controllo.
Speriamo in bene!
Cazzo.
Baci,

Candice



8 aprile 2008 – Dortmund – Ore 16.10
Caro diario,
indovina un po’? Non sono arrivate. Ho comprato uno di quei test che vendono in farmacia. Ma quello è più confuso di me! I colori sono tutti mischiati e non capisco se è positivo o negativo… Andrò in ospedale, non voglio correre rischi. Fortuna vuole che io conosca il ginecologo. E’ un vecchio amico di famiglia e mi farà sicuramente avere i risultati in pochissimo tempo.
Se sarà positivo, non so proprio che fare!!

Candice

Era nervosissima. Le mani le tremavano e riuscì a malapena chiudere a chiave la porta di casa senza impazzire. “In fin dei conti, potrebbe essere un falso allarme”, pensò per tranquillizzarsi. Ma l’unico modo che aveva per scoprirlo, era fare quel maledetto esame in ospedale.
S’incamminò per le vie di Dortmund, passando per il parco dove aveva passeggiato giorni prima con il chitarrista, dove aveva chiacchierato e mangiato un gelato con lui.
Una dolce lacrima le scese sulla guancia. Se Tom fosse stato insieme a lei in quel momento, sarebbe stata più calma: lui le avrebbe messo un braccio intorno ai fianchi e probabilmente all’orecchio le avrebbe detto «Non preoccuparti, andrà tutto bene».
Invece era terrorizzata e soprattutto vuota.

«Salve signorina, sto cercando Lucas Schulz. Dove posso trovarlo?». Candice cercò di apparire calma, ma non doveva esserci riuscita granché, perché la ragazza allo sportello la guardò in un modo strano prima di risponderle cortesemente «Salendo dalle scale, secondo piano, prima porta a destra».
«Grazie mille».
“Ok, ci siamo. Calmati. Lo conosci Lucas, terrà la bocca chiusa, tranquilla. Vai e spiegagli la situazione; lui capirà.”, continuava a pensare, salendo in fretta le scale.
Bussò contro la porta dello studio del ginecologo, e una voce maschile profonda ma rassicurante rispose «Vieni Candice, vieni».
La ragazza entrò, un po’ stupita dal fatto che sapesse che era lei.
«La segretaria mi ha avvisato del tuo arrivo. Allora, il solito controllo?»
Lei scosse la testa, un po’ imbarazzata, mentre il medico strabuzzava leggermente gli occhi. «Emh, dovrei fare un controllo, Lucas. Perché… Bhè, ho un ritardo. Magari è solo un falso allarme, però per sicurezza…»
«Sì, sì, ho capito. Allora vieni, iniziamo. Rilassati.»

Venti minuti dopo, Lucas parlò: «Ecco, abbiamo finito. Ma mi spieghi bene cos’è successo? Non mi sembri una persona irresponsabile fino a questo punto…»
La ragazza si alzò dal lettino su cui era sdraiata e con un batuffolo di cotone passatogli dal medico, tamponò la piccola fuoriuscita di sangue dal braccio.
Poi sospirò. In fondo se l’aspettava. Era un amico, aveva il diritto di sapere in un certo senso. Voleva mentire. Ma non lo fece.
«Sono andata con Denise, la ragazza a cui faccio ripetizioni, ad un concerto. Abbiamo incontrato gli artisti nel backstage e uno dei ragazzi mi ha chiesto il numero. Il giorno dopo ci sono andata a letto. Probabilmente si è rotto il preservativo».
Lucas si sedette sul lettino. «Cazzo», commentò poco dopo. Prese le mani di lei tra le sue, le sussurrò un caldo «Se hai bisogno di aiuto Candice, io ci sono».
«Grazie», disse lei, alzandosi e prendendo la borsa.
«Ti chiamerò appena saprò il risultato».
Si scambiarono un paio di baci sulla guancia, poi la mora fuggì dalla stanza. Voleva tornarsene a casa, cercare di distrarsi in qualche modo.

Quasi correva per le strade della città, con gli occhi di anziani e bambini puntati addosso. Non era in ritardo per nessuna commissione. Lei aveva un ritardo.
La giornata era abbastanza bella: un pallido sole le illuminava i bellissimi occhi verdi di lei e faceva apparire ancora più splendenti i capelli neri.
Arrivò a casa in poco meno di un quarto d’ora. Davanti alla porta c’erano due ragazzine, che da lontano non riuscì a riconoscere. Una di esse si stava sbracciando per salutarla.
“Oh, ma è Denise! L’altra sarà una sua nuova amica…”
«CANDICE! Ma dov’eri?», domandò la ragazzina appena vide la mora avvicinarsi.
«Shht, entrate avanti», ordinò aprendo la porta.
Le due ragazzi si sistemarono sui braccioli del divano. Candice posò la borsa e si tolse in fretta il cappotto, gettando tutto sulla prima sedia libera.
«Volete qualcosa da mangiare, da bere…?», chiese, togliendosi le scarpe e indossando un paio di comode e calde ciabatte.
«No, tranquilla. Candice, ti volevo presentare la mia amica: Anne»
La mora tornò in salotto dalle ragazze e calorosamente disse: «Piacere Anne!»
«Denise mi ha tanto parlato di te», disse la terza. Era una ragazza molto carina. Bionda, alcune ciocche di capelli raccolte all’indietro e tenute con una spilla, molto magra, si vestiva in modo semplice e non molto curato. Jeans e camicia, al collo un cravattino nero.
«Siamo qui perché vogliamo tutti i particolari», riprese il discorso Denise.
La mora non capiva. «Particolari di cosa?»
«Come di cosa? Della scopata con Tom!»
«Denise!», la rimproverò la mora. Poi una grande risata riempì la stanza.
Quando la chiamò, Anne si accorse che quella di Candice non era più una risata: si era trasformata in un pianto. Grosse lacrime scendevano sulle gote rosse della giovane, lei singhiozzava e cercava di parlare: «I-io forse sono i-in-incinta!!», esclamò alla fine.
«MA COME SEI INCINTA? Quel bastardo di Tom… Lui lo sa?». La diciottenne fissò le due ragazze, una alla volta, senza dire una parola. «CANDICE?!»
«No. E non lo dovrà sapere, per ora». Tirò su un paio di volte con il naso, si diresse in cucina e aprì il rubinetto.
«Come non dovrà saperlo?». Denise era leggermente rossa per la rabbia. Candice mise la faccia sotto l’acqua corrente, prestando attenzione a non bagnarsi i capelli.
«Senti. Io non voglio rovinargli la vita, ok? Poi la cosa non è nemmeno certa, quindi è meglio tenere la bocca chiusa». Si asciugò il volto con un asciugamano.
«Hai fatto il test?»
«Sì, ma non si capiva se era positivo o negativo… Sono andata da Lucas, il mio amico ginecologo. Ha detto che appena ha i risultati mi chiama. Ma ho paura.»
«Tranquilla Candice». Denise abbracciò la mora e continuò: «Io ci sono, ok? Aspetterò con te quella maledetta telefonata. E se Anne vuole, può restare anche lei»
La biondina annuì senza dire una parola.
Rimasero tutte e tre in cucina ad aspettare lo squillo del telefono.
Candice pensava a Tom. A quanto avrebbe fatto male al ragazzo sapere di essere quasi padre.

E Tom, lontano chilometri e chilometri, pensava al preservativo bucato.
E si pentiva di non averle detto la verità.
«Cazzo!» esclamò, seduto sul letto di una camera d’albergo qualsiasi, in Danimarca.

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Capitolo 8
*** Capitolo sette. ***


Capitolo sette.

«Fratellone, pronto per il concerto di questa sera?», domandò Bill entrando nella stanza.
Il rasta annuì leggermente con la testa, fissandosi le mani raccolte a pugno. Aveva a malapena sentito le parole del gemello, talmente concentrato nei suoi pensieri
«Tomi, che cazzo ti succede in questi ultimi giorni? Sei sempre silenzioso!», ribattè, sbuffando un paio di volte.
«Sono preoccupato per Candice. Ho paura che potrebbe non dirmi niente», rispose il ragazzo, spostando lo sguardo verso la parete.
«Ma figurati! Se fossi in lei, non diresti nulla? Dai, non ti preoccupare…». Il moro si sedette sul letto al fianco del gemello e gli cinse le spalle con un braccio.
Restarono così per una decina di minuti. Bill continuava a guardare il rasta, mentre lui era immerso nei suoi pensieri. Ad un certo punto si alzò e disse, più a se stesso: «La devo chiamare».
Si diresse verso il comodino, seguito dallo sguardo incuriosito del vocalist.
«Ragazzi, avete un’intervista tra un quarto d’ora, dobbiamo scappare», disse una voce calma e profonda: Saki.
Tom andò incontro al bodyguard e gli urlò in faccia: «Fanculo».
“Possibile che non riesca mai a fare niente? Appena decido qualcosa, devo rimandare tutto per colpa di interviste, servizi fotografici, promozioni…”
Diede un pugno al muro dietro all’uomo, poi uscì dalla stanza.
«Ma che cazzo succede a quel ragazzo?!», domandò il gigante, rivolto a nessuno in particolare. Bill fece spallucce, cercando di mascherare il fatto che lui sapeva tutto.
Ma Saki conosceva la band fin troppo bene, era impossibile nascondergli qualcosa. Prese Bill per il colletto della giacca di pelle e lo obbligò a voltarsi e a guardarlo negli occhi. «Tu lo sai che gli succede. E se non me lo vuoi dire, vuol dire che la faccenda è grave. Sentiamo, in che guaio si è cacciato questa volta?»
«Non te lo posso dire», rispose con voce flebile il moro fissandolo a lungo negli occhi.
«DEVI DIRMELO, CAZZO! Ti prego Bill, dimmi cosa è successo».
Il diciottenne abbassò lo sguardo. Si fissò la punta delle scarpe. “Che devo fare adesso?”. Non voleva tradire il gemello. Non voleva litigare con lui.
Provò a ragionare come Tom. Ma non ci riusciva. Ogni volta che tentava di provarci, gli entrava in testa il fratello con in braccio un bebé.
«Ti ricordi di quella bella ragazza, con i capelli neri, che abbiamo conosciuto a Dortmund?». Il bodyguard annuì silenziosamente con la testa. Come poteva dimenticarla? Tom l’aveva guardata con degli occhi… Forse perché era in astinenza… «Ecco, Tom ci è andato a letto e…».
Non riusciva nemmeno a dirlo. Prese fiato un paio di volte, raccolse tutto il coraggio che aveva e in un sol colpo disse: «Insomma, si è rotto il preservativo e lui è preoccupato, perché ha paura che lei non lo voglia avvisare nel caso fosse incinta. Semplicemente questo». La bocca si aprì in una smorfia che assomigliava a un timido sorriso.
«Come “semplicemente questo”? Ti sembra poco?». L’uomo era rosso in volto. Stava cercando di controllare la rabbia. «Tom può diventare padre ed è “SEMPLICEMENTE QUESTO”?!», urlò, lasciandogli il colletto della giacca. Guardò l’orologio al polso, poi si rivolse nuovamente al vocalist: «Muoviamoci, siamo già in ritardo. Ne riparleremo poi».
Bill si sentì piccolo piccolo in quel momento. Avrebbe tanto preferito sparire in un buco nero. «Saki?», domandò «Non dire nulla a nessuno, va bene? Tom è già abbastanza nervoso». Il gigante annuì, in silenzio. Era ovvio che non lo avrebbe detto a nessuno.
I due percorsero il lungo corridoio, arrivarono all’ascensore ed entrarono. Saki premette il pulsante dello zero. A quell’ora l’edificio era completamente deserto, solo qualche donna delle pulizie passeggiava su e giù per i corridoi. Non ebbero difficoltà ad uscire dall’hotel, apparte qualche fan tranquilla che voleva un autografo e una stretta di mano. Entrarono nella limousine dove già gli aspettavano Georg e Gustav, silenziosi, e un Tom che continuava a guardare fuori dal finestrino con un’espressione preoccupata sul volto.
Bill non lo aveva mai visto così.
Possibile che il fratello provasse qualcosa per quella ragazza?
“Nhà, figuriamoci. E’ preoccupato perché non vuole diventare padre”.

Driiin.
Driiin
Driiin. Driiin.

Il telefono.
Candice non aveva quasi il coraggio di rispondere.
Sotto lo sguardo di Denise, si alzò dal pavimento e asciugò le ultime due lacrime che le erano scivolate sulle guance.
A ogni passo, il cuore le batteva sempre più forte.
Sinistro, e il cuore batteva.
Destro, e le uscì quasi dal petto.
Sinistro, iniziò a farle male.
Destro, lo aveva in gola.
Sinistro, le arrivò alle orecchie.
«P-pronto?» rispose timidamente. Non voleva più sapere se era incinta o no.
Non gliene fregava niente in quel momento.
Aveva perso tutto l’interesse.
Era solo terrorizzata, voleva sparire dalla faccia della Terra.
«Candice, sono Lucas. Ho i risultati…».
Silenzio. Iniziava ad odiare il silenzio. La stava perseguitando.
«E’ positivo, piccola. Senti, mi dispiace…». L’uomo all’altro capo del filo continuava a parlare lentamente e dolcemente, ma Candice non lo ascoltava. Aveva posato il telefono sul tavolo, si era seduta con la schiena contro il muro ed era scoppiata a piangere.
“Sono incinta. SONO INCINTA CAZZO!”
E come avrebbe fatto? Un figlio… Mica era facile da mantenere! Non aveva tutti questi soldi e sicuramente non poteva dire nulla ai genitori. Non parlava con loro da quando se n’era andata di casa, non aveva intenzione di farlo solo perché loro stavano per diventare nonni.
Sì, all’aborto aveva pensato. Ma se n’era subito pentita. Dove l’avrebbe preso il coraggio per uccidere una creatura minuscola e indifesa? E dove avrebbe trovato però il coraggio di crescere un figlio? Lei sapeva a malapena badare a se stessa! Un figlio… Le sembrava tutto così strano, un sogno quasi.
“Sì, è sicuro un incubo. Non può essere, IO incinta. Cazzo”.
«Candice? CANDICE!». Dal telefono si sentiva debole la voce del medico.
Denise decise riattaccò.
Anne intanto si era seduta accanto alla mora, le aveva messo un braccio intorno alla spalla per cercare di consolarla e le aveva asciugato qualche lacrima.
«Non sarà il momento giusto, ma devo dirti una cosa», sussurrò Denise. «Candice, la nonna mi ha proposto di farti venire a vivere con noi. Lei dice che non riesce più a seguirmi molto… Poi potrei aiutarti con il bambino, insomma, se lo terrai…»
«Certo che lo terrò», la interruppe subito la diciottenne «Non ho intenzione di abortire. E accetto l’offerta. Il tempo di fare la valigia e mi trasferisco da voi.»
Le due amiche si abbracciarono, sedute. Anne guardò l’orologio ed esclamò: «Mamma come tardi!», salutò le due e uscì di corsa dalla casa.
«E Tom?», chiese Denise, curiosa.
“No, non posso dirgli nulla… Però il bambino è suo, dovrebbe saperlo. Ma no, meglio così. Probabilmente vorrà convincermi ad abortire. Io non voglio abortire”
«Non me ne frega niente», rispose l’altra, chiudendo gli occhi.
«Ma come non te ne frega niente?! Secondo me dovresti avvisarlo». Corse in camera della diciottenne urlando «Vado a prepararti la valigia, va bene? Hai proprio bisogno di compagnia, credimi».
“Forse ha ragione. Non devo piangere, dopotutto questo è pur sempre mio figlio. Che non lo abbia cercato è diverso, ma io amo questo bambino già da adesso. Non potrei mai pensare di abbandonarlo o abortire. Speriamo abbia le mani del padre…”
«La valigia è pronta Candice!!». Denise telefonò all’autista che dieci minuti dopo era davanti casa e teneva aperta la porta della limousine.
Le ragazze entrarono, poi l’uomo caricò le valigie nel baule e partirono.
Candice si sentì subito meglio, appena mise piede nella nuova casa. Aveva proprio bisogno di cambiare aria. Non era nemmeno più terrorizzata dalla gravidanza. In quella casa sarebbe rimasta tranquilla e al sicuro.
O così credeva…

«Fantastici ragazzi, siete stati fantastici!», gridò Saki come alla fine di ogni concerto. Poi uscì fuori, sulla strada.
«No, sono andato malissimo». Bill si lamentava sempre. Era un perfezionista, niente gli andava mai bene.
Rimasero a discutere per dieci minuti. Quando ci fu un attimo di silenzio, Tom iniziò a parlare: «Ragazzi, ho davvero paura. Bill sa già tutto, ma volevo parlarne anche con voi».
Georg e Gustav guardavano il rasta un po’ sorpresi.
«Vi ricordate di Candice? Quella bellissima ragazza dai capelli neri e gli occhi verdi?». Quando annuirono, lui continuò «Bhè… Si è rotto il preservativo e ho paura che possa essere rimasta incinta. La conosco poco, è vero, ma secondo me non vorrà dirmi niente». Georg si mise a ridere. «Stai scherzando, vero?». Fissò il chitarrista. Era serio, serissimo. «No», rispose secco.
«Oddio», commentò Gustav. Mise una mano sulla fronte, poi continuò: «Se vi servirà una mano, noi vi aiuteremo, amico».
Tom abbracciò tutti e tre i ragazzi.
Poi si sedette sul divano, ad aspettare la limousine.
Non aveva voglia di bere, né di mangiare.
Si sentiva strano, lo stomaco accartocciato.
Gli occhi gli si chiusero da soli e nel sonno sussurrò “Ciao principessa!”.


Volevo ringraziare tutti per i commenti e per aver letto la Fanfiction. Sono contenta che vi piaccia! *W*

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Capitolo 9
*** Capitolo otto. ***


Capitolo otto.

9 aprile 2008 – Dortmund – Ore 23.15
Caro diario,
ebbene sì, sono incinta a quanto pare.
Sai, sono contenta di esserlo. Certo avrei preferito che il padre fosse un altro, ma è capitato e non me la sentivo proprio di uccidere una creatura indifesa che magari ha tanta voglia di vivere.
E’ il primo giorno che passo a casa di Denise. Sì, perché sua nonna mi ha proposto di trasferirmi ed io ho accettato. La casa che mi ha lasciato la zia per il momento la tengo, in futuro vedrò se venderla o meno.
Qui mi trovo bene. Denise e io stiamo legando molto di più e la posso aiutare giornalmente con i compiti. Sua nonna spesso resta da sola in biblioteca, ma ogni tanto mi chiama e mi racconta qualche storia divertente sui suoi figli, o di quanto amava suo marito. E’ una donna molto simpatica ma introversa e si sente tanto sola soprattutto per questo. Sono felice, davvero felice.
Ora so che devo vivere per lui, o per lei. Non mi interessa se sarà un maschio o una femmina, basta che viva, che sorrida, che sappia regalarmi emozioni che nessun altro potrà mai regalarmi.
Sarà mio figlio. Mio soltanto.
Mio e di tutti coloro che gli vorranno bene.

Candice.


Gli occhi le si stavano chiudendo da soli, ma non riusciva a dormire. Era calma e felice. E allora perché il sonno non si decideva a venirla a prendere?
Continuava a pensare a lui.
Il bambino era anche suo, aveva il diritto di sapere la verità.
Ma la verità fa paura, la verità fa male.
Lei non aveva il coraggio di chiamarlo.

«Io non direi niente al suo posto». Tom parlava da solo, lo sguardo fisso sulla luna al di là del vetro di quell’insulsa finestra di quell’albergo che iniziava ad odiare.
Non sapeva che ora fosse. Non gli interessava.
Si sentiva oppresso, chiuso. Non riusciva a respirare.
Voleva rivederla, risentire la sua voce.
Prese velocemente il suo cellulare e compose il numero. Lo aveva imparato a memoria a furia di fissare quelle dieci cifre scritte sul foglio immacolato.
«Avanti, rispondi!», sussurrò, sperando in un miracolo.

Candice era sdraiata sul letto, la testa appoggiata al muro, lo sguardo perso nel vuoto, la mente piena di tanti pensieri diversi.
Qualcosa la risvegliò: il cellulare che vibrava sul comodino.
Sul display azzurro erano scritte tre lettere.
Prese un profondo respiro e premette il tastino verde.
«Pronto?», domandò al ragazzo all’altro capo del telefono.

Tom Kaulitz urlò di gioia quando sentì quella bellissima voce.
«Candice, sono Tom! Non sai quanto sono felice di sentirti. Quando cercavo di chiamarti ero sempre interrotto da qualcuno o qualcosa. Finalmente!». Guardò di sfuggita l’orologio. Le undici e mezza. «Scusami, ti ho svegliata?», le domandò, sperando di non ricevere una risposta acida o arrabbiata.
«No, no, tranquillo. Non riuscivo a dormire».
Come gli piaceva quella voce. Si sentiva già meglio.
“Devo dirglielo?”, si chiese, ripensando al suo errore.
«Che mi racconti?», domandò la ragazza, incuriosita.
“No, non glielo dirò”.
«Mmh, nulla. Siamo tutti e quattro un po’ stanchi e…» Qualcuno bussò.
«Chi è?», domandò il rasta.
Una voce debole e rauca rispose al di là della porta: «Sono Bill, è urgente».
Corse ad aprire. La situazione non gli piaceva per nulla. «Non ho voce», disse lui, sperando che il gemello riuscisse a leggergli il labiale, appena quest’ultimo spalancò la porta, con il telefono ancora in mano. «Ti chiamo dopo, resta sveglia», sussurrò il chitarrista a Candice. A malincuore premette il tasto rosso e buttò il cellulare sul letto.
«David lo sa?». Doveva occuparsi della voce del fratello ora.
«No»
Non ci riusciva. Doveva risentire quella dolce di Candice.
«Andiamo a dirglielo».
Si arrese.
La porta della stanza del manager era semi-aperta. Lui era sdraiato a pancia in giù sul letto e guardava un vecchio film in bianco e nero.
Bill bussò appena, poi entrambi i gemelli entrarono.
«Ragazzi, che fate ancora in piedi? Domani abbiamo la giornata piena di impegni!», disse loro David, mettendosi in ginocchio sul materasso per guardare loro negli occhi.
«Abbiamo un problema», iniziò a parlare Tom.
Il vocalist indicava la sua gola e molto lentamente cercava di parlare. Con le labbra disegnava poche e semplici parole: «Non ho voce».
«E’ uno scherzo, vero?», domandò l’uomo, in preda ad una crisi di panico.
Entrambi i gemelli scrollarono la testa, mortificati.
David iniziò a fare telefonate su telefonate, mentre i due diciottenni si sedettero sul letto a fissare il manager che sbraitava contro qualsiasi povero malcapitato dall’altra parte della cornetta.
Un quarto d’ora dopo, annunciò: «Ragazzi, per ora si torna in Germania. Ho trovato un medico a Dortmund che ti visiterà, Bill, e ci dirà se possiamo continuare il tour andando in America o no. Devo soltanto trovarvi un appartamento…»
Dortmund.
“A Dortmund c’è Candice! Magari lei riuscirà a trovarci un posticino dove stare…”, pensò il chitarrista, poco prima di dire a David: «Conosco una persona che può aiutarci, aspetta».
Corse nella sua stanza, per quanto i suoi pantaloni oversize glielo permettevano, prese il cellulare e compose nuovamente il numero della ragazza.

«Pronto?», domandò per la seconda volta la mora, preoccupata.
«Candice, scusami! E’ successo un casino, Bill non ha voce e dobbiamo tornare a Dortmund…».
“Oddio, tornerà qui… In un modo o nell’altro scoprirà la verità. Cazzo”, pensò.
«Non è che riusciresti a trovare un appartamento per noi?», continuò il rasta.
«Emh, certo, potete venire nel mio appartamento. Non è niente di eccezionale, ma ci dovreste stare piuttosto comodi. Sai, mi sono trasferita a casa della nonna di Denise…»
«Perfetto, perfetto Candice! Domani pomeriggio saremo già lì. Ti va di venire a prenderci all’aeroporto?»
«S-sì, non c’è problema», rispose nervosamente.
“Cazzo. E mo’? Gli devo dire tutto. Non c’è altra via d’uscita”.
I due giovani si salutarono velocemente.
Candice appoggiò la testa contro il muro, e si addormentò, con una mano sulla pancia.


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Capitolo 10
*** Capitolo nove. ***


Capitolo nove.

«Candice? CANDICE!». Denise stava cercando la mora. Aveva girato tutta la casa, ma non era riuscita a trovarla. Nel letto non c’era, in bagno neppure, non stava preparando una torta al cioccolato come faceva quando era nervosa, né guardava la televisione.
Decise di chiamarla al cellulare. Era preoccupata per lei.
Il cliente da lei chiamato potrebbe essere spento o non…
«Fanculo!», imprecò, infilando il cellulare in tasca.
“E adesso, dove sarà andata a finire?”, si domandò, senza trovare risposta.

Erano le tre del pomeriggio. Un caldo sole illuminava i verdi occhi della ragazza. I capelli le ricadevano lisci sulle spalle. Si aggiustò un ciuffo ribelle.
Quella mattina era andata all’ospedale, per ritirare il foglio con i risultati. Era passata quasi una settimana da quando aveva ricevuto la notizia, ma non aveva avuto il coraggio, fino ad allora, di mettere piede nell’edificio.
Aveva bisogno di stare un po’ da sola. Per questo era andata in quel parco, lo stesso dove lei e il chitarrista avevano passato QUEL pomeriggio a chiacchierare.
E ora lei si ritrovava incinta.
Continuava a pensare al problema che la affliggeva da qualche giorno ormai.
“Glielo devo dire. E’ un suo diritto, deve riconoscere il bambino. Ma ho paura. Ho paura di tutto quanto. Vorrei che restasse accanto a me, ma so che non è possibile. Ha una carriera, la musica è tutto per lui. Non posso rovinargli la vita così.
Gli dirò semplicemente che sono incinta, che il bambino è suo, che deve prendere lui la decisione importante. Non io”.
Tirò fuori un mazzo di chiavi dalla borsa, si diresse all’auto ed entrò, senza esitare. Fissò l’orologio: le tre e dieci.
«Cazzo!», disse. «Sono in ritardo, devo muovermi!»
Mise in moto, fece retromarcia e accelerò. A quell’ora le strade erano deserte.
«Ok Candice», sussurrò a sé stessa, fermandosi davanti ad un semaforo rosso. «Stai calma adesso».

In dieci minuti arrivò all’aeroporto. Notò la cespugliosa e corvina capigliatura di Bill e andò incontro al gruppo. Con loro c’era un altro uomo, non troppo alto, sui trenta/trentacinque anni. Da come si vestiva, però, assomigliava a un diciassettenne.
«Tu devi essere Candice!», urlò quest’ultimo vedendola. «Piacere, io sono David, David Jost». Le tese la mano. Lei la strinse, anche se non lo conosceva, nemmeno di nome. Ma se era con gli altri quattro era sicuramente famoso. “Ahh, probabilmente è il loro manager”, pensò. Poi aprì bocca: «Vogliamo andare all’appartamento?»
I cinque caricarono le numerose valige su un taxi. Il vocalist continuava a lamentarsi del bruciore alla gola e del caldo: aveva una sciarpa attorno al collo e all’ombra c’erano 25°. «E’ per non rischiare», gli ripeteva Jost.

Candice invece salì sulla sua auto, per far strada al povero taxista che doveva sopportare quelle cinque pesti.
Il chitarrista continuava a mandarle messaggi, la testa appoggiata al finestrino.
«Sono contento di rivederti.»
Dopo nemmeno due minuti ne arrivò un altro. Fortunatamente la strada era deserta, altrimenti avrebbe sicuramente investito qualcuno.
«Grazie per averci offerto casa tua.»
E poi ancora.
«Emh… Ti va di uscire? Magari andare in un ristorante… C’è una cosa che devi sapere, volevo parlarne con calma. Se non vuoi non importa.»
Candice sorrise. Arrivata al semaforo rispose con un breve «Andata.»

Due auto dietro a quella della mora, Tom Kaulitz lanciava un urlo di gioia.
«Anche questa sera vi darete da fare, eh?», domandò il bassista, curioso.
«No», rispose il rasta.
Otto occhi si girarono a fissarlo, attoniti.
«E non guardatemi così!», si lamentò, infilandosi le cuffie dell’iPod nelle orecchie.
«David» parlò Bill con voce roca «Credo di avere qualche problema all’udito».
«Anch’io», gli fece eco Gustav.

Nel frattempo, erano arrivati a casa della ragazza.
«Non è il massimo», disse lei «Ma almeno è tranquillo».
Mostrò loro velocemente le stanze.
Due camere da letto, spaziose, arredate con due letti singoli e un armadio in ciascuna di esse. Un salotto, con un divano e tre poltrone disposte a cerchio, televisione al plasma e una libreria piena di volumi di ogni genere.
Cucina semplice, piccola, dispensa piena di schifezze di ogni tipo.
Un bagno, grande, con piastrelle e sanitari blu. Quattro accappatoi appesi.
«Era la casa dei tuoi genitori?», le chiese Bill.
«No», rispose lei. «Ma ci sei andato vicino: era di mia zia».
Candice era sulla porta, quando si ricordò di non aver segnato da qualche parte il numero di telefono della nonna di Denise.
Svuotò la borsetta alla ricerca del cellulare. Le cadde un foglio bianco, non se ne rese conto. Più veloce della luce, il chitarrista si chinò a raccoglierlo. Era una busta.
Intravide cosa vi era scritto: “Analisi di Schneider Candice”. La mise in tasca, mentre la mora stava scrivendo dieci cifre su un foglio bianco.
«Eccolo. Nel caso abbiate bisogno di qualcosa e non mi troviate sul cellulare…»
Il chitarrista le si era avvicinato, e una vampata di calore l’aveva investita.
Tom appoggiò dolcemente le labbra su quelle della ragazza.
Lei lo guardò negli occhi, rossa in volto.
Poi uscì da quella casa, salì in auto e sfrecciò via come un fulmine.
«Cazzo!», strillò il ragazzo, e si attaccò nuovamente al cellulare.
Le dita toccavano appena i tasti.
«Vengo a prenderti alle otto».

Erano le sette. Qualcuno bussò alla porta del chitarrista, che era a petto nudo e aveva tirato fuori dall’armadio quattro o cinque maglie, indeciso su quale indossare.
«Avanti!», gridò.
«Fratellone, che ti succede?», domandò il moro, entrando.
«Che maglia posso mettere, Bill?»
Lui gliene indicò una grigia con delle stampe e il gemello la indossò.
«Non mi succede nulla», rispose, fissandosi allo specchio.
«Hai detto che questa notte non te la porterai a letto, l’hai baciata in modo dolce… Tom?»
Il rasta aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans la busta.
«Ho trovato questa», spiegò, ignorando la domanda e mostrandola a Bill.
«Analisi di cosa?», chiese quest’ultimo.
«Non lo so, non lo so!». Tom era nervoso. Si sedette sul letto e portò le mani alle tempie.
Bill restò in piedi a fissarlo e parlò: «Parlane con lei. Non la aprire. Portatela dietro e dille che le era caduta mentre scappava. Non fare cazzate, Tom.»
Il chitarrista annuì.
«Divertiti, fratellone!». Gli diede una pacca sulla spalla e uscì dalla stanza.
Tom riprese in mano il cellulare.
«Il tempo di arrivare, principessa».
Prese al volo il mazzo di rose rosse che aveva fatto comprare da Saki e si diresse fuori dall’appartamento, dove una limousine lo stava aspettando.


Grazie mille a tutti coloro che leggono la storia e che commentano; spero vi piaccia anche questo capitolo ^^ E scusate se impiego vent'anni ad aggiornare, ma sono in periodo di esami...

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci. ***


Capitolo dieci.

«Denise!! Dove diavolo hai messo la mia matita nera?», urlò Candice in direzione della stanza della giovane. Poi sussurrò a se stessa, come se ciò potesse aiutarla a trovare ciò che cercava: «Ma dove diavolo è l’altra scarpa?»
«Eccola!», gridò l’altra ragazza, la matita in mano, mentre la mora stava mettendo sottosopra la stanza. «E qui c’è anche la tua scarpa…», continuò, alzando una delle dieci magliette che la diciottenne si era provata e aveva buttato a terra come se fossero vecchi stracci.
Candice la ringraziò. «Cazzo!», esclamò, sentendo il campanello suonare.
«Vado io, vado io», ribattè l’altra.
Era tardi. La mora lo sapeva benissimo, sapeva di essere in ritardo. Aveva passato il pomeriggio a dormire. Beh, in realtà si era addormentata immaginando la cena con il chitarrista, ma poco importava. Avrebbe dovuto scegliere cosa indossare e prepararsi, non poltrire.
Alla fine aveva deciso di indossare un semplice vestito turchese, non troppo lungo né troppo scollato.
Mise velocemente un filo di matita su entrambi gli occhi, un rossetto leggermente più scuro del naturale colore delle sue labbra e si allacciò l’altra scarpa.
Si catapultò il più velocemente possibile in salotto, dove Denise aveva condotto il rasta. Lui era vestito di grigio. Una maglia semplice, jeans chiari. “Bellissimo”, si trovò a pensare la mora, rallentando il passo.
«Oh, eccoti finalmente…», disse vedendola arrivare, buffa, correndo sui tacchi. Le si avvicinò con un grande passo, l’abbracciò e in un orecchio le sussurrò la fine della frase: «…Mia principessa».
Candice arrossì leggermente, poi si lasciò trasportare dal ragazzo, che l’aveva presa per mano e l’aveva condotta all’entrata.
«Divertitevi!», augurò loro Denise. Li spiò dalla finestra fino a quando l’auto non scomparve dalla sua vista.

«Wow!», esclamò Candice in un sussurro vedendo la limousine parcheggiata davanti casa. Il rasta le sorrise, le aprì la portiera e l’aiutò ad entrare. Poi salì a sua volta.
Il viaggio non fu troppo lungo, non per la ragazza almeno. Era nervosissima, come lo era sempre stata in sua compagnia.
«Emh… Scusami per oggi. Intendo per il bacio. Mi hai presa un po’ alla sprovvista. Non dovevo scappare in quel modo», disse lei, agitatissima.
“Cazzo Candice, calmati per piacere! Non sono un mostro, non ti mangio…”, pensò il chitarrista. Non amava vedere le persone nervose o agitate, lo faceva diventare ansioso. «Stai tranquilla, lo avevo immaginato». Le sorrise. «Spero ti piaccia la cucina italiana». Lei ricambiò il sorriso ed esclamò: «La adoro!». Finalmente era riuscita a rilassarsi un po’.
La limousine si fermò. Tom sfiorò con le dita la tasca dei jeans, dove aveva messo la busta delle analisi della mora.
I due scesero dall’auto. Lui andò dall’autista e gli bisbigliò qualcosa, mentre Candice, impacciata, si guardava intorno.
«Queste sono per te», sussurrò il rasta, dietro di lei. La ragazza sussultò, persa com’era nell’ammirare l’esterno del ristorante.
Erano quindici rose rosse.
Non vedendo nessuna reazione, Tom continuò: «Ho mandato Saki a prenderle perché siamo impegnati e poi non potevo rischiare di uscire per le vie principali di Dortmund, mi avrebbero riconosciuto. Però l’idea è stata mia, non me l’ha nemmeno suggerito Bill, anzi, lui…».
La ragazze gli buttò le braccia al collo, mentre lui, che continuava a parlare e gesticolare, fu colto di sorpresa. Sorrise intenerito e la strinse a sé.
«Sono bellissime», sussurrò lei, staccandosi dall’abbraccio, e passando appena le sue labbra sulla guancia del chitarrista.
Entrambi si sorrisero. Candice imbarazzata, Tom più sicuro.
«Vogliamo entrare o stare qui fuori tutta la sera?», domandò tanto per spezzare quel silenzio che lo stava facendo innervosire.
La ragazza gli si avvicinò ed entrambi entrarono nel locale.

«Buonasera! Lei è il signor Kaulitz immagino». Il Direttore del ristorante era venuto loro incontro. Stava squadrando Tom dal basso all'alto, soffermandosi sul suo abbigliamento non esattamente formale e sui suoi dread.
«Sì, sono io», rispose cercando di ignorare gli sguardi di disprezzo che l'uomo gli stava lanciando.
Il Direttore accompagnò i due fino al loro tavolo, dove già un cameriere attendeva paziente le loro ordinazioni.
«Mmh...», commentò la mora dando un'occhiata al Menù dopo essersi seduta su una delle lussuose sedie rivestite di velluto rosso. «Credo che prenderò le lasagne, sì».
«Io adoro la pasta invece», ribattè il ragazzo, senza neanche aver buttato l'occhio su una pagina. «La prendo quasi sempre».
«Sì, me lo ha detto Denise... Ti piace con tanto formaggio. Sa tutto di voi».
Tom si sentì un po' a disagio. «Emh... Già, è vero».
“Quando dovrò dirle delle analisi? Cavoli... Forse a inizio serata non è proprio il caso...”
Nel frattempo, la mora aveva appoggiato il mazzo di rose rosse sul tavolo e continuava a fissarlo, chiedendosi se era il caso di dirgli tutto o di mantenere il segreto.
I due continuarono a chiacchierare del più e del meno per venti minuti. Poi rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri (lui) e nel proprio nervosismo (lei).
«Ti devo dire una cosa». Parlarono contemporaneamente, guardandosi negli occhi, per poi volgere subito dopo lo sguardo altrove.
«Prima tu», lo incitò Candice, rossa in volto, più che altro perché era troppo impaurita per iniziare per prima il discorso.
Il rasta fece un profondo respiro. «Quella notte... La nostra notte...». La fissò per un attimo. “Non posso dirglielo così, no. Sarebbe un giro troppo largo. Le mostrerò la busta e basta”.
Infilò la mano in tasca, insicuro sul da farsi. La poggiò sul tavolo, nascondendola con la mano, in modo che la ragazza non la vedesse e, soprattutto, non la riconoscesse.
Ma qualcosa andò storto... Anche quella volta.
Il cameriere, imbranato, scivolò, mentre si dirigeva al tavolo dopo quello dei due, facendo finire direttamente su loro le bibite che aveva sul vassoio.. Tom mise la mano davanti al viso con l'intento di proteggersi, lasciando così scoperta la busta. La mora la vide e prontamente la infilò nella borsetta, senza farsi notare dal chitarrista. Lei neanche si bagnò.
«Oh, signor Kaulitz! Mi dispiace, sono mortificato!!», gridò il cameriere, tentando di asciugargli la maglia con un tovagliolo di stoffa che teneva sull'avambraccio.

Dieci minuti dopo, i due erano seduti sulla limousine, diretti alla casa del chitarrista, che continuava a lamentarsi dello scadente servizio di quel ristorante, mentre la ragazza cercava di trattenere le risate.
«Porca puttana!», esclamò lui all'improvviso. «Ho lasciato una busta nel ristorante! Oh, merda...». Si mise le mani alle tempie.
«Per caso», iniziò la mora, sfilando le sue analisi dalla borsetta «cerchi questa?». Gliela mostrò, con la descrizione del contenuto girata verso di lui, in modo che potesse vederla. Il ragazzo non disse nulla.
«Dove l'hai presa? E perché?». Non era arrabbiata.
«Oggi pomeriggio, nel tuo appartamento. Ti era caduta, poi però ti ho baciata e non sono riuscito a ridartela perché sei scappata. Volevo cogliere l'occasione per parlarti... Perché, vedi, è successa una cosa particolare quella notte, dopo il concerto. Ma non posso dirtelo qui. Dopo. Scusami».
Il resto del breve viaggio lo passarono a parlare di musica, tutti e due evidentemente nervosi. La limousine si fermò nuovamente, davanti all'appartamento di Candice. Le luci in salotto erano accese e la finestra completamente spalancata. Questo permetteva di sentire le risate degli altri tre, davanti alla televisione sommersi da schifezze di ogni genere a guardare un film comico, cercando di non strozzarsi.
«Oh, no... Cazzo!». Il chitarrista aprì piano la porta, cercando di non farsi sentire. «Avanti, corriamo di sopra».
«No, perché? Fammeli almeno salutare. E poi ho fame, non abbiamo mangiato nulla». Tom voleva stare da solo con lei, parlarle. Ma non poteva darle torto, anche il suo stomaco brontolava in maniera terribile. «Emh... Giusto.»
«Dai, andiamo a guardare il film, dopo parleremo quanto vuoi. Davvero». Gli sorrise, sperando di riuscire a convincerlo.
E ci riuscì.
«Ehy! Che ci fate qui? Così presto?», domandò Bill, sentendo qualcuno entrare.
«Storia lunga fratellone», ribattè il gemello prendendo qualcosa che assomigliava terribilmente a una caramella gommose dal pavimento e infilandosela in bocca. «Ti spiegherò dopo».

Candice rise. Rise come non faceva da qualche giorno. “La loro compagnia è stupenda. Sono tutti e quattro terribilmente simpatici. Mi sto divertendo come una matta. Sono la ragazza più felice della terra”. Pensato questo, tra le lacrime e un grande mal di pancia provocati dal gran ridere, si sdraiò a terra, masticando un popcorn al caramello. E dimenticò ogni cosa. Beh, quasi ogni cosa.



Scusate, è da un secolo che non aggiorno, ma ho avuto un po' di problemi e poca ispirazione. Il prossimo capitolo non vi farà attendere così tanto ;) Spero vivamente che vi piaccia, è difficile riprendere qualcosa dopo averla lasciata per un mese o più... ^-^

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