Ad occhi chiusi di Novalis (/viewuser.php?uid=238774)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo Uno ***
AD
OCCHI CHIUSI
Capitolo
Uno
“Si
vede bene solo con il cuore. L’essenziale è
invisibile agli occhi”
-Antoine De Saint-Exupery-
Mi
passai con fare
nervoso una mano nei capelli, rendendoli più scompigliati di
quanto già non lo
fossero. Il tappo della penna tutto mangiucchiato e le numerose tazzine
vuote
di caffè sparpagliate sul tavolo del salotto erano alcuni
dei chiari segnali
che dimostravano quanto fossi stressata.
George
questa volta
aveva proprio esagerato!
Okay,
lavoravo
per l’“Edinburgh Fashion
Magazine”, la più importante rivista di moda in
Scozia, ma ciò non significava che poteva affibbiarmi pile
di articoli di
apprendisti da revisionare, capi di moda da abbinare, e perfino le
modelle da
scegliere per la nuova collezione che avremmo dovuto fotografare e sui
cui
avrei dovuto fare un’intera pagina! Cavoli, anch’io
avevo il diritto di avere
una vita sociale e delle serate in cui uscire. Ma no! Persino nei fine
settimana ero piena di lavoro! Ero una giornalista ma mi sentivo tanto
una
factotum.
-Jane
oggi esci con me,
che tu lo voglia oppure no! Ti devo far conoscere Thomas e alcuni suoi
amici.- Abbie
interruppe i miei pensieri omicidi nei confronti di George, saltellando
rumorosamente per il soggiorno.
Abbie
era la ragazza
con cui condividevo una casa in periferia nonché la mia
migliore amica. Aveva
un anno in più di me e lavorava come fotografa per un
giornale sulle auto
d’epoca. Sì… avevamo scelto quasi gli
stessi settori lavorativi.
Era
fidanzata da quasi
due mesi con un ragazzo di nome Thomas, che, a quanto sembrava, voleva
farmi
conoscere.
-Avrei
del lavoro da
fare, tanto lavoro da fare,- feci con tono melodrammatico,-
ma… non posso
sempre darla vinta al mio capo, quindi dove mi porti di bello? -chiesi
stiracchiandomi le braccia e abbandonando la penna con cui stavo
scrivendo.
Al
diavolo il lavoro… almeno
per oggi! Forse era un segno del destino che la mia amica mi avesse
chiesto di
uscire proprio questa sera, in cui mi stavo lamentando, più
delle altre volte,
del mio tanto lavoro.
-Così
ti voglio, baby!
Avevamo pensato a un localino in Blair
Street. Per te andrebbe bene?- mi si avvicinò,
sorridendomi.
-Perché
no! Mangeremo
anche, o berremo solo un drink?-domandai alzandomi dalla sedia su cui
ero
seduta e andando in cucina per bere dell’acqua.
-Avevamo
pensato di
bere giusto qualcosa, per poi andare a comprare dei panini dal chiosco
di
Alexander.- mi spiegò, raggiungendomi in cucina.
Il
pigiama che
indossava era troppo grande per il suo corpo minuto. Mi trovai a
sorridere
notando come sembrasse piccina.
-Ci
sto! Verso che ora?-
continuai, portandomi subito dopo il bicchiere d’acqua alle
labbra.
-L’appuntamento
è alle
20.30, baby.
-Perfetto.
Mi faccio
una doccia e mi preparo, allora!- le risposi, uscendo poi dalla stanza.
-Sì,
fai con calma. Io
devo solo mettermi le lenti a contatto e vestirmi.- mi disse,
spostandosi verso
il salotto.
-Okay.-
le feci un
sorriso.
Così
detto mi
allontanai verso la mia camera per prendere l’occorrente per
la doccia.
***
-Abbie
sei pronta?-
urlai verso le scale che conducevano al piano delle nostre camere.
Menomale
che doveva
solo vestirsi e mettersi le lenti! Io ed Abbie eravamo coinquiline da
diversi
anni, ma non mi ero mai abituata ai suoi ritardi nel prepararsi.
-Sì
sì, eccomi!-rispose
scendendo frettolosamente le scale.
Indossava
un abito
colorato, un copri spalle nero, delle scarpe con un tacco basso e una
borsetta di
cuoio a tracolla. Era, come sempre, molto carina.
-Possiamo
andare?- le
domandai.
-Assolutamente
sì, baby.-
mi sorrise, prendendomi a braccetto.
Sorrisi
anch’io,
soprattutto per il suo “baby”. Mi chiamava
così da sempre e la trovavo molto
tenera come cosa.
Dopo
essere salite
sulla sua macchina, il viaggio verso il locale partì.
-Dunque
conoscerò il
tuo fantomatico ragazzo, eh?-chiesi guardando il finestrino che
abbassai
leggermente per permettere al vento di sfiorarmi la pelle.
-Sì,
oggi conoscerai il
mio Tom e altri suoi amici barra conoscenti. È lui che mi ha
proposto la
serata, in realtà. Mi ha detto di volermi far conoscere il
suo migliore amico,
un ragazzo cieco.- si fermò a un semaforo.
-Un
ragazzo cieco?- mi
voltai a guardarla, curiosa.
Non
avevo mai
conosciuto dal vivo un ragazzo cieco.
-Sì.
Thomas mi parla
spesso di questo ragazzo. Dice che è il suo più
caro amico.
Annuii
con il capo,
tornando poi a volgere lo sguardo verso il finestrino.
-Comunque
tu non mi ha
mai raccontato come hai conosciuto il tuo ragazzo. Mi hai sempre tenuta
ben
nascosta ogni cosa.- le feci presente.
Ridacchiò,
leggermente
imbarazzata.
-Lo
sai come sono fatta.
Prima di parlarti di un ragazzo ho bisogno di conoscerlo bene e di
capire se
sia quello giusto. In ogni caso ci siamo conosciuti a quel meeting di
fotografi, che si tenne il mese scorso. Non so se ricordi. Beh, ci
siamo visti
e…
-Ed
è scoccata la scintilla.-
conclusi la frase per lei.
-Esattamente.-
si voltò
un attimo verso di me, sorridendomi.
-Pensi,
quindi, che sia
quello giusto?- domandai, poi.
Abbie
era una grande
chiacchierona, ed io amavo questo suo aspetto di lei. Soprattutto
perché in
quelle giornate di monotonia ed estremo stress che mi trovavo a vivere,
lei
trovava sempre il modo di rallegrarmi, raccontandomi qualche aneddoto
della sua
vita. Usciva spesso con dei ragazzi, ma nessuno di questi le faceva
battere
forte il cuore, ecco perché non me ne parlava mai. Per
volermi presentare
questo Tom, voleva dire che la questione era seria.
-Credo
proprio di sì. È
pur vero che non ci conosciamo da tanto, ma ci sono persone che ti
colpiscono
subito e lui… beh… mi ha colpito fin da quando i
nostri occhi si sono
scontrati. È intelligente, piacevole, divertente e mi fa
sentire sicura quando
gli sono accanto.
Non
c’era bisogno che
mi voltassi a guardarla per sapere che stava sorridendo e che le sue
guance si
erano imporporate.
-Sono
felice per te.-
aggiunsi io, sorridendo sincera.
-Grazie
baby.
Dopo
un po’ accese
la radio da cui subito si trasmisero le
note di Send me an angel dei Real Life.
Io ed Abbie andavano
matte per le canzoni anni ’80.
Ci
bastò uno sguardo,
per iniziare a cantare insieme.
***
Tre
canzoni dopo, la
mia amica parcheggiò nei pressi di un locale
dall’insegna sgargiante. Scorsi
numerosi ragazzi su motociclette o in comitive che ridevano e bevevano
spensieratamente.
-Che
la serata abbia
inizio!- fece Abbie, uscendo dall’auto.
La
seguii, chiudendo lo
sportello e aggiustandomi i pantaloni neri a sigaretta che avevo scelto
di
indossare con una camicia bianca.
Dopo
qualche passo, si
fermò davanti all’entrata del locale. Io rimasi
dietro di lei.
Abbie
salutò un gruppo
di ragazzi con un generico “buonasera” prima di
fiondarsi sulle labbra di un
ragazzo alto e biondo, che non mi ci volle molto per capire che fosse
il suo fidanzato.
-Ciao
ragazzi. Lei
è Jane, la ragazza di cui vi ho parlato, nonché
mia coinquilina e mia migliore
amica.- mi presentò dopo essersi staccata dal suo ragazzo.
Alzai
la mano in segno
di saluto e sorrisi al gruppo di ragazzi che mi si presentò
davanti.
-Ciao
Jane, io sono
Thomas, ma puoi chiamarmi Tom.- mi tese la mano il ragazzo di Abbie.
-Ciao
a te Tom,
piacere di conoscerti.- gliela strinsi sorridendo.
Sorrisi
al pensiero che
la mia amica era piuttosto bassa, eppure il suo fidanzato era molto
alto.
-Io
sono Russell, piacere
di conoscerti.- continuò un ragazzo moro.
-Jane,
piacere.- mi
presentai mantenendo il sorriso sulle labbra.
-Io
sono Mary Anne.- mi
porse la mano una ragazza dal fisico da modella.
Era
alta almeno venti
centimetri più di me e aveva lunghe gambe messe in risalto
da una gonna
scintillante e da dei sandali gioiello, altissimi.
-Piacere,
Jane.
-Io
sono Sophie.- mi
disse cordialmente una ragazza che doveva avere la mia
età.
Le
sorrisi gentilmente.
-Io
William.- disse un
ragazzo dai capelli rossi e dal volto pieno di lentiggini.
-E
io sono Terence,
piacere di conoscerti.- concluse un ragazzo che indossava degli
occhiali da
sole.
Era
sera dunque non
servivano degli occhiali per proteggersi dal bagliore solare. Pensai
subito che
dovesse essere il ragazzo cieco.
Quando
stese la mano
davanti a sé non centrandomi, ebbi la conferma che fosse
l’amico di Thomas.
Gliela
strinsi, dicendo
il mio nome e aggiungendo un “Il piacere è tutto
mio.” Con un sorriso sulle
labbra, che però non avrebbe potuto vedere.
Poi
fu il turno di
Abbie. Notai che tutti i ragazzi, tranne Terence, dovevano conoscerla,
così si
presentò solo al ragazzo cieco.
-Bene,
direi che fatte
le presentazioni, possiamo entrare.- continuò aprendo la
porta del locale che
ci fronteggiava, mano nella mano con Thomas.
Stavano
bene insieme.
Entrati
nel locale fummo
travolti da una fiumana di persone. C’era da immaginarselo!
Era venerdì sera e
i locali che servivano drink erano sempre i più gettonati.
Per fortuna, il
fidanzato della mia amica doveva aver prenotato, perché ci
condusse speditamente
verso un tavolo libero.
L’arredamento
del locale era
piuttosto moderno. Predominavano
il nero e il bianco come colori dell’arredo. Le pareti,
invece, erano verniciate
di un pallido color sabbia.
Alla
luce del locale,
vidi che Terence aveva un bastone per non vedenti che teneva nella mano
destra
e indossava un chiodo nero di pelle e dei jeans strappati sulle
ginocchia. Gli
occhiali erano dei Ray-Ban a goccia scuri.
Russell
gli posò una
mano sulla spalla e lo fece sedere sul divanetto di fronte al mio.
Nel
mio si sedettero
Sophie e Mary Anne.
-Cosa
posso portarvi?-
ci chiese una ragazza vestita da cameriera dopo qualche secondo.
-Per
me una cola.-
risposi per prima.
Non
avevo bisogno di
menù o altro. Coca cola per sempre.
-Anche
per me.- disse
il ragazzo cieco.
Così
tutti gli altri
dissero il loro drink.
-Allora
Jane, che ci
puoi dire di te?- mi domandò il ragazzo di Abbie, dopo un
po’.
Tutti
gli occhi dei
presenti si volsero verso di me.
Sorrisi
intimidita,
portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Posso
dirvi che sono
una giornalista presso un Giornale di moda, ho ventisette anni,
condivido il
mio appartamento con Abbie,-la vidi sorridere,- amo gli animali e non
saprei… bisogna
vivermi per scoprirmi.- sorrisi.
-Bella
questa frase!-
disse Russell.
-Oh
grazie.- risposi
sorridendo.
Da
lì partirono alcune
domande in generale, su come fosse il mio lavoro, di come fosse vivere
con
Abbie e altre molto generiche che mi permisero di farmi conoscere un
po’.
Poi,
le bevande
arrivarono e tutti iniziarono a parlare del più e del meno.
Abbie era stretta
al petto del suo fidanzato e lo guardava con occhi sognanti. Io me ne
rimasi in
silenzio, non sapendo come inserirmi in dei discorsi tra persone
amiche. Mossa
da qualcosa, presi a osservare il ragazzo non vedente. Aveva il
bicchiere di
cola tra le mani e ogni tanto se lo portava alle labbra. Sembrava non
molto
interessato ai discorsi degli altri, tant’è che
non lo sentii interagire con
nessuno neanche una volta.
Pensai
che dovesse
essere molto triste non doverci vedere. Vedere il nero e il buio ogni
secondo
della propria vita. Andare a dormire e svegliarsi la mattina dopo senza
beneficiare della luce del sole.
Mi
sentii proprio una
stupida per essermi lamentata del troppo lavoro solo qualche ora prima,
quando
c’erano persone con problemi realmente seri come le
disabilità.
In
ogni caso non era
solo la sua cecità e il suo essere taciturno che mi stavano
spingendo a
osservarlo attentamente, ma era anche il suo aspetto. Era un ragazzo
affascinante, di quelle bellezze che ti ammaliano fin dal primo
impatto, quasi
rare.
Aveva
i capelli corti,
ma non troppo, di un brillante castano scuro. Il viso era glabro e ben
definito, le sopracciglia erano folte ma curate, le labbra erano chiare
e
leggermente carnose e il naso era bello dritto. Per gli
occhi… beh si sarebbe
dovuto togliere gli occhiali da sole.
-Carino,
eh? Anche se è
cieco ha il suo non so ché.- disse al mio orecchio Mary Anne.
Doveva
aver notato che
stavo osservando Terence da diversi minuti.
-Lo
è.- ammisi.
D’altronde non c’era niente di male nel dire
ciò che pensavo.
-Piace
tanto anche a
me… e poi sai che anche economicamente è un bel
bocconcino? Un matrimonio con
lui mi sistemerebbe a vita. Certo la sua disponibilità
è davvero un bel
problema, ma per fortuna oggi esistono i divorzi, no?-
ridacchiò con malignità.
Inarcai
le mie
sopracciglia chiedendomi come potesse aver detto delle parole
così cattive nei
confronti di un ragazzo seduto a pochi centimetri di lei. Chiedere il
divorzio
da una persona solo per una sua disabilità? Sul serio?
Non
mi piaceva
giudicare nessuno, soprattutto le persone che conoscevo da poco, ma
questa
ragazza entrò automaticamente nella mia lista di persone da
evitare.
-Non
mi trovo d’accordo
con il tuo discorso. Se sposo una persona lo faccio perché
ne sono innamorata,
disabilità o no, e non per la sua rendita.- le risposi
infastidita, con voce
bassa. Speravo che il ragazzo non sentisse nulla.
La
sua espressione cambiò.
Sollevò un sopracciglio e i suoi occhi azzurri,
perfettamente truccati, presero
a guardarmi con un’espressione da “devi essere
pazza”.
Potevo
solo immaginare
in quale mondo dorato fosse vissuta questa tizia, circondata
probabilmente dal
lusso e dalla soddisfazione di vedere ogni suo desiderio esaudito. Solo
una
persona viziata poteva esprimersi nella maniera in cui si era espressa
lei.
-Non
credo che siamo
compatibili allora.- fece atona.
Che
peccato.
-Lo
credo anch’io.- le
risposi.
Poi
rimanemmo in
silenzio. Volsi nuovamente lo sguardo verso Terence che adesso stava
parlando
con Russell.
-Lavori per un Giornale di
moda hai detto?-
continuò la stangona “ti sposo perché
sei ricco, ma poi divorzio perché sei un
disabile”.
-Sì.
Lavoro presso
l’Edinburgh Fashion Magazine.- risposi freddamente.
-Sono
una modella, sai?
Sempre che non te ne fossi accorta.
-L’avevo
immaginato,
sì.
Lei
annuì annoiata,
guardandosi poi le lunghe unghie laccate di rosso. I lunghi capelli
biondi le
circondavano un viso magro e bianco come la porcellana.
-Beh
state facendo
amicizia?- ci interruppe, sempre se ci fosse da interrompere qualcosa,
Abbie
alzandosi e avvicinandosi a me e “la modella”.
-Ci
stiamo conoscendo.-
rispose la bionda, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.
La
mia amica mi guardò,
e con un’ occhiata le feci capire che Mary Anne non mi
piaceva. Lei ridacchiò.
Qualche
secondo e le
luci nel locale si abbassarono, lasciando il posto a dei fasci di luci
colorate
proveniente chissà da dove. Anche la musica
cambiò e delle orrende canzoncine
commerciali iniziarono a trasmettersi. Potevo dedurre che il locale si
fosse
trasformato in un nano secondo in una discoteca.
-Andiamo
a ballare
tesoro.- fece Thomas avvicinandosi alla mia amica e trascinandola verso
il
centro della pista.
Lei
mi fece
l’occhiolino e si allontanò euforica. Poi Russell
fece lo stesso con Mary Anne.
-Terence,
noi andiamo a
ballare qualche minuto, hai bisogno di qualcosa?- chiese William prima
di
prendere Sophie per mano.
-No,
tranquilli andate
a divertirvi! E state tutto il tempo che volete, non ho bisogno di
niente.-
fece Terence.
Quando
i due si
allontanarono, iniziai a sentirmi in imbarazzo. Capivo che erano tutte
delle
coppie probabilmente fidanzate, ma non avevano pensato anche a me e al
ragazzo
non vedente? Cosa dovevo fare adesso?
Appoggiai
il mio
bicchiere sul tavolino di
vetro che mi
era di fronte. Il contatto tra le due cose fece rumore. Vidi Terence
muovere il
capo, come sorpreso.
-C’è
qualcuno?-
domandò, infatti.
Mi
schiarii la voce
intimidita.
-Sono
Jane, l’amica di
Abbie.- mi affrettai a rispondergli.
-Oh
pensavo foste
andati tutti a ballare!- continuò puntando il capo verso di
me.
Era
come se mi stesse
guardando.
-No...-
continuai.
Lo
vidi annuire.
-Hai
27 anni e sei una
giornalista di moda, dunque?- mi chiese poi.
Fui
sorpresa che
volesse intavolare una conversazione.
-Esatto.
Tu, invece,
quanti anni hai?- avanzai io.
-Ne
ho 30, Jane. – pronunciò
il mio nome con dolcezza. -Ami la
moda, dunque?- fece ancora.
Il
suo bastone era
appoggiato al divano su cui era seduto. Le sue mani stringevano il
bicchiere di
coca cola, prima portatogli. Notai che aveva un orologio
d’acciaio sul polso.
-Sì,
molto!- risposi
velocemente.
-Anch’io.
Certo
l’accessorio che più amo sono gli occhiali da
sole, ne ho un cassetto pieno. Il
motivo lo saprai già, giusto? Perché si capisce
che sono cieco, no?
Dischiusi
le labbra
dalla sorpresa. Mi sentii sommersa da domande a cui non sapevo come
rispondere.
-Scusami,
- si schiarì
la voce,-ti ho messo in imbarazzo!- si accorse.- Sono un non vedente,
comunque.- disse, togliendomi fortunatamente dalla situazione
che si era
creata.
-Capisco.-
riuscii solo
a dire.
Certo,
tra le tante
cose, “capisco” non era forse stata la risposta
più adatta, ma non mi erano
venute altre parole in mente e mi sentii un po’ sciocca per
questo.
-Non
credo tu possa
capire, ma in ogni caso è un problema per te?-
domandò questa volta.
Forse
era una mia
impressione, ma queste sue domande e il tono con cui me le pose, mi
fecero
pensare che mi stesse sfidando.
-Perché?
Dovrebbe
esserci?- decisi di sfidarlo anch’io.
-Dovrebbe,
essendo io un peso!
Scommetto che ti hanno
chiesto di non ballare e di rimanere a farmi da balia.-
continuò adesso con
durezza.
Era
scontroso. Freddo.
-Va
bene che non mi
conosci, ma cosa ti dà l’idea che io sia una
persona che fa prendere agli altri
le proprie decisioni? Non sono andata a ballare perché
nessuno me l’ha chiesto
e perché non mi andava. Tutto qui. Niente di più,
niente di meno.- risposi a
tono.
Lo
vidi annuire con il
capo. Non capivo come mai avesse fatto prendere al discorso una piega
del
genere.
-Scusami
allora.- fece
con sarcasmo.
-Scuse
accettate.-
decisi di stare al suo gioco.
Guardandogli
il volto,
mi accorsi che aveva una piccola cicatrice sopra il labbro superiore.
-Mi
stai osservando?- fece
un mezzo sorriso.
-No…-
balbettai colta
in fragrante.
Maledetta
timidezza.
-Mi
stavi osservando!-
disse con convinzione sorridendo. -Mi trovi bello,
almeno?-continuò
chiedendomi.
Rimasi
sorpresa ancora
una volta. Nessuna persona che avevo mai incontrato mi aveva fatto
questo tipo
di domanda, o almeno non la prima che l’avevo incontrata.
Prima di rispondere,
rimasi a pensarci qualche secondo. Ci avevamo rivolti solo poche
parole, ma mi
parve di capire che questo Terence non fosse un tipo facile.
-Tendo
a non giudicare
l’aspetto esteriore di una persona se non conosco prima la
sua interiorità.
Credo, infatti, che se una persona ha il cuore malvagio, anche il suo
aspetto
estetico ne risentirà.- optai alla fine.
Lo
ritenevo bello, ma
di certo non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo, né
tantomeno di
mentirgli e di dire il contrario.
-Uhm…
vedo che hai
letto “Il ritratto di Dorian Gray” del caro vecchio
Oscar Wilde.- mi fece
notare.
Aveva
una voce calda,
profonda, e sensuale.
-In
effetti sì.- gli
risposi.
Lui
annuì ,di nuovo,
come se si stesse appuntando le mie risposte a mente.
-Penso
che il libro
voglia insegnare tutt’altro. Dorian Gray è
bellissimo anche se il suo animo non
lo è. In ogni caso ho trovato la tua risposta interessante.
-La
sua era una finta
bellezza, Terence. Sarebbe stata reale solo qualora non avesse venduto
la sua
anima, cosa che però ha fatto. Il ritratto era il suo
specchio, e se conosci il
romanzo, saprai che quest’ultimo mostrava la bruttezza
interiore di Dorian ogni
giorno di più.- contrapposi.
-Dorian
era bello anche
prima di scendere a patti con il male, vorrei ricordarti. E comunque lo
stesso
Wilde diceva : “Per me la bellezza è la meraviglia
delle meraviglie. Solo i
mediocri non giudicano dalle apparenze.” E tu come sei?
D’aspetto intendo.-
incrociò le braccia sul petto.
Quando
finii di ascoltare
la sua risposta, mi trovai a pensare che fosse insopportabile. E poi mi aveva
implicitamente dato della
mediocre? A me? Sbaglio o era un tantino arrogante e presuntuoso questo
tizio?
Era
il caso che mi
allontanassi se non avessi voluto inscenare una discussione con un
ragazzo insopportabilmente
insopportabile.
-Okay,
io vado a
prendermi qualcos’altro da bere.- decisi di cambiare
discorso, alzandomi. Non
mi piaceva parlare di me e poi questo ragazzo mi irritava con le sue
domande e
risposte.
-Okay
non ti piaci, ma
non andare .- continuò.
Pensava
di avermi
capita solo facendomi delle stupide domande. Che nervi!
-Perché
non dovrei? Ti
stai comportando da sbruffone con me. Non mi piaci.- gli feci presente.
-Uoh
uoh calma ragazza!
Sto solo facendo delle domande innocenti! Non andartene, per favore.-
continuò,
ora meno sicuro di sé.
Innocenti…
sì!
-D’accordo.-
dissi
sbuffando.
Mi
risedetti.
-Ti
puoi almeno
descrivere? Mi piace immaginare il mio interlocutore nella mente.
Purtroppo gli
occhi non mi funzionano, ma il cervello mi funziona alla perfezione e
posso
immaginarti.
Lo
guardai per qualche secondo.
Sembrava meno spocchioso adesso. Decisi di calmarmi e di provare a dare
una
seconda chance al nostro dialogo.
-Se
proprio insisti.-
sospirai.- Dunque… sono una ragazza nella norma. Non ho una
bellezza
ultraterrena, né fulgidi capelli ramati o magnetici occhi
grigi, ma ho invece i
capelli mossi, lunghi circa cinque centimetri sotto le clavicole, gli
occhi
marroni, un’altezza nella media e non sono molto magra.-
conclusi.
-Capelli
di che colore?
-Castano
chiaro.
-Carnagione?
-Chiara,
molto chiara,
purtroppo!
-Purtroppo?
Un tempo la
pelle chiara era sinonimo di nobiltà e bellezza.
-Preferirei
avere la
pelle abbronzata.
-Capisco.
E…
Non
fece in tempo a
farmi la domanda che sembrava sul punto di farmi, che arrivarono gli
altri.
-Oh
state facendo
amicizia?-chiese Abby sedendosi accanto a me, trafelata per i balli
sfrenati
che aveva appena fatto e con le guance rosse come mele.
A
seguire ritornarono
tutti gli altri ragazzi.
-Sì.-
rispose
prontamente Terence.
Io
non l’avrei proprio
chiamata amicizia.
-Figo,
mi fa proprio
piacere.- disse Tom cingendo le spalle della mia amica.
Da
quel momento non
ebbi più modo di parlare con Mr
Arroganza
per tutta la serata.
***
Ormai
pronta ad
infilarmi sotto le coperte, sentii Abbie bussare alla mia porta.
-Abbie,
entra pure!
La
mia amica entrò, con
le sue solite codine pre dormita e il suo mega pigiama con le pecorelle
grigie
e rosa.
-Beh
che te n’è parso
di Tom?-chiese sedendosi sul mio letto.
Eravamo
tornate solo da
un’ora a casa, ma era stata al telefono con il suo ragazzo
fino a qualche
minuto prima.
-State
bene insieme. È carino
e sembra simpatico.- fui sincera.
Sorrise
contenta.
-Mi
fa proprio piacere
che la pensi così. E sugli altri che mi dici?
-Beh
non ho avuto molto
modo di conoscerli fatta eccezione che per Terence e Mary Anne.
Quest’ultima
non mi piace. È vanitosa, viziata e troppo snob per i miei
gusti. Poi domani ti
racconto quello che mi ha detto.
-Sono
curiosa adesso.
Comunque sì, anche a me non ha fatto un’
impressione molto positiva. E su
Terence?- mi guardò curiosa.
Mi
schiarii la voce.
Dovevo raccontarle della nostra conversazione?
-Beh
è indubbiamente
carino, anche se avrei voluto guardargli gli occhi. Ma è
scontroso e mi sembra
snob anche lui.
Ridacchiò.
-Tom
non mi ha parlato
molto di lui, ma pare che sia scontroso un po’ con tutti,
soprattutto con gli
sconosciuti, e che metta alla prova tutte le persone nuove che
incontra. Sai
per vedere chi gli vuol essere veramente amico e chi no. Devi sapere
che la sua
famiglia è ricca. Ma a proposito di lui…
Si
fermò e guardò verso
la finestra vicino al mio letto.
-Sì?-la
incitai.
-Mi
ha chiesto il tuo
numero di telefono.- disse tutto d’un fiato.
-Cosa?-quasi
urlai.- Sul
serio?- inarcai le sopracciglia.
Non
mi era mai piaciuto
dare il mio numero a degli sconosciuti, figurarsi ad un tipo borioso
come
questo Terence.
-Potrei
averlo fatto…
ma non uccidermi, ti prego!- mise le mani davanti, come a volersi
proteggere da
un mio colpo.
Mio
malgrado sorrisi
per la sua reazione, così continuò.
-In realtà ha
chiesto a Tom di chiedermelo, perché
dice che lo hai incuriosito.
-Quindi
gliel’hai dato?
-Ho
fatto male?-chiese
guardandomi con occhi preoccupati.
Gliel’aveva
dato!
-Non
lo so… non lo
conosco neanche e questa sera non mi ha proprio impressionato in
positivo.-
ammisi mordendomi le labbra.
-Ma
proprio perché non
lo conosci dovresti provare a dargli una possibilità.- mi
fece l’occhiolino.-
Thomas mi ha convinto a darglielo perché mi ha detto che
raramente si lascia incuriosire
da qualche ragazza. In più ha sottolineato che è
un bravo ragazzo e che sa
essere di buona compagnia. Comunque a momenti potrebbe
arrivarti un suo messaggio.
-Messaggio?
Anche se è
cieco?- piegai la testa di lato.
-Esistono
dei
telefonini per non vedenti che facilitano tante azioni.- mi
spiegò.
-Capisco.-
annuii con
il capo.- Vabbè si vedrà! Comunque tu sai come
è diventato cieco? Voglio dire,
se è dalla nascita così, o se lo è da
poco, o se è curabile o roba così?
-No
cara, non lo so!-
fece dispiaciuta.- Comunque posso chiedere a Tom, se vuoi.
-No
meglio di no, se
succederà lo verrò a sapere da me!- feci convinta.
-Come
vuoi, baby!
Allora io vado a dormire. Ci vediamo domani, ok?
-Sì
, certamente!
Buonanotte Abbie.
-Buonanotte
baby.-
disse dandomi un bacio sulla guancia e alzandosi dal mio
letto, chiudendo
poi la porta della mia stanza alle sue spalle.
Sospirai,
poi aggiustai
il cuscino e mi infilai sotto le lenzuola.
Mossa
dalla curiosità presi
il cellulare per controllare eventuali messaggi. Ne trovai uno.
Stranamente
in ansia,
lo aprii.
Da:
3335556987
Jane! Mi scuso per aver preso “abusivamente” il tuo
numero di cellulare. Sono
Terence Ashling, il ragazzo cieco che ti avrà fatto
un’ottima impressione… sicuramente,
o quasi.
Mi
incuriosisci, ti andrebbe dunque di bere qualcosa
con me, domani alle 17: 00 al bar “Gray’s
Cup”?
Attendo
una tua risposta.
Mi
ritrovai a
pensare che fosse proprio una bella coincidenza che il bar in cui mi
aveva invitato
richiamasse proprio il nome di Dorian Gray. Che strano ragazzo!
Salve
ragazzi, sono Novalis :))
Al
momento di genere romantico sto già scrivendo
un’altra
storia, ma Jane, Terence e tutti gli altri bussavano troppo
incessantemente
alla mia testa che non ho potuto resistere alla tentazione di scrivere
questo
primo capitolo e pubblicarlo. D’altronde per citare il
già sopracitato Oscar
Wilde : “L’unico modo per liberarsi di una
tentazione è di abbandonarsi ad essa”.
^^
Non
so se questo capitolo abbia incuriosito qualcuno, spero
tanto di sì come spero di ricevere almeno un commento. Se
vedrò che la storia
non piace, provvederò a toglierla subito, e dedicarmi
unicamente all’altra mia
storia. ;)
Che
dire, grazie di essere arrivati fin qui, un bacio,
Novalis
|
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
AD
OCCHI
CHIUSI
Capitolo
Due
La
bellezza risplende nel cuore di colui che ad essa aspira più che
negli occhi di colui che la vede.
Gibran,
Kahalil
Accettare oppure
no?
Terence Ashling
era pur sempre uno sconosciuto. Un
ragazzo non vedente, conosciuto in un locale solo da poche ore, che si
era
dimostrato scontroso e snob.
Certo era, che
in qualche modo mi affascinava. Era
inutile negarlo…e poi ero curiosa. Sì curiosa,
perché in quel messaggio aveva
scritto che lo incuriosivo, e da più di una decina di minuti
stavo torturando
il mio cervello per capire come avessi interessato quel ragazzo
così strano.
Se non avessi
accettato il suo invito sarei stata a casa
a stressarmi davanti una pila di articoli da revisionare, con una bella
tazza
di cioccolata calda con tanto di marshmallow in mano, e poi avrei visto
un bel
dvd. Ma se non l’avessi fatto sarei rimasta con mille
dubbi…ed era risaputo che
Jane Ryan odiava avere pesi sullo stomaco, quindi l’invito
sarebbe stato
accettato, era deciso.
Così
pensato, presi il cellulare e scrissi:
Salve
Terence,
accetto
il tuo invito. Ci vediamo domani, alle 17:00 nel luogo da te scrittomi.
Jane
Ryan
A
quel punto, mi aggiustai le coperte e cercai di prendere
sonno, domani mi sarei fatta trovare pronta davanti a quel ragazzo.
***
-Quindi, oggi pomeriggio, vai
all’appuntamento?- gridò Abbie dalla
cucina per sovrastare
il rumore della
macchina del caffè.
-Sì penso proprio di sì. Sono
proprio curiosa di sapere perché l’ho attratto.
-Dovresti saperlo tu questo!
Cosa vi siete detti quando stavamo ballando?
-Bah niente di che…inizialmente
mi ha chiesto se avevo capito che era cieco, poi sentendosi osservato
mi ha
chiesto se lo ritenessi bello.- risposi mangiando del burro di
noccioline dal
barattolo con un cucchiaio.
-E tu?- chiese Abbie, versandosi
del caffè italiano e spalmando della marmellata su una
fettina di pane bianco.
-Gli ho risposto facendo un po’
la filosofa.- risi.- gli ho detto che non tendo a giudicare
l’esteriorità di
una persona se non conosco prima la sua interiorità.
Abbie
scoppiò a ridere.
-O-okay, Jane
sei troppo forte.
Solo tu potevi rispondere in una maniera del genere. Vabbè
dai, io finisco la
colazione poi mi preparo. Oggi ho un matrimonio.
-No, che barba! Quindi starai
via almeno fino a mezzanotte?
-
chiesi tristemente.
Che pizza, ogni
qual volta che la mia migliore amica
aveva da fotografare auto d'epoca usate per qualche matrimonio, finivo per passare la serata in
solitudine.
Uff!
-Sì
baby, ma stai tranquilla, il tempo volerà con
Terence, ne sono sicura.
-Mhm…se lo dici tu! In ogni caso…come mi devo
comportare
con un ragazzo cieco? Non ho idea di come gestire la
situazione…
-Baby cosa c’è da gestire? E’ un ragazzo
come gli altri,
solo che ha avuto la sfortuna, per motivi che sta a te scoprire, di non
vederci
più. Ora non farti mille complessi, vai
all’appuntamento e quel che sarà sarà.
La faceva
facile, lei…
A quel punto prima che potessi risponderle iniziò a
cantare “Que sera sera” di Doris Day.
Un’amica più pazza non potevo trovarmela.
-Whatever
will be, will be…what will be, what will be.-
continuò a cantare.
Così presa
dalla sua gioia presi a cantare anch’io,
ballando con lei.
***
Okay, ero pronta! Jeans, camicetta, all stars,
lucidalabbra e due gocce di Chanel numero cinque…okay non
era Chanel, ma faceva
figo dirlo, e occhiali da sole.
Salutai la mia pazza
coinquilina, poi salita sull’autobus richiesi un biglietto al
conducente e poi
andai a obliterarlo.
Dunque per arrivare al bar “Gray’s
cup” mi sarei dovuta fermare tra quattro fermate.
Adocchiato un posto libero
vicino al finestrino, mi ti ci catapultai. Poi presi la mia borsa e
appoggiata
sulle mie cosce la usai come “tavolino” per
appoggiare la prima pagina di una
certa Elen, giornalista alle prime armi. Dovevo iniziare a togliermi un
po’ del
tanto lavoro che quel sadico di George mi aveva affibbiato.
Dopo una quindicina di minuti, vidi
molte persone andarsene, così sbirciando dal finestrino
notai che questa era la
mia fermata.
Sistemai gli articoli in borsa e
scesi dal bus. La zona era esattamente come la ricordavo.
Attivai il navigatore satellitare
sul mio cellulare e digitai: “Dorian’s
cup”. Era un bar che non avevo mai
visto. Vedendo la cartina notai che sarebbe dovuto essere presente in
una
stradina della Old Town, a pochi passi dal Royal Mile.
Dopo una passeggiata di qualche
minuto, con un occhio sulla strada e uno sul cellulare arrivai,
scorgendo
l’insegna del famoso bar e dei tavoli all’esterno
situati sotto un gazebo bianco
adornato da fiori fucsia.
Scorsi in lontananza un ragazzo
che poteva essere Terence…aveva il suo stesso
profilo…per quel che ricordavo.
Mi avvicinai con un po’ di
titubanza e dopo aver fatto un po’ di slalom mi avvicinai al
tavolo dove c’era
proprio lui. Il suo bastone era steso sotto la sedia su cui era seduto
e guardava,
se così potevo dire, sempre con gli occhi coperti da una
montatura nera, fisso
davanti a sé.
Mi schiarii un attimo la voce.
-Buonasera.- dissi con
decisione.
-Jane sei tu?
Aveva una bella voce.
Terence si alzò di scatto in
piedi, appoggiandosi al tavolino argentato di fronte a lui.
-Sì sono io.- risposi.
-Prego, accomodati.- disse
risedendosi.
-Grazie…
-Cosa posso farti portare?
-Un caffè andrà benissimo.-
risposi posando la mia borsa sul tavolino di fronte.
Evidentemente non aveva preso niente,
davanti a lui c’era solo un vasetto con dei fiori e un porta
tovagliolini.
Era ben vestito.
Indossava una giacca nera sopra una camicia bianca e dei jeans azzurri.
Lo vidi chiamare un certo
Samuel, che capii essere il cameriere, e dopo che il mio ordine fu
preso,
rimasi a guardarlo.
-Come sei vestita oggi?- mi
chiese, sorprendendomi.
Voleva forse parlarmi d’abiti?
-Perché?
-Per lo stesso motivo che ti ho
detto ieri…voglio immaginare ciò che mi
circonda…
Doveva essere davvero una
sensazione orribile e triste quella di non vedere più nulla.
Il nero, a circondarti
ogni attimo della tua vita.
-Ho una camicia azzurra a
maniche lunghe con dei bottoncini bianchi, dei blue jeans semplici con
due
piccole tasche anteriori e posteriori, un giubbotto di jeans con bottoni grandi, rossi e
lucidi, e delle All
Stars nere.
Avevo cercato di essere molto
precisa, cosicché potesse immaginarsi bene ogni cosa.
-Capisco…- disse mantenendo
dritto il capo verso di me.
-Ehm…senti…allora, dimmi tutto.
Perché mi hai invitato?
-Come ti ho scritto, mi
incuriosisci…tutto qui. Cos’è, ti
dà tanto fastidio fare compagnia ad un cieco?
Questo suo essere scontroso, mi
stava dando sui nervi. Perché se la prendeva con me?
-No, assolutamente no. E perché
ti ho incuriosito?
Sorrise.
-Non
saprei…forse per la tua risposta e il tuo riferimento
a Wilde. Sai, non è la prima volta che conosco nuove ragazze
e chiedo loro cosa
ne pensano di me. Fino a quando ho fatto la tua conoscenza, tutte mi
avevano
detto che sono il ragazzo più bello che avevano mai
incontrato…che fosse per
commiserazione, per i miei soldi, o altro non so. So solo che ricordo,
che
quando mi guardavo allo specchio non ero male.
Guardavo allo
specchio? Quindi non era cieco dalla
nascita.
-Ho
capito…quindi ti ha sorpreso il fatto che io non ti
abbia detto che sei bello?
-Sì…in un certo senso…il fatto che tu
non abbia proprio
esposto il tuo parere su di me mi ha incuriosito. Non giudicare la mia
esteriorità se prima non conosci la mia
interiorità. Sei il contrario di me…o
meglio di come ero prima.- concluse, sistemandosi il colletto della
giacca.
Nel frattempo il
mio caffè arrivò.
Ringraziai e il
cameriere si allontanò.
-Mhm…va
bene…
-Sei fidanzata?- mi interruppe chiedendomi.
-Sì- risposi prontamente.
In
realtà ero single, ma da quel che po’ che avevo
capito Terence era un ragazzo sbruffone e sicuramente mi avrebbe
stuzzicato se
avesse saputo che in realtà non avevo un ragazzo.
-Avanti spara,
ti ha lasciato lui o pure tu?
-Come prego? Ti ho appena detto che ho il ragazzo.
-Ed io ci vedo, allora.
Uff volevo
prenderlo a schiaffi, ma chi diamine credeva
di essere?
-Senti ragazzo,
non so perché tu ti diverta a prendermi
in giro, ma so che adesso me ne andrò.- dissi alzandomi.
-No, ti prego, non andare. Lo faccio perché sono cieco.-
disse seriamente.
Mi schiarii la
voce e mi risedetti.
-Non capisco,
scusa…cosa c’entra la tua disabilità
con
il tuo essere sbruffone?
-C’entra invece, perché…se non mi
comportassi come mi
comporto riceverei solo pietà e commiserazione, cose che non
voglio
assolutamente. Dimmi la verità…in tutta la nostra
discussione hai mai fatto
caso al fatto che non vedessi? Ti sei mai frenata la lingua per non
farmi
dispiacere?
Ci pensai un
attimo.
-No, assolutamente no.
-Visto?- sorrise. -Anzi non avrei dovuto parlartene...
-Non preoccuparti, se ho da lamentarmi con te lo
farò senza timori.
-Ciò va benissimo.
-Dunque sei single, no?- cambiò discorso.
-Ti ho già detto di no.
-E io ti ho detto che non ti credo. Se tu fossi
fidanzata probabilmente non avresti neanche accettato il mio invito, e
avresti
portato il tuo ragazzo con te ieri sera.
-Perché tutti i ragazzi presenti ieri al locale sono
fidanzati?- chiesi inarcando le sopracciglia.
-Esatto. O meglio Mary Anne non è fidanzata, mi fa il
filo piuttosto, ma Russell le fa la corte.
-Mhm…comunque sono single, mi ha mollato lui.- conclusi,
arrendendomi.
Se
c’era una cosa che avevo capito era che con questo
ragazzo sarebbe stata sempre una battaglia persa.
-Lo sapevo.-
sorrise.- e come è successo?
-Beh…oh, ecco…lui mi ha lasciato
perché si è scoperto...
-Sì?- mi incitò.
-Beh…gay.
A quel punto
Terence scoppiò a ridere. Rise così tanto
che si appoggiò un braccio sulla pancia per calmarsi.
-Ehi tu,
calmati, ci stanno osservando.- dissi
sottovoce, ma quello spaccone non voleva smetterla.
-Scusa.- continuò a ridere.
Tanto fu il suo
divertimento che, ad un certo punto, si
tolse gli occhiali da sole e si asciugò delle lacrime dagli
occhi, dovuto al
troppo ridere.
E fu a quel
punto che vidi il colore delle sue iridi.
Erano
azzurre…no, forse verdi…erano un colore strano,
un
misto di verde e celeste…solo che, erano
spenti…erano molto chiari e…senza
vita, sì sembravano vitrei e tristi.
Dopo un
po’ si rimise gli occhiali neri sugli occhi.
-Oh Dio, sei
troppo buffa Jane.- disse.
Io non gli
risposi. Ero rimasta incantata a pensare alla
particolarità dei suoi occhi. Nonostante tutto, li ritenni
gli occhi più belli
che avessi mai visto.
-Ehi sei ancora
qui?- chiese diventando serio.
-Sì.- risposi subito.
-Ti andrebbe di accompagnarmi a fare una passeggiata?-
mi chiese sorprendendomi.
-Ehm…sì.
Terence
lasciò otto sterline sul tavolino, quindi molto
più del dovuto, e poi mi porse il suo braccio.
-Posso pagare
io, non c’è bisogno che tu…
-Oh suvvia Jane, non vorrai farmi fare la figura del
cafone, no?
-Non saresti un cafone, saresti solo giusto.
-Ah stai zitta Jane, andiamo al parco.
-Ora sì che sei cafone, ragazzo.- dissi poggiando la mia
mano sul suo braccio.
-Chiamami Terence, è un bel nome, non credi?
Curvò
le sue labbra in un suo sorriso. Sì perché avevo
notato che aveva un modo tutto suo di sorridere.
-Ah il tuo
bastone.- mi si accese una lampadina.
-Vorrai dire James, è così che chiamo il mio
fedele
amico di legno. Potresti prendermelo, per favore?
-Certo.
Mi abbassai e
presi “James” da sotto la sedia.
-Grazie.- disse
dopo che glielo porsi.
-Figurati- risposi dopo aver ripreso a camminare.
La mano destra
sosteneva il bastone, mentre la sinistra
era libera, c’ero io appoggiata al suo braccio.
-Come
è essere una giornalista di moda, Jane?
-Mah non saprei spiegarlo. E’ sicuramente stressante,
soprattutto se hai un datore di lavoro come il mio, ma è
anche soddisfacente e
interessante. Spesso si finisce anche per incontrare stilisti famosi
come
Versace, Calvin Klein, o Ralph Lauren e altri, che rilasciano
interviste in
merito a loro ultime sfilate e collezioni.
-Oh forte, tutti i miei jeans sono firmati Klein.
Doveva essere
molto ricco. Avrei dovuto informarmi sulla
famiglia Ashling. Barbie mi avrebbe sicuramente detto qualcosa in
merito,
quando sarei tornata in ufficio.
-Tu, invece?
Lavori?- chiesi fermandomi e fermandolo ad
un semaforo rosso. Menomale che si era fermato con facilità,
grazie anche al
suono che emettevano i
semafori.
-Mi sarei fermato comunque, fa tra bip quando è rosso.-
disse freddamente.
Dio che
responsabilità fare da guida ad un ragazzo
cieco. Il suo bastone non era “vivo”, non avrebbe
dunque potuto fermarlo o
aiutarlo a girare gli angoli con facilità. Molte volte era
successo che, sebbene il semaforo fosse rosso, molti pazzi
attraversavano...Come faceva quando era solo? Perché
passeggiava
da solo, no?
-Sono uno
speaker radiofonico per una piccola radio
locale. – continuò.
Dicevo che aveva
una bella voce.
-Ah
interessante. Per quale radio?
-Radio Capital…conosci?
-Sì credo di sì, per quel po’ che
ascolto la radio, devo
averla sentita qualche volta.
-Ottimo.
Dopo qualche
svolta a sinistra e destra, per fortuna la
passeggiata continuò lungo una via dritta.
-Perché
non prendi un cane per non vedenti?- chiesi,
interrompendo il silenzio tra
di noi e pentendomene
subito dopo.
-Ho intenzione di farlo, a breve, infatti. Il mio James
non mi ha mai tradito, ma mia sorella vuole un cane e a questo
punto…
-Capisco.- dissi riprendendo a camminare.
Alcune persone
si fermavano e giravano per guardarci.
Non avevano mai visto un ragazzo cieco? Boh.
-Dunque hai una
sorella?- continuai.
-Ho un fratello e una sorella.- rispose sempre
freddamente.
A quanto
sembrava, la famiglia e la sua disabilità erano
argomenti tabù.
-Beh dimmi Jane,
come ti ha mollato il tuo ragazzo?
Quali parole ha usato?- ora chiese ridendo.
Era chiaro come
il sole che volesse ridere e
non pensare ai suoi problemi.
-Oh e basta!-
dissi accelerando il passo e stringendo la
mia presa.
Scoppiò
a ridere.
-Eccoci al parco
di Holyrood.- continuai avvicinandomi
ad un grande cancello.
-Bene.- continuò sorridendo.
La nostra
passeggiata proseguì sempre allo stesso modo.
-E tu sei
fidanzato?- gli chiesi ammirando lo splendore
che mi circondava.
Peccato che
fossi l’unica a vederlo…
-No, credi che
sia scemo per caso? Nessuna ragazza si fidanzerebbe
con me per la mia disabilità. Le donne sono creature
vanitose e tutte amano
ricevere complimenti sui loro vestiti o sul loro corpo, cose che, ora
come ora,
non potrei mai fare. Non ti nego che abbia fila di ragazze che mi fanno
la
corte, Mary Anne compresa, come ti dicevo, ma lo fanno solo
perché sono ricco,
perché ho i soldi…tutto qui. Solo un pazzo
cadrebbe nella trappola di quelle
donne che si propongono come mie future compagne per la vita.
-Quindi…noto che non hai molta fiducia in
te…voglio
dire, pensi che tutte le donne che ti corteggiano lo facciano solo per
il
denaro, non per te…
-Esatto! Come ti dicevo, ricordo di essere un bel
ragazzo e fin da quando ero piccolo che ricevo complimenti per i tratti
eleganti e sofisticati del mio viso, e non è che non sia
sicuro di me
esteticamente, solo che…ora vengo colpito solo da pregiudizi
e altro, e sono
consapevole che avere gli occhi …morti…spaventi
molte donne.
-Dunque consideri la gente del mio sesso come delle
gallinelle frivole e interessate solo ai tuoi soldi?
-E’ quello che ho detto.
-E se qualcuna si innamorasse veramente di te? Della tua
interiorità, intendo?
-E chi è questa qualcuna? Tu, Jane?- chiese ridendo.
-Perché no? E’ così improbabile che una
come me si possa
innamorare di uno come te? Se tu mi facessi conoscere ogni lato del tuo
carattere ed io me ne innamorassi?
-Impossibile, fidati di me! Ho un carattere terribile e
sebbene non sia brutto, sono consapevole del fatto che i miei occhi
deturpino
il mio viso.
-Wow…vedo che hai un’alta considerazione di te
stesso.
Sorrise.
-Bah chi
sa…e ora dimmi cosa c’è intorno? Il mio
James
non tasta altro che pietre.
-Beh c’è la brughiera, poi alla nostra sinistra
c’è un
grande lago e tutt’intorno è verde, ci sono monti,
e campi estesi in cui
prevalgono fiori.
-Bello, molto bello, l’aria che si respira è
fantastica.- disse inspirando l’aria circostante e fermandosi.
-Okay Jane, direi che per oggi è tutto, sono un
po’
stanco. Chiamo Harrison cosicché ci venga a prendere.-
continuò fermandosi.
Tanta fatica per
accompagnarlo fin qui, e poi già se ne
voleva andare. Avevo già detto che era strano?
-Harrison?
Prendere?- chiesi curiosamente.
-Sì è il mio autista, se per te non ci sono
problemi,
tendo ad accompagnare coloro che mi fanno compagnia.- disse con la sua
aria
altezzosa.
-Va bene, allora ritorniamo al cancello e aspettiamo il
tuo autista.
Se avessi
rifiutato, avrebbe detto sicuramente la sua e
non mi andava di discutere.
Dopo una decina
di minuti, Harrison arrivò e dopo avermi
chiesto l’indirizzo di casa, il viaggio partì.
Arrivati,
Terence mi salutò.
-Bene,
Jane…grazie della compagnia, ci vediamo presto.-
disse guardando fisso davanti a sé.
-Grazie a te Terence e a lei signor Harrison- dissi
guardando lo specchietto anteriore da cui un occhiolino e un sorriso da
parte dell’
anziano autista, mi salutarono.
Scesa
dall’auto, quest’ultima non se ne andò
finché non
rientrai in casa, dove ad aspettarmi c’era lavoro, lavoro e
ancora lavoro.
CONTINUA…
Salve
ragazzi!:)
Mi
scuso per il tardo
aggiornamento, ma tra l’ultimo periodo scolastico e il
proseguimento dell’altra
mia storia e anche a causa della mancanza di ispirazione, non sono
riuscita a scrivere
nulla fino a pochi giorni fa.
Spero
che questo secondo
capitolo sia piaciuto e non abbia deluso nessuna aspettativa. Grazie di
cuore
per essere arrivati fin qua, e soprattutto grazie a : Sun_Rise93
e
Helmwige
per le splendide parole
nelle loro meravigliose recensioni. Grazie mille per il supporto :)
E
grazie anche a : Desyree92
, e alle già
citate Helmwige
e Sun_Rise93
per
aver messo la storia
tra le seguite ;)
Cosa
ne pensate di Jane e
Terence?
Alla
prossima ^^
|
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo
tre
L'amore
costruito sulla bellezza muore presto, come la bellezza.
John
Donne
-Janeee!-
tuonò dal suo ufficio quel
sadico di George.
Certo che
quell’uomo era proprio stressato. Ma la
cosa che mi dava più fastidio era che sempre a me rompeva le
scatole, ero
sempre io il suo bersaglio.
I miei colleghi
mi guardarono ridendo. Ormai era
diventata comica la situazione. Quel buzzurro gridava e io andava in
ufficio,
poi puntualmente finivamo per litigare, perché io avevo un
carattere che non mi
permetteva di rimanere in silenzio quando qualcosa la ritenevo stupida
e George
era il mio capo ed esigeva che le cose fossero fatte come voleva lui.
In ogni
caso, chiamava saltuariamente sempre me…d’altronde
ero una brava giornalista,
mi impegnavo al massimo, ero responsabile e dedicavo gran parte della
mia vita
al lavoro. Ad affiancarmi nelle mia routine stressante e ad occupare il
mio
stesso ufficio c’erano poi: Barbara Richardson meglio
conosciuta come Barbie,
Steve Jhones, Frederich Bennet meglio conosciuto come Freddie, mio ex
fidanzato…sì quello gay, e Vincent Price, omonimo
di un famoso attore americano.
Misi in stand by
il mio pc, diedi un’occhiata
sconsolata ai miei compagni di sventura e mi recai nella tana del lupo.
Bussai e un
antipatico quanto nasale “Avanti”, mi
invitò ad entrare.
-Buongiorno
George.- dissi rivolgendomi verso quel
bisbetico, che più che darmi attenzione, aveva la testa
completamente tuffata
in una articolo di giornale, il classico sigaro in bocca e il lercio
cappellino
da tennista in testa.
-Siediti Jane.
Feci quello che
mi aveva detto.
Dopodiché
abbasso il giornale e mi guardò con i suoi
brutti occhietti verde limone andato a male.
-Ora tu Jane,
cara dolce Jane,- e quando affiancava
al mio nome quei gentili attributi, c’era davvero da
preoccuparsi- mi spieghi
perché cavolo Yohji Yamamoto, ha concesso delle foto sulla
sua ultima
collezione primavera estate duemila quindici ad Elle a noi no.
Cosa diamine
potevo saperne io? Yohji Yamamoto? E
chi cavolo lo conosceva?
-Ehm…capo,
in tutta sincerità, non lo so…non sono io
che mi occupo delle fotografie e
di
convincere gli stilisti a cedere le loro foto. Io mi occupo di scrivere
gli
articoli.- cercai di calcare il più possibile sulla parola
scrivere.- e poi non
mi pare lei mi abbia detto di contattarlo.
Non mi ero
laureata alla facoltà di scrittura
creativa con tanto di corsi in giornalismo, per fare fotografie. Amavo
la
fotografia, ma ero una giornalista non una fotografa.
-Jane non
prendermi in giro, sei una giornalista di
moda, ti occupi della più importante rivista di fashion in
tutta la Scozia, e
mi vieni a dire che il tuo unico compito è quello di
scrivere due colonnine di
carta?
Ma allora questo
era proprio andato! Due colonnine
di carta? Cioè per lui occuparsi dei titoli di copertina,
scrivere intere
pagine su stilisti e capi d’abbigliamento, ascoltare e
trascrivere interviste
erano due misere colonnine? Ma come faceva la moglie a sopportarlo?!
-Capo mi sta
offendendo così…
-Sì
sì come vuoi, ora basta, metti a freno la tua
lingua biforcuta e ascolta…- lingua biforcuta a me??- Ho
saputo che a marzo, in
Francia, un’organizzazione si è prefissata come
scopo quello di unire
l’universo della moda con quello degli handicap, lottando
contro la
discriminazione rappresentata dalla mancanza di praticità
nei capi all’ultima
moda. Una signora sulla sedia a rotelle, per esempio, conduce lo stesso
una
vita, sebbene la sua disabilità. Va al lavoro, a far la
spesa, a scuola per
prendere i figli e fa tante altre cose, ma…come affronta il
mondo della moda?
Sai bene che i capi all’ultimo grido possono essere scomodi e
poco pratici,
perlopiù rivolti a delle persone con fisicità
più da modelle che da altro,
dunque voglio che tu ti dedichi anima e corpo ad un nuovo progetto. Un
progetto
in cui, tramite testimonianze, foto, e altro mostri alla gente come la
moda
possa avere come target anche persone con handicap fisici.
Rimasi ad
ascoltare il discorso di George,
accavallando le gambe e poggiando la mia guancia destra sul palmo della
mano.
Un progetto per
testimoniare la presenza di organizzazioni
aperte al voler unire il mondo della moda con quelle delle persone
disabili? E
nel quale avrei dovuto intervistare persone con handicap per capire il
loro
rapporto con la moda? Non era affatto male come idea, era interessante
e mi
avrebbe messo alla prova.
-Mhm…sembra
interessante come cosa. Da dove le è
nata l’idea?
-Beh ormai
dovresti aver imparato a conoscermi…
Fin troppo bene
purtroppo…
-E sai che sono
una persona che pretende il massimo
dal proprio lavoro, io voglio che “l’Edinburgh
Fashion Magazine” diventi
importante in tutto il mondo, non solo in Occidente. Dunque, facendo
qualche
ricerca su internet ho scoperto queste cose interessanti. Ora,
però basta con
le parole, inizia a lavorare, a fare ricerche, a darti da fare, entro
tre
settimane voglio che tutto sia pronto.
-Tre settimane?
Ma capo, lei mi ha dato altro lavoro
e la cosa mi sembra piuttosto impegnativa. – dissi in preda
al panico.
-Jane lascia
stare tutto il resto del lavoro che ti
ho detto, passalo a Allyson…devi occuparti di questo nuovo
lavoro. Ti do la
prima pagina. Ripiego, a malincuore, tutte le mie fiducie in
te…non deludermi.
E con quel
“non deludermi” era chiaro il messaggio :
“oppure sei fuori…ti licenzio cara dolce Jane”.
Alzandomi dalla
sedia e salutando quel troglodita,
ritornai in ufficio e parlai con i miei colleghi nonché
amici del progetto.
-Ah Barbie,
posso parlarti un attimo?- chiesi alla
mia collega nella pausa caffè.
-Dimmi tutto.-
rispose passandosi una mano nei ricci
capelli biondi.
-Senti, tu per
caso conosci la famiglia Ashling?
-Gli Ashling?
Intendi una delle più ricche famiglia
di Edimburgo? Quella il cui nonno possiede almeno cinque Ferrari?
-Ehm…non
saprei, so solo che ci sono tre figli,
uno dei quali si chiama Terence.
-Oh conosci quel
figo pazzesco?- chiese con gli
occhi a cuoricino.
-Sì,
diciamo di sì.
-Beh
sì, è cieco, lo sai no?
-Sì…
-Ricordo che
anni fa successe una disgrazia in
quella famiglia che ha portato anche al problema di Terence, ne
parlarono anche
molti giornali, perché sai com’è quando
una famiglia è molto ricca è anche in
vista, ma gli articoli furono subito bruciati. Io ne so poco in
merito…
-Ah…ho
capito! Vabbè grazie Barbie.
La mia collega
mi sorrise.
Una disgrazia
che aveva portato al problema di
Terence. Chissà cos’era successo?
***
Quando finii il
mio turno di lavoro erano le otto di
sera, e mi catapultai subito da Allyson per informarla del nuovo
lavoro.
Sicuramente da pigrona, esperta di limature unghie quel era, mi avrebbe
risposto male.
-Buonasera
Allyson, sono venuta per dirti che in
seguito ad un nuovo progetto di George, di cui sarò io ad
occuparmene, il mio
precedente lavoro passa a te.
-Cosaaa??-
strillò scuotendo la chioma corvina
colorata da qualche ciocca blu.
-Hai capito
bene. Dunque da domani ti occuperai di
revisionare tutti questi articoli,- le posai gli articoli sulla
scrivania
accanto al suo MacBook Air, rigorosamente rosa,- e sei fortunata
perché circa
la metà li ho già corretti, selezionare le
modelle per la nuova collezione Missoni
e preparare l’articolo di giornale in merito.
I suoi occhi per
poco non fuoriuscirono dalle
orbite. Se George aveva deciso che cedessi tutto il mio lavoro a lei,
era
perché, sebbene fosse una scansa fatica, più
attenta alla sua manicure che ad
altro, era anche molto brava a scrivere e aveva talento con i colori.
-Devo proprio?-
chiese sconsolata dopo aver visto la
mia espressione.
-Ebbene
sì mia cara! Tranquilla ciò che ho da fare
io sarà molto più pesante.
Mi
guardò male e poi sistemò il tutto nella sua
borsetta.
Così
fatto, posai il mio trench sull’avanbraccio e
uscii da quell’inferno.
-Sono a casa.-
gridai dopo un viaggio in piedi su un
orrido pullman durato venti minuti.
Posai le chiavi
sul mobile vicino alla porta e
appesi il mio trench su l’attaccapanni, notando che ve
n’era anche un altro non
della mia coinquilina.
Abbie mi accolse
con un grembiule e un sorriso.
-Ciao cara, oggi
ti ho cucinato le Scotch Pies, ti
piacciono?
Adoravo quelle
tortine salate.
-Tantissimo,
Abbie. Poi sai che come cucini tu, non
cucina nessun altro. Ma come mai oggi mi cucini un piatto
così speciale?-
domandai avvicinandomi in cucina.
Ah…ora
capivo il perché. A capo tavola c’era Thomas,
il caro fidanzatino di Abbie.
-Ciao.- mi disse
sorridente il biondo.
-Ehilà,
che piacere.- risposi sedendomi a tavola.
-Ecco
perché.- continuò la mia amica.
Le feci
l’occhiolino sorridendole.
-Oddio ragazzi,
non vi dico, mi sento male.- dissi
accasciandomi sul tavolo, con fare teatrale.
-Cosa
è successo?- chiese la mia amica,
apparecchiando.
-Il mio
capo…quel malato mentale di George, mi ha
tolto tutto il lavoro che mi aveva affibbiato fino ad adesso, per darmi
un
nuovo progetto complicato.
-Quale? - chiese
Tom.
-Un progetto in
cui, tramite interviste, foto,
testimonianze e quant’altro, devo parlare delle
organizzazione che si occupano
di conciliare il mondo della moda con il mondo degli handicap. Devo
intervistare persone disabili e chiedere qual è il loro
rapporto con i capi di
moda, sempre più adatti a modelle e sempre meno a loro e
alla gente di tutti i
giorni.
-Ah…e
beh dove sta il problema? - chiese Abbie.
-Beh ho paura,
perché è un progetto molto grande e
non so se ne sono in grado. Voglio dire questa sarà una cosa
delicata, ed io
fino adesso ho sempre scritto solo cose semplici, se così si
può dire,
confrontate a questo.
-Mhm…perché
non chiedi aiuto a Terence? - mi chiese
Tom, con gli occhi spalancati, quasi gli si fosse accesa una lampadina.
-Terence? Per
quale ragione?
-Perché
lui conosce molte persone che presentano
handicap. Dopo che è diventato cieco, è stato in
una specie di centro di
riabilitazione, dunque potrebbe farti conoscere nuova gente.
-Dunque non
è cieco dalla nascita? - chiese Abbie,
iniziando a riempire i piatti di ciò che aveva cucinato.
-No tesoro, lo
è diventato circa sei anni fa. –
rispose tristemente il suo ragazzo.
-Oh quanto mi
dispiace…e perché?
-No amore, non
lasciarlo dirlo a me, ve ne parlerà
lui.
-Okay tesoro,
come vuoi.- rispose la mia amica
stampandogli un bacio sulle labbra e sedendosi per iniziare la cena.
Sarebbe stato
opportuno chiedere aiuto a Terence?
***
-Beh piccioncini
vi lascio godere il film, io vado a
leggere.- salutai i miei amici, andando in camera mia.
-No ma rimani
pure.- disse Tom.
-No tranquilli,
ho da finire il mio amato Jane Eyre,
ci vediamo domani…e poi Braveheart
l’ho già visto.- feci loro
l’occhiolino e mi allontanai.
Entrata in
camera, andai a farmi una doccia veloce e
poi infilato il pigiama, mi piombai sul letto, accedendo il lume e
prendendo il
libro.
Peccato
però, che l’idea di chiedere aiuto a quello
sbruffone, stava torturando la mia mente, non facendomi concentrare.
Da quando
l’avevo incontrato, non facevo altro che
incasinarmi il cervello.
Dopo un
po’ mi decisi. Dovevo almeno fare un
tentativo.
Scorsi il touch
screen del mio Nokia Lumia alla
ricerca del numero di Terence, e poi toccai l’icona della
cornetta per
telefonargli.
-Oh Jane, che
sorpresa.- mi rispose quello spaccone
con la sua voce affascinante e sensuale.
-Buonasera.
-risposi.
-Non pensavo di
mancarti già.- rise.
-Sì
mi mancavi moltissimo guarda.- lo presi in
giro.- Senti…
-Sì?
-Avrei bisogno
di un aiuto.
-E che tipo di
aiuto può dare uno come me ad una
come te, Jane?- chiese maliziosamente.
-Non fare lo
sfacciato e ascolta. Beh ecco…dovrei
discutere di una cosa con te attinente ad un mio progetto di lavoro.
-Che progetto?
-Un progetto. Ma
un attimo, pensandoci…per caso,
ogni venerdì vi incontrate tu, Thomas, Mary Anne e gli
altri, in quel locale
dell’altra sera?
-Beh…il
più delle volte, sì. Perché?
-Bene,
perché venerdì verrò anch’io
allora e
parleremo con calma.
-Ma…di
cosa?
-Lo saprai a
tempo debito.
E
così chiusi la telefonata. Venerdì ne avremmo
parlato faccia a faccia. Avevo deciso
così…discuterne telefonicamente avrebbe
solo causato malintesi e altro. Così pensato, ritornai a
leggere il mio amato
libro.
***
Nei giorni
seguenti alla conversazione con George,
lavorai come una matta, utilizzando perlopiù il computer.
Avevo gli occhi che
mi bruciavano e finivo sempre per addormentarmi a notte fonda. Di
progetti come
quello di cui mi aveva parlato il mio capo, ne avevo trovato qualcuno,
e di
appunti ne avevo presi abbastanza. Mi ero segnata anche alcuni numeri
di
telefono così da mettermi in conto con organizzatori e
ideatori. Un certo
signor McDuff , stilista alle prime armi, notai essere stato uno dei
primi a
disegnare un’ intera collezione per le persone disabili.
Lessi che viveva a
Glasgow, nella mia Scozia, dunque un viaggetto nel fine settimana per
quella
meta non me l’avrebbe tolto nessuno, ma era meglio
telefonargli per sicurezza.
-Pronto?- mi
rispose una voce giovane dopo qualche
secondo.
-Salve, parlo
con il signor Matthew McDuff?
-Sì,
ed io con chi ho il piacere di parlare?
-Mi chiamo Jane
Ryan e sono una giornalista per
L’Edinburgh Fashion Magazine.
-Oh,
salve…mi dica come posso esserle d’aiuto.
-Beh ecco volevo
chiederle se possiamo incontrarci,
per discutere di un progetto, magari sabato?
-Un progetto di
che tipo? E poi lei vive ad
Edimburgo?
-Non
si
preoccupi, lei si trova a Glasgow, no?
-Esatto…
-Bene, questo
sabato prenderò il primo treno e verrò
da lei. Per il progetto, preferirei parlargliene faccia a faccia, se
per lei
non è un problema.
-D’accordo…bene,
allora la vengo a prendere alla
stazione. Mi tenga aggiornato sugli orari, cosicché ci
organizziamo sul modo
per riconoscerci.
-Oh ma io la
conosco, ho visto sue foto sul suo sito
ufficiale.
-Perfetto,
allora attenderò sue notizie in merito
agli orari signorina Ryan.
-Certo, signor
McDuff.
Così
concluso, chiusi la chiamata e continuai con il
mio lavoro.
***
Per fortuna
venerdì arrivò in fretta.
-Abbie oggi
ritorniamo al locale dell’altra sera?-
domandai curiosamente.
-Perché?
Non dirmi che vuoi ritornarci!
-Beh
sì, credo che l’idea del tuo Tom non sia
male…se Terence conosce gente con handicap potrei conoscerli
anch’io e fare
loro domande in merito al loro rapporto con la moda. E poi, gli ho
telefonato
giusto martedì e mi ha detto che spesso i ragazzi si
incontrano il venerdì.
-Oh capisco,
certo che ci torniamo allora, a dirla
tutta me l’aveva proposto proprio Tom, ma non mi aspettavo
che tu volessi
venirci…
-Perché
no?
-Beh
perché non mi sembrasti molto divertita…sia
Mary Anne che Terence non ti avevano fatto una bella
impressione…
-Sì
hai ragione, ma è una questione di lavoro. E poi
Terence è meglio di Mary Anne...secondo me.
La mia amica mi
gettò un’occhiata maliziosa e si
allontanò.
Nel vestirmi
dedicai più attenzione rispetto alle
altre volte in cui uscivo. Avevo notato che Terence era interessato a
come mi
vestivo, per immaginarsi meglio ciò che lo circondava.
Presi una gonna
a pieghe lunga circa sei centimetri sopra il
ginocchio di un blu cobalto, una camicetta rossa e dei sandali dello
stesso colore
con una piccola zeppa in sughero. Il mio immancabile giubbotto di
jeans, una
collanina con una stella di brillantini, capelli sciolti e un filo di
lucidalabbra, ero pronta.
Questa volta fui
io ad aspettare Abbie. Entrai in
camera sua notando che si stava aggiustando i corti capelli.
-Uff odio queste
lentiggini. - disse guardandomi
dallo specchio su cui si stava riflettendo, e coprendo il suo viso con
quintali
di fondotinta.
-Ma tu sei
proprio matta, io pagherei per avercele,
sono così carine.- le dissi con sincerità.
-Ma cosa?? Fanno
sembrare il mio viso sporco.
-Che sciocca che
sei. – dissi avvicinandomi e
accarezzandole la testa.
-No che mi
guasti la frangetta.- disse ridendo.
-Piuttosto come
sei bella stasera…- continuò.
-Oh beh ma io
sono sempre bella.- dissi muovendo le
mani a mo’ di diva e sporgendo le labbra.
Ovviamente stavo
scherzando. Se c’era una cosa di me
che mi piaceva era che ero molto autoironica.
Abbie
scoppiò a ridere.
-Hai
ragione…ma sul serio, non come dici tu.
-Tu lo sei
veramente!- le dissi sorridendo.
E questa sera lo
era particolarmente. Indossava dei
pantaloni a palazzo color panna, dei zatteroni blu come la camicetta
con scollo
all’americana che portava sopra una giacca dello stesso
colore dei pantaloni.
Mi
sorrise e poi
guardandomi con i suoi grandi occhi grigi truccati di nero, mi prese
per mano e
raggiungemmo la sua macchina, dopo aver preso le borsette e chiuso bene
casa.
Fortunatamente
non trovammo molto traffico e
raggiungemmo in breve tempo il locale. Come venerdì scorso
c’erano già i
ragazzi ad aspettarci.
L’unica
differenza era che Mary Anne era
letteralmente incollata a Terence.
Quella,
quella…meglio che non dicevo parolacce.
Ma poi
perché quello spaccone non la teneva lontano?
-Salve ragazzi.-
disse la mia amica.
-Ciao bellezza.-
disse Tom cingendole la vita,
mentre io rimasi vicina a Russell.
-Ehi anche oggi
qui?- mi chiese Mary Anne,
passandosi la lingua sulle labbra e guardandomi antipaticamente.
-Certo.- le
risposi guardandola dritta negli occhi.
Intanto anche il
capo di Terence era rivolto verso
di me.
Dopo che William
finì di fumare la sua sigaretta,
finalmente entrammo.
Questa volta
riuscii a sedermi vicino alla mia amica, e non a quella vanitosa
modella,
ma…alla mia destra non mi accorsi che c’era
Terence.
Oggi aveva dei
Rayban Wayfarer, sempre rigorosamente
neri. Era come se si vergognasse dei suoi occhi.
-Sei tu Jane,
vero? Riconosco il tuo profumo.
A quella
affermazione arrossii un po’ ma poi mi
ricomposi subito.
-Sì
sono seduta alla tua sinistra.
Mary Anne mi era
seduta di fronte, al suo fianco c’era
Sophie e William, mentre alla mia sinistra c’era Abbie con
Tom e Russell.
Anche Terence
era ben vestito. I pantaloni bianchi
si abbinavano perfettamente con la sua camicia celeste e il suo
Perfecto di
pelle nera.
-Di cosa volevi
parlarmi Jane? Come può un cieco
aiutarti? Sono molto curioso…- mi chiese mentre ognuno
parlava per i fatti
propri.
-Ehm, beh
ecco…l’altra sera è venuto a cena da me
ed
Abbie Tom, e vedendomi molto stanca mi ha chiesto cosa fosse successo,
così gli
ho parlato del nuovo progetto di lavoro che mi ha affibbiato il mio
capo.
-Ed io cosa
c’entro?- chiese, interrotto dalla
cameriera che annotò i nostri ordini.
Io scelsi, come
sempre, della coca cola, mentre
Terence della birra.
-Allora?-
ridomandò.
-Beh il mio
progetto consiste nell’intervistare
persone disabili e chiedere qual è il loro rapporto con la
moda, e poi devo
informarmi circa le organizzazioni che si occupano di conciliare il
mondo della
moda con quello degli handicap.
-Continuo a non
capire…- disse voltando il capo
verso di me.
-Beh parlando a
Tom di questo, lui mi ha detto che
tu potresti aiutarmi, perché conosci persone disabili.
-Avete parlato
di me?- chiese corrugando la fronte.
-No! Mi ha solo
detto che tu potresti aiutarmi,
punto. Ma se non puoi…
-Posso, va
bene!- disse molto seriamente.
-Quindi il mio
compito sarà semplicemente quello di
farti conoscere persone disabili?- continuò.
-Sì.-
risposi rimanendo a guardarlo.
-Capisco…e
quanto tempo hai?
-Beh circa due
settimane e qualche giorno…
-Mhm…iniziamo
domani?
-No, domani devo
partire per Glasgow.
-Partire?
Perché?
Nel frattempo i
nostri drink arrivarono e Tom si
alzò per dare a Terence il suo bicchiere.
-Perché
devo incontrarmi con Matthew McDuff, uno
dei primi stilisti di un’intera collezione per disabili.
-Ti accompagno.
- disse all’improvviso sorseggiando
la sua birra, mentre per poco la mia coca cola non mi andava di
traverso.
-Cosa?
Perché?
-Perché
ora faccio parte anch’io del tuo incarico di
lavoro, dunque…e poi sarò anch’io una
delle persone che intervisterai, no? Sono
anch’io disabile.
-Non fai parte
del mio incarico di lavoro, il tuo
sarò solo un piccolo d’aiuto.
-Hai paura di
fare un viaggio con me? Il fatto che
sono cieco, ti mette ansia?
Ecco era
ritornato quel lato del suo essere che
odiavo altamente.
-Mi era sembrato
che tu facessi lo spaccone proprio
per non far soffermare nessuno sul tuo essere cieco, ma vedo che sei tu
stesso
che tendi a sottolineare la tua disabilità.
Rimase un attimo
in silenzio. Forse non si aspettava
una risposta simile. Ma era la verità.
-Non
è affatto così, sei tu che mi fai subito
pensare a quelle domande. Perché non vuoi che ti accompagni
domani? Dammi una
spiegazione valida.
Dopo avermi
fatto questa domanda, cercò di
posizionare il suo bicchiere sul tavolino di fronte, ma stava avendo
chiare
difficoltà, visto che muoveva la mano a destra e a sinistra.
Così
posai la mia mano sulla sua e lo aiutai. Dopo
quel contatto, mi venne la pelle d’oca. Che strano, eppure
non avevo freddo!
-Grazie.-
disse.- ma ora rispondi.
-Ma dico io, il
fatto che tu non c’entri
assolutamente niente con il mio lavoro, non è abbastanza? Il
tuo sarà solo un
piccolo aiuto…tutto qui.
-Verrò
è deciso. Dimmi l’ora.
-Uffa, ti
conosco da pochissimo tempo, ma fidati, sei
una pizza Terence, mamma mia! …Domani alle nove di mattina,
ti aspetterò alla
stazione Waverly.- risposi sconsolata.
Era testardo
come un mulo!
Sorrise
sodisfatto e poi rimase in silenzio.
Sbuffai e poi continuai a bere la mia bevanda
…
CONTINUA…
Buonsalve
ragazzi, come va?^_^
Eccoci
al terzo capitolo. Questa volta
ho pubblicato più in fretta, sono stata brava, no? xD
Che
dire, in questo capitolo abbiamo un
nuovo faticoso progetto per la nostra signorina Ryan, (ma a proposito
del progetto...l'organizzazione di cui ha parlato George è
realmente
esistente...ho fatto qualche ricerca in rete onde evitare di scrivere
qualcosa
di insensato xD) e un nuovo viaggetto con meta Glasgow che
vedrà, a malincuore
per la nostra protagonista xD, un accompagnatore non desiderato, il
nostro
Terence.
Che
ve ne pare della situazione?
Ditemi, ditemi che sono curiosa. E poi ho sempre considerato le
recensioni un
po’ come della benzina, senza di questa la macchina non
parte, quindi…fatevi
sentire, su ;))
Arrivati
a questo punto, vorrei
ringraziare: Helmwige,
Sun_Rise93
e
DEBORAH_
per
le loro splendide
recensioni, grazie mille girls <3
E
grazie anche a: Sandra_Mc
_,
sax77,
rosaa93,
_Shantel,
Lady_Ghost,
e alla già citata DEBORAH_
per aver aggiunto la
storia tra le seguite, mille grazie ^_^
Alla prossima ;)
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo quattro
“Avete
paura di me perché parlo come una sfinge.”
“Il
vostro linguaggio è enigmatico : ma,
benché me ne senta sconcertata, non ho paura.”
-Jane Eyre
-Charlotte Bronte
-Così
parti domani mattina? - chiese Abbie,
pettinandosi i capelli.
-Sì
sì, devo andare a parlare con Matthew McDuff per
quel progetto di lavoro di cui ti parlai. - risposi, scegliendo
dall’armadio i
vestiti per domani.
-Ho
capito…ah, senti Jane, volevo chiederti scusa…
-Per cosa? -
chiesi prendendo dalla gruccia un paio
di jeans.
-Perché
in questi due venerdì, mi rendo conto…di
averti un po’ trascurato al locale…voglio dire
venerdì scorso ballai con Tom e
stetti gran parte del tempo con lui, idem per stasera,
quindi…
-Ma no, che
dici, Abbie? Sono consapevole che ora
hai un fidanzato, come è giusto che sia, e che quindi il
nostro rapporto sarà
un po’ diverso rispetto a prima. Io ti voglio bene, tu ne
vuoi a me, quindi…non
c’è nessun problema, no?
A dirla tutta mi
ero sentita un po’ sola…soprattutto
il primo venerdì, ma Abbie non era una ragazza che si
fidanzava facilmente. E
per aver scelto Tom voleva dire che il ragazzo era proprio speciale, e
poi era
sempre contenta di recente e i suoi occhi erano luminosi.
Le sorrisi e
presi un paio di anfibi neri e una
t-shirt rossa.
Domani dovevo
prendere un treno e camminare un bel
po’, dovevo essere comoda dunque.
-Sì
hai ragione, solo che mi dispiace…so che dovrei
esserti più vicina. - disse avvicinandosi al mio letto e
aggiustandomi i
cuscini.
-Ma no,
tranquilla…ora la tua priorità è Tom,
lo
capisco…- le accarezzai una guancia e, sistemai i miei
vestiti sulla
poltroncina accanto al mio letto,
-Bene, mi sento
un po’ più sollevata ora! Ma mi
stavi dicendo prima in macchina, che Terence ha insistito per venire
con te?
-Ah
sì, non me lo ricordare guarda! E’
insopportabile quel ragazzo…
Abbie
scoppiò a ridere.
-Dai su,
poverino ha già i suoi problemi, vuole solo
fare qualche amicizia in più, e forse lo attrai…-
disse alzando le sopracciglia
maliziosamente.
-Bah non lo
capisco. E’ solo che il suo lato
spaccone, arrogante, presuntuoso, sbruffone mi dà altamente
fastidio.
-Dai baby, non
dire così…impara a conoscerlo bene
bene, poi alla fine darai il tuo giudizio finale.
-Vedremo
allora…
-Brava…allora
buonanotte e sogni d’oro baby, ci
vediamo domani mattina.
-Grazie cara,
anche a te.- le scoccai un bacio sulla
fronte e poi andai a letto.
***
Più
potente di una canzone dei Nirvana , la mia
tanto amata sveglia suonò alle sette precise.
Stropicciai gli
occhi e ,stiracchiate le braccia, mi
alzai in piedi rifugiandomi in bagno per una bella doccia. Avevo due
ore per
prepararmi, o meglio fra due ore sarei dovuta essere alla stazione.
Dopo la doccia
andai in cucina.
-Buongiorno
Abbie.- salutai la mia amica che già
pimpante alle sette e mezza del mattino era intenta a cucinare dei pan
cake
alla nutella.
-Ehi baby,
dormito bene?
-Sì.
Tu?
-Idem.
Mi sorrise.
Dopo la
colazione, mi lavai i denti e vestita con gli
abiti che avevo preparato la sera prima, notai dalla finestra che un bel
sole
faceva capolino in un limpido manto turchese, così, dopo
essermi truccata,
inforcai gli occhiali da sole a mo’ di cerchietto e
allacciato il giubbotto di
Jeans in vita, presi la grande borsa a tracolla che avevo preparato,
munita di
cellulare, taccuino, penne e matite, registratore, un libro da leggere
in treno
e mi avviai.
-Beh Abbie, io
vado…ci vediamo stasera verso le sette
e mezza.
-Perfetto baby,
scusa se non ti posso accompagnare
ma oggi devo fotografare una Mercedes Benz 300 e altre auto
d’epoca.
-Tranquilla, ho
già il biglietto dell’autobus in
ogni caso. Passa una bella giornata, ciao.
Sorridendole
uscii e presi il mio pullman.
Alle otto e
mezza ero davanti alle scale, che scese
mi avrebbero portato ai binari.
Di Terence
neanche l’ombra. Dovevo starlo anche ad
aspettare.
Dopo qualche
minuto, in cui il mio collo divenne da
giraffa per intravedere se quel bell’imbusto arrivasse, mi
squillò il
cellulare.
-Terence, ma
dove cavolo sei?
-Io? Semmai tu,
ti sto aspettando davanti al binario
sette.
Ah quindi aveva
già sceso le scale e stava già lì?
-Ok, ti
raggiungo subito allora, il tempo di
scendere le scale.
Rise e mi
salutò.
Eccolo
lì quello spaccone. Era vicino ad un uomo…se
la memoria non mi ingannava doveva essere Harrison, il suo autista.
-Buongiorno.-
dissi.
-Oh salve
signorina Jane…allora io vado signore,
buon viaggio e faccia attenzione.
-Ciao Harrison e
fai il bravo, mi raccomando.
L’autista
sorrise e facendomi un ulteriore saluto
con il suo cappello, se ne andò.
Era garbato
quell’uomo.
-Ciao Jane.
-Ciao Terence.
Oggi indossava
dei jeans strappati, una maglietta
azzurra e un giubbotto uguale al mio. Il bastone nero, invece, era
nella mano
destra. Aveva anche una valigetta nera a tracolla. Chissà
che si era portato.
Come occhiali da
sole, erano ritornati i Rayban a
goccia, solo che questa volta erano azzurri e
quindi…riuscivo a vedergli le
iridi chiare.
-Come va? -mi
chiese.
-Bene. Tu?
-Come
sempre… E così pensavi che non fossi ancora
arrivato, eh?
-Beh
sì, pensavo che tu mi aspettassi fuori.
-Mi sottovaluti
troppo Jane! -sorrise.- e poi io e
la puntualità siamo una cosa sola, ricordalo.
-Beh allora oggi
che dobbiamo fare?- continuò
“guardando” davanti a sé.
-Dobbiamo
incontrare quello stilista di cui ti ho
parlato ieri e fargli alcune domande in merito ai motivi che lo hanno
spinto a
fare una collezione per persone disabili. Poi fare foto, intervistare
chi sta
dietro le quinte, per così dire, e fare altre
cose…che poi, a dirla tutta, il
lavoro spetta a me, continuo a ritenere la tua presenza non necessaria.
-E invece te la
fai ritenere necessaria Jane…so che
non potrò minimamente esserti d’aiuto, ma
è tempo che non mi muovo da Edimburgo
e cambiare aria non potrà farmi che bene. A proposito i
nostri posti sono in
prima classe.
-Nostri? Prima
classe? Ma io avevo intenzione di
comprarli giusto ora in seconda classe.
-E dai Jane, ma
perché sei così scontrosa?
A quel punto
scoppiai in una fragorosa risata.
-Ah io sarei
scontrosa? Sei tu che fai certe cose,
senza chiedermi nulla. Vabbè dai, non voglio
litigare…andremo in prima classe,
va bene?
Era un ragazzo
abituato al lusso, perché non
accontentarlo?
-Brava ragazza.
Dai dimmi come sei vestita.
-E tu
giustamente me lo chiedi oggi, e non me l’hai
chiesto ieri che avevo la gonna.
Oh
no…l’avevo veramente detto a voce alta? Oddio
adesso quel presuntuoso si sarebbe fatto chissà che pensieri.
-Oh avevi
indossato una gonna? Ti era messa in tiro
per me, Jane? Mi dispiace deluderti, ma da quando questi non mi
funzionano
più,- si indicò gli occhi,- non mi interessano
più le belle gambe.
-Non mi ero
certa messa in tiro per te, Rodolfo
Valentino dei miei stivali, mi ero vestita in maniera particolare
così da
raccontarti più cose e permetterti di immaginarti qualcosa
di diverso di dei
semplici pantaloni.
Era la
verità.
-Mhm…che
gentile, ma dai dimmi come sei vestita
oggi.
-Jeans di un blu
scuro, maglietta rossa di Snoopy,
anfibi neri, giubbotto di jeans e occhiali da sole.
Ero stata
abbastanza precisa? Intanto la gente
attorno a noi si fece più numerosa.
-Interessante…e
trucco? Sei truccata?
-Beh
sì…un po’ di fondotinta,
dell’eyeliner e della
matita nera sugli occhi e il mio immancabile lucidalabbra.
-Perfetto! E
collanine, smalto per unghie, che ne
so…roba così?
Certo che voleva
sapere proprio tutto!!!
-Sì
ho un orologio da polso fucsia al braccio
sinistro, alcuni braccialetti di stoffa colorati e uno con un piccolo
ciondolo
a forma di croce, di legno. Per le unghie, sono smaltate di un blu
scuro. Va
bene così?
-Okay, ora ho un
quadro più o meno completo di come
sei.
-Benissimo. -
risposi, guardando l’orologio, mancava
poco all’arrivo del treno.
-Per che ora,
ritorneremo? - chiese, voltando il
capo verso di me.
-Intorno alle
sette e venti.
-Capisco…
Dopo qualche
altro minuto di silenzio, il treno finalmente
arrivò.
Si
fermò a qualche metro da noi.
-Suppongo che il
treno sia arrivato, il rumore è
assordante.
-Sì,
sì…dai andiamo, è a qualche metro da
noi.
-Okay…
Iniziò
a camminare davanti a sé, facendo tastare al
suo “James” qualunque cosa fosse alla sua destra e
alla sua sinistra.
-Se vuoi ti
aiuto? - proposi, guardandolo.
-Come pensi di
aiutarmi?
-Beh ti guido
io, così eviti di cadere…sai ci sono
molte pietre.
-Non cado,
tranquilla, ma se insisti dammi la tua
mano.
Feci come mi
aveva chiesto, ma, al contrario delle
mie aspettative che vedevano la mia mano posata sul suo braccio, lui la
strinse
nella sua.
-Scusa se faccio
questo gesto così, come
dire…sentimentale, ma penso sia più facile per te
guidarmi se siamo mano nella
mano.- disse.
Le sue mani
erano più grandi delle mie, ed erano
fresche e asciutte. Arrossii un po’ per l’audacia
del gesto, ma mi ripresi
subito e dopo aver salito i quattro scalini per salire sul treno,
aiutai anche
Terence a salire.
Dopo essermi
informata, chiedendo al capo treno dove
fosse la prima classe, gli chiesi anche se potesse aiutarmi, visto che
davanti
mi si prospettavano corridoi coperti di trolley, valigie e valigette.
L’uomo
prontamente ci aiutò, e chiedendo gentilmente
agli altri passeggeri di farci spazio, io e quello scontroso riuscimmo
a
sederci sui posti assegnati.
Posti situati in
un vagone occupato da quattro
sedili, due dei quali erano vuoti. C’era anche un porta per
chiuderci e
isolarci dal corridoio. Mi sedetti di fronte a lui.
-Scusami. - mi
disse, ad un certo punto.
Rimisi in borsa
il cellulare che avevo preso per
controllare eventuali messaggi e lo osservai, corrugando la fronte.
-Scusarti? Per
cosa?
-Scusa,
perché so di averti appena causato disagio e
imbarazzo…insomma posso solo immaginare tutte le occhiate
che avrai ricevuto da
parte di tutti i passeggeri, quando il capo treno ci ha fatto passare.
Sono uno
stupido, è meglio che non parta, vai da sola a Glasgow.
A quel punto si
alzò appoggiandosi al bracciolo del
sedile, ma io lo presi per mano e lo rifeci sedere.
Faceva tanto il
duro, ma secondo me, alla fine…era
molto fragile.
-Ma che, sei
impazzito? Non sei proprio un tipo
adatto a far la vittima. E poi non ho ricevuto nessuna occhiataccia,
tranquillo, so mettere al proprio posto la gente maleducata e se avessi
visto
qualche persona scortese, l’avrei mandata male. Ora stai
tranquillo e non farti
venire certi grilli in testa.
Mi
sorrise…sembrava più tranquillo, dopo le mie
parole.
-Va
bene…allora mi racconti come ti ha mollato il
tuo ragazzo?
Ecco…
era ritornato il Terence che avevo incontrato
la prima volta. Ma forse, era meglio così…
-Cosa
c’è da dire…insomma dopo quasi un anno
di
relazione, iniziai a notare un po’ di freddezza e di distacco
da parte del mio
ex. Non voleva più fare tante cose con me e poi
iniziò anche ad assumere
atteggiamenti di poco conto ma un po’ strani…tipo
fare più complimenti sull’aspetto
estetico di alcuni attori più che sulle attrici o sui
cantanti e roba così. Tu
pensa che un giorno, litigammo perché io dicevo che a me
Brad Pitt non piace e
lui invece diceva che ero una pazza, perché è
l’uomo più bello del mondo.
A quel punto
Terence scoppiò a ridere.
Quando rideva si
poteva scorgere meglio la piccola
cicatrice che aveva sopra il labbro superiore. Lo rendeva
senz’altro più
intrigante e affascinante.
-Dio mio, che
situazione e poi…?
-Poi
niente…arrivò un giorno in cui mi disse che era
gay. Me lo disse senza troppi giri di parole, scusandosi e andandosene.
Non ti
dico come stetti…pianti, depressione…ma alla fine
mi passò tutto…pensa siamo
ancora amici.
-Oh
interessante, ed è bello almeno il tuo ex?
-Beh
insomma…a dirla tutta, mi innamorai più delle
sue buone maniere, della sua gentilezza, però non
è poi tanto brutto.
-Mhm…-
rise,- sei divertente Jane.
-Oh beh grazie,
ma ho detto solo la verità.
Sorrisi tra me e
me.
Il treno intanto
aveva iniziato a muoversi,
all’inizio un po’ lentamente e poi più
velocemente.
-Arriveremo tra
poco meno di un’ora. - gli dissi,
guardando dal finestrino.
-E tu, ora mi
hai detto che non vuoi fidanzarti, ma
hai avuto qualche ragazza, no? - continuai.
-Oh certo che
sì, non si possono contare da quando
avevo quindici anni.
-Pff…quante
ne cambiavi all’anno?
-Anche
più di una …ma voglio dire, mi hai visto
Jane, sono un gran figo, devi ammetterlo.
-Non conosco
ancora la tua interiorità per poterlo
dire.
Sorrisi
sodisfatta.
-Ah ancora
questo pensiero hai. E va bene, aspetterò
che tu scorga delle virtù in me.- rispose ironicamente,-
cosa che vedo un po’
dura. -E poi se avessi saputo prima quel che mi sarebbe successo, sarei
stato
con molte più ragazze.
-Ehi Dorian Gray
dei poveri altro che virtù, sei da
prendere a schiaffi per queste frasi, ma comunque il fatto che tu sia
ceco,
secondo me, non implica che tu non possa più avere ragazze.
-Dorian Gray io?
Mi piace! E poi ti ho già spiegato
il perché non ne avrò mai più
una…ma comunque a proposito della questione
dell’interiorità, della bellezza esteriore
eccetera, mi sovviene porti una
domanda.
-E sarebbe? -
chiesi curiosamente.
-Beh, tu affermi
di non riuscire a giudicare la
bellezza esteriore di una persona, se non conosci prima la sua
interiorità, no?
…Allora tu come ti ritieni, esteticamente parlando? La prima
volta che ci siamo
conosciuti, mi sembrò di capire che tu non ti piaccia,
quindi non ti piace neanche
la tua interiorità?
Ma
cos’era una specie di psicologo? Wow…nessuno mi
aveva mai fatto una domanda del genere.
Mi schiarii un
attimo la voce…
-Mhm, bella
domanda…beh vedi io mi ritengo una brava
persona, so di avere più difetti che pregi, ma penso di
essere brava, ripeto…ma
non mi piaccio esteticamente, non mi trovo bella, né
attraente o roba così. In
effetti il tuo discorso fila liscio, ma non so risponderti
davvero…cioè, io
penso che l’aspetto esteriore di una persona non sia molto
importante, o meglio,
non voglio fare l’ipocrita, perché come si
dice…anche l’occhio vuole la sua
parte, quindi è ovvio che un bel ragazzo, a primo impatto,
mi colpisca di più
di uno meno attraente ma più buono e intelligente. Ma, come
dire…se una persona
è marcia dentro, secondo me, anche la sua
esteriorità ne risente…Io generalmente
faccio questo discorso agli altri, ma non lo applico a me
stessa…non so come
risponderti davvero…
Mi aveva messo
in difficoltà, cavoli. Jane 0-Terence
1.
-Capisco…immaginavo
che tu non avresti potuto
rispondermi, hai fatto tanto la filosofa e poi…come vedi ora
sei in una gabbia
da cui non sai uscire.
-Uff ma
perché sei così antipatico? - chiesi
sbuffando.
Odiavo quel suo
essere saccente e arrogante. Che
nervi!
-Piuttosto
dimmi…perché non ti ritieni bella?-
sviò
la mia domanda.
-Non
c’è un motivo, non mi piaccio e basta. Vorrei
essere più alta, più magra, avere una forma del
viso diversa, dei capelli più
luminosi, un naso più dritto di profilo, delle gambe
più snelle e lunghe e la
lista è ancora lunga.
-D’accordo…beh
dai che mi puoi dire di Jane Ryan,
oltre il fatto che il suo livello di autostima è pari a
zero?- chiese
sorridendo, a fine domanda.
-Che vuoi che ti
dica di Jane Ryan, sentiamo…
-Cosa le piace e
cosa no?
-Le piace la
cioccolata, i marshmallow, le caramelle
di gomma a forma di orsetto preferibilmente se sono alla coca cola, i
Beatles,
i dischi in vinile, il sole, ma anche la luna, e
ridere…sì le piace molto, il
profumo dell’erba, il lucidalabbra, il suono dei violini, il
Natale, la pizza e
…non le piacciono i clown, le bambole di porcellana e gli
aghi. Mentre a
Terence Ashling cosa piace e cosa no?
-Dunque…
gli piace Michael Jackson, i Limp Bizkit,
il latte con lo zucchero, il caffè italiano, cantare e lo sa
fare anche molto
bene da quel che dicono gli altri, i bei vestiti, ama
l’eleganza e il buon
gusto, dunque ama vestirsi bene e…gli piaceva guardare la
luna soprattutto
quella piena, leggere, scrivere canzoni, e fare tante altre cose. Non
gli
piace, invece, il fatto di vedere il nero attorno e alcune altre cose.-
concluse un po’ tristemente.
Dopo un
po’ passò bigliettaio treno per controllare
i nostri biglietti, e subito dopo passò una ragazza che ci
chiese se volessimo
comprare qualcosa dal suo carrello.
-Quindi sai
cantare e ti piacciono i Limp
Bizkit…wow!- esclamai sorpresa, guardando
l’orologio, fra circa venti minuti
saremmo arrivati.
-Sì
sì…perché ti sorprende, non ti sembro
il tipo da
rap metal? O meglio come genere non mi piace, ma alcune loro canzoni
sì.
-No non mi
sembri proprio il tipo da Limp Bizkit,
ma… d’accordo, questione di gusti.
Sorrisi e rimasi
a guardarlo.
Erano proprio
belli i suoi occhi…
-E secondo te,
canti bene?- continuai.
-Beh dai penso
di sì…il mio cavallo di battaglia è
senz’altro Mad World
nella versione
di Adam Lambert…Te la canterò un giorno.- disse
sorridendo,
Le lenti azzurre
non mi permettevano di vedere bene
le sue iridi, ma si scorgeva lo stesso il colore chiaro e la bella
forma
dell’occhio. Che peccato che non funzionassero
più…
-Va bene.-
risposi.
Dopo un
po’ rimanemmo in silenzio e il tempo
trascorse al punto che dovemmo scendere.
-Siamo arrivati,
Terence.
Raccolse il suo
bastone, gli presi la mano e con un
po’ di attenzione scendemmo gli scalini. Questa volta non
c’era bisogno del
capo stazione, i corridoi erano liberi da valigie, fortunatamente.
Così
giungemmo alla stazione di Glasgow. Iniziai a muovermi seguita da
Terence tra
la folla, alla ricerca del signor McDuff.
-Beh e ora?-
chiese.
-Ora sto
cercando lo stilista, vediamo un po’…dalla
foto sul suo sito web, dovrebbe avere i capelli rossi e corti, la barba
e
dovrebbe essere molto alto. Lo chiamai giorni fa per dirgli di
aspettarci alla
stazione…
-Uh
aspetta…sì, secondo me è lui.-
continuai,
scorgendo un uomo che sembrava proprio Matthew McDuff.
-Salve, mi
scusi, è lei il signor McDuff?- chiesi
avvicinandomi all’uomo in questione.
-Sì e
lei è…la signorina Ryan?
Era un bel
ragazzo, non c’era che dire, ma era anche sposato, notai
infatti che aveva una fede all'anulare della mano sinistra.
-In persona.
Lui…è un mio amico…Terence
Ashling…
-E sono cieco. -
continuò quello spaccone, ridendo.
Quanto avrei
voluto prenderlo a schiaffi!
-Oh…ehm…okay…piacere
di conoscervi. - continuò,
quasi senza parole, il povero stilista.
-Bene…c’è
un posto in cui poter parlare
tranquillamente? Sa…dovrei parlarle di quella questione di
lavoro.
-Sì
sì certo, se venite con me, più avanti ho la mia
macchina, vi porto al mio ufficio.
Lo ringraziai e
poi, camminando un po’ lentamente
per via di Terence, arrivai alla macchina dello stilista.
-Bene…se
vuole può già accennarmi qualcosa. - dissi
allacciando la cintura di sicurezza. Terence aveva preferito sedersi
dietro.
-Oh
sì…beh…
A quel punto
iniziai a spiegare allo stilista il
progetto lavorativo assegnatomi, mentre notai dallo specchietto
anteriore che
Terence aveva lo sguardo posto fuori dal finestrino.
Uffa…mi
sentivo così triste quando guardavo queste
scene…
***
L’ufficio
del signor McDuff era molto spazioso. Le
pareti erano arancioni, colorate solo da qualche verde pianta qua e
là.
Il mio compagno
di viaggio aveva preferito rimanere
al bar dell’azienda dove lavorava lo stilista. Prima aveva
insistito per venire
con me, e poi se ne stava al bar…bah che tipo!
-Ho capito
tutto…dunque vuole farmi qualche domanda,
no?
-Sì…beh,
allora iniziamo!
Presi il
registratore e il quadernetto con la penna.
-Mi dica, da
dove le è venuta l’idea di disegnare
un’intera collezione per persone con handicap fisici?
-Beh…l’idea
mi venne perché mia nonna è sulla sedia a
rotelle. Circa cinque anni fa ebbe un incidente stradale che le
causò la
perdita delle gambe. Il suo mondo, da
allora…cambiò…infatti lei è
sempre stata
una donna energica, piena di vita, amante dei colori. Sa ama le collane
di
perle e gli orecchini. Vestirsi, però, era diventato un
problema,
perché…indossava unicamente lunghe gonne scialbe
e scolorite, scomode da
indossare… così decisi di provare a immaginare
come sarebbe stato se lei o
altre persone in condizioni simili alla sua o anche peggiori, potessero
indossare stoffe originali, belle, su indumenti comodi e pratici.
Presi nota di
tutto…era interessante la storia.
-Feci un
po’ di ricerche e iniziai a disegnare gonne
lunghe, sì, ma belle…con pizzi, merletti, stoffe
pregiate…vede, queste sono
alcune foto.
Presi il mio
smartphone e scattai alcune foto.
Poi Matthew
continuò con la sua storia, a farmi
vedere foto e perfino un video di una sfilata di persone sulla sedia a
rotelle,
ma con abiti meravigliosi, e non solo gonne.
Il tutto
durò circa tre ore. Era l’una…ora di
pranzo, dunque. Avevo una fame, a colazione avevo mangiato poco e
niente, per
non appesantirmi. Quando dovevo fare un viaggio, infatti, preferivo
rimanere
leggera.
Terence non si
era fatto proprio sentire. Salutato e
ringraziato lo stilista, e fattami una foto con lui per il suo sito e
per il
giornale, scesi al bar.
Per fortuna lo
spaccone c’era ancora. Era seduto, e
in mano aveva una specie di tablet, con delle cuffiette collegate che
aveva
nelle orecchie. Forse stava ascoltando musica.
Mi schiarii la
voce e poi mi parai di fronte a lui.
Non fece nulla.
Oh già…aveva le orecchie occupate e
non poteva neanche vedermi, così bussai sulla sua spalla.
-Jane?- chiese.
-No, Jennifer
Lopez! - risposi ridendo.
Sorrise anche
lui e poi si tolse le cuffiette.
-Magari…beh
hai fatto tutto?- domandò.
Magari? Ma senti
a questo.
-Sì…verso
le tre però devo ritornare per finire
l’intervista. Mi mancano delle foto e alcune telefonate.
-Capisco…ho
comprato delle cose da mangiare. Vedi ho
chiesto al barista di metterli in una busta sulla sedia accanto alla
mia. L’ha
fatto?
Spostai la mia
traiettoria e vidi effettivamente una
busta.
-Sì,
sì…mangiamo allora?
Annuì
col capo e pose il tablet accanto a sé.
-Cosa stavi
facendo con il tablet?- domandai uscendo
dei panini dalla busta.
-Leggevo.
Come? Leggeva?
-Temo di non
aver capito…
-Leggevo, o
meglio ascoltavo. Nel tablet ho salvato
vari libri digitali che posso ascoltare.
-Oh
scusami…non me ne intendo molto di queste cose
digitali.
Non rispose.
-E cosa leggevi?
-Delitto
e
castigo di Dostoevskij.
-Wow…che
libricino leggero!
Rise.
-Cosa vuoi
mangiare?- chiesi osservando i panini.
-Va bene
qualsiasi cosa…- disse.
Aprii delle
carte e gli diedi un sandwich con
dell’insalata e del formaggio. Per me scelsi uno uguale.
-Beh
com’è il libro?- chiesi aprendo la carta del
suo panino.
-Meraviglioso.
Io amo Dostoevskij. A te piace?
-Mah…
ad essere sincera non è proprio il mio genere.
Preferisco libri della letteratura inglese. Sai le sorelle Bronte,
Dickens, la Wolfe,
Jane Austen…
-Capisco…però
Wilde è irlandese. Mi è sembrato di
capire, ti piaccia, no?
-Sì
abbastanza…hai ragione, so che nacque a Dublino.
Annuii e
continuammo a mangiare.
Rimasi ad
osservarlo.
Certo che era
proprio bello, però. Il suo profilo
era molto elegante e il suo volto così serio mi attraeva
molto…forse fin
troppo.
-Ah…quanto
ti devo Terence?- chiesi aprendo la
borsa.
-Per cosa?-
domando corrugando la fronte.
-Per il cibo.
-Nah, non mi
devi niente. Ci mancherebbe che ti
faccio pagare. E non dire di nuovo il fatto che sarebbe giusto se ti
facessi
pagare bla, bla, bla…
-E va
bene…grazie.
Testardo,
testardo, testardo!
-Ho detto al
tipo di mettere anche due lattine di
coca cola…credo ti piaccia visto che l’hai presa
entrambi i venerdì al locale,
e ti piacciano gli orsetti di quel gusto… e per i panini non
so se… vanno bene.
Non conosco i tuoi gusti.
-Tranquillo, va
tutto bene.
-Perfetto.-
rispose seriamente.
Voleva fare
tanto il serio, poi però mi chiedeva se
andava bene il cibo che aveva preso. Che tipo!- pensai sorridendo.
-Sai un tempo
viaggiavo molto…amavo fare fotografie
ai monumenti più belli. Ogni estate andavo con mia madre in
una diversa
località orientale. Un anno a Taipei, uno a Tokio, uno a
Pechino…amo la cultura
orientale.
-Bello, forte
come cosa! Io di orientale mi fermo ai
manga, agli anime e ai drama.
-Beh dai
è già qualcosa, no?- sorrise.
In fondo era
stato un bene che fosse venuto Terence,
era abbastanza piacevole conversare con lui, per quanto strano
fosse…almeno quando
non faceva lo spaccone…ovvio.
Dopo aver finito
di mangiare, misi le lattine e le
varie carte nella busta, e poi andai a buttare tutto. Prima di tornare
a
sedermi però, il signore del bar mi fece segno con
l’indice di avvicinarmi.
-Mi dica.- dissi
avvicinandomi.
-Signorina, ma
quello lì è il suo fidanzato?- chiese
sotto voce l’uomo indicando Terence.
-Come? No, non
è il mio fidanzato. Perché?
-No,
sa…prima avevo lavato il pavimento e non mi ero
accorto che quel ragazzo si stesse avvicinando alla
cassa…pensavo vedesse il
cartello con su scritto che il pavimento era bagnato, ma non
è stato così ed è
caduto. Ho capito che è cieco. Se è suo amico,
può controllare che ora stia
bene…prima ho provato ad aiutarlo, ma mi ha detto che era
tutto okay. Può dare
un’ulteriore controllata lei?
Non mi aveva
detto niente.
-Oh
sì certo, lo farò senz’altro. Grazie
mille.- ci
scambiammo un sorriso e mi allontanai.
Ritornai a
sedermi sulle sedie dove avevamo
mangiato.
-Terence?
-Sì?
-Per caso sei
caduto, prima?
-Come? Ah
sì…te l’ha detto il barista?
-Sì…stai
bene?
-Mhm mhm!
Può succedere…se sei cieco, no?
-Può
succedere a tutti.- risposi.
-Sì…
-Perché
allora mi sembri un po’ strano?
-Io sono strano
cara Jane, dovrai abituartici se
vuoi diventare mia amica.
Diventare sua
amica…
-D’accordo
come vuoi.
-Vuoi che ti
racconti ciò di cui ho parlato con
McDuff?- continuai.
Annuì col capo
e così iniziai a parlare di tutto il
lavoro svolto fino a quel momento.
Verso le tre, il
signor Matthew scese giù al bar
dicendomi che potevamo continuare il nostro lavoro. Chiesi a Terence se
volesse
salire ma mi disse che preferiva continuare ad ascoltare il suo libro.
Così
deciso, ritornai al mio lavoro.
***
-D’accordo
signor McDuff, ho preso nota di tutto, ho
fatto foto e visto video, non saprei come esserle più
riconoscente per aver
speso del tempo per questo progetto.
-Ma si figuri
signorina Jane, è stato un piacere. E
poi…è una cosa che mi darà anche un
po’ di fama e notorietà, anche se
fortunatamente non mi mancano. Mi avvisi allora quando il suo articolo
sarà
pronto, sarò il primo a comprare un numero dell’
“Edinburgh Fashion Magazine”.
Gli sorrisi e ci
stringemmo la mano, dopodiché
raccolte le mie cose, scesi giù al bar.
-Terence ho
finito, possiamo andare.- dissi quando
notai il mio compagno di viaggio rigorosamente concentrato ad ascoltare
il suo
tablet.
Ovviamente non
mi aveva ascoltato.
Ribussai di
nuovo alla sua spalla. Il suo viso si
alzò di fronte a me.
-Ehi sono
Jennifer Lopez, possiamo andare.- lo presi
in giro, ricordando le battute scambiateci prima.
Terence
scoppiò a ridere.
-D’accordo.
Ripose il tablet
e le cuffiette nella valigia che si
era portato, e poi preso il suo James e la mia mano ci avviammo.
-Beh sono le
cinque e mezza…considerando che il
treno passa alle sei e venti e che da qui alla stazione ci vogliono un
venti
minuti…direi di sbrigarci.
-Prendiamo un
taxi?- propose.
-D’accordo,
ma non vorrei costassero molto...
-Ancora con
questo fatto? Jane, quando tu sei con
me, i soldi non sono un problema.
Lo guardai, era
molto serio.
Risposi con un
okay poco convinto e poi prendemmo il
taxi.
Il viaggio fu
piuttosto tranquillo. Il treno era
semi deserto e una calda luce filtrava dalla tendine verde acqua che
coprivano
le finestrelle del treno.
Come
all’andata passò di nuovo il bigliettaio,
mentre io e Terence rimanemmo a parlare un po’.
-Che ne dici se
ascoltiamo un po’ di musica?-
propose mentre io osservavo i bellissimi paesaggi di Glasgow passarmi
davanti.
-Sì,
ci sto!
A quel punto
aprì la sua borsa ed estrasse un I-Pod
argentato e delle cuffiette.
-Arctic
Monkeys?- chiese.
-Sì
dai.
Mi
passò una cuffietta e rimanemmo ad ascoltare Do
I Wanna Know, conoscevo questa band e
così cantai con loro, mimando le parole della canzone.
-Ti piace?
-Abbastanza…-
risposi.
Sorrise e dopo
qualche minuto aprì nuovamente la sua
valigetta, per poi tirar fuori un pacco di caramelle…ma un
attimo, erano forse
orsetti di gomma alla coca cola?
-Ne vuoi
qualcuna?- mi chiese.
-Oh…sì…ti
ho detto che le amo! Ma non dirmi che il
signor Ashling le ha comprate per me? – domandai ridendo.
-No certo che
no! Mi piacciono e le ho
prese…chiederti se tu ne volessi era solo un gesto di
cortesia. Perché sai io
sono molto cortese come ragazzo.- disse seriamente, ma poi le sue
labbra si
curvarono in un sorriso.
-Sì
sì come no.- risposi ridendo.
Sebbene non
avessimo passato poi così tanto tempo
insieme, ero stata bene in sua compagnia…ma sì in
fondo Terence Ashling non era
per niente male…
TO BE
CONTINUED…
Ciaoo
ragazzi!^__^
Vi ho fatto
aspettare un po’ per questo capitolo,
scusate!^^
In questi giorni
mi sto gasando di serie tv
orientali, quindi sto perdendo più tempo xD
In questo
capitolo vediamo un po’ dei progressi che
Jane ha fatto in ambito lavorativo con il signor McDuff, scorgiamo un
po’ di
fragilità in Terence, e conosciamo anche alcuni suoi gusti
musicali ( ho
scoperto da poco gli “Arctic Monkeys” e sono
bravissimi *__*...non ho potuto non citarli) e vediamo che sa
essere anche dolce comprando le caramelle preferite da Jane <3
La citazione
iniziale è tratta dal libro "Jane Eyre" che sto leggendo
attualmente, l' ho ritenuta adatta all'atteggiamento che Terence ha
quando dialoga con Jane. Che dite, ho scelto bene? ^^ ;)
Che dire spero
che il tutto sia piaciuto e non abbia deluso nessuna aspettativa e di
ricevere qualche commento ;)
Per concludere
vorrei dire mille volte grazie a :
Helmwige
e Sun_Rise93
per le loro recensioni,
grazie di cuore ^^
E grazie anche a
: _maryan84_ ,cassandrablake,
myllyje,
per aver aggiunto la storia alle seguite. <3
Mille
baci e alla prossima ;))
|
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo
cinque
È un errore confondere
ciò che è strano con ciò che
è misterioso.
Arthur Conan Doyle
Quando il treno
si fermò alla stazione Waverley, io
e Terence scendemmo con più facilità rispetto
all’andata, notando il signor
Harrison, ad aspettare il mio accompagnatore.
-Buonasera
signore, salve signorina Jane!
-Salve
a lei, signor Harrison! Beh…allora ci sentiamo presto,
Terence…vado a fare il
biglietto dell’autobus.
-Non
ce n’è bisogno. Come ti ho detto, giorni fa, tendo
ad accompagnare coloro che
mi fanno compagnia.
-Ma
in questo caso sei stato tu a farne a me, non credi?
-Sciocchezze!
Ho insistito io per venire con te, dunque…accetti o rifiuti
la mia offerta?-
chiese con il suo solito tono freddo.
-Accetto
volentieri.
Harrison
allora, preso sotto braccio Terence, mi guidò verso la sua
auto, solo che da
quel che ricordavo era diversa rispetto a quella con cui venne a
prenderci al
parco, tempo fa.
-Wow
che bella macchina!- esclamai, dopo averla osservata bene.
Terence
tastò con le mani la sua auto, poi trovato il manico della
portiera, l’aprì
invitandomi ad entrare con un silenzioso “prego”.
-Quale
modello hai scelto oggi, Harry?- chiese, ora.
Doveva
avere molte macchine, per dire “quale hai scelto”,
e poi Barbie mi disse che il
nonno Ashling possedeva cinque Ferrari. Dovevano essere molto ricchi.
-Lamborghini
Reventón, signore!
-Sembra
la Batmobile.- continuai osservando le perfette rifiniture dei sedili
rivestiti in pelle nera.
Terence
si limitò a sorridere leggermente, poi messa la cintura di
sicurezza il viaggio
verso la mia casa, ebbe inizio.
Quando
arrivammo, Terence mi diede il pacco di caramelle gommose comprate al
bar
dell’azienda dove lavorava McDuff, dicendomi che ne aveva
mangiate a
sufficienza sul treno e che non avrebbe saputo più che
farsene, ovviamente il
tutto condito dal suo tono serio e freddo.
Che
bugiardo! Ne aveva mangiato sì e no due di caramelle.
Le
accettai, ringraziandolo e sorridendogli di un sorriso che, purtroppo
non
avrebbe potuto vedere.
Preso
l’ascensore, aprii con le chiavi di casa la porta del mio
appartamento.
-Sono
a casa!- urlai, sapendo di trovare Abbie.
-Janee,
sei tornata finalmente. - mi salutò gioiosamente la mia
coinquilina.
-Già,-
le sorrisi,-…Dio
Abbie mi sento stanchissima.
-Eh
lo immagino…oggi per me è stata una giornata
più leggera, invece. Ho
fotografato varie auto, ma a sorpresa Sandra, quella scorbutica, era in
malattia…- disse riferendosi alla sua datrice di lavoro.
Risi
per il modo in cui disse “scorbutica”.
-Beh
dai racconta, ma aspetta…cosa vuoi per cena?
-Mhm…pizza?-
proposi.
-Sì
ci sto…e poi che ne dici di una bella serata tra amiche? Ti
metto lo smalto e
proviamo una crema corpo all’arancia che ho comprato oggi
pomeriggio, e vediamo
un dvd? Sai voglio farmi perdonare per questi venerdì.-
disse guardandomi negli
occhi.
-Non
hai nulla da farti perdonare, tesoro. – le accarezzai una
guancia - Comunque ci
sto.
-Perfetto,
e poi voglio anche che mi parli di come è andato il viaggio,
e di…Terence,
ovviamente!- continuò con entusiasmo.
-Va
bene, va bene…ma ora fammi andare a cambiare, mi faccio
anche una bella doccia
calda. Tu chiama la pizzeria intanto…per me una quattro
formaggi.
-Lo
so, lo so, baby.
E
così mi gettai, per la seconda volta nella giornata, sotto
il caldo gettito
della doccia.
Dopo
essermi infilata un pigiama con delle simpatiche giraffe disegnate
sopra, mi
piombai in salotto, dove Abbie aveva già preparato il
tavolino e la postazione
dvd, per le “serate tra amiche” come amava
definirle lei.
-Non
sono ancora arrivate le pizze?- chiesi non notandole ancora.
-No,
baby…sai quanto ci mettono quelli del ristorante italiano,
asportano anche
pietanze italiane oltre che pizze.
-Sì
è vero.
-Ma
dimmi, quelle caramelle da dove vengono?- chiese indicando il pacco di
orsetti
alla cola che avevo ,distrattamente ,lasciato sul divano.
-Me
le ha regalate Terence.
Gli
occhi di Abbie si illuminarono.
-Oh,
oh…e come mai?
-Le ha comprate
al bar
dell’azienda dove sono andata per raccogliere documenti per
l’articolo, per
lui, come ha sottolineato…certo ho capito che in
realtà, le ha comprate per
me… è stato un gesto di cortesia...
-Mhm…va
bene! Fa bene il mio sesto senso a dire che tu attrai quel
ragazzo. Però dai raccontami com’è
andato il viaggio.
-Bene,
abbastanza bene. Terence ha insistito tanto per farmi compagnia, ma poi
è
rimasto tutto il tempo al bar dell’azienda del signor McDuff.
Parlando di
quest’ultimo è un bravo ragazzo, mi ha dedicato
molto tempo e ho raccolto
abbastanza foto, video e testimonianze per abbozzare una prima parte di
articolo.
-E
cosa ti manca?
-Devo
raccogliere altre testimonianze…e per questo quel
presuntuoso dovrebbe essermi
d’aiuto.
-Ma
perché lo chiami sempre presuntuoso? Non te l'ho mai
domandato. - mi chiese, versandosi della
birra.
-
Abbie si vede che non ci hai mai parlato, altrimenti non mi faresti
neanche
questa domanda. E’ altezzoso, arrogante, freddo e
poi…mi sa mettere in
difficoltà con le parole.
-Wow,
non pensavo ci sarebbe mai riuscito qualcuno. - disse sorridendo.
-Neanch’io,
e invece…in treno mi ha messo in una difficoltà
pazzesca.
-Sentiamo,
sentiamo, sono curiosa!
A
quel punto non potetti risponderle, perché il citofono di
casa suonò. Dovevano
essere le pizze.
-Vado
io, baby! Tu inizia a scegliere un dvd, così dopo che
finiamo di mangiare
e…conversare, ce lo vediamo.
Feci
come aveva detto, scegliendo Chocolat
con Johnny Depp e Juliette Binoche, uno dei miei film preferiti.
Quando
Abbie risalì, aprimmo i cartoni fumanti e iniziammo a
mangiare.
-Beh!
Mi stavi dicendo…
-Niente
praticamente, hai presente quando ti dissi che la prima volta che
incontrai Terence, gli risposi alla sua domanda se lo ritenessi bello o
meno, che non
giudicavo l’esteriorità di una persona se non
conoscevo prima la sua interiorità?
-Ah
ha.- annuì masticando un pezzo della sua pizza con acciughe.
-Beh…mi
ha chiesto se applico anche questo discorso su me stessa e quindi come
mi
ritengo interiormente, visto che non mi piaccio esteticamente.
-Wow…è
un genio quel ragazzo.
La
guadai male, addentando la mia pizza.
-Genio?
Beh io direi più psicologo, è molto intelligente
su questo non c’è dubbio! Poi
mi ha detto che sa cantare e poco altro di
sé…insomma adesso lui conosce molto
più di me e io conosco poco e niente di lui.
-E
ti piacerebbe conoscerlo?- sorseggiò la sua bevanda.
-Beh…sì,
sembra interessante.
-Ed
è molto carino…- continuò
più maliziosamente, Abbie.
-Ma
poi tu sai come sono i suoi occhi? Il colore intendo?-
continuò.
Ingoiai
il mio boccone e poi le risposi.
-Sì
sono un colore indecifrabile…come il suo carattere. Ce li ha
di un verde
mischiato all’azzurro…inutile dire che sono
stupendi.
-Oh
finalmente un complimento…
-Sì
ma di pregi penso li abbia…è fragile, molto
secondo me… e legge Dostoevskij
… e ho detto tutto.
-Wow…che
coraggioso! Io mi fermo ai libri di Sophie Kinsella…- rise
facendo ridere anche
me. – Comunque Jane conoscilo ancora a fondo, indaga ma non
essere appiccicosa,
domanda, chiedi, scopri…è un ragazzo che
incuriosisce. Secondo me poi , lo
ripeterò fino all’infinito, lo
interessi…altrimenti non avrebbe voluto fare un
viaggio con te…
-Probabile…d’altronde
me lo disse lui stesso che lo incuriosivo…boh, ho ancora le
idee poco chiare.
La
mia amica annuì col capo poi finimmo di mangiare la nostra
cena, sorseggiando io
una buona coca cola e lei la sua birra.
-Ah
poi mi ha accompagnato lui al ritorno, e non ti dico…aveva
una macchina
bellissima.- continuai buttando il cartone della pizza nella spazzatura.
-Vero?
Che modello era?- i suoi occhi si illuminarono.
-Non
ricordo bene il nome, ma era una Lamborghini…
-Wow…adoro
le auto italiane…vorrei tanto vederla. Anche
perché Sandra vuole inserire nel giornale
delle pagine dedicate al confronto tra auto d’epoca e auto
contemporanee,
quindi…che ne dici se chiedo a Terence se posso vederla?
-Penso
che non dovrebbe esserci nessun problema…se vuoi ti do il
suo numero.
-D’accordo,
grazie baby. Beh che film hai scelto?
-Chocolat
con il mega, extra, super figo nostro attore preferito…
-Jhonnyyy!!
Al
sentire quel nome strillammo insieme come due adolescenti…ma
in fondo io ed
Abbie, nel nostro rapporto di amicizia, eravamo ancora un po’
delle ragazzine.
E a me la cosa andava più che bene.
-Aspetta
che prendo la crema e gli smalti…tu che colore vuoi?
-Mhm…arancione!
-Arrivo
subito, allora.
Spostai
il tavolino dove avevamo mangiato e inserii il dvd nel lettore. Dopo un
po’
ritornò la mia pazza amica con ciò che aveva
detto più adesivi e brillantini
per unghie.
-E
tu con Tom? Non mi stai raccontando molto di voi due.- constatai.
-Già,
hai ragione…scusa anche per questo, comunque tutto
perfettamente bene, solo
che…- vidi che si rabbuiò un attimo.
-Solo
che…?- la incitai.
-Solo
che sono troppo gelosa, si sono rotti alcuni computer negli uffici dove
lavora,
e hanno chiamato una ragazza, una che sa riparare i
computer…io l’ho
incontrata…ed è bellissima.
-E
beh? Dove sta il problema? Tu sarai senz’altro più
bella di lei…e anche se
fosse Miss Universo, non penso che il tuo Tom sia così
superficiale da basarsi
sollo sull’esteriorità.
-E
se tra una chiacchiera e l’altra, scoprisse che è
bella anche dentro?
-Abbie,
lui ha già una ragazza stupenda e meravigliosa sia dentro
che fuori, quindi
stai tranquilla.- la rassicurai.
-Grazie
Jane, ti adoro…però mi farai piangere se continui
con queste parole, quindi
basta…iniziamo a vedere il film, non vedo l’ora di
vedere Johnny.
Inutile
dire che la serata trascorse benissimo, la crema all’arancia
mi sortì un
effetto benefico e le mie unghie sembravano delle vere opere
d’arte.
***
Il
lunedì successivo, in ufficio, la prima cosa che feci fu
aprire la pagina
bianca di word sul mio computer…dovevo iniziare a scrivere
l’articolo, oppure
non ce l’avrei fatta con le tempistiche, a correggere,
aggiungere foto e
quant’altro.
Dunque…dovevo
iniziare con il dare un titolo all’articolo, almeno uno
provvisorio in attesa
di quello ufficiale, che avrei messo solo quando l’articolo
fosse stato
concluso. Ci pensai per svariati minuti… dovevo trattare
come argomenti: la
moda e il suo rapporto con le persone disabili. Mhm…e
se…sì questo poteva
andare, anzi no…e questo? Nah non c’entrava nulla!
Uff…provai vari titoli, che cancellai
prontamente…passarono diversi minuti, finché,
sì forse questo poteva veramente andare, il
titolo provvisorio sarebbe stato: “Diversamente alla
moda”. A mio dire suonava
proprio bene.
Ora
a noi articolo. Mi incantai a guardare il soffitto, poi le finestre,
poi i miei
colleghi lavorare, poi la mia scrivania disordinata e poi, sentendomi
finalmente pronta, le mie mani iniziarono a pigiare i tasti della
tastiera.
Moda.
Appena sento questa parola, la prima cosa che mi viene in mente sono:
le
passerelle, le modelle, le sfilate e i capi delle grandi boutique.
Immagino sia
lo stesso per molte donne.
Poi
mi vengono in mente le stoffe pregiate, i merletti, i nastri, i
cappelli, i
guanti e tutti i più bei capi d’alta sartoria, ma
anche i grandi centri
commerciali, i camerini e gli specchi in cui, noi donne
“comuni mortali” e non
modelle, ci specchiamo notando che un abito addosso a Naomi Campbell,
non ha lo
stesso effetto che ha su di noi. Poi specchiandomi sempre allo specchio
di un
camerino, nello stesso momento di una signora sulla sedie a rotelle, mi
rendo
conto che anche qui le cose sono ben diverse tra me e lei…e
mi chiedo: perché?
Perché un abito come quello di Charlize Theron alla
premiazione dei premi Oscar
2013 non è facilmente reperibile per una signora
più bassa, o più in carne o
che presenta una disabilità fisica? La risposta, purtroppo
non è facile da
trovare, ma cercando, navigando sul web e leggendo documenti, ho
trovato che
c’è chi ha cercato di dare una risposta a questa
domanda, in maniera molto
concreta. Questo qualcuno è Matthew McDuff (in basso a
sinistra la foto), uno
dei primi stilisti di un’intera collezione per persone con
handicap…e che
collezione, cari lettori e care lettrici…
Okay…rilessi
quello che fino ad adesso avevo scritto…avevo
paura…e se stavo scrivendo
cavolate? E se non andava bene? Oh insomma- tuonò la mia
vocina
interiore-…Jane, fai la giornalista di professione da
più di tre anni, dovresti
stare tranquilla.
Dopo
qualche minuto, la calda voce di Bob Dylan si diffuse nel mio ufficio.
Gli
occhi dei presenti si rivolsero verso di me. Era il mio cellulare. Era
Terence.
-Pronto?-
chiesi, uscendo dalla stanza e andando vicino alla macchina del
caffè.
-Buon
giorno Jane.
-Oh
Terence…non pensavo di mancarti già.- lo presi in
giro con la stessa frase che
usò quando lo chiamai il giorno in cui venne Tom a cena.
-Non
è bene plagiare le frasi altrui Jane.- lo sentii ridere,- in
ogni caso, penso
che dovremmo organizzarci per il giorno in cui vederci per farti
incontrare i
miei amici disabili.
-Oh
già, hai ragione, scusami mi stava quasi passando di
mente…e niente, dimmi tu.
-Io
lavoro dal lunedì al venerdì, cinque ore la
mattina e tre il pomeriggio,
quindi…forse il fine settimana è sempre la
soluzione migliore. Potremmo andare
venerdì pomeriggio…io lavoro dalle due alle
cinque. Tu?
-Io
lavoro fino alle sei…si potrebbe fare.
-Perfetto!
L’orario delle visite inizia alle sei e mezza, dunque alle
sei fatti trovare
fuori, davanti l’Edinburgh Fashion Magazine, verrò
con Harrison.
-Benissimo, ma
sai dov'è?
- Certo,
conosco tutto ciò che concerne la nostra città.
-Perfetto,
allora! A venerdì Terence.
-Buona
giornata Jane.
Chiusi
la chiamata e tornai in ufficio. Alla fine, ogni venerdì lo
stavo passando con
questo nuovo ragazzo…era forse destino?
-Ah
Jane, eccoti qui!- disse Freddie appena entrai,- ragazzi, il capo mi ha
appena
detto di dirvi che ci vuole tutti nella sala delle riunioni.
-Cosa
vuole?- chiese Vincent.
-Non
saprei…credo voglia aggiornarci su qualche nuovo lavoro.
-Sai
se ci saranno anche quelli del secondo piano?- chiese, Steve.
-Credo
proprio di sì.- rispose Freddie.
-Oh
no!- rispose il mio collega, passandosi nervosamente una mano nei
capelli neri.
Dovete
sapere che al secondo piano lavorava Arabella Thompson, la sua ex o quasi fidanzata. I due si amavano
ancora…solo che per motivi di gelosia, finivano sempre per
rompere…inutile dire
che Steve ci soffriva, ma era troppo testardo per mettere la gelosia da
parte e
fare pace con la sua anima gemella.
-Dai
su Steve, non fare così…magari trovi qualche
altra pollastrella. – sogghignò
Vincent…era il solito Don Giovanni da strapazzo.
Andava
anche detto che era un bel ragazzo. Dal fisico slanciato, con spalle
larghe e
con luminosi capelli biondi. Il tipico uomo dalla faccia
d’angelo.
Salvata
la bozza di articolo che avevo scritto, andammo tutti in sala riunioni.
Ovviamente
quest’ultima traboccava di gente del primo, secondo e terzo
piano. Quelli del
quarto e del quinto sarebbero sicuramente scesi dopo di noi.
George
era seduto su una poltrona in pelle marrone, a capo di un lungo tavolo
di un
vetro celeste. Quelli del primo piano, avevano già occupato
tutte le sedie
disponibili, quindi io e molte altre persone rimanemmo in piedi.
Mi
chiedevo ancora come quel decerebrato non si decidesse a comprare degli
schermi
per gli annunci da mettere nei corridoi dell’azienda. Bah!
-Cari
signori e care signore,- ma che razza di saluto era? - vi ho convocati
in
riunione per togliervi solamente cinque minuti e aggiornarvi sul fatto
che ho
appena ricevuto una telefonata. Una telefonata in cui mi è
stato riferito che
tra due lunedì, quindi non questo che verrà ma
l’altro, avremo ospiti al nostro
giornale, l’intero staff di modelli e segretari di due dei
più importanti
stilisti al mondo: Calvin Klein e Christian Louboutin.
A
quelle parole ad alcune ragazze, compresa Barbie e compreso
Freddie, si illuminarono gli occhi e molte emisero
gridolini di gioia. Anch’io mi sentivo eccitata
all’idea di vedere dei modelli
e di conoscere le persone che lavoravano con stilisti così
importanti. Era da
tempo che l’aria non profumava di queste belle
novità…ultimamente il giornale
era occupato più su casi locali che su altro e su stilisti
di poca fama.
-Inutile
dirvi che pretendo il massimo della
professionalità e della serietà. Tramite miei
contatti sono riuscito a far
arrivare questi staff prima che andassero a Vogue,
dunque esigo che sforniate articoli ineccepibili, ricchi di
foto,
interviste ai modelli, alle segretarie, che vi informiate su tutti i
materiali
usati e compagnia varia…non sono qui per farvi lezioni di
giornalismo. Detto
questo, fate in modo che gli altri vostri colleghi scendano. Grazie
dell’attenzione e buon lavoro!
A
passo di lumaca fummo tutti fuori dalla sala delle riunioni. A quanto
sembrava,
dopo l’articolo sul rapporto moda- disabilità mi
spettava un altro bel da
fare…ma dovevo fare in modo di aggiudicarmi la prima pagina.
Tornati
in ufficio, prendemmo tutti nuovamente posto, tranne Barbie.
-Ragazzi
avete sentito che figata?
Cioè i
modelli Calvin Klein, ci rendiamo conto?
-Eccome…-
rispose con occhi sognanti Freddie che prontamente ricevette
un’occhiataccia,
che mi fece ridere, da Vincent e Steve.
-Sono
super contenta, ma in ogni caso, desidero farvi una domanda adesso.-
riprese
Barbie, facendo muovere la sua chioma bionda e i ciondoli appesi ai
suoi
braccialetti etnici.
-E
sarebbe?- chiese il mio biondo collega.
-Siete
liberi questa sera?
-Io
temo di no…dovrei avere una partita a scacchi- rispose
Vincent.
-Io
devo lavorare al compito che mi ha dato George. – continuai.
-Io
ho la cena dai miei.- rispose Steve.
-Io
sono liberissimo.- concluse Freddie.
-Bene…ragazzi
liberatevi da qualsiasi impegno, stasera vi porto tutti a cena
fuori…ho una
grandiosa notizia da darvi, e non accetto un ‘non
posso’ come risposta.
-Io
credo di saperla già, bijou.- si intromise il mio ex.
-Zitto
pettegolo, è ovvio che tu lo sappia già.- sorrise
la mia collega.
Erano
molto amici quei due pazzoidi.
-E
dove ci porti?- chiesi curiosamente.
-Al
“Queen Victoria”!!- rispose con un sorrise a
trentadue denti.
-Intendi
quel
Queen Victoria?-
quasi
boccheggiò il moro.
-Esatto!
-Scusate
ma cos’è il Queen Victoria?- chiesi con
curiosità.
Non
ero solita uscire molto la sera. Vi avevo accennato, che a causa del
troppo
lavoro, la mia vita sociale era a rischio!
-Non
sai cos’è il Queen
Victoria? Cioè Jane, cambia amicizie, cara!
E’ uno dei
ristoranti più di lusso della capitale, tra i più
eleganti e raffinati,
premiato con ben due stelle Michelin.
-Oh
scusami Vincent se preferisco una bella pizza!- ribattei, offesa dalle
parole del
mio collega…se le cambiasse lui le sue amicizie.
-Su
su ragazzi non litigate, allora vi aspetto questa sera alle otto e
mezza davanti al locale.
Oh Jane…se non sai dov’è, telefonami
pure!
-Certo,
grazie Barbie.
Così
detto ognuno riprese il proprio lavoro in maniera piuttosto tranquilla,
ma con
una Barbie particolarmente sorridente…chissà che
aveva da dirci.
***
-Secondo
me è meglio il tubino nero!- disse Abbie, mentre posavo
prima il tubino, ancora
sulla gruccia, e poi una gonna su di me, davanti allo specchio.
-Dici?
Si
alzò dal mio letto e si avvicinò al mio armadio.
-Yes!
Poi ci metti sopra quella bella giacca corallo alla Chanel che
comprasti ai grandi magazzini, le francesine di
vernice nera e una collana che ti presto io.
-Perfetto…sono
contenta che tu non mi abbia chiesto di mettere delle
decolleté.
-Ti
conosco bene ormai, e so che usi le scarpe con il tacco solo quando sei
costretta, ma pensando che dovrai intervistare i collaboratori di
Louboutin, mi
viene da ridere.
-Beh
in effetti, però non nego che le scarpe che disegna
quell’uomo sono magnifiche…
-Già,
un po’ meno magnifici sono i prezzi, ma
pazienza…piuttosto, mi hai detto che
incontrerai anche dei modelli Klein, uoh uoh!- rise.
-Ebbene
sì…sono curiosa di conoscerli.- ricambiai il
sorriso.
-Ci
credo baby, chiedi se serve una fotografa,- mi fece
l’occhiolino- Dai ora
andiamo a truccarti, poi ti devo accompagnare al Queen
Victoria, giusto?
-Sì,
la mia collega ha detto di volerci dire una notizia grandiosa.
-Chissà
magari vuole dirvi che si sposa.
-Barbie
sposarsi??? Nah non credo!
***
-Ti
ha chiesto di sposarlo? Wow ma è grandioso, bellezza.-
esclamò felicemente
Vincent.
Ero
davvero molto sorpresa. Barbara era sempre stata una collega molto
vivace e
contenta nel raccontare ogni aneddoto della sua vita, compresa quella
sentimentale, ma
mai avrei pensato al matrimonio, essendo fidanzata da solo un
anno con un tipo di nome Michael.
-Congratulazione
Barbie, sono contentissima per te.- le dissi abbracciandola, essendo
seduta
accanto a me.
Di
fronte a noi erano seduti Vincent e Steve e a capo tavola
c’era Freddie. Il nostro
tavolo era vicino ad una grande finestra.
Il
ristorante in cui ci aveva invitato era davvero un bel locale, come
aveva detto Vincent, raffinato ed
elegante. I colori predominanti erano il crema, il rosso e il nero. Il
crema delle
tovaglie, il rosso delle rose che circondavano gli angoli della sala e
che
riempivano i vasi al centro dei tavoli e il nero delle finestre e dei
quadri
che presentavano anche del bianco.
-E
quando te l’ha chiesto?- chiese Steve.
-L’altra
sera, a cena a casa mia. Stavamo vedendo Once
Upon a Time, le ultime puntate sapete, poi dopo qualche
secondo si è messo
davanti alla tv, sotto le mie proteste, si è inginocchiato e
mi ha fatto la
proposta, dandomi questo.- finì mostrandoci il suo anello
con brillante, che
risplendeva tra i suoi anelli indiani.
-E
come mai in ufficio non l’hai messo?- chiesi.
-Beh volevo farvi una
sorpresa.- sorrise con un sorriso smagliante.- Ovviamente siete
invitati tutti
al mio matrimonio.
I suoi occhi erano
luminosi e brillanti, e si vedeva che era contenta.
-Dunque ricapitolando
le situazioni sentimentali del nostro
ufficio…-iniziò Vincent fermandosi a
sorseggiare del vino bianco,- Barbie si sta per sposare, io sono single
ma le
pollastrelle non mi mancano, Steve è ancora cotto marcio
della sua Arabella
Thompson…
-Ehi!Io
non sono cotto di nessuna Thompson.- protestò il moro,
arrossendo.
-Sì
sì certo, poi Freddie? Tu come stai messo?
Io
intanto continuai a mangiare la mia fetta di carne condita da della
crema di
asparagi. Ora capivo come mai avesse ricevuto due stelle Michelin
-Io?
Oh beh io…sto uscendo con un ragazzo.
Lo
guardai…era pur sempre il mio ex…era normale che
una parte di me fosse ancora
legata a lui.
-Ma
davvero? E come si chiama e dove l’hai conosciuto?
– chiese il biondo.
-Si
chiama Edward e fa il barista in un locale in cui sono andato qualche
settimana
fa.- concluse con le guance imporporate di rosso.
-Ma
bene bene, contento per te! E dunque rimani solo tu…Jane.
Che ci dici di te?
Posai
la forchetta e guardai i miei colleghi che mi osservavano curiosamente.
-Oh…beh
io sono single.- risposi sorridendo.
-Ma
che peccato…posso farti compagnia io, se ti va, dolcezza.-
rispose maliziosamente
Vincent, ricevendo una mia occhiataccia.
-Oh
mai lei non ha bisogno di compagnia…conosce uno dei giovani
Ashling…- continuò
Barbie.
-Ashling? Non mi dire
che stiamo parlando di Heathcliff Ashling?- continuò
sorpreso il moro.
Heathcliff? Chi era?
Il fratello, forse?
-No,
lei conosce il fratello, Terence.
-Oh…ma
guarda guarda, la piccola Jane chi conosce. Ma sai che quel ragazzo
è cieco?
Ma
come? Price sapeva chi era Terence? E perché anche Steve e
Freddie
sembravano impressionati? Possibile che lo conoscessero? E
perché io non sapevo
nulla di questa famiglia?
-Sì,
è ovvio che lo sappia, non è difficile
capirlo…in ogni caso è solo un mio conoscente.
Nessuno si mettesse strane idee in
testa.- borbottai bevendo la mia acqua frizzante. La coca cola faceva
poco ‘chic’
in un locale del genere.
-Mhm,
comprendo!- mi fece l’occhiolino Barbie.
-Oh, ma
guardate! Lupus in fabula!- riprese Freddie.
Mi girai nella
direzione in cui il mio ex stava
guardando e vidi…, oh ma non era possibile! Terence stava
entrando nel
locale? Accompagnato da una sventola bionda e altissima?
-Oh
oh, e chi è quella bella pollastra?
Vidi che la
bionda aiutò Terence a sedersi ad un
tavolo in una posizione piuttosto centrale. Dovevano aver prenotato!
Dalla mia
posizione potevo vedere le spalle dello spaccone e il viso della bionda.
Prontamente dei
camerieri circondarono il loro
tavolo.
-Tu lo sai,
Jane?- chiese Steve.
Nuovamente gli
occhi di tutti furono su di me.
-No.
-Mhm…e
se fosse la sua ragazza?- propose Barbie.
-No!-
risposi prontamente- Terence mi ha detto che non vuole fidanzarsi con
nessuna.
-E’
strano però!…è molto bella! Avete
visto che gambe?!- continuò il biondo.
Era
davvero una bella ragazza, con un bel corpo fasciato da un abito rosso
e
slanciato da dei sandali alti e neri. Capelli vaporosi e grandi occhi.
-Già…e
se fosse una sua collega?- propose Steve.
-O
sua sorella?- chiese, quasi illuminata da un’idea, Barbie.
-Bah…ma
perché non vai a salutarlo, tesoro? Lo conosci, no?- chiese
Freddie.
-No,
non credo che sia il caso…sta cenando con una persona e non
penso…
-Ma
cosa! Vai Jane, è scortese da parte tu non salutare qualcuno
che conosci.
-Al massimo lo
saluterò se la ragazza si allontana, mi imbarazzo.- ammisi.
-Sì…e
se non si alza?
-Nah…tutte
le donne, quando sono a cena in un ristorante, si alzano almeno una
volta.-
rispose Barbie, fissando i due al tavolo centrale.
-Beh
vabbè…lasciamo che sia Jane a decidere cosa fare!
Parliamo di altro, okay? Oggi
è la serata di Barbie, parliamo di lei.- continuò
Steve, facendomi un'occhiolino.
Gli sorrisi
grata.
Ecco
perché mi stava simpatico quel ragazzo!
La
cena proseguì in maniera tranquilla, tra risate,
pettegolezzi, e buoni cibi.
Inutile negare, però, che il mio occhio cadeva sempre casualmente, sul castano e su
quella biondina.
Quando
la cena si concluse erano circa le undici e un quarto. Barbie
andò a pagare il
conto, e mentre i miei colleghi uscirono all’aria aperta per
una sigaretta, io
rimasi ad aspettarla.
Ad
un cero punto notai però che la biondina che faceva
compagnia a Terence, si
allontanò, andando verso il bagno, così presi un
po’ di coraggio e andai a
salutarlo.
-Buona
sera Terence.
Vidi
che girò il capo a destra e a sinistra.
-Profumo
di biscotti e caramelle…Jane? Sei davvero tu?- chiese
sorpreso.
-Sì,
sono venuta per una cena offerta da una mia collega e ti ho vista,
quindi sono venuta a salutarti.
-Oh, capisco.
Sembrava...teso…
-E
tu? Ho notato che…eri in compagnia.
-Sì…infatti.
E ora, te ne stavi andando?
Perché
nel suo tono notavo quasi della…fretta?
-Sì…Me
ne stavo andando…vabbè…allora niente,
ci sentiamo Terence.
-Ehi…scusa…non
volevo sembrarti scortese…solo che non è un bel
momento…allora a presto, ciao
Jane.
-Ciao.
Forse non era
stata una buona idea andare a salutarlo.
Sembrava quasi che volesse che me ne andassi. ‘ Non era un
bel momento’ Bah…chissà
perché? E se fosse realmente stata la sua ragazza e tutto
ciò che mi aveva
detto in proposito fosse stato solo una balla? Bah, non aveva
importanza! D’altronde
chiunque fosse stata quella tipa, a me non importava più di
tanto…
CONTINUA…
Ciaoo ragazzi!!^^
Oh, finalmente
sono riuscita a finire questo
capitolo!(che mi convince non molto, sono sincera '^^') Cosa ve
n’è parso?^^
Terence non
è molto presente, avete ragione, ma ho
preferito dare più spazio a Jane, alla sua vita lavorativa,
e alla sua amicizia
con Abbie.
Vediamo un altro
appuntamento, se così si può dire,
tra i nostri protagonisti che si terrà al centro di
riabilitazione e che avverrà , come
sempre, di venerdì, e l’arrivo dei modelli Calvin
Klein… ho una
già un’idea in merito…!
Poi sappiamo
anche che il nome del fratello di
Terence è Heathcliff (ieri ho comprato Cime
Tempestose, capitemi ^^)
E
infine
abbiamo la comparsa di questa bella biondona! Voi chi credete sia? Sono
curiosa!
Bene, ora posso
passare ai ringraziamenti. Volevo
ringraziare di cuore : Helmwige,
romy2007
(mi hai dato una splendida idea,
vedrò di metterla in pratica presto! ^_*),
e Sun_Rise93
per le loro mitiche recensioni…davvero mille grazie, siete
un grande sostegno per me…senza di voi la storia non
andrebbe avanti!
E poi grazie
tante anche alla già nominata: romy2007 e a angycullen, _Morgana96_
, d_ali,
Colette_Writer
, boobear26 per
aver aggiunto la storia alle seguite e
a: maliktomlinson
e Klaus_Elijah_Mickealson
per averla aggiunta alle preferite.
^_^
Mille
bacioni a tutti voi per il vostro sostegno
<3 Spero di non aver deluso nessuna aspettativa e alla prossima
;))
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo
sei
“Le
anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza.
I caratteri più solidi sono cosparsi di
cicatrici.”
KHALIL GIBRAN
La settimana
trascorse fortunatamente in fretta,
senza nessun particolare avvenimento degno di attenzioni.
Venerdì
era arrivato. Oggi mi sarei dovuta incontrare
con Terence, finalmente.
Il mio articolo
era quasi pronto, avevo sgobbato
come un mulo ogni giorno, finendo a mangiare solo qualche misero
biscotto per
cena, per non perdere tempo.
Avevo consumato
quasi un intero tubetto di
correttore per eliminare, o almeno cercare
di eliminare, quelle maledette occhiaie che rendevano il mio volto
più simile
alla sposa cadavere dell’omonimo film d’animazione
di Tim Burton.
Dovevo
però aggiungere, che ad aumentare il mio
livello di stress, c’era il fatto che non riuscivo a
togliermi dalla mente la
ragazza bionda che avevo visto con Terence qualche sera prima.
So
che a me
non avrebbe dovuto importare niente, ed era così
infatti…, ma qualcosa di
inspiegabile dentro di me mi spingeva a torturarmi la mente nel capire
chi sarebbe
potuta essere quella persona. Come se non bastasse, la mia testa era
anche
torturata dalla curiosità: come facevano tutti i miei
colleghi a sapere della
famiglia Ashling? Perché era chiaro che tutti loro
conoscessero questa
famiglia. E perché io non sapevo nulla? Dovevo assolutamente
togliermi ogni
dubbio, e se nei giorni passati non ero riuscita a ritagliarmi del
tempo per
chiedere loro come facessero a conoscere quelle persone, per via del
troppo
lavoro, beh…oggi l’avrei fatto…!
Aggiunsi delle
foto all’articolo, poi osservandomi
attorno diedi un’occhiata ai miei compagni
d’avventura. Freddie stava aiutando
Steve con il suo computer fisso, Vincent stava mangiando una Donut con
della
cioccolata e delle scaglie rosa sopra, e Barbie stava pigiando i tasti
della
sua tastiera velocemente…probabilmente intenta a scrivere un
nuovo ariticolo.
Dopo un
po’ mi schiarii la voce, attirando
l’attenzione di tutti.
-Ehm, scusate
ragazzi, posso farvi una domanda?-
chiesi guardando, uno per volta, i visi di tutti.
-Certo cara!- mi
sorrise cordiale la futura sposa.
-Sì…ehm,
mi chiedevo come mai voi tutti conosciate
la famiglia Ashling e io no! O meglio, l’altro giorno al
ristorante mi è
sembrato di capire che voi conosciate Terence e suo fratello, ma sono
così
famosi? Perché io non ne ho mai saputo niente?
Tutti si
lanciarono degli sguardi d’intesa.
-Te lo spiego
io, cara Jane, il perché.- rispose
Vincent, appoggiando la sua ciambellina su un fazzoletto, sulla sua
scrivania,-
vedi, uno dei tuoi più grandi difetti è che per
essere una giornalista, tu
scrivi giornali ma non li leggi. Perché se così
fosse, ti sarebbe sicuramente
capitato sotto mano, circa sei-sette anni fa, un giornale avente come
testata
il cognome Ashling. Questa famiglia era ,ed è, una delle
più importanti in
tutta la Scozia. Philippe Ashling, il “capo”,-
mimò con le dita le virgolette,
avvicinandosi a me.- era un imprenditore di successo, fondatore
dell’ Ashling
Corporation, una delle più importanti industrie di
pneumatici e pezzi interni
di automobili di tutta l’Europa. Beh…anni fa, la
famiglia fu scossa da vari
problemi, c’era chi parlava di banca rotta, chi di liti
familiari, poi si sentì
parlare anche di una forte rottura e una grave disgrazia,
ma…va anche detto,
che non si riuscì a capire molto in quanto i giornali, sia
cartacei che online,
furono tutti eliminati in brevissimo tempo. Il caso Ashling
finì perfino in
qualche telegiornale locale. Terence e suo fratello erano al centro
dell’attenzione, in quanto erano i probabili successori di
Philippe, ma
ripeto…purtroppo si sa molto poco in merito.
Rimasi
meravigliata nell’ascoltare tutte queste
notizie. Dunque, era così potente questa famiglia? Ma poi
Vincent era davvero a
conoscenza di tutte queste cose? Wow…e io che qualche tempo
prima chiesi solo a
Barbie cosa sapesse degli Ashling…qui tutti sapevano tutto
di tutti.
-Ma se voi
conoscete bene questa famiglia e i suoi
problemi, come fate a non sapere chi è quella bionda che
trovammo al ristorante?
-Beh Jane,- ora
era il turno di Steve,- sono pur
sempre passati molti anni, e comunque tolsero subito i giornali, come
ha detto
Price. Quel che sappiamo, lo sappiamo solo per via del fatto che
all’epoca era
una famiglia molto in vista…certo anche ora lo è,
ma…anni fa erano molto famosi
in certi ambienti, e poi noi conosciamo solo fatti riguardanti il
passato non
il presente.
-E comunque,
come già dissi, volendo potrebbe anche
essere sua sorella…sappiamo che sono tre i figli Ashling e
la più giovane
potrebbe essere stata minorenne all’epoca dei fatti, e dunque
neanche citata
negli affari di famiglia.- continuò Barbie.
-E non sapete
neanche perché è cieco?
-No! Furono
bruciati ed eliminati subito tutte le
cose che potevano riguardare quella famiglia. Si seppe solo che uno dei
due
figli era diventato cieco, ma davvero poco altro…- rispose
Price.
-Ma scusa
perché non rivolgi direttamente a lui, la
domanda? Vi state conoscendo, no?- domandò Freddie.
Da quando ci
eravamo lasciati, era come se si
sentisse in colpa per avermi mollato in quel modo, e quindi ogni volta
che
sapeva che conoscevo un nuovo ragazzo, mi dava consigli e mi spronava a
conoscerlo
meglio.
-Lo
farò…in ogni caso, grazie ragazzi! Mi avete
fatto sapere ciò che mi serviva.
-Ma
perché non provi a fare qualche ricerca sul
web?- propose Vincent.
-Sul web? Dite
che potrei trovare qualcosa?
-Beh
è possibile! Ripeto era ed è una delle famiglie
più in vista.
Annuii con il
capo, poi dopo qualche sorriso,
riprendemmo tutti il nostro lavoro.
Non sapevo se
fare qualche ricerca sul web mi
avrebbe effettivamente aiutato a capire qualcosa di più su
questa famiglia, ma
non mi permisi di fare nulla, ugualmente. Avrei conosciuto Terence
pezzo dopo
pezzo, senza pc o altro, non mi sarebbe sembrato corretto nei suoi
confronti.
***
Okay il mio
turno di lavoro, per oggi, era concluso.
Ridiedi
un’ultima occhiata alla mia immagine riflessa
nei grandi specchi del bagno dell’Edinburgh Fashion Magazine.
Avevo deciso di
vestirmi in un maniera abbastanza
sobria, con un Tailleur Pantalone nero abbinato a una camicia con
volant bianca
e a delle ballerine scure.
Mi ravvivai con
la mani i capelli, mi ritoccai il lucidalabbra
e poi uscii.
L’azienda
era quasi vuota, e io mi affrettai a
varcare la grande porta in vetro che mi separava dalla strada.
Un macchina nera
e lucida era parcheggiata proprio
di fronte ai miei occhi così come la figura slanciata ed
elegante di Terence
che, appoggiato alla portiera, sembrava guardare davanti a
sé.
Sembrava strano
vederlo, dopo aver ascoltato cose
sulla sua famiglia.
Mi schiarii la
voce.
-Buonasera
Terence, spero di non averti fatto
aspettare troppo.
-Oh Jane, salve.
No, siamo qui da poco, tranquilla.
Prego.- concluse aprendomi lo sportello ed accomodandosi nel profumato
abitacolo della sua Lamborghini, dopo di me.
-Salve Harrison.
Come sta?- domandai osservando
l’anziano autista allo specchietto anteriore.
-Oh molto bene,
signorina. E lei?- ricambiò il mio
sguardo e poi mise in moto.
-Tutto a posto,
grazie.- l’uomo mi sorrise.
Poi il viaggio
continuò in maniera silenziosa.
-Ci metteremo
molto?- domandai osservando Terence,
vestito in una maniera impeccabile, come sempre, con un completo grigio
e una
camicia di un pallido rosa.
-Circa un quarto
d’ora.
-Bene.
-Signore,
gradirebbe se accendessi la radio?- chiese
Harrison, rivolgendosi a Terence.
-Beh ci sono
uscito un’ora fa da un radio, Harry…ma
se Jane, vuoi ascoltare qualcosa, chiedi pure.
-Oh
sì, ho sempre amato ascoltare la musica mentre
sono in viaggio! Harrison può cercare una radio con musiche
anni ottanta?
L’autista
accese lo stereo, e dopo un po’ di
tentativi trovò una radio che faceva al caso mio, da cui
trasmisero Beat it di Michael
Jackson.
-Oh, guarda! Non
mi hai detto che ti piace Michael?-
chiesi, canticchiando il ritornello.
-Sì
infatti.- sorrise, probabilmente sentendomi
cantare.
Mimai anche con
le mani una chitarra, amavo questa
canzone. Harrison
scoppiò a ridere.
-Perché
ridi, Harry?- chiese Terence, nel suo solito
tono freddo.
-Oh signore,
nulla…ma la signorina Jane sta muovendo
le mani come se avesse una chitarra, ed è molto divertente.
Risi
anch’io…continuando il mio piccolo
“concerto”.
Terence
girò il capo verso di me, sorridendo.
-Peccato non
possa vederti.- sibilò sottovoce…ma
riuscii a sentirlo
lo stesso.
Poi quando la
canzone finì, ci fermammo ad un
semaforo rosso. Ora c’era una canzone degli Spandau
Ballet…ma non mi erano mai molto piaciuti.
Dopo qualche
minuto, Terence prese parola.
-Harrison?
-Sì
signore?
Io rimasi a
guardare fuori dal finestrino.
-Com’è
oggi Jane? E’ vestita bene? La ritiene
sufficientemente bella?
Girai il capo
sorpresa. Ma cosa diamine stava
chiedendo?
-Terence, ma
cosa cavolo…sei impazzito?- gli chiesi,
cercando di rimanere calma.
-Calma Jane, non
ho chiesto nulla che possa
irritarti. Sto solo ponendo un’innocente domanda al mio
autista.
Ma come faceva
ad essere sempre così …composto?
-E tu la chiami
innocente domanda?! Stai solo
chiedendo a qualcuno di porre un giudizio su di me…scusami!
-Eh beh Jane,
non scorgo nulla di altamente dannoso
per te, dunque Harrison?
Potevo prenderlo
a schiaffi? Sbruffone, antipatico,
rompiscatole e bla, bla, bla.
-Terence! Potrei
risultare io altamente dannosa per
te, se continui con queste domande stupide
e inopportune. -Sbraitai nervosa e imbarazzata.
Terence di tutta
risposta continuò a “guardare”
seriamente verso il suo autista.
-No signorina,
si calmi… dunque…- Harrison si
schiarì la voce, chiaramente imbarazzato,- è
vestita benissimo, signore! E poi
è una vera bellezza…una delle ragazze
più semplici ma allo stesso tempo più
affascinanti che abbia mai conosciuto.
Sentii le guance
arrossarmi. Wow…certo che
quell’uomo era stupendo. Che bellissime parole. Aveva fatto
scomparire la mia
precedente irritazione in poche semplici frasi. Perché
Terence non era così?
-Oh…
grazie mille
Harrison, lei è davvero una persona bellissima.- gli sorrisi.
L’uomo
ricambiò il
gesto e poi continuò a guidare, il testardo invece aveva il
viso volto al
finestrino…ero sicura che stesse ridendo, però.
Dopo pochi altri
minuti, l’auto si fermò davanti ad
un’imponente struttura bianca su cui
svettava la scritta: “The house of the rising sun”-
clinica-centro di
riabilitazione.
Dopo che
scendemmo,
salutai l’anziano autista, e prima che Terence varcasse la
porta della clinica,
lo fermai per un polso.
-Si
può sapere perché
hai fatto una domanda del genere ad Harrison? Potevi benissimo chiedere
a me
come fossi vestita.
Si
voltò nella mia direzione,
liberandosi dalla mia presa. Poi si avviò vicino alla grande
porta in legno
della clinica, ma prima di oltrepassarla, mi rispose.
-Infatti non ho
chiesto solo come tu fossi vestita,
anche se effettivamente non mi ha risposto…ma se ti
ritenesse bella, e a questa
domanda tu mi hai già detto la tua, e volevo sapere cosa ne
pensasse il mio
autista…perché sai, Harrison è la
persona più sincera che conosca. -poi varcò
la soglia.
Pronta per
ribattere,
mi fermai a fare due più due. Dunque Terence aveva chiesto
al suo autista di dirmi
se mi ritenesse bella, e quest’ultimo aveva risposto che mi
trovava
affascinante. Poi lui aveva aggiunto che il suo autista era sincero.
Possibile
che fosse un modo indiretto per farmi avere un complimento? Terence
sapeva che
il mio livello di autostima non era molto alto, quindi…forse
il suo voleva
essere un gesto cortese…bah, avevo già detto che
era un tipo strano?!
Lo raggiunsi,
sorridendo tra me e me.
Poi lo vidi
chiacchierare con una donna dal caschetto nero.
Mi avvicinai, e
lo
sguardo della donna si posò su di me. Mi schiarii la voce,
per far notare allo
spaccone che ero arrivata al suo fianco.
-Bene Mary
Margaret,
lei è Jane Ryan, giornalista per l’Edinburgh
Fashion Magazine. Siamo qui oggi,
perché lei vorrebbe porre qualche domanda ad alcuni dei miei
vecchi amici, in
merito ad un lavoro che le è stato assegnato.
-Sì
infatti. Se per la
clinica non è un problema, vorrei fare alcune domande a dei
pazienti che presentano
delle disabilità fisiche. Vorrei conoscere quel è
il loro rapporto con la moda,
per un servizio che mi è stato assegnato.
La bruna, nota
come
Mary Margaret, annuì con il capo guardandomi.
-Certo, certo!
Nessun
problema. La pregherei solo di non porre troppe domande ai
pazienti…sono
persone che hanno dei problemi, e sentirsi sottolineare di continuo i
loro
handicap, aggrava la loro situazione psicologica, quindi non si
trattenga
molto. E inoltre preferirei che non fosse fatto il nome della clinica.
Sbagliavo o il
suo tono
di voce era antipatico? Bah…non mi piaceva molto questa tipa.
-Assolutamente,
signora, promesso.
-Beh le promesse
dei
giornalisti non sono mai da prendere troppo sul serio, ma lei ha una
faccia
pulita, quindi le darò fiducia. Angela, accompagna Terence e
la signorina al
quarto piano, per favore.- concluse rivolgendosi a una giovane donna
dai
capelli rossi coperti da un capello da infermiera, bianco.
Ero abituata ai
pregiudizi che la gente faceva sulla classe dei giornalisti, quindi mi
limitai
a guardarla e a rimanere in silenzio. D’altronde come diceva
Einstein: “E’ più
facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.
Appoggiai la mia
mano
sul braccio di Terence, come da lui chiesto, e poi salimmo in un
ascensore.
Il centro di
riabilitazione non era per nulla sgradevole. Certo l’odore di
medicinali e farmaci,
sottolineavano il fatto che si trattasse di una clinica,
così come le candide
pareti e le semplici e tipiche piante verdi ospedaliere, ma per il
resto il
clima era piacevole.
-Angela,
potresti
accompagnarci alla camera sette? Vorrei che la mia amica intervistasse
Tony e
gli altri.
La donna
annuì, poi ci
scortò davanti ad una stanza, a cui bussò.
Aprì la porta e davanti ai miei
occhi mi si presentarono tre persone. Un uomo, sui
cinquant’anni, sulla sedia a
rotelle intento a giocare a carte con una donna, sua coetanea
probabilmente,
stesa su un letto e coperta da un lenzuolo bianco, e una donna
più giovane
invece, che distesa su un altro letto aveva un libro in mano e che, con
le
palpebre chiuse, tastava con l’indice riga per riga. Che
fosse cieca?
-Ragazzi, avete
visite!
E voi giovanotti, potete rimanere solo un’ora.-
esclamò l’infermiera, prima di
chiudere la porta e andarsene.
-Terence,
figliolo. Vieni giusto in tempo per la
partita!- esclamò l’uomo sulla carrozzella.
Guardandolo
meglio mi accorsi che aveva due grandi
occhi azzurri e una leggera barba brizzolata.
-Ehi Tony! Sai
che mi
piace farvi visita. Oggi, però, sono venuto non solo per
farvi compagnia ma per
chiedervi anche un favore. La ragazza al mio fianco,- gli occhi dei
presenti si
posarono su di me,- si chiama Jane Ryan, ed è una
giornalista per l’Edinburgh
Fashion Magazine. E’ qui oggi con me, perché
vorrebbe farvi qualche domanda in
merito ad un progetto assegnatole…qualche obbiezione?
-Oh
assolutamente no.
Io amo quel giornale…ma a proposito mi chiamo Charlotte.- si
presentò la donna
che stava giocando a carte, mostrandomi un caloroso sorriso e
aggiustandosi i
tondi occhialetti sopra il naso.
-Io sono Tony.-
mi
strinse la mano l’uomo.
-E io sono
Lizzy.-
concluse la ragazza, secondo me cieca.
Strinsi la mano
a
tutti.
-Salve a tutti
ragazzi,
onorata di conoscervi. Come ha detto Terence, sono Jane e faccio la
giornalista. Il mio capo mi ha affidato un compito secondo il quale
devo
informarmi circa il rapporto tra l’universo della moda e
quello delle
disabilità. Il mio articolo è quasi concluso, ma
vorrei terminarlo
definitivamente aggiungendoci delle testimonianze di persone di tutti i
giorni,
che vivono la quotidianità come voi. Se mi date il vostro
permesso vorrei farvi
qualche domanda.
-Per me, come ho
detto,
va benissimo, se vuole può iniziare da me.-
esclamò entusiasta Charlotte,
posando le carte sul comodino accanto a sé.
-Neanche per me
ci sono
problemi…potremmo diventare famosi…ma Charlie,
non pensare che la partita
finisca qua, a dopo.- disse Tony, allontanandosi sulla sua sedia, e prendendo un giornale da
sotto il suo
cuscino.
-Sì
sì vecchiaccio,
vedrai che round…- rispose orgogliosamente la donna.
Risi
così come Terence
per il tono di voce che usarono queste simpatiche persone.
-Per me, anche,
va
bene.- rispose la ragazza con il libro in mano.
-Benissimo!
Dunque…-
presi il mio quadernetto e la mia penna,- iniziamo dalla domanda
fondamentale:
Qual è il suo rapporto con la moda, Charlotte?- domandai
prendendo una sedia
che trovai vicino a una finestrella.
Terence invece,
rimase
vicino alla porta.
-Oh beh,- mi
sorrise
timidamente,- io amo lo stile di Marylin Monroe e di Audrey
Hepburn…quando ero
una ragazza ero solita vestire con gonne ampie e camicette che
mostrassero il
mio vitino da vespa…purtroppo, poi…anni fa mi
ammalai di una malattia che implicò
l’appuntamento delle gambe. - si scostò il
lenzuolo bianco mostrando dei
pantaloni di pigiama, riempiti fino al ginocchio, per il resto
vuoti…mi sentii stringere
il cuore.
-E adesso, sono
costretta
a farmi aiutare sempre, e a stare seduta su una sedia a rotelle. Non ho
più un
rapporto con la moda. Mia figlia, ogni due mesi fa shopping anche per
me,
comprandomi qualche maglietta o qualche vestito, ma sono sincera se le
dico che
indosso unicamente una gonna che indossavo anche quando potevo
camminare, ma è
lunga e larga! Amo vedere sfilate, leggere riviste di moda come quelle
per cui
lei lavora, ma…ormai non sono entusiasta come un tempo per
queste cose…insomma,
mi guardi…non ho più le gambe…cosa
potrei più mettere e mostrare?
-Beh signora, io
la sto
guardando e, me lo lasci dire in tutta onestà, vedo una
donna davvero bellissima.-
gli occhi della donna si palancarono, sorpresi e emozionati.- Posso
immaginare
che ora le cose siano cambiate, ma guardi…-estrassi dalla
borsa le foto che
feci nell’ufficio di McDuff.
-Oh
meravigliose…guarda
Tony.- Charlotte prese le foto e le diede in mano all’uomo.
-Forti quelle
cravatte.
- esclamò Tony.
-Già…avete
visto?…Questi
modelli sono persone su sedie a rotelle, presentano dei problemi a
livello
fisico, eppure…guardate quanta classe e quanto stile
mostrano. Purtroppo, va
detto, che nei tempi d’oggi si ha un canone di bellezza che
spinge a dover
indossare unicamente certe taglie e a dover indossare solo alcune cose,
ma…si
fidi se le dico, anzi se vi dico, che vi vedrei benissimo con questi
vestiti.
-Grazie
signorina, è
gentile! Ma non è facile, sa?- mi chiese l’uomo.
-Posso
immaginarlo
signor Tony, ma quando la vita mette davanti dei grandi ostacoli come
quelli che
vi siete trovati voi, beh…dovete essere grintosi,
forti…guardare il mondo a
testa alta, perché non siete inferiori a nessuno. Anche voi
potete concedervi
dei capi di alta moda…vi faccio un esempio, tramite mie
ricerche vi posso
citare Jillian Mercado, giornalista nonché modella
ventiseienne, presa per una
campagna di moda per la Diesel. Questa ragazza soffre di distrofia
muscolare e
a causa di questo è costretta a stare sulla sedia a rotelle,
ma fidatevi se vi
dico che è davvero fashion.
-Oh soffre del
mio
stesso problema, allora.- disse Tony.
-Mi piace questa
ragazza, Terence, hai fatto bene a portarcela. –
esclamò Lizzy.
Mi alzai in
piedi e mi
avvicinai al suo letto, notando che aveva le pupille biancastre e che
aveva il
capo non volto verso di me.
-Grazie Lizzie.
Che
dici, vuoi parlarmi tu ora del tuo rapporto con la moda?
Mi permisi di
dirle del
tu, perché sembrava più giovane di me.
-Sì
sì, volentieri! Io
sono cieca, quindi dal punto di vista fisico posso indossare qualsiasi
capo,
nel senso che fortunatamente non ho nessun problema, come purtroppo i
miei
amici di stanza. Ma è ugualmente difficile il mio rapporto
con i capi
d’abbigliamento. Purtroppo…non mi funzionano gli
occhi, come faccio a scegliere
un vestito piuttosto che un altro? Posso dirle,
però…che mi aiuta il tatto in
queste situazioni.
-In che senso?-
domandai prendendo appunti.
-Beh con le dita
tocco
i materiali, tocco i particolari che possono esserci, i bottoni, i
filamenti
che possono non essere cuciti bene, le tasche, le rifiniture, la
lunghezza…l’unico
problema sono i colori.- ci rise sopra, aggiustandosi una ciocca dei
lunghi
capelli castani, dietro l’orecchio.
-Capisco…quindi
ti fai
aiutare da qualcuno?
-Sì
da mia sorella. Ora
non faccio shopping da circa tre mesi, perché sto facendo
degli
esercizi…diciamo così, per
riabilitarmi…non sono cieca da molto tempo,
perciò
ho bisogno di tempo e aiuti.
Buttai un occhio
sul
libro che stava leggendo e che ora era posato sulle sue gambe. Notai
presentare
dei pallini in rilievo…il sistema Braille.
-Ho capito!
Dunque
signori, se non ho capito male…tutti avete problemi con i
capi d’abbigliamento!
A parte Lizzy, lei Tony e lei Charlotte avete maggiori
difficoltà a scegliere
dei capi che vi stiano sia comodi e che vi piacciano?
Mi alzai dal
letto di
Liz e mi avvicinai a Tony e Charlotte.
Terence, intanto
si era
avvicinato alla finestra e aveva il capo rivolto davanti a
sé.
-Sì…è
esatto. Quando
mio figlio, la domenica, mi porta al centro commerciale ho sempre
difficoltà
nel trovare dei pantaloni comodi e eleganti…tutti i
materiali sono come…duri e
stretti. Mi scoccia essere costretto sempre a indossare ridicoli
pantaloncini
con stampe hawaiane, ma che sono elasticizzati e quindi più
comodi.
-E poi sa cosa?-
intervenne Charlotte,- le commesse…appena mi vedono
è come se vedessero un
fantasma…non sanno consigliarmi, si allontanano, mi
propongono capi scialbi…e
la difficoltà nell’indossare i pantaloni e le
gonne, signorina, lei la sa? No,
non le dico…una difficoltà immane.
Annuii col il
capo.
-Posso
immaginare… mi è
tutto chiaro.
Dopodiché
osservai il
mio orologio da polso, notando che si erano fatte già le sei
e mezza.
-Quindi
signorina,
adesso cosa scriverà?- mi domandò Tony.
-Beh, la
verità. Voglio
che questo articolo di giornale mostri tutti i lati della moda,
soprattutto
quelli negativi. Il rapporto tra l’universo degli handicap e
quello del fashion
è un rapporto, al momento, parallelo…non ci sono
molti punti di contatto. Ecco
io vorrei sottolineare che si dovrebbe fare di più per le
persone come voi, o
anche per la gente di tutti i giorni che non ha un fisico da modella.
Certo ho
anche notato che ci sono delle campagne che si occupano della moda per
persone
con handicap, ma si può e si deve far di più.
-Ma i
giornalisti
stravolgono sempre la verità…lo farà
anche lei?- mi domandò Lizzie.
-No, Liz, ti
prego…non
fare dei pregiudizi sulla mia classe lavorativa anche tu…mi
basta Mary
Margaret.- scherzai.- Comunque…no, sono una persona onesta e
scriverò la
verità…senza stravolgere nulla, anche
perché, sebbene io ami la moda, so che non
è un mondo meraviglioso, come tutte le rose belle ha anche
lui le sue spine.
-E’ in
gamba Jane,
brava. – mi sorrise Charlotte.
-Le va una
partita a
carte?- mi propose Tony.
Guardai Terence
anche
se lui non poteva guardarmi.
-Che dici
Terence,
posso farla?
-Non mi
permetterai mai
di decidere per te. Vorrà dire che io, nel frattempo,
leggerò con Lizzy. Vero
ragazzina?- si avvicinò al letto della brunetta.
-Oh certo Terry.
–
sorrise la ragazza.
E fu
così che
trascorremmo la restante parte della nostra ora.
Ovviamente
la partita a carte fu vinta da me e
Charlotte, mentre Terence scorrendo l’indice sulle righe del
libro, leggeva a
Liz. Sembrava felice e lo vedevo anche sorridere.
-Bene, Jane.
– si
schiarì la voce ,ad un certo punto.- Se per te è
tutto, direi di andare.
Avvicinò
il suo
orologio da polso all’orecchio e dopo aver spinto un
bottoncino, una voce
meccanica disse : “Sono le sette e venticinque
minuti.”
-Come potrai
aver
sentito sono le sette e venticinque, dunque fra cinque minuti finisce
il turno
delle visite.
-Oh
capisco…e allora,
niente…grazie ragazzi per l’aiuto. Spero di non
essere risultante stressante,
invadente o altro…
-No,
assolutamente.
Grazie signorina per le belle parole.- mi rispose Charlotte.
-Sì
è stata forte.-
aggiunse Tony.
-Mi piace
proprio.- concluse
Lizzy.
Sorrisi. Amavo
quando
le cose andavano così.
-Grazie a voi di
tutto
cuore. Vi prometto che sfornerò un articolo ineccepibile e
farò anche un bel po’
di cattiva pubblicità alle case di moda snob con le taglie
impostate. Alla
prossima.
-Alla prossima,
ciao
Jane. E ricordati di portarci una copia del tuo giornale.- concluse
Charlie.
Annuii.
Mi salutarono e
uscii,
mentre Terence rimase a salutare i suoi amici. Riuscii persino a
sentire, da
parte di Tony, un “non lasciartela scappare”.
Ridacchiai fra me e me.
La risposa di
Terence però non riuscii ad
ascoltarla. Proprio in quel momento passò l'infermiera per
farci andare.
***
Usciti dalla
grande
porta della clinica, una fresca folata di vento ci
accarezzò. Alzai il capo al
cielo, notando che nel manto già scuro, delle tetre nuvole
violacee coprivano
le stelle. Pioggia in arrivo! Eppure in mattinata c’era stato
anche il sole,
però ad Edimburgo era così…nuvoloni e
pioggia frequenti.
-Comunque,-si
schiarì
la voce Terence,- a Mosca, in Russia, so che tra gli eventi legati alla
Mercedes Benz Fashion Week, c’è stata una sfilata
dedicata alle diversità.
Persone affette da nanismo, in sedie a rotelle o altro, hanno indossato
i capi
delle migliori firme.
-Davvero?-
domandai
curiosa.
Questo non
l’avevo
trovato. Forse lui ne sapeva qualcosa per via
dell’automobile: la Mercedes. Nel
pomeriggio avevo scoperto che la sua famiglia si occupava di macchine.
-Sì.
Annuii tra me e
me,
sarei andata ad informarmi meglio. Dopo qualche secondo mi
squillò il
cellulare.
-Ehi Abbie,
dimmi
tutto.
-Ciao baby. Stai
ancora
lavorando?
-No, sono appena
uscita
dal centro di riabilitazione, e quindi ho finito per oggi.
-Oh capisco.
Senti Tom
e gli altri mi hanno chiesto se tu e Terence venite al solito locale,
oggi.
-Ah…aspetta
un secondo,
che lo chiedo a Terence.
-Okay.
Appoggiai il
cellulare
sul mio petto e mi rivolsi a quel bell’imbusto.
-Terence,
è Abbie. Mi
chiede se andiamo al locale dove ci siamo incontrati questi
venerdì.
Vidi che ci
pensò un
attimo.
-Tu? Ci vuoi
andare?-
passò la palla a me, adesso.
Bhe…sinceramente
mi
attraeva più l’idea di stare da sola con Terence,
che stare insieme a Mary Anne
e agli altri, con cui non avevo ancora tanta confidenza.
-Mhm…non
tanto.
-Bene.
Neanch’io
allora. Non ci andremo.- rispose freddamente, ma…mi parve di
vedere l’ombra di
un sorriso sul suo volto.
-Ehi Abbie,-
riavvicinai
l’apparecchio all’orecchio.- No, non veniamo.
-Oh…volete
uscire da
soli come due fidanzatini, immagino…- ridacchiò.-
bene, allora ci vediamo
stasera a casa. Non so di preciso quando torno.
-Non farti
strane idee
tesoruccio,- risi- comunque sì, va bene. Un bacione e buona
serata.
-Anche a te
baby! Ciao…ah
un attimo, quasi dimenticavo…
-Cosa?-
domandai, quasi
allarmata.
-Puoi chiedere a
Terence se ha deciso il giorno in cui farmi vedere le sue macchine? Ti
parlai
dell’inserto che voleva aggiungere Sandra…
-Certo ti ho
dato io il
numero di Terence…aspetta un attimo, allora.
-Terence, Abbie
mi
chiede se hai deciso il giorno per farle vedere le tue auto.
-No. Dille che
glielo
riferirò appena possibile.
Riferii
ciò che mi era
stato detto, e dopo aver salutato Abbie, spensi il telefono e lo rimisi
in
borsa. Eravamo ancora davanti alla clinica.
-Beh…-
mi schiarii la
voce.- hai in mente qualcosa, oppure…ognuno torna a casa
propria?
Ma
perchè Harrison non
c’era?
-Perché
non vuoi andare
al solito locale?- sviò la mia domanda, sorreggendo il suo
“James” e iniziando
a camminare davanti a sé.
E ora dove stava
andando?
-Mhm…perché
non mi
trovo ancora molto bene con gli altri, cioè alla fine si
vede che sono tutti
fidanzati e io mi sento un po’ a disagio a volte, poi
c’è Mary Anne che
sinceramente mi innervosisce e non poco.- ammisi seguendolo e posando
la mia
mano sul suo avanbraccio.
Lui
allontanò la presa
per poi prendermi per mano. A quel gesto sentii un attimo il cuore
accelerare…ma perché accelerava?
-Capisco. Ah…ti dispiace se
ti tengo per mano? Sai…ti
facilito il tuo “lavoro” da guida.
-N-no certo che
no!...E
tu?- domandai a mia volta.
-Cosa io?
-Perché
non vuoi andare
al locale con gli altri?
-Beh io
perché ormai
conosco bene tutti i ragazzi, tranne te e Abbie, per cui…non
mi sarei divertito
molto. Poi quasi sempre si finisce che loro vanno a ballare e io
rimango
solo…quindi…
-Oh…certo
che sono
scortesi! Che razza di comportamento è mai questo?! Okay che
sono tutti
fidanzati, ma per lo meno possono rendere partecipe tutti visto che non
sono
solo loro.
Anche la prima
volta
che avevo incontrato Terence, erano andati a ballare lasciandolo solo.
Non era
un bel comportamento, secondo me.
-Ormai ci sono
abituato…non bado più al comportamento di molta
gente.
Continuammo a
camminare.
-E dunque
conoscevi già
Tony, Lizzy e Charlotte?
-Sì,
certo. Li vengo a
trovare ogni venerdì.
-E vieni a
trovare
anche altre persone?- domandai, mentre lo aiutai a svoltare ad un bivio.
-Sì.
Conosco molte
persone in quella clinica. Ti ho presentato solo loro,
perché sono i
più…socievoli, diciamo così. Sapevo
che avrebbero accettato felicemente di
farsi intervistare.
-Oh
capisco…e quindi
anche tu sei stato qui, anni fa?
Strinse la presa
sulla
mia mano…lo sentii irrigidirsi.
-Sì.-
mi rispose soltanto.
Okay, forse era
meglio
non toccare più questo tasto.
-Circa sei anni
fa fui
ricoverato in questa clinica…poi rimasi per svariati mesi,
quasi un anno…per
abituarmi alla mia nuova condizione.- continuò.
Evidentemente
era un
tasto dolente per lui parlare di queste cose, ma in un certo
senso…si sentiva
più leggero quando ne parlava.
-Quindi sei anni
fa…diventasti cieco?
-Esatto.
Sei anni di
oscurità,
sei anni di nero, sei anni di buio.
Il cuore di
Terence
doveva essersi raffreddato molto…ma come biasimarlo,
d’altronde.
-Comunque,
grazie
Terence per avermi aiutato con il mio progetto.
Girò
il volto verso di
me per qualche secondo, poi ritornò sulla strada di fronte.
-Non
c’è bisogno di
ringraziarmi. Mi devi un favore e quindi sei in debito con me.- sorrise
malizioso.- E dunque il tuo lavoro è concluso?-
cambiò discorso.
-Debito? Quale
debito?
In ogni caso sì, diciamo che ho concluso. Vorrei dare
un’ulteriore occhiata a
quel progetto di cui mi hai appena parlato, ma ormai ho raccolto
abbastanza
ricerche, foto e testimonianze da stilare un articolo come si deve.
Lunedì
prossimo il lavoro dovrà essere concluso, in quando
martedì lo dovrò far
controllare al mio capo, e tutta la settimana che si aprirà
la userò per
scrivere e preparare tutto il lavoro. Ma pensandoci tu mi dicesti di
voler
essere intervistato…vuoi ancora che ti ponga delle domande?
-No. Ho cambiato
idea!
E poi la mia versione non sarebbe molto diversa da quella di Lizzie.
Anch’io mi
aiuto con il tatto quando devo andare a fare spese, con
l’eccezione che non mi
aiuta mia sorella con i colori ,ma Harrison…devo dire che ha
buon gusto
quell’uomo.
-Comprendo. Ma,
se
posso chiedere, dove stiamo andando?
Ora ci fermammo
ad un
semaforo rosso. Guardandomi attorno mi resi conto che eravamo vicino
alla New
Town.
-Da nessuna
parte, in
particolare. Quando vengo a trovare alcuni miei vecchi amici in
clinica, faccio
aspettare Harrison. Generalmente, dopo la visita, facciamo una
passeggiata
insieme fino Princes Street. Ti va di farla con me?
Non conoscevo
bene la
zona, ma Terence sembrava essere molto sicuro della strada che stavamo
percorrendo.
-Assolutamente
sì. Ma,
a proposito di Harrison, dov’è?
-Gli ho dato
delle ore
libere e quindi suppongo che sia con la donna che ama.
L’hanno chiusa in
un pensionato, povera donna!
-Oh, mi spiace!
Sembra
davvero un brav’uomo il tuo autista.
-Lo
è, infatti! Ma
dimmi, mi leggerai il tuo articolo, quando sarà pronto?-
chiese, adesso.
-Se ti
farà piacere,
certo che sì…
-Bene! Sai Jane,
si
vede che ti piace molto il tuo lavoro.
-Sì?
Ed è così infatti.
Amo scrivere e amo la moda, e il mio lavoro è un connubio
perfetto. E il tuo? Ti piace fare lo speaker radiofonico?
-Beh, tutto
sommato non
disdegno neanch’io il mio lavoro. Purtroppo non è
che abbia molta scelta dal
punto di vista lavorativo!…ma mi piace poter usare la mia
voce e permettere
alle persone che ascoltano la nostra radio di svagarsi un
po’, magari
ritornando anche indietro nel tempo, con la musica di altri anni.
E che voce, la
sua! Era
calda, profonda e affascinante come lui.
-Sì,
lavorare in una
radio non deve essere per niente male!
-Sì,
non è male per
niente. E qual è l’articolo che più ti
è piaciuto scrivere?
Si vedeva che
voleva
intavolare delle conversazioni con me, era interessato a conoscermi, ma
voleva
che conoscessi poco lui.
-Mhm…beh
tutto ciò che
ho scritto mi ha sempre entusiasmato, però devo dire che
ricordo con piacere
che il mio primo vero articolo lo feci parlando di una collezione di
Tommy
Hilfiger. Mi piace tanto questo stilista, quindi fui entusiasta quanto
parlai dei
suo capi!... Sai non è che appena misi piede all’
Edinburgh Fashion Magazine,
subito mi misero a scrivere articoli. Ero più il fattorino
del giornale…portavo
caffè a destra e a manca, facevo fotocopie, servivo tè durante le riunioni, e
roba così, quindi fu davvero emozionante
scrivere della collezione di uno stilista così famoso.
-E da fare la
factotum
del giornale, come arrivasti a scrivere tuoi articoli?
-Un concorso! Si
tenne
un concorso in cui bisognava scrivere un articolo sulla collezione
Hilfiger, io
mi ci buttai a capofitto e il mio articolo fu scelto tra tanti.
Ovviamente non
ebbi la prima pagina, ma iniziai a farmi vedere e il mio stile piaceva
a quello
che è il mio attuale capo, e quindi… Certo
è che, sebbene siano passati quasi
quattro anni, continuo a correggere bozze e spesso finisco ancora a
servire
caffè, ma per fortuna ho anche svariate occasioni di
mostrare quel che valgo e ho
un ufficio in cui lavoro con persone competenti.
Era bello
passeggiare con Terence, circondata dai
lampioni, intenta nel vedere la vita di molti scozzesi. C’era
chi stava
chiudendo la propria bottega, chi entrava in un cinema o in un negozio.
Avvicinarsi alla New Town implicava non sentirsi mai soli, ma sempre
circondati
da calore e da tanti turisti che venivano ad ammirare la mia bellissima
nazione.
Ad un certo
punto lo
fermai, per permettere ad un cane di passare.
-Che succede?-
mi
domandò, curiosamente.
-Sta arrivando
un cane,
meglio farlo passare.
Annuì
con il capo, e
dopo qualche altro secondo riprendemmo il cammino.
-Capisco. Hai
una bella
parlantina, infatti. Scommetto che anche il tuo modo di scrivere
è bello
scorrevole. Ma dimmi, pensi davvero tutto ciò che hai detto
in clinica? Che le
persone con handicap non sono inferiori a nessuno?
Sembrava quasi
che con
queste domande volesse mettermi alla prova.
-Assolutamente
sì. Non
sono una ciarlatana che dice le cose tanto per. Il fatto di essere
diversamente
abili non implica essere inferiori alle altre persone. Nessuno
è inferiore o
superiore agli altri…anche se alcuni pensano il contrario
solo perché hanno
potere e soldi.
-Potere e
denaro, la
rovina del mondo! A volte, ti stupirai nel sentirtelo dire Jane, ma
sono quasi
contento di non vedere nulla. Il non vedere la corruzione, il potere,
il male
che certi individui fanno mi allevia il dolore…la
povertà, la sofferenza…ci
sono, ma non vederli forse fa meno male.- rispose seriamente.
Si vedeva che
era un ragazzo dai sani principi.
Aveva detto della parole così vere.
-Già…-
mi limitai a dirgli.
Dopo qualche
altro
minuto silenzioso, sentii un qualcosa di freddo bagnarmi la guancia.
Alzai il
volto al cielo, e…ecco, come immaginavo! Stava iniziando a
piovere.
Cercai con la
mano
libera l’ombrello in borsa.
Da brava
scozzese
dovevo sempre averne uno a disposizione.
-Senti anche tu
che sta
iniziando a piovere?- domandai, continuando la mia ricerca.
Maledette borse.
Più
grandi le avevi e più non trovavi niente.
Trovato
finalmente
l’ombrello, lo aprii, alzandolo sopra di noi.
-Beh ancora no,
a dir
la verità. Deduco che sia ancora una pioggia debole.
Furono pochi
attimi e
la “pioggia debole” si trasformò in un
vero e proprio acquazzone. Dannazione ci
mancava solo questa!
-Era meglio se
non
parlavo.
Risi per il modo
in
cui disse la frase. Poi notai che l’ombrello non copriva
molto bene entrambi,
e la spalla di Terence rimaneva scoperta.
-Terence ti stai
bagnando, avvicinati di più.
-Non
preoccuparti. E’
meglio che mi bagni io piuttosto che tu.- rispose prontamente.
Mi girai verso
di lui
alquanto sorpresa da questa frase.
-Mi stai
osservando,
Jane? Ti converrebbe più guardare la strada visto il mal
tempo.
Si accorgeva
sempre di quando lo osservavo.
-Ti stavo
osservando
perché la tua frase mi ha sorpreso…è
stata bella e dolce.- ammisi evitando un
palo.- Mi dicesti che sarebbe stato difficile scorgere delle
virtù in te e
invece…sto iniziando a cogliere delle sfumature di
gentilezza nel tuo essere.-
continuai, stringendomi nella mia giacca.
Stava tirando un
vento
piuttosto freddo.
-Sbaglio o ti
dissi, in
treno, che ero un ragazzo cortese?!- piegò le labbra in un
mezzo suo sorriso,-
ma comunque, credo tu confonda la gentilezza per
l’educazione, Jane.
Ritornò
serio.
-Se la metti su
questo
piano anche l’educazione può essere considerata
una virtù, soprattutto se si
considera che al giorno d’oggi non tutti ne hanno una.
-Sono
d’accordo su
quest’ultima tua frase, ma sul fatto che
l’educazione sia una virtù no.
L’educazione, infatti, è un qualcosa che ci viene
insegnato, mentre le virtù
sono quelle cose che una persona possiede già nel cuore.
Quando parlava
sembrava
quasi un libro di aforismi. Mi piaceva il suo modo di parlare.
-E va bene,
mettiamo
che tu abbia ragione, è proprio per questo che ho detto di
vedere della
gentilezza in te, e non ho parlato subito di educazione.
-Io non penso di
essere
gentile, ma mi fa piacere sapere che tu abbia visto in me un valore
così bello,
Jane. Alla fine come diceva il tuo amato Oscar Wilde, tutti noi abbiamo
dentro Inferno
e Paradiso, quindi avrò anch’io del buono.
-Sicuramente hai
in te
del buono.
-Mhm…quindi,
ora che mi
ci fai pensare, se ritieni di aver visto un po’ di luce buona
in me, mi ritieni
più bello?- domandò maliziosamente.
-No, ho bisogno
di più
tempo!- ribattei sorridendo.
-E va bene!-
sorrise-
Comunque, noti qualche palazzo sotto cui poterci riparare? La pioggia
continua
imperterrita.
Girai il capo in
varie
direzioni, fino a scorgere un palazzo, con una piccola tettoia
sporgente.
-Sì
l’ho visto.
Dobbiamo procedere dritti e poi attraversare.
-Perfetto.
Ci avviammo
verso la
nostra meta.
Arrivati notai
che si
trattava di uno stabile abitato. Sulla parete sotto la tettoia
c’era un
citofono con vari cognomi e degli scalini in marmo bianco che portavano
al
portone.
Chiusi
l’ombrello,
scuotendolo un po’, poi aiutai Terence ad appoggiarsi al muro
del citofono e
così feci anch’io.
-Uff, certo che
non ci
voleva proprio questa pioggia!- esclamò passandosi una mano
nei capelli,
leggermente bagnati.
-Già…il
nostro è un bel
paese ma troppo piovigginoso.
-Ahimè
è proprio così.
In ogni caso, hai fame?
-Uhm…un
po’, sì. Tu?
-Un
po’ anch’io…quando
smette di piovere ti va di andare a mangiare una crepe alla nutella?
-E come potrei
rifiutare una proposta così alettante? Ovvio che
sì…sempre però, sperando che
smetta di piovere.
-Oh
sì che smetterà. Dovresti
sapere benissimo che da noi la pioggia non dura molto.
-A volte, ma
altre può
anche non finire mai. Comunque ci pensi, da stare sui comodi sedili
della prima
classe sul treno, ora ci troviamo sotto un
portone…è comica la situazione.- osservai.
Rise.
-Già!
Ma in ogni caso,
penso che non sia tanto importante il dove ma con chi si sta in un
posto, e non
mi lamento ora come ora.
-Quindi la mia
compagnia non è tanto male?- lo fissai, incrociando le
braccia al petto.
-Non ho mai
detto che
la tua compagnia mi dispiace Jane. Sei una creatura curiosa, su questo
non ci
sono dubbi, e mi pare di avertelo detto.
Mi lusingavano
le sue
parole.
-Ti ringrazio.
Però non
riesco ancora a capire cosa ti incuriosisca di me…sono una
persona
assolutamente comune, senza nulla di speciale.- ammisi sinceramente.
Era vero. Ero
una
persona completamente normale.
-Sono proprio le
persone che non si ritengono speciali che sono tali, ma…- si
schiarì la voce,- oggi
sono troppo buono, non credi? Non mi si addice la parte del dolce per
cui…ti va
un po’ di musica?
-Che scemo che
sei.-
gli diedi uno scherzoso pugno sulla spalla.
La parte del
dolce,
invece, gli si addiceva eccome.
-Ehi non si
picchia un
uomo cieco!- scherzò.
-Ma se i miei
pugni
sono come carezze.- risi.
-Sì
certo!- curvò le
labbra in un mezzo sorriso.- Comunque, ripeto, ti va della musica?
-Ma se in
macchina hai
detto che, essendo uscito da poco da una radio, avresti ascoltato
musica solo
se mi andava!
-Ho cambiato
idea! Non
posso?
-Certo che
sì…Bene.
Basta che non siano i Limp Bizkit.- ci scherzai sopra.
Sorrise.
-D’accordo.
Ti vanno
bene i Pink Floyd?
-Assolutamente.
-E sia!
Così
detto estrasse
dalla tasca della sua giacca il suo lettore musicale, e dopo avermi
dato una
cuffietta, rimanemmo ad ascoltare musica appoggiati alla parete del
citofono.
“We
don’t need no education”
-La canzone
recita:
“Noi non abbiamo bisogno di istruzione”, ma tu
Terence, quale istruzione hai
ricevuto, e cosa ne pensi della scuola?- domandai, cercando di
costruire una
nuova conversazione.
-Oh la scuola
può
essere il luogo migliore di questo mondo, ma anche il peggiore. Tutto
sta nelle
compagnie in cui ci si imbatte. Penso, in ogni caso, che
l’istruzione sia una
cosa importante nella vita di uomo, perché senza di essa
saremmo…ciechi…- si
schiarì la voce,- mentalmente. Io ho frequentato la St
John’s High School e
come università la St Andrews.
-Wow…un’università
di
tutto rispetto. E dimmi com’eri da studente?
Mentre la
canzone
continuava, buttai un occhio sulla strada, notando che varie persone
stavano
correndo cercando riparo, con mega ombrelli sopra le proprie teste.
C’era chi
stava chiudendo il proprio negozio voltando il cartellino bianco da
“Aperto” a
“Chiuso” appeso sulle porte, c’era chi
entrava in qualche bar in cerca di
calore e chi si rifugiava sotto palazzi, come me e Terence.
-Un ragazzo
normale.
Amavo andare alle feste, soprattutto quelle universitarie, stare con le
ragazze,- sorrise maliziosamente,- ma anche studiare molto.
-Ah
sì? Non l’avrei mai
detto…
-Ti ho
già detto che mi
sottovaluti troppo?
-Sì.-
risposi
sorridendo, strofinandomi le mani per fare un po’ di calore.
-E tu? Quale
è stata la
tua istruzione?- mi domandò, voltando il viso verso di me.
-La Liberton
High
School e l’Università di Edimburgo.
-Ah la Liberton,
davvero? Ci andava un mio amico lì.
Che bei
lineamenti che
aveva.
-Sì,
non era molto
lontano da dove abitavo.
Rimanemmo altri
minuti
in silenzio, con il solo suono delle gocce infrangersi sulla strada e
con le
calde voci di una delle band più famose al mondo.
Dopo poco,
però, continuando
a osservare la strada, notai che finalmente la pioggia si stava
calmando. Furono
altri secondi e la pioggia smise definitivamente. Che bello, oggi
quelle fredde
goccioline avevano infastidito meno di altre volte.
-Caro Terence,
sono
lieta di annunciarti che la pioggia è finita, e dunque
possiamo riprendere la
nostra passeggiata.
-Oh sia
ringraziato il Cielo! Se per te va bene, ho
intenzione di portarti in un piccolo chiosco qui vicino. Ha dei tavoli
all’esterno e si può anche ballare. Certo, con
l’acqua non credo potremmo
sederci, ma almeno mangeremo qualcosa di buono.
Terence mise le
mani
nelle tasche dei pantaloni, spegnendo il suo IPod argentato, da cui si
stavano
trasmettendo le ultime note della canzone dei Pink Floyd.
-Comunque che
facoltà
hai fatto all’università?- chiesi riprendendo a
camminare, mentre lui mi
riprese per mano.
Io non sapevo
dove
fosse il chiosco dove voleva portarmi, ma notando che si muoveva con il
suo James in tutta sicurezza, mi
limitai a
dargli fiducia.
-Economia.-
rispose
freddamente.
-E ti piaceva?
Volevo
assolutamente
che si aprisse con me. Volevo che mi parlasse, che mi permettesse di
conoscerlo.
-No. Io volevo
fare la
facoltà di storia dell’arte, ma evidentemente non
era destino.
-Il destino ce
lo
scriviamo noi con le nostre mani, chi è che te
l’ha impedito?
-Jane,
perché vuoi che
te lo dica? – voltò il capo verso di me.
-Beh Terence mi
incuriosisci anche tu e poi…giorni fa mi hai detto che se
avessi voluto
diventarti amica…avrei dovuto accettare la tua stranezza, ma
penso che per
essere amici ci vuole ben altro, ho bisogno di conoscerti, di sapere se
posso diventare
qualcosa di più di una conoscente.
-Hai ragione. Ma
ci
sono delle cose di cui non preferisco parlare al
momento…sono cose che mi fanno
male e che non voglio rivangare. Ma hai ragione, dobbiamo conoscerci se
vogliamo diventare amici. E dunque…non ho fatto la
facoltà che avrei voluto
perché mio padre me l’ha impedito
ma…alt, non chiedermi altro sull’argomento.
-E va bene.- mi
arresi.
-Senti Jane
scorgi
qualche chiosco con una tendina a fasce bianche e rosa?-
cambiò discorso ora.
Mi fece girare
ad un angolo.
Ed intravidi ciò che mi aveva chiesto.
-Sì.
-Benissimo.-
sorrise.-
siamo arrivati.
Un delizioso
profumo di
zucchero filato e di cioccolata ci invase, man mano che ci avvicinammo
al
chioschetto.
-Oh ciao
Terence, quale
onore averti qui.- salutò una donna, appena fummo davanti a
quel nido di dolci.
-Ciao Susan, ci
puoi
dare due crepes alla nutella?
-Subito! Vi
dispiace se
prima, però, apro i tavolini e le sedie? Vi faccio
accomodare. Sapete con la pioggia avevo chiuso tutto.
-Certo, fai
pure.- le
disse Terence.
Conosceva molte
persone
in città.
La donna
entrò dentro
il suo chioschetto da cui poi uscì portando dei tavolini e
delle sedie, di
quelle apri e chiudi.
Posizionò
il tutto al
centro dello spiazzale in cui si ergeva la sua piccola impresa e in cui
erano
presenti anche panchine e lampioni.
Dopo aver
sistemato
tavolini e sedie, si allontanò nuovamente, tornando con
delle tovaglie turchesi
con stampe a margherite che stese sui tavoli.
-Prego
accomodatevi.
-Grazie, molto
gentile.- le sorrisi, aiutando Terence e sedendomi a mia volta.
-Jane, piacere.-
le
dissi.
-Susan, piacere
mio.-
mi sorrise.- Vi porto subito ciò che avete chiesto allora.
Si
allontanò.
-E’
bello qui, vero? Ci
sono venuto un mese fa insieme ad Harrison, e mi ha detto che il luogo
è
carino.- mi disse Terence.
-Sì
molto. Ci sono
perlopiù panchine e lampioni, ma il chiosco è
delizioso e rende il tutto più
speciale.
- Mi fa piacere
sapere che ti piaccia.- mi rispose sfilandosi gli occhiali da sole,
modello Rayban a goccia, per lucidare le lenti.
Forse era stata
la pioggia ma i suoi occhi sembravano quasi grigi in questo momento.
-Ecco a voi.- ci
interruppe
la donna, dandoci ciò che avevamo chiesto.
Wow quanta
velocità.
Due crepes alla
nutella
contornate da fiocchi di panna e da polvere di cacao. Sembravano
davvero buone.
-Grazie.
– dicemmo
all’unisono io e lo scontroso.
Susan ci sorrise
e se
ne andò.
Dando
un’occhiata
attorno, notai che anche altre persone stavano iniziando ad arrivare.
Le
fastidiose nuvole che macchiavano il cielo se ne stavano andando e
qualche
stella illuminava la serata.
Dopo qualche
istante il
cellulare di Terence squillò.
Terence lo prese
dalla
tasca dei suoi pantaloni e cliccando due volte il touch screen, una
vocina
meccanica simile a quella del suo orologio gli disse: “
E’ Heathcliff .”
Heathcliff? Suo
fratello?
-Scusami devo
rispondere, Jane.- mi disse.
-Fai pure,
tranquillo!-
gli risposi, iniziando a mangiare la mia crepe.
Si
portò l’apparecchio
al telefono.
-Dimmi Heath.-
rispose
piuttosto scocciato.
-Ma come
l’affare
Ledger?- continuò.
-Guarda che ne
ho già
discusso con Catherine…quando? Non ti ha detto nulla? Ma non
è possibile! Ci
eravamo detti tutto!...Al ristorante, per la miseria, come sei
insistente!...Sì
al Queen Victoria ne abbiamo parlato lì…ma non
è importante il dove piuttosto
il fatto che non te l’abbia detto…sì,
ne parliamo dopo…non posso più uscire
adesso?
Terence stava
parlando
con un tono di voce piuttosto alterato ma basso. Le mie orecchie
però avevano
perfettamente captato la parola “Queen Victoria”.
Stavano parlando di qualche
affare di cui lui aveva parlato con questa Catherine. Ma chi era questa
ragazza? Ancora non ero riuscito a capirlo.
-Harrison?...Ma
non
sono affari tuoi dove sono e con chi, fatti accompagnare da
quell’incapace di
nostra sorella…guarda, non mi capacito ancora che non ti
abbia detto nulla di
quello che abbiamo discusso.
Ah
ha…Catherine…sua
sorella. Un altro
dubbio era stato risolto.
CONTINUA…
Piccole noticine:
1) Jane cita Jillian
Mercado…la ragazza esiste realmente e tutto ciò
che ho scritto su di lei l’ho
trovato sul web.
2) Il nome della
clinica “The
house of the rising sun” è un mio
piccolo omaggio a una canzone
bellissima ,che amo, di una band anni 60 i “The Animals”,
grazie ragazzi! ;)
3)
Il progetto di cui parla Terence è anch'esso
realmente esistente.
Ciaoo
gente!!^^
Parto con il
scusarmi
per il grande ritardo, ma questo capitolo è stato un
po’ un parto. Ogni giorno
( e si parla di settimane) cancellavo, aggiungevo, modificavo,
tagliavo…è
difficile scrivere di Jane e Terence xD
Spero che,
almeno, però
il capitolo non sia venuto una totale schifezza e che vi sia piaciuto.
Io amo
scrivere del nostro Terence, a voi piacciono le sue riflessioni e il
suo modo
di parlare? :) Veniamo a scoprire anche chi è la famosa
biondina del
ristorante…mhm…sua sorella…ve lo
aspettavate? ^^
E ora okay,
detto
questo posso finalmente ringraziarvi. Non pensavo che Ad
occhi chiusi sarebbe stata accolta così bene e
dunque davvero
grazie mille per il supporto che sto ricevendo. Non sono una persona
con un
livello di autostima molto alto, anzi…quindi siete davvero
importanti per me.
Un grazie
speciale a :
romy2007,
AlysonWar,
Isabelle02,
Sun_Rise 93
e Helmwige
per le loro dolci
recensioni. Vi lovvo <3
E anche a : Mortisia_Ailis,
_lovely_,
matt1, itpanya, Dusolina , Eli12 ,Alien__,
Saruccia,
elspunk93,
la sopracitata Isabelle02,
e a Minelli
per aver aggiunto
la storia alle seguite. Amo anche voi <3
E a : Viandante
(grazie
mille per la recensione al primo capitolo e per le belle parole ;)
<3 ) e
alla già nominata Sun_Rise93
per aver aggiunto la storia alle preferite <3
Chiedo scusa se per sbaglio ho saltato qualcuna. Con il copia e incolla
non ci capisco più nulla xD
Grazie ancora di cuore,
un bacione grande e a presto ^__*
Ah quasi
dimenticavo! Per farmi scusare il
ritardo, vi lascio un video davvero divertente. Ecco a voi:
https://www.youtube.com/watch?v=J1MITvvrhhU
|
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo
sette
"E resterai con
me?"
"Certo a meno
che voi rifiutate. Sarò la vostra vicina, la vostra
infermiera, la vostra governante. Vi trovo solo:
sarò
la vostra dama di compagnia, per potervi leggere, per camminare con
voi, sedermi con voi, per
prendermi cura
di voi, per essere i vostri occhi e le vostre mani. Non siate
più malinconico, mio caro padrone,
non sarete mai
più solo, finché avrò vita."
-CHARLOTTE BRONTE-
Jane Eyre-
Quando tornai a
casa, notai, come immaginavo, che
tutte le luci erano spente, segno che Abbie non era ancora arrivata.
Controllai
l’orologio a forma di mela appeso alla parete della cucina,
constatando che si
erano già fatte le dieci e mezza.
Avevo preferito
concludere non molto tardi la serata
con Terence, non perché non mi piacesse la sua compagnia,
anzi…ma perché non
volevo che rientrasse troppo tardi a casa. La non presenza di Harrison
mi
spingeva ad avere più timori. Insomma lui era un ragazzo
ricco e non vedente e
dunque in strada non era al sicuro con tutte le brutte persone che
circolavano
a piede libero; mi ero fatta promettere, però, che dopo
essere sceso dal taxi
con cui mi aveva riaccompagnata, il suo autista l’avrebbe
aspettato fuori la
sua casa e che mi avrebbe telefonato appena tornato. Volevo sperare che
non mi
avesse mentito.
Accesi le luci
del salotto notando che lo screen del telefono
cordless appoggiato sul tavolino vicino alla tv stava lampeggiando,
segno che
qualcuno aveva lasciato qualche messaggio sulla segreteria telefonica.
Posai la mia
giacca e la mia borsa sul sofà e poi
premetti il pulsante dei messaggi.
-Un
messaggio da ascoltare.- disse
la voce meccanica
del telefono.
BIP
-Tesoro,
sono papà, come stai? Non ci sentiamo da tanto
tempo…come sta andando con il
lavoro? E la salute? Tutto a posto? Fatti sentire
presto…ti voglio bene.
Corrugai la
fronte…wow…era da tempo che non ascoltavo
la calda voce di mio padre. Ero un po’ sorpresa. Tra vari
traslochi e qualche
problema alla linea telefonica erano passati quasi due mesi
dall’ultima volta
che ci eravamo sentiti.
Mi avvicinai di
più al telefono digitando il numero di
Billy Ryan, il mio amorevole papà.
-Pronto?
Sentii in
sottofondo il telecronista di una partita.
-Ehi papi, mi
hai mandato un messaggio in segretaria,
prima? Come va?
-Ehi amore di
papà, sì volevo sentirti un po’. Sto
bene, tu?
Mi era mancato
sentire il suono della sua voce.
-Un
po’ stanca, ma sto bene anch’io. Già in
effetti
non ci sentiamo da un po’, ma sai
com’è…abitiamo anche in due
città diverse
ora.
-Purtroppo…!-
affermò lui con un tono vocale
palesemente triste.- e al giornale come procede?
-Martedì
prossimo devo consegnare un articolo
abbastanza importante e sono un po’ tesa, ma ci sto lavorando
sodo e
quindi…speriamo bene.- dissi, iniziando a camminare avanti e
indietro per il
salotto.
-Ne sono
contento tesoro mio, sono certo che andrai
alla grande.- sorrisi felice.- E con Abbie?
-Tutto alla
grande…la conosci, è la solita pazzerella,
ma è la mia più cara amica. E tu, invece? Al
negozio di elettrodomestici come
va?
-Tutto okay,
l’altro giorno Brad mi ha messo qualche
soldo in più nella busta paga…non sai quanto ero
felice. Ma raccontami…hai un
ragazzo?
Non so
perché ma a quella domanda, il primo volto che
mi venne in mente fu quello di Terence. Sapevo che ovviamente lui non
era il
mio ragazzo, ma il fatto di aver passato qualche momento con lui, me lo
stava
facendo pensare troppo spesso ultimamente.
-No,
papà, assolutamente no…deve ancora arrivare il
principe azzurro- ridacchiai-. Tu, invece? Qualche bella dama da
corteggiare?-
domandai curiosa.
Lo sentii
sospirare. Da quando mia madre ci aveva
abbandonati, il sentir parlare di un’altra donna lo metteva
di malumore.
-No
tesoro…lo sai…! Cioè
c’è la signorina Ford…sai la
maestra di Robert…che sembra carina, ma…ho
paura.- ammise.
-Ma
papà…paura di cosa? Senti facciamo che domenica
mangiamo qualche boccone insieme?
Volevo
rivederlo, ascoltare dal vivo la sua voce,
rivedere i suoi grandi occhi così simili ai miei, rivedere
le sue rughe e
stargli accanto.
-Ma tesoro,
abitiamo distanti! Dovresti prendere il
treno.
-E che fa,
papà? Sono abituata a prendere i mezzi di
trasporto e poi non perché abitiamo lontani non dobbiamo
vederci più. E poi
Aberdeen non è mica New York.- gli feci notare.
-Hai ragione
tesoro, dobbiamo andare contro le
barriere della lontananza! Ma allora…visto che dovrai
prendere un treno perché
non rimani tutto il fine settimana, a partire da venerdì
prossimo?
Ci pensai
qualche attimo, notando che effettivamente
l’idea non era male e che sicuramente per quel giorno il mio
articolo sarebbe
stato concluso.
-Ottima
proposta, papi…ci vediamo venerdì prossimo
allora! Ti telefono appena starò in stazione. Un bacio. Ti
voglio bene.
-Anch’io
Jane cara, un bacio a te, ciao.
E
così chiusi la telefonata con il mio genitore e poi
rimisi il cordless al suo posto.
Sospirai. Era
stato…strano risentirlo dopo tanto tempo.
Andai in camera,
e dopo essermi spogliata, mi tuffati
sotto la doccia. Avevo bisogno di scaldarmi dopo la piovosa serata,
anche se la
dolce crepe e il sorriso di Terence mi avevano scaldato a sufficienza.
Come sempre
questo era il luogo migliore in cui i miei
pensieri amavano uscir fuori.
Non ero sicura
di cosa mi stesse succedendo, ma qualcosa
di me si stava irrimediabilmente legando a Terence Ashling. Mi piaceva
stare in
sua compagnia, ascoltare le sue parole, preparare risposte in grado di
sorprenderlo…insomma…non sapevo
neanch’io, ma mi attraeva parecchio.
Ripensai a lui,
ai suoi occhi scoperti dagli occhiali
da sole, al suo modo di parlare, al suo viso. Poi pensai alla
telefonata che
aveva avuto con suo fratello; certo avevo ascoltato poco e niente di
quello che
aveva detto in quanto aveva parlato perlopiù in
“econominese” ovvero nella
lingua delle persone che se ne intendono di economia. Alla fine,
però, ciò che
mi interessava sapere, le mie orecchie l’avevano captato:
Catherine Ashling era
sua sorella ed era la ragazza bionda con cui aveva passato una serata
al Queen
Victoria. Riflettendoci i suoi fratelli avevano i nomi dei protagonisti
di Cime
Tempestose…pensai che fosse proprio una coincidenza. Magari
alla mamma di
Terence piaceva quel famoso romanzo.
Dopo essermi
coperta di crema corpo alle arance, la stessa
che Abbie mi diede tempo prima, legai i capelli in una treccia
disordinata,
misi il pigiama e dei lunghi calzettoni, spazzolai i denti e poi andai
in
salotto a vedere un po’ di tv, nell’attesa che la
mia migliore amica arrivasse.
Alla televisione
non stava facendo nulla di
particolarmente interessante, anche perché la maggior parte
dei film erano già
cominciati. Appena però scorsi il sorridente volto di Sandra
Bullock e gli
azzurrissimi occhi di Hugh Grant, posai il telecomando e mi gustai Due settimane per innamorarsi.
Passarono circa
quindici minuti quando mi squillò il
cellulare.
-Ciao Terence.-
sorrisi.
-Ciao Jane.
Volevo solo dirti che sono arrivato a casa
e sono sano e salvo.
Sospirai
sollevata. Aveva mantenuto la sua promessa.
-Noto che eri
preoccupata per me, Jane…non dovresti
farlo.- rispose, forse avendo sentito il mio sospiro di sollievo.
-Non ero
preoccupata per te, Terence…era solo un voler
constatare che tu stessi bene…per…non avere pesi
sulla coscienza.- conclusi,
cercando delle parole che non lo gasassero troppo.
-Sì…okay,
come vuoi tu.- affermò poco convinto.-
Allora buona notte Jane e se riesci non sognarmi.- concluse ridendo.
-Eh no Terence
questo tipo di richieste non dovresti
farmele…sai che sono troppo difficili da esaudire.
Però dai proverò a non
sognarti, promesso.- scherzai.
Lui
scoppiò a ridere.
-Hai ragione
Jane, sono stato un po’ cattivello nel
chiederti una tal cosa.- rise.- Va bene, allora a presto e fammi sapere
quando
sarà pubblicato il tuo lavoro.
-Non
mancherò.
E fu
così che ci augurammo reciprocamente la
buonanotte salutandoci.
Anche dopo aver
spento il mio Nokia Lumia 925,
però…rimasi a pensare a Terence e sorrisi tra me
e me.
***
-Baby? Baby?
Ehi…svegliati pigrona…vai nel tuo letto,
il divano è scomodo.
Sentii in
maniera ovattata la voce della mia migliore
amica. Dovevo essermi addormentata sul divano!
Aprii lentamente
gli occhi, e poi rivolsi un sorriso a
colei che mi aveva allontanata dal regno di Morfeo.
-Ciao tesoro.-
la salutai.- che ore sono?- domandai,
coprendo uno sbadiglio con la mano.
-E’
mezzanotte piccola. Ci siamo soffermati un po’ di
più perché la prossima settimana non ci
incontreremo.
-Perché?-
domandai, spegnendo la tv. Il film con la
Bullock era stato sostituito con un telegiornale della notte.
-
Perché William e Sophie hanno da fare con una cena
di famiglia. Sai che sono fidanzati?
-Sì,
più o meno…Terence mi accennò il fatto
che sono
tutti fidanzati nel gruppo.- risposi appoggiandomi ad uno dei braccioli
del
sofà su cui mi ero addormentata, mentre Abbie
iniziò a togliersi il suo trench
Burberry.
-Sì
è così infatti. Solo Mary Anne non lo
è…ma credo,
come già mi dicesti tu, sia interessata a
Terence…non ti dico, mi ha fatto
alcune domande in merito al dove foste tu e lui.- mi rispose.
-Cosa? Mary Anne
ti ha chiesto di me e Terence? Non
crede di esagerare quella lì? So che lo vorrebbe come
fidanzato ma non stanno insieme...- borbottai, corrugando
la fronte.
-Certo che
è esagerata…il mio Tom mi ha detto che anni
fa ci provò persino con lui. Guarda, la vorrei strozzare
solo per questo.-
disse posando un braccio sulle mie spalle accompagnandomi nella sua
camera.
-Davvero? Con il
tuo Tom?- sgranai gli occhi sorpresa.
-Yes baby.
Vabbè dai non ne voglio parlare, piuttosto
tu…com’è andata la tua serata con
l’ “arrogante”?- mimò le
virgolette.
-Bene…direi.
Ho intervistato tre persone davvero
deliziose, e finalmente potrò concludere il mio articolo. E
poi niente, dopo
essere usciti dalla clinica si è messo a piovere e abbiamo
sostato sotto un
palazzo.
-Ho notato che
ha piovuto, ma ehi…cos’è successo sotto
il palazzo?- chiese, con un tono tra il divertito e il curioso e un
accenno di
malizia.
La guardai
assottigliando lo sguardo.
-Abbie!- la
ripresi- secondo te cosa sarebbe potuto succedere
sotto un palazzo?
-Non
so…dimmelo tu!- continuò a ridere.
-Abbiamo parlato
di cose relative a noi…volevo
conoscerlo un po’ e mi ha parlato della scuola che ha
frequentato…niente di
che. Però…
-Però…?
-Non
so…ma credo che mi attragga parecchio...troppo.- ammisi
sinceramente.
-Ma dai...non
l’avevo capito!- ironizzò ridendo.- E
lui? Secondo te lo attrai?
-Boh…non
saprei…sinceramente non credo proprio! Mi ha
detto di non essere interessato all’amore e ci conosciamo
troppo poco per cui
lui possa apprezzare la mia interiorità, visto che
d’aspetto esteriore non può
vedermi…
-Io fossi in te
aspetterei un altro un po’ di tempo
per dire “non credo proprio”…secondo me
sareste benissimo insieme e con il tuo
carattere ammalieresti chiunque tesoro mio.- posò un bacio
sulla mia testa,
prima di farmi stendere sul suo letto.
-Grazie
Abbie…sei sempre molto cara.- le sorrisi
sinceramente.- ma…perché mi hai portato nella tua
camera?- constatai
guardandomi attorno.
-Oggi dormiamo
insieme se ti va…ho bisogno di averti
accanto stanotte…ho carenza di affetto.- concluse imitando
la voce di una
bambina e sbattendo le ciglia.
Scoppiai a
ridere.
-E va bene, ci
sto!
Rise.
-Ah e hai
scoperto chi era quella biondina che mi
dicesti aver incontrato quella sera con i tuoi colleghi?-
domandò iniziando a
posare gli abiti con cui era uscita su delle grucce
nell’armadio.
-Sì
sì…avevi ragione tu…è sua
sorella.
-Che ti avevo
detto! Da quel che mi hai raccontato
Terence non era tipo da dire di non volersi fidanzare e poi da avere
una
ragazza. Sembra una persona sincera.
-Mhm
già! Ma non ne potevo essere certa. – sospirai.- E
tu? Come è andata?- le chiesi abbracciando il pupazzo di
Minnie posato tra i
suoi cuscini.
-Come al solito.
Ti ho detto, solo Mary Anne mi ha un
rovinato un po’ la serata. Si è seduta accanto a
me e ha iniziato a infastidirmi.
-Uffa quella
pecora…ma perché esistono delle ragazze
che si comportano come streghe?
La mia amica si
limitò a fare un lungo sospiro che celava
tante cose.
-Ah comunque io
e il mio amore venerdì andremo al
cinema e poi al ristorante.- concluse con occhi sognanti, sfilandosi i
suoi
tronchetti neri.
-Uhhhh bello.
– le sorrisi.
-Sì…-
mi fece l’occhiolino,- tu sai già che farai?
-Yes! Prima sono
stata al telefono con mio padre.
Mentre eravamo fuori mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria
telefonica.
Abbiamo deciso di vederci il prossimo weekend…e anzi
mancherò sia venerdì
pomeriggio, che sabato, che domenica mattina.
-Ah…wow
che sorpresa! Sono contenta che tu e tuo padre
passerete del tempo insieme, ne avete bisogno entrambi.- mi fece
l’occhiolino.-
L’unica pecca è che passerò quelle
giornate da sola.- concluse mettendo il broncio.
-Macché…e
Tom?- domandai.
-Mhm hai
ragione…vedremo di trovare qualcosa di interessante
con cui passare il tempo.- concluse con gli occhi scintillanti di
felicità. -Beh
baby vado a farmi una doccia…ah mi presteresti il tuo
bagnoschiuma alla
vaniglia?- domandò assumendo l’espressione del
“ti prego, so che mi vuoi tanto
bene”.
-E va bene
– cedetti, - …ah Abbie, mi sono dimenticata
di dirti una cosa su Terence.
-Cosa?- si
sedette accanto a me.
-Praticamente il
nonno di Terence è fondatore
dell’Ashling Corporation, un’azienda di pneumatici
e pezzi di macchine. Mi è
stato detto che anni fa questa famiglia era molto famosa e comparve
persino in
qualche telegiornale.
-Ah…wow!-
assunse un’espressione sorpresa.- Dunque
Terence è imparentato con degli imprenditori…chi
l’avrebbe detto! Tom, ahimè
non mi vuole mai raccontare nulla di lui, quando provo a voler scoprire
qualcosa. E tu? Come l’hai saputo?
-Ho chiesto in
ufficio. Ti dissi che l’altra sera mi
parve di capire che i miei colleghi sapessero qualcosa di Terence e
dunque ho
chiesto loro qualcosa.
-Mhm…hai
fatto bene…bah… vabbè baby io vado
allora.
-Okay, ti
aspetterò.
Mi sorrise e poi
si allontanò.
Neanche a farlo
apposta, quella notte sognai un
ragazzo con gli occhiali da sole.
***
-Oddio…non
vedo l’ora di vedere i modelli.- ironizzò
facendo una voce femminile Vincent.
Io e Steve
scoppiammo a ridere.
Da quando la
nuova settimana si era aperta, non si
faceva altro che parlare dell’arrivo degli staff Klein e
Louboutine. C’era un
gran fermento e persino delle imprese di pulizia erano state chiamate
per
lucidare finestre, per spolverare tende e mobili, per lucidare i
parquet e per
sistemare le camere dove sarebbero state allestiti i macchinari per le
foto ai
modelli.
-Zitto
scemo…cosa ne vuoi capire tu!- borbottò Barbie.
-Sì
infatti, voglio vedere come ti comporterai quando
arriveranno le modelle.- sbuffò Freddie.
Vincent mise il
broncio mentre Steve assunse un’
espressione timorosa guardando la porta del nostro ufficio.
Evidentemente
anche i miei colleghi si accorsero della
sua strana espressione, perché
tutti ci
girammo verso la nostra porta.
-Ehm…Steve
puoi uscire un attimo?
Cavoli…un
metro e sessanta di grazia, boccoli rossi e
grandi occhi color miele. Signori e signore, era appena entrata
Arabella
Thomson, l’ex del mio collega.
Il volto del
bruno si colorò delle più disparate
tonalità di rosso e dopo essersi aggiustato il nodo della
sua cravatta azzurra,
si schiarì la voce e uscì.
Che volesse
parlargli per dare un’altra possibilità al
loro rapporto?
-Oddio ragazzi,
avete visto? Secondo voi cosa è
venuta a
chiedergli?- domandò il mio ex.
-Secondo me
vuole dare un’altra possibilità alla loro
relazione.- fu della mia stessa idea Barbie.
-Io dico che
è venuta a dirgli di riprendersi tutti
regali che le ha fatto quando erano fidanzati.- concluse Price.
-Oh ma tu dove
caspita sei nato? A cattivolandia?
Mamma mia, non pensi mai cose dolci.- lo attaccò Freddie.
-Senti Bennett
rispetta le mie idee, hai capito?
A quel punto
quei due iniziarono a bisticciare come
due bambini dell’asilo, mentre io
e la
bionda ci guardammo con le sopracciglia puntate verso l’alto
in una pura
espressione divertita.
Passarono vari
minuti, in cui controllai alcune email
sul computer, poi il mio collega ritornò, con un sorriso
ebete sulla faccia.
Forse io e la Richardson avevamo ragione.
-Ragazzi…cari
ragazzi miei…amici di una vita…-
iniziò
volteggiando su stesso.
-Oh e muoviti a
dirci cosa è successo, per la
miseria!- sbraitò Price fermandosi dal discutere con Fred.
-Io e Arabella
ci siamo rimessi insieme.- strillò
entusiasta.
Tutti ridemmo,
tranne Vincent…ovvio.
-Lo sapevo
io…e cosa ti ha detto?- domandai.
-Beh…-
iniziò arrossendo.- abbiamo parlato di tante
cose…e ci siamo resi conto di non stare bene da
soli…siamo due facce delle
stessa medaglia…siamo due calamite…e…
-Menomale che
non eri cotto di nessuna Thompson.- lo
interruppe il biondo ricordando le parole di Steve il giorno della
riunione con
il capo.
-Oh
beh…son fatti miei.- rise arrossendo il bruno.
Inutile dire che
la settimana si aprì proprio bene.
***
-Baby, hai messo
tutto nella valigia?-gridò Abbie dalla
sua camera.
-Credo di
sì…cioè ho messo tutto ciò
che suppongo in
due giorni mi possa servire.- dissi osservando il mio trolley aperto e
ciò che
vi avevo messo dentro.
-Hai messo anche
la crema per il viso, il tonico, i
cotton fioc, il collutorio, il…
-Tesoro, mio
padre le ha certe cose.- sorrisi.
-Il tonico e la
crema viso non credo proprio.- entrò
nella mia camera, facendomi una linguaccia.
-Abbie devo
stare solo un weekend, tranquilla!- le
accarezzai il viso.
-Va bene, come
vuoi tu! Senti, e
con Terence invece? Da quanto non vi
sentite?
-Da
venerdì scorso in pratica.- ci pensai su.
-Una settimana
addirittura? Baby, devi assolutamente
contattarlo…anche perché non mi ha fatto neanche
più sapere a proposito di
quando potrò vedere le sue automobili.
-Io? Chiamarlo?
Ma…mi vergogno…perché non
l’ha fatto
lui? Forse non si è divertito l’ultima volta con
me e allora…- tentennai.
-Chiamalo!
Adesso!- mi minacciò la mia migliore amica,
guardandomi da dietro le lenti dei suoi occhiali da vista.- digli che
devi partire
questo weekend, che la tua cara coinquilina vuole sapere quando
potrà vedere le
sue macchine e che sarebbe bello rivedervi.
Mi allontanai
dal mio letto, poi presi la mia borsa e
ne uscii il mio cellulare.
-Ma
perché non mi ha chiamato lui questa settimana?-
tentai a convincerla che non era un bene che lo chiamassi io.
-Forse
perché è stato molto impegnato o forse
perché
pensa che tu in sua compagnia non sia stata bene. Le ultime volte ti ha
sempre
contattato lui, no? Quella volta del viaggio per Glasgow insistette lui
per
venire con te, e ti telefonò lui per sapere il giorno in cui
vedervi per
incontrare i suoi amici al centro di riabilitazione, quindi
avanti…- mi fece
presente.
Forse non aveva
tutti i torti. Così composi il suo
numero.
Dopo tre squilli
mi rispose.
-Oh ciao
Jane…
Mi schiarii la
voce, un tantino imbarazzata.
-Ciao…Terence.
Ti disturbo?
-No
assolutamente. Scusami se non ci siamo sentiti in
questa settimana…sono stato un po’ impegnato.- mi
disse sorprendendomi.
Allora mi
avrebbe contattato se fosse stato libero.
-Oh non
preoccuparti, scusami anche tu! Senti…Abbie mi
chiedeva se avevi scelto una data per incontrarvi.
-Oh
già…giusto. Chiedile scusa per il
ritardo…facciamo
mercoledì prossimo?
Guardai la mia
amica, mimandole ‘mercoledì’ con le
labbra.
Abbie
annuì.
-Va bene per
mercoledì…di pomeriggio?- domandai.
-Sì…per
le sette, se per lei va bene.- mi rispose.
-Abbie va bene
per le sette?- le chiesi.
Annuì
con il capo.
-Sì…mi
dice che va bene.- dissi.
-Perfetto!
…E tu come stai?- mi domandò.
-Bene, bene! Sai
questo fine settimana faccio un
piccolo viaggio…vado a trovare mio padre a
Aberdeen…tu? Come stai?
Si sentiva
troppo che ero imbarazzata?
-Sto…come
sempre, Jane! Bello il viaggio,
comunque…spero ti divertirai.
-Grazie…ma
sarà qualcosa di breve…solo due giorni.
-Oh…capisco.
Senti Jane…ti andrebbe di venire anche tu
mercoledì? Potrai vedere le miei auto.- mi propose.
Non ci pensai
due volte.
-Certo,
volentieri. Allora a mercoledì.
-A
mercoledì. Ciao Jane.
-Ciao Terence!
E fu
così che concludemmo la nostra telefonata.
***
Mi aspettavamo
ben tre ore di treno, così messami
comoda su un sedile, presi il mio smartphone, le mie cuffiette, e un
libro che
amavo molto: “Jane Eyre”. Dopo mi sintonizzai su
una radio a caso, senza notare
quale fosse, e mi immersi nel fantastico modo di carta di Charlotte
Bronte.
"Non
aveva passione per il giuoco, per il
vino, né per i cavalli, non era bello, ma coraggioso e fermo
di carattere. L'ho
conosciuto da piccolo e in quanto a me ho spesso desiderato che la
signorina
Eyre si fosse rotto il collo prima di giungere alla villa.
—
Allora il signor Rochester era a Thornfield
quando scoppiò l'incendio?
—
Sicuro! e salì nelle soffitte quando tutto
era in fiamme, destò la servitù e
l'aiutò a porsi in salvo, poi tornò su a
cercare la matta.
"Allora
lo avvertirono che lei era sul
tetto e agitava le braccia al disopra degli abbaini e mandava certi
urli che si
sarebbero potuti sentire a un miglio di distanza.
"L'ho
veduta e l'ho sentita; era un
donnone con i lunghi capelli neri sparsi sulle spalle, e ho visto anche
il
signor Rochester salir sul tetto e l'ho sentito chiamare:
"Berta!" e avvicinarsi quindi a lei.
"La
pazza gettò un grido, fece un salto e
cadde morta sul lastrico.
—
Morta? Oh Dio!
—
Avete ragione, signora, fu una cosa
spaventosa! — e rabbrividì.
—
E poi? — dissi.
—
La casa bruciò tutta e non rimase ritto che
qualche pezzo di muro.
—
Non vi rimase morto nessuno?
—
No, eppure sarebbe stato forse meglio!
—
Che cosa intendete dire?
—
Povero signor Edward! Non credevo mai di
vedere una cosa simile! Alcuni dicono che se l'è meritata
per aver voluto
sposare un'altra donna, mentre la prima viveva; io però lo
compatisco di cuore!
—
Ma avete detto che vive! — esclamai.
—
Sì, ma forse sarebbe meglio che fosse morto.
—
Dov'è? — domandai. — In Inghilterra?
—
Sì, in Inghilterra, e per sempre. Come era
dolorosa la sua agonia! È cieco, cieco! — aggiunse
l'oste. — Povero signor Edward!”
Arrivata a quel
punto della lettura mi fermai. Avevo
già letto il capolavoro della Bronte quando ero poco
più che un’adolescente, ma
la mia mente aveva completamente dimenticato che uno dei miei
personaggi
letterari maschili preferiti, il signor Rochester,
diventasse…cieco…cieco come…
“Buona
giornata da Jonathan, amici di Radio Capital, come state iniziando
questa
giornata?”
“Ehi
ci sono anch’io Jonathan!”
“Oh
Terence, hai ragione scusami, non ti avevo visto”
“Ha-ha,
mio caro, bella battuta. Qui l’unico che non può
vederti sono io”
“Hai
ragione amico, ho usato una battuta vecchia quanto me! Piuttosto come
stai?”
“Pronto
ad affrontare anche questa giornata, ecco come sto, amico mio! E tu?
Carico per
affrontare l’argomento del giorno?”
Al suono di quella
voce e di quel nome, sollevai il
capo
dal mio libro. Sentii il mio cuore aumentare i suoi battiti.
Possibile che
fosse la radio in cui lavorava Terence
quella in cui mi ero sintonizzata?
“ L’argomento
del giorno? Ovvero?”
“Ma
come testone, oggi parleremo del nuovo album dei Deep
Purple…pff…che tipo che
sei!”
Per la barba di
Merlino…davvero? Cioè il caso aveva
realmente voluto che mi sintonizzassi sulla radio di Terence? Che
sentissi la
sua voce proprio quando avevo letto una parte del mio libro preferito
che mi
aveva fatto inevitabilmente pensare a lui?
Chiusi il
romanzo, facendo una piccola piega
sull’angolino della pagina in cui mi ero fermata, e appoggiai
la testa sul
finestrino.
“Oh
già, che sbadato amico, i vecchi Deep Purple, e come non
ricordarli. Uno dei
gruppi hard rock inglesi più famosi al mondo. Formatosi a
Hertford nel 1968,
insieme a i Led Zeppelin e i Black Sabbath sono considerati fra le
principali
colonne portanti del genere heavy metal. Tu cosa ne pensi,
Terence?”
“Beh…io
adoro i Deep Purple, caro mio. Con la loro –Smooke on the
water- mi
conquistarono letteralmente.”
“Ah
sì? E dire che ti facevo più tipo da Brian
Adams”
“Oh
beh…hai ragione, sono un tipo più da soft rock,
ma ho un’anima anche più heavy
metal, caro Jonathan”
Rimasi ad
ascoltare Terence e il suo amico per tutto
il tempo del viaggio. Era una cosa stranissima sentirlo attraverso le
cuffiette. La sua voce era un qualcosa di magico e attraente e come
speaker non
era affatto male. Era spiritoso, sarcastico, conosceva tante cose su
tante band
e aveva un modo di fare che fino a quel momento non avevo ancora visto
in lui.
Sorrisi tra me e
me. Era bello starlo ad ascoltare.
“E
ora invece parliamo dei Led Zeppelin, qual è la tua loro
canzone preferita?”- domandò
Terence.
“Mhm…bella
domanda…forse –All of my love- la tua?”
“Stairway
to heaven tutta la vita!”-rispose
“Oh
bellissimo anche questo grande pezzo dei grandi Led! Ma
senti…parlando di –All
of my love- mi sovviene chiederti, tu cosa ne pensi del love,
dell’amore?”
A quella domanda
mi drizzai sul mio sedile. Sapevo già
la sua risposta, ma volevo sentire se anche davanti ad altre persone
mostrava
quell’atteggiamento freddo e distaccato nei confronti
dell’amore.
“Penso
che siano fortunate le persone che hanno avuto o hanno a che fare con
l’amore,
con quello vero, con quello con la a maiuscola, ma so anche che
è una cosa
difficile a trovarsi…io almeno non l’ho mai
provato. Tu, invece?”
Alla sua
risposta, mi venne da pensare che neanch’io
probabilmente conoscevo il significato dell’amore con la a
maiuscola. Sebbene
avessi avuto qualche storia nella mia giovane vita, nessuna mi aveva
lasciato
un solco nel cuore…certo la fine della storia con Freddie mi
aveva depresso e
rattristato ma…non credo fosse amore con la A maiuscola
quello che ci legava.
Passarono circa
due ore, poi appena il conducente
fermò il treno, capii che ero già arrivata ad
Aberdeen. Per fortuna che anche
Terence aveva lasciato il posto ad altri speaker…mi sarebbe
dispiaciuto troppo
smettere di ascoltarlo.
Scendendo con il
mio piccolo trolley, controllai il
mio orologio da polso notando che era appena mezzogiorno. Presi il mio
cellulare e avvisai mio padre del mio arrivo.
Dopo una decina
di minuti, scorsi una piccola macchina
verde e la mano del mio papà salutarmi dal finestrino.
Riposi le cuffiette e il
mio Nokia in borsa e dopo essermi accomodata nella
“caffettiera” del mio papà,
lo strinsi in un abbraccio stritolatore.
-Papà!
La mia voce era
forse troppo alta?
-Tesoro mio,
bella di papà!- mi strinse forte.
-Come stai?- gli
domandai, guardandolo negli occhi.
Aveva ancora
quella piccola cicatrice vicino al
sopracciglio destro, che si procurò quando, da bambina, per aggiustarmi la mia
bicicletta andò a
sbattere contro una parte in ferro di una delle rotelle.
-Bene tesoro,
tu? Hai ufficialmente concluso
quell’articolo di cui mi accennasti?
-Sì,
per fortuna sì. Ho comunque portato il mio pc
portatile in modo da fare gli ultimi ritocchi a casa nostra.
Mi sorrise e
poi, fattami una carezza sui capelli,
accese il motore.
-Sei sempre
bellissima, angelo mio.- mi sorrise.
-E tu sei il
solito esagerato.- gli diedi un pugno
scherzoso sulla spalla.
***
Era tutto
assolutamente come lo ricordavo.
Le familiari
pareti del salotto coperte da una
simpatica quanto floreale carta da pareti, il tavolo in stile country
con il
vaso di fiori arancio in tinta con le tende. Il grande tappetto
persiano sotto
il tavolino da tè, e poi la cucina con il suo mobilio color
pistacchio. Tutto,
ripeto tutto, era come lo avevo lasciato.
-E la mia
stanza?- domandai eccitata all’idea di
rivederla.
-Sempre al
solito posto, tesoro mio!- mi sorrise mio
padre.- Senti io cucino un po’ di pasta, ti va?
-Molto
volentieri.- risposi, prima di catapultarmi nel
luogo dove avevo passato più tempo nella mia infanzia e
adolescenza.
Anche il mio
piccolo regno era come lo ricordavo.
C’erano persino ancora i poster di un giovane Leonardo di
Caprio e dei Duran
Duran.
Toccai con un
sorriso le tende in velo rosa che
circondavano il mio letto a baldacchino. Poi la casetta delle bambole e
il
piccolo pianoforte giocattolo che mi costruì mio nonno
quando avevo solo sei
anni.
Fu una
meraviglia rimmergermi nel mio passato.
Dopo qualche
altro minuto, decisi di ritornare in
cucina. Apparecchiai la tavola e aiutai mio padre a servire i piatti e
a riempire
una caraffa di vetro dipinta con delle margherite, con della coca cola.
Io e il mio
genitore passammo gran parte del
pomeriggio insieme, gustando un ottimo pranzo e un delizioso
caffè in stile
italiano sul nostro balconcino. Giunta la sera, decidemmo di
organizzare una
maratona di film, tutti avente come protagonista Marlon Brando, il suo
attore preferito.
-Beh papi, mi
stavi dicendo al telefono, qualche
giorno fa…di una certa signorina Ford…- lanciai
questa frase, mentre stringevo
tra le mani una grande tazza di cioccolata calda.
-Sì…infatti,
mia dolce Jane. E’ la maestra di Robert
ed è una donna davvero deliziosa. E’ anche molto
bella, ha dei bellissimi
capelli biondi e degli occhi quasi meravigliosi come i tuoi.- mi
accarezzò con
l’indice una guancia.
-Oh…vedo
che c’è tanta stima nei suoi confronti. E
allora perché non vi organizzate e uscite insieme qualche
volta?
Puntò
il suo sguardo sulla televisione.
-Beh tesoro
mio…è difficile…non ci riesco.
E’ come se
il mio cuore non riuscisse a dimenticare tua madre…
-Papà…quella
donna non è definibile madre, per cui
chiamala con il suo nome e basta. Sai…a volte non
è tanto il cuore a non voler
dimenticare una persona, quanto la nostra testa, il nostro cervello. Ma
noi
dobbiamo cercare di far funzionare entrambi né solo uno
né solo l’altro, perché
in un modo o in un altro ci faremmo male, per cui…che ne
dici di chiamare
questa signorina Ford?- lo guardai.
Lui
tornò a guardarmi senza dire niente, in un
silenzio carico di significato. Poi mi sorrise e passando un braccio
attorno le
mie spalle mi strinse forte a sé, dandomi un bacio sulla
testa, esattamente come
quando ero piccola.
Volevo
tremendamente bene al mio papà, e senza lui non
sarei stata la stessa.
-Ti prometto che
ci penserò.- era già un passo
avanti.- E senti…è proprio vero che non
è ancora arrivato il principe azzurro?
Quando ti son venuto a prendere alla stazione avevi un sorriso un
po’ ebete.-
cambiò discorso, concentrandosi su di me.
-Come? Davvero?
Potevo giurare
di non essermene accorta.
-Sì
sì…non la
finivi di sorridere…era solo perché eri felice di
aver rivisto il tuo vecchio?- mi alzò il mento sorridendo.
-Oh
beh…-mi schiarii la voce, sentendomi arrossire.-
forse non era solo per quello!- ammisi.
Con mio padre
non avevo mai avuto problemi a
confessare tutto ciò che mi riguardasse, neanche la mia vita
sentimentale.
-Oh
oh…e allora perché al telefono mi hai detto di
non
aver ancora trovato il tuo principe?- mi domandò sorridendo.
-Ma
perché non c’è nessun
principe…è solo un ragazzo
con cui sto uscendo qualche volta…
-Ah-ha allora
c’entra un ragazzo…e come si
chiamerebbe?- assunse ora un’espressione da finto geloso.
-Terence.
-Ah che bel
nome… dunque stavi parlando al telefono
con lui prima che mi vedessi?
-No!
Perché?
-Beh stavi
sorridendo…- constatò, curvando le sue
labbra.
-No…è
uno speaker radiofonico e casualmente sono
capitata nella radio dove lavora e allora…
-Ascoltando la
sua voce ti sei emozionata.- concluse
per me.
-Ma non
emozionata…cioè…
-Jane ti piace?-
mi colse alla sprovvista.
-Papà…non
lo so…forse…mi attrae molto, ma lo conosco da
troppo poco tempo per poter dire se mi piace o meno.- distolsi il mio
sguardo
dal suo.
-Capisco. E cosa
mi puoi dire di lui?
-E’
figlio di una famiglia di imprenditori…a quanto mi
hanno detto piuttosto famosa in Scozia: gli Ashling. Conosci?
Vidi che
posò un indice sul mento e rimase a pensarci.
-Mhm…sì,
credo di averli sentiti.
-Già,
sono proprietari di un’industria di pneumatici!
Poi posso dirti che è elegante, gentile, ma anche freddo e a
tratti scontroso,
e sì anche…- mi schiarii la voce.- cieco.
Gli occhi di mio
padre interruppero il contatto visivo
con la televisione per guardarmi.
-Oh…mi
dispiace, povero ragazzo! E sai come lo è
diventato? Oppure lo è dalla nascita?- sembrava davvero
incuriosito.
-Lo è
diventato circa sette anni fa, ma non ne so il
motivo.
-Comprendo.- mi
sorrise accarezzandomi i capelli.- sai
che dal tuo tono di voce noto che tieni molto a questo ragazzo?
Lo guardai
sgranando gli occhi.
-Davvero? Eppure
lo conosco da poco e a volte dice
cose che mi fanno innervosire.
-Chiamalo sesto
senso da papà.- mi fece l’occhiolino.
***
-Jane e la vuoi
smettere,
cavoli! Un altro po’ e so anch’io a memoria il tuo
articolo.- sbraitò,
passandosi una mano nei capelli, Vincent.
Forse aveva
ragione a
rimproverarmi. Il nervoso mi stava divorando e nell’attesa
che il mio capo mi
chiamasse per vedere il mio articolo, stavo rileggendo a voce alta
ciò che
avevo scritto molte volte, per essere certa di non avere sbagliato con
la
punteggiatura o con la grammatica.
Alla fine nel
fine
settimana, avevo concluso al cento per cento il mio lavoro, ma non mi
sentivo
ancora sicura.
-Scusa…-
dissi
sospirando.
-Ma no stai
tranquilla,
Jane! Leggi quante volte vuoi il tuo lavoro…sappiamo che
puoi aggiudicarti la
prima pagina…giusto Vincent?- domandò Barbie
guardando storto il mio collega
biondo, che senza risponderle si allontanò dicendo di andare
a prendere un
caffè.
-Grazie B.- le
andai
incontro abbracciandola.
-Ma figurati
gioiellino,
quando vuoi.- mi accarezzò i capelli facendo tintinnare i
suoi ciondoli.
-Dai su, che
oggi
nell’azienda circolano un sacco di bei pollastrelli.- mi fece
notare.
Già…ormai
tutti i modelli
e tutte le modelle erano arrivati all’Edinburgh Fashion
Magazine, solo che io
ero troppo stressata per potermi godere l’attimo.
-Sì
hai ragione.- le
sorrisi, ritornando a sedermi.
-Vuoi anche da
me un
abbraccio orsacchioso?- mi chiese Freddie appoggiandosi alla mia
scrivania.
-Perché
no!- fu la mia
risposta.
Mi alzai e
strinsi anche
lui. Sentire il profumo di muschio del suo maglioncino turchese, mi
riportò
alla mente piacevoli ricordi riguardo alla nostra storia.
-Sono certo che
George ti
farà i complimenti. Il tuo articolo spaccherà
tesoro.- mi diede un bacio sulla
guancia prima di allontanarsi.
Era bello essere
circondati da persone come loro.
Dopo pochi altri
minuti,
quell’acido di Price ritornò.
-Ho incontrato
il capo
per i corridoi…ha detto di andare nel suo ufficio per
mostrargli il tuo
articolo e di portargli un bicchiere di caffè macchiato ben
zuccherato.
Tzè
ma sentite al mio
capo! Non so…voleva anche una brioche?
-Okay…grazie.-
risposi al
mio collega.
Sistemai i fogli
del mio
articolo facendo combaciare ogni angolo. Poi li inserii in una bustina
di
plastica.
Rivolsi
un’ultima
occhiata ai miei compagni di sventura ricevendo un occhiolino da Steve,
la
biondina e dal mio ex, e poi mi allontanai.
Il tragitto
ufficio-macchinetta di snack e bevande non era molto lungo, peccato
però che
trovai una sfilza di stangone e stangoni bellissimi a circondare quella
macchina forni cibo.
Mi schiarii un
attimo la
voce per far sì che qualcuno si spostasse per permettermi di
prendere quel
dannato caffè. Per fortuna riuscii ad avvicinarmi e a
digitare il numero della
bevanda per quel sadico.
Aspettai i
secondi che il
bicchiere si riempisse, guardandomi attorno. Uffa mi sentivo una tappa
in mezzo
a così tante belle ragazze.
Dopo che il
bicchiere fu
pieno, lo presi con delicatezza facendo in modo che non sporcasse il
mio amato
lavoro, ma nel momento in cui mi voltai per andarmene, mi scontrai con
un
ragazzo…a torso nudo.
Inutile dire che
il caffè
mi scivolò dalle mani, andando a sporcare la punta delle mie
francesine, parte
dei jeans del ragazzo che avevo di fronte e persino la bustina in
plastica del
mio articolo. Menomale che avevo deciso di proteggere i fogli
inserendoli lì
dentro, altrimenti avrei combinato un inferno.
Ora dovevo anche
andare a
pulirmi le scarpe. Fantastico!
-Scusami,
scusami tanto.-
disse la voce di quel distratto.
Alzai il mio
capo
scontrandomi con due occhi grigi con il mare.
Wow…era
un ragazzo
bellissimo. Sicuramente uno dei modelli Klein.
-Non fa niente.-
mi
limitai a dire, riabbassando lo sguardo e allontanandomi.
Sentii qualche
modello
ridacchiare…forse per l’incidente con il
caffè.
-Ti posso
ripagare almeno
il caffè…mi spiace davvero.- mi fermò.
Già
come una stupida
volevo andarmene senza portare niente a quel decerebrato di George.
-Non
c’è problema…faccio
io.- dissi riavvicinandomi alla macchinetta.
-Permettimi
almeno di
sdebitarmi in un altro modo…magari stasera a cena?-
insisté, porgendomi un
fazzoletto per pulirmi le mani, che accettai.
-No
grazie…non è successo
nulla, davvero…!- tentai di sorridere rispingendo il
numeretto “4” per avere
quella bevanda combina guai.
-Sono stato
così sbadato,
perdonami…stavo parlando con un mio collega e non ti ho
vista. Comunque io sono
Christopher, Christopher Wilson, piacere di conoscerti.- mi tese la
mano.
Gliela strinsi e
poi
presi il nuovo bicchierino.
-Jane, Jane
Ryan…piacere
mio!- sorrisi.
Dopodiché
mi allontani,
riprendendo il mio cammino.
-Jane e per la
cena?- mi
si parò davanti il modello.
Non gli avevo
già
risposto? Che faceva? Ci provava con me? Davvero?
-Non
preoccuparti…ho
detto che è tutto a posto. Ti sei sporcato anche tu i tuoi
jeans per cui…siamo
pari.
-Per
favore...insisto.
-Ci
penserò.- mi limitai
a rispondergli.
Ci voleva solo
questo a
farmi perdere tempo!
-Questo
è il mio
biglietto da visita. Se cambi idea, chiamami.
E fu
così che mi lasciò
con quel pezzetto di carta tra le mani.
CONTINUA…
Avreste voglia
di
lanciarmi tutti i tipi di ortaggi marci presenti su questo pianeta, per
il mio schifosissimo
ritardo? Bene, avete il mio benestare!
No davvero,
ragazzi…scusate,
scusate, scusate! Il mio non è neanche definibile
ritardo…non pubblicare da più
di tre mesi è una cosa vergognosa…potrete mai
perdonarmi??
Purtroppo la
scuola mi
ruba molto tempo, e lo stress mi ha colpito così tanto la
mente da farmi venire
il cosiddetto blocco dello scrittore…è stato
orribile non riuscire più a
mettere parole su carta, o almeno a non mettere quelle che avrei
voluto.
Scrivevo e scrivevo, ma non mi convinceva niente…ancora
scusa!!
Spero che con
questo
capitolo, almeno, mi sia fatta perdonare! Non so cosa voi ne
pensiate…se è venuto
bene o una totale schifezza…spero la prima ;))
In questo
capitolo ho
voluto concentrarmi sulla vita più famigliare di Jane,
mostrandovi la non
presenza di una mamma e la presenza di un papà dolce e
affettuoso che non
riesce più ad aprire il suo cuore.
Poi ho inserito
un pezzo
del libro “Jane Eyre”, per farvi notare come anche
il protagonista di questo
libro diventi cieco…ho voluto quindi far riflettere un
attimo la nostra bella
Jane, in merito a questa affinità tra Terence e Rochester. ^^
Terence non lo
vediamo
molto, ma sappiamo che la nostra bella lo incontrerà il
mercoledì a casa sua e conosciamo un po' della sua vita come
speaker radiofonico. E
veniamo a conoscenza di un nuovo personaggio: Christopher Wilson. A voi
come
pare quest’ultimo? La sua presenza sarà positiva o sarà un
ostacolo per Terence? Io me lo vedo
fisicamente come l’attore Jamie Dornan (il cacciatore di Once
Upon a Time per
chi avesse visto questa meravigliosa serie tv) che ho scoperto essere
stato
veramente un modello Calvin Klein.
Qui la foto ^_^
:
E
niente…questo è tutto.
Ora volevo
passare a
ringraziare tutti voi, per la PAZIENZA che avete avuto nel seguirmi
nonostante
la mia grande assenza e per il vostro SOSTEGNO sempre costante.
Ringrazio a tal
proposito: romy2007,
Sun_Rise93,
Helmwige,WickedSwan
e AkaneYamana98
per le
loro stupende recensioni all’ultimo capitolo. Mi riempite
sempre il cuore di
gioia! GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE! <3 Spero di avere
l’onore di rileggervi
ancora così come di leggere nuove lettrici <3
E poi un Grande
Grazie
anche a : mariamax,
marioasi,
scipio,
barbara71,
alberodellefarfalle,
La
ragazza delle arance, Submassive,
la sopracitata
WickedSwan,
e pepapig
per aver aggiunto la storia alle seguite. Chiedo scusa se
per sbaglio ho saltato qualcuna…i miei occhi si stanno
incrociando xD
Mille bacioni
per tutte
voi <3
Siate
già in 37 che
seguite questa storia…quindi grazie ancora di tutto cuore!
E poi grazie
anche a : _lalla27_,
Sarina_91,
e la già nominata AkaneYamana98
per aver aggiunto Ad
occhi chiusi
alle preferite. Un abbraccio grandissimo <3
Vorrei poi,
visto che
sono certa che nel mese di dicembre non pubblicherò
l’altro capitolo,
augurarvi BUON
NATALE E BUON ANNO NUOVO a voi e alle vostre famiglie.
Mangiate
tanto, scambiatevi regali e DIVERTITEVI, DIVERTITEVI, E DIVERTITEVI!! xD
E
infine per
salutarci vorrei lasciarvi con un nuovo banner che ho fatto per questa
storia!
Vi piace? O vi piace più quello sopra il capitolo?
Attenderò in trepidante
attesa la vostra opinione <3 Un mega bacio e... al prossimo
anno!!!xD <3
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
AD OCCHI
CHIUSI
Capitolo Otto
“A
volte le parole non
bastano.
E
allora servono i colori.
E
le forme.
E
le note.
E
le emozioni.”
ALESSANDRO
BARICCO
Okay, era palese
che George lo stesse facendo apposta.
Non era la prima
volta che correggeva un mio lavoro, e
mai aveva impiegato così tanto tempo per farlo.
D’accordo che questa volta mi
giocavo la copertina e che anche il buon nome dell’Edinburgh
Fashion Magazine era
in qualche modo, nelle mie mani, ma essere schiava dell’ansia
per più di un’ora
era davvero troppo. Avrei preferito andarmene nel mio ufficio e
aspettare di
essere chiamata, piuttosto che rimanere seduta come un rigido soldatino
sulla
logora sedia del logoro e polveroso ufficio di George.
Sentivo il
fastidioso “tic toc” dell’orologio in
plastica grigia appeso alla parete che andava ad un ritmo decisamente
lento
rispetto al battito del mio cuore. Io ero così! Fin da
quando ero piccola, mi
facevo sovrastare da mille ansie e mille paure e anche se tra me e me
dicevo
che se anche una cosa fosse andata male, avrei potuto migliorare, mi
sentivo
sempre male, con una fastidiosa morsa all’altezza dello
stomaco.
Dopo qualche
secondo, finalmente quel sadico si
schiarì la voce, posando i miei fogli sulla scrivania.
Dopodiché si sfilo i
suoi tondi occhialetti e li posò davanti a sé,
toccandosi l’inizio del naso con
l’indice e il pollice.
Ingoiai un
po’ di saliva e presi a fare grandi
respiri.
-Jane, puoi
andare.- si limitò a dirmi.
Cosa?
Cioè io mi stavo facendo un sacco di paturnie
mentali e lui mi liquidava con un semplice : “Puoi
andare”?
Se fossi stata
in un’altra situazione gli avrei
sicuramente risposto a tono, ma non ero nelle mie complete
facoltà mentali per
farlo, per cui mi litai ad alzarmi dalla sedia e a rimetterla
ordinatamente al
suo posto, poi mi avviai verso la porta dell’ufficio.
-Potrebbe dirmi
com’è andata?- mi limitai a
chiedergli, guardandolo negli occhi.
George rimase a
osservarmi serio. Dio, era andata così
male? Avevo lavorato per due settimane sfornando un articolo
così…pessimo? Mi
veniva da piangere.
-Sebbene ci
siano troppe virgole, e sebbene potevi
evitare di mettere troppe citazioni, il tuo
articolo…è semplicemente…- si
fermò
posando lo sguardo fuori dalla finestra.- uno
dei migliori che io abbia mai letto.- disse
spiazzandomi, riguardandomi con un’ombra di un sorriso sul
volto. Un
attimo…sorriso? Il mio capo mi stava sorridendo? E mi aveva
detto che avevo
fatto un buon lavoro? Mi sentivo poco bene. Sorreggetemi vi prego!
-Ehi
Ryan…non mi sverrai in ufficio, vero? Ho già
perso tempo con te…ora va.- mi liquidò con un
gesto della mano.
Aprii la
maniglia della porta e mi recai dai miei
colleghi. Oddio…ero la persona più felice del
mondo…oddio non potevo crederci…oddio,
oddio, oddio! Sentii le mie labbra curvarsi in un sorriso, in uno di
quei
sorrisi involontari che ti spuntano quando sei troppo contenta. Sentii
il cuore
leggero come una piuma, e dopo essere arrivata davanti al mio ufficio,
vi
entrai saltellando letteralmente e andando tra le braccia di Freddie,
sotto lo
sguardo curioso di tutti.
-Oi
tesoruccio…è andata alla grande, non è
vero?
Annuii con il
capo sorridendo sul suo petto.
-Che ti ha
detto?- mi domandò Vincent, fintamente distaccato.
-Nulla di
che…solo che il mio è stato uno degli
articoli migliori che abbia mai letto!- quasi urlai nel dirlo.- Avrei voluto saper di
più…ma mi ha liquidato
dicendo di aver perso troppo tempo con me!- mi staccai da Freddie per
rispondergli.
-Oh
wow…che cosa bellissima. Sappiamo tutti che George
è molto tirchio in fatto di parole e… non solo,
quindi…ritieniti fortunata
Jane. E poi…per una giornalista sentirsi dire certe cose
deve essere il top.-
mi disse Steve.
-Hai ragione,
amico mio! Guardate…non potete
immaginare quanto sia contenta.- esclamai con un sorriso a trentadue
denti.
***
-Baby e io che
cosa ti avevo detto? Non so di cosa ti
preoccupassi! Ti fai sempre tanti complessi inutili e poi…ho
sempre ragione io!
– mi disse sorridente Abbie, davanti un buon piatto di herring in oatmeal in una piccola
locanda in stile britannico
vicino casa nostra.
-Sei tu che hai
troppa fiducia in me, amica mia! E poi
sai come sono…- curvai le labbra in un mezzo sorriso.
-Lo so, lo so!
Comunque stasera i tuoi colleghi ti
hanno organizzato qualcosa per la bella notizia?- mi guardò
con i suoi grandi
occhi grigi truccati d’azzurro.
-In effetti
sì o almeno loro vorrebbero…però non
so se
fare qualcosa…perché c’è un
fatto di cui non ti ho parlato.
A quel punto
Abbie posò la forchetta nel suo piatto e
mi guardò con uno sguardo intimidatorio.
-Cioè?
-Praticamente
prima di consegnare l’articolo a George
sono andata a prendergli, sotto sua richiesta, un caffè alla
macchinetta poco
distante dal mio ufficio. Dopo aver preso il bicchierino
però mi sono scontrata
con un modello Calvin Klein o almeno sono quasi sicura che fosse un
modello.
-Uooo…questa
è una bella notizia! E beh cosa è
successo poi?- congiunse le sue mani sotto il mento, assumendo
l’espressione da
“sono molto curiosa”.
-Durante lo
scontro il bicchierino si è rovesciato e
il tipo, che mi ha fatto sapere di chiamarsi Christopher Wilson , ha
detto che
per scusarsi della sua sbadataggine avrebbe voluto invitarmi a cena
stasera.
Spalancò
gli occhi.
-Ah…vedi
la nostra piccola Jane ha fatto colpo…- mi
sorrise maliziosa .- Però sai…non so se sia un
bene che tu vada a questa cena…io
tifo per te e Terence.- puntò il suo sguardo verso
l’alto.
Al sentire il
nome di Terence, mi sentii in imbarazzo.
-M-ma cosa
Abbie? Non c’è nessun io e Terence. E poi
ho detto di no al ragazzo…solo che mi ha detto che se avessi
cambiato idea,
avrei potuto chiamarlo! Mi ha dato persino il suo biglietto da visita.-
lo
presi dalla mia borsetta e glielo mostrai.
-Oh…!
Devi essergli piaciuta al primo sguardo, deve
essere per forza così.- si interruppe per sorseggiare un
po’ del suo vino
bianco.- senti…e allora? Cosa hai intenzione di fare?
-Non lo so A,
cioè…boh! Comunque non credo in nessun
colpo di fulmine, è solo un gesto di educazione!
Abbie…Christopher Wilson è un
modello, e per quel po’ che l’ho visto è
anche bellissimo, per cui…come potrei
averlo colpito io, dopo che è circondato da donne bellissime
ogni giorno?! - le
feci presente, spezzando un pezzo di pane.
-Ahh taci Jane,
non ti sopporto quando fai questi
discorsi.- mi rimproverò, facendomi abbassare lo sguardo.-
comunque potresti
provare ad andare…dovrai lavorare con questo modello per cui
un amico in più
non potrà farti male. Poi nel caso in cui ci provi con
te…pensa bene a cosa
fare.
-Non ho bisogno
di pensare a nulla…sai già da chi sono
attratta.
La mia amica mi
sorrise.
-Senti ma
perché non gli proponi invece di una cena,
un cocktail o qualcosa del genere? In tal modo potrai conoscerlo, ma
senza
perdere molto tempo e di conseguenza se non ti convincono molto i suoi
atteggiamenti
concludere non molto tardi la serata.
Rimasi a pensare
a ciò che lei mi aveva detto e quasi
quasi aveva ragione.
-Mhm sai hai
ragione. Di regola potrei benissimo non
accettare e non proporgli un bel cavolo, essendo un estraneo, e di
conseguenza
un possibile malintenzionato…ma, come hai detto
tu…forse mi conviene avere un
amico modello in più…visto che dovrò
intervistarlo.
Abbie mi
guardò sodisfatta.
-Bene, credo tu
abbia preso la decisione giusta! Dunque
lo chiamerai ora?- domandò tagliando un pezzetto di carne.
-Yes! Tanto nel
pomeriggio non lo incontrerò
sicuramente al giornale, da domani dovrebbe iniziare il set fotografico.
Così
detto mi alzai e promettendo alla mia amica di
tornare in pochi minuti, andai nel giardinetto sul retro del locale,
per fare
la mia telefonata.
Bah…chissà
se l’idea di accettare l’invito di questo
tipo si sarebbe davvero rivelata una cosa giusta!
***
-Okay le chiavi
ce l’hai, il cellulare anche e …direi
che hai tutto ciò che ti occorre! Ha detto di volerti
incontrare al
“Portman’s”, giusto?- domandò
Abbie con le mani già sul volante.
Erano le otto di
sera e la mia amica aveva insistito
per accompagnarmi. Nel pomeriggio, avevamo ulteriormente discusso
dell’appuntamento con Wilson, rimanendo che lei sarebbe
venuta con me. Ovviamente
Abbie sarebbe stata ad un tavolo ed io ad un altro con il modello. Ai
tempi
d’oggi la sicurezza non era mai troppa!
-Sì
sì! Ma tu sei sicura di voler anche entrare nel
locale? Non è che ti annoierai?- le chiesi per la
milionesima volta, mentre lei
digitava sul suo navigatore il nome del locale.
-Baby ti ho
già detto di stare tranquilla. Mi sono
portata un libro da leggere e poi ne abbiamo già
parlato…non lo conosci ed è
bene che io ci sia nel caso di qualche comportamento non appropriato!
Inoltre,-
si schiarì la voce,- …come potrei perdermi
l’occasione di vedere un modello
Calvin Klein dal vivo?
A quel punto
scoppiai a ridere. A mio dire, più che
per la mia sicurezza era per il secondo motivo che quella birbante
voleva entrare
nel locale.
Dopo una ventina
di minuti intervallati da qualche
canzone proveniente da un CD che le aveva regalato Tom e che prevedeva
perlopiù
canzoni di Celine Dion, la fosforescente insegna
“Portman’s” mi avvertì che
eravamo arrivati.
Strinsi meglio
al collo il foulard a fantasia che
avevo scelto di abbinare alla mia camicia, mi aggiustai le pieghe dei
miei
pantaloni di velluto e poi mi slacciai la cintura di sicurezza.
-Bene, allora tu
entra, poi io entrerò fra dieci
minuti, intesi?!
Annuii con il
capo e poi mi avvicinai alla porta
vetrata del locale. Viaggiai con lo sguardo per cercare di intravedere
Christopher ma non vidi nessuno. Eppure eravamo rimasti che mi avrebbe
aspettato dentro!
-Jane Ryan? Sei
tu?
Mi voltai di
scatto, scontrandomi con due occhi grigi.
A quanto pare eravamo venuti nello stesso momento, ma con il buio
temeva di
avermi confusa con qualcun altro…d’altronde ci
eravamo visti solo una volta.
-Sì,
sono io. Ciao Christopher!- tesi la mano al
modello, il quale ricambiando la stretta, mi sorrise per poi aprirmi
galantemente
la porta d’entrata.
Prima di varcare
la soglia del pub, però, volsi un
ultimo sguardo alla mia amica che notai guardare a bocca spalancata
Wilson.
Sorrisi tra me e
me e poi entrai seguita a ruota da
lui.
Il locale non
era molto grande. Le pareti erano
verniciate di un blu scuro come le tovaglie che ricoprivano i piccoli
tavolini
situati alla destra del bancone. Il pavimento era lucido e bianco e un
piccolo
palco in legno mi fece subito pensare che dovevano tenersi dei piccoli
spettacoli la sera.
Ci sedemmo su un
tavolo un po’ all’ombra, dove notai
accanto ad un vasetto con due peonie lilla, un volantino con gli
spettacoli che
si sarebbero tenuti: uno di magia, un esibizione di un violinista e poi
di una
cantante.
-Sono molto
contento che tu abbia accettato il mio
invito. Sai mi sono sentito molto in colpa quando ho visto i tuoi occhi
spaventati e le tue scarpe sporche…scusami ancora.- mi disse.
-Oh non fa nulla
davvero! Ho accettato il tuo invito
perché avevo capito che ti sentivi in colpa e poi
perché ho dedotto, ricordando
il tuo abbigliamento, che tu fossi un modello Calvin Klein e così sapendo
di dover lavorare con te, ho
preso questa decisione.
-Lavorare con
me? Oh…allora sarai senza dubbio una
modella!- mi spiazzò.
Come? Voleva
prendermi per scema? Io, Jane Ryan, una
modella? Ah-ha…questa era bellissima!
-Sì
certo…è una specie di scherzo?- ridacchiai, per
non piangere.
-No.- mi soprese
per la serietà con cui mi rispose.-
Ti posso giurare Jane di aver pensato veramente che tu facessi la
modella. Non
credo ti manchi nulla per esserlo.- mi rivolse un sorriso.
Certo non mi
mancava nulla…tranne venti centimetri
d’altezza, una pancia più piatta, delle cosce
più snelle e Dio solo sa
cos’altro.
-Beh ti
ringrazio per le tue lusinghe ma no, sono
orgogliosamente una giornalista.- mi aggiustai una ciocca di capelli
dietro
l’orecchio.
-Oh
wow…anche meglio allora! Le mie colleghe non sono
persone molto interessanti.
Sorrisi.
-E dunque tu mi
confermi essere un modello? - domandai,
concedendo ai miei occhi di osservarlo meglio.
Portava una
camicia bianca, la barba era ben curata e
i capelli castani erano gelatinati. Era senza alcun dubbio paragonabile
ad un
dio greco per la sua bellezza.
-Vuoi
intervistare anche me?- ridacchiò.- Scherzo!
Comunque sì sono un modello e lavoro per varie case di moda.
Un mese fa mi è
stato proposto di lavorare con Calvin Klein. - sorrise mostrando dei
denti
perfetti.- vogliamo prendere qualcosa?- cambiò discorso.
Annuii con il
capo e iniziai a sfogliare il piccolo
menù posizionato sotto il volantino degli spettacoli. Alla
fine optai per un Florida, drink
analcolico che lessi
essere fatto da arancia, pompelmo, e limone con aggiunta di sciroppo di
zucchero e soda water.
-Sei una tipa da
analcolico?- domandò quando gli
rivelai la mia scelta.
-Sì,
generalmente non bevo alcolici, tranne magari
nelle occasioni speciali come feste.
Annuì
guardandomi.
-Hai un viso
molto grazioso, Jane, te l’hanno mai
detto?
Sentii le mie
guance imporporarsi. Non ero una persona
molto abituata ai complimenti, e in più sentirsene dire uno
da un modello più
che bello, era una grande cosa per me.
-Grazie, sei
molto gentile.- risposi, abbassando lo
sguardo.
Dopo poco,
sentii la porta d’entrata riaprirsi. Mi
voltai notando che era Abbie. Si era aggiustata il foulard azzurro che
aveva
deciso di indossare, attorno al capo, a mo’ di diva
Hollywoodiana anni ’50 e
aveva messo degli occhiali da sole dalla montatura quadrata. Neanche
stesse recitando
in un film di Alfred Hitchcock…avevo una voglia matta di
ridere!
Vidi che
salutò il proprietario del pub, il quale la
guardò in maniera strana, e poi passando accanto al mio
tavolo, si schiarì la
voce. Come se non avessi capito che era lei ad essere entrata!
Si sedette al
tavolo dietro il nostro e mise davanti a
sé il menù.
-Beh allora
direi che possiamo ordinare…- mi disse
Wilson.
-Sì.
Chiamò
un cameriere con un gesto della mano, e dopo
aver ordinato, rimase a fissarmi. Mi sentivo incredibilmente a disagio.
-Mhm, dunque fai
il modello da tanto?- gli domandai
dopo essermi schiarita la voce.
-Da quando avevo
diciotto anni! Ora ne ho ventotto
quindi…sì direi da molto.
-Oh capisco! E
ti piace quello che fai?
-Molto! Non sono
mai stato un tipo intellettuale,
fatto per studiare o per rimanere a prendere polvere con i libri, per
cui…usufruire dell’unica cosa che mi appartiene:
la bellezza, mi va più che
bene.
-Beh a me piace
molto leggere e non direi che sono
ricoperta di polvere.- risposi un po’ stizzita.
Non mi piacevano
le persone che criticavano chi amava
dedicarsi alla lettura. Capivo che non a tutti potesse piacere passare
ore su
dei libri, ma nessuno aveva il diritto di giudicare coloro a cui
piaceva farlo.
-Scusami non
intendevo porre un critica a coloro che
leggono e amano farlo…- mi sorprese per il tono dolce che
usò.
-Non fa niente.-
lo guardai negli occhi.
Erano belli. Di
un grigio scuro e molto profondi
ma…non sapevo come spiegarlo…non mi trasmettevano
molto e inevitabilmente la
mia mente finiva per sovrapporli con un altro
paio…verde-azzurro.
Alla fine il
tempo trascorse parlando del più e del
meno. Scoprii che oltre a non piacergli la lettura avevamo anche gusti
musicali
e cinematografici diversi. Ogni tanto mi voltavo con la scusa di
controllare il
cellulare posto nella borsetta appesa alla sedia, notando qualche
simpatico
occhiolino dalla mia amica, che coperta dal libro “Sogno di
una notte di mezz’estate”
di Shakespeare, sembrava non si stesse annoiando.
La serata non fu
per niente sgradevole, ma…non mi
aveva lasciato quella sensazione, potevo chiamarla così, che
mi aveva lasciato
Terence la prima vola che l’avevo incontrato. Sapevo che non
dovevo permettere
troppo alla mia mente di focalizzarsi su un ragazzo che non voleva
provare più
amore per nessuna ragazza e che assumeva spesso atteggiamenti freddi e
scontrosi e, sapevo che non ero dovuta a confrontare nessuno con lui,
ma…se la
testa mi diceva una cosa, il cuore ne diceva un’altra. Sapevo
che io stessa
avevo detto a mio padre che cuore e cervello non devono mai lavorare
l’uno
indipendentemente dall’altro, ma a quanto pareva era
più facile a dirsi che a
farsi.
-Posso dirti una
cosa?- domandò Christopher all’improvviso
quando ormai i nostri bicchieri erano vuoti.
-Certo! Quello
che vuoi.
-Beh…è
un po’ imbarazzante dirlo.- si toccò
nervosamente i capelli.- ma…forse non è stato
proprio un incidente il
nostro…vicino alla macchinetta.
Inarcai le
sopracciglia.
-In che senso?
-Beh forse
potrei averti notato già dal primo giorno
in cui sono venuto all’ Edinburgh Fashion
Magazine…e potresti aver colpito il
mio interesse fin da subito.
Rimasi non
sbalordita…di più. Ma cosa? C’era
qualche
candid camera nascosta, forse?
-Non ci credi?
Vedo il tuo sguardo un po’ sorpreso…
-Sì
certo che sono sorpresa…non riesco a capire! E’
uno scherzo organizzato da qualche mio collega, per caso?
Tutto era
possibile.
-No, non credo
di conoscere nessun tuo collega!-
ridacchiò.- Ma
perché sei tanto
dubbiosa? Credi davvero di essere una ragazza così
insignificante?
Si
avvicinò al mio viso.
-B-beh…non
pensavo di essere una persona molto
attraente…comunque è stato rischioso da parte
tua, venirmi addosso…il caffè
poteva sporcare il mio lavoro, e a quel punto ti avrei sicuramente
ucciso.-
scherzai su, allontanandomi con la sedia.
Troppe
confidenze, in un solo giorno.
-Per fortuna che
non è successo allora!- mostrò i suoi
denti perfetti.
-Ma
perché proprio io?!Cioè sei circondato da donne
bellissime ogni giorno, e scegli una comune ragazza che non ha nulla di
speciale? Hai bisogno di qualche controllo!- risi.
-Chi ti ha detto
di non avere nulla di speciale? E poi
le mie colleghe come ti ho già detto non sono persone molto
interessanti e
anche se agli occhi di molti possono sembrare il fascino in
persona…per me sono
solo apparenza.
Rimasi sorpresa
nel constatare la bassa stima che aveva
nelle sue colleghe.
-Ma non hai
detto prima di essere contento di fare un
lavoro che ti permetta di usufruire dell’unica cosa che hai,
la bellezza?
-E con questo?-
chiese sempre in maniera educata,
perforandomi con le sue pietre grigie.
-Beh…le
tue colleghe fanno semplicemente ciò che fai
tu…dunque ritieni anche tu…di
essere…solo apparenza?
Vidi che
inarcò le sopracciglia in un’espressione,
agli occhi di molte donne sicuramente affascinante, ma ai miei
semplicemente
curiosa.
-Sì…è
probabile!- rispose dopo averci pensato un po’.
Almeno era
sincero.
-Bene…-
sorrisi.- allora direi che forse è il caso che
vada…- osservai il mio orologio da polso, notando che erano
già le dieci e
mezza.
-Certo Jane!
Vuoi che ti accompagni io?- mi chiese
alzandosi dal nostro tavolo, come feci io.
Buttai un occhio
su Abbie, intanto, notando che non
portava più né foulard né occhiali, e
che era più che concentrata sulla sua
lettura.
Mi schiarii la
voce per attirare la sua attenzione.
-No ti
ringrazio, la mia amica verrà a prendermi, come
eravamo rimaste.- alzai la voce su quest’ultima frase, per
richiamare Abbie,
che prontamente mi guardò.
-Oh bene, allora
posso farti almeno un po’ di
compagnia fintanto che l’aspetti?- mi aiutò a
indossare il mio trench.
-Grazie, ma
verrà a momenti…sai non abitiamo molto
distanti da questo locale, e non vorrei che tu avessi di meglio da
fare…-
lasciai la frase in sospeso, guardandolo negli occhi.
-Non ho
nient’altro di meglio da fare.- rise,
avvicinandosi alla cassa per pagare i nostri drink.
Abbie nel
frattempo si era rivestita del suo foulard e
dopo aver pagato ciò che aveva preso (un calice da birra
sembrava quello vuoto
sul suo tavolo) ad un cameriere, vicino al padrone del pub,
uscì lanciandomi
uno sguardo.
Christopher,
dopo poco, ritornò.
-Allora
l’aspettiamo fuori?
-Sì
d’accordo!
L’aria
fredda della sera mi accarezzò il volto e
stringendomi nel mio trench, notai che la macchina della mia amica non
c’era.
Probabilmente l’aveva parcheggiata qualche metro
più in là, per rendere il
tutto più credibile.
-E’
stata una bella serata per me, grazie Jane!- mi
disse appoggiandosi al muro vicino la porta del locale.
-Grazie a te.
E’ stata una serata piacevole anche per
me.- gli sorrisi.
-Domani ti
rivedrò a lavoro, giusto?- domandò speranzoso.
-Beh
sì…non so cosa deciderà di fare
George, il capo
se non l’hai ancora conosciuto, ma dovremmo incontrarci.
-Questa
è una bella notizia.- mi guardò.- e per quanto
riguarda un fidanzato…ce l’hai?- si
passò una mano tra i capelli.
-No, sono
single.- risposi, omettendo il “ma mi attrae
un ragazzo” che riecheggiava nella mia testa.
-Ah…capisco!
Beh allora ti andrebbe se uscissimo di
nuovo insieme qualche volta?
Il suono del
clacson di Abbie mi salvò dal
rispondergli.
-Oh è
la mia amica!- la salutai con un cenno della
mano.
-Allora ne
riparleremo domani.- si avvicinò, dandomi,
con mia somma sorpresa, un bacio sulla guancia.
Oh. Mio. Dio, mi
aveva appena baciato un modello
Calvin Klein? Codice rosso, Houston abbiamo un problema!!
-Ciao Jane.
Mi limitai ad un
cenno di saluto con il capo, e con un
sorriso un po’ imbarazzato salii sul veicolo di Abbie.
-Oh
Gesù…cioè ho visto bene?- mi
aggredì la mia amica.
-Mi ha solo dato
un bacio sulla guancia.- mi difesi.
-Solo…solo
un bacio sulla guancia? E tutti gli sguardi
che ti ha lanciato? E il “ ma lo sai che hai un viso
grazioso”? E il “forse non
è stato un incidente” e…
-Okay,
okay…ho capito! E poi tu hai sentito tutto? Non
stavi leggendo?
-Non cambiare
discorso.- mi puntò il dito contro.
-Abbie, che ne
so!…Forse ha qualche problema agli
occhi e gli piaccio un pochetto.
-Se ha dei
problemi agli occhi e gli piaci solo un
“pochetto”- mimò le virgolette, sempre
con le mani sul volante.- io sono
Britney Spears.
Risi alla sua
battuta, mentre lei guidava.
-Va bene, forse
gli piaccio, ma lui seppur bellissimo,
non piace a me.- ammisi.
-Mhm scommetto
che se qualche fan di questo modello ti
sentisse, tu saresti già morta.
-Addirittura?
-Eccome…
Ma tu sei completamente sicura che ci sia
solo attrazione fisica verso di Terence?
-E ora lui che
c’entra?
-C’entra,
c’entra. Altrimenti il modello avrebbe
occupato i tuoi pensieri fin da subito. Quindi? Rispondi.
-Non lo so
Abbie! Sai non è che siano molte le volte
in cui sono stata in sua compagnia, ma quelle poche volte che ho avuto
il
piacere di essergli vicina mi sono sentita…bene! Terence, se
dovessi
paragonarlo a qualcosa, lo paragonerei a una tavolozza di
colori…in lui ci sono
tante sfumature…
-Come Christian
Grey di cinquanta sfumature di
grigio?- mi prese in giro ridendo.
-Abbie non dire
scemenze.- risi anch’io.- Sul serio!
Terence è un insieme di…cose…il
più delle volte è arrogante, freddo,
presuntuoso, ma altre che lascia trapelare poco
è…dolce, gentile, ed educato.
-Mhm quadro
clinico piuttosto interessante.-
ironizzò.- E quindi cara mia, auguri perché ti
sei presa una bella cotta!
-Dici?- iniziai
a giochicchiare con un unghia.
-Non sono io a
dirlo! Sei tu che me lo hai lasciato
intendere. Potevamo parlare di attrazione nel caso in cui ti avesse
attratto
più fisicamente che altro, e nel caso in cui a
piacerti fossero stati solo
alcuni suoi atteggiamenti, ma…nel tuo caso direi che ti
colpisce molto anche
caratterialmente, quindi…! E poi cavoli, ripeto, se non ti piace un modello
stra fichissimo per
un altro ragazzo, qualcosa significherà.
-Questo
è un bel problema!- sospirai affranta.
-Ma
perché? Dobbiamo rifare sempre gli stessi pizzosi
discorsi?- si fermò ad un semaforo.
-Per il solito
pizzoso- calcai sul termine che aveva
usato lei.- motivo. Lui ritiene le donne come gallinelle che vogliono
solo
approfittarsi di lui, e non mi sembra uno che voglia
innamorarsi…come devo
dirtelo.- guardai fuori dal finestrino.
-Eh cara mia, ci
sono cose che anche se si vogliono
non possono avverarsi! Anch’io vorrei non sopportare Sandra,
eppure…!
-Non so
veramente che fare! Hai ragione tu, mi sono
presa una cotta per lui e ora…che faccio?
-Ora non
iniziare con i complessi Amletici e calmati,
ti ho già detto che la vita non va programmata ma vissuta,
per cui quel che
sarà sarà. Devo ricantarti la canzone di Doris
Day?- scherzò.
-Meglio di no!-
Sorrisi.
-Ecco! Allora
continua a frequentarlo e poi si vedrà.
***
Il
mercoledì mattina mi svegliai con un po’
d’ansia
nello stomaco. Avrei finalmente rivisto Terence, dopo più di
una settimana, e
ciò non potevo non rendermi agitata. Insomma, rivedere un
ragazzo che ti piace
non è mai qualcosa di semplice.
Apparecchiai la
tavola per la colazione, mettendo sul
fuoco la caffettiera perché oggi non mi andava il
caffè della macchina, e
imburrando delle fette biscottate.
-Oh
baby…già in piedi oggi?- entrò in
cucina Abbie,
stiracchiandosi le esili braccia.
-Sì…oggi
mi sono svegliata con un po’ di ansia. Vuoi
una fetta con la nutella o con la marmellata di arance?- le indicai i
due
barattoli.
-Con la
marmellata.- prese dalla dispense due tazze,
prendendo poi del latte dal frigo.
-E a cosa
è dovuta l’ansia? Terensuccio? …
-Terensuccio?
– risi.- sì…!
-Andrà
tutto bene.- mi strizzò l’occhio.- piuttosto io
sono agitata. Ti rendi conto che vedrò sfilze di macchine
d’epoca davanti i
miei occhi?
-Hai gli occhi a
cuoricino.- feci presente addentando
un biscotto al cioccolato.
-Ci credo!
Però devo dire che entrambe stiamo vivendo
momenti entusiasmanti delle nostre vite.- osservò. -Tu con
il tuo ottimo
articolo al giornale e con l’incontro con Terence e io con il
mio lavoro e il
mio amore.
-Hai ragione.
E’ un periodo sicuramente,- mi fermai a
pensare l’aggettivo adatto,- interessante per entrambe.
Ci sorridemmo a
vicenda e poi continuammo la nostra
colazione accendendo la tv.
-Oh lascia sul
canale sette, sta facendo “una mamma
per amica”, sai che amo Rory.
Passammo gran
parte del tempo a
commentare vicende e attori del telefilm.
Poi, verso le
otto, dopo la doccia, andai a vestirmi. Scelsi
di indossare un dolcevita turchese sotto una giacca nera con bottoni
dorati, un
jeans chiaro e le mie immancabili converse. Aggiustai i capelli con una
veloce
passata di piastra e decisi di osare con un profumo fruttato.
Arrivata in
salotto fui accolta da un fischio di
approvazione da parte della mia migliore amica, che mi chiese di
voltare su me
stessa.
-Sei bellissima
Jane.- mi sorrise.
-Ehh esagerata!
Sono vestita come sempre!- le
accarezzai i capelli.
-Anche con un
sacco di patate saresti bella tu.- mi
rispose, facendomi la linguaccia e avvicinandosi al mobile accanto alla
porta
d’entrata per prendere le chiavi della sua auto.
Era
l’amica perfetta, e le volevo molto bene, perché
sapeva che non avevo molta stima in me, e proprio per questo tentava
sempre di
convincermi a credere più in me.
-Tu lo sei.
***
Come
presumibile, al giornale la giornata fu piuttosto
indaffarata! Il mio caro capo non era stato così magnanimo
da concedermi una
pausa dopo il mio ultimo e faticoso lavoro, ma mi aveva già
chiesto di
intervistare due modelle della collezione Louboutin e di preparare una
collezione
di venti foto che sarebbe stata usata per le pagine centrali del
magazine.
Alla fine non
avevo neanche incontrato Christopher,
per fortuna. O meglio l’avevo visto, ma solo due volte, in
cui eravamo riusciti
solo a salutarci. Non che non volessi rivederlo, ma se fosse successo
mi
avrebbe ri chiesto di uscire con lui, e…la mia situazione a
livello
sentimentale non era proprio delle più semplici, e a parte
nel vedere in lui un
possibile futuro amico, non vedevo nient’altro.
-Jane, posso
chiederti un favore?- mi domandò Barbie, durante
una pausa caffè.
-Certo, dimmi
tutto.
-Senti…come
ben sai a breve sarò una futura sposa…
-Sì…-
girai con un bastoncino di plastica lo zucchero
nel mio cappuccino.
-Beh volevo
domandarti se ti andrebbe di accompagnarmi
a scegliere il mio abito da sposa, tra due settimane.
A quella
richiesta rimasi sbalordita! Io e Barbara
avevamo sempre avuto un buon rapporto ma non pensavo che mi avrebbe
chiesto una
cosa così da…amiche.
-Wow…certo,
molto volentieri Barbie.- le rivolsi un
sorriso a trentadue denti, e poi l’abbracciai, evitando di
sporcarla con il
bicchierino.
-Grazie cara
Jane! Sai, ci sarà anche mia sorella e
mia mamma, ma penso che anche la tua opinione sia molto importante.
Le sorrisi.
-Ah e poi vorrei
chiederti un’altra cosa!
-Certo.-
sorseggiai la mia bevanda.
-Non ricordo se
tu avevi un’amica fotografa…
-Sì
Abbie Anderson, è la mia migliore amica ed è una
fotografa per un giornale su delle auto d’epoca.
-Perfetto!
Allora potrei chiederti di domandarle se
sarebbe disponibile per scattare delle foto al mio giorno
più bello?- chiese
speranzosa, con gli occhi luccicanti.
-Sì
assolutamente! Ma quindi è stata decisa la data?-
risi.
-Oh…sì.-
le sue guance si colorarono di rosso. Era
palese che fosse emozionata.- se Dio vuole mi sposerò a
Dicembre, il ventitré
dicembre.
-Ma è
stupendo! Quindi fra…- feci un calcolo a mente.-
tre mesi? Non è un po’ presto?...Intendo per
preparativi e company?- ero
curiosa.
-Jane cara, mi
conosci, sai che non piacciono le cose
molto sfarzose! Due mesi e mezzo saranno più che sufficienti
per prenotare un
locale e una piccola band che diletti la serata. Ho invitato poche
persone e
quindi…secondo me andrà tutto bene!- mi fece
l’occhiolino.
Tante volte
avrei voluto avere anch’io la sua
sicurezza e la sua tranquillità.
-Oh ma certo che
andrò tutto alla grande, e vedrai
sceglieremo un abito bellissimo come te.- le sorrisi, buttando il mio
bicchierino.
-Sei sempre un
tesoro, Jane! Ma senti…un uccellino mi
ha riferito di averti visto con un figo modello, è vero?- il
suo tono di voce, adesso, era cambiato, trasmettendo il suo passaggio
da "futura sposa emozionata" a "detective ultra curiosa".
Ecco! Mi stavo
giusto domandando come fosse possibile
che i saluti tra me e Wilson non fossero stati notati da nessuno.
-E questo
uccellino si chiama Beth Smith?
Mi riferii a una
donna addetta alle pulizie degli
uffici che ne sapeva una più del diavolo su tutto e su tutti.
-Mhm…può
darsi!- scoppiò a ridere.- ma quindi ha detto
il vero?
-Beh diciamo che
è un modello che conosco poco…-
rimasi vaga.
-Mhm
mhm…e come
si chiama?
-Christopher
Wilson. Ci siamo solo salutati e siamo
usciti solo una volta insieme…tutto qui!
Oh-
oh….forse quest’ultima parte non dovevo dirla.
-Ah-ha,
addirittura un'uscita…e il figlio degli
Ashling cosa ne penserà ora?- incrociò le
braccia, mostrandomi un sorriso
sghembo.
-In che senso?
Primo non ho fatto nulla di male,
perché la nostra uscita non era un appuntamento romantico o
roba simile ma solo
un’occasione per conoscerci meglio e secondo, io con Terence
non ho nulla a che
fare. Nel senso che non siamo fidanzati o roba simile, non so neanche
se
possiamo definirci amici.
-Capisco…-
sorrise, allontanandosi.
Cosa voleva dire
quel “capisco”??
***
Alle sei e
mezza, chiesi a George mezz’ora di
permesso, e aspettata Abbie fuori dal mio lavoro, come da appuntamento,
l’aspettai. Finalmente il momento in cui avrei potuto
rivedere quel testone era
arrivato. Chissà se anche oggi mi avrebbe sorpreso e messo
in difficoltà come
sapeva fare solo lui!
Controllai il
mio telefono, notando un suo messaggio.
“Tutto
confermato per il nostro incontro?”
“Sì
sì, ci vediamo fra circa trenta minuti! Abbie sa la strada
di casa tua, vero?”
Oddio che gaffe!
Avevo scritto davvero “ci vediamo”?
Mi morsi le labbra, maledicendomi.
“
Sì gliel’ha spiegata Harrison questa
mattina.”
Per fortuna
aveva sorvolato sulla mia stupidità.
“Perfetto!
A dopo allora!”
Dopo cinque
minuti scorsi l’auto di Abbie.
La salutai e poi
il viaggio partì.
-Abbie ho fatto
una brutta figura con Terence…- le
disse mettendomi la cintura di sicurezza.
-Perché?-
domandò accedendo la radio.
-Perché
mi ha mandato un messaggio in cui mi ha
chiesto se il nostro incontro fosse confermato e io gli ho detto di
sì,
aggiungendo un “ci vediamo dopo”. Si può
essere più sciocchi?- mi passai
nervosa una mano nei capelli.
-E cosa
c’è che non va, scusa?...Ah intendi il fatto
che hai usato il verbo vedere?- si fermò ad un semaforo.
-Sì…
-E
vabbè baby, purtroppo non si può sempre evitare
di
usare certe formule del parlato quotidiano che richiamano al verbo
vedere.
Terence sarà anche abituato, tranquilla!- mi accarezzo un
braccio mantenendo
sempre lo sguardo fisso davanti a sé.
Sospirai e mi
abbandonai sul sedile.
-Ho saputo da
Tom che casa Ashling non è una casa, ma
un vero castello! E’ un qualcosa di grandissimo, quindi sono
certa che non
avremo problemi nel trovarla.- cambiò argomento.
-Ah, lo
immaginavo guarda! E fra quando staremo lì?
-Considerando
che dovrò fermarmi a chiedere qualche
indicazione, perché non conosco la zona…direi fra
una ventina di minuti.
-Bene! Beh che
mi racconti? Sei emozionata di vedere
succulente auto d’epoca?- sorrisi.
-Eccome!
Scatterò le migliori foto che Sandra abbia
mai visto!
-Ne sono certa!
Ah comunque, hai presente Barbara, la
mia collega?
-Quella che si
dovrà sposare?
-Yes! Beh mi ha
chiesto se puoi fotografare il suo
matrimonio.
-Ma ci saranno
auto particolari? Sai che io fotografo
solo auto!- svoltò in un angolo.
-Non saprei, ma
non credo...penso che voglia foto che abbiano lei e il suo futuro
marito come soggetti! Comunque tu sei una fotografa
spettacolare quindi riusciresti a sfornare belle foto anche se come
soggetto
non avessi macchine!
-Troppo
gentile!- arrossì ridendo.- E quando sarebbe?
-A dicembre!
-Ah…periodo
un po’ pienotto! Ci sono le festività e al
giornale siamo sempre occupati, ma dai…ti prometto che
farò di tutto per
aiutare Barbara.- mi fece l’occhiolino, voltandosi un secondo
verso di me.
Dopo aver
cantato quattro canzoni, di cui due dei Bee
Gees, "Clocks" dei Coldplay e "Rolling in the deep" di Adele, e dopo
esserci fermate circa due
volte per avere qualche indicazioni, arrivammo, trovandoci di fronte
casa
Ashling. O meglio casa Ashling non era effettivamente una casa! Era una
vera e
propria reggia.
Un enorme e
curatissimo giardino circondava una grande
abitazione in pietra, che presentava una grande porta in legno e
piccole finestre che
adornavano la grande facciata principale. C’erano numerosi
alberi e tanto
verde.
Io e la mia
amica ci guardammo negli occhi, con le bocche
spalancate! Poi uscimmo dall’auto e ci trovammo un sorridente
Harrison ad
accoglierci.
-Buona sera
signorine.- sorrise l’autista.
-Salve signor
Harrison? Come va?- domandai.
-Bene, grazie!
Voi?- si rivolse anche ad Abbie.
-Benissimo,
grazie! Io comunque sono Abbie Anderson,
piacere di fare la sua conoscenza!- si strinsero la mano.
-Piacere mio!
Bene, se volete seguirvi il signor
Terence vi aspetta.
Perché
al solo sentire quel nome, iniziai a sentirmi
nervosa?
Ci avvicinammo a
passi lenti, entrando tramite un alto
cancello in ferro e percorrendo una stradina in ghiaia e ciottoli
laterale alla
villa, che ci condusse davanti ad una saracinesca per metà
aperta.
Io ed Abbie ci
guardammo spesso negli occhi, con la
consapevolezza che la casa di un attore di Hollywood doveva proprio
essere
così.
Arrivati,
Harrison aprì del tutto la serranda
argentata. Un interminabile sfilza di automobili ci si
presentò davanti. Dalle
Rolls-Royce alle Porsche, dalle Chevrolet a persino alcune Ferrari!
Wow, wow,
wow, non sapevo che altro dire! E infine, finalmente, vagando con lo
sguardo, vidi
Terence appoggiato ad un auto rossa, con i suoi immancabili occhiali
scuri
sugli occhi e con le mani nelle tasche di dei jeans grigi. Portava una
camicia
bianca e una giacca nera. Era qualcosa di dannatamene bello.
-Signore sono
arrivate.
-Ciao Terence,
grazie per avermi dato il privilegio di
vedere le tue auto. – lo salutò Abbie.
-Oh Abbie, ciao!
Grazie a te di dare notorietà ai miei
catorci.- sorrise.
Io rimasi
lì in silenzio. Non sapevo che dire. Era
così bello rivederlo dopo giorni.
-E Jane?-
domandò serio.
Mi schiarii la
voce. Aveva domandato di me, aveva
domandato di me! Perché mi sentivo così felice?
-Buonasera
Terence.- dissi.
Tornò
a sorridere.
-Ciao! Tutto
bene?
-Sì,
ti ringrazio! Tu?
-Direi…bene!-
rispose un po’ titubante.- Posso
offrirvi qualcosa?- domandò educatamente.
-Per me nulla,
grazie! Magari più tardi.- rispose
Abbie.
-Idem per me.-
continuai.
-D’accordo,
allora cara Abbie ti lascio nelle mani di
Harrison, il quale, di sicuro, saprà esserti più
utile di me e potrà dirti
tutto ciò che ti occorre sapere su questi vecchi gioiellini.
Spero che questo
viaggio nel passato ti sarà utile.- disse allontanandosi e
iniziando a
camminare.
-Oh ne sono
certa! Grazie ancora.- alla mia amica
brillavano gli occhi.
-Jane, a te va
invece di fare una passeggiata?
Abbie mi rivolse
un occhiolino.
-Certo,
volentieri.
Mi spostai nella
sua direzione e lo presi per mano.
-Bene, a dopo
allora! Se hai bisogno di qualsiasi
cosa, non esitare a chiedermelo. E tu comportati bene Harry, mi
raccomando!-
sorrise sghembo.
L’autista
rise.
-Come sempre
signore!
E
così dopo qualche istante, mi trovai nuovamente
all’aria aperta, mano nella mano con Terence.
-E James, il tuo
fidato amico di legno?- osservai.
-L’ho
lasciato in casa! Mi accompagneresti a
prenderlo?
-Volentieri. Sai
arrivare senza difficoltà a casa tua?
-Così
mi offendi Jane. Ovvio che sappia arrivarci. A
volte non servono solo gli occhi, ma soprattutto il cervello per
ricordare una
strada.- mi fece notare.
-Scusami non
intendevo offenderti!- dissi con
sincerità. Non ne facevo una buona!
-Non
preoccuparti, ci sono abituato! Ti piace la mia casa?
Dall’esterno, intendo.- cambiò discorso.
-Diciamo che
preferisco le cose più semplici e più
piccole, ma è indubbiamente bellissima.- ammisi.
Iniziammo a
camminare.
-Capisco! Beh
cosa mi racconti? Come è andato il tuo
viaggio per Aberdeen?
-Bene, grazie!
Sono stata con mio padre per un intero
weekend e come sempre sono stata bene in sua compagnia. Non ci vedevamo
da due
mesi e quindi puoi immaginare quanto sia stata felice di rivederlo.
-Hai un bel
rapporto con lui, posso dedurre.
Iniziai a
scorgere più da vicino la sua mastodontica
casa, segno che eravamo quasi arrivati.
-Sì
infatti. Sai lui mi ha fatto anche da madre per
tutti questi anni.
A quel punto si
fermò, stringendo più forte la mia
mano. Lo guardai sollevando le sopracciglia.
-Cosa? Non hai
una madre, Jane?
-Sì…è
così! Perché ti sorprendi tanto? Oh ma non
pensare che sia morta, dovrebbe stare bene…credo. Ci ha
lasciati quando ero un
adolescente per un altro uomo.
-Ah…-
sospirò.- mi dispiace! Pensavo che non fosse più
viva.
-Beh
è come se lo fosse. Non la vedo da circa dieci
anni…!
-E non hai mai
voluto ricontattarla, o roba così?
Riprese a
camminare. Sembrava quasi che questa mia
situazione lo avesse colpito particolarmente.
-No! Ci ha
abbandonati con una squallida lettera,
scritta anche con una stupida matita. Non teneva evidentemente alla sua
famiglia, per comportarsi come si è comportata! Mi ha
lasciato in un periodo
della vita, in cui qualsiasi ragazza avrebbe bisogno dei consigli e
dell’appoggio della propria mamma, vedi tu se avrei dovuto
anche contattarla!
Per non parlare di mio padre…pover’uomo.
L’ha distrutto, e per colpa sua non
vuole più innamorarsi.- mi sfogai, dando vita a tutto
ciò che reprimevo dentro
di me, nei confronti di mia madre.
-Perché?
-Perché
cosa?- gli domandai curiosa.
-Perché
mi hai raccontato questa parte della tua vita?
Potevi anche dirmi una menzogna inventandoti di avere una madre
fantastica.
Perché invece hai raccontato una cosa
così…personale, a me con cui non hai
ancora un rapporto di così grande confidenza?
Sembrava davvero
curioso. Intanto stavamo salendo
degli scalini in pietra che ci avrebbero condotti alla porta
d’ingresso della
casa.
-Non lo so.
Perché mi andava di farlo e basta. Ci
stiamo conoscendo e prima o poi saresti venuto a conoscenza di questa
piccola
parte della mia vita. Non vedo cosa ci sia di male, non bisogna per
forza
essere amici intimi per confidarsi certe cose, e poi credo di potermi
fidare di
te. Perché avrei dovuto mentirti?
Si
rifermò.
-Perché
a volte mentire fa meno male di riaprire certi
ricordi.
Non mi diede il
tempo di ribattere, perché a quel
punto suonò il campanello vicino all’entrata. Un
uomo vestito di nero ci venne
ad aprire.
-Oh ben
rientrato signore.
-Ciao Mike. Lei
è Jane, è una delle ospite di cui ti
ho parlato prima. Saliremo nella mia camera, portaci della cioccolata
calda,
per favore.- ordinò, guidandomi in casa sua.
-Certo signore.
– disse l’uomo chiudendo la porta alle
nostre spalle.
Se
l’esterno della casa era una meraviglia, l’interno
era un qualcosa di indescrivibile. I colori predominanti del salone
d’ingresso
erano il bianco e il dorato. C’erano numerosi quadri e le
numerose finestre
erano coperte da pesanti tende in velluto rosso. C’era
persino un lucido e
splendente pianoforte a coda nero, accanto ad una scalinata in marmo.
Poi erano
presenti due divani posti ad L e una televisione a schermo piatto,
molto
grande. Possibile che anche la casa di Leonardo Di Caprio fosse
così? Sì,
decisamente.
-Ci sei Jane?-
chiese Terence.
-Sì…è
solo che la tua casa è un qualcosa di magnifico.
-Non avevi detto
che ti piacevano le cose più
discrete?- piegò le labbra in un mezzo sorriso.
-Sì
ed è così infatti, ma sarebbe da pazzi negare la
bellezza della tua dimora.
Sorrise e poi
iniziò a camminare verso le scale marmoree
che probabilmente ci avrebbero condotte verso la sua camera.
Sapeva davvero a
memoria ogni centimetro della sua
casa. Visto dall’esterno poteva sembrare benissimo un vedente.
-Ora ti
porterò nel mio regno.- disse appoggiandosi al
passa mano dorato delle scale.
-Ci sto.-
iniziai a salirle anch’io.
Poco dopo ci
ritrovammo in un corridoio dalle pareti
arancioni pitturate in una maniera particolare. Probabilmente per
colorarle era
stata usata una spugna. Da una parte c’era una libreria
enorme che occupava
quasi tutto lo spazio, riempita di diversi libri divisi per autore, e
da una
parte c’erano varie porte, alcune delle quali aperte. Terence
mi accompagnò
fino alla terza e poi la aprì. Entrammo.
Alzai la testa
per osservare meglio ciò che mi
circondava. L’ambiente era luminoso e non molto grande.
C’ erano vari poster
appesi, una scrivania posta di fronte ad una finestra a balcone, un
letto con
accanto un armadio, e un piccolo comodino su cui notai,
però, esserci una
piccola collana argentata , con appeso un ciondolo a forma di cuore, di
quelli
porta foto. Lo stretto necessario insomma! L’aria era
impregnata del suo
profumo e mi sentivo…al sicuro.
-Che te ne
pare?- lasciò la mia mano, avvicinandosi al
suo armadio, aprendolo ed uscendone James.
-Molto carina,
non c’è che dire! Ma i poster mi
lasciano alquanto perplessa! Rocky? Sul serio?- osservai guardando i
poster del
famoso pugile.
-Sì…diciamo
che mi piaceva boxare anni fa.- rispose
freddamente.
-Ah, okay!- era
meglio non andare oltre.
-Prego siediti
dove meglio credi.
-Grazie,
mi siederò sul letto allora.
Mi sedetti dove
avevo detto notando un semplice
lenzuolo blu.
-Beh e per il
tuo lavoro al giornale?- chiese.
-Intendi se
è andato bene il mio articolo?
-Sì.
-E’
andato benissimo, il mio capo mi ha fatto persino
i complimenti definendo il mio articolo uno dei più belli
che abbia mai letto.-
mi rendeva sempre molto felice ricordare quel momento.
-Ne sono
contento! E come hai festeggiato la cosa?
Suppongo che i tuoi colleghi ti abbiano organizzato una festa.
Si sedette anche
lui accanto a me.
-Beh in
realtà loro volevano fare qualcosa, ma poi ho
passato la serata in altro modo.
-Con Abbie,
suppongo allora.
-Ehm
no…- mi schiarii la voce.
-Ah! Pecco
troppo di curiosità se ti chiedo in che
modo, allora?
-Sono uscita con
un modello della collezione Calvin
Klein, venuto da poco al mio giornale.
Ecco,
l’avevo detto!
-Forte! Ti sei
divertita?- il suo tono era diventato
più distante e duro.
-Sì…diciamo!
Ho passato una serata tranquilla.
Annuì
con il capo.
-Ed era bello?
-Perché
questo domanda?
-Oggi sono in
vena di curiosità. Ma se non te la senti
di rispondere, cambiamo argomento.
-Sì
era molto bello.
-Ah ha.-
annuì.- e dunque posso osare nel dirti che
anche la sua interiorità lo sia? No sai, perché
qualcuno non molto tempo fa mi
ha detto : “Tendo a non giudicare l’aspetto
esteriore di una persona se non
conosco prima la sua interiorità! Credo, infatti, che se una
persona ha il
cuore malvagio, anche il suo aspetto estetico ne
risentirà.” – concluse
imitando una voce femminile.
Cavoli, non
avevo pensato al fatto che potesse
rievocare quel nostro primo dialogo. Ma perché arrivava ad
essere arrogante?
Perché?
-Touché.-
risposi, abbassando la testa.
-Il
touché mi sta bene, ma credo che sia giusto che tu
ora mi dica se ritieni anche me bello.
-Non ci sono
leggi che lo obbligano.- lo sfidai,
ridendo.
Rise anche lui,
aggiustandosi gli occhiali da sole
sul setto nasale.
-Hai ragione! Ma
quello che voglio sapere è perché con
me ti facesti tanti problemi nel dirmi come ti sembravo esteticamente.
Credo
che mi meriti una risposta.
-Perché
quando mi chiedesti se ti ritenessi bello,
usasti un tono troppo saccente e arrogante per i miei gusti.
-Quindi mi
ritenevi bello, ma non lo ammettesti per il
mio tono vocale.
-Oppure oltre al
tuo tono, avevo anche letto il
romanzo di Dorian Gray.
-Sì
mentre con il modello non hai tenuto conto del
romanzo.
-Sei geloso?- lo
stuzzicai.
-Si è
gelosi solo delle cose che si appartengono e tu
non mi appartieni Jane! Comunque oggi hai un profumo diverso.-
continuò.
“Tu
non mi appartieni Jane”. Perché questa frase mi
rimbombava in testa.
-Sì…-
mi schiarii la voce.- oggi ho voluto usare un profumo
diverso.
-E’
meglio quello che usi ogni giorno. Sai tendo ad
associare il profumo alla persona che lo porta, e ormai la mia mente ti
associa
con essenza di caramelle e biscotti.
Mi sentii in
imbarazzo per questa osservazione e pensando
sempre alla sua frase precedente.
-…okay!
-Ti ho messo in
imbarazzo?- sorrise.
-No, certo che
no! – farfugliai, toccandomi i capelli.
-Ah volevo farti
sentire una canzone.- disse,
alzandosi e avvicinandosi ad un mobiletto accanto alla sua scrivania.
Ne
aprì le ante, facendo comparire davanti ai miei
occhi uno stereo nero. Armeggiò con vari tasti e dopo pochi
secondi ritornò al
mio fianco.
-E’
una canzone degli Avenged Sevenfold, si chiama “So
far away”.- disse, muovendo la testa a ritmo della musica.
Never
feared for anything
Never shamed but never free
A life that healed a broken heart with all that it could
Lived a life so endlessly
Saw beyond what others see
I tried to heal your broken heart with all that I could
Will you stay ?
-Certo che
conosci tanta musica tu! Ma a proposito,
sai che ti ho sentito alla radio?- cercai di tenere una conversazione
anche se mi sentivo ancora scossa.
-Davvero?-
sembrava realmente sorpreso.- E come ti
sono sembrato?- iniziò a giocare con il suo orologio
d’acciaio.
-Interessante,
mi sei sembrato interessante. Hai una bella
voce e sai intrattenere il pubblico. Inoltre si vede che hai buone
conoscenze
in ambito musicale, riuscendole a trasmettere al pubblico senza rendere
il
tutto pesante o noioso.
Vidi che le sue
guance si colorarono leggermente. Wow,
avevo fatto arrossire Terence Ashling? Davvero?
-Oh, grazie!
Quanti complimenti tutti in volta.-
sorrise, togliendosi gli occhiali e appoggiandoseli vicino. Poi si
passò le
mani vicino agli occhi.
-Perché
porti sempre gli occhiali?- ero curiosa.
La musica
intanto stava continuando, e potevo dire che
non era affatto male.
Alzò
il capo verso di me. I suoi occhi erano puntati
verso l’alto, invece.
-C’è
anche bisogno di chiederlo? Cosa dovrei mostrare
agli altri? Occhi vitrei, e persi nel vuoto?- il suo tono era freddo e
sapeva di
rabbia.
Riusciva a
cambiare da così a così.
Will
you stay away forever ?
How do I live without the ones I love ?
Time still turns the pages of the book its burned
Place and time always on my mind
I have so much to say but you’re so far away
-Hanno un bel
colore…e non sono brutti da vedere.-
ammisi un po’ titubante.
Plans
of what our futures hold
Foolish lies of growing old
It seems we’re so invincible
The truth is so cold
A final song, a last request
A perfect chapter laid to rest
Now and then I try to find a place in my mind
-Okay cambiamo
discorso Jane, ti va? Non mi va di
farti vedere la parte di me che più odio.- si
passò nervoso una mano nei
capelli, per poi rimettersi i Rayban.
“La
parte di me che più odio”, cioè quella
scontrosa e
auto commiserevole? Sì…non piaceva neanche a me.
-Va bene!-
risposi soltanto, abbassando la testa e
permettendo ai miei capelli di cadermi ai lati del volto.
Passarono
diversi minuti, in cui solo le note della
canzone danzarono attorno a noi e in cui anche un po' di imbarazzo
aleggiò nell'aria.
-Posso toccarti
il viso?- chiese poi a bruciapelo,
lasciandomi interdetta.
-Come?- forse
avevo capito male.
-Vorrei toccarti
il viso, se me lo permetti. Se ci fai
caso, siamo usciti già qualche volta e abbiamo persino fatto
un viaggio
insieme, eppure nella mia testa non so ancora come sei.
-Ma se la prima
volta che ci siamo visti ti ho fatto
una descrizione di com’ero!
-Avere i capelli
castano chiaro, gli occhi marroni e
avere la tua altezza, non sono cose che ti differenziano da altre
persone. Io
voglio avere il volto di Jane Ryan nella mia testa.- disse ora deciso.
La canzone
intanto era finita, ma stava nuovamente iniziando.
-Ah…se
proprio ci tieni.- ero un tantino a disagio.
Non che non
avessi mai ricevuto una carezza in vita mia,
ma sentivo che il modo in cui Terence mi avrebbe sfiorato il volto, mi
avrebbe
fatto sentire strana.
Si
avvicinò leggermente, e quando sentii il suo respiro
accarezzare la mia pelle, sentii il mio cuore battere più
forte.
Gli presi le
mani tra le mie e le avvicinai al mio
viso.
Where
you can stay
You can stay awake forever
How do I live without the ones I love ?
Time still turns the pages of the book its burned
Place and time always on my mind
I have so much to say but you’re so far away
Dopo poco, le
posizionò a palmo aperto sulle mie
guance. La mia pelle sembrava di fuoco rispetto alla sua, fresca.
Dopo un
po’ cominciò il suo percorso, toccando la mia
fronte lentamente, poi le mie sopracciglia, passando al mio setto
nasale e poi alla labbra che
sfiorò con
l’indice. Infine accarezzò anche qualche ciocca
dei miei capelli, per qualche secondo. In fondo non stavo
avendo nessun contatto come dire…romantico con lui,
nel senso che non ci stavamo baciando o stringendo l’uno tra
le braccia
dell’altro, ma l’intimità di questo
momento mi scosse come nessun bacio aveva
mai fatto in vita mia.
Terence aveva un
tocco gentile ma sicuro allo stesso
tempo, e la freschezza delle sue mani era sulla mia pelle come
l’acqua fresca
che spegne un incendio. Vissi il momento tenendo gli occhi chiusi.
Poi si
allontanò.
-Ora so un
po’ di più com’è Jane Ryan.
TO BE
CONTINUED…
Ciaoo ragazzi!!^^
Dopo due ore
passate a disegnare il volto del David di
Michelangelo, eccomi qui! xD
Da quanto tempo,
eh? Lo so, lo so, faccio sempre
ritardo e sono peggio di una lumaca nel pubblicare, ma capitemi ho
quintali di
compiti a casa da fare ogni giorno, l’ispirazione non
è sempre buona amica, e
in più ho avuto anche l’influenza :(
Sono un
po’ più vicina al vostro perdono per
l’innumerevole
tempo che vi ho fatto aspettare? ^^
Passiamo al
capitolo. Bello lungo eh? Secondo il mio
word, ho scritto circa ventisei pagine, compresi gli spazi. Spero che
tutte
queste pagine, plachino almeno un po’ la vostra sete di
conoscenza sui nostri
due protagonisti.
Vediamo una Jane
alle prese con un modello bellissimo
che a quanto pare si è preso una…come possiamo
dire…piccola sbandata per lei, e
una Jane che però non lo fila molto perché la sua
mente e il suo cuore hanno
solo un nome inciso su di loro: Terence.
Terence che
è un po’ come una tavolozza di colori e
che sa essere scontroso, freddo, ma anche gentile e caldo e che rimane
sorpreso
nel sapere l’infelice verità sulla mamma di Jane.
E poi
l’ultima parte…ne parliamo? A me è
piaciuta tanto! A
voi? Spero di sì :)
A volte è il modo con
cui si fanno e si vivono certi
gesti, che li rendono indimenticabili ;)
Detto questo,
direi che posso passare alla mia parte
preferita, ovvero a quella dei ringraziamenti e vorrei dire
Immensamente Grazie
a : Viandante_, Ibelieve93
(ex Sunny xD), marioasi,
Occhi di Smeraldo,
e
AkaneYamana98
per le loro bellissime recensioni. Quando trovo parole belle come
quelle che mi scrivete, mi si riempie il cuore di gioia. Non
abbandonatemi mai,
mi raccomando!!
E un grazie
speciale anche a : xoceansoul,
MyLandOfDreams, opale nero, Vale_Pattz,
,per aver aggiunto la storia
alle seguite. Grazie mille <3
E poi grazie
anche alla citata opale
nero che ha
aggiunto la storia alle ricordate (sei la prima, Yeah xD) e a: Sarina_91,
AkaneYamane98,
_lalla27_,
Bella_babbana,
Occhi di Smeraldo,
per aver
aggiunto Ad occhi chiusi
alle preferite. Vi voglio molto bene <3
E
niente…detto questo, vi saluto. Spero di avere
l’onore di leggere le vostre opinioni sul capitolo, e spero
immensamente di non aver deluso
nessuna aspettativa!
Alla
prossima <3
|
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
AD OCCHI CHIUSI
-DAL
CAPITOLO PRECEDENTE-
-Vorrei
toccarti il viso, se me lo permetti. Se ci fai caso, siamo usciti
già qualche
volta e abbiamo persino fatto un viaggio insieme, eppure nella mia
testa non so
ancora come sei.
[…]
-Ah…se
proprio ci tieni.- ero un tantino a disagio.
[…]
Gli
presi le mani tra le mie e le avvicinai al mio viso.
[…]
Dopo
poco, le posizionò a palmo aperto sulle mie guance. La mia
pelle sembrava di
fuoco rispetto alla sua, fresca.
Dopo
un po’ cominciò il suo percorso, toccando la mia
fronte lentamente, poi le mie
sopracciglia, passando al mio setto nasale e poi alla
labbra che
sfiorò con l’indice. Infine accarezzò
anche qualche ciocca dei miei capelli,
per qualche secondo. In fondo non stavo avendo nessun
contatto come
dire…romantico con lui, nel senso che non ci stavamo
baciando o stringendo
l’uno tra le braccia dell’altro, ma
l’intimità di questo momento mi scosse come
nessun bacio aveva mai fatto in vita mia.
Terence
aveva un tocco gentile ma sicuro allo stesso tempo, e la freschezza
delle sue
mani era sulla mia pelle come l’acqua fresca che spegne un
incendio. Vissi il
momento tenendo gli occhi chiusi.
Poi
si allontanò.
-Ora
so un po’ di più com’è Jane
Ryan.
***
Capitolo
Nove
Le
parole
possono avere un potere enorme, quando sono le parole giuste al momento
giusto.
Vannuccio
Barbaro, Scartafacci (postumo, 2012)
-E
com’è Jane Ryan?- trovai il coraggio di
chiedergli, con ancora il battito del cuore nelle orecchie.
Mi sorrise e non
mi
rispose.
-Perché
non mi
rispondi? Non è da te…- gli feci notare.
-Il tuo
“non è da te”
mi fa capire che stai imparando a conoscermi bene!- ribattette, forse
sperando
di cambiare argomento.
-Beh mi sembra
normale
Terence!- risposi prontamente.
-E allora
secondo te
come risponderei alla tua domanda?- fece un sorriso sghembo.
Domanda
difficile,
molto difficile!
-Che sono super
mega
bellissima!- lo presi in giro ridendo.
Rise anche lui.
-Sarebbe troppo
per
Terence Ashling dire tutti questi complimenti, non credi? Io avrei
detto che
Jane Ryan ha dei lineamenti molto dolci ma decisi, così come
sembra il suo
carattere.- fece un mezzo sorriso e poi girò il capo verso
lo stereo.
Aveva detto che
avevo
dei lineamenti dolci ma decisi? Perché non potevo fare a
meno di sorridere?
-Grazie allora!-
era
sicuro che le mie guance si fossero tinte di rosso.
-Bene! - si
schiarì la
voce.- forse è il caso che vada a controllare che fine abbia
fatto Mike, il mio
maggiordomo. Sarà passato già più di
un quarto d’ora da quando gli ho chiesto
delle cioccolate. Tu sentiti come se fossi a casa tua.- disse
sorreggendosi al
suo James e alzandosi. Poi si avvicinò lentamente alla sua
porta. Mi sbagliavo
o era un tantino imbarazzato?
-Ah e puoi
cambiare
anche canzone. Troverai dei CD sopra lo stereo.
A quel punto si
allontanò non dandomi tempo di rispondere.
Non appena
sentii il
rumore dei suoi passi sempre più lontano, ritornai a
respirare e il mio cuore
ricominciò a pulsare a ritmo regolare. Uh cavoli, mi aveva
scombussolato
davvero tanto la sua vicinanza.
Decisi di
alzarmi per
calmarmi un po’. In fondo, cos’era successo?
Mi aveva solo accarezzato il viso facendomi sentire
…importante…e
diversa! Mi diedi due leggeri schiaffi sulle guance per calmarmi e poi
iniziai
a girovagare nella sua stanza, notando come fosse semplice ma allo
stesso tempo
carina. Mi soffermai particolarmente sui poster di Rocky.
“…diciamo che mi
piaceva boxare anni fa” mi aveva detto, e questa sua
esclamazione mi aveva
lasciato a dir poco sorpresa. Con la sua eleganza e sofisticatezza non
me lo
immaginavo a dare dei pugni.
Poi mi soffermai
sullo
stereo e abbassandomi sulle ginocchia, diedi una sbirciata ai numerosi
CD che
vi trovai sopra. Misi in pausa la canzone degli Avenged Sevenfold, e
optai per una
canzone di Nina Simone: “I want a little sugar in
bowl”, una canzone che mi
ricordava la mia infanzia.
Rialzata vagai
un altro
po’ alla ricerca di qualche dettaglio che mi aiutasse a
conoscere meglio
Terence, quando il mio occhio cadde sulla collanina che avevo
intravisto sul
comodino. Il ciondolo, oltre ad avere la forma di un cuore, era anche
piuttosto
piccolo. La curiosità mi vinse, e decisi di aprirlo.
C’era una foto di una
donna, di una bella donna al suo interno. Aveva i capelli ricci e
biondi e dei lineamenti, che
sembravano dolci. Chi era? Poteva essere un ex di Terence? Non
l’avrei detto,
perché mi sembrava più grande di lui. E allora
chi? Sua mamma? Nel tragitto
salotto-stanza non mi era sembrato di vedere nessuna foto o quadro
della
famiglia. Che cosa strana!
A pensarci
neanche
nella sua stanza c’erano foto che lo ritraevano. Certo il
fatto di non poterci
vedere più aveva significato sicuramente nella scelta di non
avere nessuna foto
in camera, ma allora perché c’erano dei poster?
Osservai un
altro po’
il gioiello, accorgendomi che nell’altra metà del
ciondolo, quindi la parte che
si sarebbe sovrapposta alla fotografia, vi era una lettera incisa: una
E.
E? Poteva essere
l’iniziale di un nome? Del nome della persona ritratta nella
foto? Uff, più che
scoprire cose nuove su Terence, le mie idee si stavano ingarbugliando
ancora di
più! Decisi di passare ad altro. Aprii il suo armadio,
venendo investita dal
profumo di Terence. Era così buono! Notai molti vestiti,
tutti ordinatamente
piegati e delle cravatte di vari colori messi in ordine di
tonalità. Era un
maniaco dell’ordine.
Non appena
sentii un
vociare in lontananza, chiusi l’armadio e provvidi a
sistemare la collanina a
forma di cuore sul comodino, cercando di metterla nella posizione da
cui
l’avevo presa. Poi mi sedetti sul letto di Terence, il quale
dopo poco entrò
seguito da un uomo.
-Jane, Mike.
Mike,
Jane.- fece le presentazioni.
Il maggiordomo,
che
avevo già intravisto all’entrata, era un
uomo dal viso buono. Aveva pochi capelli bianchi e indossava un frac
nero.
-Piacere di
conoscerla
signorina Jane.- disse posando un vassoio con due cioccolate calde e un
piattino di biscotti sulla scrivania di Terence.
-Piacere mio,
signor
Mike.- risposi osservandolo.
-Ho posato
ciò che mi
ha chiesto sulla sua scrivania signore. Se per lei è tutto,
tornerei alle mie
faccende.- aggiunse l’uomo.
-Vai pure Mike e
grazie.- rispose Terence gentilmente avvicinandosi alle bevande.
Il maggiordomo
uscì non
prima però, di aver aggiunto un “ Dovere
signore!”
-“I
want a little sugar
in my bowl”, eh?- domandò rimanendo in piedi.
-Beh
sì! Ho visto che
hai tanta musica, ma ho scelto questo CD perché mi riporta
alla mente un
ricordo di infanzia.
-Raccontamelo.-
mi
chiese.
-Prima voglio
bere un
po’ di cioccolata, se me lo concedi!- risposi ridendo.
Le sue labbra si
incurvarono.
-Hai ragione!-
rispose.
Mi alzai e mi
avvicinai
alle bevande. Presi una tazza e l’avvicinai alle sue mani.
-Ecco a te!- gli
dissi,
aiutandolo a prendere la cioccolata.
-Grazie.-
rispose
stringendola tra la mano destra e posando James
alla scrivania dietro di lui.
-Di nulla.-
presi la
mia tazza e iniziai a sorseggiare quel nettare degli dei.
Era buona.
Calda.
Dolce.
-Allora?-
domandò,
riferendosi al ricordo che voleva ascoltare.
-Mhm…dunque!
Quando ero
piccola, intorno ai sette, otto anni credo, io e mio padre passavano
ogni
sabato sera in casa. Mia madre era quasi sempre fuori, a fare
chissà cosa,
mentre io e lui ci organizzavamo la serata decidendo di vedere prima un
cartone
animato, il mio preferito era Dumbo,- mi soffermai ridacchiando.- poi mangiando una pizza e
poi rivedendo delle
vecchie fotografie. Ricordo che prima di andare a dormire mi faceva
sedere sulle sue gambe
, mentre lui teneva tra le sue mani una scatola turchese. Questa
conteneva
tante foto dei miei nonni, erano quasi tutte in bianco e
nero…
-Ma cosa
c’entra la
canzone?- mi interruppe.
-Fammi arrivare!
C’era
una foto in particolare che mi piaceva tanto. Ritraeva i genitori di
mio padre
insieme, durante un ballo. Mio padre sapeva che amavo quella
fotografia, così
mi raccontò che mia nonna gli disse che lui e il nonno
stavano ballando sulle
note di “I want a little sugar in my bowl”.
Insistetti tanto per ascoltare
questa canzone, così per il mio nono compleanno mio padre mi
regalò un disco in
vinile proprio di questo pezzo. Me ne innamorai appena la sentii.-
conclusi,
riprendendo a bere la mia cioccolata.
-Oh capisco!-
sorrise.-
Mi piacciono i tuoi ricordi Jane Ryan! Mi danno di…famiglia
unita.- rispose,
posando la sua tazza sulla sua scrivania. Non ne aveva bevuta poi molta!
-Beh come ti ho
detto
non ho avuto una famiglia unita, per via di mia madre, ma grazie a mio
padre e
anche ai nonni ho avuto un’infanzia e un adolescenza
piacevoli.
-Ci
credo!-sospirò.- E
come anni adolescenziali? Qualche ricordo?
-Mhm…bah
sai niente di
particolare! Ero una studentessa come tante, avevo il mio gruppo di
amici e
avevo i miei alti e bassi. Ricordo però che c’era
una ragazza che proprio non
sopportavo. Era la classica ragazza-pon pon, tutta riccioli biondi e
pon pon
tra le mani. Si chiamava Molly, ma tutti la chiamavano Molly Dolly
perché si
truccava e acconciava i boccoli come le bambole.- ricordai, prendendo
un ferro
di cavallo dal piattino sul vassoio.
-Molly
Dolly…sul
serio?- scoppiò a ridere.- Ma tu ci credi che questo nome
non mi è nuovo?
Probabilmente è stata la ragazza di qualche mio amico.- rise
ancora.
Era bello
vederlo
ridere. Il suono della sua risata mi piaceva molto e donava al mio
cuore una
sensazione di felicità.
-Wow
com’è piccolo il
mondo! Ma penso tu abbia ragione, quella lì aveva molti
ragazzi.- sorrisi.
-Già!
Giochicchiai
passando
l’indice sul bordo della tazza.
-Non bevi
più?- gli
feci notare.
-No! Non sono
una
persona molto golosa, a dir la verità!- sorrise.
-Ah…ho
capito! Beato
te! Io amo i dolci, non riuscirei a stare senza …!
Rise ancora.
-Ora che ci
penso oggi
non mi hai ancora detto come sei vestita, come sei truccata e se porti
braccialetti.- cambiò argomento dopo qualche secondo.
Finii di
mangiare il
mio biscotto e poi gli risposi.
-Hai ragione!
–
abbassai la testa per osservare ogni mio dettaglio.- Oggi
porto dei Jeans chiari, un dolcevita
turchese sotto una giacca nera a bottoni dorati. Come
scarpe ho delle Converse scure. Ho le
unghie colorate da uno smalto nero, porto l’orologio al polso
sinistro, ho un anello
argentato al dito medio della mano destra e dei braccialetti di stoffa
colorati. Sono truccata con della matita nera e del mascara sugli
occhi, e con
un lucida labbra rosa chiaro.- conclusi.
Ripresi a
sorseggiare
la mia cioccolata.
-Interessante!
Ti piace
molto il nero, eh?
-E’ un
colore che mi
piace, sì! Oltre a snellire la figura, dona quel tacco di
raffinatezza che non
stona mai.
-Ed
io? Ti piace come mi vesto? Credo di non
avertelo mai chiesto.- mi domandò ora.
Concessi ai miei
occhi
di guardare la sua intera figura. Era così bello! Alto al
punto giusto, magro
al punto giusto, sembrava anche muscoloso al punto giusto. Era tutto
giusto!
-Sì
molto.- mi lasciai
sfuggire, riferendomi più al suo fisico che ai suoi vestiti,
anche se amavo il
suo stile.
Sorrise.
-Ti piace la
cioccolata?
E i biscotti?- domandò, ora serio.
-Ti ho detto che
sono
golosa! Sono entrambi molto dolci, mi piacciono! Ti ringrazio per la
tua
disponibilità Terence, sei molto gentile.
-Non
c’è di che!-
rispose. – Sai già quando il tuo articolo
uscirà?- incrociò le braccia al
petto.
Posai la mia
tazza
sulla scrivania alle mie spalle.
-Tra due
settimane
circa, credo! Bisogna considerare i tempi di stampa,
l’impaginazione, la
correzione delle bozze e la stampa delle copertine.- risposi.
-Ah
già, ci sono da
considerare tutte queste cose! Poi mi leggerai il tuo articolo, allora!
Sono
curioso di sapere come hai inserito i racconti dei miei amici. Ah poi
mi sono
appena ricordato che devo raccontarti una cosa.
-Cosa?- rimasi a
guardarlo.
-Questa mattina
mi ha
chiamato un centro che si occupa di addestrare cani per non vedenti.
Feci
richiesta tempo fa di volerne uno. Non so se ti ricordi…ti
accennai che ne
avrei preso uno…
-Sì
mi ricordo
benissimo, ne parlammo il giorno in cui ci incontrammo al
“Gray’s Cup”.
-Ecco! Dicono di
averne
uno a disposizione e che fra due settimane circa vorrebbero
incontrarmi. Ti va di
accompagnarmi?- domandò, prendendo il suo James.
-Certo! Sempre
all’ora
di oggi?
-Sì,
se per te va bene!
-Bene, allora ci
organizziamo! Come vorrai chiamarlo?
-Bah non saprei!
Dipende se sarà una femmina o un maschio. Tu che mi
consiglieresti?
Ci pensai su
qualche
attimo.
-Mhm
forse…Trilly se è
una femmina e se è un maschio…Anacleto.
-Anacleto?-
Terence
iniziò a ridere.- E questo nome da dove ti è
venuto?
-Mi è
venuto in mente
il gufo che c’è nel cartone “La spada
nella roccia”. Sai io lo amavo. - ammisi, iniziando a
ridere anch’io.
-Va bene, ormai
sto
imparando a conoscerti, quindi non dirò nulla.
-In che senso
non dirai
nulla? Non c’è nulla da dire, Anacleto
è un nome fantastico!- ridacchiai
dandogli un pugno scherzoso sul braccio destro.
Ridemmo un altro
po’
poi cambiò discorso.
-Ti va di
ascoltarmi
suonare?
Inarcai le mie
sopracciglia.
-Oh
sì, molto
volentieri!- risposi titubante.
Ero sorpresa che
mi
avesse proposto qualcosa che mi avrebbe permesso di accendere i
riflettori su
di lui. Faceva sempre lui domande a me, non permettendomi mai di
conoscerlo
meglio e questo suo cambio di atteggiamento mi incuriosì.
-Perfetto!
Allora
andiamo in salone, lì troveremo un pianoforte. Voglio farti
sentire la mia versione
di “Mad World”
nella versione di Adam
Lambert o meglio di Gary Jules. Perché sai
l’originale è di quest’ultimo.
-Oh
sì mi accennasti al
fatto che sai cantare e che il tuo cavallo di battaglia è
questa canzone. Bene,
andiamo!
Si sorresse al
suo
James e mi tese la sua mano. La strinsi subito e poi varcammo la soglia
della
sua camera.
Poi ci avviammo
verso le scale. Il mio sguardo non
potette fare a meno di posarsi sui tanti libri presenti nella libreria
di
fronte alla stanza di Terence.
-Wow! Quanti
libri…scommetto che sono tutti di
scrittori con la S maiuscola.
-Sì
è così infatti! Ti dissi che mi piace la
letteratura russa, ma ci sono molti libri anche di famosi autori
inglesi.-
rispose iniziando a scendere i primi gradini stringendo la mia mano.
-Me ne presterai
qualcuno?- domandai.
-Certo! Alcuni
però sono scritti in Braille, altri
sono audio libro invece.- puntualizzò.
-Oh capisco.
Quando finimmo
di scendere tutti i gradini, rimasi
per la seconda volta incantata da quel salone meraviglioso. Mi sembrava
di
essere in un castello!
-Mi guidi verso
il piano?
-Certo.- lo
condussi dove mi aveva chiesto, poi lo
aiutai a sedersi sullo sgabello del piano.
-Non so se ti
piacerà, ma ci provo!- disse.
Si
scrocchiò le dita delle mani e le posò sui tasti
bianchi e neri. Io mi appoggiai al bracciolo del divano poco distante
dallo
strumento.
Terence
pigiò prima tutti i tasti. Dal do maggiore
al do minore, si schiarì la voce e poi iniziò a
suonare.
Dopo poco dolci note
iniziarono a danzare nella
stanza e fu inevitabile per me chiudere gli occhi quando iniziai a
sentire la
voce di Terence.
All around me are familiar
faces
Worn out places, worn
out faces
Bright and early for
their daily races
Going nowhere, going
nowhere
Their tears are
filling up their glasses
No expression, no
expression
Hide my head I want to
drown my sorrow
No tomorrow, no
tomorrow
La sua voce era
esattamente come la immaginavo.
Calda, profonda, ammaliante, dolce, affascinante e bella, tanto bella
da
ascoltare.
And I find it kinda
funny
I find it kinda
sad
The dreams in which
I'm dying
Are the best I've ever
had
I find it hard to tell
you
I find it hard to
take
When people run in
circles
It's a very, very mad
world mad world
Suonava il piano
divinamente e mi sembrava di essere
chiusa in una bolla di sapone con solo me e lui all’interno.
I minuti che
passarono mi sembrarono trascorsi
troppo in fretta, e rimasi nella mia “bolla” per
altri secondi. Fu Terence a
richiamare la mia attenzione, schiarendosi la voce.
-E’
andata tanto male?- domandò.
-Oh
sì…la peggior esibizione che abbia mai sentito!
Ma come fanno a dire che è il tuo cavallo di battaglia?- lo
presi in giro,
cercando di mantenere un tono di voce molto serio.
-Come? Davvero?-
si voltò nella mia direzione, come
se mi potesse vedere e da sopra gli occhiali da sole riuscii a vedere
le sue
sopracciglia rivolte verso l’alto.
-Sei
così sicuro di te?
-No, ma quando
suono questo pezzo mi sento sicuro.-
rispose. Riuscii, però, a sentire una punta di imbarazzo
nella sua voce.
-Ma sto
scherzando, sciocco! E’ stata la cosa più
bella che abbia mai sentito. Suoni davvero benissimo.- ammisi adesso,
alzandomi
e avvicinandomi a lui.
Mi
sembrò di
sentire un sospiro di sollievo e un mezzo sorriso farsi
largo sul suo
viso.
-Ti ringrazio!
Suono da quando avevo sei anni,
quindi ammetto di essermela un po’ presa quando mi hai detto
quelle parole.
-Non avresti
dovuto prendertela, invece! Devi essere
più sicuro di te, dato che suoni da tantissimi anni e non
fidarti di una che
non ha esperienza come me!- gli dissi sinceramente.
A volte mi
sembrava così sicuro di sé ed altre
invece…così incerto! La mia ipotesi che in
realtà celasse un animo fragile fu
confermata!
-Proprio
perché non hai molta esperienza che il tuo
parere è più importante per me. Quelli che sanno
suonare il piano usano sempre
tanti paroloni ma sono tutte chiacchiere e niente fatti!
Sorrisi tra me e
me.
Notai che
stringeva molto forte il suo bastone.
-Sei di poche
parole, oggi. Tutto bene?- sembrava
sinceramente interessato.
-Oh
sì, sto bene. Ma non credo di essere di poche
parole, insomma…ti ho raccontato tutto ciò che
dovevo raccontarti. Tu,
piuttosto…sai più cose di me di quante io ne
conosca di te.
-Hai ragione, ma
la mia vita non è particolarmente
interessante.
-Tutte le vite
sono interessanti, Terence! Facciamo
che anche tu, come ho fatto io prima, mi racconti un tuo ricordo di
infanzia e
uno della tua adolescenza?- proposi.
-Se proprio ci
tieni! Della mia infanzia non ho
ricordi particolarmente felici, devo essere sincero.- usò un
tono freddo.- Non
ho mai avuto un bel rapporto con mio padre e questo penso che abbia
molto
influito, però ricordo piacevolmente che ogni sabato sera,
prima di andare a
dormire mia mamma mi preparava una cioccolata calda e la riempiva di
marshmallow. Ricordo anche che nascondevo sotto il mio cuscino un pacco
di
caramelle alla frutta che compravo la domenica da un chioschetto
accanto ad una
chiesa. – sorrise.
Ero sicura che
sotto gli occhiali, i suoi occhi
stessero brillando.
-Ma scusami,
prima tu mi hai detto che non sei
goloso…e allora perché i tuoi ricordi
più felici comprendono dolcetti?
-Perché
da bambino amavo i dolci.- sorrise.-
Tutt’oggi quando bevo un po’ di cioccolato mi
rivengono alla mente certi
ricordi e a volte…mi sembra quasi di vedere il colore della
cioccolata…un caldo
nocciola.- sospirò.
-E come ricordo
dell’adolescenza?- iniziai a
giochicchiare con le miei unghie.
-Ero un don
Giovanni al liceo, mi pare di avertelo
già detto.- fece un sorriso sghembo.- Divenni rappresentanti
di istituto per
tre anni di seguito e finii dal preside una sola volta.
-Ma se qualche
tempo mi avevi detto che eri uno studente normale…
-Beh essere uno
studente normale, non implica anche
andare dal preside ogni tanto?- fece ovvio.
-Beh se si
è dei bravi studenti, direi di no…-
ridacchiai. – ma cosa combinasti?
-Forai le ruote
della sua macchina… - ammise non
smettendo di ridere.
-Tu? Terence sonoilpiù
elegantedelmondo Ashling?- lo presi in giro.
-Proprio io!
Sono pur sempre un essere umano, no?
-Sì…ma
essere addirittura un bad boy…questa non me
l’aspettavo!
-Chi ti dice che
non lo sia ancora?- si passò un
mano nei capelli.
Sorrisi tra me e
me. Che tipo!
-Sai
Terence…mi piace parlare con te! Sei una
persona molto piacevole.- ammisi dopo qualche secondo, sentendomi
arrossire.
-Ne sono molto
contento. Penso la stessa cosa di te,
Jane Ryan.
Pochi attimi
dopo il campanello di casa suonò. Vidi
Terence schiarirsi la voce e alzarsi sorreggendosi al suo James. Nello stesso momento
arrivò il maggiordomo.
-Sì?-
domandò Mike aprendo di poco la porta.
-Sono Harrison.
La porta fu
aperta e varcarono la soglia l’autista
di Terence e la mia migliore amica, con un sorriso dipinto sul volto
che andava
da un orecchio all’altro.
-Oh Terence che
esperienza meravigliosa, grazie,
grazie, grazie!!- disse saltellando Abbie, andando incontro a Terence
ed
abbracciandolo.
Vidi Terence un
tantino in imbarazzo per quel gesto
che ricambiò con molta delicatezza.
-Non
c’è bisogno di ringraziarmi Abbie, te
l’ho già
detto che è stato un piacere! Quali modelli ti sono piaciuti
di più?- le chiese
allontanandosi da lei.- Ah che sbadato, se non la hai ancora fatto,
prego accomodati dove meglio credi.
Ci sedemmo tutti
sul divano ad L, vicino al piano.
-Oh ti direi
tutti, ma se proprio devo scegliere,
dico la Mercedes- Benz SL 230 e beh ovviamente la signora delle
macchina, la
Ferrari modello 246 SP.
Era molto
dettagliata la mia amica, vero? Per me era
arabo il nome dei modelli che aveva citato.
-Concordo! Sono
dei modelli splendidi.- le rispose
Terence.
-Sicura che non
posso offrirti niente?
-Sicura! Grazie
Terence.
La mia amica mi
guardò e mi sorrise.
-Voi invece? Che
avete fatto?
-Niente di che!-
rispose Terence.
Ero sicura che
se non fosse stato cieco mi avrebbe
guardato, adesso.
-Già…nulla
di particolarmente interessante.-
continuai io.
La mia amica mi
guardò con sospetto.
-Capisco! Bene
allora…noi andiamo…si sta facendo
buio! – ridacchiò.- Ci ved…ehm sentiamo
Terence! Buona serata.- salutò la mia
amica alzandosi dal divano. Stava dicendo anche lei “ci
vediamo”.
-Certo ragazze,
ci sentiamo presto! E’ stato un
piacere avervi come ospiti oggi, quando volete sapete il mio numero.-
disse
Terence.
-Bene, allora
ancora grazie. Ciao.- gli disse la mia
migliore amica.
-Ciao Terence,
attenderò tue notizie per il nostro
prossimo incontro.- aggiunsi io.
-Non
mancherò. Se volete questo venerdì potremmo
incontrarci al pub…- propose un po’ titubante.
-Ci sto!- disse
Abbie scoccandomi uno sguardo.
-Idem per me.
-Bene! Ciao
ragazze.- ci congedò aggiungendo poi al
suo autista di accompagnarci fino al cancello.
Dopo aver
ringraziato e salutato Harrison (a quanto
sembrava lui ed Abbie erano diventati amici), salimmo in macchina.
-Uh che aria
frizzante che si respirava là dentro!
E’ andato tutto bene, posso dedurre. - accese il motore.
Mi allacciai la
cintura di sicurezza.
-Sì
direi proprio di sì.- risi.
Da lì
partì un dettagliato racconto del mio
pomeriggio con quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
***
A
lavoro il
giorno dopo, passai gran parte del tempo chiusa in ufficio vicino alla
scrivania di Steve. Mi erano arrivati già vari scatti della
collezione Calvin
Klein e mi stavo facendo aiutare dal mio collega per progettare la
copertina
del nuovo numero.
-Beh
considerando che il prossimo numero
dell’Edinburgh Fashion Magazine aprirà la stagione
autunnale, proporrei
l’utilizzo di colore autunnali. Arancione, marrone, ocra e
così via.- mi disse
Steve.
-Concordo!
Possiamo chiedere ad Adelaide di
allestire dei set fotografici con finte foglie secche e con sfondi che
richiamano alla stagione autunnale.- proposi.
-Perfetto,
allora io provvedo a qualche ritocco con
photoshop delle foto che ci ha mandato Paul, tu vai a pure a parlare
con
Adelaide.
-Bene, a dopo!-
diedi una pacca sulla spalla al mio
amico, e mi allontanai dall’ufficio.
Come immaginavo
il corridoio per giungere alla
stanza adibita a set fotografico era gremita di persone. Con molta
fatica, feci
vari slalom tra modelle e modelli e quando giunsi davanti alla
fotografa le
spiegai come avrebbe dovuto sistemare i modelli e il set.
-Jane? Jane?- mi
sentii chiamare mentre tornavo dai
miei colleghi.
Mi voltai
trovandomi Christopher Wilson in jeans e
petto nudo. Ma perché lo trovavo sempre vestito,- ehm
svestito- così nei
corridoi?
-Ehi ciao
Christopher!- gli sorrisi.
Dalla nostra
ultima cena non avevamo avuto più modo
di parlare per più di un minuto. E non potevo negare che
questo non mi era dispiaciuto!
-Come stai? Ti
vedo indaffarata.- constatò
passandosi una mano tra i capelli. Vidi la signora delle pulizie nella
stanza
accanto, guardarlo con occhi a cuoricino.
-Bene, grazie!
Sto lavorando per il nuovo numero che
sarà interamente dedicato a voi.
-Già!
Sono certo che verrà fuori qualcosa di
magnifico. Senti…- si schiarì la voce.- ti va di
pranzare con me oggi?
Cosa? Pranzare
con me? Perché?
-Ah…beh…ecco
io…non avrò molto tempo da dedicare al
pranzo…perché sai…sto lavorando.-
balbettai spostandomi per far passare una
stangona alta almeno un metro e novanta.
-Ah capisco!
Ma…voglio dire, non ti farà bene
lavorare ininterrottamente per tutto il giorno, non credi?
Anch’io ho la
giornata piuttosto indaffarata ma i miei venti minuti di pausa pranzo
non me li
farei togliere da nessuno, per nulla al mondo.- concluse guardandomi
con occhi
speranzosi.
E quando una
persona ti guardava così, tu cosa
potevi fare?
-Hai ragione. Va
bene dai, accetto! Ci vediamo
all’una al ristorante italiano nella strada di fronte al
Giornale?- proposi.
-Molto
volentieri.- mi fece l’occhiolino e poi sparì
nella folla.
Ripresi il mio
cammino con le guance che mi
scottavano dall’imbarazzo. Wow, me ne stavano succedendo
troppe ultimamente.
-Jane Ryan? Sei
tu?- sentii una voce gracchiante
pronunciare il mio nome.
Chi altro era,
adesso?
E questa cosa
diavolo ci faceva qui? No, tutti
fuorché lei…no, no e ancora no!
-Oh…ciao
Mary Anne!- feci un sorriso più falso della
faccia rifatta di Lindsay Lohan.- Quale sorpresa!
-Già,
proprio una sorpresa!- strascicò ogni parola.-
ricordavo che lavoravi per questo Giornale. E’ un piacere
rivederti.- sorrise
anche lei falsamente.
Mi permisi di
guardarla. Indossava un tubino
attillato nero, dei vertiginosi tacchi a spillo e portava i capelli
biondi
molto lisci.
-Come mai qui?-
le domandai, incrociando le braccia
al petto.
-Sono una delle
modelle di Christian Loubutin. Non
vedi le mie scarpe?
Oh no!
Ciò significava che avrei dovuto sorbirmi
questa capra anche qui?
-Oh che bello!
Bene, allora a presto. Torno al
lavoro.- cercai di levarmela di torno.
-A presto Jane,
a presto.- mi salutò muovendo le
dita della mano destra.
Quando tornai in
ufficio, mi resi conto di quanto
non desiderassi trovarmi in un altro posto.
-Chi era quella
meravigliosa creatura con cui stavi
parlando?- mi domandò Vincent, affacciandosi dalla sua
scrivania.
-Ma quale
meravigliosa creatura! E’ solo una giraffa
senza cervello, quella!- presi posto davanti al mio computer.
-Chi era Jane?-
chiese , ora, Barbara.
-Una che fa
parte di una comitiva di amici del
fidanzato della mia migliore amica.- spiegai, aprendo la mia posta.
-Capito!- mi
sorrise.- Ah Jane, puoi venire un
secondo? Vorrei chiederti un consiglio su un titolo.
-Certo.- mi
alzai e mi avvicinai.
L’aiutai
a scegliere, ma prima che ritornassi a
sedermi mi fermò.
-Jane volevo
anche dirti che ci terrei che fossi tu
una delle damigelle d’onore al mio matrimonio.
Spalancai gli
occhi dallo stupore.
-Davvero? Wow!
Grazie Barbie, sarà un onore e un
immenso piacere per me farlo.- ero molto sincera.
-Ne sono
contenta.- mi strinse affettuosamente la
mano destra.- Avevo pensato che forse è il caso che
scegliamo prima l’abito per
voi damigelle, per cui se per te non è un problema, vorrei
andare questo sabato
in un negozio di abiti da cerimonia.- mi sorrise.
-Oh
sì ottima idea! E poi sabato non lavoriamo per
cui…è perfetto! Facciamo di mattina?
-Sì,
sarebbe grandioso.
L’abbracciai
e poi tornai a sedermi.
-E come
testimoni, avete già deciso?- chiese Freddie,
mantenendo lo sguardo fisso sul suo computer.
-In
realtà ancora no, ma avevamo pensato al fratello
del mio futuro marito e a te Fred.
-A me?- il mio
ex si aggiustò gli occhiali da vista
e si alzò in piedi.
-Ma tesoro che
splendida notizia. Sarò il migliore e
più elegante testimone che tu abbia mai visto.
Il mio ex e
Barbie si abbracciarono calorosamente.
Era un bel periodo per il mio ufficio.
La giornata
trascorse in maniera piacevole, fino a
quando il momento da me tanto temuto, arrivò più
in fretta del previsto: l’ora
di pranzo.
Non me la
sentivo di incontrare Christopher. Avevo
troppi pensieri per la testa e una parte nascosta dentro di me mi
diceva che
gli interessavo, quindi non volevo dargli false aspettative. Ma avevo
detto che
sarei andata a pranzo con lui e non potevo ritirare la mia parola.
Per cui mi
infilati il mio cardigan chiudendo tutti
i bottoni. L’autunno ad Edimburgo era ormai prossimo e folate
di vento si
facevano sempre più frequenti. Ottobre era ormai alle porte.
Dopo essermi
data un’altra passata di lucida labbra
uscii dal mio ufficio, dirigendomi nel locale dove avevo
l’appuntamento con il
modello.
Non dovetti
attendere neanche un secondo, perché lo
trovai già ad aspettarmi di fronte al ristorante.
Ci salutammo con
una stretta di mano e poi entrammo
nel piccolo locale. Mi aiutò a sfilarmi il soprabito e poi
mi spostò la sedia
per farmi sedere. Non potevo non dire che i suoi modi erano proprio da
cavaliere.
-Sono contento
di poter passare più di un minuto con
te, Jane. Dall’altra sera non ci siamo più
parlati.- constatò sorridendomi.
-Già,
hai ragione! Purtroppo in quel Giornale, è
così! Si ha sempre molto da fare…articoli, bozze,
foto eccetera eccetera.
-Puoi dirlo
forte! Adelaide non ci fa star fermi
nemmeno un minuto. Foto di qua, foto di
là…mettiti così, mettiti
colà…- mi fece
ridere il modo in cui finì la frase.
-Oh finalmente
ti faccio ridere…temevo che tu
fossi…spaventata da me.- storse il naso.
Addirittura
spaventata? Ero proprio un libro aperto,
eh?
-No, ma che
dici! Perché dovrei essere spaventata?
Che dici ordiniamo qualcosa?- cambiai argomento sfogliando il
menù posto di
fronte a me.
-Credo che
prenderò un’insalata e della frutta
fresca. Da bere del vino rosso. Tu?- mi chiese.
-Lo stesso, solo
che da bere preferirei dell’acqua
frizzante.- gli sorrisi, chiudendo il menù.
Poco dopo giunse
un cameriere che segnò i nostri
ordini. Poi se ne andò.
Il ristorante
era abbastanza pieno. Era piccolo ma
caloroso.
-Quindi a lavoro
va tutto bene?- mi domandò
incrociando le mani sotto il mento.
-Sì
tutto a posto! Grazie. Tu?
-Idem.
– si morse le labbra.- Ah quasi dimenticavo,
sai Jane ho vinto due biglietti per il cinema, per un film vintage. Ti
andrebbe
di venire con me?
Era un altro
appuntamento? Miseriaccia!
-Ah…sì,
perché no? Sembra un’idea carina…ma
saremo
con altre persone, no?- finsi di essere interessata alla tovaglia,
guardandola
intensamente.
Dì di
sì, dì di sì, dì
di…
-Ehm no!-
rispose guardandosi attorno.
-Ah
quindi…sarebbe un appuntamento?- trovai il
coraggio di chiedergli, questa volta guardandolo fisso negli occhi.
-Esatto! Sempre
se per te va bene, ovviamente. Ma
dalla tua espressione non mi sembri tanto sicura…-
corrugò la fronte.
-No è
solo che non so abituata a tutte queste
attenzioni da parte di un ragazzo…come te! Il tuo invito mi
sembra una cosa
molto carina ma non vorrei che tu fraintendessi.
-Fraintendere
cosa?- sollevò un sopracciglio.
Perché
mi complicava le cose? Continuai a mantenere
il mio sguardo fisso nel suo, non sapendo cosa dire.
-Senti Jane,
voglio essere sincero con te. – mi
precedette.- Sei molto carina e mi piaci. Voglio uscire con te per
vedere come
ci troviamo insieme…non mi sembri molto interessata a me, e
forse è anche
questa una delle cose che mi attraggono di te, ma se tu me lo concedi
vorrei
aprirmi un po’ a te.
Non so come
andranno le cose, ma anche diventare semplicemente un tuo amico non mi
dispiacerebbe.- disse con tono calmo, sempre sorridendomi.
-Voglio essere
anch’io sincera con te, allora.- gli
risposi.- Mi interessa un altro ragazzo. Tu mi sembra una persona
simpatica e
alla mano, però, e quindi sì…non trovo
nulla di male nell’uscire con te.
-Ti interessa un
ragazzo, eh? Beh i giochi si
complicano quindi.- si bagnò le labbra con la lingua.- Non
ci sono problemi,
però. Sono sempre stato un amante delle sfide complicate.
CONTINUA…
Ciaoo
ragazzi!!!!
Sì
sono ancora viva e nessun alieno mi ha rapito,
non sono andata ad Hogwarts (purtroppo!!!!) ma sono sempre qui!! So di
non
pubblicare da troppo tempo e vi chiedo di scusarmi. E’ stato
bello, però,
vedere che nessuno di voi mi ha abbandonato e che continuate a seguire
questa
storia nonostante aggiorni ogni morte di papa. Grazie, per questo,
davvero!!
Ora
è finalmente arrivata l’estate e con la mente
più libera spero che l’ispirazione bussi alla mia
testa più spesso.
Siamo
arrivati al nono capitolo e non so cosa ne sia
venuto fuori! E’ sicuramente più piccolo dello
scorso e non so se vi sia piaciuto
allo stesso modo. Nello scorso mi avete lasciato addirittura sette
recensioni e
non immaginate quanto sia stata contenta di leggervi così in
tanti !!^^
Nel
prossimo capitolo vorrei far compare a Jane un
abito da damigella, e per questa occasione ho scelto due foto di due
abiti,
molto carini. Mi piacerebbe che voi lo sceglieste, però! Per
cui, se volete
indicherò le foto con le lettere A e B. Se vi va, scrivetemi
quello che vi
piace di più, indicandomi la lettera ;)
A)
B)
Come
sempre vorrei ringraziare una per una le
persone che appoggiano questa storia. Quindi GRAZIE a : romy2007, marioasi,
Viandante_, Helmwige, AkaneYamana 98, Ibelieve93, e infine
beautyfulplayer
per le bellissime recensioni allo scorso capitolo. Non
so cosa farei senza di voi! <3
Ma
grazie mille per aver aggiunto la mia storie alle
seguite anche a : nike_,
la sopracitata beautyfulplayer,
Marty_0202,
Patita_Duk, hergalaxy, PerfectStranger, alex mason, depiid, e anila83. Bacioni
grandi a tutte voi <3
Grazie,
per aver aggiunto la mia storia alle
preferite ovviamente anche a : sciagala,
Me_ Sah, Luceluce, orny81, _book_,
vegani, giulia3,
Ezia98, dachedas, e CiLzAzRyY. Un
bacione anche voi <3
E
a: Rose6 per
aver messo Ad occhi chiusi tra le sue
ricordate. Un bacio <3
Spero
di risentirvi presto. Buone vacanze a tutti ^_^
Novalis
P.S: Ah quasi dimenticavo! Da
poco ho creato un mio
profilo facebook come Novalis. Se vi va aggiuntemi pure. Mi trovate
come Novalis Efp. A me piacerebbe creare
anche un gruppo per le mie storie e non solo. Se questa del gruppo vi
sembra un’idea carina fatemelo sapere
^^
|
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Capitolo 10 *** Capitolo Dieci ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo
Dieci
Il cioccolato è la
risposta. Che ce ne importa di ciò
che è la domanda.
(Anonimo)
“Il
bouquet di Rosamunde” era senz’altro uno dei
negozi più belli in cui fossi mai stata. Certo il mio
preferito rimaneva sempre
il negozio di dolciumi del signor Rowling, ma questo era un altro
discorso.
Mi trovavo
insieme a Barbara e a sua sorella in un
negozio di abiti da cerimonia. Era un luogo molto spazioso e
accogliente, la
cui proprietaria era una simpatica donna anziana dai capelli tinti di
rosso.
Avevamo deciso di andare molto presto, di conseguenza eravamo le uniche
clienti.
Attorno a noi
aleggiava un profumo di legno e di
miele.
Il pavimento era
in parquet e le
pareti erano in legno. Sul soffitto erano appesi
due candelabri ricoperti di gocce di cristallo che pendevano. Questi si
trovavano frontalmente a una finestra posta sopra la porta
d’ingresso, e quando
passava un filtro di luce di sole, questo attraversava le gocce creando
dei
magici fasci colorati sulle pareti.
C’erano,
ovviamente, tantissime relle riempite di
abiti di ogni tipo e colore.
-Salve signora,
sarebbe possibile vedere alcuni
abiti da damigella per queste due belle fanciulle?- disse Barbie
all’anziana
proprietaria che indossava un golfino verde acqua con un cartellino con
su
scritto “Rosamunde”.
-Certamente mia cara! Sei tu la
sposa?
-Sì sono io.- sorrise
timida la mia
collega.
-Oh, bene! E
quale sarà il tema della tua festa?
-Nessuno! Nel
senso che…sarà qualcosa di semplice. –
rispose timidamente.- Non ho ancora scelto il mio abito ma lo
prenderò
sicuramente bianco e poi vorrei che nel luogo in cui festeggeremo a
predominare
siano il rosa confetto e il color crema.
-Oh, benissimo!
Volete delle caramelle, per
cominciare?- domandò Rosamunde avvicinandoci una coppa di
caramelle dalla carta
rossa. Ne prendemmo una ciascuna.
-Proporrei
allora di vedere degli abiti su queste
nuance, non credi?- domandò gentilmente avvicinandosi a dei
porta abiti. Ne
scelse alcuni, e sollevandoli dai manici delle grucce li
depositò su un tavolo
di vetro al centro del negozio.
-Questo
è il modello “Seraphine”: scollo a
cuore, corpetto
ricamato con pietre bluastre e gonna a ruota di color crema.
La proprietaria
ci sfoggiò quest’ abito.
-E’
veramente bellissimo! Jane? Jessica? Volete
provarlo?- ci domandò Barbie.
-Sì,
ovvio.- rispose sua sorella.
Jessica era una
ragazza di diciotto anni. Aveva i
capelli lisci e rossi, il volto pieno di lentiggini ma
l’inconfondibile sorriso
e gli inconfondibili occhi nocciola di sua sorella.
Io annuii con la
testa, sorridendole.
-Bene. Allora
signorine, da questa parte.
Rosamunde ci
condusse in due camerini separati,
chiusi da pesanti tende di velluto verde. Frontalmente a me si trovava
un
grande specchio, ma contrariamente a quanto succedeva nei camerini
degli
ipermercati in cui vedevo la mia figura più bassa e tozza,
in questo mi vedevo
slanciata.
Dopo poco la
donna mi diede l’abito appeso ad una
gruccia. Lo provai.
La gonna mi
arrivava un paio di centimetri sotto il
ginocchio e il corpetto mi fasciava la vita, rendendola più
stretta di quanto
la mia non lo fosse. Rosamunde aveva anche indovinato la mia taglia.
Era carino, ma
non credevo fosse l’abito giusto.
-Siete pronte,
ragazze?- ci chiese Barbie.
-Io
sì.- rispose sua sorella.
-Anch’io.-
dissi.
Uscimmo nello
stesso momento.
La signora
Rosamunde battette le mani emozionata,
mentre la mia collega ci guardò storcendo la bocca. Venne
verso di noi e ci
girò intorno.
-E’
bellissimo, per carità ma…no!- concluse,
incrociando le braccia al petto.- Non credo sia l'abito giusto...!
-Bene! Non
disperiamoci, ci sono tantissimi abiti da
provare.- disse la donna, mantenendo il sorriso.
Effettivamente
gli abiti che provammo dopo furono
davvero tanti. Dal modello “Marge” al modello
“Sabrine” , dal modello “Grace
Kelly” al modello “Marylin”. Il mio
preferito fino a quel momento divenne,
però, il modello “Audrey”.
-E questo?-
domandò con un tono di voce diverso,
Barbara.
-Quale? Oh
…quello! Me lo ricordo bene…è uno dei
miei preferiti. Come ho fatto a non pensarci? Sapete si chiama anche
come me.
Signorine vi presento il modello “ Rosamunde”.
Rosamunde tolse
delicatamente il cellofan dal
vestito che le porse la mia amica.
Il modello
Rosamunde era davvero l’abito più bello
che avessi visto fino a quel modello. Era raffinato, semplice, elegante
e di
una bellezza sconvolgente.
Io e Jessica ci
guardammo estasiate e lo provammo
subito.
Era di un rosa
antico, smanicato. La gonna era ampia
al punto giusto ,a pieghe e arrivava cinque centimetri sopra le
ginocchia. Il
corpetto era fatto di un tessuto leggermente brillantato e la vita era
fasciata
fino all’inizio dei fianchi con delle deliziose decorazioni
floreali. Dire che
era bello era dire poco. Mi sentivo anche…bella. O almeno
meglio delle altre
volte.
Quando Barbie ci
vide rimase a bocca aperta per
almeno un minuto. Anche sua sorella era magnifica e la sua figura
minuta veniva
risaltata moltissimo.
-Sì,sì,
finalmente! E’ divino…è quello giusto!-
strillò dalla gioia Barbara. Sembrava quasi commossa.
Figurarsi quando avrebbe
provato il suo abito da sposa! Sicuramente sarebbe scoppiata in lacrime
alla
vista di quello giusto.
Rosemunde
sorrise sodisfatta battendo di nuovo le
mani.
-Siete superbe,
tesorucce.- disse ancora la mia collega.
-Per completare
l’outfit consiglierei allora di
abbinare delle decolleté di vernice, color rosa antico,
punta tonda, tacco sei
e platò due centimetri. Un paio di orecchini e un paio di
bracciali e sarete al
top.- suggerì l’anziana proprietaria, girando
attorno a noi.
-Lei dovrebbe
lavorare all’Edinburgh Fashion
Magazine, lo sa?- ridacchiò Barbie.
***
-No, ragazze,
non
scherzo! Sarete meravigliose.- disse Barbara, prendendo con la
forchetta delle
foglie di insalata.
Era mezzogiorno
e dopo
un giro in un paio negozio di scarpe e accessori avevamo deciso di
andare a
pranzo in un ristorante all’aperto, per approfittare del bel
tempo.
-Io mi sento
come una
principessa dentro quel vestito, è davvero stupendo. E poi
le scarpe…oddio,
oddio, oddio.- rispose entusiasta Jessica.
-Concordo in
pieno.-
dissi io, bevendo della cola.
-Non vedo
l’ora di
scegliere l’abito per me.- aggiunse sognante la mia collega,
bevendo poi
dell’acqua.
-Hai
già un modello
preciso, in mente?- le chiesi, tagliando la mia fetta di pollo.
- Non
so…sono decisa tra
un abito a sirena e tra uno della collezione Ian Stuart con un taglio
impero.
-Taglio a sirena
a
vita.- le disse Jessica, mangiando la sua crepe salata.
-Io direi
più quello
impero, ma…secondo me, alla fine devi vedere come ti sono
addosso.- dissi la
mia.
-Sì
infatti…!- ci
sorrise.
Era
così bella l’aurea
che avevano le donne prima di sposarsi. Gli occhi luccicanti, il volto
luminoso, il sorriso smagliante. Ah, chissà quando sarebbe
successo a me! Fin
da piccola mi ero immaginata con un abito bianco e semplice e con
accanto a me
un uomo dal volto coperto da una grande X, perché non sapevo
chi sarebbe stato
il mio futuro sposo. Ora avevo ventisette anni e continuavo a vedere
una grande
X su quel volto. Certo un po’ di cose, sentimentalmente
parlando, rispetto a
quando ero piccola erano cambiate, ma…c’era troppa
confusione ancora.
-Cos’è
quello sguardo?-
domandò sospettosa Barbie.
-No nulla.-
ridacchiai
mettendo in bocca l’ultimo boccone.
-Sì
sì certo, vuoi
prendere in giro una giornalista? Non ci provare! .- mi
puntò il dito contro
sorridendomi.
-No davvero, non
stavo
pensando a nulla.
-Mhm…non
insisto!
Comunque arriverà anche per te il grande giorno, fidati.
Le sorrisi
timida.
Aveva capito tutto!
-Ti piace un
ragazzo
Jane?- mi domandò Jessica.
E ora questa
domanda?
-Sì…mi
piace un
ragazzo.- le risposi. Non aveva senso mentire.
-Aha, allora
confessi
che ti piace Terence Ashling.- mi ripuntò il dito contro
Barbara.
-Chi dice che
sia
Terence?- feci la vaga. Temevo che espormi troppo mi avrebbe resa
partecipe di
troppi pettegolezzi nell’ufficio.
-No…non
mi dire che è
il modello?- spalancò la bocca facendo
un’espressione di puro stupore.
Certo che le
questioni
lavorative passavano in secondo piano, ma i pettegolezzi di Beth Smith
no.
-No…
-E allora
è Terence,
per forza…a meno che tu stia uscendo con qualcuno senza dire
niente a nessuno.
-Secondo me
è questo
Terence, invece! Le brillavano gli occhi quando hai fatto il suo nome.-
disse
Jessica, bevendo poi dalla cannuccia il suo frappè.
Sentite la cara
sorellina! Mi aveva proprio capito!
-Sorellina.- le
due
Richardson si guardarono intensamente.- hai pensato di seguire le mie
orme come
giornalista?
La rossa
ridacchiò.
-Chissà…
-Ma allora ha
ragione
sì o no?- chiese la mia collega, ora rivolta a me.
La guardai negli
occhi.
Non si sarebbe arresa.
-Te lo dico,
solo se mi
prometti che non lo dirai agli altri…vorrei che la cosa
rimanesse riservata.-
scesi a patti.
-Moi?
– rispose in
francese.- Dirlo a qualcuno? Certamente no! Dimmi cara.
-Terence, mi
piace
Terence.- Ecco fatto!
-Ha! Lo sapevo.-
squittì ridendo.- rimarrà tra noi, acqua in
bocca.- si fece una croce immaginaria
sulla labbra.
Speravo che
fosse
sincera.
-E tu Jessica?-
chiesi
ora io. Occhio per occhio, dente per dente, no?
-Ovvio! Ho
diciotto
anni e a diciotto anni ti deve per forza piacere qualcuno.- disse
sfacciata
finendo il suo frullato.
-Ah
sì?- incrociò le
braccia al petto sua sorella.- Dobbiamo discuterne,
sì…dobbiamo proprio. Non
dirmi che è James il brufoloso?
-Ehi ora ha la
pelle
perfetta. E’ più bello di Logan Lerman.- fece
indignata la sorella, facendo la
linguaccia.
-Allora
è lui.- disse
sconsolata Barbara.
Ah,
l’adolescenza!
***
-Pizza
margherita, vero?- urlò Abbie dal piano di sotto.
-Sì
Abbie.- le urlai di
rimando.
Mi affrettai a
concludere una parte del nuovo articolo che stavo scrivendo e a
chiudere delle
mail da parte del mio capo, sul pc. Erano le otto di sera e avevo una
fame da
lupi.
Mi scrocchiai le
dita
delle mani e mi alzai in piedi, per poi scendere le scale per il piano
di
sotto.
-Ordinato?-
chiesi alla
mia amica che stava mettendo nel microonde un pacco di pop corn.
-Yes, baby! Tu
puoi
mettere una bevanda nel freezer? Così quando arriva la cena
beviamo qualcosa di
fresco.
-Certo.-
pantofolai
verso la credenza e presi una bottiglia di cola e una di acqua.
-Hai scelto il
film da
vedere?- mi domandò Abbie spostandosi in salotto.
-Che ne pensi di
“Trent’anni in un secondo”?- proposi
spegnendo la luce della cucina e
raggiungendo la mia amica.
-Ottima idea. Ci
vuole
una bella commedia scaccia pensieri. – sorrise.- Beh allora
tutto a posto con
la tua collega stamattina?
-Assolutamente!
Ti ho
fatto vedere l’abito da damigella, no? Abbiamo pranzato
insieme e prima di
portarmi qui, ci ha offerti un gelato. No guarda Abbie, ho scoperto una
persona
molto dolce sotto le vesti della collega dallo stile etnico.
-Mi fa piacere
baby.
Secondo me la cosa più bella, dopo fare il lavoro dei propri
sogni, è lavorare
con persone dolci che ti capiscono. Lavorare in un clima di
serenità è la
miglior cosa.- sospirò.
-Giusto, sono
d’accordo! A proposito, hai già fatto vedere a
Sandra le foto scattate a casa di Terence?
-Non ancora.
Questa
settimana era fuori per un viaggio.- fece una smorfia.
-Sono sicura che
le
piaceranno moltissimo. Non conosco una fotografa migliore di te.- le
feci
l’occhiolino acciambellandomi sul divano.
Sorrise
mostrandomi i
sui denti bianchissimi.
-Secondo te,
cosa
potrei farmi ai capelli?- cambiò discorso, toccandosi le
punte dei capelli
corti.- me li vedo così…spenti.-
arricciò il naso.
-Mhm non
saprei…colpi
di sole?- proposi guardandola.
-Sì…non
sarebbe una
cattiva idea. Avevo pensato anche di tagliarli e di farmi una specie di
frangia
ma laterale, e bella folta.
-Secondo me
staresti
bene. Hai il viso piccolo e magro, per cui…!
-Sì…ci
penserò.- disse
ora accendendo la tv.
-Uff non
c’è mai niente
di interessante a questa televisione.- iniziò a fare zapping.
-E con quel
Christopher?- domandò ora, mantenendo lo sguardo fisso sulla
tv.
-Ci vediamo
domani.
Andiamo al cinema a vedere “Io ti
salverò” con Gregory Peck e Ingrid Bergman.-
sospirai.
-Wow, forte! Si
vede
che ci tieni tanto ad andare.- mi prese in giro, guardandomi per un
attimo.
-Sì
certo, non vedo
l’ora guarda.- ironizzai.
-Ma devi andarci
per
forza?
-Per forza no,
ma ti ho
detto che mi espose chiaramente cosa ne pensava di me. Mi disse che
anche
diventare semplicemente mio amico gli sarebbe andato bene, e non mi
sembrava
carino rifiutare il suo appuntamento.
-Però
ti ha anche detto
che amava le sfide complicate, quando gli hai detto che ti piace un
ragazzo.-
osservò puntando lo sguardo su di me.
-Perché
probabilmente
spera in qualcosa di più dell’amicizia, poi non
so…- risposi imbarazzata
guardando la tv.
-Mhm…ovvio
che spera in
qualcosa più dell’amicizia! Certo che
però la vita è proprio strana. Un modello
bellissimo si è preso una cotta per te, e per te invece
uscire con lui è quasi
un peso.- fece presente annuendo tra sé e sé.
-Non
è colpa di nessuno
se a me piace Terence e non Christopher. – mi legai meglio la
coda di cavallo.
-Terence ha
fascino,
Christopher no. Terence è il bel tenebroso che nasconde
tanti segreti, è
misterioso e quella cicatrice sopra le labbra lo rende proprio sexi. Ti
capisco.- mi disse.
-Ehi non
è che ora
piace a te?- feci una smorfia.
-Ehi ma che
dici?! Io
amo Thomas più di ogni altra cosa al mondo.- mi fece la
linguaccia.- ma è bello
vedere che sei gelosa.
-Io? Gelosa? Io
e la
gelosia siamo come due rette parallele.- rivolsi lo sguardo verso un
programma
di cucina sui cui Abbie aveva lasciato.
-Se se, e io
sono
Jessica Rabbit!
Sorrisi. Se ne
usciva
sempre con frasi che iniziavano con “ e io
sono…” quando capiva che le mentivo.
-Scusami per
prima, non
volevo insinuare niente…e sì sono molto gelosa.-
mi morsi le labbra scusandomi.
-No problem
baby, no
problem.- mi fece l’occhiolino.
Dopo qualche
secondo il
citofono di casa suonò. Erano arrivate le pizze.
Fortunatamente la pizzeria più vicina distava non
molti metri da casa nostra.
Presi una
tovaglia
dalla cucina e la distesi sul tavolino di fronte al divano. Poi mi
avvicinai al
lettore dvd per inserire il film che avevamo deciso di vedere.
Abbie giunse
raggiante
con due scatole di pizza che mise subito sul tavolo.
-Bene. Prendi tu
le
bibite e i popo corn?- mi domandò.
Annuii e presi
ciò che mi aveva chiesto. Quando feci per tornare,
però, il telefonino della mia amica prese a
squillare. Sentii che rispose e dal suo “Ehi ciao amore
mio” capii che si
trattava di Tom.
-Come? No!
Davvero?
Fantastico…sì
certo…ovviamente…non vedo
l’ora…ti amo tanto. Un bacio, a domani
amore mio.
-Non
è il caso che
chieda chi era.- osservai posando la cola e dei bicchieri di plastica
vicino
alle pizze.
-Era Thomas! Mi
ha
detto che mercoledì si terrà una sagra qui ad
Edimburgo. Verranno anche gli
altri, Terence compreso, quindi ci andremo.
-Cosa? Anche
io?- mi
risedetti sul divano.
-Certo, baby!
E’ un
occasione per svagarsi un po’ e per liberare la mente, e poi
ci sarà
Terence…non vorrai perderti
l’opportunità di rivederlo, no?- aprii la sua
scatola.
-No certo che
no, il
fatto è che lavoriamo il mercoledì e anche il
giorno dopo…- obiettai.
-E beh? Andiamo
verso
le otto e rientriamo entro la mezzanotte, promesso.- mi
guardò con un luccichio
negli occhi.
-E va bene.- mi
arresi,
aprendo la mia
margherita. In fondo non
mi dispiaceva rivedere Terence anche se l’avevo visto solo il
giorno prima al
pub.
-E che sagra
è?- domandai.
-Oh non te
l’ho detto?
Credo che ti piacerà moltissimo! E’ la
sagra…- fece un “oohhh” per aumentare la
suspense,- della cioccolata!
-No, non ci
credo!
Finalmente qualcosa che non abbia a che fare con birra e liquori.-
esultai.
Terence e cioccolata tutti in una volta, cosa avrei potuto chiedere di
più? Ah
sì di non avere Mary Anne tra le scatole.
***
La domenica
arrivò più
in fretta di quanto sperassi. E con essa anche la sera e
l’appuntamento con
Wilson. Dopo la doccia mi precipitai in stanza per vestirmi. Avevo
deciso di
scegliere un look semplice, senza dare troppo
nell’occhio…non volevo che si
facesse strane idee. Optai per un pantalone a palazzo nero, una camicia
di lino
bianco e degli scarponcini con i lacci del medesimo colore dei
pantaloni. Indossai
una collana fatta di anelli argentati che si intrecciavano tra di loro.
Infine
tornai in bagno per truccarmi e aggiustarmi i capelli.
Erano le otto
meno dieci
quando fui pronta!
-Il modello
passa fra
dieci minuti?- mi chiese Abbie, intenta a catalogare delle foto per il
suo
giornale.
-Sì,
così mi ha detto.
Gli ho dato l’indirizzo, speriamo non sbagli.
Abbie si
voltò a
guardarmi.
-Mi sa che la
sua cotta
triplicherà guardandoti.- mi disse con un sorriso,
avvicinandosi a me. I suoi
occhi grigi sembravano più grandi da dietro le lenti degli
occhiali da vista.
-Sì
certo. Che ho di
particolare? Un look sobrio, mi sembra.- le feci presente.
-Ti ho
già detto che
saresti bene anche con un sacco di patate, quindi fai silenzio.- mi
fece la
linguaccia.
-Ti voglio
troppo bene,
lo sai vero?- le chiesi imbarazzata.
-Lo so, lo so.
Ma
d’altronde come non volermi bene?- si pavoneggiò
facendomi ridere.
Poco dopo il
citofono
di casa suonò. Controllai l’orologio da polso. Era
in anticipo, miseriaccia!
-Bene! - mi
disse la mia
amica porgendomi la giacca che mi ero preparata.- divertiti e stai
tranquilla.
Non credo che sia il caso che mi travesta di nuovo tipo diva di
Hollywood, no?…Per
cui andrà tutto bene.- mi strizzò
l’occhio.
-No infatti non
mi
sembra il caso.- risi.- speriamo vada tutto bene.
-Tranquilla. Io
intanto
sbircio la sua macchina. Come diciamo noi al giornale “Dimmi
che auto hai e ti
dirò chi sei”.- la vidi avvicinarsi alla finestra.
Le sorrisi e
aprii la
porta di casa.
Appoggiato ad
una
macchina sportiva nera, trovai Christopher.
Aveva lo sguardo
puntato sulle scarpe, e dovetti schiarirmi la voce per far
sì che sollevasse lo
sguardo su di me.
-Jane!
Wow…sei
bellissima.- mormorò dandomi un bacio sulla guancia.
Ecco, ora
iniziavo a
sentirmi a disagio!
Mi
aprì lo sportello anteriore
della sua auto (ad occhio e croce avrei detto che fosse una Peugeot) .
Mi
sedetti e misi la cintura di sicurezza. Una volta raggiunto il volante,
Wilson
mi lanciò un sorriso. Era davvero un ragazzo bellissimo.
-Come stai?- mi
domandò
allacciando la sua cintura.
-Bene, grazie.
Tu?
-Stavo bene ma
ora che
ti ho visto sto anche meglio.- mi fece l’occhiolino. Poco
dopo partì.
Mi schiarii la
voce un
tantino in imbarazzo.
-A che cinema
andremo? –
cambiai subito argomento.
-Al TriWizard,
spero ti
piaccia! E’ un cinema davvero favoloso. Grande, pulito e
molto luminoso.- lo
osservai mentre parlava. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé
e il suo tono di
voce era sicuro. –E poi il film che vedremo noi è
uno dei più belli, secondo
me. Hitchcock era proprio un mito.- concluse.
-Lo puoi dire
forte.-
gli risposi io finalmente affrontando un argomento che non mi metteva
in
imbarazzo. – inoltre il cast è eccezionale. Peck e
la Bergman insieme, non c’è
nulla di meglio.- mi voltai a guardare il finestrino e il paesaggio
serale
scorrermi davanti.
-Sì,
concordo
assolutamente. Ehi, comunque è bello vedere che
c’è qualcuno che ama il cinema
quanto me.- osservò.
-Già!
In effetti ci
sono persone che non prestano attenzione ai dettagli, ma vedono un film
tanto
per.- gli risposi sempre con lo sguardo fisso aldilà del
finestrino.
Mi volsi nella
sua
direzione e vidi che aveva le labbra curvate in un sorriso.
-Accendo un
po’ la
radio?- mi chiese ad un semaforo in tono gentile.
-Certo!
Le note di Viva la vida dei Coldplay iniziarono a
ballare nell’abitacolo dell’auto poco dopo.
-Mi piace troppo
questa
canzone.- mi disse, iniziando a ondeggiare il capo a ritmo.
-E’
bella, sì, è
proprio bella.- iniziai a canticchiare anch’io.
In fondo non
stava
andando tanto male.
Quando arrivammo
davanti
al cinema, scendemmo dalla macchina. Arrivati alla nostra sala,
prendemmo i
nostri posti. Il modello aveva comprato uno scatolo di popcorn,
ricevendo dalla
cassiera delle occhiate che lasciavano poco spazio
all’immaginazione. Non aveva dato neanche un'occhiata ai
soldi che le aveva porso Wilson, mettendoli velocemente nella cassa.
-Ma è
così ovunque tu
vada? Richieste di foto, autografi, occhiate maliziose e roba simile?-
posi la
domanda con sincerità.
-Sì
ovunque vada.- mi
guardò e mi sorrise.- Ma a me va più che bene
così. Alla fine so che lavoro
faccio e se non fossi consapevole del mio aspetto fisico non potrei
fare ciò
che faccio. Penso sia normale che piaccia a molte ragazze, ma lo dico
con tutta
l’umiltà possibile, davvero.- continuò
serio.
Beh in effetti
se una
persona faceva di mestiere il modello era consapevole della sua
bellezza. In
quel momento pensai che io e Christopher fossimo proprio agli antipodi.
Lui il
bello e consapevole e io la ragazza con l’autostima sotto le
scarpe. Che bella
accoppiata!
-Perché
hai scelto di
fare la giornalista?- mi domandò poi, mentre sullo schermo
continuavano a
passare delle pubblicità. Sul biglietto era scritto,
infatti, che il film
sarebbe iniziato solo dopo venti minuti di pubblicità. Che
barba!
-Perché
amo scrivere,
mi piace parlare della gente, guardarmi intorno, e tenere le persone
aggiornate
sulla quotidianità. Nel mio caso tenerle aggiornate sulle
mode, e sulle varie
griffe.
-Ammirevole!- mi
fece
l’occhiolino.
-No! Ma lei
è
Christopher Wilson della pubblicità sulla camicia Burberry?-
domandò poi subito
dopo una ragazza che stava per sedersi vicino a me.
-Sì
sono io.- le
sorrise il modello.
-Oddio, che
meraviglia!
Mi farebbe un autografo? Potrei fare una foto con lei?
Guardai Wilson
con le
sopracciglia all’insù. Wow, quanta fama! Figurarsi
se fosse stato Johnny Depp
cosa sarebbe successo! Okay che Johnny non sarebbe mai uscito con me,
ma vabbè
dettagli!
-Ovviamente
signorina,
però magari la foto la facciamo quando finisce il film,
altrimenti sa…- girò la
testa e guardò tutta la gente seduta alle nostre spalle e
fece un sorriso
timido. Le voleva far capire che poi troppa gente si sarebbe avvicinata.
-Oh
sì certo…- rispose
la ragazza con le guance imporporate.
Finalmente dopo
milioni
di grazie e almeno altre sette ragazze che lo invasero di flash di
macchine
fotografiche sporgendosi dai loro posti, il film partì.
***
Quando le luci
si
riaccesero, mi resi conto di quanto volessi scappare da quella sala. La
tipa,
seduta a me, che aveva adocchiato il modello, non aveva fatto altro che
sporgere il collo come una giraffa per poterlo vedere meglio. E poi,
per la mia
immensa gioia, non aveva fatto altro che tenere il cellulare acceso e
fargli
foto “a sgamo”. Certo, proprio a sgamo. Ogni tre
secondi si vedeva il flash
illuminare la poltrona di fronte. Avevo voglia di prenderla a sberle,
perché mi
aveva fatto perdere tutte le battute di Gregory Peck, ma avevo stretto
i denti
e fatto finta di nulla.
All’aria
di fuori accelerai il passo, superando
Christopher. Non avevo proprio voglia di incombere in altre pazze
scatenate.
-Jane!- mi
raggiunse.
-Scusami, non
volevo…purtroppo ci sono anche fan…un
po’…
-Un
po’ malate mentali?- continuai la frase per lui,
continuando a camminare.
-Ehm…sì!
E’ il mio lavoro, dovresti saperlo e mi
dispiaceva non accontentare quella ragazza.- mi sorrise facendo
spallucce.
-Certo, non sto
dicendo nulla infatti! E non ce l’ho
con te, ma con quella pazza! Il fatto è che
non ho seguito un minuto, e sottolineo un minuto, del
film.- sbuffai un
po’ brusca.
Capivo che era
il suo mestiere ma secondo me si era
troppo pavoneggiato con la tipa. Non che mi importasse più
di tanto, solo che
se ero stata invitata per vedere un film, avrei voluto vederlo.
-Mi spiace
davvero, ti prometto che la prossima
volta me ne infischio e dedico le mie attenzioni solo a te.
Ma cosa aveva
capito? Che volevo le sue attenzioni
su di me? “Sei fuori pista, caro mio”.
-Non era questo
ciò che intendevo Christopher, ma
vabbè…lasciamo perdere!- controllai il mio
orologio notando che erano le dieci
e un quarto.
-Vuoi mangiare
qualcosa?- propose dopo che guardai
l’orario.
-Oh no, ti
ringrazio ma mi sento un po’ stanca!
Preferirei tornare a casa.- dissi cercando di usare un tono dolce.
-Ah…va
bene, se proprio non te la senti!- si mise le
mani in tasca e arrivammo alla sua auto.
Non ero
arrabbiata o altro solo che, Wilson aveva
insistito per invitarmi al cinema sebbene io gli avessi chiaramente
detto che
mi piaceva un altro ragazzo. E una volta che avevo accettato, che
faceva? Si
comportava come un divo senza dire niente a quell’oca che
faceva foto in
continuazione. Mi ero persa uno dei più bei capolavori
cinematografici, per la
barba di Merlino!
Quando arrivammo
di fronte a casa mia, gli tesi la
mano per salutarlo. Me la strinse sorridendo ma poi mi tirò
verso di lui
dandomi un bacio sulla guancia. Oddio, ma cosa…?
-Mi spiace tanto
per stasera, davvero! Posso sperare
che ci vedremo ancora?- si morse le labbra.
Prima sembrava
così sicuro di sé dicendo “la
prossima volta che ci vedremo”
e ora
faceva l’insicuro?
-Poi si
vedrà.- gli risposi, uscendo dalla sua
Peugeot.
Mi
salutò con la mano e poi si allontanò.
***
La settimana
all’Edinburgh Fashion Magazine si aprì
con un piccola discussione tra una modella e un impiegato del secondo
piano. A
quando raccontavano i rumors nei corridoi, un impiegato del secondo
piano noto
come James Black aveva invitato una modella Louboutin a prendere un
caffè
porgendole persino un mazzo di rose rosse. La tipa gli aveva riso in
faccia e
buttato le rose (con tanto di spine) addosso. Vincent non faceva altro
che
ridere per l’accaduto mentre io e la restante parte dei miei
colleghi
sospiravamo tristi per il nostro collega. Poverino, chissà
che umiliazione!
-Quella vipera!
Si credono chissà chi, invece sono
solo dei manici di scopa che camminano!- sbuffò Freddie.
-Bravo, mi hai
tolto le parole di bocca! Ma poi
James…cioè signori, se non è bello
lui! Come ha osato quella strega gettargli
persino le rose addosso.- continuò Barbie.
-Condivido,
ragazzi, condivido! Vi posso assicurare
che i modelli amano pavoneggiarsi, eccome se lo amano.- dissi io
più tra me e
me.
-E tu come fai a
saperlo?- domandò Vincent
sporgendosi dalla sua scrivania.
-Oh
beh…lo so e basta! E’ un fatto risaputo che i
modelli se la tirano.- balbettai. Altro che tra me e me
…anche le mura avevano
le orecchie nel mio ufficio.
-Sì
certo…guarda che Beth Smith mi ha riferito del
tuo ultimo pranzo con un certo Christopher Wilson, modello Calvin
Klein.- mi
soprese Vincent.
Certo che quella
Smith meritava proprio una bella
lezione!
Vidi gli occhi
di Freddie spalancati e la faccia di
Steve incuriosita.
-Ragazzo un
chilo di fatti tuoi, no?- venne in mio
aiuto Barbara.
-Oh cosa
c’entri ora tu Richardson? Sei gelosa che
nessun modello ti fila?- la stuzzicò Price.
-Cosa?!-
urlò la mia collega, divenuta paonazza.-
Come osi brutto sciocco! Vorrei ricordarti che mi sposerà
fra meno di tre mesi,
troglodita che non sei altro.
Vincent non le
rispose ma la guardò male.
-Stop ragazzi,
stop!- mi intromisi io alzandomi.-
Sentite so che è d’obbligo per noi del mestiere
essere molto curiosi ma penso
che chi non se la senta debba mantenere il suo livello di privacy, ok?
Non sono
affari che ti riguardano, Price, ma non c’è nulla
tra me e il modello e vorrei
che non fossero fatte più insinuazioni né a me
né a Barbara, d’accordo?- mi
avvicinai alla sua scrivania e lo guardai fisso negli occhi. Mi sentivo
abbastanza agguerrita.
-Come desideri,
Ryan, come desideri.- ringhiò prima
di tornare al lavoro.
Brutto
antipatico.
Dopo quello
scontro, la giornata proseguì tranquilla
così come il martedì successivo.
Mercoledì,
però, durante una pausa caffè vidi
Freddie lanciarmi svariate occhiate. Cosa gli era successo?
-Ehi Jane,
possiamo parlare?- mi chiese.
-Ovviamente.
Dimmi tutto!- gli risposi, girando il
mio caffè macchiato.
-Senti…non
voglio intromettermi o altro e penso che
ciò che dicesti l’altra volta a Price sia giusto
perché…beh perché ognuno ha il
diritto alla sua privacy, ma…ma davvero non
c’è nulla tra te e quel tipo?- chiese
imbarazzato il mio ex. Era nervoso e lo capii da come si aggiustava il
nodo
della sua cravatta verde.
-Non
c’è assolutamente nulla!- gli sorrisi dolcemente.
In fondo gli volevo ancora molto bene, e al contrario di Vincent lui
meritava
di far parte della mia vita.
-Capisco! No
sai…te l’ho chiesto
perché…perché
vorrei sapere come vanno le cose sentimentalmente. Voglio che tu sia
felice,
colombella, lo capisci. Purtroppo hai avuto la sfortuna di incombere in
uno
come me, ma questo non significa che le cose non possano migliorare.-
mi
accarezzò una spalla.
Lo guardai nei
suoi profondi occhi marroni.
-Ma quale
sfortuna! Io ti voglio molto bene, Freddie
e sono felice, te lo posso garantire. Incontrarti è stata
una delle cose più
belle che potessero succedermi e per me sei una persona speciale.
Comunque, che
rimanga tra di noi, anche se non mi interessa il modello non
è detto che non mi
piaccia qualcun altro.- sussurrai l’ultima frase a bassa voce.
Avevo fatto
promettere a Barbara di non parlare con
nessuno del mio interesse verso Terence, ma sapevo che rivelarlo anche
al mio
ex non avrebbe cambiato le cose.
-Davvero! Allora
colombella devi raccontarmi tutto.
Gli sorrisi e
iniziai a parlargli del ragazzo per
cui avevo perso la testa.
-Magnifico! Sono
proprio contento. Avere una cotta
per qualcuno è sempre una buona cosa…ti senti
leggero e euforico. Vedrai
riuscirai a conquistarlo. Anche se il ragazzo è cieco non
vedo come le cose non
possano funzionare con una creatura speciale come te!- mi fece
l’occhiolino
iniziando a dirigersi verso il nostro ufficio.
-Ehi
Fred…- lo richiamai. Si voltò a guardarmi.- e
tu con…con quel ragazzo…Edward giusto?- lo fissai
dritto negli occhi
timidamente.
-Va tutto
meravigliosamente bene.- mi sorrise prima
di sparire in stanza.
Beh almeno a lui
le faccende sentimentali, andavano
meravigliosamente bene!
***
-Baby mi presti
quella collana con le perle rosse?-
entrò Abbie in camera.
-Non
c’è neanche bisogno di chiedermelo. Dovrebbe
essere nel mio porta gioie. Prendi tutto ciò che vuoi.- le
sorrisi allacciando
il mio orologio.
-Allora baby mi
assicuri che per la mezzanotte siamo
a casa? Ho potuto prendermi solo un’ora di permesso e quindi
domani entro alle
nove.- le chiesi guardandomi allo specchio e dando un ulteriore ritocco
al mio
rossetto rosso.
-Sì,
quante volte devo dirtelo?! E’ una sagra di
paese non un concerto dei Metallica, non finirà troppo tardi
tranquilla.- mi si
avvicinò con la collana di perle rosse.- me la agganceresti?
Feci come mi
aveva chiesto.
-Bello quel
vestito.- la feci fare un giro su se
stessa mentre la sua gonna a ruota si apriva.
-Ti piace? Me
l’ha regalato Tom. Sa che mi piacciono
le stampe floreali.
-E’
stupendo. E poi ti sta benissimo.
Le feci
l’occhiolino e poi insieme ci avviammo verso
l’uscita di casa.
Entrate in auto
ci allacciamo le cinture di
sicurezza.
-Comunque bello
il tuo cardigan ricamato! Sta
benissimo con il tuo vestito. Se Terence potesse vederti si sarebbe
già
innamorato di te.- mi disse poi, prima di partire.
Mi voltai a
guardarla. Era così dolce Abbie. Una
ragazza così bella fuori, ma così tanto bella
dentro.
-Sei proprio un
angelo amica mia! Non so cosa farei
senza di te. Non sono molto fiduciosa che un ragazzo bello come lui mi
avrebbe
guardata se avesse potuto vedere, ma le tue parole sono state
dolcissime.
Mi sorrise e poi
mise in moto.
-Ma dove si
terrà questa sagra?- le domandai.
-In Castle
Terrace. Sai dove ogni sabato si tiene
L’Edinburgh Farmers’ Market.
-Intendi
il
mercato?- ero sorpresa.
-Sì!
Solo che al posto dei locali dove ogni sabato
si vende frutta, verdura eccetera, ci saranno locali adibiti al consumo
di
cioccolata…suppongo.- si fermò ad un semaforo.
-Oh capisco! Beh
approvo la scelta. Adoro la Old
Town.
-Sì,
concordo. E’ piena di negozietti deliziosi.-
quando il semaforo tornò verde ripartì.- Ah,
comunque credo ci saranno anche
uomini che suoneranno la cornamusa vestiti con il Kilt.-
ridacchiò.
-In perfetto
stile scozzese, non c’è che dire!- feci
una smorfia, ridacchiando subito dopo.
Dopo una ventina
di minuti, Abbie parcheggiò di
fronte ad un grande cancello di ferro. Eravamo state fortunate a
trovare un
posto così vicino, perché si intravedevano tante
automobili e dalle sbarre del
cancello intravidi un folle via vai di persone.
-E gli altri?-
chiesi.
-Mi ha detto Tom
che ci avrebbero aspettati davanti
alla casa di Hansel e Gretel.
-La casa di
chi?- corrugai la fronte.
-La casa di
Hansel e Gretel. Ovviamente non c’è
nessuna strega ma è una cassetta di cioccolata che
è stata allestita dove il
sabato si mette la signora Trelawney, sai quella che vende perline e
stoffe.
-Ah…-
ero ancora un tantino sorpresa. A causa del
lavoro non andavo quasi mai al mercato e di conseguenza non sapevo
neanche chi
fosse questa signora Trelawney.
Quando scendemmo
dall’auto, notai appeso sul grande
cancello d’entrata un grande cartello con su scritto a
caratteri cubitali :
“Save the Earth. It’s the only planet with
chocolate”. (Salvate la Terra. E’
l’unico pianeta con il cioccolato).
Risi facendo
ridere anche la mia amica, che rimase
ad osservare quella frase per qualche minuto.
Varcato il
cancello, per poco non strillai dalla
gioia quando alle mie orecchie giunsero le note della colonna sonora
del
magnifico film “L’ultimo dei Mohicani”.
Era una delle mie musiche preferite.
-Baby guarda
là.- la mia amica additò una piccola
banda di uomini che con le cornamuse stavano suonando quelle
meravigliose note.
Era tutto
magico. Bancarelle di braccialetti, di
caramelle, di conchiglie di cioccolato, di praline al cacao, di
cioccolatini e uomini che mostravano le loro creazioni di
cioccolata. Rimasi stupita nel vedere due bambini con i pattini
costruiti con
del cioccolato. E c'era persino un uomo che versava cioccolata calda in
dei bicchieri di carta.
Dopo pochi
minuti giungemmo davanti alla famosa casa
di Hansel e Gretel. Me ne accorsi subito perché erano state
costruiti i
personaggi di questa vecchia fiaba, con della cioccolata.
E poi finalmente
vidi Terence. Stava parlando con
Russell. Era
vestito in maniera molto
simile a quando lo incontrai la prima volta: Jeans strappati sulle
ginocchia,
giacca di pelle nera, una t-shirt di una band e i Ray-Ban a goccia
sugli occhi.
-Ciao bella
gente!- salutò euforica la mia amica.
Tutti si
voltarono a guardarci. Io sorrisi e salutai
tutti con un gesto della mano. Ovviamente Abbie si tuffò
sulle labbra del suo
fidanzato prima di salutare gli altri.
-Ciao bellezze.-
ci salutò Russell.
Gli sorridemmo.
-Avete visto che
splendore?! Dio, non ero mai stata
in una sagra del cioccolato. E so che si balla anche! Hanno allestito
un pista
da ballo sotto un tendone qualche metro più avanti.- ci
rivelò Sophie. I
capelli rossi raccolti in una treccia a spina di pesce.
-Poi ci andiamo,
eh?- le rivolse uno sguardo William.
Dopo poco tutti
iniziarono a parlottare tra di loro
di football e argomenti simili. Ne approfittai per avvicinarmi a
Terence.
-Ehilà.-
lo salutai.
-Ciao Jane.- mi
sorrise.- E’ bello qui, vero?
Cioè…non posso vedere nulla, ma percepisco tanta
bellezza attorno a me.
Arrossii. Era
come se avesse rivolto questa frase
anche a me. “Ma cosa vai a pensare, stupida
Jane”.
-Sì
è tutto splendido. E poi io amo la musica che
hanno messo. L’ultimo dei Mohicani è uno dei miei
film preferiti.- dissi.
-Ragazzi, che
dite iniziamo a passeggiare?C’è un
negozietto dove vendono caramelle e cioccolatini ripieni.- si
leccò le labbra
William.
Notai Mary Anne,
che fino a quel momento era stata
in disparte a guardare il suo smartphone brillantato, fare una smorfia
di
disgusto. Evidentemente per una con il suo fisico, i dolci dovevano
essere come
il veleno per i topi.
Ci incamminammo.
Io vicina a Terence e gli altri
dietro di noi. Non ci tenevamo per mano, lui si stava aiutando con il
suo
James.
-Jane! Jane
cara, come stai?- si avvicinò poco dopo
Mary Anne.
Da quando ero
“Jane cara” per lei? La guardai
sospettosa.
-Bene, ti
ringrazio. Tu?
-Stanchissima.
Non indovineresti mai quante paia di
scarpe io abbia indossato oggi. – disse con la sua voce da
gatta morta. Certo doveva essere proprio stanca morta. Che sacrificio
indossare le più lussuose scarpe del mondo, poverina!
Poco dopo si
avvicinò a Terence.
-Bellissimo
posso aiutarti?- gli chiese.
“Bellissimo,
posso aiutarti?”- ripetetti nella mia
testa. Avrei potuto vomitare.
-No Mary Anne.
Grazie ma mi fido del mio James.- le
rispose freddamente. Sentivo che se fosse stato più
sfacciato avrebbe
continuato con un “molto più di quanto mi fidi di
te”.
A stento riuscii
a mordermi le labbra per non
scoppiare a riderle in faccia.
-Ah ok.- rispose
con finta nonchalance.
Riprendemmo il
cammino in silenzio. Mi guardai
attorno rimanendo sempre più estasiata alla vista delle
fontane di cioccolata e
della bancarelle di dolciumi. Era come tornare bambini ed essere
entrati nella
fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.
-No! Dobbiamo
assolutamente assaggiare quei biscotti
e metterli sotto la fontanella di cioccolato.- disse allegramente
Sophie
tirando per la manica William.
Vidi tutti gli
altri andare verso quel locale.
-Andiamo?- mi
propose Terence dandomi la sua mano.
La presi e sentii il mio cuore ballare la conga nel petto, dalla gioia.
Jane 1-
Mary Anne 0.
Giungemmo di
fronte quel nido di delizie. Pochi
minuti dopo, diedi a Terence un biscotto di pastafrolla bagnato di
cioccolato,
avvolto in un fazzoletto. Ne presi uno anche per me.
-Oddio Jane
cara, ma come fai a mangiare quella
roba? Lavori in un giornale di moda, non dovresti permetterti certi
lussi.-
disse l’oca giuliva sempre con la faccia schifata di prima.
-Mary Anne,
siamo in una sagra del cioccolato se non
te ne fossi accorta, e di certo non sono venuta solo per vedere.- le
risposi a
tono, cercando di mantenere un tono gentile. Ci mancava solo che
diventasse mia
nemica.
In risposta mi
fece un mezzo sorriso falso. Sentii
Terence ridere.
Gli occhi di
Mary Anne poi si spostarono sulle mani
mie e di Terence. Vidi che mi lanciò uno sguardo di fuoco.
Che barba questa
tipa, mamma mia!
Sfortunatamente
il tempo passò più veloce del
previsto. Dopo i biscotti bagnati di cioccolata tutti quanti (tranne la
modella
oca) assaggiamo piccole leccornie cioccolatose.
-Beh che ne
dite, ci facciamo un paio di balli?-
domandò verso le dieci e mezza Russel, mentre cercava di
cingere le spalle di
Mary Anne.
-Ci sto.- disse
prontamente Tom, dando un bacio
sulla guancia ad Abbie che prontamente diventò paonazza.
-Noi anche.-
risposero William e Sophie.
-E tu Terence?-
gli chiese Russell.
-Ah…io…non
so molto bene ballare, non credo sia il
caso…
-Dai Terence,
fai ballare Jane!- gli diede una pacca
sulla spalla Thomas.
Mi sentii in
imbarazzo.
-Tu vuoi ballare
Jane?- mi pose la domanda Terence.
Certo che lo
volevo. Non mi sarei lasciata perdere
per nulla al mondo l’occasione di ballare con il ragazzo che
mi piaceva.
-Sì.-
risposi.
-Bene,
è fatta allora !Tutti in pista ragazzi.- disse
Russell entusiasta. Lui era la classica persona perfetta per calzare il
ruolo
di “anima della festa”.
Sempre con la
sensazione che Mary Anne mi stesse
fulminando con gli occhi, giungemmo tutti sotto un tendone bianco
adorno di
lucette e di fiori colorati. Era stata messa una piccola postazione dj,
dove un
uomo non più tanto giovane, si stava divertendo a cambiare
musica. C’erano
varie coppie che ballavano così come comitive di ragazzi che
ridevano tra di
loro.
-Enjoy The
Silence, Depeche Mode. Grande pezzo e
grande band.- mi disse Terence, quando ormai tutti iniziarono a
ballare. Le sue
vaste conoscenza da speaker radiofonico non mi furono note.
Mi prese
entrambi le mani nelle sue e iniziammo a
fare passi a caso. Non mi era chiaro se sapesse ballare o meno, ma mi
stavo
divertendo.
-Non sono
proprio Tony Manero, scusami.- disse
accennando al personaggio interpretato da John Travolta ne
“La febbre del
sabato sera”.
-Tranquillo.-
risi.
Poi mi fece
girare su me stessa.
Vidi Abbie tra
le braccia di Tom con aria sognante.
Sophie e William ballare come se fossero dei robot e Russell tentare di
far
ballare Mary Anne, che sembrava aver messo il broncio. Sicuramente
sperava lei
di accaparrarsi il ballo con Terence Ashling. Mi sentivo come al liceo,
a
ballare con il ragazzo più bello della scuola e a ricevere
sguardi di fuoco
dalla ragazza pon- pon a cui non piaceva il capo della squadra di
football.
Quando la
canzone finì, facemmo un applauso. Terence
sorrideva contento.
“E ora
una canzone per i più romantici e per i più
nostalgici”- disse il Dj dal suo microfono. Le luci attorno a
noi si
abbassarono lasciando solo alle lucette del tendone il ruolo di
illuminare la
pista.
Pochi attimi
dopo partì una canzone dei Coldplay.
Riconobbi la voce del leader singer.
-Trouble,
Coldplay.- mi disse poco dopo.- ti va di
ballare anche questa, o hai capito che sono una frana a ballare?- mi
chiese
Terence. Eravamo a pochi passi di distanza e il suo profumo mi era
così vicino
che potevo respirarlo a pieni polmoni. Era così magico
essergli accanto.
-Mi va molto
volentieri.- risposi prontamente.
Vidi che si
avvicinò di più, poi prese una mia mano,
e l’altra la posò delicatamente sulla mia vita.
Rimasi sorpresa da questa
vicinanza improvvisa ma anche dalla sicurezza con cui fece questi
gesti. Era
come se ci vedesse e sapesse esattamente dove posare le sue mani.
-Credo che
questa canzoni si balli così, spero che
la mia vicinanza non ti disturbi.- disse con voce ferma, muovendosi
lentamente.
-Assolutamente
no.- gli dissi guardando i suoi
occhiali da sole. Quanto avrei voluto guardarlo negli occhi.
-Non so se
questa canzone si possa considerare
romantica, come ha detto il Dj. Tu cosa ne pensi?- mi
domandò, stringendo la
mia mano.
-Penso che lo
sia…romantica, intendo. Infondo il
cantante fa capire che è chiuso in una ragnatela e che non
vuole fare soffrire
la sua amata.- risposi con la voce un po’ tremolante. La sua
presenza mi stava
destabilizzando.
-Capisco.- disse
soltanto.
Poi mi fece
girare su me stessa, ma più che
tornargli di fronte mi avvicinò più a
sé. Riuscivo a vedere la consistenza
delle sua labbra ad una spanna di distanza e il mio cuore prese a
battermi nel
petto più velocemente delle ali di un colibrì.
CONTINUA…
|Canzone
“Trouble” dei Coldplay: https://www.youtube.com/watch?v=kcASPx3-HuI
|
|Colonna
sonora de “L’ultimo dei Mohicani”: https://www.youtube.com/watch?v=0ac80QeQ-yM
|
Buonsalve
ragazzi!^^
Che bello, sono
riuscita ad aggiornare prima del
solito questo decimo capitolo. Sono proprio contenta, spero che questo
aggiornamento lampo piaccia anche a voi :)
Ho scritto
questo capitolo con molta più velocità
perché
mi sentivo molto ispirata e ammetto che mi sento sodisfatta di quello
che è
successo ai nostri protagonisti. Soprattutto ho amato descrivere la
scena
finale, in cui Terence e Jane ballano sulle note dei bravissimi
Coldplay. Come
avrete notate questa band fa da sfondo anche ad una scena tra Jane e
Christopher , ma tra questi ultimi le cose sono molto diverse, no?^^
L’
idea della sagra del cioccolato mi è venuta
all’improvviso.
Purtroppo non sono mai stata ad un evento simile, ma per una golosa
come Jane
ho pensato che potesse essere una “dolce” occasione
da passare con il ragazzo
che le piace. E poi ho inserito quella meraviglia che è la
colonna sonora de "L'ultimo dei Mohicani". Se non l'avete mai sentita,
ve l'ho linkata sopra. E' una delle musiche più emozionanti
e belle che abbia mai sentito. Spero vi sia piaciuta come
idea.
Nella prima
parte, invece, vediamo la scelta dell’abito
da damigella. Non so se sono stata molto brava con la descrizione, ma
ha vinto
il vestito A che ho postato nello scorso capitolo. A tal proposito
vorrei
ringraziare: Viandante_
( anche il vestito B era molto bello ;) ), ral,
Helmwige e marioasi che con le
loro splendide recensioni mi hanno
detto quale abito hanno preferito. Un abbraccio virtuale a tutte e un
pezzo di scultura al cioccolato! <3
Ovviamente
grazie mille anche a chi legge sempre
questa storia e a : DreamyDrop,
et239, stonera, Raffaellalaezza, e izzyscigarette
per aver aggiunto Ad
occhi chiusi alle seguite. Un bacione e dei frollini al
cioccolato a tutte voi!!
Per averla
aggiunte alle preferite, invece, grazie
mille a Luceluce2
e a Jamie Carter.
Centinaia di cioccorane a tutte voi ^^
Spero di avere
il grande piacere di leggere dei
vostri commenti anche per questo capitolo. ^_*
Un
grande bacio a tutte voi e alla prossima!!!
|
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Capitolo 11 *** Capitolo Undici ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo
Undici
Chi non ha avuto un cane non sa cosa
significhi essere amato.
(Arthur Schopenhauer)
Avete
presente quei momenti in cui vorreste che la vostra vita fosse un film
semplicemente per avere un telecomando e usarlo per mettere in pausa i
momenti
più belli? Beh in questo momento io avrei voluto avere un
telecomando proprio
per questo motivo!
Quando si
è con il ragazzo che ti piace e questo sta ballando con te e
durante il ballo
ti fa a avvicinare a sé, tu cosa puoi fare? Me lo stavo
chiedendo da un po’.
Erano
diversi secondi, ormai, che io e Terence eravamo nella stessa
posizione.
Eravamo vicini, molto vicini. Potevamo persino…baciarci. Ma
cosa andavo a
pensare? Io e lui baciarci? Terence Ashling baciare me? Mi diedi della
stupida
mentalmente.
Potevo respirare
a pieni polmoni il suo profumo e la
nostra vicinanza era tale che potevo persino vedere l’accenno
di barba che
stava crescendo sulle sue guance.
Ma la
“favola” durò poco. Perché
pochi secondi dopo lui si schiarì la voce e si
allontanò da me, sempre tenendomi per mano.
-E oggi
com’è andata al lavoro?-domandò come se
nulla fosse.
Ecco
adesso avrei voluto avere di nuovo un telecomando, ma non per mettere
in pausa
la scena, ma per tornare indietro al momento in cui le labbra di
Terence erano
solo ad una spanna da me.
***
-No! Non
ci credo e non ci voglio credere! Cioè tu…tu e
lui eravate vicinissimi, potevi
persino baciarlo e poi…ti chiesto semplicemente
com’era andata la tua giornata
al lavoro?- fece Abbie ad un semaforo nella via di ritorno a casa.
-Sì,
hai
capito benissimo.- le risposi, permettendo al vento di accarezzarmi la
faccia
dal finestrino.- è proprio palese che mi veda solo come
un’amica, cara Abbie.
-Sospirai.- Forse voleva risultare gentile nel fare un passo un
po’
“particolare” nel ballo, ma quando ha sentito che
gli ero molto vicina ha
pensato bene che fosse meglio che mi allontanassi.- continuai
leggermente
triste.
Non che mi
aspettassi chissà che…insomma, alla fine stavamo
parlando di Terence Ashling…il
ragazzo freddo e scontroso che non ti parlava mai di sè e
che ti confondeva con
le sue frasi ad effetto.
-Mhm...Terence
non me la racconta giusta...no, direi proprio di no.- disse sottovoce
quasi
come se stesse parlando tra sé e sé. - Secondo me
non l'ha fatto perché gli
dispiaceva il fatto che tu gli stessi vicino. Sì
insomma...pensaci, Jane...lui
cosa ti ha fatto sempre capire dell'amore?- ora parlò a voce
alta, guardandomi
per un momento e poi ritornando a guidare, quando scattò il
verde.
-Che lui
non l'ha mai provato e che non si fidanzerebbe mai, perché
per lui tutte le
ragazze che lo corteggiano sono solo interessate ai suoi soldi
più che alla sua
persona.- dissi.
-Bene! E
dietro questa frase non c'è un po' di insicurezza per te? E'
palese che dopo
essere diventato cieco sia diventato più fragile!
Probabilmente non vuole che
voi due vi avviciniate troppo perché teme che tu ti possa
innamorare di lui e
non vuole che questo accada, perché è cieco.-
concluse come se avesse pensato a
tutte queste parole almeno un'ora prima.
-Abbie, so
benissimo che è un ragazzo fragile! Ma detto
così, sembra proprio che la mia
vita sia una telenovela.- ridacchiai.- non so davvero che pensare. Il
guaio è
che a me lui piace troppo e non so che fare...davvero!- ammisi.
Mi sentivo
così...strana e anche un po' stanca, perché avevo
la testa nel pallone e non
avevo idea di come reagire.
-Non
preoccuparti Jane, vedrai che si sistemerà tutto alla fine.-
mi strinse un
ginocchio Abbie, sempre mantenendo lo sguardo fisso sulla strada.
-Il
problema Abbie è che non c’è nulla da
sistemare. Evidentemente vuole che tra di
noi ci sia solo amicizia, tutto qui! Cioè non è
che io voglia che tra me e lui
ci sia qualcosa di più dell’amicizia…-
sentii lo sguardo della mia amica
puntato su di me.- nel senso che…mi piace ma non
so…uffa sto blaterando.-
ammisi, mordendomi il labbro inferiore.
-Certo
che vorresti che tra di voi ci fosse qualcosa di più
dell’amicizia…altrimenti
non ti dispiacerebbe così tanto che non ti ha baciata mentre
stavate ballando.
Comunque, non è un ragazzo semplice e io sono convinta che
tu gli piaccia...mi
sento monotona, perché te lo dico sempre! Uscite ancora
insieme e tu studia
tutti i suoi atteggiamenti
-Vedremo.
-Oppure
digli che lo interessi, e facciamola finita.- continuò
lasciandomi di stucco.
-Temo
di non aver capito.- la guardai.
-Digli
che ti piace, che vorresti uscire con lui più spesso
perché lo interessi. Non
vedo cosa ci sia di male! A me è parso di capire che la tua
presenza non gli
dispiaccia ma che sia troppo insicuro di sé per dirti
chiaramente che lo
interessi.
-No
Abbie, questo è fuori questione. Primo non ho, e non ho mai
avuto il carattere
di dire ad un ragazzo, in faccia, che mi piace. O almeno non ho mai
avuto il
coraggio di dirlo per prima. E poi...lui è...è
Terence Ashling, figlio di un
magnate industriale e io...sono solo una giornalista a volte impicciona
e
troppo curiosa. Dubito che lo interessi, altrimenti non mi avrebbe
respinto
durante il ballo.- ripresi fiato dopo il mio monologo.
-Non
ti ha respinto. Ha solo pensato di aver superato un, come
dire…limite, perché è
troppo insicuro di sé. Cavoli Jane, non sei più
una ragazzina...apri gli occhi
e prendi un po' di coraggio quando serve.
-Mi
stai dando della ragazzina e della vigliacca?- la guardai, adesso, con
gli
occhi spalancati.
-Quando
ti comporti così, sì. Hai capito bene, sei una
ragazzina ed una vigliacca.
Tenni
il muso e non le risposi. La faceva facile lei. D'altronde era
fidanzata con il
ragazzo che le piaceva e non aveva avuto le complicazioni che avevo io
nel
ricambiare l'amore del suo Thomas.
-Senti
Jane, non voglio essere dura con te né tantomeno litigare.
Lo sai che ti voglio
tanto bene, no?- mi accarezzò una mano.
La
guardai e lei ricambiò lo sguardo.
-Lo
so, e anch'io te ne voglio, ma Abbie...non ti metti nei miei panni tu!
Come
faccio a dire ad un ragazzo freddo, strano, fragile e complesso che mi
piace e
che vorrei frequentarlo? Mi direbbe sicuramente che non sarebbe una
buona cosa
quella di vederci più spesso perché lui
è cieco e non se la sente.
-Ma
tu che ne sai, scusa? E' sempre stato lui ad organizzare delle uscite
con te, o
sbaglio?- girò in una stradina.
-Sì...ma
erano sempre uscite legate al mio lavoro o al tuo, come l'ultima volta.
- le
ricordai.
Si
voltò un secondo nella mia direzione, per lanciarmi
un'occhiataccia.
-Sei
più cieca tu di lui, mi sa.
Sbuffai
e incrociai le braccia al petto.
Non
la capivo quando faceva così.
Per
evitare di continuare questa inutile discussione, decisi di accendere
la radio
da cui, secondi dopo, si diffusero le note di "Lullaby" dei The Cure.
Almeno la musica ci avrebbe zittite per un po'.
***
-Lavora
qui Jane Ryan?
Distolsi
lo sguardo dal computer. Una ragazza bassina e dai corti capelli
castani stava
viaggiando con gli occhi alla mia ricerca. Assomigliava molto
all’attrice che
aveva interpretato Alice Cullen in “Twilight”.
-Chi
mi cerca?- domandai, alzandomi in piedi.
-Il
capo mi ha chiesto di chiamarti. Beh vi saluto.- disse sbrigativa,
guardò per
un attimo Vincent, e poi se ne andò.
-La
conosci?- gli chiese Steve, forse accortosi dell’occhiata
della ragazza.
-Mai
vista in vita mia! Ma sapete com’è
…sono troppo bello per non ricevere occhiate
dalle ragazze.- sorrise sfacciato quel Casanova montato,
stiracchiandosi le
braccia.
Vidi
Barbie scoccargli uno sguardo schifato, per poi riprendere a battere
freneticamente sui tasti della sua testiera.
Mi
guardai un attimo allo screen del mio cellulare per controllare di
essere in
ordine, e poi uscii.
Percorsi
il solito corridoio, fortunatamente vuoto dai modelli e dalle modelle e
bussai
alla porta di George. Al suo “avanti”, entrai.
-Accomodati
Jane, accomodati.- mi disse, con il capo chino su un foglio di carta,
intento a
scrivere chissà cosa.
-Non
ti ruberò molto tempo. Volevo solo ricordarti che
mercoledì prossimo uscirà il
tuo articolo sulla moda per le persone disabili. Ovviamente, come
promesso,
avrai la prima pagina. Puoi essere orgogliosa del tuo lavoro.
Sorrisi.
Era davvero raro che George mi facesse un complimento. Mi sentivo al
settimo
cielo.
-Bene,
puoi andare.
-Grazie.-
dissi, alzandomi.
-Ah…un’ultima
cosa Ryan!
Mi
fece segno con la mano di risedermi.
-Non
mi intrometto mai in certe questioni, ma certe voci che mi sono giunte
parlottano di un flirt tra te e un modello Calvin Klein. A me non
interessa
minimamente la vita privata dei miei dipendenti,
ma…è vero?
Rimasi
non sbalordita, di più! Ma cosa cavolo…? Qualcosa
mi diceva che Beth Smith oggi
avrebbe fatto una brutta fine.
“Certe
voci”. Ma dico, erano impazziti? Mi sa
che erano tutti usciti fuori di testa!
-Non
c’è nulla tra me e il modello, signore. Ci sono
uscita solo un paio di volte,
ma siamo solo…amici, diciamo così.- dissi sicura.
-Capisco.-
rispose, questa volta guardandomi negli occhi.
Si
sfilò gli occhiali a bottiglia, e prese a morsicchiare la
stanghetta sinistra.
-Non
penso che ci sia nulla di male se vi frequentate. Solo…fai
attenzione. Non hai
idea di quante persone hanno la lingua lunga in questo Giornale.
Discrezione e
riservatezza devono essere le tue parole d’ordine, chiaro? E
ora va, ho da
fare.
Rimasi
incollata sulla sedia a fissarlo. Mi aveva seriamente dato un
consiglio, quel
vecchio burbero?
-Beh…non
hai del lavoro da fare?- mi chiese ancora, ora scrivendo.
-S-sì
certo…- farfugliai imbarazzata.- Ah signore?-mi sorse una
domanda.
-Sì.-
rispose.
-Ricordo
che mi disse, quando mi assegnò l’articolo sulla
moda per le persone disabili,
che il futuro internazionale dell’ Edinburgh Fashion Magazine
era in qualche
modo, nelle mie mani. Potrei sapere qualcosa a riguardo.?- gli ricordai.
Rialzò
il viso verso di me.
-Saprai
tutto a tempo debito, Jane, e ora ripeto: va!
A
quel punto non indugiai oltre. Mi alzai e dopo aver salutato quel
vecchio
scorbutico, uscii dall’ufficio. Prima di ritornare nel mio,
però, dovevo fare
una cosa.
Proseguii
dritta nel corridoio. Volevo fare due chiacchiere con quella pettegola
della donna
delle pulizie.
Mi
fermai ,però, quando notai Christopher sotto i riflettori,
pronto a fare delle
foto. Si trovava in una stanza coperta da tendoni bianchi e luci. I
vetri che
davano sul corridoio erano trasparenti e di conseguenza si vedeva tutto
da dove
ero io.
C’erano
tante persone, modelli per lo più. Intravidi anche
quell’oca di Mary Anne. Era
appoggiata ad una colonna, con le braccia incrociate sul petto e
stranamente
senza scarpe.
Da
quella volta del cinema io e il modello non c’eravamo sentiti
più di tanto.
Aveva provato ad invitarmi altre volte ma puntualmente gli avevo
risposto che
dovevo lavorare, e al Giornale facevo sempre in modo di nascondermi
quando lo
vedevo o di rimanere chiusa nel mio ufficio per tutto il tempo.
Ora
era senza maglia, scalzo e con solo i Jeans firmati Calvin Klein a
fasciargli
le lunghe gambe. C’erano vari fotografi a scattargli flash in
continuazione.
Aveva
una mano sollevata a mezz’aria e appoggiata ai capelli,
più chiari sotto le
luci. Le labbra leggermente dischiuse e gli occhi socchiusi. Sapeva
posare
proprio bene, questo era inevitabile. Possibile che un ragazzo dalla
bellezza
tale si fosse interessato a me? Non potevo ancora crederci.
-Oh
ma allora è proprio vero.- sentii una voce gracchiare dietro
di me.
Una
donna dai capelli unti e corvini, vestita con un grembiule e con una
scopa in
mano mi stava guardando. La versione femminile del professor Piton di
Harry
Potter, insomma.
-Oh
ma guarda un po'...cercavo proprio lei signora Smith.- risposi
guardando
quell'ammasso di pettegolezzi vivente.
-Vuole
intervistarmi signorina Ryan? No, sa, perché anch'io vorrei
togliermi dei dubbi
sulla sua storia con Christopher Wilson.
A
quel punto strinsi le mie mani chiudendole a pugno. Come osava quella
viperetta
essere così sfacciata?
-Credo
che lei abbia sbagliato persona signora Smith.- non riuscii a
trattenermi. Mi
avvicinai alla sua figura bassa e grassoccia.
Con
il mio metro e sessantasette, mi sentivo alta in questo momento.
-Con
quale diritto lei si permette di intromettersi nella mia vita? Come si
permette
a riferire a mezzo mondo la mia vita privata? - cercai di mantenere un
tono di
voce basso, seppur duro.
Finalmente
il sorriso di questa pettegola se ne andò.
-Prima
escono con dei ricconi famosi e poi si meravigliano se ne si parla.-
biascicò
guardando alla sua destra, come se non volesse vedermi.
-Mi
guardi negli occhi.- le ordinai.- le ripeto la domanda: chi le ha dato
il
permesso di spettegolare su di me? – incrociai i suoi occhi
verdi.
-Nessuno.-
farfugliò.- Ma non vedo cosa ho fatto di male…
-Si
è intromessa nella mia vita, senza alcun diritto. Con chi
esco o meno non sono
affari che la riguardano e non sono affari che riguardano neanche le
persone a
cui va a raccontare i fatti miei.- conclusi, sbuffando.
Ero
una persona tranquilla e paziente, ma quando era troppo era troppo. E
poi, chi
ero io? Una vip? Non erano le persone famose quelle la cui vita era
sbandierata
ai quattro venti? Essere al centro di pettegolezzi non mi era mai
piaciuto!
-Senta
signorina, le consiglierei di guardarsi bene dalla sue
amiche…la colpa non è
mai di una sola persona.- concluse acida, allontanandosi.
Dalle
mie amiche? Ma cosa stava dicendo quella pazza? Nessuna mia amica
avrebbe
chiesto ad una pettegola simile di raccontare i fatti miei.
Decisi
di lasciar perdere, convinta che Beth Smith fosse solo una pazza in
cerca di
attenzioni. Poi mi voltai per tornare al mio ufficio, ma quando mi
voltai e il
mio sguardo puntò nella stanza dei fotografi e dei modelli,
mi accorsi che
Wilson aveva finito di posare e che stava parlando con …
Mary Anne.
Rimasi
un tantino sorpresa. Erano quindi amici quei due? Beh
certo…lavorare nello
stesso ambiente doveva pur averli avvicinati.
Alla
fine mi allontanai e tornai nel mio ufficio.
***
Durante la
pausa pranzo, intenta nel mangiare il mio panino, notai Steve guardare
sorridendo lo screen del suo cellulare.
-Ehi
Romeo, con cui messaggi?- lo stuzzicai.
Dopo
qualche secondo, Steve posò lo sguardo su di me.
-Oh, ma
con la mia Giulietta, naturalmente.- rispose.
Con la sua
Giulietta, sì! Naturalmente.
-Quindi va
tutto bene con Arabella?- chiesi, dando un altro morso al mio sandwich.
-Tutto
bene, sì, grazie.- rise a trentadue denti e poi
ritornò a puntare i suoi occhi
azzurri sullo schermo del suo smartphone.
Era
proprio vero che l'amore faceva tornare adolescenti alcune persone.
-Jane? Ti
ricordi vero, che la settimana prossima dobbiamo andare a comprare il
mio
vestito da sposa?- fece poi Barbara, avvicinandosi a me.
Eravamo
rimasti noi tre in ufficio. A quanto sembrava Freddie aveva colto la
pausa
pranzo per vedersi con il suo Edward, mentre Vincent era sceso ad un
bar con un
suo amico, o amica...come pensai io.
-Oh
sì,
certo che me lo ricordo. Puoi illuminarmi solo sul giorno,
però? Temo di non
ricordarlo.- risposi un po’ imbarazzata.
-Giovedì,
tesoro. Alle sette e mezza ci catapultiamo all’atelier di
Sarah Newman.- mise
delle ciocche di riccioli biondi dietro l’orecchio.
-Perfetto.-
le feci un occhiolino.
Quindi la
settimana che si sarebbe aperta sarebbe stata bella piena!- pensai.-
Sarei
dovuta andare con Barbie a
comprare
l’abito da sposa, sarebbe uscito il mio articolo e
…oh cavoli! Teoricamente
sarei dovuta andare con Terence a vedere il cane guida che gli sarebbe
stato
affidato.
E ora?
Alla fine io e lui non ci sentivamo da quel giorno del festival del
cioccolato.
Lui non aveva contattato me e io non avevo contattato lui. Era ancora
valido
l’invito ad uscire con lui? Ed io cosa potevo saperne!
Okay, decisi
che se non si fosse fatto sentire entro domani, ciò avrebbe
significato che
l’invito era annullato. Alla fine non sapevo con esattezza
neanche il giorno
preciso in cui sarebbe dovuto andare a prendere il suo cane. Ricordavo
solo che
quando me lo disse, accennò al fatto che ci sarebbero volute
circa due
settimane.
Finii di
mangiare il mio panino, poi riattaccai a scrivere il nuovo articolo.
Quando
scattarono le sette e mezza, tirai un sospiro di sollievo. Finalmente
anche
questa giornata di lavoro, era conclusa! Oggi Abbie non sarebbe potuta
venirmi
a prendere, per via di un impegno di lavoro che l’avrebbe
tenuta occupata più a
lungo, quindi pensai che fosse meglio prendere un taxi più
che il solito
pullman. Sapevo che i taxi avevano un loro prezzo, ma questa sera mi
sentivo
troppo stanca per essere schiacciata in quella scatoletta di sardine
chiamata
autobus.
Non ci
misi molto a tornare a casa. Fortunatamente di traffico non ce
n’era stato
tanto.
Quando
entrai nel nostro appartamento, sfilai il trench e lo appesi
all’attaccapanni,
poi , come di consuetudine, attivai il tasto dei messaggi vocali della
segreteria telefonica.
Un
messaggio era del signor French che ricordava a me e a Abbie della
scadenza per
il pagamento delle bollette. Un altro era di una compagnia telefonica e
uno era
di mio padre che mi mandava i suoi saluti.
Sorrisi e
decisi che in serata gli avrei telefonato.
Dopo aver
fatto una doccia veloce, decisi di andare in cucina con
l’intenzione di
cucinare un po’ di pasta con il pomodoro per cena. Un piatto
italiano che amavo
e che mio padre era solito farmi quando ero piccola.
Messa a
bollire l’acqua, decisi di andare a telefonare a mio padre,
ma non ebbi il
tempo per farlo. Il mio telefonino prese, infatti, a squillare.
Quando
lessi quale nome lampeggiava sullo screen, sentii il mio cuore prendere
a
battere più forte.
Premetti
velocemente la cornetta verde.
-Ehi…Terence.-
lo salutai.
Si sentiva
troppo che ero agitata?
-Ciao
Jane! Ti disturbo?- il suo tono di voce era tranquillo.
-No
assolutamente,
dimmi.
-Volevo
chiederti se sei ancora disponibile per uscire con me la settimana
prossima!
Sai…per il cane guida.- concluse più titubante.
Il mio
cuore non la smetteva di battermi freneticamente nel petto.
-Ah
sì mi
ricordo,- finsi di non averci pensato quasi tutto il pomeriggio.-
sì sono
disponibile…
-Benissimo!
Ho saputo che il centro che se ne occupa può ricevermi
venerdì prossimo intorno
alla sette e mezza.
-Capisco!
Va bene…sempre che tu sia sicuro di voler uscire con me.-
non riuscii a
trattenermi.
Da quel
giorno che mi aveva allontanata durante il ballo, lui non si era fatto
più
sentire e nella mia testa si erano ammassati così tanti
pensieri riguardo al
fatto che forse la mia compagnia ora non gli piacesse più.
Ricordavo le parole
di Abbie...ma non riuscivo a non fare certi pensieri.
-In che
senso?- domandò ora. Il suo tono sembrava incuriosito.
-In nessun
senso.- risposi.
-Perché
non dovrei essere sicuro di voler uscire con te?- chiese nuovamente. Me
lo
immaginai con la fronte corrugata dalla curiosità e dalla
sorpresa .
-Lasciamo
perdere. Ci sto allora. Puoi dirmi l'indirizzo? Così mi
faccio accompagnare da
Abbie!- cercai di cambiare discorso.
-Da Abbie?
Non vuoi che ti venga a prendere io con Harrison?- sentivo che era
stranito.
-Non
vorrei arrecarti disturbo!- feci io.
-Ti senti
bene Jane? Mi sembri un po'...strana.- constatò.
"Non
sono strana, sciocco! Sono solo arrabbiata perché tu ti sei
allontanato da me
quando stavamo ballando, qualche sera fa."
-Sto
benissimo.
-Non ci
credo. Comunque vorrei venirti a prendere io…al tuo lavoro,
se non ti dispiace.
-Se
insisti...
-Certo che
insisto!
-Bene, ci
incontriamo venerdì allora. Saluti.- riattaccai.
Ero stata
troppo dura? Sì e non me ne pentivo! In fondo, cosa sapevo
io di lui? Niente!
Eppure, pensandoci, ci conoscevamo già da poco
più di un mese. Non era tanto,
ma neanche poco. Sapevo che era fragile, che era un ragazzo diverso da
tutti
quelli che mi fosse mai capitato di incontrare ma…cavoli, io
ero stanca di non
capirci più nulla. In fondo, le cose tra me e lui non
stavano andando male,
ma…io volevo di più. Terence mi piaceva e anche
tanto…questo si era capito, ed
era per questo che volevo capire di più, volevo scoprire chi
fosse veramente.
Decisi che
per ora non ci avrei pensato molto. Quindi, andai in cucina per
tagliare dei
pomodori per il sugo.
Dieci
minuti e cinque pomodori tagliati dopo, sentii delle chiavi tintinnare
contro
la serratura di casa.
-Ciaooo.-
mi saluto Abbie, accomodandosi e allungando le “o”
al suo saluto.
-Ehi
Abbie!- le sorrisi.
Della
nostra discussione avuta in macchina, non ne avevamo più
parlato. D'altronde
era inutile continuare a tenersi il muso per qualcosa su cui la
pensavamo
diversamente.
-Stai
cucinando? Fiuto un buon odorino di pomodoro.- chiuse gli occhi
inspirando il
profumo.
-Sì…questa
sera mangiamo pasta con il pomodoro.- le feci un occhiolino.
Si
sfregò
le mani e mi sorrise contenta. Poi iniziò a posare la sua
macchina fotografica
e alcune sue attrezzature sul tavolo del salotto.
-Beh,
com’è andata?- domandai.
-Tutto
okay, ho avuto solo una piccola lite con un mio collega…un
troglodita patentato,
guarda! Voleva rubarmi tre foto…tre.-
sottolineò.- non una.- sbuffò cancellando
il suo sorriso dal volto.
Raramente
vedevo la mia amica arrabbiata.
-Pff che
schifo. Ma chi assume certe persone? Chi?- dissi la mia.
-Non so
che dirti guarda.- sospirò.- La bella notizia è
che ho finalmente fatto vedere
a Sandra le foto che scattai a casa di Terence. Mi ha fatto molti
complimenti,
dicendomi che con molta probabilità copriranno la copertina
del mese di
novembre.- concluse ridendo.
-Oddio che
bella notizia! Sono davvero tanto contenta per te.- posai il coltello,
e mi
avvicinai a lei per abbracciarla.
Dopo
l'abbraccio, il suo cellulare prese a squillare.
-E' Tom.
Ti dispiace se rispondo?- mi chiese facendomi gli occhi dolci.
-No, vai
pure. Solo non state ore, la cena sarà pronta fra poco.
Mi fece
l'occhiolino e con il suo "ehi amore" si allontanò nella sua
stanza.
***
Una volta
che Abbie scese in cucina, in pigiama e con gli occhiali da vista
inforcati
sugli occhi, decisi di riempire i piatti della pasta che avevo cucinato.
La mia
amica, intanto, prese dell'acqua dal frigo e due bicchieri di vetro
dalla
credenza.
-Senti
Jane...è successo qualcosa tra te e Terence?
A quella
domanda, mi fermai con il mestolo riempito di maccheroni fermo a
mezz’aria.
-No,
assolutamente! Perchè?- chiesi guardandola.
-No...è
solo che Tom mi ha detto che poco prima di telefonarmi era stato al
telefono
con Terence e che quest’ultimo gli ha detto che ti ha
chiamata ma tu gli hai
risposto con stranezza. A Tom è sembrato triste.- mi
guardò mordendosi le
labbra.
Triste?
Terence si era rattristato perché lo avevo trattato con
freddezza al telefono?
Non era possibile!
-Non
c'entri niente, quindi?- mi ridomandò.
-Non
credo...cioè
sì… prima siamo stati al telefono...e...-ingoiai
un po’ di saliva.
-E?- mi
incitò a continuare.
-E sono
stata un po' fredda. Ma poi non è detto che a causa della
nostra conversazione
Terence fosse strano.- feci velocemente.
-Ah no?-
la mia amica mi lanciò un'occhiataccia poi prese posto e
iniziò a inforcare gli
spaghetti con la sua forchetta con…forza. -Dai...raccontami
tutto.
Bevvi un
bicchiere d'acqua e poi le raccontai la conversazione che avevo avuto
con
Terence dettaglio per dettaglio. Quando finii, prese parola.
-Ho
capito.- si asciugò le
labbra con un
tovagliolo di carta.- Quindi non hai dato per niente peso alle parole
che ti
dissi qualche giorno fa?- mi guardò inarcando le
sopracciglia.
Abbassai
lo sguardo sul mio piatto ancora pieno.
-Okay
okay, non dico più niente! Voglio vedere come finiranno le
cose.
La guardai.
-No non ho
dato peso alle tue parole! Non ci riesco…
Mi
guardò
male, poi scosse la testa e prese a bere dal suo bicchiere.
***
L’atelier
di Sarah Newman era super pieno. E non stavo esagerando! Era affollato
e le
commesse correvano come matte per tutto il negozio alla disperata
ricerca
dell’abito da sposa adatto per ogni ragazza.
Quell’abito che avrebbe riempito
di lacrime gli occhi di ogni futura sposa, e che avrebbe fatto venire
la pelle
d’oca ad ognuno dei presenti.
Fortunatamente
la mia collega aveva prenotato e così io e sua sorella
eravamo in sala d’attesa
con la disperata voglia di rifarci gli occhi con il vestito di Barbie.
-Un
attimo, ma è lei…questa?- sentii una voce
femminile avvicinarmisi, mettendomi
il nuovo numero dell’ Edinburgh Fashion Magazine davanti agli
occhi, con tanto
di mia foto stampata in copertina .
-Oh
sì,
sono Jane Ryan, piacere.- sorrisi a trentadue denti, stringendo la mano
della
donna.
-Che
fortuna averla trovata! Adoro questo giornale e i suoi articoli mi
piacciono
molto. Questo delle persone disabili, poi è stato magnifico.
-Grazie
mille, signora. E’ molto gentile. Sono contenta di aver
scritto qualcosa di
interessante.- ero sincera.
Da quando
la nuova settimana si era aperta il mio umore era alle stelle.
D'altronde era
inevitabile dal momento che, passando davanti a numerose edicole, avevo
visto
il nuovo articolo dell' Edinburgh Fashion Magazine con tanto di mio
nome
stampato in copertina.
La signora
che si dichiarò una mia "fan", mi chiese una foto con lei
oltre che
un autografo. Dopodiché se ne andò.
-Sei
famosa, eh?- fece Jessica, sorridendomi.
-Sì
certo,
come no!- risposi ironicamente, facendole l’occhiolino.
-Davvero.
A scuola quasi tutte le ragazze parlano dell’Edinburgh
Fashion Magazine. I tuoi
articoli e quelli di mia sorella sono i più gettonati.
-Wow.
E’
bello saperlo, grazie.- le sorrisi.
Anche le
sue labbra si incurvarono. Dopodiché estrasse dalla sua
borsetta uno
smartphone.
-Uffa,
questi ragazzi! Dicono che siamo noi donne complicate
e invece…- Jessica sospirò guardando
lo
schermo del suo cellulare.
-Problemi
di cuore?- la guardai.
-Sì…ricordi
che quando andammo a comprare gli abiti da damigella, feci accenno a
mia
sorella che mi piace un ragazzo simile a Logan Lerman?- mi
guardò.
Feci mente
locale.
-Oh
sì,
come no.
-Beh lui
mi piace molto. Però non so se io piaccia a lui.
E’ così bello…con i capelli
neri e gli occhi più blu che io abbia mai visto.-
sospirò.
Mi
ricordava tanto me alla sua età. Erano già
passati nove anni dai miei diciotto…
-Perché
non pensi di piacergli?- le domandai, accavallando le gambe.
-Perché
non mi parla quasi mai. A volte è freddo, e distante altre
invece…mi sorride e
mi saluta con dolcezza.
Mi
ricordava qualcuno…
-Fai tu la
prima mossa, tesoro, no?!- fece sua sorella da dietro la tenda del
camerino.
-Ma come
la prima mossa? Sono i ragazzi che devono farla e poi…non ce
la farei se
rifiutasse un mio invito.- Jessica abbassò il capo,
permettendo a suoi lunghi
capelli rossi di caderle ai lati del volto.
-Se non
rischi non potrai mai saperlo. Inoltre siamo nel 2014, le ragazze sono
forti e
indipendenti, se ti piace confessaglielo e basta. A volte i ragazzi
sono troppo
citrulli e anche troppo insicuri per fare il primo passo.- rispose sua
sorella.
Questo
discorso non mi sembrava affatto nuovo.
-Tu che ne
pensi, Jane?- mi domandò Jessica.
Povera!
Giusto a me veniva a chiedere consigli su questioni sentimentali che prevedevano ragazzi
strambi e insicuri.
-Sono
d’accordo con tua sorella. Sei giovane e bella e non hai
nulla da perdere.- le risposi
comunque.
Mi
guardò sorridendo.
Ed
io che avevo da perdere? Bella domanda!
Passò
qualche minuto.
-Okay,
ragazze…credo di essere pronta.- ci sorprese Barbara, ancora
dietro la tenda.
-Sorellona
muoviti ad uscire, allora.
-Dai
Barbie, emozionaci.- aggiunsi.
Non
dovemmo aspettare molto, perché qualche secondo dopo, la
tenda del camerino fu
aperta dalla commessa che aveva aiutato la mia collega a vestirsi.
A quel
punto rimasi senza parole, con gli occhi sgranati e la bocca
spalancata. Dire
che Barbara era bellissima, era davvero riduttivo, perché
lei…lei… era
stupenda.
Il suo
abito era un modello a sirena, che sebbene non fosse tra i miei
preferiti, su
di lei stava d'incanto. Le fasciava la stretta vita alla perfezione, e
le sue
delicate forme erano perfettamente messe in risalto. Il corpetto era
decorato
con dei decori dorati e delle piccole perle di un lucido bianco.
-Wow, sei
davvero magnifica, anzi superba. - le dissi girandole intorno.
-Sembri
una dea, sorellina.- fece sua sorella con gli occhi lucidi.
Barbie, si
posizionò davanti ad un grande specchio verso cui si
guardò con uno strano
luccichio negli occhi. Notai che ingoiò della saliva e si
toccò il corpetto.
Sembrava felicemente sorpresa.
-Oddio...mi
sento così strana. Sto davvero bene?- mi guardò
negli occhi, per poi guardare
Jessica.
-Se stai
bene? Stai da sballo, ragazza. Sei davvero stupenda...credo che il tuo
futuro
marito sverrà sull'altare appena ti vedrà.- le
dissi, accarezzandole una mano.
-Concordo
pienamente.- continuò Jessica.
Barbara,
di risposta, ci guardò e poi scoppiò a piangere.
-E' lui,
è
l'abito giusto.- disse in lacrime, guardando la commessa.
Inutile
dire che io e sua sorella battemmo le mani entusiaste, super contente
della
felicità provata da Barbara.
***
Okay
dovevo solo fare un bel respiro e stare tranquilla. In fin dei conti,
avrei
solo rivisto Terence. Certo dopo un incontro sulla pista da ballo che
io avrei
voluto si evolvesse in maniera diversa e dopo una telefonata condotta
da me in
maniera piuttosto distaccata, ma...cosa sarebbe potuto succedere?
Ormai gli
avevo dato la mia parola. E se gli avevo promesso che lo avrei
accompagnato a
prendere il suo cane guida, l'avrei fatto.
Oggi era
venerdì e non potevo tagliarmi fuori, come se nulla fosse.
-Tutto
bene?- fece Freddie, a meno di due ore dalla fine del nostro turno.
-Sì
sì.-
risposi, un po' titubante, battendo freneticamente i tasti del mio
computer.
Stavo
scrivendo un nuovo articolo su un paio di Christian Louboutin.
-Oh...ok...se
lo dici tu.- mi strinse una spalla.
Poi si
allontanò.
-Cioè
no.-
continuai.
Lo vidi
fare dietrofront, prendere la sedia girevole di Vincent, al momento non
presente (sì non lavorava mai quello sbruffone), e
avvicinarla alla mia
scrivania.
-Mi
sembrava! E poi stai scrivendo troppo velocemente...deve esserci per
forza
qualcosa che non va. Dai spara!
A quel
punto, fermai il mio frenetico scrivere, feci un bel respiro e
raccontai al mio
ex ciò che era successo con Terence e ciò che
provavo, le mie incertezze, le
mie ansie, i miei dubbi e i consigli di Abbie.
-Mhm. Secondo me
ha ragione la tua amica.
Lo guardai male.
-Nel senso
che…magari…potresti invitarlo tu qualche
volta. Se ti piace,
ma, giustamente, tu
sei troppo…insicura e timida per dirglielo, non dico che
dovresti saltargli
addosso dicendogli “Mi piaci. Sposami”. Dico solo
che potresti cercare almeno
di fargli capire che la sua compagnia non ti dispiace. Prendi tu
l’iniziativa
qualche volta, invitalo ad uscire, fallo venire a casa tua, fate
passeggiate
insieme eccetera eccetera. -Concluse, smettendo anche
di gesticolare.
In fondo non
aveva tutti i torti. Secondo la mia amica avrei dovuto dire a Terence
direttamente che mi piaceva, mentre per Fred avrei dovuto solo
mostrarmi più intraprendente.
-Cioè
mi stai dicendo che dovrei prendere più
iniziativa?- annuì con il capo.- Ma, alla
fine…quando siamo usciti insieme non
mi pare che io gli abbia fatto capire che lui non mi interessa.-
tentennai.
Freddie mi
lanciò un’occhiataccia.
-Tesoro, Terence
è insicuro ed è cieco. Ergo, non
può vedere le tue espressioni, i tuoi occhi o i tuoi
atteggiamenti quando state
insieme. Il fatto che qualche sera fa, mentre ballavate, lui ti aveva
avvicinato
a sé e poi si è allontanato, è un
chiaro segnale della sua insicurezza. Sono
certo che abbia pensato di aver esagerato.- spiegò,
aggiustandosi prima il nodo
della sua cravatta azzurra e poi gli occhiali da vista.
Lo guardai.
-Okay…forse
hai ragione. Proverò a
essere più intraprendente.- feci sicura.
Mi sorrise.
-Così
ti voglio! Stai serena e vai tranquilla. Mi
hai detto che fra poco vi vedrete, no?
Annuii con il
capo.
-Perfetto.
Allora oggi, parlargli, ascoltalo, e
invitalo ad un appuntamento. Che so…invitalo a mangiare
qualcosa fuori o roba
del genere.- mi fissò negli occhi.
-Va
bene…ci proverò.- mi morsi il labbro inferiore.
Mi diede un
bacio sulla fronte e poi tornò al suo
lavoro.
***
All’aria
aperta di fuori, strinsi meglio il mio foulard
attorno al collo. Il meteo sul mio cellulare segnava 12 gradi per
questa sera.
Terence sarebbe
venuto a momenti, e il mio
“ansiometro” aveva raggiunto livelli alti.
-Jane! Che bello
vederti.- sentii ad un certo punto
dietro di me.
Mi voltai,
trovando…Christopher Wilson. Aveva delle
buste in mano ed avvolto in un giubbotto di pelle nera era
più bello che mai.
-Ehi
Christopher.- lo salutai con un finto sorriso.
Non ero molto
entusiasta di vederlo, sinceramente.
Soprattutto adesso che sarebbe arrivato Terence.
-Da quanto
tempo. Come stai?- mi si avvicinò dandomi
un bacio su una guancia.
A quel gesto
rimasi un attimo imbambolata.
-Già
da quanto tempo! Sai con il lavoro sono super
piena…! Sto bene comunque, tu?
-Sto benissimo,
grazie.- mi sorrise, passandosi una
mano nel capelli gelatinati.- aspetti qualcuno? Posso riaccompagnarti a
casa?-
mi guardò.
-No grazie. Sto
aspettando un mio…amico. Abbiamo un
impegno.- puntai lo sguardo sulla strada alla ricerca
dell’auto di Harrison.
Possibile che proprio oggi dovessero ritardare?
-Ah capisco.
Scommetto che è il ragazzo che mi hai
detto che ti piace?
Mi voltai a
guardarlo.
-Può
darsi.- rimasi sul vago.
-Oh, ho
indovinato. – si morse il labbro, poi si
grattò la barba.
-Hai piani per
domani, invece? Sai è sabato…non
c’è
lavoro quindi potremmo uscire insieme.- continuò.
Lo guardai.
-Sì
ho un impegno Christopher, mi spiace…- inventai
sul momento.
Non mi andava
proprio di passare il mio giorno
libero con un ragazzo vanesio e super pedinato da fan e non fan.
-Oh…-
assunse un’aria dispiaciuta.
Poi il
‘bip’ del mio cellulare mi avvisò
dell’arrivo
di un messaggio.
Sono appena
arrivato. Ti aspetto fuori
il Giornale.- Terence
Tirai un sospiro
di sollievo e alzando lo sguardo
sulla strada notai proprio Terence appoggiato ad una macchina nera.
-Non dirmi che
è il ragazzo con gli occhiali da
sole, il ragazzo che ti piace…- mi stupì Wilson
che stava puntando il suo
sguardo proprio su Terence.
-Beh
ecco…- mi schiarii la voce.- sì è lui.
-Ma
perché porta gli occhiali da sole anche se è
buio?
A lui cosa
importava?
-Perché
è un non vedente. – sospirai.- Vabbè
allora
vado Christopher…- iniziai a fare qualche passo.
-Ah…!
Va bene Jane. Buona serata e …a presto.- prese
una mia mano, fermandomi, e vi lasciò un bacio sopra.
Rimasi piuttosto
sbalordita dal gesto.
-E comunque
meriti di meglio.- disse sottovoce,
allontanandosi.
Lo guardai, ma
era già lontano da me. Avere le gambe
lunghe doveva permettergli di percorrere in poco tempo svariati metri.
Io
rimasi ferma dov’ero. Perché mi aveva detto quella
frase? Cosa ne sapeva lui di
cosa meritavo? E perché Terence non era “il
meglio”? Perché era cieco? La mia
idea che il modello fosse troppo narcisista per i miei gusti fu
confermata. Poi
presi a camminare in direzione Terence.
Era appoggiato
allo sportello della sua auto, con il
telefonino stretto nelle mani, forse in attesa di una risposta al suo
sms.
-Buonasera
Terence.- lo salutai.
-Oh…Jane,
buonasera.- si schiarì la voce. Sembrava
sorpreso.- Aspettavi da molto?- mise il suo smartphone nella tasca dei
pantaloni.
-No…da
un po’…- misi le mie mani nelle tasche del
mio trench.
-Bene! Prego.-
aggiunse subito dopo tastando per
qualche attimo lo sportello dietro di lui, per poi aprirmelo con
galanteria.
Mi accomodai,
seguita a ruota da lui, sui comodi
sedili della macchina.
-Salve
Harrison.- salutai l’autista.
-Buonasera
signorina.- l’uomo mi sorrise dallo
specchietto retrovisore.
Nell’abitacolo
mi accorsi che si stavano diffondendo
le noti di una canzone.
-E’
bella questa canzone.- mi rivolsi a Terence.
Notai che aveva
il capo verso di me, quasi come se
mi stesse…guardando. Sugli occhi aveva una montatura nera,
quadrata e rigorosamente Ray-Ban.
-James Morrison,
I won’t let you go.- mi rispose,
poco dopo.
Annuii con la
testa, poi ricordandomi che Terence
non avrebbe potuto vedermi, gli dissi che mi piaceva molto.
-E’
bella, in effetti.- disse, per poi girare il
capo verso il finestrino.
-Ci metteremo
molto?- chiesi.
-Se il traffico
non è tanto, direi che ci metteremo
una trentina di minuti signorina.- fece Harrison, fermo ad un semaforo.
-Okay.-
appoggiai la testa sul finestrino e rimasi
ad ascoltare le parole della canzone.
***
Quando io e
Terence fummo davanti ad un centro in
mattoni rossicci, l’auto si fermò. Salutammo
Harrison e prima di scendere,
Terence prese il suo bastone appoggiato al sedile accanto a quello del
suo
autista.
Iniziammo
a camminare e la prima cosa che notai fu
che Terence era un po’ distante da me e che stringeva
saldamente il suo James. Non aveva
chiesto la mia mano,
infatti.
-Puoi avvisarmi
quando siamo di fronte al portone
principale?- mi domandò.
Lo guardai.
-Certo.- la mia
voce uscì più fioca di quanto
credessi.
Il silenzio
aleggiava attorno a noi ed io…beh io…non
sapevo che dire. Addio all’idea di essere più
intraprendente. Ero più timida di
quanto credessi.
-Come
è andata a lavoro?- ruppi il ghiaccio.
-Bene, grazie. A
te?- continuò a camminare tastando
ogni centimetro di fronte a lui, con il suo bastone.
-Bene. Il mio
articolo è uscito due giorni fa,
mercoledì per intenderci. Sono molto contenta
perché ho avuto la prima pagina, come ti dissi.
E poi ieri, sono andata a scegliere un abito da sposa.
Terence si
fermò.
-Un abito da
sposa?- la sua voce era tesa.
-Sì…ma
non per me…se è questo che stavi pensando.-
balbettai.- Per una mia collega che si sposerà a dicembre.-
precisai.
-Ah.- rispose,
per poi riprendere a camminare.
Quando vidi che
il portone d’entrata ci era
praticamente di fronte, fermai Terence toccandogli una mano, che
prontamente
ritrasse. Ammetto che mi ferii un tantino il suo gesto.
-S-siamo
arrivati.- feci imbarazzata.
Aprii la porta e
gli dissi di andare avanti.
Ad accoglierci
ci fu il suono dell’abbaiare di tanti
cani.
-Benvenuti.- ci
sorrise cordiale un uomo di
mezz’età.
-Sono Terence
Ashling, buonasera. Ho telefonato
questa mattina per avere conferma che questa sera avrei visto il mio
cane guida.-
disse il mio accompagnatore.
-Oh
sì sì, mi ricordo di lei. Dovrebbe solo firmare
delle schede, se non le dispiace.
Terence
annuì e, aiutato dall’uomo, si avvicinò
ad
un bancone a cui mi avvicinai anch’io. Il signore gli
avvicino dei fogli
bianchi che notai essere scritti in Braille.
Terence li
tastò e poi con l’indice prese a leggere
ciò che vi era scritto sopra.
Io intanto
sorrisi all’uomo che mi stava guardando
sorridendo.
-Siete
fidanzati?- ci domandò.
Io arrossii.
-No.- risposi
prontamente.
Il tipo
annuì con la testa, poi prese a controllare
delle cose sul suo pc nel frattempo che Terence continuava a leggere.
Mi guardai
attorno. C’erano due signore sedute su
delle sedie di plastica nere. Avevano degli occhiali da sole puntati
sugli
occhi e un bastone tra le mani. Chissà se erano anche loro
venute per dei cani
guida.
-Okay.
Perfetto.- disse poi l’uomo che ci aveva
accolto, prendendo i fogli firmati da Terence.- Sono disponibili due
cani
guida, signor Ashling. Un pastore tedesco e un Golden Retriever,
entrambi
maschi di tre anni.
-D’accordo.
Andiamo allora.
Il signore prese
sotto braccio Terence e lo condusse
per un corridoio. Io li seguii in silenzio. Poi arrivammo dentro una
stanza.
C’era
una giovane donna e tanti cani attorno a lei.
-Vi lascio
allora. Buona permanenza Terence.- fece
l’uomo allontanandosi.
-Grazie.
-Ciao, sono
Rossella, e loro sono Minnie, Teseo,
Percy, Ulisse e Nancy.- ci strinse la mano la ragazza, indicandoci i
vari cani.
Ovviamente avrei potuto vederli solo io.
-Sono Terence e
lei è Jane, una mia…amica.- titubò
sull’ultima parola.
-Bene, piacere
di conoscervi. Dunque, mi hanno detto che sei qui per il tuo
cane guida, Terence. Se mi dai la mano, ti faccio vedere Percy e
Ulisse,
rispettivamente pastore tedesco e Golden Retriever.
Terence tese la
sua mano e la ragazza gliela prese.
Fece un fischio ai due cani che si avvicinarono. Poi adagiò
la mano del ragazzo
su uno dei due cani.
-Wow…è
molto morbido.- rispose Terence.
Aveva un
espressione dolce in viso. Non gliel’avevo
mai vista.
-Già.
E’ adorabile. Quello che stai accarezzando è
il pastore tedesco. Sarebbe il suo primo incarico come cane guida ma
è davvero
prontissimo.
Terence
continuò ad accarezzare il cane.
-Se vuoi puoi
toccarlo anche tu. Non morde mica.- mi
disse, poi, Rossella.
Sorrisi e mi
abbassai sulle ginocchia, in modo da
avere il musetto di Percy vicino a me. Terence gli stava accarezzando
il dorso,
mentre io la testolina.
Era davvero
soffice e i suoi occhi erano dolcissimi.
-E poi
c’è lui. Ulisse presentati.
L’abbaiare
di un cane fece alzare la testa a me e
Terence.
Percy fu
allontanato dalla ragazza e Ulisse ci si
avvicinò.
-Lui
è più birichino. A volte è super
dolce, altre
se ne sta più sulle sue, ma è molto fedele e
questa sarebbe la sua terza
esperienza come cane guida.- spiegò la ragazza.
Era bellissimo
Ulisse, anche più di Percy. Il suo
pelo era biondiccio, e una piccola macchiolina bianca gli copriva il
musetto. I
suoi occhi, poi, erano molto profondi.
-Cosa ne pensi
Jane?- mi rivolse la domanda Terence.
Pensavo che dopo
aver scostato la mia mano, al
portone d’entrata, ce l’avesse con me, per qualche
motivo a me ignoto. Però ora
mi stava ponendo una domanda, quindi…forse era solo nervoso
prima.
-Sono bellissimi
entrambi, però mi piace un po’ di
più Ulisse.
-Tu verso quale
dei due ti senti più attratto?
Considera che il tuo cane guida diverrà quasi il tuo alter
ego. Starete sempre
insieme e lui sarà la tua ombra e il tuo punto fermo.-
precisò Rossella.-
potresti fare dei giri nella palestra dello stabilimento, se vuoi. Fai
un giro
con entrambi e scegli il cane a cui ti senti più vicino.
Terence
accarezzò ancora Ulisse.
-Va bene. Faccio
un giro con entrambi in questa
palestra.
-Benissimo. Vi
accompagno. Ulisse, Percy, let’s go.-
fischiò e una volta che i cani le si avvicinarono li
legò a dei guinzagli
particolari, che avevo visto altre volte su dei cani guida. Poi ci
dirigemmo
fuori dalla stanza.
La palestra era
molto grande. C’erano dei birilli,
degli ostacoli poco alti e dei coni sul pavimento, posizionati in varie
parti.
Vidi altri ragazzi ciechi fare dei giri con dei cani attorno al
perimetro della
stanza.
-Con chi vuoi
iniziare?
Terence ci
pensò qualche attimo.
-Ulisse.
Rossella allora,
gli avvicinò il cane.
-Bene, io
rimarrò qui con Percy. Cammina sicuro,
senza alcun timore e dimostragli di essere suo amico. Nel tuo cammino,
potresti
incontrare degli ostacoli, come birilli o coni. Ulisse è ben
addestrato e saprà
fermarti quando verrà il momento. Il bastone puoi darlo a me.
-Ho capito,
grazie. – rispose Terence, dandole James
e abbassandosi leggermente allungando
le mani alla ricerca del
guinzaglio. Una volta trovato, iniziò a camminare.
-Puoi andare
anche tu, signorina. Solo lascia fare
il suo lavoro a Ulisse. Non dire a Terence se davanti si trova un
ostacolo.
Annuii con la
testa poi mi avviai con Terence.
-Ulisse
è proprio splendido.- dissi.
Guardando
davanti a me, notai che fra qualche metro
ci sarebbe stato un cono.
-E’
strano.-
mi disse sorridendo.- è come…se sapesse
esattamente dove voglio andare. E’ una
sensazione strana.
-Immagino.-
sorrisi anch’io.
-Comunque
dobbiamo parlare io e te, Jane.- disse
ora, tornando serio.
-Ah
sì? E di cosa?- mi guardai la punta delle
scarpe.
-Di alcune cose.
So che sei arrabbiata con me ma non
so perché.- mi sorprese.
-Arrabbiata con
te? Ma non è vero…
Sì
che era vero.
-Sai che i
ciechi hanno gli altri sensi sviluppati?
Beh allora sai anche che fiuto se uno mi dice una bugia.- fu la sua
risposta.
Poi si
fermò. Ulisse aveva smesso di camminare
avendo davanti il cono, poi guidò Terence aiutandolo a
svoltare l’ostacolo e
andare avanti.
-Wow…c’era
qualcosa vero?- tornò a sorridere.
Sembrava
emozionato, come se stesse tornando a
vedere in un certo senso.
-Sì…un
cono. E’ proprio in gamba Ulisse.- guardai
l’animale.
-Già.-
Terence non perse il suo sorriso.- se
scegliessi lui, ti andrebbe bene il nome Ulisse o preferiresti il da te
scelto
Anacleto?
Ridacchiai.
-Mhm non saprei.
Ulisse è un bel nome per un cane ma,
anche Anacleto lo è. Però forse lui è
abituato a sentirsi chiamare Ulisse per
cui…
-Giusto. Quel
giorno che scegliemmo il nome non
considerammo il fatto che il mio cane guida avrebbe potuto
già avere un nome.
Vada per Ulisse allora.
Vidi il cane,
fermarsi nuovamente davanti ad
un ostacolo.
-E Percy? Non
vuoi fare un giro anche con lui?-
chiesi.
-No…mi
sento ispirato da Ulisse. Credo che ci
troveremo molto d’accordo.
-Okay.- sorrisi.
Terence si
schiarì la voce.
-In ogni caso,
ti stavo dicendo che…sento che c’è
qualcosa che non va tra…noi, diciamo così. Ti ho
fatto qualcosa di cui non mi
sono neanche reso conto, Jane?- era tornato serio.
Ingoiai della
saliva. E ora cosa avrei dovuto
dirgli? Che al telefono ero stata fredda con lui perché mi
dispiaceva il fatto
che quando ballammo insieme mi aveva allontanata da lui?
-No Terence non
mi hai fatto assolutamente nulla.
Perché affermi di sentirmi diversa?- tergiversai.
In fondo lui non
aveva realmente fatto nulla. Era
forse proprio questo il problema.
-Perché
sei stata molto fredda con me, l’altra sera,
al telefono. Eri strana e hai insinuato che la tua compagnia non mi
dovesse
piacere più. Non mi sembra, però, di averti fatto
mai capire che la tua
vicinanza mi dispiaccia.
-Quando ballammo
l’altra sera, sì però.- mi
sfuggì.
Terence si
voltò un attimo verso di me. Ma poi
Ulisse abbaiò e la voce di Rossella mi riportò
alla realtà.
-Eccoci qui.
Bravissimo Ulisse e bravissimo
Terence.- la ragazza accarezzò il cane.
-Come ti sei
trovato?- continuò.
-Davvero
benissimo. Abbiamo una bella intesa io e
Ulisse. Mi sono sentito sicuro, perché sapevo che lui era i
miei occhi.
-Ne sono
contenta. Vuoi provare adesso con Percy?
-No, grazie. Ho
cambiato idea! Credo che Ulisse sia
quello giusto. E’ stato amore a prima vista, per fare una
battuta.- rise
Terence.
A volte era
tanto fragile, altre era forte e
accettava la sua condizione di ragazzo non vedente con forza, a testa
alta,
scherzandoci anche su. Questo lato di lui mi piaceva proprio tanto.
***
Appena fummo
fuori, notai che faceva così freddo che
il mio respiro si trasformava in una nuvoletta di vapore. Ed eravamo
solo ai
primi di ottobre, figurarsi nei prossimi mesi.
-Andrò
domani a prendere Ulisse, mi hanno detto che
per questa sera preferiscono lasciarlo con gli altri cani, ma che
domani, alle
luci della giornata sarà pronto per iniziare una nuova vita
con me.- disse
Terence avvicinandosi a me, con il suo bastone.
-Bene.- risposi,
mettendo le mani in tasca.
-Ti va di
mangiare qualcosa? Suppongo si sia fatta
ora di cena.- mi domandò poi.
Controllai il
mio orologio. Erano le 21.00 in
effetti.
-Certo. Conosci
qualche locale in giro?- mi guardai
intorno alla ricerca di qualche insegna luminosa di un qualche pub o
ristorante.
-Sì.
E’ un ristorante italiano che dista qualche
metro da questo centro. Si chiama “ Via col vento”.
– concluse con un ottima
pronuncia italiana.
-Benissimo. Sai
se è sempre su questa strada?
-Sì,
è sempre su questa strada. Se puoi però,
avvisami quando vedi l’insegna.
-Ovvio.
Iniziammo
così a camminare. Lui con il suo James e
io per i fatti miei.
-Dunque stavamo
dicendo…anzi stavi dicendo
che…quando abbiamo ballato insieme ti ho dato
l’idea di non gradire la tua
presenza.
Era testardo,
testardo, testardo. Quando si metteva
in testa di chiederti qualcosa non mollava la prese finché
non aveva ottenuto
ciò che voleva.
-Sì
ho detto così…- lasciai la frase in sospeso
mordendomi le labbra.
-Ebbene?
Perché hai detto così?
-Perché
mi allontanasti da te quando ballammo, dopo
avermi fatto voltare su me stessa.
L’avevo
detto! Era inutile girarsi intorno. Era
meglio risolvere la situazione.
-Ah…ti
ho allontanato da me?- sembrava in
imbarazzo.- In ogni caso non è stato un gesto intenzionale.
Non era mia
intenzione, infatti, ferirti in qualche modo o darti un’idea
sbagliata. E’ solo
che non so ballare e quella volta ti feci girare su te stessa, poi ti
avvicinai
a me perché…perché mi andava.-
balbettò.- Ma poi mi resi conto di aver esagerato. Non sono
mica il tuo ragazzo, per poterti avvicinare a me…-
lasciò la frase in sospeso.
Era a disagio. Molto a disagio.
-Mhm…okay,
ho capito. Bene, ho frainteso. Pensavo
che…mi avessi allontanata da te perché la mia
presenza ti aveva disturbata.
-La tua presenza
non potrebbe mai disturbarmi Jane.-
continuò a camminare.
Io invece mi
fermai. Perché con queste frasi aveva
il potere di destabilizzarmi e di farmi battere forte il cuore?
Lo raggiunsi
velocemente.
-Bene.-
sussurrai.
-Quindi avresti
voluto che ti avvicinassi a me?-
chiese ancora.
Voleva farmi
sentire proprio in imbarazzo, non c’era
niente da fare.
-No…cioè…stavamo
ballando e …e…- tossii.
Porca vacca!
Sentivo che sarei esplosa da un momento
all’altro tanto ero a disagio.
-Non vedo
l’ora che tu mi legga il tuo articolo.-
cambiò discorso, sicuramente avendo capito il mio imbarazzo.
Lo guardai.
Attorno al vialetto su cui stavamo
camminando c’erano tanti alberi le cui chiome, facevano delle
ombre sulla
strada illuminata solo da qualche lampione.
-Sì,
te lo leggerò senz’altro. A proposito, magari
un giorno di questi vieni a casa mia.
Intraprendente,
ecco come dovevo essere. Mi
immaginai Freddie a darmi una pacca sulla spalla, orgoglioso di me.
-E’ un
invito?
-Sì…è
un invito.- risposi.
Mi voltai a
guardarlo. Stava sorridendo.
-Credo che siamo
arrivati.- dissi poi, quando notai
un insegna luminosa recitare “Via col vento- RISTORANTE
ITALIANO”.
Terence a quel
punto si fermò e mi tese la sua mano.
-Andiamo
allora.- strinsi la sua mano nella mia, con
il cuore a fare mille capriole nel petto e con le guance rosse dalla
gioia.
CONTINUA…
Ciaoo
ragazzi!!
Mi sembra
doveroso iniziare questo angolino autrice, ponendovi le mie
più sincere scuse.
Mi rendo conto che non pubblicavo davvero da tanto
ma proprio tanto
ma davvero tanto, troppo
tempo, ma purtroppo tra la
scuola super pesante e l’ispirazione che non si faceva un
giretto nella mia
testa da un bel po’ , sono riuscita solo oggi a concludere il
capitolo.
Sarà
che ho
avuto un po’ di influenza questa settimana e che ho letto due
libri romantici
che hanno riattivato gli ingranaggi romantici della mia testa, ma
eccoci
all’undicesimo capitolo.
E’
lungo,
lo so. Secondo il mio Word ho scritto 27 pagine, spazi inclusi. Spero
di non
avervi annoiati troppo con tutte queste pagine e spero che, almeno,
dopo tutto
questo ritardo, sia riuscita a scrivere un qualcosa di carino e
interessante.
Fatemelo
sapere con una recensione, se vi va. E’ davvero molto
importante per me leggere
ciò che pensate di quello che scrivo. Siete la mia
“benzina” e senza di voi le
mie storie non andrebbero avanti.
A tal
proposito vorrei ringraziare romy2007,
Jamie Carter, marioasi, Ibelieve93, e Marbee
Fish per le bellissime parole che mi hanno lasciato allo
scorso capitolo. Un bacione enorme!!
Un grazie a
Dren_26, Giu_Is,
Secretly, _DearPrudence_,teddina_00,la sopracitata Marbee
Fish, Innamorata_Mr Darcy,
e ladyathena per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle proprie seguite.
Grazie di cuore!!
Un grazie
speciale anche a Jeekey97, a lauramelzi,
e a ineedofthem per aver aggiunto
la
storia alle proprie preferite.
E un grazie
ai lettori silenziosi che, anche se sono una ritardataria cronica, non
smettono
mai di seguirmi.
Un bacione
grande a tutti. Spero di sentirvi presto, magari anche il mese
prossimo, ma se
così non dovesse essere, Buon Natale in anticipo a tutti voi
^_^
Novalis
|
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Capitolo 12 *** Capitolo Dodici ***
AD OCCHI
CHIUSI
Capitolo
Dodici
Se
ci mettiamo a parlare in una stanza buia, le
parole assumono improvvisamente nuovi significati.
(Marshall
McLuhan)
Non appena
io e Terence ci accomodammo ad uno dei pochi tavoli liberi che avemmo
la
fortuna di trovare, posai il mio trench sullo schienale della mia
sedia,
concedendo ai miei occhi di osservare attentamente il ristorante in cui
ci
trovavamo.
Era
piccolo, ma caldo e accogliente. C’era un caminetto, per mia
somma gioia adesso
acceso, e i tavoli, coperti da delle tovaglie a scacchi bianchi e
rossi, erano
in legno. Le pareti, invece, erano tappezzate di foto di Clark Gable e
di
Vivien Leigh, attori protagonisti del film che prestava il nome al
locale : Via
Col Vento.
Vicino al
bancone avevo anche notato una foto in bianco e nero, autografata dalla
stesso
Gable.
-Ti piace
qui?- mi chiese Terence.
Voltai il
capo verso di lui, guardandolo. Si era tolto il giubbotto e ora era
rimasto con
solo una T-shirt a maniche lunghe, nera con una stampa di una qualche
band
rock. Era bello, molto bello.
-Molto.
E’
davvero un ristorante splendido. Piccolo, semplice, ma caloroso.
Proprio come
piacciono a me.- spiegai.
Sorrise.
-Ne sono
molto contento. Ti va di leggermi il menù?-
domandò poi.
-Certo!
Presi il
menù che mi fronteggiava, notando che sul tavolo erano
presenti anche due
bottiglie in vetro d’acqua e un cesto di pane. Poi lo aprii
trovandomi davanti
una serie di piatti italiani dalla pronuncia impossibile. Ma era
normale che
non fossero stati tradotti anche in inglese? Che barba! In fondo
eravamo ad Edimburgo, non
a Roma.
-Ehm…
Terence, credo ci sia un problemino ino ino. Io non so parlare
l’italiano… -
ammisi, mordendomi le labbra.
Vidi
Terence piegare le labbra in uno dei suoi sorrisi un po’
sghembi.
-Non
fartene un problema, Jane. Leggi nella pronuncia che
conosci… capirò il piatto
che intendi. Ci sono già venuto qui.- rispose tranquillo.
Rimasi
incantata a guardare il suo sorriso per qualche secondo, poi risposi.
-Bene.- mi
schiarii la voce.- Dunque… come primi piatti abbiamo:
tortellini alla
bolognese, e…- ma mi interruppi sentendo il viso in fiamme.
Vince il
premio peggiore pronuncia italiana dell’anno… urlo
di tamburi… Jane Ryan!
Vidi
Terence ridere, senza nasconderlo troppo.
-Ehi.- gli
diedi un pizzico sulla mano,- stai ridendo di me? E il tuo
“leggi nella
pronuncia che conosci”?- gonfiai le guance.
Beh almeno
lo facevo ridere.
-Sì
scusa.- rise ancora Terence.- è solo che…
niente.- rise ancora, poi si schiarì
la voce e tornò serio. -Prego. Non riderò
più, promesso.- fece una croce
immaginaria sul cuore.
-Mhm.
Sarà
meglio per te.- trattenni un sorriso.- Dunque stavo dicendo…
tortellini alla
bolognese, poi abbiamo lasagna, spaghetti con il ragù e
risotto alla milanese
come primi piatti.- conclusi ancora con le guance in fiamme.
Alzai gli
occhi su Terence trovandolo con una mano sulla bocca, a nascondere
un’altra
risata. Che tipo!
-E’
così
spassosa la mia pronuncia, eh? Bravo, Terence, bravo… sei
molto serio come
ragazzo. Prendere in giro una fanciulla, è molto galante.
– gli diedi un altro
pizzicotto sulla mano.
-Ahi,
ahi…
ho capito, ho capito.- si toccò la mano, ridendo ancora.-
Sceglierò tortellini
alla bolognese, comunque.- fece con una pronuncia italiana perfetta.
-Mhm okay,
scelgo anch’io… quelli là. Devo dire
anche i secondi piatti?
-Ah ah.-
annuì.
Certo, gli
piaceva mettermi in ridicolo!
-Dunque,
per i secondi piatti abbiamo e, guai a te se ridi ancora, cotoletta
alla
milanese, e…
-Vada per
la cotoletta.- mi interruppe.- Come dolce ti propongo il
tiramisù. Lo fanno
benissimo qui.- mi sorrise.
Lo
ringraziai mentalmente per non avermi fatto pronunciare altre pietanze
dalla
pronuncia impossibile.
-Scommetto
che sapevi anche quale primo piatto avresti scelto, ma eri troppo
curioso di
sentire la mia stupenda pronuncia.- chiusi il menù,
riponendolo davanti a me.
-Esatto.-
si morse le labbra.
Rimasi per
un attimo incantata a guardare la consistenza delle sue labbra, ora
morse dai
suoi denti bianchissimi. Poi, mi ripresi schiarendomi la voce.
-Bene.
Allora avviso il cameriere.
Feci come
avevo detto e ordinata la nostra cena, io e Terence rimanemmo in
silenzio.
-E tu come
fai a parlare così bene l’italiano?- gli chiesi
poi, riempiendomi un bicchiere
con dell’acqua.
-Essere nato
in una famiglia ricca ha i suoi pregi, come il fatto che mio padre ha
dato a me
e i miei fratelli un’istruzione enciclopedica. Conosco anche
un po’ di francese
e tedesco, infatti. - mi rispose.
Era
tornato serio e sembrava che aver messo in ballo suo padre, come
già era
successo in altre nostre conversazioni, non gli desse molta gioia.
-Ho
capito. Beh dai non è un male, conoscere tante lingue ti
apre molte porte.-
bevvi dell’acqua.
-Sì…
suppongo di sì.– disse seriamente.
-Ehm…-
mi
schiarii la voce, - Se posso permettermi di chiedertelo, non hai un
buon
rapporto con tuo padre? Ricordo che mi dicesti che fu sempre lui a
farti fare
una facoltà universitaria che non ti piace.- non riuscii a
trattenermi.
Avevo
detto di volerlo conoscere, no? Beh allora, sempre tenendo conto dei
consigli
datomi da Freddie che prevedevano che io dovessi essere più
intraprendente,
decisi che dovevo provare, molto cautamente, a porgli delle domande.
-No, non
ho un buon rapporto con mio padre.- rispose semplicemente.
-Perché?-
domandai.
Terence
sospirò.
-Semplicemente
abbiamo dei caratteri troppo discordanti. Ed io non sono il figlio che
lui
vorrebbe che io fossi.- incrociò le braccia sul petto.
-Mi
dispiace. So quanto è importante l’appoggio dei
proprio genitori, anch’io non
ho avuto il sostegno di mia madre che, come ti dissi, ha preferito
lasciare me
e mio padre.- feci con tristezza.
-Pazienza.
Dobbiamo essere forti e fregarcene di quello che pensano gli altri. Io
sono
quello che sono e, sinceramente, poco mi importa di ciò che
può pensare mio
padre.
Rimasi a
osservarlo con ammirazione. Le sue parole mi mostrarono il suo lato
più forte e
determinato. “ Io sono quello che sono”. Era bella
come frase!
-Hai
ragione.- sorrisi.- E… con tua mamma, le cose vanno meglio?-
domandai ancora.
Terence
sorrise, di un sorriso amaro.
-Senti
Jane, perché tutte queste domande? A te cosa importa della
mia vita familiare?-
vidi che strinse le mani, e che abbassò la testa sospirando.
Livello di
scontrosità: mode ON.
Rimasi in
silenzio. Non sapevo che dirgli. Mi sentivo così... stupida
ad avergli fatto
una domanda del genere.
-Scusami...
non intendevo essere così duro. - si passò un
mano nei capelli.- E' solo che a
certe domande non mi va proprio di rispondere. Io e te Jane non ci
conosciamo
da molto tempo, ed è per questo che tu non hai idea di
quello che ho vissuto io
nel mio passato. Ho sofferto e anche molto e quando sono fuori casa, ed
in
particolare quando esco con te, vorrei non pensare a tante cose
spiacevoli che
mi ruotano attorno.- continuò sottovoce.
Sembrava
abbattuto e triste. Mi dispiaceva che la situazione fosse mutata in
questo
modo, non avevo
idea che fargli una
domanda sul rapporto con sua madre, potesse far rivivere in lui certi
ricordi.
-Scusami
tu! Hai ragione, non ci conosciamo da tanto, e non avevo il diritto di
farti
certe domande… perdonami, davvero.- abbassai
anch’io il mio capo,
concentrandomi sugli scacchi bianchi e rossi della tovaglia.
-Non hai
bisogno di scusarti. Sono io che non ho un carattere molto...
socievole,
diciamo così. Nella vita abbiamo tutti delle ferite, ma non
tutti hanno il
coraggio di riaprirle.- concluse.
-Certo,
non preoccuparti.- feci io.
-Sapevo
che avresti capito. Sei una brava ragazza, Jane Ryan.
Rimasi a
guardarlo.
-Certo che
lo sono. Avevi dei dubbi?- cercai di smorzare la tensione, provando a
sorridere.
Anche
Terence sorrise, mettendo in risalto la piccola cicatrice sopra le
labbra.
-Mai
avuti.- fece con fermezza.
Pochi
secondi dopo, a rompere quella situazione di tensione che si era venuta
a
creare, arrivò il cameriere con il nostro piatto di
tortellini. Avevano un
bell’aspetto e sembravano invitanti.
-Prego
signori e buon appetito.- si congedò il cameriere.
Lo
ringraziammo. Poi ,rialzato lo sguardo dai tortellini, vidi Terence
allungare
le mani di fronte a se. Trovato il piatto, ne sfiorò con
l’indice il bordo e
tastando lo spazio accanto ad esso, prese la forchetta.
-Sai che
non avevo mai mangiato questi… questo piatto?- ruppi il
ghiaccio.
-Ah no?
Spero ti piacciano allora. Io li prendo spesso con Harrison o con
Thomas quando
veniamo qua.- rispose, con tono tranquillo.
Si era
ripreso e adesso sembrava essere tornato sereno. Il caro Terence aveva
un
passato lastricato da cicatrici, questo era evidente, e potevo
ammettere che
anche se non sapevo di che gravità fossero, avevo una voglia
matta di
conoscerle e di guarirle insieme a lui.
-Sembrano
buoni, in effetti. E quindi tu e Thomas siete molto amici?- domandai
iniziando
a mangiare.
-Sì.
Ci
siamo conosciuti l’ultimo anno di liceo. Si
trasferì nella mia scuola,
capitando nella mia classe. Da lì non ci siamo
più separati. E’ un bravo
ragazzo e un bravo amico.- mi rispose, inforcando poi un tortellino.
-Sembra
proprio un bravo ragazzo, sì. Abbie né
è innamorata persa. Le brillano gli
occhi quando è con lui.- bevvi poi dell’acqua.
-Mi fa
proprio piacere. Anche Thomas è innamorato perso della tua
amica. Ormai nelle
nostre telefonate non sento altro che il nome di Abbie.- mi sorrise.
Risi.
-Ne sono
contenta.- sospirai.
-E tu? Non
hai nessuno che ti fa brillare gli occhi come Tom li fa brillare ad
Abbie?- mi
chiese, poi.
La sua
domanda mi sorprese tant’è che temetti di
strozzarmi con un tortellino.
Terence chiedeva a me,
se mi piaceva
qualcuno?
Che dite,
dirgli “ tu mi piaci da matti” era eccessivo?
-A parte Tayler
Hoechlin, direi di no.- ci scherzai su.
-Tyler
chi?- chiese lui.
-E' un
attore super figo! Non hai mai sentito parlare di Teen Wolf? E' una
serie tv.
-Ah...
è
un attore.- piegò le labbra in un mezzo sorriso.- A dir la
verità ho sentito
parlare di questa serie tv, ma anche volendo, non potrei vederla.
Piuttosto,
non mi dicesti che stai lavorando con dei modelli, e che con uno di
questi
uscisti? Non ti interessa questo ragazzo?- il suo tono di voce non
lasciava
trapelare nulla. Sembrava curioso, ma allo stesso tempo un
po’ teso.
Ricordavo
eccome il giorno in cui gli avevo parlato del modello e del fatto che
fossi
uscita con lui il giorno in cui seppi di aver avuto la prima pagina al
Giornale. Ricordavo anche di come sembrasse quasi geloso Terence e di
come mi
disse che si è gelosi solo delle cose che si appartengono e
che io non gli
appartenevo.
-Sì a
dir
la verità sono uscita circa tre volte con questo
modello… - posai la forchetta
e incrociai le braccia sul petto.
-Ah
sì?-
il suo tono era più freddo.
-Sì…
in
realtà è lui che ha sempre insistito
perché accettassi i suoi inviti. A me
personalmente non interessa particolarmente.- ammisi.
-Mhm. A
lui interessi, però. Altrimenti non ti avrebbe invitato ad
uscire più di una
volta.- rispose.
-Può
darsi, cioè… sì, mi ha detto che gli
interesso in effetti.- continuai, cercando
di notare ogni sua reazione.
-Allora
dagli una chance ,no? Magari si rivelerà il ragazzo giusto
per te.- rispose in
modo freddo e distaccato.
E
così lui
mi consigliava di dare una possibilità a Christopher? Beh,
potevo ammettere che
non era questa la reazione che avrei voluto ricevere.
-Chissà,
magari gliela darò.- risposi allora io un po’
duramente.
Certo che
non avrei dato nessuna possibilità al modello, ma se Terence
mostrava così poco
interesse nel fatto che io potessi fidanzarmi con un altro ragazzo
questo
doveva mostrarmi qualcosa, no? E quindi perché non dargli
manforte?
-Sì.-
concluse freddamente. Poi allungò la mano frontalmente a
sé, alla ricerca,
pensai, dell’acqua.
Gliela
avvicinai.
-Ti
riempio il bicchiere?- feci io.
-No,
grazie. So farlo da me.
Prese la
bottiglia dal collo, poi avvicinò il bicchiere e come se ci
vedesse lo riempì
fino all’orlo, senza far cadere neanche una goccia
d’acqua. Poi, ripose la
bottiglia di fronte a sé.
Nei minuti
successivi, il cameriere ruppe il silenzio che si era creato,
portandoci il
secondo piatto e io e Terence iniziammo a passare il tempo parlando del
più e
del meno. Mi raccontò di come il suo collega Jonathan lo
facesse continuamente
ridere a lavoro e di come gli piaceva essere in contatto con la musica
ogni
giorno. Mi disse che la musica contemporanea non lo faceva impazzire,
ma che
adorava gli Avenged Sevenfold, i Dire Straits, e Adam Lambert,
ovviamente.
-Oh
sì e
poi mi piacciono anche gli Arctic Monkeys. Ti ricordi che ti feci
sentire una
loro canzone, no?- continuò.
-Come no.-
feci io.
Poi io gli
parlai del fatto che avevo aiutato Barbie nella scelta
dell’abito di sposa, che
avevo comprato un abito da damigella e che non vedevo l’ora
di finire
l’articolo sulla nuova collezione Louboutin,
perché ero già molto stanca di
trattare di quelle scarpe.
-Ah ma
è
vero che Mary Anne ora lavora come modella al tuo Giornale? Dovevo
chiedertelo
già da un po’, ma me ne sono appena ricordato.
-Sì
purtroppo è vero.- mi lasciai sfuggire il
“purtroppo”.
Supposi
che lei stessa gliene avesse parlato.
-Purtroppo?-
Terence ridacchiò.
-Sì…-
risi
anch’io.- diciamo che io e lei non siamo proprio il prototipo
di migliori
amiche. Non amo particolarmente alcuni suoi modi di fare. So di non
conoscerla
abbastanza da permettermi di porre un giudizio su di lei,
ma… per quel po’ che
ho potuto notare non mi piace.- conclusi.
-Io a lei
piaccio.
Non rimasi
molto sorpresa da questa sua affermazione, anzi non rimasi per niente
sorpresa.
Alla signorina Terence piaceva, soprattutto per i suoi soldi.
-Sì,
la
prima volta che uscimmo insieme mi dicesti che ti fa il filo.- gli
ricordai.
-Già.
E’
un po’ appiccicosa a volte, ma credo mi voglia bene.
E’ una brava ragazza in
fondo, Tom dice anche che è molto bella.
-Ah
sì,
Tom dice così? Beh secondo me ha solo un fisico statuario ma
di volto, non è
tutto questo granché. E’ sempre molto truccata e
appariscente. La vera bellezza
la si riconosce anche senza tanti strati di trucco.- risposi un
po’ stizzita.
-Non ti
piace proprio, eh?- rise.- in ogni caso credo che si sia fatta
un’idea
sbagliata su di me. In qualche angolo remoto della sua testa, secondo
me, è
convinta che potrà diventare la mia fidanzata ma…
a me sembra una cosa
alquanto… utopistica.
Risi per
questa sua frase. Avevo una voglia matta di dirgli che la cara Mary
Anne voleva
addirittura sposarsi con lui, ma per poi chiedergli il divorzio
perché con la
sua disabilità non entrava completamente nelle sue grazie.
-Mhm.
Perché utopistica? Per il solito ragionamento che le ragazze
vogliono stare con
te solo perché sei ricco?- lo guardai.
-Ovviamente...
ma anche per il fatto che non… non mi trasmette nulla. Della
bellezza esteriore
non me ne faccio un granché, considerando che non posso
vedere assolutamente
niente, per questo una persona deve colpirmi per la sua
interiorità.
Sorrisi.
Mi fu inevitabile pensare allora che io lo interessassi per la mia
interiorità.
-E’ un
po’
il discorso che mi facesti tu quando ci incontrammo per la prima volta:
giudicare
la bellezza interiore e non quella esteriore.
-Ti
ricordi tutto ciò che ti ho detto, eh?- constatai.
-Ricordo
solo ciò mi interessa, Jane.
L’ultima
portata della nostra cena arrivò qualche minuto
più tardi. Sia i tortellini che
la cotoletta alla milanese mi erano piaciuti un sacco, quindi ero molto
curiosa
di assaggiare questo famoso tiramisù.
Appena il
dolce mi fu di fronte, presi allora la forchetta e con molta lentezza
presi un
po’ di panna dal ciuffo che era stato posto sopra il cacao.
Non mi ci
volle molto, per capacitarmi che quello fosse uno dei dolci
più buoni che
avessi mai mangiato. Era perfetto.
-Questo
dolce è qualcosa di stupendo.- dissi ingoiando un altro
boccone.
-Immaginavo
che ti sarebbe piaciuto. E’ davvero grandioso come dolce,
persino a me che non
sono particolarmente goloso, piace tanto.- sorrise, continuando a
mangiare.
Quando
finimmo, mi ritrovai a pensare che la cena era andata molto bene. Certo
avrei
voluta scavare più a fondo nella vita di Terence, ma non
volevo rovinare tutto
mostrandomi troppo impicciosa.
Controllai
l’orologio notando che si erano fatte le 22.30. Dire che il
tempo era volato,
era un eufemismo.
-Che dici,
pago il conto poi aspettiamo Harrison?- mi chiese Terence.
-Paghiamo
il conto, vorrai dire.- lo corressi.
-No volevo
proprio dire “pago”. Ti prego, Jane… non
fare la testarda e lascia pagare me.
D’altronde ho organizzato io questa uscita, no?
-Posso
dirti no?
-No!
-Ecco.-
sorrisi sconsolata.
Dopo aver
pagato il conto (alla fine l'aveva vinta lui), salutato il cameriere e
il
signore alla cassa, io e Terence ci ritrovammo all’aria
aperta di fuori, io
stretta nel mio trench e lui nel suo giubbotto nero.
-Harrison,
puoi venirci a prendere? Siamo di fronte al ristorante “Via
Col Vento”… Sì
quello in cui siamo venuti insieme ogni tanto… okay a fra un
po’ allora. Ciao.-
salutò poi il suo autista, riponendo il suo cellulare nella
tasca del suo
giubbotto.
-Bene.-
Terence si schiarì la voce.- è stata una bella
serata.- continuò.
-Già.
Sono
stata molto bene. Grazie Terence.- lo guardai.
Era di
profilo e qualche corta ciocca di capelli scuri gli ricadeva sulla
fronte.
-Grazie a
me? Grazie a te per… per essere venuta e aver cenato con me,
ah e anche per...
aver sopportato la mia scontrosità.
Sorreggeva
il suo James e l’altra mano
l’aveva nella tasca del giubbotto.
-E’
stato
un piacere.- sorrisi. – Ehm… Quindi adesso avrai
un cane… come ti senti?- gli
chiesi, intavolando una nuova conversazione.
-Beh prima
di chiamare il centro che mi affiderà Ulisse, mi sono fatto
tanti conti. Ho
pensato che la mia vita sarebbe cambiata completamente, o comunque
abbastanza,
con un cane, ma credo di aver fatto la scelta migliore. Mi
faciliterà molte
azioni e mi farà molta compagnia, quindi sono soddisfatto
della mia scelta.- mi
sorrise.
-Giusto!
Penso anch’io che saprà essere un buon amico per
te.
Annuì
con
la testa.
-Comunque,
ora che ci penso, un giorno di questi ti andrebbe di venire con me al
centro di
riabilitazione in cui andammo qualche tempo fa? Promisi a Charlotte,
Lizzy e
Tony che avrei portato loro il nuovo numero del giornale.
D’altronde è anche
grazie a loro se sono riuscita a scrivere un buon articolo.- mi
ricordai di
chiedergli.
-Oh
sì,
molto volentieri. Sai che mi chiedono di te, ogni tanto? Hai fatto
colpo su di
loro, Jane Ryan.
-Mi fa
molto piacere.- sorrisi.
-Se vuoi
ci andiamo fra due settimane. La prossima non sarò ad
Edimburgo.- mi disse.
Mi voltai
a guardarlo. La settimana che si sarebbe aperta non ci sarebbe stato?
Perché mi
sentivo strana?
-Ah,
sì
per me andrebbe benissimo. Ma… perché non sarai
ad Edimburgo la settimana
prossima?- gli domandai.
-Devo fare
un viaggio con mio padre e i miei fratelli. Una cosa noiosissima , che
non ho
per niente intenzione di fare.- sospirò.
-Capisco.
E dove andrai?
-Toronto,
in Canada.
-Oh…-
tossii.- wow…meta vicina.- sdrammatizzai.
-Molto
vicina.- rise.
-Vabbè
una
settima passa in fretta.- continuai, dicendolo allo stesso tempo anche
a me
stessa.
Una
settimana senza avere la possibilità di vederlo…
mi sentivo giù.
-Cerchi
sempre di vedere le cose più belle di come sono, vero Jane?-
voltò il capo
nella mia direzione, come se potesse vedermi.
-No…
diciamo che sono realista e una settima passa effettivamente in
fretta.- lo
guardai anch’io.
-Sì.-
rispose soltanto.
-Domenica.-
gli dissi poi.
-Domenica
cosa?
-Ti
andrebbe di venire a pranzo a casa mia? Visto che la prossima settimana
non ci
sei…- lasciai la frase in sospeso.
-Ci sto.-
sorrise.
-Bene.-
dissi soltanto.- Sei allergico a qualche cibo?- gli domandai.
-No,
fortunatamente no.- disse soltanto.
-Perfetto.
Cucinerò io.
Non
l’avrei visto né sentito per un’intera
settimana, ma almeno dopodomani sarebbe
stato delle ore con me, ed io non potevo chiedere di meglio.
Pochi
minuti dopo un auto nera parcheggiò di fronte a noi. Mi
sembrò di scorgere
Harrison al volante.
-Credo che
sia arrivato il tuo autista.- dissi a Terence.
-Ah bene.-
mi tese la mano.
Gliela
presi nella mia e insieme ci avviamo verso quella che riconobbi essere
la
sua Lamborghini
Reventon, da me anche
detta “Bat-mobile”. Entrammo
nell’abitacolo caldo e profumato della sua auto e
poi salutammo Harrison.
Il
tragitto che mi condusse a casa fu piuttosto tranquillo. Harrison mise
un po’
di musica, e grazie al poco traffico e ai semafori quasi tutti verdi in
cui
incombemmo, arrivai sotto casa prima del previsto. In tutto il percorso
io e
Terence eravamo rimasti in silenzio, a lasciarci cullare dalle note
delle
canzoni alla radio.
-Siamo
arrivati signorina.- mi sorrise dallo specchietto Harrison.
-Bene.
Allora grazie di tutto. Della cena, della compagnia, e del passaggio.-
ricambiai il sorriso all’autista.
-Grazie a
te...- fece Terence, sorridendo.- Ci vediamo domenica intorno alle
13.00,
allora. Verrò sotto casa tua e quando sarò
arrivato ti farò uno squillo.
-Perfetto.-
feci, aprendo lo sportello.
Prima di
scendere, però, qualcosa dentro di me si accese e con il
cuore a battermi
forte, mi avvicinai a Terence e gli lasciai un bacio sulla guancia. La
sua
pelle era molto liscia e aveva un profumo sconvolgente.
Sentii
Terence trattenere il respiro per quel gesto, poi detto
un’ultima “buona
notte”, mi diressi verso la porta di casa.
***
-Ti ha
detto di dare una possibilità al modello?- fece Abbie
sbalordita.
Questa
sera le avevo chiesto se potevo dormire nel suo letto, insieme a lei.
Dovevo
raccontarle molte cose e poi volevo esserle vicina, visto le nostre
recenti
discordanze in merito al fatto che dovessi
“dichiararmi” a Terence.
-Ah ah.-
annuì stringendo meglio al petto la coperta di Minnie.
-No,
vabbè, quel ragazzo è proprio testone,
è inutile. Senti, la mia proposta è
questa allora: fai come ti ha consigliato, dai una
possibilità al modello.
A quel
punto mi voltai a guardarla scoccandole un’occhiataccia.
-Sei
impazzita?
-Ma no
sciocchina, ascolta: Terence è interessato a te, e non
provare a negarlo
altrimenti ti picchio, però è troppo insicuro e
troppo testardo e sta cercando
di autoconvincersi che non gli piaci, per questo ti ha consigliato di
uscire
con un altro ragazzo.- fece tutto d'un fiato.- Allora tu, visto che, da
testona
che sei, non vuoi dirgli che ti piace, ascolterai il suo consiglio e lo
farai
ingelosire.
-Cioè
dovrei usare Christopher per far ingelosire Terence. Ho capito bene?-
continuai
a guardarla male.
-Esatto.-
sorrise sodisfatta aggiustandosi il cuscino.
-Abbie tu
non stai tanto bene, mi sa. Ma secondo te io sono una tipa che tratta
le
persone per i propri comodi come fossero oggetti? Non potrei mai farlo.
E poi
al modello io interesso, e mi sembrerebbe proprio cattivo, prenderlo in
giro
dicendogli di volergli dare una possibilità.
Abbie
sbuffò.
-Allora
fingi. Raccontagli degli appuntamenti con Wilson e di vari aneddoti che
vivete
insieme inventandoteli. Chi non risica non rosica, Jane.
-Assolutamente
no. E poi chi ti dice che io interessi effettivamente a Terence? Abbie,
lui mi
ha proposto di uscire con un altro ragazzo, più chiaro di
così si muore.- feci
esasperata.
-Ti ho
già
spiegato perché ti ha detto di uscire con un altro ragazzo.
E comunque ,
un’altra soluzione sarebbe quella di uscire con Wilson in
qualità di amica. In
questo caso non lo illuderesti e non dovresti inventarti nulla con
Terence
perché usciresti realmente con il modello.-
incrociò le braccia sopra la
coperta.
-Mhm. E se
queste uscite da “amica”,- mimai le virgolette,-
illudessero lo stesso il modello?-
continuai.
-No
perché
la prossima volta che ti invita ad uscire con lui, tu accetterai
sottolineando
il fatto che la vostra sarebbe un’uscita tra amici.-
calcò sull’ultima parola.
– D’altronde mi dicesti tu stessa, che ti disse che
gli sarebbe piaciuto
diventare anche semplicemente un tuo amico.
-E una
volta che faccio questa… questa cosa, Terence come dovrebbe
reagire? Come
faccio a capire se è geloso oppure no?- la guardai.
-Si
capisce Jane. Lo capirai dal suo tono di voce, se
gesticolerà o meno, se si
irrigidirà nel parlare e queste cose qua. Ma comunque, mi
hai detto che gli hai
dato un bacio sulla guancia prima di tornare a casa, eh?- mi
guardò maliziosa.
-Sì…
- mi
sentii arrossire.- non so perché l’ho fatto. So
solo che ho sentito che dovevo
farlo e poi… sapessi com’è buono il suo
profumo. Oddio Abbie… mi piace troppo.-
mi coprii la faccia con le mani.
Abbie
ridacchiò.
-E
domenica? L’hai invitato a pranzo, giusto?
Mi tolsi
le mani dalla faccia.
-Sì…
Freddie mi ha consigliato di essere più intraprendente e io
l’ho fatto.
-A Fred
ascolti, e a me no, eh?- mi diede un pugno scherzoso sul braccio.
-Ma no.
E’
solo che tu mi hai consigliato di andare a dire a Terence “Mi
piaci alla
follia”, Fred è stato più cauto e mi ha
solo aperto gli occhi sul fatto che
devo dimostrare a Terence che non mi è indifferente.
-Mhm. Va
bene, come vuoi. Comunque domenica vi lascio la casa libera. Vedo di
organizzare un pranzo con i miei, che non li vedo da un po’.
-Sicura?
Se vuoi puoi farci compagnia…
-Assolutamente
no. Avete bisogno dei vostri spazi e io sarei
d’intralcio… non mi è mai
piaciuto fare il terzo incomodo.- mi fece l’occhiolino per
poi sbadigliare.
-Grazie
Abbie.- le sorrisi.
-E di che.
Comunque, hai già pensato a cosa farete dopo il pranzo?
-In che
senso?- mi voltai a guardarla.
-Beh
suppongo che dopo pranzo resterà un po' con te, e allora mi
chiedo cosa farete.
Di certo non potete vedere un film, né potete fare un gioco
da tavolo, e allora
cosa?
-Parleremo,
e ascolteremo musica... suppongo.- risposi.
-Oppure ti
avventerai su di lui, e limonerete come due adolescenti.- rise.
Mi sentii
arrossire al solo pensiero.
-Che scema
che sei.- le gettai un cuscino addosso.
-Vi
gioverebbe pomiciare, altroché.- rise ancora, schivandolo.
-Tu pensa
a pomiciare con il tuo Tom, e non dire sciocchezze.
- Va bene,
va bene. Comunque è un vero peccato che sia cieco. - torno
subito seria,
sospirando.
-Sì...
è
un vero peccato.- deglutii.
-Cerco di
dormire un po'. Buona notte baby.- mi diede poi un bacio sulla guancia.
-Buonanotte
Abbie.
***
Il giorno
dopo, sabato, decisi di organizzarmi per bene la giornata. Sarei andata
al
supermercato a fare la spesa per il pranzo di domani, avrei telefonato
a mio
padre, avrei scritto un po’ del nuovo articolo e avrei
iniziato a uscire gli
scatoloni dei vestiti invernali per fare il cambio abiti
nell’armadio. Ormai il
freddo era alle porte.
-Baby io
vado a pagare le bollette. Ci vediamo dopo.- mi stampò un
bacio sulla guancia
la mia amica.
-D’accordo.
Se al ritorno non mi trovi è perché sono fuori a
fare la spesa.
-Ricordati
di comprare anche la maionese e i cereali al cioccolato.- Mi sorrise,
poi mi
salutò e uscì.
Passò
circa un’ora quando finii di farmi la doccia, di vestirmi e
di stilare la lista
delle cose che avrei dovuto comprare. Prima di uscire, controllai
nuovamente il
frigorifero, constatando che mancava un bel po’ di cibo e che
sarei tornata a
casa carica di buste.
Avevo
deciso che avrei preparato dei piccoli tramezzini con prosciutto e
delle
bruschette con pomodoro e olio come antipasti, dell'arrosto e delle
patate al
forno come piatto principale, e una torta al cioccolato come dessert.
Desideravo che tutto fosse perfetto e che nulla andasse storto.
Dopo circa
tre ore, finalmente tornai a casa. Avevo fatto una bella spesa, finendo
a
comprare persino del gelato alla vaniglia e alla stracciatella per non
parlare
delle quantità industriali di pacchi di pasta. Mi era sempre
piaciuto andare a
fare la spesa al supermercato, fin da quando ero piccola ed andavo
insieme a
mio padre al supermercato della signora Penny che aveva una
distributore di
gomme da masticare colorate, che mi faceva impazzire. Peccato che a
causa del
lavoro, non ci andassi quasi mai.
Sistemate
le cose in frigo, iniziai a preparare il pranzo.
Il sabato
trascorse così: tra scatoloni di vestiti invernali, il nuovo
articolo, e un
film in serata che vidi con Abbie, uno dei nostri preferiti: "Stand by
me"
***
Domenica
mi svegliai, come immaginavo, prima del previsto. Erano le otto e la
prima cosa
a cui pensai fu che fra poche ore sarebbe arrivato Terence.
Dopo una
doccia veloce, mi vestii e mi acconciai i capelli in una treccia. Poi,
andai in
cucina per preparare la colazione e per iniziare a cucinare
ciò che avrei
voluto far mangiare a Terence.
-Mhm, ma
che buon profumino.- fece la sua entrata una mezz'ora dopo Abbie,
stampandomi
un bacio sulla guancia.
-Ti ho
preparato la colazione: succo d'arancia, fette biscottate con nutella e
una
mela tagliata a pezzi, come piace a te.- le sorrisi, continuando a
sbucciare le
patate che avrei cotto con l'arrosto.
-Dovresti
invitare più spesso Terence a pranzo, se sono questi i
risultati.- si leccò le
labbra e poi addentò la fetta biscottata.
Sorrisi
scuotendo la testa e continuai il mio lavoro.
Circa tre
ore dopo, la mia amica era pronta per andare a trovare i suoi genitori.
Indossava una gonna, un dolcevita e degli stivali bassi.
-Credo che
verrò intorno alle dieci e mezza, per te va bene?- mi
domandò.
-Certo.
Terence non potrà mica andarsene troppo tardi.- le feci
l'occhiolino.
-Va bene,
allora divertitevi. E se puoi, daglielo un bacio, mi raccomando.- mi
diede un
bacio volante e poi uscì.
Risi e
rientrai in cucina.
***
Dopo aver
apparecchiato la tavola, aver sistemato gli antipasti e le bottiglie
d'acqua,
andai in bagno per un ultimo ritocco al lucida labbra. Sapevo che per
Terence
era indifferente se fossi stata truccata o meno, con i capelli sciolti
o
legati, o con outfit piuttosto che con un altro, ma sentivo che questo
non
avrebbe dovuto spingermi a essere trascurata. Terence era il ragazzo
che mi
piaceva e si sapeva, il make up poteva aiutare l'autostima a volte. E
poi,
soprattutto i primi tempi, era sempre curioso di sapere cosa indossassi.
Quando
sentii il mio cellulare squillare, mi salii per un momento l'ansia,
subito
sostituita dall'entusiasmo. Era un squillo, quindi Terence era arrivato.
Mi
precipitai in salotto e, dopo aver aperto la porta d'entrata trovai
Terence
appoggiato alla sua auto con Harrison. Notai che aveva James stretto
nella mano
sinistra e una busta dorata in quella destra.
-Buongiorno.-
li salutai avvicinandomi.
-Ciao
Jane.
-Salve
signorina.- sollevò il cappello a mo' di saluto l'autista.
-Bene
Harry, ci vediamo in serata. Divertiti.- gli sorrise Terence.
-Anche lei
signore, anche lei.- mi sorrise Harrison.
Preso
Terence per mano, lo condussi fino alla mia casa.
-Benvenuto
nella mia umile dimora.- esordii appena entrata, chiudendo la porta di
ingresso.
-Grazie.-
sorrise.- Questa è per te.- aggiunse poi, tendendo in avanti
la mano con cui reggeva la busta dorata che gli avevo visto.
-Uh,
cos'è?
-E' un
piccolo pensiero, nulla di che.- abbassò il capo.
Presi la
busta e la aprii. Dentro vi trovai, con mia sorpresa, un pacco di
caramelle a
forma di orsetto alla coca cola, e una rosa bianca incartata.
-Oddio, le
mie caramelle preferite e la rosa bianca... che meraviglia! Grazie
Terence, non
dovevi disturbarti. Come hai fatto a ricordarti che io adoro gli
orsetti alla
coca cola?
-Ho una
buona memoria, e poi piacciono anche a me... mi pare di avertelo
già detto.-
sorrise.
Io intanto
inspirai il dolce profumo della rosa. Era davvero bellissima. Da
qualche parte
avevo letto che il significato della rosa bianca era "purezza e
innocenza
dell'animo". Chissà se Terence lo sapeva e aveva scelto di
comprarmi un
fiore di questo colore per questo motivo.
-E'
davvero bella anche la rosa. Non so come ringraziarti.
-Non devi
ringraziarmi. Sono contento di averti fatto un pensiero che sia stato
di tuo
gradimento.- piegò le labbra in un mezzo sorriso. Poi, si
schiarì la voce.- mi
fai fare un giro della casa o pranziamo subito?- mi chiese.
-Come
preferisci. Ti aiuto a toglierti il giubbotto, prima?
-Lo faccio
da me, grazie.- sorrise
Una volta
che lo tolse, lo posi sul divano.
-Suppongo
che siamo nel salotto adesso.- disse, poi, mettendo le mani in tasca.
Ora che
era senza giubbotto, mi permisi di guardarlo meglio. Portava una
camicia
azzurra dalle maniche sbottonate e da cui intravidi un orologio
d'acciaio sul
polso, dei jeans scuri e delle sneakers casual.
Sugli occhi, invece, aveva una montatura quadrata e di un blu scuro.
-Esatto.
Vuoi che lo descriva?
-Te lo
stavo per chiedere.
-Okay.- mi
schiarii la voce.- Il mio salotto è una stanza non molto
grande. Alla nostra
destra abbiamo un divanetto rosso che ha frontalmente la televisione,
di medie
dimensioni e a schermo piatto, poi alla nostra sinistra c'è
un piccolo tavolo,
dove alcune domeniche, io ed Abbie beviamo caffè. Accanto al
divano e alla tv,
c'è una finestra a balcone, che io ed Abbie abbiamo deciso
di coprire con delle
tende turchesi per dare luce alla stanza. Infine accanto alla porta
d'ingresso
c'è un appendi abiti.- conclusi.
-Immagino
che sarà molto carino. Suppongo che
una giornalista di moda abbia un certo gusto per lo stile.
-Beh
dovrebbe essere così. A me e ad Abbie piace il nostro
salotto.
-Ci
credo.- sorrise.
-Iniziamo
a pranzare?- gli domandai poi.
-Va bene.
Lo presi
per mano e lo condussi in cucina. Lo aiutai a sedersi, poi mi accomodai
anch'io
nel posto accanto al suo.
-Ho messo
delle bottiglie d'acqua sul tavolo, ma se vuoi in frigo ho anche del
vino rosso
e della birra.
-Andrà
bene l'acqua, grazie.
-Bene.
Dunque il menù di oggi prevede degli antipasti, dell'arrosto
al forno con
patate e una torta al cioccolato.
-Fantastico.
- mi sorrise sincero.- Mi è sempre piaciuto l'arrosto al
forno.
-Ne sono
contenta.- sorrisi, felice.- Ma ora assaggia gli antipasti.- gliene
mesi
qualcuno nel piatto.
Vidi che
tastò, come aveva fatto il giorno prima al ristorante, lo
spazio frontalmente a
sè. Dopo aver trovato il tovagliolo accanto al piatto fondo,
lo aprii e lo mise
sulle gambe.
Prese in
mano una piccola bruschetta, e poco dopo ne assaggiò una
parte. Rimasi in
attesa del suo giudizio, sperando di non aver esagerato con l'olio o
con i
pomodori.
-E'
deliziosa.Semplice ma dal buon sapore.- si leccò le labbra.
Battei le
mani felice, poi presi a mangiare anch'io.
Il pranzo
si svolse in maniera abbastanza lenta. Io e Terence rimanemmo a parlare
del più
e del meno. Conversammo di argomenti relativi all'attualità,
sui posti scozzesi
che non aveva mai visitato ma che avrebbe voluto visitare, come
Inverness, la
piccola cittadina ospitante il famoso lago di Loch Ness. Discutemmo di
libri e
il tempo passò molto bene.
Quando
arrivò il momento del dolce, vidi che sorrise. Mi disse che
il profumo del
cioccolato era inebriante.
-Voglio
proprio vedere com'è questa torta. La golosa Jane,
cos'avrà combinato?-
sorrise.
-La golosa
Jane avrà fatto un dolce spettacolare. Basti pensare che
è ripieno di nutella e
ricoperto da cioccolata...- lasciai la frase in sospeso, tagliandone
due fette.
-Prego.-
lo invitai ad assaggiare per primo.
Ridacchiò,
poi presa la forchetta, ne inforcò un piccolo pezzo e lo
mise in bocca.
Dopo
qualche secondo sospirò.
-Beh...
allora?- gli domandai, impaziente.
-Mhm
fammici pensare... sì... può andare.- si morse le
labbra, cercando di
nascondere un sorriso.
-Può
andare?- feci l'offesa.
-Ah ah.-
annuì.
Gli diedi
un pizzico sulla mano.
-Bugiardo.
Ammetti che è la più buona torta al cioccolato
che tua abbia mai mangiato.
Terence
iniziò a ridere.
-Okay,
okay... è super mega buona. Contenta?- sorrise, continuando
a mangiare.
-Sì
sono
molto contenta.- risi anch'io.
Dopo aver
finito di mangiare la torta, e dopo un buon caffè italiano,
iniziai a
sparecchiare e a mettere i piatti e i bicchieri nella lavastoviglie.
-Posso
darti una mano?- mi chiese.
-Oh no,
grazie, non preoccuparti. Devo solo ordinare la tavola, poi possiamo
andare in
salotto.
Vidi che
annuì con il capo, poi si tolse gli occhiali da sole,
appoggiandoseli al
colletto della camicia.
Presi a
lucidare il tavolo, guardandolo negli occhi. Era strano che si stesse
facendo
vedere da me senza occhiali da sole, ma era bello. Era bello poter
vedere le
sfumature dei suoi occhi cangianti.
-Sento che
mi guardi Jane. E' per gli occhi? Vuoi che mi rimetta gli occhiali? Non
mi
piace farmi vedere senza, ma ammetto che ogni tanto mi pesano sul setto
nasale
e ho bisogno di toglierli.- mi spiegò.
-Ti stavo
guardando, perché ero sorpresa che ti fossi tolto gli
occhiali. Quando ti
chiesi di toglierli, mi dicesti che non avresti voluto far vedere i
tuoi
occhi... vitrei.- gli ricordai.- Ma non mi disturbano affatto, anzi.
Penso che
siano molto belli. Mi pare di avertelo già detto. - ammisi.
Non ero
una persona sfacciata, ma dire quello che si pensa al ragazzo che ti
piace,
ogni tanto non fa male.
-Grazie,
anche se non ti credo.- mi sorrise abbassando il capo. Sembrava in
imbarazzo.
-Dovresti
invece.
Finii di
riordinare la tavola, poi lo invitai ad accomodarsi in salotto.
Sistemai i
cuscini sul divano e mi ci accomodai insieme a lui.
-Ti va di
leggermi il tuo articolo?- mi propose, incrociando le braccia sul petto.
-Oh
sì,
certo. Vado a prenderlo.- sorrisi.
Presi
l'ultima copia dell' Edinburgh Fashion Magazine presente nella libreria
del
corridoio, e tornai ad acciambellarmi sul divano.
Lessi
ciò
che avevo scritto lentamente, cercando di ritornare con la mente al
momento in
cui avevo iniziato a scrivere l'articolo. Sorrisi in alcuni punti e
tornai più
seria in altri, in cui sottolineavo come si potesse fare di
più per tutta
quella gente disabile che non aveva a disposizione abiti alla moda.
Quando
finii, trovai Terence a guardarmi. Non aveva ancora messo gli occhiali
da sole
e sembrava che mi stesse guardando. Mi incantai un attimo nel guardare
i suoi
occhi, che però, purtroppo, non stavano guardando me.
-Finito.-
mi schiarii la voce.
-Wow, che
bello! Hai avuto meritatamente la prima pagina. Scrivi molto bene e il
tuo
stile è scorrevole e pulito.- mi rispose.- Sono sicuro che
Charlotte, Tony e
Lizzy apprezzeranno molto ciò che hai scritto, soprattutto
le parti in cui hai
citato loro.
-Mi fa
molto piacere.- risposi contenta.
Dopo poco,
mi accorsi che il cielo fuori dalla finestra, era prossimo
all'imbrunire. Erano
le quattro e mezza del pomeriggio, ma l'oscurità stava
già prendendo il sopravvento.
-Vado ad
accendere un attimo il lume. Si sta facendo buio.- esordii alzandomi
dal
divano.
Terence,
però, mi bloccò prendendomi il polso. Sentii dei
brividi al suo tocco.
-Potresti
non accenderlo?- mi domandò.- So che può sembrare
una richiesta strana, ma
vorrei parlare con te al buio. Vorrei che tu entrassi nel mio mondo per
un
po'.- sciolse la presa sul mio polso.
Mi
risedetti accanto a lui sentendomi il cuore battere un po'
più forte.
-Va bene.-
mi limitai a dire.
-E'
confortevole casa tua. Mi sento molto a mio agio.
-Sono contenta
che ti stia trovando bene. Al piano di sopra ci sono anche la mia
camera e quella di Abbie, oltre
al bagno e ad un piccolo ripostiglio. Ricordo che la prima volta che
entrai qui
dentro, mi sentii subito bene. Sai quando senti che un posto,
è il tuo
posto.
-Ti
capisco bene. Quando ero piccolo, andavamo spesso in vacanza a Nairn.
Qui
avevamo un piccola casa che si affacciava sul mare. Mi sentivo molto
bene
quando andavo lì e per me era quella la mia vera casa.
-Perché?
-Perché
era una casa piccola e accogliente, contrariamente a quella, in cui
vivo
tutt'oggi, che si trova ad Edimburgo. A Nairn andavamo in vacanza,
quando sia
mia mamma che mio padre non erano a lavoro e quindi era bello stare
tutt'insieme.
-Capisco.
-Ah quasi
mi stavo dimenticando: Ulisse è ufficialmente un membro
della mia famiglia.
-Oh è
vero, mi era passato di mente. Sei andato ieri a prenderlo, giusto?
-Giusto.
Oggi è casa con i miei fratelli.
-Beh e
com'è andata?- gli chiesi guardandolo.
Ormai la
stanza era quasi completamente al buio, ma riconoscevo la sua presenza.
-Benissimo!
E' un cane affettuoso e dolcissimo. Ieri pomeriggio siamo andati a fare
una
passeggiata con Harrison, e mi sono trovato proprio bene. Mi ha aiutato
ad
attraversare la strada e ha evitato che mi scontrassi con un signore.-
immaginai che ora stesse sorridendo.
-Lo
immaginavo. Ulisse mi ha fatto proprio una bella impressione l'altro
giorno, e
immaginavo che ti saresti trovato bene con lui.
-Già.-
sospirò.
Dopo
qualche secondo di silenzio in cui sentii solo il ticchettare dell'
orologio appeso alla parete della cucina, sentii Terence sospirare.
-Sai
Jane, ora che so che siamo al buio e che quindi siamo nello stesso...
mondo, se
possiamo dire così, mi sento più... coraggioso a
farti certe domande. Come ti
ho già detto, mi sembri una persona interessante, ed
è per questo che vorrei
conoscerti meglio. Quindi...- esitò un attimo,- posso farti
delle domande un
po' personali?- chiese.
-Domande
personali, di che tipo?- mi girai verso di lui, ma ormai il buio aveva
imprigionato la stanza e non riuscivo a vederlo bene.
-Domande
che non ti farei tutti giorni, che possono riguardare la parte
più interiore di
te.
-Wow che
richiesta. Ma non so se ci sto, perché tu non mi parli mai
di te e quindi...
-Potrai
anche tu farmi delle domande. Una sorta di "do ut des" o "quid
pro quo".
-Ma
venerdì al ristorante non volevi... riaprire certe ferite...
perché oggi...-
rimasi a corto di parole, non sapendo come formulare la frase.
-Le mie
ferite sono legate in parte alla mia famiglia, e infatti ti sarei grato
se non
mi facessi delle domande riguardanti i miei familiari ma per il
resto... fammi
tutte le domande che vuoi.
-Mhm, va
bene. Però è strano... sei davvero sicuro di
voler rispondere a delle mie
domande?
-Certo.-
fece sicuro.
-Okay.
Chissà
cosa l'aveva reso così "aperto". Okay che non potevo porgli
domande
sulla sua famiglia, ma... di solito non voleva parlarmi molto di
sé.
-E tu non
mi metti nessun freno?- mi chiese ora.
-Che tu
non mi chieda di mia madre.- risposi soltanto.
-Bene.- si
schiarì la voce.- Inizio io. Ti sei mai innamorata veramente
Jane?
Rimasi a
pensarci qualche secondo. Non perché non sapessi cosa
rispondere, semplicemente
perché mi stupì il fatto che Terence, di tutte le
domande con cui avrebbe
potuto iniziare il nostro "do ut des" avesse scelto proprio questa.
-Sì.
Due
volte! Una quando andavo ancora a scuola, e una del mio ex, Freddie.-
risposi. Avrei voluto aggiungere un "forse anche una terza, di te." Ma
rimasi in silenzio.
-Il
ragazzo che poi ti disse essere gay?- si ricordò.
-Esatto.-
mi morsi le labbra.- Bene, ti ho risposto. Ora tocca a me: ti sei mai
innamorato Terence?
Viva
l'originalità!
-Mhm...
sì, credo proprio di sì. Si chiamava Violet ed
era la figlia di un'amica di mia
madre.
Allora
anche lo scontroso Terence aveva permesso a qualcuno di entrare nel suo
cuore.
Interessante!
-L'atteggiamento
di una persona che maggiormente potrebbe ferirti?-domandò.
-Il
tradimento. Una persona a me cara, che tradisce la mia fiducia e il mio
affetto, è automaticamente fuori dalla mia vita. Ripongo la
stessa domanda a
te.
Sì,
okay
che potevo anche inventarmi nuove domande invece di copiare sempre le
sue, ma
mi stava facendo delle domande interessanti.
-Odio la
pietà. La gente che pensa che solo perché io sia
non vedente, sia un incapace,
mi dà altamente fastidio. Il bacio più bello che
tu abbia mai ricevuto?
-Dal mio
primo ragazzo, Daniel, il primo di cui io sia stata innamorata, come ti
dicevo
prima. Mi colse di sorpresa e fu il mio primo bacio... alla francese.-
sorrisi.
-Mhm della
serie "il primo bacio non si scorda mai" eh?
-Esatto.-
risi.
-Beh
è il
tuo turno.
Giusto!
Ora toccava a me fargli una domanda, ma... cosa chiedergli? Avevo
aspettato
tanto un momento in cui Terence mi permettesse di conoscerlo meglio, ed
ora che
me l'aveva concesso, per chissàà quali ignote
ragioni, non sapevo cosa chiedergli. Forse perché mi aveva
invitato a non chiedergli nulla che avesse a che fare con la famiglia,
e questa era una
delle cose, che invece, mi premeva sapere. D'altronde sono le nostre
radici,
che ci rendono quel che siamo. Certo, crescendo si diventa indipendenti
e ci si
crea una propria identità distinta da quella dei propri
genitori, ma sono
questi ultimi ad impartirci un'educazione e ad inculcarci alcune idee,
che,
volenti o nolenti, porteremo sempre con noi.
Poi, la
lampadina mi si accese, solo che non sapevo se avevo il coraggio di
fargli una
tale domanda. Alla fine, mi decisi.
-Okay...
questa è una domanda un po' delicata e ovviamente... sei
libero di non
rispondere.
-Coraggio!-
mi esortò.
-Come sei
diventato cieco?
CONTINUA...
Ciaoo ragazzi ,
Buona Pasquetta!! Eccoci
finalmente al dodicesimo capitolo :)
Ne è
passato di tempo prima che pubblicassi, avete
ragione! Meriterei una bella vagonata di pomodori in faccia, ma
capitemi...
questo è il mio ultimo anno di liceo, ergo quest'anno ho la
maturità :,,(( E'
un anno impegnativo per me, e tra compiti, stress, stanchezza, mancanza
di
ispirazione e qualche periodo in cui non sono stata molto bene, eccomi
che sono
arrivata a concludere il capitolo solo oggi ^^''
Spero che questa
Pasqua vi sia andata benissimo e
che abbiate mangiato tanto cioccolato :P
Parlando del
capitolo... bello lungo, eh? Il mio
Word mi segnala che ho scritto 22 pagine, spazi compresi. A me,
sinceramente, è
piaciuto meno di altre volte. Non so ma... secondo me, manca qualcosa.
Voi che
ne dite?
Generalmente non
metto titoli ai miei capitoli, ma
un titolo adatto a questo sarebbe sicuramente stato "Do ut des" come
il giochino che fanno Terence e Jane. Per chi non lo sapesse, Do
ut des
è una espressione latina che significa "Do
affinché tu dia",
implica quindi uno scambio. Così come Quid pro quo
che sta per
"Questo per quello" ;)
La domanda con
cui si conclude il capitolo è molto
importante. Perché Terence è diventato cieco? Ma
soprattutto lui risponderà? Lo
sapremo solo nella prossima puntata xD
Detto questo,
parto con il ringraziare tutti voi
che con il vostro affetto, continuate a seguirmi e a non abbandonare
questa
storia. Un grazie quindi a: marioasi,
Marbee Fish, romy2007,
fiftys92, Ibelieve93,
e beautyfulplayer per le bellissime
recensioni alla scorso capitolo.
Vi voglio bene <3
Grazie a : Dragon_Flame,
Scelm_4everUS,
elepina,
Nakurami, Nadaesparasiempre,
Only_a_dreamer,
Isabeau Pauline De Medici,Babron, e gdoc
per aver aggiunto la mia storia alle loro seguite. Grazie
mille <3
Grazie a : la
sopracitata fiftys92,
Kikka_love,
e
la già nomita gdoc
per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle loro preferite.Un
bacione a tutte voi :)
E infine grazie
a: roncatella
e, nuovamente a gdoc
per averla aggiunta alle loro ricordate. Grazie di cuore <3
Spero di avere
il grande piacere di leggere la
vostra opinione anche per questo capitolo. Fatemi sapere se vi
è piaciuto o se
ha deluso qualche aspettativa. :)
Un bacione e
alla prossima,
Novalis
|
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Capitolo 13 *** Capitolo Tredici ***
AD
OCCHI CHIUSI
Capitolo
tredici
Riassunto del capitolo
precedente:
Dopo
un’ottima cena
in un accogliente ristorante italiano, Jane viene a sapere che Terence
partirà
con suo padre e i suoi fratelli per Toronto. Decisa a non farsi
scappare l’occasione
di vederlo un’altra volta prima del viaggio, prende la
decisione di
invitarlo a pranzo,
la domenica a casa
sua. Sarà proprio in questa occasione che, dopo un
succulento banchetto,
Terence proporrà a Jane il “do ut des”,
giochino basato su domande e risposte,
ideato per farsi conoscere meglio dalla ragazza. Jane, allora,
prenderà la
palla al balzo, domandandogli come sia diventato cieco.
*fine
riassunto*
L'anima di una persona
è nascosta nel suo sguardo,
per questo abbiamo paura di farci guardare negli occhi. (J. Morrison)
Non
passò neanche un secondo, che già mi pentii
della mia domanda. Ma cosa cavolo avevo chiesto a Terence? Chiedere ad
un
cieco, già di suo restìo ad aprirsi e a parlare
di sé, come fosse diventato un
non vedente? Non dovevo aver collegato il cervello prima di aver fatto
questa
domanda… stupida me!
-Scusami,- mi
affrettai ad aggiungere.- non credo
sia una domanda che ho il diritto di chiederti…- lasciai la
frase in sospeso.
Terence
sospirò.
-Non
c’è bisogno di scusarti! In fondo, il
“do ut
des” è un gioco che ti ho proposto io e non ti ho
invitato a non farmi domande
sulla mia cecità. Ammetto che per un attimo avevo pensato di
chiederti di non domandarmi
nulla sull’argomento, ma in fondo Jane, prima o poi te lo
avrei detto io
stesso. Premetto che il perché sia diventato cieco
è un qualcosa di
strettamente legato alla mia famiglia, per cui ti ometterò
molti dettagli.
-Certo. -
sussurrai.
-Bene…
devi sapere Jane che, qualche anno fa…- si
fermò un secondo.- sono stato un pugile.
Rimasi in
silenzio, intontita per la sua risposta.
-Eri cosa? Un
pugile?- chiesi esterrefatta.
Cavoli! Questa
non me la sarei mai aspettata. Con il
suo fisico e i suoi modi di fare, non l’avrei mai e poi mai
pensato.
-Sì
ero pugile. Non era una cosa seria, nel senso
che non ero conosciuto, non facevo incontri legalizzati né
frequentavo alcuna
palestra. Ho imparato a boxare a causa di,- fece una pausa.- alcune
persone
sbagliate. Ero diventato abbastanza bravo nel farlo, così
iniziai a fare degli
incontri. Mi aiutavano, erano la mia valvola di sfogo, erano il mio
modo di
evadere da una realtà che mi faceva soffrire.-
sospirò.- Un giorno, però, ebbi
un incontro con un avversario molto più alto di me, e
soprattutto dalla massa
muscolare maggiore della mia. Una sorta di Mohammed Ali, se tu sai chi
sia.
-Sì,
so che è stato un pugile bravissimo.- dissi.
-Esatto,
ma
era soprattutto un pugile molto alto e molto muscoloso! Come ti ho
detto, non
erano incontri legalizzati quindi non c’era alcuna regola da
rispettare e io
non mi tirai indietro quando si trattò di boxare con questo
pugile. Il match ci
fu, solo che… ricevetti un destro dritto sulla testa.-
sospirò di nuovo. Doveva
essere molto difficile per lui rimembrare certi dolorosi ricordi.- Poi
non
ricordo niente… mi hanno raccontato che caddi al tappeto, e
finii in coma. Mi
svegliai solo due mesi dopo… cieco. A quante pare il suo
pugno creò un ematoma
al mio cervello che andò ad intaccare il nervo ottico. Fui
operato d’urgenza,
ed è grazie all’intervento se sono ancora vivo,
ma… - lasciò la frase in
sospeso.
-E non
c’è nemmeno una minima possibilità che
tu
torni a vedere?- domandai, speranzosa.
-Beh…
in modo naturale no. Ci vorrebbe un miracolo o
tuttalpiù… dovrei avere nuovamente un incidente
pari a quello che mi ha creato
il danno.
Mi voltai a
fissarlo anche se, ormai, il buio aveva
preso il sopravvento nella stanza e non riuscivo a vedere nulla se non
il nero
attorno a me.
Rimasi in
silenzio. Non sapevo cosa dire.
-Jane? Ci sei
ancora?
-S-sì.-
biascicai.- Scusami… è che…
-Lo so.
– mi interruppe, immaginando la mia
reazione. - Non ci pensare. Ora è il mio turno: la stanza
è buia completamente
adesso?
-S-sì.-
balbettai di nuovo.
Come poteva
cambiare discorso così radicalmente?
Insomma, dal primo momento in cui l’avevo incontrato mi ero
posta tante
domande, avevo provato ad immaginare come Terence fosse diventato
cieco, e
adesso che lo avevo scoperto mi sentivo… vuota. Sapere che
era diventato cieco
non per una malattia o per un incidente, ma a causa di un
qualcosa… di così
volontario, mi faceva arrabbiare. Scegliere di diventare un pugile solo
perché
ce l’hai con la vita, e accettare di combattere con un tipo
che è il doppio di
te mi sembrava da stupidi. Inconsciamente strinsi le mani a pungi.
-Sei uno stupido
Terence.- esordii.
-Come?-
domandò lui incredulo.
-Hai capito
bene! Sei uno stupido Terence Ashling. Perché
non ti rifiutasti di fare quello stupido incontro? Perché,
pur sapendo che il
tuo avversario era più forte di te, tu hai sfidato la sorte?
Perché non hai
pensato alle conseguenze? Perché hai scelto di fare incontri
di pugilato
illegali?- diedi voce a tutti i miei pensieri, non riuscendo a
controllarli.
-Forse
perché all’epoca preferivo essere picchiato
da un uomo piuttosto che ricevere colpi dalla vita.- rispose soltanto.
Il suo tono di
voce non era arrabbiato né acido,
era… malinconico, triste, deluso, disilluso.
Sospirai.
-Scusami…
sono stata troppo aggressiva.- dissi poco
dopo, rendendomi conto del modo in cui mi ero rivolta nei suoi
confronti.
-Ti scusi troppe
volte, Jane Ryan. Prima di fare
qualcosa bisogna pensarci dieci volte e non pentirsene subito dopo. Con
questo
non voglio dire che tu non mi abbia colpito.
-Ti ho colpito?-
rimasi sorpresa.
-Beh
sì. Di solito, da quelle poche persone a cui ho
raccontato la mia storia, ho ricevuto solo dei “mi
dispiace”, tu invece… ti sei
arrabbiata con me, quasi come se… ci tenessi a me.
Sentii il mio
cuore battere più forte nel mio petto.
-Perché
non dovrei tenere a te, Terence?- domandai.
-Perchè
ci conosciamo da troppo poco tempo. Non
conosci tante cose di me e non sono un tipo che fa sì che la
gente si affezioni
a lui, né tantomeno uno che vuole che qualcuno ci tenga a
sé. Sono un tipo
libero, non mi piace affezionarmi e non voglio che nessuno si affezioni
mai a
me.- il suo tono di voce era freddo, e serio.
-Wow! Te la
prendi se ti dico che mi sanno tanto di
parole finte, di un ragazzo che ostenta un qualcosa che non
è in realtà? Non
puoi scegliere tu se affezionarti o meno a una persona, né
tantomeno se una
persona deve o no affezionarsi a te. Sono i nostri gesti, le nostre
parole e i
nostri modi di vedere le cose che ci rendono quel che siamo e tu mi
affascini
Terence. Penso che tu sia intelligente, divertente, dolce e a volte un
po’
troppo freddo ma tengo a… te… e alla nostra
amicizia.- tanto valeva
confessarglielo.
Non che con
questo gli avessi detto “ mi piaci” ma
almeno gli avevo fatto capire che non mi era indifferente. E poi visto
il
momento triste che si era creato, per via del racconto della comparsa
della sua
cecità, mi era sembrato carino smorzare la tensione in
questo modo.
-Mi metti in
imbarazzo così, Jane Ryan.- Terence si
schiarì la voce.- Ti ringrazio.- concluse.
-Di niente.-
sorrisi tra me.
-Vuoi farmi
altre domande?- chiese, poi.
-Mhm…-
ci pensai un po’.- Come ti sei fatto la
cicatrice sopra il labbro?- mi ricordai di chiedergli.
-Da piccolo
caddi dalla bici, andando a sbattere con
il viso su una pietra, la cui punta mi tagliò la parte sopra
il labbro. Ti
soddisfa la mia risposta?
-Direi di
sì.- risposi.
-Bene. Ora
è il mio turno: Pensi che io sia bello?
Sai la prima volta che te l’ho chiesto, tu mi hai
risposto…
-Sì
ricordo cosa ti ho risposto.- risi.- E sì, ti
ritengo bello Terence Ashling.
Terence rise, di
una risata cristallina, pulita,
felice.
-Oh finalmente
l’hai ammesso.
-Ehi non gasarti
troppo adesso!- risi.- Non hai un
carattere facile, è vero, ma la tua interiorità
mi sembra abbastanza bella da
poter dire lo stesso della tua esteriorità.- sorrisi,
sentendomi un tantino
imbarazzata.
Non mi piaceva
espormi così tanto con i ragazzi.
-Bene.
– sospirò.- Ora se vuoi e non hai altre
domande, puoi accendere la luce, scusami se ti ho fatto stare al buio
per così
tanto tempo.
-Ma no, in fondo
il do ut des non è durato poi
molto. Vado ad accendere il lume allora.- così detto, mi
alzai.
Una volta in
piedi, però, mi bloccai. Mi sentivo
strana, e molto confusa. Un conto era stare al buio, seduta, con quindi
una
solida base a sostenermi, un conto era stare senza alcun appoggio, se
non il
pavimento, con attorno solo il buio. Mi sembrava di non avere neanche
equilibrio.
-Terence,
è normale che non riesca a muovermi?
-In che senso,
Jane?- sentii il suo tono
preoccupato.
-Non
saprei… ma ora che sono in piedi ho paura a
camminare. Vedo solo il buio attorno a me e non riesco a ricordare
dov’è
l’interruttore della luce.
-Ah,
capisco… tranquilla, è un piccolo attacco di
ansia. Non sei abituata a stare a lungo al buio, se non quando dormi, e
quindi
ora ti senti spaesata, ma non è nulla di preoccupante. Ora
fai un bel respiro e
tendi le mani davanti a te.
Feci come mi
aveva detto, poi dopo pochi secondi,
sentii la sua presenza vicina.
-Ora Jane,
concentrati, usa la tua memoria
fotografica: dov’è il lume nel tuo salotto?
Accanto alla porta di ingresso?
Vicino all’appendi abiti? Al divano? Pensaci con calma.
Cercai di
concentrarmi. Ripensai al soggiorno e ai
suoi vari mobili. Poi mi ricordai.
-Okay ci sono.-
dissi iniziando a camminare.
Terence era al
mio fianco e, quando passo dopo
passo, toccai con la gamba il lume, tesi una mano di fronte a me,
accendendone
l’interruttore.
E luce fu.
-Fatto! Ho
acceso a luce.- dissi, notando Terence
molto vicino a me.
-Bene.- rispose
indietreggiando di qualche passo.
-Grazie per
l’aiuto. Davvero, è stata strana come
sensazione!
-Lo so, ti posso
capire. – abbassò il capo.
-Facciamo
qualche altra chiacchera?- proposi.
-Più
che parlare ti va di giocare a scacchi? Ho un
app sul cellulare fatta appositamente per i non vedenti.
-Non gioco a
scacchi da quando ero piccola, ma ci
sto.- sorrisi, riaccompagnandolo sul divano.
Il tempo
passò così! Sfidandoci, chiacchierando e
mangiando dei pop corn che avevo scelto di cucinare per cena.
Quando
arrivarono le 21.00 la suoneria del suo
cellulare mi svegliò dallo stato in cui versavo: uno stato
in cui eravamo solo
noi due a divertirci e in cui potevo essergli molto vicina, osservando
il
colore dei suoi occhi e sentire il suo fresco profumo.
-Harrison,
arrivo subito.- rispose alla chiamata. -E’
arrivato il mio autista…- lasciò la frase in
sospeso. Poi si alzò.
-Già,
ho sentito.- ridacchiai.- Bene… allora…
-Grazie.- mi
interruppe.- E’ stata una bella
giornata. Cucini molto bene e sei stata simpatica come sempre, Jane.-
sorrise
lievemente.
-Grazie a te per
aver accettato e per avermi
raccontato dei momenti personali della tua vita.
Lo guidai poi
vicino all’attaccapanni e lo aiutai ad
infilare il suo giubbotto. Una volta pronto, aprii la porta
d’ingresso.
-Buon viaggio, e
se ti va… telefonami ogni tanto.-
lo guardai.
-Non
starò mica via un mese.- rise.- Comunque,
volentieri. Ti telefonerò appena ne avrò
occasione.
-Okay.
– gli risposi.
-Mi sei di
fronte Jane?- domandò, poco dopo.
-Sì…-
risposi, non capendo la sua domanda.
-Posso fare una
cosa Jane?- mi sorprese,
chiedendomi.
-Cosa?
Terence non
rispose nulla. Tese solo la mano di
fronte a sé, e quando sfiorò la mia guancia,
l’accarezzò con delicatezza.
-Questo.-
sorrise, ritraendo la mano.
Poi,
arrivò Harrison.
-Eccomi
signore.- gli fece il suo autista,
posandogli una mano sul braccio.
-A presto,
Jane.- mi salutò.
-A presto.- lo
salutai.
Quando chiusi la
porta di ingresso, mi ci appoggiai
sopra qualche istante, toccandomi la guancia che Terence aveva
accarezzato e
sorridendo tra me e me. Menomale che non voleva che nessuno gli si
affezionasse!
***
Il
lunedì mattina mi svegliai una mezz’ora
più tardi
del solito. Oggi il Giornale apriva più tardi,
perché George
doveva incontrare dei famosi stilisti
per stipulare degli accordi e quando aveva incontri di questo tipo,
preferiva
che non fosse presente nessun dipendente per evitare eventuali
indiscrezioni.
Dopo la doccia,
andai a far colazione e dopo essermi
vestita uscii per andare a lavoro.
Abbie
era uscita già prima di me.
Al Giornale
c’era fermento come sempre: relle di
abiti che scorrevano a destra e a sinistra, fotografi con al collo
mille
macchine fotografiche e modelli che sfilavano neanche fossero in
passerella.
Salii al piano
del mio ufficio, trovando i miei
colleghi intenti a lavorare o a fare colazione con ciambelle fritte e
caffè di
Starbucks.
-Buongiorno.-
salutai, prendendo posto e accendendo
il mio pc.
Oggi avevo
intenzione di portare a conclusione un
articolo su una paio di dècolletès Pigalle
rigorosamente Christian Louboutin, rosa cipria e
dall’inconfondibile suola
rossa. Scarpe icona di questa griffe il cui nome derivava da una strada
francese, sede dell’atelier del noto stilista.
Aprii la pagina
word e insieme ad essa anche una
mail, inviatami da un collega del primo piano, con le foto inerenti a
queste
scarpe. Tra le tante notai una in cui vi era Mary Anne. Era seduta su
un divano
di pelle rossa, in una stanza bianca, circondata da luce e addosso
aveva un
abito verde che metteva in risalto la carnagione lattea e le scarpe
alte, dalla
suola rossa.
Feci zoom sul
suo volto notando come gli effetti di
Photoshop e il tanto trucco la rendessero quasi carina. Avevo detto
quasi, eh!
Poi, ritornando
ad altre foto notai una che mi
lasciò un po’ perplessa. C’era sempre
Mary Anne, ma non era sola. Guardava
sorridente Christopher Wilson, il quale indossava solo i jeans Calvin
Klein e
un giubbotto del medesimo materiale sul petto nudo.
Avevano entrambi
gli occhi luminosi e si guardavano
sorridenti come potrebbero guardarsi solo due persone molte amiche. Ma,
forse
era solo una mia impressione.
Decisi di non
pensarci e tornai a scrivere.
-Sapete anche io
e Arabella stiamo pensando al
matrimonio.- fece Steve, due ore dopo.
Il
“tic tic” dei tasti della tastiera premuti
freneticamente da noi giornalisti, fu sostituito da un
“cosa?” quasi urlato di
Vincent.
Fermammo tutti i
nostri lavori e ci voltammo a
guardare il nostro collega che, paonazzo, guardava verso il basso.
-Dici davvero
caro?- gli domandò Freddie alzandosi e
avvicinandosi a lui.
-Sì…
cioè… niente è ancora deciso, ma come
sapete
stiamo insieme da tanto e anche se spesso litighiamo, sappiamo che il
nostro è
vero amore e poi…
-Ma che bella
notizia, tesoro!- lo interruppe
Barbara, andando ad abbracciarlo.- Però, se è
possibile fatelo dopo di me.-
ridacchiò.
-Oh
sì certo.- fece imbarazzato il mio collega.-
Ripeto, non è ancora deciso nulla, al momento è
solo un’idea.
-E’
una bella notizia Steve.- gli sorrisi.
-Grazie, grazie
a tutti.- sorrise cordiale.
-A proposito,
Barbara…- continuò Price,- E il tuo di
matrimonio? Hai scelto la location e la data?
Ora i riflettori
erano accessi sulla mia collega.
-Per la data,
abbiamo deciso il venti dicembre. Per
la location, ci stiamo organizzando. Non pensate sia nulla di troppo
sfarzoso,
però.- si aggiustò un ricciolo biondo dietro
l’orecchio.- vi arriverà l’invito
ufficiale la settima prossima o l’altra e … oh,
non so se ve l’ho detto, ma
ovviamente siete liberi di venire accompagnati da chi vi aggrada.-
sorrise.
-Non vedo
l’ora.- le dissi, curvando la labbra.
-Bene, bene!
Basta con queste smancerie adesso.
Torniamo a lavoro.- ci rimbeccò Price. Il solito antipatico!
***
Durante
l’ora di pranzo, decisi di rimanere in
ufficio. Avrei consumato un tramezzino e una mela che mi ero portata da
casa, e
avrei concluso l’articolo per poi iniziare quello sulle Youpi Patent,altro modello dello stilista
francese, ai più molto
costoso.
Quando iniziai a
scartare la carta del mio panino,
però, sentii qualcuno bussare alla porta del mio ufficio.
-Posso?-
domandò un affascinante Christopher Wilson.
Indossava una
camicia bianca sopra dei Jeans Klein e
delle scarpe stringate che avrei osato dire essere proprio delle
Louboutin.
-Certo.- gli
sorrisi educata.
-Ciao Jane. Come
stai?- mi chiese avvicinandosi alla
mia scrivania.- Speravo di trovarti in ufficio, perché
vorrei portarti a pranzo
fuori.- osservò prima me e poi il mio panino scartato a
mezz’aria.
-Oh…-
feci sorpresa. Non lo vedevo da due giorni
prima e non mi aspettavo questo invito.
Se in un primo
momento mi balenò l’idea di
rifiutare, poi ripensai alle parole di Abbie, sul fare ingelosire
Terence.
-Non molli mai,
eh?- lo guardai.
-Perché
dovrei?- fece un sorriso sghembo.
-Se accetto, lo
faccio solo in qualità di amica,
però…- sorrisi.
-Certo! E
poi… i migliori amori nascono dalle
amicizie.- mi fece l’occhiolino.
-Corri troppo,
Christopher Wilson.- sollevai le
sopracciglia.- Comunque, va bene. Andiamo adesso?
-Certo.- mi tese
la sua mano.
Chiusi il panino
nuovamente nella carta argentata e
, spento il computer, uscii dall’ufficio.
Andammo a
mangiare nello stesso ristorante in cui
andammo tempo prima, vicino al Giornale. Optai per un’
insalata di riso e del
vino bianco.
-Sono contento
che tu abbia accettato il mio
invito.- mi guardò Wilson.
I suoi occhi
grigi erano profondi e brillanti e mi
guardava come io guarderei una borsa Valentino.
Annuii con la
testa, leggermente in imbarazzo.
-Senti
Christopher… posso farti una domanda?- gli
chiesi.
-Chiedimi quello
che vuoi Jane.- fece un mezzo
sorriso.
Chissà
se faceva così con tutte le donne con cui
usciva. I suoi sorrisi, e i suoi sguardi profondi erano ammalianti, ma
non
sapevo se fossero sinceri.
-Sì
beh… ecco… oggi stavo concludendo un articolo su
un paio di Louboutin e, ho notato tra le foto che mi sono state
inviate, una
foto ritraente te e Mary Anne, una modella che penso conoscerai bene.
Vi
guardavate come se foste amici da tanto… quindi mi chiedevo
se per caso la
conosci.- lo guardai.
Di tutta
risposta Wilson abbassò lo sguardo
,mordendosi le labbra.
-Se intendi Mary
Anne Williams, capelli biondi e
occhi azzurri, dire che siamo amici mi sembra troppo, ma la conosco da
un po’.-
riprese a guardarmi.- abbiamo lavorato già per altre
campagne insieme e quindi
abbiamo più intesa quando ci chiedono di posare. Ma, non
devi preoccuparti,
Jane. A me piaci solo tu.
Mi sentii
arrossire un po’ a questa sua ultima
frase.
-No,
Christopher… credo tu abbia frainteso. La mia
non era gelosia, ma pura e semplice curiosità. La conosco e
volevo sapere quale
rapporto intercorresse tra voi due, nulla di più, nulla di
meno.
-Capisco.-
sospirò.
Poco dopo
arrivarono le nostre portate e iniziammo a
mangiare.
-Posso fartela
io una domanda, adesso?- mi chiese.
Bevvi un
po’ del mio vino e annuii con la testa.
-Cosa ti piace
del ragazzo cieco?
Per poco il vino
non mi andò di traverso. Presi a
tossire.
-Tante cose.-
gli risposi, dopo aver ripreso a
respirare.- E’ molto carino fisicamente e ha un carattere che
mi affascina.
Pensi che solo perché è cieco, non dovrebbe
piacermi?
-Assolutamente
no! Non credermi così frivolo Jane, è
solo che… non so, secondo me meriti di meglio.
Lo guardai
corrugando la fronte. Volevo capire cosa
gli passasse per la mente.
-Me
l’hai già detta questa frase, ma non ho ancora
capito cosa intendi per “di meglio”. Mi dici che il
fatto che sia cieco non
implica che non possa piacermi, poi però lo sminuisci con le
tue parole. E’ un
ragazzo bello, intelligente , divertente e ha tante qualità.
- lo guardai
dritto negli occhi.
-Dico solo che
non credo abbia un bel carattere. Ho
fatto delle ricerche sul suo conto e la sua famiglia è snob
e nasconde segreti…
-E come hai
fatto a fare delle ricerche sul suo
conto, se la prima volta che l’hai visto è stata
sabato fuori il Giornale?- lo
sfidai con lo sguardo.
-Ho chiesto
semplicemente in giro e mi hanno
risposto. D’altronde non tutti ad Edimburgo possono
permettersi di andare in
giro con una Lamborghini Reventon.- prese a bere dal suo bicchiere.
-In ogni caso, a
me piace e credo che questa sia
l’unica cosa che conta.- iniziai a mangiare.
Di risposta, il
modello annuì, mordendosi le labbra.
Una ventina di
minuti dopo, eravamo fuori dal
ristorante, diretti al nostro lavoro.
-Ti chiedo scusa
se sono risultato così… invadente,
ma… mi piaci davvero Jane e … vorrei solo che tu
guardassi anche a me.- fece
quando ormai eravamo vicini al Giornale.
-Non mi conosci
neanche tanto e dichiari sempre che
ti piaccio tanto, Christopher. Come ti ho detto a me piace un altro
ragazzo ma,
se vuoi possiamo uscire insieme come amici.- gli dissi, prima di aprire
la
porta di ingresso dell’ Edinburgh Fashion Magazine.
-Al momento mi
va bene.- mi sorrise.- quindi non ci
sono problemi se ci incontriamo venerdì e andiamo a teatro
insieme? Giusto ieri
mi sono stati regalati due biglietti, per andare a vedere Macbeth al
Traverse Theatre …
Lo guardai.
-Perché
no!- gli sorrisi.
In fondo questa
settimana non sarei potuta uscire
neanche con Terence, essendo lui a Toronto. Ma, a proposito di Terence,
non mi
aveva ancora telefonato. Non mi aveva fatto sapere se era arrivato o
meno,
com’era andato il viaggio o altro. Decisi di non darci troppo
peso, poiché
infondo era andato lì per lavoro, quindi forse non aveva
ancora avuto modo di
contattarmi.
Dieci minuti
dopo ero già a lavoro nel mio ufficio.
***
Tornai a casa
molto stanca. L’articolo sul modello Pigalle
era stato concluso e l’avevo
posto anche al vaglio di George, ricevendo da lui qualche ammonimento e
qualche
correzione.
-Ti va una
fettina di pollo e dell’insalata, Jane?-
mi propose Abbie, uscendo dalla cucina.
-Sì,
certo. Vuoi una mano?
-Se vuoi tu
prepara l’insalata e io arrostisco la
carne.- disse, rientrando in cucina.
-Perfetto.
Mi infilai il
grembiule e iniziai a preparare parte
di ciò che sarebbe stata la nostra cena.
-Venerdì
vado a teatro con il modello.- le dissi
iniziando a tagliare i pomodori.
-Ah
sì? Quindi hai ascoltato il mio consiglio! Hai
sottolineato il fatto che le vostre uscite saranno da amici?
-Sì,
l’ho fatto. Si è mostrato consenziente, pur
sottolineando più volte il fatto che io gli piaccia.
-E’
tenace, eh? Non so se sia un pregio o un
difetto. In ogni caso, che andrete a vedere?
-Macbeth.-
iniziai a tagliare la lattuga.- Almeno lo spettacolo si prospetta
interessante,
spero solo che non venga assalito da qualche fan come quel giorno al
cinema.
Abbie
ridacchiò.
-E con Terence?
Ti ha detto nulla del suo arrivo a
Toronto?- domandò poi.
-Purtroppo no!
Ieri mi ha detto che mi avrebbe
telefonato, appena ne avrebbe avuto l’occasione. Immagino che
sia impegnato con
il lavoro. Mi disse, tempo fa, che il padre l’ha costretto a
laurearsi in
economia e ha sottolineato come questo viaggio non lo faccia per
piacere,
quindi suppongo non abbia avuto il tempo per telefonarmi.
-Sarà
sicuramene così, tranquilla! Comunque la sua
famiglia deve essere molto particolare… voglio dire, il
padre, da quel che mi
racconti, è un uomo un po’ duro con suo figlio.
Forzarlo a laurearsi in un
settore, solo per costringerlo a lavorare con sé non mi
sembra una bella cosa.
E poi, se ti ha detto che anni fa si diede al pugilato per fuggire da
un
qualcosa che lo faceva soffrire, qualcosa significherà.-
iniziò a girare la
carne in padella.
-Sì
infatti. Della sua famiglia, non vuole parlarmi…
quindi non so cosa pensare. Ricordo che mi prima di rispondere alla mia
domanda, mi ha detto che il perché sia diventato cieco
è legato alla sua
famiglia, quindi…
-Chissà.-
fu la sua risposta.
-Comunque non ti
ho detto che il modello mi ha
chiesto come mai mi piaccia Terence. Ha sottolineato, inoltre, che a
lui non
convince per via di alcune ricerche che ha fatto.- conclusi di
preparare
l’insalata.
-Ha fatto
addirittura delle ricerche su Terence?
Deve essere davvero tanto interessato a te.- disse più a se
stessa che a me.- Tu,
invece, persisti con l’idea di non fare alcuna ricerca su di
lui, sul web?
Qualcosa la troveresti sicuramente.- spense il fuoco.
-No,
assolutamente. Aspetterò che me ne parli lui.
Non mi sembrerebbe corretto nei suo confronti, spiare la sua vita
privata su
internet.
-Giusto, sono
d’accordo!
Così
detto, preparammo la tavola e iniziammo la
nostra cena.
Quando
arrivarono le dieci, decidemmo di mangiare un
po’ di gelato sul divano del salotto, facendo un
po’ di zapping in tv e facendo
altre chiacchiere prima di andare a dormire.
-La mia collega
Barbara ha deciso la data del suo matrimonio.-
esordii dopo un po’.
-Ah
sì?- mi guardò la mia amica, gustando del gelato
al cioccolato.
-Sì!
Il 20 dicembre.
-Mhm figo,
vicino al Natale! Vorrà dire che per quel
giorno dovrò prendere una giornata libera dal lavoro.
Ricordo che Barbara desiderava
che io le scattassi delle foto.- mi sorrise.
Annuii con la
testa sorridendole.
-E con Thomas,
tutto bene?- le domandai, poi.
-Yes, baby!
Sabato andiamo a cena fuori. Mi porta ad
un ristorante giapponese che si è aperto in Blair Street.-
concluse, con gli
occhi brillanti.- E poi la settimana prossima…- si
fermò guardandomi.
-Sì?-
la incitai, aggrottando le sopracciglia.
-Mi porta a
conoscere i suoi genitori per la prima
volta.- strillò entusiasta.
-Oddio.- le
sorrisi a trentadue denti.- E’ magnifico,
Abbie. La vostra relazione si fa sempre più forte.-
constatai.
Ero davvero
molto, ma molto felice per lei. Se lo
meritava tanto!
Quando
arrivarono le undici, decidemmo di andare a
letto, così ci demmo la buonanotte e ci augurammo a vicenda
di fare dei bei
sogni.
Quando,
però, mi misi a letto, notai lo screen del
mio cellulare lampeggiare. Era arrivato un messaggio.
Con il cuore in
gola, l’aprii, notando che circa due
ore prima mi era arrivato un messaggio di Terence. Prima di cena, avevo
lasciato il mio Nokia sul comodino! Che sciocca!
Nel messaggio,
Terence si scusava per non essersi
fatto sentire per tutto il giorno, sottolineando, come avevo
immaginato, che
era stato impegnato con questioni lavorative e mi diceva che il viaggio
era
andato bene. Mi salutava augurandomi la buonanotte, e scrivendomi che
domani mi
avrebbe telefonato.
“Non
preoccuparti, l’avevo immaginato. Buonanotte anche a te! A
domani. - Jane”-
fu la mia risposta.
Poco dopo, mi
addormentai, con il volto sorridente.
***
Il
martedì, il mercoledì e il giovedì
trascorsero in
maniera piuttosto monotona e quando arrivò il
venerdì, ammetto che avrei
desiderato la monotonia dei giorni precedenti, più del
nervosismo pre
appuntamento con Wilson che mi pervadeva. Ero consapevole che essere
nervosi
per un appuntamento da “amica” con un ragazzo che
non mi piaceva, non era
necessario, ma dopo il nostro scorso incontro al cinema, con tanti di
assalimento di fan del modello, ero un po’ tesa. Soprattutto
perché ero
consapevole che a Christopher io piacessi, e non come amica.
Quando finii il
mio turno e tornai a casa, mi feci
una doccia e scelsi l’outfit che avrei indossato. Niente di
troppo appariscente
e esagerato, ovviamente, ma dovendo andare a teatro, optai per qualcosa
di più
elegante. Scelsi un paio di jeans a palazzo impreziositi da qualche
piccola
pietra verde cucita sulle tasche, un top nero e una giacca color
petrolio a
bottoni dorati che abbinai a una collana molto semplice. Come scarpe
vinse la
comodità e indossai un paio di stringate di vernice nera.
Una volta che
fui pronta, attesi l’arrivo del
modello guardando un po’ di tv. Abbie non era in casa a causa
di una cena di
lavoro improvvisata all’ultimo minuto e ora mi ritrovavo sola
con i miei
pensieri, immaginando come sarebbe andata la serata.
Qualche minuto
dopo il mio cellulare squillò. Era
arrivato.
Chiusi a chiave
la porta di ingresso e mi avviai
verso l’automobile di Wilson che, mi aspettava appoggiato
allo sportello della
sua Peugeot nera. Indossava uno smoking con uno soprabito scuro.
-Buonasera
Jane.- mi aprì la sua macchina.
-Buonasera.-
risposi, accomodandomi nell’abitacolo
profumato del veicolo.
Una volta che
Christopher si mise la cintura di
sicurezza, il viaggio partì.
-Hai mai visto Macbeth?-
mi domandò.
-A dir la
verità no! Ma conosco la trama.- gli risposi,
guardando il finestrino.
-Per noi
scozzesi è d’obbligo questo spettacolo.-
aggiunse.
Annuii con il
capo.
-Mi piace come
ti sei vestita.
-Davvero?- mi
voltai a guardarlo.
-Certo. E io di
moda me ne intendo.- si voltò verso
di me per un attimo.- Mi piace il fatto che tu abbia optato un
abbinamento
semplice e casual ma allo stesso tempo elegante. In più sei
la prima ragazza
con cui esco che non indossa un paio di scarpe con il tacco. Devo
proprio non
piacerti, eh?- ridacchiò.
-Perché
non indossare scarpe con il tacco è segno di
poco interesse verso un uomo? Con questo non voglio dire che tu mi
piaccia… nel
senso che… sai che ti vedo solo come un possibile amico,
perché ho nel cuore
già un altro. Comunque, io preferisco sempre un paio di
scarpe basse ad un paio
con il tacco.- gli risposi.
-Capisco.-
sorrise.
-Comunque,-
aggiunsi.- Se posso chiedertelo, con
quante ragazze tu sei uscito?- gli domandai, guardando il suo profilo.
-Vuoi davvero
saperlo?- svoltò in una strada.- beh
con molte, ma… non tutte hanno fatto breccia nel mio cuore.-
si voltò a
guardarmi per pochi secondi.
“Troppo
smielato e troppo principe azzurro” pensai.
-Capisco.-
risposi con la sua stessa risposta di
prima.
Dopodiché
il viaggio continuò in maniera silenziosa
e una quindicina di minuti dopo arrivammo.
C’era
una folla piuttosto numerosa davanti alla
biglietteria del Traverse Theatre,
ma
proprio quando stavo per disperarmi al pensiero di dover attendere per
troppo
tempo all’aria, ormai fredda di Edimburgo, il modello mi
prese par mano
avvicinandosi alla cassa, sotto il disappunto delle altre persone.
Mostrò
i suoi biglietti su cui svettava a caratteri
argentati la scritta ‘VIP’, e dopo poco fummo
dentro.
-Vip, eh?- gli
feci notare, slegando le nostre mani.
-Sì.-
ridacchiò.- come ti ho detto, mi sono stati
regalati.- mi sorrise.
Alla luce del
teatro mi accorsi che aveva i capelli
portati all’indietro con del gel e la barba era tagliata a
regola d’arte.
-E chi te li ha
regalati?- domandai, iniziando a
camminare insieme a lui.
Sembrava
conoscere molto bene l’ambiente.
-Un’agente
che ogni tanto ci ingaggia per qualche
casa di moda.
-Ma…-
ci pensai un attimo.- Ciò significa che
potrebbero starci anche altri modelli?
-Beh…-
Wilson mi guardò,- sì. E’ probabile.
Ognuno
era libero di venire o meno, quindi è possibile che ci siano
altri modelli. Ma,
tranquilla Jane, nessuno ci disturberà. Non ci sono
giornalisti o scocciatori
di alcun tipo. – mi fece l’occhiolino.
-E se qualche
fan dovesse infastidirci, come quella
volta al cinema,- o dovevo dire infastidirmi,-
come reagirai?
-Non le
darò attenzione. Ma non credo succederà,
essendoci anche altri modelli oggi ci sarà anche
più attenzione da parte del
servizio di sicurezza.
Sperai che
avesse ragione.
Poco dopo,
giungemmo ad una sala. C’erano numerosi
sedili, alcuni dei quali ancora vuoti, e circa due metri più
avanti la prima
fila, si stagliava un vasto palcoscenico in legno, circondato da
pesanti tende
in velluto rosso.
I nostri posti
erano in seconda fila e, una volta
che prendemmo posto, notai accanto a me donne e uomini dalla bellezza
paradisiaca. Dovevano essere sicuramente modelli e modelle.
-Sei bellissima
stasera, Jane.
Mi voltai verso
Christopher che, probabilmente aveva
notato il modo in cui stavo guardando una modella bionda al mio fianco.
Involontariamente
sentii le mie guance imporporarsi.
-Ti ringrazio.-
gli risposi, guardandolo solo un
attimo negli occhi.
Quando la sala
si riempì completamente ci vollero
pochi minuti prima che lo spettacolo iniziasse. Era la prima volta che
vedevo
una tragedia recitata a teatro ed era la primaa volta che la seguivo da
un
posto così vicino al palco.
Lo spettacolo
dura all’incirca due ore e quando gli
attori unirono le loro mani inchinandosi davanti al pubblico, tutti, me
compresa, si alzarono in piedi applaudendo. Era stata
un’opera davvero
magnifica e a tratti anche commovente. Mi era piaciuta davvero un sacco!
Non appena fummo
fuori dalla sala, Christopher si
fermò a parlare con un paio di colleghi che, per fortuna si
mostrarono
abbastanza discreti da non fare al modello domande su chi fossi. Io,
preferii
allontanarmi da loro e avvicinarmi a guardare le diverse locandine dei
spettacoli che sarebbero stati messi in scena in questo teatro.
Notai che
sarebbero stati recitati diversi drammi,
tra cui Romeo e Giulietta, La signora delle camelie e Madama
Butterfly.
-Jane Ryan, sei
davvero tu?- sentii una voce
chiamarmi.
Mi voltai
trovandomi di fronte due occhi azzurro
ghiaccio e un sorriso di scherno.
-Mary Anne.- la
guardai.
-Che ci fai tu
qui?- mi domandò, voltando il capo a
destra e a sinistra. Stava cercando di capire chi fosse il mio
accompagnatore.
-Sono venuta a
vedere uno spettacolo. Non vedo nulla
di strano!- le risposi.
Notai, poi, con
la coda dell’occhio, Wilson
avvicinarsi. Ecco! La frittata era fatta ormai!
-Jane.- mi cinse
le spalle il modello, appena mi si
avvicinò.
Cercai di
divincolarmi dalla sua stretta, ma non ci
riuscii.
-Wilson, quale
piacere.- Mary Anne lo guardò negli
occhi, con una strana luce.
-Mary Anne
Williams, il piacere è tutto mio. – le
baciò la mano destra.- Ti presento Jane Ryan, una mia amica.
Ma, credo la
conoscerai già, lavorando allo stesso Giornale.
-Certo che ci
conosciamo già, vero Jane cara?
Annuii con il
capo, stringendo i denti. Avrei
accettato che tutti mi guardassero in compagnia del modello, ma non
questa oca
giuliva, interessata al bottino di Terence più di ogni altra
cosa.
-Bene, scusaci
ma ora dobbiamo andare Mary Anne. E’
stato un piacere.- Wilson la salutò con mia somma gioia,
prendendomi per mano.
-Ciao Wilson,
ciao Jane cara, a presto.- la strega
ci salutò muovendo le dita della mano.
Ricambiai il
saluto con un freddo “buonasera” e
seguii Wilson.
-Gli amici non
dovrebbero prendersi per mano.- ricordai
al modello quando fummo lontani
dalla Williams.
-Oh lo so Jane,
ma nella hall ci sono troppe persone
e non vorrei perderti. Piuttosto, ti va di cenare con me? Niente di
romantico,
tranquilla.- si voltò un attimo verso di me, sorridendomi.
Guardai
l’orologio legato al polso, notando che
erano già le undici.
-Domani
è sabato e non c’è lavoro.-
osservò, forse
avendomi guardato osservare l’orario.
Mi sembrava poco
carino rifiutare l’invito, infondo
non si era comportato male e nessuna fan aveva disturbato la serata.
-Va bene.-
accettai, dunque.
***
Dopo una cena a
base di salmone, frutta di stagione
e dessert al cioccolato, condita con qualche domanda del modello,
adesso
Christopher mi stava riaccompagnando a casa.
-Spero che lo
spettacolo ti sia piaciuto.- mi disse
ad un semaforo.
-Molto. Ti
ringrazio per avermi invitato.
-E di che!
Grazie a te per aver accettato.
Poco dopo, il
viaggio ripartì e una decina di minuti
dopo ci ritrovammo davanti la porta della casa mia.
-Beh…
allora ci vediamo lunedì al Giornale.- lo
guardai negli occhi, posando la mano sulla maniglia dello sportello.
-Ci vediamo
lunedì, Jane. Spero che la serata ti sia
piaciuta. Buonanotte.- mi tese la sua mano.
Gliela strinsi
ma prima che potessi liberare la
presa, me la baciò, come aveva fatto prima con Mary Anne.
Gli feci un
debole sorriso e uscii.
Seppur fosse
stato troppo sdolcinato e un po’ troppo
“confettoso” per i miei gusti, la serata con
Christopher Wilson non era andata
tanto male!
***
Il sabato
mattina mi svegliai alle dieci, vista la
lunga serata trascorsa il giorno prima e visto il fatto che oggi non
dovessi
andare a lavoro.
La prima cosa
che feci fu quella di accendere il mio
cellulare. Notai subito un messaggio di Terence risalente a ieri sera
che, per
la troppa stanchezza non lessi. Mi precipitai quindi a leggerlo.
Buonanotte
Jane Ryan! Spero tu abbia avuto una giornata abbastanza buona da
compensare la
mia. Purtroppo, sono venuto a conoscenza di cose che temevo che
sarebbero
successe ma che speravo non accadessero mai. Ti dirò tutto
al mio ritorno, e
spero che, se in questi giorni tu dovessi venire a conoscenza di certi
fatti
riguardanti me, a causa di radio
o
giornali (come sono quasi sicuro) tu non darai credito a tutto
ciò che
sentirai.
Dubito
che domani potremo sentirci, per cui non mi resta che augurarti un buon
weekend. A lunedì, giornata in cui farò ritorno
nella mia bellissima Edimburgo.
Terence
Rilessi il
messaggio almeno tre volte, mettendomi a
sedere sul letto e passandomi nervosamente una mano nei capelli.
Cosa intendeva
con “cose che temeva sarebbero
successe” e con il fatto che ne sarei venuta a conoscenza
tramite mass media?
Non so perché, iniziai a sentirmi preoccupata.
Speravo non
c’entrasse la sua salute.
Decisi,
così, di alzarmi per andarmi a consultare con
Abbie, a quest’ora sicuramente già sveglia.
Andai in cucina
e , come immaginavo, trovai la mia
amica intenta a preparare il caffè per la colazione.
-Buongiorno.-
cercai di sorriderle, malgrado le
parole di Terence lampeggianti nella mia mente.
-Buongiorno.-
rispose la mia amica, un po’ pallida.
Era seria e mi
guardava come se le dispiacesse per
me.
-E’
successo qualcosa?- le domandai allarmata.
Ma cosa cavolo
era successo?
-Prima pagina
del giornale.- mi indicò con il capo
una copia piegata dell’ Edinburgh
Evening
News presente sul tavolo.
-Non sapevo
leggessimo il giornale, la mattina.-
osservai avvicinandomi lentamente alla tavola.
-E’
venuto Tom a portarmene una copia, un paio di
ore fa.- rispose.
La guardai per
un attimo e poi, aprii il giornale.
Grandi
notizie per due delle famiglie più ricche di Edimburgo!
Fonti attendibili, infatti,
hanno raccontato alla redazione del Giornale che ieri al
“Toronto Congress
centre”, noto palazzo di congressi nella città
canadese di Toronto, sia stato firmato
un accordo tra i grandi magnati Ashling e Campbell. Da oggi, non a
caso, la Ashling
Corporation e la Campbell Enterprice sono due pilastri
dell’economia scozzese
affiliati tra loro. A mettere la ciliegina sulla torta, ci sarebbe il
fatto che
affinché i progetti delle due famiglie vengano messi a
completo compimento, i
loro figli, Terence Ashling (in basso la foto) e Tessa Campbell abbiano
deciso
di ufficializzare la loro relazione, ai
media tenuta ben nascosta in tutti questi anni, con un
fidanzamento.
Al
momento non ci sono giunte altre informazioni in merito ma…
Smisi di
leggere, sentendo un grande vuoto
all’altezza del cuore.
CONTINUA…
Za-za-za-zan…
xD
Ciaoo ragazze!!
Eccoci finalmente al tredicesimo
capitolo!!
Vi ho fatto
aspettare parecchio, eh? Spero possiate
perdonarmi, ma ho sostenuto la maturità in queste settimane
e tra mancanza di
ispirazione, tempo e stanchezza, sono riuscita a scrivere il capitolo
solo a metà luglio e
a pubblicarlo solo oggi! Spero che almeno la lunga attesa sia valsa a
farvi
leggere un capitolo decente.
Effettivamente
succedono diverse cose e sappiamo un
po’ di cosucce interessanti. Terence è diventato
cieco a causa di un incontro
di pugilato andato male, ma… perché boxava? E
poi... siete rimasti sorpesi come Jane, nell'apprendere che il nostro
protagonista ha perso la vista in questo modo? Spero di avervi
sorpreso! Christopher Wilson si fa sempre più
insistente e si viene a scoprire che tra lui e Mary Anne potrebbe
esserci un
piccolo legame… e infine, ma non per importanza ,sappiamo
che a quanto pare,
Terence si è fidanzato con una certa Tessa Campbell. Ma come
è possibile? Non
era il primo a non volere donne accanto? Cosa sarà successo?
Lo so, lo
so… troppi dubbi, e troppe domande.
Vedremo di rispondere a tutte nelle prossime puntate xD
A proposito di
prossime puntate… in questi giorni
stavo giusto pensando a quanti altri capitoli scrivere per
“Ad occhi chiusi” e
se tutto va bene, potrebbero volercene quattro o cinque alla
conclusione. Spero
di non farvi attendere troppo, come mio solito -_-‘’
Una cosa
importante che quasi dimenticavo di
scrivervi è che, per quanto riguarda la questione in cui
Terence spiega di
essere diventato cieco a causa di un’ ematoma cerebrale che
gli ha intaccato il
nervo ottico, ho chiesto consiglio a madre, che lavora in ospedale. Non
è un
medico ma mi ha dato qualche dritta! Chiedo scusa se magari, dal punto
di vista
medico ciò che ho scritto non è corretto, ma
è utile ai fini della storia ;)
Bene! Ora
è giunto il mio momento preferito: quello dei
ringraziamenti!
Ringrazio dunque : marioasi, romy2007,vieniesorprendimi,
e harrythepooh
per le magnifiche recensioni allo scorso capitolo! Un bacione grande
<3
Un grazie
speciale anche a : Wallflower19, guticamina
, AlanorHaner, martnaxjb_,
valy72,_KillyourDarlings, Justine, desire2011,
MariaAngela64, piano, Semrawit43, pinkprincess, harrythepooh e
CinziaCullen per aver aggiunto la
mia storia alle seguite! Siete tantissime! Grazie di cuore <3
Un grazie
speciale anche a : allemari, la
sopracitata valy72,
e matt1 per aver inserito
“Ad occhi
chiusi” nelle proprie ricordate. Un bacione <3
E infine grazie
mille a : feddiez, Dreamer_14,
e Severus e Lily per averla
aggiunta alle
preferite. Un bacione anche a voi <3
Vi ringrazio per
leggere sempre la mia storia, e per
non abbandonarmi mai sebbene gli immensi ritardi! Spero che il capitolo
sia
stato di vostro gradimento e spero di leggere qualche vostra opinione.
Un
bacione e alla prossima <3
Novalis
|
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Capitolo 14 *** Capitolo Quattordici ***
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo
Quattordici
A
volte siamo preda di una sensazione di tristezza che non riusciamo a
controllare. Intuiamo che l’istante magico di quel giorno
è passato e noi non
abbiamo fatto niente. Allora la vita nasconde la sua magia e la sua
arte.
(Paulo
Coelho)
Mi sedetti sulla
sedia più vicino a me, sospirando e
posando la copia del giornale sul tavolo.
-Baby, ti senti
bene?- mi chiese Abbie, piegandosi
sulle ginocchia e guardandomi negli occhi.
-Non lo so.-
ammisi.- Proprio prima di leggere questa
notizia, volevo farti vedere questo.- le porsi il mio smartphone acceso
alla
schermata dei messaggi.
La mia amica
lesse ciò che mi aveva inviato Terence,
rialzandosi poco dopo in piedi e assumendo un’ espressione
pensierosa.
-Questo
messaggio è molto importante, Jane. –
sospirò.- Dice poco ma allo stesso tempo dice tutto. Terence
scrivendoti di non
tener conto di tutto ciò che sarebbe circolato su di lui, ha
voluto suggerirti
che ciò che avresti potuto ascoltare o leggere è
una balla. In più, pensaci,
per i giornali notizie del genere sono come
il formaggio per i topi.
La mia amica mi
guardò negli occhi, ma sebbene
volesse sembrare convincente, la sua voce trasmise molto incertezza.
-Lo so
Abbie… anch’io penso che la verità non
sia
proprio quella scritta su questo articolo, ma…
-Ma?- mi
rimbeccò la mia amica.
-Ma ho un brutto
presentimento. Sento qualcosa nello
stomaco… sai come quando sei in ansia per qualcosa.
Probabilmente ciò che è
scritto su questo giornale è enfatizzato, ma un fondo di
verità ci sarà per
forza.
Abbie
sospirò.
-Ti ha scritto
che lunedì ne parlerete, quindi per
il momento non ti disperare e fatti forza.
Era
più facile a dirsi che a farsi!
***
Passai il sabato
e la domenica con un aspetto molto
simile alla Sposa
Cadavere di Tim Burton.
Non mangiai molto né scrissi nulla del nuovo articolo. Mi
sentivo triste e
debole.
Sapevo che il
mio atteggiamento poteva sembrare
eccessivo se si considerava che io e Terence non eravamo fidanzati,
né che ci
eravamo dichiarati amore eterno, ma negli ultimi tempi le cose tra di
noi
stavano andando bene. Si era mostrato molte volte dolce nei miei
riguardi e mi
aveva persino aperto parte del suo cuore raccontandomi il motivo per
cui era
diventato cieco. E adesso, leggere quelle cose e prima il suo
messaggio, mi
facevano sentire fragile. Era come se avessi perso ogni speranza di
costruire
con lui qualcosa che andasse oltre l’amicizia.
-Baby, baby?-
sentii la mia amica chiamarmi.
Evidentemente
aveva bussato parecchie volte alla mia
porta.
-Entra pure.- le
dissi, attorcigliandomi meglio la
coperta addosso.
-Stai
scherzando, vero?- fece arrabbiata, quando
aprì la porta.
-Che intendi?-
borbottai.
-Sei nel tuo
letto, sotto le coperte di domenica
pomeriggio e mi chiedi ‘che intendi’? – i
suoi occhi sparavano fiamme.
Assomigliava più ad un Cyborg in questo momento.
-Cosa
c’è di male?- le domandai, aggiustandomi
meglio il cuscino sotto la testa.
-C’è
di male che non sei malata eppure ti comporti
come se lo fossi. Baby…- il suo sguardo si
addolcì.- non si reagisce così
quando le cose non vanno bene. Capisco che quell’articolo ti
abbia spiazzata,
ma ti ho già detto di non giudicare un libro dalla
copertina, e che ciò che hai
letto potrebbe non essere altro che un’accozzaglia di parole,
scritte a opera
d’arte da un giornalista impiccione.- si sedette sul mio
letto.
-E io ti ho
già detto che ho una brutta
sensazione! Abbie,- la guardai negli
occhi.- Terence venerdì sera mi ha mandato quel messaggio,
perché qualcosa è
successo. – mi sentii gli occhi lucidi.- A me lui piace
tantissimo e sapere
che… che qualcosa potrebbe impedirmi di stare con
lui… mi fa tanto male.- sussurrai,
sentendo una lacrima bagnarmi una guancia.
-Oh cucciola,
non fare così.- la mia amica si chinò
verso di me e mi abbracciò.- Vedrai che tutto si
risolverà e che tutto svanirà
come una bolla di sapone.- prese ad accarezzarmi la schiena con una
mano e i
capelli con l’altra.
Stretta nelle
sue braccia, mi sentii libera di
piangere.
***
Il
lunedì mattina a nulla valsero i miei tentativi
di coprire le mie occhiaie. Avevo dormito poco e male nel weekend e la
mia
stanchezza andava ad aggiungersi alla mia tristezza.
Non avevo
neanche voglia di andare a lavoro, ma
preferivo distrarmi nel mio ufficio piuttosto che rimanere chiusa in
casa a
piangermi addosso.
Controllai
numerose volte il cellulare prima di
uscire di casa, ma di messaggi di Terence non ci fu neanche
l’ombra.
Presi
l’autobus, come al solito e ,quando arrivai al
Giornale, mi fiondai immediatamente nel mio ufficio, dove accesi senza
perdite
di tempo il mio pc.
I miei colleghi
lavoravano zelantemente ma, sentivo
alcuni sguardi addosso. Si vedeva tanto che non ero al massimo?
-Oh ragazzi,
quasi dimenticavo! Avete saputo degli
Ashling?- fece Price, dopo un po’.
Smisi di
scrivere, sentendo il sangue gelarmi nelle
vene.
-Intendi il
fatto che la Ashling Corporation e la
Campbell Enterprice sono diventate socie?- chiese Steve.
-Yes! Ma
soprattutto il fatto che Terence Ashling si
sia fidanzato con Tessa Campbell. Peccato che sia cieco lui…
avete visto quanto
è bella lei? Certo il fatto che abbiano avuto una relazione
segreta in questi
anni, mi lascia molto perplesso.
-Ma solo alla
bellezza estetica pensi tu?- lo
rimbeccò il mio collega.
-Gli occhi sono
fatti per guardare, caro mio!- rise
sguaiatamente Vincent.- Comunque, ricordo che si diceva che tu
conoscevi
Terence, è vero ciò che si legge, Jane?
Anche se non mi
mossi di un millimetro dalla mia
postazione, sentii nuovamente lo sguardo di tutti pesarmi addosso.
-Non so nulla.
Ora, se non vi dispiace, vado a
prendere un caffè.- decisi di rispondere.
Temevo che anche
a lavoro avrei sentito parlare del
“neo fidanzamento”, ma fino alla fine avevo sperato
che ciò non accadesse.
Rimasi di fronte
alla macchinetta del caffè per
qualche minuto, con il rumoreggiare dei modelli, dei fotografi e dei
vari
giornalisti attorno a me, finché mi sentii picchiettare la
spalla da qualcuno.
Non ci fu bisogno neanche di girarmi per capire chi fosse. Il
confortevole
suono di ciondoli appartenenti a bracciali etnici, mi fecero pensare
subito a
Barbara.
-Jane?
-Barbie?- mi
voltai trovandomi gli occhioni di
Barbara, guardarmi preoccupata.
-Stai bene? Ti
vedo un po’ sciupata. Hai fatto
colazione stamattina?
I suoi modi di
fare quasi materni, mi fecero
sorridere.
-Grazie
dell’interesse Barbie. Ho mangiato e sto
bene.- cercai di curvare nuovamente le mie labbra.
-Sei
giù per quello che ha detto Price?
-Stai
tranquilla. Sto bene, davvero.- le risposi,
finendo il mio caffè.
-Mhm, per il
momento faccio finta di crederci.- mi
diede un pizzicotto sulla guancia.- Facciamo che ne riparliamo
all’ora di
pranzo? Oggi ho portato da casa una ciambella fatta da me e mi
piacerebbe
condividerla con te e Fred… sai anche lui è
preoccupato.- mi posò una mano
sulla spalla.
-Va bene.-
accettai.
Non mi andava di
rattristire altre persone. E poi di
loro due potevo fidarmi.
Tornammo in
ufficio, dopo un po’. Cercai di scrivere
e di non perdere neanche un minuto. Proibii alla mia mente di pensare a
quel
maledetto messaggio e a quell’articolo, ma era davvero molto
difficile.
Un paio di ore
dopo, il ‘bip’ del mio cellulare, mi
fece sobbalzare. Presi a mani tremanti il mio Nokia, trovando un SMS di
Terence.
Ciao
Jane,
Sono
appena arrivato ad Edimburgo. Per fortuna il viaggio è
andato bene, ma come ti ho
accennato, ho passato una settimana non proprio rosea. Ti andrebbe di
fare due
chiacchiere, quando concludi il tuo orario di lavoro? Se sei
d’accordo verrei a
prenderti con Harrison al Giornale, e poi insieme potremmo fare una
passeggiata.
Ho da dirti delle cose.
Terence.
Lessi il
messaggio, cercando di fermare il tremore
dalla mia mano.
Accetto
volentieri. Ci vediamo alle 19.00 davanti al Giornale.- Jane
Dopo avergli
risposto, decisi di inoltrare il
messaggio ad Abbie, a cui aggiunsi un: “Aspettami
sveglia. Quando torno, avrò
sicuramente bisogno del tuo sostegno”.
***
-E’
davvero molto buono.- dissi alla mia collega,
inghiottendo un piccolo pezzo del suo ciambellone allo yogurt.
Non avevo per
nulla appetito, ma mi era sembrato
sgarbato non assaggiare neanche un po’ del suo dolce,
realmente molto buono.
-Grazie cara.-
mi sorrise.
-Ora che il tuo
animo si è addolcito ti va di raccontarci
perché sei così giù?-
continuò Freddie.
Guardare i suoi
occhi grandi e cristallini mi rese
ancora più triste. Mi tornarono alla mente alcuni dei
momenti passati con lui e
in particolare il giorno in cui mi lasciò, dicendomi di
volermi tanto bene ma
di non amarmi come avrei meritato, perché a lui non
interessava il genere
femminile. Inevitabilmente sentii i miei occhi farsi lucidi.
-Cosa vi fa
pensare che non stia bene?- abbassai lo
sguardo.
-Oh tesoro, ci
sono tante cose che ce lo dicono. In
primis il tuo volto pallido, poi le tue occhiaie che farebbero invidia
ad un
panda, e infine, ma non per importanza, il fatto che tu abbia abbinato
un
bauletto simil Prada
a un foulard Desigual.-
mi rispose il mio ex,
aggiustandosi la montatura quadrata sul naso.
Se non fosse
stato per la situazione, avrei
sicuramente riso per questa sua ultima affermazione. Freddie riusciva
sempre a
strapparmi un sorriso ed era stata proprio questa una delle cose che mi
avevano
fatto innamorare di lui, anni fa.
Barbara
annuì. Io sospirai.
-Beh in effetti,
non sprizzo proprio gioia da tutti
i pori e non sono l’allegria fatta a persona!- ammisi.- Il
perché non si
intuisce?
I miei colleghi
si guardarono. Poi si voltarono
nuovamente verso di me.
-Non crederai
mica a quelle stupidate che sono
scritte sui giornali sugli Ashling, no?- mi fece Freddie.
Abbassai il capo.
-Terence
venerdì mi ha mandato un messaggio.-
continuai.
Estrassi dalla
borsa il mio cellulare e feci vedere
loro cosa c’era scritto.
-Vedi? Anche
Terence ti ha fatto capire che
sarebbero circolate balle.-disse Freddie.
Sembrava molto
preso e interessato alla faccenda.
-Lo so,
ma… temo che solo una parte di ciò che
è
scritto su quel giornale sia una balla.- sospirai.
-Sicuramente
è falso il fatto che tra Terence e tale
Tessa Campbell ci sia stata una relazione in tutti questi anni, no?- mi
rivolse
uno sguardo Barbara.
-Sì
ho pensato lo stesso. E’ la parte del
fidanzamento che temo sia vera.- feci io.
Non mi ci volle
molto per entrare nuovamente nella
fase di tristezza acuta che mi aveva pervaso nel weekend e di
conseguenza
di permettere ad
una lacrima di
scendere.
Da quando ero
diventata così fragile? Odiavo il
fatto di essermi indebolita così tanto! Da quando mia madre
mi aveva
abbandonata, avevo promesso a me stessa che sarei stata una persona
forte, in
gamba, dignitosa, con la testa sulle spalle. E ora, mi rammollivo in
questo modo?
-Tesoro, ma
perché piangi? Nulla di ciò che è
scritto sarà vero, ne sono sicuro!- mi strinse una spalla
Freddie.
-Grazie
dell’appoggio ragazzi.- sorrisi loro,
sincera.- Ora è il caso che torniamo a lavoro! Stasera
incontrerò Terence e
domani vi farò sapere.- così detto, mi asciugai
gli occhi e mi alzai.
Sentii lo
sguardo dei miei amici su di me.
***
Per fortuna di
Christopher Wilson e di Mary Anne
Williams, oggi, non si era vista neanche l’ombra,
così quando scattarono le
sette, salutai educatamente i miei colleghi e mi fiondai fuori il
Giornale, non
prima di aver ricevuto un occhiolino da parte di Barbie e Fred,
però.
Qualche minuto e
finalmente vidi Terence. Uscì da
un’automobile diversa da quella con cui si era fatto vedere
ultimamente, ma
dallo stile dedussi fosse un’altra Lamborghini.
Prima che
potesse telefonarmi, cosa che intuii dal
fatto che prese dalla sua tasca un telefonino, mi avviai.
-Ciao.- gli
dissi, una volta che gli fui vicina.
Purtroppo la mia
voce uscì più fioca e abbattuta di
quanto volessi.
-Oh Jane, ciao.-
mi rispose.
Rimase in
silenzio per qualche secondo, con i suoi
occhi verdazzurri intravedibili dai suoi Rayban a goccia dalle lenti
colorate
di un pallido grigio, che sembravano guardarmi. Indossava dei jeans e
una
camicia chiara sotto un giubbotto rosso.
-Prego.- fece
poco dopo, tastando lo sportello del
suo veicolo e aprendomelo.
Quando mi
accomodai nei sedili posteriori, notai con
mia grande sorpresa, che non ci fu solo l’anziano autista,
bensì anche Ulisse,
il cane guida di Terence.
Appena mi vide
mi abbaiò per qualche istante, per
poi addolcirsi un po’ quando iniziai ad accarezzargli la
testolina morbida.
-Ciao
bellissimo.- sorrisi.
Sentii lo
sguardo di Harrison su di me, e dopo che
Terence si mise la cintura di sicurezza, l’auto
partì.
-Oggi ho portato
con me anche Ulisse, spero non ti
dispiaccia. Come ti ho scritto vorrei parlarti di diverse cose, e
vorrei farlo
passeggiando.
-Nessun
problema.- gli risposi.
Il silenzio
regnò per almeno dieci minuti, fino a
quando non gli chiesi se avesse cambiato auto.
-Sì.
Harrison mi ha detto che oggi ha scelto una
Lamborghini Aventador. Ti piace?- mi chiese.
-E’
bella.
Non ero di molte
parole, in quel momento.
Rimanemmo in
silenzio per un altro po’ di tempo, poi
Harrison parcheggiò vicino ad un parco nella Old Town.
Probabilmente ci ero già
stata con Abbie qualche anno fa, perché il posto non mi fu
nuovo.
Scesi
dall’auto e l’anziano autista aiutò
Terence
con Ulisse, poi mi guardò intensamente, e infine se ne
andò. Mi chiesi perché
mi avesse guardato in quel modo. Dedussi che non ci fosse nulla di
buono
nell’aria.
-Siamo di fronte
ad un parco, giusto?- fece, poi
Terence.
-Sì.-
mi limitai a rispondere.
-Bene. Ti
andrebbe di fare una passeggiata al suo
interno?
-Va bene.
-Ti va di
tenermi per mano? Devo ancora abituarmi
completamente a farmi guidare da Ulisse.
Feci come mi
aveva chiesto. Come la prima volta,
provai una piacevole sensazione ad avere la mia mano nella sua. Era
più grande
della mia, fresca e delicata. Le mani di Terence erano belle. Forti,
dalle dita
squadrate e dalle unghie ben curate.
Poi, iniziammo a
camminare.
-Come stai,
Jane?- mi domandò.
Mi morsi le
labbra.
-Direi…
bene.- mentii.- E tu?- continuai.
Lo osservai.
Volevo capire quale fosse il suo stato
d’animo.
-Mentirei se ti
dessi la stessa risposta che mi hai
dato tu. Purtroppo questa settimana sono successe cose che non avrei
voluto che
accadessero. Ma ne parleremo tra poco, ti va adesso di dirmi come sei
vestita?
Rimasi un
tantino sorpresa per questa sua richiesta.
La mia eccessiva sete di risposte, voleva essere placata il prima
possibile.
-E’ da
tanto che non me lo chiedevi.- osservai.
-Hai ragione.
Ammetto di aver provato a immaginare
da me il tuo abbigliamento, le scorse volte.
-Capisco.
Comunque non indosso niente di
particolare. Ho un jeans, una camicia bianca, un cardigan grigio e
delle All
star nere.
-Un look
casuale, direi. Suppongo sarai molto
comoda.- strinse la presa delle nostre mani.- Ora, potresti dirmi cosa
ci
circonda?
Lo guardai. Poi
voltai il capo verso ciò che mi
circondava. Non mi andava, a dir la verità, di parlare di
vestiti né di
paesaggi, ed ero sicura che anche il mio tono di voce non lasciasse
trapelare
molto entusiasmo. Comunque, decisi di accontentarlo.
-E’ un
normale parco. Abbiamo tanti alberi, dei
lampioni ai lati del viale che stiamo percorrendo, e un grande prato ci
affianca.- conclusi.
-Tutto qui?
Dov’è finita la Jane che mi fece una
descrizione così impeccabile una volta, da parlarmi di
bottoni grandi, rossi e
lucidi appartenenti a un giubbotto di jeans? E’ successo
qualcosa, Jane?- il
suo tono era preoccupato.
Davvero non
immaginava il perché fossi un po’ giù?
-Ti
ricordi
ancora di quando ti descrissi quel giubbotto?- cambiai argomento.
-Mi ricordo
sempre delle cose che mi interessano.
Però, hai cambiato discorso…
Sospirai.
-Hai letto delle
cose che mi riguardano, vero?-
continuò, girando verso una zona piena di giostrine.
-Può
darsi.- gli risposi.
-Capisco.-
Terence si schiarì la voce.- Il mio
consiglio di non dare credito a tutto quello che avresti potuto
ascoltare in
merito a me, non l’hai tenuto in considerazione,
vedo…! In ogni caso, posso
chiederti una cosa, prima di affrontare questo argomento?
Annuii con il
capo, poi ricordandomi che Terence non
avrebbe potuto vedermi, gli risposi di sì.
-So che non ho
il diritto di farti domande sulla tua
vita privata ma… ho saputo che sei uscita con un ragazzo
giorni fa, quindi… mi
chiedevo come fosse andata.
Mi voltai a
guardarlo. Aggrottai le sopracciglia.
-E tu come fai a
sapere che sono uscita con un
ragazzo?
La mia voce
uscì un po’ troppo alta.
-Me
l’ha detto Mary Anne. Sai, mi telefona ogni
tanto. Dice di averti incontrato con un modello a teatro
l’altra sera.- mi
rispose.
Cosa? Mary Anne
aveva fatto una cosa del genere? Con
quale diritto? Stupida oca! Non appena mi fosse capitata davanti,
l’avrei
mandata a quel paese una volta per tutte!
-Com’è
premurosa, Mary Anne. Raccontarti ogni cosa
che vede e sente deve costarle molta fatica.- feci sarcasticamente.- In
ogni
caso, il ragazzo in questione è il modello di cui ti ho
già parlato, e la
nostra è stata solo un’uscita tra amici, niente di
più…
Non me la
sentivo di portare a compimento il piano
di Abbie di fare ingelosire Terence. O almeno non più, viste
le cose successe.
-Capisco.
Beh… la mia non voleva essere una domanda
invadente. Voglio solo che tu sia felice, Jane. Se questo ragazzo
può farti
stare bene, dovresti continuare a frequentarlo.- strinse maggiormente
la mia
mano.
Non capivo
perché mi stesse facendo un discorso del
genere.
-Perché
mi dici queste cose? Ti ho già detto che
siamo solo amici, no?
Mi fermai
notando una panchina.
-Perché
ti sei fermata?- sviò la mia domanda.
-Ho notato una
panchina. Ti va di sederti?
-Certo.- rispose.
Ci accomodammo
mentre Ulisse si posizionò vicino ad
un cespuglio, nei pressi della panchina. Era un cane sveglio e
intelligente.
-Ti ho detto
quelle cose perché siamo amici. –
riprese in mano il discorso di prima.
-Perché
siamo amici.- ripetetti scettica.- Comunque,-
mi schiarii la voce.- ora tocca a te parlarmi di ciò che
è successo in questa
settimana. Do ut des, ricordi?
L’aria
si era fatta più fredda attorno a noi, e
notai qualche chioma alberata iniziare a muoversi al ritmo del vento.
Il parco
era semi vuoto, se non per qualche anziano signore o qualche persona
che
portava a spasso il proprio cane.
-D’accordo
parliamone, Jane. Tu cosa hai letto o
sentito su di me, innanzitutto?
Notai che
Terence aveva il capo fisso davanti a sé e
che le sue mani erano posate a palmo aperto sulle sue gambe.
Sembrava
tranquillo, come se ciò che gli fosse
capitato a Toronto non lo avesse sconvolto più di tanto. O
almeno così faceva
credere. Era pur vero che Terence era fatto così: non era
una persona che amava
molto parlare di sé o che amava mostrarsi vulnerabile. Il
più delle volte si era
presentato come un ragazzo dalla maschera di ghiaccio, freddo e
solitario.
-Ho letto un
articolo dell’Edinburgh Evening News.-
risposi.
La mia voce
uscì flebile.
-Questo articolo
mi manca. Potrei chiederti cosa vi
fosse scritto?
Mi portai una
ciocca di capelli dietro l’occhio.
-Era scritto
che… che,- mi schiarii la voce,- che la
tua famiglia e la famiglia Campbell sono diventate socie in affari e
che tu, dopo…
dopo anni di relazione segreta con una tale Tessa Campell, hai
ufficializzato
il vostro rapporto, con un fidanzamento.
Tossii per
mascherare la tristezza.
-Interessante.-
fece ironico.- Beh, come ti scrissi
e come immaginavo, i giornali hanno stravolto un po’ i fatti
anche se ammetto
che questo articolo è il più aderente alla
realtà. Sai mi hanno detto che in
alcuni era scritto persino il tipo di anello che ho detto a Tessa e in
cui
veniva descritta nei minimi dettagli la sala in cui festeggeremo il
matrimonio.
Roba da non crederci.- continuò.
Era difficile
decifrarlo. Il suo timbro vocale era
neutro.
A quelle parole,
mi sentii ancora più giù di morale.
Cosa intendeva?
-Quindi mi stai
dicendo che ciò che ho letto, è
vero?- riuscii a domandargli con un groppo alla gola.
Mi voltai e lo
guardai di profilo.
-Eccezione fatta
che per la parte riguardante la
relazione che dura da anni tra me e Tessa, direi di sì.-
rispose soltanto.
Sentivo il cuore
battermi forte nel petto. Avevo
ragione, allora.
-Quindi ora sei
fidanzato? E tutti i tuoi stupidi
discorsi sul fatto che le donne sono tutte delle gallinelle interessate
al tuo
denaro?- feci nervosa, guardandolo.
-Perché
ti scaldi tanto, Jane?- voltò il capo verso
di me.- Quei stupidi discorsi li pensavo veramente, non credermi
un’ipocrita. E
non pensare che questo fidanzamento l’abbia voluto io. Questa
settimana, sono
partito con la convinzione di dare qualche aiuto a mio padre, vista la
mia
laurea in economia, e invece sono stato fregato. – concluse.
Il suo tono si
era fatto più alterato.
-Che intendi?-
continuai a guardarlo.
-Partiamo
dall’inizio. Hai mai sentito parlare della
Ashling Corporation?- voltò il capo verso di me.
-Sì…-
ammisi.
Omisi di dire
che ne avevo sentito parare dai miei
colleghi perché avevo chiesto di lui.
-Bene. Quindi
saprai che è un’azienda di pneumatici
e pezzi interni di automobili gestita da mio padre, giusto?
-Sì.
-Perfetto.
Beh… la questione è molto semplice. Con
mio padre non ho mai avuto un bel rapporto, ma quando si tratta di
problemi
all’azienda, chiede sempre il mio aiuto. D’altronde
mi ha costretto a laurearmi
in economia, perché non sfruttare le mie conoscenze? Peccato
che ultimamente si
sia immischiato in cose che gli avevo caldamente consigliato di lasciar
perdere.- si toccò i capelli con una mano.
-Cose di che
tipo?- gli domandai.
Il cuore non la
smetteva un secondo di battere
freneticamente.
-Ha stretto
degli accordi con un gruppo di
portoricani. Solo troppo tardi si è accorto che questi sono
immischiati in
traffici non proprio legali. Morale della favola: ha perso buona parte
dei suoi
utili e ora la Ashling Corporation rischia di fallire.
L’unica alternativa a
questa miserevole fine è stata quella di diventare soci con
la Campbell
Enterprice, corporazione un tempo nemica a quella di mio padre.
–Terence
sospirò.- Non è stato facile, però,
scendere a patti con i Campbell, ma è
bastato che mio padre gli parlasse dei suoi figli per far sì
che si accendesse
la lampadina al signor Taylor Campbell ,padre di Tessa, unica erede
della Campbell
Enterprice. Essendo mio fratello già sposato, indovina a chi
hanno pensato?
-Quindi Taylor
Campbell aiuterà tuo padre a far
restare in piedi la vostra azienda solo se sistemerà sua
figlia nella tua
famiglia?- chiesi con un groppo in gola.
-Esatto. Mio
padre, da buon egoista qual è ,ha
accettato e ora mi trovo coinvolto in questa farsa. Temevo che sarebbe
successa
una cosa del genere perché… mio padre
è fatto così! Testardo, cocciuto ed
egocentrico.- concluse con tono aspro.
-E adesso?- feci
guardandolo.
Terence si
sfilò gli occhiali da sole e prese a
toccarsi l’inizio del naso con l’indice e il
pollice.
-E adesso?-
ripetette.- Adesso niente. Devo stare al
gioco o l’impresa della mia famiglia fallirà.
-Ma…-
ero a corto di parole.- Ma non puoi cedere, Terence.
Non è mica colpa tua se tuo padre non ha voluto ascoltarti e
si è immischiato
in questa situazione.- sbraitai.
-Non
è colpa mia, ma di certo non posso lavarmene le
mani. Per quanto non sopporti mio padre, non posso permettere che la
Ashling
Corporation fallisca. Certo, se lo meriterebbe, ma non essendo io una
persona
autosufficiente non posso farci nulla.
-Ma non puoi
ribellarti? Voglio dire, non è giusto.
Tu non la conosci, voi… non vi amate, voi…-
cercai disperatamente delle parole
adatte.
-Jane non
posso…- continuò a bassa voce.
-Quindi…
hai voluto incontrarmi solo per dirmi che
da bravo burattino, ti sei fidanzato con questa tizia e non farai nulla?
Terence non
rispose.
Pochi secondi e
sentii qualcosa bagnarmi le guance.
Bello! Ci mancava solo che piangessi.
-Che fai,
piangi?- mi domandò, tornando a volgere il
capo verso di me. Non aveva gli occhi funzionanti ma sentiva bene
qualsiasi
minimo suono. Il mio tirare su col naso doveva essersi sentito.
Sembrava
guardarmi, ora che i suoi occhiali erano
posati sul colletto della sua camicia.
-Perché?-
mi chiese ancora. La sua voce era triste.
-Mi chiedi anche
perché?- quasi urlai, alzandomi in
piedi. -Mi sono affezionata a te Terence, porca miseria. Non lo
capisci? Come
puoi chiedermi perché pianga sapendo che tu ti sei unito ad
una persona che
neanche conosci? Che ti stai facendo trattare da burattino? Che non
vuoi fare
nulla per cambiare le cose?
Le lacrime
continuarono a scorrermi lungo le guance.
-Jane, dammi le
mani.- mi disse, poco dopo.
-Non voglio
darti le mani, voglio che… che tu
reagisca.- chiusi le mani a pugno.
-Ti prego.-
chiese con voce flebile.
Mi arresi.
-Jane, Jane,
Jane.- ripetette il mio nonno in
maniere dolce, come se stesse cantando una ninna nanna.- Sei
consapevole di
essere una bella
persona, sia dentro che
fuori, vero? Perché devo ammetterlo! Non mi piace espormi
troppo né fare lo
sdolcinato, dovresti averlo capito, ma… quando ti toccai il
volto, qualche
settimana fa, ne rimasi… incantato. Sei intelligente, sei
dolce, sei simpatica,
sei ironica, sei divertente, sei bella… solo un pazzo non
potrebbe innamorarsi
di te. – sorrise di uno dei suoi strani sorrisi.- Mi piace il
suono della tua
voce e della tua risata, mi piace il tuo profumo e mi piace immaginarmi
la tua
espressione quando ti arrabbi. Ma la realtà è che
non sempre le cose vanno come
vorremmo e che non sempre i nostri sogni si realizzano.- mi strinse
forte le
mani.- Se fossi stato ancora un vedente, stai sicura che…
che avrei provato a
fare tante cose… chissà! Magari ti avrei anche
fatto una corte sfacciata fin da
subito, invece…- sospirò.- invece, non posso. Tu
mi dici di reagire, ma come?
Cosa potrei fare? Non ho neanche i mezzi per costruirmi una vita tutta
mia.
Lavoro, è vero, ma ciò che guadagno non mi
permetterebbe comunque di
allontanarmi dalla mia famiglia, e di certo non chiedo soldi a nessuno.
Mio
padre, per una serie di ragioni che non voglio raccontarti, non merita
il mio
aiuto, né la mia fiducia, ma non ho molte alternative. Per
lo meno, avrò una
donna a farmi compagnia.- sospirò, lasciando le mie mani.
-Non la pensavi
prima così.- lo guardai.
Ero rimasta
colpita dalle parole che mi aveva
rivolto. Così dolci, così sincere. Mi aveva fatto
capire che gli piacevo e non
potevo che esserne felice, ma l’ultima parte del discorso
aveva rovinato la
magia che si era creta con la prima.
-Sono costretto
a pensarla così. E comunque ammetto
che definire tutto il genere femminile approfittatore, non è
stato molto carino
da parte mia. Ora sono impegnato con una donna, e devo accettarlo.
-Con una donna
che neanche conosci, però.- feci con
rabbia.
Odiavo la
passività. Odiavo chi non si ribellava di
fronte alle ingiustizie, non facendo nulla per cambiare le cose.
-Jane, non ho
alternative. L’impresa della mia
famiglia è sull’orlo del baratro e se fallisce
tutto, fallisco anch’io. Come
devo fartelo capire?- abbassò il capo.
-Ma che dici,
Terence? Non puoi permettere a nessuno
di trattarti come se fossi un giocattolo, lo capisci? Fallire? Cosa
c’entri tu
con gli errori di tuo padre? Non avete un buon rapporto, e nonostante
tutto tu
gli sei stato d’aiuto, dandogli dei consigli che non ha
voluto accettare, e ora
mi vieni a dire, di voler pagare i suoi errori, sposando una perfetta
sconosciuta?
Ero super in
collera.
Terence
sospirò.
-Non puoi
capire, Jane. Forse nella tua mente ti sei
creata un’immagine di me completamente differente da
ciò che sono nella realtà.
Sono un disabile, un cieco, una persona non autosufficiente.- si
alzò anche
lui.
-Sei tu che non
capisci.- gli puntai il dito contro.-
Non capisci che il fatto che tu sia cieco, non ti rende un peso, un
mostro, o
un essere inutile. Non ci vedi, okay, è terribile, ma
ciò non significa che tu
debba farti manovrare dagli altri. Sei intelligente, sai suonare il
pianoforte
come nessun’altro abbia mai sentito, sei in gamba, ascolti
buona musica e sei
tanto bello. Perché non ti apprezzi come
faccio io?
-E’
una sorta di dichiarazione, Jane Ryan? Mi stai
dicendo che ti piaccio?- cambiò discorso.
Feci un respiro
e decisi di calmarmi.
-Cambierebbe
qualcosa se ti dicessi di sì?- gli
confessai.
Tanto valeva
arrendersi e dire tutto. Gli
avvenimenti avevano prese una piega tale che tergiversare ancora, era
inutile.
-Non credo.- fu
la sua risposta.
Eravamo entrambi
tristi, stanchi ed adesso eravamo
l’una di fronte all’altro.
-Okay
Jane… direi di finirla qui. Sento che sei
agitata e anch’io sono… stanco. Ci tenevo a
incontrarti e a raccontarti tutto.
Purtroppo però, temo che questo rientri in uno dei nostri
ultimi incontri.
Mi asciugai le
lacrime e aggrottai le sopracciglia.
-C-che cosa?-
balbettai.
-Credi che
continuare a uscire insieme, sia una cosa
giusta?- mi chiese.
-Perché…
perché non dovrebbe?
-Sono fidanzato
Jane. -Il suo tono era tornato
freddo.- So di averti promesso di andare a fare visita ai miei amici al
centro
di riabilitazione ma…- lasciò cadere la frase.
Mi sentivo come
se qualcuno mi avesse trafitto con
un coltello affilato e ghiacciato. La stessa identica sensazione che
provai quando lessi
la lettera di mia madre, nel
salotto della mia vecchia casa, con il suo profumo troppo forte ancora
a
circondarmi e pronto a stordirmi. Quando capii che lei mi aveva abbandonato, per
scappare con un
altro uomo. Il senso di abbondono, di vuoto, di freddo interiore.
-Bene.- feci
arrabbiata.- Credo di essermi solo
illusa. Pensavo fossi una persona migliore e invece… sei
solo un vigliacco
Terence Ashling. Il peggiore vigliacco che abbia mai conosciuto.- gli
urlai
contro.
Poi inizia a
indietreggiare. Volevo allontanarmi,
volevo andarmene.
-Chiama il tuo
autista. Io me ne vado.
Iniziai a
correre, ignorando la voce di Terence che
chiamava il mio nome.
CONTINUA…
Ciaoo ragazze!!!
^__^
Grazie per aver
letto anche questo quattordicesimo
capitolo. Sebbene più breve e più triste dei
precedenti, spero vi sia piaciuto!
Il caro Terence è fidanzato con Tessa, figlia
dell’imprenditore Taylor
Campbell, ed è deciso a non fare nulla per cambiare le cose.
La cara Jane è
distrutta dalla tristezza…
Purtroppo era
necessario un capitolo del genere…
Vorrei
ringraziare tutte voi che leggete sempre la
mia storia, nonostante i ritardi e in particolare romy2007
per la recensione all’ultimo capitolo. Un bacione a te,
grazie mille! :*
Un grazie a : sil_1971,
Arda, jusslaughx
e missC per
aver aggiunto “Ad occhi chiusi” alle proprie
seguite. A: Clojuno, a jusslaughx e missC
per averla aggiunta alle proprie
ricordate e a: amore77, Mar_Love, The_Teenager_Romantic_99
e alla sopracitata jusslaughx per
averla inserita nelle proprie preferite! <3
Grazie di cuore!!
Ci
vediamo al 15 capitolo! Spero di avere il piacere
di leggere qualche vostra opinione! Baci :*
|
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Capitolo 15 *** Capitolo Quindici ***
AD
OCCHI CHIUSI
Capitolo
Quindici
L’insicurezza
è la gabbia di chi trattiene tutto dentro
(Clex71, Twitter)
Quando fui
davanti la porta della mia casa, tentai
maldestramente di asciugarmi le lacrime dagli occhi, con il palmo della
mano.
Non volevo fare preoccupare troppo la mia amica, ma sentivo
come se dentro di me avessi un
rubinetto pronto, al minimo soffio di vento, a gocciolare. Quando mi
sentii
pronta, infilai la chiave nella toppa, feci un bel respiro e entrai.
-Baby sei tu?
La mia amica
uscì dalla cucina, con una vestaglietta
colorata a coprire il suo corpo minuto e con gli occhi pieni di
curiosità
nascosti dietro gli occhiali da vista.
-Oh tesoro, ma
cos’è quel faccino!- mi venne
incontro, guidandomi dall’ingresso in cucina.
Mi sedetti sulla
stessa sedia su cui mi ero seduta il
giorno prima, e presi a fissare lo schermo della tv, ora acceso.
-Beh? Cosa
è successo?- continuò preoccupata la mia
amica.
Mi passai
nervosamente una mano nei capelli e con
lentezza iniziai a raccontarle tutto. Abbie rimase in silenzio fino
alla mia
ultima parola, mordendosi le labbra ogni tanto e stringendomi la mano
quando
conclusi.
-Non ci possi
credere! E’ assurdo… credevo che
tenesse a te, Jane.- mi guardò negli occhi.- E’
davvero impossibile che si sia
piegato al volere del padre, in questo modo!
Non ha un bel rapporto con lui, lo ha sicuramente fatto
vivere in una
prigione soffocante tra imposizioni varie, e lui che fa? Lo aiuta pure!
–
strinse i pugni nervosamente.- Ma quello che mi chiedo è: la
madre? Non fa
nulla? Non si ribella? Certo se è come il marito posso anche
capire.
-Non so niente
della madre. Non me ne ha mai
parlato.- sussurrai.
-Devo
assolutamente parlare con Thomas. Lui
sicuramente può chiarirci la situazione.
-E cosa potrebbe
fare Thomas? Terence ha preso la
sua decisione e ti posso garantire che il modo in cui mi ha parlato,
così
freddo e distaccato, era la prova lampante che non cambierà
idea per niente e
per nessuno. E’ solo un vigliacco.- sospirai.
Sentii gli occhi
farsi di nuovo lucidi.
-E’
proprio uno stupido se non fa niente. Davvero,
non mi capacito di come abbia fatto a rivolgerti certe frasi! Ha avuto
anche il
coraggio di farti capire che gli piaci e allo stesso tempo di dirti che
forse
ti sei creata un’immagine di lui diversa di
com’è nella realtà. Ho il desiderio
di andare a dargli due schiaffoni. Anzi quasi quasi ci vado adesso.-
Abbie si
alzò in piedi, nervosa.
-Nessuna
uscirà da questa casa.- le dissi, tirandola
a sedere.- Io ho fatto il possibile, Abbie. Ho cercato di convincerlo
che la
sua disabilità non è motivo di
inferiorità, ma a quanto pare…- lasciai cadere
la frase, posando la testa sul tavolo.
Sbattei diverse
volte le palpebre degli occhi per
evitare di piangere di nuovo.
-L’insicurezza
rovinerà la vita a quello lì. Un
conto è farsi condizionare dal proprio padre su un corso di
studi, cosa già
orrenda, un conto è farsi imprigionare in un fidanzamento
con un’estranea.
Secondo me Terence non ha la minima idea di cosa significhi condividere
il
proprio tempo con una persona, a lungo. Si sta convincendo che ,in
fondo, il
fidanzamento non è nient’altro che
un’altra imposizione del padre.
-Non mi importa
più niente.- le dissi, tirando su
con il naso.
-Ehi! Ehi! Ehi!
Jane Ryan, alza la testa dal tavolo
e guardami negli occhi.- mi ordinò.
Feci come mi
aveva chiesto, guardandola con gli
occhi pronti a sgorgare lacrime, da un momento all’altro.
-Se vuoi
piangere, mi sta bene. Ma che sia chiaro,
puoi piagnucolare solo questa sera, poi da domani si ritorna forti e
combattive. – fece con tono perentorio.- Terence ha fatto la
sua scelta, ora
tocca a te. Rimarrai a deprimerti tutto il tempo o continuerai con la
tua vita,
più forte di prima? Ti do un suggerimento: la seconda. Sono
stata io che ti ho
fatto conoscere Terence, io quella che ha creduto in voi due e sono
sempre io
che ti dico di smettere di pensare a lui. So che sarà
difficile e che farà
molto male, ma tu devi farlo Jane, per il tuo bene. Credo di aver
inquadrato
gli Ashling. Se Terence non ha voluto ascoltarti non credo che tu possa
fare
altro. Tocca a lui prendere la sua strada.
Annuii con il
capo, arrendendomi e lasciando il via
libera a delle lacrime.
Abbie mi strinse
tra le sue braccia.
-Sembra strano
che proprio che ti ho sempre spronato
a farti avanti, ti dica di arrenderti, ma lo faccio perché
ti voglio bene. Ora
però asciugati le lacrime e vai nella tua camera. -fece con
tono materno.
-La
verità è che non gli sono mai piaciuta, Abbie.-
lasciai liberi i miei pensieri, contro il suo petto.- Tutto quel
discorso sul
fatto che io sia bella e che se fosse stato un vedente mi avrebbe
corteggiato,
è stato solo un modo…- singhiozzai,- di indorarmi
la pillola.- continuai a
piangere.
-Non dire
sciocchezze.- mi accarezzò i capelli.- A
Terence piaci, e sono tante le cose che lo dimostrano, è
solo che… che… forse
si sente prigioniero di qualcosa di troppo grande, da cui non riesce a
liberarsi.- sospirò.- Non devi pensarci più, te
l’ho detto.
Mi
cullò nelle sue braccia, fino a che non smisi di
singhiozzare. Poi liberò il nostro abbraccio, dandomi un
bacio sulla fronte.
-Adesso ordino
due pizze e vado a comprare il gelato
al cioccolato, che ti piace tanto, dal supermercato sulla strada,
okay?- mi
diede un bacio sulla guancia, prima di lasciarmi e alzarsi in piedi.
-N- no non ho
molta fame,- raccolsi con l’indice
alcune lacrime.- facciamo che vado a letto a dormire.- mi alzai
anch’io.
-E invece tu
mangerai.- mi lanciò un’occhiataccia.
Quando voleva,
Abbie sapeva essere un vero e proprio
comandante d’esercito.
-Ma hai detto
che mi concedevi questa sera per
piangere.- curvai leggermente le mie labbra, asciugandomi gli occhi con
il
palmo della mano.
-Sì
ma non ho mica detto che non avresti mangiato.
In realtà, pensavo saresti tornata tardi ma invece sei
rientrata giusto per
l’ora di cena.- mi fece un occhiolino e si
allontanò dalla cucina.
Sapevo che i
suoi erano tentativi per distrarmi, ma
questa sera neanche il miglior film comico mi avrebbe potuto far
sollevare il
morale. Domani, però, promisi a me stessa che non avrei
versato neanche una
lacrima. D’altronde come avrebbe detto Rossella
O’Hara di “Via Col Vento”: Domani
è un altro giorno.
Quando rientrai
in camera, mi sedetti sul mio letto
sospirando. Sulla scrivania dove di solito scrivevo parte dei miei
articoli,
troneggiava il vaso con la rosa che mi aveva regalato Terence pochi
giorni fa.
Bianca a simbolo della purezza che probabilmente lui aveva visto in me. Il mio primo impulso fu
quello di distruggerla e
buttarla, ma poi osservando il suo candore decisi che l’avrei
lasciata lì a
ricordarmi di una giornata in cui Terence mi aveva sorriso e in cui il
mio
cuore aveva bussato forte contro il mio petto, nella speranza di unirsi
al suo.
***
Contro ogni mia
aspettativa la notte dormii un sonno
profondo. Forse per le troppe lacrime che avevo versato durante il
giorno prima
o per la troppa stanchezza che avevo accumulato nel weekend, la mattina
dopo mi
svegliai con gli occhi riposati e con le occhiaie meno profonde. Accesi
il mio
cellulare per controllare messaggi e eventuali mail, e quando notai una
chiamata persa, sentii il mio cuore agitarsi. Quando la aprii notai che
giungeva da una compagnia telefonica. Chissà che avevo
creduto!
Per fortuna, a
rendere meno grigia la mia giornata,
ci pensò Abbie che mi servì un cornetto e una
cioccolata calda per colazione.
-Spero che ti
piaccia il cornetto. L’ho preso poco
fa dal bar del signor Macintosh.- fece sorridente versandosi del
caffè
italiano.
-Come farei
senza un’amica come te?- le risposi io.
-Non lo so,
sinceramente. – ridacchio.- Ma ci sono,
quindi no problem baby.
Riuscii a ridere
anch’io.
I ricordi della
sera precedente erano ancora vivi in
me e pulsavano nella mia testa come una ferita aperta e bruciante. Ero
giù di
morale e non avevo molte energie, ma di certo avrei mantenuto la
promessa che
avevo fatto a me stessa di non versare neanche una lacrima.
-Comunque…-
si schiarì la voce.- Come stai, Jane?-
mi guardò preoccupata.
Sospirai e
abbassai la testa.
-Diversamente
bene.- le risposi, mordendomi
l’interno di una guancia.
Abbie
annuì soltanto, senza dire nulla.
-Senti che ne
dici se venerdì, dopo il lavoro, andiamo
a fare shopping e al parrucchiere? Un cambio di look non
potrà che farci bene.-
mi propose la mia amica, addentando un biscotto al cioccolato.- Ti
avevo detto
tempo fa che avrei voluto ravvivare un po’ i miei capelli
spenti, quindi… quale
migliore occasione?
-Cambio di
look?- chiesi scettica.- Anche per me?
-Sì,
perché no! Ti ci vedrei proprio bene con dei
colpi di sole o con una frangetta.
-Ci penso.- le
feci un occhiolino.
-Brava la mia
baby. Vuoi che ti accompagni io al
lavoro? Monto alle nove il turno oggi.
-Abbie- la
ammonii- sono triste, non malata. Posso
prendere benissimo l’autobus come al solito.
Anche se non ero
del tutto sicura che la tristezza
non fosse una malattia.
-Lo so. Infatti
voglio farlo perché mi va. E’ un
piacere se posso passare del tempo con te, quindi…
-E non
è un problema per te accompagnarmi fino al
Giornale?- piegai la testa di lato.
-Assolutamente.-
rispose con convinzione.
-E va bene.- mi
arresi.
Dopo esserci
preparate, il viaggio partì e arrivai
davanti l’Edinburgh Fashion Magazine,
cinque minuti prima del solito.
-Vengo anche al
ritorno, okay? Ci vediamo alle
sette.
Abbie
sparì prima che potessi dirle di non
preoccuparsi. Non
avrei saputo davvero
cosa fare, se non ci fosse stata lei!
Quando varcai la
porta principale del Giornale, tra
il chiasso e il fermento generale dei modelli e dei fotografi, mi
appuntai
mentalmente che oggi avrei parlato con Mary Anne. Sapere che si era
presa il
permesso di rivelare a Terence del mio appuntamento con Wilson, mi
aveva
infervorata, e non poco. Non era nessuno per prendersi certi diritti!
Mi chiesi
se fosse venuta a conoscenza che il suo bel
“bottino” si era ufficialmente
fidanzato.
Camminai a capo
chino lungo i vari corridoi nella
speranza di evitare di incontrare persone e di conseguenza di
sprigionare
sorrisi che oggi non ero disposta a dare, e salii
le varie scale finché non arrivai
davanti al mio ufficio.
-Buongiorno.-
esordii quando entrai.
Price e Steve
non ancora arrivati, in compenso
c’erano Barbie e Freddie che sorseggiavano caffè
di Starbucks, guardando un
giornale di pettegolezzi. Quando li salutai, sollevarono lo sguardo dal
giornaletto, e mi guardarono con entusiasmo. Sembrava che non vedessero
l’ora
di vedermi. Qualcosa mi diceva che avrei dovuto fare anche a loro un
resoconto
dettagliato delle tristi vicende di ieri sera.
Mi sedetti alla
mia sedia, mentre loro due
preferirono la mia scrivania come cosa su cui sedersi.
-Buongiorno
colombella.- mi sorrise Fred.
-Ciao cara.-
continuò Barbara, attorcigliandosi un
ricciolo attorno all’indice.
Le loro
espressioni sembravano gridare “Avanti!
Raccontaci tutto”. Se fossi stata di altro umore, avrei
sicuramente riso per il
modo in cui mi stavano guardando.
Ricambiai il
loro sguardo. Poi, qualche secondo
dopo, scossi la testa e chiudendo le dita della mano, puntai solo il
pollice
all’ingiù, in un chiaro segno di
“E’ andata male”.
I miei colleghi
si guardarono negli occhi, facendo
una smorfia.
-E’
andata tanto male?- chiese conferma Freddie.
Io annuii con il
capo, mordendomi le labbra.
-Dolcezza, ti va
di raccontarci tutto?- chiese
Barbie.
Li guardai.
-In
realtà non ho molta voglia di parlarne, ma so che
siete curiosi, quindi...
Come avevo fatto
con la mia amica la sera prima,
raccontai ai miei colleghi delle parole che Terence mi aveva rivolto.
-Sono senza
parole! Giuro.- disse Freddie, alzandosi
dalla mia scrivania e iniziando a fare su e giù per
l’ufficio.
-Io mi aspettavo
che c’entrasse la famiglia in tutto
questo, ma ero sicura che Terence avrebbe assunto una posizione
diversa.-
continuò Barbara, stringendomi la spalla.
-Va bene
così, ragazzi. Anzi no, non va bene, ma non
fa niente. Ho pianto abbastanza, adesso voglio solo non pensarci e
stare
tranquilla. Piuttosto come procedono i vostri articoli sulla collezione
Calvin
Klein?- cambiai discorso.
Puntai lo
sguardo sul mio pc, ma potevo scommettere
che i miei colleghi si stessero guardando.
-Tutto bene.- si
arrese Barbara.- Giusto oggi vorrei
finire un articolo su una giacca di pelle.- scese dalla mia scrivania.
-Adoro la nuova
collezione di Calvin Klein.-
continuò Freddie, sospirando.
-Bene.- curvai
le labbra in un patetico tentativo di
sorridere.- Buon lavoro allora.
Così
detto, aprii la mia pagina di lavoro e
iniziai ad abbozzare un nuovo articolo.
Volevo molto bene sia al mio ex che alla mia amica riccioluta, ma non
mi andava
proprio di ascoltare altri commenti su Terence. Bastava già
la mia testa a
tartassarmi con ricordi e domande.
-Jane.- mi
richiamò Freddie.
Lo guardai.
-Sei una persona
forte, lo sai questo? Vedrai che
risanerai anche questa ferita e ricorda: è lui che ci ha
perso, non tu!- mi si
avvicinò, lasciandomi un bacio sulla fronte.
-Ehi Bennett,
che fai? Non dirmi che sei passato
all’altra sponda e ci stai provando di nuovo con Jane?- fece
la sua entrata
trionfale… indovinate? Vincent, esatto.
-Il solito
cretino!- lo rimbeccò Freddie,
lanciandomi un occhiolino e sedendosi alla sua postazione.
Barbara
sospirò, e quando arrivò anche Steve, ci
porse degli inviti. Erano bianchi e ruvidi e su di essi svettavano
delle
scritte in rilievo dorate.
-E’
l’invito per il mio matrimonio. – disse con le
guance imporporate.
La ringraziammo
tutti.
Sull’invito
lessi che la cerimonio religiosa si
sarebbe tenuta presso la Cattedrale di
Saint Giles, e che a seguire, ci sarebbe stata una piccola
festa all’interno
del Castello di Culzean.
Dopo averlo
ripiegato con cura nella mia borsa,
tornai a concentrarmi sul mio lavoro.
Passarono
diverse ore prima che qualcuno prendesse
parola in ufficio. Eravamo abbastanza concentrati e presi dai nostri
articoli,
in quanto la settimana prossima i modelli e le modelle delle due
griffe, se ne
sarebbero- per mia fortuna- andati, e di conseguenza avremmo dovuto
tutti
concludere gli articoli per il nuovo numero del giornale, del mese di
novembre.
Il fatto che mancasse poco al non rivedere più né
il modello né Mary Anne, mi
rendeva abbastanza contenta, anche se non ero sicura di come sarebbero
continuate
le cose tra me e Wilson. Nel senso che non avevo idea se lui avrebbe
continuato
a girarmi intorno, o meno. Io preferivo di certo la seconda
possibilità. Il nostro
ultimo incontro era andato piuttosto
bene, ma io non provavo assolutamente nulla per lui.
-Jane, vieni con
noi a pranzo?- mi domandò Freddie,
sulla soglia del nostro ufficio.
Controllai il
mio orologio da polso, meravigliandomi
di come fosse passato in fretta il tempo.
-Dove andate?-
chiesi, scrocchiandomi le dita delle
mani.
-Abbiamo pensato
di comprare qualcosa dal bar del
Giornale, per poi andare a mangiarlo sulle panchine
all’esterno. Oggi c’è il
sole, è bene approfittarne.- fece radioso.
-Ci sto! Intanto
voi andate avanti, però! Io devo
fare una cosa prima.
Barbara e il mio
ex mi sorrisero, prima di
allontanarsi.
Era arrivato il
momento di fare due chiacchiere con
Mary Anne.
***
Quando mi avviai
nel corridoio delle stanze dove
venivano scattate le foto ai diversi modelli, non mi ci volle molto per
notare
la sagoma della modella bionda, attraverso le vetrate trasparenti di un
ufficio.
Era di spalle e stava sicuramente parlando con qualcuno visto il modo
in cui
gesticolava, che da dove ero io non riconobbi. La sua altezza doveva
essere la
stessa del suo interlocutore, poiché lo nascondeva
completamente. Pensai che
fosse un suo collega. Fortunatamente oltre i due non c’era
nessuno, per via del
pranzo, così quando fui vicina alla stanza di Mary Anne, mi
fermai davanti alla
sua porta, pronta a bussare.
-E’
saltato tutto. Va tutto a monte.
Fu il tono
nervoso che usò che mi fece fermare. Qualcosa
dentro di me mi disse che ciò di cui stava discutendo
avrebbe potuto
interessarmi, così decisi di nascondermi dietro una colonna
di marmo, nei
pressi della stanza, da cui si poteva ascoltare ogni cosa.
-Guarda la cosa
è venuta fuori come un fulmine a
ciel sereno! Ci sono rimasta malissimo. Certo è che se fosse
per me non mi
arrenderei e andrei davanti al padre stesso a dirgli che buon partito
sono io,
ma non ho il coraggio. E poi, in fondo, il mare è pieno di
pesci, no?- la
sentii ridere.
-Mi sembra
dunque il caso che anche tu la finisca
con quella sciacquetta. Ero sicura che a Terence lei interessasse, ma a
quanto
pare, la potestà del padre o chissà
cos’altro ha vinto. Ergo, puoi anche smetterla
di fare il cascamorto con lei. Hai capito zuccone?
Sentii il mio
cuore battere freneticamente quando
finii di ascoltare quelle parole. Temevo di sapere chi era la persona
con cui
la gallina stava parlando.
-Sì,
sì, ho capito!
Wilson. La voce
era di Wilson.
-E comunque non
c’è bisogno di trattarmi come se
fossi un bambino e di chiamarmi zuccone. Ho fatto il cascamorto con
Jane solo
perché me l’hai chiesto tu.
Misi una mano
davanti alla bocca per soffocare un
grido. Ero stata presa in giro. Tutte quelle attenzioni da parte del
modello
erano false. Facevano parte di uno sporco marchingegno costruito a
opera d’arte
da quella stupida.
-Forse ti sei
dimenticato che per il tuo aiuto, sei
stato ben ripagato. Comunque bando alla ciance, è un vero
peccato! Il mio piano
rasentava davvero la perfezione. Tu avresti ammaliato la santarellina,
lei
avrebbe abboccato al tuo amo, avrebbe lasciato perdere Terence, io mi
sarei
incollata a lui, e puff… il gioco era fatto!
A quel punto
preferii non ascoltare oltre. Mi
avvicinai alla loro stanza, e la aprii.
Quando iniziai a
battere le mani, Mary Anne smise di
parlare, voltandosi verso di me. Sia lei che Wilson, ora ben visibile
ai miei
occhi, mi guardarono con occhi e bocche spalancate. Improvvisamente
pallidi,
come se avessero visto un fantasma.
-Ma che bravi!
Vi hanno già dato l’Oscar?- feci
ironica, smettendo di battere le mani che prontamente chiusi a pugno.
-T-tu?-
domandò sorpresa la strega.
-J-Jane…
ti posso spiegare tutto.- balbettò il
modello.
-Sì
io, Jane Ryan e no, non c’è bisogno di spiegare
nulla. Sapete, in fondo, dovevo aspettarmela una cosa del genere da
persone
come voi. L’incontro “accidentale”- mimai
le virgolette- davanti alla
macchinetta del caffè la prima volta che ci siamo visti
,Wilson, i pettegolezzi
delle donna delle pulizie affinché tutti sapessero la mia
vita privata, il modo
in cui vi guardavate negli occhi in quelle foto, l’incontro
al teatro, da te
Mary Anne poi raccontato a Terence… sono stata una stupida a
non collegare
tutti i pezzi del puzzle prima. I miei complimenti.- strinsi i denti.
La modella fece
una smorfia con la bocca e sollevò
le sopracciglia. Da spaventata, la sua espressione divenne altezzosa.
-Oh
beh… non dirmi che Christopher ti piaceva? Sai
mi ha raccontato che tu non rispondevi con molto entusiasmo alle sue
attenzioni. Certo è che mi chiedo ancora come tu, ragazza
scialba e priva di
alcuna bellezza, abbia potuto fare la schizzinosa con il mio collega.
Per
Terence? Davvero ti piace così tanto da non cedere alle
avances di Wilson, o
anche tu eri interessata alla sua grana e, temendo eventuali
indiscrezioni su
testate giornalistiche, hai giocato a fare la santarellina?-
sputò velenosa.
Non le risposi.
Mi avvicinai soltanto. E quando le
fui abbastanza vicina, le tirai uno schiaffo sulla guancia, abbastanza
forte da
farle voltare la testa.
-Non ti
permettere mai più di rivolgerti nei miei
confronti in questo modo, né di intrometterti nella mia
vita. Sarò anche
scialba e priva di bellezza, ma mi hai temuta. Hai temuto che potessi
risultare
interessante a Terence e hai organizzato tutto questo teatrino per
distogliere
le mie attenzioni da lui. Sei davvero il peggio del peggio e dovresti
vergognarti!- la guardai rabbiosa.
L’oca
si toccò la guancia, e mi guardò con occhi
iniettati di astio misto a sorpresa.
-E per quanto
riguarda te,- mi fermai guardando
Wilson che aveva ancora gli occhi spalancati,- Sai? Mi avevi davvero
fatto
credere che io ti interessassi, bravo!- gli gettai
un’occhiataccia e mi
allontanai, uscendo dall’ufficio e sbattendo la porta.
Questa scoperta
non aveva contribuito a rendermi più
triste, ma più stanca e sicuramente
più… vuota. In meno di due giorni ero stata
atterrata solo da brutte notizie e non capivo cosa avessi fatto di male
per
meritarmi questo. Se pensavo che solo un mese prima ero stata
circondata da
piacevole attenzioni, dopo un periodo di monotonia e solitudine, e che
adesso
stava di nuovo tutto ripiombandomi addosso, mi veniva voglia di
gridare. A me
il modello non piaceva, e probabilmente non mi sarebbe mai piaciuto
ma… ci
avevo creduto. Avevo creduto alle sue parole, ai suoi complimenti, ai
suoi
occhi grigi che sembravano guardarmi come se fossi davvero la
più bella. Ed ero
stata una stupida a farlo. Da piccola mia madre mi aveva abbandonata,
poi
quando avevo pensato di aver incontrato l’uomo giusto, questo
mi aveva lasciato
dicendomi di essere gay, poi l’incontro con Terence e con
Wilson ricevendo un
addio da parte dell’uno e una presa in giro da parte
dell’altro. Morsi forte le
labbra per non cedere all’impulso di piangere.
-Jane, aspetta,
ti prego.- mi sentii afferrare per
il polso dal modello.
Mi liberai dalla
presa, e senza voltarmi continuai a
camminare lungo il corridoio. Ringraziai che tutti fossero fuori a
consumare i
loro pasti.
-Ti prego.-
supplicò.
Mi voltai,
sbuffando e incrociando le braccia sul
petto.
-Ti concedo solo
un minuto per sparare le cavolate
che stai per dirmi. E lo faccio solo perché sono troppo
buona e perché so che
non ci rivedremo più tu ed io.
-Senti mi
dispiace.- sospirò, passandosi una mano
nei capelli.- Davvero! Sei una brava ragazza e so che quello che
abbiamo fatto
non è stato bello. Mi vergogno se ci penso e ti chiedo
scusa, Jane. So che le
mie parole posso sembrare false, ora come ora, ma ho passato dei bei
momenti
con te, e quando dicevo di trovarti bella e interessante lo dicevo sul
serio.-
si fermò guardandomi con aria colpevole.
-Smettila di
renderti più patetico di quanto tu già
non sia, se non vuoi che dia uno schiaffo anche a te, e rispondimi:
cosa ti ha
dato Mary Anne per fingerti interessato a me?- sbraitai, corrugando la
fronte.
Wilson
abbassò la testa.
-Suo padre
è un personaggio influente nel mondo
della moda, e mi ha promesso di assicurarmi un posto nella nuova
campagna
Burberry e uno per un spot su un profumo.- si strinse delle ciocche dei
capelli, in modo nervoso
-Che cosa? Ma
non eri famoso tu? Hai schiere di
fans, biglietti gratis per qualsiasi cosa, e hai bisogno di spintarelle
per far
parte di spot e campagne?
Ero incredula e
molto nervosa.
-Jane il mondo
della moda è spietato.- mi guardò.-
Il fatto di avere un certo fisico e una certa notorietà non
mi esime dall’avere
delle difficoltà nel farmi conoscere al grande pubblico.
C’è una schiera di
ragazzi giovani e belli dietro di me, e io ho già ventotto
anni.
Aveva tentato di
giocare con i miei sentimenti, solo
per delle stupide questioni lavorative. Non avevo parole.
-Non tiro uno
schiaffo anche a te, solo perché sei
stato anche una tu una pedina nelle mani di quell’arpia! Ma
ti do un consiglio:
se ci tieni a realizzare i tuoi sogni, non abbassarti a fare mai
più queste deplorevoli
azioni. Sei stato fortunato che io non sia caduta nella tua ammaliante
trappola
e che non mi sia presa una cotta per te, altrimenti stai certo che
saresti
uscito di qui con un occhio nero! Ora, se non ti dispiace, me ne vado.
Non
seguirmi e non cercarmi. A mai più rivederci.
Mi allontanai,
domandami come sarebbe andata a
finire se io non avessi ascoltato la conversazione tra quei due
buffoni. Dovevo
assolutamente parlarne con la mia amica e far aprire gli occhi a tutta
la
comitiva dei suoi amici sul fatto che Mary Anne non fosse solo trucco e
superficialità, ma anche cattiveria e sadismo.
CONTINUA…
Ciaoo ragazze!!
^_^
Grazie per aver
letto anche questo quindicesimo
capitolo. E’ più breve del solito, è
vero, ma non ho ritenuto di dover
aggiungere altro visto l’andamento delle vicende e
considerando che la fine di
“Ad occhi chiusi”, a malincuore, è
vicina. La nostra povera Jane è stata messa,
nuovamente, a dura prova, ricevendo una brutta batosta :/ Quante di voi
avevano
capito che dietro le smancerie di Wilson, si celavano certi deplorevoli
piani?
Come sempre vi
ringrazio per seguirmi sempre, e in
particolare grazie a: angy_897,
marioasi, romy2007, gdoc, Ashwini, e Clojuno
per le bellissime recensioni allo scorso capitolo. Mille volte grazie
<3
Grazie a: olandasevolante, Ramosa12, e alla
sopracitata Ashwini
per aver aggiunto la mia storia alle seguite. Un bacione a
tutte voi <3
Grazie
nuovamente a: Ramosa12
per averla aggiunte
alle proprie ricordate :* e infine, ma non per importanza, grazie a: angy_897,
moet et chandon,
jtme_, e lilly_13 per aver
aggiunto Ad occhi chiusi alle
proprie preferite. Un bacione <3
Spero
che il capitolo non abbia deluso nessuna
aspettativa e vi sia piaciuto. Se vi va, sarei molto contenta di
leggere i
vostri pareri in merito :)
Un bacio e alla
prossima,
Novalis
^^
|
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Capitolo 16 *** Capitolo Sedici ***
SE VI VA, LEGGETE IL CAPITOLO
ASCOLTANDO: "
PRIMAVERA" DI L.EINAUDI.
Se vi va, ascoltate il brano
che vi ho proposto, quando
leggete questo capitolo. :) Ci vediamo, sotto! Buona lettura!
AD
OCCHI CHIUSI
Capitolo
Sedici
Quanto
più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,
perché
per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;
ma quando dormo,
essi nei sogni vedono te.
(William Shakespeare)
Tra le cose
più improbabili che mai mi sarei
aspettata potessero accadermi, ricevere una telefonata da parte di
Harrison,
l’autista degli Ashling, saliva certamente ai primi posti in
classifica.
Erano passate
quattro settimane da quando avevo discusso
con Terence e da quando avevo ascoltato le crudeli intenzioni di Mary
Anne
Williams. Da un lato potevo, senza indugio ,dire che sembrava non fosse
passato
neanche un giorno da allora, visto che alla tv e sulle più
importanti riviste
della città non si faceva altro che parlare della famiglia
Ashling , dei
Campbell e del fidanzamento, a breve ufficializzato con una festa, tra
i loro
figli. Dall’altro, però, erano cambiate diverse
cose. Mary Anne era stata
“bandita” dal gruppo di amici di Thomas. Avevo
saputo che Sophie, Russell,
William e ovviamente Thomas erano rimasti sconcertati dal modo in cui
la
modella si era comportata nei miei confronti. Alla fine avevano deciso
all’unanimità di rompere qualsiasi rapporto di
amicizia con lei. Per quanto
riguardava Terence, Abbie mi aveva raccontato che aveva rifiutato
diverse volte
gli inviti dei suoi amici, adducendo come scusa quella di essere
occupato con
la sua nuova fidanzata. La delusione era nell’aria, ma
nonostante ciò, i
ragazzi riuscivano a incontrarsi e a divertirsi. La mia amica aveva
conosciuto,
finalmente, i genitori del suo ragazzo, ricevendo la
“benedizione” da parte di
entrambi e aveva persino ricevuto un semplice anello, pegno
dell’amore che
Thomas provava per lei. Erano davvero molto carini insieme! In
più, come
ciliegina sulla torta, la sua odiata datrice di lavoro, le aveva
finalmente
dato la prima pagina del giornale, su cui svettavano le fotografie che
aveva
scattato a casa Ashling. Per quanto mi riguardava, io stavo andando
avanti con
la mia vita. Avevo scalato i miei capelli e li avevo illuminati con dei
colpi
di sole che, forse, cozzavano un po’ con il mio umore non
proprio spumeggiante,
ma che mi piacevano da matti. Stavo aiutando Barbara con i preparativi
del
matrimonio, avevo fatto rifornimento di nuovi sciccosissimi
capi per l’autunno nel mio armadio e avevo appena
iniziato un articolo su un confronto della moda in Scozia dal passato
al
presente. Senz’altro uno dei lavori più divertenti
che mi fossero mai capitati,
soprattutto per via del fatto che mi era toccato intervistare anche dei
vecchi
signori in kilt e barba rossa.
-Non credo sia
un bene per te rincontrare una
persona vicina agli Ashling, dopo quello che è successo, ma
è una tua scelta.-
fece Abbie, soffiando sulle unghie della mano destra, appena smaltate
di verde.
-Non so
neanch’io che fare.- ammisi,- Mi scende di
nuovo una profonda tristezza al pensiero di vedere una figura
così vicina a… a lui,
ma da un lato sento che devo
andarci.
-Se senti che
devi andarci, vai. In fondo, se
l’austista ti stava anche simpatico, non vedo cosa potrebbe
andare storto.- mi
guardò negli occhi.
Anche lei aveva
cambiato look. I suoi capelli,
adesso, erano colorati di un rosso mogano e ad incorniciarle il viso
c’era una
mega frangia che portava lateralmente.
-E sia.
– annuii con il capo,- gli mando un
messaggio.
Così
detto, uscii dalla tasca dei miei jeans il
cellulare, e mandai un messaggio al numero da cui il signor Harrison mi
aveva
telefonato, accettando il suo invito di incontrarci nel pomeriggio al
bar
“Gray’s cup”, lo stesso in cui io e
Terence ci eravamo incontrati per la prima
volta, dopo quella al pub.
-Quindi sei
sicura di voler partire la settimana
prossima?- continuò la mia amica, applicando lo smalto sulle
unghie dell’altro
mano e facendo così scintillare l’anello che
portava all’anulare, sotto le luci
che filtravano dalla finestra.
-Sì.-
sospirai.- Mi sono presa una settimana di
ferie, apposta. Ho bisogno di stare con mio padre e di cambiare un
po’ d’aria.
Ne ho passate un bel po’ in questo periodo, e ora che al
Giornale le acque si
sono, finalmente, calmate, credo sia opportuno che stacchi un
po’ la spina. In
più non vedo mio padre da un po’.
Iniziai a fare
zapping alla tv. Dato che oggi era
sabato, avrebbero trasmesso un programma di moda che adoravo.
-Hai proprio
ragione, anche le ragazze grintose come
te, hanno bisogno di fare una pausa ogni tanto.- mi fece
l’occhiolino.- E anzi,
ti prego di salutarmi tuo padre. Digli che gli mando un abbraccio e
che, un
giorno di questi, vengo anch’io a fargli una visita.
-Non
mancherò.- le sorrisi e tornai a guardare la
tv.
***
Diedi
un’ultima occhiata allo specchio della mia
stanza, controllando gli ultimi dettagli e infine, prendendo al volo
una
sciarpa colorata, uscii di casa, insieme ad Abbie. La mia amica mi
avrebbe
accompagnata fino ad un certo punto, per poi andare a fare delle
commissioni.
Quando arrivammo
nella zona interessata, la salutai con
un bacio sulla guancia, e mi avviai a piedi verso il bar. Qualche
minuto e non
mi ci volle molto per scorgere, sebbene il cielo stesse già
imbrunendo, lo
stesso tendone bianco ornato da fiorellini fucsia che vidi al primo
“appuntamento” con Terence. Essendo pieno autunno,
il giardino all’esterno era
stato recintato da pareti di plexiglass, che dovevano impedire
all’aria fredda
di fuori di infastidire i clienti.
Mi feci strada
attraverso dei tavolini, fino a che
non mi sentii salutare da qualcuno. Mi voltai e impiegai qualche
secondo per
riconoscere Harrison. Non indossava il solito cappello e la giacca da
autista
e, vestito in borghese, non l’avevo quasi riconosciuto. I
baffi bianchi, le
guance rosse e il sorriso buono ,però, non diedero spazio a
dubbi che fosse
lui.
-Buonasera
signor Harrison.- lo salutai, facendogli
un sorriso.
Mi sedetti al
suo stesso tavolo e quando arrivò un
cameriere mi limitai a ordinare un succo di frutta alla pera che
l’autista,
sottolineò, mi avrebbe offerto volentieri lui.
-E’
davvero bello rivederla, signorina Jane. Mi
mancava vedere il suo sorriso.- fece cordiale.
-Grazie,
Harrison. Lei è sempre stato molto
gentile.- lo guardai con affetto.
C’erano
diversi clienti seduti ai tavolini vicini al
nostro, e il loro chiacchierare ci fece da sottofondo.
-Ha cambiato
stile di capelli?- continuò, con il
sorriso sulle labbra.
-Sì.
Li ho tagliati un po’ e ho fatto dei colpi di
sole. Le piacciono?
-Le stanno molto
bene.- mi rispose. -Come sta?-
chiese.
Feci una smorfia
con le labbra.
-Si va avanti.-
mi limitai a rispondere.- Lei?
Non so se fu una
mia impressione, ma mi parve di
sentire un “immaginavo” . Non ebbi modo di pensarci
che mi rispose di stare
bene.
Mi
guardò per qualche instante con fare imbarazzato
e, dopo essersi schiarito la voce, prese a parlare.
-Mi spiace di
averla disturbata questa mattina.
Immagino che non si aspettasse di ricevere una telefonata da me, ma ho
bisogno
di parlarle. Ho preso il suo numero dal telefono del signor Terence e
ora che
lui non è ad Edimburgo per diversi motivi, ho colto
l’attimo per telefonarle.
Pensi che volevo parlarle già da qualche settimana, ma solo
ora mi si è
presentata l’occasione.
Quando sentii
nominare il nome di Terence e ascoltai
che era fuori da Edimburgo per diversi motivi, maledissi la mia mente
per aver
iniziato a farsi domande del tipo: “Chissà come
starà?”, o “Dove sarà
adesso?”.
-Sta bene?
Terence… intendo.- mi schiarii la voce.
La
curiosità era donna, e al momento volevo
placarla.
Harrison
sospirò.
-Il signorino
dice di stare bene, ma… lo conosco da
tanti anni ormai, e le posso garantire che non è affatto
felice.- rispose,
dispiaciuto.
Nel frattempo il
cameriere arrivò, portandomi il mio
succo.
-Capisco.-
ingoiai della saliva.- Beh… come mai ha
voluto incontrarmi?- cercai di sorridergli.
-Perché
lei è il motivo della sua infelicità.
Dire che la sua
risposta mi lasciò di stucco, era
dire poco.
-Credo che lui
sia il motivo della sua infelicità. Le posso assicurare,
signore, che tra me e
lui, quella che ha patito più infelicità sono io.
Lei non era presente quando
Terence mi ha gettato, con freddezza, certe parole. Non è
mia la colpa se lui è
un vigliacco e ha preferito farsi trattare da burattino dai suoi
genitori.-
risposi un po’ risentita.
Harrison mi
guardò con sguardo sorpreso. Era come se
non si aspettasse da me certe parole.
-Temo che non mi
sia espresso bene io, signorina.
Non era mia intenzione sembrare accusatorio nei suoi confronti.-
tossì
imbarazzato.- comunque, non “dai suoi genitori”
ma… da suo padre soltanto. Sua
madre è morta da anni.- abbassò il capo.
A quelle parole,
sentii il sangue gelarmi nelle
vene.
-Dice sul
serio?- la mia voce uscì tremante.- Io…
non ne sapevo nulla, davvero.- feci tremendamente dispiaciuta.
Ora capivo tante
cose. Perché Terence non avesse mai
voluto parlarmi della sua famiglia. Tutte quelle volte in cui aveva
schivato le
mie domande, e il giorno in cui avevamo giocato al “do ut
des” e mi aveva
chiesto espressamente di non fargli domande in merito. Avevo fatto
tante
supposizioni, ma mai avrei creduto che Terence avesse perso la mamma.
Mi sentii
profondamente triste, in quel momento.
-Purtroppo dico
sul serio, Jane.- mi rispose
l’autista.- Credo che il signore non le abbia mai detto nulla
a tal proposito,
perché gli ha sempre fatto male ricordare la morte della sua
mamma, l’unica con
cui andasse davvero d’accordo. In ogni caso, signorina, ho
richiesto la sua
presenza, oggi, perché voglio raccontarle un po’
la storia di Terence.
Lo guardai.
-La storia di
Terence? – abbassai lo sguardo,-
Perché?- chiesi con voce fioca.
Il bicchiere di
succo di frutta brillava sotto le
luci del locale, ma ora come ora, non avevo voglia di mettere nulla
sullo
stomaco.
-Perché
più di due mesi fa, ho iniziato a vedere
qualcosa di diverso nel signorino. Qualcosa di simile a quello che era
il
ragazzino che incontrai la prima volta che fui assunto a casa Ashling.
E sono
sicuro che sia stato grazie a lei, se tempo fa ho visto quel qualcosa
in lui
che, in questo periodo, si è di nuovo oscurato.
Ingoiai
nuovamente della saliva, mentre sentii il
mio cuore pulsare più forte nel mio petto.
-Lei lo rendeva
felice, Jane.- continuò, fissandomi
con i suoi occhi azzurri, contornati da diverse rughette,- Un giorno mi
confidò che quando era in sua
compagnia, non sentiva il peso della sua cecità. E le posso
assicurare che, per
un tipo come lui, così chiuso e restio a parlare con gli
altri, ammettere certe
cose non fu una cosa naturale. Sono qui, dunque, perché
voglio raccontarle
della sua storia, cosicché lei, possa fare luce su alcuni
dubbi che sono certa
avrà avuto, quando è stata amica di Terence e
perché non voglio che lei abbia
un ricordo spiacevole su di lui. La storia sarà un
po’ lunga, per cui le chiedo
se lei vuole ascoltarla.
Annuii con il
capo, troppo scossa per parlare.
-Bene.- Harrison
si schiarì la voce, e poi incrociò
le mani sul tavolino.- Deve sapere che lavoro per gli Ashling da circa
ventitré
anni, quindi da quando il signorino aveva sette anni e i suoi due
fratelli
gemelli, Catherine e Heathcliff, ne avevano undici. Quando conobbi i
signori
Ashling, non mi fu difficile notare come entrambi non andassero molto
d’accordo
l’uno con l’altro. Il signore mi si
presentò da subito come una persona
irascibile, nervosa, e stacanovista, per quanto educata e cortese nei
miei
confronti. La signora Elizabeth, sua moglie, invece, mostrò
una dolcezza e
un’eleganza fuori dal comune. –
sospirò.- Non erano una famiglia unita, gli
Ashling. I due gemelli tendevano ad isolare Terence nei loro giochi
quando
erano bambini, a fargli dispetti e a essere sgarbati nei suoi
confronti. La
signora Elizabeth, per quanto li rimproverasse, non riusciva mai a
metterli in
riga, grazie anche agli atteggiamenti di suo marito che, tendeva a
giustificarli con un banale “Sono bambini”. Il
signorino visse ,dunque, in un
clima familiare piuttosto teso, ricevendo il giusto affetto solo dalla
mamma. –
Harrison si fermò per bere dal suo bicchiere, una bevanda
arancione.
-Scusi
l’interruzione,- riprese,- Quando iniziarono
gli anni della scuola superiore, Terence cambiò
atteggiamento. Pensò bene di
trasformarsi in un ragazzo ribelle, sfruttando anche il suo aspetto
estetico di
cui era sempre stato orgoglioso, e pensando così di attirare
le attenzioni di
un padre troppo impegnato nei suoi affari per pensare ai suoi figli.
Contrariamente, i due gemelli Catherine e Heathcliff, forti del legame
che solo
due gemelli possono provare l’uno per l’altro,
vissero con serenità la loro situazione
familiare, supportandosi a vicenda e mostrandosi sempre
accondiscendenti quando
il loro padre chiedeva loro di fare qualcosa. Gli anni del liceo furono
i più
difficili per Terence che, per via delle sue note e delle sue bravate
da bad
boy, ricevette le attenzioni agognate dal padre, ma non come le aveva
previste.
Il signor Ashling, infatti, iniziò a privargli molte cose e
ad adottare misure
severe nei suoi confronti.- tossì.- Sto parlando da tanto.
Vuole che mi fermi?-
l’autista si fermò, guardandomi negli occhi.
-No,
assolutamente.- gli risposi prontamente,- Non
pensavo che Terence avesse vissuto parte della sua vita in questo modo.
Nei
nostri discorsi, ogni tanto, mi ha confessato di non avere un buon
rapporto con
suo padre, che lo ha persino costretto a frequentare un corso di studi
che non
era nelle sue corde, ma non credevo che suo padre potesse essere una
figura
così fredda nei confronti dei suoi figli. Posso solo
immaginare cosa abbia
provato Terence e come si sentisse sua moglie.- conclusi, sospirando.
Mi aggiustai
meglio la sciarpa al collo, nel
tentativo di placare quel freddo che sentivo stava nascendo in me, dopo
aver
ascoltato quelle parole.
-Già!
La povera signora Elizabeth non era molto
felice accanto a suo marito.- Harrison mi guardò.- Sette
anni fa, purtroppo, le
fu diagnosticato un tumore. – si fermò, mentre io
misi una mano davanti alla
bocca, dalla sorpresa.- Era un donna fragile e spesso debole di salute,
ma
nessuno avrebbe mai immaginato che una simile creatura sarebbe stata
colpita da
un male tanto grave. Per quanto il dolore fosse unanime, quello che ne
soffrì
di più fu senza alcun dubbio il signorino Terence che, ogni
giorno, passava
gran parte del suo tempo accanto alla mamma. Suo marito non le fu molto
vicino,
invece, e quando i più importanti giornali della Scozia
iniziarono a fare da
avvoltoi sulla terribile notizia, il signore preferì
più occuparsi di mettere a
tacere i pettegolezzi che di donare affetto ai suoi figli.
Disgraziatamente fu
una questione di mesi prima che Elizabeth perse la sua battaglia e non
ce la
fece.- si fermò. Notai che i suoi occhi si erano fatti
lucidi così come i miei.
Mi
tornò alla mente il momento in cui avevo chiesto
ai miei colleghi come facessero a conoscere gli Ashling e di quando
Vincent mi aveva
raccontato che sette anni fa erano usciti dei giornali sugli Ashling in
merito
a una disgrazia, distrutti poco dopo.
-Mi scusi,-
l’autista prese un fazzoletto dalla sua
giacca e si asciugò l’angolo degli occhi. Io,
ingoiai un groppo, dovuto alla
sensazione di pianto imminente,- Come le stavo dicendo, dopo questa
disgrazia,
le cose peggiorarono. Il cuore del signor Terence si fece di ghiaccio,
divenne
più freddo, e più scontroso e iniziò a
chiudersi in sé stesso, non rivolgendo
più alcuna parole né ai suoi fratelli
né a suo padre. Una decina di mesi dopo,
la famiglia fu scossa da un’altra tragedia: la caduta in coma
del signorino e
la sua conseguente cecità, dovuto a un barbaro incontro di
pugilato. Il
signorino, infatti, dopo la morte della mamma, si era dato a incontri
di
pugilato illegali, pensando di sfogare la sua rabbia, la sua tristezza
e la sua
frustrazione in questo modo, e perdendo sempre più punti con
il padre, tanto da
essere etichettato come la pecora nera della famiglia. Da allora,
è diventato
la persona che lei conosce. Solitario, distaccato e con
un’aria triste
perennemente attorno. Il sarcasmo divenne la sua principale arma di
difesa e
tutte le sue convinzioni e le sue sicurezze, seppur poche, crollarono.
Poi…-
Harrison mi guardò,- conobbe lei signorina Jane e le cose
cambiarono. Sa, ho
sempre avuto un debole per quel ragazzo e ho sempre pensato che il suo
cuore
fosse di ghiaccio, ma non di pietra, e che ciò fosse un
bene, perché la pietra
è difficile da scalfire, ma il ghiaccio ha solo bisogno di
una giusta fonte di
calore per sciogliersi.
Abbassai lo
sguardo, sbattendo le palpebre diverse
volte, per evitare di piangere. Chi avrebbe mai potuto pensare che
Terence
celasse delle ferite così grandi.
-E nonostante
tutto, Terence ha deciso di aiutare
suo padre, sposando quella sconosciuta?- non riuscii a trattenermi.
Harrison
sospirò, abbassando il capo.
-Lo fa
perché ha paura. – mi rispose.
-Di suo padre?-
chiesi scettica, guardandolo.
-No, ha paura di
lei, Jane.- puntò il suo sguardo
nel mio, con molta serietà.- Come le stavo dicendo prima, da
quando Terence
l’ha conosciuta, ho notato una diversa luce in lui, e questa
luce, senza ombra
di dubbio, è dovuta al fatto che lei ha toccato le corde
più nascoste del suo
cuore.
Mi morsi le
labbra, incrociando le braccia sul
petto.
-Se
così fosse stato, non crede che me l’avrebbe
detto e che avrebbe evitato di essere accondiscendente di una follia? E
poi,
paura di me? Non capisco…- ammisi.
-Signorina,
credevo che lei avesse capito Terence.
Ha un modo tutto suo di dimostrare affetto, e adesso che ha capito che
per lei
prova ben altro che dell’affetto amichevole, teme di legarsi
troppo a lei. Non
vuole che da parte di entrambi cresca qualcosa di troppo grande e che
lei
finisca per legarsi troppo a lui. Terence, ha sempre vissuto la sua
cecità come
una grande sofferenza, e vive la sua disabilità come un peso
che non vuole
condividere con lei. Ha paura di privarla della felicità che
merita, con la sua
compagnia.- fece con tono stanco.
Dischiusi
leggermente le labbra, scossa per ciò che
avevo ascoltato.
-E quindi,
signore?- lo guardai.- Cosa dovrei fare
io? Sa come sono stata male, dopo che Terence mi si è
rivolto in quel modo,
quella sera? Sa che dopo quel giorno, ho scoperto che delle persone
volevano
prendermi in giro, giocando con i miei sentimenti? Sa quanto sia triste
per me,
ogni giorno, pensare a cosa sarebbe potuto succedere se io fossi
riuscita a
stare con Terence? So che è una persona fragile che vede la
sua disabilità come
una difficoltà insormontabile, ma … cosa posso
farci io?- sussurrai le ultime
parole, con tristezza.
-Nulla,
signorina. Ma può non odiarlo, può smettere
di pensare che abbia deciso di sposare una sconosciuta per
vigliaccheria, ma
che l’ha fatto perché teme la solitudine
più di qualsiasi altra cosa, perché
dopo che ha perso la mamma e poi la vista, il suo animo si è
adombrato e sente
di non avere più la forza di contrastare suo padre. E
perché spera per lei un
futuro diverso, con un uomo completamente sano. Voglio solo che lei
abbia un
bel ricordo di lui. Che lo ricordi come una bella persona, sia dentro
che
fuori. E che non demorda, perché nella vita non si deve mai
gettare la spugna, e
perché mi è bastato guardarla negli occhi, per
capire che lei tiene molto al
signore.
Annuì
con il capo, incapace di guardarlo negli
occhi.
-Bene. Credo di
averle detto tutto quello che volevo
dirle, Jane. E’ stato davvero un piacere incontrarla.
Non risposi.
Rimasi con lo sguardo puntato sul mio
bicchiere di succo, ancora fresco tra le mie mani. La mia testa era
stordita e
preda di una confusione dovuta a tutte le parole che avevo ascoltato.
Avere un
bel ricordo di Terence? E cosa potevo farmene di uno stupido ricordo?
-Quindi non
cercherà di fermare Terence? Mi lascia
così, dopo avermi riempita di tutte queste parole?
Harrison si
alzò dalla sedia, lasciò dei soldi sul
tavolo, e poi mi guardò fisso negli occhi per qualche
istante. Infine, mi fece
un occhiolino e si allontanò, lasciandomi lì sola
con i miei pensieri.
***
Ero
seduta su una panchina. Da dove ero io si poteva vedere gran parte del
parco di
Holirood, alla fine del Royal Mile. Quello che non capivo era come
fossi arrivata
fino alla cima della collina Arthur’s Seat. Si respirava
un’aria fresca e
pulita e i miei capelli ondeggiavano al ritmo del vento. Le fronde
alberate
sembravano danzare con il vento e alcune foglie colorate
d’autunno,
volteggiavano nell’aria come coriandoli in un giorno di
festa. Si stava davvero
bene qui e sentivo il mio animo preda di uno stato di
tranquillità e serenità,
che non provavo da tanto.
-Posso
sedermi?- mi chiese una voce familiare.
Non
gli risposi. I miei occhi erano incollati su quel paesaggio incantevole
che mi
fronteggiava e non avrei voluto distogliere lo sguardo per nulla al
mondo.
-Si
sta proprio bene qui, vero?- continuò la voce.
Senza
alcun dubbio era un ragazzo.
Continuai
a non rispondergli e a mantenere lo sguardo fisso su quel cielo dipinto
d’arancio che faceva da palcoscenico al ballo delle foglie.
Poco
dopo però, fui costretta a girarmi. La persona padrona di
quella voce, mi aveva
appoggiato una coperta sulle spalle. E fu allora che lo vidi. Era
Terence, ma
c’era qualcosa di diverso in lui. Osservai il suo volto che
mi scrutava
sorridente. Non portava gli occhiali da sole e… ma
sì! I suoi occhi! Erano
diversi, più colorati, più luminosi,
più… vivi.
-Terence?-
mi uscì come una domanda, quella che doveva essere
un’affermazione.
-Proprio
io.- rispose, sempre sorridente.
Non
era da lui mantenere un sorriso sulle labbra. Lui era il ragazzo dagli
occhi di
ghiaccio, dal sorriso strano e insolito, non il ragazzo dagli occhi
vivi e le
labbra curvate.
-Perché
sei qui?- chiesi.
Fece
spallucce, voltando i suoi occhi verso il paesaggio.
-Mi
andava di vedere la mia Jane.- mi rispose, soltanto.
“La
mia Jane”. Poteva una frase sconvolgermi così
tanto?
-Ti
ricordi della prima volta che venimmo insieme in questo parco? Me lo
descrivesti come un posto paradisiaco. In effetti, è
così.- continuò, con tono
allegro.
-Stai
bene? Sei strano e… ci vedi?- i miei occhi fissi sul suo
profilo, lo guardavano
in cerca dei suoi.
Terence
ritornò a puntare il suo sguardo vivo su di me.
-Sì
ci vedo.- rispose soltanto.- Ma non è stato facile tornare a
vedere.- concluse,
tornando a guardare fisso davanti a sé.
Il
vento fece scompigliare i suoi soffici capelli, facendone arrivare il
profumo
dritto a me.
-Cosa
intendi dire?
Terence
fece di nuovo spallucce, e non mi rispose.
-Jane.-
disse, poco dopo.
-Ti
ascolto.
-Jane.-
ripeté.
-Jane.
Mi svegliai di
soprassalto, aprendo di scatto gli
occhi e portando una mano davanti al cuore.
-Tesoro, stai
bene? Qualche incubo?- mi chiese mio
padre, sedendosi accanto a me e accarezzandomi i capelli.
Impiegai qualche
istante per capire di trovarmi
nella mia vecchia stanzetta, nella casa del mio papà.
-Tesoro?-
continuò, guardandomi adesso preoccupato.
-Sto bene,- gli
feci un sorriso,- E’ stato solo…
solo un sogno.- continuai.
Solo un sogno.
-Mhm.
L’avevo capito. Ti sei addormentata con la
porta aperta e sebbene avessi il volume della partita di football non
troppo
basso, ho sentito che chiamavi un certo Terence.
-Ah…
sì, credo di ricordare qualcosa.- mi passai una
mano nei capelli, e mi tirai su a sedere, coprendomi fino al collo con
la
coperta.
-E sentiamo chi
è questo Terence? Il ragazzo che mi
dicesti ti piaceva?- mi domandò.
Mi schiarii la
voce, sentendomi le guance bruciare
dell’imbarazzo.
-Può
darsi.- fui vaga.- Comunque è una vecchia
storia… nel senso che ultimamente sono successe tante cose e
non so… ho tanti
dubbi.- ammisi.
-Mhm,-
annuì con la testa,- capisco. Con ‘tante
cose’
intendi il fatto che si sia fidanzato con quella riccona?
Lo guardai
spalancando gli occhi.
-E tu
come…?
-Leggo i
giornali e vedo la tv, tesoro mio, e ho una
buona memoria. Ricordo che mi parlasti del figlio degli Ashling.
Mi toccai i
capelli, sempre con imbarazzo.
-Va bene, sono
troppo vecchio per immischiarmi in
queste cose da ragazzi.- mi diede un pizzicotto sulla guancia.-
L’importante è
che tu non soffra, angelo mio. Se qualcuno dovesse farti del male, devi
subito
dirmelo, perché ho la mia età ma il mio destro
è imbattibile.- alzò il pugno destro
in alto, facendomi ridere.
Se solo avesse
saputo che Terence, seppur non
vedente, era stato un pugile in passato, non credo avrebbe ripetuto
questa
frase. O forse sì. In fondo, lui era il mio eroe. Se invece
gli avessi parlato
di Wilson e della Williams… beh, loro potevano dire in
partenza addio alle loro
facce da modelli. Ma, non avrei detto nulla di loro a mio padre. Non
volevo
preoccuparlo e poi gente come quella, andava dimenticata e basta.
-E’
quasi ora di cena. – continuò.- Desideri che
cucini
io, o ordiniamo qualcosa?- mi guardò con i suoi grandi occhi
buoni.
Un po’
di barba copriva le sue guance un po’ scarne
e una camicia azzurra metteva in risalto il suo sorriso candido.
-Preferirei
riassaporare la tua cucina, ma se sei
stanco ordiniamo qualcosa.- lo guardai sorridente.
-Per te questo e
altro, mia principessa. Ti cucinerò
la migliore minestra scozzese che tu abbia mai mangiato e ci gusteremo
insieme
il migliore gelato al cioccolato di Aberdeen.- mi fece
l’occhiolino e si alzò.
Il bene che
provavo nei suoi confronti era
inestimabile.
-Ah
papà?- lo fermai, quando giunse sulla soglia
della porta.
Si
voltò, incuriosito.
-E tu con la
signorina Ford?- fu il mio momento di
metterlo in imbarazzo.
Le sue guance si
tinsero di rosso.
-Poi ti spiego,
Jane, poi ti spiego.- e scappò in
cucina.
-Citare una
battuta del film “Il ritorno di Ringo”,
non ti salverà, papà.- lo presi in giro, alzando
la voce.
Lo sentii ridere
e ridacchiai anch’io tra me e me
per qualche minuto, per poi rabbuiarmi poco dopo, quando mi
tornò alla mente il
sogno che avevo fatto.
Terence. Terence
che aveva ritrovato la vista e che
mi definiva sua. Era stato un sogno, ma così vivo
e… reale. Riuscivo
anche adesso, da sveglia, a
ricordare il colore lucente delle sue iridi e a sentire il suo profumo
pulito
accarezzarmi la pelle. Stupida mente! Giocarmi questi scherzi crudeli!
Dopo poco, mi
alzai dal mio letto e andai in cucina
per aiutare mio padre.
***
Dopo aver
apparecchiato la tavola, papà iniziò a
servire la cena a base di minestra scozzese accompagnata da crostini di
pane
fatti in casa, patate al forno come secondo e una coppa di gelato come
dolce.
La casa profumava di cibo cucinato in casa con amore.
-Beh, prima mi
stavi dicendo della signorina Ford…-
lasciai la frase in sospeso, portandomi una cucchiaiata di minestra
alla bocca.
Il suo calore mi
scaldò e mi portò alla mente vecchi
ricordi di infanzia.
Mio padre
tossì imbarazzato, e il suo imbarazzo non
fece altro che far crescere in me curiosità e tenerezza.
-Sei proprio una
curiosona, eh?- rise.- Comunque,-
si schiarì la voce,- in queste settimane siamo usciti
insieme, qualche volta.-
tornò a mangiare.
-Interessante!
– feci entusiasta,- E poi? Vi sentite
al telefono? Dove andate di solito?- misi dei crostini nel piatto.
-Sì…
ogni tanto ci mandiamo qualche messaggio e
abbiamo in programma qualche altra uscita. Di solito andiamo a cena
fuori, o al
teatro o al cinema.- sorrise con le gote rosse.
-Benissimo, ne
sono molto contenta. Stai facendo
bene, papà.- feci seria.- Meriti l’amore
più di chiunque altro. Un giorno di
questi me la fai conoscere questa donzella.
-Per ora ci
stiamo conoscendo, tesoro e non so se
sia… beh, amore, il nostro, ma… mi trovo bene con
lei e per il momento mi
basta.
Annuii con il
capo e poi riprendemmo a mangiare,
scambiandoci qualche chiacchiera generale. Mio padre si
complimentò con me per
essermi aggiudicata la prima pagina del giornale del mese scorso, per
come
l’avevo scritto e per i messaggi che avevo trasmesso e mi
chiese di porgere i
complimenti anche ad Abbie per le belle foto che aveva pubblicato per
il
giornale per cui lavorava.
Quando
arrivò il momento del gelato, decidemmo di
andare a mangiarlo sul divano, con un plaid a riscaldarci e con una
videocassetta in tv. Optammo per “Vacanze Romanze”, film in
bianco e nero
con Audrey Hepburn e Gregory Peck.
Quando il film
finì, mio padre mi propose un ballo
prima di andare a dormire. Prontamente accettai. Così lui
scelse un disco in
vinile dalla sua collezione personale di dischi e lo inserì
nel giradischi
presente in salone. Pochi attimi e riconobbi “Heart
Angel”, una canzone degli
anni ’50.
Mio padre mi
prese per mano e poso l’altra sulla mia
schiena. Io posai una mano sulla sua spalla e appoggiai il mio capo sul
suo
petto. Quando ero bambina, eravamo soliti ballare insieme, solo che
allora ero
costretta a ballare su i suoi piedi, per non essere troppo bassa. Risi,
al
ricordo.
-Era tanto
brutto il sogno che stavi facendo prima?-
mi domandò, danzando lentamente.
Sobbalzai,
leggermente sorpresa per la domanda.
-No, affatto!
Anzi… era un sogno bellissimo.-
confessai.
-Mhm, e cosa
succedeva? C’entrava quel Terence?
Annuii contro il
suo petto.
-Ti ricordi che
ti dissi che era cieco?- continuai.
-Sì,
in più l’ho letto ultimamente sui giornali.-
rispose.
-Beh, nel mio
sogno tornava a vedere e mi guardava
sorridente, cosa un po’ strana, visto che di solito
è un ragazzo che ride poco.
Sai? Ne ha passate tante quando era un ragazzino.- sospirai.
-Capisco.- mi
fece voltare su me stessa, con
galanteria.- A volte i sogni sono delle previsioni. Lo sapevi, Jane?
Lo guardai negli
occhi.
-Cosa intendi
dirmi?
-Che magari il
tuo sogno diverrà reale, un giorno. E
magari, anche prima di quello che credi.
CONTINUA…
Aggiornamento
lampo! xD
Ciao ragazzi e,
come sempre, grazie per aver letto
anche questo sedicesimo capitolo. Generalmente non mi convincono mai al
cento
per cento i miei capitoli, ma questo ammetto, che mi è
piaciuto. Ho avuto più
ispirazione rispetto altre volte, e in più ascoltare la
suonata “Primavera” di
Einaudi, mi ha aiutata parecchio. (spero, a proposito, che abbiate
letto il
capitolo ascoltandola. Non so… rende tutto più
magico xD).
Spero che il
capitolo vi sia piaciuto. Mi scuso, se
ultimamente i capitoli hanno preso una piega più drammatica,
ma è così che
avevo immaginato la storia fin dall’inizio e poi, senza la
pioggia, non può
esserci l’arcobaleno, no? ;)
Grazie per
seguirmi sempre e per leggere la mia
storia e in particolare grazie a: angy_897,
marioasi
e romy2007
per le belle recensioni allo scorso capitolo. Mille
cioccolatini a tutte voi <3
Grazie a: My_love_97, silviettina93, winterlover97,
e irens per
aver aggiunto “Ad occhi chiusi” alle proprie
seguite, un bacione a
tutte voi, a : Shakana
per averla aggiunta alle proprie ricordate :* e a:
Annuccia1506_,
alla sopracitata winterlover97,
a Gio95, e
a balli01
per averla
aggiunto alle proprie preferite. Un bacione <3
Se vi va fatemi
sapere la vostra anche per questo
capitolo! Mi rende tanto felice leggere vostre recensioni :)
Un bacio e alla
prossima,
Novalis
:)
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Capitolo 17 *** Capitolo Diciassette ***
AD
OCCHI CHIUSI
Capitolo
Diciassette
"Harry,
prima o poi tutti dobbiamo
affrontare la scelta tra ciò che è giusto e
ciò che è facile"- A. Silente
-Non mi convince
niente!- sbuffò Freddie, bevendo
subito dopo, un po’ del suo frullato.
Erano almeno tre
ore che io e lui eravamo in giro
per negozi, alla ricerca di un’idea adeguata per il regalo di
matrimonio per la
nostra amata Barbara. A meno da un mese dal suo grande giorno, sia io
che il
mio ex ci avevamo dato dentro per aiutare la nostra amica con i
preparativi
della festa. Colori, stoffe, canzoni, fiori da allestimento e chi
più ne ha ne
metta, erano all’ordine del giorno in questo periodo, e a me,
stava più che
bene. Ovviamente era anche stancante stare dietro ad un cerimonia
matrimoniale,
dopo le numerose ore di lavoro, ma visto lo stadio confusionale in cui
versavo
da almeno due settimane, per via dell’incontro avvenuto con
Harrison, dedicarmi
a qualcosa che non fosse scrivere e correggere bozze, era proprio
ciò di cui
avevo bisogno. Se ripensavo al sogno su Terence che avevo fatto a casa
di mio
padre, e se pensavo alle sofferenze che doveva aver passato quello
scontroso,
sentivo il mio cervello soffocare dentro una ragnatela di cose tristi,
e avevo
bisogno di non pensarci e di distrarmi, perché, davvero, non
sapevo che fare.
-Dai su, Fred,
non molliamo! In fondo, abbiamo
almeno un altro paio di ore, prima che i negozi chiudano.
Bevvi dalla
cannuccia un po’ del mio frappè al
cioccolato.
Freddie si
guardò intorno mordendosi le labbra, e
ticchettando l’indice sul tavolino che ci separava.
-Senti e
se…- si fermò qualche istante dopo,
guardandomi.- E se non le facessimo un regalo… materiale?
Nel senso, non un
oggetto, ma qualcosa di più duraturo nel tempo?
Sollevai le
sopracciglia.
-In che senso?
-Stavo pensando
che potremmo aprire un conto presso
un agenzia di viaggi, e regalare a Barbie e al suo futuro marito, un
viaggio di
cui potranno usufruire per la luna di miele, o quando più
aggradano… e poi ,per
concludere in bellezza, potremmo comprare una bella cornice e
racchiudere al
suo interno quella bella foto che ci ritrae tutti il primo giorno di
lavoro,
nel nostro ufficio. Te la ricordi?
-Quella in cui
avevo la frangetta e i capelli piatti,
un maglioncino che non porterebbe neanche una nonna, e la gonna informe
grigio
topo?- chiesi, sperando ardentemente in una risposta negativa.
Dovete sapere,
infatti, che per quanto abbia sempre
amato la moda, i primi tempi in cui fui assunta all’ Edinburg
Fashion Magazine,
non avevo un chissà quale alto senso estetico nel vestirmi.
D’altronde, con una
mamma assente nel fiore della mia adolescenza, non potevo pensare che
mio padre
avrebbe potuto suggerirmi quale capo stesso meglio con cosa, e quale
nuance di
colore si abbinasse a un’altra. Fu solo dopo un po’
, che prendendo la mano con
modelle e capi d’alta classe delle varie case
d’abbigliamento, che iniziai a
fare l’occhio e a crearmi uno stile tutto mio.
-Proprio
quella.- scoppiò a ridere.
-Ah-ha, che
divertimento.- lo guardai di traverso,
ridendo subito dopo anch’io.
-No, sul serio,
secondo te è una buona idea?,-
riprese,- Penso che possa essere una cosa carina, a cui potremmo far
partecipare anche Steve e Price, di modo che il budget per il viaggio
sia anche
più alto. E’ sempre un regalo…
materiale, ma i ricordi che entrambi, sia il
viaggio che la foto, porteranno con sé, le faranno sempre
compagnia. E poi,
secondo me, non troveremo niente di meglio nei negozi.
Ci pensai su
qualche attimo, bevendo un altro sorso del
mio frullato e permettendo, così, al delizioso sapore del
cioccolato di
zuccherarmi il palato.
-Trovo che sia
un’idea splendida.- gli sorrisi,
sincera.
Effettivamente
quella di Freddie era stata proprio
una bella trovata. A Barbara sarebbe sicuramente piaciuto come regalo.
-Benissimo.- mi
sorrise, entusiasta.- Beh,-
continuò, schiarendosi la voce,- ora che abbiamo finito di
parlare di queste
deliziose frivolezze, ti andrebbe di dirmi come stai?-
incrociò le braccia sul
petto.
Le luci del fast
food, in cui avevamo deciso di
fermarci per prendere un pausa dallo shopping sfrenato, facevano
brillare il
Rolex che aveva al polso.
-Non bene, Fred.
Ti ho raccontato tutta la faccenda
degli Ashling e sai cosa provo per Terence, quindi…- spostai
il bicchiere in
avanti.
-Questo
l’avevo capito.- sospirò.- e non hai
intenzione di fare nulla per cambiare le cose?
-E cosa dovrei
fare? Mi sembra che l’intera
situazione sia contro di me. – mi portai una ciocca di
capelli dietro
l’orecchio.
-Non sono
d’accordo. Se l’autista degli Ashling ti
ha raccontato tutte quelle cose, un perché ci
sarà! Forse tocca a te, fare il
primo passo e andare a parlare con Terence, per spiegargli che hai
capito i
motivi che lo hanno spinto a fare la pazzia di accettare il
fidanzamento con
quella ragazza e a convincerlo che insieme potreste costruire qualcosa
di
bello.
Scossi la testa.
-Fred,
è troppo complicato.
-Solo se pensi
che lo sia.- mi rispose, seriamente.
Sorrisi,
riconoscendo la citazione.
-Cos’è?
Citi il Cappellai
matto di Alice nel paese delle
meraviglie?
-Mi è
sempre piaciuto citare i grandi uomini.- fu la
sua risposta.
Qualche secondo
e ridemmo insieme.
-E comunque,-
riprese, tornando serio.- anche per me
è complicato amare Edward, soprattutto in un mondo di
pregiudizi e di ignoranza
quale è quello in cui viviamo, eppure io non mollo mai,
Jane. Nella vita,
spesso, bisogna affrontare la scelta tra ciò che
è giusto e ciò che è facile. E
sì, adesso ho citato Albus Silente di “Harry
Potter”.
***
Il sabato
successivo, Abbie invitò il suo ragazzo a
cena da noi.
Per quanto
volessi giocare a fare l’indifferente su
tutta la questione ‘Terence’, e memore del discorso
avuto con il mio adorabile
ex, decisi che avrei cercato di dare una svolta
‘attiva’ alla passività con cui
mi stavo imponendo di guardare ai miei problemi.
Fu
così che quando Tom arrivò, mi prefissai di
domandargli se avesse qualche notizia su Terence e se avesse qualche
consiglio
da darmi su tutta la faccenda. Ma proprio quando presi coraggio e mi
affacciai
in cucina, da cui poco prima mi ero allontanata per lasciare lui ed
Abbie un
po’ soli, li sentii parlare di Terence e perciò
decisi di rimanere dietro la
porta per ascoltare. Probabilmente se mi avessero visto, non ne
avrebbero più
parlato, temendo di rendermi triste.
-E di Terence,
hai qualche novità?- fece Abbie.
-Macché!
Da quando è partito, non ci sentiamo da
almeno due settimane! Mi spiace dirlo, ma l’amicizia tra me e
lui in questo
periodo non è più la stessa. Ho provato a
chiamarlo una marea di volte, per non
parlare di tutti gli SMS che gli ho inviato, ma… non ho mai
ricevuto risposta.
Secondo me il padre e quel Campbell lo stanno mettendo sotto pressione, in una maniera
disarmante. E ci
sto male, per questo, Abbie. Non so che fare.- disse Tom.
-Ma come non vi
sentite da almeno due settimane? E’
grave questo, tesoro. Dobbiamo assolutamente fare luce sulla
situazione.
Innanzitutto, prima mi hai detto che è partito. Per andare
dove?- gli chiese la
mia amica, con fare preoccupato.
-Mi
disse che
sarebbe andato a New York con la sua famiglia e con quella della
sua… -Tom si
fermò tossendo,- fidanzata. Oddio, mi vengono ancora i
brividi a dire questa
parola! Da quando si è fidanzato con Tessa Campbell, come ti
ho appena detto, non
è più lo stesso tra di noi, anche nel modo di
rispondermi è sempre stato
piuttosto frettoloso.
-Mhm,- sentii
Abbie sospirare.- Direi che l’unico
modo per capirci qualcosa di più, è informarci.
Magari chiediamo anche all’autista
della famiglia… com’è che si chiama?
Harrison? Beh facciamoci aiutare e
cerchiamo di capire almeno se stia bene. Ammetto di aver odiato Terence
per
come si rivolse alla mia Jane, quella sera, ma da quando lei mi ha
raccontato tutti
i dettagli della sua infanzia e del rapporto con quell’odioso
del padre, mi
sembra nostro dovere controllare che almeno stia bene, visto che
purtroppo, per
il resto, abbiamo le mani legate. Ti chiedo solo una cosa, Tom: non
dire niente
a Jane. E’ molto sensibile come persona, e in questo periodo
gliene sono successe
troppe. Sapere che Terence non si fa vivo da due settimane, non farebbe
altro
che affossarla di più.
E invece, io
avevo ascoltato tutto. Ma più che
affossata, mi sentivo arrabbiata. Sapere che Terence non solo era stato
costretto ad accettare un fidanzamento con un’estranea, per
colpa di quello
stupido del padre, ma che adesso non poteva neanche sentirsi
più con il suo
migliore amico, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. E poi, il
fatto che
per così tanti giorni non si fosse fatto minimamente
sentire, mi preoccupava e
non poco.
Decisi, con
passo felpato, di allontanarmi. Non
volevo preoccupare la mia amica, e sapere che io avevo sentito questa
parte
della loro conversazione, l’avrebbe preoccupata eccome!
Adesso volevo solo fare
qualche ricerca su internet. Ora che sapevo molte cose della vita di
Terence,
pensai che non fosse più un’intromissione della
sua privacy andare in rete e
cercare di capirci qualcosa di più.
Quando arrivai
nella mia camera, ne chiusi la porta
e aprii frettolosamente il mio computer portatile. Aprii il motore di
ricerca,
e dopo aver messo una canzone per non destare sospetti alla mia amica,
inizia a
digitare il nome di Terence e quello del suo futuro suocero.
Trovai, in pochi
secondi, numerosi giornali online
che citavano come titolo l’imminente festa di fidanzamento
tra i due futuri
eredi, ma non appena cliccai su di essi per leggerne il contenuto, mi
si aprì ,
in tutti i casi, una pagina bianca con una sorta di simbolo di divieto
postato
al loro centro. Era come se ogni contenuto scritto su quegli articoli,
fosse
stato bloccato, e ciò era molto strano, considerato che fino
a non molto tempo
prima persino i tg parlavano in tv delle due famiglie.
Decisi di non
demordere e quando mi parve di
accedere ad un articolo che citava gli Ashling postato, per mia
fortuna, solo pochi
minuti prima da un giornalista, lo aprii. Fortunatamente non era stato
oscurato. Pochi secondi, però, e sentii la mia amica bussare
alla porta. Feci
una foto ad esso con il mio cellulare, senza leggerne il contenuto, e
chiusi di
scatto il pc.
-Posso?-
domandò timidamente Abbie, entrando in
camera e richiudendosi la porta alle spalle.
-Certo che puoi.
Dimmi tutto.- le sorrisi.
Sperai che la
mia espressione sorridente celasse la
preoccupazione dei miei occhi.
-No, nulla.
Volevo solo dirti che la cena è pronta.
Il suo sguardo
era puntato verso il basso e se non
avessi intuito il motivo per cui non mi stesse guardando negli occhi,
mi sarei
preoccupata.
-Non volete
cenare da soli, tu e Tom?- chiesi,
alzandomi in piedi e stiracchiandomi le braccia.
-Certo che no.
Ti ho preparato un piatto super
buono, e poi non vuoi fare due chiacchiere con Tom, per verificare che
sia il
fidanzato perfetto per me?
Ridacchiai.
-Beh…
ora che mi ci fai pensare, due domande le
avrei.
Scoppiò
a ridere e dopo poco uscimmo dalla mia
camera.
***
Non avevo
bisogno di altre conferme, ma vedere
l’amore che legava la mia amica al suo fidanzato, non faceva
altro che dare
forza alle mie certezze. Il modo in cui si guardavano negli occhi, come
si
completavano le frasi a vicenda, la maniera in cui gli occhi di Abbie
brillavano quando rideva per una sua battuta, erano solo alcune delle
cose che
mi dicevano quanto bene stessero
insieme. Entrambi non si fermarono mai sull’argomento
‘Terence’, e io non ebbi
il coraggio di fare domande. Certo più di una volta si
guardarono complici
negli occhi, come se avessero qualcosa da nascondermi, ma lasciai
stare. Dopo
cena, decidemmo di fare alcuni giochi da tavolo, ultimo dei quali il caro vecchio Monopoly,
la cui partita fu
vinta da Thomas. Quando i due fidanzatini decisero di guardare un film,
decisi
di farmi da parte e di rintanarmi nella mia camera, per concludere
quelle
ricerche su Terence che prima non ero riuscita a portare a termine.
Quando riaccesi
il computer, notai, come avevo
immaginato, che anche l’articolo che avevo beccato prima di
cena, era stato
bloccato. Chiedendomi ancora cosa ci fosse dietro a tutte queste
cancellazione,
aprii le foto che avevo scattato dal mio cellulare. Ciò che
era scritto era
breve, ma bastò ad aggiungermi altre preoccupazioni. Era
raccontato, infatti,
molto brevemente, che i preparativi del fidanzamento tra Terence e
Tessa erano
stati interrotti per motivi riguardanti la salute del primo,
nell’articolo non
specificati. Lessi anche che la sua condizione doveva essere grave,
perché delle
fonti vicine al giornale avevano
sentito la famiglia parlare del New York
Methodist Hospital. Quando arrivai a fine articolo, sospirai
gettando il
telefono sul mio letto. Un’improvvisa paura si
impossessò di me. Terence che
non faceva avere più notizie al suo amico, gli articoli di
giornali bloccati,
la sua condizione di salute grave al punto da essere ricoverato in un
ospedale.
Avevo bisogno di
vederlo, di capire con i miei occhi
cosa gli fosse successo e come lo stessero trattando. Il primo pensiero
fu
quello di rivolgermi ad Harrison, così ripresi il cellulare
e gli telefonai.
Tre squilli dopo
mi rispose.
-Signorina
Jane… non mi aspettavo una sua chiamata.-
fece, leggermente preoccupato.
-Salve Harrison.
Scusi se la disturbo e se andrò
dritto al sodo, ma ho bisogno di sapere alcune cose: innanzitutto come
sta
Terence? Ne sa qualcosa? Ho notato che diversi articoli online,
riguardanti gli
Ashling, sono stati cancellati , ma sono riuscita a trovarne uno, in
cui ho
letto che è stato ricoverato in un ospedale a New
York… - feci tutto d’un fiato.
Sentii,
dall’altra parte, un sospiro.
-Purtroppo so
quanto lei, signorina. Due settimane
fa, al nostro appuntamento al bar, le ho raccontato che gli Ashling
erano
partiti, si ricorda?
-Sì.-
risposi subito.
-Beh, erano
partiti per New York per affari, e il
loro ritorno era previsto per la settima scorsa, ma… una
telefonata da parte di
Catherine mi ha avvisato che il loro viaggio è posticipato a
data da
destinarsi, per via del fatto che il signorino ha avuto un incidente.
Mi ha
detto di prendermi un periodo di ferie e di non preoccuparmi.-
sospirò.
-Un incidente?-
domandai in preda all’agitazione.-
Dio...- iniziai a fare su e giù per la stanza.
-Stia
tranquilla, signorina. Agitarsi non porta mai
a niente di buono. Se può farla stare meglio, le dico che ho
deciso di andare a
verificare che non sia successo nulla di grave al signorino,
personalmente. Fra
due giorni ho deciso, infatti, di partire per New York. Terence
è come un
figlio per me, e ho il dovere di andare
a vedere cosa gli sia successo. E
non parlo solo dell’incidente, ma anche del
fatto che è da quando è
partito, che non mi manda neanche un messaggio, cosa che gli avevo
fatto
promettere di fare per tutti i giorni in cui non fosse stato ad
Edimburgo.
Mi sedetti sul
mio letto, sospirando.
-Partire? Fra
due giorni? – mi passai una mano nei
capelli.
-Sì,
è mio dovere farlo. Piuttosto, visto che siamo
in argomento, e visto il fatto che ci avevo già pensato, le
chiedo se non… non
vuole partire anche lei, con me.
Vista
dall’esterno, in questo momento, dovevo
sembrare imbambolata, perché dischiusi leggermente le
labbra, in un’espressione
di pura sorpresa sul mio volto. Non mi aspettavo un invito del genere.
-Partire con lei
a… New York?- biascicai.
-E’
quello che ho detto. Se non si fosse capito, io
tifo per lei Jane, e visto purtroppo l’andamento delle cose,
credo che se lei tenga
a Terence, debba fare qualcosa…! In ogni caso, è
solo una proposta la mia. E ha
diverse ore per pensarci. Domattina, se vuole, mi telefoni, e mi dica
ciò che
desidera fare. Ora, mi spiace, ma devo salutarla Jane.
Ricambiai il
saluto e riattaccai.
Terence aveva
avuto un incidente, e diverse cose non
mi erano chiare. Che fosse davvero il caso di partire per andare a
constatare
con i miei occhi quale fosse la sua situazione? Ciò avrebbe
comportato
richiedere un altro periodo di ferie al mio capo, e dubitavo che me
l’avrebbe
concesso, ma… forse se gli avessi spiegato la situazione,
cambiando dei nomi e
modificando qualche dettaglio, avrebbe potuto chiudere un occhio.
L’indomani
mattina, vista la piega delle cose, raccontai
dell’articolo e della telefonata ad Abbie che, sostenne la
mia idea di partire
per New York, dicendomi che con molta probabilità mi avrebbe
raggiunta anche
lei con Tom, qualche giorno più tardi del mio.
Anche a lavoro,
Barbara e Freddie furono d’accordo
con la mia scelta. L’unico che mi pose resistenza fu, come
avevo previsto,
George. Ma quando gli dissi, travisando un po’ i fatti, che un mio parente stretto
era stato
ricoverato in ospedale, per un incidente, il suo animo si
addolcì e il suo
sguardo si illuminò, dicendomi di prendermi tutti i giorni
di cui avessi avuto
bisogno. D’altronde, al Giornale, non stava succedendo nulla
di particolarmente
importante in questo periodo. E solo a dicembre, con l’arrivo
delle feste,
sapevo che qualcosa di grande sarebbe stato organizzato.
Il pomeriggio
prima del viaggio, presi il più grande
trolley che possedevo e lo riempii di qualsiasi cosa mi capitasse a
tiro,
dall’armadio. Sciarpe, maglioni, pantaloni e scarponcini
comodi. Ero in
ansia e avevo tanta paura. Paura di
risultare invadente davanti agli Ashling e i Campbell,
perché in fondo per loro
non ero nient’altro che un’estranea e, soprattutto,
paura che a Terence fosse
capitato qualcosa di grave.
-Tesoro, vuoi
stare tranquilla? Vedrai che non sarà
niente di grave…- cercò di tranquillizzarmi
Abbie, piegando con cura tutte le
maglie che io, per l’agitazione, mi stavo limitando ad
appallottolare.
Mi limitai a
guardarla per un secondo, continuando a
riempire, senza sosta, la mia valigia.
-Lo spero con
tutto il cuore. Posso accettare tutto,
ma non che stia male.- le dissi.
-Io e Tom, vi
raggiungiamo fra due giorni.
Alloggerete all’ Hudson
Hotel?-
continuò.
Annuii con la
testa.
-Bene.
La mattina dopo,
alle cinque in punto, Abbie mi
accompagnò all’aeroporto, dove incontrammo
,all’ingresso, Harrison. Il volo
sarebbe partito tra un’ora. La mia amica mi strinse forte in
un abbraccio,
dandomi un bacio sulla guancia e dicendomi che sarebbe andato tutto
bene. Poi,
sotto mia richiesta, se ne andò lasciandomi sola con
l’autista, con cui andai a
sbrigare le diverse faccende burocratiche pre volo.
Quando finimmo,
decidemmo di andarci a sedere su una
delle fredde sedie di plastiche dell’aeroporto.
-Vedrà
che tutto si sistemerà, Jane.- mi strinse una
spalla, Harrison.
-Me lo auguro,
signor Harrison. In ogni caso,
secondo lei, non è sconveniente che io mi presenti davanti
agli Ashling? Non mi
conoscono neanche e, in fondo, non ho alcun diritto su
Terence…- lo guardai,
dando voce ad alcuni dei dubbi che mi avevano perseguitato durante la
notte.
-Beh, signorina,
io non vedo nulla di sconveniente
nel farmi compagnia durante questo viaggio. I signori non la conoscono,
ma lei
conosce Terence e questa è l’unica cosa che conta.
In più, lei ha tutto il
diritto di fargli una visita, in qualità di sua amica! Se
dovesse esserci
qualche complicazione, me ne prenderò tutta la
responsabilità.
-Grazie
Harrison.- gli sorrisi, grata.
Poco dopo mi
schiarii la voce.
-Senta
Harrison…- decisi di chiedergli ancora.
Lui mi
guardò, curioso.
-L’ultima
volta che ci siamo incontrati, quando le
ho chiesto se lei avrebbe fatto qualcosa per riavvicinare me e Terence,
lei non
mi ha risposto, mi ha fatto un’ occhiolino e se
n’è andato. Non sono riuscita a
interpretare il suo gesto… così vago.- ammisi,
guardandolo negli occhi.
Harrison,
piegò le labbra in un mezzo sorriso.
Stranamente assomigliò a Terence, con questa espressione.
-Interpreti il
mio gesto come un volerla spronarla a
fare qualcosa, Jane. Ci conosciamo da poco, è vero, ma mi
basta guardarla negli
occhi per leggere dentro di lei tanta forza. So che a lei Terence non
è
indifferente e il mio occhiolino, voleva essere una sorta di incentivo
a
“combattere”.
-E in che modo,
secondo lei, io avrei potuto
combattere? In questi giorni mi sono sentita preda di molti attacchi
d’ansia,
lo sa? Non ho mai saputo cosa fare.- confessai.
-So che non
è facile prendere delle decisioni quando
ci si trova immischiati in faccende grandi come quella che si
è creata tra lei
e il signorino, ma… forse la sua semplice presenza, sarebbe
stata sufficiente.
-Ma se Terence,
mi ha espressamente chiesto di
stargli lontana, come avrei potuto stargli accanto?- feci, passandomi
nervosamente una mano nei capelli.
-Walt Disney un
giorno disse: “L’unico modo per
iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a
fare”. Quindi,
Jane, lei avrebbe potuto fare quello che già sta facendo
adesso. Fare di tutto,
per mostrare a Terence che lei non si arrende.- mi fece di nuovo
l’occhiolino,
e poi si girò a guardare lo screen dei vari voli.
Annuii con la
testa, ancora un po’ confusa. Era
sicuramente un uomo saggio, l’anziano autista, ma sapeva
essere anche molto
enigmatico. E comunque, questo sembrava il periodo in cui tutti mi
parlavano
tramite aforismi.
Poco dopo, ci
imbarcammo sul nostro volo. I nostri
posti erano vicini, e il mio era quello vicino a finestrino, come da
mia
richiesta. Mi piaceva guardare il cielo e il paesaggio
dall’alto. Mi aiutava a
riflettere, e a far passare più velocemente il tempo,
soprattutto se il viaggio
sarebbe durato tanto, come in questo caso, in cui avremmo impiegato
sette ore
per arrivare a New York. Questa
era la
terza volta che partivo in aereo; le prime due volte ero partita per
motivi
lavorativi, spostandomi una volta a Madrid e una a Milano, per la
settimana
della moda. Ma, questa volta era diverso. Questo non era una viaggio di
lavoro,
né di piacere. Partivo per cercare chiarezze in questo
periodo della mia vita,
che in poco tempo, si era fatto complicato, e per cercare di stare
vicino ad
una persona che, malgrado tutto, teneva ancora strette tra le sue dita
i fili a
cui era legato il mio cuore. Forse Harrison aveva ragione.
L’unico modo per
cambiare le cose, era prendere in mano la situazione, facendo di tutto
per
cambiarle.
Durante il
viaggio io e il signor Harrison non
parlammo molto. L’autista era chiaramente giù di
morale, sebbene cercasse di
sorridermi ogni qual volta giravo il mio sguardo per guardarlo negli
occhi.
Quanto a me, ero troppo assorta nei miei pensieri per intavolare
qualche
conversazione.
Poco dopo, forse
per il fatto che non dormissi bene
da giorni, i miei occhi si fecero pesanti e mi addormentai.
***
-Jane siamo
arrivati.- mi svegliò Harrison.
Controllai
l’orologio da polso, costatando che,
effettivamente, erano trascorse poco meno che sette ore da quando ci eravamo imbarcati. Mi
stropicciai gli
occhi, poi diedi una fugata occhiata al finestrino, da cui adesso mi si
presentava un paesaggio completamente diverso da quello
dell’aeroporto di
Edimburgo e poi, uscii.
Presi i nostri
bagagli, Harrison chiamò un taxi che
ci accompagnò fino all’ Hudson Hotel, albergo non
molto distante da Central
Park, dove era situato l’ospedale di Terence.
La frenesia e la
caoticità delle strade di New York
mi colpirono in pieno viso, insieme al vento che fuoriusciva dal
finestrino del
taxi, da me aperto a metà. Edimburgo, la mia
città, era una capitale europea, e
come tale aveva la sua frenesia, ma era sicuramente impareggiabile alla
città
della Statua della Libertà. Qui, erano le otto del mattino
per via del fuso
orario, e le strade cominciavano a essere colorate dai soprabiti e dai
vestiti
dei bambini in procinto di andare a scuola, dalla gente che andava a
lavoro e da
quelli che erano in giro a fare commissioni.
L’odore
del fumo delle macchine mischiato al profumo
del caffè dei vari bar, ci condusse fino a quando arrivammo
alla nostra
destinazione. Pagato il taxista, giungemmo alla receptionist
dell’hotel,
mostrammo i nostri documenti di identità, e poi salimmo
verso le nostre stanze.
-Se vuole
signorina, diamoci un paio di ore per
rinfrescarci e per riprenderci dal viaggio. Verso le dieci, mangiamo
qualcosa e
poi andiamo all’ospedale.- mi propose l’autista,
circondato da due valigie e
con una mano sulla maniglia della porta della sua camera.
-Sono
d’accordo.- acconsentii, prima di sorridergli
e di entrare in stanza.
L’albergo
in cui alloggiavamo era a quattro stelle.
Le camere erano state pagate da Harrison che aveva insistito per pagare
anche
il viaggio in aereo. Alla fine, però, l’avevo
spuntata io, pagando
quest’ultimo.
La stanza era
bella. Pulita, e ordinata, con un
grande letto al centro e un grande comodino sotto uno specchio. Una tv
a
schermo piatto si ergeva sopra un divanetto e dalla finestra si
potevano
osservare dei grattacieli specchiati.
Posai i bagagli
vicino all’armadio, mi tolsi le
scarpe e l’impermeabile che avevo indosso e poi mi stesi sul
letto, incrociando
le mani sul petto e guardando il soffitto. Poi chiusi gli occhi e mi
concessi
qualche minuto per immergermi in qualche ricordo. Ripensai al primo
incontro
che avevo avuto con Terence, alla sua scontrosità, ai suoi
mezzi sorrisi, ai
suoi occhiali da sole, alla prima volta che avevo visto i suoi occhi,
vitrei ma
belli, al nostro scambio di battute, a quando mi cantò
“Mad World” al
pianoforte, a quando mi fece incontrare i suoi amici al centro di
riabilitazione, a quando mi regalò una rosa bianca, a come
mi ero sempre
sentita in sua compagnia e alle parole che mi aveva rivolto
l’ultima volta che
ci eravamo visti, quando in mezzo al quel discorso, per me insensato,
mi aveva
detto di trovarmi bella e di piacergli. Terence Ashling era un ragazzo
affascinante, e non parlavo solo del suo aspetto esteriore, ma
soprattutto
della sua anima.
La
sua anima
era affascinante.
Era
un’anima segnata da cicatrici, forte, dolce e
tanto fragile. E pensare, che la prima volta che lo avevo conosciuto,
non mi
aveva fatto una bella impressione. Troppo snob, troppo so tutto io,
troppo
arrogante, ma poi… poi avevo visto sotto la corazza. Avevo
visto un ragazzo che
cadeva ma che aveva paura ad ammetterlo, che mi regalava le mie
caramelle
preferite, dicendo che in realtà per lui erano abbastanza,
che aveva paura a
ballare, perché non lo sapeva fare. Piccoli gesti, che lo
rendevano il ragazzo
più bello che potessi conoscere. A me Terence Ashling
piaceva, e anche tanto,
ma la mia non era solo una cotta, o un’infatuazione. Io
provavo dell’affetto
che andava ben oltre l’amicizia nei suoi confronti. Io ne ero
innamorata.
In queste
settimane mi ero sentita come la
spettatrice esterna della mia vita. Era come se questa fosse un film le
cui
scene si erano succedute troppo in fretta, senza che io potessi mettere
nulla
in pausa, senza che potessi tornare indietro e cambiare le cose. Ma
adesso,
volevo cambiare le cose. Avevo fatto un viaggio lungo sette ore per
essere
vicina al ragazzo che mi piaceva ,e anche se avevo paura di diverse
cose, ero
consapevole del fatto di poter essere una protagonista forte
perché innamorata,
e questa era forse un primo passo per rendere la mia vita il mio film.
E non il
film di Mary Anne Williams, di Christopher Wilson, di Tessa Campbell, o
di
qualcun altro, ma il film di Jane Ryan.
***
Alle dieci in
punto io ed Harrison andammo in un bar
poco distante dal nostro albergo. Io ordinai un cappuccino, lui un
caffè.
Entrambi avevamo l’aria assorta ma cercammo di fare
conversazione, chiedendoci
cosa avesse portato Terence ad avere un incidente. L’autista
mi raccontò di
come il signor Ashling, seppur distante da suo figlio, avesse sempre
cercato,
dopo la cecità, di garantirgli sicurezza e
tranquillità e che quindi
ipotizzava, che il tutto fosse successo in un momento di assenza dal
genitore.
Poi mi raccontò di aver visitato New York già una
volta nella sua vita, quando
era molto giovane e sperava di far fortuna in America.
-E come
è finito a fare l’autista?- feci io
incuriosita, bevendo lentamente la mia calda bevanda.
Le temperature
erano più calde rispetto ad
Edimburgo, ma ciò nonostante avevo un forte bisogno di
riscaldarmi.
-Ho iniziato a
fare l’autista un po’ per caso. Un
giorno un vecchio amico di mio padre, mi chiese se volessi
accompagnarlo da una
parte per qualche soldo. Prontamente accettai. Quando ero ragazzo, i
tempi
erano un po’ più difficili di adesso, e non
potendo ricevere neanche
un’istruzione superiore, mi accontentavo di qualsiasi cosa.
Mi accorsi che
accompagnare persone con l’automobile mi piaceva. Mi piaceva
osservare il mondo
che mi circondava attraverso i vetri di una macchina, e che amavo
capire i
sentimenti di chi scortavo, dando solo una fugace occhiata allo
specchietto
retrovisore.- l’autista si fermò guardandomi.-
Poi, dopo anni di servizio
presso una vecchia donna ricca, quando questa morì, fui
presentato agli Ashling
e da lì…- non concluse la frase.
Io lo ascoltai
in silenzio. Harrison era un
brav’uomo e visti da lontano potevamo sembrare un nonno e una
nipote.
Dopo aver pagato
il conto, ci avviammo a piedi verso
il New York Methodist Hospital.
-Sa signor
Harrison, ho fatto un sogno una settimana
fa.- mi strinsi la sciarpa al collo.
Una fiumana di
persone avanzava sul marciapiede su
cui stavamo
camminando ed io e l’autista
ci eravamo avvicinati e fatti piccoli, per evitare di essere spintonati.
-Un sogno di che
tipo?- mi guardò un secondo.
-Ho sognato
Terence. Eravamo al parco di Holyrood, i
suoi occhi erano vivi e mi diceva che era tornato a vedere…
anche se ciò non
era stato facile.
-Non era stato
facile?- chiese curioso.
-Sì…
nel sogno mi diceva proprio così. Non so però a
cosa si riferisse.
Harrison
sospirò.
-Curioso sogno,
Jane. Ma per il momento possiamo
solo avere fede.
Annuii con il
capo continuando a camminare.
Una decina di
minuti dopo ci trovammo di fronte ad
un edificio in calce, grigio, su cui svettava ,sopra una grande porta
vetrata,
un’insegna rossa con impresso, in bianco, il nome
dell’ospedale.
Io ed Harrison
avanzammo lentamente al suo interno,
venendo investiti dal candore delle pareti e da un’acre odore
di medicinali. La
sala d’attesa era grande e sedute c’erano numerose
persone, tra cui anziani e
bambini.
Quando fummo
vicini alla reception, dovemmo
aspettare il turno dopo tre persone, tutte piuttosto disperate.
L’infermiera
che dava indicazione, era una donna di colore dai corti capelli
castani,
vestita con una casacca bianca colorata da pupazzetti disegnati. Era
molto
veloce nel dare indicazione e la frenesia con cui svolgeva il suo
lavoro, era
notabile dai movimenti veloci con cui consegnava moduli e fogli da
firmare.
-Prego.- fece la
donna, quando arrivò il nostro
turno.
-Buongiorno.
Vorremmo sapere dov’è ricoverato un
nostro amico. Si chiama Terence Ashling.- rispose Harrison.
Io ero vicina a
lui, troppo in ansia per spiccicare
anche una sola parola.
-Ashling, ha
detto? Mi spiace, ma il signor Ashling
ha chiesto espressamente di non voler ricevere per suo figlio, alcun
tipo di
visita. Credo tema incursioni da parte di giornalisti.- concluse
l’infermiera,
guardando prima me poi lui.
-Oh…
capisco. – fece colto di sorpresa Harrison.-E
non c’è alcun modo di mettersi in contatto con il
signor Ashling per avvisarlo
della nostra presenza? Sono l’autista della famiglia e
…
-Mi spiace
signore, ma gli ordini che mi sono stati
datti sono quelli che le ho appena riferito. Ora, la prego di andarsene
e di
far passare gli altri pazienti.- lo interruppe.
Presi dallo
sconforto ci allontanammo. Non avevo
considerato la possibilità che la famiglia di Terence non
volesse che nessun
altro, tranne i parenti stretti, potessero fargli visita. Alla fine,
ero punto
e a capo. Non avevo concluso nulla.
Ma
mi sembrava tutto molto strano. Non permettere a nessuno, nemmeno
all’autista
di famiglia, di fare una visita era davvero eccessivo. Paura di
incursioni da
parte dei giornalisti? Ma perché? Fino a non molto prima, il
nome Ashling era
sulla bocca di tutti, e adesso non volevano giornalisti?
-Harrison?- fece
poi, una voce all’improvviso.
Io e
l’autista, quasi vicini alla porta d’entrata, ci
voltammo. Una donna bella e bionda ci raggiunse, con in mano un
bicchiere di
carta. Mi ci volle qualche istante per riconoscerla come la donna che
avevo visto
al “Queen Victoria”, quando Barbara ci disse del
suo matrimonio, insieme a
Terence.
-Signorina
Catherine.- le andò incontro l’autista.
Io lo seguii.
-Che ci fai qui,
Harrison? E lei chi è?- mi rivolse
un’occhiata la bionda.
Il suo tono era
freddo. Il volto era un po’ pallido
ma perfettamente truccato e i capelli erano freschi di parrucchiere. Il
ritratto di una donna disperata, insomma.
-Salve. Mi
chiamo Jane Ryan e sono… sono un’amica di
Terence.- risposi titubante, ingoiando subito dopo della saliva.
Catherine mi
fissò, guardandomi dall’alto in basso.
-Ah, allora tu
sei la famosa Jane Ryan!- puntò, poi,
lo sguardo verso l’autista.- Non mi hai ancora detto il
motivo per cui sei qui.
Mi conosceva?
-Signorina, so
che mi ha detto di non preoccuparmi,
ma lei sa quanto sia affezionato al signorino Terence e quando ho
saputo
dell’incidente, non potevo non venire personalmente a
controllare la situazione.-
le spiegò.
Catherine
strinse il bicchiere nella mano, e
continuò a guardare prime me poi l’anziano.
-Mi spiace
Harrison, ma temo tu abbia fatto un
viaggio a vuoto. Mio padre non vuole che nessuno venga a far visita a
mio
fratello. E comunque, non capisco perché tu abbia
portato… lei.- mi guardò.-
sai che c’è Tessa, vero? Potrebbe farsi
chissà che strane idee vedendola.
In ogni caso, Terence non è grave. Ora
è in
coma farmacologico, a causa di una caduta che lo ha portato a sbattere
la
testa. – concluse la frase come se ciò che fosse
successo al fratello, fosse
paragonabile a un taglietto sul ginocchio.
-Sbattere la
testa?- domandai io, allarmata.
Si rendeva conto
della gravità dell’incidente,
Catherine tiguardodall’altoinbasso
Ashling?
-Non credo che
possa interessarti, signorina Ryan.
Tu non sei nessuno né per me, né per la mia
famiglia, né tantomeno per mio
fratello che, come saprai, è fidanzato.
Strinsi i denti,
chiudendo le mani a pugno. Avrei
voluto tirarle uno schiaffo, ma ero in ospedale e lei era la sorella di
Terence. Perché mi si rivolgeva con una tale durezza?
-Signorina,
forse per lei non è nessuno Jane Ryan,
ma per suo fratello lei è una figura importante, glielo
posso garantire. La
signorina e io abbiamo fatto un viaggio lungo sette ore per essere qui
,ed
entrambi abbiamo il diritto di fare una visita al nostro amico
Terence.- le
rispose Harrison, diventando rosso. Era visivamente alterato.
-Innanzitutto
non ti rivolgere a me in questi toni.
Sei un dipendente della mia famiglia, se te ne fossi dimenticato, non
un nostro
amico. Secondo, nessuno ti ha chiesto di venire qui. Ti ho detto di
prenderti
un periodo di ferie e di farti gli affari tuoi, questo è
tutto. Ora, vi sarei
grata, se ve ne andaste o sarò costretta a chiamare la
sicurezza.
Catherine
Ashling ci scoccò un’ultima
occhiataccia e se
ne andò.
Veleno. Ecco
cosa scorreva nelle vene di questa
arpia dalle gambe lunghe e dal cuore di pietra. Se il gemello era come
lei,
potevo solo immaginare come doveva essersi sentito Terence da bambino e
da
adolescente.
-Non mi
aspettavo minimamente una cosa del genere,
signorina. Mi dispiace così tanto di averla messa in questa
situazione.-
Harrison abbassò il capo, realmente dispiaciuto.
-Non osi
scusarsi, Harrison. Lei non ha nulla a che
fare con la scortesia di questa ragazza. Posso anche capire che non
permetta a
me di fare visita a suo fratello, seppur i modi con cui mi si sia
rivolta siano
stati molto discutibili, ma a lei… è
inconcepibile.
Eravamo ancora
nella hall dell’ospedale, e alcuni
occhi erano puntati su di noi.
-Non capisco il
perché, davvero.- si passò una mano
sugli occhi.
-Non si
preoccupi. Le va di andare a fare una
passeggiata a Central Park?- cercai di sorridergli.
Anch’io
ero dispiaciuta per ciò che era successo.
Volevo vedere Terence e avere la possibilità di stringerli
almeno la mano, ma
purtroppo sembrava che non potessi fare nulla per il momento. Ero
sì la
protagonista del mio film, ma a volte gli antagonisti avevano la meglio.
L’autista
annuì, e così uscimmo.
***
Seduti su una
delle tante panchine di uno dei più
bei parchi del mondo, io ed Harrison guardammo la vita di tanta gente
girarci
attorno. Il cielo era limpido, le chiome alberate erano colorate
d’arancio e di
giallo, ed io e lui eravamo in silenzio a rimuginare su ciò
che fosse successo.
-Un modo per
entrare lo troveremo, ne sia sicura
Jane. L’ospedale non è della famiglia Ashling e
non hanno alcun diritto di
proibirci di far visita a Terence.- fece l’autista, ancora
rosso in volto.
Era arrabbiato
almeno la metà di quello che ero io.
-Jane Ryan, la
giornalista?
Mi sentii
chiamare da qualcuno, così mi voltai. Sulla
panchina accanto alla nostra, ci stavano guardando due ragazze, molto
simili
tra loro. Una delle due indossava un paio di occhiali da sole sugli
occhi e
proprio questa mi sembrò di averla già vista.
-Sono io, e tu
sei…?
-Sono Lizzie. Ci
siamo incontrare al centro di
riabilitazione “The House of the Rising Sun”,
più di un mese fa. Si ricorda?
Ma certo! Che
sciocca che ero stata a non
ricordarmene subito.
-Oddio, certo
che mi ricordo di te! Scusami, se non
ti ho riconosciuto subito. Ho la testa un po’ incasinata in
questo periodo .-
le sorrisi di un sorriso che purtroppo non avrebbe potuto vedere.
-Salve. Sono
Sarah, la sorella di Lizzy.- mi tese la
mano, l’altra ragazza.
Gliela strinsi,
sorridendole. Ora che guardavo
meglio, notai un bastone per non vedenti tra le mani di Lizzie.
-Che ci fai qui?
Non eri al centro di
riabilitazione?- feci con curiosità.
-Ho uno zio
dottore qui a New York specializzato
nella cura degli occhi. Vengo a fare dei controlli due volte al mese al
Methodist Hospital.- mi spiegò.- Lei, invece? Ho
riconosciuto subito la sua
voce, ma pensavo di sbagliarmi fin quando non ho sentito una voce
maschile
nominare gli Ashling e lei.
-Sì,
sono stato io. Piacere signorine, sono
Harrison, autista degli Ashling.- l’autista si
presentò alle due ragazze.
-Piacere mio!
Siete qui per Terence, dunque?- ci
domandò Lizzie.
-Sì.
L’hai ipotizzato sentendo me e il suo cognome?
-Sì,
ma anche perché so che è stato ricoverato, e
sentendo la sua voce, ho fatto due calcoli.
Harrison ed io
ci guardammo negli occhi, con un
barlume di speranza. Speranza che lei sapesse qualcosa di
più di ciò che ci
aveva raccontato quell’antipatica.
-Ne sai
qualcosa, Lizzie? Purtroppo non siamo stati
ben accolti in ospedale. Gli Ashling non vogliono che nessuno faccia
visita a
Terence.- feci sconsolata.
-Sì,
lo so! Ho tentato anch’io di fare una visita a
Terence ma non mi è stato permesso. In ogni caso, ho
costretto mio zio a raccogliere
qualche informazione.
-Che splendida
coincidenza, averti incontrato qui.
Ti andrebbe di dirci cosa ha saputo tuo zio?- feci in attesa, con il
cuore in
gola.
- Certo che vi
racconto!- si schiarì la voce.-
Dunque mi ha detto che Terence, per motivi che non sa, stava
passeggiando per
le strade della città quando una macchina è stata
sul punto di investirlo.
Fortunatamente si è fermata in tempo, ma Terence deve aver
avvertito il
pericolo, per cui ha perso l’equilibro scivolando e sbattendo
la testa contro
l’asfalto. Ora è stato messo in coma
farmacologico, perché pare che il colpo
causatogli dalla caduta sia pari a quello che ricevette quando divenne
cieco.
Ascoltai Lizzie,
con la massima attenzione. Il cuore
iniziò a battermi freneticamente e l’ansia
iniziò a salirmi a mille.
-E quindi questo
cosa significa signorina?- le
chiese preoccupato Harrison.
-Mio zio mi ha
spiegato che fortunatamente non è
stata intaccata nessuna parte importante, e che fra al massimo due
settimane
dovrebbero dimetterlo. Il colpo, però, potrebbe aver fatto
sì che l’ematoma che
gli intaccò il nervo ottico anni fa, si sia ridotto. Quindi,
c’è qualche
piccola possibilità che torni… beh… a
vedere.- curvò le sue labbra.
Quando
finì il discorso, sorrisi. Sentii il mio
cuore leggero e privo dell’ansia e della preoccupazione che
provavo fino a poco
fa. Terence sarebbe stato dimesso entro due settimane, senza alcuna
complicazione, e anzi, se fosse andato tutto bene, sarebbe persino
tornato a… a…
vedere! Si poteva morire di gioia?
Anche
l’anziano autista sembrò sollevato. Vidi che i
suoi occhi si fecero lucidi e che prese a guardare con sguardo
inebetito le due
ragazze.
-Dovete essere
due angeli, voi due signorine! Ci
avete portato una notizia splendida.
Harrison face su
con il naso e poi si alzò in piedi,
abbracciando Sarah e Lizzie.
-Oh, ma non
abbiamo fatto nulla! – sorrisero,
entusiaste.
-Avete fatto
tantissimo, invece.- andai ad abbracciarle
anch’io.
Poco dopo ci
raccontarono che dalle due alle tre, il
padre e i due fratelli di Terence scendevano nella mensa
dell’ospedale per il
pranzo, lasciando ad un’infermiera l’incarico di
sorvegliare la stanza.
Ovviamente sapevano tutto questo, sempre grazie al loro zio medico.
-Giusto oggi,
stavamo pensando di tentare la sorte e
di provare ad andare nella stanza di Terence, durante l’ora
di pranzo. Ogni
giorno, c’è un’infermiera diversa, e
quella di oggi la conosciamo, quindi…-
continuò Liz.
Sarah ci
lanciò uno sguardo furbetto.
-Sarebbe
splendido.- trillai entusiasta.
A quanto pare,
un po’ di luce si stava facendo
spazio tra i tanti momenti bui che avevo vissuto.
-Bene. Ora, vi
va di andare a bere qualcosa?
CONTINUA…
Ciaoo ragazze!
:) Chiedo scusa per il ritardo con
cui ho pubblicato il capitolo. Sono stata con un po’
impegnata in questo
periodo! Spero, in ogni caso, di non aver deluso nessuna aspettativa!
Terence
è stato ricoverato in ospedale per un
incidente che fortunatamente non gli ha causato nulla di grave, e
potrebbe
tornare persino a vedere…
Mi scuso, a tal
proposito, se dal punto di vista
medico ci siano delle imprecisioni, ma ai fini della storia, era
necessario che
le cose andassero come le ho descritte. Spero risultino veritiere ;)
Jane sembra
decisa a prendere in mano la situazione
e a diventare la “protagonista” della sua storia.
Non che fino adesso non lo sia
stata, ma a causa dei vari momenti tristi che stava vivendo, si stava
lasciando
un po’ andare…
Grazie come
sempre a tutte voi che non smettete mai
di seguirmi, a chi ha conosciuto la mia storia da poco, e in
particolare a :
angy_897 e a
marioasi per
le bellissime recensioni allo scorso capitolo. <3
A: Jein 1993, _Ayaka_,mki90,DeneB,
LauraG86,shiroganegirl,wadowice,chocosrainbow,Ice and Love,
WikiJoe,Kihara,Vale031, e a miriananana93 per
aver aggiunto “Ad occhi chiusi”
alle proprie seguite. Siete in 104
,per il momento, che seguite questa storia! Grazie mille
davvero a tutte! Non mi aspettavo un traguardo simile. <3
E grazie
nuovamente a : wadowice
per averla inserita
anche nelle proprie preferite <3
Spero
di avere il piacere di leggere alcuni vostri
commenti sul capitolo! Ci sentiamo presto ^_^
|
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Capitolo 18 *** Capitolo Diciotto ***
AD
OCCHI CHIUSI
Capitolo
Diciotto
Il grande amore
ci fa paura perchè ci mette in una situazione di pericolo,
perchè si diventa vulnerabili; si perde la
corazza che abbiamo nei confronti del mondo.
Perchè in amore si dà tutto e si
può anche perdere,e perdere tutto.
F.Ardant
Alle due in
punto,
Sarah rientrò all’interno dell’ospedale
per farci da “vedetta”. Il suo compito
era di controllare che tutti i componenti degli Ashling si dirigessero
nella
mensa, così che noi potessimo finalmente entrare nella
stanza di Terence.
Dieci minuti
dopo,
ritornò da noi, dandoci il via libera e dicendoci che
insieme ai fratelli e al
padre di Terence aveva anche visto Tessa Campbell.
Con noncuranza,
ci
avviammo verso l’ospedale. Decidemmo di entrare due alla
volta, per non dare
troppo nell’occhio. Lizzie sarebbe entrata con sua sorella, e
io con Harrison.
Dopo poco, fummo
dentro. Notai che l’infermiera che ci aveva allontanato in
mattinata, era stata
sostituita con una dai capelli biondi e che il fermento dei pazienti
era minore
rispetto a poche ore prima.
-Ovviamente non
possiamo stare molto nella camera di Terence. Generalmente gli Ashling
rimangono in mensa fino alle tre, ma non si sa mai.- fece Lizzie,
quando fummo
tutti dentro un ascensore.
Tutto odorava di
medicinali. Non mi erano mai piaciuti gli ospedali.
-E per quanto
riguarda
l’infermiera che sorveglierà la stanza di Terence,
possiamo fidarci?- domandò
Harrison.
-Sì,
potete stare
tranquilli. Lavora spesso con mio zio, e molte volte mi è
stata vicina durante
le mie visite.- rispose Lizzie.
La stanza di
Terence
era la numero trentaquattro, situata al terzo piano. Quando
l’ascensore si
fermò, uscimmo tutti con un carico di ansia piuttosto
pesante. Passai di fronte
numerose camere, notando dalle finestre trasparenti che davano sul
corridoio,
diverse persone stese su letti coperti da lenzuola bianche. Sulle maniglie di alcune
porte erano legati
palloncini colorati, unici sprazzi di colore in
quell’ambiente candido. Due
volte, passarono due infermiere con dei carrelli di medicinali, ma per
fortuna
non ci dissero niente. Sapevo, infatti, che per i parenti delle persone
in
coma, non vi erano degli orari ristrettivi, o comunque lo erano meno
che per
gli altri pazienti. La presenza di persone care poteva aiutare molto le
persone
in coma.
Quando fummo di
fronte
alla porta numero trentaquattro, tutti e quattro ci fermammo.
Un’infermiera con
una lunga coda di cavallo nera, salutò
le due sorelle, regalando anche a me e a Harrison un sorriso.
-Per fortuna
Terence non è in condizioni gravi, e
anzi verrà dimesso a breve, ma sono sicura che la presenza
di persone amiche
non potrà fargli che bene. Non capisco infatti,
perché la famiglia non voglia
nessuna visita!- fece dispiaciuta la donna, che doveva chiamarsi Megan,
come
scritto su un cartellino posto sulla sua divisa.- Prego.- aggiunse dopo
poco,
aprendoci la porta.- Io rimango fuori e vi avverto se qualcuno
è in arrivo. Non
rimanete molto, però.
-Grazie.-
dicemmo all’unisono.
Con il cuore che
mi martellava freneticamente nel
petto, entrai per ultima. La stanza di Terence era una banale stanza
d’ospedale, se non fosse stato per il suo essere
più lussuosa delle altre.
Una tv a schermo piatto si ergeva su una
parete tinta di un pallido giallo e due grandi piante erano poste
accanto a una
finestra a balcone, coperta da una tenda bianca. Accanto al suo letto,
invece,
c’era un comodino con sopra un vaso trasparente, riempito da
un vivace mazzo di
fiori colorati.
Una volta che
fummo tutti vicini al suo letto, lo
vidi. Alle sue braccia erano legati alcuni tubicini attaccati a delle
macchine
che riportavano i suoi parametri vitali e sulla bocca era posata una
mascherina
di plastica. Notai il suo battito cardiaco regolare.
Aveva ovviamente
gli occhi chiusi e vederlo così
vulnerabile, mi strinse fortemente il cuore. Sapevo che, ringraziando
Dio,
sarebbe stato dimesso in poco tempo, ma non potevo sentirmi triste nel
vederlo
inerme in quel letto.
Tutti lo
guardammo senza parlare, tranne Lizzie che
fece diverse domande a sua sorella, non potendoci, disgraziatamente,
vedere.
I capelli di
Terence sembravano più lunghi, e un
leggero strato di barba copriva le pallide guance. Le sue ciglia,
lunghe e
scure, facevano ombra sui bei zigomi, e una medicazione gli copriva una
parte
della fronte e della testa. Anche così, mi sembrò
bellissimo.
Poco dopo vidi
Harrison stringergli forte la mano e
avvicinarsi al suo orecchio per sussurrargli qualcosa. Ogni tanto mi
guardò sorridendo,
con occhi lucidi e brillanti.
Poi si
avvicinò Lizzie che, aiutata da sua sorella,
gli strinse forte la mano. Iniziò a parlargli e a
raccontargli di come mancasse
a tutti al centro di riabilitazione. Gli augurò una pronta
guarigione, e infine
gli lasciò un leggero bacio sulla guancia.
Poi,
arrivò il mio turno. Mi avvicinai ancora di più
al suo letto, e con attenzione strinsi delicatamente la mia mano alla
sua. Era
fredda.
Ripensai a tutte
le volte in cui ci eravamo tenuti
per mano, e a come adesso, questo gesto assumesse una valenza diversa.
Rimasi in
silenzio per alcuni minuti, concentrata a
guardarlo e fotografarmi la sua immagine nella mia mente. Poco dopo,
gli
accarezzai la guancia destra.
-Ciao Terence.-
sussurrai.- Sono Jane.- sentii i
miei occhi pizzicarmi.- So che mi avevi detto che quella al parco
sarebbe stata
l’ultima volta che si saremmo visti, ma… a quanto
pare non riesco a starti
proprio lontana. –mi morsi le labbra.- E poi, hai visto?
E’ bastato che non ci
sentissimo per un po’ che tu hai avuto un incidente.
Mi fermai,
sentendo gli occhi di tutti addosso.
-Non pensare che
non sia ancora arrabbiata con te
per come mi hai trattata l’altra sera, ma… ho
capito la tua scelta, o almeno ci
ho provato. La cosa importante adesso è che tu ti riprenda e
che tu sappia che
volevo stare con te e lo voglio tutt’ora. Non so cosa
succederà quando sarai
fuori da questo ospedale, ma poco mi importa. Anche se non staremo
insieme,
sapere che tu stai bene mi renderà ugualmente la persona
più felice del mondo.-
sentii una lacrima scorrermi lungo una guancia. Prontamente
l’asciugai.- Quando
avrai bisogno di me, io ci sarò, e ricorda che ci sono delle
persone che ti
vogliono bene e che credono in te. Che sanno che scorre coraggio e
forza nelle
tue vene.– gli strinsi più forte la mano, poi, non
badando al fatto che gli
altri mi stessero guardando, mi avvicinai al suo viso e posai le mie
labbra
sulla sua fronte, posando su di essa un leggero bacio. Infine gli
lasciai un
carezza tra i morbidi capelli, e mi allontanai.
Quando mi voltai
vidi Harrison e Sarah guardarmi con
occhi lucidi. Lizzie doveva star piangendo perché notai che
passò l’indice
sotto una lente degli occhiali da sole.
Trascorremmo
l’ora in questo modo. Ognuno raccontò
qualche aneddoto o qualche ricordo legato a Terence. Ma, anche se
nessuno lo
diede a vedere, ero sicura che tutti si sentissero come me: strani.
Strani a
vivere una situazione che nessuno mai avrebbe potuto immaginare.
Terence, un
ragazzo dalla risposta sempre pronta, testardo, orgoglioso, fragile ma
forte
allo stesso tempo, steso su un letto di ospedale, e noi qui inermi, a
non
sapere che fare, nella sua camera come dei ladri, con il tempo contato
per
guardarlo.
Quando mancarono
dieci minuti alle tre, decidemmo di
andarcene, per evitare qualche arrivo anticipato da parte degli
Ashling. Gli
stringemmo di nuovo la mano, e tutti gli mandammo un saluto, con la
speranza di
rivederlo presto. Io fui l’ultima a lasciare la sua stanza.
Ci affrettammo a
salutare l’infermiera Megan che ci
disse che avrebbe avuto lo stesso turno tre giorni dopo, se avessimo
voluto
fare un ulteriore visita a Terence. Ovviamente tutti fummo
d’accordo nel
riandare in ospedale quando ci sarebbe stata di nuovo lei.
Usciti
dall’ospedale, tirammo tutti un sospiro di
sollievo, per non aver beccato nessuno degli Ashling. Potevamo solo
immaginare
cosa sarebbe successo se ci avessero visti.
Comprati dei
panini da un chioschetto fuori
l’ospedale, decidemmo poi di fare due chiacchere su una delle
tante panchine di
Central Park.
-E’
stato davvero brutto vedere il signorino in
queste condizioni. Non vedo l’ora di vederlo di nuovo in
salute. Certo è che mi
chiedo come possa aver avuto questo incidente… non riesco a
credere che il
signor Ashling gli abbia permesso di camminare da solo per le strade
della
città.- fece Harrison, stringendo tra le sue mani il panino
incartato.
Tutti annuimmo
con la testa, concordando su quanto
avesse detto. Era davvero strano che Terence fosse stato lasciato solo.
Per
fortuna le cose erano andate bene, ma non osavo immaginare se
invece… beh se la
caudata gli avesse causato qualcosa di più grave.
-Speriamo che
fra tre giorni le cose andranno come
oggi, e che nessuno degli Ashling ci becchi.- continuò
Lizzie.
Poi rimanemmo in
silenzio. Ognuno assorto nei suoi
pensieri mangiando lentamente ciò che avevamo comprato. Io
rimasi a pensare a
cosa sarebbe successo una volta che Terence fosse stato dimesso
dall’ospedale.
Cosa avrei dovuto fare? Andare da lui e dirgli di dare una
possibilità a… un
possibile “noi”? Qualsiasi cosa io avessi potuto
fare, l’avrei fatta. Questo
era sicuro.
***
Nei giorni
seguenti rimanemmo tutti chiusi nei
nostri alberghi, uscendo solo per comprare qualcosa e per prendere un
po’
d’aria. Abbie e Tom ci raggiunsero il giorno dopo
dall’arrivo mio e di
Harrison. Anche Thomas, come prevedibile, non era riuscito a vedere
Terence e
si dispiaceva per non essere arrivato il nostro stesso giorno,
così da fargli
visita insieme a noi, ma era felice di poterlo vedere a giorni, grazie
a Megan.
Lui ,come noi, non si capacitava di come avessero negato a lui, il
più fedele e
caro amico di Terence, di vederlo.
Abbie mi fu
vicina, e proprio il giorno prima della
seconda visita a Terence, mi suggerì di andare a fare una
passeggiata per
prendere un po’ d’aria e per schiarirmi i pensieri.
Secondo lei ero un po’
pallida e sciupata, seppur avessi gli occhi più brillanti
delle settimane
scorse, per citarla.
Accolsi il suo
consiglio e decisi di andare a fare
una passeggiata a Central Park, da sola. Ma fu proprio qui che mi
capitò una
cosa che non avrei mai previsto.
Ero
seduta a
guardare dei bambini che rincorrevano un aquilone, ridacchiando e
venendo
inseguiti da alcune foglie secche, troppo ribelli per rimanere
attaccate ai
rami degli alberi, insieme alle altre poche loro sorelle staccatesi
all’inizio
dell’ autunno. Quando mi sentii chiamare da qualcuno. Mi
voltai, trovandomi
davanti l’ultima persona che mai avrei pensato avrei
conosciuto di persona.
Rimanemmo a
osservarci per vari istanti. I capelli
corti e rossi, il volto bianco coperto da lentiggini, il fisico minuto
e gli
occhi verdi erano esattamente come avevo visto, tante volte
nell’ultimo
periodo, sui giornali e alla tv. Vista dal vivo, però,
sembrava più bassa e più
piccola.
-Jane Ryan?- mi
domandò, avvicinandosi. Il suo tono
era basso e quasi… timoroso.
Era strano che
anche lei mi conoscesse.
-Sono io.- le
risposi.
-Sono Tessa
Campbell.- mi disse.
L’avevo
riconosciuta subito, ma sentire il suo nome
mi creò uno strano effetto.
Si sedette
accanto a me, sulla panchina, guardando
fisso davanti a sé e posando le mani sulla sua borsetta di
pelle, color sabbia.
Aveva un gradevole profumo, sicuramente firmato, che mi
investì in pieno.
Indossava un cappotto rosa pastello, abbinato a una collana di perle,
ora
illuminata dal sole pomeridiano.
-E’
una strana coincidenza trovarti qui, ma sono
contenta che il destino ci abbia aiutato, perché avevo
bisogno di parlare con
te.- fece timidamente, guardandomi un attimo negli occhi.
Dischiusi le
labbra dalla sorpresa. Aver incontrato
Tessa Campbell in un momento inaspettato mi aveva lasciato
già senza parole, ma
sapere che lei mi conoscesse e che volesse vedermi, mi sorprese e non
poco.
-Terence mi ha
parlato di te.- aggiunse.
Mi limitai a
guardarla incuriosita.
-Sì,
mi ha parlato molto di te. Ho visto delle tue
foto sulla versione online del giornale per cui lavori, e adesso eccoci
qui.-
mi guardò per un secondo sorridendomi, per poi tornare a
guardare fisso davanti
a sé.
Sembrava come se
avesse paura di affrontare il mio
sguardo, e dal modo in cui stringeva la borsetta avrei detto fosse
molto tesa e
imbarazzata. Anch’io lo ero, dovevo ammetterlo.
-Adoro Central
Park. E’ così bello, non trovi?
Soprattutto in inverno, con la neve e tutto il resto. Da quando sono
qui a New
York, vengo sempre qui a fare lunghe passeggiate.- osservò.
Annuii con la
testa, troppo stranita per poter
parlare. Stavo forse sognando? D’altronde l’ultima
volta che avevo fatto un
sogno strano, mi trovavo proprio in un parco. Mi diedi un pizzicotto su
una
guancia, ma… no! Ero sveglia e seduta accanto a me
c’era la fidanzata del
ragazzo di cui ero innamorata, incontrata per caso qui a New York, per
chissà
quale scherzo del destino.
-Purtroppo non
ho molto tempo a disposizione, -
riprese,-perché gli Ashling e mio padre mi aspettano in
ospedale. Ma volevo
incontrarti per dirti che piaci davvero tanto a Terence, e che mi
dispiace
essere stata la causa della vostra separazione. Se può
consolarti, anch’io sono
stata separata da un ragazzo che amo alla follia.
Ancora una
volta, rimasi in silenzio. Non riuscivo a
dire nulla.
-Sì.
– mi sorrise, forse capendo il mio stato
attuale che prevedeva che io fossi abbastanza sorpresa.- So che
probabilmente
ti sembra tutto… strano, ma vorrei che tu mi ascoltassi. Ti
va?
-…
Sì.- riuscii finalmente a risponderle, coinvolta
dalla sua gentilezza.
-Mi sono trovata
immischiata, proprio come Terence,
in un qualcosa di troppo grande a cui entrambi abbiamo avuto paura di
ribellarci. Io ho lasciato il mio ragazzo e Terence ha lasciato te,
sebbene non
steste insieme ma tu fossi importante per lui, come mi ha detto.
Abbiamo fatto
una scelta a causa della nostra insicurezza, della nostra
fragilità, ma
soprattutto per un bene più grande: la famiglia, credendo di
potercela fare,
ma… così non è stato. –
scosse la testa, facendo muovere i corti boccoli
ramati.- Io e Terence abbiamo condiviso diversi momenti insieme, in
queste
settimane. Abbiamo parlato, siamo usciti insieme, abbiamo scoperto di
avere dei
caratteri talmente simili che se ci penso mi vengono i brividi,
ma… non è
scattato nulla. – mi guardò per un attimo. Mi
sembrò che avesse gli occhi
lucidi.- Abbiamo concordato, così, sul fatto che il nostro
fidanzamento avrebbe
portato all’infelicità di entrambi. Che poi, devo
essere sincera, Terence non
sembrava preoccupato per la sua infelicità, ma…
per la mia. Abbiamo deciso di
prendere posizione e di discutere con i nostri genitori. Terence ha
litigato
furiosamente con suo padre e ciò lo ha portato ad
allontanarsi da casa da solo,
a far perdere le tracce di sé… fino a
che… beh, -mi guardò di nuovo.- non è
caduto ed ha avuto questo brutto incidente, di cui so che tu sai.-
sospirò.- So
che volevate andare a trovarlo, è vero?- mi chiese.
-Sì.-
sussurrai.- Ma la sorella di Terence non ce
l’ha permesso.
In tutto questo
non avevo smesso di guardarla. Di
guardare questa ragazza che non avevo sopportato per diverso tempo, che
avevo
persino… invidiato. Lei era la persona che gli Ashling
avrebbero fatto sposare
al loro figlio, anche se loro due non si conoscevano, anche se non si
piacevano, né si amano. E io, invece? Io ero quella
innamorata di un sogno, di
un qualcosa di irrealizzabile, troppo… nessuno per poter
provare a creare
qualcosa con lui. Non avevo mai odiato Tessa, perché in
fondo, anche lei era
una marionetta nelle mani dei suoi genitori, ma adesso che ce
l’avevo di fronte
mi sembrò così fragile, piccola ma forte, che mi
fu inevitabile non ritenerla
simpatica.
-Lo so. E mi
dispiace molto. Mi spiace anche per
lei, perché non ha capito davvero nulla della vita.
– sospirò.- Jane…- Tessa si
voltò verso di me, prendendomi le mani tra le sue.
Il suo gesto mi
mostrò una sicurezza che le sue
guance tinte di rosso, cancellarono.
-Io e Terence
non ci fidanzeremo ufficialmente né ci
sarà alcun matrimonio né adesso, né
fra un mese, né fra un anno, né mai. E’
bene che tu lo sappia. Lascia stare Catherine, suo fratello, suo padre, mio padre, o qualsiasi
altra cosa. Terence ha
avuto questo incidente per me, perché non voleva la mia
infelicità, più che la
sua. E non permetterò che quello che gli è
successo sia vano, ma combatterò
per la nostra felicità e farò
ragionare mio padre e gli Ashling, fosse l’ultima cosa che
faccio. – mi guardò
con una tale intensità, che non mi fu difficile credere alle
sue parole.-Non
aggiungo altro, ma volevo incontrarti per tranquillizzarti
perché, da come mi
ha raccontato Terence, tu sei un ragazza speciale che merita di essere
felice.
Si
schiarì la voce e io sentii il cuore battermi
forte.
Poi si
alzò in piedi, tendendomi la mano destra. Mi
alzai anch’io stringendogliela.
-Ti prometto che
sarai felice Jane, come ti prometto
che lo sarà Terence e lo sarò io. Cadi sette
volte, ma rialzati otto,
ricordalo. E’ stato un piacere incontrarti.- disse.
-Ma…
ma io cosa… cosa posso fare?- domandai, tesa.
-Attendi e abbi
speranza.
Poi, con
timidezza e con mia grande sorpresa, mi
abbracciò, prima di salutarmi e di andarsene, lasciandomi
con le sue parole
degne di un oracolo.
Eravamo proprio
sicuri che non avessi sognato?
***
10
Dicembre
-Jane Ryan
è desiderata alla cassa.- fece Vincent
Price, entrando nel nostro ufficio con due bicchieri fumanti di
caffè.
-Come, prego?-
chiesi confusa, smettendo di scrivere
il mio articolo sulla sfilata Missoni,
che ci sarebbe stata fra una settimana a Parigi.
-Il grande capo
vuole parlare con te.- mi rispose
spazientito, alzando gli occhi al cielo.
Come se con il
“ è desiderata alla cassa”, avrei
dovuto automaticamente capire a cosa si riferisse! Era solo un
rincitrullito,
quel galletto!
Mi alzai dalla
mia postazione, guardando Fred e
Barbara che mi fecero un occhiolino. Sorrisi loro e mi avviai.
Uscire dal mio
ufficio, e percorrere il corridoio
che lo collegava a quello di George, mi faceva sempre ricordare diversi
momenti. Come quello legato a quando avevo conosciuto per la prima
volta Christopher
Wilson, a quando avevo litigato con la donna delle pulizie che, con il
tempo
,avevo capito essere stata pagata da Mary Anne per diffondere false
notizie su
me e il modello, quando davanti alla macchinetta del caffè
avevo riso e pianto
con i miei colleghi. Era passato così poco tempo da allora,
ma sembrava ne
fosse passato tanto.
Quando fui di
fronte alla porta del ‘grande
capo’, bussai
e feci un sospiro.
-Prego.- fece la
laconica voce del mio datore di
lavoro.
L’ufficio
di George era sempre ridotto a topaia, ma
quando arrivava dicembre e con esso l’arrivo del Natale, un
alberello
striminzito e poveramente decorato con tre, al massimo cinque, palline
rosse, rendevano
l’ambiente più… festoso. O almeno ci
provavano.
-Siediti pure,
cara Jane.- mi disse… sorridente.
Sì,
sorridente. Infatti, George, quando arrivava il
Natale, si trasformava letteralmente in un’altra persona. Un
po’ come Scrooge,
il personaggio di Dickens, avete presente? Ma sì, quel
vecchio burbero che
ricevette la visita di tre spiriti la sera prima di Natale, che lo
ammonirono
su quanto brutta sarebbe stata la sua sorte, se non si fosse redento e
se il
suo cuore non si fosse addolcito davanti alle bellezze della vita. Ed
era per
questo che ,secondo me, il mio capo, temendo l’arrivo di tre
spiritelli pre
natalizi, provava a rendersi simpatico, in questo periodo.
Feci come mi
aveva chiesto, constatando, per la
millesima volta, quanto fosse dura la sedia del suo ufficio. Con le
feste non
ne poteva comprare una nuova?
-Cara Jane, ho
da darti una splendida notizia.-
continuò a mantenere le sue labbra curvate.
Quella sua
specie di ghigno barra sorriso, mi
spaventava un po’, dovevo essere sincera.
-Ah
sì?- chiesi, intrecciando le mie mani.
-Sì,
mia cara, dolce, ragazza. Hai presente il tuo
articolo sul rapporto disabilità-moda? Quello per cui ti
diedi la prima pagina
e con cui, ti dissi, si sarebbero giocate le sorti del Giornale?- disse
entusiasta.
-Sì…-
feci titubante.
-Beh, cara
ragazza, è stato ben accolto e, oltre a
ricevere un premio per il miglior articolo che sia mai stato scritto
sull’argomento da un giornale britannico, ho appena firmato
contratti con due
giornali americani, tre giornali italiani e un magazine asiatico. Ti
rendi
conto?- si alzò dalla sua sedia, venendomi incontro.
Io rimasi
impietrita sulla mia sedia, sia per
l’immensa gioia che la sue parole mi donarono, sia
perché il mio capo mi sembrò
un folle.
-Posso darti un
abbraccio, cara ragazza?- mi disse.
Boccheggiai
qualche secondo, incredula. Poi, senza
che potessi rispondere, George mi prese le mani e mi alzò in
piedi, come se
fossi super leggera, e mi stritolò… ehm strinse,
a sé. Wow!
-Complimenti
Jane Ryan.- mi disse.- Beh, ora fila via.-
continuò subito dopo, continuando a sorridermi, con le
guance rosse come due
mele, e aprendomi la porta del suo ufficio.- Ovviamente non accetto un
‘no’
come risposta alla cena del 23 dicembre per festeggiare tutti insieme
il “Santo
Natale”.- concluse la frase guardando verso l’alto,
come se qualcuno lo stesse
guardando da lassù.
-Festa del 23
dicembre? Sì… perché no!- gli sorrisi,
uscendo poi dal suo ufficio.
Dio, che
situazione… imbarazzante! Ridacchiando,
tornai nel mio ufficio.
-Jane, ti
è suonato il cellulare, mentre eri via.
Beh, il capo che voleva?- mi domandò Freddie, aggiustandosi
il papillon di
paillettes, quando ritornai. Come ogni anno, portava un cappello da
Babbo
Natale sui capelli castani.
Buttai
l’occhio sulla mia scrivania, accorgendomi di
aver lasciato il mio telefonino proprio accanto il pc.
-Mi ha detto che
il mio articolo sul rapporto
disabilità-moda ha ricevuto un premio, e che grazie ad esso,
il Giornale ha
fatto accordi con diversi giornali internazionali. Il tutto condito da
un insolito
entusiasmo e da un inaspettato abbraccio.- feci una smorfia, sorridendo
subito
dopo.
I miei colleghi
si guardarono curiosi, per poi
ridere anche loro.
-Lo
scongelamento di Scrooge: parte prima,
attivato!- ci fece ridere Steve.
-Il grande capo
che abbraccia Jane Ryan. Troppo
figo! Dovevo esserci.- disse Price, sorseggiando ancora il suo
caffè.
Io scossi la
testa sorridendo, attivando lo screen
del mio cellulare e notando un messaggio vocale, allegato a un faccino,
da
parte di Lizzie. Non la vedevo da quei giorni in ospedale.
Cliccai su di
esso, portandomi l’apparecchio
all’orecchio.
“Ciao
Jane. Scusami per il disturbo, ma Tony, e Charlotte mi stanno
costringendo a
lasciarti questo messaggio. – sentii un
vociare in
sottofondo,- Dicono di aver letto il tuo
articolo in cui ci sono anche loro, di essere contenti di come lo hai
scritto e
di volerti assolutamente incontrare per farti gli auguri di Natale.
Dicono che
avevi loro promesso che saresti andata a trovarli e che non avendolo
più fatto,
ora ti tocca mantenere la promessa. In cambio… sì Lotte, glielo dico, ti
daranno un dolce Natalizio.
Se ti va puoi venire questo fine settimana. Baci.”
Quando il
messaggio finì, riposi il telefono sulla
mia scrivania. Tornare al “The house of the Rising
Sun”? Da sola?
Fu inevitabile
per me non rattristirmi un po’.
Ripensai a quando ci ero andata con Terence. Terence…
chissà come stava. Da
quella volta in cui avevo incontrato Tessa Campbell a Central Park,
avevo accolto
le sue parole “attendi e abbi speranza”, vivendo
ogni giorno nella speranza di
qualche sconvolgimento. Mi ero immaginata un po’ come Julia
Roberts in Pretty Woman, quando
alla fine del film incontra
finalmente il suo “principe azzurro” venuto a
prenderla su una limousine
bianca. Il guaio era che io stavo ancora aspettando la mia limousine e
il mio
principe.
Avevo sperato in
una qualsiasi cosa, ma a parte
qualche messaggio di Harrison in cui mi diceva di stare tranquilla e di
aspettare, ero all’oscuro di tutto. Dopo che avevamo lasciato
New York avevo
vissuto in simbiosi con il cellulare e con il computer, sperando di
leggere
qualche notizia relativa agli Ashling o di ricevere qualche chiamata da
parte
di qualcuno che mi dicesse che tutto si era risolto per il meglio, ma
nulla,
non avevo ricevuto nulla. Solo due settimane prima ero riuscita a
mettermi in
contatto con Harrison che mi aveva semplicemente detto di avere un
po’ di
pazienza. Dopo quello che avevo passato, lui mi diceva di avere
pazienza. Mi
stupivo del suo buon senso!
Avrei voluto
fare qualsiasi cosa, ma non sapevo
cosa.
Certo, io stavo
andando avanti con il mio lavoro, e
con tutto il resto, sorridendo ogni giorno alla vita, perché
avevo speranza e
l’avrei sempre avuta. In fondo, se Harrison stesso mi diceva
di aspettare e di
stare tranquilla, qualcosa doveva pur significare, no? Ma era snervante
questa
attesa, bisognava dirlo. Dovevo attendere cosa? Chi mi avrebbe detto
quando
l’attesa sarebbe finita? Ah, per la barba di Merlino, che
ansia! Intanto,
decisi che avrei accettato l’invito di Lizzie. Se il mio
articolo aveva
ricevuto un premio e una così buona accoglienza, era solo
merito suo, di Tony e
di Charlotte.
***
Anche il centro
di riabilitazione era più colorato,
rispetto all’ultima volta in cui ci ero stata. Diversi
addobbi natalizi
adornavano tavolini , porte e la receptionist, e un grande e alto
albero
riccamente addobbato, si ergeva nella hall. Era tutto molto bello.
Mary Margaret,
la donna che stava seduta dietro la
receptionist, mi riconobbe e mi disse che sapeva che sarei venuta.
Rispetto
all’ultima volta, in cui mi aveva guardato male
perché giornalista e quindi
“stravolgitrice automatica di eventi”, ora mi
sorrideva. Che anche lei avesse
paura degli spiritelli natalizi come George? Sorrisi a questo pensiero,
entrando
con lei in ascensore.
-Di solito i
nostri amici possono ricevere una
visita dai loro cari della durata di un’ora, ma tu puoi
rimanere anche un po’
di più.- mi sorrise cordiale.
Okay, tutta
questa cordialità mi insospettiva. Che
lei sapesse qualcosa e che nella stanza di Tony, Lizzie, e Charlotte ci
fosse…?
No, forse ero io che stavo sognando troppo.
-Grazie.- le
sorrisi di rimando.
-Prego.-
aggiunse, quando fummo di fronte la stanza
dei miei tre simpatici nuovi amici, mantenendo un sorriso caloroso.
Bussai alla loro
porta, sentendo il cuore iniziare a
battere forte. Stupido muscolo, chissà cosa credeva.
Al loro
“avanti”, aprii la porta con estrema
lentezza. Quando la aprii, però, trovai solo loro tre.
-Oh Jane, cara
nostra ragazza.- mi accolse Tony, venendomi
incontro sulla sua sedia a rotelle.
-Ciao
zuccherino.- mi salutò Charlotte, anche lei in
carrozzina.
-Jane.- concluse
Lizzie, seduta sul suo letto.
Io richiusi la
porta alle mie spalle, salutando Mary
Margaret.
-Buonasera a
tutti.- sorrisi.
-Oh cara
ragazza, che piacere vederti. Ti
aspettavamo da tempo, ma finalmente sei qui.- mi tese le mani Lotte.
Quando le tesi
le mie, me le strinse nelle sue.
-Come stai,
dolcezza?- fece Tony.
La barba bianca
e i folti capelli lo facevano
sembrare un simpatico Babbo Natale, in questo periodo, con diverse
taglie in
meno, però.
-Bene, grazie.
Voi, invece? Vi ringrazio per il
vostro gradito invito. E’ un piacere essere qui e scusatemi
per il ritardo. Non
sono venuta prima, perché…
perché…- non trovavo le parole adatte.
D’altronde
non ero più stata lì perché dovevo
tornare con Terence, ma prima che potessimo andare, lui…
beh, aveva messo la
parola ‘fine’ alla nostra… amicizia.
-Non
preoccuparti, cara. Prego siediti. Raccontaci
come ti stanno andando le cose.
Feci come mi
avevano detto, accomodandomi sul letto
di Tony.
Ero un tantino
imbarazzata. Forse perché ricordavo
ancora l’ultima volta in cui ero stata in questo luogo, e
forse perché un
barlume di speranza mi aveva suggerito, data l’insolita
cortesia di Mary Margaret,
che avrei potuto trovare Terence in questa stanza. Che mi avrebbe
accolto
sorridente, stringendomi a sé e dicendomi che saremmo stati
sempre insieme.
Fantasticavo troppo, vero?
Iniziai a
raccontare loro qualche recente
avvenimento della mia vita quotidiana. Dal premio che il Giornale aveva
ricevuto per il mio articolo, e a tal proposito li ringraziai
calorosamente,
all’imminente matrimonio della mia collega. Lizzie e
Charlotte furono
entusiaste di ascoltare nei dettagli l’outfit che avrei
indossato in questa
occasione. Poi parlai brevemente di mio padre, del recente incontro che
avevo
avuto con lui e di altre sciocchezze. Ovviamente omisi tutta la parte
riguardante i miei piagnistei, e le mie disavventure recenti.
Dopo un
po’ feci anch’io loro qualche domanda. Su
come avrebbero passato le feste, su come stessero, su come andasse il
loro
rapporto con la moda. Speravo, infatti, che grazie a ciò che
avevo scritto le
cose migliorassero per quanto riguardava vestiti, taglie,
comodità e qualità.
Poi mi offrirono
un pezzo di un dolce italiano,
portato da alcuni parenti di Tony. Era delizioso.
Quando
controllai l’orologio da polso, mi resi conto
di come fosse passato velocemente il tempo. Fra cinque minuti
l’orario delle
visite si sarebbe concluso, e anche se Mary Margaret mi aveva detto che
mi
sarei potuta intrattenere di più, Abbie mi aspettava per
cena.
-Posso farvi una
domanda?- chiesi, iniziando ad
alzarmi.
-Certo cara,
-fece cordiale Charlotte.
-Cosa ve ne pare
di Mary Margaret? Ve lo chiedo
perché, l’ultima volta che sono venuta qui mi ha
trattato con una certa
scortesia, oggi invece… è stata gentile e mi ha
sorriso affabile. E’ il Natale
che le fa questo effetto, ha ricevuto una bella notizia ultimamente, o
sono io
che ho frainteso tutto? È solo una mia
curiosità.- ridacchiai,
passandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Vidi che si
guardarono… complici. Tranne Lizzie che
vidi ,però, nascondere un sorriso. Era come se mi stessero
nascondendo
qualcosa.
-Ma no,
è solo… il Natale che le fa questo effetto.
Comunque te ne vai di già, cara?- mi domandò Tony.
Solo il
Natale… okay. Allora Mary Margaret era
proprio come George.
-Sì.
E’ stato un piacere venire a trovarvi e state
certi che verrò ancora, ma la mia amica mi sta aspettando
per cena e non vorrei
si facesse troppo tardi.- sorrisi.
-Oh ma certo,
hai ragione zuccherino.- mi rispose
Charlotte, o meglio Lottie, come
voleva farsi chiamare.- Prima però, prendi questo. E
mangialo questa sera, mi
raccomando.- mi fece un occhiolino.
Mi fu dato un
dolce simile a quello che mi avevano
offerto, incartato e posto dentro una busta con stampe Natalizie.
-Grazie, siete
stati molto gentili. Magari prima
della vigilia di Natale, passo di nuovo. A
presto e grazie ancora per il vostro aiuto e
per i dolci complimenti che mi avete fatto.
Prima di
andarmene diedi loro un bacio sulla
guancia. Erano davvero delle persone deliziose!
***
-Che gentili che
sono stati i tuoi amici. Magari più
tardi mettiamo il dolce in forno per qualche minuto, così da
mangiarlo bello
caldo.- fece Abbie, assaggiando da un mestolo di legno un sugo
preparato da
lei.
-Sì,
è vero, sono delle persone davvero fantastiche.
Potremmo appoggiarlo anche sul termosifone. Così il burro
che c’è al suo
interno si scioglie meglio.- proposi.
-Hai ragione.
Non ci avevo pensato.
Mi avvicinai
così, in pigiama, pantofole e capelli
disordinatamente raccolti in una crocchia, al tavolo del salotto dove
avevo
appoggiato il dolce.
Quando lo uscii
dalla busta, però, notai che cadde
qualcosa. Mi spostai, e guardai che era caduta una busta da lettere
bianca.
Una busta da
lettere? Aggrottai la fronte. Che
Charlotte l’avesse messa per sbaglio nella mia busta?
Appoggiai
nuovamente il dolce sul tavolo, e presi la
busta.
“A
Jane Ryan. Da leggere comodamente su una poltrona o un divano,
preferibilmente con
un pacchetto di caramelle, a forma di orsetto, alla coca cola”.-
era scritto.
Non era firmata,
così dedussi che fosse un piccolo
regalo da parte dei miei tre amici al centro di riabilitazione. Ma, le
caramelle a forma di orsetto? Loro non sapevano che a me piacevano
quelle
caramelle…!
Decisi di fare
le cose con calma. Posai così la
lettera sul tavolo, portai il dolce sul termosifone della cucina e
dissi ad
Abbie che avrei visto un po’ di tv in salotto.
Fatto
ciò, con mani tremanti, ripresi la busta
bianca, accesi la televisione senza badare al canale, mi avvicinai al
divano
del soggiorno, mi sedetti e aprii la busta. Le caramelle non le avevo,
ma non
importava. Mi trovai in pochi secondi, una lettera scritta a mano, con
una
calligrafia elegante.
“Cara Jane
Ryan,
mi
trovo seduto su una scrivania a scriverti una lettera. Sei una
appassionata di
letteratura inglese, no? Beh non sarò Mr Darcy, Il signor
Rochester o qualche
altro paladino del romanticismo inglese ottocentesco, ma ho pensato che
ti
sarebbe piaciuto ricevere una lettera. Una di quelle scritte a mano che
le tue
eroine letterarie preferite devono aver stretto tra le loro dita, tante
volte.
Non sono mai stato bravo con le parole, né sono mai stato
capace di esternare
con facilità le mie emozioni, per questo ti chiedo di non
giudicarmi troppo
male, se ciò che leggerai non sarà abbastanza
bello come l’avrebbe scritto un
cavaliere d’altri tempi.
Si
dice che il tempo risani le ferite. Beh, sappi che non è
cosi! Siamo noi stessi
e sono le persone che ci circondando che cuciono, giorno dopo giorno,
le nostre
ferite, o che le rendono più profonde. (questo dipende da
chi si incontra).
Nella mia vita non mi sono mai fidato molto di nessuno, né
ho mai regalato i
miei sentimenti alla prima persona che mi passava di fronte. Non
chiedermi
perché! Probabilmente il motivo si cela dietro il fatto che
non ho vissuto
un’infanzia e una adolescenza propriamente piacevoli, ma
questo lo sai già,
come un uccellino mi ha riferito. Poi un giorno ho incontrato una
ragazza, che
mi ha subito colpito, per il suo modo di affrontarmi. Mi piaceva il suo
profumo
e il suono della sua voce, e mi piaceva il calore che mi faceva sentire
la sua
presenza, quando era vicina alla mia. Ci sono uscito alcune volte, a
volte anche
se lei non desiderava la mia compagnia (si veda il viaggio con meta lo
stilista
McDuff), perché sì… non devo averle
fatto una buona impressione all’inizio, e
mi sono reso conto di quanto fosse… speciale. I suoi
discorsi, la sua risata
cristallina e pulita, il modo in cui stringeva la mia mano, la sua
intelligenza, la sua ironia e
simpatia mi
facevano sorridere e mi piacevano tanto. Per non parlare della gelosia
che
provavo quando la sentivo parlare di un modello da strapazzo che spero
lei non
veda più. Fino a quando non ho fatto la pazzia di lasciarmi
sopraffare dalla
paura e dall’insicurezza, facendola piangere e soffrire. Una
delle cose
peggiori che abbia mai fatto! Che stupido sono stato! Credo tu abbia
capito di
chi sto parlando, ma siccome so quanto sia bassa la tua autostima,
credo di
doverlo specificare: sto parlando di te, Jane Ryan. Sei tu la ragazza
che ha
toccato le corde del mio cuore, uno stupido muscolo che si era un
po’
atrofizzato con il tempo, e che grazie a te è tornato a
vivere. Un uccellino
(sì, lo stesso di prima) mi ha detto che mi hai
sognato… devo proprio piacerti
tanto! (lo sai che sono un fantastico e adorabile narcisista!), quindi
voglio
farti un piccolo indovinello:
Se
il ragazzo che stai aspettando vorrai incontrare,
nel
punto più alto del parco dei tuoi sogni, dovrai andare.
Da
quando il sole
sorgerà a quando tramonterà, lui con piacere
aspettare,
si farà.
Okay,
fa piuttosto pena come indovinello, ma spero l’avrai capito
lo stesso. Ora, non
voglio più tediarti con il mio romanticismo da due soldi.
Spero di avere il
piacere di rivedere la tua incantevole figura, magari questa
volta… guardandoti
sul serio.
T.”
Quando finii di
leggere, mi accorsi di avere le mani
tremolanti e di aver bagnato di alcune lacrime la carta. Tirai su con
il naso,
asciugandomi con la mano le guance bagnate. Il cuore mi martellava
così forte
nel petto che credevo sarei morta da lì a breve, se non si
fosse calmato. Poi,
poco dopo, scoppiai a ridere. Risi così forte, che Abbie si
affacciò dalla
cucina, guardandomi con sguardo stranito.
-Che succede?
Oddio ma tu stai piangendo… oppure
stai ridendo? Jane, mi senti? Ti senti bene? E quella lettera?
Gliela diedi,
senza rispondere, iniziando a
saltellare a ballare per tutta la casa, pensando “Oddio,
oddio, oddio”,
piangendo e ridendo allo stesso tempo.
Sembravo una
pazza, e forse lo ero. La gioia mi
aveva resa pazza.
Quando anche
Abbie gridò un “Oh. Mio. Dio”, capii
che aveva finito di leggere. La mia amica mi corse incontro, con il
grembiule
sporco di sugo, stritolandomi in un abbraccio.
-Okay,
okay… stiamoci calmi! Questa lettera è di
Terence, vero? Oh cavoli, è di lui sicuro,-
iniziò a biascicare,- Quindi vuole
che vi incontriate al parco di Holyrood, no? Perché
è lì che l’hai sognato,
giusto? Il punto più alto è l’ Arthur
Seat? E poi, l’uccellino? E’ Harrison,
giusto?
-Abbie, stai
straparlando.- la interruppi scoppiando
a ridere.
-Sì
lo so!- rise anche lei. -È che sono così felice
per te. Anche Tom ha fatto l’evasivo su tutto
l’argomento Terence in questi
giorni, e temevo che per voi due non ci fossero più speranze
e invece… oddio,
sono troppo felice. Ora però vestiti, dobbiamo andare a
trovare il tuo
innamorato.
-Cosa?- la mia
voce uscì troppo squillante.- adesso?
-Sì
hai ragione, è meglio fare domani. Tanto è
domenica, no? Quindi sei libera. Domani mattina si va ad Holyrood,
gente.-
gridò, prima di allontanarsi.
L’adoravo
troppo. Era inutile.
***
La domenica
mattina mi svegliai in tutta fretta. Era
così tanta la voglia di rivedere Terence che non avevo
dormito per niente,
controllando ogni secondo l’orologio e alzandomi ogni tanto
per cercare
l’outfit adatto per quando l’avrei rivisto.
D’altronde con quel suo “potrò
guardarti meglio” non poteva volermi dire altro: era tornato
a vedere. Oddio,
mi sentivo svenire al solo pensiero che avrei visto i suoi occhi.
Alle sei non ce
la feci più a rimanere nel letto,
così mi alzai andando ad aprire la doccia, per lasciare
scorrere l’acqua calda.
Poi mi avvicinai
all’armadio e optai per il secondo
completo che avevo scelto durante la notte. Avrei indossato un
vestitino dallo
stile anni ’50, nero con dei ricami bianchi, dei collant
color carne e delle inglesine di
vernice bordeaux. Da sopra
avrei indossato un cappottino color cremisi. A Terence, amante della
buona
moda, sarebbe piaciuto il mio stile… o almeno lo speravo.
Mi feci la
doccia, poi mi asciugai i capelli e
idratai il viso con mille creme. Volevo che fosse tutto perfetto!
-Jane, sei
sveglia?- sentii Abbie gridare dalla
cucina.- Fra poco si parte, ragazza.
-Sì,
scendo subito.- urlai di rimando, ridendo.
A colazione
avrei voluto bere solo una tazza di
caffè bollente, ma Abbie mi costrinse a mangiare anche una
fetta biscottata
ricoperta di marmellata “perché la giornata deve
partire con zucchero”, come
aveva detto.
Quando fummo
pronte, uscimmo di casa.
Il viaggio mi
sembrò lentissimo e per tutto il tempo
dovetti resistere alla tentazione di mangiarmi tutte le unghie, vista
l’ansia
che mi stava pervadendo. Cosa avrei fatto? Cosa mi avrebbe detto? Cosa
sarebbe
successo? In un cartone animato, la mia mente sarebbe stata fumante in
questo
istante.
-Harrison ti ha
detto nulla? Sa che oggi incontrerai
Terence?- mi chiese la mia amica, ferma all’ultimo semaforo
prima di arrivare
al parco.
-In
realtà aveva il cellulare spento. Ho provato a
chiamarlo molte volte ma non mi ha mai risposto. Gli ho lasciato
comunque un
messaggio. In ogni caso penso che sappia tutto . Magari vogliono farmi
una
sorpresa…
-E’
probabile.- Abbie si voltò un attimo verso di
me, e mi sorrise.
Cinque minuti
dopo, fummo di fronte il parco di
Holyrood. Notai dal cancello esterno quanto fosse pieno. Palloncini
colorati,
passeggini, anziani signori. Oggi c’era così tanta
gente che sperai di non
metterci troppo a trovare Terence. Mi aveva scritto che si sarebbe
fatto
trovare sul ‘punto più alto’ ovvero l’Arthur
seat.
-A dopo, baby!
Vedrai che andrà tutto bene.-mi diede
un bacio sulla guancia, prima che io uscissi.
-Ti faccio
sapere tutto, appena possibile. Speriamo
vada tutto bene, amica mia.- la salutai con la mano, e poi mi
allontanai.
Iniziai a
camminare rischiando di venire travolta da
biciclette e tricicli di bambini. Mi aspettava un lungo cammino
davanti, ma non
mi importava.
Avevo raccontato
il mio sogno ad Harrison, ma non
gli avevo specificato che nel mondo onirico incontravo Terence proprio
sull’ Arthur Seat. Pensai
che fosse proprio
una bella coincidenza che lui avesse scelto proprio quel posto come
punto di
incontro.
Camminai
respirando l’aria fredda che mi circondava.
Nel mio sogno, eravamo all’inizio dell’autunno, e
un incantevole ballo delle
foglie mi si stagliava davanti agli occhi. Io ero seduta e Terence mi
si
avvicina. Oggi, invece, ad Edimburgo la neve era iniziata a cadere ed
ero io
che sarei andata da lui.
Una decina di
minuti dopo, un po’ affaticata,
raggiunsi la collinetta più alta del parco. Iniziai a
scalarla e in poco tempo,
ci fui sopra.
Volsi lo sguardo
attorno a me, con il cuore a mille.
Di fronte ai miei occhi si stagliava il paesaggio mozzafiato del parco
e da qui
tutte le persone sembravano delle macchioline colorate seminate in un
immenso
campo bianco. Mi voltai dappertutto ma di Terence non ci fu neanche
l’ombra.
Il cuore
iniziò a battermi forte nel petto. Che mi
fossi sbagliata? Che il punto di incontro non fosse quello?
-Ho sempre
immaginato che tu non fossi un tipo da
scarpe con il tacco.- disse una voce.
Mi voltai con
lentezza, mettendo una mano sul petto,
come se in questo modo, facessi smettere al mio cuore di battere
così forte.
-Terence…-
sussurrai, quando lo vidi.
In
un’altra situazione sarei rimasta immobile a
guardarlo, ma la voglia di incontrarlo era stata così forte
che quando me lo
ritrovai davanti, gli corsi incontro e lo abbracciai.
Lui rimasi
inizialmente impassibile, forse non aspettandosi
il mio gesto, ma poi mi strinse con le sue braccia più
vicino a sé.
Rimasi ferma
contro il suo petto, sentendo il suo
cuore battere velocemente e inspirando il suo profumo di pulito. Avevo
sempre
amato il suo profumo.
Dopo qualche
istante, mi allontanai per guardarlo
negli occhi. Finalmente non erano coperti da alcuna montatura da sole.
Erano
grandi, luminosi, vivaci, brillanti e così vivi da togliermi
il respiro.
Tendevano più sull’azzurro che sul verde ed erano
incredibilmente… belli.
-Jane.- mi
disse, sorridendo.
Quanto poteva
essere bello il suo sorriso.
Rimasi incantata
a guardarlo, senza riuscire a
spiccicare alcuna parola. Sentivo le gambe molli, come se fossero fatte
di
gelatina e il cuore battere così forte da farmi male.
-Ehi?- mi
chiese, vedendomi incantata.
-Terence.-
riuscii a rispondergli, stringendomi di
nuovo a lui.
-Vuoi farmi
proprio arrossire, Jane Ryan.- mi disse.
Ridacchiai
scostandomi e guardandolo di nuovo negli
occhi. Mi guardò con una tale intensità, che
dovetti rimanere appoggiata a
lui per non rischiare di cadere.
-Hai un
viso… così bello.- mi sussurrò
accarezzandomi una guancia.- Sei ancora più bella di come
avevo immaginato.-
continuò, sorridendo dopo un po’ e facendomi
inumidire gli occhi.
Era
così strano vederlo sorridere.
-Il fatto che tu
non mi dica nulla, mi preoccupa. Mi
ricorda l’ultima volta che ci siamo visti…-
girò il capo, cercando di celare il
suo imbarazzo.
-E’
solo che... non ho parole abbastanza belle da
esprimere ciò che sto provando.- sussurrai.
Poi gli
accarezzai la guancia, tastandone il calore,
e la morbidezza. Tornò a guardarmi.
-Mi
spiace… per tutto. Per averti fatta piangere. Per
essere stato uno stupido. Per non averti aperto il mio cuore fin da
quando
avevo capito che ormai era tuo. Mi spiace…-
continuò, abbassando lo sguardo.
Gli sorrisi.
-Mi
sei… mancata tanto, Jane. – tornò a
guardarmi.
-Anche tu.
E’ così bello rivederti, ed è
così bello
sapere che ora ci vedi, Terence. E’ stato un miracolo.- gli
sorrisi, sentendo
una lacrima sfuggire dal mio controllo.
Ultimamente mi
stavo trovando a piangere troppe
volte, ma era bello quando le lacrime erano dovute
all’immensa felicità.
-Forse sei
tu… il mio miracolo, Jane.- disse serio.
Io abbassai lo
sguardo, non riuscendo a controllare
i miei occhi dal piangere altre lacrime.
-E’ un
sogno, vero? Sto sognando?- chiesi, voltando
lo sguardo attorno a me.
Era impossibile
che una cosa così bella stessa
capitando a me.
-Siamo nel mondo
reale questa volta, Jane.- raccolse
le mie lacrime con il pollice della sua mano.- E se vuoi te lo
dimostro, anche.
Posai nuovamente
lo sguardo su di lui, curiosa della
sua affermazione. Ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, Terence
posò le sue
labbra sulle mie e mi baciò.
CONTINUA…
Ciaoo ragazze ^_^
Eccoci
finalmente al diciottesimo capitolo di “Ad
occhi chiusi”. Chiedo scusa per il ritardo con cui
l’ho pubblicato. Ormai
avrete capito che sono una lumaca con gli aggiornamenti
ç_ç
Spero che il
capitolo vi sia piaciuto! Io ho amato
scrivere la lettera di Terence e descrivere il loro incontro alla fine
del
capitolo. Mi auguro sia lo stesso per voi e di non aver deluso alcuna
aspettativa :D
“Ad
occhi chiusi” è una storia molto importante per
me, ed è proprio per questo che credo sia giusto darle il
finale che merita. Se
i miei calcoli non sono errati, il prossimo capitolo sarà il
penultimo o
l’epilogo finale. Vedo un po’ come strutturarlo ^^
Ovviamente cercherò di non
farvi attendere molto la prossima lettura.
Vi sono tanto ma
tanto grata per
leggere ciò che scrivo e per seguirmi.
Davvero grazie mille a tutte voi <3
Grazie in
particolare a : marioasi,
e a Clojuno
per
le belle recensioni allo scorso capitolo <3
A: orny81, yama1988,hurry, e Lullaby 85
per aver
aggiunto la mia storia alle proprie seguite! :)
A: Jamessa Bond
per averla aggiunto alle proprie preferite
<3
Grazie a tutte!
Un bacio e a presto <3
Ah,
ovviamente, se vi va sarei contenta di leggere
la vostra opinione sul capitolo :)^^
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Capitolo 19 *** Capitolo Diciannove ***
AD
OCCHI CHIUSI
Capitolo
Diciannove
“Non
può essere ch’io abbia tanta felicità,
dopo tanto dolore. È un sogno; un sogno
di quelli che ho fatto spesso, di notte, immaginandomi di stringerla
ancora una
volta sul mio cuore, come faccio ora; credendo di baciarla e sentendo
che mi
amava e che non mi avrebbe lasciato mai.” –Jane
Eyre- C. Bronte
Se inizialmente
rimasi
sorpresa per il suo gesto, dopo non mi fu difficile sciogliermi tra le
sue
braccia, beandomi del suo bacio che si rivelò lento e dolce.
Terence mi tenne
stretta tra le sue braccia come se fossi fatta di cristallo,
accarezzandomi i
capelli e baciando le mie labbra con una lentezza e una dolcezza tali
da farmi
pensare che avesse paura di rompermi, o farmi male. Io assaggiai le
sue,
assaporandone il sapore dolce, fresco, e delizioso, constatando quanto
fossero soffici
e piene. Poi, spostai le mie mani passandole tra i suoi capelli,
morbidi e
lisci.
Avevo spesso
immaginato
come sarebbe stato baciare Terence, ma ogni mia aspettativa era
inferiore a ciò
che stavo vivendo adesso.
Il suo bacio fu
stravolgente
e l’effetto che mi causò fu destabilizzante. Era
come se fossimo rinchiusi in
un bolla, e non esistesse più niente
e
nessuno oltre noi. Le nostre labbra si modellarono come se non avessero
voluto fare
altro da tempo, come se stessero aspettando questo momento da sempre.
Come si
aspetta di vedere una fontana d’acqua in un deserto ,o una
fonte di luce in
fondo ad una galleria. E dentro di me iniziai a sentire una girandola
di
emozioni che mi costrinse a tenermi a lui, se non fossi voluta cadere.
Sentivo
un grande calore all’altezza del petto, come se
un’infinità di raggi solari mi
stessero trapassando il cuore. Ed era bella come sensazione. Tanto
bella.
Non so quanto
tempo
passò. Probabilmente stavano passando minuti, ore o giorni.
Sapevo solo che non
volevo separarmi da lui per nulla al mondo.
Qualche secondo
dopo,
però, ci scostammo l’uno dall’altro, per
tornare a respirare.
Terence mi
guardò
sorridente. Anche i suoi occhi ridevano ed erano così belli,
luminosi, vivi.
-Ti ho convinta
che non
stiamo sognando?- tornò ad accarezzarmi la guancia.
Io sorrisi,
abbassando
lo sguardo.
-Mi sa che ho
bisogno
di un’altra prova.- aggiunsi dopo poco.
Ridacchiai e poi
mi
tuffai nuovamente sulle sue labbra, baciandolo con sentimento.
Quando
ci scostammo, lui rideva. Rimanemmo a
guardarci in silenzio per vari secondi. Mi trovai a pensare che fosse
così
bello che Terence vedesse e stesse qui con me. Ero così
emozionata, euforica e
felice che non trovavo alcuna parola per esprimere ciò che
stavo provando.
Avevo tante domande da fargli, ma non mi sembrò il momento
di esporle.
D’altronde, avrei avuto tutto il tempo per fargliele, no?
-Non te ne
andrai più,
vero?- gli chiesi titubante.
Mi
guardò intensamente,
facendomi di nuovo tremare le ginocchia.
-Nessuno
potrebbe più
separarmi da te, Jane Ryan, a meno che sia tu… a dirmi di
farlo.- soffiò sulle
mie labbra, lasciando su di esse un altro leggero bacio.
Io lo strinsi di
nuovo
a me. Ascoltare il battito del suo cuore era musica per le mie orecchie.
-Sei ancora
arrabbiata
con me?- domandò, teso.
Mi scostai da
lui, per
guardarlo.
-Vorrei esserlo,
soprattutto perché non hai capito fin dall’inizio
che non era la scelta giusta
quella di assecondare tuo padre, ma… non potrei esserlo
neanche volendo, perché
sono troppo felice di vederti, e la felicità è
più grande di tutto. Comunque,
dovresti ringraziare Harrison, per avermi fatto capire tante cose di te.
Lui mi
accarezzò i
capelli, sorridendo.
-Ne sono felice.
Per
quanto riguarda Harrison, l’ho già ringraziato.-
ridacchiò. –Comunque… ti è
piaciuta la mia lettera? Spero che non sia risultata troppo pietosa.-
continuò,
puntando lo sguardo verso il paesaggio che si stagliava dietro di noi.
Come se
non affrontando il mio sguardo, non si sarebbe sentito a disagio.
-Moltissimo.
È stata la
lettera più bella che abbia mai ricevuto… anche
se è stata l’unica che io abbia
mai ricevuto, in effetti- ridacchiai,- ma è stata splendida,
davvero. E mi è
piaciuto anche il modo in cui me l’hai fatta recapitare.- gli
risposi
sinceramente.
-I cari
Charlotte,
Lizzy e Tony…! Avevo già deciso che ti avrei
fatto arrivare la mia lettera in
maniera speciale, e quando sono stato contattato da Lizzy,
perché voleva sapere
come stessi, mi è venuta l’idea. Sono contento che
ti sia piaciuta.- mi
sorrise, felice.
-Ma a
proposito… hai
scritto davvero di essere geloso di un certo “modello da
strapazzo”?- ricordai
ciò che avevo letto.
Terence si
schiarì la
voce, in evidente imbarazzo. Trattenni una risata.
-Può
darsi. Comunque,
visto che ne parli… che ne è stato di lui?-
riprese a guardarmi.
-Mah niente di
che! Ci
siamo solo fidanzati ufficialmente.- lo presi in giro, mordendomi le
labbra per
non scoppiare a ridere.
Lui si
scostò un
secondo da me, corrucciandosi.
-Ti piace
scherzare,
Jane Ryan?
-Sì.-
diedi finalmente
libero accesso alle mie risate.
Dopo poco, rise
anche
lui, stringendomi di nuovo tra le sue braccia.
-Mi era mancato
anche
il suono della tua risata.- mi strinse forte.
Rimanemmo
così per
diversi attimi, poi sciolse il nostro abbraccio, e mi prese per mano.
-Beh…
non sono più abituato a invitare ragazze
ad appuntamenti, ma… ti andrebbe di passare la giornata con
me?- il suo sguardo
era titubante.
Davvero credeva
che
avrei rifiutato una simile proposta? Dopo che non lo vedevo da
settimane ed
avevo sofferto moltissimo per la sua mancanza nella mia vita?
-Certo che
sì. E spero
di passarne anche molte altre con te.- gli feci un occhiolino, sicura
di me
stessa.
-Bene,-
sembrò
sollevato.- ti andrebbe dunque di iniziare, facendo una passeggiata nel
parco e
andando a bere una cioccolata calda? Conosco un negozio che la fa
buonissima.-
mi propose.
-Ovvio che
sì.- feci
entusiasta.
-Perfetto.
-mi strinse la sua mano,
leggermente imbarazzato.- Questa volta lascia che ti guidi io.-
continuò con
fermezza.
Gli sorrisi.
Probabilmente,
visti
dall’esterno, sembravamo entrambi due adolescenti, impacciati
e timidi, al
primo appuntamento. Ma andava bene così.
Camminammo in
silenzio,
scendendo la piccola collinetta di “Arthur
seat” e iniziando a passeggiare tra la tanta gente.
La neve cadeva lenta,
in piccoli e soffici fiocchi bianchi. Faceva molto freddo ma la
presenza di
Terence era una sufficiente, e molto piacevole, fonte di calore.
-Terence?- lo
chiamai
ad un certo punto.
-Sì?-
si voltò verso di
me, curioso.
-Ti aspettavi
che io
fossi così? Nel senso, ora che mi hai visto, sei
rimasto… deluso?- preferii
guardare davanti a me, più che affrontare il suo sguardo che
sentii posarsi su
di me.
-Sì,
sono rimasto
deluso.
Sentii il mio
cuore
perdere un colpo. Abbassai un attimo lo sguardo.
-Sono rimasto
deluso da
me stesso, per non averti immaginato così bella nella mia
mente. Quando sei
cieco, il tatto diventa la tua vista e quando accarezzai il tuo volto
me lo
disegnai in un certo modo nella mia testa. Ti avevo immaginato bella,
ma non…
così tanto.- si schiarì la voce.
Sorrisi
imbarazzata,
sentendomi le guance arrossire.
-Non capisco
perché tu
non ti piaccia. Ricordo ancora quando mi parlasti delle tue insicurezze
sul tuo
aspetto fisico. Sei veramente bella, Jane, e devi credermi. Hai una di quelle bellezze raffinate, e
semplici che non possono far altro che disarmarti.- mi
sorrise per un
attimo, tornando a volgere lo sguardo davanti a sé.
Lo guardai, con
il
cuore in gola. Forse questo, era uno dei complimenti più
belli che mi fossero
mai stati dati. Ricordavo ancora Christopher Wilson quando, con i suoi
ammalianti occhi grigi, mi aveva detto che ero bella. Avevo creduto
alle sue
parole, a volte, ma adesso che sapevo che erano parti di uno sporco
piano, le
parole che Terence mi rivolse brillarono di una pura
autenticità.
-Grazie
Terence.- gli sussurrai.
Terence strinse
più
forte la presa delle nostre mani.
Poi continuammo
a
camminare in silenzio. Ogni tanto rise, soprattutto quando vide dei
bambini
giocare o far arrabbiare qualche nonno o quando il naso a carota di un
pupazzo
di neve fatto da una ragazzina, cadde miseramente a terra. E io mi
beavo del
suono della sua risata. Era come se lo conoscessi adesso, per la prima
volta.
Quello che avevo frequentato fino adesso, era stato il Terence cieco,
scontroso, freddo, che rideva poco o mai e che mostrava la bellezza del
suo
animo, poche volte. Quello di adesso, che vedeva e sorrideva sempre,
sentivo
che era diverso.
Ridemmo e
continuammo a
camminare, fino a quando non si fermò davanti a un
negozietto che vendeva
cioccolata calda e dolci natalizi. Era abbastanza piccolo, ma riuscimmo
a
trovare un piccolo tavolo per noi.
Al suo interno,
fummo
accolti dal tipico profumo dei buoni dolci, da un caloroso camino e da
delle
graziose tendine a quadretti bianchi e rosa che coprivano due piccole
finestre.
C’era anche un piccolo alberello di Natale, e qualche
campanellina festiva
messa qua e là. Una radio posata sul bancone
d’ingresso, invece, trasmetteva con
volume basso, delle canzoni.
-È
bellissimo qui.-
osservai, iniziando a togliermi il cappotto.
-Faccio io.-
disse
Terence, sfilandomelo del tutto e spostandomi, in modo cavalleresco, la
sedia
su cui mi sedetti.
-Quanta
galanteria.- lo
stuzzicai, ridacchiando.
-Io sono un
gentleman,
signorina.- fece un sorriso sghembo.
Io risi, di
risposta.
Lo era davvero.
-Sono contento
che ti
piaccia questo posto.- continuò togliendosi il suo giubbotto
e rimanendo con
una camicia bianca visibile solo dal colletto, coperta da un
maglioncino rosso.
Poi, prendemmo i
nostri
menù. C’erano così tante leccornie che
avevo l’imbarazzo per la scelta. Alla
fine optai per della cioccolata calda con panna e per una fetta di
torta al
limone. Anche Terence scelse le mie stesse golosità.
Dopo aver
ordinato,
quando la proprietaria del negozio se ne andò, prese a
fissarmi, sorridendomi.
-Perché
mi guardi
così?- domandai, leggermente imbarazzata.
-Così
come? È la prima
volta che ti guardo sul serio, non puoi dirmi di non farlo.- mi fece un
occhiolino.
-Giusto…-
ridacchiai.-
Allora ho una scusa per farlo anch’io.- ricambiai
l’occhiolino, posando la
guancia sul palmo della mia mano, e prendendo ad osservalo con gli
occhi a
cuoricino. Proprio come facevo da ragazzina, di fronte al poster di
qualche
attore. Solo che Terence era più bello di qualsiasi attore,
ed era proprio qui
davanti ai miei occhi.
-Mi trovi bello,
almeno?- mi chiese, con sguardo malizioso.
Mi fu
inevitabile non
ripensare alla prima volta che lo conobbi. Quando mi fece la stessa
identica
domanda.
-Tendo a non
giudicare
l’aspetto esteriore di una persona se non conosco prima la
sua interiorità!-
gli risposi, ridendo.
Aspettavo che
anche lui
ricordasse le mie parole del nostro primo incontro.
Tempo due
secondi, e
infatti anche lui scoppiò a ridere.
-Sapevo che
avresti
collegato la mia domanda alla prima volta che ci incontrammo.- rise
ancora.-
Comunque, conosci bene la mia interiorità adesso e
… mi hai già detto di
trovarmi bello.- mi fece di nuovo l’occhiolino.
Abbassai lo
sguardo,
sorridendo. Che tipo che era!
Qualche istante
dopo,
iniziarono a trasmettersi le note di “Stay with me”
di Sam Smith.
-Grazie Jane.-
disse
poco dopo, tornando serio.
Mi piaceva il
modo in
cui pronunciava il mio nome. Lo guardai sorpresa.
-Perché
ho ammesso che
ti trovo bello?- sollevai un sopracciglio, facendo un mezzo sorriso.
Lui scosse il
capo,
sorridendo leggermente e prendendo la mia mano posata sul tavolo, e
stringendola alla sua.
-Per diverse
cose. Per
essermi stata sempre vicina, accettando tutti i miei difetti senza
rimanerne spaventata.
Per essere sempre stata forte e non aver mai avuto paura di esprimere
la tua
opinione, facendomi capire tante cose. Per aver fatto un lungo viaggio
per
essermi vicino. E soprattutto per non avermi dimenticato.-
sussurrò l’ultima
frase, abbassando lo sguardo.
Io sollevai una
mano
per accarezzargli una guancia, facendo incatenare di nuovo i suoi occhi
ai miei.
-Come si
può
dimenticare la persona che ti ha rapito il cuore, e stregato
l’anima?- ora
toccò a me abbassare lo sguardo, in pieno imbarazzo.
Aver letto tanti
grandi
romanzi inglesi, mi permetteva a volte di dire frasi molto romantiche.
Ma era
la verità! Terence Ashling mi aveva stregato
l’anima come Elizabeth Bennett
aveva fatto con Mr Darcy, o come Jane Eyre aveva fatto con il signor
Rochester.
Nella mia vita avevo amato solo Freddie, prima di Terence,
ma… neanche lui era
riuscito a far vibrare le corde della mia anima come aveva fatto il
ragazzo
dagli occhi azzurri.
Sentii il
sorriso di
Terence posarsi su di me, baciando poi il palmo della mia mano,
appoggiata
ancora sulla sua guancia.
-Qui
l’unica che mi ha
stregato l’ anima, sei tu, Jane Ryan. Credo davvero che tu
sia stata il mio
miracolo.
Sorrisi,
sentendo i
miei occhi farsi ,di nuovo, lucidi. Stavo diventando una dalla lacrima
facile,
ma era così bello sentirsi rivolgere questa frase, che per
diverse volte avevo
solo immaginato. Poi Terence spostò la mia mano,
stringendola alla sua sul
tavolo.
-Sei stata
coraggiosa a
venire in ospedale, nonostante… la mia famiglia. A tal
proposito, - si schiarì
la voce,- ti chiedo scusa anche per questo. Harrison mi ha detto come
si è
comportata mia sorella.- il suo volto si corrucciò.
-Non
preoccuparti. Tu
non sei loro e, sapendo di aver fatto la cosa giusta, non ho badato
minimamente
alle parole di tua sorella, che… se posso permettermi,
è davvero una strega.-
lo guardai.
-Puoi
permettermi
eccome! Lei è uguale a mio padre, e con mio fratello, non
merita alcun
appellativo gentile. -mi strinse più forte la mano.
-Piuttosto
tu… come
stai? Stai davvero bene?- gli accarezzai, di nuovo, una guancia. Il suo
volto
era così liscio e profumava di dopo barba.
Lui chiuse un
attimo
gli occhi, al mio tocco.
-Sto benissimo,
Jane.
Come non lo ero da tantissimo tempo.
E
non lo dico solo perché sono tornato a vedere, e
perché ho la fortuna di essere
qui con te, ma anche perché… sono successe tante
cose, in questo periodo.
-Ah
sì?- feci curiosa.
Lui
annuì con il capo,
sorridendomi.
-Sul tuo
bellissimo
volto leggo che vuoi che ti racconti un po’ di
novità, giusto?- chiese.
A quanto
sembrava ero
proprio un libro aperto!
-In effetti sono
molto
curiosa e ho sete di risposte. Ma, non per il momento…
voglio solo che oggi
stiamo insieme, senza che alcun problema pesi su di noi.- feci sincera.
Ero la prima a
voler
sapere tante cose. Volevo capire come si fosse risolta la questione con
Tessa,
con suo padre e con il signor Campbell, come mai i mass media non
parlassero
più della sua famiglia, come avesse avuto
l’incidente che lo aveva riportato a
vedere e… tanto altro. Ma, oggi non era sicuramente il
giorno adatto.
Lui
annuì nuovamente.
-Ti prometto che
ti
racconterò tutto. Ogni più piccolo dettaglio.-
fece una croce immaginaria sul
cuore.
Nel frattempo
due tazze
a forma di pupazzo di neve, belle fumanti, arrivarono insieme a due
piattini di
torta. Il profumo della cioccolata calda era inebriante. Terence mi
lasciò la
mano, sorridente.
Poi prese il suo
cucchiaino mangiando un po’ della mia panna.
-Ehi, quella
è la mia
tazza!- mi lamentai, sorridendo, e pizzicandogli la mano.
-Ahi!- si
lamentò di
risposta.- La tua cioccolata ha molta più panna della mia,
non lamentarti.-
continuò, facendomi la linguaccia.
Terence Ashling
che mi
faceva la linguaccia. Andava tutto bene.
***
La meta
successiva al
negozietto della cioccolata, fu un mercatino di Natale che fu allestito
sul
Royale Mile, dove era stato decorato anche un alto abete, ora non
ancora
illuminato.
C’erano
immensi tavoli
addobbati di oggetti natalizi troppo deliziosi! Cappellini, coperte
ricamate a
mano, orecchini, braccialetti, palline, festoni, sculture e tante altre
meraviglie.
Terence guardava
tutto
con gli occhi sgranati, come se fosse un bambino davanti a tanti
regali. Aver
vissuto tanti anni senza vedere niente, se non il buio più
totale, doveva
permettergli adesso di vedere tutto con più meraviglia. Era
come se guardasse
il mondo, con i suoi colori, le sue luci e la sua vivacità,
per la prima volta.
-È
bellissimo qui.
Stasera, se vuoi, ci torniamo. So che illuminano tutto.- fece
entusiasta.
Poi si
fermò vicino a
un bancone che vendeva cornici per quadri e fotografie, tutte in legno
intagliato.
-Ti serve una
cornice?-
feci incuriosita.
-Sì,
ne vorrei una
piccola in cui racchiudere una fotografia di mia madre.- mi
spiegò, guardandomi
per un attimo, per poi tornare a osservare i numerosi lavori
artigianali che lo
fronteggiavano.
Rimanemmo a
lungo per
cercare quella giusta, poi aiutato dalla signora che li vendeva,
optammo per
una piccola cornice in legno chiaro con intagliati due piccoli cuori
intrecciati.
-Ottima scelta.-
gli
dissi, osservando la busta con il suo nuovo acquisto.
-Sono
d’accordo.- mi
sorrise,- Oh guarda che belli.- si fermò, poi, vicino a
venditore di gioielli.
-Sono fatti a
mano.- ci
disse il vecchio signore che li vendeva.
Erano
meravigliosi.
Tutti gioielli in un materiale simile all’argento,
impreziositi da pietre
colorate. Mi colpì subito un braccialetto con pietre blu e
un anello.
Poco dopo
Terence prese
l’anello che stavo guardando e me lo mise davanti gli occhi.
-Ti starebbe
bene.
Provalo.- mi sorrise.
-Cosa? Oh no,
non
preoccuparti.- accompagnai la frase con un gesto della mano.
-Insisto. Mi
piace e
vorrei vedere come ti sta.- continuò, prendendomi la mano.
-Posso farglielo
indossare, vero?- si rivolse al signore.
-Certo.- gli
rispose il
vecchio venditore, sorridendo bonariamente.
L’anello
era molto
semplice. Era argentato con al centro una piccola pietra rossa, ora
colpita da
un raggio solare, che tentava di far capolino nel cielo coperto da nubi
bianche.
Terence me lo infilò all’anulare della mano
sinistra, con molta facilità.
Sembrava fosse fatto per me.
Rimasi a
guardarlo per
diversi istanti. Era bellissimo.
-Quanto costa?
Lo sentii fare
questa
domanda, e prima che potessi fare qualcosa, me lo comprò.
-Ti sta
benissimo.- mi
disse con gli occhi luminosi, prendendomi poi per mano.
-Grazie,
Terence. Ma
non dovevi, davvero...
-Perché
non dovevo? Ora
siamo insieme Jane, e l’anello è uno dei simboli
più importanti dell’unione di
due persone. In più, quando lo vedrai penserai sempre a me,
e quando lo
vedranno gli altri, sapranno che hai già il cuore
impegnato.- mi rispose, senza
voltarsi, continuando a camminare.
Sorrisi,
sentendomi di nuovo battere forte il
cuore. “Ora siamo insieme”.
Quanto
poteva essere bella una frase così. Stare insieme. Essere
uniti. Inseparabili.
-Non ho bisogno
di un
oggetto per pensare a
te.- gli feci
presente, sorridendo.
-Effettivamente
con una
bellezza della mia portata, è difficile non pensare a me.-
mi prese in giro,
ridendo.
Risi
anch’io finché non
si fermò davanti ad un'altra bancarella. Due ragazze stavano
vendendo
angioletti e palline da appendere all’albero di Natale.
-Che meraviglia!
Non
faccio un albero di Natale da quando… ero piccolo.- mi
sorprese.
Terence non
decorava un
abete natalizio da così tanto tempo? Potevo scommetterci che
colpevole di
questo doveva essere stato quell’odioso del padre.
-Ciò
è male Terence.
Dobbiamo assolutamente porre rimedio alla cosa. Ti chiedo, dunque, se
ti va
domani sera di venirmi a prendere dal lavoro, di venire poi a casa mia
e di
aiutare me ed Abbie a fare l’albero.- gli proposi.
Lui rimasi
qualche
altro istante con lo sguardo puntato sul luccichio che emanavano quei
deliziosi
addobbi, per poi guardarmi.
-Sarebbe
bellissimo! E magari
sempre domani, coglierò l’attimo per raccontarti
un po’ di novità che sono
successe, se vorrai ascoltarmi ovviamente. Una te la posso anticipare:
Harrison
si è licenziato, ora vivo a casa sua e non vengo
più scorrazzato su auto di
lusso. Sono tre novità, in realtà, ma non fa
nulla…
Fu inevitabile
per la
mia bocca non dischiudersi dalla sorpresa. Cosa mi aveva appena detto?
-Oddio, non ci
credo!
Davvero?- feci con stupore.
-Assolutamente
sì. Ma
te ne parlerò meglio domani. Ora aiutami a scegliere qualche
decorazione per
l’albero.- mi si avvicinò, lasciandomi un bacio a
stampo sulle labbra.
-Va bene.-
balbettai,
scossa per questo nuovo bacio.
***
Io e Terence
trascorremmo il resto delle ore, divertendoci e comprando quanti
più addobbi
possibili. Non potemmo fare molti giri per la città, vista
la neve che aveva
iniziato a coprire i marciapiedi e a rendere le strade bagnate.
Tornammo
nuovamente al parco di Holyrood per costruire un pupazzo di neve che,
ahimè,
non venne molto bene. Ma poco importava, perché
ciò ci procurò ulteriori risate.
Quando la neve
smise di
ballare nel cielo, era già sera. Avevamo cenato in un
piccolo locale scozzese,
mangiando dei panini e bevendo coca cola.
Dopo cena,
avevamo
deciso di ritornare a passeggiare lungo il Royal Mile, ora tutto
illuminato a
festa. Sembrava che le stelle del cielo si fossero trasferite
sull’alto albero
di Natale posto al centro della strada. Tutto brillava, compresi gli
occhi dei
bambini estasiati davanti alla magia del Natale, e compresi gli occhi
di
Terence, più vivi che mai.
-Mi era mancato
così
tanto vedere.- mi disse, mantenendo lo sguardo fisso sulle numerose
lucine che
ci fronteggiavano, e stringendomi la mano con delicatezza.- Mi erano
mancati i
colori, la luce… la vita.
Io annuii con il
capo,
rimanendo a guardare il suo profilo perfetto. Lui era per me, la luce
più bella
di tutte.
-Terence ti va
di
venire a un matrimonio?- gli chiesi, dopo un
po’.
Lui si
voltò e prese a
guardarmi curioso.
-Un matrimonio?
– i
suoi occhi brillavano come diamanti azzurri.
-Sì.
È di una mia
collega. Te lo accennai quando andammo al centro per cani, non so se
ricordi.
La messa e la cerimonia avranno luogo fra pochi giorni, il 20 per la
precisione. Quindi mi chiedevo se,- titubai,- vuoi venire con me.-
volsi lo
sguardo sull’abete.
-Certo, molto
volentieri.- vidi con la coda dell’occhio che mi sorrise.
***
A fine serata,
quando a
malincuore dovetti ritornare a casa, Harrison si fece trovare vicino al
parco
di Holyrood, appoggiato a una… DeLorean
grigia, modello anni ‘80. Una caffettiera, insomma.
-Harrison!- gli
corsi
incontro, sorridente.
Era bello
rivedere quel
vecchio uomo, dal cuore grande e dagli occhi buoni. Se non fosse stato
per lui,
dubitavo che le cose sarebbero andate come erano andate.
Lui mi sorrise,
tendendomi una mano. Io la rifiutai, abbracciandolo direttamente.
Harrison rimase
immobile per qualche secondo, per poi ricambiare il mio abbraccio,
gentilmente.
-Ha sorpreso
anche me
con i suoi abbracci.- fece Terence, divertito.
-È
bello vederla felice
signorina.- mi disse il vecchio autista, scostandosi da me.
Io gli sorrisi.
La
sincerità con cui disse questa frase, non fece altro che
renderlo più
adorabile.
-Grazie per
tutto
Harrison.- gli dissi.
-Dovere,
signorina.-
ricambiò il sorriso.
-Certo
è però che mi
sarebbe piaciuto che mi anticipasse qualcosa, piuttosto che dirmi di
avere
pazienza e di aspettare.- feci una smorfia, ridendo.
Harrison rise.
-Signorina, non
sa che
l’attesa del piacere è essa stessa il piacere?- mi
fece l’occhiolino.
-Bella risposta,
Harry!- gli batté il cinque, Terence.
Io scossi la
testa,
ridacchiando. Guardandolo meglio mi accorsi che non era vestito con la
sua
divisa da autista.
-Anche se
Harrison non
è più il mio autista, siamo rimasti amici
ovviamente. In quest’ultimo periodo
ho ancora bisogno di qualcuno che mi accompagni, perché ho
perso allenamento
con la guida.- mi lesse nel pensiero Terence, avvicinandosi a me.
-E io
l’accompagno
molto volentieri. Mi sono dimesso come autista degli Ashling, ma non
come
autista di Terence, il mio amico.
I due si
sorrisero,
come un padre può sorridere orgoglioso a un figlio e come un
figlio può
sorridere felice a un padre, e mi fu inevitabile non pensare a come la
vita fosse
strana. Il vero padre di Terence non mostrava a suo figlio
l’affetto e l’amore
che avrebbe dovuto, e una persona che non aveva alcun rapporto di
parentela con
lui, invece sì. Pensai che Harrison fosse il miracolo di
Terence.
-Mi fa molto
piacere.
Era sofferente sapere che un uomo buono come lei, prestasse servizio
presso una
famiglia così… sgarbata.- dissi.
I due annuirono,
e dopo
poco fummo tutti in macchina, con meta la mia casa. Pensai, a quando io
e
Terence ne avremmo potuto condividere una tutta nostra. Arrossii al
pensiero.
***
-Jane mi puoi
passare
la pallina verde, per favore?- gridò Abbie, sopra uno
sgabello.
Io, Terence,
Abbie e
Tom avevamo impiegato almeno un’ora per montare ogni
ramoscello dell’albero di
Natale. Avremmo voluto comprarlo vero, ma non avendo un giardino, e a
causa del
lavoro, non avremmo potuto curarlo dopo il periodo natalizio,
così ne avevamo
comprato uno sintetico.
I due ragazzi
erano in
cucina a lucidare la stella che avremmo usato come puntale, regalata ad
Abbie
da sua nonna, qualche anno fa.
Io ero tuffata
nella
scatola dove avevamo conservato le palline acquistate negli altri anni.
-Questa?- le
passai una
pallina di vetro verde.
-Sì,
è perfetta.- me la
prese dalle mani e l’appese ad un ramoscello.
Abbie era
l’artista
della casa. Ogni Natale addobbava l’albero senza permettermi
di appendere nulla.
Si creava degli schemi, e dei disegni, e quando arrivava il giorno
voleva che
tutto fosse fatto come diceva lei.
Io la lasciavo
fare,
perché era davvero brava nell’addobbarlo, ma
quando si allontanava o si
distraeva, coglievo l’attimo per aggiungerci io qualche
decorazione.
-Eccoci qui!-
fece Tom,
sorreggendo trionfante la luminosa stella che avremmo messo sulla punta
dell’albero.
-È
solo merito mio, se
è venuta così luminosa.- disse Terence, prendendo
in giro l’amico.
-Ma per favore!-
gli
disse Thomas spintonandolo leggermente.
Io ed Abbie
scuotemmo
il capo, dicendo insieme : “Uomini! Sono come i
bambini”.
-Sta venendo
benissimo,
amore mio. –le disse il suo ragazzo, abbracciandola da dietro.
Anche se lei era
sopra
uno sgabello, lui era ancora più alto di lei.
-E tu non
l’aiuti?- mi
domandò Terence, cingendomi la vita con un braccio.
Il suo calore e
il suo
profumo, mi fecero battere forte il cuore.
-Non me lo
permette, la
signorina. L’albero può essere addobbato solo da
lei. In cambio, le faccio da
sguattera passandole palline.- presi in giro la mia amica, attendendo
una sua
risposta.
Abbie si
voltò un
attimo verso di me, con un angioletto, di quelli comprati da me e
Terence, in
mano.
-Invece di
essere
onorata di passare le palline a Lady Abbie Anderson, si dà
anche della
sguattera. Ma sentitela!- storse il naso, stizzita.
Scoppiammo tutti
a
ridere.
-Senta Milady,
non è
che mi permetterebbe di aiutarla a
decorarlo? È un desiderio che ho da anni.- fece
Terence, sorridendo.
Tutti lo
guardammo.
Abbie alzò un sopracciglio per qualche istante, chiaramente
indecisa sul da
farsi.
-E sia Sir, ma
solo
perché lei è Sir Terence di Edimburgo.
Ridemmo
nuovamente
tutti.
Due ore dopo
eravamo
stravacati sul divano del salotto a guardare uno show televisivo.
Eravamo tutti
molto stanchi e anche un po’ impolverati per via della
polvere che era posata
su alcuni scatoloni di palline, ma felici per il risultato ottenuto.
Palline
rosse e verdi si fondevano benissimo con pupazzi di neve in legno e
angioletti
brillantati. Tutti illuminati da lucine bianche.
Terence si era
mostrato
un bravissimo decoratore di abeti natalizi, grazie al suo buon gusto, e
il
risultato finale era splendido. Certo io non avevo fatto molto, ma
vedere la
luce di gioia che brillava negli occhi di Terence mentre appendeva le
varie
decorazione, proprio come fosse un bambino, era stato uno spettacolo
bellissimo.
-Va bene, questo
show
mi ha già
annoiato. Io e Tom ce ne
andiamo…- disse Abbie, tirando per il braccio il suo
ragazzo, ad un certo punto.
Iniziammo tutti
a
guardarla.
-Ma amore,
questa è la
parte dove…- cercò di protestare Tom.
-Niente
‘ma’ tesoro.
Andiamo in camera mia e lasciamo questi due fanciulli da soli a godersi
un po’
dell’intimità che è stata loro privata
in questo periodo.- Abbie fu categorica.
Poi si voltò verso di me, facendomi l’occhiolino.
Io mimai un
“grazie”
con le labbra, sorridendole.
Thomas si
alzò di
malavoglia, dando una pacca sulla spalla al suo amico. Poco dopo si
allontanarono,
bisticciando, mentre salivano le scale.
Quando non si
sentirono
più le loro voci, ma solo il rumoreggiare della tv, voltai
lo sguardo verso
Terence.
-Hai proprio
un’amica
fantastica.- disse, iniziando ad accarezzarmi i capelli.
-Anche il tuo
non è
male.- sorrisi, socchiudendo gli occhi per la delicatezza con cui mi
arrivavano
le sue carezze.
Lui
annuì con il
capo. Poi mi prese il polso con
delicatezza, e mi avvicinò più a sé
iniziando a baciarmi. Lasciò un bacio prima
sulla mia fronte, poi sulle mie guance, poi sul mio naso, poi su i miei
occhi
che si erano automaticamente chiusi. Una parte del viso alla volta.
Proprio come
quando vide il mio viso per la
prima
volta, usando le mani.
-Posso
baciarti?-
chiese, avvicinandosi di più.
Sentii il suo
profumo
di pulito così forte, che sarei voluta rimanere
così per sempre.
-Non lo stai
già
facendo?- sussurrai, sorridendo e mantenendo gli occhi chiusi.
-Non qui,
però!- mi
rispose prima di tuffarsi sulle mie labbra.
Mi
baciò come aveva
fatto il giorno prima. Con una delicatezza e una gentilezza estremi. Io
risposi
al bacio, stringendo tra la mia mano il suo maglione, per tenerlo il
più
possibile vicino a me. Le sue labbra erano come il Paradiso e sapevo
che da
quel momento, ne avrei sempre avuto bisogno.
Quando ci
scostammo
l’uno dall’altro, posai la testa sul suo petto,
mentre lui mi cinse i fianchi
con un braccio, e prese ad accarezzarmi i capelli con l’altra
mano.
-Credi che sia
il
momento giusto per raccontarti alcune cose, Jane?- mi
domandò.
Mi
sembrò che questa
domanda, dato il modo in cui me la pose, fosse una richiesta per
Terence. Come
se avesse la necessità di liberarsi di un peso che lo teneva
lontano da me. Mi
fece piacere sapere che adesso, contrariamente a come era prima, voleva
aprirsi
con me e non nascondermi nulla.
Annuii senza
rispondergli. Ritenni anch’io che fosse il momento giusto per
dirmi quelle
novità che ieri non avevo voluto ascoltare. Eravamo insieme.
Felici. Uniti. E
nessun ricordo avrebbe potuto rovinare l’atmosfera.
-Bene.- si
schiarì la
voce, come se si stesse preparando a un discorso molto lungo.- Vuoi
farmi tu
delle domande? Sai… non so da che parte cominciare.- ammise,
ridacchiando.
-Va bene,-
sollevai lo
sguardo, sorridendogli.- Parto allora con il chiederti come sia
avvenuto
l’incidente che ti ha ridato la vista.
Era come essere
tornati
al giorno in cui avevamo giocato al “do
ut des”, solo che adesso ci sarebbe stato solo il
“do”.
-Domanda
interessante.
-sospirò,- Dunque… Jane, come ti ho raccontato
tempo fa, ho avuto un incidente di
pugilato anni fa, della portata tale da farmi cadere in coma e da
procurarmi
dei danni al nervo ottico. La vista mi sarebbe tornata solo grazie a un
miracolo o grazie… a un colpo della stessa potenza del primo
che avrebbe potuto
guarire il mio ematoma celebrale, causa della perdita della vista.
Io annuii contro
il suo
petto, ascoltando attentamente.
-Quando ho
deciso di
accettare il fidanzamento con la figlia dei Campbell, l’ho
fatto per diverse
ragioni: per insicurezza, per fragilità, per
paura… per stupidità. Pensavo che
si mi fossi lasciato andare con te, ti avrei resa infelice, ma anche
questo
dovresti saperlo, come Harrison mi ha fatto presente. La situazione
è
peggiorata quando ho capito che anche Tessa era infelice, che amava
un’altra
persona e che la nostra unione sarebbe stata troppo deleteria. Non
dormivo al
pensiero che avrei rovinato anche la sua vita, e non sono mai stato un
egoista.
In più avevo sognato mia madre il giorno prima di firmare
l’accordo pre
matrimoniale. Era bella come ricordavo e mi diceva solo una parola :
coraggio.
Il giorno dopo, presi la decisione di andare da mio padre. Gli dissi chiaramente che
non sarei stato più
al suo gioco e che non avrei messo da parte la mia felicità
per i suoi stupidi
affari. Inutile dirti che litigammo pesantemente, anzi furiosamente.
Gli
rivoltai addosso tutto il rancore che avevo covato nei suoi confronti
per tanti
anni, fino a che, stanco e arrabbiato, decisi di piantarlo in asso, e
andarmene. Camminai con James, in
quanto Ulisse era nella mia stanza, lasciando che la rabbia mi
scorresse nella
vene, e mi ritrovai sperduto in una città per me
sconosciuta. Ho rischiato
molto, sai?-fece una pausa, poi riprese.- Vagai per la
città, sentendo la
rabbia fondersi con la paura. Probabilmente quello fu uno dei momenti
in cui
avvertii di più il peso della mia cecità.
Camminando, passo dopo passo, non mi
accorsi di essere finito in strada, e tra i vari clacson che suonavano
inferociti, avvertii la presenza di una macchina in arrivo. Questa si
fermò in
tempo, ma fu tutto così improvviso, che
persi l’equilibrio e caddi sull’asfalto
procurandomi un colpo alla testa. Un
colpo così forte, però, da essere paragonato a
quello che mi portò al tappetto,
tanti anni fa.- rabbrividii immaginando la scena.- È grazie
a questo se ora ci
vedo.- si fermò.- Quando mi sono risvegliato dal coma
farmacologico, e ho
riaperto gli occhi, sono scoppiato a piangere.- fece una pausa,
sospirando.-
Riuscivo a vedere. Mi sentivo così forte, vivo, pieno di
energia, come se
avessi vissuto per anni con una batteria scarica, in quel momento
rigenerata al
massimo. Vedevo i colori della mia stanza, i tubicini che erano legati
alle mie
braccia, il sole che si rifletteva sulla finestra
e anche… la mia famiglia. Aspettarmi di
vederli felici per la mia ritrovata vista, era troppo, ma non mi sarei
mai
aspettato che mi dicessero, senza troppe cerimonie, che erano pronti,
per
citarli, “ a perdonarmi e a mettere una pietra sopra alla
nostra discussione,
così da procedere come stabilito, con il
matrimonio”.- Terence rise.
-Perché
adesso ridi?-
feci curiosa, sollevando il mio sguardo su di lui.
-Perché
sto pensando a
quello che successe dopo questa frase che disse mio padre. Ascolta.
C’era anche
Tessa Campbell nella mia stanza, che
riconobbi grazie a delle descrizioni sul suo aspetto fisico che mi
aveva fatto
mia sorella, insieme a quello che dedussi fosse suo padre, ma me ne
accorsi
dopo. Si alzò in piedi e disse, mantenendo la calma, che lui
era il peggior
genitore che avesse mai incontrato, che non mi avrebbe mai sposato e
che se non
avesse iniziato ad amarmi come meritavo, avrebbe fatto di tutto per
fargli
passare seri guai finanziari. Dovevi vederla. Così piccola e
minuta,
fronteggiava la mia famiglia, mantenendo la testa alta e stringendo le
mani a
pugno. Suo padre la rimproverò seduta stante, ma lei fu
ferrea e disse che se avesse
concesso che la pantomima del nostro fidanzamento continuasse, ne
avrebbe
sofferto come non mai, e non gli avrebbe rivolto mai più la
parola.
Non mi fu
difficile
immaginarmi la scena. Quella piccola donna dai capelli ramati mi aveva
conquistata quando l’avevo incontrata. Così forte
e determinata. Così pronta a
fare di tutto per rendere tutti felici.
-E poi?- feci
avida di
altre informazioni.
-E poi lei
uscì dalla
stanza, seguita da suo padre. Mio padre e i miei fratelli cercarono di
seguirli,
e io firmai le mie dimissioni il giorno stesso, carico come non mai.
Quando
tornai ad Edimburgo trovai Harrison ad aspettarmi. Con il suo aiuto,
presi la
decisione di andarmene da quella casa intrisa di troppi brutti ricordi.
D’altronde, con la vista e la forza ritrovata, non avevo
più alcun motivo di
dipendere da mio padre. Venni a sapere, in seguito, che il signor
Campbell
recise il contratto con la Ashling Corporation, dimostrandosi un padre
più
attento alle esigenze di sua figlia. Da allora, ho ricevuto un sacco di
minacce
da parte di mio padre, tutte indirizzate a tagliarmi fuori
dall’eredità e altre
sciocchezze simili. Ma non ho badato minimamente alle parole che mi
sono state
rivolte.- si fermò.
-Ma tu mi
raccontasti
che il signor Campbell decise di firmare un accordo con tuo padre,
proprio per
inserire sua figlia nella tua famiglia… come mai, poi, ha
cambiato idea? Si era
accorto solo in quel momento delle esigenze di sua figlia?- mi spostai
per guardarlo
negli occhi.
-Tessa mi ha
raccontato
di essersi sempre mostrata debole nella sua famiglia. Suo padre deve
non aver
pensato mai, neanche per un momento, che il matrimonio con me le
avrebbe
procurato dolore. Mi ha raccontato, infatti, che le ha sempre mostrato
affetto
e che sicuramente, l’idea di farla sposare con me, era
dettata dalla speranza
di garantirle un futuro prospero. Poi… beh, lei ha
finalmente tirato furi gli
artigli, e suo padre l’ha ascoltata. Per quanto mi
riguarda…tutt’ora continuo a
ricevere pressioni da mia sorella e mio padre. Pensa che mi hanno
scritto un
centinaio di messaggi, sottolineando quanto fossi egoista. Io, egoista.
Capisci?- Terence fece un riso amaro.
Corrugai la
fronte,
pensando a come fosse stato sfortunato Terence ad avere delle persone
del
genere, al suo fianco per tanti anni.
-Dunque
è questo il
motivo per cui le tv e i giornali non hanno parlato più del
matrimonio tra te e
la figlia dei Campbell?
-Sì.
Non appena io e
mio padre litigammo, come mi ha raccontato Tessa, lui fece mettere a
tacere la
stampa, temendo che io potessi diffondere prematuramente la mia scelta
di
rompere il fidanzamento. Sai, lui è sempre stato un tipo
teso a preservare
la sua immagine pubblica, più che
pensare alle cose essenziali.- mi rispose, deluso.
Ripensai a
quando
Harrison mi aveva raccontato del periodo della malattia della mamma di
Terence
e di come il signor Ashling si fosse più preoccupato di
silenziare i giornali
che stare accanto a sua moglie.
D’istinto,
mi strinsi
più a lui.
-E questo
è tutto! Ora
ovviamente non sono più ricco, almeno materialmente,
perché spiritualmente lo
sono. Il mio cuore è ricco di gioia e felicità e
questo grazie a te.- mi
accarezzò la testa.- Continuerò a lavorare come
speaker radiofonico, sperando
di mettere qualche risparmio da parte per comprarmi una casa e
poi…- lasciò la
frase in sospeso.
-E poi?-
domandai, in
attesa.
-Mi sono
iscritto ad un
accademia d’arte. Riuscirò, così,
finalmente a coltivare il mio sogno di
studiare storia dell’arte.- lo sentii sorridere.- E questo
è stato possibile
anche grazie ad Harrison, che mi ha finanziato le prime spese.
Mi sentii
così felice
quando disse così, che mi vennero gli occhi lucidi e dovetti
mordermi le labbra
per non piangere. Era così bello sapere che Terence aveva smesso di essere una zattera alla deriva, e
che aveva deciso di
diventare il capitano della sua vita.
-Sono felice.
Tanto.-
Mi sollevai, per abbracciarlo e dargli un bacio sulla guancia.
-Anch’io,
Jane,
anch’io.- mi strinse a sé.- Hai altre domande,
dubbi, curiosità?- chiese, poi.
Ci pensai un
attimo.
-Volevo sapere
cosa è
stato esattamente a spingerti a ribellarti a tuo padre. Quando ci
incontrammo
l’ultima volta… ti feci un discorso che sperai ti
avrebbe dato quella fiducia
tale a farti prendere le giuste decisioni, ma…
così non è stato.- sospirai.- è
stato solo il fatto di sapere che anche Tessa ne avrebbe sofferto dal
tuo
fidanzamento? Non avevi considerato che anche lei avrebbe sofferto
della
decisione, già prima?- lo sommersi di domande, guardandolo
negli occhi.
Terence
ricambiò lo
sguardo, per poi posarlo aldilà della finestra nel salotto.
-Non credere che
le
parole che mi rivolgesti quella sera al parco, mi furono indifferenti.
Solo
che… avevo paura, Jane.- tornò a guardarmi
intensamente.- Te l’ho detto. Vedevo
il matrimonio come un’altra costrizione di mio padre, che mi
avrebbe permesso
di starti lontano e di non affezionarmi ulteriormente a te, e che mi
avrebbe garantito
di avere al mio fianco una figura diversa da quella della mia famiglia.
Sapevo,
infatti, che anche se mi piacevi molto, non sarebbe stato giusto che tu
ti
prendessi carico della mia disabilità. Sono stato uno
stupido, lo so, perché
non ho pensato che tu sei una ragazza… speciale, e che mi
saresti stata accanto
solo per vero interesse. E poi… non so perché, ma
mi immaginavo Tessa come una
classica figlia di papà, viziata e vanitosa, disposta
persino a sposare un
cieco sconosciuto, per avere un po’ di popolarità
in più. Purtroppo sono stato
reduce di varie esperienze che prevedevano donne interessate al
portafoglio
della mia famiglia, e non alla mia persona.- tornò a
guardarmi, prendendo ad
accarezzarmi una guancia.- Poi, più passavano i giorni,
più ascoltavo i
discorsi di mio padre, più capivo che Tessa era
tutt’altro di quello che avevo
creduto, e più ti… pensavo, più capivo
che era l’ora di smetterla con
quell’enorme bugia. –sospirò, passandosi
nervosamente una mano nei capelli.
Annuii con il
capo, poi
mi avvicinai al suo volto, e premetti le mie labbra sulle sue, per
infondergli tutta
la mia comprensione. Terence approfondì il nostro bacio.
-Mi hai
perdonato
davvero, Jane?- mi domandò, dopo aver smesso di baciarmi.
-Sì,
Terence. Hai fatto
degli errori, ma non è stata colpa tua. Ora sei qui con me,
hai preso in mano
la tua vita, e hai fatto le scelte giuste. L’importante,
adesso, è guardare
avanti, verso il futuro.- mormorai.- Comunque… Ulisse?-
feci, dopo poco.
-Purtroppo non
è più
con me. Avrei voluto tanto tenerlo, ma sarebbe stato egoistico da parte
mia
avere un cane per non vedenti, ora che Dio mi ha ridato la vista. Penso
che
sarà d’aiuto a tante altre persone. L’ho
riportato al centro, dunque.- fece un
mezzo sorriso, ma nei suoi occhi lessi un po’ di tristezza.
-Hai fatto la
cosa
giusta.- posai di nuovo le mie labbra sulle sue.
***
Mi erano sempre
piaciuti i matrimoni. Promesse d’amore eterno, vestiti
scintillanti, fiori,
sviolinate, confetti nel cielo, e ancora tanto amore, mi rendevano
emozionata e
felice.
La mattina del
20
dicembre, mi svegliai molto presto per prepararmi. Barbara aveva
richiesto la
mia presenza a casa sua, in qualità di damigella
d’onore, almeno tre ore prima
dell’inizio della cerimonia.
Guardai la mia
immagine
riflessa nello specchio un’ultima volta, e poi uscii.
L’abito rosa antico che
indossavo, uguale a quella di Jessica, mi faceva sentire graziosa, e le
Mary Jane con il tacco, mi facevano
sembrare più alta. Per impreziosire il mio vestito avevo
indossato anche una
collanina con un ciondolo d’argento, un braccialetto molto
semplice al polso
sinistro, e l’anello di Terence, ovviamente. Sopra il mio
cappotto color panna,
avevo lasciato i capelli sciolti, lavorati dal parrucchiere in morbide
ciocche dalla punta
abboccolata. Il mio
viso era leggermente truccato con colori neutri e una matita nera per
gli occhi.
Abbie, era
rimasta a
casa per prepararsi e per preparare l’attrezzatura adatta per
fare le foto alla
mia collega e al suo futuro consorte. Anche lei si era svegliata felice
come
una Pasqua, super carica a immortalare sorrisi e occhi brillanti in
memorabili
fotografie.
Presi
così un taxi, che
mi accompagnò davanti alla casa di Barbara, riconoscibile
anche in lontananza
per i diversi palloncini bianchi, appesi ai lampioni frontali al
giardinetto
della sua abitazione.
Quando suonai al
campanello della sua casa, mi aprì una signora piuttosto
anziana,
incredibilmente somigliante alla biondina, che mi guidò
lungo uno stretto
corridoio coperto da nastri bianchi, coriandoli e altre cianfrusaglie
memori
della notte prima, in cui avevamo festeggiato il suo addio al nubilato.
Non mi
fu difficile scorgere il fermento che impregnava quella casa. Persone
che
salivano delle scale, altre che le scendevano, il pianto di un bambino,
voci
femminili che parlavano di trucchi, tacchi e lacche.
Fui condotta
davanti
alla camera di Barbara, leggermente aperta, e quando la intravidi
seduta alla
sua toeletta, non riuscii a non socchiudere le labbra per lo splendore
e la
luce che emanava. Dopo aver ringraziato la signora, entrai nella sua
stanza.
-Jane, tesoro.
Finalmente sei qui! - mi accolse con la voce tremolante, voltandosi un
attimo
verso di me.
-Ciao
bellissima. Sei
meravigliosa.- le dissi sinceramente, avvicinandomi alla sua figura.
-Tu lo sei.
Sapevo che
l’abito da damigella che ho scelto sarebbe stato quello
giusto.- mi sorrise un
secondo, per poi rivoltarsi verso lo specchio che la fronteggiava.
Due ragazze la
stavano
preparando, aggiungendo alcune roselline bianche ai suoi capelli,
raccolti in
parte verso l’alto, e in parte lasciati sciolti, e
truccandole le guance con un
pennello.
-Colombella, ha
ragione
Barbie. Sei splendida.
Mi voltai,
accogliendo
questo dolce complimenti da parte di Freddie, seduto sul letto di
Barbara,
intento ad annodarsi la cravatta, con mani tremolanti.
Era strano
vedere loro
due, sempre euforici, pimpanti, pronti a sostenere gli altri,
così tesi.
-Grazie Fred.
– gli
sorrisi sincera, sentendomi le guance imporporarsi.- Aspetta, che ti
aiuto!-
gli dissi avvicinandomi a lui, per poi piegarmi sulle ginocchia per
annodargli
la cravatta.
Portava le lenti
a
contatto sui profondi occhi marroni e i capelli scuri pettinati
all’indietro.
Pensai che fosse molto carino.
-È
che sono così
nervoso! È la prima volta che faccio da testimone a un
matrimonio.- balbettò,
teso come una corda di violino.
-Ehi, guardami
negli
occhi!- gli ordinai, fissando il mio sguardo nel suo, mentre le mie
dita si
cimentavano a dare una bella forma alla cravatta.- Sei un figo
pazzesco, okay? E
sei il migliore amico di Barbara! Vedrai che andrai alla grande.- gli
diedi una
pacca sulla spalla, alzandomi dopo poco.
-Sei sempre
stata un
angelo con me, colombella.- mi rispose, guardandosi allo specchio.- Mi
piace
anche il nodo che mi hai fatto alla cravatta.- sorrise, contento.
-Ehi, sono io
che
dovrei essere tesa, non tu Fred. Io sono la sposa, ricordi?-
continuò
leggermente isterica, Barbie.
-Ehi calma
Barbie,
anche tu sei bellissima, stai sposando l’uomo che ami e
coronando il tuo sogno
d’amore e andrà tutto bene. D’accordo?-
mi calai nei panni di coach emozionale,
per la seconda volta.
La mia collega
annuì
con il capo, ispirando ed espirando per diverse volte, fino a che non
dovette
chiudere le labbra per permettere alla truccatrice di metterle il
rossetto.
-E Jessica?-
domandai, qualche
istante dopo, appoggiandomi allo stipite della porta.
-È
nella sua stanza,
due porte avanti alla mia, a finire di prepararsi. È
più in ansia di me, pensa.
Ma credo che ciò sia dovuto al fatto che ha invitato al mio
matrimonio anche il
ragazzo per cui ha una cotta.- disse, prima di tornare a inspirare ed
espirare,
con le labbra , adesso, dipinte di un bel rosso messo in risalto dalla
sua
carnagione lattea.
Annuii
sorridendo,
volgendo lo sguardo verso la camera di Barbara, in pieno stile etnico,
proprio
come era lei. Oggi, però, mi trovai a pensare che avesse un
aspetto molto
elegante e che anche senza i suoi numerosi bracciali tintinnanti, fosse
sempre
splendida.
-E tu sei pronta
per
fare la damigella, Jane? – mi domandò il mio ex,
alzandosi in piedi.
-Spero di
sì. Ieri
pomeriggio mi hai visto alle prove in chiesa. Sono stata piuttosto
brava a
mimare di sorreggere il lungo velo di Barbie, lungo la navata centrale,
non
trovi?- ridacchiai.
-Più
che brava, oserei
dire.- rise Freddie.- E il tuo principe dove l’hai lasciato?-
continuò,
chiedendomi.
Solo due giorni
prima
avevo invitato entrambi a cena fuori, per raccontare le meravigliose novità che mi
erano successe.
-Si sta
preparando. Ci
incontreremo direttamente in chiesa.- risposi sorridendo.
Poi ridacchiai
tra me e
me, ripensando a come la sera prima Terence si fosse ingelosito sapendo
che
alla festa di addio al nubilato di Barbara sarebbe venuto uno
spogliarellista
tutto muscoli. Alla fine non era venuto proprio nessuno, ma era stato
divertente prenderlo in giro.
-E il tuo?-
chiesi,
poi.
-Idem.- mi
sorrise.
Dopo qualche
minuto, le
due ragazze artefici di trucco e parrucco, esclamarono
all’unisono che avevano
finito. Poi, preso un lungo velo incellofanato e posato su una
poltrona, glielo
sistemarono delicatamente sul capo, lasciando che strascichi di velo
bianco si
appoggiassero al pavimento, cadendole appena sulle spalle.
Barbara
iniziò a
guardarsi allo specchio che la fronteggiava, piegando la testa di lato.
-Okay…
credo che
inizierò a piangere… tra 3,2…
-NO!- la
interrompemmo,
urlando in sincrono tutti quanti.
Ci mancava che
rovinasse tutta l’opera d’arte che aveva creato la
make up artist, per via
delle lacrime.
Barbara
ridacchiò per
la nostra reazione, per poi sventolare una mano davanti agli occhi.
-Mi sento
bellissima.
Non so che dire.- disse con le labbra tremolanti.
-E non dire
niente, perché
sei bellissima. Ora, se mi permetti, splendida principessa, vorrei
ammirarti a
figura intera.- le tese la mano il mio ex.
Barbara la
strinse alla
sua, e dopo qualche attimo si alzò in piedi, mostrando la
sua graziosa figura,
fasciata dallo splendido abito a sirena che ,già una volta,
le avevo visto
indosso.
-Semplicemente
da
mozzafiato.- le dissi, sentendo anche i miei occhi inumidirsi.
Era
così potente la
bellezza di una donna in procinto di coronare il suo sogno
d’amore, da scuotere
il cuore in profondità.
-Vi ringrazio.
Sinceramente. Per tutto.- Barbie scandì ogni frase,
sbattendo velocemente le
palpebre.
**
La cattedrale di
Saint
Giles non era mai stata così bella. La navata centrale era
stata decorata con
vasi di peonie, le panche in legno chiaro con delle decorazioni
floreali. Dalle
vetrate colorate poste in alto, che rappresentavano diverse scene
bibliche,
filtrano dei pallidi raggi solari che, nonostante il freddo, facevano
capolino
nel cielo.
La chiesa era
gremita
di parenti e amici dei due sposi. Le porte dietro di noi si chiusero, e
dopo
qualche attimo la marcia nuziale ebbe inizio. Barbara era a braccetto
con suo
padre e con passo cadente solcò con leggerezza il lucido
pavimento della navata
centrale. Io e Jessica, ci guardammo solo un attimo sorridendo e
sorreggendo il
pesante velo con estrema delicatezza per evitare che toccasse terra.
Due bambine,
invece, che seppi essere due nipotine della mia bionda collega,
iniziarono a
spargere petali di rosa, precedendo di poco la sposa.
Sentivo gli
occhi di
tutti posati addosso a noi, e ammetto che mi sentii agitata
all’idea di fare
qualche sbaglio durante la marcia. Già mi immaginavo,
incespicare nell’abito di
Barbara e cadere di faccia, davanti a tutti i presenti.
Per fortuna
,però, le
cose andarono bene, e quando giungemmo davanti al presbiterio, io e
Jessica
lasciammo ricadere il velo, e ci spostammo verso le nostre panche. Il
signor
Richardson sollevò il velo dal viso di sua figlia per poi
posare, con mani
tremolanti e occhi lucidi, la sua mano su quella di Michael,
l’ormai prossimo
marito.
-Sei
bellissima.- mi
sussurrò all’orecchio Terence, non appena mi
sedetti. Lo guardai per un secondo
arrossendo e vedendo che mantenne lo sguardo fisso sugli sposi.
-Grazie.-
sussurrai, di
risposta.
Poi, concessi ai
miei
occhi di guardarlo meglio. Era vestito in maniera elegante, con un
completo
giacca e pantalone nero, una camicia del medesimo colore e una piccola
rosa
bianca come boutonniere. Non
portava
alcuna cravatta e i suoi capelli erano pettinati con del gel. Profumava
del suo
solito ammaliante profumo, intensificato da una gradevole acqua di
colonia.
Quando la messa
ebbe
inizio, cercai di non farmi distrarre dalla bellezza di Terence e
iniziai ad
ascoltare le parole del sacerdote. Poi, Terence prese la mia mano nella
sua,
intrecciando le nostre dita e l’intenzione di concentrarmi
sulla messa, andò a
farsi benedire.
***
Il castello di
Culzean
era uno dei luoghi più belli di tutta Edimburgo. Situato
nelle Lowland, era un residenza
neogotica eretta su una casatorre medievale, dal design interno chic e
raffinato in stile italiano. Era circondato da un lato da un ampio
giardino,
con tanto di laghetto per cigni, e dall’altro era limitato da
una costa
rocciosa che si affacciava sul mare.
Credo che
Barbara non
avrebbe potuto scegliere una località più
fiabesca per celebrare la sua festa
di matrimonio. Le sale interne presentavano uno stile sfarzoso, ma
classico, e
i tavoli ,su cui tutti noi ospiti eravamo accomodati, erano arredati
con un
livello massimo di eleganza e bon-ton.
Al mio tavolo
erano
seduti Freddie e il suo ragazzo, Steve ed Arabella, Vincent con una
ragazza che
non avevo mai visto, e ovviamente il mio Terence, in questo istante
intento a
osservarsi attorno, come un bambino nel paese dei balocchi. Sembrava
che stesse
avendo una sindrome di Stendhal nel vedere così tanta
bellezza e arte.
Il pavimento era
candido e lucido, le pareti dipinte di un colore neutro erano
circondate da
lunghe tavolate, al momento riempite solo di bevande, e a diversi metri
dai
tavoli era situata una postazione Dj. A illuminare tutto, oltre i raggi
solari che
filtravano dalle grandi finestre ai lati della stanza, vi erano anche
grossi
lampadari coperti di gocce di cristallo che si riflettevano sui
pavimenti.
-È
assurdamente
meraviglioso questo posto!- fece Terence dopo poco, prendendo a
guardarmi.
Vidi, con la
coda
dell’occhio, che tutti smisero di parlottare per guardarlo.
Ovviamente non
erano mancate le domande su noi due, soprattutto da parte di Price e
Steve che
erano rimasti alquanto stupiti nel vedermi con il figlio degli Ashling,
ora non
più cieco. Prima di entrare in sala, mi avevano, infatti,
letteralmente
allontanato da Terence per interrogarmi.
-Concordo. Trovo
che
questo castello sia il massimo del buon gusto.- gli rispose Freddie.
Mi trovai a
pensare che
fosse strano che il mio ex e Terence conversassero. Poi presi a
osservare il
suo ragazzo. Alto, biondo, dal volto pieno di lentiggini e dai profondi
occhi
verdi. Non male! Stavano bene insieme, molto meglio di quanto stessimo
bene
insieme io e lui, da fidanzati. Poi, forse sentendosi osservato, Edward
mi
guardò un attimo, sorridendomi con imbarazzo. Io sorrisi, di
rimando.
Da lì
partì una conversazione
sul design e sullo stile di alcuni dei quadri presenti in sala tra loro
due.
Per la prima volta, potei approfondire il talento di Terence sulle
opere
artistiche. Ci disse che in questo castello erano esposte delle opere
di un
artista chiamato Robert Adam e il modo in cui descrisse i colori, le
sfumature,
le forme, le espressioni dei soggetti delle tele, me lo
fece… amare ancora di
più.
Poco dopo,
però, tutti
smisero di parlare, per via dell’entrata dei due sposi nella
sala. Il Dj mise,
come musica di sottofondo, la base della marcia nunziale in una
versione
remixata che ci fece sorridere e dopo che sia Barbara che Michael
presero posto
al loro tavolo, il banchetto ebbe inizio.
La festa si
stava
svolgendo in una maniera impeccabile. I camerieri servirono ottime
pietanze e
,con regolarità, il centro della sala si riempiva di ospiti
pronti a scatenarsi
al ritmo di canzoni moderne e non.
Anch’io
ballai,
soprattutto con Barbie e con gli altri miei colleghi scatenandomi e
ridendo
come una matta. Mi erano tanto mancati questi momenti di spensieratezza!
-Il tuo Terence
è
proprio un bel bocconcino, comunque. Quegli occhi color del mare,
quelle
labbra…- mi disse Freddie, prendendo le mie mani e ballando
con me.
-Mi spiace ma
non è più
sulla piazza, Fred.- risi.
-Oh tesoro, ma
io ho il
mio Edward, che per me sarà sempre il più bello
di tutti, ma volevo comunque
farti sapere che approvo la scelta e che… sono tanto felice
per te.- mi si
avvicinò scoccandomi un bacio sulla guancia.
Io sorrisi,
abbracciandolo per un attimo. Poi continuammo a ballare sfrenatamente.
Fu quando gli
ospiti
iniziarono a raccogliersi in coppie e a ballare a ritmo di una canzone
più
lenta, che capii che i balli più sfrenati avevano lasciato
il posto a dei balli
più romantici.
Quando tornai a
sedermi, notai Terence guardarmi sorridente con un luccichio negli
occhi. Era
l’unico rimasto seduto al nostro tavolo.
-Che
c’è?- gli
domandai, bevendo dell’acqua.
-Non balli
più?- sviò
la mia domanda, sempre sorridendomi.
-Beh…
non posso di
certo ballare da sola, in mezzo a tutte queste coppie…- gli
feci notare,
sorridendo di rimando.- Purtroppo il mio cavaliere non vuole
accompagnarmi
nelle danze, quindi…- lasciai la frase in sospeso,
sfidandolo con lo sguardo.
Avevo provato a
convincerlo un’infinità di volte a ballare con me,
ma aveva sempre rifiutato
l’offerta, preferendo restare al tavolo, a guardarmi.
-Il tuo
cavaliere
potrebbe voler ballare le canzoni belle con te, e non quelle
commerciali.
Quindi ti va di ballare, Jane?- mi tese la sua mano.
Il suo
sorrisetto non
voleva andarsene.
-Accetto.- presi
la sua
mano.
Poi ci avviammo
al
centro della sala. Terence appoggiò una mano sulla mia
schiena e con l’altra
strinse la mia a mezz’aria.
Mi trovai a
pensare che
i suoi gesti mostrarono una sicurezza che non gli avevo mai visto.
Ricordai
quando ballammo insieme il giorno della sagra del cioccolato.
-Quindi
“Fix you” merita
di essere ballata?- gli
domandai.
Una mia mano era
posata
sulla sua spalla e i nostri occhi si guardavano attentamente.
-I Coldplay
meritano
sempre di essere ballati.- mi rispose, ballando lentamente.
-Ballammo una
loro
canzone anche il giorno della sagra del cioccolato. Tu mi avvicinasti a
te, poi
mi allontanasti e io…
-E tu te la
prendesti,
parlandomi con freddezza.- mi interruppe, continuando a guardarmi.-
Sai, ti
svelo un segreto, volevo baciarti già da quel giorno ma
avevo troppa paura per
farlo.
Sentii il cuore
prendere a battermi con forza.
-Ti svelo un
segreto
anch’io, avrei voluto che tu mi baciassi.- abbassai lo
sguardo, leggermente
imbarazzata.
Terence, di
risposta,
mi sollevò il mento e posò le sue labbra sulle
mie.
-So quello che
ti ha
fatto Mary Anne. Me ne ha parlato Tom qualche giorno fa…-
aggiunse dopo poco.
Sgranai per un
attimo
gli occhi, sorpresa. Poi, pensai che fosse normale che Tom gli avesse
raccontato tutto.
-Ah
sì? Beh… è acqua
passata ormai. Credo di essermi difesa abbastanza bene. Non so se ti ha
detto
che le ho dato uno schiaffo.- sorrisi.
Tornando
indietro,
anche un bel pugno non sarebbe stato male.
-Non potevo
aspettarmi
di meglio, dalla mia Jane. Comunque
non l’ha passata liscia neanche con me. Le ho telefonato
qualche giorno fa e…
l’ho ripagata con la sua stessa medaglia.
-Ovvero?- chiesi
curiosa, mentre mi fece girare su me stessa.
Notai mentre
giravo che
Barbara era stretta a suo marito, con la testa sul suo petto e gli
occhi
chiusi, Arabella e Steve si stavano baciando, Jessica stava ballando in
modo
impacciato e timido con il ragazzo che le piaceva, effettivamente molto
simile
a Logan Lerman, che la guardava sorridendo, Fred ed Edward ridacchiare
tra loro
ed Abbie, con la sua Canon tra le mani a scattare foto a chiunque.
-Le ho chiesto
un
appuntamento.
-Cosa hai fatto
tu?-
sgranai gli occhi, per la seconda volta.
-Le ho fatto
credere di
aver mollato Tessa per stare con lei. Dovevi vederla. Non era
più nella pelle.
Ha abboccato all’amo in pochi istanti e quando ha visto che
ero tornato a
vedere ha quasi fatto i salti di gioia.- Terence rise, come se avesse
detto una
battuta.
-Oddio, ma stai
dicendo
sul serio?- non riuscivo a crederci.
-Certo che
sì.
Ovviamente la pantomima è durata poco. Le ho detto poco
dopo, che era tutto uno
scherzo. Era furiosa, Jane!- scoppiò a ridere.- Do ut des,
no?
Scossi la testa
ridendo. Quando avesse trovato il tempo di fare tutto questo, era un
mistero,
ma era stato un gesto carino il suo. Aveva preso in giro Mary Anne,
come lei
aveva fatto con me, in un maniera meno crudele, però.
-E ovviamente a
tutto
ciò, è
seguito un bel discorso. Non
credo che si permetterà più di prendere in giro
qualcuno.- mi fecie
l’occhiolino.
-Grazie
Terence.- feci
sorridendo leggermente.
-Di cosa? Avrei
voluto dare un bel
pugno anche al
modello, ma preferisco non spendere troppe energie con chi non se lo
merita.-
contrasse leggermente la mascella, chiaramente infastidito da
ciò che mi
avevano combinato quei due.
-L’importante
è che sia
passato tutto.- gli accarezzai una guancia, sorridendo.- Comunque tu mi
devi
promettere di non dare mai più neanche un pugno a nessuno.-
lo ammonii
puntandogli un dito contro il petto.
Se solo pensavo
che a
causa di un pugno era diventato cieco, mi sentivo montare rabbia e
tristezza.
Un lampo gli
attraversò
gli occhi.
-Promesso.-
disse
serio.
Ballammo in
silenzio
per un altro po’.
-Alla fine
com’è andata
con lo spogliarellista ieri sera?- mi chiese poi, avvicinandomi
più a
sé. Il suo sguardo era puntato dietro di
me.
Io risi.
-Ce la siamo
spassati.
Un bel tipo, davvero. Muscoloso, atletico, abbronzato…
-Okay,
okay… non voglio
sapere tutti i dettagli. L’importante è che ti sia
divertita.- rispose,
leggermente offeso.
-Ehi gelosone,
scherzavo. Non è venuto neanche lo spogliarellista.-
risposi, dandogli un
pizzicotto sulla guancia, e scoppiando a ridere.
-Ah ah, che
divertimento.-
scosse la testa, sorridendo. -Ti diverti troppo a farmi ingelosire. Mi
sa che
anch’io dovrò usare la stessa strategia. Sai un
giorno ho incontrato Sandy.
Sandy era una bella ragazza e …
-Ehy!- lo
ammonii con
lo sguardo.
Scoppiò
a ridere.
Mancavano poche
note
alla fine della canzone, ma tutti stavano ancora ballando con interesse
e mi
sembrò che attorno a tutti noi si fosse creata una bolla
magica, dove ognuno
poteva vivere il suo sogno romantico.
-Jane?-
richiamò la mia
attenzione.
-Sì?
-Domani ti va di
venire
in un posto con me?
CONTINUA…
Alleluia! Sono
finalmente riuscita a pubblicare!
*cori angelici si innalzano nel cielo*. No, vabbè, a parte
gli scherzi, mi
dispiace davvero tanto di avervi lasciato senza capitolo per
così tanto tempo!
Purtroppo, dopo le vacanze natalizie, sono stata molto
impegnata con l’università e fino a
ieri sono
stata impegnata con la sessione invernale. Per fortuna, gli esami che
ho fatto
sono andati bene :)
Spero che
l’attesa sia valsa la pena, però! E che il
capitolo vi piaccia. È molto lungo e mi scuso per
questo…
Il prossimo
sarà l’epilogo, quindi quello finale. Mi
dispiacerà tantissimo non poter più scrivere del
mio adorabile, fantastico,
gentile Terence, e della mia fantastica Jane ma credo sia giusto dare
un finale
a queste due colombelle ^^
In questi
giorni( proprio da oggi) inizierò a
scriverlo e spero di non farvi attendere troppo per leggerlo, anche
perché ho
già in mente le varie scene ;)
Grazie per
leggermi, per seguirmi, per preferire o
ricordare la mia storia. Sono piccole grandi soddisfazioni.
In particolare
grazie a: Clojuno,
marioasi, Alba
Ellingtown e Helmwige
per le bellissime recensioni allo scorso capitolo!
Davvero, amo troppo leggere i vostri commenti su ciò che
scrivo. Spero di avere
il piacere di leggerne altri anche per questo! <3
Grazie a : angorvat, Occhi di fuoco, Chanty 21,
mary66, Mrs
Kaneky, toretto_lavigne,
Callem, e JadeSmoky99 per aver
aggiunto “Ad
occhi chiusi” nelle proprie seguite. <3
Grazie a : inchiostroelacrime, SIL1996, e
nuovamente
a JadeSmoky99
per averla aggiunta alle proprie ricordate! <3
E grazie a: lisa934, vichi1, nuovamente a
Alba
Ellingtown e maggiostesy
per averla aggiunta alle proprie preferite <3
Grazie mille a
tutte ragazze! Ci vediamo al prossimo
capitolo,
Novalis
|
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Capitolo 20 *** Epilogo ***
AD
OCCHI CHIUSI
-EPILOGO-
Musica
consigliata per leggere il capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=HP6SHn2fZhk
“Lo
amavo tanto, più di quanto io stessa potessi ammettere,
più
di quanto potessi esprimere a parole.”- J.
Eyre- C. Bronte-
Non andavo in un
cimitero da tanti anni, quando l’ultimo dei miei nonni, il
padre di mio padre,
ci aveva lasciati. Era stato un giorno triste quello.
Nonostante qui,
ad
Edimburgo, i cimiteri fossero vere e proprie attrattive turistiche per
via dei
diversi personaggi famosi che vi erano sepolti e per la
tranquillità che
emanavano, essendo presenti in mezzo alla città, e non in luoghi tetri e
nascosti, a me non
erano mai piaciuti, in quanto sinonimi di perdite e di tristezza.
Quando Terence
mi aveva
chiesto di accompagnarlo al Cimitero di
Greyfriars, presente nella Old Town,
ero rimasta alquanto sorpresa. Avevo
pensato simpaticamente, che un cimitero non fosse proprio un luogo
appropriato
per un appuntamento, ma poi avevo capito che l’invito di
Terence era più di un
appuntamento. Era una richiesta. Una mano che mi stava chiedendo per
essergli
vicino in un momento delicato.
Avevamo
camminato in
silenzio, e sempre senza spiccicare una parola, eravamo giunti fino a
una
tomba. Bianca e adornata da fiori freschi e colorati, che Terence aveva
sostituito con un mazzo di profumate rose bianche.
-Era bellissima,
non
trovi?- ruppe il silenzio, stringendo forte la mia mano.
Elizabeth
Sinclair
Ashling ci guardava sorridente, da una piccola foto incisa sua una
lapide
chiara. Mi fu sufficiente guardarla per pochi secondi per ricordarmi di
averla
già vista a casa Ashling, nella stanza di Terence, in un
ciondolo a forma di
cuore appartenente a una collana, su cui era incisa la lettera
“E”. E, che ora
capii, essere di Elizabeth.
-Hai ragione.
Era
bellissima, e sai… le assomigli molto.- gli risposi,
continuando a guardare
quel bellissimo volto sorridente, circondato da una cascata di riccioli
biondi.
E non scherzavo.
Terence aveva gli stessi lineamenti di sua madre, dolci ma decisi, gli
stessi
occhi chiari, e quello sguardo sbarazzino che lo contraddistinguevano
tanto.
-Credo che una
delle
cose più brutte dell’essere diventato cieco, sia
stata non poter vedere più
nessuna sua foto. Conservavo, e conservo tutt’ora, una sua
collana, infatti,
che le regalai per il suo quarantesimo compleanno e che, poco prima di
andarsene, mi aveva restituito, dicendomi di darlo a quella persona che
mi
avrebbe fatto sentire speciale come io avevo fatto con lei. Al suo
interno
c’era una sua foto che mio padre le aveva scattato quando era
incinta di me. Da
quando persi la vista, però, non ebbi più modo di
guardare quella foto e
ricordare il suo volto, e ora finalmente eccomi qui...-
sospirò. Sentii la sua
voce leggermente incrinata, come se volesse piangere ma si stesse
trattenendo.-
Ti ringrazio per essere venuta oggi, Jane.
Lo guardai, per
poi
posare il capo sulla sua spalla. Non sapeva che io quella collana
l’avevo già
vista.
-Non devi
affatto
ringraziarmi, perché sono io che devo farlo. Grazie Terence
per avermi permesso
di conoscere tua madre.
Lui mi
accarezzò i
capelli.
-Lei era una
persona
meravigliosa. Una di quelle di cui ti basta ascoltare solo la voce, e
che ti
basta guardare negli occhi, per capire come sia fatta. Un raggio di
sole caldo,
confortevole, tenero, e dolce. Spero che mi abbia perdonato, per tutte
le
cretinate che ho fatto.- la sua voce era triste.
-Credo che non
avesse
nulla da perdonarti, Terence.- strinsi più forte la presa
delle nostre mani.-
Ti amava, e continua a farlo anche se… da lassù.-
puntai un dito verso il
Cielo.
-Ne sei sicura?-
si
voltò verso di me.
I suoi occhi
erano
lucidi, ma luminosi. Terence non aveva ricevuto molto amore nella sua
vita, se
non quello di sua madre e del suo autista. Aveva quindi molte
più insicurezze.
-Certo che lo
sono. Non
perché una persona non è più viva, non
ci è più vicina. La sua anima non
morirà
mai e quella sarà sempre al nostro fianco. Non mi hai detto
che ti è apparsa
anche in sogno?- gli ricordai.
-Sì,
è vero. Solo che,
a me… a me non bastano i ricordi o i sogni. Io avrei voluto
averla qui, con me.
Avrei voluto abbracciarla, stringerla tra le mie braccia, per dirle
quanto la
ami profondamente e per ringraziarla per avermi voluto sempre bene.
Avrei
voluto farla ridere e vedere i suoi capelli fluttuare nel vento
d’estate. Avrei
voluto assaggiare tutti quei dolci che bruciava nel forno, su cui poi
rideva
come se avesse fatto una marachella da bambini. Avrei voluto
presentarti a
lei…- sospirò di nuovo.
Io ingoiai un
groppo
che mi si formò in gola. Non volevo piangere, ma quando
Terence smise di
parlare, sentii una goccia scorrermi lungo la guancia, fuori dal mio
controllo.
-E io avrei
voluto
conoscerla.- gli risposi.
Poi rimanemmo in
silenzio.
Sulla lapide era
inciso
“In memoria di Elizabeth, madre
amorevole, moglie devota”.
Rimasi a
guardarla,
facendo più di una preghiera silenziosa. Ringraziai
Elizabeth per aver dato
alla luce un figlio meraviglioso come Terence. Per avergli insegnato i veri valori
della vita, per
averlo fatto diventare l’uomo di cui mi ero innamorata, a
poco a poco.
-Ti manca tua
madre
Jane?- mi chiese, dopo un po’.
Socchiusi
leggermente
le labbra sorpresa da questa domanda, poi sospirai e risposi.
-Mi è
mancata. Ora non
più.- mormorai.
Mia madre aveva
abbandonato me quando ero poco meno che un’adolescente, e mio
padre, sebbene
lui l’avesse sempre amata, rispettata e onorata. Ci aveva
lasciati, senza alcun
preavviso, lasciando solo uno stupido biglietto scritto a matita, e
senza farsi
mai sentire. Mai, neanche una volta.
-A mancare sono
le cose
che ti fanno stare bene, non ciò che ti fa stare male.
Quando ero una
ragazzina, mi è mancata. Ma non lei, perché lei
non è mai stata una madre
modello, ma l’idea di madre. Mi mancava l’idea di
avere una figura materna che mi
amasse come le altre madri facevano con le mie coetanee. Poi, sono
cresciuta e
anche l’idea di madre non mi è più
mancata. Ho conosciuto Abbie, ho avuto le
mie piccole grandi soddisfazioni nella vita, e ho mio padre, la persona
più
adorabile e bella che conosca.- conclusi.
Non avrei voluto
confidarmi in questo modo, ma era come se tutte le parole che avevo
pronunciato
fossero uscite da sole dalle mie labbra. E non sapevo neanche se
ciò che avevo
detto fosse vero. Sapevo che non mi mancava mia madre, ma non ero
sicura che
non mi mancasse una figura materna, a cui fare affidamento sempre e
comunque.
D’altronde, soprattutto quando ero una ragazzina, per quanto
amassi mio padre,
lui non poteva rispondere a tutte le mie domande.
-E se ti
chiedesse
scusa e ritornasse da te, adesso?- continuò, voltandosi
verso di me.
Il suo viso era
triste,
ma allo stesso momento, interessato a conoscere le mie risposte.
-Penso che le
accetterei, ma non subito. Le concederei il perdono, perché
non sono una
persona così spregevole da non farlo, ma in ogni caso non le
permetterei di
ricucire con me, né con mio padre, un rapporto che sarebbe
solo… una maschera
utile a coprire un suo errore madornale. Nella vita tutti facciamo
degli
errori, ma ce ne sono alcuni per cui è opportuno pentirsi in
tempo. Lei il suo
tempo l’ha avuto e non lo ha usato.- risposi, rendendomi
conto di quanto duro
e… triste fosse uscito il mio tono.
-È la
stessa cosa che
penso di mio padre.- aggiunse Terence a bassa voce.- Comunque, Jane,
penso che
le tue parole siano dettate dalla rabbia. Da una giusta rabbia, sia
chiaro, ma
da rabbia. Tua madre, senz’altro ha fatto un’azione
deplorevole a lasciare te e
tuo padre, ma se un giorno si ripresentasse alla tua porta, credo di
essere
abbastanza sicuro che tu gliel’apriresti.
D’altronde, se c’è una cosa che ho
capito nella vita, è che tutto è imprevedibile.
Basta poco che tutto nasca.
Basta poco che tutto crolli. Basta poco che la tua vita cambi del
tutto. E io
non so cosa darei per avere mia madre con me.
Lo guardai,
trovandomi
il suo sguardo, adesso caldo e rassicurante, ad accogliermi.
-Forse hai
ragione tu.-
feci sottovoce.
In questo luogo
sacro,
al momento visitato solo da me e Terence, e da una signora che
sorrideva di
fronte a una tomba, le parole andavano solo sussurrate.
-Deduco, quindi,
che
anche tu perdonerai tuo padre, se un giorno venisse a bussare alla tua
porta?
Continuai a
guardare la
foto di Elizabeth sulla tomba. Così giovane e bella.
-Sì,
Jane, lo farei.
Lui è una di quelle persone che mi ha fatto più
male nella vita, se non il
peggiore, ma… lo ascolterei e, un giorno, magari non subito
, come hai detto
tu, gli darei il mio perdono più sincero. E poi, non
è anche Jane Eyre che dice
a sua zia: “Amatemi, allora, o
odiatemi,
come più vi piace. Io vi perdono liberamente e pienamente:
chiedete il perdono
di Dio; e siate in pace.”?
Mi voltai a
guardarlo,
stupefatta che si ricordasse a memoria un passo del mio libro preferito.
-Come fai a
ricordare a
memoria una citazione intera?- feci curiosa.
-Anche se
preferisco la
letteratura russa, come ti ho già detto, non ho mai sdegnato
quella inglese. Ho
letto Jane Eyre tre volte, una delle quali poco prima di scriverti la
lettera,
e ho un’ottima memoria fotografica.- mi spiegò.
-È
una frase
bellissima. Quello di Jane Eyre è un gesto toccante.- gli
risposi.
-Lo
è, in effetti.-
continuò.
Poi,
calò nuovamente il
silenzio su di noi. Terence osservava la tomba con sguardo attento,
come se
volesse fotografare la foto di sua madre fin dentro la sua anima.
-Penso che tu un
po’ le
somigli, Jane.- continuò.- Avete lo stesso candore, la
stessa purezza, la
stessa dolcezza. E sono felice che oggi vi siate incontrate.
Mi ritrovai a
sorridere,
felice e profondamente colpita per le sue parole.
-Sono orgogliosa
di
assomigliarle, allora.
Terence mi
sorrise, poi
avvicinò le sue dita prima alle labbra e poi alla foto di
sua mamma, come a
volerle lasciare un bacio.
-Vuoi parlare un
po’
con lei, da solo?- gli domandai.
-No, Jane. Le ho
detto
tutto quello che volevo dirle. E poi, ho deciso di venire a salutarla
ogni
giorno della settimana.- fece un mezzo sorriso.
-E io
verrò con te, se
vorrai.- lo guardai.
***
Un
anno- e qualche mese -dopo…
-Non ci posso
credere!
Ma che meraviglia! Un bambino, sul serio?- strillò Abbie per
la centesima
volta.
-Sì
Abbie, un bambino.
Un bebè, un infante, un fagottino cuccioloso.- le spiegai
paziente.
-Oddio che
bello. Sono
tanto felice per Barbara. È incredibile la gioia che si
possa provare quando si
sa dell’avvento di una nuova nascita.- si commosse
leggermente.
Era appena
tornata da
un breve viaggio fatto con il suo Thomas. Avevano visitato alcune
cittadine
spagnole, tra cui Madrid e Barcellona.
-Hai proprio
ragione.
Ce l’ha detto ieri mattina in ufficio. Ha scoperto di essere
incinta di tre
settimane. Questa sera andremo tutti insieme al “Queen
Victoria” per
festeggiare la bella notizia.
Abbie mi
sorrise,
piegando alcune magliette e mettendole dalla valigia
all’armadio. Era
leggermente abbronzata e i suoi occhi erano ridenti.
-Comunque,-
continuai,-
com’è andato il viaggio? Ti sei divertita?- mi
avvicinai a lei, per aiutarla a
riporre alcune cose ancora presenti nel trolley.
-Benissimo. Tom
è stato
meraviglioso. Mi ha portato a vedere tutti i monumenti più
belli della città,
abbiamo mangiato in ristoranti stupendi, ho comprato diversi souvenir e
ovviamente ho scattato delle foto troppo belle.- fece un sorriso a
trentadue
denti.
Fui molto
contenta per lei.
-E tu?-
continuò,- cos’hai fatto con Terence in
questa settimana? Non è che anche tu sfornerai un bel
bambino, a breve?- mi
fece l’occhiolino, maliziosa.
Io arrossii per
la sua allusione.
-Abbie!- la
ripresi, infatti.- Potrei chiederti la
stessa cosa?- la sfidai con lo sguardo.
Fu il suo turno
di arrossire. Poi, ridemmo subito
dopo.
-Comunque
è andato tutto bene. Ci siamo visti meno
questa settimana, perché è stato impegnato con le
lezione all’ Accademia.
Quest’anno, come sai, ha iniziato il tirocinio e si sta
dividendo tra la radio
e un museo.- risposi.- In compenso, la settimana prossima per
festeggiare il
mio compleanno, ha detto di aver organizzato una giornata solo per noi
due.-
finii entusiasta.
-Che bellezza.
Sono troppo felice.- posò un
pantalone e poi mi abbracciò da dietro.
-Lo sono
anch’io. E poi sai, mio padre ha finalmente
deciso di dare una chance alla signorina Ford, la donna che lo
interessava. È
da qualche mese che fa il vago durante le nostre telefonate, ma sono
abbastanza
sicura che siano usciti insieme già alcune volte.-
ridacchiai, posando le mie
mani sulle sue.
-Se lo merita
proprio tanto.- la sentii sorridere.
Era bella la
presenza di Abbie nella mia vita.
Sempre positiva, frizzante, allegra, pronta ad ascoltarmi e a essermi
vicina
nel momento del bisogno e non. Se non fosse stato per lei non avrei
probabilmente vissuto tanti momenti meravigliosi nella mia vita. Mi
piaceva
considerarmi una persona forte, ma non sempre era facile esserlo, era
allora,
in quei momenti, che Abbie mi dava la carica per superare tutto, al
meglio.
Ricordavo ancora
quando l’avevo incontrata la prima
volta. Dopo la laurea, avevo deciso di trasferirmi definitivamente da
Aberdeen
ad Edimburgo. Avevo voglia di cambiare vita, di diventare autonoma e
indipendente. In più, avevo letto dell’Edinburgh
Fashion Magazine, una delle
riviste verso cui puntavo, ed avevo tutta l’intenzione di
mettermi in gioco e
di provare.
Ovviamente non
avevo chissà quale disponibilità
economica con me, e di certo non volevo pesare su mio padre che
già mi aveva
prestato del denaro per finanziare gli studi e le prime spese. Fu
così che andai
alla ricerca di una casa in affitto che mi permettesse di dividere i
diversi
pagamenti con qualcun altro. Trovai un annuncio scritto proprio da
quella che
adesso era la mia migliore amica. Quando bussai alla sua porta, mi
accolse con
i bigodini nei capelli scuri, gli occhialoni da vista calati sugli
occhi, e con
una mano smaltata di viola. Ammetto che mi destò subito
simpatia.
-Bene. Finisco
dopo di svaligiare le mie cose. Vado
a farmi una doccia, così dopo passiamo una serata da
ragazze. Ci stai?- mi
propose, poi allontanandosi da me.
-Ci sto. Ma il
film lo scelgo io.- le feci la
linguaccia.
***
Okay, era tutto
pronto.
Terence non
aveva voluto anticiparmi nulla sull’uscita
che aveva organizzato per noi due. Inutile dire che mi sentivo
elettrizzata
all’idea di quello che mi sarebbe aspettato.
-Ehi ventottenne
sei pronta? – fece la sua entrata trionfale
la mia migliore amica.
-Credo di
sì.- sorrisi, chiudendo la zip della mia
borsa e osservandomi un’ultima volta allo specchio.
Per fortuna la
giornata era luminosa e un caldo sole
faceva capolino nel cielo.
Terence mi aveva
detto di vestirmi in una maniera
comoda, così avevo optato per un paio di jeans, scarpe da
tennis nere e una
camicetta verde acqua. I capelli mossi, irrimediabilmente sciolti e un
filo di
lucidalabbra rosso completavano il tutto.
-Sei bellissima,
ma adesso esci dalla tua camera,
ché il tuo bel tenebroso è appena arrivato.
-È
già arrivato?- feci sorpresa.- Non mi dà neanche
il tempo di spruzzarmi due gocce di Chanel n.5?- strabuzzai gli occhi,
prendendo
in giro la mia amica, e prendendo un po’ del mio profumo (no,
non Chanel)
fruttato.
-Jane, visto che
ne hai parlato tu… ti abbiamo
realmente regalato uno Chanel n.5.- Abbie si morse le labbra, con gli
occhi
ridenti.
-Cosa?- sgranai
gli occhi,- ma se prima mi hai detto
che per il vostro regalo dovevo aspettare domani.- posai una mano sul
mio
fianco.
-Beh…
è vero. Te lo daremo domani, ma visto che te
lo sei auto spoilerato…- lasciò la frase in
sospeso.
Io scossi il
capo, ma poi mi avvicinai a lei e
l’abbracciai forte.
-Beh allora
grazie mille. Non dovevate spendere
tutti quei soldi per un semplice regalo di compleanno.
La mia amica mi
scostò leggermente da sé.
-A parte che
hanno collaborato al regalo anche i
tuoi colleghi, e quindi il costo finale non è pesato a
nessuno, ti meriti
questo e altro, baby.- mi strizzò l’occhio.
-Grazie.- le
diedi un bacio sulla guancia.
-Su, ora fila
dal tuo Terence. Ti aspetta fuori,
nella sua macchina figa.- mi diede un pizzicotto sulla guancia, prima
di
spintonarmi fuori la porta della mia stanza.
Quando raggiunsi
l’ingresso, la salutai
ulteriormente, e poi uscii.
Il mio ragazzo
era appoggiato alla sua auto, una
Peugeot nera, con gli occhi puntati verso un libro, e una mano nella
tasca dei
pantaloni. Avrei voluto avere una macchinetta fotografica solo per
scattargli
una foto in questo momento.
-Ehilà
bell’imbusto.- lo salutai, avvicinandomi a
lui.
-Ciao Jane
Ryan.- ricambiò il saluto, sorridendo
leggermente e richiudendo il libro.
Notai che il
romanzo in questione era “La mite”
di Dostoevskij.
Gliel’avevo regalato per il precedente Natale.
-Pronta?- mi
domandò, avvicinandomi a sé, per poi
lasciarmi un leggero bacio, prima sulle
labbra e poi sulla mia mano. Questi suoi gesti da cavaliere
d’altri tempi mi
mandavano fuori di testa.
-Se non mi dici
dove stiamo andando, non posso
sapere se sono pronta.-gli risposi, puntandogli il dito contro.
-Credo che tu lo
sia.- mi lasciò un bacio sui
capelli, e poi salì in macchina.
Io sospirai e mi
accomodai al suo fianco, in poco
tempo.
Ci mettemmo la
cintura di sicurezza e poi accese la
radio, da cui si trasmisero le note di “Sultan of Swings” dei Dire Straits. Beh, almeno il viaggio
partiva bene.
-Quindi non mi
dirai nulla di nulla, finché non
saremo arrivati in questo famigerato posto?- presi a guardarlo.
Indossava una
camicia azzurra arrotolata fino ai
gomiti e dei blue jeans. Mi soffermai sul suo profilo elegante e poi
sulle sue
mani da pianista. Una sul volante e una sullo sterzo. Erano belle,
forti e
curate. Davano un senso di sicurezza.
-Esattamente.-
si voltò un attimo verso di me,
sorridendomi di uno dei suoi mezzi sorrisi.
-Bene. Ma mi
vendicherò Terence Ashling, è una
promessa.- gli feci una linguaccia.
Lo sentii
ridere.
-Comunque, ho
notato che stavi leggendo il libro che
ti ho regalato a Natale. Ti sta piacendo?- domandai, curiosa.
-Assolutamente
sì. Dostoevskij rimarrà sempre il mio
preferito.
Sorrisi
soddisfatta, poi presi a guardare fuori dal
mio finestrino.
Man mano che
l’auto procedeva iniziai a riconoscere
i luoghi che ci circondavano.
-Ti dico solo, e
lo faccio solo perché è il tuo
compleanno, che ci metteremo poco più di tre ore per
arrivare in questo posto.-
mi disse, quando si fermò ad un semaforo.
-Ah
sì?- cercai di indagare,- quindi è fuori da
Edimburgo. Interessante!- constatai, mettendomi una mano sotto il mento.
-Brava piccola
Sherlock Holmes. Se vuoi, prova ad
indovinare.- mi lanciò uno sguardo di sfida.
Ci pensai su.
Erano diverse le cittadine che
distavano circa tre ore da Edimburgo, quindi non era facile indovinare.
-È
troppo poco un indizio, Terence. Proprio perché è
il mio compleanno dovresti aiutarmi di più.- mi lamentai
come una bambina.
-Devi solo
pazientare Jane Ryan. Nel frattempo,
leggi il libro che mi hai regalato a Natale.- rise, facendo finta di
non
ascoltare il mio tono lamentoso.
-Cosa? Io?
Dostoevskij?- fu il mio turno di ridere,-
non è il mio genere, lo sai.
-Lo so! Ma devi
provarci. È un romanzo avvincente e,
fidati ,che leggendolo il tempo trascorrerà più
in fretta. Ti lancio il guanto
di sfida.
-Bene. Facciamo
quindi che a ogni capitolo che
finisco di leggere, mi dai un aiutino?- stetti al suo gioco.
-E sia.- mi
sorrise.
Fu
così che presi “La mite”
e iniziai a leggerlo.
***
Quando Terence
parcheggiò vicino ad un posto,
rialzai la testa dalle pagine del libro. Tirai su col naso e mi
asciugai una
lacrima dalla guancia.
Alla fine i
capitoli mi avevano così preso che non
gli avevo chiesto neanche un indizio. Il romanzo era davvero avvincente
e molte
scene mi avevano portato, inevitabilmente, a commuovermi.
-Mi sembra quasi
che tu non voglia più smettere di
leggere, vero Jane Ryan?- Terence mi stava aprendo la portiera.
Annuii con la
testa, poi misi il libro in borsa.
-Mi sa che non
te lo restituisco più.- presi la sua
mano e in men che non si dica mi trovai all’aperto.
Osservai
ciò che mi circondava, cercando di capire
dove fossimo.
-Oddio non
sarà mica Inverness?- feci incredula,
mentre Terence chiuse lo sportello dietro di me. Notai che in un mano
aveva un
cestino da pic-nic, preso chissà quando, e che una montatura
da sole gli copriva
gli occhi.
Era strano
vederlo con gli occhiali da sole. Mi
ricordava il Terence che avevo conosciuto.
-Credo proprio
che lo sia.- mi sorrise, prendendomi
per mano e iniziando a camminare.
-E ora dove
andiamo?- domandai.
-Ti porto ad
incontrare il mostro di Lochness.-
rispose, senza voltarsi verso di me.
Il sole era alto
nel cielo, c’erano poche persone
disseminate per le strade e una leggera brezza iniziò a
farci ondeggiare i
capelli nell’aria.
Decisi di non
chiedere altro, e di seguirlo in
silenzio.
Terence
camminava deciso, lasciando qualche ragazza
a bocca aperta, mentre io me la ridevo sotto i baffi per essere la
fortuna che
gli era accanto.
Non ci volle
molto prima che si fermasse, di fronte
al lago più famoso di tutti i tempi.
-Benvenuta a
Lochness, Jane Ryan.- mi sorrise,
voltandosi verso di me, gli occhi chiari ben oscurati dalle lenti.
Rimasi a
guardare il panorama mozzafiato che mi
circondava, schiudendo le labbra e chiedendomi perché
Terence avesse scelto
questo posto.
-Perché
mi hai portato qui?- diedi voce ai miei
pensieri, guardandolo.
Il sole di
mezzogiorno rischiarava i suoi capelli e
colorava la sua carnagione.
-Perché
è un bel posto e io amo la bellezza. Un
giorno, quando venni a pranzo a casa tua, ti dissi che non avevo mai
visto
questa città. Così ho deciso di portarti con me.-
mi rispose, sorridente.
Io continuai a
fotografarmi con la mente il panorama
da mozzafiato che mi si stagliava di fronte.
-Grazie.
È splendido qui.- gli risposi.
Terence di
risposta, rimase prima a fissarmi, per poi
circondarmi la vita con un braccio. Appoggiai
automaticamente il capo sulla sua spalla.
-Ti propongo
questo itinerario: passeggiata per la
città alla ricerca dei luoghi più belli, picnic
di fronte al lago per l’ora di
pranzo, e infine gita sul lago di Lochness.- vidi con la coda
dell’occhio che
mi guardò.
-Ci sto.- gli
risposi, sorridendo.
Così
detto, rimanemmo qualche altro istante a farci
accarezzare dal fresco vento primaverile, per poi iniziare a camminare.
Sebbene Terence
non avesse mai visitato la
città, sembrava
molto sicuro dei suoi
passi e delle direzioni in cui mi stava conducendo.
Mi
portò prima a visitare la Church
Street, la via più antica della città,
dominata dalla torre
campanaria, piena di negozietti sfiziosi e colorata da diverse persone
che
passeggiavano con spensieratezza.
Poi mi condusse
verso l’ Inverness Museum and Art
Gallery, un museo ricco di tesori
risalenti ai vichinghi. Terence fu felice di mostrarmi le sue
abilità
artistiche descrivendomi ciò che ci fronteggiava meglio di
una qualunque guida
turistica. Quando parlava di arte, diventava ancora più
bello. I suoi occhi si
illuminavano e brillavano come le stelle di agosto. In più
spiegava tutto con
incredibilità facilità e spontaneità.
Già me lo immaginavo in un museo a fare la
guida, con tutte le ragazzine a guardarlo adoranti. Poi ci fermammo in
alcun
negozietti di souvenir, da cui uscimmo con un paio di cartoline del
luogo, una
calamita da frigorifero, e due braccialetti che ci scambiammo.
Il tempo
trascorse incredibilmente in fretta, tant’è
che l’ora di pranzo si fece vicina in men che non si dica.
Terence mi chiese di
scegliere tra due monumenti quale visitare, prima del pic-nic, e io
optai per
il Cawdor Castle, un castello che
sapevo essere legato alle vicende del Macbeth
di Shakespeare. Questa volta fui io
la più esperta tra noi due. Ricordavo ancora come amassi il
famoso poeta
inglese al liceo, e come avessi divorato numerose sue opere fin
dall’adolescenza. Facemmo in tempo ad osservarlo
all’interno, con i suoi
passaggi segreti, le sue prigioni e con persino un albero cresciuto
all’interno
delle mura. Infine, prima di andare a pranzo, ci facemmo coinvolgere
dalla
bellezza dei giardini esterni, colorati dalla primavera.
Felici ma un
po’ stanchi, poi, ci avviammo
nuovamente verso i paraggi di Lochness.
Quando
arrivammo, Terence scelse un posto un po’
appartato, vicino a un grande albero. Posizionò una
tovaglietta che prese dal
suo cestino e poi uscì alcuni tramezzini, della frutta di
stagione, e delle
bevande.
-Wow Terence
Ashling… questa volta ti sei superato!
Hai preparato tutto nei minimi dettagli.- gli sorrisi, divorando con lo
sguardo
ciò che mi si presentava davanti.
-E non hai
ancora visto il dolce. – si sfilò gli
occhiali da sole che appoggiò sul colletto della camicia, mi
fece l’occhiolino,
e si sedette vicino a me.
-Il dolce?-
domandai, curiosa.
Mi voltai verso
di lui. Mi erano mancati i suoi
occhi.
-Certamente
Jane. Che compleanno sarebbe senza dolce?-
disse, prima di sorridermi.
Sorrisi
anch’io felice e serena. Era così bello
essere qui, in questo momento, con una persona speciale come lui.
-Bene, da dove
vuoi cominciare?- mi chiese,
invitandomi con gli occhi a prendere qualcosa.
Feci vagare il
mio sguardo, per poi optare per un
tramezzino al tonno. Terence ne scelse uno al prosciutto.
Mangiammo in
silenzio, osservando tutta la bellezza
che ci stava abbracciando.
-Perché
mi chiami spesso Jane Ryan?- gli chiesi,
dopo un po’.
Terence prese
a fissarmi, curioso per questa domanda.
-Come dovrei
chiamarti?- fece, senza capire.
-No, dico,
perché aggiungi anche il mio cognome dopo
il nome?- spiegai meglio.
-Ah…-
continuò,- perché è bello. Semplice,
breve, e
dolce. Ha un bel suono e mi piace chiamarti così. Ti
dà fastidio che lo faccia,
Jane Ryan? - mi sorrise.
-Assolutamente
no, signor Ashling.- gli sorrisi,
anch’io.
In effetti la
mia era una domanda che desideravo
chiedergli da tempo.
Poi mangiammo in
silenzio. Nella nostra zona, avanti
a dove eravamo noi, iniziarono ad arrivare turisti che armati di
macchine
fotografiche, scattavano il lago più leggendario di sempre.
Dopo aver finito
di consumare i panini, mangiato
alcune pere e dell’uva gialla, infine Terence si
schiarì la voce annunciando il
dolce. Si avvicinò al cestino del picnic e ne estrasse, in
pochi secondi, una piccola
torta al cioccolato decorata con alcune piccole fragole.
Appena la vidi
battei le mani, come una bambina. Era
bellissima. Mi ricordava tanto una torta che mi aveva fatto mio padre
per i
miei 12 anni. Parlando di lui, ci eravamo sentiti la mattina per
telefono, ma
la prossima domenica ci saremmo visti di persona, perché
aveva insistito per
incontrare Terence, di cui gli avevo tanto parlato. Non vedevo
l’ora di
abbracciarlo e di incontrare la signorina Ford.
Poi, con mia
somma gioia, Terence pose due candeline
che unite davano il numero ‘28’, sullo strato
superficiale di cioccolato.
-L’ho
fatta cucinare dalla compagna di Harrison.
Spero ti piaccia.- aggiunse, accendendo con un accendino le candeline.
Il vento fece
muovere leggermente le fiammelle, ma
per fortuna non si spensero.
-Buon
compleanno, Jane. Esprimi un desiderio.- mi diede
due baci sulle guance, poi prese la mia mano poggiata sulla tovaglietta
e mi
sorrise.
Rimasi qualche
istante a guardare prima gli occhi
profondi di Terence e poi le candeline. Un desiderio? Avevo
già tutto quello
che potevo desiderare, ma… forse c’era una cosa
che avrei voluto che accadesse.
Espressi il mio
desiderio e poi soffiai le candeline.
-Fatto.- sorrisi
entusiasta.
-Bene.- sciolse
la presa dalla mia mano, in seguito
tagliò due fette di torta che mise in due piattini di
plastica arancioni.
-Grazie.- gli
risposi quando mi diede la mia fetta,
riferendomi anche a tutto il resto.
Lui, di
risposta, mi scoccò un bacio sulla guancia,
facendomi arrossire.
-Sono io
l’unico che deve dire grazie, Jane Ryan.-
continuò, incredibilmente serio.
Io feci un mezzo
sorriso e poi presi a mangiare la
mia torta.
-Mi hai detto
che l’ha fatta la compagna di Harrison?-
domandai.
-Esatto. Non ti
ho parlato mai di lei, se non un
accenno al fatto che si trovi in un pensionato. Ricordi?
Ci pensai un
attimo su.
-Sì.
Me lo dicesti il giorno in cui andammo al
centro di riabilitazione, per la prima volta.
-Giusto.
Beh… diciamo che, anche se non parlo con
mio padre da più di un anno, il mio cognome ha ancora un
certo fascino alle
orecchie delle persone, così sono andato a fare una
chiacchierata con i tizi
del pensionato, permettendo che la signora uscisse. Pare che non abbia
più
famigliari. Come sai, da qualche mese vivo nella casa dello studente
vicino
all’università, così possono vivere
insieme a casa di Harrison.- mi spiegò,
portandosi alle labbra un pezzo di torta.
Questo dolce era
incredibilmente buono.
-Harrison,
insieme a te, è l’unico che mi sia
rimasto vicino e devo fare di tutto per renderlo felice e non pesargli
troppo
sulle spalle. Sai quanto lui abbia fatto per me, ed è giusto
che ora inizi a
ripagarlo dei suoi sforzi. Non mi aveva mai parlato
dell’esigenza di voler
rivedere la donna di cui è innamorato, ma ora che abbiamo
vissuto insieme un
po’ e che non lavora più per mio padre, ho capito
che dovevo fare qualcosa per
unirli. In più ho anch’io la necessità
di sentirmi completamente indipendente.
Lo guardai,
annuendo.
-Secondo me
potresti provare a mandare alcuni
curricola a dei centri d’arte. Ti posso assicurare che le tue
conoscenze
artistiche sono molto elevate e che il modo in cui spieghi è
sublime.- gli feci
sincera.
Lo vidi
arrossire leggermente. Non succedeva spesso
che si imbarazzasse, visto che il più delle volte era lui ad
imbarazzare me, ma
quando succedeva diventava immensamente dolce.
-Ho intenzione
di farlo a breve. Credo che il
proprietario del museo presso cui sto facendo il tirocinio, mi abbia
preso in
simpatia, quindi vedrò di battere il ferro finché
è caldo.
-Ottima idea.-
mi trovai d’accordo con lui.-
Comunque ringrazia questa signora e dille che la torta è
buonissima.
-Sarà
fatto.- mi sorrise.
Continuammo a
mangiare il dolce, in silenzio, facendoci
cullare dal vento e dalla melodia delle risate dei bambini che
passavano da lì,
tornando da scuola.
Dopo che finimmo
di mangiare, ripulimmo tutto e
sistemammo le varie cose nel cesto.
-Ho prenotato
una barca per le quattro del
pomeriggio. La guiderò io.- mi disse, prendendomi per mano e
iniziando a
passeggiare nei dintorni. -Comunque Jane, c’è una
cosa che non ti ho mai detto.-
si schiarì la voce.
-Ah
sì?- lo guardai, in attesa e anche un po’ in
ansia.
Tra le cose
più belle dell’esserci messi insieme,
c’era sicuramente il fatto che Terence fosse diventato aperto
con me. Mi
raccontava tutto di quello che gli succedeva, come andava a lavoro,
quando si
sentiva giù di morale e qualsiasi cosa gli andasse di farmi
ascoltare. Certo,
quel suo lato un po’ sfuggente e solitario, tornava ogni
tanto a farsi sentire,
ma d’altronde faceva parte del suo carattere, e a me andava
bene così.
-Mi ha
contattato mio fratello, circa quattro mesi
fa.- disse soltanto, quasi sussurrando, fermandosi e volgendo lo
sguardo verso
il lago.
Sgranai gli
occhi.
-Tuo fratello?
Heathcliff?- riuscii solo a dire.
Che domanda
intelligente avevo fatto. Dieci punti a
Grifondoro.
-Proprio lui.-
tornò a volgere il suo sguardo verso
di me.
-E
perché non me l’hai mai detto?- corrugai la fronte.
Avevo appena
finito di pensare che mi piacesse il
suo essere diventato aperto con me, e adesso venivo a sapere che mi
nascondeva
delle cose?
Lui si
toccò i capelli in imbarazzo.
-Diciamo che
volevo prima capire le sue intenzioni e
capire il perché si fosse messo in contattato con me. Se
fosse stato un
tentativo per farmi tornare a casa di mio padre non te
l’avrei detto, in quanto
non degno di nota, se invece avessi visto qualcosa di positivo nel suo
contattarmi, ti avrei avvisato. Ho impiegato un po’ di tempo
per capirlo.
Annuii, in
attesa di altre informazioni.
-E cosa ti ha
detto?- continuai, curiosa, inarcando
le sopracciglia.
-Si è
scusato con me.- mormorò, tornando a guardare
frontalmente a sé.
-Wow.- abbassai
il capo, permettendo ai capelli di
ricadermi ai lati del volto.
Avrei voluto
aggiungere altro, ma per il momento non
riuscivo a spiccicare parola. Heathcliff, il fratello gemello che
insieme a
Catherine aveva fatto tanto male al mio Terence, ora si era scusato con
lui.
-Ha sorpreso
anche me. Non so come abbia fatto ad
avere il mio numero, fatto sta che mi ha telefonato qualche tempo fa.
Mi ha
proposto di andare a bere qualcosa con lui, diverse volte, e
io… l’ho fatto.
Sentivo che dovevo farlo. Abbiamo parlato un bel
po’…
Mi voltai per
incontrare il suo sguardo.
-Quindi si
è scusato. E come… cosa ti ha detto
esattamente?- ripetei la mia precedente domanda.
Terence fece
spallucce. Poi spostò con la scarpa un
sassolino sotto di lui, con sguardo basso.
-Semplicemente
che è stato un grandissimo idiota e
che gli dispiace per aver contribuito alle mie sofferenze. Mi ha detto
che ha
smesso di parlare con Catherine, che, ha aggiunto, essere stata la
causa di
tanti suoi comportamenti.
-Troppo facile
così, però. Ha dato tutta la colpa a
tua sorella?- feci io.
-No. Si
è assunto la sua responsabilità, dicendomi
di essere stato uno stupido, ma sottolineando quanto si sentisse
più
affezionato a nostra sorella, e di come molte volte le sia andato
troppo
dietro, ascoltando ogni suo suggerimento.- rispose.- Mi ha detto poi
che
l’impresa di mio padre è ancora in piedi grazie ad
un fidanzamento tra mia
sorella e un tizio che neanche conosco. Avevo letto qualcosa in giro,
ma
ammetto che non mi ero mai interessato.- continuò, con voce
fintamente distaccata.
Da quando
Terence si era separato dalla sua
famiglia, non avevamo più parlato della Ashling Corporation,
né di suo padre o
dei suoi fratelli. In più avevamo provato a stare lontani
dalle tv o dai
giornali che potessero parlarne, per non rimmergerci in faccende
spiacevoli.
Sapere che ora suo padre aveva pensato di manipolare sua figlia
Catherine, come
aveva fatto l’anno prima con Terence, mi fece capire come
certe persone non
cambino mai perché non vogliano farlo.
-E come mai si
è deciso a scusarti solo adesso?
Voglio dire, è passato più di un anno
dall’ultima volta che l’hai visto in
ospedale…- lasciai la frase in sospeso.
Terence
sospirò, mettendo le mani nelle tasche. Poi
volse lo sguardo verso il lago.
-Credo che abbia
trovato il coraggio di farlo solo
adesso.- rispose.
Io lo guardai,
ferma al suo fianco.
-E a te sta bene
come cosa?- gli domandai.
Lui
annuì con il capo.
-Penso di
sì,- continuò,- di certo non dimentico i
nostri attriti ma…,- si fermò,- credo di aver
bisogno anche di lui, di una
persona che abbia il mio stesso sangue, nella mia vita. Ci siamo
incontrati
diverse volte in questo periodo, e ho cercato di capire se fosse
sincero.
Jane,- si voltò verso di me.- tu mi hai insegnato tante
cose, lo sai?
Rimasi impalata,
con le labbra leggermente socchiuse
a guardare quegli occhi verdazzurri che mi guardavano come se fossi un
gioiello
prezioso.
-Sì?-
mi uscì soltanto.
Lui sorrise.
-Sì.
Mi hai insegnato che nella vita non è bello
stare soli, ma è bello avere al proprio fianco qualcuno che
ci voglia bene e
che ci ami.- concluse.- Io voglio credergli, voglio avere fiducia che
mio
fratello possa voler realmente allacciare un rapporto con me.
D’altronde non
avrebbe alcun interesse a fingere.- fece un mezzo sorriso.
Io lo guardai ,
annuendo.
-Sono felice per
te Terence. Sono felice che tu
abbia imparato a dare fiducia al prossimo. Sono felice che tu abbia
deciso di
aprire il tuo cuore. Sono felice che tuo fratello abbia fatto questo
passo.- lo
abbracciai di slancio.
Lui ricambio la
stretta, affondando il suo sorriso
nei miei capelli profumati del mio shampoo alla pesca.
-Mi spiace
avertene parlato solo adesso, ma prima
non mi sembrava il momento adatto, sapendoti impegnata anche al
Giornale.-
aggiunse.
-Non fa nulla,
ma comunque non devi farti alcun
problema Terence. Ci sarò sempre per te, tutto il resto
passerà sempre in
secondo piano.- gli feci sincera.
Lui mi strinse
più forte a sé.
Rimanemmo
così a lungo, con il vento che ci danzava
attorno, e con le nuvole che ci sorridevano dal cielo turchese.
Poi ci
scostammo, entrambi felici.
-Vieni, andiamo
a fare il nostro giro in barca. Ho
una cosa da chiederti.- mi prese per mano.
-Cosa?- feci
curiosa, seguendolo.
-Sei poco
paziente Jane Ryan.- rispose continuando a
camminare. Poi mi condusse verso un molo. C’erano attraccate
diverse barche e
un uomo anziano era seduto su una sedia in legno, con un giornale in
mano.
Intanto cercai
di capire cosa volesse domandarmi.
-Salve signore.
Sono Terence Ashling, il ragazzo che
le ha telefonato il mese scorso…
Il mese scorso?
Terence aveva organizzato questa
giornata già da così tanto tempo? Sorrisi.
-Ah
sì sì, ho capito chi è lei.- il
signore gli fece
un occhiolino.
Cosa? Un
occhiolino?
-Sì…-
Terence lasciò la frase in sospeso,
insospettendomi.- Possiamo usare la barca per un’ora giusto?
-Sì,
signore. Prego,- disse alzandosi e
avvicinandosi a una barca a remi dipinta di rosso, e con la scritta
“Penelope”
verniciata di bianco su un fianco.
Slegò
una corda che la teneva legata al molo e ci
invitò a salirci su.
Terence mi prese
per mano, salendo per primo con
agilità e poi aiutandomi a salire insieme a lui. Non ero mai
stata su una barca
a remi, e appena ballò
un po’ sotto il
mio peso, mi spaventai leggermente, ma quando Terence strinse forte la
presa
sulle mie mani, mi tranquillizzai e mi sedetti di fronte a lui.
-Non
allontanatevi troppo, signori. Questo è il
biglietto con le tariffe e gli orari. – ci disse
l’uomo dandoci un bigliettino
bianco.- e fate attenzione al mostro di Lochness… non si sa
mai quando potrebbe
fare la sua comparsa.- ci strizzò l’occhio, prima
di spintonare la barca per
farla andare a largo.
Terence
ridacchiò, io… un po’ meno. Nessuno
aveva
prove che il mostro fosse vero, ma neanche che non
lo fosse.
-Non sapevo che
tu sapessi guidare una barca a
remi.- osservai, guardandolo muovere i remi lentamente.
-Infatti non
è che abbia chissà quale esperienza. Un
giorno ti raccontai che d’estate, quando io e i miei fratelli
eravamo piccoli, la
mia famiglia passava le vacanze a Nairn. Qui andavamo spesso al mare, e
… mio
padre ci insegnò ad andare in barca.- spiegò,
abbassando un attimo lo sguardo,
quasi… dispiaciuto nel rinvangare certi ricordi.
Allora suo padre
non era sempre stato
una persona fredda e calcolatrice.
-Capisco.- gli
risposi, sorridendogli leggermente.
Poi feci volgere
il mio sguardo su ciò che ci
circondava. Sembrava di essere all’interno di un affresco o
di una fotografia. Degli
uccellini cantavano sulle fronde degli
alberi in lontananza, le nuvole bianche si spostavano lentamente sopra
di noi,
assumendo le forme più strane, e una piacevole brezza ci
sfiorava la pelle ed i
capelli. Mancava un concerto di violini e di violoncelli, e mi sarebbe
sembrato
di essere in un film.
Amavo la mia
Scozia. Così bella. Così leggendaria.
Con i suoi castelli, i suoi monumenti, i suoi paesaggi mozzafiato, le
sue
musiche e le sue tradizioni. Non avrei abbandonato la mia terra per
nulla al
mondo.
-E se davvero
uscisse Nessie?- gli chiesi,
stringendo la mia borsetta tra le braccia.
-Beh avremo un
testimone in più.- rispose Terence,
stringendosi nelle spalle.
Non riuscivo a
capire.
-Testimone? A
cosa?- risi nervosamente.
-Abbi pazienza
Jane.- si limitò a dire, sorridendo e
continuando a remare.
Quante volte mi
aveva detto oggi di avere pazienza?
Rimasi in
silenzio, con solo il cuore a martellarmi
più forte nel petto, per cercare di capire cosa gli stesse
frullando per la
mente. Aveva stampato sul viso un sorriso divertito, mentre spingeva i
remi
contro l’acqua.
Mi sporsi
leggermente verso il lago, osservandone la
profondità. Il sole si ergeva ancora nel cielo, ma fra non
molto avrebbe
iniziato a tramontare, e si sarebbe specchiato sulla superficie
dell’acqua,
colorandola di un caldo arancione.
Mi ritrovai a
pensare, vedendo me stessa riflessa
sull’acqua, che solo un anno prima a quest’ora
stavo festeggiando i miei
ventisette anni con mio padre e la mia migliore amica in un ristorante,
che la
mia vita era totalmente diversa, che non avevo scritto un articolo che
aveva
avuto la prima pagina e che aveva vinto un premio, che non ero stata
presa in
giro da nessun modello, che non avevo ancora incontrato
l’amore della mia vita:
Terence. Se solo non fossi andata al pub, quel settembre
dell’anno prima, per
incontrare il fidanzato di Abbie, non avrei conosciuto un ragazzo
scontroso,
freddo, a tratti scorbutico, dagli occhiali da sole sugli occhi, con
una
piccola cicatrice sopra le labbra, con un bastone chiamato James sempre
tra le
mani, con un cuore tanto dolce, dalle doti nascoste, tanto
intelligente, e con
il suo charme da ragazzo di altri tempi e da protagonista di quei
romanzi che
mi piacevano tanto. Non avrei vissuto la vita che stavo vivendo adesso.
Una
vita piena di calore e di gioia, che mi ero guadagnato non senza fatica.
Quando fummo
lontani diversi chilometri dal molo e
il signore che ci aveva dato la barca fu solo un puntino lontano,
Terence si
fermò scrocchiandosi le mani e sistemando i remi in modo che
non cadessero.
-Bene. Credo sia
arrivato il momento di darti il mio
regalo di compleanno.- mi disse, guardandomi contento.
-Regalo?- feci
sorpresa.- Ma… non era questa
giornata passata insieme il tuo regalo?- lo guardai.
-Anche, ma il
vero regalo è un altro. Ora, per
favore, chiudi gli occhi Jane Ryan.- mi invitò.
Lo osservai
sospettosa. Sentivo che il suo doveva
essere un qualcosa di bello, per cui feci come mi aveva detto,
aspettandomi un
qualsiasi gesto da un momento all’altro.
Sentii Terence
armeggiare con qualcosa, per poi
avvicinarsi a me. Percepii il suo profumo intensamente e dovetti
frenare la mia
voglia di baciarlo, per non rovinare la sua sorpresa.
Poi qualcosa di
freddo mi sfiorò il collo, e Terence
si scostò da me subito dopo.
-Sei
così bella… anche ad occhi chiusi.- lo sentii
sospirare per poi riavvicinarsi a me per baciarmi sulle labbra.
Risposi con
dolcezza al bacio e quando si allontanò
da me, faticai a riaprire gli occhi.
Terence mi
invitò con lo sguardo a guardare verso il
basso, così spostai i miei occhi verso i bottoni della mia
camicia, osservando
che mi aveva messo una collana intorno al collo.
Impiegai qualche
istante a riconoscerla. Era la
collana di Elizabeth.
-Terence
questa… questa è…- balbettai,
incredula.
-La collana che
regalai a mia madre e che mi disse
di dare a quella persona che mi avrebbe fatto sentire speciale come io
avevo
fatto con lei.- mi rispose.
Io rimasi a
guardarla estasiata. Era fatta di oro e
qualche raggio solare stava illuminando il piccolo ciondolo a forma di
cuore.
-Io non ho
parole. È bellissima… grazie.- sussurrai,
con il cuore a battermi forte.
-Non
è finito il mio regalo. Apri il ciondolo.-
continuò.
Lo guardai. I
suoi occhi divennero sfuggenti.
Sembrava improvvisamente agitato.
Riguardai il
ciondolo e con lentezza lo aprii. Mi
trovai la foto della mamma di Terence guardarmi con dolcezza e
dall’altra
parte…un piccolo cuscinetto inserito nella parte a forma di
cuore, con al suo
interno inserito un anello.
Lo presi con
mani tremolanti. Era una fede d’argento
con incastonato al suo centro un piccolo diamante.
Sentii mancarmi
il respiro quando lo vidi.
-Senti
Jane…- iniziò Terence con tono agitato,
mentre io continuai a guardare quel piccolo gioiello luminoso,- avrei
voluto
mettermi in ginocchio ma credo non sia il caso,- lo sentii ridere
nervosamente,-
quello che voglio dirti è che… vuoi
essere… -sospirò in imbarazzo. Rialzai il
mio sguardo verso di lui,- vuoi darmi l’enorme privilegio di
diventare mia
moglie?
Boccheggiai
presa alla sprovvista. Il cuore batteva
forte nel mio petto e mancava poco che non arrivasse più
aria nei polmoni. Mi
diedi anche un pizzico sulla guancia, sentendo ridere Terence, per
capire se
non stessi facendo uno dei miei sogni realistici, ma no… ero
sveglia.
-Oh mio
Dio…- riuscii solo a dire.
-Cosa…
cosa vuol dire?- mi chiese Terence, guardandomi
in attesa.
Io ricambiai lo
sguardo, inspirando ed espirando.
-Sì…
vuol dire sì. Tremila volta sì. Voglio
diventare tua moglie, Terence Ashling.- gli risposi, sporgendomi verso
di lui.
La barca
tremò leggermente, ma poco importò
perché
Terence mi prese tra le sue braccia e mi strinse forte contro il suo
petto. Poi
prese l’anello che stringevo ancora convulsamente tra le mie
mani, e me lo mise
all’anulare della mano sinistra. Infine sollevò il
mio viso e mi baciò con
sentimento.
Sentivo un
tumulto di sentimenti dentro di me, come
se stessero esplodendo mille fuochi d’artificio dentro la mia
anima.
Quando ci
separammo, avevamo entrambi gli occhi
luminosi, o almeno anch’io ero sicura di averceli.
-Wow…
non so cosa dire…- balbettai, scuotendo la
testa.
-Hai detto tutto
quello che volevo sentirti dire.-
mi accarezzò i capelli.
-Ma…
mi avevi già regalato un anello Terence.- presi
a osservare l’anello con la pietra rossa che mi aveva
comprato al mercato del
Natale precedente.
-Lo so,
ma… questo è più…
ufficiale, Jane. Con
quello ti ho chiesto di diventare la mia ragazza, con questo ti ho
chiesto di
diventare la mia sposa.- vidi i suoi occhi leggermente lucidi.
Io abbassai lo
sguardo, commossa. Non mi sarei mai
aspettata una cosa del genere. Prima, quando avevo soffiato sulle
candeline,
avevo espresso il desiderio di essergli accanto per tutta la vita, e
adesso che
mi aveva chiesto di
sposarlo mi sentivo
a dir poco spossata. Non che non mi aspettassi che un giorno questo
sarebbe
successo, o almeno lo speravo, ma di certo non credevo che sarebbe
successo
oggi, su una barca, sul lago di Lochness.
-Mi piaci da
sempre, Jane. Da quando ho sentito la
tua voce al pub la prima volta, da quando ho toccato la tua mano alla
stazione,
e da quando ho sfiorato i contorni del tuo viso, ma… tu non
mi piaci soltanto,
io… sono profondamente, perdutamente, e immensamente
innamorato di te e voglio
che tu stia con me, per tutta la vita, perché ho bisogno di
te al mio fianco.-
sussurrò le ultime frasi.
Rialzai lo
sguardo. Sorrisi, mordendomi le labbra.
Diceva sempre di non essere una persona romantica. Forse dovevo
registrare le
sue parole e fargliele ascoltare.
-E ti ringrazio
per aver accettato la mia proposta
di matrimonio. Non ho un lavoro che mi faccia guadagnare
così tanto ma… non
potevo più aspettare. Ho messo diversi risparmi da parte e
in questo periodo…
mio fratello mi ha promesso il suo aiuto, per farsi perdonare. In tal
caso,
riuscirò a
comprare una casa per noi due
dove potremo vivere insieme… per sempre, mi auguro.-
abbassò il capo.- Sono un
uomo imperfetto, e non ti prometto che a volte non avrò
voglia di stare da
solo, o sarò un po’ scontroso, ma ti prometto che
ti amerò con passione e con
rispetto fino a quando la vita scorrerà nelle mie vene e la
mia anima vivrà con
la tua.
Trattenni un
singhiozzo, asciugandomi una lacrima
che scorse lungo la mia guancia. Non esisteva una proposta
più bella di questa.
-Io…
ti amo profondamente anch’io Terence. E grazie,
grazie per avermi reso così felice. - singhiozzai
leggermente, stringendolo tra
le mie braccia.
***
Io e Terence ci
sposammo qualche mese dopo, ad
agosto.
La nostra fu una
cerimonia semplice. La messa fu
celebrata in una piccola chiesa in campagna vicino alla mia casa di
nascita,
con mio padre che mi guardava commosso accanto a quella che era
diventata la
sua compagna, la signora Ford. A tutto questo seguì un
semplice banchetto
all’aperto, complice anche il bel tempo, che fu organizzato
grazie ad Abbie, a
Barbara (con il suo pancione un po’ più grande) e
a Freddie.
Ci eravamo
divertiti, soprattutto io, fasciata nel
mio abito bianco. Lungo, semplice, di taffetà, con uno
scollo a barchetta e
delle maniche a tre quarti di raso, una gonna leggermente a ruota e le
mie Mary
Jane bianche, dalla punta tonda e dal tacco basso.
Era piovuti
tanti sorrisi quel giorno, oltre che
confetti, soprattutto da parte di Abbie che si sarebbe sposata anche
lei a
breve, e da mio padre, la piccola grande luce della mia vita.
Fu un bel giorno
quello. Il mio Terence era super
elegante nel suo smoking nero, e con la camicia bianca. Suo fratello
era
venuto, accompagnato da sua moglie in dolce attesa, facendoci i suoi
migliori
auguri, chiedendo scusa anche a me e dandomi un bacio sulla guancia.
Assomigliava poco a suo fratello, ma mi fece un' impressione positiva.
Forse era
davvero stata sua sorella a fungere da burattinaia, quando si trattava
di
andare contro Terence. Suo padre e sua sorella, invece, non si erano
fatti mai
sentire, ma poco importava. Erano loro a perdere molto, e non di certo
noi.
La torta che
mangiammo fu buonissima. Avevo
insistito per farla preparare e decorare da quella che era diventata la
moglie
di Harrison. Una donna dalle guance rosse e dai brillanti capelli tinti
di nero,
che era convolata a nozze solo un mese prima, con una semplice
cerimonia al
comune, con l’autista più buono che conoscessi.
C’era
persino Tessa che con i capelli ramati, un po’
più lunghi di come ricordavo, si teneva per mano con un bel
ragazzo,
sorridendoci felice. Era stato anche grazie a lei, se non soprattutto,
che io e
Terence eravamo insieme in questo momento.
E infine io e
quello che era diventato mio marito ci
concedemmo l’ultimo ballo. Optammo per
“Mad World”, cantata da Gary Jules.
Per ovvi motivi. Danzammo quando era
già sera, con solo delle piccole lucine bianche inserite
nelle fronde degli
alberi che ci facevano da scenario, guardandoci negli occhi e
stringendoci a
vicenda, come se fossimo l’uno l’ancóra
dell’altra.
Quando la festa
si concluse, andammo in quella che
era diventata la nostra casa, ad Edimburgo. Piccola, graziosa e tanto
calorosa,
con persino un camino pronto a riscaldarci in quelle che sarebbero
state le
nostre giornate invernali.
Ci amammo quel
giorno, così come continuammo a farlo
i giorni a seguire, con la piena convinzione che se avessimo avuti dei
figli
(ed entrambi ne volevamo) li avremmo chiamati Elizabeth e Dorian.
Sì come
Dorian Gray. D’altronde, non era stato anche grazie a lui che
io e Terence ci eravamo
conosciuti?
Il resto della
mia vita non ve lo racconterò, perché
anch’io dovevo ancora viverlo, ma ero sicura che ,pur con i
suoi alti e bassi,
se fosse stata accanto a Terence Ashling, la mia vita sarebbe stata
meravigliosa, perché ci amavamo
e ci saremmo
amati per sempre, anche ad occhi chiusi.
-FINE-
Se sentite
qualcuno piangere, sappiate che sono io (
e parlo sul serio) e se sentite un cuore che fra crack
sappiate che è sempre il mio.
Scrivo
“Ad occhi chiusi” dal 2014, quando facevo il
quarto anno del liceo, e mettere quella parola
“FINE” mi ha spezzato il cuore
davvero. Non scrivere più di Jane e di Terence mi mette
tanta tristezza, come
se mi stessero dicendo “addio”. So però
che il loro è un “arrivederci”
perché,
quando vorrò, ci saranno sempre nella mia testa. Per
esempio, adesso, li sto
guardando mentre mi salutano, vestiti da sposi, su una macchina vecchia
e
bianca, con delle lattine attaccate sul retro e la scritta
“JUST MARRIED” che
troneggia dietro di loro.
Mi mancheranno
anche gli altri personaggi, e mi
mancherà anche Edimburgo, ma sono felice, tanto. Felice per
essere riuscita a
dare una fine a questa storia, e per aver ricevuto del calore da parte
di tutti
voi che mi avete letto e mi avete spronato a continuare a scrivere, la
mia
passione preferita.
Spero di tutto
cuore che dall’inizio alla fine vi
sia piaciuta la mia storia, e vi abbia regalato qualcosa, qualsiasi
cosa:
questo è il mio obiettivo, ogni volta che scrivo. Spero di
non aver deluso
nessuna vostra aspettativa e che anche a voi mancheranno i miei
personaggi.
Ci tenevo poi a dirvi
che ,visto che siamo arrivati all’epilogo, ho deciso di
cambiare il rating
della storia. Credo che sia più adatto un rating giallo, e non
arancione come
avevo pensato all’inizio. Credo non ci sia alcuna scena che
preveda quello arancione,
ma se ritenete più opportuno che andasse bene quello
arancio, fatemelo sapere
;)
Vi voglio dire
ancora GRAZIE
per avermi letto e
avermi seguito.
Ringrazio nel
particolare: fenice65,
T13_I, e
Vampgiulietta
per aver aggiunto la mia storia alle proprie seguite. Grazie
anche a tutte le ragazze che la seguono fin dai primi capitoli e chi
inizierà a
seguirla.
Grazie a : pulcino piccolino
per averla aggiunta
alle proprie ricordate, e grazie, anche in questo caso, a chi ricorda
la mia
storia fin dagli inizi, e a chi la ricorderà.
E grazie a : m12, Mix, saku_93, Candy_Heart e a
tutte le ragazze che preferiscono “Ad occhi chiusi”
fin dal primo capitolo, e a
chi la preferirà in seguito.
Infine ringrazio
anche tutte le ragazze che hanno
recensito la mia storia, anche solo un capitolo. Le recensioni che ho
ricevuto
sono sempre state tanto belle e mi hanno scaldato il cuore. Spero di
riceverne
qualcuna anche per questo epilogo, per sapere se questa storia vi ha
lasciato
qualcosa ^_^
Grazie di cuore
a tutte, nessuna esclusa.
In
questo
periodo continuerò a scrivere ovviamente. Non so se
continuerò a pubblicare qui
su EFP, perché noto che il sito è diventato un
po’… “passivo”, ma vediamo un
po’…
Sicuramente
continuerò a pubblicare su Wattpad
che
credo conosciate tutti. Se vi può interessare mi trovate su
questa piattaforma
con il nickname: Rob_Granger
Se avete bisogno
di qualche informazione, di farmi delle domande, o di chiedermi
qualsiasi cosa attinente alla mia storia, mi potete benissimo scrivere
qui su EFP, però, e mi trovate anche su:
TWITTER:
@Rob_Redmayne
FACEBOOK (account fake che uso
solo per pubblicizzare le mie storie e per condividere qualche mio
pensiero, ogni tanto xD ): Sara Novalis Caravaggio a cui potete
chiedermi tranquillamente l'amicizia :)
Comunque, per
divagare un po’, se non l’avete ancora
fatto vi consiglio la visione del film “La bella e la
bestia” con Emma Watson.
È a dir poco stupendo! Non c’entra molto, ma
tenevo a dirvelo ^^
Penso che sia
arrivato davvero il momento di
salutarci(si capisce che ho cercato di allungare il brodo, per non
separarmi da
questa storia?). Terence, Jane, Abbie, Harrison, Freddie, Barbie,
Steve,
Vincent e tutti gli altri, si prendono per mano e si inchinano a tutti
voi
ringraziandovi per averli seguiti, aver amato, e aver pianto con loro.
Vi mando un
bacione ragazze.
Novalis
P.S:
Non l’ho mai sottolineato, ma per sicurezza lo
faccio: ogni diritto di “Ad occhi chiusi”
appartiene a me. Spero che nessuno
abbia mai la malsana idea di copiare il mio lavoro o quello di altri,
perché (
e chi scrive, lo sa), i propri racconti sono come dei figli, che si
crescono,
accudiscono e a cui si danno tante attenzioni. Spero di non imbattermi
mai in
qualcuno che copi ciò che scrivo, ma se anche voi notate
qualcosa, non esitate
a segnalarmelo, mi raccomando ;)
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