Ad occhi chiusi

di Novalis
(/viewuser.php?uid=238774)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Uno

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

“Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”

-Antoine De Saint-Exupery-

Mi passai con fare nervoso una mano nei capelli, rendendoli più scompigliati di quanto già non lo fossero. Il tappo della penna tutto mangiucchiato e le numerose tazzine vuote di caffè sparpagliate sul tavolo del salotto erano alcuni dei chiari segnali che dimostravano quanto fossi stressata.

George questa volta aveva proprio esagerato!

Okay, lavoravo per  l’“Edinburgh Fashion Magazine”, la più importante rivista di moda in Scozia, ma ciò non significava che poteva affibbiarmi pile di articoli di apprendisti da revisionare, capi di moda da abbinare, e perfino le modelle da scegliere per la nuova collezione che avremmo dovuto fotografare e sui cui avrei dovuto fare un’intera pagina! Cavoli, anch’io avevo il diritto di avere una vita sociale e delle serate in cui uscire. Ma no! Persino nei fine settimana ero piena di lavoro! Ero una giornalista ma mi sentivo tanto una factotum.

-Jane oggi esci con me, che tu lo voglia oppure no! Ti devo far conoscere Thomas e alcuni suoi amici.- Abbie interruppe i miei pensieri omicidi nei confronti di George, saltellando rumorosamente per il soggiorno.

Abbie era la ragazza con cui condividevo una casa in periferia nonché la mia migliore amica. Aveva un anno in più di me e lavorava come fotografa per un giornale sulle auto d’epoca. Sì… avevamo scelto quasi gli stessi settori lavorativi.

Era fidanzata da quasi due mesi con un ragazzo di nome Thomas, che, a quanto sembrava, voleva farmi conoscere.

-Avrei del lavoro da fare, tanto lavoro da fare,- feci con tono melodrammatico,- ma… non posso sempre darla vinta al mio capo, quindi dove mi porti di bello? -chiesi stiracchiandomi le braccia e abbandonando la penna con cui stavo scrivendo.

Al diavolo il lavoro… almeno per oggi! Forse era un segno del destino che la mia amica mi avesse chiesto di uscire proprio questa sera, in cui mi stavo lamentando, più delle altre volte, del mio tanto lavoro.

-Così ti voglio, baby! Avevamo pensato a un localino in Blair Street. Per te andrebbe bene?- mi si avvicinò, sorridendomi.

-Perché no! Mangeremo anche, o berremo solo un drink?-domandai alzandomi dalla sedia su cui ero seduta e andando in cucina per bere dell’acqua.

-Avevamo pensato di bere giusto qualcosa, per poi andare a comprare dei panini dal chiosco di Alexander.- mi spiegò, raggiungendomi in cucina.

Il pigiama che indossava era troppo grande per il suo corpo minuto. Mi trovai a sorridere notando come sembrasse piccina.

-Ci sto! Verso che ora?- continuai, portandomi subito dopo il bicchiere d’acqua alle labbra.

-L’appuntamento è alle 20.30, baby.

-Perfetto. Mi faccio una doccia e mi preparo, allora!- le risposi, uscendo poi dalla stanza.

-Sì, fai con calma. Io devo solo mettermi le lenti a contatto e vestirmi.- mi disse, spostandosi verso il salotto.

-Okay.- le feci un sorriso.

Così detto mi allontanai verso la mia camera per prendere l’occorrente per la doccia. 

***

-Abbie sei pronta?- urlai verso le scale che conducevano al piano delle nostre camere.

Menomale che doveva solo vestirsi e mettersi le lenti! Io ed Abbie eravamo coinquiline da diversi anni, ma non mi ero mai abituata ai suoi ritardi nel prepararsi.

-Sì sì, eccomi!-rispose scendendo frettolosamente le scale.

Indossava un abito colorato, un copri spalle nero, delle scarpe con un tacco basso e una borsetta di cuoio a tracolla. Era, come sempre, molto carina.

-Possiamo andare?- le domandai.

-Assolutamente sì, baby.- mi sorrise, prendendomi a braccetto.

Sorrisi anch’io, soprattutto per il suo “baby”. Mi chiamava così da sempre e la trovavo molto tenera come cosa.

Dopo essere salite sulla sua macchina, il viaggio verso il locale partì.

-Dunque conoscerò il tuo fantomatico ragazzo, eh?-chiesi guardando il finestrino che abbassai leggermente per permettere al vento di sfiorarmi la pelle.

-Sì, oggi conoscerai il mio Tom e altri suoi amici barra conoscenti. È lui che mi ha proposto la serata, in realtà. Mi ha detto di volermi far conoscere il suo migliore amico, un ragazzo cieco.- si fermò a un semaforo.

-Un ragazzo cieco?- mi voltai a guardarla, curiosa.

Non avevo mai conosciuto dal vivo un ragazzo cieco.

-Sì. Thomas mi parla spesso di questo ragazzo. Dice che è il suo più caro amico.

Annuii con il capo, tornando poi a volgere lo sguardo verso il finestrino.

-Comunque tu non mi ha mai raccontato come hai conosciuto il tuo ragazzo. Mi hai sempre tenuta ben nascosta ogni cosa.- le feci presente.

Ridacchiò, leggermente imbarazzata.

-Lo sai come sono fatta. Prima di parlarti di un ragazzo ho bisogno di conoscerlo bene e di capire se sia quello giusto. In ogni caso ci siamo conosciuti a quel meeting di fotografi, che si tenne il mese scorso. Non so se ricordi. Beh, ci siamo visti e…

-Ed è scoccata la scintilla.- conclusi la frase per lei.

-Esattamente.- si voltò un attimo verso di me, sorridendomi.

-Pensi, quindi, che sia quello giusto?- domandai, poi.

Abbie era una grande chiacchierona, ed io amavo questo suo aspetto di lei. Soprattutto perché in quelle giornate di monotonia ed estremo stress che mi trovavo a vivere, lei trovava sempre il modo di rallegrarmi, raccontandomi qualche aneddoto della sua vita. Usciva spesso con dei ragazzi, ma nessuno di questi le faceva battere forte il cuore, ecco perché non me ne parlava mai. Per volermi presentare questo Tom, voleva dire che la questione era seria.

-Credo proprio di sì. È pur vero che non ci conosciamo da tanto, ma ci sono persone che ti colpiscono subito e lui… beh… mi ha colpito fin da quando i nostri occhi si sono scontrati. È intelligente, piacevole, divertente e mi fa sentire sicura quando gli sono accanto.

Non c’era bisogno che mi voltassi a guardarla per sapere che stava sorridendo e che le sue guance si erano imporporate.

-Sono felice per te.- aggiunsi io, sorridendo sincera.

-Grazie baby.

Dopo un po’  accese la radio da cui subito si trasmisero le note di Send me an angel dei Real Life. Io ed Abbie andavano matte per le canzoni anni ’80.

Ci bastò uno sguardo, per iniziare a cantare insieme.

***

Tre canzoni dopo, la mia amica parcheggiò nei pressi di un locale dall’insegna sgargiante. Scorsi numerosi ragazzi su motociclette o in comitive che ridevano e bevevano spensieratamente.

-Che la serata abbia inizio!- fece Abbie, uscendo dall’auto.

La seguii, chiudendo lo sportello e aggiustandomi i pantaloni neri a sigaretta che avevo scelto di indossare con una camicia bianca.

Dopo qualche passo, si fermò davanti all’entrata del locale. Io rimasi dietro di lei.

Abbie salutò un gruppo di ragazzi con un generico “buonasera” prima di fiondarsi sulle labbra di un ragazzo alto e biondo, che non mi ci volle molto per capire che fosse il suo fidanzato.

-Ciao ragazzi. Lei è Jane, la ragazza di cui vi ho parlato, nonché mia coinquilina e mia migliore amica.- mi presentò dopo essersi staccata dal suo ragazzo.

Alzai la mano in segno di saluto e sorrisi al gruppo di ragazzi che mi si presentò davanti.

-Ciao Jane, io sono Thomas, ma puoi chiamarmi Tom.- mi tese la mano il ragazzo di Abbie.

-Ciao a te Tom, piacere di conoscerti.- gliela strinsi sorridendo.

Sorrisi al pensiero che la mia amica era piuttosto bassa, eppure il suo fidanzato era molto alto.

-Io sono Russell, piacere di conoscerti.- continuò un ragazzo moro.

-Jane, piacere.- mi presentai mantenendo il sorriso sulle labbra.

-Io sono Mary Anne.- mi porse la mano una ragazza dal fisico da modella.

Era alta almeno venti centimetri più di me e aveva lunghe gambe messe in risalto da una gonna scintillante e da dei sandali gioiello, altissimi.

-Piacere, Jane.

-Io sono Sophie.- mi disse cordialmente una ragazza che doveva avere la mia età. 

Le sorrisi gentilmente.

-Io William.- disse un ragazzo dai capelli rossi e dal volto pieno di lentiggini.

-E io sono Terence, piacere di conoscerti.- concluse un ragazzo che indossava degli occhiali da sole.

Era sera dunque non servivano degli occhiali per proteggersi dal bagliore solare. Pensai subito che dovesse essere il ragazzo cieco.

Quando stese la mano davanti a sé non centrandomi, ebbi la conferma che fosse l’amico di Thomas.

Gliela strinsi, dicendo il mio nome e aggiungendo un “Il piacere è tutto mio.” Con un sorriso sulle labbra, che però non avrebbe potuto vedere.

Poi fu il turno di Abbie. Notai che tutti i ragazzi, tranne Terence, dovevano conoscerla, così si presentò solo al ragazzo cieco.

-Bene, direi che fatte le presentazioni, possiamo entrare.- continuò aprendo la porta del locale che ci fronteggiava, mano nella mano con Thomas.

Stavano bene insieme.

Entrati nel locale fummo travolti da una fiumana di persone. C’era da immaginarselo! Era venerdì sera e i locali che servivano drink erano sempre i più gettonati. Per fortuna, il fidanzato della mia amica doveva aver prenotato, perché ci condusse speditamente verso un tavolo libero.

L’arredamento del  locale era piuttosto moderno. Predominavano il nero e il bianco come colori dell’arredo. Le pareti, invece, erano verniciate di un pallido color sabbia.

Alla luce del locale, vidi che Terence aveva un bastone per non vedenti che teneva nella mano destra e indossava un chiodo nero di pelle e dei jeans strappati sulle ginocchia. Gli occhiali erano dei Ray-Ban a goccia scuri.

Russell gli posò una mano sulla spalla e lo fece sedere sul divanetto di fronte al mio.

Nel mio si sedettero Sophie e Mary Anne.

-Cosa posso portarvi?- ci chiese una ragazza vestita da cameriera dopo qualche secondo.

-Per me una cola.- risposi per prima.

Non avevo bisogno di menù o altro. Coca cola per sempre.

-Anche per me.- disse il ragazzo cieco.

Così tutti gli altri dissero il loro drink.

-Allora Jane, che ci puoi dire di te?- mi domandò il ragazzo di Abbie, dopo un po’.

Tutti gli occhi dei presenti si volsero verso di me.

Sorrisi intimidita, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-Posso dirvi che sono una giornalista presso un Giornale di moda, ho ventisette anni, condivido il mio appartamento con Abbie,-la vidi sorridere,- amo gli animali e non saprei… bisogna vivermi per scoprirmi.- sorrisi.

-Bella questa frase!- disse Russell.

-Oh grazie.- risposi sorridendo.

Da lì partirono alcune domande in generale, su come fosse il mio lavoro, di come fosse vivere con Abbie e altre molto generiche che mi permisero di farmi conoscere un po’.

Poi, le bevande arrivarono e tutti iniziarono a parlare del più e del meno. Abbie era stretta al petto del suo fidanzato e lo guardava con occhi sognanti. Io me ne rimasi in silenzio, non sapendo come inserirmi in dei discorsi tra persone amiche. Mossa da qualcosa, presi a osservare il ragazzo non vedente. Aveva il bicchiere di cola tra le mani e ogni tanto se lo portava alle labbra. Sembrava non molto interessato ai discorsi degli altri, tant’è che non lo sentii interagire con nessuno neanche una volta.  

Pensai che dovesse essere molto triste non doverci vedere. Vedere il nero e il buio ogni secondo della propria vita. Andare a dormire e svegliarsi la mattina dopo senza beneficiare della luce del sole.

Mi sentii proprio una stupida per essermi lamentata del troppo lavoro solo qualche ora prima, quando c’erano persone con problemi realmente seri come le disabilità.

In ogni caso non era solo la sua cecità e il suo essere taciturno che mi stavano spingendo a osservarlo attentamente, ma era anche il suo aspetto. Era un ragazzo affascinante, di quelle bellezze che ti ammaliano fin dal primo impatto, quasi rare.

Aveva i capelli corti, ma non troppo, di un brillante castano scuro. Il viso era glabro e ben definito, le sopracciglia erano folte ma curate, le labbra erano chiare e leggermente carnose e il naso era bello dritto. Per gli occhi… beh si sarebbe dovuto togliere gli occhiali da sole.

-Carino, eh? Anche se è cieco ha il suo non so ché.- disse al mio orecchio Mary Anne.

Doveva aver notato che stavo osservando Terence da diversi minuti.

-Lo è.- ammisi. D’altronde non c’era niente di male nel dire ciò che pensavo.

-Piace tanto anche a me… e poi sai che anche economicamente è un bel bocconcino? Un matrimonio con lui mi sistemerebbe a vita. Certo la sua disponibilità è davvero un bel problema, ma per fortuna oggi esistono i divorzi, no?- ridacchiò con malignità.

Inarcai le mie sopracciglia chiedendomi come potesse aver detto delle parole così cattive nei confronti di un ragazzo seduto a pochi centimetri di lei. Chiedere il divorzio da una persona solo per una sua disabilità? Sul serio?

Non mi piaceva giudicare nessuno, soprattutto le persone che conoscevo da poco, ma questa ragazza entrò automaticamente nella mia lista di persone da evitare.

-Non mi trovo d’accordo con il tuo discorso. Se sposo una persona lo faccio perché ne sono innamorata, disabilità o no, e non per la sua rendita.- le risposi infastidita, con voce bassa. Speravo che il ragazzo non sentisse nulla.

La sua espressione cambiò. Sollevò un sopracciglio e i suoi occhi azzurri, perfettamente truccati, presero a guardarmi con un’espressione da “devi essere pazza”.

Potevo solo immaginare in quale mondo dorato fosse vissuta questa tizia, circondata probabilmente dal lusso e dalla soddisfazione di vedere ogni suo desiderio esaudito. Solo una persona viziata poteva esprimersi nella maniera in cui si era espressa lei.

-Non credo che siamo compatibili allora.- fece atona.

Che peccato.

-Lo credo anch’io.- le risposi.

Poi rimanemmo in silenzio. Volsi nuovamente lo sguardo verso Terence che adesso stava parlando con Russell.

 -Lavori per un Giornale di moda hai detto?- continuò la stangona “ti sposo perché sei ricco, ma poi divorzio perché sei un disabile”.

-Sì. Lavoro presso l’Edinburgh Fashion Magazine.- risposi freddamente.

-Sono una modella, sai? Sempre che non te ne fossi accorta.

-L’avevo immaginato, sì.

Lei annuì annoiata, guardandosi poi le lunghe unghie laccate di rosso. I lunghi capelli biondi le circondavano un viso magro e bianco come la porcellana.

-Beh state facendo amicizia?- ci interruppe, sempre se ci fosse da interrompere qualcosa, Abbie alzandosi e avvicinandosi a me e “la modella”.

-Ci stiamo conoscendo.- rispose la bionda, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.

La mia amica mi guardò, e con un’ occhiata le feci capire che Mary Anne non mi piaceva. Lei ridacchiò.

Qualche secondo e le luci nel locale si abbassarono, lasciando il posto a dei fasci di luci colorate proveniente chissà da dove. Anche la musica cambiò e delle orrende canzoncine commerciali iniziarono a trasmettersi. Potevo dedurre che il locale si fosse trasformato in un nano secondo in una discoteca.

-Andiamo a ballare tesoro.- fece Thomas avvicinandosi alla mia amica e trascinandola verso il centro della pista.

Lei mi fece l’occhiolino e si allontanò euforica. Poi Russell fece lo stesso con Mary Anne.

-Terence, noi andiamo a ballare qualche minuto, hai bisogno di qualcosa?- chiese William prima di prendere Sophie per mano.

-No, tranquilli andate a divertirvi! E state tutto il tempo che volete, non ho bisogno di niente.- fece Terence.

Quando i due si allontanarono, iniziai a sentirmi in imbarazzo. Capivo che erano tutte delle coppie probabilmente fidanzate, ma non avevano pensato anche a me e al ragazzo non vedente? Cosa dovevo fare adesso?

Appoggiai il mio bicchiere sul tavolino  di vetro che mi era di fronte. Il contatto tra le due cose fece rumore. Vidi Terence muovere il capo, come sorpreso.

-C’è qualcuno?- domandò, infatti.

Mi schiarii la voce intimidita.

-Sono Jane, l’amica di Abbie.- mi affrettai a rispondergli.

-Oh pensavo foste andati tutti a ballare!- continuò puntando il capo verso di me.

Era come se mi stesse guardando.

-No...- continuai.

Lo vidi annuire.

-Hai 27 anni e sei una giornalista di moda, dunque?- mi chiese poi.

Fui sorpresa che volesse intavolare una conversazione.

-Esatto. Tu, invece, quanti anni hai?- avanzai io.

-Ne ho 30, Jane. –  pronunciò il mio nome con dolcezza. -Ami la moda, dunque?- fece ancora.

Il suo bastone era appoggiato al divano su cui era seduto. Le sue mani stringevano il bicchiere di coca cola, prima portatogli. Notai che aveva un orologio d’acciaio sul polso.

-Sì, molto!- risposi velocemente.

-Anch’io. Certo l’accessorio che più amo sono gli occhiali da sole, ne ho un cassetto pieno. Il motivo lo saprai già, giusto? Perché si capisce che sono cieco, no?

Dischiusi le labbra dalla sorpresa. Mi sentii sommersa da domande a cui non sapevo come rispondere.

-Scusami, - si schiarì la voce,-ti ho messo in imbarazzo!- si accorse.- Sono un non vedente, comunque.- disse, togliendomi  fortunatamente dalla situazione che si era creata.

-Capisco.- riuscii solo a dire.

Certo, tra le tante cose, “capisco” non era forse stata la risposta più adatta, ma non mi erano venute altre parole in mente e mi sentii un po’ sciocca per questo.

-Non credo tu possa capire, ma in ogni caso è un problema per te?- domandò questa volta.

Forse era una mia impressione, ma queste sue domande e il tono con cui me le pose, mi fecero pensare che mi stesse sfidando.

-Perché? Dovrebbe esserci?- decisi di sfidarlo anch’io.

-Dovrebbe,  essendo io un peso! Scommetto che ti hanno chiesto di non ballare e di rimanere a farmi da balia.- continuò adesso con durezza.

Era scontroso. Freddo.

-Va bene che non mi conosci, ma cosa ti dà l’idea che io sia una persona che fa prendere agli altri le proprie decisioni? Non sono andata a ballare perché nessuno me l’ha chiesto e perché non mi andava. Tutto qui. Niente di più, niente di meno.- risposi a tono.

Lo vidi annuire con il capo. Non capivo come mai avesse fatto prendere al discorso una piega del genere.

-Scusami allora.- fece con sarcasmo.

-Scuse accettate.- decisi di stare al suo gioco.

Guardandogli il volto, mi accorsi che aveva una piccola cicatrice sopra il labbro superiore.

-Mi stai osservando?- fece un mezzo sorriso.

-No…- balbettai colta in fragrante.

Maledetta timidezza.

-Mi stavi osservando!- disse con convinzione sorridendo. -Mi trovi bello, almeno?-continuò chiedendomi.

Rimasi sorpresa ancora una volta. Nessuna persona che avevo mai incontrato mi aveva fatto questo tipo di domanda, o almeno non la prima che l’avevo incontrata. Prima di rispondere, rimasi a pensarci qualche secondo. Ci avevamo rivolti solo poche parole, ma mi parve di capire che questo Terence non fosse un tipo facile.

-Tendo a non giudicare l’aspetto esteriore di una persona se non conosco prima la sua interiorità. Credo, infatti, che se una persona ha il cuore malvagio, anche il suo aspetto estetico ne risentirà.- optai alla fine.

Lo ritenevo bello, ma di certo non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo, né tantomeno di mentirgli e di dire il contrario.

-Uhm… vedo che hai letto “Il ritratto di Dorian Gray” del caro vecchio Oscar Wilde.- mi fece notare.

Aveva una voce calda, profonda, e sensuale.

-In effetti sì.- gli risposi.

Lui annuì ,di nuovo, come se si stesse appuntando le mie risposte a mente.

-Penso che il libro voglia insegnare tutt’altro. Dorian Gray è bellissimo anche se il suo animo non lo è. In ogni caso ho trovato la tua risposta interessante.

-La sua era una finta bellezza, Terence. Sarebbe stata reale solo qualora non avesse venduto la sua anima, cosa che però ha fatto. Il ritratto era il suo specchio, e se conosci il romanzo, saprai che quest’ultimo mostrava la bruttezza interiore di Dorian ogni giorno di più.- contrapposi.

-Dorian era bello anche prima di scendere a patti con il male, vorrei ricordarti. E comunque lo stesso Wilde diceva : “Per me la bellezza è la meraviglia delle meraviglie. Solo i mediocri non giudicano dalle apparenze.” E tu come sei? D’aspetto intendo.- incrociò le braccia sul petto.

Quando finii di ascoltare la sua risposta, mi trovai a pensare che fosse insopportabile.  E poi mi aveva implicitamente dato della mediocre? A me? Sbaglio o era un tantino arrogante e presuntuoso questo tizio?

Era il caso che mi allontanassi se non avessi voluto inscenare una discussione con un ragazzo insopportabilmente insopportabile.

-Okay, io vado a prendermi qualcos’altro da bere.- decisi di cambiare discorso, alzandomi. Non mi piaceva parlare di me e poi questo ragazzo mi irritava con le sue domande e risposte.

-Okay non ti piaci, ma non andare .- continuò.

Pensava di avermi capita solo facendomi delle stupide domande. Che nervi!

-Perché non dovrei? Ti stai comportando da sbruffone con me. Non mi piaci.- gli feci presente.

-Uoh uoh calma ragazza! Sto solo facendo delle domande innocenti! Non andartene, per favore.- continuò, ora meno sicuro di sé.

Innocenti… sì!

-D’accordo.- dissi sbuffando.

Mi risedetti.

-Ti puoi almeno descrivere? Mi piace immaginare il mio interlocutore nella mente. Purtroppo gli occhi non mi funzionano, ma il cervello mi funziona alla perfezione e posso immaginarti.

Lo guardai per qualche secondo. Sembrava meno spocchioso adesso. Decisi di calmarmi e di provare a dare una seconda chance al nostro dialogo.

-Se proprio insisti.- sospirai.- Dunque… sono una ragazza nella norma. Non ho una bellezza ultraterrena, né fulgidi capelli ramati o magnetici occhi grigi, ma ho invece i capelli mossi, lunghi circa cinque centimetri sotto le clavicole, gli occhi marroni, un’altezza nella media e non sono molto magra.- conclusi.

-Capelli di che colore?

-Castano chiaro.

-Carnagione?

-Chiara, molto chiara, purtroppo!

-Purtroppo? Un tempo la pelle chiara era sinonimo di nobiltà e bellezza.

-Preferirei avere la pelle abbronzata.

-Capisco. E…

Non fece in tempo a farmi la domanda che sembrava sul punto di farmi, che arrivarono gli altri.

-Oh state facendo amicizia?-chiese Abby sedendosi accanto a me, trafelata per i balli sfrenati che aveva appena fatto e con le guance rosse come mele.

A seguire ritornarono tutti gli altri ragazzi.

-Sì.- rispose prontamente Terence.

Io non l’avrei proprio chiamata amicizia.

-Figo, mi fa proprio piacere.- disse Tom cingendo le spalle della mia amica.

Da quel momento non ebbi più modo di parlare con Mr Arroganza per tutta la serata.

***

Ormai pronta ad infilarmi sotto le coperte, sentii Abbie bussare alla mia porta.

-Abbie, entra pure!

La mia amica entrò, con le sue solite codine pre dormita e il suo mega pigiama con le pecorelle grigie e rosa.

-Beh che te n’è parso di Tom?-chiese sedendosi sul mio letto.

Eravamo tornate solo da un’ora a casa, ma era stata al telefono con il suo ragazzo fino a qualche minuto prima.

-State bene insieme. È carino e sembra simpatico.- fui sincera.

Sorrise contenta.

-Mi fa proprio piacere che la pensi così. E sugli altri che mi dici?

-Beh non ho avuto molto modo di conoscerli fatta eccezione che per Terence e Mary Anne. Quest’ultima non mi piace. È vanitosa, viziata e troppo snob per i miei gusti. Poi domani ti racconto quello che mi ha detto.

-Sono curiosa adesso. Comunque sì, anche a me non ha fatto un’ impressione molto positiva. E su Terence?- mi guardò curiosa.

Mi schiarii la voce. Dovevo raccontarle della nostra conversazione?

-Beh è indubbiamente carino, anche se avrei voluto guardargli gli occhi. Ma è scontroso e mi sembra snob anche lui.

Ridacchiò.

-Tom non mi ha parlato molto di lui, ma pare che sia scontroso un po’ con tutti, soprattutto con gli sconosciuti, e che metta alla prova tutte le persone nuove che incontra. Sai per vedere chi gli vuol essere veramente amico e chi no. Devi sapere che la sua famiglia è ricca. Ma a proposito di lui…

Si fermò e guardò verso la finestra vicino al mio letto.

-Sì?-la incitai.

-Mi ha chiesto il tuo numero di telefono.- disse tutto d’un fiato.

-Cosa?-quasi urlai.- Sul serio?- inarcai le sopracciglia.

Non mi era mai piaciuto dare il mio numero a degli sconosciuti, figurarsi ad un tipo borioso come questo Terence.

-Potrei averlo fatto… ma non uccidermi, ti prego!- mise le mani davanti, come a volersi proteggere da un mio colpo.

Mio malgrado sorrisi per la sua reazione, così continuò.

 -In realtà ha chiesto a Tom di chiedermelo, perché dice che lo hai incuriosito.

-Quindi gliel’hai dato?

-Ho fatto male?-chiese guardandomi con occhi preoccupati.

Gliel’aveva dato!

-Non lo so… non lo conosco neanche e questa sera non mi ha proprio impressionato in positivo.- ammisi mordendomi le labbra.

-Ma proprio perché non lo conosci dovresti provare a dargli una possibilità.- mi fece l’occhiolino.- Thomas mi ha convinto a darglielo perché mi ha detto che raramente si lascia incuriosire da qualche ragazza. In più ha sottolineato che è un bravo ragazzo e che sa essere di buona compagnia. Comunque a momenti  potrebbe arrivarti un suo messaggio.

-Messaggio? Anche se è cieco?- piegai la testa di lato.

-Esistono dei telefonini per non vedenti che facilitano tante azioni.- mi spiegò.

-Capisco.- annuii con il capo.- Vabbè si vedrà! Comunque tu sai come è diventato cieco? Voglio dire, se è dalla nascita così, o se lo è da poco, o se è curabile o roba così?

-No cara, non lo so!- fece dispiaciuta.- Comunque posso chiedere a Tom, se vuoi.

-No meglio di no, se succederà lo verrò a sapere da me!- feci convinta.

-Come vuoi, baby! Allora io vado a dormire. Ci vediamo domani, ok?

-Sì , certamente! Buonanotte Abbie.

-Buonanotte baby.- disse dandomi un bacio sulla guancia e alzandosi dal mio letto, chiudendo poi la porta della mia stanza alle sue spalle.

Sospirai, poi aggiustai il cuscino e mi infilai sotto le lenzuola.

Mossa dalla curiosità presi il cellulare per controllare eventuali messaggi. Ne trovai uno.

Stranamente in ansia, lo aprii.

Da: 3335556987

 
Jane! Mi scuso per aver preso “abusivamente” il tuo numero di cellulare. Sono Terence Ashling, il ragazzo cieco che ti avrà fatto un’ottima impressione… sicuramente, o quasi.

Mi incuriosisci, ti andrebbe dunque di bere qualcosa con me, domani alle 17: 00 al  bar “Gray’s Cup”?

Attendo una tua risposta.

 Mi ritrovai a pensare che fosse proprio una bella coincidenza che il bar in cui mi aveva invitato richiamasse proprio il nome di Dorian Gray. Che strano ragazzo!

Salve ragazzi, sono Novalis :))

Al momento di genere romantico sto già scrivendo un’altra storia, ma Jane, Terence e tutti gli altri bussavano troppo incessantemente alla mia testa che non ho potuto resistere alla tentazione di scrivere questo primo capitolo e pubblicarlo. D’altronde per citare il già sopracitato Oscar Wilde : “L’unico modo per liberarsi di una tentazione è di abbandonarsi ad essa”. ^^

Non so se questo capitolo abbia incuriosito qualcuno, spero tanto di sì come spero di ricevere almeno un commento. Se vedrò che la storia non piace, provvederò a toglierla subito, e dedicarmi unicamente all’altra mia storia. ;)

Che dire, grazie di essere arrivati fin qui, un bacio,


Novalis

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Due

 

 

                                                        http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg


La bellezza risplende nel cuore di colui che ad essa aspira pi
ù che negli occhi di colui che la vede. 
Gibran, Kahalil 

 

 

 

 

Accettare oppure no?

Terence Ashling era pur sempre uno sconosciuto. Un ragazzo non vedente, conosciuto in un locale solo da poche ore, che si era dimostrato scontroso e snob.

Certo era, che in qualche modo mi affascinava. Era inutile negarlo…e poi ero curiosa. Sì curiosa, perché in quel messaggio aveva scritto che lo incuriosivo, e da più di una decina di minuti stavo torturando il mio cervello per capire come avessi interessato quel ragazzo così strano.

Se non avessi accettato il suo invito sarei stata a casa a stressarmi davanti una pila di articoli da revisionare, con una bella tazza di cioccolata calda con tanto di marshmallow in mano, e poi avrei visto un bel dvd. Ma se non l’avessi fatto sarei rimasta con mille dubbi…ed era risaputo che Jane Ryan odiava avere pesi sullo stomaco, quindi l’invito sarebbe stato accettato, era deciso.

Così pensato, presi il cellulare e scrissi:

Salve Terence,

accetto il tuo invito. Ci vediamo domani, alle 17:00 nel luogo da te scrittomi.

Jane Ryan

A quel punto, mi aggiustai le coperte e cercai di prendere sonno, domani mi sarei fatta trovare pronta davanti a quel ragazzo.

***


-Quindi, oggi pomeriggio, vai all’appuntamento?- gridò Abbie dalla cucina per sovrastare il rumore della macchina del caffè.

-Sì penso proprio di sì. Sono proprio curiosa di sapere perché l’ho attratto.

-Dovresti saperlo tu questo! Cosa vi siete detti quando stavamo ballando?

-Bah niente di che…inizialmente mi ha chiesto se avevo capito che era cieco, poi sentendosi osservato mi ha chiesto se lo ritenessi bello.- risposi mangiando del burro di noccioline dal barattolo con un cucchiaio.

-E tu?- chiese Abbie, versandosi del caffè italiano e spalmando della marmellata su una fettina di pane bianco.

-Gli ho risposto facendo un po’ la filosofa.- risi.- gli ho detto che non tendo a giudicare l’esteriorità di una persona se non conosco prima la sua interiorità.

Abbie scoppiò a ridere.

-O-okay, Jane sei troppo forte. Solo tu potevi rispondere in una maniera del genere. Vabbè dai, io finisco la colazione poi mi preparo. Oggi ho un matrimonio.

-No, che barba! Quindi starai via almeno fino a mezzanotte?
- chiesi tristemente.

Che pizza, ogni qual volta che la mia migliore amica aveva da fotografare auto d'epoca usate per qualche matrimonio, finivo per passare la serata in solitudine. Uff!

-Sì baby, ma stai tranquilla, il tempo volerà con Terence, ne sono sicura.
-Mhm…se lo dici tu! In ogni caso…come mi devo comportare con un ragazzo cieco? Non ho idea di come gestire la situazione…
-Baby cosa c’è da gestire? E’ un ragazzo come gli altri, solo che ha avuto la sfortuna, per motivi che sta a te scoprire, di non vederci più. Ora non farti mille complessi, vai all’appuntamento e quel che sarà sarà.

La faceva facile, lei…
A quel punto prima che potessi risponderle iniziò a cantare “Que sera sera” di Doris Day.
Un’amica più pazza non potevo trovarmela.

-Whatever will be, will be…what will be, what will be.- continuò a cantare.

Così presa dalla sua gioia presi a cantare anch’io, ballando con lei.

***


Okay, ero pronta! Jeans, camicetta, all stars, lucidalabbra e due gocce di Chanel numero cinque…okay non era Chanel, ma faceva figo dirlo, e occhiali da sole.
Salutai la mia pazza coinquilina, poi salita sull’autobus richiesi un biglietto al conducente e poi andai a obliterarlo.
Dunque per arrivare al bar “Gray’s cup” mi sarei dovuta fermare tra quattro fermate.
Adocchiato un posto libero vicino al finestrino, mi ti ci catapultai. Poi presi la mia borsa e appoggiata sulle mie cosce la usai come “tavolino” per appoggiare la prima pagina di una certa Elen, giornalista alle prime armi. Dovevo iniziare a togliermi un po’ del tanto lavoro che quel sadico di George mi aveva affibbiato.

 
Dopo una quindicina di minuti, vidi molte persone andarsene, così sbirciando dal finestrino notai che questa era la mia fermata.
Sistemai gli articoli in borsa e scesi dal bus. La zona era esattamente come la ricordavo.
Attivai il navigatore satellitare sul mio cellulare e digitai: “Dorian’s cup”. Era un bar che non avevo mai visto. Vedendo la cartina notai che sarebbe dovuto essere presente in una stradina della Old Town, a pochi passi dal Royal Mile.
Dopo una passeggiata di qualche minuto, con un occhio sulla strada e uno sul cellulare arrivai, scorgendo l’insegna del famoso bar e dei tavoli all’esterno situati sotto un gazebo bianco adornato da fiori fucsia.
Scorsi in lontananza un ragazzo che poteva essere Terence…aveva il suo stesso profilo…per quel che ricordavo.
Mi avvicinai con un po’ di titubanza e dopo aver fatto un po’ di slalom mi avvicinai al tavolo dove c’era proprio lui. Il suo bastone era steso sotto la sedia su cui era seduto e guardava, se così potevo dire, sempre con gli occhi coperti da una montatura nera, fisso davanti a sé.
Mi schiarii un attimo la voce.
-Buonasera.- dissi con decisione.
-Jane sei tu?
Aveva una bella voce.
Terence si alzò di scatto in piedi, appoggiandosi al tavolino argentato di fronte a lui.
-Sì sono io.- risposi.
-Prego, accomodati.- disse risedendosi.
-Grazie…
-Cosa posso farti portare?
-Un caffè andrà benissimo.- risposi posando la mia borsa sul tavolino di fronte.
Evidentemente non aveva preso niente, davanti a lui c’era solo un vasetto con dei fiori e un porta tovagliolini.
Era ben vestito. Indossava una giacca nera sopra una camicia bianca e dei jeans azzurri.
Lo vidi chiamare un certo Samuel, che capii essere il cameriere, e dopo che il mio ordine fu preso, rimasi a guardarlo.
-Come sei vestita oggi?- mi chiese, sorprendendomi.
Voleva forse parlarmi d’abiti?
-Perché?
-Per lo stesso motivo che ti ho detto ieri…voglio immaginare ciò che mi circonda…
Doveva essere davvero una sensazione orribile e triste quella di non vedere più nulla. Il nero, a circondarti ogni attimo della tua vita.
-Ho una camicia azzurra a maniche lunghe con dei bottoncini bianchi, dei blue jeans semplici con due piccole tasche anteriori e posteriori, un giubbotto di jeans con  bottoni grandi, rossi e lucidi, e delle All Stars nere.
Avevo cercato di essere molto precisa, cosicché potesse immaginarsi bene ogni cosa.
-Capisco…- disse mantenendo dritto il capo verso di me.
-Ehm…senti…allora, dimmi tutto. Perché mi hai invitato?
-Come ti ho scritto, mi incuriosisci…tutto qui. Cos’è, ti dà tanto fastidio fare compagnia ad un cieco?
Questo suo essere scontroso, mi stava dando sui nervi. Perché se la prendeva con me?
-No, assolutamente no. E perché ti ho incuriosito?

Sorrise.

-Non saprei…forse per la tua risposta e il tuo riferimento a Wilde. Sai, non è la prima volta che conosco nuove ragazze e chiedo loro cosa ne pensano di me. Fino a quando ho fatto la tua conoscenza, tutte mi avevano detto che sono il ragazzo più bello che avevano mai incontrato…che fosse per commiserazione, per i miei soldi, o altro non so. So solo che ricordo, che quando mi guardavo allo specchio non ero male.

Guardavo allo specchio? Quindi non era cieco dalla nascita.

-Ho capito…quindi ti ha sorpreso il fatto che io non ti abbia detto che sei bello?
-Sì…in un certo senso…il fatto che tu non abbia proprio esposto il tuo parere su di me mi ha incuriosito. Non giudicare la mia esteriorità se prima non conosci la mia interiorità. Sei il contrario di me…o meglio di come ero prima.- concluse, sistemandosi il colletto della giacca.

Nel frattempo il mio caffè arrivò.

Ringraziai e il cameriere si allontanò.

-Mhm…va bene…
-Sei fidanzata?- mi interruppe chiedendomi.
-Sì- risposi prontamente.

In realtà ero single, ma da quel che po’ che avevo capito Terence era un ragazzo sbruffone e sicuramente mi avrebbe stuzzicato se avesse saputo che in realtà non avevo un ragazzo.

-Avanti spara, ti ha lasciato lui o pure tu?
-Come prego? Ti ho appena detto che ho il ragazzo.
-Ed io ci vedo, allora.

Uff volevo prenderlo a schiaffi, ma chi diamine credeva di essere?

-Senti ragazzo, non so perché tu ti diverta a prendermi in giro, ma so che adesso me ne andrò.- dissi alzandomi.
-No, ti prego, non andare. Lo faccio perché sono cieco.- disse seriamente.

Mi schiarii la voce e mi risedetti.

-Non capisco, scusa…cosa c’entra la tua disabilità con il tuo essere sbruffone?
-C’entra invece, perché…se non mi comportassi come mi comporto riceverei solo pietà e commiserazione, cose che non voglio assolutamente. Dimmi la verità…in tutta la nostra discussione hai mai fatto caso al fatto che non vedessi? Ti sei mai frenata la lingua per non farmi dispiacere?

Ci pensai un attimo.
-No, assolutamente no.
-Visto?- sorrise. -Anzi non avrei dovuto parlartene...
-Non preoccuparti, se ho da lamentarmi con te lo farò senza timori.
-Ciò va benissimo.

-Dunque sei single, no?- cambiò discorso.
-Ti ho già detto di no.
-E io ti ho detto che non ti credo. Se tu fossi fidanzata probabilmente non avresti neanche accettato il mio invito, e avresti portato il tuo ragazzo con te ieri sera.
-Perché tutti i ragazzi presenti ieri al locale sono fidanzati?- chiesi inarcando le sopracciglia.
-Esatto. O meglio Mary Anne non è fidanzata, mi fa il filo piuttosto, ma Russell le fa la corte.
-Mhm…comunque sono single, mi ha mollato lui.- conclusi, arrendendomi.

Se c’era una cosa che avevo capito era che con questo ragazzo sarebbe stata sempre una battaglia persa.

-Lo sapevo.- sorrise.- e come è successo?
-Beh…oh, ecco…lui mi ha lasciato perché si è scoperto...
-Sì?- mi incitò.
-Beh…gay.

A quel punto Terence scoppiò a ridere. Rise così tanto che si appoggiò un braccio sulla pancia per calmarsi.

-Ehi tu, calmati, ci stanno osservando.- dissi sottovoce, ma quello spaccone non voleva smetterla.
-Scusa.- continuò a ridere.

Tanto fu il suo divertimento che, ad un certo punto, si tolse gli occhiali da sole e si asciugò delle lacrime dagli occhi, dovuto al troppo ridere.

E fu a quel punto che vidi il colore delle sue iridi.

Erano azzurre…no, forse verdi…erano un colore strano, un misto di verde e celeste…solo che, erano spenti…erano molto chiari e…senza vita, sì sembravano vitrei e tristi.

Dopo un po’ si rimise gli occhiali neri sugli occhi.

-Oh Dio, sei troppo buffa Jane.- disse.

Io non gli risposi. Ero rimasta incantata a pensare alla particolarità dei suoi occhi. Nonostante tutto, li ritenni gli occhi più belli che avessi mai visto.

-Ehi sei ancora qui?- chiese diventando serio.
-Sì.- risposi subito.
-Ti andrebbe di accompagnarmi a fare una passeggiata?- mi chiese sorprendendomi.
-Ehm…sì.

Terence lasciò otto sterline sul tavolino, quindi molto più del dovuto, e poi mi porse il suo braccio.

-Posso pagare io, non c’è bisogno che tu…
-Oh suvvia Jane, non vorrai farmi fare la figura del cafone, no?
-Non saresti un cafone, saresti solo giusto.
-Ah stai zitta Jane, andiamo al parco.
-Ora sì che sei cafone, ragazzo.- dissi poggiando la mia mano sul suo braccio.
-Chiamami Terence, è un bel nome, non credi?

Curvò le sue labbra in un suo sorriso. Sì perché avevo notato che aveva un modo tutto suo di sorridere.

-Ah il tuo bastone.- mi si accese una lampadina.
-Vorrai dire James, è così che chiamo il mio fedele amico di legno. Potresti prendermelo, per favore?
-Certo.

Mi abbassai e presi “James” da sotto la sedia.

-Grazie.- disse dopo che glielo porsi.
-Figurati- risposi dopo aver ripreso a camminare.

La mano destra sosteneva il bastone, mentre la sinistra era libera, c’ero io appoggiata al suo braccio.

-Come è essere una giornalista di moda, Jane?
-Mah non saprei spiegarlo. E’ sicuramente stressante, soprattutto se hai un datore di lavoro come il mio, ma è anche soddisfacente e interessante. Spesso si finisce anche per incontrare stilisti famosi come Versace, Calvin Klein, o Ralph Lauren e altri, che rilasciano interviste in merito a loro ultime sfilate e collezioni.
-Oh forte, tutti i miei jeans sono firmati Klein.

Doveva essere molto ricco. Avrei dovuto informarmi sulla famiglia Ashling. Barbie mi avrebbe sicuramente detto qualcosa in merito, quando sarei tornata in ufficio.

-Tu, invece? Lavori?- chiesi fermandomi e fermandolo ad un semaforo rosso. Menomale che si era fermato con facilità,  grazie anche al suono che emettevano i semafori.
-Mi sarei fermato comunque, fa tra bip quando è rosso.- disse freddamente.

Dio che responsabilità fare da guida ad un ragazzo cieco. Il suo bastone non era “vivo”, non avrebbe dunque potuto fermarlo o aiutarlo a girare gli angoli con facilità. Molte volte era successo che, sebbene il semaforo fosse rosso, molti pazzi attraversavano...Come faceva quando era solo? Perché passeggiava da solo, no?

-Sono uno speaker radiofonico per una piccola radio locale. – continuò.

Dicevo che aveva una bella voce.

-Ah interessante. Per quale radio?
-Radio Capital…conosci?
-Sì credo di sì, per quel po’ che ascolto la radio, devo averla sentita qualche volta.
-Ottimo.

Dopo qualche svolta a sinistra e destra, per fortuna la passeggiata continuò lungo una via dritta.

-Perché non prendi un cane per non vedenti?- chiesi, interrompendo il silenzio  tra di noi e pentendomene subito dopo.
-Ho intenzione di farlo, a breve, infatti. Il mio James non mi ha mai tradito, ma mia sorella vuole un cane e a questo punto…
-Capisco.- dissi riprendendo a camminare.

Alcune persone si fermavano e giravano per guardarci. Non avevano mai visto un ragazzo cieco? Boh.

-Dunque hai una sorella?- continuai.
-Ho un fratello e una sorella.- rispose sempre freddamente.

A quanto sembrava, la famiglia e la sua disabilità erano argomenti tabù.

-Beh dimmi Jane, come ti ha mollato il tuo ragazzo? Quali parole ha usato?- ora chiese ridendo.

Era chiaro come il sole che volesse ridere  e non pensare ai suoi problemi.

-Oh e basta!- dissi accelerando il passo e stringendo la mia presa.

Scoppiò a ridere.

-Eccoci al parco di Holyrood.- continuai avvicinandomi ad un grande cancello.
-Bene.- continuò sorridendo.

La nostra passeggiata proseguì sempre allo stesso modo.

-E tu sei fidanzato?- gli chiesi ammirando lo splendore che mi circondava.

Peccato che fossi l’unica a vederlo…

-No, credi che sia scemo per caso? Nessuna ragazza si fidanzerebbe con me per la mia disabilità. Le donne sono creature vanitose e tutte amano ricevere complimenti sui loro vestiti o sul loro corpo, cose che, ora come ora, non potrei mai fare. Non ti nego che abbia fila di ragazze che mi fanno la corte, Mary Anne compresa, come ti dicevo, ma lo fanno solo perché sono ricco, perché ho i soldi…tutto qui. Solo un pazzo cadrebbe nella trappola di quelle donne che si propongono come mie future compagne per la vita.
-Quindi…noto che non hai molta fiducia in te…voglio dire, pensi che tutte le donne che ti corteggiano lo facciano solo per il denaro, non per te…
-Esatto! Come ti dicevo, ricordo di essere un bel ragazzo e fin da quando ero piccolo che ricevo complimenti per i tratti eleganti e sofisticati del mio viso, e non è che non sia sicuro di me esteticamente, solo che…ora vengo colpito solo da pregiudizi e altro, e sono consapevole che avere gli occhi …morti…spaventi molte donne.
-Dunque consideri la gente del mio sesso come delle gallinelle frivole e interessate solo ai tuoi soldi?
-E’ quello che ho detto.
-E se qualcuna si innamorasse veramente di te? Della tua interiorità, intendo?
-E chi è questa qualcuna? Tu, Jane?- chiese ridendo.
-Perché no? E’ così improbabile che una come me si possa innamorare di uno come te? Se tu mi facessi conoscere ogni lato del tuo carattere ed io me ne innamorassi?
-Impossibile, fidati di me! Ho un carattere terribile e sebbene non sia brutto, sono consapevole del fatto che i miei occhi deturpino il mio viso.
-Wow…vedo che hai un’alta considerazione di te stesso.

Sorrise.

-Bah chi sa…e ora dimmi cosa c’è intorno? Il mio James non tasta altro che pietre.
-Beh c’è la brughiera, poi alla nostra sinistra c’è un grande lago e tutt’intorno è verde, ci sono monti, e campi estesi in cui prevalgono fiori.
-Bello, molto bello, l’aria che si respira è fantastica.- disse inspirando l’aria circostante e fermandosi.
-Okay Jane, direi che per oggi è tutto, sono un po’ stanco. Chiamo Harrison cosicché ci venga a prendere.- continuò fermandosi.

Tanta fatica per accompagnarlo fin qui, e poi già se ne voleva andare. Avevo già detto che era strano?

-Harrison? Prendere?- chiesi curiosamente.
-Sì è il mio autista, se per te non ci sono problemi, tendo ad accompagnare coloro che mi fanno compagnia.- disse con la sua aria altezzosa.
-Va bene, allora ritorniamo al cancello e aspettiamo il tuo autista.

Se avessi rifiutato, avrebbe detto sicuramente la sua e non mi andava di discutere.

Dopo una decina di minuti, Harrison arrivò e dopo avermi chiesto l’indirizzo di casa, il viaggio partì.

Arrivati, Terence mi salutò.

-Bene, Jane…grazie della compagnia, ci vediamo presto.- disse guardando fisso davanti a sé.
-Grazie a te Terence e a lei signor Harrison- dissi guardando lo specchietto anteriore da cui un occhiolino e un sorriso da parte dell’ anziano autista, mi salutarono.

Scesa dall’auto, quest’ultima non se ne andò finché non rientrai in casa, dove ad aspettarmi c’era lavoro, lavoro e ancora lavoro.

CONTINUA…

 

 

Salve ragazzi!:)

Mi scuso per il tardo aggiornamento, ma tra l’ultimo periodo scolastico e il proseguimento dell’altra mia storia e anche a causa della mancanza di ispirazione, non sono riuscita a scrivere nulla fino a pochi giorni fa.

Spero che questo secondo capitolo sia piaciuto e non abbia deluso nessuna aspettativa. Grazie di cuore per essere arrivati fin qua, e soprattutto grazie a : Sun_Rise93 e Helmwige per le splendide parole nelle loro meravigliose recensioni. Grazie mille per il supporto :)

E grazie anche a : Desyree92 , e alle già citate Helmwige e Sun_Rise93 per aver messo la storia tra le seguite ;)

Cosa ne pensate di Jane e Terence?

Alla prossima ^^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo tre

 

 http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

 


L'amore costruito sulla bellezza muore presto, come la bellezza. 

John Donne

 

-Janeee!- tuonò dal suo ufficio quel sadico di George.

Certo che quell’uomo era proprio stressato. Ma la cosa che mi dava più fastidio era che sempre a me rompeva le scatole, ero sempre io il suo bersaglio.

I miei colleghi mi guardarono ridendo. Ormai era diventata comica la situazione. Quel buzzurro gridava e io andava in ufficio, poi puntualmente finivamo per litigare, perché io avevo un carattere che non mi permetteva di rimanere in silenzio quando qualcosa la ritenevo stupida e George era il mio capo ed esigeva che le cose fossero fatte come voleva lui. In ogni caso, chiamava saltuariamente sempre me…d’altronde ero una brava giornalista, mi impegnavo al massimo, ero responsabile e dedicavo gran parte della mia vita al lavoro. Ad affiancarmi nelle mia routine stressante e ad occupare il mio stesso ufficio c’erano poi: Barbara Richardson meglio conosciuta come Barbie, Steve Jhones, Frederich Bennet meglio conosciuto come Freddie, mio ex fidanzato…sì quello gay, e Vincent Price, omonimo di un famoso attore americano.

Misi in stand by il mio pc, diedi un’occhiata sconsolata ai miei compagni di sventura e mi recai nella tana del lupo.

Bussai e un antipatico quanto nasale “Avanti”, mi invitò ad entrare.

-Buongiorno George.- dissi rivolgendomi verso quel bisbetico, che più che darmi attenzione, aveva la testa completamente tuffata in una articolo di giornale, il classico sigaro in bocca e il lercio cappellino da tennista in testa.

-Siediti Jane.

Feci quello che mi aveva detto.

Dopodiché abbasso il giornale e mi guardò con i suoi brutti occhietti verde limone andato a male.

-Ora tu Jane, cara dolce Jane,- e quando affiancava al mio nome quei gentili attributi, c’era davvero da preoccuparsi- mi spieghi perché cavolo Yohji Yamamoto, ha concesso delle foto sulla sua ultima collezione primavera estate duemila quindici ad Elle a noi no.

Cosa diamine potevo saperne io? Yohji Yamamoto? E chi cavolo lo conosceva?

-Ehm…capo, in tutta sincerità, non lo so…non sono io che mi occupo delle fotografie  e di convincere gli stilisti a cedere le loro foto. Io mi occupo di scrivere gli articoli.- cercai di calcare il più possibile sulla parola scrivere.- e poi non mi pare lei mi abbia detto di contattarlo.

Non mi ero laureata alla facoltà di scrittura creativa con tanto di corsi in giornalismo, per fare fotografie. Amavo la fotografia, ma ero una giornalista non una fotografa.

-Jane non prendermi in giro, sei una giornalista di moda, ti occupi della più importante rivista di fashion in tutta la Scozia, e mi vieni a dire che il tuo unico compito è quello di scrivere due colonnine di carta?

Ma allora questo era proprio andato! Due colonnine di carta? Cioè per lui occuparsi dei titoli di copertina, scrivere intere pagine su stilisti e capi d’abbigliamento, ascoltare e trascrivere interviste erano due misere colonnine? Ma come faceva la moglie a sopportarlo?!

-Capo mi sta offendendo così…

-Sì sì come vuoi, ora basta, metti a freno la tua lingua biforcuta e ascolta…- lingua biforcuta a me??- Ho saputo che a marzo, in Francia, un’organizzazione si è prefissata come scopo quello di unire l’universo della moda con quello degli handicap, lottando contro la discriminazione rappresentata dalla mancanza di praticità nei capi all’ultima moda. Una signora sulla sedia a rotelle, per esempio, conduce lo stesso una vita, sebbene la sua disabilità. Va al lavoro, a far la spesa, a scuola per prendere i figli e fa tante altre cose, ma…come affronta il mondo della moda? Sai bene che i capi all’ultimo grido possono essere scomodi e poco pratici, perlopiù rivolti a delle persone con fisicità più da modelle che da altro, dunque voglio che tu ti dedichi anima e corpo ad un nuovo progetto. Un progetto in cui, tramite testimonianze, foto, e altro mostri alla gente come la moda possa avere come target anche persone con handicap fisici.

Rimasi ad ascoltare il discorso di George, accavallando le gambe e poggiando la mia guancia destra sul palmo della mano.

Un progetto per testimoniare la presenza di organizzazioni aperte al voler unire il mondo della moda con quelle delle persone disabili? E nel quale avrei dovuto intervistare persone con handicap per capire il loro rapporto con la moda? Non era affatto male come idea, era interessante e mi avrebbe messo alla prova.

-Mhm…sembra interessante come cosa. Da dove le è nata l’idea?

-Beh ormai dovresti aver imparato a conoscermi…

Fin troppo bene purtroppo…

-E sai che sono una persona che pretende il massimo dal proprio lavoro, io voglio che “l’Edinburgh Fashion Magazine” diventi importante in tutto il mondo, non solo in Occidente. Dunque, facendo qualche ricerca su internet ho scoperto queste cose interessanti. Ora, però basta con le parole, inizia a lavorare, a fare ricerche, a darti da fare, entro tre settimane voglio che tutto sia pronto.

-Tre settimane? Ma capo, lei mi ha dato altro lavoro e la cosa mi sembra piuttosto impegnativa. – dissi in preda al panico.

-Jane lascia stare tutto il resto del lavoro che ti ho detto, passalo a Allyson…devi occuparti di questo nuovo lavoro. Ti do la prima pagina. Ripiego, a malincuore, tutte le mie fiducie in te…non deludermi.

E con quel “non deludermi” era chiaro il messaggio : “oppure sei fuori…ti licenzio cara dolce Jane”.

Alzandomi dalla sedia e salutando quel troglodita, ritornai in ufficio e parlai con i miei colleghi nonché amici del progetto.

-Ah Barbie, posso parlarti un attimo?- chiesi alla mia collega nella pausa caffè.

-Dimmi tutto.- rispose passandosi una mano nei ricci capelli biondi.

-Senti, tu per caso conosci la famiglia Ashling?

-Gli Ashling? Intendi una delle più ricche famiglia di Edimburgo? Quella il cui nonno possiede almeno cinque Ferrari?

-Ehm…non saprei, so solo che ci sono tre figli, uno dei quali si chiama Terence.

-Oh conosci quel figo pazzesco?- chiese con gli occhi a cuoricino.

-Sì, diciamo di sì.

-Beh sì, è cieco, lo sai no?

-Sì…

-Ricordo che anni fa successe una disgrazia in quella famiglia che ha portato anche al problema di Terence, ne parlarono anche molti giornali, perché sai com’è quando una famiglia è molto ricca è anche in vista, ma gli articoli furono subito bruciati. Io ne so poco in merito…

-Ah…ho capito! Vabbè grazie Barbie.

La mia collega mi sorrise.

Una disgrazia che aveva portato al problema di Terence. Chissà cos’era successo?

***

Quando finii il mio turno di lavoro erano le otto di sera, e mi catapultai subito da Allyson per informarla del nuovo lavoro. Sicuramente da pigrona, esperta di limature unghie quel era, mi avrebbe risposto male.

-Buonasera Allyson, sono venuta per dirti che in seguito ad un nuovo progetto di George, di cui sarò io ad occuparmene, il mio precedente lavoro passa a te.

-Cosaaa??- strillò scuotendo la chioma corvina colorata da qualche ciocca blu.

-Hai capito bene. Dunque da domani ti occuperai di revisionare tutti questi articoli,- le posai gli articoli sulla scrivania accanto al suo MacBook Air, rigorosamente rosa,- e sei fortunata perché circa la metà li ho già corretti, selezionare le modelle per la nuova collezione Missoni e preparare l’articolo di giornale in merito.

I suoi occhi per poco non fuoriuscirono dalle orbite. Se George aveva deciso che cedessi tutto il mio lavoro a lei, era perché, sebbene fosse una scansa fatica, più attenta alla sua manicure che ad altro, era anche molto brava a scrivere e aveva talento con i colori.

-Devo proprio?- chiese sconsolata dopo aver visto la mia espressione.

-Ebbene sì mia cara! Tranquilla ciò che ho da fare io sarà molto più pesante.

Mi guardò male e poi sistemò il tutto nella sua borsetta.

Così fatto, posai il mio trench sull’avanbraccio e uscii da quell’inferno.

 

-Sono a casa.- gridai dopo un viaggio in piedi su un orrido pullman durato venti minuti.

Posai le chiavi sul mobile vicino alla porta e appesi il mio trench su l’attaccapanni, notando che ve n’era anche un altro non della mia coinquilina.

Abbie mi accolse con un grembiule e un sorriso.

-Ciao cara, oggi ti ho cucinato le Scotch Pies, ti piacciono?

Adoravo quelle tortine salate.

-Tantissimo, Abbie. Poi sai che come cucini tu, non cucina nessun altro. Ma come mai oggi mi cucini un piatto così speciale?- domandai avvicinandomi in cucina.

Ah…ora capivo il perché. A capo tavola c’era Thomas, il caro fidanzatino di Abbie.

-Ciao.- mi disse sorridente il biondo.

-Ehilà, che piacere.- risposi sedendomi a tavola.

-Ecco perché.- continuò la mia amica.

Le feci l’occhiolino sorridendole.

-Oddio ragazzi, non vi dico, mi sento male.- dissi accasciandomi sul tavolo, con fare teatrale.

-Cosa è successo?- chiese la mia amica, apparecchiando.

-Il mio capo…quel malato mentale di George, mi ha tolto tutto il lavoro che mi aveva affibbiato fino ad adesso, per darmi un nuovo progetto complicato.

-Quale? - chiese Tom.

-Un progetto in cui, tramite interviste, foto, testimonianze e quant’altro, devo parlare delle organizzazione che si occupano di conciliare il mondo della moda con il mondo degli handicap. Devo intervistare persone disabili e chiedere qual è il loro rapporto con i capi di moda, sempre più adatti a modelle e sempre meno a loro e alla gente di tutti i giorni.

-Ah…e beh dove sta il problema? - chiese Abbie.

-Beh ho paura, perché è un progetto molto grande e non so se ne sono in grado. Voglio dire questa sarà una cosa delicata, ed io fino adesso ho sempre scritto solo cose semplici, se così si può dire, confrontate a questo.

-Mhm…perché non chiedi aiuto a Terence? - mi chiese Tom, con gli occhi spalancati, quasi gli si fosse accesa una lampadina.

-Terence? Per quale ragione?

-Perché lui conosce molte persone che presentano handicap. Dopo che è diventato cieco, è stato in una specie di centro di riabilitazione, dunque potrebbe farti conoscere nuova gente.

-Dunque non è cieco dalla nascita? - chiese Abbie, iniziando a riempire i piatti di ciò che aveva cucinato.

-No tesoro, lo è diventato circa sei anni fa. – rispose tristemente il suo ragazzo.

-Oh quanto mi dispiace…e perché?

-No amore, non lasciarlo dirlo a me, ve ne parlerà lui.

-Okay tesoro, come vuoi.- rispose la mia amica stampandogli un bacio sulle labbra e sedendosi per iniziare la cena.

Sarebbe stato opportuno chiedere aiuto a Terence?

***

-Beh piccioncini vi lascio godere il film, io vado a leggere.- salutai i miei amici, andando in camera mia.

-No ma rimani pure.- disse Tom.

-No tranquilli, ho da finire il mio amato Jane Eyre, ci vediamo domani…e poi Braveheart l’ho già visto.- feci loro l’occhiolino e mi allontanai.

Entrata in camera, andai a farmi una doccia veloce e poi infilato il pigiama, mi piombai sul letto, accedendo il lume e prendendo il libro.

Peccato però, che l’idea di chiedere aiuto a quello sbruffone, stava torturando la mia mente, non facendomi concentrare.

Da quando l’avevo incontrato, non facevo altro che incasinarmi il cervello.

Dopo un po’ mi decisi. Dovevo almeno fare un tentativo.

Scorsi il touch screen del mio Nokia Lumia alla ricerca del numero di Terence, e poi toccai l’icona della cornetta per telefonargli.

-Oh Jane, che sorpresa.- mi rispose quello spaccone con la sua voce affascinante e sensuale.

-Buonasera. -risposi.

-Non pensavo di mancarti già.- rise.

-Sì mi mancavi moltissimo guarda.- lo presi in giro.- Senti…

-Sì?

-Avrei bisogno di un aiuto.

-E che tipo di aiuto può dare uno come me ad una come te, Jane?- chiese maliziosamente.

-Non fare lo sfacciato e ascolta. Beh ecco…dovrei discutere di una cosa con te attinente ad un mio progetto di lavoro.

-Che progetto?

-Un progetto. Ma un attimo, pensandoci…per caso, ogni venerdì vi incontrate tu, Thomas, Mary Anne e gli altri, in quel locale dell’altra sera?

-Beh…il più delle volte, sì. Perché?

-Bene, perché venerdì verrò anch’io allora e parleremo con calma.

-Ma…di cosa?

-Lo saprai a tempo debito.

E così chiusi la telefonata. Venerdì ne avremmo parlato faccia a faccia. Avevo deciso così…discuterne telefonicamente avrebbe solo causato malintesi e altro. Così pensato, ritornai a leggere il mio amato libro.

***

Nei giorni seguenti alla conversazione con George, lavorai come una matta, utilizzando perlopiù il computer. Avevo gli occhi che mi bruciavano e finivo sempre per addormentarmi a notte fonda. Di progetti come quello di cui mi aveva parlato il mio capo, ne avevo trovato qualcuno, e di appunti ne avevo presi abbastanza. Mi ero segnata anche alcuni numeri di telefono così da mettermi in conto con organizzatori e ideatori. Un certo signor McDuff , stilista alle prime armi, notai essere stato uno dei primi a disegnare un’ intera collezione per le persone disabili. Lessi che viveva a Glasgow, nella mia Scozia, dunque un viaggetto nel fine settimana per quella meta non me l’avrebbe tolto nessuno, ma era meglio telefonargli per sicurezza.

-Pronto?- mi rispose una voce giovane dopo qualche secondo.

-Salve, parlo con il signor Matthew McDuff?

-Sì, ed io con chi ho il piacere di parlare?

-Mi chiamo Jane Ryan e sono una giornalista per L’Edinburgh Fashion Magazine.

-Oh, salve…mi dica come posso esserle d’aiuto.

-Beh ecco volevo chiederle se possiamo incontrarci, per discutere di un progetto, magari sabato?

-Un progetto di che tipo? E poi lei vive ad Edimburgo?

 -Non si preoccupi, lei si trova a Glasgow, no?

-Esatto…

-Bene, questo sabato prenderò il primo treno e verrò da lei. Per il progetto, preferirei parlargliene faccia a faccia, se per lei non è un problema.

-D’accordo…bene, allora la vengo a prendere alla stazione. Mi tenga aggiornato sugli orari, cosicché ci organizziamo sul modo per riconoscerci.

-Oh ma io la conosco, ho visto sue foto sul suo sito ufficiale.

-Perfetto, allora attenderò sue notizie in merito agli orari signorina Ryan.

-Certo, signor McDuff.

Così concluso, chiusi la chiamata e continuai con il mio lavoro.

***

Per fortuna venerdì arrivò in fretta.

-Abbie oggi ritorniamo al locale dell’altra sera?- domandai curiosamente.

-Perché? Non dirmi che vuoi ritornarci!

-Beh sì, credo che l’idea del tuo Tom non sia male…se Terence conosce gente con handicap potrei conoscerli anch’io e fare loro domande in merito al loro rapporto con la moda. E poi, gli ho telefonato giusto martedì e mi ha detto che spesso i ragazzi si incontrano il venerdì.

-Oh capisco, certo che ci torniamo allora, a dirla tutta me l’aveva proposto proprio Tom, ma non mi aspettavo che tu volessi venirci…

-Perché no?

-Beh perché non mi sembrasti molto divertita…sia Mary Anne che Terence non ti avevano fatto una bella impressione…

-Sì hai ragione, ma è una questione di lavoro. E poi Terence è meglio di Mary Anne...secondo me.

La mia amica mi gettò un’occhiata maliziosa e si allontanò.

 

Nel vestirmi dedicai più attenzione rispetto alle altre volte in cui uscivo. Avevo notato che Terence era interessato a come mi vestivo, per immaginarsi meglio ciò che lo circondava.

Presi una gonna a pieghe lunga circa sei centimetri sopra il ginocchio di un blu cobalto, una camicetta rossa e dei sandali dello stesso colore con una piccola zeppa in sughero. Il mio immancabile giubbotto di jeans, una collanina con una stella di brillantini, capelli sciolti e un filo di lucidalabbra, ero pronta.

Questa volta fui io ad aspettare Abbie. Entrai in camera sua notando che si stava aggiustando i corti capelli.

-Uff odio queste lentiggini. - disse guardandomi dallo specchio su cui si stava riflettendo, e coprendo il suo viso con quintali di fondotinta.

-Ma tu sei proprio matta, io pagherei per avercele, sono così carine.- le dissi con sincerità.

-Ma cosa?? Fanno sembrare il mio viso sporco.

-Che sciocca che sei. – dissi avvicinandomi e accarezzandole la testa.

-No che mi guasti la frangetta.- disse ridendo.

-Piuttosto come sei bella stasera…- continuò.

-Oh beh ma io sono sempre bella.- dissi muovendo le mani a mo’ di diva e sporgendo le labbra.

Ovviamente stavo scherzando. Se c’era una cosa di me che mi piaceva era che ero molto autoironica.

Abbie scoppiò a ridere.

-Hai ragione…ma sul serio, non come dici tu.

-Tu lo sei veramente!- le dissi sorridendo.

E questa sera lo era particolarmente. Indossava dei pantaloni a palazzo color panna, dei zatteroni blu come la camicetta con scollo all’americana che portava sopra una giacca dello stesso colore dei pantaloni.

 Mi sorrise e poi guardandomi con i suoi grandi occhi grigi truccati di nero, mi prese per mano e raggiungemmo la sua macchina, dopo aver preso le borsette e chiuso bene casa.

 

Fortunatamente non trovammo molto traffico e raggiungemmo in breve tempo il locale. Come venerdì scorso c’erano già i ragazzi ad aspettarci.

L’unica differenza era che Mary Anne era letteralmente incollata a Terence.

Quella, quella…meglio che non dicevo parolacce.

Ma poi perché quello spaccone non la teneva lontano?

-Salve ragazzi.- disse la mia amica.

-Ciao bellezza.- disse Tom cingendole la vita, mentre io rimasi vicina a Russell.

-Ehi anche oggi qui?- mi chiese Mary Anne, passandosi la lingua sulle labbra e guardandomi antipaticamente.

-Certo.- le risposi guardandola dritta negli occhi.

Intanto anche il capo di Terence era rivolto verso di me.

Dopo che William finì di fumare la sua sigaretta, finalmente entrammo.

Questa volta riuscii a sedermi vicino alla mia amica, e non a quella vanitosa modella, ma…alla mia destra non mi accorsi che c’era Terence.

Oggi aveva dei Rayban Wayfarer, sempre rigorosamente neri. Era come se si vergognasse dei suoi occhi.

-Sei tu Jane, vero? Riconosco il tuo profumo.

A quella affermazione arrossii un po’ ma poi mi ricomposi subito.

-Sì sono seduta alla tua sinistra.

Mary Anne mi era seduta di fronte, al suo fianco c’era Sophie e William, mentre alla mia sinistra c’era Abbie con Tom e Russell.

Anche Terence era ben vestito. I pantaloni bianchi si abbinavano perfettamente con la sua camicia celeste e il suo Perfecto di pelle nera.

-Di cosa volevi parlarmi Jane? Come può un cieco aiutarti? Sono molto curioso…- mi chiese mentre ognuno parlava per i fatti propri.

-Ehm, beh ecco…l’altra sera è venuto a cena da me ed Abbie Tom, e vedendomi molto stanca mi ha chiesto cosa fosse successo, così gli ho parlato del nuovo progetto di lavoro che mi ha affibbiato il mio capo.

-Ed io cosa c’entro?- chiese, interrotto dalla cameriera che annotò i nostri ordini.

Io scelsi, come sempre, della coca cola, mentre Terence della birra.

-Allora?- ridomandò.

-Beh il mio progetto consiste nell’intervistare persone disabili e chiedere qual è il loro rapporto con la moda, e poi devo informarmi circa le organizzazioni che si occupano di conciliare il mondo della moda con quello degli handicap.

-Continuo a non capire…- disse voltando il capo verso di me.

-Beh parlando a Tom di questo, lui mi ha detto che tu potresti aiutarmi, perché conosci persone disabili.

-Avete parlato di me?- chiese corrugando la fronte.

-No! Mi ha solo detto che tu potresti aiutarmi, punto. Ma se non puoi…

-Posso, va bene!- disse molto seriamente.

-Quindi il mio compito sarà semplicemente quello di farti conoscere persone disabili?- continuò.

-Sì.- risposi rimanendo a guardarlo.

-Capisco…e quanto tempo hai?

-Beh circa due settimane e qualche giorno…

-Mhm…iniziamo domani?

-No, domani devo partire per Glasgow.

-Partire? Perché?

Nel frattempo i nostri drink arrivarono e Tom si alzò per dare a Terence il suo bicchiere.

-Perché devo incontrarmi con Matthew McDuff, uno dei primi stilisti di un’intera collezione per disabili.

-Ti accompagno. - disse all’improvviso sorseggiando la sua birra, mentre per poco la mia coca cola non mi andava di traverso.

-Cosa? Perché?

-Perché ora faccio parte anch’io del tuo incarico di lavoro, dunque…e poi sarò anch’io una delle persone che intervisterai, no? Sono anch’io disabile.

-Non fai parte del mio incarico di lavoro, il tuo sarò solo un piccolo d’aiuto.

-Hai paura di fare un viaggio con me? Il fatto che sono cieco, ti mette ansia?

Ecco era ritornato quel lato del suo essere che odiavo altamente.

-Mi era sembrato che tu facessi lo spaccone proprio per non far soffermare nessuno sul tuo essere cieco, ma vedo che sei tu stesso che tendi a sottolineare la tua disabilità.

Rimase un attimo in silenzio. Forse non si aspettava una risposta simile. Ma era la verità.

-Non è affatto così, sei tu che mi fai subito pensare a quelle domande. Perché non vuoi che ti accompagni domani? Dammi una spiegazione valida.

Dopo avermi fatto questa domanda, cercò di posizionare il suo bicchiere sul tavolino di fronte, ma stava avendo chiare difficoltà, visto che muoveva la mano a destra e a sinistra.

Così posai la mia mano sulla sua e lo aiutai. Dopo quel contatto, mi venne la pelle d’oca. Che strano, eppure non avevo freddo!

-Grazie.- disse.- ma ora rispondi.

-Ma dico io, il fatto che tu non c’entri assolutamente niente con il mio lavoro, non è abbastanza? Il tuo sarà solo un piccolo aiuto…tutto qui.

-Verrò è deciso. Dimmi l’ora.

-Uffa, ti conosco da pochissimo tempo, ma fidati, sei una pizza Terence, mamma mia! …Domani alle nove di mattina, ti aspetterò alla stazione Waverly.- risposi sconsolata.

Era testardo come un mulo!

Sorrise sodisfatto e poi rimase in silenzio.

Sbuffai e poi continuai a bere la mia bevanda …

 

CONTINUA…

 

Buonsalve ragazzi, come va?^_^

Eccoci al terzo capitolo. Questa volta ho pubblicato più in fretta, sono stata brava, no? xD

Che dire, in questo capitolo abbiamo un nuovo faticoso progetto per la nostra signorina Ryan, (ma a proposito del progetto...l'organizzazione di cui ha parlato George è realmente esistente...ho fatto qualche ricerca in rete onde evitare di scrivere qualcosa di insensato xD) e un nuovo viaggetto con meta Glasgow che vedrà, a malincuore per la nostra protagonista xD, un accompagnatore non desiderato, il nostro Terence.

Che ve ne pare della situazione? Ditemi, ditemi che sono curiosa. E poi ho sempre considerato le recensioni un po’ come della benzina, senza di questa la macchina non parte, quindi…fatevi sentire, su ;))

Arrivati a questo punto, vorrei ringraziare: Helmwige, Sun_Rise93 e DEBORAH_ per le loro splendide recensioni, grazie mille girls <3

E grazie anche a: Sandra_Mc _, sax77, rosaa93, _Shantel, Lady_Ghost, e alla già citata DEBORAH_ per aver aggiunto la storia tra le seguite, mille grazie ^_^

Alla prossima ;)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo quattro

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

“Avete paura di me perché parlo come una sfinge.”

“Il vostro linguaggio è enigmatico : ma, benché me ne senta sconcertata, non ho paura.”

-Jane Eyre -Charlotte Bronte

 

-Così parti domani mattina? - chiese Abbie, pettinandosi i capelli.

-Sì sì, devo andare a parlare con Matthew McDuff per quel progetto di lavoro di cui ti parlai. - risposi, scegliendo dall’armadio i vestiti per domani.

-Ho capito…ah, senti Jane, volevo chiederti scusa…

-Per cosa? - chiesi prendendo dalla gruccia un paio di jeans.

-Perché in questi due venerdì, mi rendo conto…di averti un po’ trascurato al locale…voglio dire venerdì scorso ballai con Tom e stetti gran parte del tempo con lui, idem per stasera, quindi…

-Ma no, che dici, Abbie? Sono consapevole che ora hai un fidanzato, come è giusto che sia, e che quindi il nostro rapporto sarà un po’ diverso rispetto a prima. Io ti voglio bene, tu ne vuoi a me, quindi…non c’è nessun problema, no?

A dirla tutta mi ero sentita un po’ sola…soprattutto il primo venerdì, ma Abbie non era una ragazza che si fidanzava facilmente. E per aver scelto Tom voleva dire che il ragazzo era proprio speciale, e poi era sempre contenta di recente e i suoi occhi erano luminosi.

Le sorrisi e presi un paio di anfibi neri e una t-shirt rossa.

Domani dovevo prendere un treno e camminare un bel po’, dovevo essere comoda dunque.

-Sì hai ragione, solo che mi dispiace…so che dovrei esserti più vicina. - disse avvicinandosi al mio letto e aggiustandomi i cuscini.

-Ma no, tranquilla…ora la tua priorità è Tom, lo capisco…- le accarezzai una guancia e, sistemai i miei vestiti sulla poltroncina accanto al mio letto,

-Bene, mi sento un po’ più sollevata ora! Ma mi stavi dicendo prima in macchina, che Terence ha insistito per venire con te?

-Ah sì, non me lo ricordare guarda! E’ insopportabile quel ragazzo…

Abbie scoppiò a ridere.

-Dai su, poverino ha già i suoi problemi, vuole solo fare qualche amicizia in più, e forse lo attrai…- disse alzando le sopracciglia maliziosamente.

-Bah non lo capisco. E’ solo che il suo lato spaccone, arrogante, presuntuoso, sbruffone mi dà altamente fastidio.

-Dai baby, non dire così…impara a conoscerlo bene bene, poi alla fine darai il tuo giudizio finale.

-Vedremo allora…

-Brava…allora buonanotte e sogni d’oro baby, ci vediamo domani mattina.

-Grazie cara, anche a te.- le scoccai un bacio sulla fronte e poi andai a letto.

 

***

Più potente di una canzone dei Nirvana , la mia tanto amata sveglia suonò alle sette precise.

Stropicciai gli occhi e ,stiracchiate le braccia, mi alzai in piedi rifugiandomi in bagno per una bella doccia. Avevo due ore per prepararmi, o meglio fra due ore sarei dovuta essere alla stazione.

Dopo la doccia andai in cucina.

-Buongiorno Abbie.- salutai la mia amica che già pimpante alle sette e mezza del mattino era intenta a cucinare dei pan cake alla nutella.

-Ehi baby, dormito bene?

-Sì. Tu?

-Idem.

Mi sorrise.

Dopo la colazione, mi lavai i denti e vestita con gli abiti che avevo preparato la sera prima, notai dalla finestra che un bel sole faceva capolino in un limpido manto turchese, così, dopo essermi truccata, inforcai gli occhiali da sole a mo’ di cerchietto e allacciato il giubbotto di Jeans in vita, presi la grande borsa a tracolla che avevo preparato, munita di cellulare, taccuino, penne e matite, registratore, un libro da leggere in treno e mi avviai.

-Beh Abbie, io vado…ci vediamo stasera verso le sette e mezza.

-Perfetto baby, scusa se non ti posso accompagnare ma oggi devo fotografare una Mercedes Benz 300 e altre auto d’epoca.

-Tranquilla, ho già il biglietto dell’autobus in ogni caso. Passa una bella giornata, ciao.

Sorridendole uscii e presi il mio pullman.

Alle otto e mezza ero davanti alle scale, che scese mi avrebbero portato ai binari.

Di Terence neanche l’ombra. Dovevo starlo anche ad aspettare.

Dopo qualche minuto, in cui il mio collo divenne da giraffa per intravedere se quel bell’imbusto arrivasse, mi squillò il cellulare.

-Terence, ma dove cavolo sei?

-Io? Semmai tu, ti sto aspettando davanti al binario sette.

Ah quindi aveva già sceso le scale e stava già lì?

-Ok, ti raggiungo subito allora, il tempo di scendere le scale.

Rise e mi salutò.

 

Eccolo lì quello spaccone. Era vicino ad un uomo…se la memoria non mi ingannava doveva essere Harrison, il suo autista.

-Buongiorno.- dissi.

-Oh salve signorina Jane…allora io vado signore, buon viaggio e faccia attenzione.

-Ciao Harrison e fai il bravo, mi raccomando.

L’autista sorrise e facendomi un ulteriore saluto con il suo cappello, se ne andò.

Era garbato quell’uomo.

-Ciao Jane.

-Ciao Terence.

Oggi indossava dei jeans strappati, una maglietta azzurra e un giubbotto uguale al mio. Il bastone nero, invece, era nella mano destra. Aveva anche una valigetta nera a tracolla. Chissà che si era portato.

Come occhiali da sole, erano ritornati i Rayban a goccia, solo che questa volta erano azzurri e quindi…riuscivo a vedergli le iridi chiare.

-Come va? -mi chiese.

-Bene. Tu?

-Come sempre… E così pensavi che non fossi ancora arrivato, eh?

-Beh sì, pensavo che tu mi aspettassi fuori.

-Mi sottovaluti troppo Jane! -sorrise.- e poi io e la puntualità siamo una cosa sola, ricordalo.

-Beh allora oggi che dobbiamo fare?- continuò “guardando” davanti a sé.

-Dobbiamo incontrare quello stilista di cui ti ho parlato ieri e fargli alcune domande in merito ai motivi che lo hanno spinto a fare una collezione per persone disabili. Poi fare foto, intervistare chi sta dietro le quinte, per così dire, e fare altre cose…che poi, a dirla tutta, il lavoro spetta a me, continuo a ritenere la tua presenza non necessaria.

-E invece te la fai ritenere necessaria Jane…so che non potrò minimamente esserti d’aiuto, ma è tempo che non mi muovo da Edimburgo e cambiare aria non potrà farmi che bene. A proposito i nostri posti sono in prima classe.

-Nostri? Prima classe? Ma io avevo intenzione di comprarli giusto ora in seconda classe.

-E dai Jane, ma perché sei così scontrosa?

A quel punto scoppiai in una fragorosa risata.

-Ah io sarei scontrosa? Sei tu che fai certe cose, senza chiedermi nulla. Vabbè dai, non voglio litigare…andremo in prima classe, va bene?

Era un ragazzo abituato al lusso, perché non accontentarlo?

-Brava ragazza. Dai dimmi come sei vestita.

-E tu giustamente me lo chiedi oggi, e non me l’hai chiesto ieri che avevo la gonna.

Oh no…l’avevo veramente detto a voce alta? Oddio adesso quel presuntuoso si sarebbe fatto chissà che pensieri.

-Oh avevi indossato una gonna? Ti era messa in tiro per me, Jane? Mi dispiace deluderti, ma da quando questi non mi funzionano più,- si indicò gli occhi,- non mi interessano più le belle gambe.

-Non mi ero certa messa in tiro per te, Rodolfo Valentino dei miei stivali, mi ero vestita in maniera particolare così da raccontarti più cose e permetterti di immaginarti qualcosa di diverso di dei semplici pantaloni.

Era la verità.

-Mhm…che gentile, ma dai dimmi come sei vestita oggi.

-Jeans di un blu scuro, maglietta rossa di Snoopy, anfibi neri, giubbotto di jeans e occhiali da sole.

Ero stata abbastanza precisa? Intanto la gente attorno a noi si fece più numerosa.

-Interessante…e trucco? Sei truccata?

-Beh sì…un po’ di fondotinta, dell’eyeliner e della matita nera sugli occhi e il mio immancabile lucidalabbra.

-Perfetto! E collanine, smalto per unghie, che ne so…roba così?

Certo che voleva sapere proprio tutto!!!

-Sì ho un orologio da polso fucsia al braccio sinistro, alcuni braccialetti di stoffa colorati e uno con un piccolo ciondolo a forma di croce, di legno. Per le unghie, sono smaltate di un blu scuro. Va bene così?

-Okay, ora ho un quadro più o meno completo di come sei.

-Benissimo. - risposi, guardando l’orologio, mancava poco all’arrivo del treno.

-Per che ora, ritorneremo? - chiese, voltando il capo verso di me.

-Intorno alle sette e venti.

-Capisco…

Dopo qualche altro minuto di silenzio, il treno finalmente arrivò.

Si fermò a qualche metro da noi.

-Suppongo che il treno sia arrivato, il rumore è assordante.

-Sì, sì…dai andiamo, è a qualche metro da noi.

-Okay…

Iniziò a camminare davanti a sé, facendo tastare al suo “James” qualunque cosa fosse alla sua destra e alla sua sinistra.

-Se vuoi ti aiuto? - proposi, guardandolo.

-Come pensi di aiutarmi?

-Beh ti guido io, così eviti di cadere…sai ci sono molte pietre.

-Non cado, tranquilla, ma se insisti dammi la tua mano.

Feci come mi aveva chiesto, ma, al contrario delle mie aspettative che vedevano la mia mano posata sul suo braccio, lui la strinse nella sua.

-Scusa se faccio questo gesto così, come dire…sentimentale, ma penso sia più facile per te guidarmi se siamo mano nella mano.- disse.

Le sue mani erano più grandi delle mie, ed erano fresche e asciutte. Arrossii un po’ per l’audacia del gesto, ma mi ripresi subito e dopo aver salito i quattro scalini per salire sul treno, aiutai anche Terence a salire.

Dopo essermi informata, chiedendo al capo treno dove fosse la prima classe, gli chiesi anche se potesse aiutarmi, visto che davanti mi si prospettavano corridoi coperti di trolley, valigie e valigette.

L’uomo prontamente ci aiutò, e chiedendo gentilmente agli altri passeggeri di farci spazio, io e quello scontroso riuscimmo a sederci sui posti assegnati.

Posti situati in un vagone occupato da quattro sedili, due dei quali erano vuoti. C’era anche un porta per chiuderci e isolarci dal corridoio. Mi sedetti di fronte a lui.

-Scusami. - mi disse, ad un certo punto.

Rimisi in borsa il cellulare che avevo preso per controllare eventuali messaggi e lo osservai, corrugando la fronte.

-Scusarti? Per cosa?

-Scusa, perché so di averti appena causato disagio e imbarazzo…insomma posso solo immaginare tutte le occhiate che avrai ricevuto da parte di tutti i passeggeri, quando il capo treno ci ha fatto passare. Sono uno stupido, è meglio che non parta, vai da sola a Glasgow.

A quel punto si alzò appoggiandosi al bracciolo del sedile, ma io lo presi per mano e lo rifeci sedere.

Faceva tanto il duro, ma secondo me, alla fine…era molto fragile.

-Ma che, sei impazzito? Non sei proprio un tipo adatto a far la vittima. E poi non ho ricevuto nessuna occhiataccia, tranquillo, so mettere al proprio posto la gente maleducata e se avessi visto qualche persona scortese, l’avrei mandata male. Ora stai tranquillo e non farti venire certi grilli in testa.

Mi sorrise…sembrava più tranquillo, dopo le mie parole.

-Va bene…allora mi racconti come ti ha mollato il tuo ragazzo?

Ecco… era ritornato il Terence che avevo incontrato la prima volta. Ma forse, era meglio così…

-Cosa c’è da dire…insomma dopo quasi un anno di relazione, iniziai a notare un po’ di freddezza e di distacco da parte del mio ex. Non voleva più fare tante cose con me e poi iniziò anche ad assumere atteggiamenti di poco conto ma un po’ strani…tipo fare più complimenti sull’aspetto estetico di alcuni attori più che sulle attrici o sui cantanti e roba così. Tu pensa che un giorno, litigammo perché io dicevo che a me Brad Pitt non piace e lui invece diceva che ero una pazza, perché è l’uomo più bello del mondo.

A quel punto Terence scoppiò a ridere.

Quando rideva si poteva scorgere meglio la piccola cicatrice che aveva sopra il labbro superiore. Lo rendeva senz’altro più intrigante e affascinante.

-Dio mio, che situazione e poi…?

-Poi niente…arrivò un giorno in cui mi disse che era gay. Me lo disse senza troppi giri di parole, scusandosi e andandosene. Non ti dico come stetti…pianti, depressione…ma alla fine mi passò tutto…pensa siamo ancora amici.

-Oh interessante, ed è bello almeno il tuo ex?

-Beh insomma…a dirla tutta, mi innamorai più delle sue buone maniere, della sua gentilezza, però non è poi tanto brutto.

-Mhm…- rise,- sei divertente Jane.

-Oh beh grazie, ma ho detto solo la verità.

Sorrisi tra me e me.

Il treno intanto aveva iniziato a muoversi, all’inizio un po’ lentamente e poi più velocemente.

-Arriveremo tra poco meno di un’ora. - gli dissi, guardando dal finestrino.

-E tu, ora mi hai detto che non vuoi fidanzarti, ma hai avuto qualche ragazza, no? - continuai.

-Oh certo che sì, non si possono contare da quando avevo quindici anni.

-Pff…quante ne cambiavi all’anno?

-Anche più di una …ma voglio dire, mi hai visto Jane, sono un gran figo, devi ammetterlo.

-Non conosco ancora la tua interiorità per poterlo dire.

Sorrisi sodisfatta.

-Ah ancora questo pensiero hai. E va bene, aspetterò che tu scorga delle virtù in me.- rispose ironicamente,- cosa che vedo un po’ dura. -E poi se avessi saputo prima quel che mi sarebbe successo, sarei stato con molte più ragazze.

-Ehi Dorian Gray dei poveri altro che virtù, sei da prendere a schiaffi per queste frasi, ma comunque il fatto che tu sia ceco, secondo me, non implica che tu non possa più avere ragazze.

-Dorian Gray io? Mi piace! E poi ti ho già spiegato il perché non ne avrò mai più una…ma comunque a proposito della questione dell’interiorità, della bellezza esteriore eccetera, mi sovviene porti una domanda.

-E sarebbe? - chiesi curiosamente.

-Beh, tu affermi di non riuscire a giudicare la bellezza esteriore di una persona, se non conosci prima la sua interiorità, no? …Allora tu come ti ritieni, esteticamente parlando? La prima volta che ci siamo conosciuti, mi sembrò di capire che tu non ti piaccia, quindi non ti piace neanche la tua interiorità?

Ma cos’era una specie di psicologo? Wow…nessuno mi aveva mai fatto una domanda del genere.

Mi schiarii un attimo la voce…

-Mhm, bella domanda…beh vedi io mi ritengo una brava persona, so di avere più difetti che pregi, ma penso di essere brava, ripeto…ma non mi piaccio esteticamente, non mi trovo bella, né attraente o roba così. In effetti il tuo discorso fila liscio, ma non so risponderti davvero…cioè, io penso che l’aspetto esteriore di una persona non sia molto importante, o meglio, non voglio fare l’ipocrita, perché come si dice…anche l’occhio vuole la sua parte, quindi è ovvio che un bel ragazzo, a primo impatto, mi colpisca di più di uno meno attraente ma più buono e intelligente. Ma, come dire…se una persona è marcia dentro, secondo me, anche la sua esteriorità ne risente…Io generalmente faccio questo discorso agli altri, ma non lo applico a me stessa…non so come risponderti davvero…

Mi aveva messo in difficoltà, cavoli. Jane 0-Terence 1.

-Capisco…immaginavo che tu non avresti potuto rispondermi, hai fatto tanto la filosofa e poi…come vedi ora sei in una gabbia da cui non sai uscire.

-Uff ma perché sei così antipatico? - chiesi sbuffando.

Odiavo quel suo essere saccente e arrogante. Che nervi!

-Piuttosto dimmi…perché non ti ritieni bella?- sviò la mia domanda.

-Non c’è un motivo, non mi piaccio e basta. Vorrei essere più alta, più magra, avere una forma del viso diversa, dei capelli più luminosi, un naso più dritto di profilo, delle gambe più snelle e lunghe e la lista è ancora lunga.

-D’accordo…beh dai che mi puoi dire di Jane Ryan, oltre il fatto che il suo livello di autostima è pari a zero?- chiese sorridendo, a fine domanda.

-Che vuoi che ti dica di Jane Ryan, sentiamo…

-Cosa le piace e cosa no?

-Le piace la cioccolata, i marshmallow, le caramelle di gomma a forma di orsetto preferibilmente se sono alla coca cola, i Beatles, i dischi in vinile, il sole, ma anche la luna, e ridere…sì le piace molto, il profumo dell’erba, il lucidalabbra, il suono dei violini, il Natale, la pizza e …non le piacciono i clown, le bambole di porcellana e gli aghi. Mentre a Terence Ashling cosa piace e cosa no?

-Dunque… gli piace Michael Jackson, i Limp Bizkit, il latte con lo zucchero, il caffè italiano, cantare e lo sa fare anche molto bene da quel che dicono gli altri, i bei vestiti, ama l’eleganza e il buon gusto, dunque ama vestirsi bene e…gli piaceva guardare la luna soprattutto quella piena, leggere, scrivere canzoni, e fare tante altre cose. Non gli piace, invece, il fatto di vedere il nero attorno e alcune altre cose.- concluse un po’ tristemente.

Dopo un po’ passò bigliettaio treno per controllare i nostri biglietti, e subito dopo passò una ragazza che ci chiese se volessimo comprare qualcosa dal suo carrello.

-Quindi sai cantare e ti piacciono i Limp Bizkit…wow!- esclamai sorpresa, guardando l’orologio, fra circa venti minuti saremmo arrivati.

-Sì sì…perché ti sorprende, non ti sembro il tipo da rap metal? O meglio come genere non mi piace, ma alcune loro canzoni sì.

-No non mi sembri proprio il tipo da Limp Bizkit, ma… d’accordo, questione di gusti.

Sorrisi e rimasi a guardarlo.

Erano proprio belli i suoi occhi…

-E secondo te, canti bene?- continuai.

-Beh dai penso di sì…il mio cavallo di battaglia è senz’altro Mad World nella versione di Adam Lambert…Te la canterò un giorno.- disse sorridendo,

Le lenti azzurre non mi permettevano di vedere bene le sue iridi, ma si scorgeva lo stesso il colore chiaro e la bella forma dell’occhio. Che peccato che non funzionassero più…

-Va bene.- risposi.

Dopo un po’ rimanemmo in silenzio e il tempo trascorse al punto che dovemmo scendere.

-Siamo arrivati, Terence.

Raccolse il suo bastone, gli presi la mano e con un po’ di attenzione scendemmo gli scalini. Questa volta non c’era bisogno del capo stazione, i corridoi erano liberi da valigie, fortunatamente. Così giungemmo alla stazione di Glasgow. Iniziai a muovermi seguita da Terence tra la folla, alla ricerca del signor McDuff.

-Beh e ora?- chiese.

-Ora sto cercando lo stilista, vediamo un po’…dalla foto sul suo sito web, dovrebbe avere i capelli rossi e corti, la barba e dovrebbe essere molto alto. Lo chiamai giorni fa per dirgli di aspettarci alla stazione…

-Uh aspetta…sì, secondo me è lui.- continuai, scorgendo un uomo che sembrava proprio Matthew McDuff.

-Salve, mi scusi, è lei il signor McDuff?- chiesi avvicinandomi all’uomo in questione.

-Sì e lei è…la signorina Ryan?

Era un bel ragazzo, non c’era che dire, ma era anche sposato, notai infatti che aveva una fede all'anulare della mano sinistra.

-In persona. Lui…è un mio amico…Terence Ashling…

-E sono cieco. - continuò quello spaccone, ridendo.

Quanto avrei voluto prenderlo a schiaffi!

-Oh…ehm…okay…piacere di conoscervi. - continuò, quasi senza parole, il povero stilista.

-Bene…c’è un posto in cui poter parlare tranquillamente? Sa…dovrei parlarle di quella questione di lavoro.

-Sì sì certo, se venite con me, più avanti ho la mia macchina, vi porto al mio ufficio.

Lo ringraziai e poi, camminando un po’ lentamente per via di Terence, arrivai alla macchina dello stilista.

-Bene…se vuole può già accennarmi qualcosa. - dissi allacciando la cintura di sicurezza. Terence aveva preferito sedersi dietro.

-Oh sì…beh…

A quel punto iniziai a spiegare allo stilista il progetto lavorativo assegnatomi, mentre notai dallo specchietto anteriore che Terence aveva lo sguardo posto fuori dal finestrino.

Uffa…mi sentivo così triste quando guardavo queste scene…

***

 

L’ufficio del signor McDuff era molto spazioso. Le pareti erano arancioni, colorate solo da qualche verde pianta qua e là.

Il mio compagno di viaggio aveva preferito rimanere al bar dell’azienda dove lavorava lo stilista. Prima aveva insistito per venire con me, e poi se ne stava al bar…bah che tipo!

-Ho capito tutto…dunque vuole farmi qualche domanda, no?

-Sì…beh, allora iniziamo!

Presi il registratore e il quadernetto con la penna.

-Mi dica, da dove le è venuta l’idea di disegnare un’intera collezione per persone con handicap fisici?

-Beh…l’idea mi venne perché mia nonna è sulla sedia a rotelle. Circa cinque anni fa ebbe un incidente stradale che le causò la perdita delle gambe. Il suo mondo, da allora…cambiò…infatti lei è sempre stata una donna energica, piena di vita, amante dei colori. Sa ama le collane di perle e gli orecchini. Vestirsi, però, era diventato un problema, perché…indossava unicamente lunghe gonne scialbe e scolorite, scomode da indossare… così decisi di provare a immaginare come sarebbe stato se lei o altre persone in condizioni simili alla sua o anche peggiori, potessero indossare stoffe originali, belle, su indumenti comodi e pratici.

Presi nota di tutto…era interessante la storia.

-Feci un po’ di ricerche e iniziai a disegnare gonne lunghe, sì, ma belle…con pizzi, merletti, stoffe pregiate…vede, queste sono alcune foto.

Presi il mio smartphone e scattai alcune foto.

Poi Matthew continuò con la sua storia, a farmi vedere foto e perfino un video di una sfilata di persone sulla sedia a rotelle, ma con abiti meravigliosi, e non solo gonne.

Il tutto durò circa tre ore. Era l’una…ora di pranzo, dunque. Avevo una fame, a colazione avevo mangiato poco e niente, per non appesantirmi. Quando dovevo fare un viaggio, infatti, preferivo rimanere leggera.

Terence non si era fatto proprio sentire. Salutato e ringraziato lo stilista, e fattami una foto con lui per il suo sito e per il giornale, scesi al bar.

Per fortuna lo spaccone c’era ancora. Era seduto, e in mano aveva una specie di tablet, con delle cuffiette collegate che aveva nelle orecchie. Forse stava ascoltando musica.

Mi schiarii la voce e poi mi parai di fronte a lui.

Non fece nulla. Oh già…aveva le orecchie occupate e non poteva neanche vedermi, così bussai sulla sua spalla.

-Jane?- chiese.

-No, Jennifer Lopez! - risposi ridendo.

Sorrise anche lui e poi si tolse le cuffiette.

-Magari…beh hai fatto tutto?- domandò.

Magari? Ma senti a questo.

-Sì…verso le tre però devo ritornare per finire l’intervista. Mi mancano delle foto e alcune telefonate.

-Capisco…ho comprato delle cose da mangiare. Vedi ho chiesto al barista di metterli in una busta sulla sedia accanto alla mia. L’ha fatto?

Spostai la mia traiettoria e vidi effettivamente una busta.

-Sì, sì…mangiamo allora?

Annuì col capo e pose il tablet accanto a sé.

-Cosa stavi facendo con il tablet?- domandai uscendo dei panini dalla busta.

-Leggevo.

Come? Leggeva?

-Temo di non aver capito…

-Leggevo, o meglio ascoltavo. Nel tablet ho salvato vari libri digitali che posso ascoltare.

-Oh scusami…non me ne intendo molto di queste cose digitali.

Non rispose.

-E cosa leggevi?

-Delitto e castigo di Dostoevskij.

-Wow…che libricino leggero!

Rise.

-Cosa vuoi mangiare?- chiesi osservando i panini.

-Va bene qualsiasi cosa…- disse.

Aprii delle carte e gli diedi un sandwich con dell’insalata e del formaggio. Per me scelsi uno uguale.

-Beh com’è il libro?- chiesi aprendo la carta del suo panino.

-Meraviglioso. Io amo Dostoevskij. A te piace?

-Mah… ad essere sincera non è proprio il mio genere. Preferisco libri della letteratura inglese. Sai le sorelle Bronte, Dickens, la Wolfe, Jane Austen…

-Capisco…però Wilde è irlandese. Mi è sembrato di capire, ti piaccia, no?

-Sì abbastanza…hai ragione, so che nacque a Dublino.

Annuii e continuammo a mangiare.

Rimasi ad osservarlo.

Certo che era proprio bello, però. Il suo profilo era molto elegante e il suo volto così serio mi attraeva molto…forse fin troppo.

-Ah…quanto ti devo Terence?- chiesi aprendo la borsa.

-Per cosa?- domando corrugando la fronte.

-Per il cibo.

-Nah, non mi devi niente. Ci mancherebbe che ti faccio pagare. E non dire di nuovo il fatto che sarebbe giusto se ti facessi pagare bla, bla, bla…

-E va bene…grazie.

Testardo, testardo, testardo!

-Ho detto al tipo di mettere anche due lattine di coca cola…credo ti piaccia visto che l’hai presa entrambi i venerdì al locale, e ti piacciano gli orsetti di quel gusto… e per i panini non so se… vanno bene. Non conosco i tuoi gusti.

-Tranquillo, va tutto bene.

-Perfetto.- rispose seriamente.

Voleva fare tanto il serio, poi però mi chiedeva se andava bene il cibo che aveva preso. Che tipo!- pensai sorridendo.

-Sai un tempo viaggiavo molto…amavo fare fotografie ai monumenti più belli. Ogni estate andavo con mia madre in una diversa località orientale. Un anno a Taipei, uno a Tokio, uno a Pechino…amo la cultura orientale.

-Bello, forte come cosa! Io di orientale mi fermo ai manga, agli anime e ai drama.

-Beh dai è già qualcosa, no?- sorrise.

In fondo era stato un bene che fosse venuto Terence, era abbastanza piacevole conversare con lui, per quanto strano fosse…almeno quando non faceva lo spaccone…ovvio.

Dopo aver finito di mangiare, misi le lattine e le varie carte nella busta, e poi andai a buttare tutto. Prima di tornare a sedermi però, il signore del bar mi fece segno con l’indice di avvicinarmi.

-Mi dica.- dissi avvicinandomi.

-Signorina, ma quello lì è il suo fidanzato?- chiese sotto voce l’uomo indicando Terence.

-Come? No, non è il mio fidanzato. Perché?

-No, sa…prima avevo lavato il pavimento e non mi ero accorto che quel ragazzo si stesse avvicinando alla cassa…pensavo vedesse il cartello con su scritto che il pavimento era bagnato, ma non è stato così ed è caduto. Ho capito che è cieco. Se è suo amico, può controllare che ora stia bene…prima ho provato ad aiutarlo, ma mi ha detto che era tutto okay. Può dare un’ulteriore controllata lei?

Non mi aveva detto niente.

-Oh sì certo, lo farò senz’altro. Grazie mille.- ci scambiammo un sorriso e mi allontanai.

Ritornai a sedermi sulle sedie dove avevamo mangiato.

-Terence?

-Sì?

-Per caso sei caduto, prima?

-Come? Ah sì…te l’ha detto il barista?

-Sì…stai bene?

-Mhm mhm! Può succedere…se sei cieco, no?

-Può succedere a tutti.- risposi.

-Sì…

-Perché allora mi sembri un po’ strano?

-Io sono strano cara Jane, dovrai abituartici se vuoi diventare mia amica.

Diventare sua amica…

-D’accordo come vuoi.

-Vuoi che ti racconti ciò di cui ho parlato con McDuff?- continuai.

Annuì col capo e così iniziai a parlare di tutto il lavoro svolto fino a quel momento.

Verso le tre, il signor Matthew scese giù al bar dicendomi che potevamo continuare il nostro lavoro. Chiesi a Terence se volesse salire ma mi disse che preferiva continuare ad ascoltare il suo libro.

Così deciso, ritornai al mio lavoro.

***

 

-D’accordo signor McDuff, ho preso nota di tutto, ho fatto foto e visto video, non saprei come esserle più riconoscente per aver speso del tempo per questo progetto.

-Ma si figuri signorina Jane, è stato un piacere. E poi…è una cosa che mi darà anche un po’ di fama e notorietà, anche se fortunatamente non mi mancano. Mi avvisi allora quando il suo articolo sarà pronto, sarò il primo a comprare un numero dell’ “Edinburgh Fashion Magazine”.

Gli sorrisi e ci stringemmo la mano, dopodiché raccolte le mie cose, scesi giù al bar.

-Terence ho finito, possiamo andare.- dissi quando notai il mio compagno di viaggio rigorosamente concentrato ad ascoltare il suo tablet.

Ovviamente non mi aveva ascoltato.

Ribussai di nuovo alla sua spalla. Il suo viso si alzò di fronte a me.

-Ehi sono Jennifer Lopez, possiamo andare.- lo presi in giro, ricordando le battute scambiateci prima.

Terence scoppiò a ridere.

-D’accordo.

Ripose il tablet e le cuffiette nella valigia che si era portato, e poi preso il suo James e la mia mano ci avviammo.

-Beh sono le cinque e mezza…considerando che il treno passa alle sei e venti e che da qui alla stazione ci vogliono un venti minuti…direi di sbrigarci.

-Prendiamo un taxi?- propose.

-D’accordo, ma non vorrei costassero molto...

-Ancora con questo fatto? Jane, quando tu sei con me, i soldi non sono un problema.

Lo guardai, era molto serio.

Risposi con un okay poco convinto e poi prendemmo il taxi.

 

Il viaggio fu piuttosto tranquillo. Il treno era semi deserto e una calda luce filtrava dalla tendine verde acqua che coprivano le finestrelle del treno.

Come all’andata passò di nuovo il bigliettaio, mentre io e Terence rimanemmo a parlare un po’.

-Che ne dici se ascoltiamo un po’ di musica?- propose mentre io osservavo i bellissimi paesaggi di Glasgow passarmi davanti.

-Sì, ci sto!

A quel punto aprì la sua borsa ed estrasse un I-Pod argentato e delle cuffiette.

-Arctic Monkeys?- chiese.

-Sì dai.

Mi passò una cuffietta e rimanemmo ad ascoltare Do I Wanna Know, conoscevo questa band e così cantai con loro, mimando le parole della canzone.

-Ti piace?

-Abbastanza…- risposi.

Sorrise e dopo qualche minuto aprì nuovamente la sua valigetta, per poi tirar fuori un pacco di caramelle…ma un attimo, erano forse orsetti di gomma alla coca cola?

-Ne vuoi qualcuna?- mi chiese.

-Oh…sì…ti ho detto che le amo! Ma non dirmi che il signor Ashling le ha comprate per me? – domandai ridendo.

-No certo che no! Mi piacciono e le ho prese…chiederti se tu ne volessi era solo un gesto di cortesia. Perché sai io sono molto cortese come ragazzo.- disse seriamente, ma poi le sue labbra si curvarono in un sorriso.

-Sì sì come no.- risposi ridendo.

Sebbene non avessimo passato poi così tanto tempo insieme, ero stata bene in sua compagnia…ma sì in fondo Terence Ashling non era per niente male…

TO BE CONTINUED…

 

Ciaoo ragazzi!^__^

Vi ho fatto aspettare un po’ per questo capitolo, scusate!^^

In questi giorni mi sto gasando di serie tv orientali, quindi sto perdendo più tempo xD

In questo capitolo vediamo un po’ dei progressi che Jane ha fatto in ambito lavorativo con il signor McDuff, scorgiamo un po’ di fragilità in Terence, e conosciamo anche alcuni suoi gusti musicali ( ho scoperto da poco gli “Arctic Monkeys” e sono bravissimi *__*...non ho potuto non citarli) e vediamo che sa essere anche dolce comprando le caramelle preferite da Jane <3

La citazione iniziale è tratta dal libro "Jane Eyre" che sto leggendo attualmente, l' ho ritenuta adatta all'atteggiamento che Terence ha quando dialoga con Jane. Che dite, ho scelto bene? ^^ ;)

Che dire spero che il tutto sia piaciuto e non abbia deluso nessuna aspettativa e di ricevere qualche commento ;)

Per concludere vorrei dire mille volte grazie a : Helmwige e Sun_Rise93 per le loro recensioni,  grazie di cuore ^^

E grazie anche a : _maryan84_ ,cassandrablake, myllyje, per aver aggiunto la storia alle seguite. <3

Mille baci e alla prossima ;))

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo cinque

 

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

È un errore confondere ciò che è strano con ciò che è misterioso.

Arthur Conan Doyle

Quando il treno si fermò alla stazione Waverley, io e Terence scendemmo con più facilità rispetto all’andata, notando il signor Harrison, ad aspettare il mio accompagnatore.

-Buonasera signore, salve signorina Jane!

-Salve a lei, signor Harrison! Beh…allora ci sentiamo presto, Terence…vado a fare il biglietto dell’autobus.

-Non ce n’è bisogno. Come ti ho detto, giorni fa, tendo ad accompagnare coloro che mi fanno compagnia.

-Ma in questo caso sei stato tu a farne a me, non credi?

-Sciocchezze! Ho insistito io per venire con te, dunque…accetti o rifiuti la mia offerta?- chiese con il suo solito tono freddo.

-Accetto volentieri.

Harrison allora, preso sotto braccio Terence, mi guidò verso la sua auto, solo che da quel che ricordavo era diversa rispetto a quella con cui venne a prenderci al parco, tempo fa.

-Wow che bella macchina!- esclamai, dopo averla osservata bene.

Terence tastò con le mani la sua auto, poi trovato il manico della portiera, l’aprì invitandomi ad entrare con un silenzioso “prego”.

-Quale modello hai scelto oggi, Harry?- chiese, ora.

Doveva avere molte macchine, per dire “quale hai scelto”, e poi Barbie mi disse che il nonno Ashling possedeva cinque Ferrari. Dovevano essere molto ricchi.

-Lamborghini Reventón, signore!

-Sembra la Batmobile.- continuai osservando le perfette rifiniture dei sedili rivestiti in pelle nera.

Terence si limitò a sorridere leggermente, poi messa la cintura di sicurezza il viaggio verso la mia casa, ebbe inizio.

Quando arrivammo, Terence mi diede il pacco di caramelle gommose comprate al bar dell’azienda dove lavorava McDuff, dicendomi che ne aveva mangiate a sufficienza sul treno e che non avrebbe saputo più che farsene, ovviamente il tutto condito dal suo tono serio e freddo.

Che bugiardo! Ne aveva mangiato sì e no due di caramelle.

Le accettai, ringraziandolo e sorridendogli di un sorriso che, purtroppo non avrebbe potuto vedere.

Preso l’ascensore, aprii con le chiavi di casa la porta del mio appartamento.

-Sono a casa!- urlai, sapendo di trovare Abbie.

-Janee, sei tornata finalmente. - mi salutò gioiosamente la mia coinquilina.

-Già,- le sorrisi,-…Dio Abbie mi sento stanchissima.

-Eh lo immagino…oggi per me è stata una giornata più leggera, invece. Ho fotografato varie auto, ma a sorpresa Sandra, quella scorbutica, era in malattia…- disse riferendosi alla sua datrice di lavoro.

Risi per il modo in cui disse “scorbutica”.

-Beh dai racconta, ma aspetta…cosa vuoi per cena?

-Mhm…pizza?- proposi.

-Sì ci sto…e poi che ne dici di una bella serata tra amiche? Ti metto lo smalto e proviamo una crema corpo all’arancia che ho comprato oggi pomeriggio, e vediamo un dvd? Sai voglio farmi perdonare per questi venerdì.- disse guardandomi negli occhi.

-Non hai nulla da farti perdonare, tesoro. – le accarezzai una guancia - Comunque ci sto.

-Perfetto, e poi voglio anche che mi parli di come è andato il viaggio, e di…Terence, ovviamente!- continuò con entusiasmo.

-Va bene, va bene…ma ora fammi andare a cambiare, mi faccio anche una bella doccia calda. Tu chiama la pizzeria intanto…per me una quattro formaggi.

-Lo so, lo so, baby.

E così mi gettai, per la seconda volta nella giornata, sotto il caldo gettito della doccia.

Dopo essermi infilata un pigiama con delle simpatiche giraffe disegnate sopra, mi piombai in salotto, dove Abbie aveva già preparato il tavolino e la postazione dvd, per le “serate tra amiche” come amava definirle lei.

-Non sono ancora arrivate le pizze?- chiesi non notandole ancora.

-No, baby…sai quanto ci mettono quelli del ristorante italiano, asportano anche pietanze italiane oltre che pizze.

-Sì è vero.

-Ma dimmi, quelle caramelle da dove vengono?- chiese indicando il pacco di orsetti alla cola che avevo ,distrattamente ,lasciato sul divano.

-Me le ha regalate Terence.

Gli occhi di Abbie si illuminarono.

-Oh, oh…e come mai?

-Le ha comprate al bar dell’azienda dove sono andata per raccogliere documenti per l’articolo, per lui, come ha sottolineato…certo ho capito che in realtà, le ha comprate per me… è stato un gesto di cortesia...

-Mhm…va bene! Fa bene il mio sesto senso a dire che tu attrai quel ragazzo. Però dai raccontami com’è andato il viaggio.

-Bene, abbastanza bene. Terence ha insistito tanto per farmi compagnia, ma poi è rimasto tutto il tempo al bar dell’azienda del signor McDuff. Parlando di quest’ultimo è un bravo ragazzo, mi ha dedicato molto tempo e ho raccolto abbastanza foto, video e testimonianze per abbozzare una prima parte di articolo.

-E cosa ti manca?

-Devo raccogliere altre testimonianze…e per questo quel presuntuoso dovrebbe essermi d’aiuto.

-Ma perché lo chiami sempre presuntuoso? Non te l'ho mai domandato. - mi chiese, versandosi della birra.

- Abbie si vede che non ci hai mai parlato, altrimenti non mi faresti neanche questa domanda. E’ altezzoso, arrogante, freddo e poi…mi sa mettere in difficoltà con le parole.

-Wow, non pensavo ci sarebbe mai riuscito qualcuno. - disse sorridendo.

-Neanch’io, e invece…in treno mi ha messo in una difficoltà pazzesca.

-Sentiamo, sentiamo, sono curiosa!

A quel punto non potetti risponderle, perché il citofono di casa suonò. Dovevano essere le pizze.

-Vado io, baby! Tu inizia a scegliere un dvd, così dopo che finiamo di mangiare e…conversare, ce lo vediamo.

Feci come aveva detto, scegliendo Chocolat con Johnny Depp e Juliette Binoche, uno dei miei film preferiti.

Quando Abbie risalì, aprimmo i cartoni fumanti e iniziammo a mangiare.

-Beh! Mi stavi dicendo…

-Niente praticamente, hai presente quando ti dissi che la prima volta che incontrai Terence, gli risposi alla sua domanda se lo ritenessi bello o meno, che non giudicavo l’esteriorità di una persona se non conoscevo prima la sua interiorità?

-Ah ha.- annuì masticando un pezzo della sua pizza con acciughe.

-Beh…mi ha chiesto se applico anche questo discorso su me stessa e quindi come mi ritengo interiormente, visto che non mi piaccio esteticamente.

-Wow…è un genio quel ragazzo.

La guadai male, addentando la mia pizza.

-Genio? Beh io direi più psicologo, è molto intelligente su questo non c’è dubbio! Poi mi ha detto che sa cantare e poco altro di sé…insomma adesso lui conosce molto più di me e io conosco poco e niente di lui.

-E ti piacerebbe conoscerlo?- sorseggiò la sua bevanda.

-Beh…sì, sembra interessante.

-Ed è molto carino…- continuò più maliziosamente, Abbie.

-Ma poi tu sai come sono i suoi occhi? Il colore intendo?- continuò.

Ingoiai il mio boccone e poi le risposi.

-Sì sono un colore indecifrabile…come il suo carattere. Ce li ha di un verde mischiato all’azzurro…inutile dire che sono stupendi.

-Oh finalmente un complimento…

-Sì ma di pregi penso li abbia…è fragile, molto secondo me… e legge Dostoevskij … e ho detto tutto.

-Wow…che coraggioso! Io mi fermo ai libri di Sophie Kinsella…- rise facendo ridere anche me. – Comunque Jane conoscilo ancora a fondo, indaga ma non essere appiccicosa, domanda, chiedi, scopri…è un ragazzo che incuriosisce. Secondo me poi , lo ripeterò fino all’infinito, lo interessi…altrimenti non avrebbe voluto fare un viaggio con te…

-Probabile…d’altronde me lo disse lui stesso che lo incuriosivo…boh, ho ancora le idee poco chiare.

La mia amica annuì col capo poi finimmo di mangiare la nostra cena, sorseggiando io una buona coca cola e lei la sua birra.

-Ah poi mi ha accompagnato lui al ritorno, e non ti dico…aveva una macchina bellissima.- continuai buttando il cartone della pizza nella spazzatura.

-Vero? Che modello era?- i suoi occhi si illuminarono.

-Non ricordo bene il nome, ma era una Lamborghini…

-Wow…adoro le auto italiane…vorrei tanto vederla. Anche perché Sandra vuole inserire nel giornale delle pagine dedicate al confronto tra auto d’epoca e auto contemporanee, quindi…che ne dici se chiedo a Terence se posso vederla?

-Penso che non dovrebbe esserci nessun problema…se vuoi ti do il suo numero.

-D’accordo, grazie baby. Beh che film hai scelto?

-Chocolat con il mega, extra, super figo nostro attore preferito…

-Jhonnyyy!!

Al sentire quel nome strillammo insieme come due adolescenti…ma in fondo io ed Abbie, nel nostro rapporto di amicizia, eravamo ancora un po’ delle ragazzine. E a me la cosa andava più che bene.

-Aspetta che prendo la crema e gli smalti…tu che colore vuoi?

-Mhm…arancione!

-Arrivo subito, allora.

Spostai il tavolino dove avevamo mangiato e inserii il dvd nel lettore. Dopo un po’ ritornò la mia pazza amica con ciò che aveva detto più adesivi e brillantini per unghie.

-E tu con Tom? Non mi stai raccontando molto di voi due.- constatai.

-Già, hai ragione…scusa anche per questo, comunque tutto perfettamente bene, solo che…- vidi che si rabbuiò un attimo.

-Solo che…?- la incitai.

-Solo che sono troppo gelosa, si sono rotti alcuni computer negli uffici dove lavora, e hanno chiamato una ragazza, una che sa riparare i computer…io l’ho incontrata…ed è bellissima.

-E beh? Dove sta il problema? Tu sarai senz’altro più bella di lei…e anche se fosse Miss Universo, non penso che il tuo Tom sia così superficiale da basarsi sollo sull’esteriorità.

-E se tra una chiacchiera e l’altra, scoprisse che è bella anche dentro?

-Abbie, lui ha già una ragazza stupenda e meravigliosa sia dentro che fuori, quindi stai tranquilla.- la rassicurai.

-Grazie Jane, ti adoro…però mi farai piangere se continui con queste parole, quindi basta…iniziamo a vedere il film, non vedo l’ora di vedere Johnny.

Inutile dire che la serata trascorse benissimo, la crema all’arancia mi sortì un effetto benefico e le mie unghie sembravano delle vere opere d’arte.

***

 

Il lunedì successivo, in ufficio, la prima cosa che feci fu aprire la pagina bianca di word sul mio computer…dovevo iniziare a scrivere l’articolo, oppure non ce l’avrei fatta con le tempistiche, a correggere, aggiungere foto e quant’altro.

Dunque…dovevo iniziare con il dare un titolo all’articolo, almeno uno provvisorio in attesa di quello ufficiale, che avrei messo solo quando l’articolo fosse stato concluso. Ci pensai per svariati minuti… dovevo trattare come argomenti: la moda e il suo rapporto con le persone disabili. Mhm…e se…sì questo poteva andare, anzi no…e questo? Nah non c’entrava nulla! Uff…provai vari titoli, che cancellai prontamente…passarono diversi minuti, finché, sì forse questo poteva veramente andare, il titolo provvisorio sarebbe stato: “Diversamente alla moda”. A mio dire suonava proprio bene.

Ora a noi articolo. Mi incantai a guardare il soffitto, poi le finestre, poi i miei colleghi lavorare, poi la mia scrivania disordinata e poi, sentendomi finalmente pronta, le mie mani iniziarono a pigiare i tasti della tastiera.

 

Moda. Appena sento questa parola, la prima cosa che mi viene in mente sono: le passerelle, le modelle, le sfilate e i capi delle grandi boutique. Immagino sia lo stesso per molte donne.

Poi mi vengono in mente le stoffe pregiate, i merletti, i nastri, i cappelli, i guanti e tutti i più bei capi d’alta sartoria, ma anche i grandi centri commerciali, i camerini e gli specchi in cui, noi donne “comuni mortali” e non modelle, ci specchiamo notando che un abito addosso a Naomi Campbell, non ha lo stesso effetto che ha su di noi. Poi specchiandomi sempre allo specchio di un camerino, nello stesso momento di una signora sulla sedie a rotelle, mi rendo conto che anche qui le cose sono ben diverse tra me e lei…e mi chiedo: perché? Perché un abito come quello di Charlize Theron alla premiazione dei premi Oscar 2013 non è facilmente reperibile per una signora più bassa, o più in carne o che presenta una disabilità fisica? La risposta, purtroppo non è facile da trovare, ma cercando, navigando sul web e leggendo documenti, ho trovato che c’è chi ha cercato di dare una risposta a questa domanda, in maniera molto concreta. Questo qualcuno è Matthew McDuff (in basso a sinistra la foto), uno dei primi stilisti di un’intera collezione per persone con handicap…e che collezione, cari lettori e care lettrici…

 

Okay…rilessi quello che fino ad adesso avevo scritto…avevo paura…e se stavo scrivendo cavolate? E se non andava bene? Oh insomma- tuonò la mia vocina interiore-…Jane, fai la giornalista di professione da più di tre anni, dovresti stare tranquilla.

Dopo qualche minuto, la calda voce di Bob Dylan si diffuse nel mio ufficio. Gli occhi dei presenti si rivolsero verso di me. Era il mio cellulare. Era Terence.

-Pronto?- chiesi, uscendo dalla stanza e andando vicino alla macchina del caffè.

-Buon giorno Jane.

-Oh Terence…non pensavo di mancarti già.- lo presi in giro con la stessa frase che usò quando lo chiamai il giorno in cui venne Tom a cena.

-Non è bene plagiare le frasi altrui Jane.- lo sentii ridere,- in ogni caso, penso che dovremmo organizzarci per il giorno in cui vederci per farti incontrare i miei amici disabili.

-Oh già, hai ragione, scusami mi stava quasi passando di mente…e niente, dimmi tu.

-Io lavoro dal lunedì al venerdì, cinque ore la mattina e tre il pomeriggio, quindi…forse il fine settimana è sempre la soluzione migliore. Potremmo andare venerdì pomeriggio…io lavoro dalle due alle cinque. Tu?

-Io lavoro fino alle sei…si potrebbe fare.

-Perfetto! L’orario delle visite inizia alle sei e mezza, dunque alle sei fatti trovare fuori, davanti l’Edinburgh Fashion Magazine, verrò con Harrison.

-Benissimo, ma sai dov'è?

- Certo, conosco tutto ciò che concerne la nostra città. 

-Perfetto, allora! A venerdì Terence.

-Buona giornata Jane.

Chiusi la chiamata e tornai in ufficio. Alla fine, ogni venerdì lo stavo passando con questo nuovo ragazzo…era forse destino?

-Ah Jane, eccoti qui!- disse Freddie appena entrai,- ragazzi, il capo mi ha appena detto di dirvi che ci vuole tutti nella sala delle riunioni.

-Cosa vuole?- chiese Vincent.

-Non saprei…credo voglia aggiornarci su qualche nuovo lavoro.

-Sai se ci saranno anche quelli del secondo piano?- chiese, Steve.

-Credo proprio di sì.- rispose Freddie.

-Oh no!- rispose il mio collega, passandosi nervosamente una mano nei capelli neri.

Dovete sapere che al secondo piano lavorava Arabella Thompson, la sua ex o quasi fidanzata. I due si amavano ancora…solo che per motivi di gelosia, finivano sempre per rompere…inutile dire che Steve ci soffriva, ma era troppo testardo per mettere la gelosia da parte e fare pace con la sua anima gemella.

-Dai su Steve, non fare così…magari trovi qualche altra pollastrella. – sogghignò Vincent…era il solito Don Giovanni da strapazzo.

Andava anche detto che era un bel ragazzo. Dal fisico slanciato, con spalle larghe e con luminosi capelli biondi. Il tipico uomo dalla faccia d’angelo.

Salvata la bozza di articolo che avevo scritto, andammo tutti in sala riunioni.

Ovviamente quest’ultima traboccava di gente del primo, secondo e terzo piano. Quelli del quarto e del quinto sarebbero sicuramente scesi dopo di noi.

George era seduto su una poltrona in pelle marrone, a capo di un lungo tavolo di un vetro celeste. Quelli del primo piano, avevano già occupato tutte le sedie disponibili, quindi io e molte altre persone rimanemmo in piedi.

Mi chiedevo ancora come quel decerebrato non si decidesse a comprare degli schermi per gli annunci da mettere nei corridoi dell’azienda. Bah!

-Cari signori e care signore,- ma che razza di saluto era? - vi ho convocati in riunione per togliervi solamente cinque minuti e aggiornarvi sul fatto che ho appena ricevuto una telefonata. Una telefonata in cui mi è stato riferito che tra due lunedì, quindi non questo che verrà ma l’altro, avremo ospiti al nostro giornale, l’intero staff di modelli e segretari di due dei più importanti stilisti al mondo: Calvin Klein e Christian Louboutin.

A quelle parole ad alcune ragazze, compresa Barbie e compreso Freddie, si illuminarono gli occhi e molte emisero gridolini di gioia. Anch’io mi sentivo eccitata all’idea di vedere dei modelli e di conoscere le persone che lavoravano con stilisti così importanti. Era da tempo che l’aria non profumava di queste belle novità…ultimamente il giornale era occupato più su casi locali che su altro e su stilisti di poca fama.

 -Inutile dirvi che pretendo il massimo della professionalità e della serietà. Tramite miei contatti sono riuscito a far arrivare questi staff prima che andassero a Vogue, dunque esigo che sforniate articoli ineccepibili, ricchi di foto, interviste ai modelli, alle segretarie, che vi informiate su tutti i materiali usati e compagnia varia…non sono qui per farvi lezioni di giornalismo. Detto questo, fate in modo che gli altri vostri colleghi scendano. Grazie dell’attenzione e buon lavoro!

A passo di lumaca fummo tutti fuori dalla sala delle riunioni. A quanto sembrava, dopo l’articolo sul rapporto moda- disabilità mi spettava un altro bel da fare…ma dovevo fare in modo di aggiudicarmi la prima pagina.

Tornati in ufficio, prendemmo tutti nuovamente posto, tranne Barbie.

-Ragazzi avete sentito che figata? Cioè i modelli Calvin Klein, ci rendiamo conto?

-Eccome…- rispose con occhi sognanti Freddie che prontamente ricevette un’occhiataccia, che mi fece ridere, da Vincent e Steve.

-Sono super contenta, ma in ogni caso, desidero farvi una domanda adesso.- riprese Barbie, facendo muovere la sua chioma bionda e i ciondoli appesi ai suoi braccialetti etnici.

-E sarebbe?- chiese il mio biondo collega.

-Siete liberi questa sera?

-Io temo di no…dovrei avere una partita a scacchi- rispose Vincent.

-Io devo lavorare al compito che mi ha dato George. – continuai.

-Io ho la cena dai miei.- rispose Steve.

-Io sono liberissimo.- concluse Freddie.

-Bene…ragazzi liberatevi da qualsiasi impegno, stasera vi porto tutti a cena fuori…ho una grandiosa notizia da darvi, e non accetto un ‘non posso’ come risposta.

-Io credo di saperla già, bijou.- si intromise il mio ex.

-Zitto pettegolo, è ovvio che tu lo sappia già.- sorrise la mia collega.

Erano molto amici quei due pazzoidi.

-E dove ci porti?- chiesi curiosamente.

-Al “Queen Victoria”!!- rispose con un sorrise a trentadue denti.

-Intendi quel Queen Victoria?- quasi boccheggiò il moro.

-Esatto!

-Scusate ma cos’è il Queen Victoria?- chiesi con curiosità.

Non ero solita uscire molto la sera. Vi avevo accennato, che a causa del troppo lavoro, la mia vita sociale era a rischio!

-Non sai cos’è il Queen Victoria? Cioè Jane, cambia amicizie, cara! E’ uno dei ristoranti più di lusso della capitale, tra i più eleganti e raffinati, premiato con ben due stelle Michelin.

-Oh scusami Vincent se preferisco una bella pizza!- ribattei, offesa dalle parole del mio collega…se le cambiasse lui le sue amicizie.

-Su su ragazzi non litigate, allora vi aspetto questa sera alle otto e mezza davanti al locale. Oh Jane…se non sai dov’è, telefonami pure!

-Certo, grazie Barbie.

Così detto ognuno riprese il proprio lavoro in maniera piuttosto tranquilla, ma con una Barbie particolarmente sorridente…chissà che aveva da dirci.

 

 

***

 

-Secondo me è meglio il tubino nero!- disse Abbie, mentre posavo prima il tubino, ancora sulla gruccia, e poi una gonna su di me, davanti allo specchio.

-Dici?

Si alzò dal mio letto e si avvicinò al mio armadio.


-Yes! Poi ci metti sopra quella bella giacca corallo alla Chanel che comprasti ai grandi magazzini, le francesine di vernice nera e una collana che ti presto io.


-Perfetto…sono contenta che tu non mi abbia chiesto di mettere delle decolleté.


-Ti conosco bene ormai, e so che usi le scarpe con il tacco solo quando sei costretta, ma pensando che dovrai intervistare i collaboratori di Louboutin, mi viene da ridere.


-Beh in effetti, però non nego che le scarpe che disegna quell’uomo sono magnifiche…


-Già, un po’ meno magnifici sono i prezzi, ma pazienza…piuttosto, mi hai detto che incontrerai anche dei modelli Klein, uoh uoh!- rise.


-Ebbene sì…sono curiosa di conoscerli.- ricambiai il sorriso.


-Ci credo baby, chiedi se serve una fotografa,- mi fece l’occhiolino- Dai ora andiamo a truccarti, poi ti devo accompagnare al Queen Victoria, giusto?


-Sì, la mia collega ha detto di volerci dire una notizia grandiosa.


-Chissà magari vuole dirvi che si sposa.


-Barbie sposarsi??? Nah non credo!
***

 

-Ti ha chiesto di sposarlo? Wow ma è grandioso, bellezza.- esclamò felicemente Vincent.

Ero davvero molto sorpresa. Barbara era sempre stata una collega molto vivace e contenta nel raccontare ogni aneddoto della sua vita, compresa quella sentimentale, ma
mai avrei pensato al matrimonio, essendo fidanzata da solo un anno con un tipo di nome Michael.


-Congratulazione Barbie, sono contentissima per te.- le dissi abbracciandola, essendo seduta accanto a me.

Di fronte a noi erano seduti Vincent e Steve e a capo tavola c’era Freddie. Il nostro tavolo era vicino ad una grande finestra.

Il ristorante in cui ci aveva invitato era davvero un bel locale, come aveva detto Vincent, raffinato ed elegante. I colori predominanti erano il crema, il rosso e il nero. Il crema delle tovaglie, il rosso delle rose che circondavano gli angoli della sala e che riempivano i vasi al centro dei tavoli e il nero delle finestre e dei quadri che presentavano anche del bianco.

-E quando te l’ha chiesto?- chiese Steve.


-L’altra sera, a cena a casa mia. Stavamo vedendo Once Upon a Time, le ultime puntate sapete, poi dopo qualche secondo si è messo davanti alla tv, sotto le mie proteste, si è inginocchiato e mi ha fatto la proposta, dandomi questo.- finì mostrandoci il suo anello con brillante, che risplendeva tra i suoi anelli indiani.


-E come mai in ufficio non l’hai messo?- chiesi.


-Beh volevo farvi una sorpresa.- sorrise con un sorriso smagliante.- Ovviamente siete invitati tutti al mio matrimonio.

I suoi occhi erano luminosi e brillanti, e si vedeva che era contenta.


-Dunque ricapitolando le situazioni sentimentali del nostro ufficio…-iniziò Vincent fermandosi a sorseggiare del vino bianco,- Barbie si sta per sposare, io sono single ma le pollastrelle non mi mancano, Steve è ancora cotto marcio della sua Arabella Thompson…


-Ehi!Io non sono cotto di nessuna Thompson.- protestò il moro, arrossendo.


-Sì sì certo, poi Freddie? Tu come stai messo?


Io intanto continuai a mangiare la mia fetta di carne condita da della crema di asparagi. Ora capivo come mai avesse ricevuto due stelle Michelin


-Io? Oh beh io…sto uscendo con un ragazzo.


Lo guardai…era pur sempre il mio ex…era normale che una parte di me fosse ancora legata a lui.


-Ma davvero? E come si chiama e dove l’hai conosciuto? – chiese il biondo.


-Si chiama Edward e fa il barista in un locale in cui sono andato qualche settimana fa.- concluse con le guance imporporate di rosso.


-Ma bene bene, contento per te! E dunque rimani solo tu…Jane. Che ci dici di te?


Posai la forchetta e guardai i miei colleghi che mi osservavano curiosamente.


-Oh…beh io sono single.- risposi sorridendo.


-Ma che peccato…posso farti compagnia io, se ti va, dolcezza.- rispose maliziosamente Vincent, ricevendo una mia occhiataccia.


-Oh mai lei non ha bisogno di compagnia…conosce uno dei giovani Ashling…- continuò Barbie.


-Ashling? Non mi dire che stiamo parlando di Heathcliff Ashling?- continuò sorpreso il moro.

Heathcliff? Chi era? Il fratello, forse?

-No, lei conosce il fratello, Terence.

-Oh…ma guarda guarda, la piccola Jane chi conosce. Ma sai che quel ragazzo è cieco?

Ma come? Price sapeva chi era Terence? E perché anche Steve e Freddie sembravano impressionati? Possibile che lo conoscessero? E perché io non sapevo nulla di questa famiglia?

-Sì, è ovvio che lo sappia, non è difficile capirlo…in ogni caso è solo un mio conoscente. Nessuno si mettesse strane idee in testa.- borbottai bevendo la mia acqua frizzante. La coca cola faceva poco ‘chic’ in un locale del genere.

-Mhm, comprendo!- mi fece l’occhiolino Barbie.

-Oh, ma guardate! Lupus in fabula!- riprese Freddie.

Mi girai nella direzione in cui il mio ex stava guardando e vidi…, oh ma non era possibile! Terence stava entrando nel locale? Accompagnato da una sventola bionda e altissima?

-Oh oh, e chi è quella bella pollastra?

Vidi che la bionda aiutò Terence a sedersi ad un tavolo in una posizione piuttosto centrale. Dovevano aver prenotato! Dalla mia posizione potevo vedere le spalle dello spaccone e il viso della bionda.

Prontamente dei camerieri circondarono il loro tavolo.

-Tu lo sai, Jane?- chiese Steve.

Nuovamente gli occhi di tutti furono su di me.

-No.

-Mhm…e se fosse la sua ragazza?- propose Barbie.

-No!- risposi prontamente- Terence mi ha detto che non vuole fidanzarsi con nessuna.

-E’ strano però!…è molto bella! Avete visto che gambe?!- continuò il biondo.

Era davvero una bella ragazza, con un bel corpo fasciato da un abito rosso e slanciato da dei sandali alti e neri. Capelli vaporosi e grandi occhi.

-Già…e se fosse una sua collega?- propose Steve.

-O sua sorella?- chiese, quasi illuminata da un’idea, Barbie.

-Bah…ma perché non vai a salutarlo, tesoro? Lo conosci, no?- chiese Freddie.

-No, non credo che sia il caso…sta cenando con una persona e non penso…

-Ma cosa! Vai Jane, è scortese da parte tu non salutare qualcuno che conosci.

-Al massimo lo saluterò se la ragazza si allontana, mi imbarazzo.- ammisi.

-Sì…e se non si alza?

-Nah…tutte le donne, quando sono a cena in un ristorante, si alzano almeno una volta.- rispose Barbie, fissando i due al tavolo centrale.

-Beh vabbè…lasciamo che sia Jane a decidere cosa fare! Parliamo di altro, okay? Oggi è la serata di Barbie, parliamo di lei.- continuò Steve, facendomi un'occhiolino. 

Gli sorrisi grata.

Ecco perché mi stava simpatico quel ragazzo!

La cena proseguì in maniera tranquilla, tra risate, pettegolezzi, e buoni cibi. Inutile negare, però, che il mio occhio cadeva sempre casualmente, sul castano e su quella biondina.

Quando la cena si concluse erano circa le undici e un quarto. Barbie andò a pagare il conto, e mentre i miei colleghi uscirono all’aria aperta per una sigaretta, io rimasi ad aspettarla.

Ad un cero punto notai però che la biondina che faceva compagnia a Terence, si allontanò, andando verso il bagno, così presi un po’ di coraggio e andai a salutarlo.

-Buona sera Terence.

Vidi che girò il capo a destra e a sinistra.

-Profumo di biscotti e caramelle…Jane? Sei davvero tu?- chiese sorpreso.

-Sì, sono venuta per una cena offerta da una mia collega e ti ho vista, quindi sono venuta a salutarti.

-Oh, capisco.

Sembrava...teso…

-E tu? Ho notato che…eri in compagnia.

-Sì…infatti. E ora, te ne stavi andando?

Perché nel suo tono notavo quasi della…fretta?

-Sì…Me ne stavo andando…vabbè…allora niente, ci sentiamo Terence.

-Ehi…scusa…non volevo sembrarti scortese…solo che non è un bel momento…allora a presto, ciao Jane.

-Ciao.

Forse non era stata una buona idea andare a salutarlo. Sembrava quasi che volesse che me ne andassi. ‘ Non era un bel momento’ Bah…chissà perché? E se fosse realmente stata la sua ragazza e tutto ciò che mi aveva detto in proposito fosse stato solo una balla? Bah, non aveva importanza! D’altronde chiunque fosse stata quella tipa, a me non importava più di tanto…

 

CONTINUA…

 

Ciaoo ragazzi!!^^

Oh, finalmente sono riuscita a finire questo capitolo!(che mi convince non molto, sono sincera '^^') Cosa ve n’è parso?^^

Terence non è molto presente, avete ragione, ma ho preferito dare più spazio a Jane, alla sua vita lavorativa, e alla sua amicizia con Abbie.

Vediamo un altro appuntamento, se così si può dire, tra i nostri protagonisti che si terrà al centro di riabilitazione e che avverrà , come sempre, di venerdì, e l’arrivo dei modelli Calvin Klein… ho una già un’idea in merito…!

Poi sappiamo anche che il nome del fratello di Terence è Heathcliff (ieri ho comprato Cime Tempestose, capitemi ^^)

 E infine abbiamo la comparsa di questa bella biondona! Voi chi credete sia? Sono curiosa!

Bene, ora posso passare ai ringraziamenti. Volevo ringraziare di cuore : Helmwige, romy2007 (mi hai dato una splendida idea, vedrò di metterla in pratica presto! ^_*),  e Sun_Rise93 per le loro mitiche recensioni…davvero mille grazie, siete un grande sostegno per me…senza di voi la storia non andrebbe avanti!

E poi grazie tante anche alla già nominata: romy2007 e a angycullen, _Morgana96_ , d_ali, Colette_Writer , boobear26 per aver aggiunto la storia alle seguite e a: maliktomlinson e Klaus_Elijah_Mickealson per averla aggiunta alle preferite. ^_^

Mille bacioni a tutti voi per il vostro sostegno <3 Spero di non aver deluso nessuna aspettativa e alla prossima ;))

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


 

AD OCCHI CHIUSI

Capitolo sei

 http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

 

“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”

KHALIL GIBRAN

La settimana trascorse fortunatamente in fretta, senza nessun particolare avvenimento degno di attenzioni.

Venerdì era arrivato. Oggi mi sarei dovuta incontrare con Terence, finalmente.

Il mio articolo era quasi pronto, avevo sgobbato come un mulo ogni giorno, finendo a mangiare solo qualche misero biscotto per cena, per non perdere tempo.

Avevo consumato quasi un intero tubetto di correttore per eliminare, o almeno cercare di eliminare, quelle maledette occhiaie che rendevano il mio volto più simile alla sposa cadavere dell’omonimo film d’animazione di Tim Burton.

Dovevo però aggiungere, che ad aumentare il mio livello di stress, c’era il fatto che non riuscivo a togliermi dalla mente la ragazza bionda che avevo visto con Terence qualche sera prima.

 So che a me non avrebbe dovuto importare niente, ed era così infatti…, ma qualcosa di inspiegabile dentro di me mi spingeva a torturarmi la mente nel capire chi sarebbe potuta essere quella persona. Come se non bastasse, la mia testa era anche torturata dalla curiosità: come facevano tutti i miei colleghi a sapere della famiglia Ashling? Perché era chiaro che tutti loro conoscessero questa famiglia. E perché io non sapevo nulla? Dovevo assolutamente togliermi ogni dubbio, e se nei giorni passati non ero riuscita a ritagliarmi del tempo per chiedere loro come facessero a conoscere quelle persone, per via del troppo lavoro, beh…oggi l’avrei fatto…!

Aggiunsi delle foto all’articolo, poi osservandomi attorno diedi un’occhiata ai miei compagni d’avventura. Freddie stava aiutando Steve con il suo computer fisso, Vincent stava mangiando una Donut con della cioccolata e delle scaglie rosa sopra, e Barbie stava pigiando i tasti della sua tastiera velocemente…probabilmente intenta a scrivere un nuovo ariticolo.

Dopo un po’ mi schiarii la voce, attirando l’attenzione di tutti.

-Ehm, scusate ragazzi, posso farvi una domanda?- chiesi guardando, uno per volta, i visi di tutti.

-Certo cara!- mi sorrise cordiale la futura sposa.

-Sì…ehm, mi chiedevo come mai voi tutti conosciate la famiglia Ashling e io no! O meglio, l’altro giorno al ristorante mi è sembrato di capire che voi conosciate Terence e suo fratello, ma sono così famosi? Perché io non ne ho mai saputo niente?

Tutti si lanciarono degli sguardi d’intesa.

-Te lo spiego io, cara Jane, il perché.- rispose Vincent, appoggiando la sua ciambellina su un fazzoletto, sulla sua scrivania,- vedi, uno dei tuoi più grandi difetti è che per essere una giornalista, tu scrivi giornali ma non li leggi. Perché se così fosse, ti sarebbe sicuramente capitato sotto mano, circa sei-sette anni fa, un giornale avente come testata il cognome Ashling. Questa famiglia era ,ed è, una delle più importanti in tutta la Scozia. Philippe Ashling, il “capo”,- mimò con le dita le virgolette, avvicinandosi a me.- era un imprenditore di successo, fondatore dell’ Ashling Corporation, una delle più importanti industrie di pneumatici e pezzi interni di automobili di tutta l’Europa. Beh…anni fa, la famiglia fu scossa da vari problemi, c’era chi parlava di banca rotta, chi di liti familiari, poi si sentì parlare anche di una forte rottura e una grave disgrazia, ma…va anche detto, che non si riuscì a capire molto in quanto i giornali, sia cartacei che online, furono tutti eliminati in brevissimo tempo. Il caso Ashling finì perfino in qualche telegiornale locale. Terence e suo fratello erano al centro dell’attenzione, in quanto erano i probabili successori di Philippe, ma ripeto…purtroppo si sa molto poco in merito.

Rimasi meravigliata nell’ascoltare tutte queste notizie. Dunque, era così potente questa famiglia? Ma poi Vincent era davvero a conoscenza di tutte queste cose? Wow…e io che qualche tempo prima chiesi solo a Barbie cosa sapesse degli Ashling…qui tutti sapevano tutto di tutti.

-Ma se voi conoscete bene questa famiglia e i suoi problemi, come fate a non sapere chi è quella bionda che trovammo al ristorante?

-Beh Jane,- ora era il turno di Steve,- sono pur sempre passati molti anni, e comunque tolsero subito i giornali, come ha detto Price. Quel che sappiamo, lo sappiamo solo per via del fatto che all’epoca era una famiglia molto in vista…certo anche ora lo è, ma…anni fa erano molto famosi in certi ambienti, e poi noi conosciamo solo fatti riguardanti il passato non il presente.

-E comunque, come già dissi, volendo potrebbe anche essere sua sorella…sappiamo che sono tre i figli Ashling e la più giovane potrebbe essere stata minorenne all’epoca dei fatti, e dunque neanche citata negli affari di famiglia.- continuò Barbie.

-E non sapete neanche perché è cieco?

-No! Furono bruciati ed eliminati subito tutte le cose che potevano riguardare quella famiglia. Si seppe solo che uno dei due figli era diventato cieco, ma davvero poco altro…- rispose Price.

-Ma scusa perché non rivolgi direttamente a lui, la domanda? Vi state conoscendo, no?- domandò Freddie.

Da quando ci eravamo lasciati, era come se si sentisse in colpa per avermi mollato in quel modo, e quindi ogni volta che sapeva che conoscevo un nuovo ragazzo, mi dava consigli e mi spronava a conoscerlo meglio.

-Lo farò…in ogni caso, grazie ragazzi! Mi avete fatto sapere ciò che mi serviva.

-Ma perché non provi a fare qualche ricerca sul web?- propose Vincent.

-Sul web? Dite che potrei trovare qualcosa?

-Beh è possibile! Ripeto era ed è una delle famiglie più in vista.

Annuii con il capo, poi dopo qualche sorriso, riprendemmo tutti il nostro lavoro.

Non sapevo se fare qualche ricerca sul web mi avrebbe effettivamente aiutato a capire qualcosa di più su questa famiglia, ma non mi permisi di fare nulla, ugualmente. Avrei conosciuto Terence pezzo dopo pezzo, senza pc o altro, non mi sarebbe sembrato corretto nei suoi confronti.

***

 

 

Okay il mio turno di lavoro, per oggi, era concluso.

Ridiedi un’ultima occhiata alla mia immagine riflessa nei grandi specchi del bagno dell’Edinburgh Fashion Magazine.

Avevo deciso di vestirmi in un maniera abbastanza sobria, con un Tailleur Pantalone nero abbinato a una camicia con volant bianca e a delle ballerine scure.

Mi ravvivai con la mani i capelli, mi ritoccai il lucidalabbra e poi uscii.

L’azienda era quasi vuota, e io mi affrettai a varcare la grande porta in vetro che mi separava dalla strada.

Un macchina nera e lucida era parcheggiata proprio di fronte ai miei occhi così come la figura slanciata ed elegante di Terence che, appoggiato alla portiera, sembrava guardare davanti a sé.

Sembrava strano vederlo, dopo aver ascoltato cose sulla sua famiglia.

Mi schiarii la voce.

-Buonasera Terence, spero di non averti fatto aspettare troppo.

-Oh Jane, salve. No, siamo qui da poco, tranquilla. Prego.- concluse aprendomi lo sportello ed accomodandosi nel profumato abitacolo della sua Lamborghini, dopo di me.

-Salve Harrison. Come sta?- domandai osservando l’anziano autista allo specchietto anteriore.

-Oh molto bene, signorina. E lei?- ricambiò il mio sguardo e poi mise in moto.

-Tutto a posto, grazie.- l’uomo mi sorrise.

Poi il viaggio continuò in maniera silenziosa.

-Ci metteremo molto?- domandai osservando Terence, vestito in una maniera impeccabile, come sempre, con un completo grigio e una camicia di un pallido rosa.

-Circa un quarto d’ora.

-Bene.

-Signore, gradirebbe se accendessi la radio?- chiese Harrison, rivolgendosi a Terence.

-Beh ci sono uscito un’ora fa da un radio, Harry…ma se Jane, vuoi ascoltare qualcosa, chiedi pure.

-Oh sì, ho sempre amato ascoltare la musica mentre sono in viaggio! Harrison può cercare una radio con musiche anni ottanta?

L’autista accese lo stereo, e dopo un po’ di tentativi trovò una radio che faceva al caso mio, da cui trasmisero Beat it di Michael Jackson.

-Oh, guarda! Non mi hai detto che ti piace Michael?- chiesi, canticchiando il ritornello.

-Sì infatti.- sorrise, probabilmente sentendomi cantare.

Mimai anche con le mani una chitarra, amavo questa canzone.  Harrison scoppiò a ridere.

-Perché ridi, Harry?- chiese Terence, nel suo solito tono freddo.

-Oh signore, nulla…ma la signorina Jane sta muovendo le mani come se avesse una chitarra, ed è molto divertente.

Risi anch’io…continuando il mio piccolo “concerto”.

Terence girò il capo verso di me, sorridendo.

-Peccato non possa vederti.- sibilò sottovoce…ma riuscii  a sentirlo lo stesso.

Poi quando la canzone finì, ci fermammo ad un semaforo rosso. Ora c’era una canzone degli Spandau Ballet…ma non mi erano mai molto piaciuti.

Dopo qualche minuto, Terence prese parola.

-Harrison?

-Sì signore?

Io rimasi a guardare fuori dal finestrino.

-Com’è oggi Jane? E’ vestita bene? La ritiene sufficientemente bella?

Girai il capo sorpresa. Ma cosa diamine stava chiedendo?

-Terence, ma cosa cavolo…sei impazzito?- gli chiesi, cercando di rimanere calma.

-Calma Jane, non ho chiesto nulla che possa irritarti. Sto solo ponendo un’innocente domanda al mio autista.

Ma come faceva ad essere sempre così …composto?

-E tu la chiami innocente domanda?! Stai solo chiedendo a qualcuno di porre un giudizio su di me…scusami!

-Eh beh Jane, non scorgo nulla di altamente dannoso per te, dunque Harrison?

Potevo prenderlo a schiaffi? Sbruffone, antipatico, rompiscatole e bla, bla, bla.

-Terence! Potrei risultare io altamente dannosa per te, se continui con queste domande stupide e inopportune. -Sbraitai nervosa e imbarazzata.

Terence di tutta risposta continuò a “guardare” seriamente verso il suo autista.

-No signorina, si calmi… dunque…- Harrison si schiarì la voce, chiaramente imbarazzato,- è vestita benissimo, signore! E poi è una vera bellezza…una delle ragazze più semplici ma allo stesso tempo più affascinanti che abbia mai conosciuto.

Sentii le guance arrossarmi. Wow…certo che quell’uomo era stupendo. Che bellissime parole. Aveva fatto scomparire la mia precedente irritazione in poche semplici frasi. Perché Terence non era così?

-Oh… grazie mille Harrison, lei è davvero una persona bellissima.- gli sorrisi.

L’uomo ricambiò il gesto e poi continuò a guidare, il testardo invece aveva il viso volto al finestrino…ero sicura che stesse ridendo, però.

Dopo pochi altri minuti, l’auto si fermò davanti ad un’imponente struttura bianca su cui svettava la scritta: “The house of the rising sun”- clinica-centro di riabilitazione.

Dopo che scendemmo, salutai l’anziano autista, e prima che Terence varcasse la porta della clinica, lo fermai per un polso.

-Si può sapere perché hai fatto una domanda del genere ad Harrison? Potevi benissimo chiedere a me come fossi vestita.

Si voltò nella mia direzione, liberandosi dalla mia presa. Poi si avviò vicino alla grande porta in legno della clinica, ma prima di oltrepassarla, mi rispose.

-Infatti non ho chiesto solo come tu fossi vestita, anche se effettivamente non mi ha risposto…ma se ti ritenesse bella, e a questa domanda tu mi hai già detto la tua, e volevo sapere cosa ne pensasse il mio autista…perché sai, Harrison è la persona più sincera che conosca. -poi varcò la soglia.

Pronta per ribattere, mi fermai a fare due più due. Dunque Terence aveva chiesto al suo autista di dirmi se mi ritenesse bella, e quest’ultimo aveva risposto che mi trovava affascinante. Poi lui aveva aggiunto che il suo autista era sincero. Possibile che fosse un modo indiretto per farmi avere un complimento? Terence sapeva che il mio livello di autostima non era molto alto, quindi…forse il suo voleva essere un gesto cortese…bah, avevo già detto che era un tipo strano?!

Lo raggiunsi, sorridendo tra me e me.

Poi lo vidi chiacchierare con una donna dal caschetto nero.

Mi avvicinai, e lo sguardo della donna si posò su di me. Mi schiarii la voce, per far notare allo spaccone che ero arrivata al suo fianco.

-Bene Mary Margaret, lei è Jane Ryan, giornalista per l’Edinburgh Fashion Magazine. Siamo qui oggi, perché lei vorrebbe porre qualche domanda ad alcuni dei miei vecchi amici, in merito ad un lavoro che le è stato assegnato.

-Sì infatti. Se per la clinica non è un problema, vorrei fare alcune domande a dei pazienti che presentano delle disabilità fisiche. Vorrei conoscere quel è il loro rapporto con la moda, per un servizio che mi è stato assegnato.

La bruna, nota come Mary Margaret, annuì con il capo guardandomi.

-Certo, certo! Nessun problema. La pregherei solo di non porre troppe domande ai pazienti…sono persone che hanno dei problemi, e sentirsi sottolineare di continuo i loro handicap, aggrava la loro situazione psicologica, quindi non si trattenga molto. E inoltre preferirei che non fosse fatto il nome della clinica.

Sbagliavo o il suo tono di voce era antipatico? Bah…non mi piaceva molto questa tipa.

-Assolutamente, signora, promesso.

-Beh le promesse dei giornalisti non sono mai da prendere troppo sul serio, ma lei ha una faccia pulita, quindi le darò fiducia. Angela, accompagna Terence e la signorina al quarto piano, per favore.- concluse rivolgendosi a una giovane donna dai capelli rossi coperti da un capello da infermiera, bianco.

Ero abituata ai pregiudizi che la gente faceva sulla classe dei giornalisti, quindi mi limitai a guardarla e a rimanere in silenzio. D’altronde come diceva Einstein: “E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.

Appoggiai la mia mano sul braccio di Terence, come da lui chiesto, e poi salimmo in un ascensore.

Il centro di riabilitazione non era per nulla sgradevole. Certo l’odore di medicinali e farmaci, sottolineavano il fatto che si trattasse di una clinica, così come le candide pareti e le semplici e tipiche piante verdi ospedaliere, ma per il resto il clima era piacevole.

-Angela, potresti accompagnarci alla camera sette? Vorrei che la mia amica intervistasse Tony e gli altri.

La donna annuì, poi ci scortò davanti ad una stanza, a cui bussò. Aprì la porta e davanti ai miei occhi mi si presentarono tre persone. Un uomo, sui cinquant’anni, sulla sedia a rotelle intento a giocare a carte con una donna, sua coetanea probabilmente, stesa su un letto e coperta da un lenzuolo bianco, e una donna più giovane invece, che distesa su un altro letto aveva un libro in mano e che, con le palpebre chiuse, tastava con l’indice riga per riga. Che fosse cieca?

-Ragazzi, avete visite! E voi giovanotti, potete rimanere solo un’ora.- esclamò l’infermiera, prima di chiudere la porta e andarsene.

-Terence, figliolo. Vieni giusto in tempo per la partita!- esclamò l’uomo sulla carrozzella.

Guardandolo meglio mi accorsi che aveva due grandi occhi azzurri e una leggera barba brizzolata.

-Ehi Tony! Sai che mi piace farvi visita. Oggi, però, sono venuto non solo per farvi compagnia ma per chiedervi anche un favore. La ragazza al mio fianco,- gli occhi dei presenti si posarono su di me,- si chiama Jane Ryan, ed è una giornalista per l’Edinburgh Fashion Magazine. E’ qui oggi con me, perché vorrebbe farvi qualche domanda in merito ad un progetto assegnatole…qualche obbiezione?

-Oh assolutamente no. Io amo quel giornale…ma a proposito mi chiamo Charlotte.- si presentò la donna che stava giocando a carte, mostrandomi un caloroso sorriso e aggiustandosi i tondi occhialetti sopra il naso.

-Io sono Tony.- mi strinse la mano l’uomo.

-E io sono Lizzy.- concluse la ragazza, secondo me cieca.

Strinsi la mano a tutti.

-Salve a tutti ragazzi, onorata di conoscervi. Come ha detto Terence, sono Jane e faccio la giornalista. Il mio capo mi ha affidato un compito secondo il quale devo informarmi circa il rapporto tra l’universo della moda e quello delle disabilità. Il mio articolo è quasi concluso, ma vorrei terminarlo definitivamente aggiungendoci delle testimonianze di persone di tutti i giorni, che vivono la quotidianità come voi. Se mi date il vostro permesso vorrei farvi qualche domanda.

-Per me, come ho detto, va benissimo, se vuole può iniziare da me.- esclamò entusiasta Charlotte, posando le carte sul comodino accanto a sé.

-Neanche per me ci sono problemi…potremmo diventare famosi…ma Charlie, non pensare che la partita finisca qua, a dopo.- disse Tony, allontanandosi sulla sua sedia,  e prendendo un giornale da sotto il suo cuscino.

-Sì sì vecchiaccio, vedrai che round…- rispose orgogliosamente la donna.

Risi così come Terence per il tono di voce che usarono queste simpatiche persone.

-Per me, anche, va bene.- rispose la ragazza con il libro in mano.

-Benissimo! Dunque…- presi il mio quadernetto e la mia penna,- iniziamo dalla domanda fondamentale: Qual è il suo rapporto con la moda, Charlotte?- domandai prendendo una sedia che trovai vicino a una finestrella.

Terence invece, rimase vicino alla porta.

-Oh beh,- mi sorrise timidamente,- io amo lo stile di Marylin Monroe e di Audrey Hepburn…quando ero una ragazza ero solita vestire con gonne ampie e camicette che mostrassero il mio vitino da vespa…purtroppo, poi…anni fa mi ammalai di una malattia che implicò l’appuntamento delle gambe. - si scostò il lenzuolo bianco mostrando dei pantaloni di pigiama, riempiti fino al ginocchio, per il resto vuoti…mi sentii stringere il cuore.

-E adesso, sono costretta a farmi aiutare sempre, e a stare seduta su una sedia a rotelle. Non ho più un rapporto con la moda. Mia figlia, ogni due mesi fa shopping anche per me, comprandomi qualche maglietta o qualche vestito, ma sono sincera se le dico che indosso unicamente una gonna che indossavo anche quando potevo camminare, ma è lunga e larga! Amo vedere sfilate, leggere riviste di moda come quelle per cui lei lavora, ma…ormai non sono entusiasta come un tempo per queste cose…insomma, mi guardi…non ho più le gambe…cosa potrei più mettere e mostrare?

-Beh signora, io la sto guardando e, me lo lasci dire in tutta onestà, vedo una donna davvero bellissima.- gli occhi della donna si palancarono, sorpresi e emozionati.- Posso immaginare che ora le cose siano cambiate, ma guardi…-estrassi dalla borsa le foto che feci nell’ufficio di McDuff.

-Oh meravigliose…guarda Tony.- Charlotte prese le foto e le diede in mano all’uomo.

-Forti quelle cravatte. - esclamò Tony.

-Già…avete visto?…Questi modelli sono persone su sedie a rotelle, presentano dei problemi a livello fisico, eppure…guardate quanta classe e quanto stile mostrano. Purtroppo, va detto, che nei tempi d’oggi si ha un canone di bellezza che spinge a dover indossare unicamente certe taglie e a dover indossare solo alcune cose, ma…si fidi se le dico, anzi se vi dico, che vi vedrei benissimo con questi vestiti.

-Grazie signorina, è gentile! Ma non è facile, sa?- mi chiese l’uomo.

-Posso immaginarlo signor Tony, ma quando la vita mette davanti dei grandi ostacoli come quelli che vi siete trovati voi, beh…dovete essere grintosi, forti…guardare il mondo a testa alta, perché non siete inferiori a nessuno. Anche voi potete concedervi dei capi di alta moda…vi faccio un esempio, tramite mie ricerche vi posso citare Jillian Mercado, giornalista nonché modella ventiseienne, presa per una campagna di moda per la Diesel. Questa ragazza soffre di distrofia muscolare e a causa di questo è costretta a stare sulla sedia a rotelle, ma fidatevi se vi dico che è davvero fashion.

-Oh soffre del mio stesso problema, allora.- disse Tony.

-Mi piace questa ragazza, Terence, hai fatto bene a portarcela. – esclamò Lizzy.

Mi alzai in piedi e mi avvicinai al suo letto, notando che aveva le pupille biancastre e che aveva il capo non volto verso di me.

-Grazie Lizzie. Che dici, vuoi parlarmi tu ora del tuo rapporto con la moda?

Mi permisi di dirle del tu, perché sembrava più giovane di me.

-Sì sì, volentieri! Io sono cieca, quindi dal punto di vista fisico posso indossare qualsiasi capo, nel senso che fortunatamente non ho nessun problema, come purtroppo i miei amici di stanza. Ma è ugualmente difficile il mio rapporto con i capi d’abbigliamento. Purtroppo…non mi funzionano gli occhi, come faccio a scegliere un vestito piuttosto che un altro? Posso dirle, però…che mi aiuta il tatto in queste situazioni.

-In che senso?- domandai prendendo appunti.

-Beh con le dita tocco i materiali, tocco i particolari che possono esserci, i bottoni, i filamenti che possono non essere cuciti bene, le tasche, le rifiniture, la lunghezza…l’unico problema sono i colori.- ci rise sopra, aggiustandosi una ciocca dei lunghi capelli castani, dietro l’orecchio.

-Capisco…quindi ti fai aiutare da qualcuno?

-Sì da mia sorella. Ora non faccio shopping da circa tre mesi, perché sto facendo degli esercizi…diciamo così, per riabilitarmi…non sono cieca da molto tempo, perciò ho bisogno di tempo e aiuti.

Buttai un occhio sul libro che stava leggendo e che ora era posato sulle sue gambe. Notai presentare dei pallini in rilievo…il sistema Braille.

-Ho capito! Dunque signori, se non ho capito male…tutti avete problemi con i capi d’abbigliamento! A parte Lizzy, lei Tony e lei Charlotte avete maggiori difficoltà a scegliere dei capi che vi stiano sia comodi e che vi piacciano?

Mi alzai dal letto di Liz e mi avvicinai a Tony e Charlotte.

Terence, intanto si era avvicinato alla finestra e aveva il capo rivolto davanti a sé.

-Sì…è esatto. Quando mio figlio, la domenica, mi porta al centro commerciale ho sempre difficoltà nel trovare dei pantaloni comodi e eleganti…tutti i materiali sono come…duri e stretti. Mi scoccia essere costretto sempre a indossare ridicoli pantaloncini con stampe hawaiane, ma che sono elasticizzati e quindi più comodi.

-E poi sa cosa?- intervenne Charlotte,- le commesse…appena mi vedono è come se vedessero un fantasma…non sanno consigliarmi, si allontanano, mi propongono capi scialbi…e la difficoltà nell’indossare i pantaloni e le gonne, signorina, lei la sa? No, non le dico…una difficoltà immane.

Annuii col il capo.

-Posso immaginare… mi è tutto chiaro.

Dopodiché osservai il mio orologio da polso, notando che si erano fatte già le sei e mezza.

-Quindi signorina, adesso cosa scriverà?- mi domandò Tony.

-Beh, la verità. Voglio che questo articolo di giornale mostri tutti i lati della moda, soprattutto quelli negativi. Il rapporto tra l’universo degli handicap e quello del fashion è un rapporto, al momento, parallelo…non ci sono molti punti di contatto. Ecco io vorrei sottolineare che si dovrebbe fare di più per le persone come voi, o anche per la gente di tutti i giorni che non ha un fisico da modella. Certo ho anche notato che ci sono delle campagne che si occupano della moda per persone con handicap, ma si può e si deve far di più.

-Ma i giornalisti stravolgono sempre la verità…lo farà anche lei?- mi domandò Lizzie.

-No, Liz, ti prego…non fare dei pregiudizi sulla mia classe lavorativa anche tu…mi basta Mary Margaret.- scherzai.- Comunque…no, sono una persona onesta e scriverò la verità…senza stravolgere nulla, anche perché, sebbene io ami la moda, so che non è un mondo meraviglioso, come tutte le rose belle ha anche lui le sue spine.

-E’ in gamba Jane, brava. – mi sorrise Charlotte.

-Le va una partita a carte?- mi propose Tony.

Guardai Terence anche se lui non poteva guardarmi.

-Che dici Terence, posso farla?

-Non mi permetterai mai di decidere per te. Vorrà dire che io, nel frattempo, leggerò con Lizzy. Vero ragazzina?- si avvicinò al letto della brunetta.

-Oh certo Terry. – sorrise la ragazza.

E fu così che trascorremmo la restante parte della nostra ora.

 Ovviamente la partita a carte fu vinta da me e Charlotte, mentre Terence scorrendo l’indice sulle righe del libro, leggeva a Liz. Sembrava felice e lo vedevo anche sorridere.

-Bene, Jane. – si schiarì la voce ,ad un certo punto.- Se per te è tutto, direi di andare.

Avvicinò il suo orologio da polso all’orecchio e dopo aver spinto un bottoncino, una voce meccanica disse : “Sono le sette e venticinque minuti.”

-Come potrai aver sentito sono le sette e venticinque, dunque fra cinque minuti finisce il turno delle visite.

-Oh capisco…e allora, niente…grazie ragazzi per l’aiuto. Spero di non essere risultante stressante, invadente o altro…

-No, assolutamente. Grazie signorina per le belle parole.- mi rispose Charlotte.

-Sì è stata forte.- aggiunse Tony.

-Mi piace proprio.- concluse Lizzy.

Sorrisi. Amavo quando le cose andavano così.

-Grazie a voi di tutto cuore. Vi prometto che sfornerò un articolo ineccepibile e farò anche un bel po’ di cattiva pubblicità alle case di moda snob con le taglie impostate. Alla prossima.

-Alla prossima, ciao Jane. E ricordati di portarci una copia del tuo giornale.- concluse Charlie.

Annuii.

Mi salutarono e uscii, mentre Terence rimase a salutare i suoi amici. Riuscii persino a sentire, da parte di Tony, un “non lasciartela scappare”. Ridacchiai fra me e me.

La risposa di Terence però non riuscii ad ascoltarla. Proprio in quel momento passò l'infermiera per farci andare.

***

 

Usciti dalla grande porta della clinica, una fresca folata di vento ci accarezzò. Alzai il capo al cielo, notando che nel manto già scuro, delle tetre nuvole violacee coprivano le stelle. Pioggia in arrivo! Eppure in mattinata c’era stato anche il sole, però ad Edimburgo era così…nuvoloni e pioggia frequenti.

-Comunque,-si schiarì la voce Terence,- a Mosca, in Russia, so che tra gli eventi legati alla Mercedes Benz Fashion Week, c’è stata una sfilata dedicata alle diversità. Persone affette da nanismo, in sedie a rotelle o altro, hanno indossato i capi delle migliori firme.

-Davvero?- domandai curiosa.

Questo non l’avevo trovato. Forse lui ne sapeva qualcosa per via dell’automobile: la Mercedes. Nel pomeriggio avevo scoperto che la sua famiglia si occupava di macchine.

-Sì.

Annuii tra me e me, sarei andata ad informarmi meglio. Dopo qualche secondo mi squillò il cellulare.

-Ehi Abbie, dimmi tutto.

-Ciao baby. Stai ancora lavorando?

-No, sono appena uscita dal centro di riabilitazione, e quindi ho finito per oggi.

-Oh capisco. Senti Tom e gli altri mi hanno chiesto se tu e Terence venite al solito locale, oggi.

-Ah…aspetta un secondo, che lo chiedo a Terence.

-Okay.

Appoggiai il cellulare sul mio petto e mi rivolsi a quel bell’imbusto.

-Terence, è Abbie. Mi chiede se andiamo al locale dove ci siamo incontrati questi venerdì.

Vidi che ci pensò un attimo.

-Tu? Ci vuoi andare?- passò la palla a me, adesso.

Bhe…sinceramente mi attraeva più l’idea di stare da sola con Terence, che stare insieme a Mary Anne e agli altri, con cui non avevo ancora tanta confidenza.

-Mhm…non tanto.

-Bene. Neanch’io allora. Non ci andremo.- rispose freddamente, ma…mi parve di vedere l’ombra di un sorriso sul suo volto.

-Ehi Abbie,- riavvicinai l’apparecchio all’orecchio.- No, non veniamo.

-Oh…volete uscire da soli come due fidanzatini, immagino…- ridacchiò.- bene, allora ci vediamo stasera a casa. Non so di preciso quando torno.

-Non farti strane idee tesoruccio,- risi- comunque sì, va bene. Un bacione e buona serata.

-Anche a te baby! Ciao…ah un attimo, quasi dimenticavo…

-Cosa?- domandai, quasi allarmata.

-Puoi chiedere a Terence se ha deciso il giorno in cui farmi vedere le sue macchine? Ti parlai dell’inserto che voleva aggiungere Sandra…

-Certo ti ho dato io il numero di Terence…aspetta un attimo, allora.

-Terence, Abbie mi chiede se hai deciso il giorno per farle vedere le tue auto.

-No. Dille che glielo riferirò appena possibile.

Riferii ciò che mi era stato detto, e dopo aver salutato Abbie, spensi il telefono e lo rimisi in borsa. Eravamo ancora davanti alla clinica.

-Beh…- mi schiarii la voce.- hai in mente qualcosa, oppure…ognuno torna a casa propria?

Ma perchè Harrison non c’era?

-Perché non vuoi andare al solito locale?- sviò la mia domanda, sorreggendo il suo “James” e iniziando a camminare davanti a sé.

E ora dove stava andando?

-Mhm…perché non mi trovo ancora molto bene con gli altri, cioè alla fine si vede che sono tutti fidanzati e io mi sento un po’ a disagio a volte, poi c’è Mary Anne che sinceramente mi innervosisce e non poco.- ammisi seguendolo e posando la mia mano sul suo avanbraccio.

Lui allontanò la presa per poi prendermi per mano. A quel gesto sentii un attimo il cuore accelerare…ma perché accelerava?

-Capisco.  Ah…ti dispiace se ti tengo per mano? Sai…ti facilito il tuo “lavoro” da guida.

-N-no certo che no!...E tu?- domandai a mia volta.

-Cosa io?

-Perché non vuoi andare al locale con gli altri?

-Beh io perché ormai conosco bene tutti i ragazzi, tranne te e Abbie, per cui…non mi sarei divertito molto. Poi quasi sempre si finisce che loro vanno a ballare e io rimango solo…quindi…

-Oh…certo che sono scortesi! Che razza di comportamento è mai questo?! Okay che sono tutti fidanzati, ma per lo meno possono rendere partecipe tutti visto che non sono solo loro.

Anche la prima volta che avevo incontrato Terence, erano andati a ballare lasciandolo solo. Non era un bel comportamento, secondo me.

-Ormai ci sono abituato…non bado più al comportamento di molta gente.

Continuammo a camminare.

-E dunque conoscevi già Tony, Lizzy e Charlotte?

-Sì, certo. Li vengo a trovare ogni venerdì.

-E vieni a trovare anche altre persone?- domandai, mentre lo aiutai a svoltare ad un bivio.

-Sì. Conosco molte persone in quella clinica. Ti ho presentato solo loro, perché sono i più…socievoli, diciamo così. Sapevo che avrebbero accettato felicemente di farsi intervistare.

-Oh capisco…e quindi anche tu sei stato qui, anni fa?

Strinse la presa sulla mia mano…lo sentii irrigidirsi.

-Sì.- mi rispose soltanto.

Okay, forse era meglio non toccare più questo tasto.

-Circa sei anni fa fui ricoverato in questa clinica…poi rimasi per svariati mesi, quasi un anno…per abituarmi alla mia nuova condizione.- continuò.

Evidentemente era un tasto dolente per lui parlare di queste cose, ma in un certo senso…si sentiva più leggero quando ne parlava.

-Quindi sei anni fa…diventasti cieco?

-Esatto.

Sei anni di oscurità, sei anni di nero, sei anni di buio.

Il cuore di Terence doveva essersi raffreddato molto…ma come biasimarlo, d’altronde.

-Comunque, grazie Terence per avermi aiutato con il mio progetto.

Girò il volto verso di me per qualche secondo, poi ritornò sulla strada di fronte.

-Non c’è bisogno di ringraziarmi. Mi devi un favore e quindi sei in debito con me.- sorrise malizioso.- E dunque il tuo lavoro è concluso?- cambiò discorso.

-Debito? Quale debito? In ogni caso sì, diciamo che ho concluso. Vorrei dare un’ulteriore occhiata a quel progetto di cui mi hai appena parlato, ma ormai ho raccolto abbastanza ricerche, foto e testimonianze da stilare un articolo come si deve. Lunedì prossimo il lavoro dovrà essere concluso, in quando martedì lo dovrò far controllare al mio capo, e tutta la settimana che si aprirà la userò per scrivere e preparare tutto il lavoro. Ma pensandoci tu mi dicesti di voler essere intervistato…vuoi ancora che ti ponga delle domande?

-No. Ho cambiato idea! E poi la mia versione non sarebbe molto diversa da quella di Lizzie. Anch’io mi aiuto con il tatto quando devo andare a fare spese, con l’eccezione che non mi aiuta mia sorella con i colori ,ma Harrison…devo dire che ha buon gusto quell’uomo.

-Comprendo. Ma, se posso chiedere, dove stiamo andando?

Ora ci fermammo ad un semaforo rosso. Guardandomi attorno mi resi conto che eravamo vicino alla New Town.

-Da nessuna parte, in particolare. Quando vengo a trovare alcuni miei vecchi amici in clinica, faccio aspettare Harrison. Generalmente, dopo la visita, facciamo una passeggiata insieme fino Princes Street. Ti va di farla con me?

Non conoscevo bene la zona, ma Terence sembrava essere molto sicuro della strada che stavamo percorrendo.

-Assolutamente sì. Ma, a proposito di Harrison, dov’è?

-Gli ho dato delle ore libere e quindi suppongo che sia con la donna che ama. L’hanno chiusa in un pensionato, povera donna!

-Oh, mi spiace! Sembra davvero un brav’uomo il tuo autista.

-Lo è, infatti! Ma dimmi, mi leggerai il tuo articolo, quando sarà pronto?- chiese, adesso.

-Se ti farà piacere, certo che sì…

-Bene! Sai Jane, si vede che ti piace molto il tuo lavoro.

-Sì? Ed è così infatti. Amo scrivere e amo la moda, e il mio lavoro è un connubio perfetto. E il tuo? Ti piace fare lo speaker radiofonico?

-Beh, tutto sommato non disdegno neanch’io il mio lavoro. Purtroppo non è che abbia molta scelta dal punto di vista lavorativo!…ma mi piace poter usare la mia voce e permettere alle persone che ascoltano la nostra radio di svagarsi un po’, magari ritornando anche indietro nel tempo, con la musica di altri anni.

E che voce, la sua! Era calda, profonda e affascinante come lui.

-Sì, lavorare in una radio non deve essere per niente male!  

-Sì, non è male per niente. E qual è l’articolo che più ti è piaciuto scrivere?

Si vedeva che voleva intavolare delle conversazioni con me, era interessato a conoscermi, ma voleva che conoscessi poco lui.

-Mhm…beh tutto ciò che ho scritto mi ha sempre entusiasmato, però devo dire che ricordo con piacere che il mio primo vero articolo lo feci parlando di una collezione di Tommy Hilfiger. Mi piace tanto questo stilista, quindi fui entusiasta quanto parlai dei suo capi!... Sai non è che appena misi piede all’ Edinburgh Fashion Magazine, subito mi misero a scrivere articoli. Ero più il fattorino del giornale…portavo caffè a destra e a manca, facevo fotocopie, servivo durante le riunioni, e roba così, quindi fu davvero emozionante scrivere della collezione di uno stilista così famoso.

-E da fare la factotum del giornale, come arrivasti a scrivere tuoi articoli?

-Un concorso! Si tenne un concorso in cui bisognava scrivere un articolo sulla collezione Hilfiger, io mi ci buttai a capofitto e il mio articolo fu scelto tra tanti. Ovviamente non ebbi la prima pagina, ma iniziai a farmi vedere e il mio stile piaceva a quello che è il mio attuale capo, e quindi… Certo è che, sebbene siano passati quasi quattro anni, continuo a correggere bozze e spesso finisco ancora a servire caffè, ma per fortuna ho anche svariate occasioni di mostrare quel che valgo e ho un ufficio in cui lavoro con persone competenti.

Era bello passeggiare con Terence, circondata dai lampioni, intenta nel vedere la vita di molti scozzesi. C’era chi stava chiudendo la propria bottega, chi entrava in un cinema o in un negozio. Avvicinarsi alla New Town implicava non sentirsi mai soli, ma sempre circondati da calore e da tanti turisti che venivano ad ammirare la mia bellissima nazione.

Ad un certo punto lo fermai, per permettere ad un cane di passare.

-Che succede?- mi domandò, curiosamente.

-Sta arrivando un cane, meglio farlo passare.

Annuì con il capo, e dopo qualche altro secondo riprendemmo il cammino.

-Capisco. Hai una bella parlantina, infatti. Scommetto che anche il tuo modo di scrivere è bello scorrevole. Ma dimmi, pensi davvero tutto ciò che hai detto in clinica? Che le persone con handicap non sono inferiori a nessuno?

Sembrava quasi che con queste domande volesse mettermi alla prova.

-Assolutamente sì. Non sono una ciarlatana che dice le cose tanto per. Il fatto di essere diversamente abili non implica essere inferiori alle altre persone. Nessuno è inferiore o superiore agli altri…anche se alcuni pensano il contrario solo perché hanno potere e soldi.

-Potere e denaro, la rovina del mondo! A volte, ti stupirai nel sentirtelo dire Jane, ma sono quasi contento di non vedere nulla. Il non vedere la corruzione, il potere, il male che certi individui fanno mi allevia il dolore…la povertà, la sofferenza…ci sono, ma non vederli forse fa meno male.- rispose seriamente.

Si vedeva che era un ragazzo dai sani principi. Aveva detto della parole così vere.

-Già…- mi limitai a dirgli.

Dopo qualche altro minuto silenzioso, sentii un qualcosa di freddo bagnarmi la guancia. Alzai il volto al cielo, e…ecco, come immaginavo! Stava iniziando a piovere.

Cercai con la mano libera l’ombrello in borsa.

Da brava scozzese dovevo sempre averne uno a disposizione.

-Senti anche tu che sta iniziando a piovere?- domandai, continuando la mia ricerca.

Maledette borse. Più grandi le avevi e più non trovavi niente.

Trovato finalmente l’ombrello, lo aprii, alzandolo sopra di noi.

-Beh ancora no, a dir la verità. Deduco che sia ancora una pioggia debole.

Furono pochi attimi e la “pioggia debole” si trasformò in un vero e proprio acquazzone. Dannazione ci mancava solo questa!

-Era meglio se non parlavo.

Risi per il modo in cui disse la frase. Poi notai che l’ombrello non copriva molto bene entrambi, e la spalla di Terence rimaneva scoperta.

-Terence ti stai bagnando, avvicinati di più.

-Non preoccuparti. E’ meglio che mi bagni io piuttosto che tu.- rispose prontamente.

Mi girai verso di lui alquanto sorpresa da questa frase.

-Mi stai osservando, Jane? Ti converrebbe più guardare la strada visto il mal tempo.

Si accorgeva sempre di quando lo osservavo.

-Ti stavo osservando perché la tua frase mi ha sorpreso…è stata bella e dolce.- ammisi evitando un palo.- Mi dicesti che sarebbe stato difficile scorgere delle virtù in te e invece…sto iniziando a cogliere delle sfumature di gentilezza nel tuo essere.- continuai, stringendomi nella mia giacca.

Stava tirando un vento piuttosto freddo.

-Sbaglio o ti dissi, in treno, che ero un ragazzo cortese?!- piegò le labbra in un mezzo suo sorriso,- ma comunque, credo tu confonda la gentilezza per l’educazione, Jane.

Ritornò serio.

-Se la metti su questo piano anche l’educazione può essere considerata una virtù, soprattutto se si considera che al giorno d’oggi non tutti ne hanno una.

-Sono d’accordo su quest’ultima tua frase, ma sul fatto che l’educazione sia una virtù no. L’educazione, infatti, è un qualcosa che ci viene insegnato, mentre le virtù sono quelle cose che una persona possiede già nel cuore.

Quando parlava sembrava quasi un libro di aforismi. Mi piaceva il suo modo di parlare.

-E va bene, mettiamo che tu abbia ragione, è proprio per questo che ho detto di vedere della gentilezza in te, e non ho parlato subito di educazione.

-Io non penso di essere gentile, ma mi fa piacere sapere che tu abbia visto in me un valore così bello, Jane. Alla fine come diceva il tuo amato Oscar Wilde, tutti noi abbiamo dentro Inferno e Paradiso, quindi avrò anch’io del buono.

-Sicuramente hai in te del buono.

-Mhm…quindi, ora che mi ci fai pensare, se ritieni di aver visto un po’ di luce buona in me, mi ritieni più bello?- domandò maliziosamente.

-No, ho bisogno di più tempo!- ribattei sorridendo.

-E va bene!- sorrise- Comunque, noti qualche palazzo sotto cui poterci riparare? La pioggia continua imperterrita.

Girai il capo in varie direzioni, fino a scorgere un palazzo, con una piccola tettoia sporgente.

-Sì l’ho visto. Dobbiamo procedere dritti e poi attraversare.

-Perfetto.

Ci avviammo verso la nostra meta.

Arrivati notai che si trattava di uno stabile abitato. Sulla parete sotto la tettoia c’era un citofono con vari cognomi e degli scalini in marmo bianco che portavano al portone.

Chiusi l’ombrello, scuotendolo un po’, poi aiutai Terence ad appoggiarsi al muro del citofono e così feci anch’io.

-Uff, certo che non ci voleva proprio questa pioggia!- esclamò passandosi una mano nei capelli, leggermente bagnati.

-Già…il nostro è un bel paese ma troppo piovigginoso.

-Ahimè è proprio così. In ogni caso, hai fame?

-Uhm…un po’, sì. Tu?

-Un po’ anch’io…quando smette di piovere ti va di andare a mangiare una crepe alla nutella?

-E come potrei rifiutare una proposta così alettante? Ovvio che sì…sempre però, sperando che smetta di piovere.

-Oh sì che smetterà. Dovresti sapere benissimo che da noi la pioggia non dura molto.

-A volte, ma altre può anche non finire mai. Comunque ci pensi, da stare sui comodi sedili della prima classe sul treno, ora ci troviamo sotto un portone…è comica la situazione.- osservai.

Rise.

-Già! Ma in ogni caso, penso che non sia tanto importante il dove ma con chi si sta in un posto, e non mi lamento ora come ora.

-Quindi la mia compagnia non è tanto male?- lo fissai, incrociando le braccia al petto.

-Non ho mai detto che la tua compagnia mi dispiace Jane. Sei una creatura curiosa, su questo non ci sono dubbi, e mi pare di avertelo detto.

Mi lusingavano le sue parole.

-Ti ringrazio. Però non riesco ancora a capire cosa ti incuriosisca di me…sono una persona assolutamente comune, senza nulla di speciale.- ammisi sinceramente.

Era vero. Ero una persona completamente normale.

-Sono proprio le persone che non si ritengono speciali che sono tali, ma…- si schiarì la voce,- oggi sono troppo buono, non credi? Non mi si addice la parte del dolce per cui…ti va un po’ di musica?

-Che scemo che sei.- gli diedi uno scherzoso pugno sulla spalla.

La parte del dolce, invece, gli si addiceva eccome.

-Ehi non si picchia un uomo cieco!- scherzò.

-Ma se i miei pugni sono come carezze.- risi.

-Sì certo!- curvò le labbra in un mezzo sorriso.- Comunque, ripeto, ti va della musica?

-Ma se in macchina hai detto che, essendo uscito da poco da una radio, avresti ascoltato musica solo se mi andava!

-Ho cambiato idea! Non posso?

-Certo che sì…Bene. Basta che non siano i Limp Bizkit.- ci scherzai sopra.

Sorrise.

-D’accordo. Ti vanno bene i Pink Floyd?

-Assolutamente.

-E sia!

Così detto estrasse dalla tasca della sua giacca il suo lettore musicale, e dopo avermi dato una cuffietta, rimanemmo ad ascoltare musica appoggiati alla parete del citofono.

“We don’t need no education”

-La canzone recita: “Noi non abbiamo bisogno di istruzione”, ma tu Terence, quale istruzione hai ricevuto, e cosa ne pensi della scuola?- domandai, cercando di costruire una nuova conversazione.

-Oh la scuola può essere il luogo migliore di questo mondo, ma anche il peggiore. Tutto sta nelle compagnie in cui ci si imbatte. Penso, in ogni caso, che l’istruzione sia una cosa importante nella vita di uomo, perché senza di essa saremmo…ciechi…- si schiarì la voce,- mentalmente. Io ho frequentato la St John’s High School e come università la St Andrews.

-Wow…un’università di tutto rispetto. E dimmi com’eri da studente?

Mentre la canzone continuava, buttai un occhio sulla strada, notando che varie persone stavano correndo cercando riparo, con mega ombrelli sopra le proprie teste. C’era chi stava chiudendo il proprio negozio voltando il cartellino bianco da “Aperto” a “Chiuso” appeso sulle porte, c’era chi entrava in qualche bar in cerca di calore e chi si rifugiava sotto palazzi, come me e Terence.

-Un ragazzo normale. Amavo andare alle feste, soprattutto quelle universitarie, stare con le ragazze,- sorrise maliziosamente,- ma anche studiare molto.

-Ah sì? Non l’avrei mai detto…

-Ti ho già detto che mi sottovaluti troppo?

-Sì.- risposi sorridendo, strofinandomi le mani per fare un po’ di calore.

-E tu? Quale è stata la tua istruzione?- mi domandò, voltando il viso verso di me.

-La Liberton High School e l’Università di Edimburgo.

-Ah la Liberton, davvero? Ci andava un mio amico lì.

Che bei lineamenti che aveva.

-Sì, non era molto lontano da dove abitavo.

Rimanemmo altri minuti in silenzio, con il solo suono delle gocce infrangersi sulla strada e con le calde voci di una delle band più famose al mondo.

Dopo poco, però, continuando a osservare la strada, notai che finalmente la pioggia si stava calmando. Furono altri secondi e la pioggia smise definitivamente. Che bello, oggi quelle fredde goccioline avevano infastidito meno di altre volte.

-Caro Terence, sono lieta di annunciarti che la pioggia è finita, e dunque possiamo riprendere la nostra passeggiata.

-Oh sia ringraziato il Cielo! Se per te va bene, ho intenzione di portarti in un piccolo chiosco qui vicino. Ha dei tavoli all’esterno e si può anche ballare. Certo, con l’acqua non credo potremmo sederci, ma almeno mangeremo qualcosa di buono.

Terence mise le mani nelle tasche dei pantaloni, spegnendo il suo IPod argentato, da cui si stavano trasmettendo le ultime note della canzone dei Pink Floyd.

-Comunque che facoltà hai fatto all’università?- chiesi riprendendo a camminare, mentre lui mi riprese per mano.

Io non sapevo dove fosse il chiosco dove voleva portarmi, ma notando che si muoveva con il suo James in tutta sicurezza, mi limitai a dargli fiducia.

-Economia.- rispose freddamente.

-E ti piaceva?

Volevo assolutamente che si aprisse con me. Volevo che mi parlasse, che mi permettesse di conoscerlo.

-No. Io volevo fare la facoltà di storia dell’arte, ma evidentemente non era destino.

-Il destino ce lo scriviamo noi con le nostre mani, chi è che te l’ha impedito?

-Jane, perché vuoi che te lo dica? – voltò il capo verso di me.

-Beh Terence mi incuriosisci anche tu e poi…giorni fa mi hai detto che se avessi voluto diventarti amica…avrei dovuto accettare la tua stranezza, ma penso che per essere amici ci vuole ben altro, ho bisogno di conoscerti, di sapere se posso diventare qualcosa di più di una conoscente.

-Hai ragione. Ma ci sono delle cose di cui non preferisco parlare al momento…sono cose che mi fanno male e che non voglio rivangare. Ma hai ragione, dobbiamo conoscerci se vogliamo diventare amici. E dunque…non ho fatto la facoltà che avrei voluto perché mio padre me l’ha impedito ma…alt, non chiedermi altro sull’argomento.

-E va bene.- mi arresi.

-Senti Jane scorgi qualche chiosco con una tendina a fasce bianche e rosa?- cambiò discorso ora.

Mi fece girare ad un angolo. Ed intravidi ciò che mi aveva chiesto.

-Sì.

-Benissimo.- sorrise.- siamo arrivati.

Un delizioso profumo di zucchero filato e di cioccolata ci invase, man mano che ci avvicinammo al chioschetto.

-Oh ciao Terence, quale onore averti qui.- salutò una donna, appena fummo davanti a quel nido di dolci.

-Ciao Susan, ci puoi dare due crepes alla nutella?

-Subito! Vi dispiace se prima, però, apro i tavolini e le sedie? Vi faccio accomodare. Sapete con la pioggia avevo chiuso tutto.

-Certo, fai pure.- le disse Terence.

Conosceva molte persone in città.

La donna entrò dentro il suo chioschetto da cui poi uscì portando dei tavolini e delle sedie, di quelle apri e chiudi.

Posizionò il tutto al centro dello spiazzale in cui si ergeva la sua piccola impresa e in cui erano presenti anche panchine e lampioni.

Dopo aver sistemato tavolini e sedie, si allontanò nuovamente, tornando con delle tovaglie turchesi con stampe a margherite che stese sui tavoli.

-Prego accomodatevi.

-Grazie, molto gentile.- le sorrisi, aiutando Terence e sedendomi a mia volta.

-Jane, piacere.- le dissi.

-Susan, piacere mio.- mi sorrise.- Vi porto subito ciò che avete chiesto allora.

Si allontanò.

-E’ bello qui, vero? Ci sono venuto un mese fa insieme ad Harrison, e mi ha detto che il luogo è carino.- mi disse Terence.

-Sì molto. Ci sono perlopiù panchine e lampioni, ma il chiosco è delizioso e rende il tutto più speciale.

- Mi fa piacere sapere che ti piaccia.- mi rispose sfilandosi gli occhiali da sole, modello Rayban a goccia, per lucidare le lenti.

Forse era stata la pioggia ma i suoi occhi sembravano quasi grigi in questo momento.

-Ecco a voi.- ci interruppe la donna, dandoci ciò che avevamo chiesto. 

Wow quanta velocità.

Due crepes alla nutella contornate da fiocchi di panna e da polvere di cacao. Sembravano davvero buone.

-Grazie. – dicemmo all’unisono io e lo scontroso.

Susan ci sorrise e se ne andò.

Dando un’occhiata attorno, notai che anche altre persone stavano iniziando ad arrivare. Le fastidiose nuvole che macchiavano il cielo se ne stavano andando e qualche stella illuminava la serata.

Dopo qualche istante il cellulare di Terence squillò.

Terence lo prese dalla tasca dei suoi pantaloni e cliccando due volte il touch screen, una vocina meccanica simile a quella del suo orologio gli disse: “ E’ Heathcliff .”

Heathcliff? Suo fratello?

-Scusami devo rispondere, Jane.- mi disse.

-Fai pure, tranquillo!- gli risposi, iniziando a mangiare la mia crepe.

Si portò l’apparecchio al telefono.

-Dimmi Heath.- rispose piuttosto scocciato.

-Ma come l’affare Ledger?- continuò.

-Guarda che ne ho già discusso con Catherine…quando? Non ti ha detto nulla? Ma non è possibile! Ci eravamo detti tutto!...Al ristorante, per la miseria, come sei insistente!...Sì al Queen Victoria ne abbiamo parlato lì…ma non è importante il dove piuttosto il fatto che non te l’abbia detto…sì, ne parliamo dopo…non posso più uscire adesso?

Terence stava parlando con un tono di voce piuttosto alterato ma basso. Le mie orecchie però avevano perfettamente captato la parola “Queen Victoria”. Stavano parlando di qualche affare di cui lui aveva parlato con questa Catherine. Ma chi era questa ragazza? Ancora non ero riuscito a capirlo.

-Harrison?...Ma non sono affari tuoi dove sono e con chi, fatti accompagnare da quell’incapace di nostra sorella…guarda, non mi capacito ancora che non ti abbia detto nulla di quello che abbiamo discusso.

Ah ha…Catherine…sua sorella. Un altro dubbio era stato risolto. 

 

CONTINUA…

 

Piccole noticine:

1) Jane cita Jillian Mercado…la ragazza esiste realmente e tutto ciò che ho scritto su di lei l’ho trovato sul web.

2) Il nome della clinica “The house of the rising sun” è un mio piccolo omaggio a una canzone bellissima ,che amo, di una band anni 60 i “The Animals”, grazie ragazzi! ;)

3) Il progetto di cui parla Terence è anch'esso realmente esistente.

 

       Ciaoo gente!!^^

Parto con il scusarmi per il grande ritardo, ma questo capitolo è stato un po’ un parto. Ogni giorno ( e si parla di settimane) cancellavo, aggiungevo, modificavo, tagliavo…è difficile scrivere di Jane e Terence xD

Spero che, almeno, però il capitolo non sia venuto una totale schifezza e che vi sia piaciuto. Io amo scrivere del nostro Terence, a voi piacciono le sue riflessioni e il suo modo di parlare? :) Veniamo a scoprire anche chi è la famosa biondina del ristorante…mhm…sua sorella…ve lo aspettavate? ^^

E ora okay, detto questo posso finalmente ringraziarvi. Non pensavo che Ad occhi chiusi sarebbe stata accolta così bene e dunque davvero grazie mille per il supporto che sto ricevendo. Non sono una persona con un livello di autostima molto alto, anzi…quindi siete davvero importanti per me.
Un grazie speciale a : romy2007, AlysonWar, Isabelle02, Sun_Rise 93 e Helmwige per le loro dolci recensioni. Vi lovvo <3

E anche a :  Mortisia_Ailis, _lovely_, matt1, itpanya, Dusolina , Eli12 ,Alien__, Saruccia, elspunk93, la sopracitata Isabelle02, e a Minelli per aver aggiunto la storia alle seguite. Amo anche voi <3

E a : Viandante (grazie mille per la recensione al primo capitolo e per le belle parole ;) <3 ) e alla già nominata Sun_Rise93 per aver aggiunto la storia alle preferite <3

Chiedo scusa se per sbaglio ho saltato qualcuna. Con il copia e incolla non ci capisco più nulla xD

Grazie ancora di cuore, un bacione grande e a presto ^__*

Ah quasi dimenticavo! Per farmi scusare il ritardo, vi lascio un video davvero divertente. Ecco a voi:  https://www.youtube.com/watch?v=J1MITvvrhhU

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo sette

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg 

 

"E resterai con me?"

"Certo a meno che voi rifiutate. Sarò la vostra vicina, la vostra infermiera, la vostra governante. Vi trovo solo:

sarò la vostra dama di compagnia, per potervi leggere, per camminare con voi, sedermi con voi, per 

prendermi cura di voi, per essere i vostri occhi e le vostre mani. Non siate più malinconico, mio caro padrone, 

non sarete mai più solo, finché avrò vita."

-CHARLOTTE BRONTE- Jane Eyre-

Quando tornai a casa, notai, come immaginavo, che tutte le luci erano spente, segno che Abbie non era ancora arrivata. Controllai l’orologio a forma di mela appeso alla parete della cucina, constatando che si erano già fatte le dieci e mezza.

Avevo preferito concludere non molto tardi la serata con Terence, non perché non mi piacesse la sua compagnia, anzi…ma perché non volevo che rientrasse troppo tardi a casa. La non presenza di Harrison mi spingeva ad avere più timori. Insomma lui era un ragazzo ricco e non vedente e dunque in strada non era al sicuro con tutte le brutte persone che circolavano a piede libero; mi ero fatta promettere, però, che dopo essere sceso dal taxi con cui mi aveva riaccompagnata, il suo autista l’avrebbe aspettato fuori la sua casa e che mi avrebbe telefonato appena tornato. Volevo sperare che non mi avesse mentito.

Accesi le luci del salotto notando che lo screen del telefono cordless appoggiato sul tavolino vicino alla tv stava lampeggiando, segno che qualcuno aveva lasciato qualche messaggio sulla segreteria telefonica.

Posai la mia giacca e la mia borsa sul sofà e poi premetti il pulsante dei messaggi.

-Un messaggio da ascoltare.- disse la voce meccanica del telefono.

BIP

-Tesoro, sono papà, come stai? Non ci sentiamo da tanto tempo…come sta andando con il lavoro? E la salute? Tutto a posto? Fatti sentire presto…ti voglio bene.

Corrugai la fronte…wow…era da tempo che non ascoltavo la calda voce di mio padre. Ero un po’ sorpresa. Tra vari traslochi e qualche problema alla linea telefonica erano passati quasi due mesi dall’ultima volta che ci eravamo sentiti.

Mi avvicinai di più al telefono digitando il numero di Billy Ryan, il mio amorevole papà.

-Pronto?

Sentii in sottofondo il telecronista di una partita.

-Ehi papi, mi hai mandato un messaggio in segretaria, prima? Come va?

-Ehi amore di papà, sì volevo sentirti un po’. Sto bene, tu?

Mi era mancato sentire il suono della sua voce.

-Un po’ stanca, ma sto bene anch’io. Già in effetti non ci sentiamo da un po’, ma sai com’è…abitiamo anche in due città diverse ora.

-Purtroppo…!- affermò lui con un tono vocale palesemente triste.- e al giornale come procede?

-Martedì prossimo devo consegnare un articolo abbastanza importante e sono un po’ tesa, ma ci sto lavorando sodo e quindi…speriamo bene.- dissi, iniziando a camminare avanti e indietro per il salotto.

-Ne sono contento tesoro mio, sono certo che andrai alla grande.- sorrisi felice.- E con Abbie?

-Tutto alla grande…la conosci, è la solita pazzerella, ma è la mia più cara amica. E tu, invece? Al negozio di elettrodomestici come va?

-Tutto okay, l’altro giorno Brad mi ha messo qualche soldo in più nella busta paga…non sai quanto ero felice. Ma raccontami…hai un ragazzo?

Non so perché ma a quella domanda, il primo volto che mi venne in mente fu quello di Terence. Sapevo che ovviamente lui non era il mio ragazzo, ma il fatto di aver passato qualche momento con lui, me lo stava facendo pensare troppo spesso ultimamente.

-No, papà, assolutamente no…deve ancora arrivare il principe azzurro- ridacchiai-. Tu, invece? Qualche bella dama da corteggiare?- domandai curiosa.

Lo sentii sospirare. Da quando mia madre ci aveva abbandonati, il sentir parlare di un’altra donna lo metteva di malumore.

-No tesoro…lo sai…! Cioè c’è la signorina Ford…sai la maestra di Robert…che sembra carina, ma…ho paura.- ammise.

-Ma papà…paura di cosa? Senti facciamo che domenica mangiamo qualche boccone insieme?

Volevo rivederlo, ascoltare dal vivo la sua voce, rivedere i suoi grandi occhi così simili ai miei, rivedere le sue rughe e stargli accanto.

-Ma tesoro, abitiamo distanti! Dovresti prendere il treno.

-E che fa, papà? Sono abituata a prendere i mezzi di trasporto e poi non perché abitiamo lontani non dobbiamo vederci più. E poi Aberdeen non è mica New York.- gli feci notare.

-Hai ragione tesoro, dobbiamo andare contro le barriere della lontananza! Ma allora…visto che dovrai prendere un treno perché non rimani tutto il fine settimana, a partire da venerdì prossimo?

Ci pensai qualche attimo, notando che effettivamente l’idea non era male e che sicuramente per quel giorno il mio articolo sarebbe stato concluso.

-Ottima proposta, papi…ci vediamo venerdì prossimo allora! Ti telefono appena starò in stazione. Un bacio. Ti voglio bene.

-Anch’io Jane cara, un bacio a te, ciao.

E così chiusi la telefonata con il mio genitore e poi rimisi il cordless al suo posto.

Sospirai. Era stato…strano risentirlo dopo tanto tempo.

Andai in camera, e dopo essermi spogliata, mi tuffati sotto la doccia. Avevo bisogno di scaldarmi dopo la piovosa serata, anche se la dolce crepe e il sorriso di Terence mi avevano scaldato a sufficienza.

Come sempre questo era il luogo migliore in cui i miei pensieri amavano uscir fuori.

Non ero sicura di cosa mi stesse succedendo, ma qualcosa di me si stava irrimediabilmente legando a Terence Ashling. Mi piaceva stare in sua compagnia, ascoltare le sue parole, preparare risposte in grado di sorprenderlo…insomma…non sapevo neanch’io, ma mi attraeva parecchio.

Ripensai a lui, ai suoi occhi scoperti dagli occhiali da sole, al suo modo di parlare, al suo viso. Poi pensai alla telefonata che aveva avuto con suo fratello; certo avevo ascoltato poco e niente di quello che aveva detto in quanto aveva parlato perlopiù in “econominese” ovvero nella lingua delle persone che se ne intendono di economia. Alla fine, però, ciò che mi interessava sapere, le mie orecchie l’avevano captato: Catherine Ashling era sua sorella ed era la ragazza bionda con cui aveva passato una serata al Queen Victoria. Riflettendoci i suoi fratelli avevano i nomi dei protagonisti di Cime Tempestose…pensai che fosse proprio una coincidenza. Magari alla mamma di Terence piaceva quel famoso romanzo.

Dopo essermi coperta di crema corpo alle arance, la stessa che Abbie mi diede tempo prima, legai i capelli in una treccia disordinata, misi il pigiama e dei lunghi calzettoni, spazzolai i denti e poi andai in salotto a vedere un po’ di tv, nell’attesa che la mia migliore amica arrivasse.

Alla televisione non stava facendo nulla di particolarmente interessante, anche perché la maggior parte dei film erano già cominciati. Appena però scorsi il sorridente volto di Sandra Bullock e gli azzurrissimi occhi di Hugh Grant, posai il telecomando e mi gustai Due settimane per innamorarsi.

Passarono circa quindici minuti quando mi squillò il cellulare.

-Ciao Terence.- sorrisi.

-Ciao Jane. Volevo solo dirti che sono arrivato a casa e sono sano e salvo.

Sospirai sollevata. Aveva mantenuto la sua promessa.

-Noto che eri preoccupata per me, Jane…non dovresti farlo.- rispose, forse avendo sentito il mio sospiro di sollievo.

-Non ero preoccupata per te, Terence…era solo un voler constatare che tu stessi bene…per…non avere pesi sulla coscienza.- conclusi, cercando delle parole che non lo gasassero troppo.

-Sì…okay, come vuoi tu.- affermò poco convinto.- Allora buona notte Jane e se riesci non sognarmi.- concluse ridendo.

-Eh no Terence questo tipo di richieste non dovresti farmele…sai che sono troppo difficili da esaudire. Però dai proverò a non sognarti, promesso.- scherzai.

Lui scoppiò a ridere.

-Hai ragione Jane, sono stato un po’ cattivello nel chiederti una tal cosa.- rise.- Va bene, allora a presto e fammi sapere quando sarà pubblicato il tuo lavoro.

-Non mancherò.

E fu così che ci augurammo reciprocamente la buonanotte salutandoci.

Anche dopo aver spento il mio Nokia Lumia 925, però…rimasi a pensare a Terence e sorrisi tra me e me.

***

-Baby? Baby? Ehi…svegliati pigrona…vai nel tuo letto, il divano è scomodo.

Sentii in maniera ovattata la voce della mia migliore amica. Dovevo essermi addormentata sul divano!

Aprii lentamente gli occhi, e poi rivolsi un sorriso a colei che mi aveva allontanata dal regno di Morfeo.

-Ciao tesoro.- la salutai.- che ore sono?- domandai, coprendo uno sbadiglio con la mano.

-E’ mezzanotte piccola. Ci siamo soffermati un po’ di più perché la prossima settimana non ci incontreremo.

-Perché?- domandai, spegnendo la tv. Il film con la Bullock era stato sostituito con un telegiornale della notte.

- Perché William e Sophie hanno da fare con una cena di famiglia. Sai che sono fidanzati?

-Sì, più o meno…Terence mi accennò il fatto che sono tutti fidanzati nel gruppo.- risposi appoggiandomi ad uno dei braccioli del sofà su cui mi ero addormentata, mentre Abbie iniziò a togliersi il suo trench Burberry.

-Sì è così infatti. Solo Mary Anne non lo è…ma credo, come già mi dicesti tu, sia interessata a Terence…non ti dico, mi ha fatto alcune domande in merito al dove foste tu e lui.- mi rispose.

-Cosa? Mary Anne ti ha chiesto di me e Terence? Non crede di esagerare quella lì? So che lo vorrebbe come fidanzato ma non stanno insieme...- borbottai, corrugando la fronte.

-Certo che è esagerata…il mio Tom mi ha detto che anni fa ci provò persino con lui. Guarda, la vorrei strozzare solo per questo.- disse posando un braccio sulle mie spalle accompagnandomi nella sua camera.

-Davvero? Con il tuo Tom?- sgranai gli occhi sorpresa.

-Yes baby. Vabbè dai non ne voglio parlare, piuttosto tu…com’è andata la tua serata con l’ “arrogante”?- mimò le virgolette.

-Bene…direi. Ho intervistato tre persone davvero deliziose, e finalmente potrò concludere il mio articolo. E poi niente, dopo essere usciti dalla clinica si è messo a piovere e abbiamo sostato sotto un palazzo.

-Ho notato che ha piovuto, ma ehi…cos’è successo sotto il palazzo?- chiese, con un tono tra il divertito e il curioso e un accenno di malizia.

La guardai assottigliando lo sguardo.

-Abbie!- la ripresi- secondo te cosa sarebbe potuto succedere sotto un palazzo?

-Non so…dimmelo tu!- continuò a ridere.

-Abbiamo parlato di cose relative a noi…volevo conoscerlo un po’ e mi ha parlato della scuola che ha frequentato…niente di che. Però…

-Però…?

-Non so…ma credo che mi attragga parecchio...troppo.- ammisi sinceramente.

-Ma dai...non l’avevo capito!- ironizzò ridendo.- E lui? Secondo te lo attrai?

-Boh…non saprei…sinceramente non credo proprio! Mi ha detto di non essere interessato all’amore e ci conosciamo troppo poco per cui lui possa apprezzare la mia interiorità, visto che d’aspetto esteriore non può vedermi…

-Io fossi in te aspetterei un altro un po’ di tempo per dire “non credo proprio”…secondo me sareste benissimo insieme e con il tuo carattere ammalieresti chiunque tesoro mio.- posò un bacio sulla mia testa, prima di farmi stendere sul suo letto.

-Grazie Abbie…sei sempre molto cara.- le sorrisi sinceramente.- ma…perché mi hai portato nella tua camera?- constatai guardandomi attorno.

-Oggi dormiamo insieme se ti va…ho bisogno di averti accanto stanotte…ho carenza di affetto.- concluse imitando la voce di una bambina e sbattendo le ciglia.

Scoppiai a ridere.

-E va bene, ci sto!

Rise.

-Ah e hai scoperto chi era quella biondina che mi dicesti aver incontrato quella sera con i tuoi colleghi?- domandò iniziando a posare gli abiti con cui era uscita su delle grucce nell’armadio.

-Sì sì…avevi ragione tu…è sua sorella.

-Che ti avevo detto! Da quel che mi hai raccontato Terence non era tipo da dire di non volersi fidanzare e poi da avere una ragazza. Sembra una persona sincera.

-Mhm già! Ma non ne potevo essere certa. – sospirai.- E tu? Come è andata?- le chiesi abbracciando il pupazzo di Minnie posato tra i suoi cuscini.

-Come al solito. Ti ho detto, solo Mary Anne mi ha un rovinato un po’ la serata. Si è seduta accanto a me e ha iniziato a infastidirmi.

-Uffa quella pecora…ma perché esistono delle ragazze che si comportano come streghe?

La mia amica si limitò a fare un lungo sospiro che celava tante cose.

-Ah comunque io e il mio amore venerdì andremo al cinema e poi al ristorante.- concluse con occhi sognanti, sfilandosi i suoi tronchetti neri.

-Uhhhh bello. – le sorrisi.

-Sì…- mi fece l’occhiolino,- tu sai già che farai?

-Yes! Prima sono stata al telefono con mio padre. Mentre eravamo fuori mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica. Abbiamo deciso di vederci il prossimo weekend…e anzi mancherò sia venerdì pomeriggio, che sabato, che domenica mattina.

-Ah…wow che sorpresa! Sono contenta che tu e tuo padre passerete del tempo insieme, ne avete bisogno entrambi.- mi fece l’occhiolino.- L’unica pecca è che passerò quelle giornate da sola.- concluse mettendo il broncio.

-Macché…e Tom?- domandai.

-Mhm hai ragione…vedremo di trovare qualcosa di interessante con cui passare il tempo.- concluse con gli occhi scintillanti di felicità. -Beh baby vado a farmi una doccia…ah mi presteresti il tuo bagnoschiuma alla vaniglia?- domandò assumendo l’espressione del “ti prego, so che mi vuoi tanto bene”.

-E va bene – cedetti, - …ah Abbie, mi sono dimenticata di dirti una cosa su Terence.

-Cosa?- si sedette accanto a me.

-Praticamente il nonno di Terence è fondatore dell’Ashling Corporation, un’azienda di pneumatici e pezzi di macchine. Mi è stato detto che anni fa questa famiglia era molto famosa e comparve persino in qualche telegiornale.

-Ah…wow!- assunse un’espressione sorpresa.- Dunque Terence è imparentato con degli imprenditori…chi l’avrebbe detto! Tom, ahimè non mi vuole mai raccontare nulla di lui, quando provo a voler scoprire qualcosa. E tu? Come l’hai saputo?

-Ho chiesto in ufficio. Ti dissi che l’altra sera mi parve di capire che i miei colleghi sapessero qualcosa di Terence e dunque ho chiesto loro qualcosa.

-Mhm…hai fatto bene…bah… vabbè baby io vado allora.

-Okay, ti aspetterò.

Mi sorrise e poi si allontanò.

Neanche a farlo apposta, quella notte sognai un ragazzo con gli occhiali da sole.

***

-Oddio…non vedo l’ora di vedere i modelli.- ironizzò facendo una voce femminile Vincent.

Io e Steve scoppiammo a ridere.

Da quando la nuova settimana si era aperta, non si faceva altro che parlare dell’arrivo degli staff Klein e Louboutine. C’era un gran fermento e persino delle imprese di pulizia erano state chiamate per lucidare finestre, per spolverare tende e mobili, per lucidare i parquet e per sistemare le camere dove sarebbero state allestiti i macchinari per le foto ai modelli.

-Zitto scemo…cosa ne vuoi capire tu!- borbottò Barbie.

-Sì infatti, voglio vedere come ti comporterai quando arriveranno le modelle.- sbuffò Freddie.

Vincent mise il broncio mentre Steve assunse un’ espressione timorosa guardando la porta del nostro ufficio.

Evidentemente anche i miei colleghi si accorsero della sua strana espressione, perché  tutti ci girammo verso la nostra porta.

-Ehm…Steve puoi uscire un attimo?

Cavoli…un metro e sessanta di grazia, boccoli rossi e grandi occhi color miele. Signori e signore, era appena entrata Arabella Thomson, l’ex del mio collega.

Il volto del bruno si colorò delle più disparate tonalità di rosso e dopo essersi aggiustato il nodo della sua cravatta azzurra, si schiarì la voce e uscì.

Che volesse parlargli per dare un’altra possibilità al loro rapporto?

-Oddio ragazzi, avete visto? Secondo voi cosa è venuta  a chiedergli?- domandò il mio ex.

-Secondo me vuole dare un’altra possibilità alla loro relazione.- fu della mia stessa idea Barbie.

-Io dico che è venuta a dirgli di riprendersi tutti regali che le ha fatto quando erano fidanzati.- concluse Price.

-Oh ma tu dove caspita sei nato? A cattivolandia? Mamma mia, non pensi mai cose dolci.- lo attaccò Freddie.

-Senti Bennett rispetta le mie idee, hai capito?

A quel punto quei due iniziarono a bisticciare come due bambini dell’asilo, mentre io  e la bionda ci guardammo con le sopracciglia puntate verso l’alto in una pura espressione divertita.

Passarono vari minuti, in cui controllai alcune email sul computer, poi il mio collega ritornò, con un sorriso ebete sulla faccia. Forse io e la Richardson avevamo ragione.

-Ragazzi…cari ragazzi miei…amici di una vita…- iniziò volteggiando su stesso.

-Oh e muoviti a dirci cosa è successo, per la miseria!- sbraitò Price fermandosi dal discutere con Fred.

-Io e Arabella ci siamo rimessi insieme.- strillò entusiasta.

Tutti ridemmo, tranne Vincent…ovvio.

-Lo sapevo io…e cosa ti ha detto?- domandai.

-Beh…- iniziò arrossendo.- abbiamo parlato di tante cose…e ci siamo resi conto di non stare bene da soli…siamo due facce delle stessa medaglia…siamo due calamite…e…

-Menomale che non eri cotto di nessuna Thompson.- lo interruppe il biondo ricordando le parole di Steve il giorno della riunione con il capo.

-Oh beh…son fatti miei.- rise arrossendo il bruno.

Inutile dire che la settimana si aprì proprio bene.

***

-Baby, hai messo tutto nella valigia?-gridò Abbie dalla sua camera.

-Credo di sì…cioè ho messo tutto ciò che suppongo in due giorni mi possa servire.- dissi osservando il mio trolley aperto e ciò che vi avevo messo dentro.

-Hai messo anche la crema per il viso, il tonico, i cotton fioc, il collutorio, il…

-Tesoro, mio padre le ha certe cose.- sorrisi.

-Il tonico e la crema viso non credo proprio.- entrò nella mia camera, facendomi una linguaccia.

-Abbie devo stare solo un weekend, tranquilla!- le accarezzai il viso.

-Va bene, come vuoi tu! Senti,  e con Terence invece? Da quanto non vi sentite?

-Da venerdì scorso in pratica.- ci pensai su.

-Una settimana addirittura? Baby, devi assolutamente contattarlo…anche perché non mi ha fatto neanche più sapere a proposito di quando potrò vedere le sue automobili.

-Io? Chiamarlo? Ma…mi vergogno…perché non l’ha fatto lui? Forse non si è divertito l’ultima volta con me e allora…- tentennai.

-Chiamalo! Adesso!- mi minacciò la mia migliore amica, guardandomi da dietro le lenti dei suoi occhiali da vista.- digli che devi partire questo weekend, che la tua cara coinquilina vuole sapere quando potrà vedere le sue macchine e che sarebbe bello rivedervi.

Mi allontanai dal mio letto, poi presi la mia borsa e ne uscii il mio cellulare.

-Ma perché non mi ha chiamato lui questa settimana?- tentai a convincerla che non era un bene che lo chiamassi io.

-Forse perché è stato molto impegnato o forse perché pensa che tu in sua compagnia non sia stata bene. Le ultime volte ti ha sempre contattato lui, no? Quella volta del viaggio per Glasgow insistette lui per venire con te, e ti telefonò lui per sapere il giorno in cui vedervi per incontrare i suoi amici al centro di riabilitazione, quindi avanti…- mi fece presente.

Forse non aveva tutti i torti. Così composi il suo numero.

Dopo tre squilli mi rispose.

-Oh ciao Jane…

Mi schiarii la voce, un tantino imbarazzata.

-Ciao…Terence. Ti disturbo?

-No assolutamente. Scusami se non ci siamo sentiti in questa settimana…sono stato un po’ impegnato.- mi disse sorprendendomi.

Allora mi avrebbe contattato se fosse stato libero.

-Oh non preoccuparti, scusami anche tu! Senti…Abbie mi chiedeva se avevi scelto una data per incontrarvi.

-Oh già…giusto. Chiedile scusa per il ritardo…facciamo mercoledì prossimo?

Guardai la mia amica, mimandole ‘mercoledì’ con le labbra.

Abbie annuì.

-Va bene per mercoledì…di pomeriggio?- domandai.

-Sì…per le sette, se per lei va bene.- mi rispose.

-Abbie va bene per le sette?- le chiesi.

Annuì con il capo.

-Sì…mi dice che va bene.- dissi.

-Perfetto! …E tu come stai?- mi domandò.

-Bene, bene! Sai questo fine settimana faccio un piccolo viaggio…vado a trovare mio padre a Aberdeen…tu? Come stai?

Si sentiva troppo che ero imbarazzata?

-Sto…come sempre, Jane! Bello il viaggio, comunque…spero ti divertirai.

-Grazie…ma sarà qualcosa di breve…solo due giorni.

-Oh…capisco. Senti Jane…ti andrebbe di venire anche tu mercoledì? Potrai vedere le miei auto.- mi propose.

Non ci pensai due volte.

-Certo, volentieri. Allora a mercoledì.

-A mercoledì. Ciao Jane.

-Ciao Terence!

E fu così che concludemmo la nostra telefonata.

***

Mi aspettavamo ben tre ore di treno, così messami comoda su un sedile, presi il mio smartphone, le mie cuffiette, e un libro che amavo molto: “Jane Eyre”. Dopo mi sintonizzai su una radio a caso, senza notare quale fosse, e mi immersi nel fantastico modo di carta di Charlotte Bronte.

"Non aveva passione per il giuoco, per il vino, né per i cavalli, non era bello, ma coraggioso e fermo di carattere. L'ho conosciuto da piccolo e in quanto a me ho spesso desiderato che la signorina Eyre si fosse rotto il collo prima di giungere alla villa.

— Allora il signor Rochester era a Thornfield quando scoppiò l'incendio?

— Sicuro! e salì nelle soffitte quando tutto era in fiamme, destò la servitù e l'aiutò a porsi in salvo, poi tornò su a cercare la matta.

"Allora lo avvertirono che lei era sul tetto e agitava le braccia al disopra degli abbaini e mandava certi urli che si sarebbero potuti sentire a un miglio di distanza.

"L'ho veduta e l'ho sentita; era un donnone con i lunghi capelli neri sparsi sulle spalle, e ho visto anche il signor Rochester salir sul tetto e l'ho sentito chiamare: "Berta!" e avvicinarsi quindi a lei.

"La pazza gettò un grido, fece un salto e cadde morta sul lastrico.

— Morta? Oh Dio!

— Avete ragione, signora, fu una cosa spaventosa! — e rabbrividì.

— E poi? — dissi.

— La casa bruciò tutta e non rimase ritto che qualche pezzo di muro.

— Non vi rimase morto nessuno?

— No, eppure sarebbe stato forse meglio!

— Che cosa intendete dire?

— Povero signor Edward! Non credevo mai di vedere una cosa simile! Alcuni dicono che se l'è meritata per aver voluto sposare un'altra donna, mentre la prima viveva; io però lo compatisco di cuore!

— Ma avete detto che vive! — esclamai.

— Sì, ma forse sarebbe meglio che fosse morto.

— Dov'è? — domandai. — In Inghilterra?

— Sì, in Inghilterra, e per sempre. Come era dolorosa la sua agonia! È cieco, cieco! — aggiunse l'oste. — Povero signor Edward!”

Arrivata a quel punto della lettura mi fermai. Avevo già letto il capolavoro della Bronte quando ero poco più che un’adolescente, ma la mia mente aveva completamente dimenticato che uno dei miei personaggi letterari maschili preferiti, il signor Rochester, diventasse…cieco…cieco come…

“Buona giornata da Jonathan, amici di Radio Capital, come state iniziando questa giornata?”

“Ehi ci sono anch’io Jonathan!”

“Oh Terence, hai ragione scusami, non ti avevo visto”

“Ha-ha, mio caro, bella battuta. Qui l’unico che non può vederti sono io”

“Hai ragione amico, ho usato una battuta vecchia quanto me! Piuttosto come stai?”

“Pronto ad affrontare anche questa giornata, ecco come sto, amico mio! E tu? Carico per affrontare l’argomento del giorno?”

Al suono di quella voce e di quel nome, sollevai il capo dal mio libro. Sentii il mio cuore aumentare i suoi battiti.

Possibile che fosse la radio in cui lavorava Terence quella in cui mi ero sintonizzata?

L’argomento del giorno? Ovvero?”

“Ma come testone, oggi parleremo del nuovo album dei Deep Purple…pff…che tipo che sei!”

Per la barba di Merlino…davvero? Cioè il caso aveva realmente voluto che mi sintonizzassi sulla radio di Terence? Che sentissi la sua voce proprio quando avevo letto una parte del mio libro preferito che mi aveva fatto inevitabilmente pensare a lui?

Chiusi il romanzo, facendo una piccola piega sull’angolino della pagina in cui mi ero fermata, e appoggiai la testa sul finestrino.

“Oh già, che sbadato amico, i vecchi Deep Purple, e come non ricordarli. Uno dei gruppi hard rock inglesi più famosi al mondo. Formatosi a Hertford nel 1968, insieme a i Led Zeppelin e i Black Sabbath sono considerati fra le principali colonne portanti del genere heavy metal. Tu cosa ne pensi, Terence?”

“Beh…io adoro i Deep Purple, caro mio. Con la loro –Smooke on the water- mi conquistarono letteralmente.”

“Ah sì? E dire che ti facevo più tipo da Brian Adams”

“Oh beh…hai ragione, sono un tipo più da soft rock, ma ho un’anima anche più heavy metal, caro Jonathan”

Rimasi ad ascoltare Terence e il suo amico per tutto il tempo del viaggio. Era una cosa stranissima sentirlo attraverso le cuffiette. La sua voce era un qualcosa di magico e attraente e come speaker non era affatto male. Era spiritoso, sarcastico, conosceva tante cose su tante band e aveva un modo di fare che fino a quel momento non avevo ancora visto in lui.

Sorrisi tra me e me. Era bello starlo ad ascoltare.

“E ora invece parliamo dei Led Zeppelin, qual è la tua loro canzone preferita?”- domandò Terence.

“Mhm…bella domanda…forse –All of my love- la tua?”

“Stairway to heaven tutta la vita!”-rispose

“Oh bellissimo anche questo grande pezzo dei grandi Led! Ma senti…parlando di –All of my love- mi sovviene chiederti, tu cosa ne pensi del love, dell’amore?”

A quella domanda mi drizzai sul mio sedile. Sapevo già la sua risposta, ma volevo sentire se anche davanti ad altre persone mostrava quell’atteggiamento freddo e distaccato nei confronti dell’amore.

“Penso che siano fortunate le persone che hanno avuto o hanno a che fare con l’amore, con quello vero, con quello con la a maiuscola, ma so anche che è una cosa difficile a trovarsi…io almeno non l’ho mai provato. Tu, invece?”

Alla sua risposta, mi venne da pensare che neanch’io probabilmente conoscevo il significato dell’amore con la a maiuscola. Sebbene avessi avuto qualche storia nella mia giovane vita, nessuna mi aveva lasciato un solco nel cuore…certo la fine della storia con Freddie mi aveva depresso e rattristato ma…non credo fosse amore con la A maiuscola quello che ci legava.

Passarono circa due ore, poi appena il conducente fermò il treno, capii che ero già arrivata ad Aberdeen. Per fortuna che anche Terence aveva lasciato il posto ad altri speaker…mi sarebbe dispiaciuto troppo smettere di ascoltarlo.

Scendendo con il mio piccolo trolley, controllai il mio orologio da polso notando che era appena mezzogiorno. Presi il mio cellulare e avvisai mio padre del mio arrivo.

Dopo una decina di minuti, scorsi una piccola macchina verde e la mano del mio papà salutarmi dal finestrino. Riposi le cuffiette e il mio Nokia in borsa e dopo essermi accomodata nella “caffettiera” del mio papà, lo strinsi in un abbraccio stritolatore.

-Papà!

La mia voce era forse troppo alta?

-Tesoro mio, bella di papà!- mi strinse forte.

-Come stai?- gli domandai, guardandolo negli occhi.

Aveva ancora quella piccola cicatrice vicino al sopracciglio destro, che si procurò quando, da bambina,  per aggiustarmi la mia bicicletta andò a sbattere contro una parte in ferro di una delle rotelle.

-Bene tesoro, tu? Hai ufficialmente concluso quell’articolo di cui mi accennasti?

-Sì, per fortuna sì. Ho comunque portato il mio pc portatile in modo da fare gli ultimi ritocchi a casa nostra.

Mi sorrise e poi, fattami una carezza sui capelli, accese il motore.

-Sei sempre bellissima, angelo mio.- mi sorrise.

-E tu sei il solito esagerato.- gli diedi un pugno scherzoso sulla spalla.

 

***

Era tutto assolutamente come lo ricordavo.

Le familiari pareti del salotto coperte da una simpatica quanto floreale carta da pareti, il tavolo in stile country con il vaso di fiori arancio in tinta con le tende. Il grande tappetto persiano sotto il tavolino da tè, e poi la cucina con il suo mobilio color pistacchio. Tutto, ripeto tutto, era come lo avevo lasciato.

-E la mia stanza?- domandai eccitata all’idea di rivederla.

-Sempre al solito posto, tesoro mio!- mi sorrise mio padre.- Senti io cucino un po’ di pasta, ti va?

-Molto volentieri.- risposi, prima di catapultarmi nel luogo dove avevo passato più tempo nella mia infanzia e adolescenza.

Anche il mio piccolo regno era come lo ricordavo. C’erano persino ancora i poster di un giovane Leonardo di Caprio e dei Duran Duran.

Toccai con un sorriso le tende in velo rosa che circondavano il mio letto a baldacchino. Poi la casetta delle bambole e il piccolo pianoforte giocattolo che mi costruì mio nonno quando avevo solo sei anni.

Fu una meraviglia rimmergermi nel mio passato.

Dopo qualche altro minuto, decisi di ritornare in cucina. Apparecchiai la tavola e aiutai mio padre a servire i piatti e a  riempire una caraffa di vetro dipinta con delle margherite, con della coca cola.

Io e il mio genitore passammo gran parte del pomeriggio insieme, gustando un ottimo pranzo e un delizioso caffè in stile italiano sul nostro balconcino. Giunta la sera, decidemmo di organizzare una maratona di film, tutti avente come protagonista Marlon Brando, il suo attore preferito.

-Beh papi, mi stavi dicendo al telefono, qualche giorno fa…di una certa signorina Ford…- lanciai questa frase, mentre stringevo tra le mani una grande tazza di cioccolata calda.

-Sì…infatti, mia dolce Jane. E’ la maestra di Robert ed è una donna davvero deliziosa. E’ anche molto bella, ha dei bellissimi capelli biondi e degli occhi quasi meravigliosi come i tuoi.- mi accarezzò con l’indice una guancia.

-Oh…vedo che c’è tanta stima nei suoi confronti. E allora perché non vi organizzate e uscite insieme qualche volta?

Puntò il suo sguardo sulla televisione.

-Beh tesoro mio…è difficile…non ci riesco. E’ come se il mio cuore non riuscisse a dimenticare tua madre…

-Papà…quella donna non è definibile madre, per cui chiamala con il suo nome e basta. Sai…a volte non è tanto il cuore a non voler dimenticare una persona, quanto la nostra testa, il nostro cervello. Ma noi dobbiamo cercare di far funzionare entrambi né solo uno né solo l’altro, perché in un modo o in un altro ci faremmo male, per cui…che ne dici di chiamare questa signorina Ford?- lo guardai.

Lui tornò a guardarmi senza dire niente, in un silenzio carico di significato. Poi mi sorrise e passando un braccio attorno le mie spalle mi strinse forte a sé, dandomi un bacio sulla testa, esattamente come quando ero piccola.

Volevo tremendamente bene al mio papà, e senza lui non sarei stata la stessa.

-Ti prometto che ci penserò.- era già un passo avanti.- E senti…è proprio vero che non è ancora arrivato il principe azzurro? Quando ti son venuto a prendere alla stazione avevi un sorriso un po’ ebete.- cambiò discorso, concentrandosi su di me.

-Come? Davvero?

Potevo giurare di non essermene accorta.

 -Sì sì…non la finivi di sorridere…era solo perché eri felice di aver rivisto il tuo vecchio?- mi alzò il mento sorridendo.

-Oh beh…-mi schiarii la voce, sentendomi arrossire.- forse non era solo per quello!- ammisi.

Con mio padre non avevo mai avuto problemi a confessare tutto ciò che mi riguardasse, neanche la mia vita sentimentale.

-Oh oh…e allora perché al telefono mi hai detto di non aver ancora trovato il tuo principe?- mi domandò sorridendo.

-Ma perché non c’è nessun principe…è solo un ragazzo con cui sto uscendo qualche volta…

-Ah-ha allora c’entra un ragazzo…e come si chiamerebbe?- assunse ora un’espressione da finto geloso.

-Terence.

-Ah che bel nome… dunque stavi parlando al telefono con lui prima che mi vedessi?

-No! Perché?

-Beh stavi sorridendo…- constatò, curvando le sue labbra.

-No…è uno speaker radiofonico e casualmente sono capitata nella radio dove lavora e allora…

-Ascoltando la sua voce ti sei emozionata.- concluse per me.

-Ma non emozionata…cioè…

-Jane ti piace?- mi colse alla sprovvista.

-Papà…non lo so…forse…mi attrae molto, ma lo conosco da troppo poco tempo per poter dire se mi piace o meno.- distolsi il mio sguardo dal suo.

-Capisco. E cosa mi puoi dire di lui?

-E’ figlio di una famiglia di imprenditori…a quanto mi hanno detto piuttosto famosa in Scozia: gli Ashling. Conosci?

Vidi che posò un indice sul mento e rimase a pensarci.

-Mhm…sì, credo di averli sentiti.

-Già, sono proprietari di un’industria di pneumatici! Poi posso dirti che è elegante, gentile, ma anche freddo e a tratti scontroso, e sì anche…- mi schiarii la voce.- cieco.

Gli occhi di mio padre interruppero il contatto visivo con la televisione per guardarmi.

-Oh…mi dispiace, povero ragazzo! E sai come lo è diventato? Oppure lo è dalla nascita?- sembrava davvero incuriosito.

-Lo è diventato circa sette anni fa, ma non ne so il motivo.

-Comprendo.- mi sorrise accarezzandomi i capelli.- sai che dal tuo tono di voce noto che tieni molto a questo ragazzo?

Lo guardai sgranando gli occhi.

-Davvero? Eppure lo conosco da poco e a volte dice cose che mi fanno innervosire.

-Chiamalo sesto senso da papà.- mi fece l’occhiolino.

 

***

 

-Jane e la vuoi smettere, cavoli! Un altro po’ e so anch’io a memoria il tuo articolo.- sbraitò, passandosi una mano nei capelli, Vincent.

Forse aveva ragione a rimproverarmi. Il nervoso mi stava divorando e nell’attesa che il mio capo mi chiamasse per vedere il mio articolo, stavo rileggendo a voce alta ciò che avevo scritto molte volte, per essere certa di non avere sbagliato con la punteggiatura o con la grammatica.

Alla fine nel fine settimana, avevo concluso al cento per cento il mio lavoro, ma non mi sentivo ancora sicura.

-Scusa…- dissi sospirando.

-Ma no stai tranquilla, Jane! Leggi quante volte vuoi il tuo lavoro…sappiamo che puoi aggiudicarti la prima pagina…giusto Vincent?- domandò Barbie guardando storto il mio collega biondo, che senza risponderle si allontanò dicendo di andare a prendere un caffè.

-Grazie B.- le andai incontro abbracciandola.

-Ma figurati gioiellino, quando vuoi.- mi accarezzò i capelli facendo tintinnare i suoi ciondoli.

-Dai su, che oggi nell’azienda circolano un sacco di bei pollastrelli.- mi fece notare.

Già…ormai tutti i modelli e tutte le modelle erano arrivati all’Edinburgh Fashion Magazine, solo che io ero troppo stressata per potermi godere l’attimo.

-Sì hai ragione.- le sorrisi, ritornando a sedermi.

-Vuoi anche da me un abbraccio orsacchioso?- mi chiese Freddie appoggiandosi alla mia scrivania.

-Perché no!- fu la mia risposta.

Mi alzai e strinsi anche lui. Sentire il profumo di muschio del suo maglioncino turchese, mi riportò alla mente piacevoli ricordi riguardo alla nostra storia.

-Sono certo che George ti farà i complimenti. Il tuo articolo spaccherà tesoro.- mi diede un bacio sulla guancia prima di allontanarsi.

Era bello essere circondati da persone come loro.

Dopo pochi altri minuti, quell’acido di Price ritornò.

-Ho incontrato il capo per i corridoi…ha detto di andare nel suo ufficio per mostrargli il tuo articolo e di portargli un bicchiere di caffè macchiato ben zuccherato.

Tzè ma sentite al mio capo! Non so…voleva anche una brioche?

-Okay…grazie.- risposi al mio collega.

Sistemai i fogli del mio articolo facendo combaciare ogni angolo. Poi li inserii in una bustina di plastica.

Rivolsi un’ultima occhiata ai miei compagni di sventura ricevendo un occhiolino da Steve, la biondina e dal mio ex, e poi mi allontanai.

Il tragitto ufficio-macchinetta di snack e bevande non era molto lungo, peccato però che trovai una sfilza di stangone e stangoni bellissimi a circondare quella macchina forni cibo.

Mi schiarii un attimo la voce per far sì che qualcuno si spostasse per permettermi di prendere quel dannato caffè. Per fortuna riuscii ad avvicinarmi e a digitare il numero della bevanda per quel sadico.

Aspettai i secondi che il bicchiere si riempisse, guardandomi attorno. Uffa mi sentivo una tappa in mezzo a così tante belle ragazze. 

Dopo che il bicchiere fu pieno, lo presi con delicatezza facendo in modo che non sporcasse il mio amato lavoro, ma nel momento in cui mi voltai per andarmene, mi scontrai con un ragazzo…a torso nudo.

Inutile dire che il caffè mi scivolò dalle mani, andando a sporcare la punta delle mie francesine, parte dei jeans del ragazzo che avevo di fronte e persino la bustina in plastica del mio articolo. Menomale che avevo deciso di proteggere i fogli inserendoli lì dentro, altrimenti avrei combinato un inferno.

Ora dovevo anche andare a pulirmi le scarpe. Fantastico!

-Scusami, scusami tanto.- disse la voce di quel distratto.

Alzai il mio capo scontrandomi con due occhi grigi con il mare.

Wow…era un ragazzo bellissimo. Sicuramente uno dei modelli Klein.

-Non fa niente.- mi limitai a dire, riabbassando lo sguardo e allontanandomi.

Sentii qualche modello ridacchiare…forse per l’incidente con il caffè.

-Ti posso ripagare almeno il caffè…mi spiace davvero.- mi fermò.

Già come una stupida volevo andarmene senza portare niente a quel decerebrato di George.

-Non c’è problema…faccio io.- dissi riavvicinandomi alla macchinetta.

-Permettimi almeno di sdebitarmi in un altro modo…magari stasera a cena?- insisté, porgendomi un fazzoletto per pulirmi le mani, che accettai.

-No grazie…non è successo nulla, davvero…!- tentai di sorridere rispingendo il numeretto “4” per avere quella bevanda combina guai.

-Sono stato così sbadato, perdonami…stavo parlando con un mio collega e non ti ho vista. Comunque io sono Christopher, Christopher Wilson, piacere di conoscerti.- mi tese la mano.

Gliela strinsi e poi presi il nuovo bicchierino.

-Jane, Jane Ryan…piacere mio!- sorrisi.

Dopodiché mi allontani, riprendendo il mio cammino.

-Jane e per la cena?- mi si parò davanti il modello.

Non gli avevo già risposto? Che faceva? Ci provava con me? Davvero?

-Non preoccuparti…ho detto che è tutto a posto. Ti sei sporcato anche tu i tuoi jeans per cui…siamo pari.

-Per favore...insisto.

-Ci penserò.- mi limitai a rispondergli.

Ci voleva solo questo a farmi perdere tempo!

-Questo è il mio biglietto da visita. Se cambi idea, chiamami.

E fu così che mi lasciò con quel pezzetto di carta tra le mani.

CONTINUA…

Avreste voglia di lanciarmi tutti i tipi di ortaggi marci presenti su questo pianeta, per il mio schifosissimo ritardo? Bene, avete il mio benestare!

No davvero, ragazzi…scusate, scusate, scusate! Il mio non è neanche definibile ritardo…non pubblicare da più di tre mesi è una cosa vergognosa…potrete mai perdonarmi??

Purtroppo la scuola mi ruba molto tempo, e lo stress mi ha colpito così tanto la mente da farmi venire il cosiddetto blocco dello scrittore…è stato orribile non riuscire più a mettere parole su carta, o almeno a non mettere quelle che avrei voluto. Scrivevo e scrivevo, ma non mi convinceva niente…ancora scusa!!

Spero che con questo capitolo, almeno, mi sia fatta perdonare! Non so cosa voi ne pensiate…se è venuto bene o una totale schifezza…spero la prima ;))

In questo capitolo ho voluto concentrarmi sulla vita più famigliare di Jane, mostrandovi la non presenza di una mamma e la presenza di un papà dolce e affettuoso che non riesce più ad aprire il suo cuore.

Poi ho inserito un pezzo del libro “Jane Eyre”, per farvi notare come anche il protagonista di questo libro diventi cieco…ho voluto quindi far riflettere un attimo la nostra bella Jane, in merito a questa affinità tra Terence e Rochester. ^^

Terence non lo vediamo molto, ma sappiamo che la nostra bella lo incontrerà il mercoledì a casa sua e conosciamo un po' della sua vita come speaker radiofonico. E veniamo a conoscenza di un nuovo personaggio: Christopher Wilson. A voi come pare quest’ultimo? La sua presenza sarà positiva  o sarà un ostacolo per Terence? Io me lo vedo fisicamente come l’attore Jamie Dornan (il cacciatore di Once Upon a Time per chi avesse visto questa meravigliosa serie tv) che ho scoperto essere stato veramente un modello Calvin Klein.

Qui la foto ^_^ :http://imworld.aufeminin.com/story/20140121/jamie-dornan-164117_w1000.jpg

 

E niente…questo è tutto.

Ora volevo passare a ringraziare tutti voi, per la PAZIENZA che avete avuto nel seguirmi nonostante la mia grande assenza e per il vostro SOSTEGNO sempre costante. Ringrazio a tal proposito: romy2007, Sun_Rise93, Helmwige,WickedSwan e AkaneYamana98 per le loro stupende recensioni all’ultimo capitolo. Mi riempite sempre il cuore di gioia! GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE! <3 Spero di avere l’onore di rileggervi ancora così come di leggere nuove lettrici <3

E poi un Grande Grazie anche a :   mariamax, marioasi, scipio, barbara71, alberodellefarfalle, La ragazza delle arance, Submassive, la sopracitata WickedSwan, e pepapig per aver aggiunto la storia alle seguite. Chiedo scusa se per sbaglio ho saltato qualcuna…i miei occhi si stanno incrociando xD

Mille bacioni per tutte voi <3

Siate già in 37 che seguite questa storia…quindi grazie ancora di tutto cuore!

E poi grazie anche a : _lalla27_, Sarina_91, e la già nominata AkaneYamana98 per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle preferite. Un abbraccio grandissimo <3

Vorrei poi, visto che sono certa che nel mese di dicembre non pubblicherò l’altro capitolo, augurarvi BUON NATALE E BUON ANNO NUOVO a voi e alle vostre famiglie. Mangiate tanto, scambiatevi regali e DIVERTITEVI, DIVERTITEVI, E DIVERTITEVI!! xD

E infine per salutarci vorrei lasciarvi con un nuovo banner che ho fatto per questa storia! Vi piace? O vi piace più quello sopra il capitolo? Attenderò in trepidante attesa la vostra opinione <3 Un mega bacio e... al prossimo anno!!!xD <3

http://oi57.tinypic.com/8yz5er.jpg

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Otto

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

“A volte le parole non bastano.
E allora servono i colori.
E le forme.
E le note.
E le emozioni.” 

ALESSANDRO BARICCO

Okay, era palese che George lo stesse facendo apposta.

Non era la prima volta che correggeva un mio lavoro, e mai aveva impiegato così tanto tempo per farlo. D’accordo che questa volta mi giocavo la copertina e che anche il buon nome dell’Edinburgh Fashion Magazine era in qualche modo, nelle mie mani, ma essere schiava dell’ansia per più di un’ora era davvero troppo. Avrei preferito andarmene nel mio ufficio e aspettare di essere chiamata, piuttosto che rimanere seduta come un rigido soldatino sulla logora sedia del logoro e polveroso ufficio di George.

Sentivo il fastidioso “tic toc” dell’orologio in plastica grigia appeso alla parete che andava ad un ritmo decisamente lento rispetto al battito del mio cuore. Io ero così! Fin da quando ero piccola, mi facevo sovrastare da mille ansie e mille paure e anche se tra me e me dicevo che se anche una cosa fosse andata male, avrei potuto migliorare, mi sentivo sempre male, con una fastidiosa morsa all’altezza dello stomaco.

Dopo qualche secondo, finalmente quel sadico si schiarì la voce, posando i miei fogli sulla scrivania. Dopodiché si sfilo i suoi tondi occhialetti e li posò davanti a sé, toccandosi l’inizio del naso con l’indice e il pollice.

Ingoiai un po’ di saliva e presi a fare grandi respiri.

-Jane, puoi andare.- si limitò a dirmi.

Cosa? Cioè io mi stavo facendo un sacco di paturnie mentali e lui mi liquidava con un semplice : “Puoi andare”?

Se fossi stata in un’altra situazione gli avrei sicuramente risposto a tono, ma non ero nelle mie complete facoltà mentali per farlo, per cui mi litai ad alzarmi dalla sedia e a rimetterla ordinatamente al suo posto, poi mi avviai verso la porta dell’ufficio.

-Potrebbe dirmi com’è andata?- mi limitai a chiedergli, guardandolo negli occhi.

George rimase a osservarmi serio. Dio, era andata così male? Avevo lavorato per due settimane sfornando un articolo così…pessimo? Mi veniva da piangere.

-Sebbene ci siano troppe virgole, e sebbene potevi evitare di mettere troppe citazioni, il tuo articolo…è semplicemente…- si fermò posando lo sguardo fuori dalla finestra.-  uno dei migliori che io abbia mai letto.- disse spiazzandomi, riguardandomi con un’ombra di un sorriso sul volto. Un attimo…sorriso? Il mio capo mi stava sorridendo? E mi aveva detto che avevo fatto un buon lavoro? Mi sentivo poco bene. Sorreggetemi vi prego!

-Ehi Ryan…non mi sverrai in ufficio, vero? Ho già perso tempo con te…ora va.- mi liquidò con un gesto della mano.

Aprii la maniglia della porta e mi recai dai miei colleghi. Oddio…ero la persona più felice del mondo…oddio non potevo crederci…oddio, oddio, oddio! Sentii le mie labbra curvarsi in un sorriso, in uno di quei sorrisi involontari che ti spuntano quando sei troppo contenta. Sentii il cuore leggero come una piuma, e dopo essere arrivata davanti al mio ufficio, vi entrai saltellando letteralmente e andando tra le braccia di Freddie, sotto lo sguardo curioso di tutti.

-Oi tesoruccio…è andata alla grande, non è vero?

Annuii con il capo sorridendo sul suo petto.

-Che ti ha detto?- mi domandò Vincent, fintamente distaccato.

-Nulla di che…solo che il mio è stato uno degli articoli migliori che abbia mai letto!- quasi urlai nel dirlo.-  Avrei voluto saper di più…ma mi ha liquidato dicendo di aver perso troppo tempo con me!- mi staccai da Freddie per rispondergli.

-Oh wow…che cosa bellissima. Sappiamo tutti che George è molto tirchio in fatto di parole e… non solo, quindi…ritieniti fortunata Jane. E poi…per una giornalista sentirsi dire certe cose deve essere il top.- mi disse Steve.

-Hai ragione, amico mio! Guardate…non potete immaginare quanto sia contenta.- esclamai con un sorriso a trentadue denti.

***

-Baby e io che cosa ti avevo detto? Non so di cosa ti preoccupassi! Ti fai sempre tanti complessi inutili e poi…ho sempre ragione io! – mi disse sorridente Abbie, davanti un buon piatto di herring in oatmeal in una piccola locanda in stile britannico vicino casa nostra.

-Sei tu che hai troppa fiducia in me, amica mia! E poi sai come sono…- curvai le labbra in un mezzo sorriso.

-Lo so, lo so! Comunque stasera i tuoi colleghi ti hanno organizzato qualcosa per la bella notizia?- mi guardò con i suoi grandi occhi grigi truccati d’azzurro.

-In effetti sì o almeno loro vorrebbero…però non so se fare qualcosa…perché c’è un fatto di cui non ti ho parlato.

A quel punto Abbie posò la forchetta nel suo piatto e mi guardò con uno sguardo intimidatorio.

-Cioè?

-Praticamente prima di consegnare l’articolo a George sono andata a prendergli, sotto sua richiesta, un caffè alla macchinetta poco distante dal mio ufficio. Dopo aver preso il bicchierino però mi sono scontrata con un modello Calvin Klein o almeno sono quasi sicura che fosse un modello.

-Uooo…questa è una bella notizia! E beh cosa è successo poi?- congiunse le sue mani sotto il mento, assumendo l’espressione da “sono molto curiosa”.

-Durante lo scontro il bicchierino si è rovesciato e il tipo, che mi ha fatto sapere di chiamarsi Christopher Wilson , ha detto che per scusarsi della sua sbadataggine avrebbe voluto invitarmi a cena stasera.

Spalancò gli occhi.

-Ah…vedi la nostra piccola Jane ha fatto colpo…- mi sorrise maliziosa .- Però sai…non so se sia un bene che tu vada a questa cena…io tifo per te e Terence.- puntò il suo sguardo verso l’alto.

Al sentire il nome di Terence, mi sentii in imbarazzo.

-M-ma cosa Abbie? Non c’è nessun io e Terence. E poi ho detto di no al ragazzo…solo che mi ha detto che se avessi cambiato idea, avrei potuto chiamarlo! Mi ha dato persino il suo biglietto da visita.- lo presi dalla mia borsetta e glielo mostrai.

-Oh…! Devi essergli piaciuta al primo sguardo, deve essere per forza così.- si interruppe per sorseggiare un po’ del suo vino bianco.- senti…e allora? Cosa hai intenzione di fare?

-Non lo so A, cioè…boh! Comunque non credo in nessun colpo di fulmine, è solo un gesto di educazione! Abbie…Christopher Wilson è un modello, e per quel po’ che l’ho visto è anche bellissimo, per cui…come potrei averlo colpito io, dopo che è circondato da donne bellissime ogni giorno?! - le feci presente, spezzando un pezzo di pane.

-Ahh taci Jane, non ti sopporto quando fai questi discorsi.- mi rimproverò, facendomi abbassare lo sguardo.- comunque potresti provare ad andare…dovrai lavorare con questo modello per cui un amico in più non potrà farti male. Poi nel caso in cui ci provi con te…pensa bene a cosa fare.

-Non ho bisogno di pensare a nulla…sai già da chi sono attratta.

La mia amica mi sorrise.

-Senti ma perché non gli proponi invece di una cena, un cocktail o qualcosa del genere? In tal modo potrai conoscerlo, ma senza perdere molto tempo e di conseguenza se non ti convincono molto i suoi atteggiamenti concludere non molto tardi la serata.

Rimasi a pensare a ciò che lei mi aveva detto e quasi quasi aveva ragione.

-Mhm sai hai ragione. Di regola potrei benissimo non accettare e non proporgli un bel cavolo, essendo un estraneo, e di conseguenza un possibile malintenzionato…ma, come hai detto tu…forse mi conviene avere un amico modello in più…visto che dovrò intervistarlo.

Abbie mi guardò sodisfatta.

-Bene, credo tu abbia preso la decisione giusta! Dunque lo chiamerai ora?- domandò tagliando un pezzetto di carne.

-Yes! Tanto nel pomeriggio non lo incontrerò sicuramente al giornale, da domani dovrebbe iniziare il set fotografico.

Così detto mi alzai e promettendo alla mia amica di tornare in pochi minuti, andai nel giardinetto sul retro del locale, per fare la mia telefonata.

Bah…chissà se l’idea di accettare l’invito di questo tipo si sarebbe davvero rivelata una cosa giusta!

***

-Okay le chiavi ce l’hai, il cellulare anche e …direi che hai tutto ciò che ti occorre! Ha detto di volerti incontrare al “Portman’s”, giusto?- domandò Abbie con le mani già sul volante.

Erano le otto di sera e la mia amica aveva insistito per accompagnarmi. Nel pomeriggio, avevamo ulteriormente discusso dell’appuntamento con Wilson, rimanendo che lei sarebbe venuta con me. Ovviamente Abbie sarebbe stata ad un tavolo ed io ad un altro con il modello. Ai tempi d’oggi la sicurezza non era mai troppa!

-Sì sì! Ma tu sei sicura di voler anche entrare nel locale? Non è che ti annoierai?- le chiesi per la milionesima volta, mentre lei digitava sul suo navigatore il nome del locale.

-Baby ti ho già detto di stare tranquilla. Mi sono portata un libro da leggere e poi ne abbiamo già parlato…non lo conosci ed è bene che io ci sia nel caso di qualche comportamento non appropriato! Inoltre,- si schiarì la voce,- …come potrei perdermi l’occasione di vedere un modello Calvin Klein dal vivo?

A quel punto scoppiai a ridere. A mio dire, più che per la mia sicurezza era per il secondo motivo che quella birbante voleva entrare nel locale.

Dopo una ventina di minuti intervallati da qualche canzone proveniente da un CD che le aveva regalato Tom e che prevedeva perlopiù canzoni di Celine Dion, la fosforescente insegna “Portman’s” mi avvertì che eravamo arrivati.

Strinsi meglio al collo il foulard a fantasia che avevo scelto di abbinare alla mia camicia, mi aggiustai le pieghe dei miei pantaloni di velluto e poi mi slacciai la cintura di sicurezza.

-Bene, allora tu entra, poi io entrerò fra dieci minuti, intesi?!

Annuii con il capo e poi mi avvicinai alla porta vetrata del locale. Viaggiai con lo sguardo per cercare di intravedere Christopher ma non vidi nessuno. Eppure eravamo rimasti che mi avrebbe aspettato dentro!

-Jane Ryan? Sei tu?

Mi voltai di scatto, scontrandomi con due occhi grigi. A quanto pare eravamo venuti nello stesso momento, ma con il buio temeva di avermi confusa con qualcun altro…d’altronde ci eravamo visti solo una volta.

-Sì, sono io. Ciao Christopher!- tesi la mano al modello, il quale ricambiando la stretta, mi sorrise per poi aprirmi galantemente la porta d’entrata.

Prima di varcare la soglia del pub, però, volsi un ultimo sguardo alla mia amica che notai guardare a bocca spalancata Wilson.

Sorrisi tra me e me e poi entrai seguita a ruota da lui.

Il locale non era molto grande. Le pareti erano verniciate di un blu scuro come le tovaglie che ricoprivano i piccoli tavolini situati alla destra del bancone. Il pavimento era lucido e bianco e un piccolo palco in legno mi fece subito pensare che dovevano tenersi dei piccoli spettacoli la sera.

Ci sedemmo su un tavolo un po’ all’ombra, dove notai accanto ad un vasetto con due peonie lilla, un volantino con gli spettacoli che si sarebbero tenuti: uno di magia, un esibizione di un violinista e poi di una cantante.

-Sono molto contento che tu abbia accettato il mio invito. Sai mi sono sentito molto in colpa quando ho visto i tuoi occhi spaventati e le tue scarpe sporche…scusami ancora.- mi disse.

-Oh non fa nulla davvero! Ho accettato il tuo invito perché avevo capito che ti sentivi in colpa e poi perché ho dedotto, ricordando il tuo abbigliamento, che tu fossi un modello Calvin Klein  e così sapendo di dover lavorare con te, ho preso questa decisione.

-Lavorare con me? Oh…allora sarai senza dubbio una modella!- mi spiazzò.

Come? Voleva prendermi per scema? Io, Jane Ryan, una modella? Ah-ha…questa era bellissima!

-Sì certo…è una specie di scherzo?- ridacchiai, per non piangere.

-No.- mi soprese per la serietà con cui mi rispose.- Ti posso giurare Jane di aver pensato veramente che tu facessi la modella. Non credo ti manchi nulla per esserlo.- mi rivolse un sorriso.

Certo non mi mancava nulla…tranne venti centimetri d’altezza, una pancia più piatta, delle cosce più snelle e Dio solo sa cos’altro.

-Beh ti ringrazio per le tue lusinghe ma no, sono orgogliosamente una giornalista.- mi aggiustai una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-Oh wow…anche meglio allora! Le mie colleghe non sono persone molto interessanti.

Sorrisi.

-E dunque tu mi confermi essere un modello? - domandai, concedendo ai miei occhi di osservarlo meglio.

Portava una camicia bianca, la barba era ben curata e i capelli castani erano gelatinati. Era senza alcun dubbio paragonabile ad un dio greco per la sua bellezza.

-Vuoi intervistare anche me?- ridacchiò.- Scherzo! Comunque sì sono un modello e lavoro per varie case di moda. Un mese fa mi è stato proposto di lavorare con Calvin Klein. - sorrise mostrando dei denti perfetti.- vogliamo prendere qualcosa?- cambiò discorso.

Annuii con il capo e iniziai a sfogliare il piccolo menù posizionato sotto il volantino degli spettacoli. Alla fine optai per un Florida, drink analcolico che lessi essere fatto da arancia, pompelmo, e limone con aggiunta di sciroppo di zucchero e soda water.

-Sei una tipa da analcolico?- domandò quando gli rivelai la mia scelta.

-Sì, generalmente non bevo alcolici, tranne magari nelle occasioni speciali come feste.

Annuì guardandomi.

-Hai un viso molto grazioso, Jane, te l’hanno mai detto?

Sentii le mie guance imporporarsi. Non ero una persona molto abituata ai complimenti, e in più sentirsene dire uno da un modello più che bello, era una grande cosa per me.

-Grazie, sei molto gentile.- risposi, abbassando lo sguardo.

Dopo poco, sentii la porta d’entrata riaprirsi. Mi voltai notando che era Abbie. Si era aggiustata il foulard azzurro che aveva deciso di indossare, attorno al capo, a mo’ di diva Hollywoodiana anni ’50 e aveva messo degli occhiali da sole dalla montatura quadrata. Neanche stesse recitando in un film di Alfred Hitchcock…avevo una voglia matta di ridere!

Vidi che salutò il proprietario del pub, il quale la guardò in maniera strana, e poi passando accanto al mio tavolo, si schiarì la voce. Come se non avessi capito che era lei ad essere entrata!

Si sedette al tavolo dietro il nostro e mise davanti a sé il menù.

-Beh allora direi che possiamo ordinare…- mi disse Wilson.

-Sì.

Chiamò un cameriere con un gesto della mano, e dopo aver ordinato, rimase a fissarmi. Mi sentivo incredibilmente a disagio.

-Mhm, dunque fai il modello da tanto?- gli domandai dopo essermi schiarita la voce.

-Da quando avevo diciotto anni! Ora ne ho ventotto quindi…sì direi da molto.

-Oh capisco! E ti piace quello che fai?

-Molto! Non sono mai stato un tipo intellettuale, fatto per studiare o per rimanere a prendere polvere con i libri, per cui…usufruire dell’unica cosa che mi appartiene: la bellezza, mi va più che bene.

-Beh a me piace molto leggere e non direi che sono ricoperta di polvere.- risposi un po’ stizzita.

Non mi piacevano le persone che criticavano chi amava dedicarsi alla lettura. Capivo che non a tutti potesse piacere passare ore su dei libri, ma nessuno aveva il diritto di giudicare coloro a cui piaceva farlo.

-Scusami non intendevo porre un critica a coloro che leggono e amano farlo…- mi sorprese per il tono dolce che usò.

-Non fa niente.- lo guardai negli occhi.

Erano belli. Di un grigio scuro e molto profondi ma…non sapevo come spiegarlo…non mi trasmettevano molto e inevitabilmente la mia mente finiva per sovrapporli con un altro paio…verde-azzurro.

Alla fine il tempo trascorse parlando del più e del meno. Scoprii che oltre a non piacergli la lettura avevamo anche gusti musicali e cinematografici diversi. Ogni tanto mi voltavo con la scusa di controllare il cellulare posto nella borsetta appesa alla sedia, notando qualche simpatico occhiolino dalla mia amica, che coperta dal libro “Sogno di una notte di mezz’estate” di Shakespeare, sembrava non si stesse annoiando.

La serata non fu per niente sgradevole, ma…non mi aveva lasciato quella sensazione, potevo chiamarla così, che mi aveva lasciato Terence la prima vola che l’avevo incontrato. Sapevo che non dovevo permettere troppo alla mia mente di focalizzarsi su un ragazzo che non voleva provare più amore per nessuna ragazza e che assumeva spesso atteggiamenti freddi e scontrosi e, sapevo che non ero dovuta a confrontare nessuno con lui, ma…se la testa mi diceva una cosa, il cuore ne diceva un’altra. Sapevo che io stessa avevo detto a mio padre che cuore e cervello non devono mai lavorare l’uno indipendentemente dall’altro, ma a quanto pareva era più facile a dirsi che a farsi.

-Posso dirti una cosa?- domandò Christopher all’improvviso quando ormai i nostri bicchieri erano vuoti.

-Certo! Quello che vuoi.

-Beh…è un po’ imbarazzante dirlo.- si toccò nervosamente i capelli.- ma…forse non è stato proprio un incidente il nostro…vicino alla macchinetta.

Inarcai le sopracciglia.

-In che senso?

-Beh forse potrei averti notato già dal primo giorno in cui sono venuto all’ Edinburgh Fashion Magazine…e potresti aver colpito il mio interesse fin da subito.

Rimasi non sbalordita…di più. Ma cosa? C’era qualche candid camera nascosta, forse?

-Non ci credi? Vedo il tuo sguardo un po’ sorpreso…

-Sì certo che sono sorpresa…non riesco a capire! E’ uno scherzo organizzato da qualche mio collega, per caso?

Tutto era possibile.

-No, non credo di conoscere nessun tuo collega!- ridacchiò.-  Ma perché sei tanto dubbiosa? Credi davvero di essere una ragazza così insignificante?

Si avvicinò al mio viso.

-B-beh…non pensavo di essere una persona molto attraente…comunque è stato rischioso da parte tua, venirmi addosso…il caffè poteva sporcare il mio lavoro, e a quel punto ti avrei sicuramente ucciso.- scherzai su, allontanandomi con la sedia.

Troppe confidenze, in un solo giorno.

-Per fortuna che non è successo allora!- mostrò i suoi denti perfetti.

-Ma perché proprio io?!Cioè sei circondato da donne bellissime ogni giorno, e scegli una comune ragazza che non ha nulla di speciale? Hai bisogno di qualche controllo!- risi.

-Chi ti ha detto di non avere nulla di speciale? E poi le mie colleghe come ti ho già detto non sono persone molto interessanti e anche se agli occhi di molti possono sembrare il fascino in persona…per me sono solo apparenza.

Rimasi sorpresa nel constatare la bassa stima che aveva nelle sue colleghe.

-Ma non hai detto prima di essere contento di fare un lavoro che ti permetta di usufruire dell’unica cosa che hai, la bellezza?

-E con questo?- chiese sempre in maniera educata, perforandomi con le sue pietre grigie.

-Beh…le tue colleghe fanno semplicemente ciò che fai tu…dunque ritieni anche tu…di essere…solo apparenza?

Vidi che inarcò le sopracciglia in un’espressione, agli occhi di molte donne sicuramente affascinante, ma ai miei semplicemente curiosa.

-Sì…è probabile!- rispose dopo averci pensato un po’.

Almeno era sincero.

-Bene…- sorrisi.- allora direi che forse è il caso che vada…- osservai il mio orologio da polso, notando che erano già le dieci e mezza.

-Certo Jane! Vuoi che ti accompagni io?- mi chiese alzandosi dal nostro tavolo, come feci io.

Buttai un occhio su Abbie, intanto, notando che non portava più né foulard né occhiali, e che era più che concentrata sulla sua lettura.

Mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione.

-No ti ringrazio, la mia amica verrà a prendermi, come eravamo rimaste.- alzai la voce su quest’ultima frase, per richiamare Abbie, che prontamente mi guardò.

-Oh bene, allora posso farti almeno un po’ di compagnia fintanto che l’aspetti?- mi aiutò a indossare il mio trench.

-Grazie, ma verrà a momenti…sai non abitiamo molto distanti da questo locale, e non vorrei che tu avessi di meglio da fare…- lasciai la frase in sospeso, guardandolo negli occhi.

-Non ho nient’altro di meglio da fare.- rise, avvicinandosi alla cassa per pagare i nostri drink.

Abbie nel frattempo si era rivestita del suo foulard e dopo aver pagato ciò che aveva preso (un calice da birra sembrava quello vuoto sul suo tavolo) ad un cameriere, vicino al padrone del pub, uscì lanciandomi uno sguardo.

Christopher, dopo poco, ritornò.

-Allora l’aspettiamo fuori?

-Sì d’accordo!

L’aria fredda della sera mi accarezzò il volto e stringendomi nel mio trench, notai che la macchina della mia amica non c’era. Probabilmente l’aveva parcheggiata qualche metro più in là, per rendere il tutto più credibile.

-E’ stata una bella serata per me, grazie Jane!- mi disse appoggiandosi al muro vicino la porta del locale.

-Grazie a te. E’ stata una serata piacevole anche per me.- gli sorrisi.

-Domani ti rivedrò a lavoro, giusto?- domandò speranzoso.

-Beh sì…non so cosa deciderà di fare George, il capo se non l’hai ancora conosciuto, ma dovremmo incontrarci.

-Questa è una bella notizia.- mi guardò.- e per quanto riguarda un fidanzato…ce l’hai?- si passò una mano tra i capelli.

-No, sono single.- risposi, omettendo il “ma mi attrae un ragazzo” che riecheggiava nella mia testa.

-Ah…capisco! Beh allora ti andrebbe se uscissimo di nuovo insieme qualche volta?

Il suono del clacson di Abbie mi salvò dal rispondergli.

-Oh è la mia amica!- la salutai con un cenno della mano.

-Allora ne riparleremo domani.- si avvicinò, dandomi, con mia somma sorpresa, un bacio sulla guancia.

Oh. Mio. Dio, mi aveva appena baciato un modello Calvin Klein? Codice rosso, Houston abbiamo un problema!!

-Ciao Jane.

Mi limitai ad un cenno di saluto con il capo, e con un sorriso un po’ imbarazzato salii sul veicolo di Abbie.

-Oh Gesù…cioè ho visto bene?- mi aggredì la mia amica.

-Mi ha solo dato un bacio sulla guancia.- mi difesi.

-Solo…solo un bacio sulla guancia? E tutti gli sguardi che ti ha lanciato? E il “ ma lo sai che hai un viso grazioso”? E il “forse non è stato un incidente” e…

-Okay, okay…ho capito! E poi tu hai sentito tutto? Non stavi leggendo?

-Non cambiare discorso.- mi puntò il dito contro.

-Abbie, che ne so!…Forse ha qualche problema agli occhi e gli piaccio un pochetto.

-Se ha dei problemi agli occhi e gli piaci solo un “pochetto”- mimò le virgolette, sempre con le mani sul volante.- io sono Britney Spears.

Risi alla sua battuta, mentre lei guidava.

-Va bene, forse gli piaccio, ma lui seppur bellissimo, non piace a me.- ammisi.

-Mhm scommetto che se qualche fan di questo modello ti sentisse, tu saresti già morta.

-Addirittura?

-Eccome… Ma tu sei completamente sicura che ci sia solo attrazione fisica verso di Terence?

-E ora lui che c’entra?

-C’entra, c’entra. Altrimenti il modello avrebbe occupato i tuoi pensieri fin da subito. Quindi? Rispondi.

-Non lo so Abbie! Sai non è che siano molte le volte in cui sono stata in sua compagnia, ma quelle poche volte che ho avuto il piacere di essergli vicina mi sono sentita…bene! Terence, se dovessi paragonarlo a qualcosa, lo paragonerei a una tavolozza di colori…in lui ci sono tante sfumature…

-Come Christian Grey di cinquanta sfumature di grigio?- mi prese in giro ridendo.

-Abbie non dire scemenze.- risi anch’io.- Sul serio! Terence è un insieme di…cose…il più delle volte è arrogante, freddo, presuntuoso, ma altre che lascia trapelare poco è…dolce, gentile, ed educato.

-Mhm quadro clinico piuttosto interessante.- ironizzò.- E quindi cara mia, auguri perché ti sei presa una bella cotta!

-Dici?- iniziai a giochicchiare con un unghia.

-Non sono io a dirlo! Sei tu che me lo hai lasciato intendere. Potevamo parlare di attrazione nel caso in cui ti avesse attratto più fisicamente che altro, e  nel caso in cui a piacerti fossero stati solo alcuni suoi atteggiamenti, ma…nel tuo caso direi che ti colpisce molto anche caratterialmente, quindi…! E poi cavoli, ripeto,  se non ti piace un modello stra fichissimo per un altro ragazzo, qualcosa significherà.

-Questo è un bel problema!- sospirai affranta.

-Ma perché? Dobbiamo rifare sempre gli stessi pizzosi discorsi?- si fermò ad un semaforo.

-Per il solito pizzoso- calcai sul termine che aveva usato lei.- motivo. Lui ritiene le donne come gallinelle che vogliono solo approfittarsi di lui, e non mi sembra uno che voglia innamorarsi…come devo dirtelo.- guardai fuori dal finestrino.

-Eh cara mia, ci sono cose che anche se si vogliono non possono avverarsi! Anch’io vorrei non sopportare Sandra, eppure…!

-Non so veramente che fare! Hai ragione tu, mi sono presa una cotta per lui e ora…che faccio?

-Ora non iniziare con i complessi Amletici e calmati, ti ho già detto che la vita non va programmata ma vissuta, per cui quel che sarà sarà. Devo ricantarti la canzone di Doris Day?- scherzò.

-Meglio di no!- Sorrisi.

-Ecco! Allora continua a frequentarlo e poi si vedrà.

 

***

 

Il mercoledì mattina mi svegliai con un po’ d’ansia nello stomaco. Avrei finalmente rivisto Terence, dopo più di una settimana, e ciò non potevo non rendermi agitata. Insomma, rivedere un ragazzo che ti piace non è mai qualcosa di semplice.

Apparecchiai la tavola per la colazione, mettendo sul fuoco la caffettiera perché oggi non mi andava il caffè della macchina, e imburrando delle fette biscottate.

-Oh baby…già in piedi oggi?- entrò in cucina Abbie, stiracchiandosi le esili braccia.

-Sì…oggi mi sono svegliata con un po’ di ansia. Vuoi una fetta con la nutella o con la marmellata di arance?- le indicai i due barattoli.

-Con la marmellata.- prese dalla dispense due tazze, prendendo poi del latte dal frigo.

-E a cosa è dovuta l’ansia? Terensuccio? …

-Terensuccio? – risi.- sì…!

-Andrà tutto bene.- mi strizzò l’occhio.- piuttosto io sono agitata. Ti rendi conto che vedrò sfilze di macchine d’epoca davanti i miei occhi?

-Hai gli occhi a cuoricino.- feci presente addentando un biscotto al cioccolato.

-Ci credo! Però devo dire che entrambe stiamo vivendo momenti entusiasmanti delle nostre vite.- osservò. -Tu con il tuo ottimo articolo al giornale e con l’incontro con Terence e io con il mio lavoro e il mio amore.

-Hai ragione. E’ un periodo sicuramente,- mi fermai a pensare l’aggettivo adatto,- interessante per entrambe.

Ci sorridemmo a vicenda e poi continuammo la nostra colazione accendendo la tv.

-Oh lascia sul canale sette, sta facendo “una mamma per amica”, sai che amo Rory.

Passammo gran parte del tempo a commentare vicende e attori del telefilm.

Poi, verso le otto, dopo la doccia, andai a vestirmi. Scelsi di indossare un dolcevita turchese sotto una giacca nera con bottoni dorati, un jeans chiaro e le mie immancabili converse. Aggiustai i capelli con una veloce passata di piastra e decisi di osare con un profumo fruttato.

Arrivata in salotto fui accolta da un fischio di approvazione da parte della mia migliore amica, che mi chiese di voltare su me stessa.

-Sei bellissima Jane.- mi sorrise.

-Ehh esagerata! Sono vestita come sempre!- le accarezzai i capelli.

-Anche con un sacco di patate saresti bella tu.- mi rispose, facendomi la linguaccia e avvicinandosi al mobile accanto alla porta d’entrata per prendere le chiavi della sua auto.

Era l’amica perfetta, e le volevo molto bene, perché sapeva che non avevo molta stima in me, e proprio per questo tentava sempre di convincermi a credere più in me.

-Tu lo sei.

***

 

Come presumibile, al giornale la giornata fu piuttosto indaffarata! Il mio caro capo non era stato così magnanimo da concedermi una pausa dopo il mio ultimo e faticoso lavoro, ma mi aveva già chiesto di intervistare due modelle della collezione Louboutin e di preparare una collezione di venti foto che sarebbe stata usata per le pagine centrali del magazine.

Alla fine non avevo neanche incontrato Christopher, per fortuna. O meglio l’avevo visto, ma solo due volte, in cui eravamo riusciti solo a salutarci. Non che non volessi rivederlo, ma se fosse successo mi avrebbe ri chiesto di uscire con lui, e…la mia situazione a livello sentimentale non era proprio delle più semplici, e a parte nel vedere in lui un possibile futuro amico, non vedevo nient’altro.

-Jane, posso chiederti un favore?- mi domandò Barbie, durante una pausa caffè.

-Certo, dimmi tutto.

-Senti…come ben sai a breve sarò una futura sposa…

-Sì…- girai con un bastoncino di plastica lo zucchero nel mio cappuccino.

-Beh volevo domandarti se ti andrebbe di accompagnarmi a scegliere il mio abito da sposa, tra due settimane.

A quella richiesta rimasi sbalordita! Io e Barbara avevamo sempre avuto un buon rapporto ma non pensavo che mi avrebbe chiesto una cosa così da…amiche.

-Wow…certo, molto volentieri Barbie.- le rivolsi un sorriso a trentadue denti, e poi l’abbracciai, evitando di sporcarla con il bicchierino.

-Grazie cara Jane! Sai, ci sarà anche mia sorella e mia mamma, ma penso che anche la tua opinione sia molto importante.

Le sorrisi.

-Ah e poi vorrei chiederti un’altra cosa!

-Certo.- sorseggiai la mia bevanda.

-Non ricordo se tu avevi un’amica fotografa…

-Sì Abbie Anderson, è la mia migliore amica ed è una fotografa per un giornale su delle auto d’epoca.

-Perfetto! Allora potrei chiederti di domandarle se sarebbe disponibile per scattare delle foto al mio giorno più bello?- chiese speranzosa, con gli occhi luccicanti.

-Sì assolutamente! Ma quindi è stata decisa la data?- risi.

-Oh…sì.- le sue guance si colorarono di rosso. Era palese che fosse emozionata.- se Dio vuole mi sposerò a Dicembre, il ventitré dicembre.

-Ma è stupendo! Quindi fra…- feci un calcolo a mente.- tre mesi? Non è un po’ presto?...Intendo per preparativi e company?- ero curiosa.

-Jane cara, mi conosci, sai che non piacciono le cose molto sfarzose! Due mesi e mezzo saranno più che sufficienti per prenotare un locale e una piccola band che diletti la serata. Ho invitato poche persone e quindi…secondo me andrà tutto bene!- mi fece l’occhiolino.

Tante volte avrei voluto avere anch’io la sua sicurezza e la sua tranquillità.

-Oh ma certo che andrò tutto alla grande, e vedrai sceglieremo un abito bellissimo come te.- le sorrisi, buttando il mio bicchierino.

-Sei sempre un tesoro, Jane! Ma senti…un uccellino mi ha riferito di averti visto con un figo modello, è vero?- il suo tono di voce, adesso, era cambiato, trasmettendo il suo passaggio da "futura sposa emozionata" a "detective ultra curiosa".

Ecco! Mi stavo giusto domandando come fosse possibile che i saluti tra me e Wilson non fossero stati notati da nessuno.

-E questo uccellino si chiama Beth Smith?

Mi riferii a una donna addetta alle pulizie degli uffici che ne sapeva una più del diavolo su tutto e su tutti.

-Mhm…può darsi!- scoppiò a ridere.- ma quindi ha detto il vero?

-Beh diciamo che è un modello che conosco poco…- rimasi vaga.

-Mhm mhm…e  come si chiama?

-Christopher Wilson. Ci siamo solo salutati e siamo usciti solo una volta insieme…tutto qui!

Oh- oh….forse quest’ultima parte non dovevo dirla.

-Ah-ha, addirittura un'uscita…e il figlio degli Ashling cosa ne penserà ora?- incrociò le braccia, mostrandomi un sorriso sghembo.

-In che senso? Primo non ho fatto nulla di male, perché la nostra uscita non era un appuntamento romantico o roba simile ma solo un’occasione per conoscerci meglio e secondo, io con Terence non ho nulla a che fare. Nel senso che non siamo fidanzati o roba simile, non so neanche se possiamo definirci amici.

-Capisco…- sorrise, allontanandosi.

Cosa voleva dire quel “capisco”??

***

Alle sei e mezza, chiesi a George mezz’ora di permesso, e aspettata Abbie fuori dal mio lavoro, come da appuntamento, l’aspettai. Finalmente il momento in cui avrei potuto rivedere quel testone era arrivato. Chissà se anche oggi mi avrebbe sorpreso e messo in difficoltà come sapeva fare solo lui!

Controllai il mio telefono, notando un suo messaggio.

“Tutto confermato per il nostro incontro?”

“Sì sì, ci vediamo fra circa trenta minuti! Abbie sa la strada di casa tua, vero?”

Oddio che gaffe! Avevo scritto davvero “ci vediamo”? Mi morsi le labbra, maledicendomi.

“ Sì gliel’ha spiegata Harrison questa mattina.”

Per fortuna aveva sorvolato sulla mia stupidità.

“Perfetto! A dopo allora!”

Dopo cinque minuti scorsi l’auto di Abbie.

La salutai e poi il viaggio partì.

-Abbie ho fatto una brutta figura con Terence…- le disse mettendomi la cintura di sicurezza.

-Perché?- domandò accedendo la radio.

-Perché mi ha mandato un messaggio in cui mi ha chiesto se il nostro incontro fosse confermato e io gli ho detto di sì, aggiungendo un “ci vediamo dopo”. Si può essere più sciocchi?- mi passai nervosa una mano nei capelli.

-E cosa c’è che non va, scusa?...Ah intendi il fatto che hai usato il verbo vedere?- si fermò ad un semaforo.

-Sì…

-E vabbè baby, purtroppo non si può sempre evitare di usare certe formule del parlato quotidiano che richiamano al verbo vedere. Terence sarà anche abituato, tranquilla!- mi accarezzo un braccio mantenendo sempre lo sguardo fisso davanti a sé.

Sospirai e mi abbandonai sul sedile.

-Ho saputo da Tom che casa Ashling non è una casa, ma un vero castello! E’ un qualcosa di grandissimo, quindi sono certa che non avremo problemi nel trovarla.- cambiò argomento.

-Ah, lo immaginavo guarda! E fra quando staremo lì?

-Considerando che dovrò fermarmi a chiedere qualche indicazione, perché non conosco la zona…direi fra una ventina di minuti.

-Bene! Beh che mi racconti? Sei emozionata di vedere succulente auto d’epoca?- sorrisi.

-Eccome! Scatterò le migliori foto che Sandra abbia mai visto!

-Ne sono certa! Ah comunque, hai presente Barbara, la mia collega?

-Quella che si dovrà sposare?

-Yes! Beh mi ha chiesto se puoi fotografare il suo matrimonio.

-Ma ci saranno auto particolari? Sai che io fotografo solo auto!- svoltò in un angolo.

-Non saprei, ma non credo...penso che voglia foto che abbiano lei e il suo futuro marito come soggetti! Comunque tu sei una fotografa spettacolare quindi riusciresti a sfornare belle foto anche se come soggetto non avessi macchine!

-Troppo gentile!- arrossì ridendo.- E quando sarebbe?

-A dicembre!

-Ah…periodo un po’ pienotto! Ci sono le festività e al giornale siamo sempre occupati, ma dai…ti prometto che farò di tutto per aiutare Barbara.- mi fece l’occhiolino, voltandosi un secondo verso di me.

Dopo aver cantato quattro canzoni, di cui due dei Bee Gees, "Clocks" dei Coldplay e "Rolling in the deep" di Adele, e dopo esserci fermate circa due volte per avere qualche indicazioni, arrivammo, trovandoci di fronte casa Ashling. O meglio casa Ashling non era effettivamente una casa! Era una vera e propria reggia.

Un enorme e curatissimo giardino circondava una grande abitazione in pietra, che presentava una grande porta in legno e piccole finestre che adornavano la grande facciata principale. C’erano numerosi alberi e tanto verde.

Io e la mia amica ci guardammo negli occhi, con le bocche spalancate! Poi uscimmo dall’auto e ci trovammo un sorridente Harrison ad accoglierci.

-Buona sera signorine.- sorrise l’autista.

-Salve signor Harrison? Come va?- domandai.

-Bene, grazie! Voi?- si rivolse anche ad Abbie.

-Benissimo, grazie! Io comunque sono Abbie Anderson, piacere di fare la sua conoscenza!- si strinsero la mano.

-Piacere mio! Bene, se volete seguirvi il signor Terence vi aspetta.

Perché al solo sentire quel nome, iniziai a sentirmi nervosa?

Ci avvicinammo a passi lenti, entrando tramite un alto cancello in ferro e percorrendo una stradina in ghiaia e ciottoli laterale alla villa, che ci condusse davanti ad una saracinesca per metà aperta.

Io ed Abbie ci guardammo spesso negli occhi, con la consapevolezza che la casa di un attore di Hollywood doveva proprio essere così.

Arrivati, Harrison aprì del tutto la serranda argentata. Un interminabile sfilza di automobili ci si presentò davanti. Dalle Rolls-Royce alle Porsche, dalle Chevrolet a persino alcune Ferrari! Wow, wow, wow, non sapevo che altro dire! E infine, finalmente, vagando con lo sguardo, vidi Terence appoggiato ad un auto rossa, con i suoi immancabili occhiali scuri sugli occhi e con le mani nelle tasche di dei jeans grigi. Portava una camicia bianca e una giacca nera. Era qualcosa di dannatamene bello.

-Signore sono arrivate.

-Ciao Terence, grazie per avermi dato il privilegio di vedere le tue auto. – lo salutò Abbie.

-Oh Abbie, ciao! Grazie a te di dare notorietà ai miei catorci.- sorrise.

Io rimasi lì in silenzio. Non sapevo che dire. Era così bello rivederlo dopo giorni.

-E Jane?- domandò serio.

Mi schiarii la voce. Aveva domandato di me, aveva domandato di me! Perché mi sentivo così felice?

-Buonasera Terence.- dissi.

Tornò a sorridere.

-Ciao! Tutto bene?

-Sì, ti ringrazio! Tu?

-Direi…bene!- rispose un po’ titubante.- Posso offrirvi qualcosa?- domandò educatamente.

-Per me nulla, grazie! Magari più tardi.- rispose Abbie.

-Idem per me.- continuai.

-D’accordo, allora cara Abbie ti lascio nelle mani di Harrison, il quale, di sicuro, saprà esserti più utile di me e potrà dirti tutto ciò che ti occorre sapere su questi vecchi gioiellini. Spero che questo viaggio nel passato ti sarà utile.- disse allontanandosi e iniziando a camminare.

-Oh ne sono certa! Grazie ancora.- alla mia amica brillavano gli occhi.

-Jane, a te va invece di fare una passeggiata?

Abbie mi rivolse un occhiolino.

-Certo, volentieri.

Mi spostai nella sua direzione e lo presi per mano.

-Bene, a dopo allora! Se hai bisogno di qualsiasi cosa, non esitare a chiedermelo. E tu comportati bene Harry, mi raccomando!- sorrise sghembo.

L’autista rise.

-Come sempre signore!

E così dopo qualche istante, mi trovai nuovamente all’aria aperta, mano nella mano con Terence.

-E James, il tuo fidato amico di legno?- osservai.

-L’ho lasciato in casa! Mi accompagneresti a prenderlo?

-Volentieri. Sai arrivare senza difficoltà a casa tua?

-Così mi offendi Jane. Ovvio che sappia arrivarci. A volte non servono solo gli occhi, ma soprattutto il cervello per ricordare una strada.- mi fece notare.

-Scusami non intendevo offenderti!- dissi con sincerità. Non ne facevo una buona!

-Non preoccuparti, ci sono abituato! Ti piace la mia casa? Dall’esterno, intendo.- cambiò discorso.

-Diciamo che preferisco le cose più semplici e più piccole, ma è indubbiamente bellissima.- ammisi.

Iniziammo a camminare.

-Capisco! Beh cosa mi racconti? Come è andato il tuo viaggio per Aberdeen?

-Bene, grazie! Sono stata con mio padre per un intero weekend e come sempre sono stata bene in sua compagnia. Non ci vedevamo da due mesi e quindi puoi immaginare quanto sia stata felice di rivederlo.

-Hai un bel rapporto con lui, posso dedurre.

Iniziai a scorgere più da vicino la sua mastodontica casa, segno che eravamo quasi arrivati.

-Sì infatti. Sai lui mi ha fatto anche da madre per tutti questi anni.

A quel punto si fermò, stringendo più forte la mia mano. Lo guardai sollevando le sopracciglia.

-Cosa? Non hai una madre, Jane?

-Sì…è così! Perché ti sorprendi tanto? Oh ma non pensare che sia morta, dovrebbe stare bene…credo. Ci ha lasciati quando ero un adolescente per un altro uomo.

-Ah…- sospirò.- mi dispiace! Pensavo che non fosse più viva.

-Beh è come se lo fosse. Non la vedo da circa dieci anni…!

-E non hai mai voluto ricontattarla, o roba così?

Riprese a camminare. Sembrava quasi che questa mia situazione lo avesse colpito particolarmente.

-No! Ci ha abbandonati con una squallida lettera, scritta anche con una stupida matita. Non teneva evidentemente alla sua famiglia, per comportarsi come si è comportata! Mi ha lasciato in un periodo della vita, in cui qualsiasi ragazza avrebbe bisogno dei consigli e dell’appoggio della propria mamma, vedi tu se avrei dovuto anche contattarla! Per non parlare di mio padre…pover’uomo. L’ha distrutto, e per colpa sua non vuole più innamorarsi.- mi sfogai, dando vita a tutto ciò che reprimevo dentro di me, nei confronti di mia madre.

-Perché?

-Perché cosa?- gli domandai curiosa.

-Perché mi hai raccontato questa parte della tua vita? Potevi anche dirmi una menzogna inventandoti di avere una madre fantastica. Perché invece hai raccontato una cosa così…personale, a me con cui non hai ancora un rapporto di così grande confidenza?

Sembrava davvero curioso. Intanto stavamo salendo degli scalini in pietra che ci avrebbero condotti alla porta d’ingresso della casa.

-Non lo so. Perché mi andava di farlo e basta. Ci stiamo conoscendo e prima o poi saresti venuto a conoscenza di questa piccola parte della mia vita. Non vedo cosa ci sia di male, non bisogna per forza essere amici intimi per confidarsi certe cose, e poi credo di potermi fidare di te. Perché avrei dovuto mentirti?

Si rifermò.

-Perché a volte mentire fa meno male di riaprire certi ricordi.

Non mi diede il tempo di ribattere, perché a quel punto suonò il campanello vicino all’entrata. Un uomo vestito di nero ci venne ad aprire.

-Oh ben rientrato signore.

-Ciao Mike. Lei è Jane, è una delle ospite di cui ti ho parlato prima. Saliremo nella mia camera, portaci della cioccolata calda, per favore.- ordinò, guidandomi in casa sua.

-Certo signore. – disse l’uomo chiudendo la porta alle nostre spalle.

Se l’esterno della casa era una meraviglia, l’interno era un qualcosa di indescrivibile. I colori predominanti del salone d’ingresso erano il bianco e il dorato. C’erano numerosi quadri e le numerose finestre erano coperte da pesanti tende in velluto rosso. C’era persino un lucido e splendente pianoforte a coda nero, accanto ad una scalinata in marmo. Poi erano presenti due divani posti ad L e una televisione a schermo piatto, molto grande. Possibile che anche la casa di Leonardo Di Caprio fosse così? Sì, decisamente.

-Ci sei Jane?- chiese Terence.

-Sì…è solo che la tua casa è un qualcosa di magnifico.

-Non avevi detto che ti piacevano le cose più discrete?- piegò le labbra in un mezzo sorriso.

-Sì ed è così infatti, ma sarebbe da pazzi negare la bellezza della tua dimora.

Sorrise e poi iniziò a camminare verso le scale marmoree che probabilmente ci avrebbero condotte verso la sua camera.

Sapeva davvero a memoria ogni centimetro della sua casa. Visto dall’esterno poteva sembrare benissimo un vedente.

-Ora ti porterò nel mio regno.- disse appoggiandosi al passa mano dorato delle scale.

-Ci sto.- iniziai a salirle anch’io.

Poco dopo ci ritrovammo in un corridoio dalle pareti arancioni pitturate in una maniera particolare. Probabilmente per colorarle era stata usata una spugna. Da una parte c’era una libreria enorme che occupava quasi tutto lo spazio, riempita di diversi libri divisi per autore, e da una parte c’erano varie porte, alcune delle quali aperte. Terence mi accompagnò fino alla terza e poi la aprì. Entrammo.

Alzai la testa per osservare meglio ciò che mi circondava. L’ambiente era luminoso e non molto grande. C’ erano vari poster appesi, una scrivania posta di fronte ad una finestra a balcone, un letto con accanto un armadio, e un piccolo comodino su cui notai, però, esserci una piccola collana argentata , con appeso un ciondolo a forma di cuore, di quelli porta foto. Lo stretto necessario insomma! L’aria era impregnata del suo profumo e mi sentivo…al sicuro.

-Che te ne pare?- lasciò la mia mano, avvicinandosi al suo armadio, aprendolo ed uscendone James.

-Molto carina, non c’è che dire! Ma i poster mi lasciano alquanto perplessa! Rocky? Sul serio?- osservai guardando i poster del famoso pugile.

-Sì…diciamo che mi piaceva boxare anni fa.- rispose freddamente.

-Ah, okay!- era meglio non andare oltre.

-Prego siediti dove meglio credi.

-Grazie, mi siederò sul letto allora.

Mi sedetti dove avevo detto notando un semplice lenzuolo blu.

-Beh e per il tuo lavoro al giornale?- chiese.

-Intendi se è andato bene il mio articolo?

-Sì.

-E’ andato benissimo, il mio capo mi ha fatto persino i complimenti definendo il mio articolo uno dei più belli che abbia mai letto.- mi rendeva sempre molto felice ricordare quel momento.

-Ne sono contento! E come hai festeggiato la cosa? Suppongo che i tuoi colleghi ti abbiano organizzato una festa.

Si sedette anche lui accanto a me.

-Beh in realtà loro volevano fare qualcosa, ma poi ho passato la serata in altro modo.

-Con Abbie, suppongo allora.

-Ehm no…- mi schiarii la voce.

-Ah! Pecco troppo di curiosità se ti chiedo in che modo, allora?

-Sono uscita con un modello della collezione Calvin Klein, venuto da poco al mio giornale.

Ecco, l’avevo detto!

-Forte! Ti sei divertita?- il suo tono era diventato più distante e duro.

-Sì…diciamo! Ho passato una serata tranquilla.

Annuì con il capo.

-Ed era bello?

-Perché questo domanda?

-Oggi sono in vena di curiosità. Ma se non te la senti di rispondere, cambiamo argomento.

-Sì era molto bello.

-Ah ha.- annuì.- e dunque posso osare nel dirti che anche la sua interiorità lo sia? No sai, perché qualcuno non molto tempo fa mi ha detto : “Tendo a non giudicare l’aspetto esteriore di una persona se non conosco prima la sua interiorità! Credo, infatti, che se una persona ha il cuore malvagio, anche il suo aspetto estetico ne risentirà.” – concluse imitando una voce femminile.

Cavoli, non avevo pensato al fatto che potesse rievocare quel nostro primo dialogo. Ma perché arrivava ad essere arrogante? Perché?

-Touché.- risposi, abbassando la testa.

-Il touché mi sta bene, ma credo che sia giusto che tu ora mi dica se ritieni anche me bello.

-Non ci sono leggi che lo obbligano.- lo sfidai, ridendo.

Rise anche lui, aggiustandosi gli occhiali da sole sul setto nasale.

-Hai ragione! Ma quello che voglio sapere è perché con me ti facesti tanti problemi nel dirmi come ti sembravo esteticamente. Credo che mi meriti una risposta.

-Perché quando mi chiedesti se ti ritenessi bello, usasti un tono troppo saccente e arrogante per i miei gusti.

-Quindi mi ritenevi bello, ma non lo ammettesti per il mio tono vocale.

-Oppure oltre al tuo tono, avevo anche letto il romanzo di Dorian Gray.

-Sì mentre con il modello non hai tenuto conto del romanzo.

-Sei geloso?- lo stuzzicai.

-Si è gelosi solo delle cose che si appartengono e tu non mi appartieni Jane! Comunque oggi hai un profumo diverso.- continuò.

“Tu non mi appartieni Jane”. Perché questa frase mi rimbombava in testa.

-Sì…- mi schiarii la voce.- oggi ho voluto usare un profumo diverso.

-E’ meglio quello che usi ogni giorno. Sai tendo ad associare il profumo alla persona che lo porta, e ormai la mia mente ti associa con essenza di caramelle e biscotti.

Mi sentii in imbarazzo per questa osservazione e pensando sempre alla sua frase precedente.

-…okay!

-Ti ho messo in imbarazzo?- sorrise.

-No, certo che no! – farfugliai, toccandomi i capelli.

-Ah volevo farti sentire una canzone.- disse, alzandosi e avvicinandosi ad un mobiletto accanto alla sua scrivania.

Ne aprì le ante, facendo comparire davanti ai miei occhi uno stereo nero. Armeggiò con vari tasti e dopo pochi secondi ritornò al mio fianco.

-E’ una canzone degli Avenged Sevenfold, si chiama “So far away”.- disse, muovendo la testa a ritmo della musica.

Never feared for anything
Never shamed but never free
A life that healed a broken heart with all that it could
Lived a life so endlessly
Saw beyond what others see
I tried to heal your broken heart with all that I could
Will you stay ?

-Certo che conosci tanta musica tu! Ma a proposito, sai che ti ho sentito alla radio?- cercai di tenere una conversazione anche se mi sentivo ancora scossa.

-Davvero?- sembrava realmente sorpreso.- E come ti sono sembrato?- iniziò a giocare con il suo orologio d’acciaio.

-Interessante, mi sei sembrato interessante. Hai una bella voce e sai intrattenere il pubblico. Inoltre si vede che hai buone conoscenze in ambito musicale, riuscendole a trasmettere al pubblico senza rendere il tutto pesante o noioso.

Vidi che le sue guance si colorarono leggermente. Wow, avevo fatto arrossire Terence Ashling? Davvero?

-Oh, grazie! Quanti complimenti tutti in volta.- sorrise, togliendosi gli occhiali e appoggiandoseli vicino. Poi si passò le mani vicino agli occhi.

-Perché porti sempre gli occhiali?- ero curiosa.

La musica intanto stava continuando, e potevo dire che non era affatto male.

Alzò il capo verso di me. I suoi occhi erano puntati verso l’alto, invece.

-C’è anche bisogno di chiederlo? Cosa dovrei mostrare agli altri? Occhi vitrei, e persi nel vuoto?- il suo tono era freddo e sapeva di rabbia.

Riusciva a cambiare da così a così.

Will you stay away forever ?
How do I live without the ones I love ?
Time still turns the pages of the book its burned
Place and time always on my mind
I have so much to say but you’re so far away

 

-Hanno un bel colore…e non sono brutti da vedere.- ammisi un po’ titubante.

Plans of what our futures hold
Foolish lies of growing old
It seems we’re so invincible
The truth is so cold
A final song, a last request
A perfect chapter laid to rest
Now and then I try to find a place in my mind

 

-Okay cambiamo discorso Jane, ti va? Non mi va di farti vedere la parte di me che più odio.- si passò nervoso una mano nei capelli, per poi rimettersi i Rayban.

“La parte di me che più odio”, cioè quella scontrosa e auto commiserevole? Sì…non piaceva neanche a me.

-Va bene!- risposi soltanto, abbassando la testa e permettendo ai miei capelli di cadermi ai lati del volto.

Passarono diversi minuti, in cui solo le note della canzone danzarono attorno a noi e in cui anche un po' di imbarazzo aleggiò nell'aria.

-Posso toccarti il viso?- chiese poi a bruciapelo, lasciandomi interdetta.

-Come?- forse avevo capito male.

-Vorrei toccarti il viso, se me lo permetti. Se ci fai caso, siamo usciti già qualche volta e abbiamo persino fatto un viaggio insieme, eppure nella mia testa non so ancora come sei.

-Ma se la prima volta che ci siamo visti ti ho fatto una descrizione di com’ero!

-Avere i capelli castano chiaro, gli occhi marroni e avere la tua altezza, non sono cose che ti differenziano da altre persone. Io voglio avere il volto di Jane Ryan nella mia testa.- disse ora deciso.

La canzone intanto era finita, ma stava nuovamente iniziando.

-Ah…se proprio ci tieni.- ero un tantino a disagio.

Non che non avessi mai ricevuto una carezza in vita mia, ma sentivo che il modo in cui Terence mi avrebbe sfiorato il volto, mi avrebbe fatto sentire strana.

Si avvicinò leggermente, e quando sentii il suo respiro accarezzare la mia pelle, sentii il mio cuore battere più forte.

Gli presi le mani tra le mie e le avvicinai al mio viso.

Where you can stay
You can stay awake forever
How do I live without the ones I love ?
Time still turns the pages of the book its burned
Place and time always on my mind
I have so much to say but you’re so far away

 

Dopo poco, le posizionò a palmo aperto sulle mie guance. La mia pelle sembrava di fuoco rispetto alla sua, fresca.

Dopo un po’ cominciò il suo percorso, toccando la mia fronte lentamente, poi le mie sopracciglia, passando al mio setto nasale e poi alla labbra  che sfiorò con l’indice. Infine accarezzò anche qualche ciocca dei miei capelli, per qualche secondo.  In fondo non stavo avendo nessun contatto come dire…romantico con lui, nel senso che non ci stavamo baciando o stringendo l’uno tra le braccia dell’altro, ma l’intimità di questo momento mi scosse come nessun bacio aveva mai fatto in vita mia.

Terence aveva un tocco gentile ma sicuro allo stesso tempo, e la freschezza delle sue mani era sulla mia pelle come l’acqua fresca che spegne un incendio. Vissi il momento tenendo gli occhi chiusi.

Poi si allontanò.

-Ora so un po’ di più com’è Jane Ryan.

 

TO BE CONTINUED…

 

 

Ciaoo ragazzi!!^^

Dopo due ore passate a disegnare il volto del David di Michelangelo, eccomi qui! xD

Da quanto tempo, eh? Lo so, lo so, faccio sempre ritardo e sono peggio di una lumaca nel pubblicare, ma capitemi ho quintali di compiti a casa da fare ogni giorno, l’ispirazione non è sempre buona amica, e in più ho avuto anche l’influenza :(

Sono un po’ più vicina al vostro perdono per l’innumerevole tempo che vi ho fatto aspettare? ^^

Passiamo al capitolo. Bello lungo eh? Secondo il mio word, ho scritto circa ventisei pagine, compresi gli spazi. Spero che tutte queste pagine, plachino almeno un po’ la vostra sete di conoscenza sui nostri due protagonisti.

Vediamo una Jane alle prese con un modello bellissimo che a quanto pare si è preso una…come possiamo dire…piccola sbandata per lei, e una Jane che però non lo fila molto perché la sua mente e il suo cuore hanno solo un nome inciso su di loro: Terence.

Terence che è un po’ come una tavolozza di colori e che sa essere scontroso, freddo, ma anche gentile e caldo e che rimane sorpreso nel sapere l’infelice verità sulla mamma di Jane.

E poi l’ultima parte…ne parliamo? A me è piaciuta tanto! A voi? Spero di sì :)

A volte è il modo con cui si fanno e si vivono certi gesti, che li rendono indimenticabili ;)

Detto questo, direi che posso passare alla mia parte preferita, ovvero a quella dei ringraziamenti e vorrei dire Immensamente Grazie a : Viandante_, Ibelieve93 (ex Sunny xD), marioasi, Occhi di Smeraldo, e AkaneYamana98 per le loro bellissime recensioni. Quando trovo parole belle come quelle che mi scrivete, mi si riempie il cuore di gioia. Non abbandonatemi mai, mi raccomando!!

E un grazie speciale anche a : xoceansoul, MyLandOfDreams, opale nero, Vale_Pattz, ,per aver aggiunto la storia alle seguite. Grazie mille <3

E poi grazie anche alla citata opale nero che ha aggiunto la storia alle ricordate (sei la prima, Yeah xD) e a: Sarina_91, AkaneYamane98, _lalla27_, Bella_babbana, Occhi di Smeraldo, per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle preferite. Vi voglio molto bene <3

E niente…detto questo, vi saluto. Spero di avere l’onore di leggere le vostre opinioni sul capitolo, e spero immensamente di non aver deluso nessuna aspettativa! 

Alla prossima <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


AD OCCHI CHIUSI

 

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

-DAL CAPITOLO PRECEDENTE-

-Vorrei toccarti il viso, se me lo permetti. Se ci fai caso, siamo usciti già qualche volta e abbiamo persino fatto un viaggio insieme, eppure nella mia testa non so ancora come sei.

[…]

-Ah…se proprio ci tieni.- ero un tantino a disagio.

[…]

Gli presi le mani tra le mie e le avvicinai al mio viso.

[…] 

Dopo poco, le posizionò a palmo aperto sulle mie guance. La mia pelle sembrava di fuoco rispetto alla sua, fresca.

Dopo un po’ cominciò il suo percorso, toccando la mia fronte lentamente, poi le mie sopracciglia, passando al mio setto nasale e poi alla labbra  che sfiorò con l’indice. Infine accarezzò anche qualche ciocca dei miei capelli, per qualche secondo.  In fondo non stavo avendo nessun contatto come dire…romantico con lui, nel senso che non ci stavamo baciando o stringendo l’uno tra le braccia dell’altro, ma l’intimità di questo momento mi scosse come nessun bacio aveva mai fatto in vita mia.

Terence aveva un tocco gentile ma sicuro allo stesso tempo, e la freschezza delle sue mani era sulla mia pelle come l’acqua fresca che spegne un incendio. Vissi il momento tenendo gli occhi chiusi.

Poi si allontanò.

-Ora so un po’ di più com’è Jane Ryan.

***

Capitolo Nove

 

Le parole possono avere un potere enorme, quando sono le parole giuste al momento giusto.

Vannuccio Barbaro, Scartafacci (postumo, 2012)

 

 

         -E com’è Jane Ryan?- trovai il coraggio di chiedergli, con ancora il battito del cuore nelle orecchie.

Mi sorrise e non mi rispose.

-Perché non mi rispondi? Non è da te…- gli feci notare.

-Il tuo “non è da te” mi fa capire che stai imparando a conoscermi bene!- ribattette, forse sperando di cambiare argomento.

-Beh mi sembra normale Terence!- risposi prontamente.

-E allora secondo te come risponderei alla tua domanda?- fece un sorriso sghembo.

Domanda difficile, molto difficile!

-Che sono super mega bellissima!- lo presi in giro ridendo.

Rise anche lui.

-Sarebbe troppo per Terence Ashling dire tutti questi complimenti, non credi? Io avrei detto che Jane Ryan ha dei lineamenti molto dolci ma decisi, così come sembra il suo carattere.- fece un mezzo sorriso e poi girò il capo verso lo stereo.

Aveva detto che avevo dei lineamenti dolci ma decisi? Perché non potevo fare a meno di sorridere?

-Grazie allora!- era sicuro che le mie guance si fossero tinte di rosso.

-Bene! - si schiarì la voce.- forse è il caso che vada a controllare che fine abbia fatto Mike, il mio maggiordomo. Sarà passato già più di un quarto d’ora da quando gli ho chiesto delle cioccolate. Tu sentiti come se fossi a casa tua.- disse sorreggendosi al suo James e alzandosi. Poi si avvicinò lentamente alla sua porta. Mi sbagliavo o era un tantino imbarazzato?

-Ah e puoi cambiare anche canzone. Troverai dei CD sopra lo stereo.

A quel punto si allontanò non dandomi tempo di rispondere.

Non appena sentii il rumore dei suoi passi sempre più lontano, ritornai a respirare e il mio cuore ricominciò a pulsare a ritmo regolare. Uh cavoli, mi aveva scombussolato davvero tanto la sua vicinanza.

Decisi di alzarmi per calmarmi un po’. In fondo, cos’era successo?  Mi aveva solo accarezzato il viso facendomi sentire …importante…e diversa! Mi diedi due leggeri schiaffi sulle guance per calmarmi e poi iniziai a girovagare nella sua stanza, notando come fosse semplice ma allo stesso tempo carina. Mi soffermai particolarmente sui poster di Rocky. “…diciamo che mi piaceva boxare anni fa” mi aveva detto, e questa sua esclamazione mi aveva lasciato a dir poco sorpresa. Con la sua eleganza e sofisticatezza non me lo immaginavo a dare dei pugni.

Poi mi soffermai sullo stereo e abbassandomi sulle ginocchia, diedi una sbirciata ai numerosi CD che vi trovai sopra. Misi in pausa la canzone degli Avenged Sevenfold, e optai per una canzone di Nina Simone: “I want a little sugar in bowl”, una canzone che mi ricordava la mia infanzia.

Rialzata vagai un altro po’ alla ricerca di qualche dettaglio che mi aiutasse a conoscere meglio Terence, quando il mio occhio cadde sulla collanina che avevo intravisto sul comodino. Il ciondolo, oltre ad avere la forma di un cuore, era anche piuttosto piccolo. La curiosità mi vinse, e decisi di aprirlo. C’era una foto di una donna, di una bella donna al suo interno. Aveva i capelli ricci e biondi e dei lineamenti, che sembravano dolci. Chi era? Poteva essere un ex di Terence? Non l’avrei detto, perché mi sembrava più grande di lui. E allora chi? Sua mamma? Nel tragitto salotto-stanza non mi era sembrato di vedere nessuna foto o quadro della famiglia. Che cosa strana!

A pensarci neanche nella sua stanza c’erano foto che lo ritraevano. Certo il fatto di non poterci vedere più aveva significato sicuramente nella scelta di non avere nessuna foto in camera, ma allora perché c’erano dei poster?

Osservai un altro po’ il gioiello, accorgendomi che nell’altra metà del ciondolo, quindi la parte che si sarebbe sovrapposta alla fotografia, vi era una lettera incisa: una E.

E? Poteva essere l’iniziale di un nome? Del nome della persona ritratta nella foto? Uff, più che scoprire cose nuove su Terence, le mie idee si stavano ingarbugliando ancora di più! Decisi di passare ad altro. Aprii il suo armadio, venendo investita dal profumo di Terence. Era così buono! Notai molti vestiti, tutti ordinatamente piegati e delle cravatte di vari colori messi in ordine di tonalità. Era un maniaco dell’ordine.

Non appena sentii un vociare in lontananza, chiusi l’armadio e provvidi a sistemare la collanina a forma di cuore sul comodino, cercando di metterla nella posizione da cui l’avevo presa. Poi mi sedetti sul letto di Terence, il quale dopo poco entrò seguito da un uomo.

-Jane, Mike. Mike, Jane.- fece le presentazioni.

Il maggiordomo, che avevo già intravisto all’entrata,  era un uomo dal viso buono. Aveva pochi capelli bianchi e indossava un frac nero.

-Piacere di conoscerla signorina Jane.- disse posando un vassoio con due cioccolate calde e un piattino di biscotti sulla scrivania di Terence.

-Piacere mio, signor Mike.- risposi osservandolo.

-Ho posato ciò che mi ha chiesto sulla sua scrivania signore. Se per lei è tutto, tornerei alle mie faccende.- aggiunse l’uomo.

-Vai pure Mike e grazie.- rispose Terence gentilmente avvicinandosi alle bevande.

Il maggiordomo uscì non prima però, di aver aggiunto un “ Dovere signore!”

-“I want a little sugar in my bowl”, eh?- domandò rimanendo in piedi.

-Beh sì! Ho visto che hai tanta musica, ma ho scelto questo CD perché mi riporta alla mente un ricordo di infanzia.

-Raccontamelo.- mi chiese.

-Prima voglio bere un po’ di cioccolata, se me lo concedi!- risposi ridendo.

Le sue labbra si incurvarono.

-Hai ragione!- rispose.

Mi alzai e mi avvicinai alle bevande. Presi una tazza e l’avvicinai alle sue mani.

-Ecco a te!- gli dissi, aiutandolo a prendere la cioccolata.

-Grazie.- rispose stringendola tra la mano destra e posando James alla scrivania dietro di lui.

-Di nulla.- presi la mia tazza e iniziai a sorseggiare quel nettare degli dei.

Era buona. Calda. Dolce.

-Allora?- domandò, riferendosi al ricordo che voleva ascoltare.

-Mhm…dunque! Quando ero piccola, intorno ai sette, otto anni credo, io e mio padre passavano ogni sabato sera in casa. Mia madre era quasi sempre fuori, a fare chissà cosa, mentre io e lui ci organizzavamo la serata decidendo di vedere prima un cartone animato, il mio preferito era Dumbo,- mi soffermai ridacchiando.-  poi mangiando una pizza e poi rivedendo delle vecchie fotografie. Ricordo che prima di andare a dormire mi faceva sedere sulle sue gambe , mentre lui teneva tra le sue mani una scatola turchese. Questa conteneva tante foto dei miei nonni, erano quasi tutte in bianco e nero…

-Ma cosa c’entra la canzone?- mi interruppe.

-Fammi arrivare! C’era una foto in particolare che mi piaceva tanto. Ritraeva i genitori di mio padre insieme, durante un ballo. Mio padre sapeva che amavo quella fotografia, così mi raccontò che mia nonna gli disse che lui e il nonno stavano ballando sulle note di “I want a little sugar in my bowl”. Insistetti tanto per ascoltare questa canzone, così per il mio nono compleanno mio padre mi regalò un disco in vinile proprio di questo pezzo. Me ne innamorai appena la sentii.- conclusi, riprendendo a bere la mia cioccolata.

-Oh capisco!- sorrise.- Mi piacciono i tuoi ricordi Jane Ryan! Mi danno di…famiglia unita.- rispose, posando la sua tazza sulla sua scrivania. Non ne aveva bevuta poi molta!

-Beh come ti ho detto non ho avuto una famiglia unita, per via di mia madre, ma grazie a mio padre e anche ai nonni ho avuto un’infanzia e un adolescenza piacevoli.

-Ci credo!-sospirò.- E come anni adolescenziali? Qualche ricordo?

-Mhm…bah sai niente di particolare! Ero una studentessa come tante, avevo il mio gruppo di amici e avevo i miei alti e bassi. Ricordo però che c’era una ragazza che proprio non sopportavo. Era la classica ragazza-pon pon, tutta riccioli biondi e pon pon tra le mani. Si chiamava Molly, ma tutti la chiamavano Molly Dolly perché si truccava e acconciava i boccoli come le bambole.- ricordai, prendendo un ferro di cavallo dal piattino sul vassoio.

-Molly Dolly…sul serio?- scoppiò a ridere.- Ma tu ci credi che questo nome non mi è nuovo? Probabilmente è stata la ragazza di qualche mio amico.- rise ancora.

Era bello vederlo ridere. Il suono della sua risata mi piaceva molto e donava al mio cuore una sensazione di felicità.

-Wow com’è piccolo il mondo! Ma penso tu abbia ragione, quella lì aveva molti ragazzi.- sorrisi.

-Già!

Giochicchiai passando l’indice sul bordo della tazza.

-Non bevi più?- gli feci notare.

-No! Non sono una persona molto golosa, a dir la verità!- sorrise.

-Ah…ho capito! Beato te! Io amo i dolci, non riuscirei a stare senza …!

Rise ancora.

-Ora che ci penso oggi non mi hai ancora detto come sei vestita, come sei truccata e se porti braccialetti.- cambiò argomento dopo qualche secondo.

Finii di mangiare il mio biscotto e poi gli risposi.

-Hai ragione! – abbassai la testa per osservare ogni mio dettaglio.-  Oggi porto dei Jeans chiari, un dolcevita turchese sotto una giacca nera a bottoni dorati.  Come scarpe ho delle Converse scure. Ho le unghie colorate da uno smalto nero, porto l’orologio al polso sinistro, ho un anello argentato al dito medio della mano destra e dei braccialetti di stoffa colorati. Sono truccata con della matita nera e del mascara sugli occhi, e con un lucida labbra rosa chiaro.- conclusi.

Ripresi a sorseggiare la mia cioccolata.

-Interessante! Ti piace molto il nero, eh?

-E’ un colore che mi piace, sì! Oltre a snellire la figura, dona quel tacco di raffinatezza che non stona mai.

 -Ed io? Ti piace come mi vesto? Credo di non avertelo mai chiesto.- mi domandò ora.

Concessi ai miei occhi di guardare la sua intera figura. Era così bello! Alto al punto giusto, magro al punto giusto, sembrava anche muscoloso al punto giusto. Era tutto giusto!

-Sì molto.- mi lasciai sfuggire, riferendomi più al suo fisico che ai suoi vestiti, anche se amavo il suo stile.

Sorrise.

-Ti piace la cioccolata? E i biscotti?- domandò, ora serio.

-Ti ho detto che sono golosa! Sono entrambi molto dolci, mi piacciono! Ti ringrazio per la tua disponibilità Terence, sei molto gentile.

-Non c’è di che!- rispose. – Sai già quando il tuo articolo uscirà?- incrociò le braccia al petto.

Posai la mia tazza sulla scrivania alle mie spalle.

-Tra due settimane circa, credo! Bisogna considerare i tempi di stampa, l’impaginazione, la correzione delle bozze e la stampa delle copertine.- risposi.

-Ah già, ci sono da considerare tutte queste cose! Poi mi leggerai il tuo articolo, allora! Sono curioso di sapere come hai inserito i racconti dei miei amici. Ah poi mi sono appena ricordato che devo raccontarti una cosa.

-Cosa?- rimasi a guardarlo.

-Questa mattina mi ha chiamato un centro che si occupa di addestrare cani per non vedenti. Feci richiesta tempo fa di volerne uno. Non so se ti ricordi…ti accennai che ne avrei preso uno…

-Sì mi ricordo benissimo, ne parlammo il giorno in cui ci incontrammo al “Gray’s Cup”.

-Ecco! Dicono di averne uno a disposizione e che fra due settimane circa vorrebbero incontrarmi. Ti va di accompagnarmi?- domandò, prendendo il suo James.

-Certo! Sempre all’ora di oggi?

-Sì, se per te va bene!

-Bene, allora ci organizziamo! Come vorrai chiamarlo?

-Bah non saprei! Dipende se sarà una femmina o un maschio. Tu che mi consiglieresti?

Ci pensai su qualche attimo.

-Mhm forse…Trilly se è una femmina e se è un maschio…Anacleto.

-Anacleto?- Terence iniziò a ridere.- E questo nome da dove ti è venuto?

-Mi è venuto in mente il gufo che c’è nel cartone “La spada nella roccia”. Sai io lo amavo. - ammisi, iniziando a ridere anch’io.

-Va bene, ormai sto imparando a conoscerti, quindi non dirò nulla.

-In che senso non dirai nulla? Non c’è nulla da dire, Anacleto è un nome fantastico!- ridacchiai dandogli un pugno scherzoso sul braccio destro.

Ridemmo un altro po’ poi cambiò discorso.

-Ti va di ascoltarmi suonare?

Inarcai le mie sopracciglia.

-Oh sì, molto volentieri!- risposi titubante.

Ero sorpresa che mi avesse proposto qualcosa che mi avrebbe permesso di accendere i riflettori su di lui. Faceva sempre lui domande a me, non permettendomi mai di conoscerlo meglio e questo suo cambio di atteggiamento mi incuriosì.

-Perfetto! Allora andiamo in salone, lì troveremo un pianoforte. Voglio farti sentire la mia versione di “Mad World”  nella versione di Adam Lambert o meglio di Gary Jules. Perché sai l’originale è di quest’ultimo.

-Oh sì mi accennasti al fatto che sai cantare e che il tuo cavallo di battaglia è questa canzone. Bene, andiamo!

Si sorresse al suo James e mi tese la sua mano. La strinsi subito e poi varcammo la soglia della sua camera.

Poi ci avviammo verso le scale. Il mio sguardo non potette fare a meno di posarsi sui tanti libri presenti nella libreria di fronte alla stanza di Terence.

-Wow! Quanti libri…scommetto che sono tutti di scrittori con la S maiuscola.

-Sì è così infatti! Ti dissi che mi piace la letteratura russa, ma ci sono molti libri anche di famosi autori inglesi.- rispose iniziando a scendere i primi gradini stringendo la mia mano.

-Me ne presterai qualcuno?- domandai.

-Certo! Alcuni però sono scritti in Braille, altri sono audio libro invece.- puntualizzò.

-Oh capisco.

Quando finimmo di scendere tutti i gradini, rimasi per la seconda volta incantata da quel salone meraviglioso. Mi sembrava di essere in un castello!

-Mi guidi verso il piano?

-Certo.- lo condussi dove mi aveva chiesto, poi lo aiutai a sedersi sullo sgabello del piano.

-Non so se ti piacerà, ma ci provo!- disse.

Si scrocchiò le dita delle mani e le posò sui tasti bianchi e neri. Io mi appoggiai al bracciolo del divano poco distante dallo strumento.

Terence pigiò prima tutti i tasti. Dal do maggiore al do minore, si schiarì la voce e poi iniziò a suonare.

Dopo poco dolci note iniziarono a danzare nella stanza e fu inevitabile per me chiudere gli occhi quando iniziai a sentire la voce di Terence.

All around me are familiar faces 
Worn out places, worn out faces 
Bright and early for their daily races 
Going nowhere, going nowhere 
Their tears are filling up their glasses 
No expression, no expression 
Hide my head I want to drown my sorrow 
No tomorrow, no tomorrow 

La sua voce era esattamente come la immaginavo. Calda, profonda, ammaliante, dolce, affascinante e bella, tanto bella da ascoltare.

And I find it kinda funny 
I find it kinda sad 
The dreams in which I'm dying 
Are the best I've ever had 
I find it hard to tell you 
I find it hard to take 
When people run in circles 
It's a very, very mad world mad world 

Suonava il piano divinamente e mi sembrava di essere chiusa in una bolla di sapone con solo me e lui all’interno.

I minuti che passarono mi sembrarono trascorsi troppo in fretta, e rimasi nella mia “bolla” per altri secondi. Fu Terence a richiamare la mia attenzione, schiarendosi la voce.

-E’ andata tanto male?- domandò.

-Oh sì…la peggior esibizione che abbia mai sentito! Ma come fanno a dire che è il tuo cavallo di battaglia?- lo presi in giro, cercando di mantenere un tono di voce molto serio.

-Come? Davvero?- si voltò nella mia direzione, come se mi potesse vedere e da sopra gli occhiali da sole riuscii a vedere le sue sopracciglia rivolte verso l’alto.

-Sei così sicuro di te?

-No, ma quando suono questo pezzo mi sento sicuro.- rispose. Riuscii, però, a sentire una punta di imbarazzo nella sua voce.

-Ma sto scherzando, sciocco! E’ stata la cosa più bella che abbia mai sentito. Suoni davvero benissimo.- ammisi adesso, alzandomi e avvicinandomi a lui.

Mi sembrò di  sentire un sospiro di sollievo e un mezzo sorriso farsi largo sul suo viso.

-Ti ringrazio! Suono da quando avevo sei anni, quindi ammetto di essermela un po’ presa quando mi hai detto quelle parole.

-Non avresti dovuto prendertela, invece! Devi essere più sicuro di te, dato che suoni da tantissimi anni e non fidarti di una che non ha esperienza come me!- gli dissi sinceramente.

A volte mi sembrava così sicuro di sé ed altre invece…così incerto! La mia ipotesi che in realtà celasse un animo fragile fu confermata!

-Proprio perché non hai molta esperienza che il tuo parere è più importante per me. Quelli che sanno suonare il piano usano sempre tanti paroloni ma sono tutte chiacchiere e niente fatti!

Sorrisi tra me e me.

Notai che stringeva molto forte il suo bastone.

-Sei di poche parole, oggi. Tutto bene?- sembrava sinceramente interessato.

-Oh sì, sto bene. Ma non credo di essere di poche parole, insomma…ti ho raccontato tutto ciò che dovevo raccontarti. Tu, piuttosto…sai più cose di me di quante io ne conosca di te.

-Hai ragione, ma la mia vita non è particolarmente interessante.

-Tutte le vite sono interessanti, Terence! Facciamo che anche tu, come ho fatto io prima, mi racconti un tuo ricordo di infanzia e uno della tua adolescenza?- proposi.

-Se proprio ci tieni! Della mia infanzia non ho ricordi particolarmente felici, devo essere sincero.- usò un tono freddo.- Non ho mai avuto un bel rapporto con mio padre e questo penso che abbia molto influito, però ricordo piacevolmente che ogni sabato sera, prima di andare a dormire mia mamma mi preparava una cioccolata calda e la riempiva di marshmallow. Ricordo anche che nascondevo sotto il mio cuscino un pacco di caramelle alla frutta che compravo la domenica da un chioschetto accanto ad una chiesa. – sorrise.

Ero sicura che sotto gli occhiali, i suoi occhi stessero brillando.

-Ma scusami, prima tu mi hai detto che non sei goloso…e allora perché i tuoi ricordi più felici comprendono dolcetti?

-Perché da bambino amavo i dolci.- sorrise.- Tutt’oggi quando bevo un po’ di cioccolato mi rivengono alla mente certi ricordi e a volte…mi sembra quasi di vedere il colore della cioccolata…un caldo nocciola.- sospirò.

-E come ricordo dell’adolescenza?- iniziai a giochicchiare con le miei unghie. 

-Ero un don Giovanni al liceo, mi pare di avertelo già detto.- fece un sorriso sghembo.- Divenni rappresentanti di istituto per tre anni di seguito e finii dal preside una sola volta.

-Ma se qualche tempo mi avevi detto che eri uno studente normale…

-Beh essere uno studente normale, non implica anche andare dal preside ogni tanto?- fece ovvio.

-Beh se si è dei bravi studenti, direi di no…- ridacchiai. – ma cosa combinasti?

-Forai le ruote della sua macchina… - ammise non smettendo di ridere.

-Tu? Terence sonoilpiù elegantedelmondo Ashling?- lo presi in giro.

-Proprio io! Sono pur sempre un essere umano, no?

-Sì…ma essere addirittura un bad boy…questa non me l’aspettavo!

-Chi ti dice che non lo sia ancora?- si passò un mano nei capelli.

Sorrisi tra me e me. Che tipo!

-Sai Terence…mi piace parlare con te! Sei una persona molto piacevole.- ammisi dopo qualche secondo, sentendomi arrossire.

-Ne sono molto contento. Penso la stessa cosa di te, Jane Ryan.

Pochi attimi dopo il campanello di casa suonò. Vidi Terence schiarirsi la voce e alzarsi sorreggendosi al suo James.  Nello stesso momento arrivò il maggiordomo.

-Sì?- domandò Mike aprendo di poco la porta.

-Sono Harrison.

La porta fu aperta e varcarono la soglia l’autista di Terence e la mia migliore amica, con un sorriso dipinto sul volto che andava da un orecchio all’altro.

-Oh Terence che esperienza meravigliosa, grazie, grazie, grazie!!- disse saltellando Abbie, andando incontro a Terence ed abbracciandolo.

Vidi Terence un tantino in imbarazzo per quel gesto che ricambiò con molta delicatezza.

-Non c’è bisogno di ringraziarmi Abbie, te l’ho già detto che è stato un piacere! Quali modelli ti sono piaciuti di più?- le chiese allontanandosi da lei.- Ah che sbadato, se non la hai ancora fatto, prego accomodati dove meglio credi.

Ci sedemmo tutti sul divano ad L, vicino al piano.

-Oh ti direi tutti, ma se proprio devo scegliere, dico la Mercedes- Benz SL 230 e beh ovviamente la signora delle macchina, la Ferrari modello 246 SP.

Era molto dettagliata la mia amica, vero? Per me era arabo il nome dei modelli che aveva citato.

-Concordo! Sono dei modelli splendidi.- le rispose Terence.

-Sicura che non posso offrirti niente?

-Sicura! Grazie Terence.

La mia amica mi guardò e mi sorrise.

-Voi invece? Che avete fatto?

-Niente di che!- rispose Terence.

Ero sicura che se non fosse stato cieco mi avrebbe guardato, adesso.

-Già…nulla di particolarmente interessante.- continuai io.

La mia amica mi guardò con sospetto.

-Capisco! Bene allora…noi andiamo…si sta facendo buio! – ridacchiò.- Ci ved…ehm sentiamo Terence! Buona serata.- salutò la mia amica alzandosi dal divano. Stava dicendo anche lei “ci vediamo”.

-Certo ragazze, ci sentiamo presto! E’ stato un piacere avervi come ospiti oggi, quando volete sapete il mio numero.- disse Terence.

-Bene, allora ancora grazie. Ciao.- gli disse la mia migliore amica.

-Ciao Terence, attenderò tue notizie per il nostro prossimo incontro.- aggiunsi io.

-Non mancherò. Se volete questo venerdì potremmo incontrarci al pub…- propose un po’ titubante.

-Ci sto!- disse Abbie scoccandomi uno sguardo.

-Idem per me.

-Bene! Ciao ragazze.- ci congedò aggiungendo poi al suo autista di accompagnarci fino al cancello.

Dopo aver ringraziato e salutato Harrison (a quanto sembrava lui ed Abbie erano diventati amici), salimmo in macchina.

-Uh che aria frizzante che si respirava là dentro! E’ andato tutto bene, posso dedurre. - accese il motore.

Mi allacciai la cintura di sicurezza.

-Sì direi proprio di sì.- risi.

Da lì partì un dettagliato racconto del mio pomeriggio con quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio.

***

 A lavoro il giorno dopo, passai gran parte del tempo chiusa in ufficio vicino alla scrivania di Steve. Mi erano arrivati già vari scatti della collezione Calvin Klein e mi stavo facendo aiutare dal mio collega per progettare la copertina del nuovo numero.

-Beh considerando che il prossimo numero dell’Edinburgh Fashion Magazine aprirà la stagione autunnale, proporrei l’utilizzo di colore autunnali. Arancione, marrone, ocra e così via.- mi disse Steve.

-Concordo! Possiamo chiedere ad Adelaide di allestire dei set fotografici con finte foglie secche e con sfondi che richiamano alla stagione autunnale.- proposi.

-Perfetto, allora io provvedo a qualche ritocco con photoshop delle foto che ci ha mandato Paul, tu vai a pure a parlare con Adelaide.

-Bene, a dopo!- diedi una pacca sulla spalla al mio amico, e mi allontanai dall’ufficio.

Come immaginavo il corridoio per giungere alla stanza adibita a set fotografico era gremita di persone. Con molta fatica, feci vari slalom tra modelle e modelli e quando giunsi davanti alla fotografa le spiegai come avrebbe dovuto sistemare i modelli e il set.

-Jane? Jane?- mi sentii chiamare mentre tornavo dai miei colleghi.

Mi voltai trovandomi Christopher Wilson in jeans e petto nudo. Ma perché lo trovavo sempre vestito,- ehm svestito- così nei corridoi?

-Ehi ciao Christopher!- gli sorrisi.

Dalla nostra ultima cena non avevamo avuto più modo di parlare per più di un minuto. E non potevo negare che questo non mi era dispiaciuto!

-Come stai? Ti vedo indaffarata.- constatò passandosi una mano tra i capelli. Vidi la signora delle pulizie nella stanza accanto, guardarlo con occhi a cuoricino.

-Bene, grazie! Sto lavorando per il nuovo numero che sarà interamente dedicato a voi.

-Già! Sono certo che verrà fuori qualcosa di magnifico. Senti…- si schiarì la voce.- ti va di pranzare con me oggi?

Cosa? Pranzare con me? Perché?

-Ah…beh…ecco io…non avrò molto tempo da dedicare al pranzo…perché sai…sto lavorando.- balbettai spostandomi per far passare una stangona alta almeno un metro e novanta.

-Ah capisco! Ma…voglio dire, non ti farà bene lavorare ininterrottamente per tutto il giorno, non credi? Anch’io ho la giornata piuttosto indaffarata ma i miei venti minuti di pausa pranzo non me li farei togliere da nessuno, per nulla al mondo.- concluse guardandomi con occhi speranzosi.

E quando una persona ti guardava così, tu cosa potevi fare?

-Hai ragione. Va bene dai, accetto! Ci vediamo all’una al ristorante italiano nella strada di fronte al Giornale?- proposi.

-Molto volentieri.- mi fece l’occhiolino e poi sparì nella folla.

Ripresi il mio cammino con le guance che mi scottavano dall’imbarazzo. Wow, me ne stavano succedendo troppe ultimamente.

-Jane Ryan? Sei tu?- sentii una voce gracchiante pronunciare il mio nome.

Chi altro era, adesso?

E questa cosa diavolo ci faceva qui? No, tutti fuorché lei…no, no e ancora no!

-Oh…ciao Mary Anne!- feci un sorriso più falso della faccia rifatta di Lindsay Lohan.- Quale sorpresa!

-Già, proprio una sorpresa!- strascicò ogni parola.- ricordavo che lavoravi per questo Giornale. E’ un piacere rivederti.- sorrise anche lei falsamente.

Mi permisi di guardarla. Indossava un tubino attillato nero, dei vertiginosi tacchi a spillo e portava i capelli biondi molto lisci.

-Come mai qui?- le domandai, incrociando le braccia al petto.

-Sono una delle modelle di Christian Loubutin. Non vedi le mie scarpe?

Oh no! Ciò significava che avrei dovuto sorbirmi questa capra anche qui?

-Oh che bello! Bene, allora a presto. Torno al lavoro.- cercai di levarmela di torno.

-A presto Jane, a presto.- mi salutò muovendo le dita della mano destra.

Quando tornai in ufficio, mi resi conto di quanto non desiderassi trovarmi in un altro posto.

-Chi era quella meravigliosa creatura con cui stavi parlando?- mi domandò Vincent, affacciandosi dalla sua scrivania.

-Ma quale meravigliosa creatura! E’ solo una giraffa senza cervello, quella!- presi posto davanti al mio computer.

-Chi era Jane?- chiese , ora, Barbara.

-Una che fa parte di una comitiva di amici del fidanzato della mia migliore amica.- spiegai, aprendo la mia posta.

-Capito!- mi sorrise.- Ah Jane, puoi venire un secondo? Vorrei chiederti un consiglio su un titolo.

-Certo.- mi alzai e mi avvicinai.

L’aiutai a scegliere, ma prima che ritornassi a sedermi mi fermò.

-Jane volevo anche dirti che ci terrei che fossi tu una delle damigelle d’onore al mio matrimonio.

Spalancai gli occhi dallo stupore.

-Davvero? Wow! Grazie Barbie, sarà un onore e un immenso piacere per me farlo.- ero molto sincera.

-Ne sono contenta.- mi strinse affettuosamente la mano destra.- Avevo pensato che forse è il caso che scegliamo prima l’abito per voi damigelle, per cui se per te non è un problema, vorrei andare questo sabato in un negozio di abiti da cerimonia.- mi sorrise.

-Oh sì ottima idea! E poi sabato non lavoriamo per cui…è perfetto! Facciamo di mattina?

-Sì, sarebbe grandioso.

L’abbracciai e poi tornai a sedermi.

-E come testimoni, avete già deciso?- chiese Freddie, mantenendo lo sguardo fisso sul suo computer.

-In realtà ancora no, ma avevamo pensato al fratello del mio futuro marito e a te Fred.

-A me?- il mio ex si aggiustò gli occhiali da vista e si alzò in piedi.

-Ma tesoro che splendida notizia. Sarò il migliore e più elegante testimone che tu abbia mai visto.

Il mio ex e Barbie si abbracciarono calorosamente. Era un bel periodo per il mio ufficio.

La giornata trascorse in maniera piacevole, fino a quando il momento da me tanto temuto, arrivò più in fretta del previsto: l’ora di pranzo.

Non me la sentivo di incontrare Christopher. Avevo troppi pensieri per la testa e una parte nascosta dentro di me mi diceva che gli interessavo, quindi non volevo dargli false aspettative. Ma avevo detto che sarei andata a pranzo con lui e non potevo ritirare la mia parola.

Per cui mi infilati il mio cardigan chiudendo tutti i bottoni. L’autunno ad Edimburgo era ormai prossimo e folate di vento si facevano sempre più frequenti. Ottobre era ormai alle porte.

Dopo essermi data un’altra passata di lucida labbra uscii dal mio ufficio, dirigendomi nel locale dove avevo l’appuntamento con il modello.

Non dovetti attendere neanche un secondo, perché lo trovai già ad aspettarmi di fronte al ristorante.

Ci salutammo con una stretta di mano e poi entrammo nel piccolo locale. Mi aiutò a sfilarmi il soprabito e poi mi spostò la sedia per farmi sedere. Non potevo non dire che i suoi modi erano proprio da cavaliere.

-Sono contento di poter passare più di un minuto con te, Jane. Dall’altra sera non ci siamo più parlati.- constatò sorridendomi.

-Già, hai ragione! Purtroppo in quel Giornale, è così! Si ha sempre molto da fare…articoli, bozze, foto eccetera eccetera.

-Puoi dirlo forte! Adelaide non ci fa star fermi nemmeno un minuto. Foto di qua, foto di là…mettiti così, mettiti colà…- mi fece ridere il modo in cui finì la frase.

-Oh finalmente ti faccio ridere…temevo che tu fossi…spaventata da me.- storse il naso.

Addirittura spaventata? Ero proprio un libro aperto, eh?

-No, ma che dici! Perché dovrei essere spaventata? Che dici ordiniamo qualcosa?- cambiai argomento sfogliando il menù posto di fronte a me.

-Credo che prenderò un’insalata e della frutta fresca. Da bere del vino rosso. Tu?- mi chiese.

-Lo stesso, solo che da bere preferirei dell’acqua frizzante.- gli sorrisi, chiudendo il menù.

Poco dopo giunse un cameriere che segnò i nostri ordini. Poi se ne andò.

Il ristorante era abbastanza pieno. Era piccolo ma caloroso.

-Quindi a lavoro va tutto bene?- mi domandò incrociando le mani sotto il mento.

-Sì tutto a posto! Grazie. Tu?

-Idem. – si morse le labbra.- Ah quasi dimenticavo, sai Jane ho vinto due biglietti per il cinema, per un film vintage. Ti andrebbe di venire con me?

Era un altro appuntamento? Miseriaccia!

-Ah…sì, perché no? Sembra un’idea carina…ma saremo con altre persone, no?- finsi di essere interessata alla tovaglia, guardandola intensamente.

Dì di sì, dì di sì, dì di…

-Ehm no!- rispose guardandosi attorno.

-Ah quindi…sarebbe un appuntamento?- trovai il coraggio di chiedergli, questa volta guardandolo fisso negli occhi.

-Esatto! Sempre se per te va bene, ovviamente. Ma dalla tua espressione non mi sembri tanto sicura…- corrugò la fronte.

-No è solo che non so abituata a tutte queste attenzioni da parte di un ragazzo…come te! Il tuo invito mi sembra una cosa molto carina ma non vorrei che tu fraintendessi.

-Fraintendere cosa?- sollevò un sopracciglio.

Perché mi complicava le cose? Continuai a mantenere il mio sguardo fisso nel suo, non sapendo cosa dire.

-Senti Jane, voglio essere sincero con te. – mi precedette.- Sei molto carina e mi piaci. Voglio uscire con te per vedere come ci troviamo insieme…non mi sembri molto interessata a me, e forse è anche questa una delle cose che mi attraggono di te, ma se tu me lo concedi vorrei aprirmi un po’ a  te. Non so come andranno le cose, ma anche diventare semplicemente un tuo amico non mi dispiacerebbe.- disse con tono calmo, sempre sorridendomi.

-Voglio essere anch’io sincera con te, allora.- gli risposi.- Mi interessa un altro ragazzo. Tu mi sembra una persona simpatica e alla mano, però, e quindi sì…non trovo nulla di male nell’uscire con te.

-Ti interessa un ragazzo, eh? Beh i giochi si complicano quindi.- si bagnò le labbra con la lingua.- Non ci sono problemi, però. Sono sempre stato un amante delle sfide complicate.

 

CONTINUA…

Ciaoo ragazzi!!!!

Sì sono ancora viva e nessun alieno mi ha rapito, non sono andata ad Hogwarts (purtroppo!!!!) ma sono sempre qui!! So di non pubblicare da troppo tempo e vi chiedo di scusarmi. E’ stato bello, però, vedere che nessuno di voi mi ha abbandonato e che continuate a seguire questa storia nonostante aggiorni ogni morte di papa. Grazie, per questo, davvero!!

Ora è finalmente arrivata l’estate e con la mente più libera spero che l’ispirazione bussi alla mia testa più spesso.

Siamo arrivati al nono capitolo e non so cosa ne sia venuto fuori! E’ sicuramente più piccolo dello scorso e non so se vi sia piaciuto allo stesso modo. Nello scorso mi avete lasciato addirittura sette recensioni e non immaginate quanto sia stata contenta di leggervi così in tanti !!^^

Nel prossimo capitolo vorrei far compare a Jane un abito da damigella, e per questa occasione ho scelto due foto di due abiti, molto carini. Mi piacerebbe che voi lo sceglieste, però! Per cui, se volete indicherò le foto con le lettere A e B. Se vi va, scrivetemi quello che vi piace di più, indicandomi la lettera ;)

A) http://oi58.tinypic.com/2nhj0xc.jpg                B) http://oi62.tinypic.com/1nxqpg.jpg

Come sempre vorrei ringraziare una per una le persone che appoggiano questa storia. Quindi GRAZIE a : romy2007, marioasi, Viandante_, Helmwige, AkaneYamana 98, Ibelieve93, e infine beautyfulplayer per le bellissime recensioni allo scorso capitolo. Non so cosa farei senza di voi! <3

Ma grazie mille per aver aggiunto la mia storie alle seguite anche a : nike_, la sopracitata beautyfulplayer, Marty_0202, Patita_Duk, hergalaxy, PerfectStranger, alex mason, depiid, e anila83. Bacioni grandi a tutte voi <3

Grazie, per aver aggiunto la mia storia alle preferite ovviamente anche a : sciagala, Me_ Sah, Luceluce, orny81, _book_, vegani, giulia3, Ezia98, dachedas, e CiLzAzRyY. Un bacione anche voi <3

 E a: Rose6 per aver messo Ad occhi chiusi tra le sue ricordate. Un bacio <3

Spero di risentirvi presto. Buone vacanze a tutti ^_^

Novalis

P.S: Ah quasi dimenticavo! Da poco ho creato un mio profilo facebook come Novalis. Se vi va aggiuntemi pure. Mi trovate come Novalis Efp. A me piacerebbe creare anche un gruppo per le mie storie e non solo. Se questa del gruppo vi sembra un’idea carina fatemelo sapere ^^

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Dieci

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

Il cioccolato è la risposta. Che ce ne importa di ciò che è la domanda.
(Anonimo)

“Il bouquet di Rosamunde” era senz’altro uno dei negozi più belli in cui fossi mai stata. Certo il mio preferito rimaneva sempre il negozio di dolciumi del signor Rowling, ma questo era un altro discorso.

Mi trovavo insieme a Barbara e a sua sorella in un negozio di abiti da cerimonia. Era un luogo molto spazioso e accogliente, la cui proprietaria era una simpatica donna anziana dai capelli tinti di rosso. Avevamo deciso di andare molto presto, di conseguenza eravamo le uniche clienti.

Attorno a noi aleggiava un profumo di legno e di miele.

Il pavimento era in parquet e  le pareti erano in legno. Sul soffitto erano appesi due candelabri ricoperti di gocce di cristallo che pendevano. Questi si trovavano frontalmente a una finestra posta sopra la porta d’ingresso, e quando passava un filtro di luce di sole, questo attraversava le gocce creando dei magici fasci colorati sulle pareti.

C’erano, ovviamente, tantissime relle riempite di abiti di ogni tipo e colore.

-Salve signora, sarebbe possibile vedere alcuni abiti da damigella per queste due belle fanciulle?- disse Barbie all’anziana proprietaria che indossava un golfino verde acqua con un cartellino con su scritto “Rosamunde”.

-Certamente mia cara! Sei tu la sposa?

-Sì sono io.- sorrise timida la mia collega.

-Oh, bene! E quale sarà il tema della tua festa?

-Nessuno! Nel senso che…sarà qualcosa di semplice. – rispose timidamente.- Non ho ancora scelto il mio abito ma lo prenderò sicuramente bianco e poi vorrei che nel luogo in cui festeggeremo a predominare siano il rosa confetto e il color crema.

-Oh, benissimo! Volete delle caramelle, per cominciare?- domandò Rosamunde avvicinandoci una coppa di caramelle dalla carta rossa. Ne prendemmo una ciascuna.

-Proporrei allora di vedere degli abiti su queste nuance, non credi?- domandò gentilmente avvicinandosi a dei porta abiti. Ne scelse alcuni, e sollevandoli dai manici delle grucce li depositò su un tavolo di vetro al centro del negozio.

-Questo è il modello “Seraphine”: scollo a cuore, corpetto ricamato con pietre bluastre e gonna a ruota di color crema.

La proprietaria ci sfoggiò quest’ abito.

-E’ veramente bellissimo! Jane? Jessica? Volete provarlo?- ci domandò Barbie.

-Sì, ovvio.- rispose sua sorella.

Jessica era una ragazza di diciotto anni. Aveva i capelli lisci e rossi, il volto pieno di lentiggini ma l’inconfondibile sorriso e gli inconfondibili occhi nocciola di sua sorella.

Io annuii con la testa, sorridendole.

-Bene. Allora signorine, da questa parte.

Rosamunde ci condusse in due camerini separati, chiusi da pesanti tende di velluto verde. Frontalmente a me si trovava un grande specchio, ma contrariamente a quanto succedeva nei camerini degli ipermercati in cui vedevo la mia figura più bassa e tozza, in questo mi vedevo slanciata.

Dopo poco la donna mi diede l’abito appeso ad una gruccia. Lo provai.

La gonna mi arrivava un paio di centimetri sotto il ginocchio e il corpetto mi fasciava la vita, rendendola più stretta di quanto la mia non lo fosse. Rosamunde aveva anche indovinato la mia taglia.

Era carino, ma non credevo fosse l’abito giusto.

-Siete pronte, ragazze?- ci chiese Barbie.

-Io sì.- rispose sua sorella.

-Anch’io.- dissi.

Uscimmo nello stesso momento.

La signora Rosamunde battette le mani emozionata, mentre la mia collega ci guardò storcendo la bocca. Venne verso di noi e ci girò intorno.

-E’ bellissimo, per carità ma…no!- concluse, incrociando le braccia al petto.- Non credo sia l'abito giusto...!

-Bene! Non disperiamoci, ci sono tantissimi abiti da provare.- disse la donna, mantenendo il sorriso.

Effettivamente gli abiti che provammo dopo furono davvero tanti. Dal modello “Marge” al modello “Sabrine” , dal modello “Grace Kelly” al modello “Marylin”. Il mio preferito fino a quel momento divenne, però, il modello “Audrey”.

-E questo?- domandò con un tono di voce diverso, Barbara.

-Quale? Oh …quello! Me lo ricordo bene…è uno dei miei preferiti. Come ho fatto a non pensarci? Sapete si chiama anche come me. Signorine vi presento il modello “ Rosamunde”.

Rosamunde tolse delicatamente il cellofan dal vestito che le porse la mia amica.

Il modello Rosamunde era davvero l’abito più bello che avessi visto fino a quel modello. Era raffinato, semplice, elegante e di una bellezza sconvolgente.

Io e Jessica ci guardammo estasiate e lo provammo subito.

Era di un rosa antico, smanicato. La gonna era ampia al punto giusto ,a pieghe e arrivava cinque centimetri sopra le ginocchia. Il corpetto era fatto di un tessuto leggermente brillantato e la vita era fasciata fino all’inizio dei fianchi con delle deliziose decorazioni floreali. Dire che era bello era dire poco. Mi sentivo anche…bella. O almeno meglio delle altre volte.

Quando Barbie ci vide rimase a bocca aperta per almeno un minuto. Anche sua sorella era magnifica e la sua figura minuta veniva risaltata moltissimo.

-Sì,sì, finalmente! E’ divino…è quello giusto!- strillò dalla gioia Barbara. Sembrava quasi commossa. Figurarsi quando avrebbe provato il suo abito da sposa! Sicuramente sarebbe scoppiata in lacrime alla vista di quello giusto.

Rosemunde sorrise sodisfatta battendo di nuovo le mani.

-Siete superbe, tesorucce.- disse ancora la mia collega.

-Per completare l’outfit consiglierei allora di abbinare delle decolleté di vernice, color rosa antico, punta tonda, tacco sei e platò due centimetri. Un paio di orecchini e un paio di bracciali e sarete al top.- suggerì l’anziana proprietaria, girando attorno a noi.

-Lei dovrebbe lavorare all’Edinburgh Fashion Magazine, lo sa?- ridacchiò Barbie.

***

-No, ragazze, non scherzo! Sarete meravigliose.- disse Barbara, prendendo con la forchetta delle foglie di insalata.

Era mezzogiorno e dopo un giro in un paio negozio di scarpe e accessori avevamo deciso di andare a pranzo in un ristorante all’aperto, per approfittare del bel tempo.

-Io mi sento come una principessa dentro quel vestito, è davvero stupendo. E poi le scarpe…oddio, oddio, oddio.- rispose entusiasta Jessica.

-Concordo in pieno.- dissi io, bevendo della cola.

-Non vedo l’ora di scegliere l’abito per me.- aggiunse sognante la mia collega, bevendo poi dell’acqua.

-Hai già un modello preciso, in mente?- le chiesi, tagliando la mia fetta di pollo.

- Non so…sono decisa tra un abito a sirena e tra uno della collezione Ian Stuart con un taglio impero.

-Taglio a sirena a vita.- le disse Jessica, mangiando la sua crepe salata.

-Io direi più quello impero, ma…secondo me, alla fine devi vedere come ti sono addosso.- dissi la mia.

-Sì infatti…!- ci sorrise.

Era così bella l’aurea che avevano le donne prima di sposarsi. Gli occhi luccicanti, il volto luminoso, il sorriso smagliante. Ah, chissà quando sarebbe successo a me! Fin da piccola mi ero immaginata con un abito bianco e semplice e con accanto a me un uomo dal volto coperto da una grande X, perché non sapevo chi sarebbe stato il mio futuro sposo. Ora avevo ventisette anni e continuavo a vedere una grande X su quel volto. Certo un po’ di cose, sentimentalmente parlando, rispetto a quando ero piccola erano cambiate, ma…c’era troppa confusione ancora.

-Cos’è quello sguardo?- domandò sospettosa Barbie.

-No nulla.- ridacchiai mettendo in bocca l’ultimo boccone.

-Sì sì certo, vuoi prendere in giro una giornalista? Non ci provare! .- mi puntò il dito contro sorridendomi.

-No davvero, non stavo pensando a nulla.

-Mhm…non insisto! Comunque arriverà anche per te il grande giorno, fidati.

Le sorrisi timida. Aveva capito tutto!

-Ti piace un ragazzo Jane?- mi domandò Jessica.

E ora questa domanda?

-Sì…mi piace un ragazzo.- le risposi. Non aveva senso mentire.

-Aha, allora confessi che ti piace Terence Ashling.- mi ripuntò il dito contro Barbara.

-Chi dice che sia Terence?- feci la vaga. Temevo che espormi troppo mi avrebbe resa partecipe di troppi pettegolezzi nell’ufficio.

-No…non mi dire che è il modello?- spalancò la bocca facendo un’espressione di puro stupore.

Certo che le questioni lavorative passavano in secondo piano, ma i pettegolezzi di Beth Smith no.

-No…

-E allora è Terence, per forza…a meno che tu stia uscendo con qualcuno senza dire niente a nessuno.

-Secondo me è questo Terence, invece! Le brillavano gli occhi quando hai fatto il suo nome.- disse Jessica, bevendo poi dalla cannuccia il suo frappè.

Sentite la cara sorellina! Mi aveva proprio capito!

-Sorellina.- le due Richardson si guardarono intensamente.- hai pensato di seguire le mie orme come giornalista?

La rossa ridacchiò.

-Chissà…

-Ma allora ha ragione sì o no?- chiese la mia collega, ora rivolta a me.

La guardai negli occhi. Non si sarebbe arresa.

-Te lo dico, solo se mi prometti che non lo dirai agli altri…vorrei che la cosa rimanesse riservata.- scesi a patti.

-Moi? – rispose in francese.- Dirlo a qualcuno? Certamente no! Dimmi cara.

-Terence, mi piace Terence.- Ecco fatto!

-Ha! Lo sapevo.- squittì ridendo.- rimarrà tra noi, acqua in bocca.- si fece una croce immaginaria sulla labbra.

Speravo che fosse sincera.

-E tu Jessica?- chiesi ora io. Occhio per occhio, dente per dente, no?

-Ovvio! Ho diciotto anni e a diciotto anni ti deve per forza piacere qualcuno.- disse sfacciata finendo il suo frullato.

-Ah sì?- incrociò le braccia al petto sua sorella.- Dobbiamo discuterne, sì…dobbiamo proprio. Non dirmi che è James il brufoloso?

-Ehi ora ha la pelle perfetta. E’ più bello di Logan Lerman.- fece indignata la sorella, facendo la linguaccia.

-Allora è lui.- disse sconsolata Barbara.

Ah, l’adolescenza!

***

 -Pizza margherita, vero?- urlò Abbie dal piano di sotto.

-Sì Abbie.- le urlai di rimando.

Mi affrettai a concludere una parte del nuovo articolo che stavo scrivendo e a chiudere delle mail da parte del mio capo, sul pc. Erano le otto di sera e avevo una fame da lupi.

Mi scrocchiai le dita delle mani e mi alzai in piedi, per poi scendere le scale per il piano di sotto.

-Ordinato?- chiesi alla mia amica che stava mettendo nel microonde un pacco di pop corn.

-Yes, baby! Tu puoi mettere una bevanda nel freezer? Così quando arriva la cena beviamo qualcosa di fresco.

-Certo.- pantofolai verso la credenza e presi una bottiglia di cola e una di acqua.

-Hai scelto il film da vedere?- mi domandò Abbie spostandosi in salotto.

-Che ne pensi di “Trent’anni in un secondo”?- proposi spegnendo la luce della cucina e raggiungendo la mia amica.

-Ottima idea. Ci vuole una bella commedia scaccia pensieri. – sorrise.- Beh allora tutto a posto con la tua collega stamattina?

-Assolutamente! Ti ho fatto vedere l’abito da damigella, no? Abbiamo pranzato insieme e prima di portarmi qui, ci ha offerti un gelato. No guarda Abbie, ho scoperto una persona molto dolce sotto le vesti della collega dallo stile etnico.

-Mi fa piacere baby. Secondo me la cosa più bella, dopo fare il lavoro dei propri sogni, è lavorare con persone dolci che ti capiscono. Lavorare in un clima di serenità è la miglior cosa.- sospirò.

-Giusto, sono d’accordo! A proposito, hai già fatto vedere a Sandra le foto scattate a casa di Terence?

-Non ancora. Questa settimana era fuori per un viaggio.- fece una smorfia.

-Sono sicura che le piaceranno moltissimo. Non conosco una fotografa migliore di te.- le feci l’occhiolino acciambellandomi sul divano.

Sorrise mostrandomi i sui denti bianchissimi.

-Secondo te, cosa potrei farmi ai capelli?- cambiò discorso, toccandosi le punte dei capelli corti.- me li vedo così…spenti.- arricciò il naso.

-Mhm non saprei…colpi di sole?- proposi guardandola.

-Sì…non sarebbe una cattiva idea. Avevo pensato anche di tagliarli e di farmi una specie di frangia ma laterale, e bella folta.

-Secondo me staresti bene. Hai il viso piccolo e magro, per cui…!

-Sì…ci penserò.- disse ora accendendo la tv.

-Uff non c’è mai niente di interessante a questa televisione.- iniziò a fare zapping.

-E con quel Christopher?- domandò ora, mantenendo lo sguardo fisso sulla tv.

-Ci vediamo domani. Andiamo al cinema a vedere “Io ti salverò” con Gregory Peck e Ingrid Bergman.- sospirai.

-Wow, forte! Si vede che ci tieni tanto ad andare.- mi prese in giro, guardandomi per un attimo.

-Sì certo, non vedo l’ora guarda.- ironizzai.

-Ma devi andarci per forza?

-Per forza no, ma ti ho detto che mi espose chiaramente cosa ne pensava di me. Mi disse che anche diventare semplicemente mio amico gli sarebbe andato bene, e non mi sembrava carino rifiutare il suo appuntamento.

-Però ti ha anche detto che amava le sfide complicate, quando gli hai detto che ti piace un ragazzo.- osservò puntando lo sguardo su di me.

-Perché probabilmente spera in qualcosa di più dell’amicizia, poi non so…- risposi imbarazzata guardando la tv.

-Mhm…ovvio che spera in qualcosa più dell’amicizia! Certo che però la vita è proprio strana. Un modello bellissimo si è preso una cotta per te, e per te invece uscire con lui è quasi un peso.- fece presente annuendo tra sé e sé.

-Non è colpa di nessuno se a me piace Terence e non Christopher. – mi legai meglio la coda di cavallo.

-Terence ha fascino, Christopher no. Terence è il bel tenebroso che nasconde tanti segreti, è misterioso e quella cicatrice sopra le labbra lo rende proprio sexi. Ti capisco.- mi disse.

-Ehi non è che ora piace a te?- feci una smorfia.

-Ehi ma che dici?! Io amo Thomas più di ogni altra cosa al mondo.- mi fece la linguaccia.- ma è bello vedere che sei gelosa.

-Io? Gelosa? Io e la gelosia siamo come due rette parallele.- rivolsi lo sguardo verso un programma di cucina sui cui Abbie aveva lasciato.

-Se se, e io sono Jessica Rabbit!

Sorrisi. Se ne usciva sempre con frasi che iniziavano con “ e io sono…” quando capiva che le mentivo.

-Scusami per prima, non volevo insinuare niente…e sì sono molto gelosa.- mi morsi le labbra scusandomi.

-No problem baby, no problem.- mi fece l’occhiolino.

Dopo qualche secondo il citofono di casa suonò. Erano arrivate le pizze. Fortunatamente la pizzeria più vicina distava  non molti metri da casa nostra.

Presi una tovaglia dalla cucina e la distesi sul tavolino di fronte al divano. Poi mi avvicinai al lettore dvd per inserire il film che avevamo deciso di vedere.

Abbie giunse raggiante con due scatole di pizza che mise subito sul tavolo.

-Bene. Prendi tu le bibite e i popo corn?- mi domandò.

Annuii e presi ciò che mi aveva chiesto. Quando feci per tornare, però, il telefonino della mia amica prese a squillare. Sentii che rispose e dal suo “Ehi ciao amore mio” capii che si trattava di Tom.

-Come? No! Davvero? Fantastico…sì certo…ovviamente…non vedo l’ora…ti amo tanto. Un bacio, a domani amore mio.

-Non è il caso che chieda chi era.- osservai posando la cola e dei bicchieri di plastica vicino alle pizze.

-Era Thomas! Mi ha detto che mercoledì si terrà una sagra qui ad Edimburgo. Verranno anche gli altri, Terence compreso, quindi ci andremo.

-Cosa? Anche io?- mi risedetti sul divano.

-Certo, baby! E’ un occasione per svagarsi un po’ e per liberare la mente, e poi ci sarà Terence…non vorrai perderti l’opportunità di rivederlo, no?- aprii la sua scatola.

-No certo che no, il fatto è che lavoriamo il mercoledì e anche il giorno dopo…- obiettai.

-E beh? Andiamo verso le otto e rientriamo entro la mezzanotte, promesso.- mi guardò con un luccichio negli occhi.

-E va bene.- mi arresi,  aprendo la mia margherita. In fondo non mi dispiaceva rivedere Terence anche se l’avevo visto solo il giorno prima al pub.

-E che sagra è?- domandai.

-Oh non te l’ho detto? Credo che ti piacerà moltissimo! E’ la sagra…- fece un “oohhh” per aumentare la suspense,- della cioccolata!

-No, non ci credo! Finalmente qualcosa che non abbia a che fare con birra e liquori.- esultai. Terence e cioccolata tutti in una volta, cosa avrei potuto chiedere di più? Ah sì di non avere Mary Anne tra le scatole.

***

La domenica arrivò più in fretta di quanto sperassi. E con essa anche la sera e l’appuntamento con Wilson. Dopo la doccia mi precipitai in stanza per vestirmi. Avevo deciso di scegliere un look semplice, senza dare troppo nell’occhio…non volevo che si facesse strane idee. Optai per un pantalone a palazzo nero, una camicia di lino bianco e degli scarponcini con i lacci del medesimo colore dei pantaloni. Indossai una collana fatta di anelli argentati che si intrecciavano tra di loro. Infine tornai in bagno per truccarmi e aggiustarmi i capelli.

Erano le otto meno dieci quando fui pronta!

-Il modello passa fra dieci minuti?- mi chiese Abbie, intenta a catalogare delle foto per il suo giornale.

-Sì, così mi ha detto. Gli ho dato l’indirizzo, speriamo non sbagli.

Abbie si voltò a guardarmi.

-Mi sa che la sua cotta triplicherà guardandoti.- mi disse con un sorriso, avvicinandosi a me. I suoi occhi grigi sembravano più grandi da dietro le lenti degli occhiali da vista.

-Sì certo. Che ho di particolare? Un look sobrio, mi sembra.- le feci presente.

-Ti ho già detto che saresti bene anche con un sacco di patate, quindi fai silenzio.- mi fece la linguaccia.

-Ti voglio troppo bene, lo sai vero?- le chiesi imbarazzata.

-Lo so, lo so. Ma d’altronde come non volermi bene?- si pavoneggiò facendomi ridere.

Poco dopo il citofono di casa suonò. Controllai l’orologio da polso. Era in anticipo, miseriaccia!

-Bene! - mi disse la mia amica porgendomi la giacca che mi ero preparata.- divertiti e stai tranquilla. Non credo che sia il caso che mi travesta di nuovo tipo diva di Hollywood, no?…Per cui andrà tutto bene.- mi strizzò l’occhio.

-No infatti non mi sembra il caso.- risi.- speriamo vada tutto bene.

-Tranquilla. Io intanto sbircio la sua macchina. Come diciamo noi al giornale “Dimmi che auto hai e ti dirò chi sei”.- la vidi avvicinarsi alla finestra.

Le sorrisi e aprii la porta di casa.

Appoggiato ad una macchina sportiva nera, trovai Christopher.

Aveva lo sguardo puntato sulle scarpe, e dovetti schiarirmi la voce per far sì che sollevasse lo sguardo su di me.

-Jane! Wow…sei bellissima.- mormorò dandomi un bacio sulla guancia.

Ecco, ora iniziavo a sentirmi a disagio!

Mi aprì lo sportello anteriore della sua auto (ad occhio e croce avrei detto che fosse una Peugeot) . Mi sedetti e misi la cintura di sicurezza. Una volta raggiunto il volante, Wilson mi lanciò un sorriso. Era davvero un ragazzo bellissimo.

-Come stai?- mi domandò allacciando la sua cintura.

-Bene, grazie. Tu?

-Stavo bene ma ora che ti ho visto sto anche meglio.- mi fece l’occhiolino. Poco dopo partì.

Mi schiarii la voce un tantino in imbarazzo.

-A che cinema andremo? – cambiai subito argomento.

-Al TriWizard, spero ti piaccia! E’ un cinema davvero favoloso. Grande, pulito e molto luminoso.- lo osservai mentre parlava. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé e il suo tono di voce era sicuro. –E poi il film che vedremo noi è uno dei più belli, secondo me. Hitchcock era proprio un mito.- concluse.

-Lo puoi dire forte.- gli risposi io finalmente affrontando un argomento che non mi metteva in imbarazzo. – inoltre il cast è eccezionale. Peck e la Bergman insieme, non c’è nulla di meglio.- mi voltai a guardare il finestrino e il paesaggio serale scorrermi davanti.

-Sì, concordo assolutamente. Ehi, comunque è bello vedere che c’è qualcuno che ama il cinema quanto me.- osservò.

-Già! In effetti ci sono persone che non prestano attenzione ai dettagli, ma vedono un film tanto per.- gli risposi sempre con lo sguardo fisso aldilà del finestrino.

Mi volsi nella sua direzione e vidi che aveva le labbra curvate in un sorriso.

-Accendo un po’ la radio?- mi chiese ad un semaforo in tono gentile.

-Certo!

Le note di Viva la vida dei Coldplay iniziarono a ballare nell’abitacolo dell’auto poco dopo.

-Mi piace troppo questa canzone.- mi disse, iniziando a ondeggiare il capo a ritmo.

-E’ bella, sì, è proprio bella.- iniziai a canticchiare anch’io.

In fondo non stava andando tanto male.

Quando arrivammo davanti al cinema, scendemmo dalla macchina. Arrivati alla nostra sala, prendemmo i nostri posti. Il modello aveva comprato uno scatolo di popcorn, ricevendo dalla cassiera delle occhiate che lasciavano poco spazio all’immaginazione. Non aveva dato neanche un'occhiata ai soldi che le aveva porso Wilson, mettendoli velocemente nella cassa.

-Ma è così ovunque tu vada? Richieste di foto, autografi, occhiate maliziose e roba simile?- posi la domanda con sincerità.

-Sì ovunque vada.- mi guardò e mi sorrise.- Ma a me va più che bene così. Alla fine so che lavoro faccio e se non fossi consapevole del mio aspetto fisico non potrei fare ciò che faccio. Penso sia normale che piaccia a molte ragazze, ma lo dico con tutta l’umiltà possibile, davvero.- continuò serio.

Beh in effetti se una persona faceva di mestiere il modello era consapevole della sua bellezza. In quel momento pensai che io e Christopher fossimo proprio agli antipodi. Lui il bello e consapevole e io la ragazza con l’autostima sotto le scarpe. Che bella accoppiata!

-Perché hai scelto di fare la giornalista?- mi domandò poi, mentre sullo schermo continuavano a passare delle pubblicità. Sul biglietto era scritto, infatti, che il film sarebbe iniziato solo dopo venti minuti di pubblicità. Che barba!

-Perché amo scrivere, mi piace parlare della gente, guardarmi intorno, e tenere le persone aggiornate sulla quotidianità. Nel mio caso tenerle aggiornate sulle mode, e sulle varie griffe.

-Ammirevole!- mi fece l’occhiolino.

-No! Ma lei è Christopher Wilson della pubblicità sulla camicia Burberry?- domandò poi subito dopo una ragazza che stava per sedersi vicino a me.

-Sì sono io.- le sorrise il modello.

-Oddio, che meraviglia! Mi farebbe un autografo? Potrei fare una foto con lei?

Guardai Wilson con le sopracciglia all’insù. Wow, quanta fama! Figurarsi se fosse stato Johnny Depp cosa sarebbe successo! Okay che Johnny non sarebbe mai uscito con me, ma vabbè dettagli!

-Ovviamente signorina, però magari la foto la facciamo quando finisce il film, altrimenti sa…- girò la testa e guardò tutta la gente seduta alle nostre spalle e fece un sorriso timido. Le voleva far capire che poi troppa gente si sarebbe avvicinata.

-Oh sì certo…- rispose la ragazza con le guance imporporate.

Finalmente dopo milioni di grazie e almeno altre sette ragazze che lo invasero di flash di macchine fotografiche sporgendosi dai loro posti, il film partì.

***

Quando le luci si riaccesero, mi resi conto di quanto volessi scappare da quella sala. La tipa, seduta a me, che aveva adocchiato il modello, non aveva fatto altro che sporgere il collo come una giraffa per poterlo vedere meglio. E poi, per la mia immensa gioia, non aveva fatto altro che tenere il cellulare acceso e fargli foto “a sgamo”. Certo, proprio a sgamo. Ogni tre secondi si vedeva il flash illuminare la poltrona di fronte. Avevo voglia di prenderla a sberle, perché mi aveva fatto perdere tutte le battute di Gregory Peck, ma avevo stretto i denti e fatto finta di nulla.

All’aria di fuori accelerai il passo, superando Christopher. Non avevo proprio voglia di incombere in altre pazze scatenate.

-Jane!- mi raggiunse.

-Scusami, non volevo…purtroppo ci sono anche fan…un po’…

-Un po’ malate mentali?- continuai la frase per lui, continuando a camminare.

-Ehm…sì! E’ il mio lavoro, dovresti saperlo e mi dispiaceva non accontentare quella ragazza.- mi sorrise facendo spallucce.

-Certo, non sto dicendo nulla infatti! E non ce l’ho con te, ma con quella pazza! Il fatto è che  non ho seguito un minuto, e sottolineo un minuto, del film.- sbuffai un po’ brusca.

Capivo che era il suo mestiere ma secondo me si era troppo pavoneggiato con la tipa. Non che mi importasse più di tanto, solo che se ero stata invitata per vedere un film, avrei voluto vederlo.

-Mi spiace davvero, ti prometto che la prossima volta me ne infischio e dedico le mie attenzioni solo a te.

Ma cosa aveva capito? Che volevo le sue attenzioni su di me? “Sei fuori pista, caro mio”.

-Non era questo ciò che intendevo Christopher, ma vabbè…lasciamo perdere!- controllai il mio orologio notando che erano le dieci e un quarto.

-Vuoi mangiare qualcosa?- propose dopo che guardai l’orario.

-Oh no, ti ringrazio ma mi sento un po’ stanca! Preferirei tornare a casa.- dissi cercando di usare un tono dolce.

-Ah…va bene, se proprio non te la senti!- si mise le mani in tasca e arrivammo alla sua auto.

Non ero arrabbiata o altro solo che, Wilson aveva insistito per invitarmi al cinema sebbene io gli avessi chiaramente detto che mi piaceva un altro ragazzo. E una volta che avevo accettato, che faceva? Si comportava come un divo senza dire niente a quell’oca che faceva foto in continuazione. Mi ero persa uno dei più bei capolavori cinematografici, per la barba di Merlino!

Quando arrivammo di fronte a casa mia, gli tesi la mano per salutarlo. Me la strinse sorridendo ma poi mi tirò verso di lui dandomi un bacio sulla guancia. Oddio, ma cosa…?

-Mi spiace tanto per stasera, davvero! Posso sperare che ci vedremo ancora?- si morse le labbra.

Prima sembrava così sicuro di sé dicendo “la prossima volta che ci vedremo”  e ora faceva l’insicuro?

-Poi si vedrà.- gli risposi, uscendo dalla sua Peugeot.

Mi salutò con la mano e poi si allontanò.

***

 

La settimana all’Edinburgh Fashion Magazine si aprì con un piccola discussione tra una modella e un impiegato del secondo piano. A quando raccontavano i rumors nei corridoi, un impiegato del secondo piano noto come James Black aveva invitato una modella Louboutin a prendere un caffè porgendole persino un mazzo di rose rosse. La tipa gli aveva riso in faccia e buttato le rose (con tanto di spine) addosso. Vincent non faceva altro che ridere per l’accaduto mentre io e la restante parte dei miei colleghi sospiravamo tristi per il nostro collega. Poverino, chissà che umiliazione!

-Quella vipera! Si credono chissà chi, invece sono solo dei manici di scopa che camminano!- sbuffò Freddie.

-Bravo, mi hai tolto le parole di bocca! Ma poi James…cioè signori, se non è bello lui! Come ha osato quella strega gettargli persino le rose addosso.- continuò Barbie.

-Condivido, ragazzi, condivido! Vi posso assicurare che i modelli amano pavoneggiarsi, eccome se lo amano.- dissi io più tra me e me.

-E tu come fai a saperlo?- domandò Vincent sporgendosi dalla sua scrivania.

-Oh beh…lo so e basta! E’ un fatto risaputo che i modelli se la tirano.- balbettai. Altro che tra me e me …anche le mura avevano le orecchie nel mio ufficio.

-Sì certo…guarda che Beth Smith mi ha riferito del tuo ultimo pranzo con un certo Christopher Wilson, modello Calvin Klein.- mi soprese Vincent.

Certo che quella Smith meritava proprio una bella lezione!

Vidi gli occhi di Freddie spalancati e la faccia di Steve incuriosita.

-Ragazzo un chilo di fatti tuoi, no?- venne in mio aiuto Barbara.

-Oh cosa c’entri ora tu Richardson? Sei gelosa che nessun modello ti fila?- la stuzzicò Price.

-Cosa?!- urlò la mia collega, divenuta paonazza.- Come osi brutto sciocco! Vorrei ricordarti che mi sposerà fra meno di tre mesi, troglodita che non sei altro.

Vincent non le rispose ma la guardò male.

-Stop ragazzi, stop!- mi intromisi io alzandomi.- Sentite so che è d’obbligo per noi del mestiere essere molto curiosi ma penso che chi non se la senta debba mantenere il suo livello di privacy, ok? Non sono affari che ti riguardano, Price, ma non c’è nulla tra me e il modello e vorrei che non fossero fatte più insinuazioni né a me né a Barbara, d’accordo?- mi avvicinai alla sua scrivania e lo guardai fisso negli occhi. Mi sentivo abbastanza agguerrita.

-Come desideri, Ryan, come desideri.- ringhiò prima di tornare al lavoro.

Brutto antipatico.

Dopo quello scontro, la giornata proseguì tranquilla così come il martedì successivo.

Mercoledì, però, durante una pausa caffè vidi Freddie lanciarmi svariate occhiate. Cosa gli era successo?

-Ehi Jane, possiamo parlare?- mi chiese.

-Ovviamente. Dimmi tutto!- gli risposi, girando il mio caffè macchiato.

-Senti…non voglio intromettermi o altro e penso che ciò che dicesti l’altra volta a Price sia giusto perché…beh perché ognuno ha il diritto alla sua privacy, ma…ma davvero non c’è nulla tra te e quel tipo?- chiese imbarazzato il mio ex. Era nervoso e lo capii da come si aggiustava il nodo della sua cravatta verde.

-Non c’è assolutamente nulla!- gli sorrisi dolcemente. In fondo gli volevo ancora molto bene, e al contrario di Vincent lui meritava di far parte della mia vita.

-Capisco! No sai…te l’ho chiesto perché…perché vorrei sapere come vanno le cose sentimentalmente. Voglio che tu sia felice, colombella, lo capisci. Purtroppo hai avuto la sfortuna di incombere in uno come me, ma questo non significa che le cose non possano migliorare.- mi accarezzò una spalla.

Lo guardai nei suoi profondi occhi marroni.

-Ma quale sfortuna! Io ti voglio molto bene, Freddie e sono felice, te lo posso garantire. Incontrarti è stata una delle cose più belle che potessero succedermi e per me sei una persona speciale. Comunque, che rimanga tra di noi, anche se non mi interessa il modello non è detto che non mi piaccia qualcun altro.- sussurrai l’ultima frase a bassa voce.

Avevo fatto promettere a Barbara di non parlare con nessuno del mio interesse verso Terence, ma sapevo che rivelarlo anche al mio ex non avrebbe cambiato le cose.

-Davvero! Allora colombella devi raccontarmi tutto.

Gli sorrisi e iniziai a parlargli del ragazzo per cui avevo perso la testa.

-Magnifico! Sono proprio contento. Avere una cotta per qualcuno è sempre una buona cosa…ti senti leggero e euforico. Vedrai riuscirai a conquistarlo. Anche se il ragazzo è cieco non vedo come le cose non possano funzionare con una creatura speciale come te!- mi fece l’occhiolino iniziando a dirigersi verso il nostro ufficio.

-Ehi Fred…- lo richiamai. Si voltò a guardarmi.- e tu con…con quel ragazzo…Edward giusto?- lo fissai dritto negli occhi timidamente.

-Va tutto meravigliosamente bene.- mi sorrise prima di sparire in stanza.

Beh almeno a lui le faccende sentimentali, andavano meravigliosamente bene!

***

-Baby mi presti quella collana con le perle rosse?- entrò Abbie in camera.

-Non c’è neanche bisogno di chiedermelo. Dovrebbe essere nel mio porta gioie. Prendi tutto ciò che vuoi.- le sorrisi allacciando il mio orologio.

-Allora baby mi assicuri che per la mezzanotte siamo a casa? Ho potuto prendermi solo un’ora di permesso e quindi domani entro alle nove.- le chiesi guardandomi allo specchio e dando un ulteriore ritocco al mio rossetto rosso.

-Sì, quante volte devo dirtelo?! E’ una sagra di paese non un concerto dei Metallica, non finirà troppo tardi tranquilla.- mi si avvicinò con la collana di perle rosse.- me la agganceresti?

Feci come mi aveva chiesto.

-Bello quel vestito.- la feci fare un giro su se stessa mentre la sua gonna a ruota si apriva.

-Ti piace? Me l’ha regalato Tom. Sa che mi piacciono le stampe floreali.

-E’ stupendo. E poi ti sta benissimo.

Le feci l’occhiolino e poi insieme ci avviammo verso l’uscita di casa.

Entrate in auto ci allacciamo le cinture di sicurezza.

-Comunque bello il tuo cardigan ricamato! Sta benissimo con il tuo vestito. Se Terence potesse vederti si sarebbe già innamorato di te.- mi disse poi, prima di partire.

Mi voltai a guardarla. Era così dolce Abbie. Una ragazza così bella fuori, ma così tanto bella dentro.

-Sei proprio un angelo amica mia! Non so cosa farei senza di te. Non sono molto fiduciosa che un ragazzo bello come lui mi avrebbe guardata se avesse potuto vedere, ma le tue parole sono state dolcissime.

Mi sorrise e poi mise in moto.

-Ma dove si terrà questa sagra?- le domandai.

-In Castle Terrace. Sai dove ogni sabato si tiene L’Edinburgh Farmers’ Market.

 -Intendi il mercato?- ero sorpresa.

-Sì! Solo che al posto dei locali dove ogni sabato si vende frutta, verdura eccetera, ci saranno locali adibiti al consumo di cioccolata…suppongo.- si fermò ad un semaforo.

-Oh capisco! Beh approvo la scelta. Adoro la Old Town.

-Sì, concordo. E’ piena di negozietti deliziosi.- quando il semaforo tornò verde ripartì.- Ah, comunque credo ci saranno anche uomini che suoneranno la cornamusa vestiti con il Kilt.- ridacchiò.

-In perfetto stile scozzese, non c’è che dire!- feci una smorfia, ridacchiando subito dopo.

Dopo una ventina di minuti, Abbie parcheggiò di fronte ad un grande cancello di ferro. Eravamo state fortunate a trovare un posto così vicino, perché si intravedevano tante automobili e dalle sbarre del cancello intravidi un folle via vai di persone.

-E gli altri?- chiesi.

-Mi ha detto Tom che ci avrebbero aspettati davanti alla casa di Hansel e Gretel.

-La casa di chi?- corrugai la fronte.

-La casa di Hansel e Gretel. Ovviamente non c’è nessuna strega ma è una cassetta di cioccolata che è stata allestita dove il sabato si mette la signora Trelawney, sai quella che vende perline e stoffe.

-Ah…- ero ancora un tantino sorpresa. A causa del lavoro non andavo quasi mai al mercato e di conseguenza non sapevo neanche chi fosse questa signora Trelawney.

Quando scendemmo dall’auto, notai appeso sul grande cancello d’entrata un grande cartello con su scritto a caratteri cubitali : “Save the Earth. It’s the only planet with chocolate”. (Salvate la Terra. E’ l’unico pianeta con il cioccolato).

Risi facendo ridere anche la mia amica, che rimase ad osservare quella frase per qualche minuto.

Varcato il cancello, per poco non strillai dalla gioia quando alle mie orecchie giunsero le note della colonna sonora del magnifico film “L’ultimo dei Mohicani”. Era una delle mie musiche preferite.

-Baby guarda là.- la mia amica additò una piccola banda di uomini che con le cornamuse stavano suonando quelle meravigliose note.

Era tutto magico. Bancarelle di braccialetti, di caramelle, di conchiglie di cioccolato, di praline al cacao, di cioccolatini e uomini che mostravano le loro creazioni di cioccolata. Rimasi stupita nel vedere due bambini con i pattini costruiti con del cioccolato. E c'era persino un uomo che versava cioccolata calda in dei bicchieri di carta.

Dopo pochi minuti giungemmo davanti alla famosa casa di Hansel e Gretel. Me ne accorsi subito perché erano state costruiti i personaggi di questa vecchia fiaba, con della cioccolata.

E poi finalmente vidi Terence. Stava parlando con Russell.  Era vestito in maniera molto simile a quando lo incontrai la prima volta: Jeans strappati sulle ginocchia, giacca di pelle nera, una t-shirt di una band e i Ray-Ban a goccia sugli occhi.

-Ciao bella gente!- salutò euforica la mia amica.

Tutti si voltarono a guardarci. Io sorrisi e salutai tutti con un gesto della mano. Ovviamente Abbie si tuffò sulle labbra del suo fidanzato prima di salutare gli altri.

-Ciao bellezze.- ci salutò Russell.

Gli sorridemmo.

-Avete visto che splendore?! Dio, non ero mai stata in una sagra del cioccolato. E so che si balla anche! Hanno allestito un pista da ballo sotto un tendone qualche metro più avanti.- ci rivelò Sophie. I capelli rossi raccolti in una treccia a spina di pesce.

-Poi ci andiamo, eh?- le rivolse uno sguardo William.

Dopo poco tutti iniziarono a parlottare tra di loro di football e argomenti simili. Ne approfittai per avvicinarmi a Terence.

-Ehilà.- lo salutai.

-Ciao Jane.- mi sorrise.- E’ bello qui, vero? Cioè…non posso vedere nulla, ma percepisco tanta bellezza attorno a me.

Arrossii. Era come se avesse rivolto questa frase anche a me. “Ma cosa vai a pensare, stupida  Jane”.

-Sì è tutto splendido. E poi io amo la musica che hanno messo. L’ultimo dei Mohicani è uno dei miei film preferiti.- dissi.

-Ragazzi, che dite iniziamo a passeggiare?C’è un negozietto dove vendono caramelle e cioccolatini ripieni.- si leccò le labbra William.

Notai Mary Anne, che fino a quel momento era stata in disparte a guardare il suo smartphone brillantato, fare una smorfia di disgusto. Evidentemente per una con il suo fisico, i dolci dovevano essere come il veleno per i topi.

Ci incamminammo. Io vicina a Terence e gli altri dietro di noi. Non ci tenevamo per mano, lui si stava aiutando con il suo James.

-Jane! Jane cara, come stai?- si avvicinò poco dopo Mary Anne.

Da quando ero “Jane cara” per lei? La guardai sospettosa.

-Bene, ti ringrazio. Tu?

-Stanchissima. Non indovineresti mai quante paia di scarpe io abbia indossato oggi. – disse con la sua voce da gatta morta. Certo doveva essere proprio stanca morta. Che sacrificio indossare le più lussuose scarpe del mondo, poverina!

Poco dopo si avvicinò a Terence.

-Bellissimo posso aiutarti?- gli chiese.

“Bellissimo, posso aiutarti?”- ripetetti nella mia testa. Avrei potuto vomitare.

-No Mary Anne. Grazie ma mi fido del mio James.- le rispose freddamente. Sentivo che se fosse stato più sfacciato avrebbe continuato con un “molto più di quanto mi fidi di te”.

A stento riuscii a mordermi le labbra per non scoppiare a riderle in faccia.

-Ah ok.- rispose con finta nonchalance.

Riprendemmo il cammino in silenzio. Mi guardai attorno rimanendo sempre più estasiata alla vista delle fontane di cioccolata e della bancarelle di dolciumi. Era come tornare bambini ed essere entrati nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.

-No! Dobbiamo assolutamente assaggiare quei biscotti e metterli sotto la fontanella di cioccolato.- disse allegramente Sophie tirando per la manica William.

Vidi tutti gli altri andare verso quel locale.

-Andiamo?- mi propose Terence dandomi la sua mano. La presi e sentii il mio cuore ballare la conga nel petto, dalla gioia. Jane 1- Mary Anne 0.

Giungemmo di fronte quel nido di delizie. Pochi minuti dopo, diedi a Terence un biscotto di pastafrolla bagnato di cioccolato, avvolto in un fazzoletto. Ne presi uno anche per me.

-Oddio Jane cara, ma come fai a mangiare quella roba? Lavori in un giornale di moda, non dovresti permetterti certi lussi.- disse l’oca giuliva sempre con la faccia schifata di prima.

-Mary Anne, siamo in una sagra del cioccolato se non te ne fossi accorta, e di certo non sono venuta solo per vedere.- le risposi a tono, cercando di mantenere un tono gentile. Ci mancava solo che diventasse mia nemica.

In risposta mi fece un mezzo sorriso falso. Sentii Terence ridere.

Gli occhi di Mary Anne poi si spostarono sulle mani mie e di Terence. Vidi che mi lanciò uno sguardo di fuoco. Che barba questa tipa, mamma mia!

Sfortunatamente il tempo passò più veloce del previsto. Dopo i biscotti bagnati di cioccolata tutti quanti (tranne la modella oca) assaggiamo piccole leccornie cioccolatose.

-Beh che ne dite, ci facciamo un paio di balli?- domandò verso le dieci e mezza Russel, mentre cercava di cingere le spalle di Mary Anne.

-Ci sto.- disse prontamente Tom, dando un bacio sulla guancia ad Abbie che prontamente diventò paonazza.

-Noi anche.- risposero William e Sophie.

-E tu Terence?- gli chiese Russell.

-Ah…io…non so molto bene ballare, non credo sia il caso…

-Dai Terence, fai ballare Jane!- gli diede una pacca sulla spalla Thomas.

Mi sentii in imbarazzo.

-Tu vuoi ballare Jane?- mi pose la domanda Terence.

Certo che lo volevo. Non mi sarei lasciata perdere per nulla al mondo l’occasione di ballare con il ragazzo che mi piaceva.

-Sì.- risposi.

-Bene, è fatta allora !Tutti in pista ragazzi.- disse Russell entusiasta. Lui era la classica persona perfetta per calzare il ruolo di “anima della festa”.

Sempre con la sensazione che Mary Anne mi stesse fulminando con gli occhi, giungemmo tutti sotto un tendone bianco adorno di lucette e di fiori colorati. Era stata messa una piccola postazione dj, dove un uomo non più tanto giovane, si stava divertendo a cambiare musica. C’erano varie coppie che ballavano così come comitive di ragazzi che ridevano tra di loro.

-Enjoy The Silence, Depeche Mode. Grande pezzo e grande band.- mi disse Terence, quando ormai tutti iniziarono a ballare. Le sue vaste conoscenza da speaker radiofonico non mi furono note.

Mi prese entrambi le mani nelle sue e iniziammo a fare passi a caso. Non mi era chiaro se sapesse ballare o meno, ma mi stavo divertendo.

-Non sono proprio Tony Manero, scusami.- disse accennando al personaggio interpretato da John Travolta ne “La febbre del sabato sera”.

-Tranquillo.- risi.

Poi mi fece girare su me stessa.

Vidi Abbie tra le braccia di Tom con aria sognante. Sophie e William ballare come se fossero dei robot e Russell tentare di far ballare Mary Anne, che sembrava aver messo il broncio. Sicuramente sperava lei di accaparrarsi il ballo con Terence Ashling. Mi sentivo come al liceo, a ballare con il ragazzo più bello della scuola e a ricevere sguardi di fuoco dalla ragazza pon- pon a cui non piaceva il capo della squadra di football.

Quando la canzone finì, facemmo un applauso. Terence sorrideva contento.

“E ora una canzone per i più romantici e per i più nostalgici”- disse il Dj dal suo microfono. Le luci attorno a noi si abbassarono lasciando solo alle lucette del tendone il ruolo di illuminare la pista.

Pochi attimi dopo partì una canzone dei Coldplay. Riconobbi la voce del leader singer.

-Trouble, Coldplay.- mi disse poco dopo.- ti va di ballare anche questa, o hai capito che sono una frana a ballare?- mi chiese Terence. Eravamo a pochi passi di distanza e il suo profumo mi era così vicino che potevo respirarlo a pieni polmoni. Era così magico essergli accanto.

-Mi va molto volentieri.- risposi prontamente.

Vidi che si avvicinò di più, poi prese una mia mano, e l’altra la posò delicatamente sulla mia vita. Rimasi sorpresa da questa vicinanza improvvisa ma anche dalla sicurezza con cui fece questi gesti. Era come se ci vedesse e sapesse esattamente dove posare le sue mani.

-Credo che questa canzoni si balli così, spero che la mia vicinanza non ti disturbi.- disse con voce ferma, muovendosi lentamente.

-Assolutamente no.- gli dissi guardando i suoi occhiali da sole. Quanto avrei voluto guardarlo negli occhi.

-Non so se questa canzone si possa considerare romantica, come ha detto il Dj. Tu cosa ne pensi?- mi domandò, stringendo la mia mano.

-Penso che lo sia…romantica, intendo. Infondo il cantante fa capire che è chiuso in una ragnatela e che non vuole fare soffrire la sua amata.- risposi con la voce un po’ tremolante. La sua presenza mi stava destabilizzando.

-Capisco.- disse soltanto.

Poi mi fece girare su me stessa, ma più che tornargli di fronte mi avvicinò più a sé. Riuscivo a vedere la consistenza delle sua labbra ad una spanna di distanza e il mio cuore prese a battermi nel petto più velocemente delle ali di un colibrì.

CONTINUA…

|Canzone “Trouble” dei Coldplay: https://www.youtube.com/watch?v=kcASPx3-HuI |

|Colonna sonora de “L’ultimo dei Mohicani”: https://www.youtube.com/watch?v=0ac80QeQ-yM |

Buonsalve ragazzi!^^

Che bello, sono riuscita ad aggiornare prima del solito questo decimo capitolo. Sono proprio contenta, spero che questo aggiornamento lampo piaccia anche a voi :)

Ho scritto questo capitolo con molta più velocità perché mi sentivo molto ispirata e ammetto che mi sento sodisfatta di quello che è successo ai nostri protagonisti. Soprattutto ho amato descrivere la scena finale, in cui Terence e Jane ballano sulle note dei bravissimi Coldplay. Come avrete notate questa band fa da sfondo anche ad una scena tra Jane e Christopher , ma tra questi ultimi le cose sono molto diverse, no?^^

L’ idea della sagra del cioccolato mi è venuta all’improvviso. Purtroppo non sono mai stata ad un evento simile, ma per una golosa come Jane ho pensato che potesse essere una “dolce” occasione da passare con il ragazzo che le piace. E poi ho inserito quella meraviglia che è la colonna sonora de "L'ultimo dei Mohicani". Se non l'avete mai sentita, ve l'ho linkata sopra. E' una delle musiche più emozionanti e belle che abbia mai sentito. Spero vi sia piaciuta come idea. 

Nella prima parte, invece, vediamo la scelta dell’abito da damigella. Non so se sono stata molto brava con la descrizione, ma ha vinto il vestito A che ho postato nello scorso capitolo. A tal proposito vorrei ringraziare: Viandante_ ( anche il vestito B era molto bello ;) ), ral, Helmwige e marioasi che con le loro splendide recensioni mi hanno detto quale abito hanno preferito. Un abbraccio virtuale a tutte e un pezzo di scultura al cioccolato! <3

Ovviamente grazie mille anche a chi legge sempre questa storia e a : DreamyDrop, et239, stonera, Raffaellalaezza, e izzyscigarette per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle seguite. Un bacione e dei frollini al cioccolato a tutte voi!!

Per averla aggiunte alle preferite, invece, grazie mille a Luceluce2 e a Jamie Carter. Centinaia di cioccorane a tutte voi ^^

Spero di avere il grande piacere di leggere dei vostri commenti anche per questo capitolo. ^_*

Un grande bacio a tutte voi e alla prossima!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Undici

 http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

Chi non ha avuto un cane non sa cosa significhi essere amato.
(Arthur Schopenhauer)

Avete presente quei momenti in cui vorreste che la vostra vita fosse un film semplicemente per avere un telecomando e usarlo per mettere in pausa i momenti più belli? Beh in questo momento io avrei voluto avere un telecomando proprio per questo motivo!

Quando si è con il ragazzo che ti piace e questo sta ballando con te e durante il ballo ti fa a avvicinare a sé, tu cosa puoi fare? Me lo stavo chiedendo da un po’.

Erano diversi secondi, ormai, che io e Terence eravamo nella stessa posizione. Eravamo vicini, molto vicini. Potevamo persino…baciarci. Ma cosa andavo a pensare? Io e lui baciarci? Terence Ashling baciare me? Mi diedi della stupida mentalmente.

Potevo respirare a pieni polmoni il suo profumo e la nostra vicinanza era tale che potevo persino vedere l’accenno di barba che stava crescendo sulle sue guance.

Ma la “favola” durò poco. Perché pochi secondi dopo lui si schiarì la voce e si allontanò da me, sempre tenendomi per mano.

-E oggi com’è andata al lavoro?-domandò come se nulla fosse.       

Ecco adesso avrei voluto avere di nuovo un telecomando, ma non per mettere in pausa la scena, ma per tornare indietro al momento in cui le labbra di Terence erano solo ad una spanna da me.

***

-No! Non ci credo e non ci voglio credere! Cioè tu…tu e lui eravate vicinissimi, potevi persino baciarlo e poi…ti chiesto semplicemente com’era andata la tua giornata al lavoro?- fece Abbie ad un semaforo nella via di ritorno a casa.

-Sì, hai capito benissimo.- le risposi, permettendo al vento di accarezzarmi la faccia dal finestrino.- è proprio palese che mi veda solo come un’amica, cara Abbie. -Sospirai.- Forse voleva risultare gentile nel fare un passo un po’ “particolare” nel ballo, ma quando ha sentito che gli ero molto vicina ha pensato bene che fosse meglio che mi allontanassi.- continuai leggermente triste.

Non che mi aspettassi chissà che…insomma, alla fine stavamo parlando di Terence Ashling…il ragazzo freddo e scontroso che non ti parlava mai di sè e che ti confondeva con le sue frasi ad effetto.

-Mhm...Terence non me la racconta giusta...no, direi proprio di no.- disse sottovoce quasi come se stesse parlando tra sé e sé. - Secondo me non l'ha fatto perché gli dispiaceva il fatto che tu gli stessi vicino. Sì insomma...pensaci, Jane...lui cosa ti ha fatto sempre capire dell'amore?- ora parlò a voce alta, guardandomi per un momento e poi ritornando a guidare, quando scattò il verde.

-Che lui non l'ha mai provato e che non si fidanzerebbe mai, perché per lui tutte le ragazze che lo corteggiano sono solo interessate ai suoi soldi più che alla sua persona.- dissi.

-Bene! E dietro questa frase non c'è un po' di insicurezza per te? E' palese che dopo essere diventato cieco sia diventato più fragile! Probabilmente non vuole che voi due vi avviciniate troppo perché teme che tu ti possa innamorare di lui e non vuole che questo accada, perché è cieco.- concluse come se avesse pensato a tutte queste parole almeno un'ora prima.

-Abbie, so benissimo che è un ragazzo fragile! Ma detto così, sembra proprio che la mia vita sia una telenovela.- ridacchiai.- non so davvero che pensare. Il guaio è che a me lui piace troppo e non so che fare...davvero!- ammisi.

Mi sentivo così...strana e anche un po' stanca, perché avevo la testa nel pallone e non avevo idea di come reagire.

-Non preoccuparti Jane, vedrai che si sistemerà tutto alla fine.- mi strinse un ginocchio Abbie, sempre mantenendo lo sguardo fisso sulla strada.

-Il problema Abbie è che non c’è nulla da sistemare. Evidentemente vuole che tra di noi ci sia solo amicizia, tutto qui! Cioè non è che io voglia che tra me e lui ci sia qualcosa di più dell’amicizia…- sentii lo sguardo della mia amica puntato su di me.- nel senso che…mi piace ma non so…uffa sto blaterando.- ammisi, mordendomi il labbro inferiore.

-Certo che vorresti che tra di voi ci fosse qualcosa di più dell’amicizia…altrimenti non ti dispiacerebbe così tanto che non ti ha baciata mentre stavate ballando. Comunque, non è un ragazzo semplice e io sono convinta che tu gli piaccia...mi sento monotona, perché te lo dico sempre! Uscite ancora insieme e tu studia tutti i suoi atteggiamenti

-Vedremo.

-Oppure digli che lo interessi, e facciamola finita.- continuò lasciandomi di stucco.

-Temo di non aver capito.- la guardai.

-Digli che ti piace, che vorresti uscire con lui più spesso perché lo interessi. Non vedo cosa ci sia di male! A me è parso di capire che la tua presenza non gli dispiaccia ma che sia troppo insicuro di sé per dirti chiaramente che lo interessi.

-No Abbie, questo è fuori questione. Primo non ho, e non ho mai avuto il carattere di dire ad un ragazzo, in faccia, che mi piace. O almeno non ho mai avuto il coraggio di dirlo per prima. E poi...lui è...è Terence Ashling, figlio di un magnate industriale e io...sono solo una giornalista a volte impicciona e troppo curiosa. Dubito che lo interessi, altrimenti non mi avrebbe respinto durante il ballo.- ripresi fiato dopo il mio monologo.

-Non ti ha respinto. Ha solo pensato di aver superato un, come dire…limite, perché è troppo insicuro di sé. Cavoli Jane, non sei più una ragazzina...apri gli occhi e prendi un po' di coraggio quando serve.

-Mi stai dando della ragazzina e della vigliacca?- la guardai, adesso, con gli occhi spalancati.

-Quando ti comporti così, sì. Hai capito bene, sei una ragazzina ed una vigliacca.

Tenni il muso e non le risposi. La faceva facile lei. D'altronde era fidanzata con il ragazzo che le piaceva e non aveva avuto le complicazioni che avevo io nel ricambiare l'amore del suo Thomas.

-Senti Jane, non voglio essere dura con te né tantomeno litigare. Lo sai che ti voglio tanto bene, no?- mi accarezzò una mano.

La guardai e lei ricambiò lo sguardo.

-Lo so, e anch'io te ne voglio, ma Abbie...non ti metti nei miei panni tu! Come faccio a dire ad un ragazzo freddo, strano, fragile e complesso che mi piace e che vorrei frequentarlo? Mi direbbe sicuramente che non sarebbe una buona cosa quella di vederci più spesso perché lui è cieco e non se la sente.

-Ma tu che ne sai, scusa? E' sempre stato lui ad organizzare delle uscite con te, o sbaglio?- girò in una stradina.

-Sì...ma erano sempre uscite legate al mio lavoro o al tuo, come l'ultima volta. - le ricordai.

Si voltò un secondo nella mia direzione, per lanciarmi un'occhiataccia.

-Sei più cieca tu di lui, mi sa.

Sbuffai e incrociai le braccia al petto.

Non la capivo quando faceva così.

Per evitare di continuare questa inutile discussione, decisi di accendere la radio da cui, secondi dopo, si diffusero le note di "Lullaby" dei The Cure. Almeno la musica ci avrebbe zittite per un po'.

 

 

***

 -Lavora qui Jane Ryan?

Distolsi lo sguardo dal computer. Una ragazza bassina e dai corti capelli castani stava viaggiando con gli occhi alla mia ricerca. Assomigliava molto all’attrice che aveva interpretato Alice Cullen in “Twilight”.

-Chi mi cerca?- domandai, alzandomi in piedi.

-Il capo mi ha chiesto di chiamarti. Beh vi saluto.- disse sbrigativa, guardò per un attimo Vincent, e poi se ne andò.

-La conosci?- gli chiese Steve, forse accortosi dell’occhiata della ragazza.

-Mai vista in vita mia! Ma sapete com’è …sono troppo bello per non ricevere occhiate dalle ragazze.- sorrise sfacciato quel Casanova montato, stiracchiandosi le braccia.

Vidi Barbie scoccargli uno sguardo schifato, per poi riprendere a battere freneticamente sui tasti della sua testiera.

Mi guardai un attimo allo screen del mio cellulare per controllare di essere in ordine, e poi uscii.

Percorsi il solito corridoio, fortunatamente vuoto dai modelli e dalle modelle e bussai alla porta di George. Al suo “avanti”, entrai.

-Accomodati Jane, accomodati.- mi disse, con il capo chino su un foglio di carta, intento a scrivere chissà cosa.

-Non ti ruberò molto tempo. Volevo solo ricordarti che mercoledì prossimo uscirà il tuo articolo sulla moda per le persone disabili. Ovviamente, come promesso, avrai la prima pagina. Puoi essere orgogliosa del tuo lavoro.

Sorrisi. Era davvero raro che George mi facesse un complimento. Mi sentivo al settimo cielo.

-Bene, puoi andare.

-Grazie.- dissi, alzandomi.

-Ah…un’ultima cosa Ryan!

Mi fece segno con la mano di risedermi.

-Non mi intrometto mai in certe questioni, ma certe voci che mi sono giunte parlottano di un flirt tra te e un modello Calvin Klein. A me non interessa minimamente la vita privata dei miei dipendenti, ma…è vero?

Rimasi non sbalordita, di più! Ma cosa cavolo…? Qualcosa mi diceva che Beth Smith oggi avrebbe fatto una brutta fine.

 “Certe voci”. Ma dico, erano impazziti? Mi sa che erano tutti usciti fuori di testa!

-Non c’è nulla tra me e il modello, signore. Ci sono uscita solo un paio di volte, ma siamo solo…amici, diciamo così.- dissi sicura.

-Capisco.- rispose, questa volta guardandomi negli occhi.

Si sfilò gli occhiali a bottiglia, e prese a morsicchiare la stanghetta sinistra.

-Non penso che ci sia nulla di male se vi frequentate. Solo…fai attenzione. Non hai idea di quante persone hanno la lingua lunga in questo Giornale. Discrezione e riservatezza devono essere le tue parole d’ordine, chiaro? E ora va, ho da fare.

Rimasi incollata sulla sedia a fissarlo. Mi aveva seriamente dato un consiglio, quel vecchio burbero?

-Beh…non hai del lavoro da fare?- mi chiese ancora, ora scrivendo.

-S-sì certo…- farfugliai imbarazzata.- Ah signore?-mi sorse una domanda.

-Sì.- rispose.

-Ricordo che mi disse, quando mi assegnò l’articolo sulla moda per le persone disabili, che il futuro internazionale dell’ Edinburgh Fashion Magazine era in qualche modo, nelle mie mani. Potrei sapere qualcosa a riguardo.?- gli ricordai.

Rialzò il viso verso di me.

-Saprai tutto a tempo debito, Jane, e ora ripeto: va!

A quel punto non indugiai oltre. Mi alzai e dopo aver salutato quel vecchio scorbutico, uscii dall’ufficio. Prima di ritornare nel mio, però, dovevo fare una cosa.

Proseguii dritta nel corridoio. Volevo fare due chiacchiere con quella pettegola della donna delle pulizie.

Mi fermai ,però, quando notai Christopher sotto i riflettori, pronto a fare delle foto. Si trovava in una stanza coperta da tendoni bianchi e luci. I vetri che davano sul corridoio erano trasparenti e di conseguenza si vedeva tutto da dove ero io.

C’erano tante persone, modelli per lo più. Intravidi anche quell’oca di Mary Anne. Era appoggiata ad una colonna, con le braccia incrociate sul petto e stranamente senza scarpe.

Da quella volta del cinema io e il modello non c’eravamo sentiti più di tanto. Aveva provato ad invitarmi altre volte ma puntualmente gli avevo risposto che dovevo lavorare, e al Giornale facevo sempre in modo di nascondermi quando lo vedevo o di rimanere chiusa nel mio ufficio per tutto il tempo.

Ora era senza maglia, scalzo e con solo i Jeans firmati Calvin Klein a fasciargli le lunghe gambe. C’erano vari fotografi a scattargli flash in continuazione.

Aveva una mano sollevata a mezz’aria e appoggiata ai capelli, più chiari sotto le luci. Le labbra leggermente dischiuse e gli occhi socchiusi. Sapeva posare proprio bene, questo era inevitabile. Possibile che un ragazzo dalla bellezza tale si fosse interessato a me? Non potevo ancora crederci.

-Oh ma allora è proprio vero.- sentii una voce gracchiare dietro di me.

Una donna dai capelli unti e corvini, vestita con un grembiule e con una scopa in mano mi stava guardando. La versione femminile del professor Piton di Harry Potter, insomma.

-Oh ma guarda un po'...cercavo proprio lei signora Smith.- risposi guardando quell'ammasso di pettegolezzi vivente.

-Vuole intervistarmi signorina Ryan? No, sa, perché anch'io vorrei togliermi dei dubbi sulla sua storia con Christopher Wilson.

A quel punto strinsi le mie mani chiudendole a pugno. Come osava quella viperetta essere così sfacciata?

-Credo che lei abbia sbagliato persona signora Smith.- non riuscii a trattenermi. Mi avvicinai alla sua figura bassa e grassoccia.

Con il mio metro e sessantasette, mi sentivo alta in questo momento.

-Con quale diritto lei si permette di intromettersi nella mia vita? Come si permette a riferire a mezzo mondo la mia vita privata? - cercai di mantenere un tono di voce basso, seppur duro.

Finalmente il sorriso di questa pettegola se ne andò.

-Prima escono con dei ricconi famosi e poi si meravigliano se ne si parla.- biascicò guardando alla sua destra, come se non volesse vedermi.

-Mi guardi negli occhi.- le ordinai.- le ripeto la domanda: chi le ha dato il permesso di spettegolare su di me? – incrociai i suoi occhi verdi.

-Nessuno.- farfugliò.- Ma non vedo cosa ho fatto di male…

-Si è intromessa nella mia vita, senza alcun diritto. Con chi esco o meno non sono affari che la riguardano e non sono affari che riguardano neanche le persone a cui va a raccontare i fatti miei.- conclusi, sbuffando.

Ero una persona tranquilla e paziente, ma quando era troppo era troppo. E poi, chi ero io? Una vip? Non erano le persone famose quelle la cui vita era sbandierata ai quattro venti? Essere al centro di pettegolezzi non mi era mai piaciuto!

-Senta signorina, le consiglierei di guardarsi bene dalla sue amiche…la colpa non è mai di una sola persona.- concluse acida, allontanandosi.

Dalle mie amiche? Ma cosa stava dicendo quella pazza? Nessuna mia amica avrebbe chiesto ad una pettegola simile di raccontare i fatti miei.

Decisi di lasciar perdere, convinta che Beth Smith fosse solo una pazza in cerca di attenzioni. Poi mi voltai per tornare al mio ufficio, ma quando mi voltai e il mio sguardo puntò nella stanza dei fotografi e dei modelli, mi accorsi che Wilson aveva finito di posare e che stava parlando con … Mary Anne.

Rimasi un tantino sorpresa. Erano quindi amici quei due? Beh certo…lavorare nello stesso ambiente doveva pur averli avvicinati.

Alla fine mi allontanai e tornai nel mio ufficio.

***

Durante la pausa pranzo, intenta nel mangiare il mio panino, notai Steve guardare sorridendo lo screen del suo cellulare.

-Ehi Romeo, con cui messaggi?- lo stuzzicai.

Dopo qualche secondo, Steve posò lo sguardo su di me.

-Oh, ma con la mia Giulietta, naturalmente.- rispose.

Con la sua Giulietta, sì! Naturalmente.

-Quindi va tutto bene con Arabella?- chiesi, dando un altro morso al mio sandwich.

-Tutto bene, sì, grazie.- rise a trentadue denti e poi ritornò a puntare i suoi occhi azzurri sullo schermo del suo smartphone.

Era proprio vero che l'amore faceva tornare adolescenti alcune persone.

-Jane? Ti ricordi vero, che la settimana prossima dobbiamo andare a comprare il mio vestito da sposa?- fece poi Barbara, avvicinandosi a me.

Eravamo rimasti noi tre in ufficio. A quanto sembrava Freddie aveva colto la pausa pranzo per vedersi con il suo Edward, mentre Vincent era sceso ad un bar con un suo amico, o amica...come pensai io.

-Oh sì, certo che me lo ricordo. Puoi illuminarmi solo sul giorno, però? Temo di non ricordarlo.- risposi un po’ imbarazzata.

-Giovedì, tesoro. Alle sette e mezza ci catapultiamo all’atelier di Sarah Newman.- mise delle ciocche di riccioli biondi dietro l’orecchio.

-Perfetto.- le feci un occhiolino.

Quindi la settimana che si sarebbe aperta sarebbe stata bella piena!- pensai.- Sarei dovuta andare con Barbie  a comprare l’abito da sposa, sarebbe uscito il mio articolo e …oh cavoli! Teoricamente sarei dovuta andare con Terence a vedere il cane guida che gli sarebbe stato affidato.

E ora? Alla fine io e lui non ci sentivamo da quel giorno del festival del cioccolato. Lui non aveva contattato me e io non avevo contattato lui. Era ancora valido l’invito ad uscire con lui? Ed io cosa potevo saperne!

Okay, decisi che se non si fosse fatto sentire entro domani, ciò avrebbe significato che l’invito era annullato. Alla fine non sapevo con esattezza neanche il giorno preciso in cui sarebbe dovuto andare a prendere il suo cane. Ricordavo solo che quando me lo disse, accennò al fatto che ci sarebbero volute circa due settimane.

Finii di mangiare il mio panino, poi riattaccai a scrivere il nuovo articolo.

 

Quando scattarono le sette e mezza, tirai un sospiro di sollievo. Finalmente anche questa giornata di lavoro, era conclusa! Oggi Abbie non sarebbe potuta venirmi a prendere, per via di un impegno di lavoro che l’avrebbe tenuta occupata più a lungo, quindi pensai che fosse meglio prendere un taxi più che il solito pullman. Sapevo che i taxi avevano un loro prezzo, ma questa sera mi sentivo troppo stanca per essere schiacciata in quella scatoletta di sardine chiamata autobus.

Non ci misi molto a tornare a casa. Fortunatamente di traffico non ce n’era stato tanto.

Quando entrai nel nostro appartamento, sfilai il trench e lo appesi all’attaccapanni, poi , come di consuetudine, attivai il tasto dei messaggi vocali della segreteria telefonica.

Un messaggio era del signor French che ricordava a me e a Abbie della scadenza per il pagamento delle bollette. Un altro era di una compagnia telefonica e uno era di mio padre che mi mandava i suoi saluti.

Sorrisi e decisi che in serata gli avrei telefonato.

Dopo aver fatto una doccia veloce, decisi di andare in cucina con l’intenzione di cucinare un po’ di pasta con il pomodoro per cena. Un piatto italiano che amavo e che mio padre era solito farmi quando ero piccola.

Messa a bollire l’acqua, decisi di andare a telefonare a mio padre, ma non ebbi il tempo per farlo. Il mio telefonino prese, infatti, a squillare.

Quando lessi quale nome lampeggiava sullo screen, sentii il mio cuore prendere a battere più forte.

Premetti velocemente la cornetta verde.

-Ehi…Terence.- lo salutai.

Si sentiva troppo che ero agitata?

-Ciao Jane! Ti disturbo?- il suo tono di voce era tranquillo.

-No assolutamente, dimmi.

-Volevo chiederti se sei ancora disponibile per uscire con me la settimana prossima! Sai…per il cane guida.- concluse più titubante.

Il mio cuore non la smetteva di battermi freneticamente nel petto.

-Ah sì mi ricordo,- finsi di non averci pensato quasi tutto il pomeriggio.- sì sono disponibile…

-Benissimo! Ho saputo che il centro che se ne occupa può ricevermi venerdì prossimo intorno alla sette e mezza.

-Capisco! Va bene…sempre che tu sia sicuro di voler uscire con me.- non riuscii a trattenermi.

Da quel giorno che mi aveva allontanata durante il ballo, lui non si era fatto più sentire e nella mia testa si erano ammassati così tanti pensieri riguardo al fatto che forse la mia compagnia ora non gli piacesse più. Ricordavo le parole di Abbie...ma non riuscivo a non fare certi pensieri.

-In che senso?- domandò ora. Il suo tono sembrava incuriosito.

-In nessun senso.- risposi.

-Perché non dovrei essere sicuro di voler uscire con te?- chiese nuovamente. Me lo immaginai con la fronte corrugata dalla curiosità e dalla sorpresa .

-Lasciamo perdere. Ci sto allora. Puoi dirmi l'indirizzo? Così mi faccio accompagnare da Abbie!- cercai di cambiare discorso.

-Da Abbie? Non vuoi che ti venga a prendere io con Harrison?- sentivo che era stranito.

-Non vorrei arrecarti disturbo!- feci io.

-Ti senti bene Jane? Mi sembri un po'...strana.- constatò.

"Non sono strana, sciocco! Sono solo arrabbiata perché tu ti sei allontanato da me quando stavamo ballando, qualche sera fa."

-Sto benissimo.

-Non ci credo. Comunque vorrei venirti a prendere io…al tuo lavoro, se non ti dispiace.

-Se insisti...

-Certo che insisto!

-Bene, ci incontriamo venerdì allora. Saluti.- riattaccai.

Ero stata troppo dura? Sì e non me ne pentivo! In fondo, cosa sapevo io di lui? Niente! Eppure, pensandoci, ci conoscevamo già da poco più di un mese. Non era tanto, ma neanche poco. Sapevo che era fragile, che era un ragazzo diverso da tutti quelli che mi fosse mai capitato di incontrare ma…cavoli, io ero stanca di non capirci più nulla. In fondo, le cose tra me e lui non stavano andando male, ma…io volevo di più. Terence mi piaceva e anche tanto…questo si era capito, ed era per questo che volevo capire di più, volevo scoprire chi fosse veramente.

Decisi che per ora non ci avrei pensato molto. Quindi, andai in cucina per tagliare dei pomodori per il sugo.

Dieci minuti e cinque pomodori tagliati dopo, sentii delle chiavi tintinnare contro la serratura di casa.

-Ciaooo.- mi saluto Abbie, accomodandosi e allungando le “o” al suo saluto.

-Ehi Abbie!- le sorrisi.

Della nostra discussione avuta in macchina, non ne avevamo più parlato. D'altronde era inutile continuare a tenersi il muso per qualcosa su cui la pensavamo diversamente.

-Stai cucinando? Fiuto un buon odorino di pomodoro.- chiuse gli occhi inspirando il profumo.

-Sì…questa sera mangiamo pasta con il pomodoro.- le feci un occhiolino.

Si sfregò le mani e mi sorrise contenta. Poi iniziò a posare la sua macchina fotografica e alcune sue attrezzature sul tavolo del salotto.

-Beh, com’è andata?- domandai.

-Tutto okay, ho avuto solo una piccola lite con un mio collega…un troglodita patentato, guarda! Voleva rubarmi tre foto…tre.- sottolineò.- non una.- sbuffò cancellando il suo sorriso dal volto.

Raramente vedevo la mia amica arrabbiata.

-Pff che schifo. Ma chi assume certe persone? Chi?- dissi la mia.

-Non so che dirti guarda.- sospirò.- La bella notizia è che ho finalmente fatto vedere a Sandra le foto che scattai a casa di Terence. Mi ha fatto molti complimenti, dicendomi che con molta probabilità copriranno la copertina del mese di novembre.- concluse ridendo.

-Oddio che bella notizia! Sono davvero tanto contenta per te.- posai il coltello, e mi avvicinai a lei per abbracciarla.

Dopo l'abbraccio, il suo cellulare prese a squillare.

-E' Tom. Ti dispiace se rispondo?- mi chiese facendomi gli occhi dolci.

-No, vai pure. Solo non state ore, la cena sarà pronta fra poco.

Mi fece l'occhiolino e con il suo "ehi amore" si allontanò nella sua stanza.

***

Una volta che Abbie scese in cucina, in pigiama e con gli occhiali da vista inforcati sugli occhi, decisi di riempire i piatti della pasta che avevo cucinato.

La mia amica, intanto, prese dell'acqua dal frigo e due bicchieri di vetro dalla credenza.

-Senti Jane...è successo qualcosa tra te e Terence?

A quella domanda, mi fermai con il mestolo riempito di maccheroni fermo a mezz’aria.

-No, assolutamente! Perchè?- chiesi guardandola.

-No...è solo che Tom mi ha detto che poco prima di telefonarmi era stato al telefono con Terence e che quest’ultimo gli ha detto che ti ha chiamata ma tu gli hai risposto con stranezza. A Tom è sembrato triste.- mi guardò mordendosi le labbra.

Triste? Terence si era rattristato perché lo avevo trattato con freddezza al telefono? Non era possibile!

-Non c'entri niente, quindi?- mi ridomandò.

-Non credo...cioè sì… prima siamo stati al telefono...e...-ingoiai un po’ di saliva.

-E?- mi incitò a continuare.

-E sono stata un po' fredda. Ma poi non è detto che a causa della nostra conversazione Terence fosse strano.- feci velocemente.

-Ah no?- la mia amica mi lanciò un'occhiataccia poi prese posto e iniziò a inforcare gli spaghetti con la sua forchetta con…forza. -Dai...raccontami tutto.

Bevvi un bicchiere d'acqua e poi le raccontai la conversazione che avevo avuto con Terence dettaglio per dettaglio. Quando finii, prese parola.

-Ho capito.- si asciugò  le labbra con un tovagliolo di carta.- Quindi non hai dato per niente peso alle parole che ti dissi qualche giorno fa?- mi guardò inarcando le sopracciglia.

Abbassai lo sguardo sul mio piatto ancora pieno.

-Okay okay, non dico più niente! Voglio vedere come finiranno le cose.

La guardai.

-No non ho dato peso alle tue parole! Non ci riesco…

Mi guardò male, poi scosse la testa e prese a bere dal suo bicchiere.

 

***

L’atelier di Sarah Newman era super pieno. E non stavo esagerando! Era affollato e le commesse correvano come matte per tutto il negozio alla disperata ricerca dell’abito da sposa adatto per ogni ragazza. Quell’abito che avrebbe riempito di lacrime gli occhi di ogni futura sposa, e che avrebbe fatto venire la pelle d’oca ad ognuno dei presenti.

Fortunatamente la mia collega aveva prenotato e così io e sua sorella eravamo in sala d’attesa con la disperata voglia di rifarci gli occhi con il vestito di Barbie.

-Un attimo, ma è lei…questa?- sentii una voce femminile avvicinarmisi, mettendomi il nuovo numero dell’ Edinburgh Fashion Magazine davanti agli occhi, con tanto di mia foto stampata in copertina .

-Oh sì, sono Jane Ryan, piacere.- sorrisi a trentadue denti, stringendo la mano della donna.

-Che fortuna averla trovata! Adoro questo giornale e i suoi articoli mi piacciono molto. Questo delle persone disabili, poi è stato magnifico.

-Grazie mille, signora. E’ molto gentile. Sono contenta di aver scritto qualcosa di interessante.- ero sincera.

Da quando la nuova settimana si era aperta il mio umore era alle stelle. D'altronde era inevitabile dal momento che, passando davanti a numerose edicole, avevo visto il nuovo articolo dell' Edinburgh Fashion Magazine con tanto di mio nome stampato in copertina.

La signora che si dichiarò una mia "fan", mi chiese una foto con lei oltre che un autografo. Dopodiché se ne andò.

-Sei famosa, eh?- fece Jessica, sorridendomi.

-Sì certo, come no!- risposi ironicamente, facendole l’occhiolino.

-Davvero. A scuola quasi tutte le ragazze parlano dell’Edinburgh Fashion Magazine. I tuoi articoli e quelli di mia sorella sono i più gettonati.

-Wow. E’ bello saperlo, grazie.- le sorrisi.

Anche le sue labbra si incurvarono. Dopodiché estrasse dalla sua borsetta uno smartphone.

-Uffa, questi ragazzi! Dicono che siamo noi donne complicate  e invece…- Jessica sospirò guardando lo schermo del suo cellulare.

-Problemi di cuore?- la guardai.

-Sì…ricordi che quando andammo a comprare gli abiti da damigella, feci accenno a mia sorella che mi piace un ragazzo simile a Logan Lerman?- mi guardò.

Feci mente locale.

-Oh sì, come no.

-Beh lui mi piace molto. Però non so se io piaccia a lui. E’ così bello…con i capelli neri e gli occhi più blu che io abbia mai visto.- sospirò.

Mi ricordava tanto me alla sua età. Erano già passati nove anni dai miei diciotto…

-Perché non pensi di piacergli?- le domandai, accavallando le gambe.

-Perché non mi parla quasi mai. A volte è freddo, e distante altre invece…mi sorride e mi saluta con dolcezza.

Mi ricordava qualcuno…

-Fai tu la prima mossa, tesoro, no?!- fece sua sorella da dietro la tenda del camerino.

-Ma come la prima mossa? Sono i ragazzi che devono farla e poi…non ce la farei se rifiutasse un mio invito.- Jessica abbassò il capo, permettendo a suoi lunghi capelli rossi di caderle ai lati del volto.

-Se non rischi non potrai mai saperlo. Inoltre siamo nel 2014, le ragazze sono forti e indipendenti, se ti piace confessaglielo e basta. A volte i ragazzi sono troppo citrulli e anche troppo insicuri per fare il primo passo.- rispose sua sorella.

Questo discorso non mi sembrava affatto nuovo.

-Tu che ne pensi, Jane?- mi domandò Jessica.

Povera! Giusto a me veniva a chiedere consigli su questioni sentimentali  che prevedevano ragazzi strambi e insicuri.

-Sono d’accordo con tua sorella. Sei giovane e bella e non hai nulla da perdere.- le risposi comunque.

Mi guardò sorridendo.

Ed io che avevo da perdere? Bella domanda!

Passò qualche minuto.

-Okay, ragazze…credo di essere pronta.- ci sorprese Barbara, ancora dietro la tenda.

-Sorellona muoviti ad uscire, allora.

-Dai Barbie, emozionaci.- aggiunsi.

Non dovemmo aspettare molto, perché qualche secondo dopo, la tenda del camerino fu aperta dalla commessa che aveva aiutato la mia collega a vestirsi.

A quel punto rimasi senza parole, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Dire che Barbara era bellissima, era davvero riduttivo, perché lei…lei… era stupenda.

Il suo abito era un modello a sirena, che sebbene non fosse tra i miei preferiti, su di lei stava d'incanto. Le fasciava la stretta vita alla perfezione, e le sue delicate forme erano perfettamente messe in risalto. Il corpetto era decorato con dei decori dorati e delle piccole perle di un lucido bianco.

-Wow, sei davvero magnifica, anzi superba. - le dissi girandole intorno.

-Sembri una dea, sorellina.- fece sua sorella con gli occhi lucidi.

Barbie, si posizionò davanti ad un grande specchio verso cui si guardò con uno strano luccichio negli occhi. Notai che ingoiò della saliva e si toccò il corpetto. Sembrava felicemente sorpresa.

-Oddio...mi sento così strana. Sto davvero bene?- mi guardò negli occhi, per poi guardare Jessica.

-Se stai bene? Stai da sballo, ragazza. Sei davvero stupenda...credo che il tuo futuro marito sverrà sull'altare appena ti vedrà.- le dissi, accarezzandole una mano.

-Concordo pienamente.- continuò Jessica.

Barbara, di risposta, ci guardò e poi scoppiò a piangere.

-E' lui, è l'abito giusto.- disse in lacrime, guardando la commessa.

Inutile dire che io e sua sorella battemmo le mani entusiaste, super contente della felicità provata da Barbara.

***

Okay dovevo solo fare un bel respiro e stare tranquilla. In fin dei conti, avrei solo rivisto Terence. Certo dopo un incontro sulla pista da ballo che io avrei voluto si evolvesse in maniera diversa e dopo una telefonata condotta da me in maniera piuttosto distaccata, ma...cosa sarebbe potuto succedere?

Ormai gli avevo dato la mia parola. E se gli avevo promesso che lo avrei accompagnato a prendere il suo cane guida, l'avrei fatto.

Oggi era venerdì e non potevo tagliarmi fuori, come se nulla fosse.

-Tutto bene?- fece Freddie, a meno di due ore dalla fine del nostro turno.

-Sì sì.- risposi, un po' titubante, battendo freneticamente i tasti del mio computer.

Stavo scrivendo un nuovo articolo su un paio di Christian Louboutin.

-Oh...ok...se lo dici tu.- mi strinse una spalla.

Poi si allontanò.

-Cioè no.- continuai.

Lo vidi fare dietrofront, prendere la sedia girevole di Vincent, al momento non presente (sì non lavorava mai quello sbruffone), e avvicinarla alla mia scrivania.

-Mi sembrava! E poi stai scrivendo troppo velocemente...deve esserci per forza qualcosa che non va. Dai spara!

A quel punto, fermai il mio frenetico scrivere, feci un bel respiro e raccontai al mio ex ciò che era successo con Terence e ciò che provavo, le mie incertezze, le mie ansie, i miei dubbi e i consigli di Abbie.

-Mhm. Secondo me ha ragione la tua amica.

Lo guardai male.

-Nel senso che…magari…potresti invitarlo tu qualche volta. Se  ti piace, ma, giustamente, tu sei troppo…insicura e timida per dirglielo, non dico che dovresti saltargli addosso dicendogli “Mi piaci. Sposami”. Dico solo che potresti cercare almeno di fargli capire che la sua compagnia non ti dispiace. Prendi tu l’iniziativa qualche volta, invitalo ad uscire, fallo venire a casa tua, fate passeggiate insieme eccetera eccetera. -Concluse,  smettendo anche di gesticolare.

In fondo non aveva tutti i torti. Secondo la mia amica avrei dovuto dire a Terence direttamente che mi piaceva, mentre per Fred avrei dovuto solo mostrarmi più intraprendente.

-Cioè mi stai dicendo che dovrei prendere più iniziativa?- annuì con il capo.- Ma, alla fine…quando siamo usciti insieme non mi pare che io gli abbia fatto capire che lui non mi interessa.- tentennai.

Freddie mi lanciò un’occhiataccia.

-Tesoro, Terence è insicuro ed è cieco. Ergo, non può vedere le tue espressioni, i tuoi occhi o i tuoi atteggiamenti quando state insieme. Il fatto che qualche sera fa, mentre ballavate, lui ti aveva avvicinato a sé e poi si è allontanato, è un chiaro segnale della sua insicurezza. Sono certo che abbia pensato di aver esagerato.- spiegò, aggiustandosi prima il nodo della sua cravatta azzurra e poi gli occhiali da vista.

Lo guardai.

-Okay…forse hai ragione. Proverò a essere più intraprendente.- feci sicura.

Mi sorrise.

-Così ti voglio! Stai serena e vai tranquilla. Mi hai detto che fra poco vi vedrete, no?

Annuii con il capo.

-Perfetto. Allora oggi, parlargli, ascoltalo, e invitalo ad un appuntamento. Che so…invitalo a mangiare qualcosa fuori o roba del genere.- mi fissò negli occhi.

-Va bene…ci proverò.- mi morsi il labbro inferiore.

Mi diede un bacio sulla fronte e poi tornò al suo lavoro.

***

All’aria aperta di fuori, strinsi meglio il mio foulard attorno al collo. Il meteo sul mio cellulare segnava 12 gradi per questa sera.

Terence sarebbe venuto a momenti, e il mio “ansiometro” aveva raggiunto livelli alti.

-Jane! Che bello vederti.- sentii ad un certo punto dietro di me.

Mi voltai, trovando…Christopher Wilson. Aveva delle buste in mano ed avvolto in un giubbotto di pelle nera era più bello che mai.

-Ehi Christopher.- lo salutai con un finto sorriso.

Non ero molto entusiasta di vederlo, sinceramente. Soprattutto adesso che sarebbe arrivato Terence.

-Da quanto tempo. Come stai?- mi si avvicinò dandomi un bacio su una guancia.

A quel gesto rimasi un attimo imbambolata.

-Già da quanto tempo! Sai con il lavoro sono super piena…! Sto bene comunque, tu?

-Sto benissimo, grazie.- mi sorrise, passandosi una mano nel capelli gelatinati.- aspetti qualcuno? Posso riaccompagnarti a casa?- mi guardò.

-No grazie. Sto aspettando un mio…amico. Abbiamo un impegno.- puntai lo sguardo sulla strada alla ricerca dell’auto di Harrison. Possibile che proprio oggi dovessero ritardare?

-Ah capisco. Scommetto che è il ragazzo che mi hai detto che ti piace?

Mi voltai a guardarlo.

-Può darsi.- rimasi sul vago.

-Oh, ho indovinato. – si morse il labbro, poi si grattò la barba.

-Hai piani per domani, invece? Sai è sabato…non c’è lavoro quindi potremmo uscire insieme.- continuò.

Lo guardai.

-Sì ho un impegno Christopher, mi spiace…- inventai sul momento.

Non mi andava proprio di passare il mio giorno libero con un ragazzo vanesio e super pedinato da fan e non fan.

-Oh…- assunse un’aria dispiaciuta.

Poi il ‘bip’ del mio cellulare mi avvisò dell’arrivo di un messaggio.

Sono appena arrivato. Ti aspetto fuori il Giornale.- Terence

Tirai un sospiro di sollievo e alzando lo sguardo sulla strada notai proprio Terence appoggiato ad una macchina nera.

-Non dirmi che è il ragazzo con gli occhiali da sole, il ragazzo che ti piace…- mi stupì Wilson che stava puntando il suo sguardo proprio su Terence.

-Beh ecco…- mi schiarii la voce.- sì è lui.

-Ma perché porta gli occhiali da sole anche se è buio?

A lui cosa importava?

-Perché è un non vedente. – sospirai.- Vabbè allora vado Christopher…- iniziai a fare qualche passo.

-Ah…! Va bene Jane. Buona serata e …a presto.- prese una mia mano, fermandomi, e vi lasciò un bacio sopra.

Rimasi piuttosto sbalordita dal gesto.

-E comunque meriti di meglio.- disse sottovoce,  allontanandosi.

Lo guardai, ma era già lontano da me. Avere le gambe lunghe doveva permettergli di percorrere in poco tempo svariati metri. Io rimasi ferma dov’ero. Perché mi aveva detto quella frase? Cosa ne sapeva lui di cosa meritavo? E perché Terence non era “il meglio”? Perché era cieco? La mia idea che il modello fosse troppo narcisista per i miei gusti fu confermata. Poi presi a camminare in direzione Terence.

Era appoggiato allo sportello della sua auto, con il telefonino stretto nelle mani, forse in attesa di una risposta al suo sms.

-Buonasera Terence.- lo salutai.

-Oh…Jane, buonasera.- si schiarì la voce. Sembrava sorpreso.- Aspettavi da molto?- mise il suo smartphone nella tasca dei pantaloni.

-No…da un po’…- misi le mie mani nelle tasche del mio trench.

-Bene! Prego.- aggiunse subito dopo tastando per qualche attimo lo sportello dietro di lui, per poi aprirmelo con galanteria.

Mi accomodai, seguita a ruota da lui, sui comodi sedili della macchina.

-Salve Harrison.- salutai l’autista.

-Buonasera signorina.- l’uomo mi sorrise dallo specchietto retrovisore.

Nell’abitacolo mi accorsi che si stavano diffondendo le noti di una canzone.

-E’ bella questa canzone.- mi rivolsi a Terence.

Notai che aveva il capo verso di me, quasi come se mi stesse…guardando. Sugli occhi aveva una montatura nera, quadrata e rigorosamente Ray-Ban.

-James Morrison, I won’t let you go.- mi rispose, poco dopo.

Annuii con la testa, poi ricordandomi che Terence non avrebbe potuto vedermi, gli dissi che mi piaceva molto.

-E’ bella, in effetti.- disse, per poi girare il capo verso il finestrino.

-Ci metteremo molto?- chiesi.

-Se il traffico non è tanto, direi che ci metteremo una trentina di minuti signorina.- fece Harrison, fermo ad un semaforo.

-Okay.- appoggiai la testa sul finestrino e rimasi ad ascoltare le parole della canzone.

***

Quando io e Terence fummo davanti ad un centro in mattoni rossicci, l’auto si fermò. Salutammo Harrison e prima di scendere, Terence prese il suo bastone appoggiato al sedile accanto a quello del suo autista.

Iniziammo a camminare e la prima cosa che notai fu che Terence era un po’ distante da me e che stringeva saldamente il suo James. Non aveva chiesto la mia mano, infatti.

-Puoi avvisarmi quando siamo di fronte al portone principale?- mi domandò.

Lo guardai.

-Certo.- la mia voce uscì più fioca di quanto credessi.

Il silenzio aleggiava attorno a noi ed io…beh io…non sapevo che dire. Addio all’idea di essere più intraprendente. Ero più timida di quanto credessi.

-Come è andata a lavoro?- ruppi il ghiaccio.

-Bene, grazie. A te?- continuò a camminare tastando ogni centimetro di fronte a lui, con il suo bastone.

-Bene. Il mio articolo è uscito due giorni fa, mercoledì per intenderci. Sono molto contenta perché ho avuto la prima pagina, come ti dissi. E poi ieri, sono andata a scegliere un abito da sposa.

Terence si fermò.

-Un abito da sposa?- la sua voce era tesa.

-Sì…ma non per me…se è questo che stavi pensando.- balbettai.- Per una mia collega che si sposerà a dicembre.- precisai.

-Ah.- rispose, per poi riprendere a camminare.

Quando vidi che il portone d’entrata ci era praticamente di fronte, fermai Terence toccandogli una mano, che prontamente ritrasse. Ammetto che mi ferii un tantino il suo gesto.

-S-siamo arrivati.- feci imbarazzata.

Aprii la porta e gli dissi di andare avanti.

Ad accoglierci ci fu il suono dell’abbaiare di tanti cani.

-Benvenuti.- ci sorrise cordiale un uomo di mezz’età.

-Sono Terence Ashling, buonasera. Ho telefonato questa mattina per avere conferma che questa sera avrei visto il mio cane guida.- disse il mio accompagnatore.

-Oh sì sì, mi ricordo di lei. Dovrebbe solo firmare delle schede, se non le dispiace.

Terence annuì e, aiutato dall’uomo, si avvicinò ad un bancone a cui mi avvicinai anch’io. Il signore gli avvicino dei fogli bianchi che notai essere scritti in Braille.

Terence li tastò e poi con l’indice prese a leggere ciò che vi era scritto sopra.

Io intanto sorrisi all’uomo che mi stava guardando sorridendo.

-Siete fidanzati?- ci domandò.

Io arrossii.

-No.- risposi prontamente.

Il tipo annuì con la testa, poi prese a controllare delle cose sul suo pc nel frattempo che Terence continuava a leggere.

Mi guardai attorno. C’erano due signore sedute su delle sedie di plastica nere. Avevano degli occhiali da sole puntati sugli occhi e un bastone tra le mani. Chissà se erano anche loro venute per dei cani guida.

-Okay. Perfetto.- disse poi l’uomo che ci aveva accolto, prendendo i fogli firmati da Terence.- Sono disponibili due cani guida, signor Ashling. Un pastore tedesco e un Golden Retriever, entrambi maschi di tre anni.

-D’accordo. Andiamo allora.

Il signore prese sotto braccio Terence e lo condusse per un corridoio. Io li seguii in silenzio. Poi arrivammo dentro una stanza.

C’era una giovane donna e tanti cani attorno a lei.

-Vi lascio allora. Buona permanenza Terence.- fece l’uomo allontanandosi.

-Grazie.

-Ciao, sono Rossella, e loro sono Minnie, Teseo, Percy, Ulisse e Nancy.- ci strinse la mano la ragazza, indicandoci i vari cani. Ovviamente avrei potuto vederli solo io.

-Sono Terence e lei è Jane, una mia…amica.- titubò sull’ultima parola.

-Bene, piacere di conoscervi. Dunque, mi hanno detto che sei qui per il tuo cane guida, Terence. Se mi dai la mano, ti faccio vedere Percy e Ulisse, rispettivamente pastore tedesco e Golden Retriever.

Terence tese la sua mano e la ragazza gliela prese. Fece un fischio ai due cani che si avvicinarono. Poi adagiò la mano del ragazzo su uno dei due cani.

-Wow…è molto morbido.- rispose Terence.

Aveva un espressione dolce in viso. Non gliel’avevo mai vista.

-Già. E’ adorabile. Quello che stai accarezzando è il pastore tedesco. Sarebbe il suo primo incarico come cane guida ma è davvero prontissimo.

Terence continuò ad accarezzare il cane.

-Se vuoi puoi toccarlo anche tu. Non morde mica.- mi disse, poi, Rossella.

Sorrisi e mi abbassai sulle ginocchia, in modo da avere il musetto di Percy vicino a me. Terence gli stava accarezzando il dorso, mentre io la testolina.

Era davvero soffice e i suoi occhi erano dolcissimi.

-E poi c’è lui. Ulisse presentati.

L’abbaiare di un cane fece alzare la testa a me e Terence.

Percy fu allontanato dalla ragazza e Ulisse ci si avvicinò.

-Lui è più birichino. A volte è super dolce, altre se ne sta più sulle sue, ma è molto fedele e questa sarebbe la sua terza esperienza come cane guida.- spiegò la ragazza.

Era bellissimo Ulisse, anche più di Percy. Il suo pelo era biondiccio, e una piccola macchiolina bianca gli copriva il musetto. I suoi occhi, poi, erano molto profondi.

-Cosa ne pensi Jane?- mi rivolse la domanda Terence.

Pensavo che dopo aver scostato la mia mano, al portone d’entrata, ce l’avesse con me, per qualche motivo a me ignoto. Però ora mi stava ponendo una domanda, quindi…forse era solo nervoso prima.

-Sono bellissimi entrambi, però mi piace un po’ di più Ulisse.

-Tu verso quale dei due ti senti più attratto? Considera che il tuo cane guida diverrà quasi il tuo alter ego. Starete sempre insieme e lui sarà la tua ombra e il tuo punto fermo.- precisò Rossella.- potresti fare dei giri nella palestra dello stabilimento, se vuoi. Fai un giro con entrambi e scegli il cane a cui ti senti più vicino.

Terence accarezzò ancora Ulisse.

-Va bene. Faccio un giro con entrambi in questa palestra.

-Benissimo. Vi accompagno. Ulisse, Percy, let’s go.- fischiò e una volta che i cani le si avvicinarono li legò a dei guinzagli particolari, che avevo visto altre volte su dei cani guida. Poi ci dirigemmo fuori dalla stanza.

 

La palestra era molto grande. C’erano dei birilli, degli ostacoli poco alti e dei coni sul pavimento, posizionati in varie parti. Vidi altri ragazzi ciechi fare dei giri con dei cani attorno al perimetro della stanza.

-Con chi vuoi iniziare?

Terence ci pensò qualche attimo.

-Ulisse.

Rossella allora, gli avvicinò il cane.

-Bene, io rimarrò qui con Percy. Cammina sicuro, senza alcun timore e dimostragli di essere suo amico. Nel tuo cammino, potresti incontrare degli ostacoli, come birilli o coni. Ulisse è ben addestrato e saprà fermarti quando verrà il momento. Il bastone puoi darlo a me.

-Ho capito, grazie. – rispose Terence, dandole James e abbassandosi leggermente  allungando le mani alla ricerca del guinzaglio. Una volta trovato, iniziò a camminare.

-Puoi andare anche tu, signorina. Solo lascia fare il suo lavoro a Ulisse. Non dire a Terence se davanti si trova un ostacolo.

Annuii con la testa poi mi avviai con Terence.

-Ulisse è proprio splendido.- dissi.

Guardando davanti a me, notai che fra qualche metro ci sarebbe stato un cono.

 -E’ strano.- mi disse sorridendo.- è come…se sapesse esattamente dove voglio andare. E’ una sensazione strana.

-Immagino.- sorrisi anch’io.

-Comunque dobbiamo parlare io e te, Jane.- disse ora, tornando serio.

-Ah sì? E di cosa?- mi guardai la punta delle scarpe.

-Di alcune cose. So che sei arrabbiata con me ma non so perché.- mi sorprese.

-Arrabbiata con te? Ma non è vero…

Sì che era vero.

-Sai che i ciechi hanno gli altri sensi sviluppati? Beh allora sai anche che fiuto se uno mi dice una bugia.- fu la sua risposta.

Poi si fermò. Ulisse aveva smesso di camminare avendo davanti il cono, poi guidò Terence aiutandolo a svoltare l’ostacolo e andare avanti.

-Wow…c’era qualcosa vero?- tornò a sorridere.

Sembrava emozionato, come se stesse tornando a vedere in un certo senso.

-Sì…un cono. E’ proprio in gamba Ulisse.- guardai l’animale.

-Già.- Terence non perse il suo sorriso.- se scegliessi lui, ti andrebbe bene il nome Ulisse o preferiresti il da te scelto Anacleto?

Ridacchiai.

-Mhm non saprei. Ulisse è un bel nome per un cane ma, anche Anacleto lo è. Però forse lui è abituato a sentirsi chiamare Ulisse per cui…

-Giusto. Quel giorno che scegliemmo il nome non considerammo il fatto che il mio cane guida avrebbe potuto già avere un nome. Vada per Ulisse allora.

Vidi il cane, fermarsi nuovamente davanti ad un ostacolo.

-E Percy? Non vuoi fare un giro anche con lui?- chiesi.

-No…mi sento ispirato da Ulisse. Credo che ci troveremo molto d’accordo.

-Okay.- sorrisi.

Terence si schiarì la voce.

-In ogni caso, ti stavo dicendo che…sento che c’è qualcosa che non va tra…noi, diciamo così. Ti ho fatto qualcosa di cui non mi sono neanche reso conto, Jane?- era tornato serio.

Ingoiai della saliva. E ora cosa avrei dovuto dirgli? Che al telefono ero stata fredda con lui perché mi dispiaceva il fatto che quando ballammo insieme mi aveva allontanata da lui?

-No Terence non mi hai fatto assolutamente nulla. Perché affermi di sentirmi diversa?- tergiversai.

In fondo lui non aveva realmente fatto nulla. Era forse proprio questo il problema.

-Perché sei stata molto fredda con me, l’altra sera, al telefono. Eri strana e hai insinuato che la tua compagnia non mi dovesse piacere più. Non mi sembra, però, di averti fatto mai capire che la tua vicinanza mi dispiaccia.

-Quando ballammo l’altra sera, sì però.- mi sfuggì.

Terence si voltò un attimo verso di me. Ma poi Ulisse abbaiò e la voce di Rossella mi riportò alla realtà.

-Eccoci qui. Bravissimo Ulisse e bravissimo Terence.- la ragazza accarezzò il cane.

-Come ti sei trovato?- continuò.

-Davvero benissimo. Abbiamo una bella intesa io e Ulisse. Mi sono sentito sicuro, perché sapevo che lui era i miei occhi.

-Ne sono contenta. Vuoi provare adesso con Percy?

-No, grazie. Ho cambiato idea! Credo che Ulisse sia quello giusto. E’ stato amore a prima vista, per fare una battuta.- rise Terence.

A volte era tanto fragile, altre era forte e accettava la sua condizione di ragazzo non vedente con forza, a testa alta, scherzandoci anche su. Questo lato di lui mi piaceva proprio tanto.

***

Appena fummo fuori, notai che faceva così freddo che il mio respiro si trasformava in una nuvoletta di vapore. Ed eravamo solo ai primi di ottobre, figurarsi nei prossimi mesi.

-Andrò domani a prendere Ulisse, mi hanno detto che per questa sera preferiscono lasciarlo con gli altri cani, ma che domani, alle luci della giornata sarà pronto per iniziare una nuova vita con me.- disse Terence avvicinandosi a me, con il suo bastone.

-Bene.- risposi, mettendo le mani in tasca.

-Ti va di mangiare qualcosa? Suppongo si sia fatta ora di cena.- mi domandò poi.

Controllai il mio orologio. Erano le 21.00 in effetti.

-Certo. Conosci qualche locale in giro?- mi guardai intorno alla ricerca di qualche insegna luminosa di un qualche pub o ristorante.

-Sì. E’ un ristorante italiano che dista qualche metro da questo centro. Si chiama “ Via col vento”. – concluse con un ottima pronuncia italiana.

-Benissimo. Sai se è sempre su questa strada?

-Sì, è sempre su questa strada. Se puoi però, avvisami quando vedi l’insegna.

-Ovvio.

Iniziammo così a camminare. Lui con il suo James e io per i fatti miei.

-Dunque stavamo dicendo…anzi stavi dicendo che…quando abbiamo ballato insieme ti ho dato l’idea di non gradire la tua presenza.

Era testardo, testardo, testardo. Quando si metteva in testa di chiederti qualcosa non mollava la prese finché non aveva ottenuto ciò che voleva.

-Sì ho detto così…- lasciai la frase in sospeso mordendomi le labbra.

-Ebbene? Perché hai detto così?

-Perché mi allontanasti da te quando ballammo, dopo avermi fatto voltare su me stessa.

L’avevo detto! Era inutile girarsi intorno. Era meglio risolvere la situazione.

-Ah…ti ho allontanato da me?- sembrava in imbarazzo.- In ogni caso non è stato un gesto intenzionale. Non era mia intenzione, infatti, ferirti in qualche modo o darti un’idea sbagliata. E’ solo che non so ballare e quella volta ti feci girare su te stessa, poi ti avvicinai a me perché…perché mi andava.- balbettò.- Ma poi mi resi conto di aver esagerato. Non sono mica il tuo ragazzo, per poterti avvicinare a me…- lasciò la frase in sospeso. Era a disagio. Molto a disagio.

-Mhm…okay, ho capito. Bene, ho frainteso. Pensavo che…mi avessi allontanata da te perché la mia presenza ti aveva disturbata.

-La tua presenza non potrebbe mai disturbarmi Jane.- continuò a camminare.

Io invece mi fermai. Perché con queste frasi aveva il potere di destabilizzarmi e di farmi battere forte il cuore?

Lo raggiunsi velocemente.

-Bene.- sussurrai.

-Quindi avresti voluto che ti avvicinassi a me?- chiese ancora.

Voleva farmi sentire proprio in imbarazzo, non c’era niente da fare.

-No…cioè…stavamo ballando e …e…- tossii.

Porca vacca! Sentivo che sarei esplosa da un momento all’altro tanto ero a disagio.

-Non vedo l’ora che tu mi legga il tuo articolo.- cambiò discorso, sicuramente avendo capito il mio imbarazzo.

Lo guardai. Attorno al vialetto su cui stavamo camminando c’erano tanti alberi le cui chiome, facevano delle ombre sulla strada illuminata solo da qualche lampione.

-Sì, te lo leggerò senz’altro. A proposito, magari un giorno di questi vieni a casa mia.

Intraprendente, ecco come dovevo essere. Mi immaginai Freddie a darmi una pacca sulla spalla, orgoglioso di me.

-E’ un invito?

-Sì…è un invito.- risposi.

Mi voltai a guardarlo. Stava sorridendo.

-Credo che siamo arrivati.- dissi poi, quando notai un insegna luminosa recitare “Via col vento- RISTORANTE ITALIANO”.

Terence a quel punto si fermò e mi tese la sua mano.

-Andiamo allora.- strinsi la sua mano nella mia, con il cuore a fare mille capriole nel petto e con le guance rosse dalla gioia.

CONTINUA…

 

Ciaoo ragazzi!!

Mi sembra doveroso iniziare questo angolino autrice, ponendovi le mie più sincere scuse. Mi rendo conto che non pubblicavo davvero da tanto ma proprio tanto ma davvero tanto, troppo tempo, ma purtroppo tra la scuola super pesante e l’ispirazione che non si faceva un giretto nella mia testa da un bel po’ , sono riuscita solo oggi a concludere il capitolo.

Sarà che ho avuto un po’ di influenza questa settimana e che ho letto due libri romantici che hanno riattivato gli ingranaggi romantici della mia testa, ma eccoci all’undicesimo capitolo.

E’ lungo, lo so. Secondo il mio Word ho scritto 27 pagine, spazi inclusi. Spero di non avervi annoiati troppo con tutte queste pagine e spero che, almeno, dopo tutto questo ritardo, sia riuscita a scrivere un qualcosa di carino e interessante.

Fatemelo sapere con una recensione, se vi va. E’ davvero molto importante per me leggere ciò che pensate di quello che scrivo. Siete la mia “benzina” e senza di voi le mie storie non andrebbero avanti.

A tal proposito vorrei ringraziare romy2007, Jamie Carter, marioasi, Ibelieve93, e Marbee Fish per le bellissime parole che mi hanno lasciato allo scorso capitolo. Un bacione enorme!!

Un grazie a Dren_26, Giu_Is, Secretly, _DearPrudence_,teddina_00,la sopracitata Marbee Fish, Innamorata_Mr Darcy, e ladyathena per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle proprie seguite. Grazie di cuore!!

Un grazie speciale anche  a Jeekey97, a lauramelzi, e a ineedofthem per aver aggiunto la storia alle proprie preferite.

E un grazie ai lettori silenziosi che, anche se sono una ritardataria cronica, non smettono mai di seguirmi.

Un bacione grande a tutti. Spero di sentirvi presto, magari anche il mese prossimo, ma se così non dovesse essere, Buon Natale in anticipo a tutti voi ^_^

Novalis

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Dodici

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

Se ci mettiamo a parlare in una stanza buia, le parole assumono improvvisamente nuovi significati.
 (Marshall McLuhan)

 

Non appena io e Terence ci accomodammo ad uno dei pochi tavoli liberi che avemmo la fortuna di trovare, posai il mio trench sullo schienale della mia sedia, concedendo ai miei occhi di osservare attentamente il ristorante in cui ci trovavamo.

Era piccolo, ma caldo e accogliente. C’era un caminetto, per mia somma gioia adesso acceso, e i tavoli, coperti da delle tovaglie a scacchi bianchi e rossi, erano in legno. Le pareti, invece, erano tappezzate di foto di Clark Gable e di Vivien Leigh, attori protagonisti del film che prestava il nome al locale : Via Col Vento.

Vicino al bancone avevo anche notato una foto in bianco e nero, autografata dalla stesso Gable.

-Ti piace qui?- mi chiese Terence.

Voltai il capo verso di lui, guardandolo. Si era tolto il giubbotto e ora era rimasto con solo una T-shirt a maniche lunghe, nera con una stampa di una qualche band rock. Era bello, molto bello.

-Molto. E’ davvero un ristorante splendido. Piccolo, semplice, ma caloroso. Proprio come piacciono a me.- spiegai.

Sorrise.

-Ne sono molto contento. Ti va di leggermi il menù?- domandò poi.

-Certo!

Presi il menù che mi fronteggiava, notando che sul tavolo erano presenti anche due bottiglie in vetro d’acqua e un cesto di pane. Poi lo aprii trovandomi davanti una serie di piatti italiani dalla pronuncia impossibile. Ma era normale che non fossero stati tradotti anche in inglese? Che barba! In fondo eravamo ad Edimburgo, non a Roma.

-Ehm… Terence, credo ci sia un problemino ino ino. Io non so parlare l’italiano… - ammisi, mordendomi le labbra.

Vidi Terence piegare le labbra in uno dei suoi sorrisi un po’ sghembi.

-Non fartene un problema, Jane. Leggi nella pronuncia che conosci… capirò il piatto che intendi. Ci sono già venuto qui.- rispose tranquillo.

Rimasi incantata a guardare il suo sorriso per qualche secondo, poi risposi.

-Bene.- mi schiarii la voce.- Dunque… come primi piatti abbiamo: tortellini alla bolognese, e…- ma mi interruppi sentendo il viso in fiamme.

Vince il premio peggiore pronuncia italiana dell’anno… urlo di tamburi… Jane Ryan!

Vidi Terence ridere, senza nasconderlo troppo.

-Ehi.- gli diedi un pizzico sulla mano,- stai ridendo di me? E il tuo “leggi nella pronuncia che conosci”?- gonfiai le guance.

Beh almeno lo facevo ridere.

-Sì scusa.- rise ancora Terence.- è solo che… niente.- rise ancora, poi si schiarì la voce e tornò serio. -Prego. Non riderò più, promesso.- fece una croce immaginaria sul cuore.

-Mhm. Sarà meglio per te.- trattenni un sorriso.- Dunque stavo dicendo… tortellini alla bolognese, poi abbiamo lasagna, spaghetti con il ragù e risotto alla milanese come primi piatti.- conclusi ancora con le guance in fiamme.

Alzai gli occhi su Terence trovandolo con una mano sulla bocca, a nascondere un’altra risata. Che tipo!

-E’ così spassosa la mia pronuncia, eh? Bravo, Terence, bravo… sei molto serio come ragazzo. Prendere in giro una fanciulla, è molto galante. – gli diedi un altro pizzicotto sulla mano.

-Ahi, ahi… ho capito, ho capito.- si toccò la mano, ridendo ancora.- Sceglierò tortellini alla bolognese, comunque.- fece con una pronuncia italiana perfetta.

-Mhm okay, scelgo anch’io… quelli là. Devo dire anche i secondi piatti?

-Ah ah.- annuì.

Certo, gli piaceva mettermi in ridicolo!

-Dunque, per i secondi piatti abbiamo e, guai a te se ridi ancora, cotoletta alla milanese, e…

-Vada per la cotoletta.- mi interruppe.- Come dolce ti propongo il tiramisù. Lo fanno benissimo qui.- mi sorrise.

Lo ringraziai mentalmente per non avermi fatto pronunciare altre pietanze dalla pronuncia impossibile.

-Scommetto che sapevi anche quale primo piatto avresti scelto, ma eri troppo curioso di sentire la mia stupenda pronuncia.- chiusi il menù, riponendolo davanti a me.

-Esatto.- si morse le labbra.

Rimasi per un attimo incantata a guardare la consistenza delle sue labbra, ora morse dai suoi denti bianchissimi. Poi, mi ripresi schiarendomi la voce.

-Bene. Allora avviso il cameriere.

Feci come avevo detto e ordinata la nostra cena, io e Terence rimanemmo in silenzio.

-E tu come fai a parlare così bene l’italiano?- gli chiesi poi, riempiendomi un bicchiere con dell’acqua.

-Essere nato in una famiglia ricca ha i suoi pregi, come il fatto che mio padre ha dato a me e i miei fratelli un’istruzione enciclopedica. Conosco anche un po’ di francese e tedesco, infatti. - mi rispose.

Era tornato serio e sembrava che aver messo in ballo suo padre, come già era successo in altre nostre conversazioni, non gli desse molta gioia.

-Ho capito. Beh dai non è un male, conoscere tante lingue ti apre molte porte.- bevvi dell’acqua.

-Sì… suppongo di sì.– disse seriamente.

-Ehm…- mi schiarii la voce, - Se posso permettermi di chiedertelo, non hai un buon rapporto con tuo padre? Ricordo che mi dicesti che fu sempre lui a farti fare una facoltà universitaria che non ti piace.- non riuscii a trattenermi.

Avevo detto di volerlo conoscere, no? Beh allora, sempre tenendo conto dei consigli datomi da Freddie che prevedevano che io dovessi essere più intraprendente, decisi che dovevo provare, molto cautamente, a porgli delle domande.

-No, non ho un buon rapporto con mio padre.- rispose semplicemente.

-Perché?- domandai.

Terence sospirò.

-Semplicemente abbiamo dei caratteri troppo discordanti. Ed io non sono il figlio che lui vorrebbe che io fossi.- incrociò le braccia sul petto.

-Mi dispiace. So quanto è importante l’appoggio dei proprio genitori, anch’io non ho avuto il sostegno di mia madre che, come ti dissi, ha preferito lasciare me e mio padre.- feci con tristezza.

-Pazienza. Dobbiamo essere forti e fregarcene di quello che pensano gli altri. Io sono quello che sono e, sinceramente, poco mi importa di ciò che può pensare mio padre.

Rimasi a osservarlo con ammirazione. Le sue parole mi mostrarono il suo lato più forte e determinato. “ Io sono quello che sono”. Era bella come frase!

-Hai ragione.- sorrisi.- E… con tua mamma, le cose vanno meglio?- domandai ancora.

Terence sorrise, di un sorriso amaro.

-Senti Jane, perché tutte queste domande? A te cosa importa della mia vita familiare?- vidi che strinse le mani, e che abbassò la testa sospirando.

Livello di scontrosità: mode ON.

Rimasi in silenzio. Non sapevo che dirgli. Mi sentivo così... stupida ad avergli fatto una domanda del genere.

-Scusami... non intendevo essere così duro. - si passò un mano nei capelli.- E' solo che a certe domande non mi va proprio di rispondere. Io e te Jane non ci conosciamo da molto tempo, ed è per questo che tu non hai idea di quello che ho vissuto io nel mio passato. Ho sofferto e anche molto e quando sono fuori casa, ed in particolare quando esco con te, vorrei non pensare a tante cose spiacevoli che mi ruotano attorno.- continuò sottovoce.

Sembrava abbattuto e triste. Mi dispiaceva che la situazione fosse mutata in questo modo,  non avevo idea che fargli una domanda sul rapporto con sua madre, potesse far rivivere in lui certi ricordi.

-Scusami tu! Hai ragione, non ci conosciamo da tanto, e non avevo il diritto di farti certe domande… perdonami, davvero.- abbassai anch’io il mio capo, concentrandomi sugli scacchi bianchi e rossi della tovaglia.

-Non hai bisogno di scusarti. Sono io che non ho un carattere molto... socievole, diciamo così. Nella vita abbiamo tutti delle ferite, ma non tutti hanno il coraggio di riaprirle.- concluse.

-Certo, non preoccuparti.- feci io.

-Sapevo che avresti capito. Sei una brava ragazza, Jane Ryan.

Rimasi a guardarlo.

-Certo che lo sono. Avevi dei dubbi?- cercai di smorzare la tensione, provando a sorridere.

Anche Terence sorrise, mettendo in risalto la piccola cicatrice sopra le labbra.

-Mai avuti.- fece con fermezza.

Pochi secondi dopo, a rompere quella situazione di tensione che si era venuta a creare, arrivò il cameriere con il nostro piatto di tortellini. Avevano un bell’aspetto e sembravano invitanti.

-Prego signori e buon appetito.- si congedò il cameriere.

Lo ringraziammo. Poi ,rialzato lo sguardo dai tortellini, vidi Terence allungare le mani di fronte a se. Trovato il piatto, ne sfiorò con l’indice il bordo e tastando lo spazio accanto ad esso, prese la forchetta.

-Sai che non avevo mai mangiato questi… questo piatto?- ruppi il ghiaccio.

-Ah no? Spero ti piacciano allora. Io li prendo spesso con Harrison o con Thomas quando veniamo qua.- rispose, con tono tranquillo.

Si era ripreso e adesso sembrava essere tornato sereno. Il caro Terence aveva un passato lastricato da cicatrici, questo era evidente, e potevo ammettere che anche se non sapevo di che gravità fossero, avevo una voglia matta di conoscerle e di guarirle insieme a lui.

-Sembrano buoni, in effetti. E quindi tu e Thomas siete molto amici?- domandai iniziando a mangiare.

-Sì. Ci siamo conosciuti l’ultimo anno di liceo. Si trasferì nella mia scuola, capitando nella mia classe. Da lì non ci siamo più separati. E’ un bravo ragazzo e un bravo amico.- mi rispose, inforcando poi un tortellino.

-Sembra proprio un bravo ragazzo, sì. Abbie né è innamorata persa. Le brillano gli occhi quando è con lui.- bevvi poi dell’acqua.

-Mi fa proprio piacere. Anche Thomas è innamorato perso della tua amica. Ormai nelle nostre telefonate non sento altro che il nome di Abbie.- mi sorrise.

Risi.

-Ne sono contenta.- sospirai.

-E tu? Non hai nessuno che ti fa brillare gli occhi come Tom li fa brillare ad Abbie?- mi chiese, poi.

La sua domanda mi sorprese tant’è che temetti di strozzarmi con un tortellino.

Terence chiedeva a me, se mi piaceva qualcuno?

Che dite, dirgli “ tu mi piaci da matti” era eccessivo?

-A parte Tayler Hoechlin, direi di no.- ci scherzai su.

-Tyler chi?- chiese lui.

-E' un attore super figo! Non hai mai sentito parlare di Teen Wolf? E' una serie tv.

-Ah... è un attore.- piegò le labbra in un mezzo sorriso.- A dir la verità ho sentito parlare di questa serie tv, ma anche volendo, non potrei vederla. Piuttosto, non mi dicesti che stai lavorando con dei modelli, e che con uno di questi uscisti? Non ti interessa questo ragazzo?- il suo tono di voce non lasciava trapelare nulla. Sembrava curioso, ma allo stesso tempo un po’ teso.

Ricordavo eccome il giorno in cui gli avevo parlato del modello e del fatto che fossi uscita con lui il giorno in cui seppi di aver avuto la prima pagina al Giornale. Ricordavo anche di come sembrasse quasi geloso Terence e di come mi disse che si è gelosi solo delle cose che si appartengono e che io non gli appartenevo.

-Sì a dir la verità sono uscita circa tre volte con questo modello… - posai la forchetta e incrociai le braccia sul petto.

-Ah sì?- il suo tono era più freddo.

-Sì… in realtà è lui che ha sempre insistito perché accettassi i suoi inviti. A me personalmente non interessa particolarmente.- ammisi.

-Mhm. A lui interessi, però. Altrimenti non ti avrebbe invitato ad uscire più di una volta.- rispose.

-Può darsi, cioè… sì, mi ha detto che gli interesso in effetti.- continuai, cercando di notare ogni sua reazione.

-Allora dagli una chance ,no? Magari si rivelerà il ragazzo giusto per te.- rispose in modo freddo e distaccato.

E così lui mi consigliava di dare una possibilità a Christopher? Beh, potevo ammettere che non era questa la reazione che avrei voluto ricevere.

-Chissà, magari gliela darò.- risposi allora io un po’ duramente.

Certo che non avrei dato nessuna possibilità al modello, ma se Terence mostrava così poco interesse nel fatto che io potessi fidanzarmi con un altro ragazzo questo doveva mostrarmi qualcosa, no? E quindi perché non dargli manforte?

-Sì.- concluse freddamente. Poi allungò la mano frontalmente a sé, alla ricerca, pensai, dell’acqua.

Gliela avvicinai.

-Ti riempio il bicchiere?- feci io.

-No, grazie. So farlo da me.

Prese la bottiglia dal collo, poi avvicinò il bicchiere e come se ci vedesse lo riempì fino all’orlo, senza far cadere neanche una goccia d’acqua. Poi, ripose la bottiglia di fronte a sé.

Nei minuti successivi, il cameriere ruppe il silenzio che si era creato, portandoci il secondo piatto e io e Terence iniziammo a passare il tempo parlando del più e del meno. Mi raccontò di come il suo collega Jonathan lo facesse continuamente ridere a lavoro e di come gli piaceva essere in contatto con la musica ogni giorno. Mi disse che la musica contemporanea non lo faceva impazzire, ma che adorava gli Avenged Sevenfold, i Dire Straits, e Adam Lambert, ovviamente.

-Oh sì e poi mi piacciono anche gli Arctic Monkeys. Ti ricordi che ti feci sentire una loro canzone, no?- continuò.

-Come no.- feci io.

Poi io gli parlai del fatto che avevo aiutato Barbie nella scelta dell’abito di sposa, che avevo comprato un abito da damigella e che non vedevo l’ora di finire l’articolo sulla nuova collezione Louboutin, perché ero già molto stanca di trattare di quelle scarpe.

-Ah ma è vero che Mary Anne ora lavora come modella al tuo Giornale? Dovevo chiedertelo già da un po’, ma me ne sono appena ricordato.

-Sì purtroppo è vero.- mi lasciai sfuggire il “purtroppo”.

Supposi che lei stessa gliene avesse parlato.

-Purtroppo?- Terence ridacchiò.

-Sì…- risi anch’io.- diciamo che io e lei non siamo proprio il prototipo di migliori amiche. Non amo particolarmente alcuni suoi modi di fare. So di non conoscerla abbastanza da permettermi di porre un giudizio su di lei, ma… per quel po’ che ho potuto notare non mi piace.- conclusi.

-Io a lei piaccio.

Non rimasi molto sorpresa da questa sua affermazione, anzi non rimasi per niente sorpresa. Alla signorina Terence piaceva, soprattutto per i suoi soldi.

-Sì, la prima volta che uscimmo insieme mi dicesti che ti fa il filo.- gli ricordai.

-Già. E’ un po’ appiccicosa a volte, ma credo mi voglia bene. E’ una brava ragazza in fondo, Tom dice anche che è molto bella.

-Ah sì, Tom dice così? Beh secondo me ha solo un fisico statuario ma di volto, non è tutto questo granché. E’ sempre molto truccata e appariscente. La vera bellezza la si riconosce anche senza tanti strati di trucco.- risposi un po’ stizzita.

-Non ti piace proprio, eh?- rise.- in ogni caso credo che si sia fatta un’idea sbagliata su di me. In qualche angolo remoto della sua testa, secondo me, è convinta che potrà diventare la mia fidanzata ma… a me sembra una cosa alquanto… utopistica.

Risi per questa sua frase. Avevo una voglia matta di dirgli che la cara Mary Anne voleva addirittura sposarsi con lui, ma per poi chiedergli il divorzio perché con la sua disabilità non entrava completamente nelle sue grazie.

-Mhm. Perché utopistica? Per il solito ragionamento che le ragazze vogliono stare con te solo perché sei ricco?- lo guardai.

-Ovviamente... ma anche per il fatto che non… non mi trasmette nulla. Della bellezza esteriore non me ne faccio un granché, considerando che non posso vedere assolutamente niente, per questo una persona deve colpirmi per la sua interiorità.

Sorrisi. Mi fu inevitabile pensare allora che io lo interessassi per la mia interiorità.

-E’ un po’ il discorso che mi facesti tu quando ci incontrammo per la prima volta: giudicare la bellezza interiore e non quella esteriore.

-Ti ricordi tutto ciò che ti ho detto, eh?- constatai.

-Ricordo solo ciò mi interessa, Jane.

L’ultima portata della nostra cena arrivò qualche minuto più tardi. Sia i tortellini che la cotoletta alla milanese mi erano piaciuti un sacco, quindi ero molto curiosa di assaggiare questo famoso tiramisù.

Appena il dolce mi fu di fronte, presi allora la forchetta e con molta lentezza presi un po’ di panna dal ciuffo che era stato posto sopra il cacao.

Non mi ci volle molto, per capacitarmi che quello fosse uno dei dolci più buoni che avessi mai mangiato. Era perfetto.

-Questo dolce è qualcosa di stupendo.- dissi ingoiando un altro boccone.

-Immaginavo che ti sarebbe piaciuto. E’ davvero grandioso come dolce, persino a me che non sono particolarmente goloso, piace tanto.- sorrise, continuando a mangiare.

Quando finimmo, mi ritrovai a pensare che la cena era andata molto bene. Certo avrei voluta scavare più a fondo nella vita di Terence, ma non volevo rovinare tutto mostrandomi troppo impicciosa.

Controllai l’orologio notando che si erano fatte le 22.30. Dire che il tempo era volato, era un eufemismo.

-Che dici, pago il conto poi aspettiamo Harrison?- mi chiese Terence.

-Paghiamo il conto, vorrai dire.- lo corressi.

-No volevo proprio dire “pago”. Ti prego, Jane… non fare la testarda e lascia pagare me. D’altronde ho organizzato io questa uscita, no?

-Posso dirti no?

-No!

-Ecco.- sorrisi sconsolata.

Dopo aver pagato il conto (alla fine l'aveva vinta lui), salutato il cameriere e il signore alla cassa, io e Terence ci ritrovammo all’aria aperta di fuori, io stretta nel mio trench e lui nel suo giubbotto nero.

-Harrison, puoi venirci a prendere? Siamo di fronte al ristorante “Via Col Vento”… Sì quello in cui siamo venuti insieme ogni tanto… okay a fra un po’ allora. Ciao.- salutò poi il suo autista, riponendo il suo cellulare nella tasca del suo giubbotto.

-Bene.- Terence si schiarì la voce.- è stata una bella serata.-  continuò.

-Già. Sono stata molto bene. Grazie Terence.- lo guardai.

Era di profilo e qualche corta ciocca di capelli scuri gli ricadeva sulla fronte.

-Grazie a me? Grazie a te per… per essere venuta e aver cenato con me, ah e anche per... aver sopportato la mia scontrosità.

Sorreggeva il suo James e l’altra mano l’aveva nella tasca del giubbotto.

-E’ stato un piacere.- sorrisi. – Ehm… Quindi adesso avrai un cane… come ti senti?- gli chiesi, intavolando una nuova conversazione.

-Beh prima di chiamare il centro che mi affiderà Ulisse, mi sono fatto tanti conti. Ho pensato che la mia vita sarebbe cambiata completamente, o comunque abbastanza, con un cane, ma credo di aver fatto la scelta migliore. Mi faciliterà molte azioni e mi farà molta compagnia, quindi sono soddisfatto della mia scelta.- mi sorrise.

-Giusto! Penso anch’io che saprà essere un buon amico per te.

Annuì con la testa.

-Comunque, ora che ci penso, un giorno di questi ti andrebbe di venire con me al centro di riabilitazione in cui andammo qualche tempo fa? Promisi a Charlotte, Lizzy e Tony che avrei portato loro il nuovo numero del giornale. D’altronde è anche grazie a loro se sono riuscita a scrivere un buon articolo.- mi ricordai di chiedergli.

-Oh sì, molto volentieri. Sai che mi chiedono di te, ogni tanto? Hai fatto colpo su di loro, Jane Ryan.

-Mi fa molto piacere.- sorrisi.

-Se vuoi ci andiamo fra due settimane. La prossima non sarò ad Edimburgo.- mi disse.

Mi voltai a guardarlo. La settimana che si sarebbe aperta non ci sarebbe stato? Perché mi sentivo strana?

-Ah, sì per me andrebbe benissimo. Ma… perché non sarai ad Edimburgo la settimana prossima?- gli domandai.

-Devo fare un viaggio con mio padre e i miei fratelli. Una cosa noiosissima , che non ho per niente intenzione di fare.- sospirò.

-Capisco. E dove andrai?

-Toronto, in Canada.

-Oh…- tossii.- wow…meta vicina.- sdrammatizzai.

-Molto vicina.- rise.

-Vabbè una settima passa in fretta.- continuai, dicendolo allo stesso tempo anche a me stessa.

Una settimana senza avere la possibilità di vederlo… mi sentivo giù.

-Cerchi sempre di vedere le cose più belle di come sono, vero Jane?- voltò il capo nella mia direzione, come se potesse vedermi.

-No… diciamo che sono realista e una settima passa effettivamente in fretta.- lo guardai anch’io.

-Sì.- rispose soltanto.

-Domenica.- gli dissi poi.

-Domenica cosa?

-Ti andrebbe di venire a pranzo a casa mia? Visto che la prossima settimana non ci sei…- lasciai la frase in sospeso.

-Ci sto.- sorrise.

-Bene.- dissi soltanto.- Sei allergico a qualche cibo?- gli domandai.

-No, fortunatamente no.- disse soltanto.

-Perfetto. Cucinerò io.

Non l’avrei visto né sentito per un’intera settimana, ma almeno dopodomani sarebbe stato delle ore con me, ed io non potevo chiedere di meglio.

Pochi minuti dopo un auto nera parcheggiò di fronte a noi. Mi sembrò di scorgere Harrison al volante.

-Credo che sia arrivato il tuo autista.- dissi a Terence.

-Ah bene.- mi tese la mano.

Gliela presi nella mia e insieme ci avviamo verso quella che riconobbi essere la sua  Lamborghini Reventon, da me anche detta “Bat-mobile”. Entrammo nell’abitacolo caldo e profumato della sua auto e poi salutammo Harrison.

Il tragitto che mi condusse a casa fu piuttosto tranquillo. Harrison mise un po’ di musica, e grazie al poco traffico e ai semafori quasi tutti verdi in cui incombemmo, arrivai sotto casa prima del previsto. In tutto il percorso io e Terence eravamo rimasti in silenzio, a lasciarci cullare dalle note delle canzoni alla radio.

-Siamo arrivati signorina.- mi sorrise dallo specchietto Harrison.

-Bene. Allora grazie di tutto. Della cena, della compagnia, e del passaggio.- ricambiai il sorriso all’autista.

-Grazie a te...- fece Terence, sorridendo.- Ci vediamo domenica intorno alle 13.00, allora. Verrò sotto casa tua e quando sarò arrivato ti farò uno squillo.

-Perfetto.- feci, aprendo lo sportello.

Prima di scendere, però, qualcosa dentro di me si accese e con il cuore a battermi forte, mi avvicinai a Terence e gli lasciai un bacio sulla guancia. La sua pelle era molto liscia e aveva un profumo sconvolgente.

Sentii Terence trattenere il respiro per quel gesto, poi detto un’ultima “buona notte”, mi diressi verso la porta di casa.

***

-Ti ha detto di dare una possibilità al modello?- fece Abbie sbalordita.

Questa sera le avevo chiesto se potevo dormire nel suo letto, insieme a lei. Dovevo raccontarle molte cose e poi volevo esserle vicina, visto le nostre recenti discordanze in merito al fatto che dovessi “dichiararmi” a Terence.

-Ah ah.- annuì stringendo meglio al petto la coperta di Minnie.

-No, vabbè, quel ragazzo è proprio testone, è inutile. Senti, la mia proposta è questa allora: fai come ti ha consigliato, dai una possibilità al modello.

A quel punto mi voltai a guardarla scoccandole un’occhiataccia.

-Sei impazzita?

-Ma no sciocchina, ascolta: Terence è interessato a te, e non provare a negarlo altrimenti ti picchio, però è troppo insicuro e troppo testardo e sta cercando di autoconvincersi che non gli piaci, per questo ti ha consigliato di uscire con un altro ragazzo.- fece tutto d'un fiato.- Allora tu, visto che, da testona che sei, non vuoi dirgli che ti piace, ascolterai il suo consiglio e lo farai ingelosire.

-Cioè dovrei usare Christopher per far ingelosire Terence. Ho capito bene?- continuai a guardarla male.

-Esatto.- sorrise sodisfatta aggiustandosi il cuscino.

-Abbie tu non stai tanto bene, mi sa. Ma secondo te io sono una tipa che tratta le persone per i propri comodi come fossero oggetti? Non potrei mai farlo. E poi al modello io interesso, e mi sembrerebbe proprio cattivo, prenderlo in giro dicendogli di volergli dare una possibilità.

Abbie sbuffò.

-Allora fingi. Raccontagli degli appuntamenti con Wilson e di vari aneddoti che vivete insieme inventandoteli. Chi non risica non rosica, Jane.

-Assolutamente no. E poi chi ti dice che io interessi effettivamente a Terence? Abbie, lui mi ha proposto di uscire con un altro ragazzo, più chiaro di così si muore.- feci esasperata.

-Ti ho già spiegato perché ti ha detto di uscire con un altro ragazzo. E comunque , un’altra soluzione sarebbe quella di uscire con Wilson in qualità di amica. In questo caso non lo illuderesti e non dovresti inventarti nulla con Terence perché usciresti realmente con il modello.- incrociò le braccia sopra la coperta.

-Mhm. E se queste uscite da “amica”,- mimai le virgolette,- illudessero lo stesso il modello?- continuai.

-No perché la prossima volta che ti invita ad uscire con lui, tu accetterai sottolineando il fatto che la vostra sarebbe un’uscita tra amici.- calcò sull’ultima parola. – D’altronde mi dicesti tu stessa, che ti disse che gli sarebbe piaciuto diventare anche semplicemente un tuo amico.

-E una volta che faccio questa… questa cosa, Terence come dovrebbe reagire? Come faccio a capire se è geloso oppure no?- la guardai.

-Si capisce Jane. Lo capirai dal suo tono di voce, se gesticolerà o meno, se si irrigidirà nel parlare e queste cose qua. Ma comunque, mi hai detto che gli hai dato un bacio sulla guancia prima di tornare a casa, eh?- mi guardò maliziosa.

-Sì… - mi sentii arrossire.- non so perché l’ho fatto. So solo che ho sentito che dovevo farlo e poi… sapessi com’è buono il suo profumo. Oddio Abbie… mi piace troppo.- mi coprii la faccia con le mani.

Abbie ridacchiò.

-E domenica? L’hai invitato a pranzo, giusto?

Mi tolsi le mani dalla faccia.

-Sì… Freddie mi ha consigliato di essere più intraprendente e io l’ho fatto.

-A Fred ascolti, e a me no, eh?- mi diede un pugno scherzoso sul braccio.

-Ma no. E’ solo che tu mi hai consigliato di andare a dire a Terence “Mi piaci alla follia”, Fred è stato più cauto e mi ha solo aperto gli occhi sul fatto che devo dimostrare a Terence che non mi è indifferente.

-Mhm. Va bene, come vuoi. Comunque domenica vi lascio la casa libera. Vedo di organizzare un pranzo con i miei, che non li vedo da un po’.

-Sicura? Se vuoi puoi farci compagnia…

-Assolutamente no. Avete bisogno dei vostri spazi e io sarei d’intralcio… non mi è mai piaciuto fare il terzo incomodo.- mi fece l’occhiolino per poi sbadigliare.

-Grazie Abbie.- le sorrisi.

-E di che. Comunque, hai già pensato a cosa farete dopo il pranzo?

-In che senso?- mi voltai a guardarla.

-Beh suppongo che dopo pranzo resterà un po' con te, e allora mi chiedo cosa farete. Di certo non potete vedere un film, né potete fare un gioco da tavolo, e allora cosa?

-Parleremo, e ascolteremo musica... suppongo.- risposi.

-Oppure ti avventerai su di lui, e limonerete come due adolescenti.- rise.

Mi sentii arrossire al solo pensiero.

-Che scema che sei.- le gettai un cuscino addosso.

-Vi gioverebbe pomiciare, altroché.- rise ancora, schivandolo.

-Tu pensa a pomiciare con il tuo Tom, e non dire sciocchezze.

- Va bene, va bene. Comunque è un vero peccato che sia cieco. - torno subito seria, sospirando.

-Sì... è un vero peccato.- deglutii.

-Cerco di dormire un po'. Buona notte baby.- mi diede poi un bacio sulla guancia.

-Buonanotte Abbie.

***

Il giorno dopo, sabato, decisi di organizzarmi per bene la giornata. Sarei andata al supermercato a fare la spesa per il pranzo di domani, avrei telefonato a mio padre, avrei scritto un po’ del nuovo articolo e avrei iniziato a uscire gli scatoloni dei vestiti invernali per fare il cambio abiti nell’armadio. Ormai il freddo era alle porte.

-Baby io vado a pagare le bollette. Ci vediamo dopo.- mi stampò un bacio sulla guancia la mia amica.

-D’accordo. Se al ritorno non mi trovi è perché sono fuori a fare la spesa.

-Ricordati di comprare anche la maionese e i cereali al cioccolato.- Mi sorrise, poi mi salutò e uscì.

 

Passò circa un’ora quando finii di farmi la doccia, di vestirmi e di stilare la lista delle cose che avrei dovuto comprare. Prima di uscire, controllai nuovamente il frigorifero, constatando che mancava un bel po’ di cibo e che sarei tornata a casa carica di buste.

Avevo deciso che avrei preparato dei piccoli tramezzini con prosciutto e delle bruschette con pomodoro e olio come antipasti, dell'arrosto e delle patate al forno come piatto principale, e una torta al cioccolato come dessert. Desideravo che tutto fosse perfetto e che nulla andasse storto.

 

Dopo circa tre ore, finalmente tornai a casa. Avevo fatto una bella spesa, finendo a comprare persino del gelato alla vaniglia e alla stracciatella per non parlare delle quantità industriali di pacchi di pasta. Mi era sempre piaciuto andare a fare la spesa al supermercato, fin da quando ero piccola ed andavo insieme a mio padre al supermercato della signora Penny che aveva una distributore di gomme da masticare colorate, che mi faceva impazzire. Peccato che a causa del lavoro, non ci andassi quasi mai.

Sistemate le cose in frigo, iniziai a preparare il pranzo.

Il sabato trascorse così: tra scatoloni di vestiti invernali, il nuovo articolo, e un film in serata che vidi con Abbie, uno dei nostri preferiti: "Stand by me"

***

Domenica mi svegliai, come immaginavo, prima del previsto. Erano le otto e la prima cosa a cui pensai fu che fra poche ore sarebbe arrivato Terence.

Dopo una doccia veloce, mi vestii e mi acconciai i capelli in una treccia. Poi, andai in cucina per preparare la colazione e per iniziare a cucinare ciò che avrei voluto far mangiare a Terence.

-Mhm, ma che buon profumino.- fece la sua entrata una mezz'ora dopo Abbie, stampandomi un bacio sulla guancia.

-Ti ho preparato la colazione: succo d'arancia, fette biscottate con nutella e una mela tagliata a pezzi, come piace a te.- le sorrisi, continuando a sbucciare le patate che avrei cotto con l'arrosto.

-Dovresti invitare più spesso Terence a pranzo, se sono questi i risultati.- si leccò le labbra e poi addentò la fetta biscottata.

Sorrisi scuotendo la testa e continuai il mio lavoro.

Circa tre ore dopo, la mia amica era pronta per andare a trovare i suoi genitori. Indossava una gonna, un dolcevita e degli stivali bassi.

-Credo che verrò intorno alle dieci e mezza, per te va bene?- mi domandò.

-Certo. Terence non potrà mica andarsene troppo tardi.- le feci l'occhiolino.

-Va bene, allora divertitevi. E se puoi, daglielo un bacio, mi raccomando.- mi diede un bacio volante e poi uscì.

Risi e rientrai in cucina.

***

 

Dopo aver apparecchiato la tavola, aver sistemato gli antipasti e le bottiglie d'acqua, andai in bagno per un ultimo ritocco al lucida labbra. Sapevo che per Terence era indifferente se fossi stata truccata o meno, con i capelli sciolti o legati, o con outfit piuttosto che con un altro, ma sentivo che questo non avrebbe dovuto spingermi a essere trascurata. Terence era il ragazzo che mi piaceva e si sapeva, il make up poteva aiutare l'autostima a volte. E poi, soprattutto i primi tempi, era sempre curioso di sapere cosa indossassi.

Quando sentii il mio cellulare squillare, mi salii per un momento l'ansia, subito sostituita dall'entusiasmo. Era un squillo, quindi Terence era arrivato.

Mi precipitai in salotto e, dopo aver aperto la porta d'entrata trovai Terence appoggiato alla sua auto con Harrison. Notai che aveva James stretto nella mano sinistra e una busta dorata in quella destra.

-Buongiorno.- li salutai avvicinandomi.

-Ciao Jane.

-Salve signorina.- sollevò il cappello a mo' di saluto l'autista.

-Bene Harry, ci vediamo in serata. Divertiti.- gli sorrise Terence.

-Anche lei signore, anche lei.- mi sorrise Harrison.

Preso Terence per mano, lo condussi fino alla mia casa.

-Benvenuto nella mia umile dimora.- esordii appena entrata, chiudendo la porta di ingresso.

-Grazie.- sorrise.- Questa è per te.- aggiunse poi, tendendo in avanti la mano con cui reggeva la busta dorata che gli avevo visto.

-Uh, cos'è?

-E' un piccolo pensiero, nulla di che.- abbassò il capo.

Presi la busta e la aprii. Dentro vi trovai, con mia sorpresa, un pacco di caramelle a forma di orsetto alla coca cola, e una rosa bianca incartata.

-Oddio, le mie caramelle preferite e la rosa bianca... che meraviglia! Grazie Terence, non dovevi disturbarti. Come hai fatto a ricordarti che io adoro gli orsetti alla coca cola?

-Ho una buona memoria, e poi piacciono anche a me... mi pare di avertelo già detto.- sorrise.

Io intanto inspirai il dolce profumo della rosa. Era davvero bellissima. Da qualche parte avevo letto che il significato della rosa bianca era "purezza e innocenza dell'animo". Chissà se Terence lo sapeva e aveva scelto di comprarmi un fiore di questo colore per questo motivo.

-E' davvero bella anche la rosa. Non so come ringraziarti.

-Non devi ringraziarmi. Sono contento di averti fatto un pensiero che sia stato di tuo gradimento.- piegò le labbra in un mezzo sorriso. Poi, si schiarì la voce.- mi fai fare un giro della casa o pranziamo subito?- mi chiese.

-Come preferisci. Ti aiuto a toglierti il giubbotto, prima?

-Lo faccio da me, grazie.- sorrise

Una volta che lo tolse, lo posi sul divano.

-Suppongo che siamo nel salotto adesso.- disse, poi, mettendo le mani in tasca.

Ora che era senza giubbotto, mi permisi di guardarlo meglio. Portava una camicia azzurra dalle maniche sbottonate e da cui intravidi un orologio d'acciaio sul polso, dei jeans scuri e delle sneakers casual. Sugli occhi, invece, aveva una montatura quadrata e di un blu scuro.    

-Esatto. Vuoi che lo descriva?

-Te lo stavo per chiedere.

-Okay.- mi schiarii la voce.- Il mio salotto è una stanza non molto grande. Alla nostra destra abbiamo un divanetto rosso che ha frontalmente la televisione, di medie dimensioni e a schermo piatto, poi alla nostra sinistra c'è un piccolo tavolo, dove alcune domeniche, io ed Abbie beviamo caffè. Accanto al divano e alla tv, c'è una finestra a balcone, che io ed Abbie abbiamo deciso di coprire con delle tende turchesi per dare luce alla stanza. Infine accanto alla porta d'ingresso c'è un appendi abiti.- conclusi.

 -Immagino che sarà molto carino. Suppongo che una giornalista di moda abbia un certo gusto per lo stile.

-Beh dovrebbe essere così. A me e ad Abbie piace il nostro salotto.

-Ci credo.- sorrise.

-Iniziamo a pranzare?- gli domandai poi.

-Va bene.

Lo presi per mano e lo condussi in cucina. Lo aiutai a sedersi, poi mi accomodai anch'io nel posto accanto al suo.

-Ho messo delle bottiglie d'acqua sul tavolo, ma se vuoi in frigo ho anche del vino rosso e della birra.

-Andrà bene l'acqua, grazie.

-Bene. Dunque il menù di oggi prevede degli antipasti, dell'arrosto al forno con patate e una torta al cioccolato.

-Fantastico. - mi sorrise sincero.- Mi è sempre piaciuto l'arrosto al forno.

-Ne sono contenta.- sorrisi, felice.- Ma ora assaggia gli antipasti.- gliene mesi qualcuno nel piatto.

Vidi che tastò, come aveva fatto il giorno prima al ristorante, lo spazio frontalmente a sè. Dopo aver trovato il tovagliolo accanto al piatto fondo, lo aprii e lo mise sulle gambe.

Prese in mano una piccola bruschetta, e poco dopo ne assaggiò una parte. Rimasi in attesa del suo giudizio, sperando di non aver esagerato con l'olio o con i pomodori.

-E' deliziosa.Semplice ma dal buon sapore.- si leccò le labbra.

Battei le mani felice, poi presi a mangiare anch'io.

Il pranzo si svolse in maniera abbastanza lenta. Io e Terence rimanemmo a parlare del più e del meno. Conversammo di argomenti relativi all'attualità, sui posti scozzesi che non aveva mai visitato ma che avrebbe voluto visitare, come Inverness, la piccola cittadina ospitante il famoso lago di Loch Ness. Discutemmo di libri e il tempo passò molto bene.

Quando arrivò il momento del dolce, vidi che sorrise. Mi disse che il profumo del cioccolato era inebriante.

-Voglio proprio vedere com'è questa torta. La golosa Jane, cos'avrà combinato?- sorrise.

-La golosa Jane avrà fatto un dolce spettacolare. Basti pensare che è ripieno di nutella e ricoperto da cioccolata...- lasciai la frase in sospeso, tagliandone due fette.

-Prego.- lo invitai ad assaggiare per primo.

Ridacchiò, poi presa la forchetta, ne inforcò un piccolo pezzo e lo mise in bocca.

Dopo qualche secondo sospirò.

-Beh... allora?- gli domandai, impaziente.

-Mhm fammici pensare... sì... può andare.- si morse le labbra, cercando di nascondere un sorriso.

-Può andare?- feci l'offesa.

-Ah ah.- annuì.

Gli diedi un pizzico sulla mano.

-Bugiardo. Ammetti che è la più buona torta al cioccolato che tua abbia mai mangiato.

Terence iniziò a ridere.

-Okay, okay... è super mega buona. Contenta?- sorrise, continuando a mangiare.

-Sì sono molto contenta.- risi anch'io.

Dopo aver finito di mangiare la torta, e dopo un buon caffè italiano, iniziai a sparecchiare e a mettere i piatti e i bicchieri nella lavastoviglie.

-Posso darti una mano?- mi chiese.

-Oh no, grazie, non preoccuparti. Devo solo ordinare la tavola, poi possiamo andare in salotto.

Vidi che annuì con il capo, poi si tolse gli occhiali da sole, appoggiandoseli al colletto della camicia.

Presi a lucidare il tavolo, guardandolo negli occhi. Era strano che si stesse facendo vedere da me senza occhiali da sole, ma era bello. Era bello poter vedere le sfumature dei suoi occhi cangianti.

-Sento che mi guardi Jane. E' per gli occhi? Vuoi che mi rimetta gli occhiali? Non mi piace farmi vedere senza, ma ammetto che ogni tanto mi pesano sul setto nasale e ho bisogno di toglierli.- mi spiegò.

-Ti stavo guardando, perché ero sorpresa che ti fossi tolto gli occhiali. Quando ti chiesi di toglierli, mi dicesti che non avresti voluto far vedere i tuoi occhi... vitrei.- gli ricordai.- Ma non mi disturbano affatto, anzi. Penso che siano molto belli. Mi pare di avertelo già detto. - ammisi.

Non ero una persona sfacciata, ma dire quello che si pensa al ragazzo che ti piace, ogni tanto non fa male.

-Grazie, anche se non ti credo.- mi sorrise abbassando il capo. Sembrava in imbarazzo.

-Dovresti invece.

Finii di riordinare la tavola, poi lo invitai ad accomodarsi in salotto. Sistemai i cuscini sul divano e mi ci accomodai insieme a lui.

-Ti va di leggermi il tuo articolo?- mi propose, incrociando le braccia sul petto.

-Oh sì, certo. Vado a prenderlo.- sorrisi.

Presi l'ultima copia dell' Edinburgh Fashion Magazine presente nella libreria del corridoio, e tornai ad acciambellarmi sul divano.

Lessi ciò che avevo scritto lentamente, cercando di ritornare con la mente al momento in cui avevo iniziato a scrivere l'articolo. Sorrisi in alcuni punti e tornai più seria in altri, in cui sottolineavo come si potesse fare di più per tutta quella gente disabile che non aveva a disposizione abiti alla moda.

Quando finii, trovai Terence a guardarmi. Non aveva ancora messo gli occhiali da sole e sembrava che mi stesse guardando. Mi incantai un attimo nel guardare i suoi occhi, che però, purtroppo, non stavano guardando me.

-Finito.- mi schiarii la voce.

-Wow, che bello! Hai avuto meritatamente la prima pagina. Scrivi molto bene e il tuo stile è scorrevole e pulito.- mi rispose.- Sono sicuro che Charlotte, Tony e Lizzy apprezzeranno molto ciò che hai scritto, soprattutto le parti in cui hai citato loro.

-Mi fa molto piacere.- risposi contenta.

Dopo poco, mi accorsi che il cielo fuori dalla finestra, era prossimo all'imbrunire. Erano le quattro e mezza del pomeriggio, ma l'oscurità stava già prendendo il sopravvento.

-Vado ad accendere un attimo il lume. Si sta facendo buio.- esordii alzandomi dal divano.

Terence, però, mi bloccò prendendomi il polso. Sentii dei brividi al suo tocco.

-Potresti non accenderlo?- mi domandò.- So che può sembrare una richiesta strana, ma vorrei parlare con te al buio. Vorrei che tu entrassi nel mio mondo per un po'.- sciolse la presa sul mio polso.

Mi risedetti accanto a lui sentendomi il cuore battere un po' più forte.

-Va bene.- mi limitai a dire.

-E' confortevole casa tua. Mi sento molto a mio agio.

-Sono contenta che ti stia trovando bene. Al piano di sopra ci sono anche la mia camera e quella di Abbie, oltre al bagno e ad un piccolo ripostiglio. Ricordo che la prima volta che entrai qui dentro, mi sentii subito bene. Sai quando senti che un posto, è il tuo posto.

-Ti capisco bene. Quando ero piccolo, andavamo spesso in vacanza a Nairn. Qui avevamo un piccola casa che si affacciava sul mare. Mi sentivo molto bene quando andavo lì e per me era quella la mia vera casa.

-Perché?

-Perché era una casa piccola e accogliente, contrariamente a quella, in cui vivo tutt'oggi, che si trova ad Edimburgo. A Nairn andavamo in vacanza, quando sia mia mamma che mio padre non erano a lavoro e quindi era bello stare tutt'insieme.

-Capisco.

-Ah quasi mi stavo dimenticando: Ulisse è ufficialmente un membro della mia famiglia.

-Oh è vero, mi era passato di mente. Sei andato ieri a prenderlo, giusto?

-Giusto. Oggi è casa con i miei fratelli.

-Beh e com'è andata?- gli chiesi guardandolo.

Ormai la stanza era quasi completamente al buio, ma riconoscevo la sua presenza.

-Benissimo! E' un cane affettuoso e dolcissimo. Ieri pomeriggio siamo andati a fare una passeggiata con Harrison, e mi sono trovato proprio bene. Mi ha aiutato ad attraversare la strada e ha evitato che mi scontrassi con un signore.- immaginai che ora stesse sorridendo.

-Lo immaginavo. Ulisse mi ha fatto proprio una bella impressione l'altro giorno, e immaginavo che ti saresti trovato bene con lui.

-Già.- sospirò.

Dopo qualche secondo di silenzio in cui sentii solo il ticchettare dell' orologio appeso alla parete della cucina, sentii Terence sospirare.

-Sai Jane, ora che so che siamo al buio e che quindi siamo nello stesso... mondo, se possiamo dire così, mi sento più... coraggioso a farti certe domande. Come ti ho già detto, mi sembri una persona interessante, ed è per questo che vorrei conoscerti meglio. Quindi...- esitò un attimo,- posso farti delle domande un po' personali?- chiese.

-Domande personali, di che tipo?- mi girai verso di lui, ma ormai il buio aveva imprigionato la stanza e non riuscivo a vederlo bene.

-Domande che non ti farei tutti giorni, che possono riguardare la parte più interiore di te.

-Wow che richiesta. Ma non so se ci sto, perché tu non mi parli mai di te e quindi...

-Potrai anche tu farmi delle domande. Una sorta di "do ut des" o "quid pro quo".

-Ma venerdì al ristorante non volevi... riaprire certe ferite... perché oggi...- rimasi a corto di parole, non sapendo come formulare la frase.

-Le mie ferite sono legate in parte alla mia famiglia, e infatti ti sarei grato se non mi facessi delle domande riguardanti i miei familiari ma per il resto... fammi tutte le domande che vuoi.

-Mhm, va bene. Però è strano... sei davvero sicuro di voler rispondere a delle mie domande?

-Certo.- fece sicuro.

-Okay.

Chissà cosa l'aveva reso così "aperto". Okay che non potevo porgli domande sulla sua famiglia, ma... di solito non voleva parlarmi molto di sé.

-E tu non mi metti nessun freno?- mi chiese ora.

-Che tu non mi chieda di mia madre.- risposi soltanto.

-Bene.- si schiarì la voce.- Inizio io. Ti sei mai innamorata veramente Jane?

Rimasi a pensarci qualche secondo. Non perché non sapessi cosa rispondere, semplicemente perché mi stupì il fatto che Terence, di tutte le domande con cui avrebbe potuto iniziare il nostro "do ut des" avesse scelto proprio questa.

-Sì. Due volte! Una quando andavo ancora a scuola, e una del mio ex, Freddie.- risposi. Avrei voluto aggiungere un "forse anche una terza, di te." Ma rimasi in silenzio.

-Il ragazzo che poi ti disse essere gay?- si ricordò.

-Esatto.- mi morsi le labbra.- Bene, ti ho risposto. Ora tocca a me: ti sei mai innamorato Terence?

Viva l'originalità!

-Mhm... sì, credo proprio di sì. Si chiamava Violet ed era la figlia di un'amica di mia madre.

Allora anche lo scontroso Terence aveva permesso a qualcuno di entrare nel suo cuore. Interessante!

-L'atteggiamento di una persona che maggiormente potrebbe ferirti?-domandò.

-Il tradimento. Una persona a me cara, che tradisce la mia fiducia e il mio affetto, è automaticamente fuori dalla mia vita. Ripongo la stessa domanda a te.

Sì, okay che potevo anche inventarmi nuove domande invece di copiare sempre le sue, ma mi stava facendo delle domande interessanti.

-Odio la pietà. La gente che pensa che solo perché io sia non vedente, sia un incapace, mi dà altamente fastidio. Il bacio più bello che tu abbia mai ricevuto?

-Dal mio primo ragazzo, Daniel, il primo di cui io sia stata innamorata, come ti dicevo prima. Mi colse di sorpresa e fu il mio primo bacio... alla francese.- sorrisi.

-Mhm della serie "il primo bacio non si scorda mai" eh?

-Esatto.- risi.

-Beh è il tuo turno.

Giusto! Ora toccava a me fargli una domanda, ma... cosa chiedergli? Avevo aspettato tanto un momento in cui Terence mi permettesse di conoscerlo meglio, ed ora che me l'aveva concesso, per chissàà quali ignote ragioni, non sapevo cosa chiedergli. Forse perché mi aveva invitato a non chiedergli nulla che avesse a che fare con la famiglia, e questa era una delle cose, che invece, mi premeva sapere. D'altronde sono le nostre radici, che ci rendono quel che siamo. Certo, crescendo si diventa indipendenti e ci si crea una propria identità distinta da quella dei propri genitori, ma sono questi ultimi ad impartirci un'educazione e ad inculcarci alcune idee, che, volenti o nolenti, porteremo sempre con noi.

Poi, la lampadina mi si accese, solo che non sapevo se avevo il coraggio di fargli una tale domanda. Alla fine, mi decisi.

-Okay... questa è una domanda un po' delicata e ovviamente... sei libero di non rispondere.

-Coraggio!- mi esortò.

-Come sei diventato cieco?

 

CONTINUA...

Ciaoo ragazzi , Buona Pasquetta!! Eccoci finalmente al dodicesimo capitolo :)

Ne è passato di tempo prima che pubblicassi, avete ragione! Meriterei una bella vagonata di pomodori in faccia, ma capitemi... questo è il mio ultimo anno di liceo, ergo quest'anno ho la maturità :,,(( E' un anno impegnativo per me, e tra compiti, stress, stanchezza, mancanza di ispirazione e qualche periodo in cui non sono stata molto bene, eccomi che sono arrivata a concludere il capitolo solo oggi ^^''

Spero che questa Pasqua vi sia andata benissimo e che abbiate mangiato tanto cioccolato :P

Parlando del capitolo... bello lungo, eh? Il mio Word mi segnala che ho scritto 22 pagine, spazi compresi. A me, sinceramente, è piaciuto meno di altre volte. Non so ma... secondo me, manca qualcosa. Voi che ne dite?

Generalmente non metto titoli ai miei capitoli, ma un titolo adatto a questo sarebbe sicuramente stato "Do ut des" come il giochino che fanno Terence e Jane. Per chi non lo sapesse, Do ut des è una espressione latina che significa "Do affinché tu dia", implica quindi uno scambio. Così come Quid pro quo che sta per "Questo per quello" ;)

La domanda con cui si conclude il capitolo è molto importante. Perché Terence è diventato cieco? Ma soprattutto lui risponderà? Lo sapremo solo nella prossima puntata xD

Detto questo, parto con il ringraziare tutti voi che con il vostro affetto, continuate a seguirmi e a non abbandonare questa storia. Un grazie quindi a: marioasi, Marbee Fish, romy2007, fiftys92, Ibelieve93, e beautyfulplayer per le bellissime recensioni alla scorso capitolo. Vi voglio bene <3

Grazie a : Dragon_Flame, Scelm_4everUS,  elepina, Nakurami, Nadaesparasiempre, Only_a_dreamer, Isabeau Pauline De Medici,Babron, e gdoc per aver aggiunto la mia storia alle loro seguite. Grazie mille <3

Grazie a : la sopracitata fiftys92, Kikka_love, e la già nomita gdoc per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle loro preferite.Un bacione a tutte voi :)

E infine grazie a: roncatella e, nuovamente a gdoc per averla aggiunta alle loro ricordate. Grazie di cuore <3

Spero di avere il grande piacere di leggere la vostra opinione anche per questo capitolo. Fatemi sapere se vi è piaciuto o se ha deluso qualche aspettativa. :)

Un bacione e alla prossima,

Novalis

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo tredici

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

Riassunto del capitolo precedente:

Dopo un’ottima cena in un accogliente ristorante italiano, Jane viene a sapere che Terence partirà con suo padre e i suoi fratelli per Toronto. Decisa a non farsi scappare l’occasione di vederlo un’altra volta prima del viaggio, prende la decisione di invitarlo  a pranzo, la domenica a casa sua. Sarà proprio in questa occasione che, dopo un succulento banchetto, Terence proporrà a Jane il “do ut des”, giochino basato su domande e risposte, ideato per farsi conoscere meglio dalla ragazza. Jane, allora, prenderà la palla al balzo, domandandogli come sia diventato cieco.

*fine riassunto*

 

 

L'anima di una persona è nascosta nel suo sguardo, per questo abbiamo paura di farci guardare negli occhi. (J. Morrison)

 

Non passò neanche un secondo, che già mi pentii della mia domanda. Ma cosa cavolo avevo chiesto a Terence? Chiedere ad un cieco, già di suo restìo ad aprirsi e a parlare di sé, come fosse diventato un non vedente? Non dovevo aver collegato il cervello prima di aver fatto questa domanda… stupida me!

-Scusami,- mi affrettai ad aggiungere.- non credo sia una domanda che ho il diritto di chiederti…- lasciai la frase in sospeso.

Terence sospirò.

-Non c’è bisogno di scusarti! In fondo, il “do ut des” è un gioco che ti ho proposto io e non ti ho invitato a non farmi domande sulla mia cecità. Ammetto che per un attimo avevo pensato di chiederti di non domandarmi nulla sull’argomento, ma in fondo Jane, prima o poi te lo avrei detto io stesso. Premetto che il perché sia diventato cieco è un qualcosa di strettamente legato alla mia famiglia, per cui ti ometterò molti dettagli.

-Certo. - sussurrai.

-Bene… devi sapere Jane che, qualche anno fa…- si fermò un secondo.- sono stato un pugile.

Rimasi in silenzio, intontita per la sua risposta.

-Eri cosa? Un pugile?- chiesi esterrefatta.

Cavoli! Questa non me la sarei mai aspettata. Con il suo fisico e i suoi modi di fare, non l’avrei mai e poi mai pensato.

-Sì ero pugile. Non era una cosa seria, nel senso che non ero conosciuto, non facevo incontri legalizzati né frequentavo alcuna palestra. Ho imparato a boxare a causa di,- fece una pausa.- alcune persone sbagliate. Ero diventato abbastanza bravo nel farlo, così iniziai a fare degli incontri. Mi aiutavano, erano la mia valvola di sfogo, erano il mio modo di evadere da una realtà che mi faceva soffrire.- sospirò.- Un giorno, però, ebbi un incontro con un avversario molto più alto di me, e soprattutto dalla massa muscolare maggiore della mia. Una sorta di Mohammed Ali, se tu sai chi sia.

-Sì, so che è stato un pugile bravissimo.- dissi.

 -Esatto, ma era soprattutto un pugile molto alto e molto muscoloso! Come ti ho detto, non erano incontri legalizzati quindi non c’era alcuna regola da rispettare e io non mi tirai indietro quando si trattò di boxare con questo pugile. Il match ci fu, solo che… ricevetti un destro dritto sulla testa.- sospirò di nuovo. Doveva essere molto difficile per lui rimembrare certi dolorosi ricordi.- Poi non ricordo niente… mi hanno raccontato che caddi al tappeto, e finii in coma. Mi svegliai solo due mesi dopo… cieco. A quante pare il suo pugno creò un ematoma al mio cervello che andò ad intaccare il nervo ottico. Fui operato d’urgenza, ed è grazie all’intervento se sono ancora vivo, ma… - lasciò la frase in sospeso.

-E non c’è nemmeno una minima possibilità che tu torni a vedere?- domandai, speranzosa.

-Beh… in modo naturale no. Ci vorrebbe un miracolo o tuttalpiù… dovrei avere nuovamente un incidente pari a quello che mi ha creato il danno.

Mi voltai a fissarlo anche se, ormai, il buio aveva preso il sopravvento nella stanza e non riuscivo a vedere nulla se non il nero attorno a me.

Rimasi in silenzio. Non sapevo cosa dire.

-Jane? Ci sei ancora?

-S-sì.- biascicai.- Scusami… è che…

-Lo so. – mi interruppe, immaginando la mia reazione. - Non ci pensare. Ora è il mio turno: la stanza è buia completamente adesso?

-S-sì.- balbettai di nuovo.

Come poteva cambiare discorso così radicalmente? Insomma, dal primo momento in cui l’avevo incontrato mi ero posta tante domande, avevo provato ad immaginare come Terence fosse diventato cieco, e adesso che lo avevo scoperto mi sentivo… vuota. Sapere che era diventato cieco non per una malattia o per un incidente, ma a causa di un qualcosa… di così volontario, mi faceva arrabbiare. Scegliere di diventare un pugile solo perché ce l’hai con la vita, e accettare di combattere con un tipo che è il doppio di te mi sembrava da stupidi. Inconsciamente strinsi le mani a pungi.

-Sei uno stupido Terence.- esordii.

-Come?- domandò lui incredulo.

-Hai capito bene! Sei uno stupido Terence Ashling. Perché non ti rifiutasti di fare quello stupido incontro? Perché, pur sapendo che il tuo avversario era più forte di te, tu hai sfidato la sorte? Perché non hai pensato alle conseguenze? Perché hai scelto di fare incontri di pugilato illegali?- diedi voce a tutti i miei pensieri, non riuscendo a controllarli.

-Forse perché all’epoca preferivo essere picchiato da un uomo piuttosto che ricevere colpi dalla vita.- rispose soltanto.

Il suo tono di voce non era arrabbiato né acido, era… malinconico, triste, deluso, disilluso.

Sospirai.

-Scusami… sono stata troppo aggressiva.- dissi poco dopo, rendendomi conto del modo in cui mi ero rivolta nei suoi confronti.

-Ti scusi troppe volte, Jane Ryan. Prima di fare qualcosa bisogna pensarci dieci volte e non pentirsene subito dopo. Con questo non voglio dire che tu non mi abbia colpito.

-Ti ho colpito?- rimasi sorpresa.

-Beh sì. Di solito, da quelle poche persone a cui ho raccontato la mia storia, ho ricevuto solo dei “mi dispiace”, tu invece… ti sei arrabbiata con me, quasi come se… ci tenessi a me.

Sentii il mio cuore battere più forte nel mio petto.

-Perché non dovrei tenere a te, Terence?- domandai.

-Perchè ci conosciamo da troppo poco tempo. Non conosci tante cose di me e non sono un tipo che fa sì che la gente si affezioni a lui, né tantomeno uno che vuole che qualcuno ci tenga a sé. Sono un tipo libero, non mi piace affezionarmi e non voglio che nessuno si affezioni mai a me.- il suo tono di voce era freddo, e serio.

-Wow! Te la prendi se ti dico che mi sanno tanto di parole finte, di un ragazzo che ostenta un qualcosa che non è in realtà? Non puoi scegliere tu se affezionarti o meno a una persona, né tantomeno se una persona deve o no affezionarsi a te. Sono i nostri gesti, le nostre parole e i nostri modi di vedere le cose che ci rendono quel che siamo e tu mi affascini Terence. Penso che tu sia intelligente, divertente, dolce e a volte un po’ troppo freddo ma tengo a… te… e alla nostra amicizia.- tanto valeva confessarglielo.

Non che con questo gli avessi detto “ mi piaci” ma almeno gli avevo fatto capire che non mi era indifferente. E poi visto il momento triste che si era creato, per via del racconto della comparsa della sua cecità, mi era sembrato carino smorzare la tensione in questo modo.

-Mi metti in imbarazzo così, Jane Ryan.- Terence si schiarì la voce.- Ti ringrazio.- concluse.

-Di niente.- sorrisi tra me.

-Vuoi farmi altre domande?- chiese, poi.

-Mhm…- ci pensai un po’.- Come ti sei fatto la cicatrice sopra il labbro?- mi ricordai di chiedergli.

-Da piccolo caddi dalla bici, andando a sbattere con il viso su una pietra, la cui punta mi tagliò la parte sopra il labbro. Ti soddisfa la mia risposta?

-Direi di sì.- risposi.

-Bene. Ora è il mio turno: Pensi che io sia bello? Sai la prima volta che te l’ho chiesto, tu mi hai risposto…

-Sì ricordo cosa ti ho risposto.- risi.- E sì, ti ritengo bello Terence Ashling.

Terence rise, di una risata cristallina, pulita, felice.

-Oh finalmente l’hai ammesso.

-Ehi non gasarti troppo adesso!- risi.- Non hai un carattere facile, è vero, ma la tua interiorità mi sembra abbastanza bella da poter dire lo stesso della tua esteriorità.- sorrisi, sentendomi un tantino imbarazzata.

Non mi piaceva espormi così tanto con i ragazzi.

-Bene. – sospirò.- Ora se vuoi e non hai altre domande, puoi accendere la luce, scusami se ti ho fatto stare al buio per così tanto tempo.

-Ma no, in fondo il do ut des non è durato poi molto. Vado ad accendere il lume allora.- così detto, mi alzai.

Una volta in piedi, però, mi bloccai. Mi sentivo strana, e molto confusa. Un conto era stare al buio, seduta, con quindi una solida base a sostenermi, un conto era stare senza alcun appoggio, se non il pavimento, con attorno solo il buio. Mi sembrava di non avere neanche equilibrio.

-Terence, è normale che non riesca a muovermi?

-In che senso, Jane?- sentii il suo tono preoccupato.

-Non saprei… ma ora che sono in piedi ho paura a camminare. Vedo solo il buio attorno a me e non riesco a ricordare dov’è l’interruttore della luce.

-Ah, capisco… tranquilla, è un piccolo attacco di ansia. Non sei abituata a stare a lungo al buio, se non quando dormi, e quindi ora ti senti spaesata, ma non è nulla di preoccupante. Ora fai un bel respiro e tendi le mani davanti a te.

Feci come mi aveva detto, poi dopo pochi secondi, sentii la sua presenza vicina.

-Ora Jane, concentrati, usa la tua memoria fotografica: dov’è il lume nel tuo salotto? Accanto alla porta di ingresso? Vicino all’appendi abiti? Al divano? Pensaci con calma.

Cercai di concentrarmi. Ripensai al soggiorno e ai suoi vari mobili. Poi mi ricordai.

-Okay ci sono.- dissi iniziando a camminare.

Terence era al mio fianco e, quando passo dopo passo, toccai con la gamba il lume, tesi una mano di fronte a me, accendendone l’interruttore.

E luce fu.

-Fatto! Ho acceso a luce.- dissi, notando Terence molto vicino a me.

-Bene.- rispose indietreggiando di qualche passo.

-Grazie per l’aiuto. Davvero, è stata strana come sensazione!

-Lo so, ti posso capire. – abbassò il capo.

-Facciamo qualche altra chiacchera?- proposi.

-Più che parlare ti va di giocare a scacchi? Ho un app sul cellulare fatta appositamente per i non vedenti.

-Non gioco a scacchi da quando ero piccola, ma ci sto.- sorrisi, riaccompagnandolo sul divano.

Il tempo passò così! Sfidandoci, chiacchierando e mangiando dei pop corn che avevo scelto di cucinare per cena.

Quando arrivarono le 21.00 la suoneria del suo cellulare mi svegliò dallo stato in cui versavo: uno stato in cui eravamo solo noi due a divertirci e in cui potevo essergli molto vicina, osservando il colore dei suoi occhi e sentire il suo fresco profumo.

-Harrison, arrivo subito.- rispose alla chiamata. -E’ arrivato il mio autista…- lasciò la frase in sospeso. Poi si alzò.

-Già, ho sentito.- ridacchiai.- Bene… allora…

-Grazie.- mi interruppe.- E’ stata una bella giornata. Cucini molto bene e sei stata simpatica come sempre, Jane.- sorrise lievemente.

-Grazie a te per aver accettato e per avermi raccontato dei momenti personali della tua vita.

Lo guidai poi vicino all’attaccapanni e lo aiutai ad infilare il suo giubbotto. Una volta pronto, aprii la porta d’ingresso.

-Buon viaggio, e se ti va… telefonami ogni tanto.- lo guardai.

-Non starò mica via un mese.- rise.- Comunque, volentieri. Ti telefonerò appena ne avrò occasione.

-Okay. – gli risposi.

-Mi sei di fronte Jane?- domandò, poco dopo.

-Sì…- risposi, non capendo la sua domanda.

-Posso fare una cosa Jane?- mi sorprese, chiedendomi.

-Cosa?

Terence non rispose nulla. Tese solo la mano di fronte a sé, e quando sfiorò la mia guancia, l’accarezzò con delicatezza.

-Questo.- sorrise, ritraendo la mano.

Poi, arrivò Harrison.

-Eccomi signore.- gli fece il suo autista, posandogli una mano sul braccio.

-A presto, Jane.- mi salutò.

-A presto.- lo salutai.

Quando chiusi la porta di ingresso, mi ci appoggiai sopra qualche istante, toccandomi la guancia che Terence aveva accarezzato e sorridendo tra me e me. Menomale che non voleva che nessuno gli si affezionasse!

***

Il lunedì mattina mi svegliai una mezz’ora più tardi del solito. Oggi il Giornale apriva più tardi, perché  George doveva incontrare dei famosi stilisti per stipulare degli accordi e quando aveva incontri di questo tipo, preferiva che non fosse presente nessun dipendente per evitare eventuali indiscrezioni.

Dopo la doccia, andai a far colazione e dopo essermi vestita uscii per andare a lavoro.  Abbie era uscita già prima di me.

Al Giornale c’era fermento come sempre: relle di abiti che scorrevano a destra e a sinistra, fotografi con al collo mille macchine fotografiche e modelli che sfilavano neanche fossero in passerella.

Salii al piano del mio ufficio, trovando i miei colleghi intenti a lavorare o a fare colazione con ciambelle fritte e caffè di Starbucks.

-Buongiorno.- salutai, prendendo posto e accendendo il mio pc.

Oggi avevo intenzione di portare a conclusione un articolo su una paio di dècolletès Pigalle rigorosamente Christian Louboutin, rosa cipria e dall’inconfondibile suola rossa. Scarpe icona di questa griffe il cui nome derivava da una strada francese, sede dell’atelier del noto stilista.

Aprii la pagina word e insieme ad essa anche una mail, inviatami da un collega del primo piano, con le foto inerenti a queste scarpe. Tra le tante notai una in cui vi era Mary Anne. Era seduta su un divano di pelle rossa, in una stanza bianca, circondata da luce e addosso aveva un abito verde che metteva in risalto la carnagione lattea e le scarpe alte, dalla suola rossa.

Feci zoom sul suo volto notando come gli effetti di Photoshop e il tanto trucco la rendessero quasi carina. Avevo detto quasi, eh!

Poi, ritornando ad altre foto notai una che mi lasciò un po’ perplessa. C’era sempre Mary Anne, ma non era sola. Guardava sorridente Christopher Wilson, il quale indossava solo i jeans Calvin Klein e un giubbotto del medesimo materiale sul petto nudo.

Avevano entrambi gli occhi luminosi e si guardavano sorridenti come potrebbero guardarsi solo due persone molte amiche. Ma, forse era solo una mia impressione.

Decisi di non pensarci e tornai a scrivere.

-Sapete anche io e Arabella stiamo pensando al matrimonio.- fece Steve, due ore dopo.

Il “tic tic” dei tasti della tastiera premuti freneticamente da noi giornalisti, fu sostituito da un “cosa?” quasi urlato di Vincent.

Fermammo tutti i nostri lavori e ci voltammo a guardare il nostro collega che, paonazzo, guardava verso il basso.

-Dici davvero caro?- gli domandò Freddie alzandosi e avvicinandosi a lui.

-Sì… cioè… niente è ancora deciso, ma come sapete stiamo insieme da tanto e anche se spesso litighiamo, sappiamo che il nostro è vero amore e poi…

-Ma che bella notizia, tesoro!- lo interruppe Barbara, andando ad abbracciarlo.- Però, se è possibile fatelo dopo di me.- ridacchiò.

-Oh sì certo.- fece imbarazzato il mio collega.- Ripeto, non è ancora deciso nulla, al momento è solo un’idea.

-E’ una bella notizia Steve.- gli sorrisi.

-Grazie, grazie a tutti.- sorrise cordiale.

-A proposito, Barbara…- continuò Price,- E il tuo di matrimonio? Hai scelto la location e la data?

Ora i riflettori erano accessi sulla mia collega.

-Per la data, abbiamo deciso il venti dicembre. Per la location, ci stiamo organizzando. Non pensate sia nulla di troppo sfarzoso, però.- si aggiustò un ricciolo biondo dietro l’orecchio.- vi arriverà l’invito ufficiale la settima prossima o l’altra e … oh, non so se ve l’ho detto, ma ovviamente siete liberi di venire accompagnati da chi vi aggrada.- sorrise.

-Non vedo l’ora.- le dissi, curvando la labbra.

-Bene, bene! Basta con queste smancerie adesso. Torniamo a lavoro.- ci rimbeccò Price. Il solito antipatico!

***

Durante l’ora di pranzo, decisi di rimanere in ufficio. Avrei consumato un tramezzino e una mela che mi ero portata da casa, e avrei concluso l’articolo per poi iniziare quello sulle Youpi Patent,altro modello dello stilista francese, ai più molto costoso.

Quando iniziai a scartare la carta del mio panino, però, sentii qualcuno bussare alla porta del mio ufficio.

-Posso?- domandò un affascinante Christopher Wilson.

Indossava una camicia bianca sopra dei Jeans Klein e delle scarpe stringate che avrei osato dire essere proprio delle Louboutin.

-Certo.- gli sorrisi educata.

-Ciao Jane. Come stai?- mi chiese avvicinandosi alla mia scrivania.- Speravo di trovarti in ufficio, perché vorrei portarti a pranzo fuori.- osservò prima me e poi il mio panino scartato a mezz’aria.

-Oh…- feci sorpresa. Non lo vedevo da due giorni prima e non mi aspettavo questo invito.

Se in un primo momento mi balenò l’idea di rifiutare, poi ripensai alle parole di Abbie, sul fare ingelosire Terence.

-Non molli mai, eh?- lo guardai.

-Perché dovrei?- fece un sorriso sghembo.

-Se accetto, lo faccio solo in qualità di amica, però…- sorrisi.

-Certo! E poi… i migliori amori nascono dalle amicizie.- mi fece l’occhiolino.

-Corri troppo, Christopher Wilson.- sollevai le sopracciglia.- Comunque, va bene. Andiamo adesso?

-Certo.- mi tese la sua mano.

Chiusi il panino nuovamente nella carta argentata e , spento il computer, uscii dall’ufficio.

 

Andammo a mangiare nello stesso ristorante in cui andammo tempo prima, vicino al Giornale. Optai per un’ insalata di riso e del vino bianco.

-Sono contento che tu abbia accettato il mio invito.- mi guardò Wilson.

I suoi occhi grigi erano profondi e brillanti e mi guardava come io guarderei una borsa Valentino.

Annuii con la testa, leggermente in imbarazzo.

-Senti Christopher… posso farti una domanda?- gli chiesi.

-Chiedimi quello che vuoi Jane.- fece un mezzo sorriso.

Chissà se faceva così con tutte le donne con cui usciva. I suoi sorrisi, e i suoi sguardi profondi erano ammalianti, ma non sapevo se fossero sinceri.

-Sì beh… ecco… oggi stavo concludendo un articolo su un paio di Louboutin e, ho notato tra le foto che mi sono state inviate, una foto ritraente te e Mary Anne, una modella che penso conoscerai bene. Vi guardavate come se foste amici da tanto… quindi mi chiedevo se per caso la conosci.- lo guardai.

Di tutta risposta Wilson abbassò lo sguardo ,mordendosi le labbra.

-Se intendi Mary Anne Williams, capelli biondi e occhi azzurri, dire che siamo amici mi sembra troppo, ma la conosco da un po’.- riprese a guardarmi.- abbiamo lavorato già per altre campagne insieme e quindi abbiamo più intesa quando ci chiedono di posare. Ma, non devi preoccuparti, Jane. A me piaci solo tu.

Mi sentii arrossire un po’ a questa sua ultima frase.

-No, Christopher… credo tu abbia frainteso. La mia non era gelosia, ma pura e semplice curiosità. La conosco e volevo sapere quale rapporto intercorresse tra voi due, nulla di più, nulla di meno.

-Capisco.- sospirò.

Poco dopo arrivarono le nostre portate e iniziammo a mangiare.

-Posso fartela io una domanda, adesso?- mi chiese.

Bevvi un po’ del mio vino e annuii con la testa.

-Cosa ti piace del ragazzo cieco?

Per poco il vino non mi andò di traverso. Presi a tossire.

-Tante cose.- gli risposi, dopo aver ripreso a respirare.- E’ molto carino fisicamente e ha un carattere che mi affascina. Pensi che solo perché è cieco, non dovrebbe piacermi?

-Assolutamente no! Non credermi così frivolo Jane, è solo che… non so, secondo me meriti di meglio.

Lo guardai corrugando la fronte. Volevo capire cosa gli passasse per la mente.

-Me l’hai già detta questa frase, ma non ho ancora capito cosa intendi per “di meglio”. Mi dici che il fatto che sia cieco non implica che non possa piacermi, poi però lo sminuisci con le tue parole. E’ un ragazzo bello, intelligente , divertente e ha tante qualità. - lo guardai dritto negli occhi.

-Dico solo che non credo abbia un bel carattere. Ho fatto delle ricerche sul suo conto e la sua famiglia è snob e nasconde segreti…

-E come hai fatto a fare delle ricerche sul suo conto, se la prima volta che l’hai visto è stata sabato fuori il Giornale?- lo sfidai con lo sguardo.

-Ho chiesto semplicemente in giro e mi hanno risposto. D’altronde non tutti ad Edimburgo possono permettersi di andare in giro con una Lamborghini Reventon.- prese a bere dal suo bicchiere.

-In ogni caso, a me piace e credo che questa sia l’unica cosa che conta.- iniziai a mangiare.

Di risposta, il modello annuì, mordendosi le labbra.

Una ventina di minuti dopo, eravamo fuori dal ristorante, diretti al nostro lavoro.

-Ti chiedo scusa se sono risultato così… invadente, ma… mi piaci davvero Jane e … vorrei solo che tu guardassi anche a me.- fece quando ormai eravamo vicini al Giornale.

-Non mi conosci neanche tanto e dichiari sempre che ti piaccio tanto, Christopher. Come ti ho detto a me piace un altro ragazzo ma, se vuoi possiamo uscire insieme come amici.- gli dissi, prima di aprire la porta di ingresso dell’ Edinburgh Fashion Magazine.

-Al momento mi va bene.- mi sorrise.- quindi non ci sono problemi se ci incontriamo venerdì e andiamo a teatro insieme? Giusto ieri mi sono stati regalati due biglietti, per andare a vedere Macbeth al Traverse Theatre

Lo guardai.

-Perché no!- gli sorrisi.

In fondo questa settimana non sarei potuta uscire neanche con Terence, essendo lui a Toronto. Ma, a proposito di Terence, non mi aveva ancora telefonato. Non mi aveva fatto sapere se era arrivato o meno, com’era andato il viaggio o altro. Decisi di non darci troppo peso, poiché infondo era andato lì per lavoro, quindi forse non aveva ancora avuto modo di contattarmi.

Dieci minuti dopo ero già a lavoro nel mio ufficio.

***

Tornai a casa molto stanca. L’articolo sul modello Pigalle era stato concluso e l’avevo posto anche al vaglio di George, ricevendo da lui qualche ammonimento e qualche correzione.

-Ti va una fettina di pollo e dell’insalata, Jane?- mi propose Abbie, uscendo dalla cucina.

-Sì, certo. Vuoi una mano?

-Se vuoi tu prepara l’insalata e io arrostisco la carne.- disse, rientrando in cucina.

-Perfetto.

Mi infilai il grembiule e iniziai a preparare parte di ciò che sarebbe stata la nostra cena.

-Venerdì vado a teatro con il modello.- le dissi iniziando a tagliare i pomodori.

-Ah sì? Quindi hai ascoltato il mio consiglio! Hai sottolineato il fatto che le vostre uscite saranno da amici?

-Sì, l’ho fatto. Si è mostrato consenziente, pur sottolineando più volte il fatto che io gli piaccia.

-E’ tenace, eh? Non so se sia un pregio o un difetto. In ogni caso, che andrete a vedere?

-Macbeth.- iniziai a tagliare la lattuga.- Almeno lo spettacolo si prospetta interessante, spero solo che non venga assalito da qualche fan come quel giorno al cinema.

Abbie ridacchiò.

-E con Terence? Ti ha detto nulla del suo arrivo a Toronto?- domandò poi.

-Purtroppo no! Ieri mi ha detto che mi avrebbe telefonato, appena ne avrebbe avuto l’occasione. Immagino che sia impegnato con il lavoro. Mi disse, tempo fa, che il padre l’ha costretto a laurearsi in economia e ha sottolineato come questo viaggio non lo faccia per piacere, quindi suppongo non abbia avuto il tempo per telefonarmi.

-Sarà sicuramene così, tranquilla! Comunque la sua famiglia deve essere molto particolare… voglio dire, il padre, da quel che mi racconti, è un uomo un po’ duro con suo figlio. Forzarlo a laurearsi in un settore, solo per costringerlo a lavorare con sé non mi sembra una bella cosa. E poi, se ti ha detto che anni fa si diede al pugilato per fuggire da un qualcosa che lo faceva soffrire, qualcosa significherà.- iniziò a girare la carne in padella.

-Sì infatti. Della sua famiglia, non vuole parlarmi… quindi non so cosa pensare. Ricordo che mi prima di rispondere alla mia domanda, mi ha detto che il perché sia diventato cieco è legato alla sua famiglia, quindi…

-Chissà.- fu la sua risposta.

-Comunque non ti ho detto che il modello mi ha chiesto come mai mi piaccia Terence. Ha sottolineato, inoltre, che a lui non convince per via di alcune ricerche che ha fatto.- conclusi di preparare l’insalata.

-Ha fatto addirittura delle ricerche su Terence? Deve essere davvero tanto interessato a te.- disse più a se stessa che a me.- Tu, invece, persisti con l’idea di non fare alcuna ricerca su di lui, sul web? Qualcosa la troveresti sicuramente.- spense il fuoco.

-No, assolutamente. Aspetterò che me ne parli lui. Non mi sembrerebbe corretto nei suo confronti, spiare la sua vita privata su internet.

-Giusto, sono d’accordo!

Così detto, preparammo la tavola e iniziammo la nostra cena.

Quando arrivarono le dieci, decidemmo di mangiare un po’ di gelato sul divano del salotto, facendo un po’ di zapping in tv e facendo altre chiacchiere prima di andare a dormire.

-La mia collega Barbara ha deciso la data del suo matrimonio.- esordii dopo un po’.

-Ah sì?- mi guardò la mia amica, gustando del gelato al cioccolato.

-Sì! Il 20 dicembre.

-Mhm figo, vicino al Natale! Vorrà dire che per quel giorno dovrò prendere una giornata libera dal lavoro. Ricordo che Barbara desiderava che io le scattassi delle foto.- mi sorrise.

Annuii con la testa sorridendole.

-E con Thomas, tutto bene?- le domandai, poi.

-Yes, baby! Sabato andiamo a cena fuori. Mi porta ad un ristorante giapponese che si è aperto in Blair Street.- concluse, con gli occhi brillanti.- E poi la settimana prossima…- si fermò guardandomi.

-Sì?- la incitai, aggrottando le sopracciglia.

-Mi porta a conoscere i suoi genitori per la prima volta.- strillò entusiasta.

-Oddio.- le sorrisi a trentadue denti.- E’ magnifico, Abbie. La vostra relazione si fa sempre più forte.- constatai.

Ero davvero molto, ma molto felice per lei. Se lo meritava tanto!

Quando arrivarono le undici, decidemmo di andare a letto, così ci demmo la buonanotte e ci augurammo a vicenda di fare dei bei sogni.

Quando, però, mi misi a letto, notai lo screen del mio cellulare lampeggiare. Era arrivato un messaggio.

Con il cuore in gola, l’aprii, notando che circa due ore prima mi era arrivato un messaggio di Terence. Prima di cena, avevo lasciato il mio Nokia sul comodino! Che sciocca!

Nel messaggio, Terence si scusava per non essersi fatto sentire per tutto il giorno, sottolineando, come avevo immaginato, che era stato impegnato con questioni lavorative e mi diceva che il viaggio era andato bene. Mi salutava augurandomi la buonanotte, e scrivendomi che domani mi avrebbe telefonato.

“Non preoccuparti, l’avevo immaginato. Buonanotte anche a te! A domani. - Jane”- fu la mia risposta.

Poco dopo, mi addormentai, con il volto sorridente.

 

***

Il martedì, il mercoledì e il giovedì trascorsero in maniera piuttosto monotona e quando arrivò il venerdì, ammetto che avrei desiderato la monotonia dei giorni precedenti, più del nervosismo pre appuntamento con Wilson che mi pervadeva. Ero consapevole che essere nervosi per un appuntamento da “amica” con un ragazzo che non mi piaceva, non era necessario, ma dopo il nostro scorso incontro al cinema, con tanti di assalimento di fan del modello, ero un po’ tesa. Soprattutto perché ero consapevole che a Christopher io piacessi, e non come amica.

Quando finii il mio turno e tornai a casa, mi feci una doccia e scelsi l’outfit che avrei indossato. Niente di troppo appariscente e esagerato, ovviamente, ma dovendo andare a teatro, optai per qualcosa di più elegante. Scelsi un paio di jeans a palazzo impreziositi da qualche piccola pietra verde cucita sulle tasche, un top nero e una giacca color petrolio a bottoni dorati che abbinai a una collana molto semplice. Come scarpe vinse la comodità e indossai un paio di stringate di vernice nera.

Una volta che fui pronta, attesi l’arrivo del modello guardando un po’ di tv. Abbie non era in casa a causa di una cena di lavoro improvvisata all’ultimo minuto e ora mi ritrovavo sola con i miei pensieri, immaginando come sarebbe andata la serata.

Qualche minuto dopo il mio cellulare squillò. Era arrivato.

Chiusi a chiave la porta di ingresso e mi avviai verso l’automobile di Wilson che, mi aspettava appoggiato allo sportello della sua Peugeot nera. Indossava uno smoking con uno soprabito scuro.

-Buonasera Jane.- mi aprì la sua macchina.

-Buonasera.- risposi, accomodandomi nell’abitacolo profumato del veicolo.

Una volta che Christopher si mise la cintura di sicurezza, il viaggio partì.

-Hai mai visto Macbeth?- mi domandò.

-A dir la verità no! Ma conosco la trama.- gli risposi, guardando il finestrino.

-Per noi scozzesi è d’obbligo questo spettacolo.- aggiunse.

Annuii con il capo.

-Mi piace come ti sei vestita.

-Davvero?- mi voltai a guardarlo.

-Certo. E io di moda me ne intendo.- si voltò verso di me per un attimo.- Mi piace il fatto che tu abbia optato un abbinamento semplice e casual ma allo stesso tempo elegante. In più sei la prima ragazza con cui esco che non indossa un paio di scarpe con il tacco. Devo proprio non piacerti, eh?- ridacchiò.

-Perché non indossare scarpe con il tacco è segno di poco interesse verso un uomo? Con questo non voglio dire che tu mi piaccia… nel senso che… sai che ti vedo solo come un possibile amico, perché ho nel cuore già un altro. Comunque, io preferisco sempre un paio di scarpe basse ad un paio con il tacco.- gli risposi.

-Capisco.- sorrise.

-Comunque,- aggiunsi.- Se posso chiedertelo, con quante ragazze tu sei uscito?- gli domandai, guardando il suo profilo.

-Vuoi davvero saperlo?- svoltò in una strada.- beh con molte, ma… non tutte hanno fatto breccia nel mio cuore.- si voltò a guardarmi per pochi secondi.

“Troppo smielato e troppo principe azzurro” pensai.

-Capisco.- risposi con la sua stessa risposta di prima.

Dopodiché il viaggio continuò in maniera silenziosa e una quindicina di minuti dopo arrivammo.

C’era una folla piuttosto numerosa davanti alla biglietteria del Traverse Theatre, ma proprio quando stavo per disperarmi al pensiero di dover attendere per troppo tempo all’aria, ormai fredda di Edimburgo, il modello mi prese par mano avvicinandosi alla cassa, sotto il disappunto delle altre persone.

Mostrò i suoi biglietti su cui svettava a caratteri argentati la scritta ‘VIP’, e dopo poco fummo dentro.

-Vip, eh?- gli feci notare, slegando le nostre mani.

-Sì.- ridacchiò.- come ti ho detto, mi sono stati regalati.- mi sorrise.

Alla luce del teatro mi accorsi che aveva i capelli portati all’indietro con del gel e la barba era tagliata a regola d’arte.

-E chi te li ha regalati?- domandai, iniziando a camminare insieme a lui.

Sembrava conoscere molto bene l’ambiente.

-Un’agente che ogni tanto ci ingaggia per qualche casa di moda.

-Ma…- ci pensai un attimo.- Ciò significa che potrebbero starci anche altri modelli?

-Beh…- Wilson mi guardò,- sì. E’ probabile. Ognuno era libero di venire o meno, quindi è possibile che ci siano altri modelli. Ma, tranquilla Jane, nessuno ci disturberà. Non ci sono giornalisti o scocciatori di alcun tipo. – mi fece l’occhiolino.

-E se qualche fan dovesse infastidirci, come quella volta al cinema,- o dovevo dire infastidirmi,- come reagirai?

-Non le darò attenzione. Ma non credo succederà, essendoci anche altri modelli oggi ci sarà anche più attenzione da parte del servizio di sicurezza.

Sperai che avesse ragione.

Poco dopo, giungemmo ad una sala. C’erano numerosi sedili, alcuni dei quali ancora vuoti, e circa due metri più avanti la prima fila, si stagliava un vasto palcoscenico in legno, circondato da pesanti tende in velluto rosso.

I nostri posti erano in seconda fila e, una volta che prendemmo posto, notai accanto a me donne e uomini dalla bellezza paradisiaca. Dovevano essere sicuramente modelli e modelle.

-Sei bellissima stasera, Jane.

Mi voltai verso Christopher che, probabilmente aveva notato il modo in cui stavo guardando una modella bionda al mio fianco.

Involontariamente sentii le mie guance imporporarsi.

-Ti ringrazio.- gli risposi, guardandolo solo un attimo negli occhi.

Quando la sala si riempì completamente ci vollero pochi minuti prima che lo spettacolo iniziasse. Era la prima volta che vedevo una tragedia recitata a teatro ed era la primaa volta che la seguivo da un posto così vicino al palco.

Lo spettacolo dura all’incirca due ore e quando gli attori unirono le loro mani inchinandosi davanti al pubblico, tutti, me compresa, si alzarono in piedi applaudendo. Era stata un’opera davvero magnifica e a tratti anche commovente. Mi era piaciuta davvero un sacco!

Non appena fummo fuori dalla sala, Christopher si fermò a parlare con un paio di colleghi che, per fortuna si mostrarono abbastanza discreti da non fare al modello domande su chi fossi. Io, preferii allontanarmi da loro e avvicinarmi a guardare le diverse locandine dei spettacoli che sarebbero stati messi in scena in questo teatro.

Notai che sarebbero stati recitati diversi drammi, tra cui Romeo e Giulietta, La signora delle camelie e Madama Butterfly.

-Jane Ryan, sei davvero tu?- sentii una voce chiamarmi.

Mi voltai trovandomi di fronte due occhi azzurro ghiaccio e un sorriso di scherno.

-Mary Anne.- la guardai.

-Che ci fai tu qui?- mi domandò, voltando il capo a destra e a sinistra. Stava cercando di capire chi fosse il mio accompagnatore.

-Sono venuta a vedere uno spettacolo. Non vedo nulla di strano!- le risposi.

Notai, poi, con la coda dell’occhio, Wilson avvicinarsi. Ecco! La frittata era fatta ormai!

-Jane.- mi cinse le spalle il modello, appena mi si avvicinò.

Cercai di divincolarmi dalla sua stretta, ma non ci riuscii.

-Wilson, quale piacere.- Mary Anne lo guardò negli occhi, con una strana luce.

-Mary Anne Williams, il piacere è tutto mio. – le baciò la mano destra.- Ti presento Jane Ryan, una mia amica. Ma, credo la conoscerai già, lavorando allo stesso Giornale.

-Certo che ci conosciamo già, vero Jane cara?

Annuii con il capo, stringendo i denti. Avrei accettato che tutti mi guardassero in compagnia del modello, ma non questa oca giuliva, interessata al bottino di Terence più di ogni altra cosa.

-Bene, scusaci ma ora dobbiamo andare Mary Anne. E’ stato un piacere.- Wilson la salutò con mia somma gioia, prendendomi per mano.

-Ciao Wilson, ciao Jane cara, a presto.- la strega ci salutò muovendo le dita della mano.

Ricambiai il saluto con un freddo “buonasera” e seguii Wilson.

-Gli amici non dovrebbero prendersi per mano.-  ricordai al modello quando fummo lontani dalla Williams.

-Oh lo so Jane, ma nella hall ci sono troppe persone e non vorrei perderti. Piuttosto, ti va di cenare con me? Niente di romantico, tranquilla.- si voltò un attimo verso di me, sorridendomi.

Guardai l’orologio legato al polso, notando che erano già le undici.

-Domani è sabato e non c’è lavoro.- osservò, forse avendomi guardato osservare l’orario.

Mi sembrava poco carino rifiutare l’invito, infondo non si era comportato male e nessuna fan aveva disturbato la serata.

-Va bene.- accettai, dunque.

***

Dopo una cena a base di salmone, frutta di stagione e dessert al cioccolato, condita con qualche domanda del modello, adesso Christopher mi stava riaccompagnando a casa.

-Spero che lo spettacolo ti sia piaciuto.- mi disse ad un semaforo.

-Molto. Ti ringrazio per avermi invitato.

-E di che! Grazie a te per aver accettato.

Poco dopo, il viaggio ripartì e una decina di minuti dopo ci ritrovammo davanti la porta della casa mia.

-Beh… allora ci vediamo lunedì al Giornale.- lo guardai negli occhi, posando la mano sulla maniglia dello sportello.

-Ci vediamo lunedì, Jane. Spero che la serata ti sia piaciuta. Buonanotte.- mi tese la sua mano.

Gliela strinsi ma prima che potessi liberare la presa, me la baciò, come aveva fatto prima con Mary Anne.

Gli feci un debole sorriso e uscii.

Seppur fosse stato troppo sdolcinato e un po’ troppo “confettoso” per i miei gusti, la serata con Christopher Wilson non era andata tanto male!

***

Il sabato mattina mi svegliai alle dieci, vista la lunga serata trascorsa il giorno prima e visto il fatto che oggi non dovessi andare a lavoro.

La prima cosa che feci fu quella di accendere il mio cellulare. Notai subito un messaggio di Terence risalente a ieri sera che, per la troppa stanchezza non lessi. Mi precipitai quindi a leggerlo.

Buonanotte Jane Ryan! Spero tu abbia avuto una giornata abbastanza buona da compensare la mia. Purtroppo, sono venuto a conoscenza di cose che temevo che sarebbero successe ma che speravo non accadessero mai. Ti dirò tutto al mio ritorno, e spero che, se in questi giorni tu dovessi venire a conoscenza di certi fatti riguardanti me, a causa di  radio o giornali (come sono quasi sicuro) tu non darai credito a tutto ciò che sentirai.

Dubito che domani potremo sentirci, per cui non mi resta che augurarti un buon weekend. A lunedì, giornata in cui farò ritorno nella mia bellissima Edimburgo.

Terence

Rilessi il messaggio almeno tre volte, mettendomi a sedere sul letto e passandomi nervosamente una mano nei capelli.

Cosa intendeva con “cose che temeva sarebbero successe” e con il fatto che ne sarei venuta a conoscenza tramite mass media? Non so perché, iniziai a sentirmi preoccupata.

Speravo non c’entrasse la sua salute.

Decisi, così, di alzarmi per andarmi a consultare con Abbie, a quest’ora sicuramente già sveglia.

Andai in cucina e , come immaginavo, trovai la mia amica intenta a preparare il caffè per la colazione.

-Buongiorno.- cercai di sorriderle, malgrado le parole di Terence lampeggianti nella mia mente.

-Buongiorno.- rispose la mia amica, un po’ pallida.

Era seria e mi guardava come se le dispiacesse per me.

-E’ successo qualcosa?- le domandai allarmata.

Ma cosa cavolo era successo?

-Prima pagina del giornale.- mi indicò con il capo una copia piegata dell’ Edinburgh Evening News presente sul tavolo.

-Non sapevo leggessimo il giornale, la mattina.- osservai avvicinandomi lentamente alla tavola.

-E’ venuto Tom a portarmene una copia, un paio di ore fa.- rispose.

La guardai per un attimo e poi, aprii il giornale.

Grandi notizie per due delle famiglie più ricche di Edimburgo! Fonti attendibili, infatti, hanno raccontato alla redazione del Giornale che ieri al “Toronto Congress centre”, noto palazzo di congressi nella città canadese di Toronto, sia stato firmato un accordo tra i grandi magnati Ashling e Campbell. Da oggi, non a caso, la Ashling Corporation e la Campbell Enterprice sono due pilastri dell’economia scozzese affiliati tra loro. A mettere la ciliegina sulla torta, ci sarebbe il fatto che affinché i progetti delle due famiglie vengano messi a completo compimento, i loro figli, Terence Ashling (in basso la foto) e Tessa Campbell abbiano deciso di ufficializzare la loro relazione, ai  media tenuta ben nascosta in tutti questi anni, con un fidanzamento.

Al momento non ci sono giunte altre informazioni in merito ma…

Smisi di leggere, sentendo un grande vuoto all’altezza del cuore.

CONTINUA…

Za-za-za-zan… xD

Ciaoo ragazze!! Eccoci finalmente al tredicesimo capitolo!!

Vi ho fatto aspettare parecchio, eh? Spero possiate perdonarmi, ma ho sostenuto la maturità in queste settimane e tra mancanza di ispirazione, tempo e stanchezza, sono riuscita a scrivere il capitolo solo a metà luglio e a pubblicarlo solo oggi! Spero che almeno la lunga attesa sia valsa a farvi leggere un capitolo decente.

 Effettivamente succedono diverse cose e sappiamo un po’ di cosucce interessanti. Terence è diventato cieco a causa di un incontro di pugilato andato male, ma… perché boxava? E poi... siete rimasti sorpesi come Jane, nell'apprendere che il nostro protagonista ha perso la vista in questo modo? Spero di avervi sorpreso! Christopher Wilson si fa sempre più insistente e si viene a scoprire che tra lui e Mary Anne potrebbe esserci un piccolo legame… e infine, ma non per importanza ,sappiamo che a quanto pare, Terence si è fidanzato con una certa Tessa Campbell. Ma come è possibile? Non era il primo a non volere donne accanto? Cosa sarà successo?

Lo so, lo so… troppi dubbi, e troppe domande. Vedremo di rispondere a tutte nelle prossime puntate xD

A proposito di prossime puntate… in questi giorni stavo giusto pensando a quanti altri capitoli scrivere per “Ad occhi chiusi” e se tutto va bene, potrebbero volercene quattro o cinque alla conclusione. Spero di non farvi attendere troppo, come mio solito -_-‘’

Una cosa importante che quasi dimenticavo di scrivervi è che, per quanto riguarda la questione in cui Terence spiega di essere diventato cieco a causa di un’ ematoma cerebrale che gli ha intaccato il nervo ottico, ho chiesto consiglio a madre, che lavora in ospedale. Non è un medico ma mi ha dato qualche dritta! Chiedo scusa se magari, dal punto di vista medico ciò che ho scritto non è corretto, ma è utile ai fini della storia ;)

Bene! Ora è giunto il mio momento preferito: quello dei ringraziamenti! Ringrazio dunque : marioasi, romy2007,vieniesorprendimi, e harrythepooh per le magnifiche recensioni allo scorso capitolo! Un bacione grande <3

Un grazie speciale anche a : Wallflower19, guticamina , AlanorHaner, martnaxjb_, valy72,_KillyourDarlings, Justine, desire2011, MariaAngela64, piano, Semrawit43, pinkprincess, harrythepooh e CinziaCullen per aver aggiunto la mia storia alle seguite! Siete tantissime! Grazie di cuore <3

Un grazie speciale anche a : allemari, la sopracitata valy72, e matt1 per aver inserito “Ad occhi chiusi” nelle proprie ricordate. Un bacione <3

E infine grazie mille a : feddiez, Dreamer_14, e Severus e Lily per averla aggiunta alle preferite. Un bacione anche a voi <3

Vi ringrazio per leggere sempre la mia storia, e per non abbandonarmi mai sebbene gli immensi ritardi! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e spero di leggere qualche vostra opinione. Un bacione e alla prossima <3

Novalis

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Quattordici

A volte siamo preda di una sensazione di tristezza che non riusciamo a controllare. Intuiamo che l’istante magico di quel giorno è passato e noi non abbiamo fatto niente. Allora la vita nasconde la sua magia e la sua arte.
(Paulo Coelho)

 

 http://67.media.tumblr.com/tumblr_m95ztdqEhO1rtzlzf.gif

Mi sedetti sulla sedia più vicino a me, sospirando e posando la copia del giornale sul tavolo.

-Baby, ti senti bene?- mi chiese Abbie, piegandosi sulle ginocchia e guardandomi negli occhi.

-Non lo so.- ammisi.- Proprio prima di leggere questa notizia, volevo farti vedere questo.- le porsi il mio smartphone acceso alla schermata dei messaggi.

La mia amica lesse ciò che mi aveva inviato Terence, rialzandosi poco dopo in piedi e assumendo un’ espressione pensierosa.

-Questo messaggio è molto importante, Jane. – sospirò.- Dice poco ma allo stesso tempo dice tutto. Terence scrivendoti di non tener conto di tutto ciò che sarebbe circolato su di lui, ha voluto suggerirti che ciò che avresti potuto ascoltare o leggere è una balla. In più, pensaci,  per i giornali notizie del genere sono come il formaggio per i topi.

La mia amica mi guardò negli occhi, ma sebbene volesse sembrare convincente, la sua voce trasmise molto incertezza.

-Lo so Abbie… anch’io penso che la verità non sia proprio quella scritta su questo articolo, ma…

-Ma?- mi rimbeccò la mia amica.

-Ma ho un brutto presentimento. Sento qualcosa nello stomaco… sai come quando sei in ansia per qualcosa. Probabilmente ciò che è scritto su questo giornale è enfatizzato, ma un fondo di verità ci sarà per forza.

Abbie sospirò.

-Ti ha scritto che lunedì ne parlerete, quindi per il momento non ti disperare e fatti forza.

Era più facile a dirsi che a farsi!

***

Passai il sabato e la domenica con un aspetto molto simile alla Sposa Cadavere di Tim Burton. Non mangiai molto né scrissi nulla del nuovo articolo. Mi sentivo triste e debole.

Sapevo che il mio atteggiamento poteva sembrare eccessivo se si considerava che io e Terence non eravamo fidanzati, né che ci eravamo dichiarati amore eterno, ma negli ultimi tempi le cose tra di noi stavano andando bene. Si era mostrato molte volte dolce nei miei riguardi e mi aveva persino aperto parte del suo cuore raccontandomi il motivo per cui era diventato cieco. E adesso, leggere quelle cose e prima il suo messaggio, mi facevano sentire fragile. Era come se avessi perso ogni speranza di costruire con lui qualcosa che andasse oltre l’amicizia.

-Baby, baby?- sentii la mia amica chiamarmi.

Evidentemente aveva bussato parecchie volte alla mia porta.

-Entra pure.- le dissi, attorcigliandomi meglio la coperta addosso.

-Stai scherzando, vero?- fece arrabbiata, quando aprì la porta.

-Che intendi?- borbottai.

-Sei nel tuo letto, sotto le coperte di domenica pomeriggio e mi chiedi ‘che intendi’? – i suoi occhi sparavano fiamme. Assomigliava più ad un Cyborg in questo momento.

-Cosa c’è di male?- le domandai, aggiustandomi meglio il cuscino sotto la testa.

-C’è di male che non sei malata eppure ti comporti come se lo fossi. Baby…- il suo sguardo si addolcì.- non si reagisce così quando le cose non vanno bene. Capisco che quell’articolo ti abbia spiazzata, ma ti ho già detto di non giudicare un libro dalla copertina, e che ciò che hai letto potrebbe non essere altro che un’accozzaglia di parole, scritte a opera d’arte da un giornalista impiccione.- si sedette sul mio letto.

-E io ti ho già detto che ho una  brutta sensazione! Abbie,- la guardai negli occhi.- Terence venerdì sera mi ha mandato quel messaggio, perché qualcosa è successo. – mi sentii gli occhi lucidi.- A me lui piace tantissimo e sapere che… che qualcosa potrebbe impedirmi di stare con lui… mi fa tanto male.- sussurrai, sentendo una lacrima bagnarmi una guancia.

-Oh cucciola, non fare così.- la mia amica si chinò verso di me e mi abbracciò.- Vedrai che tutto si risolverà e che tutto svanirà come una bolla di sapone.- prese ad accarezzarmi la schiena con una mano e i capelli con l’altra.

Stretta nelle sue braccia, mi sentii libera di piangere.

***

Il lunedì mattina a nulla valsero i miei tentativi di coprire le mie occhiaie. Avevo dormito poco e male nel weekend e la mia stanchezza andava ad aggiungersi alla mia tristezza.

Non avevo neanche voglia di andare a lavoro, ma preferivo distrarmi nel mio ufficio piuttosto che rimanere chiusa in casa a piangermi addosso.

Controllai numerose volte il cellulare prima di uscire di casa, ma di messaggi di Terence non ci fu neanche l’ombra.

Presi l’autobus, come al solito e ,quando arrivai al Giornale, mi fiondai immediatamente nel mio ufficio, dove accesi senza perdite di tempo il mio pc.

I miei colleghi lavoravano zelantemente ma, sentivo alcuni sguardi addosso. Si vedeva tanto che non ero al massimo?

-Oh ragazzi, quasi dimenticavo! Avete saputo degli Ashling?- fece Price, dopo un po’.

Smisi di scrivere, sentendo il sangue gelarmi nelle vene.

-Intendi il fatto che la Ashling Corporation e la Campbell Enterprice sono diventate socie?- chiese Steve.

-Yes! Ma soprattutto il fatto che Terence Ashling si sia fidanzato con Tessa Campbell. Peccato che sia cieco lui… avete visto quanto è bella lei? Certo il fatto che abbiano avuto una relazione segreta in questi anni, mi lascia molto perplesso.

-Ma solo alla bellezza estetica pensi tu?- lo rimbeccò il mio collega.

-Gli occhi sono fatti per guardare, caro mio!- rise sguaiatamente Vincent.- Comunque, ricordo che si diceva che tu conoscevi Terence, è vero ciò che si legge, Jane?

Anche se non mi mossi di un millimetro dalla mia postazione, sentii nuovamente lo sguardo di tutti pesarmi addosso.

-Non so nulla. Ora, se non vi dispiace, vado a prendere un caffè.- decisi di rispondere.

Temevo che anche a lavoro avrei sentito parlare del “neo fidanzamento”, ma fino alla fine avevo sperato che ciò non accadesse.

Rimasi di fronte alla macchinetta del caffè per qualche minuto, con il rumoreggiare dei modelli, dei fotografi e dei vari giornalisti attorno a me, finché mi sentii picchiettare la spalla da qualcuno. Non ci fu bisogno neanche di girarmi per capire chi fosse. Il confortevole suono di ciondoli appartenenti a bracciali etnici, mi fecero pensare subito a Barbara.

-Jane?

-Barbie?- mi voltai trovandomi gli occhioni di Barbara, guardarmi preoccupata.

-Stai bene? Ti vedo un po’ sciupata. Hai fatto colazione stamattina?

I suoi modi di fare quasi materni, mi fecero sorridere.

-Grazie dell’interesse Barbie. Ho mangiato e sto bene.- cercai di curvare nuovamente le mie labbra.

-Sei giù per quello che ha detto Price?

-Stai tranquilla. Sto bene, davvero.- le risposi, finendo il mio caffè.

-Mhm, per il momento faccio finta di crederci.- mi diede un pizzicotto sulla guancia.- Facciamo che ne riparliamo all’ora di pranzo? Oggi ho portato da casa una ciambella fatta da me e mi piacerebbe condividerla con te e Fred… sai anche lui è preoccupato.- mi posò una mano sulla spalla.

-Va bene.- accettai.

Non mi andava di rattristire altre persone. E poi di loro due potevo fidarmi.

Tornammo in ufficio, dopo un po’. Cercai di scrivere e di non perdere neanche un minuto. Proibii alla mia mente di pensare a quel maledetto messaggio e a quell’articolo, ma era davvero molto difficile.

Un paio di ore dopo, il ‘bip’ del mio cellulare, mi fece sobbalzare. Presi a mani tremanti il mio Nokia, trovando un SMS di Terence.

Ciao Jane,

Sono appena arrivato ad Edimburgo. Per fortuna il viaggio è andato bene, ma come ti ho accennato, ho passato una settimana non proprio rosea. Ti andrebbe di fare due chiacchiere, quando concludi il tuo orario di lavoro? Se sei d’accordo verrei a prenderti con Harrison al Giornale, e poi insieme potremmo fare una passeggiata. Ho da dirti delle cose.

Terence.

Lessi il messaggio, cercando di fermare il tremore dalla mia mano.

Accetto volentieri. Ci vediamo alle 19.00 davanti al Giornale.- Jane

Dopo avergli risposto, decisi di inoltrare  il messaggio ad Abbie, a cui aggiunsi un: “Aspettami sveglia. Quando torno, avrò sicuramente bisogno del tuo sostegno”.

***

-E’ davvero molto buono.- dissi alla mia collega, inghiottendo un piccolo pezzo del suo ciambellone allo yogurt.

Non avevo per nulla appetito, ma mi era sembrato sgarbato non assaggiare neanche un po’ del suo dolce, realmente molto buono.

-Grazie cara.- mi sorrise.

-Ora che il tuo animo si è addolcito ti va di raccontarci perché sei così giù?- continuò Freddie.

Guardare i suoi occhi grandi e cristallini mi rese ancora più triste. Mi tornarono alla mente alcuni dei momenti passati con lui e in particolare il giorno in cui mi lasciò, dicendomi di volermi tanto bene ma di non amarmi come avrei meritato, perché a lui non interessava il genere femminile. Inevitabilmente sentii i miei occhi farsi lucidi.

-Cosa vi fa pensare che non stia bene?- abbassai lo sguardo.

-Oh tesoro, ci sono tante cose che ce lo dicono. In primis il tuo volto pallido, poi le tue occhiaie che farebbero invidia ad un panda, e infine, ma non per importanza, il fatto che tu abbia abbinato un bauletto simil Prada a un foulard Desigual.- mi rispose il mio ex, aggiustandosi la montatura quadrata sul naso.

Se non fosse stato per la situazione, avrei sicuramente riso per questa sua ultima affermazione. Freddie riusciva sempre a strapparmi un sorriso ed era stata proprio questa una delle cose che mi avevano fatto innamorare di lui, anni fa.

Barbara annuì. Io sospirai.

-Beh in effetti, non sprizzo proprio gioia da tutti i pori e non sono l’allegria fatta a persona!- ammisi.- Il perché non si intuisce?

I miei colleghi si guardarono. Poi si voltarono nuovamente verso di me.

-Non crederai mica a quelle stupidate che sono scritte sui giornali sugli Ashling, no?- mi fece Freddie.

Abbassai il capo.

-Terence venerdì mi ha mandato un messaggio.- continuai.

Estrassi dalla borsa il mio cellulare e feci vedere loro cosa c’era scritto.

-Vedi? Anche Terence ti ha fatto capire che sarebbero circolate balle.-disse Freddie.

Sembrava molto preso e interessato alla faccenda.

-Lo so, ma… temo che solo una parte di ciò che è scritto su quel giornale sia una balla.- sospirai.

-Sicuramente è falso il fatto che tra Terence e tale Tessa Campbell ci sia stata una relazione in tutti questi anni, no?- mi rivolse uno sguardo Barbara.

-Sì ho pensato lo stesso. E’ la parte del fidanzamento che temo sia vera.- feci io.

Non mi ci volle molto per entrare nuovamente nella fase di tristezza acuta che mi aveva pervaso nel weekend e di conseguenza di  permettere ad una lacrima di scendere.

Da quando ero diventata così fragile? Odiavo il fatto di essermi indebolita così tanto! Da quando mia madre mi aveva abbandonata, avevo promesso a me stessa che sarei stata una persona forte, in gamba, dignitosa, con la testa sulle spalle. E ora, mi rammollivo in questo modo?

-Tesoro, ma perché piangi? Nulla di ciò che è scritto sarà vero, ne sono sicuro!- mi strinse una spalla Freddie.

-Grazie dell’appoggio ragazzi.- sorrisi loro, sincera.- Ora è il caso che torniamo a lavoro! Stasera incontrerò Terence e domani vi farò sapere.- così detto, mi asciugai gli occhi e mi alzai.

Sentii lo sguardo dei miei amici su di me.

***

Per fortuna di Christopher Wilson e di Mary Anne Williams, oggi, non si era vista neanche l’ombra, così quando scattarono le sette, salutai educatamente i miei colleghi e mi fiondai fuori il Giornale, non prima di aver ricevuto un occhiolino da parte di Barbie e Fred, però.

Qualche minuto e finalmente vidi Terence. Uscì da un’automobile diversa da quella con cui si era fatto vedere ultimamente, ma dallo stile dedussi fosse un’altra Lamborghini.

Prima che potesse telefonarmi, cosa che intuii dal fatto che prese dalla sua tasca un telefonino, mi avviai.

-Ciao.- gli dissi, una volta che gli fui vicina.

Purtroppo la mia voce uscì più fioca e abbattuta di quanto volessi.

-Oh Jane, ciao.- mi rispose.

Rimase in silenzio per qualche secondo, con i suoi occhi verdazzurri intravedibili dai suoi Rayban a goccia dalle lenti colorate di un pallido grigio, che sembravano guardarmi. Indossava dei jeans e una camicia chiara sotto un giubbotto rosso.

-Prego.- fece poco dopo, tastando lo sportello del suo veicolo e aprendomelo.

Quando mi accomodai nei sedili posteriori, notai con mia grande sorpresa, che non ci fu solo l’anziano autista, bensì anche Ulisse, il cane guida di Terence.

Appena mi vide mi abbaiò per qualche istante, per poi addolcirsi un po’ quando iniziai ad accarezzargli la testolina morbida.

-Ciao bellissimo.- sorrisi.

Sentii lo sguardo di Harrison su di me, e dopo che Terence si mise la cintura di sicurezza, l’auto partì.

-Oggi ho portato con me anche Ulisse, spero non ti dispiaccia. Come ti ho scritto vorrei parlarti di diverse cose, e vorrei farlo passeggiando.

-Nessun problema.- gli risposi.

Il silenzio regnò per almeno dieci minuti, fino a quando non gli chiesi se avesse cambiato auto.

-Sì. Harrison mi ha detto che oggi ha scelto una Lamborghini Aventador. Ti piace?- mi chiese.

-E’ bella.

Non ero di molte parole, in quel momento.

Rimanemmo in silenzio per un altro po’ di tempo, poi Harrison parcheggiò vicino ad un parco nella Old Town. Probabilmente ci ero già stata con Abbie qualche anno fa, perché il posto non mi fu nuovo.

Scesi dall’auto e l’anziano autista aiutò Terence con Ulisse, poi mi guardò intensamente, e infine se ne andò. Mi chiesi perché mi avesse guardato in quel modo. Dedussi che non ci fosse nulla di buono nell’aria.

-Siamo di fronte ad un parco, giusto?- fece, poi Terence.

-Sì.- mi limitai a rispondere.

-Bene. Ti andrebbe di fare una passeggiata al suo interno?

-Va bene.

-Ti va di tenermi per mano? Devo ancora abituarmi completamente a farmi guidare da Ulisse.

Feci come mi aveva chiesto. Come la prima volta, provai una piacevole sensazione ad avere la mia mano nella sua. Era più grande della mia, fresca e delicata. Le mani di Terence erano belle. Forti, dalle dita squadrate e dalle unghie ben curate.

Poi, iniziammo a camminare.

-Come stai, Jane?- mi domandò.

Mi morsi le labbra.

-Direi… bene.- mentii.- E tu?- continuai.

Lo osservai. Volevo capire quale fosse il suo stato d’animo.

-Mentirei se ti dessi la stessa risposta che mi hai dato tu. Purtroppo questa settimana sono successe cose che non avrei voluto che accadessero. Ma ne parleremo tra poco, ti va adesso di dirmi come sei vestita?

Rimasi un tantino sorpresa per questa sua richiesta. La mia eccessiva sete di risposte, voleva essere placata il prima possibile.

-E’ da tanto che non me lo chiedevi.- osservai.

-Hai ragione. Ammetto di aver provato a immaginare da me il tuo abbigliamento, le scorse volte.

-Capisco. Comunque non indosso niente di particolare. Ho un jeans, una camicia bianca, un cardigan grigio e delle All star nere.

-Un look casuale, direi. Suppongo sarai molto comoda.- strinse la presa delle nostre mani.- Ora, potresti dirmi cosa ci circonda?

Lo guardai. Poi voltai il capo verso ciò che mi circondava. Non mi andava, a dir la verità, di parlare di vestiti né di paesaggi, ed ero sicura che anche il mio tono di voce non lasciasse trapelare molto entusiasmo. Comunque, decisi di accontentarlo.

-E’ un normale parco. Abbiamo tanti alberi, dei lampioni ai lati del viale che stiamo percorrendo, e un grande prato ci affianca.- conclusi.

-Tutto qui? Dov’è finita la Jane che mi fece una descrizione così impeccabile una volta, da parlarmi di bottoni grandi, rossi e lucidi appartenenti a un giubbotto di jeans? E’ successo qualcosa, Jane?- il suo tono era preoccupato.

Davvero non immaginava il perché fossi un po’ giù?

 -Ti ricordi ancora di quando ti descrissi quel giubbotto?- cambiai argomento.

-Mi ricordo sempre delle cose che mi interessano. Però, hai cambiato discorso…

Sospirai.

-Hai letto delle cose che mi riguardano, vero?- continuò, girando verso una zona piena di giostrine.

-Può darsi.- gli risposi.

-Capisco.- Terence si schiarì la voce.- Il mio consiglio di non dare credito a tutto quello che avresti potuto ascoltare in merito a me, non l’hai tenuto in considerazione, vedo…! In ogni caso, posso chiederti una cosa, prima di affrontare questo argomento?

Annuii con il capo, poi ricordandomi che Terence non avrebbe potuto vedermi, gli risposi di sì.

-So che non ho il diritto di farti domande sulla tua vita privata ma… ho saputo che sei uscita con un ragazzo giorni fa, quindi… mi chiedevo come fosse andata.

Mi voltai a guardarlo. Aggrottai le sopracciglia.

-E tu come fai a sapere che sono uscita con un ragazzo?

La mia voce uscì un po’ troppo alta.

-Me l’ha detto Mary Anne. Sai, mi telefona ogni tanto. Dice di averti incontrato con un modello a teatro l’altra sera.- mi rispose.

Cosa? Mary Anne aveva fatto una cosa del genere? Con quale diritto? Stupida oca! Non appena mi fosse capitata davanti, l’avrei mandata a quel paese una volta per tutte!

-Com’è premurosa, Mary Anne. Raccontarti ogni cosa che vede e sente deve costarle molta fatica.- feci sarcasticamente.- In ogni caso, il ragazzo in questione è il modello di cui ti ho già parlato, e la nostra è stata solo un’uscita tra amici, niente di più…

Non me la sentivo di portare a compimento il piano di Abbie di fare ingelosire Terence. O almeno non più, viste le cose successe.

-Capisco. Beh… la mia non voleva essere una domanda invadente. Voglio solo che tu sia felice, Jane. Se questo ragazzo può farti stare bene, dovresti continuare a frequentarlo.- strinse maggiormente la mia mano.

Non capivo perché mi stesse facendo un discorso del genere.

-Perché mi dici queste cose? Ti ho già detto che siamo solo amici, no?

Mi fermai notando una panchina.

-Perché ti sei fermata?- sviò la mia domanda.

-Ho notato una panchina. Ti va di sederti?

-Certo.- rispose.

Ci accomodammo mentre Ulisse si posizionò vicino ad un cespuglio, nei pressi della panchina. Era un cane sveglio e intelligente.

-Ti ho detto quelle cose perché siamo amici. – riprese in mano il discorso di prima.

-Perché siamo amici.- ripetetti scettica.- Comunque,- mi schiarii la voce.- ora tocca a te parlarmi di ciò che è successo in questa settimana. Do ut des, ricordi?

L’aria si era fatta più fredda attorno a noi, e notai qualche chioma alberata iniziare a muoversi al ritmo del vento. Il parco era semi vuoto, se non per qualche anziano signore o qualche persona che portava a spasso il proprio cane.

-D’accordo parliamone, Jane. Tu cosa hai letto o sentito su di me, innanzitutto?

Notai che Terence aveva il capo fisso davanti a sé e che le sue mani erano posate a palmo aperto sulle sue gambe.

Sembrava tranquillo, come se ciò che gli fosse capitato a Toronto non lo avesse sconvolto più di tanto. O almeno così faceva credere. Era pur vero che Terence era fatto così: non era una persona che amava molto parlare di sé o che amava mostrarsi vulnerabile. Il più delle volte si era presentato come un ragazzo dalla maschera di ghiaccio, freddo e solitario.

-Ho letto un articolo dell’Edinburgh Evening News.- risposi.

La mia voce uscì flebile.

-Questo articolo mi manca. Potrei chiederti cosa vi fosse scritto?

Mi portai una ciocca di capelli dietro l’occhio.

-Era scritto che… che,- mi schiarii la voce,- che la tua famiglia e la famiglia Campbell sono diventate socie in affari e che tu, dopo… dopo anni di relazione segreta con una tale Tessa Campell, hai ufficializzato il vostro rapporto, con un fidanzamento.

Tossii per mascherare la tristezza.

-Interessante.- fece ironico.- Beh, come ti scrissi e come immaginavo, i giornali hanno stravolto un po’ i fatti anche se ammetto che questo articolo è il più aderente alla realtà. Sai mi hanno detto che in alcuni era scritto persino il tipo di anello che ho detto a Tessa e in cui veniva descritta nei minimi dettagli la sala in cui festeggeremo il matrimonio. Roba da non crederci.- continuò.

Era difficile decifrarlo. Il suo timbro vocale era neutro.

A quelle parole, mi sentii ancora più giù di morale. Cosa intendeva?

-Quindi mi stai dicendo che ciò che ho letto, è vero?- riuscii a domandargli con un groppo alla gola.

Mi voltai e lo guardai di profilo.

-Eccezione fatta che per la parte riguardante la relazione che dura da anni tra me e Tessa, direi di sì.- rispose soltanto.

Sentivo il cuore battermi forte nel petto. Avevo ragione, allora.

-Quindi ora sei fidanzato? E tutti i tuoi stupidi discorsi sul fatto che le donne sono tutte delle gallinelle interessate al tuo denaro?- feci nervosa, guardandolo.

-Perché ti scaldi tanto, Jane?- voltò il capo verso di me.- Quei stupidi discorsi li pensavo veramente, non credermi un’ipocrita. E non pensare che questo fidanzamento l’abbia voluto io. Questa settimana, sono partito con la convinzione di dare qualche aiuto a mio padre, vista la mia laurea in economia, e invece sono stato fregato. – concluse.

Il suo tono si era fatto più alterato.

-Che intendi?- continuai a guardarlo.

-Partiamo dall’inizio. Hai mai sentito parlare della Ashling Corporation?- voltò il capo verso di me.

-Sì…- ammisi.

Omisi di dire che ne avevo sentito parare dai miei colleghi perché avevo chiesto di lui.

-Bene. Quindi saprai che è un’azienda di pneumatici e pezzi interni di automobili gestita da mio padre, giusto?

-Sì.

-Perfetto. Beh… la questione è molto semplice. Con mio padre non ho mai avuto un bel rapporto, ma quando si tratta di problemi all’azienda, chiede sempre il mio aiuto. D’altronde mi ha costretto a laurearmi in economia, perché non sfruttare le mie conoscenze? Peccato che ultimamente si sia immischiato in cose che gli avevo caldamente consigliato di lasciar perdere.- si toccò i capelli con una mano.

-Cose di che tipo?- gli domandai.

Il cuore non la smetteva un secondo di battere freneticamente.

-Ha stretto degli accordi con un gruppo di portoricani. Solo troppo tardi si è accorto che questi sono immischiati in traffici non proprio legali. Morale della favola: ha perso buona parte dei suoi utili e ora la Ashling Corporation rischia di fallire. L’unica alternativa a questa miserevole fine è stata quella di diventare soci con la Campbell Enterprice, corporazione un tempo nemica a quella di mio padre. –Terence sospirò.- Non è stato facile, però, scendere a patti con i Campbell, ma è bastato che mio padre gli parlasse dei suoi figli per far sì che si accendesse la lampadina al signor Taylor Campbell ,padre di Tessa, unica erede della Campbell Enterprice. Essendo mio fratello già sposato, indovina a chi hanno pensato?

-Quindi Taylor Campbell aiuterà tuo padre a far restare in piedi la vostra azienda solo se sistemerà sua figlia nella tua famiglia?- chiesi con un groppo in gola.

-Esatto. Mio padre, da buon egoista qual è ,ha accettato e ora mi trovo coinvolto in questa farsa. Temevo che sarebbe successa una cosa del genere perché… mio padre è fatto così! Testardo, cocciuto ed egocentrico.- concluse con tono aspro.

-E adesso?- feci guardandolo.

Terence si sfilò gli occhiali da sole e prese a toccarsi l’inizio del naso con l’indice e il pollice.

-E adesso?- ripetette.- Adesso niente. Devo stare al gioco o l’impresa della mia famiglia fallirà.

-Ma…- ero a corto di parole.- Ma non puoi cedere, Terence. Non è mica colpa tua se tuo padre non ha voluto ascoltarti e si è immischiato in questa situazione.- sbraitai.

-Non è colpa mia, ma di certo non posso lavarmene le mani. Per quanto non sopporti mio padre, non posso permettere che la Ashling Corporation fallisca. Certo, se lo meriterebbe, ma non essendo io una persona autosufficiente non posso farci nulla.

-Ma non puoi ribellarti? Voglio dire, non è giusto. Tu non la conosci, voi… non vi amate, voi…- cercai disperatamente delle parole adatte.

-Jane non posso…- continuò a bassa voce.

-Quindi… hai voluto incontrarmi solo per dirmi che da bravo burattino, ti sei fidanzato con questa tizia e non farai nulla?

Terence non rispose.

Pochi secondi e sentii qualcosa bagnarmi le guance. Bello! Ci mancava solo che piangessi.

-Che fai, piangi?- mi domandò, tornando a volgere il capo verso di me. Non aveva gli occhi funzionanti ma sentiva bene qualsiasi minimo suono. Il mio tirare su col naso doveva essersi sentito.

Sembrava guardarmi, ora che i suoi occhiali erano posati sul colletto della sua camicia.

-Perché?- mi chiese ancora. La sua voce era triste.

-Mi chiedi anche perché?- quasi urlai, alzandomi in piedi. -Mi sono affezionata a te Terence, porca miseria. Non lo capisci? Come puoi chiedermi perché pianga sapendo che tu ti sei unito ad una persona che neanche conosci? Che ti stai facendo trattare da burattino? Che non vuoi fare nulla per cambiare le cose?

Le lacrime continuarono a scorrermi lungo le guance.

-Jane, dammi le mani.- mi disse, poco dopo.

-Non voglio darti le mani, voglio che… che tu reagisca.- chiusi le mani a pugno.

-Ti prego.- chiese con voce flebile.

Mi arresi.

-Jane, Jane, Jane.- ripetette il mio nonno in maniere dolce, come se stesse cantando una ninna nanna.- Sei consapevole di essere  una bella persona, sia dentro che fuori, vero? Perché devo ammetterlo! Non mi piace espormi troppo né fare lo sdolcinato, dovresti averlo capito, ma… quando ti toccai il volto, qualche settimana fa, ne rimasi… incantato. Sei intelligente, sei dolce, sei simpatica, sei ironica, sei divertente, sei bella… solo un pazzo non potrebbe innamorarsi di te. – sorrise di uno dei suoi strani sorrisi.- Mi piace il suono della tua voce e della tua risata, mi piace il tuo profumo e mi piace immaginarmi la tua espressione quando ti arrabbi. Ma la realtà è che non sempre le cose vanno come vorremmo e che non sempre i nostri sogni si realizzano.- mi strinse forte le mani.- Se fossi stato ancora un vedente, stai sicura che… che avrei provato a fare tante cose… chissà! Magari ti avrei anche fatto una corte sfacciata fin da subito, invece…- sospirò.- invece, non posso. Tu mi dici di reagire, ma come? Cosa potrei fare? Non ho neanche i mezzi per costruirmi una vita tutta mia. Lavoro, è vero, ma ciò che guadagno non mi permetterebbe comunque di allontanarmi dalla mia famiglia, e di certo non chiedo soldi a nessuno. Mio padre, per una serie di ragioni che non voglio raccontarti, non merita il mio aiuto, né la mia fiducia, ma non ho molte alternative. Per lo meno, avrò una donna a farmi compagnia.- sospirò, lasciando le mie mani.

-Non la pensavi prima così.- lo guardai.

Ero rimasta colpita dalle parole che mi aveva rivolto. Così dolci, così sincere. Mi aveva fatto capire che gli piacevo e non potevo che esserne felice, ma l’ultima parte del discorso aveva rovinato la magia che si era creta con la prima.

-Sono costretto a pensarla così. E comunque ammetto che definire tutto il genere femminile approfittatore, non è stato molto carino da parte mia. Ora sono impegnato con una donna, e devo accettarlo.

-Con una donna che neanche conosci, però.- feci con rabbia.

Odiavo la passività. Odiavo chi non si ribellava di fronte alle ingiustizie, non facendo nulla per cambiare le cose.

-Jane, non ho alternative. L’impresa della mia famiglia è sull’orlo del baratro e se fallisce tutto, fallisco anch’io. Come devo fartelo capire?- abbassò il capo.

-Ma che dici, Terence? Non puoi permettere a nessuno di trattarti come se fossi un giocattolo, lo capisci? Fallire? Cosa c’entri tu con gli errori di tuo padre? Non avete un buon rapporto, e nonostante tutto tu gli sei stato d’aiuto, dandogli dei consigli che non ha voluto accettare, e ora mi vieni a dire, di voler pagare i suoi errori, sposando una perfetta sconosciuta?

Ero super in collera.

Terence sospirò.

-Non puoi capire, Jane. Forse nella tua mente ti sei creata un’immagine di me completamente differente da ciò che sono nella realtà. Sono un disabile, un cieco, una persona non autosufficiente.- si alzò anche lui.

-Sei tu che non capisci.- gli puntai il dito contro.- Non capisci che il fatto che tu sia cieco, non ti rende un peso, un mostro, o un essere inutile. Non ci vedi, okay, è terribile, ma ciò non significa che tu debba farti manovrare dagli altri. Sei intelligente, sai suonare il pianoforte come nessun’altro abbia mai sentito, sei in gamba, ascolti buona musica e  sei tanto bello. Perché non ti apprezzi come faccio io?

-E’ una sorta di dichiarazione, Jane Ryan? Mi stai dicendo che ti piaccio?- cambiò discorso.

Feci un respiro e decisi di calmarmi.

-Cambierebbe qualcosa se ti dicessi di sì?- gli confessai.

Tanto valeva arrendersi e dire tutto. Gli avvenimenti avevano prese una piega tale che tergiversare ancora, era inutile.

-Non credo.- fu la sua risposta.

Eravamo entrambi tristi, stanchi ed adesso eravamo l’una di fronte all’altro.

-Okay Jane… direi di finirla qui. Sento che sei agitata e anch’io sono… stanco. Ci tenevo a incontrarti e a raccontarti tutto. Purtroppo però, temo che questo rientri in uno dei nostri ultimi incontri.

Mi asciugai le lacrime e aggrottai le sopracciglia.

-C-che cosa?- balbettai.

-Credi che continuare a uscire insieme, sia una cosa giusta?- mi chiese.

-Perché… perché non dovrebbe?

-Sono fidanzato Jane. -Il suo tono era tornato freddo.- So di averti promesso di andare a fare visita ai miei amici al centro di riabilitazione ma…- lasciò cadere la frase.

Mi sentivo come se qualcuno mi avesse trafitto con un coltello affilato e ghiacciato. La stessa identica sensazione che provai  quando lessi la lettera di mia madre, nel salotto della mia vecchia casa, con il suo profumo troppo forte ancora a circondarmi e pronto a stordirmi. Quando capii che lei  mi aveva abbandonato, per scappare con un altro uomo. Il senso di abbondono, di vuoto, di freddo interiore.

-Bene.- feci arrabbiata.- Credo di essermi solo illusa. Pensavo fossi una persona migliore e invece… sei solo un vigliacco Terence Ashling. Il peggiore vigliacco che abbia mai conosciuto.- gli urlai contro.

Poi inizia a indietreggiare. Volevo allontanarmi, volevo andarmene.

-Chiama il tuo autista. Io me ne vado.

Iniziai a correre, ignorando la voce di Terence che chiamava il mio nome.

CONTINUA…

 

Ciaoo ragazze!!! ^__^

Grazie per aver letto anche questo quattordicesimo capitolo. Sebbene più breve e più triste dei precedenti, spero vi sia piaciuto! Il caro Terence è fidanzato con Tessa, figlia dell’imprenditore Taylor Campbell, ed è deciso a non fare nulla per cambiare le cose. La cara Jane è distrutta dalla tristezza…

Purtroppo era necessario un capitolo del genere…

Vorrei ringraziare tutte voi che leggete sempre la mia storia, nonostante i ritardi e in particolare romy2007 per la recensione all’ultimo capitolo. Un bacione a te, grazie mille! :*

Un grazie a : sil_1971, Arda, jusslaughx e missC per aver aggiunto “Ad occhi chiusi” alle proprie seguite. A: Clojuno, a jusslaughx e missC per averla aggiunta alle proprie ricordate e a: amore77, Mar_Love, The_Teenager_Romantic_99 e alla sopracitata jusslaughx per averla inserita nelle proprie preferite! <3 Grazie di cuore!!

Ci vediamo al 15 capitolo! Spero di avere il piacere di leggere qualche vostra opinione! Baci :*

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo Quindici ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Quindici

 http://66.media.tumblr.com/tumblr_m6pkckvoE41rp848c.gif

L’insicurezza è la gabbia di chi trattiene tutto dentro
(Clex71, Twitter)

 

Quando fui davanti la porta della mia casa, tentai maldestramente di asciugarmi le lacrime dagli occhi, con il palmo della mano. Non volevo fare preoccupare troppo la mia amica, ma  sentivo come se dentro di me avessi un rubinetto pronto, al minimo soffio di vento, a gocciolare. Quando mi sentii pronta, infilai la chiave nella toppa, feci un bel respiro e entrai.

-Baby sei tu?

La mia amica uscì dalla cucina, con una vestaglietta colorata a coprire il suo corpo minuto e con gli occhi pieni di curiosità nascosti dietro gli occhiali da vista.

-Oh tesoro, ma cos’è quel faccino!- mi venne incontro, guidandomi dall’ingresso in cucina.

Mi sedetti sulla stessa sedia su cui mi ero seduta il giorno prima, e presi a fissare lo schermo della tv, ora acceso.

-Beh? Cosa è successo?- continuò preoccupata la mia amica.

Mi passai nervosamente una mano nei capelli e con lentezza iniziai a raccontarle tutto. Abbie rimase in silenzio fino alla mia ultima parola, mordendosi le labbra ogni tanto e stringendomi la mano quando conclusi.

-Non ci possi credere! E’ assurdo… credevo che tenesse a te, Jane.- mi guardò negli occhi.- E’ davvero impossibile che si sia piegato al volere del padre, in questo modo!  Non ha un bel rapporto con lui, lo ha sicuramente fatto vivere in una prigione soffocante tra imposizioni varie, e lui che fa? Lo aiuta pure! – strinse i pugni nervosamente.- Ma quello che mi chiedo è: la madre? Non fa nulla? Non si ribella? Certo se è come il marito posso anche capire.

-Non so niente della madre. Non me ne ha mai parlato.- sussurrai.

-Devo assolutamente parlare con Thomas. Lui sicuramente può chiarirci la situazione.

-E cosa potrebbe fare Thomas? Terence ha preso la sua decisione e ti posso garantire che il modo in cui mi ha parlato, così freddo e distaccato, era la prova lampante che non cambierà idea per niente e per nessuno. E’ solo un vigliacco.- sospirai.

Sentii gli occhi farsi di nuovo lucidi.

-E’ proprio uno stupido se non fa niente. Davvero, non mi capacito di come abbia fatto a rivolgerti certe frasi! Ha avuto anche il coraggio di farti capire che gli piaci e allo stesso tempo di dirti che forse ti sei creata un’immagine di lui diversa di com’è nella realtà. Ho il desiderio di andare a dargli due schiaffoni. Anzi quasi quasi ci vado adesso.- Abbie si alzò in piedi, nervosa.

-Nessuna uscirà da questa casa.- le dissi, tirandola a sedere.- Io ho fatto il possibile, Abbie. Ho cercato di convincerlo che la sua disabilità non è motivo di inferiorità, ma a quanto pare…- lasciai cadere la frase, posando la testa sul tavolo.

Sbattei diverse volte le palpebre degli occhi per evitare di piangere di nuovo.

-L’insicurezza rovinerà la vita a quello lì. Un conto è farsi condizionare dal proprio padre su un corso di studi, cosa già orrenda, un conto è farsi imprigionare in un fidanzamento con un’estranea. Secondo me Terence non ha la minima idea di cosa significhi condividere il proprio tempo con una persona, a lungo. Si sta convincendo che ,in fondo, il fidanzamento non è nient’altro che un’altra imposizione del padre.

-Non mi importa più niente.- le dissi, tirando su con il naso.

-Ehi! Ehi! Ehi! Jane Ryan, alza la testa dal tavolo e guardami negli occhi.- mi ordinò.

Feci come mi aveva chiesto, guardandola con gli occhi pronti a sgorgare lacrime, da un momento all’altro.

-Se vuoi piangere, mi sta bene. Ma che sia chiaro, puoi piagnucolare solo questa sera, poi da domani si ritorna forti e combattive. – fece con tono perentorio.- Terence ha fatto la sua scelta, ora tocca a te. Rimarrai a deprimerti tutto il tempo o continuerai con la tua vita, più forte di prima? Ti do un suggerimento: la seconda. Sono stata io che ti ho fatto conoscere Terence, io quella che ha creduto in voi due e sono sempre io che ti dico di smettere di pensare a lui. So che sarà difficile e che farà molto male, ma tu devi farlo Jane, per il tuo bene. Credo di aver inquadrato gli Ashling. Se Terence non ha voluto ascoltarti non credo che tu possa fare altro. Tocca a lui prendere la sua strada.

Annuii con il capo, arrendendomi e lasciando il via libera a delle lacrime.

Abbie mi strinse tra le sue braccia.

-Sembra strano che proprio che ti ho sempre spronato a farti avanti, ti dica di arrenderti, ma lo faccio perché ti voglio bene. Ora però asciugati le lacrime e vai nella tua camera. -fece con tono materno.

-La verità è che non gli sono mai piaciuta, Abbie.- lasciai liberi i miei pensieri, contro il suo petto.- Tutto quel discorso sul fatto che io sia bella e che se fosse stato un vedente mi avrebbe corteggiato, è stato solo un modo…- singhiozzai,- di indorarmi la pillola.- continuai a piangere.

-Non dire sciocchezze.- mi accarezzò i capelli.- A Terence piaci, e sono tante le cose che lo dimostrano, è solo che… che… forse si sente prigioniero di qualcosa di troppo grande, da cui non riesce a liberarsi.- sospirò.- Non devi pensarci più, te l’ho detto.

Mi cullò nelle sue braccia, fino a che non smisi di singhiozzare. Poi liberò il nostro abbraccio, dandomi un bacio sulla fronte.

-Adesso ordino due pizze e vado a comprare il gelato al cioccolato, che ti piace tanto, dal supermercato sulla strada, okay?- mi diede un bacio sulla guancia, prima di lasciarmi e alzarsi in piedi.

-N- no non ho molta fame,- raccolsi con l’indice alcune lacrime.- facciamo che vado a letto a dormire.- mi alzai anch’io.

-E invece tu mangerai.- mi lanciò un’occhiataccia.

Quando voleva, Abbie sapeva essere un vero e proprio comandante d’esercito.

-Ma hai detto che mi concedevi questa sera per piangere.- curvai leggermente le mie labbra, asciugandomi gli occhi con il palmo della mano.

-Sì ma non ho mica detto che non avresti mangiato. In realtà, pensavo saresti tornata tardi ma invece sei rientrata giusto per l’ora di cena.- mi fece un occhiolino e si allontanò dalla cucina.

Sapevo che i suoi erano tentativi per distrarmi, ma questa sera neanche il miglior film comico mi avrebbe potuto far sollevare il morale. Domani, però, promisi a me stessa che non avrei versato neanche una lacrima. D’altronde come avrebbe detto Rossella O’Hara di “Via Col Vento”: Domani è un altro giorno.

Quando rientrai in camera, mi sedetti sul mio letto sospirando. Sulla scrivania dove di solito scrivevo parte dei miei articoli, troneggiava il vaso con la rosa che mi aveva regalato Terence pochi giorni fa. Bianca a simbolo della purezza che probabilmente lui aveva visto in me. Il mio primo impulso fu quello di distruggerla e buttarla, ma poi osservando il suo candore decisi che l’avrei lasciata lì a ricordarmi di una giornata in cui Terence mi aveva sorriso e in cui il mio cuore aveva bussato forte contro il mio petto, nella speranza di unirsi al suo.

 

***

Contro ogni mia aspettativa la notte dormii un sonno profondo. Forse per le troppe lacrime che avevo versato durante il giorno prima o per la troppa stanchezza che avevo accumulato nel weekend, la mattina dopo mi svegliai con gli occhi riposati e con le occhiaie meno profonde. Accesi il mio cellulare per controllare messaggi e eventuali mail, e quando notai una chiamata persa, sentii il mio cuore agitarsi. Quando la aprii notai che giungeva da una compagnia telefonica. Chissà che avevo creduto!

Per fortuna, a rendere meno grigia la mia giornata, ci pensò Abbie che mi servì un cornetto e una cioccolata calda per colazione.

-Spero che ti piaccia il cornetto. L’ho preso poco fa dal bar del signor Macintosh.- fece sorridente versandosi del caffè italiano.

-Come farei senza un’amica come te?- le risposi io.

-Non lo so, sinceramente. – ridacchio.- Ma ci sono, quindi no problem baby.

Riuscii a ridere anch’io.

I ricordi della sera precedente erano ancora vivi in me e pulsavano nella mia testa come una ferita aperta e bruciante. Ero giù di morale e non avevo molte energie, ma di certo avrei mantenuto la promessa che avevo fatto a me stessa di non versare neanche una lacrima.

-Comunque…- si schiarì la voce.- Come stai, Jane?- mi guardò preoccupata.

Sospirai e abbassai la testa.

-Diversamente bene.- le risposi, mordendomi l’interno di una guancia.

Abbie annuì soltanto, senza dire nulla.

-Senti che ne dici se venerdì, dopo il lavoro, andiamo a fare shopping e al parrucchiere? Un cambio di look non potrà che farci bene.- mi propose la mia amica, addentando un biscotto al cioccolato.- Ti avevo detto tempo fa che avrei voluto ravvivare un po’ i miei capelli spenti, quindi… quale migliore occasione?

-Cambio di look?- chiesi scettica.- Anche per me?

-Sì, perché no! Ti ci vedrei proprio bene con dei colpi di sole o con una frangetta.

-Ci penso.- le feci un occhiolino.

-Brava la mia baby. Vuoi che ti accompagni io al lavoro? Monto alle nove il turno oggi.

-Abbie- la ammonii- sono triste, non malata. Posso prendere benissimo l’autobus come al solito.

Anche se non ero del tutto sicura che la tristezza non fosse una malattia.

-Lo so. Infatti voglio farlo perché mi va. E’ un piacere se posso passare del tempo con te, quindi…

-E non è un problema per te accompagnarmi fino al Giornale?- piegai la testa di lato.

-Assolutamente.- rispose con convinzione.

-E va bene.- mi arresi.

Dopo esserci preparate, il viaggio partì e arrivai davanti l’Edinburgh Fashion Magazine, cinque minuti prima del solito.

-Vengo anche al ritorno, okay? Ci vediamo alle sette.

Abbie sparì prima che potessi dirle di non preoccuparsi.  Non avrei saputo davvero cosa fare, se non ci fosse stata lei!

Quando varcai la porta principale del Giornale, tra il chiasso e il fermento generale dei modelli e dei fotografi, mi appuntai mentalmente che oggi avrei parlato con Mary Anne. Sapere che si era presa il permesso di rivelare a Terence del mio appuntamento con Wilson, mi aveva infervorata, e non poco. Non era nessuno per prendersi certi diritti! Mi chiesi se fosse venuta a conoscenza che il suo bel “bottino” si era ufficialmente fidanzato.

Camminai a capo chino lungo i vari corridoi nella speranza di evitare di incontrare persone e di conseguenza di sprigionare sorrisi che oggi non ero disposta a dare, e  salii le varie scale finché non arrivai davanti al mio ufficio.

-Buongiorno.- esordii quando entrai.

Price e Steve non ancora arrivati, in compenso c’erano Barbie e Freddie che sorseggiavano caffè di Starbucks, guardando un giornale di pettegolezzi. Quando li salutai, sollevarono lo sguardo dal giornaletto, e mi guardarono con entusiasmo. Sembrava che non vedessero l’ora di vedermi. Qualcosa mi diceva che avrei dovuto fare anche a loro un resoconto dettagliato delle tristi vicende di ieri sera.

Mi sedetti alla mia sedia, mentre loro due preferirono la mia scrivania come cosa su cui sedersi.

-Buongiorno colombella.- mi sorrise Fred.

-Ciao cara.- continuò Barbara, attorcigliandosi un ricciolo attorno all’indice.

Le loro espressioni sembravano gridare “Avanti! Raccontaci tutto”. Se fossi stata di altro umore, avrei sicuramente riso per il modo in cui mi stavano guardando.

Ricambiai il loro sguardo. Poi, qualche secondo dopo, scossi la testa e chiudendo le dita della mano, puntai solo il pollice all’ingiù, in un chiaro segno di “E’ andata male”.

I miei colleghi si guardarono negli occhi, facendo una smorfia.

-E’ andata tanto male?- chiese conferma Freddie.

Io annuii con il capo, mordendomi le labbra.

-Dolcezza, ti va di raccontarci tutto?- chiese Barbie.

Li guardai.

-In realtà non ho molta voglia di parlarne, ma so che siete curiosi, quindi...

Come avevo fatto con la mia amica la sera prima, raccontai ai miei colleghi delle parole che Terence mi aveva rivolto.

-Sono senza parole! Giuro.- disse Freddie, alzandosi dalla mia scrivania e iniziando a fare su e giù per l’ufficio.

-Io mi aspettavo che c’entrasse la famiglia in tutto questo, ma ero sicura che Terence avrebbe assunto una posizione diversa.- continuò Barbara, stringendomi la spalla.

-Va bene così, ragazzi. Anzi no, non va bene, ma non fa niente. Ho pianto abbastanza, adesso voglio solo non pensarci e stare tranquilla. Piuttosto come procedono i vostri articoli sulla collezione Calvin Klein?- cambiai discorso.

Puntai lo sguardo sul mio pc, ma potevo scommettere che i miei colleghi si stessero guardando.

-Tutto bene.- si arrese Barbara.- Giusto oggi vorrei finire un articolo su una giacca di pelle.- scese dalla mia scrivania.

-Adoro la nuova collezione di Calvin Klein.- continuò Freddie, sospirando.

-Bene.- curvai le labbra in un patetico tentativo di sorridere.- Buon lavoro allora.

Così detto, aprii la mia pagina di lavoro e  iniziai ad abbozzare un nuovo articolo. Volevo molto bene sia al mio ex che alla mia amica riccioluta, ma non mi andava proprio di ascoltare altri commenti su Terence. Bastava già la mia testa a tartassarmi con ricordi e domande.

-Jane.- mi richiamò Freddie.

Lo guardai.

-Sei una persona forte, lo sai questo? Vedrai che risanerai anche questa ferita e ricorda: è lui che ci ha perso, non tu!- mi si avvicinò, lasciandomi un bacio sulla fronte.

-Ehi Bennett, che fai? Non dirmi che sei passato all’altra sponda e ci stai provando di nuovo con Jane?- fece la sua entrata trionfale… indovinate? Vincent, esatto.

-Il solito cretino!- lo rimbeccò Freddie, lanciandomi un occhiolino e sedendosi alla sua postazione.

Barbara sospirò, e quando arrivò anche Steve, ci porse degli inviti. Erano bianchi e ruvidi e su di essi svettavano delle scritte in rilievo dorate.

-E’ l’invito per il mio matrimonio. – disse con le guance imporporate.

La ringraziammo tutti.

Sull’invito lessi che la cerimonio religiosa si sarebbe tenuta presso la Cattedrale di Saint Giles, e che a seguire, ci sarebbe stata una piccola festa all’interno del Castello di Culzean.

Dopo averlo ripiegato con cura nella mia borsa, tornai a concentrarmi sul mio lavoro.

Passarono diverse ore prima che qualcuno prendesse parola in ufficio. Eravamo abbastanza concentrati e presi dai nostri articoli, in quanto la settimana prossima i modelli e le modelle delle due griffe, se ne sarebbero- per mia fortuna- andati, e di conseguenza avremmo dovuto tutti concludere gli articoli per il nuovo numero del giornale, del mese di novembre. Il fatto che mancasse poco al non rivedere più né il modello né Mary Anne, mi rendeva abbastanza contenta, anche se non ero sicura di come sarebbero continuate le cose tra me e Wilson. Nel senso che non avevo idea se lui avrebbe continuato a girarmi intorno, o meno. Io preferivo di certo la seconda possibilità. Il  nostro ultimo incontro era andato piuttosto bene, ma io non provavo assolutamente nulla per lui.

-Jane, vieni con noi a pranzo?- mi domandò Freddie, sulla soglia del nostro ufficio.

Controllai il mio orologio da polso, meravigliandomi di come fosse passato in fretta il tempo.

-Dove andate?- chiesi, scrocchiandomi le dita delle mani.

-Abbiamo pensato di comprare qualcosa dal bar del Giornale, per poi andare a mangiarlo sulle panchine all’esterno. Oggi c’è il sole, è bene approfittarne.- fece radioso.

-Ci sto! Intanto voi andate avanti, però! Io devo fare una cosa prima.

Barbara e il mio ex mi sorrisero, prima di allontanarsi.

Era arrivato il momento di fare due chiacchiere con Mary Anne.

***

Quando mi avviai nel corridoio delle stanze dove venivano scattate le foto ai diversi modelli, non mi ci volle molto per notare la sagoma della modella bionda, attraverso le vetrate trasparenti di un ufficio. Era di spalle e stava sicuramente parlando con qualcuno visto il modo in cui gesticolava, che da dove ero io non riconobbi. La sua altezza doveva essere la stessa del suo interlocutore, poiché lo nascondeva completamente. Pensai che fosse un suo collega. Fortunatamente oltre i due non c’era nessuno, per via del pranzo, così quando fui vicina alla stanza di Mary Anne, mi fermai davanti alla sua porta, pronta a bussare.

-E’ saltato tutto. Va tutto a monte.

Fu il tono nervoso che usò che mi fece fermare. Qualcosa dentro di me mi disse che ciò di cui stava discutendo avrebbe potuto interessarmi, così decisi di nascondermi dietro una colonna di marmo, nei pressi della stanza, da cui si poteva ascoltare ogni cosa.

-Guarda la cosa è venuta fuori come un fulmine a ciel sereno! Ci sono rimasta malissimo. Certo è che se fosse per me non mi arrenderei e andrei davanti al padre stesso a dirgli che buon partito sono io, ma non ho il coraggio. E poi, in fondo, il mare è pieno di pesci, no?- la sentii ridere.

-Mi sembra dunque il caso che anche tu la finisca con quella sciacquetta. Ero sicura che a Terence lei interessasse, ma a quanto pare, la potestà del padre o chissà cos’altro ha vinto. Ergo, puoi anche smetterla di fare il cascamorto con lei. Hai capito zuccone?

Sentii il mio cuore battere freneticamente quando finii di ascoltare quelle parole. Temevo di sapere chi era la persona con cui la gallina stava parlando.

-Sì, sì, ho capito!

Wilson. La voce era di Wilson.

-E comunque non c’è bisogno di trattarmi come se fossi un bambino e di chiamarmi zuccone. Ho fatto il cascamorto con Jane solo perché me l’hai chiesto tu.

Misi una mano davanti alla bocca per soffocare un grido. Ero stata presa in giro. Tutte quelle attenzioni da parte del modello erano false. Facevano parte di uno sporco marchingegno costruito a opera d’arte da quella stupida.

-Forse ti sei dimenticato che per il tuo aiuto, sei stato ben ripagato. Comunque bando alla ciance, è un vero peccato! Il mio piano rasentava davvero la perfezione. Tu avresti ammaliato la santarellina, lei avrebbe abboccato al tuo amo, avrebbe lasciato perdere Terence, io mi sarei incollata a lui, e puff… il gioco era fatto!

A quel punto preferii non ascoltare oltre. Mi avvicinai alla loro stanza, e la aprii.

Quando iniziai a battere le mani, Mary Anne smise di parlare, voltandosi verso di me. Sia lei che Wilson, ora ben visibile ai miei occhi, mi guardarono con occhi e bocche spalancate. Improvvisamente pallidi, come se avessero visto un fantasma.

-Ma che bravi! Vi hanno già dato l’Oscar?- feci ironica, smettendo di battere le mani che prontamente chiusi a pugno.

-T-tu?- domandò sorpresa la strega.

-J-Jane… ti posso spiegare tutto.- balbettò il modello.

-Sì io, Jane Ryan e no, non c’è bisogno di spiegare nulla. Sapete, in fondo, dovevo aspettarmela una cosa del genere da persone come voi. L’incontro “accidentale”- mimai le virgolette- davanti alla macchinetta del caffè la prima volta che ci siamo visti ,Wilson, i pettegolezzi delle donna delle pulizie affinché tutti sapessero la mia vita privata, il modo in cui vi guardavate negli occhi in quelle foto, l’incontro al teatro, da te Mary Anne poi raccontato a Terence… sono stata una stupida a non collegare tutti i pezzi del puzzle prima. I miei complimenti.- strinsi i denti.

La modella fece una smorfia con la bocca e sollevò le sopracciglia. Da spaventata, la sua espressione divenne altezzosa.

-Oh beh… non dirmi che Christopher ti piaceva? Sai mi ha raccontato che tu non rispondevi con molto entusiasmo alle sue attenzioni. Certo è che mi chiedo ancora come tu, ragazza scialba e priva di alcuna bellezza, abbia potuto fare la schizzinosa con il mio collega. Per Terence? Davvero ti piace così tanto da non cedere alle avances di Wilson, o anche tu eri interessata alla sua grana e, temendo eventuali indiscrezioni su testate giornalistiche, hai giocato a fare la santarellina?- sputò velenosa.

Non le risposi. Mi avvicinai soltanto. E quando le fui abbastanza vicina, le tirai uno schiaffo sulla guancia, abbastanza forte da farle voltare la testa.

-Non ti permettere mai più di rivolgerti nei miei confronti in questo modo, né di intrometterti nella mia vita. Sarò anche scialba e priva di bellezza, ma mi hai temuta. Hai temuto che potessi risultare interessante a Terence e hai organizzato tutto questo teatrino per distogliere le mie attenzioni da lui. Sei davvero il peggio del peggio e dovresti vergognarti!- la guardai rabbiosa.

L’oca si toccò la guancia, e mi guardò con occhi iniettati di astio misto a sorpresa.

-E per quanto riguarda te,- mi fermai guardando Wilson che aveva ancora gli occhi spalancati,- Sai? Mi avevi davvero fatto credere che io ti interessassi, bravo!- gli gettai un’occhiataccia e mi allontanai, uscendo dall’ufficio e sbattendo la porta.

Questa scoperta non aveva contribuito a rendermi più triste, ma più stanca e sicuramente più… vuota. In meno di due giorni ero stata atterrata solo da brutte notizie e non capivo cosa avessi fatto di male per meritarmi questo. Se pensavo che solo un mese prima ero stata circondata da piacevole attenzioni, dopo un periodo di monotonia e solitudine, e che adesso stava di nuovo tutto ripiombandomi addosso, mi veniva voglia di gridare. A me il modello non piaceva, e probabilmente non mi sarebbe mai piaciuto ma… ci avevo creduto. Avevo creduto alle sue parole, ai suoi complimenti, ai suoi occhi grigi che sembravano guardarmi come se fossi davvero la più bella. Ed ero stata una stupida a farlo. Da piccola mia madre mi aveva abbandonata, poi quando avevo pensato di aver incontrato l’uomo giusto, questo mi aveva lasciato dicendomi di essere gay, poi l’incontro con Terence e con Wilson ricevendo un addio da parte dell’uno e una presa in giro da parte dell’altro. Morsi forte le labbra per non cedere all’impulso di piangere.

-Jane, aspetta, ti prego.- mi sentii afferrare per il polso dal modello.

Mi liberai dalla presa, e senza voltarmi continuai a camminare lungo il corridoio. Ringraziai che tutti fossero fuori a consumare i loro pasti.

-Ti prego.- supplicò.

Mi voltai, sbuffando e incrociando le braccia sul petto.

-Ti concedo solo un minuto per sparare le cavolate che stai per dirmi. E lo faccio solo perché sono troppo buona e perché so che non ci rivedremo più tu ed io.

-Senti mi dispiace.- sospirò, passandosi una mano nei capelli.- Davvero! Sei una brava ragazza e so che quello che abbiamo fatto non è stato bello. Mi vergogno se ci penso e ti chiedo scusa, Jane. So che le mie parole posso sembrare false, ora come ora, ma ho passato dei bei momenti con te, e quando dicevo di trovarti bella e interessante lo dicevo sul serio.- si fermò guardandomi con aria colpevole.

-Smettila di renderti più patetico di quanto tu già non sia, se non vuoi che dia uno schiaffo anche a te, e rispondimi: cosa ti ha dato Mary Anne per fingerti interessato a me?- sbraitai, corrugando la fronte.

Wilson abbassò la testa.

-Suo padre è un personaggio influente nel mondo della moda, e mi ha promesso di assicurarmi un posto nella nuova campagna Burberry e uno per un spot su un profumo.- si strinse delle ciocche dei capelli, in modo nervoso

-Che cosa? Ma non eri famoso tu? Hai schiere di fans, biglietti gratis per qualsiasi cosa, e hai bisogno di spintarelle per far parte di spot e campagne?

Ero incredula e molto nervosa.

-Jane il mondo della moda è spietato.- mi guardò.- Il fatto di avere un certo fisico e una certa notorietà non mi esime dall’avere delle difficoltà nel farmi conoscere al grande pubblico. C’è una schiera di ragazzi giovani e belli dietro di me, e io ho già ventotto anni.

Aveva tentato di giocare con i miei sentimenti, solo per delle stupide questioni lavorative. Non avevo parole.

-Non tiro uno schiaffo anche a te, solo perché sei stato anche una tu una pedina nelle mani di quell’arpia! Ma ti do un consiglio: se ci tieni a realizzare i tuoi sogni, non abbassarti a fare mai più queste deplorevoli azioni. Sei stato fortunato che io non sia caduta nella tua ammaliante trappola e che non mi sia presa una cotta per te, altrimenti stai certo che saresti uscito di qui con un occhio nero! Ora, se non ti dispiace, me ne vado. Non seguirmi e non cercarmi. A mai più rivederci.

Mi allontanai, domandami come sarebbe andata a finire se io non avessi ascoltato la conversazione tra quei due buffoni. Dovevo assolutamente parlarne con la mia amica e far aprire gli occhi a tutta la comitiva dei suoi amici sul fatto che Mary Anne non fosse solo trucco e superficialità, ma anche cattiveria e sadismo.

CONTINUA…

 

Ciaoo ragazze!! ^_^

Grazie per aver letto anche questo quindicesimo capitolo. E’ più breve del solito, è vero, ma non ho ritenuto di dover aggiungere altro visto l’andamento delle vicende e considerando che la fine di “Ad occhi chiusi”, a malincuore, è vicina. La nostra povera Jane è stata messa, nuovamente, a dura prova, ricevendo una brutta batosta :/ Quante di voi avevano capito che dietro le smancerie di Wilson, si celavano certi deplorevoli piani?

Come sempre vi ringrazio per seguirmi sempre, e in particolare grazie a: angy_897, marioasi, romy2007, gdoc, Ashwini, e Clojuno per le bellissime recensioni allo scorso capitolo. Mille volte grazie <3

Grazie a: olandasevolante, Ramosa12, e alla sopracitata Ashwini per aver aggiunto la mia storia alle seguite. Un bacione a tutte voi <3

Grazie nuovamente a: Ramosa12 per averla aggiunte alle proprie ricordate :* e infine, ma non per importanza, grazie a: angy_897, moet et chandon, jtme_, e lilly_13 per aver aggiunto Ad occhi chiusi alle proprie preferite. Un bacione <3

 Spero che il capitolo non abbia deluso nessuna aspettativa e vi sia piaciuto. Se vi va, sarei molto contenta di leggere i vostri pareri in merito :)

Un bacio e alla prossima,

Novalis ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo Sedici ***


SE VI VA, LEGGETE IL CAPITOLO ASCOLTANDO: " PRIMAVERA" DI L.EINAUDI.

Se vi va, ascoltate il brano che vi ho proposto, quando leggete questo capitolo. :) Ci vediamo, sotto! Buona lettura!

 

AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Sedici

 

Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,
perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;
ma quando dormo, essi nei sogni vedono te.
(William Shakespeare)

 

Tra le cose più improbabili che mai mi sarei aspettata potessero accadermi, ricevere una telefonata da parte di Harrison, l’autista degli Ashling, saliva certamente ai primi posti in classifica.

Erano passate quattro settimane da quando avevo discusso con Terence e da quando avevo ascoltato le crudeli intenzioni di Mary Anne Williams. Da un lato potevo, senza indugio ,dire che sembrava non fosse passato neanche un giorno da allora, visto che alla tv e sulle più importanti riviste della città non si faceva altro che parlare della famiglia Ashling , dei Campbell e del fidanzamento, a breve ufficializzato con una festa, tra i loro figli. Dall’altro, però, erano cambiate diverse cose. Mary Anne era stata “bandita” dal gruppo di amici di Thomas. Avevo saputo che Sophie, Russell, William e ovviamente Thomas erano rimasti sconcertati dal modo in cui la modella si era comportata nei miei confronti. Alla fine avevano deciso all’unanimità di rompere qualsiasi rapporto di amicizia con lei. Per quanto riguardava Terence, Abbie mi aveva raccontato che aveva rifiutato diverse volte gli inviti dei suoi amici, adducendo come scusa quella di essere occupato con la sua nuova fidanzata. La delusione era nell’aria, ma nonostante ciò, i ragazzi riuscivano a incontrarsi e a divertirsi. La mia amica aveva conosciuto, finalmente, i genitori del suo ragazzo, ricevendo la “benedizione” da parte di entrambi e aveva persino ricevuto un semplice anello, pegno dell’amore che Thomas provava per lei. Erano davvero molto carini insieme! In più, come ciliegina sulla torta, la sua odiata datrice di lavoro, le aveva finalmente dato la prima pagina del giornale, su cui svettavano le fotografie che aveva scattato a casa Ashling. Per quanto mi riguardava, io stavo andando avanti con la mia vita. Avevo scalato i miei capelli e li avevo illuminati con dei colpi di sole che, forse, cozzavano un po’ con il mio umore non proprio spumeggiante, ma che mi piacevano da matti. Stavo aiutando Barbara con i preparativi del matrimonio, avevo fatto rifornimento di nuovi sciccosissimi capi per l’autunno nel mio armadio e avevo appena iniziato un articolo su un confronto della moda in Scozia dal passato al presente. Senz’altro uno dei lavori più divertenti che mi fossero mai capitati, soprattutto per via del fatto che mi era toccato intervistare anche dei vecchi signori in kilt e barba rossa.

-Non credo sia un bene per te rincontrare una persona vicina agli Ashling, dopo quello che è successo, ma è una tua scelta.- fece Abbie, soffiando sulle unghie della mano destra, appena smaltate di verde.

-Non so neanch’io che fare.- ammisi,- Mi scende di nuovo una profonda tristezza al pensiero di vedere una figura così vicina a… a lui, ma da un lato sento che devo andarci.

-Se senti che devi andarci, vai. In fondo, se l’austista ti stava anche simpatico, non vedo cosa potrebbe andare storto.- mi guardò negli occhi.

Anche lei aveva cambiato look. I suoi capelli, adesso, erano colorati di un rosso mogano e ad incorniciarle il viso c’era una mega frangia che portava lateralmente.

-E sia. – annuii con il capo,- gli mando un messaggio.

Così detto, uscii dalla tasca dei miei jeans il cellulare, e mandai un messaggio al numero da cui il signor Harrison mi aveva telefonato, accettando il suo invito di incontrarci nel pomeriggio al bar “Gray’s cup”, lo stesso in cui io e Terence ci eravamo incontrati per la prima volta, dopo quella al pub.

-Quindi sei sicura di voler partire la settimana prossima?- continuò la mia amica, applicando lo smalto sulle unghie dell’altro mano e facendo così scintillare l’anello che portava all’anulare, sotto le luci che filtravano dalla finestra.

-Sì.- sospirai.- Mi sono presa una settimana di ferie, apposta. Ho bisogno di stare con mio padre e di cambiare un po’ d’aria. Ne ho passate un bel po’ in questo periodo, e ora che al Giornale le acque si sono, finalmente, calmate, credo sia opportuno che stacchi un po’ la spina. In più non vedo mio padre da un po’.

Iniziai a fare zapping alla tv. Dato che oggi era sabato, avrebbero trasmesso un programma di moda che adoravo.

-Hai proprio ragione, anche le ragazze grintose come te, hanno bisogno di fare una pausa ogni tanto.- mi fece l’occhiolino.- E anzi, ti prego di salutarmi tuo padre. Digli che gli mando un abbraccio e che, un giorno di questi, vengo anch’io a fargli una visita.

-Non mancherò.- le sorrisi e tornai a guardare la tv.

***

Diedi un’ultima occhiata allo specchio della mia stanza, controllando gli ultimi dettagli e infine, prendendo al volo una sciarpa colorata, uscii di casa, insieme ad Abbie. La mia amica mi avrebbe accompagnata fino ad un certo punto, per poi andare a fare delle commissioni.

Quando arrivammo nella zona interessata, la salutai con un bacio sulla guancia, e mi avviai a piedi verso il bar. Qualche minuto e non mi ci volle molto per scorgere, sebbene il cielo stesse già imbrunendo, lo stesso tendone bianco ornato da fiorellini fucsia che vidi al primo “appuntamento” con Terence. Essendo pieno autunno, il giardino all’esterno era stato recintato da pareti di plexiglass, che dovevano impedire all’aria fredda di fuori di infastidire i clienti.

Mi feci strada attraverso dei tavolini, fino a che non mi sentii salutare da qualcuno. Mi voltai e impiegai qualche secondo per riconoscere Harrison. Non indossava il solito cappello e la giacca da autista e, vestito in borghese, non l’avevo quasi riconosciuto. I baffi bianchi, le guance rosse e il sorriso buono ,però, non diedero spazio a dubbi che fosse lui.

-Buonasera signor Harrison.- lo salutai, facendogli un sorriso.

Mi sedetti al suo stesso tavolo e quando arrivò un cameriere mi limitai a ordinare un succo di frutta alla pera che l’autista, sottolineò, mi avrebbe offerto volentieri lui.

-E’ davvero bello rivederla, signorina Jane. Mi mancava vedere il suo sorriso.- fece cordiale.

-Grazie, Harrison. Lei è sempre stato molto gentile.- lo guardai con affetto.

C’erano diversi clienti seduti ai tavolini vicini al nostro, e il loro chiacchierare ci fece da sottofondo.

-Ha cambiato stile di capelli?- continuò, con il sorriso sulle labbra.

-Sì. Li ho tagliati un po’ e ho fatto dei colpi di sole. Le piacciono?

-Le stanno molto bene.- mi rispose. -Come sta?- chiese.

Feci una smorfia con le labbra.

-Si va avanti.- mi limitai a rispondere.- Lei?

Non so se fu una mia impressione, ma mi parve di sentire un “immaginavo” . Non ebbi modo di pensarci che mi rispose di stare bene.

Mi guardò per qualche instante con fare imbarazzato e, dopo essersi schiarito la voce, prese a parlare.

-Mi spiace di averla disturbata questa mattina. Immagino che non si aspettasse di ricevere una telefonata da me, ma ho bisogno di parlarle. Ho preso il suo numero dal telefono del signor Terence e ora che lui non è ad Edimburgo per diversi motivi, ho colto l’attimo per telefonarle. Pensi che volevo parlarle già da qualche settimana, ma solo ora mi si è presentata l’occasione.

Quando sentii nominare il nome di Terence e ascoltai che era fuori da Edimburgo per diversi motivi, maledissi la mia mente per aver iniziato a farsi domande del tipo: “Chissà come starà?”, o “Dove sarà adesso?”.

-Sta bene? Terence… intendo.- mi schiarii la voce.

La curiosità era donna, e al momento volevo placarla.

Harrison sospirò.

-Il signorino dice di stare bene, ma… lo conosco da tanti anni ormai, e le posso garantire che non è affatto felice.- rispose, dispiaciuto.

Nel frattempo il cameriere arrivò, portandomi il mio succo.

-Capisco.- ingoiai della saliva.- Beh… come mai ha voluto incontrarmi?- cercai di sorridergli.

-Perché lei è il motivo della sua infelicità.

Dire che la sua risposta mi lasciò di stucco, era dire poco.

-Credo che lui sia il motivo della sua infelicità. Le posso assicurare, signore, che tra me e lui, quella che ha patito più infelicità sono io. Lei non era presente quando Terence mi ha gettato, con freddezza, certe parole. Non è mia la colpa se lui è un vigliacco e ha preferito farsi trattare da burattino dai suoi genitori.- risposi un po’ risentita.

Harrison mi guardò con sguardo sorpreso. Era come se non si aspettasse da me certe parole.

-Temo che non mi sia espresso bene io, signorina. Non era mia intenzione sembrare accusatorio nei suoi confronti.- tossì imbarazzato.- comunque, non “dai suoi genitori” ma… da suo padre soltanto. Sua madre è morta da anni.- abbassò il capo.

A quelle parole, sentii il sangue gelarmi nelle vene.

-Dice sul serio?- la mia voce uscì tremante.- Io… non ne sapevo nulla, davvero.- feci tremendamente dispiaciuta.

Ora capivo tante cose. Perché Terence non avesse mai voluto parlarmi della sua famiglia. Tutte quelle volte in cui aveva schivato le mie domande, e il giorno in cui avevamo giocato al “do ut des” e mi aveva chiesto espressamente di non fargli domande in merito. Avevo fatto tante supposizioni, ma mai avrei creduto che Terence avesse perso la mamma. Mi sentii profondamente triste, in quel momento.

-Purtroppo dico sul serio, Jane.- mi rispose l’autista.- Credo che il signore non le abbia mai detto nulla a tal proposito, perché gli ha sempre fatto male ricordare la morte della sua mamma, l’unica con cui andasse davvero d’accordo. In ogni caso, signorina, ho richiesto la sua presenza, oggi, perché voglio raccontarle un po’ la storia di Terence.

Lo guardai.

-La storia di Terence? – abbassai lo sguardo,- Perché?- chiesi con voce fioca.

Il bicchiere di succo di frutta brillava sotto le luci del locale, ma ora come ora, non avevo voglia di mettere nulla sullo stomaco.

-Perché più di due mesi fa, ho iniziato a vedere qualcosa di diverso nel signorino. Qualcosa di simile a quello che era il ragazzino che incontrai la prima volta che fui assunto a casa Ashling. E sono sicuro che sia stato grazie a lei, se tempo fa ho visto quel qualcosa in lui che, in questo periodo, si è di nuovo oscurato.

Ingoiai nuovamente della saliva, mentre sentii il mio cuore pulsare più forte nel mio petto.

-Lei lo rendeva felice, Jane.- continuò, fissandomi con i suoi occhi azzurri, contornati da diverse rughette,-  Un giorno mi confidò che quando era in sua compagnia, non sentiva il peso della sua cecità. E le posso assicurare che, per un tipo come lui, così chiuso e restio a parlare con gli altri, ammettere certe cose non fu una cosa naturale. Sono qui, dunque, perché voglio raccontarle della sua storia, cosicché lei, possa fare luce su alcuni dubbi che sono certa avrà avuto, quando è stata amica di Terence e perché non voglio che lei abbia un ricordo spiacevole su di lui. La storia sarà un po’ lunga, per cui le chiedo se lei vuole ascoltarla.

Annuii con il capo, troppo scossa per parlare.

-Bene.- Harrison si schiarì la voce, e poi incrociò le mani sul tavolino.- Deve sapere che lavoro per gli Ashling da circa ventitré anni, quindi da quando il signorino aveva sette anni e i suoi due fratelli gemelli, Catherine e Heathcliff, ne avevano undici. Quando conobbi i signori Ashling, non mi fu difficile notare come entrambi non andassero molto d’accordo l’uno con l’altro. Il signore mi si presentò da subito come una persona irascibile, nervosa, e stacanovista, per quanto educata e cortese nei miei confronti. La signora Elizabeth, sua moglie, invece, mostrò una dolcezza e un’eleganza fuori dal comune. – sospirò.- Non erano una famiglia unita, gli Ashling. I due gemelli tendevano ad isolare Terence nei loro giochi quando erano bambini, a fargli dispetti e a essere sgarbati nei suoi confronti. La signora Elizabeth, per quanto li rimproverasse, non riusciva mai a metterli in riga, grazie anche agli atteggiamenti di suo marito che, tendeva a giustificarli con un banale “Sono bambini”. Il signorino visse ,dunque, in un clima familiare piuttosto teso, ricevendo il giusto affetto solo dalla mamma. – Harrison si fermò per bere dal suo bicchiere, una bevanda arancione.

-Scusi l’interruzione,- riprese,- Quando iniziarono gli anni della scuola superiore, Terence cambiò atteggiamento. Pensò bene di trasformarsi in un ragazzo ribelle, sfruttando anche il suo aspetto estetico di cui era sempre stato orgoglioso, e pensando così di attirare le attenzioni di un padre troppo impegnato nei suoi affari per pensare ai suoi figli. Contrariamente, i due gemelli Catherine e Heathcliff, forti del legame che solo due gemelli possono provare l’uno per l’altro, vissero con serenità la loro situazione familiare, supportandosi a vicenda e mostrandosi sempre accondiscendenti quando il loro padre chiedeva loro di fare qualcosa. Gli anni del liceo furono i più difficili per Terence che, per via delle sue note e delle sue bravate da bad boy, ricevette le attenzioni agognate dal padre, ma non come le aveva previste. Il signor Ashling, infatti, iniziò a privargli molte cose e ad adottare misure severe nei suoi confronti.- tossì.- Sto parlando da tanto. Vuole che mi fermi?- l’autista si fermò, guardandomi negli occhi.

-No, assolutamente.- gli risposi prontamente,- Non pensavo che Terence avesse vissuto parte della sua vita in questo modo. Nei nostri discorsi, ogni tanto, mi ha confessato di non avere un buon rapporto con suo padre, che lo ha persino costretto a frequentare un corso di studi che non era nelle sue corde, ma non credevo che suo padre potesse essere una figura così fredda nei confronti dei suoi figli. Posso solo immaginare cosa abbia provato Terence e come si sentisse sua moglie.- conclusi, sospirando.

Mi aggiustai meglio la sciarpa al collo, nel tentativo di placare quel freddo che sentivo stava nascendo in me, dopo aver ascoltato quelle parole.

-Già! La povera signora Elizabeth non era molto felice accanto a suo marito.- Harrison mi guardò.- Sette anni fa, purtroppo, le fu diagnosticato un tumore. – si fermò, mentre io misi una mano davanti alla bocca, dalla sorpresa.- Era un donna fragile e spesso debole di salute, ma nessuno avrebbe mai immaginato che una simile creatura sarebbe stata colpita da un male tanto grave. Per quanto il dolore fosse unanime, quello che ne soffrì di più fu senza alcun dubbio il signorino Terence che, ogni giorno, passava gran parte del suo tempo accanto alla mamma. Suo marito non le fu molto vicino, invece, e quando i più importanti giornali della Scozia iniziarono a fare da avvoltoi sulla terribile notizia, il signore preferì più occuparsi di mettere a tacere i pettegolezzi che di donare affetto ai suoi figli. Disgraziatamente fu una questione di mesi prima che Elizabeth perse la sua battaglia e non ce la fece.- si fermò. Notai che i suoi occhi si erano fatti lucidi così come i miei.

Mi tornò alla mente il momento in cui avevo chiesto ai miei colleghi come facessero a conoscere gli Ashling e di quando Vincent mi aveva raccontato che sette anni fa erano usciti dei giornali sugli Ashling in merito a una disgrazia, distrutti poco dopo.

-Mi scusi,- l’autista prese un fazzoletto dalla sua giacca e si asciugò l’angolo degli occhi. Io, ingoiai un groppo, dovuto alla sensazione di pianto imminente,- Come le stavo dicendo, dopo questa disgrazia, le cose peggiorarono. Il cuore del signor Terence si fece di ghiaccio, divenne più freddo, e più scontroso e iniziò a chiudersi in sé stesso, non rivolgendo più alcuna parole né ai suoi fratelli né a suo padre. Una decina di mesi dopo, la famiglia fu scossa da un’altra tragedia: la caduta in coma del signorino e la sua conseguente cecità, dovuto a un barbaro incontro di pugilato. Il signorino, infatti, dopo la morte della mamma, si era dato a incontri di pugilato illegali, pensando di sfogare la sua rabbia, la sua tristezza e la sua frustrazione in questo modo, e perdendo sempre più punti con il padre, tanto da essere etichettato come la pecora nera della famiglia. Da allora, è diventato la persona che lei conosce. Solitario, distaccato e con un’aria triste perennemente attorno. Il sarcasmo divenne la sua principale arma di difesa e tutte le sue convinzioni e le sue sicurezze, seppur poche, crollarono. Poi…- Harrison mi guardò,- conobbe lei signorina Jane e le cose cambiarono. Sa, ho sempre avuto un debole per quel ragazzo e ho sempre pensato che il suo cuore fosse di ghiaccio, ma non di pietra, e che ciò fosse un bene, perché la pietra è difficile da scalfire, ma il ghiaccio ha solo bisogno di una giusta fonte di calore per sciogliersi.  

Abbassai lo sguardo, sbattendo le palpebre diverse volte, per evitare di piangere. Chi avrebbe mai potuto pensare che Terence celasse delle ferite così grandi.

-E nonostante tutto, Terence ha deciso di aiutare suo padre, sposando quella sconosciuta?- non riuscii a trattenermi.

Harrison sospirò, abbassando il capo.

-Lo fa perché ha paura. – mi rispose.

-Di suo padre?- chiesi scettica, guardandolo.

-No, ha paura di lei, Jane.- puntò il suo sguardo nel mio, con molta serietà.- Come le stavo dicendo prima, da quando Terence l’ha conosciuta, ho notato una diversa luce in lui, e questa luce, senza ombra di dubbio, è dovuta al fatto che lei ha toccato le corde più nascoste del suo cuore.

Mi morsi le labbra, incrociando le braccia sul petto.

-Se così fosse stato, non crede che me l’avrebbe detto e che avrebbe evitato di essere accondiscendente di una follia? E poi, paura di me? Non capisco…- ammisi.

-Signorina, credevo che lei avesse capito Terence. Ha un modo tutto suo di dimostrare affetto, e adesso che ha capito che per lei prova ben altro che dell’affetto amichevole, teme di legarsi troppo a lei. Non vuole che da parte di entrambi cresca qualcosa di troppo grande e che lei finisca per legarsi troppo a lui. Terence, ha sempre vissuto la sua cecità come una grande sofferenza, e vive la sua disabilità come un peso che non vuole condividere con lei. Ha paura di privarla della felicità che merita, con la sua compagnia.- fece con tono stanco.

Dischiusi leggermente le labbra, scossa per ciò che avevo ascoltato.

-E quindi, signore?- lo guardai.- Cosa dovrei fare io? Sa come sono stata male, dopo che Terence mi si è rivolto in quel modo, quella sera? Sa che dopo quel giorno, ho scoperto che delle persone volevano prendermi in giro, giocando con i miei sentimenti? Sa quanto sia triste per me, ogni giorno, pensare a cosa sarebbe potuto succedere se io fossi riuscita a stare con Terence? So che è una persona fragile che vede la sua disabilità come una difficoltà insormontabile, ma … cosa posso farci io?- sussurrai le ultime parole, con tristezza.

-Nulla, signorina. Ma può non odiarlo, può smettere di pensare che abbia deciso di sposare una sconosciuta per vigliaccheria, ma che l’ha fatto perché teme la solitudine più di qualsiasi altra cosa, perché dopo che ha perso la mamma e poi la vista, il suo animo si è adombrato e sente di non avere più la forza di contrastare suo padre. E perché spera per lei un futuro diverso, con un uomo completamente sano. Voglio solo che lei abbia un bel ricordo di lui. Che lo ricordi come una bella persona, sia dentro che fuori. E che non demorda, perché nella vita non si deve mai gettare la spugna, e perché mi è bastato guardarla negli occhi, per capire che lei tiene molto al signore.

Annuì con il capo, incapace di guardarlo negli occhi.

-Bene. Credo di averle detto tutto quello che volevo dirle, Jane. E’ stato davvero un piacere incontrarla.

Non risposi. Rimasi con lo sguardo puntato sul mio bicchiere di succo, ancora fresco tra le mie mani. La mia testa era stordita e preda di una confusione dovuta a tutte le parole che avevo ascoltato. Avere un bel ricordo di Terence? E cosa potevo farmene di uno stupido ricordo?

-Quindi non cercherà di fermare Terence? Mi lascia così, dopo avermi riempita di tutte queste parole?

Harrison si alzò dalla sedia, lasciò dei soldi sul tavolo, e poi mi guardò fisso negli occhi per qualche istante. Infine, mi fece un occhiolino e si allontanò, lasciandomi lì sola con i miei pensieri.

***

Ero seduta su una panchina. Da dove ero io si poteva vedere gran parte del parco di Holirood, alla fine del Royal Mile. Quello che non capivo era come fossi arrivata fino alla cima della collina Arthur’s Seat. Si respirava un’aria fresca e pulita e i miei capelli ondeggiavano al ritmo del vento. Le fronde alberate sembravano danzare con il vento e alcune foglie colorate d’autunno, volteggiavano nell’aria come coriandoli in un giorno di festa. Si stava davvero bene qui e sentivo il mio animo preda di uno stato di tranquillità e serenità, che non provavo da tanto.

-Posso sedermi?- mi chiese una voce familiare.

Non gli risposi. I miei occhi erano incollati su quel paesaggio incantevole che mi fronteggiava e non avrei voluto distogliere lo sguardo per nulla al mondo.

-Si sta proprio bene qui, vero?- continuò la voce.

Senza alcun dubbio era un ragazzo.

Continuai a non rispondergli e a mantenere lo sguardo fisso su quel cielo dipinto d’arancio che faceva da palcoscenico al ballo delle foglie.

Poco dopo però, fui costretta a girarmi. La persona padrona di quella voce, mi aveva appoggiato una coperta sulle spalle. E fu allora che lo vidi. Era Terence, ma c’era qualcosa di diverso in lui. Osservai il suo volto che mi scrutava sorridente. Non portava gli occhiali da sole e… ma sì! I suoi occhi! Erano diversi, più colorati, più luminosi, più… vivi.

-Terence?- mi uscì come una domanda, quella che doveva essere un’affermazione.

-Proprio io.- rispose, sempre sorridente.

Non era da lui mantenere un sorriso sulle labbra. Lui era il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, dal sorriso strano e insolito, non il ragazzo dagli occhi vivi e le labbra curvate.

-Perché sei qui?- chiesi.

Fece spallucce, voltando i suoi occhi verso il paesaggio.

-Mi andava di vedere la mia Jane.- mi rispose, soltanto.

“La mia Jane”. Poteva una frase sconvolgermi così tanto?

-Ti ricordi della prima volta che venimmo insieme in questo parco? Me lo descrivesti come un posto paradisiaco. In effetti, è così.- continuò, con tono allegro.

-Stai bene? Sei strano e… ci vedi?- i miei occhi fissi sul suo profilo, lo guardavano in cerca dei suoi.

Terence ritornò a puntare il suo sguardo vivo su di me.

-Sì ci vedo.- rispose soltanto.- Ma non è stato facile tornare a vedere.- concluse, tornando a guardare fisso davanti a sé.

Il vento fece scompigliare i suoi soffici capelli, facendone arrivare il profumo dritto a me.

-Cosa intendi dire?

Terence fece di nuovo spallucce, e non mi rispose.

-Jane.- disse, poco dopo.

-Ti ascolto.

-Jane.- ripeté.

-Jane.

Mi svegliai di soprassalto, aprendo di scatto gli occhi e portando una mano davanti al cuore.

-Tesoro, stai bene? Qualche incubo?- mi chiese mio padre, sedendosi accanto a me e accarezzandomi i capelli.

Impiegai qualche istante per capire di trovarmi nella mia vecchia stanzetta, nella casa del mio papà.

-Tesoro?- continuò, guardandomi adesso preoccupato.

-Sto bene,- gli feci un sorriso,- E’ stato solo… solo un sogno.- continuai.

Solo un sogno.

-Mhm. L’avevo capito. Ti sei addormentata con la porta aperta e sebbene avessi il volume della partita di football non troppo basso, ho sentito che chiamavi un certo Terence.

-Ah… sì, credo di ricordare qualcosa.- mi passai una mano nei capelli, e mi tirai su a sedere, coprendomi fino al collo con la coperta.

-E sentiamo chi è questo Terence? Il ragazzo che mi dicesti ti piaceva?- mi domandò.

Mi schiarii la voce, sentendomi le guance bruciare dell’imbarazzo.

-Può darsi.- fui vaga.- Comunque è una vecchia storia… nel senso che ultimamente sono successe tante cose e non so… ho tanti dubbi.- ammisi.

-Mhm,- annuì con la testa,- capisco. Con ‘tante cose’ intendi il fatto che si sia fidanzato con quella riccona?

Lo guardai spalancando gli occhi.

-E tu come…?

-Leggo i giornali e vedo la tv, tesoro mio, e ho una buona memoria. Ricordo che mi parlasti del figlio degli Ashling.

Mi toccai i capelli, sempre con imbarazzo.

-Va bene, sono troppo vecchio per immischiarmi in queste cose da ragazzi.- mi diede un pizzicotto sulla guancia.- L’importante è che tu non soffra, angelo mio. Se qualcuno dovesse farti del male, devi subito dirmelo, perché ho la mia età ma il mio destro è imbattibile.- alzò il pugno destro in alto, facendomi ridere.

Se solo avesse saputo che Terence, seppur non vedente, era stato un pugile in passato, non credo avrebbe ripetuto questa frase. O forse sì. In fondo, lui era il mio eroe. Se invece gli avessi parlato di Wilson e della Williams… beh, loro potevano dire in partenza addio alle loro facce da modelli. Ma, non avrei detto nulla di loro a mio padre. Non volevo preoccuparlo e poi gente come quella, andava dimenticata e basta.

-E’ quasi ora di cena. – continuò.- Desideri che cucini io, o ordiniamo qualcosa?- mi guardò con i suoi grandi occhi buoni.

Un po’ di barba copriva le sue guance un po’ scarne e una camicia azzurra metteva in risalto il suo sorriso candido.

-Preferirei riassaporare la tua cucina, ma se sei stanco ordiniamo qualcosa.- lo guardai sorridente.

-Per te questo e altro, mia principessa. Ti cucinerò la migliore minestra scozzese che tu abbia mai mangiato e ci gusteremo insieme il migliore gelato al cioccolato di Aberdeen.- mi fece l’occhiolino e si alzò.

Il bene che provavo nei suoi confronti era inestimabile.

-Ah papà?- lo fermai, quando giunse sulla soglia della porta.

Si voltò, incuriosito.

-E tu con la signorina Ford?- fu il mio momento di metterlo in imbarazzo.

Le sue guance si tinsero di rosso.

-Poi ti spiego, Jane, poi ti spiego.- e scappò in cucina.

-Citare una battuta del film “Il ritorno di Ringo”, non ti salverà, papà.- lo presi in giro, alzando la voce.

Lo sentii ridere e ridacchiai anch’io tra me e me per qualche minuto, per poi rabbuiarmi poco dopo, quando mi tornò alla mente il sogno che avevo fatto.

Terence. Terence che aveva ritrovato la vista e che mi definiva sua. Era stato un sogno, ma così vivo e… reale.  Riuscivo anche adesso, da sveglia, a ricordare il colore lucente delle sue iridi e a sentire il suo profumo pulito accarezzarmi la pelle. Stupida mente! Giocarmi questi scherzi crudeli!

Dopo poco, mi alzai dal mio letto e andai in cucina per aiutare mio padre.

***

Dopo aver apparecchiato la tavola, papà iniziò a servire la cena a base di minestra scozzese accompagnata da crostini di pane fatti in casa, patate al forno come secondo e una coppa di gelato come dolce. La casa profumava di cibo cucinato in casa con amore.

-Beh, prima mi stavi dicendo della signorina Ford…- lasciai la frase in sospeso, portandomi una cucchiaiata di minestra alla bocca.

Il suo calore mi scaldò e mi portò alla mente vecchi ricordi di infanzia.

Mio padre tossì imbarazzato, e il suo imbarazzo non fece altro che far crescere in me curiosità e tenerezza.

-Sei proprio una curiosona, eh?- rise.- Comunque,- si schiarì la voce,- in queste settimane siamo usciti insieme, qualche volta.- tornò a mangiare.

-Interessante! – feci entusiasta,- E poi? Vi sentite al telefono? Dove andate di solito?- misi dei crostini nel piatto.

-Sì… ogni tanto ci mandiamo qualche messaggio e abbiamo in programma qualche altra uscita. Di solito andiamo a cena fuori, o al teatro o al cinema.- sorrise con le gote rosse.

-Benissimo, ne sono molto contenta. Stai facendo bene, papà.- feci seria.- Meriti l’amore più di chiunque altro. Un giorno di questi me la fai conoscere questa donzella.

-Per ora ci stiamo conoscendo, tesoro e non so se sia… beh, amore, il nostro, ma… mi trovo bene con lei e per il momento mi basta.

Annuii con il capo e poi riprendemmo a mangiare, scambiandoci qualche chiacchiera generale. Mio padre si complimentò con me per essermi aggiudicata la prima pagina del giornale del mese scorso, per come l’avevo scritto e per i messaggi che avevo trasmesso e mi chiese di porgere i complimenti anche ad Abbie per le belle foto che aveva pubblicato per il giornale per cui lavorava.

Quando arrivò il momento del gelato, decidemmo di andare a mangiarlo sul divano, con un plaid a riscaldarci e con una videocassetta in tv. Optammo per  Vacanze Romanze”, film in bianco e nero con Audrey Hepburn e Gregory Peck.

Quando il film finì, mio padre mi propose un ballo prima di andare a dormire. Prontamente accettai. Così lui scelse un disco in vinile dalla sua collezione personale di dischi e lo inserì nel giradischi presente in salone. Pochi attimi e riconobbi “Heart Angel”, una canzone degli anni ’50.

Mio padre mi prese per mano e poso l’altra sulla mia schiena. Io posai una mano sulla sua spalla e appoggiai il mio capo sul suo petto. Quando ero bambina, eravamo soliti ballare insieme, solo che allora ero costretta a ballare su i suoi piedi, per non essere troppo bassa. Risi, al ricordo.

-Era tanto brutto il sogno che stavi facendo prima?- mi domandò, danzando lentamente.

Sobbalzai, leggermente sorpresa per la domanda.

-No, affatto! Anzi… era un sogno bellissimo.- confessai.

-Mhm, e cosa succedeva? C’entrava quel Terence?

Annuii contro il suo petto.

-Ti ricordi che ti dissi che era cieco?- continuai.

-Sì, in più l’ho letto ultimamente sui giornali.- rispose.

-Beh, nel mio sogno tornava a vedere e mi guardava sorridente, cosa un po’ strana, visto che di solito è un ragazzo che ride poco. Sai? Ne ha passate tante quando era un ragazzino.- sospirai.

-Capisco.- mi fece voltare su me stessa, con galanteria.- A volte i sogni sono delle previsioni. Lo sapevi, Jane?

Lo guardai negli occhi.

-Cosa intendi dirmi?

-Che magari il tuo sogno diverrà reale, un giorno. E magari, anche prima di quello che credi.

CONTINUA…

 

Aggiornamento lampo! xD

Ciao ragazzi e, come sempre, grazie per aver letto anche questo sedicesimo capitolo. Generalmente non mi convincono mai al cento per cento i miei capitoli, ma questo ammetto, che mi è piaciuto. Ho avuto più ispirazione rispetto altre volte, e in più ascoltare la suonata “Primavera” di Einaudi, mi ha aiutata parecchio. (spero, a proposito, che abbiate letto il capitolo ascoltandola. Non so… rende tutto più magico xD).

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi scuso, se ultimamente i capitoli hanno preso una piega più drammatica, ma è così che avevo immaginato la storia fin dall’inizio e poi, senza la pioggia, non può esserci l’arcobaleno, no? ;)

Grazie per seguirmi sempre e per leggere la mia storia e in particolare grazie a: angy_897,  marioasi e romy2007 per le belle recensioni allo scorso capitolo. Mille cioccolatini a tutte voi <3

Grazie a: My_love_97, silviettina93, winterlover97, e irens per aver aggiunto “Ad occhi chiusi” alle proprie seguite, un bacione a tutte voi, a : Shakana per averla aggiunta alle proprie ricordate :* e a: Annuccia1506_, alla sopracitata winterlover97, a Gio95, e a balli01 per averla aggiunto alle proprie preferite. Un bacione <3

Se vi va fatemi sapere la vostra anche per questo capitolo! Mi rende tanto felice leggere vostre recensioni :)

Un bacio e alla prossima,

Novalis :)

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo Diciassette ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Diciassette

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

 

"Harry, prima o poi tutti dobbiamo affrontare la scelta tra ciò che è giusto e ciò che è facile"- A. Silente

 

 

-Non mi convince niente!- sbuffò Freddie, bevendo subito dopo, un po’ del suo frullato.

Erano almeno tre ore che io e lui eravamo in giro per negozi, alla ricerca di un’idea adeguata per il regalo di matrimonio per la nostra amata Barbara. A meno da un mese dal suo grande giorno, sia io che il mio ex ci avevamo dato dentro per aiutare la nostra amica con i preparativi della festa. Colori, stoffe, canzoni, fiori da allestimento e chi più ne ha ne metta, erano all’ordine del giorno in questo periodo, e a me, stava più che bene. Ovviamente era anche stancante stare dietro ad un cerimonia matrimoniale, dopo le numerose ore di lavoro, ma visto lo stadio confusionale in cui versavo da almeno due settimane, per via dell’incontro avvenuto con Harrison, dedicarmi a qualcosa che non fosse scrivere e correggere bozze, era proprio ciò di cui avevo bisogno. Se ripensavo al sogno su Terence che avevo fatto a casa di mio padre, e se pensavo alle sofferenze che doveva aver passato quello scontroso, sentivo il mio cervello soffocare dentro una ragnatela di cose tristi, e avevo bisogno di non pensarci e di distrarmi, perché, davvero, non sapevo che fare.

-Dai su, Fred, non molliamo! In fondo, abbiamo almeno un altro paio di ore, prima che i negozi chiudano.

Bevvi dalla cannuccia un po’ del mio frappè al cioccolato.

Freddie si guardò intorno mordendosi le labbra, e ticchettando l’indice sul tavolino che ci separava.

-Senti e se…- si fermò qualche istante dopo, guardandomi.- E se non le facessimo un regalo… materiale? Nel senso, non un oggetto, ma qualcosa di più duraturo nel tempo?

Sollevai le sopracciglia.

-In che senso?

-Stavo pensando che potremmo aprire un conto presso un agenzia di viaggi, e regalare a Barbie e al suo futuro marito, un viaggio di cui potranno usufruire per la luna di miele, o quando più aggradano… e poi ,per concludere in bellezza, potremmo comprare una bella cornice e racchiudere al suo interno quella bella foto che ci ritrae tutti il primo giorno di lavoro, nel nostro ufficio. Te la ricordi?

-Quella in cui avevo la frangetta e i capelli piatti, un maglioncino che non porterebbe neanche una nonna, e la gonna informe grigio topo?- chiesi, sperando ardentemente in una risposta negativa.

Dovete sapere, infatti, che per quanto abbia sempre amato la moda, i primi tempi in cui fui assunta all’ Edinburg Fashion Magazine, non avevo un chissà quale alto senso estetico nel vestirmi. D’altronde, con una mamma assente nel fiore della mia adolescenza, non potevo pensare che mio padre avrebbe potuto suggerirmi quale capo stesso meglio con cosa, e quale nuance di colore si abbinasse a un’altra. Fu solo dopo un po’ , che prendendo la mano con modelle e capi d’alta classe delle varie case d’abbigliamento, che iniziai a fare l’occhio e a crearmi uno stile tutto mio.

-Proprio quella.- scoppiò a ridere.

-Ah-ha, che divertimento.- lo guardai di traverso, ridendo subito dopo anch’io.

-No, sul serio, secondo te è una buona idea?,- riprese,- Penso che possa essere una cosa carina, a cui potremmo far partecipare anche Steve e Price, di modo che il budget per il viaggio sia anche più alto. E’ sempre un regalo… materiale, ma i ricordi che entrambi, sia il viaggio che la foto, porteranno con sé, le faranno sempre compagnia. E poi, secondo me, non troveremo niente di meglio nei negozi.

Ci pensai su qualche attimo, bevendo un altro sorso del mio frullato e permettendo, così, al delizioso sapore del cioccolato di zuccherarmi il palato.

-Trovo che sia un’idea splendida.- gli sorrisi, sincera.

Effettivamente quella di Freddie era stata proprio una bella trovata. A Barbara sarebbe sicuramente piaciuto come regalo.

-Benissimo.- mi sorrise, entusiasta.- Beh,- continuò, schiarendosi la voce,- ora che abbiamo finito di parlare di queste deliziose frivolezze, ti andrebbe di dirmi come stai?- incrociò le braccia sul petto.

Le luci del fast food, in cui avevamo deciso di fermarci per prendere un pausa dallo shopping sfrenato, facevano brillare il Rolex che aveva al polso.

-Non bene, Fred. Ti ho raccontato tutta la faccenda degli Ashling e sai cosa provo per Terence, quindi…- spostai il bicchiere in avanti.

-Questo l’avevo capito.- sospirò.- e non hai intenzione di fare nulla per cambiare le cose?

-E cosa dovrei fare? Mi sembra che l’intera situazione sia contro di me. – mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-Non sono d’accordo. Se l’autista degli Ashling ti ha raccontato tutte quelle cose, un perché ci sarà! Forse tocca a te, fare il primo passo e andare a parlare con Terence, per spiegargli che hai capito i motivi che lo hanno spinto a fare la pazzia di accettare il fidanzamento con quella ragazza e a convincerlo che insieme potreste costruire qualcosa di bello.

Scossi la testa.

-Fred, è troppo complicato.

-Solo se pensi che lo sia.- mi rispose, seriamente.

Sorrisi, riconoscendo la citazione.

-Cos’è? Citi il Cappellai matto di Alice nel paese delle meraviglie?

-Mi è sempre piaciuto citare i grandi uomini.- fu la sua risposta.

Qualche secondo e ridemmo insieme.

-E comunque,- riprese, tornando serio.- anche per me è complicato amare Edward, soprattutto in un mondo di pregiudizi e di ignoranza quale è quello in cui viviamo, eppure io non mollo mai, Jane. Nella vita, spesso, bisogna affrontare la scelta tra ciò che è giusto e ciò che è facile. E sì, adesso ho citato Albus Silente di “Harry Potter”.

***

 

Il sabato successivo, Abbie invitò il suo ragazzo a cena da noi.

Per quanto volessi giocare a fare l’indifferente su tutta la questione ‘Terence’, e memore del discorso avuto con il mio adorabile ex, decisi che avrei cercato di dare una svolta ‘attiva’ alla passività con cui mi stavo imponendo di guardare ai miei problemi.

Fu così che quando Tom arrivò, mi prefissai di domandargli se avesse qualche notizia su Terence e se avesse qualche consiglio da darmi su tutta la faccenda. Ma proprio quando presi coraggio e mi affacciai in cucina, da cui poco prima mi ero allontanata per lasciare lui ed Abbie un po’ soli, li sentii parlare di Terence e perciò decisi di rimanere dietro la porta per ascoltare. Probabilmente se mi avessero visto, non ne avrebbero più parlato, temendo di rendermi triste.

-E di Terence, hai qualche novità?- fece Abbie.

-Macché! Da quando è partito, non ci sentiamo da almeno due settimane! Mi spiace dirlo, ma l’amicizia tra me e lui in questo periodo non è più la stessa. Ho provato a chiamarlo una marea di volte, per non parlare di tutti gli SMS che gli ho inviato, ma… non ho mai ricevuto risposta. Secondo me il padre e quel Campbell lo stanno mettendo sotto  pressione, in una maniera disarmante. E ci sto male, per questo, Abbie. Non so che fare.- disse Tom.

-Ma come non vi sentite da almeno due settimane? E’ grave questo, tesoro. Dobbiamo assolutamente fare luce sulla situazione. Innanzitutto, prima mi hai detto che è partito. Per andare dove?- gli chiese la mia amica, con fare preoccupato.

 -Mi disse che sarebbe andato a New York con la sua famiglia e con quella della sua… -Tom si fermò tossendo,- fidanzata. Oddio, mi vengono ancora i brividi a dire questa parola! Da quando si è fidanzato con Tessa Campbell, come ti ho appena detto, non è più lo stesso tra di noi, anche nel modo di rispondermi è sempre stato piuttosto frettoloso.

-Mhm,- sentii Abbie sospirare.- Direi che l’unico modo per capirci qualcosa di più, è informarci. Magari chiediamo anche all’autista della famiglia… com’è che si chiama? Harrison? Beh facciamoci aiutare e cerchiamo di capire almeno se stia bene. Ammetto di aver odiato Terence per come si rivolse alla mia Jane, quella sera, ma da quando lei mi ha raccontato tutti i dettagli della sua infanzia e del rapporto con quell’odioso del padre, mi sembra nostro dovere controllare che almeno stia bene, visto che purtroppo, per il resto, abbiamo le mani legate. Ti chiedo solo una cosa, Tom: non dire niente a Jane. E’ molto sensibile come persona, e in questo periodo gliene sono successe troppe. Sapere che Terence non si fa vivo da due settimane, non farebbe altro che affossarla di più.

E invece, io avevo ascoltato tutto. Ma più che affossata, mi sentivo arrabbiata. Sapere che Terence non solo era stato costretto ad accettare un fidanzamento con un’estranea, per colpa di quello stupido del padre, ma che adesso non poteva neanche sentirsi più con il suo migliore amico, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. E poi, il fatto che per così tanti giorni non si fosse fatto minimamente sentire, mi preoccupava e non poco.

Decisi, con passo felpato, di allontanarmi. Non volevo preoccupare la mia amica, e sapere che io avevo sentito questa parte della loro conversazione, l’avrebbe preoccupata eccome! Adesso volevo solo fare qualche ricerca su internet. Ora che sapevo molte cose della vita di Terence, pensai che non fosse più un’intromissione della sua privacy andare in rete e cercare di capirci qualcosa di più.

Quando arrivai nella mia camera, ne chiusi la porta e aprii frettolosamente il mio computer portatile. Aprii il motore di ricerca, e dopo aver messo una canzone per non destare sospetti alla mia amica, inizia a digitare il nome di Terence e quello del suo futuro suocero.

Trovai, in pochi secondi, numerosi giornali online che citavano come titolo l’imminente festa di fidanzamento tra i due futuri eredi, ma non appena cliccai su di essi per leggerne il contenuto, mi si aprì , in tutti i casi, una pagina bianca con una sorta di simbolo di divieto postato al loro centro. Era come se ogni contenuto scritto su quegli articoli, fosse stato bloccato, e ciò era molto strano, considerato che fino a non molto tempo prima persino i tg parlavano in tv delle due famiglie.

Decisi di non demordere e quando mi parve di accedere ad un articolo che citava gli Ashling postato, per mia fortuna, solo pochi minuti prima da un giornalista, lo aprii. Fortunatamente non era stato oscurato. Pochi secondi, però, e sentii la mia amica bussare alla porta. Feci una foto ad esso con il mio cellulare, senza leggerne il contenuto, e chiusi di scatto il pc.

-Posso?- domandò timidamente Abbie, entrando in camera e richiudendosi la porta alle spalle.

-Certo che puoi. Dimmi tutto.- le sorrisi.

Sperai che la mia espressione sorridente celasse la preoccupazione dei miei occhi.

-No, nulla. Volevo solo dirti che la cena è pronta.

Il suo sguardo era puntato verso il basso e se non avessi intuito il motivo per cui non mi stesse guardando negli occhi, mi sarei preoccupata.

-Non volete cenare da soli, tu e Tom?- chiesi, alzandomi in piedi e stiracchiandomi le braccia.

-Certo che no. Ti ho preparato un piatto super buono, e poi non vuoi fare due chiacchiere con Tom, per verificare che sia il fidanzato perfetto per me?

Ridacchiai.

-Beh… ora che mi ci fai pensare, due domande le avrei.

Scoppiò a ridere e dopo poco uscimmo dalla mia camera.

***

Non avevo bisogno di altre conferme, ma vedere l’amore che legava la mia amica al suo fidanzato, non faceva altro che dare forza alle mie certezze. Il modo in cui si guardavano negli occhi, come si completavano le frasi a vicenda, la maniera in cui gli occhi di Abbie brillavano quando rideva per una sua battuta, erano solo alcune delle cose che mi dicevano quanto bene  stessero insieme. Entrambi non si fermarono mai sull’argomento ‘Terence’, e io non ebbi il coraggio di fare domande. Certo più di una volta si guardarono complici negli occhi, come se avessero qualcosa da nascondermi, ma lasciai stare. Dopo cena, decidemmo di fare alcuni giochi da tavolo, ultimo dei quali  il caro vecchio Monopoly, la cui partita fu vinta da Thomas. Quando i due fidanzatini decisero di guardare un film, decisi di farmi da parte e di rintanarmi nella mia camera, per concludere quelle ricerche su Terence che prima non ero riuscita a portare a termine.

Quando riaccesi il computer, notai, come avevo immaginato, che anche l’articolo che avevo beccato prima di cena, era stato bloccato. Chiedendomi ancora cosa ci fosse dietro a tutte queste cancellazione, aprii le foto che avevo scattato dal mio cellulare. Ciò che era scritto era breve, ma bastò ad aggiungermi altre preoccupazioni. Era raccontato, infatti, molto brevemente, che i preparativi del fidanzamento tra Terence e Tessa erano stati interrotti per motivi riguardanti la salute del primo, nell’articolo non specificati. Lessi anche che la sua condizione doveva essere grave, perché  delle fonti vicine al giornale avevano sentito la famiglia parlare del New York Methodist Hospital. Quando arrivai a fine articolo, sospirai gettando il telefono sul mio letto. Un’improvvisa paura si impossessò di me. Terence che non faceva avere più notizie al suo amico, gli articoli di giornali bloccati, la sua condizione di salute grave al punto da essere ricoverato in un ospedale.

Avevo bisogno di vederlo, di capire con i miei occhi cosa gli fosse successo e come lo stessero trattando. Il primo pensiero fu quello di rivolgermi ad Harrison, così ripresi il cellulare e gli telefonai.

Tre squilli dopo mi rispose.

-Signorina Jane… non mi aspettavo una sua chiamata.- fece, leggermente preoccupato.

-Salve Harrison. Scusi se la disturbo e se andrò dritto al sodo, ma ho bisogno di sapere alcune cose: innanzitutto come sta Terence? Ne sa qualcosa? Ho notato che diversi articoli online, riguardanti gli Ashling, sono stati cancellati , ma sono riuscita a trovarne uno, in cui ho letto che è stato ricoverato in un ospedale a New York… - feci tutto d’un fiato.

Sentii, dall’altra parte, un sospiro.

-Purtroppo so quanto lei, signorina. Due settimane fa, al nostro appuntamento al bar, le ho raccontato che gli Ashling erano partiti, si ricorda?

-Sì.- risposi subito.

-Beh, erano partiti per New York per affari, e il loro ritorno era previsto per la settima scorsa, ma… una telefonata da parte di Catherine mi ha avvisato che il loro viaggio è posticipato a data da destinarsi, per via del fatto che il signorino ha avuto un incidente. Mi ha detto di prendermi un periodo di ferie e di non preoccuparmi.- sospirò.

-Un incidente?- domandai in preda all’agitazione.- Dio...- iniziai a fare su e giù per la stanza.

-Stia tranquilla, signorina. Agitarsi non porta mai a niente di buono. Se può farla stare meglio, le dico che ho deciso di andare a verificare che non sia successo nulla di grave al signorino, personalmente. Fra due giorni ho deciso, infatti, di partire per New York. Terence è come un figlio per me, e ho il dovere di andare  a vedere cosa gli sia successo. E  non parlo solo dell’incidente, ma anche del fatto che è da quando è partito, che non mi manda neanche un messaggio, cosa che gli avevo fatto promettere di fare per tutti i giorni in cui non fosse stato ad Edimburgo.

Mi sedetti sul mio letto, sospirando.

-Partire? Fra due giorni? – mi passai una mano nei capelli.

-Sì, è mio dovere farlo. Piuttosto, visto che siamo in argomento, e visto il fatto che ci avevo già pensato, le chiedo se non… non vuole partire anche lei, con me.

Vista dall’esterno, in questo momento, dovevo sembrare imbambolata, perché dischiusi leggermente le labbra, in un’espressione di pura sorpresa sul mio volto. Non mi aspettavo un invito del genere.

-Partire con lei a… New York?- biascicai.

-E’ quello che ho detto. Se non si fosse capito, io tifo per lei Jane, e visto purtroppo l’andamento delle cose, credo che se lei tenga a Terence, debba fare qualcosa…! In ogni caso, è solo una proposta la mia. E ha diverse ore per pensarci. Domattina, se vuole, mi telefoni, e mi dica ciò che desidera fare. Ora, mi spiace, ma devo salutarla Jane.

Ricambiai il saluto e riattaccai.

Terence aveva avuto un incidente, e diverse cose non mi erano chiare. Che fosse davvero il caso di partire per andare a constatare con i miei occhi quale fosse la sua situazione? Ciò avrebbe comportato richiedere un altro periodo di ferie al mio capo, e dubitavo che me l’avrebbe concesso, ma… forse se gli avessi spiegato la situazione, cambiando dei nomi e modificando qualche dettaglio, avrebbe potuto chiudere un occhio.

L’indomani mattina, vista la piega delle cose, raccontai dell’articolo e della telefonata ad Abbie che, sostenne la mia idea di partire per New York, dicendomi che con molta probabilità mi avrebbe raggiunta anche lei con Tom, qualche giorno più tardi del mio.

Anche a lavoro, Barbara e Freddie furono d’accordo con la mia scelta. L’unico che mi pose resistenza fu, come avevo previsto, George. Ma quando gli dissi, travisando un po’ i fatti,  che un mio parente stretto era stato ricoverato in ospedale, per un incidente, il suo animo si addolcì e il suo sguardo si illuminò, dicendomi di prendermi tutti i giorni di cui avessi avuto bisogno. D’altronde, al Giornale, non stava succedendo nulla di particolarmente importante in questo periodo. E solo a dicembre, con l’arrivo delle feste, sapevo che qualcosa di grande sarebbe stato organizzato.

Il pomeriggio prima del viaggio, presi il più grande trolley che possedevo e lo riempii di qualsiasi cosa mi capitasse a tiro, dall’armadio. Sciarpe, maglioni, pantaloni e scarponcini comodi.  Ero in ansia e avevo tanta paura. Paura di risultare invadente davanti agli Ashling e i Campbell, perché in fondo per loro non ero nient’altro che un’estranea e, soprattutto, paura che a Terence fosse capitato qualcosa di grave.

-Tesoro, vuoi stare tranquilla? Vedrai che non sarà niente di grave…- cercò di tranquillizzarmi Abbie, piegando con cura tutte le maglie che io, per l’agitazione, mi stavo limitando ad appallottolare.

Mi limitai a guardarla per un secondo, continuando a riempire, senza sosta, la mia valigia.

-Lo spero con tutto il cuore. Posso accettare tutto, ma non che stia male.- le dissi.

-Io e Tom, vi raggiungiamo fra due giorni. Alloggerete all’ Hudson Hotel?- continuò.

Annuii con la testa.

-Bene.

La mattina dopo, alle cinque in punto, Abbie mi accompagnò all’aeroporto, dove incontrammo ,all’ingresso, Harrison. Il volo sarebbe partito tra un’ora. La mia amica mi strinse forte in un abbraccio, dandomi un bacio sulla guancia e dicendomi che sarebbe andato tutto bene. Poi, sotto mia richiesta, se ne andò lasciandomi sola con l’autista, con cui andai a sbrigare le diverse faccende burocratiche pre volo.

Quando finimmo, decidemmo di andarci a sedere su una delle fredde sedie di plastiche dell’aeroporto.

-Vedrà che tutto si sistemerà, Jane.- mi strinse una spalla, Harrison.

-Me lo auguro, signor Harrison. In ogni caso, secondo lei, non è sconveniente che io mi presenti davanti agli Ashling? Non mi conoscono neanche e, in fondo, non ho alcun diritto su Terence…- lo guardai, dando voce ad alcuni dei dubbi che mi avevano perseguitato durante la notte.

-Beh, signorina, io non vedo nulla di sconveniente nel farmi compagnia durante questo viaggio. I signori non la conoscono, ma lei conosce Terence e questa è l’unica cosa che conta. In più, lei ha tutto il diritto di fargli una visita, in qualità di sua amica! Se dovesse esserci qualche complicazione, me ne prenderò tutta la responsabilità.

-Grazie Harrison.- gli sorrisi, grata.

Poco dopo mi schiarii la voce.

-Senta Harrison…- decisi di chiedergli ancora.

Lui mi guardò, curioso.

-L’ultima volta che ci siamo incontrati, quando le ho chiesto se lei avrebbe fatto qualcosa per riavvicinare me e Terence, lei non mi ha risposto, mi ha fatto un’ occhiolino e se n’è andato. Non sono riuscita a interpretare il suo gesto… così vago.- ammisi, guardandolo negli occhi.

Harrison, piegò le labbra in un mezzo sorriso. Stranamente assomigliò a Terence, con questa espressione.

-Interpreti il mio gesto come un volerla spronarla a fare qualcosa, Jane. Ci conosciamo da poco, è vero, ma mi basta guardarla negli occhi per leggere dentro di lei tanta forza. So che a lei Terence non è indifferente e il mio occhiolino, voleva essere una sorta di incentivo a “combattere”.

-E in che modo, secondo lei, io avrei potuto combattere? In questi giorni mi sono sentita preda di molti attacchi d’ansia, lo sa? Non ho mai saputo cosa fare.- confessai.

-So che non è facile prendere delle decisioni quando ci si trova immischiati in faccende grandi come quella che si è creata tra lei e il signorino, ma… forse la sua semplice presenza, sarebbe stata sufficiente.

-Ma se Terence, mi ha espressamente chiesto di stargli lontana, come avrei potuto stargli accanto?- feci, passandomi nervosamente una mano nei capelli.

-Walt Disney un giorno disse: “L’unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare”. Quindi, Jane, lei avrebbe potuto fare quello che già sta facendo adesso. Fare di tutto, per mostrare a Terence che lei non si arrende.- mi fece di nuovo l’occhiolino, e poi si girò a guardare lo screen dei vari voli.

Annuii con la testa, ancora un po’ confusa. Era sicuramente un uomo saggio, l’anziano autista, ma sapeva essere anche molto enigmatico. E comunque, questo sembrava il periodo in cui tutti mi parlavano tramite aforismi.

Poco dopo, ci imbarcammo sul nostro volo. I nostri posti erano vicini, e il mio era quello vicino a finestrino, come da mia richiesta. Mi piaceva guardare il cielo e il paesaggio dall’alto. Mi aiutava a riflettere, e a far passare più velocemente il tempo, soprattutto se il viaggio sarebbe durato tanto, come in questo caso, in cui avremmo impiegato sette ore per arrivare a New York.  Questa era la terza volta che partivo in aereo; le prime due volte ero partita per motivi lavorativi, spostandomi una volta a Madrid e una a Milano, per la settimana della moda. Ma, questa volta era diverso. Questo non era una viaggio di lavoro, né di piacere. Partivo per cercare chiarezze in questo periodo della mia vita, che in poco tempo, si era fatto complicato, e per cercare di stare vicino ad una persona che, malgrado tutto, teneva ancora strette tra le sue dita i fili a cui era legato il mio cuore. Forse Harrison aveva ragione. L’unico modo per cambiare le cose, era prendere in mano la situazione, facendo di tutto per cambiarle.

Durante il viaggio io e il signor Harrison non parlammo molto. L’autista era chiaramente giù di morale, sebbene cercasse di sorridermi ogni qual volta giravo il mio sguardo per guardarlo negli occhi. Quanto a me, ero troppo assorta nei miei pensieri per intavolare qualche conversazione.

Poco dopo, forse per il fatto che non dormissi bene da giorni, i miei occhi si fecero pesanti e mi addormentai.

***

-Jane siamo arrivati.- mi svegliò Harrison.

Controllai l’orologio da polso, costatando che, effettivamente, erano trascorse poco meno che sette ore da quando  ci eravamo imbarcati. Mi stropicciai gli occhi, poi diedi una fugata occhiata al finestrino, da cui adesso mi si presentava un paesaggio completamente diverso da quello dell’aeroporto di Edimburgo e poi, uscii.

Presi i nostri bagagli, Harrison chiamò un taxi che ci accompagnò fino all’ Hudson Hotel, albergo non molto distante da Central Park, dove era situato l’ospedale di Terence.

La frenesia e la caoticità delle strade di New York mi colpirono in pieno viso, insieme al vento che fuoriusciva dal finestrino del taxi, da me aperto a metà. Edimburgo, la mia città, era una capitale europea, e come tale aveva la sua frenesia, ma era sicuramente impareggiabile alla città della Statua della Libertà. Qui, erano le otto del mattino per via del fuso orario, e le strade cominciavano a essere colorate dai soprabiti e dai vestiti dei bambini in procinto di andare a scuola, dalla gente che andava a lavoro e da quelli che erano in giro a fare commissioni.

L’odore del fumo delle macchine mischiato al profumo del caffè dei vari bar, ci condusse fino a quando arrivammo alla nostra destinazione. Pagato il taxista, giungemmo alla receptionist dell’hotel, mostrammo i nostri documenti di identità, e poi salimmo verso le nostre stanze.

-Se vuole signorina, diamoci un paio di ore per rinfrescarci e per riprenderci dal viaggio. Verso le dieci, mangiamo qualcosa e poi andiamo all’ospedale.- mi propose l’autista, circondato da due valigie e con una mano sulla maniglia della porta della sua camera.

-Sono d’accordo.- acconsentii, prima di sorridergli e di entrare in stanza.

L’albergo in cui alloggiavamo era a quattro stelle. Le camere erano state pagate da Harrison che aveva insistito per pagare anche il viaggio in aereo. Alla fine, però, l’avevo spuntata io, pagando quest’ultimo.

La stanza era bella. Pulita, e ordinata, con un grande letto al centro e un grande comodino sotto uno specchio. Una tv a schermo piatto si ergeva sopra un divanetto e dalla finestra si potevano osservare dei grattacieli specchiati.

Posai i bagagli vicino all’armadio, mi tolsi le scarpe e l’impermeabile che avevo indosso e poi mi stesi sul letto, incrociando le mani sul petto e guardando il soffitto. Poi chiusi gli occhi e mi concessi qualche minuto per immergermi in qualche ricordo. Ripensai al primo incontro che avevo avuto con Terence, alla sua scontrosità, ai suoi mezzi sorrisi, ai suoi occhiali da sole, alla prima volta che avevo visto i suoi occhi, vitrei ma belli, al nostro scambio di battute, a quando mi cantò “Mad World” al pianoforte, a quando mi fece incontrare i suoi amici al centro di riabilitazione, a quando mi regalò una rosa bianca, a come mi ero sempre sentita in sua compagnia e alle parole che mi aveva rivolto l’ultima volta che ci eravamo visti, quando in mezzo al quel discorso, per me insensato, mi aveva detto di trovarmi bella e di piacergli. Terence Ashling era un ragazzo affascinante, e non parlavo solo del suo aspetto esteriore, ma soprattutto della sua anima.

 La sua anima era affascinante.

Era un’anima segnata da cicatrici, forte, dolce e tanto fragile. E pensare, che la prima volta che lo avevo conosciuto, non mi aveva fatto una bella impressione. Troppo snob, troppo so tutto io, troppo arrogante, ma poi… poi avevo visto sotto la corazza. Avevo visto un ragazzo che cadeva ma che aveva paura ad ammetterlo, che mi regalava le mie caramelle preferite, dicendo che in realtà per lui erano abbastanza, che aveva paura a ballare, perché non lo sapeva fare. Piccoli gesti, che lo rendevano il ragazzo più bello che potessi conoscere. A me Terence Ashling piaceva, e anche tanto, ma la mia non era solo una cotta, o un’infatuazione. Io provavo dell’affetto che andava ben oltre l’amicizia nei suoi confronti. Io ne ero innamorata.

In queste settimane mi ero sentita come la spettatrice esterna della mia vita. Era come se questa fosse un film le cui scene si erano succedute troppo in fretta, senza che io potessi mettere nulla in pausa, senza che potessi tornare indietro e cambiare le cose. Ma adesso, volevo cambiare le cose. Avevo fatto un viaggio lungo sette ore per essere vicina al ragazzo che mi piaceva ,e anche se avevo paura di diverse cose, ero consapevole del fatto di poter essere una protagonista forte perché innamorata, e questa era forse un primo passo per rendere la mia vita il mio film. E non il film di Mary Anne Williams, di Christopher Wilson, di Tessa Campbell, o di qualcun altro, ma il film di Jane Ryan.

***

Alle dieci in punto io ed Harrison andammo in un bar poco distante dal nostro albergo. Io ordinai un cappuccino, lui un caffè. Entrambi avevamo l’aria assorta ma cercammo di fare conversazione, chiedendoci cosa avesse portato Terence ad avere un incidente. L’autista mi raccontò di come il signor Ashling, seppur distante da suo figlio, avesse sempre cercato, dopo la cecità, di garantirgli sicurezza e tranquillità e che quindi ipotizzava, che il tutto fosse successo in un momento di assenza dal genitore. Poi mi raccontò di aver visitato New York già una volta nella sua vita, quando era molto giovane e sperava di far fortuna in America.

-E come è finito a fare l’autista?- feci io incuriosita, bevendo lentamente la mia calda bevanda.

Le temperature erano più calde rispetto ad Edimburgo, ma ciò nonostante avevo un forte bisogno di riscaldarmi.

-Ho iniziato a fare l’autista un po’ per caso. Un giorno un vecchio amico di mio padre, mi chiese se volessi accompagnarlo da una parte per qualche soldo. Prontamente accettai. Quando ero ragazzo, i tempi erano un po’ più difficili di adesso, e non potendo ricevere neanche un’istruzione superiore, mi accontentavo di qualsiasi cosa. Mi accorsi che accompagnare persone con l’automobile mi piaceva. Mi piaceva osservare il mondo che mi circondava attraverso i vetri di una macchina, e che amavo capire i sentimenti di chi scortavo, dando solo una fugace occhiata allo specchietto retrovisore.- l’autista si fermò guardandomi.- Poi, dopo anni di servizio presso una vecchia donna ricca, quando questa morì, fui presentato agli Ashling e da lì…- non concluse la frase.

Io lo ascoltai in silenzio. Harrison era un brav’uomo e visti da lontano potevamo sembrare un nonno e una nipote.

Dopo aver pagato il conto, ci avviammo a piedi verso il New York Methodist Hospital.

-Sa signor Harrison, ho fatto un sogno una settimana fa.- mi strinsi la sciarpa al collo.

Una fiumana di persone avanzava sul marciapiede su cui  stavamo camminando ed io e l’autista ci eravamo avvicinati e fatti piccoli, per evitare di essere spintonati.

-Un sogno di che tipo?- mi guardò un secondo.

-Ho sognato Terence. Eravamo al parco di Holyrood, i suoi occhi erano vivi e mi diceva che era tornato a vedere… anche se ciò non era stato facile.

-Non era stato facile?- chiese curioso.

-Sì… nel sogno mi diceva proprio così. Non so però a cosa si riferisse.

Harrison sospirò.

-Curioso sogno, Jane. Ma per il momento possiamo solo avere fede.

Annuii con il capo continuando a camminare.

Una decina di minuti dopo ci trovammo di fronte ad un edificio in calce, grigio, su cui svettava ,sopra una grande porta vetrata, un’insegna rossa con impresso, in bianco, il nome dell’ospedale.

Io ed Harrison avanzammo lentamente al suo interno, venendo investiti dal candore delle pareti e da un’acre odore di medicinali. La sala d’attesa era grande e sedute c’erano numerose persone, tra cui anziani e bambini.

Quando fummo vicini alla reception, dovemmo aspettare il turno dopo tre persone, tutte piuttosto disperate. L’infermiera che dava indicazione, era una donna di colore dai corti capelli castani, vestita con una casacca bianca colorata da pupazzetti disegnati. Era molto veloce nel dare indicazione e la frenesia con cui svolgeva il suo lavoro, era notabile dai movimenti veloci con cui consegnava moduli e fogli da firmare.

-Prego.- fece la donna, quando arrivò il nostro turno.

-Buongiorno. Vorremmo sapere dov’è ricoverato un nostro amico. Si chiama Terence Ashling.- rispose Harrison.

Io ero vicina a lui, troppo in ansia per spiccicare anche una sola parola.

-Ashling, ha detto? Mi spiace, ma il signor Ashling ha chiesto espressamente di non voler ricevere per suo figlio, alcun tipo di visita. Credo tema incursioni da parte di giornalisti.- concluse l’infermiera, guardando prima me poi lui.

-Oh… capisco. – fece colto di sorpresa Harrison.-E non c’è alcun modo di mettersi in contatto con il signor Ashling per avvisarlo della nostra presenza? Sono l’autista della famiglia e …

-Mi spiace signore, ma gli ordini che mi sono stati datti sono quelli che le ho appena riferito. Ora, la prego di andarsene e di far passare gli altri pazienti.- lo interruppe.

Presi dallo sconforto ci allontanammo. Non avevo considerato la possibilità che la famiglia di Terence non volesse che nessun altro, tranne i parenti stretti, potessero fargli visita. Alla fine, ero punto e a capo. Non avevo concluso nulla.  Ma mi sembrava tutto molto strano. Non permettere a nessuno, nemmeno all’autista di famiglia, di fare una visita era davvero eccessivo. Paura di incursioni da parte dei giornalisti? Ma perché? Fino a non molto prima, il nome Ashling era sulla bocca di tutti, e adesso non volevano giornalisti?

-Harrison?- fece poi, una voce all’improvviso.

Io e l’autista, quasi vicini alla porta d’entrata, ci voltammo. Una donna bella e bionda ci raggiunse, con in mano un bicchiere di carta. Mi ci volle qualche istante per riconoscerla come la donna che avevo visto al “Queen Victoria”, quando Barbara ci disse del suo matrimonio, insieme a Terence.

-Signorina Catherine.- le andò incontro l’autista.

Io lo seguii.

-Che ci fai qui, Harrison? E lei chi è?- mi rivolse un’occhiata la bionda.

Il suo tono era freddo. Il volto era un po’ pallido ma perfettamente truccato e i capelli erano freschi di parrucchiere. Il ritratto di una donna disperata, insomma.

-Salve. Mi chiamo Jane Ryan e sono… sono un’amica di Terence.- risposi titubante, ingoiando subito dopo della saliva.

Catherine mi fissò, guardandomi dall’alto in basso.

-Ah, allora tu sei la famosa Jane Ryan!- puntò, poi, lo sguardo verso l’autista.- Non mi hai ancora detto il motivo per cui sei qui.

Mi conosceva?

-Signorina, so che mi ha detto di non preoccuparmi, ma lei sa quanto sia affezionato al signorino Terence e quando ho saputo dell’incidente, non potevo non venire personalmente a controllare la situazione.- le spiegò.

Catherine strinse il bicchiere nella mano, e continuò a guardare prime me poi l’anziano.

-Mi spiace Harrison, ma temo tu abbia fatto un viaggio a vuoto. Mio padre non vuole che nessuno venga a far visita a mio fratello. E comunque, non capisco perché tu abbia portato… lei.- mi guardò.- sai che c’è Tessa, vero? Potrebbe farsi chissà che strane idee vedendola.  In ogni caso, Terence non è grave. Ora è in coma farmacologico, a causa di una caduta che lo ha portato a sbattere la testa. – concluse la frase come se ciò che fosse successo al fratello, fosse paragonabile a un taglietto sul ginocchio.

-Sbattere la testa?- domandai io, allarmata.

Si rendeva conto della gravità dell’incidente, Catherine tiguardodall’altoinbasso Ashling?

-Non credo che possa interessarti, signorina Ryan. Tu non sei nessuno né per me, né per la mia famiglia, né tantomeno per mio fratello che, come saprai, è fidanzato.

Strinsi i denti, chiudendo le mani a pugno. Avrei voluto tirarle uno schiaffo, ma ero in ospedale e lei era la sorella di Terence. Perché mi si rivolgeva con una tale durezza?

-Signorina, forse per lei non è nessuno Jane Ryan, ma per suo fratello lei è una figura importante, glielo posso garantire. La signorina e io abbiamo fatto un viaggio lungo sette ore per essere qui ,ed entrambi abbiamo il diritto di fare una visita al nostro amico Terence.- le rispose Harrison, diventando rosso. Era visivamente alterato.

-Innanzitutto non ti rivolgere a me in questi toni. Sei un dipendente della mia famiglia, se te ne fossi dimenticato, non un nostro amico. Secondo, nessuno ti ha chiesto di venire qui. Ti ho detto di prenderti un periodo di ferie e di farti gli affari tuoi, questo è tutto. Ora, vi sarei grata, se ve ne andaste o sarò costretta a chiamare la sicurezza.

Catherine Ashling ci scoccò un’ultima occhiataccia  e se ne andò.

Veleno. Ecco cosa scorreva nelle vene di questa arpia dalle gambe lunghe e dal cuore di pietra. Se il gemello era come lei, potevo solo immaginare come doveva essersi sentito Terence da bambino e da adolescente.

-Non mi aspettavo minimamente una cosa del genere, signorina. Mi dispiace così tanto di averla messa in questa situazione.- Harrison abbassò il capo, realmente dispiaciuto.

-Non osi scusarsi, Harrison. Lei non ha nulla a che fare con la scortesia di questa ragazza. Posso anche capire che non permetta a me di fare visita a suo fratello, seppur i modi con cui mi si sia rivolta siano stati molto discutibili, ma a lei… è inconcepibile.

Eravamo ancora nella hall dell’ospedale, e alcuni occhi erano puntati su di noi.

-Non capisco il perché, davvero.- si passò una mano sugli occhi.

-Non si preoccupi. Le va di andare a fare una passeggiata a Central Park?- cercai di sorridergli.

Anch’io ero dispiaciuta per ciò che era successo. Volevo vedere Terence e avere la possibilità di stringerli almeno la mano, ma purtroppo sembrava che non potessi fare nulla per il momento. Ero sì la protagonista del mio film, ma a volte gli antagonisti avevano la meglio.

L’autista annuì, e così uscimmo.

                                                        ***

Seduti su una delle tante panchine di uno dei più bei parchi del mondo, io ed Harrison guardammo la vita di tanta gente girarci attorno. Il cielo era limpido, le chiome alberate erano colorate d’arancio e di giallo, ed io e lui eravamo in silenzio a rimuginare su ciò che fosse successo.

-Un modo per entrare lo troveremo, ne sia sicura Jane. L’ospedale non è della famiglia Ashling e non hanno alcun diritto di proibirci di far visita a Terence.- fece l’autista, ancora rosso in volto.

Era arrabbiato almeno la metà di quello che ero io.

-Jane Ryan, la giornalista?

Mi sentii chiamare da qualcuno, così mi voltai. Sulla panchina accanto alla nostra, ci stavano guardando due ragazze, molto simili tra loro. Una delle due indossava un paio di occhiali da sole sugli occhi e proprio questa mi sembrò di averla già vista.

-Sono io, e tu sei…?

-Sono Lizzie. Ci siamo incontrare al centro di riabilitazione “The House of the Rising Sun”, più di un mese fa. Si ricorda?

Ma certo! Che sciocca che ero stata a non ricordarmene subito.

-Oddio, certo che mi ricordo di te! Scusami, se non ti ho riconosciuto subito. Ho la testa un po’ incasinata in questo periodo .- le sorrisi di un sorriso che purtroppo non avrebbe potuto vedere.

-Salve. Sono Sarah, la sorella di Lizzy.- mi tese la mano, l’altra ragazza.

Gliela strinsi, sorridendole. Ora che guardavo meglio, notai un bastone per non vedenti tra le mani di Lizzie.

-Che ci fai qui? Non eri al centro di riabilitazione?- feci con curiosità.

-Ho uno zio dottore qui a New York specializzato nella cura degli occhi. Vengo a fare dei controlli due volte al mese al Methodist Hospital.- mi spiegò.- Lei, invece? Ho riconosciuto subito la sua voce, ma pensavo di sbagliarmi fin quando non ho sentito una voce maschile nominare gli Ashling e lei.

-Sì, sono stato io. Piacere signorine, sono Harrison, autista degli Ashling.- l’autista si presentò alle due ragazze.

-Piacere mio! Siete qui per Terence, dunque?- ci domandò Lizzie.

-Sì. L’hai ipotizzato sentendo me e il suo cognome?

-Sì, ma anche perché so che è stato ricoverato, e sentendo la sua voce, ho fatto due calcoli.

Harrison ed io ci guardammo negli occhi, con un barlume di speranza. Speranza che lei sapesse qualcosa di più di ciò che ci aveva raccontato quell’antipatica.

-Ne sai qualcosa, Lizzie? Purtroppo non siamo stati ben accolti in ospedale. Gli Ashling non vogliono che nessuno faccia visita a Terence.- feci sconsolata.

-Sì, lo so! Ho tentato anch’io di fare una visita a Terence ma non mi è stato permesso. In ogni caso, ho costretto mio zio a raccogliere qualche informazione.

-Che splendida coincidenza, averti incontrato qui. Ti andrebbe di dirci cosa ha saputo tuo zio?- feci in attesa, con il cuore in gola.

- Certo che vi racconto!- si schiarì la voce.- Dunque mi ha detto che Terence, per motivi che non sa, stava passeggiando per le strade della città quando una macchina è stata sul punto di investirlo. Fortunatamente si è fermata in tempo, ma Terence deve aver avvertito il pericolo, per cui ha perso l’equilibro scivolando e sbattendo la testa contro l’asfalto. Ora è stato messo in coma farmacologico, perché pare che il colpo causatogli dalla caduta sia pari a quello che ricevette quando divenne cieco.

Ascoltai Lizzie, con la massima attenzione. Il cuore iniziò a battermi freneticamente e l’ansia iniziò a salirmi a mille.

-E quindi questo cosa significa signorina?- le chiese preoccupato Harrison.

-Mio zio mi ha spiegato che fortunatamente non è stata intaccata nessuna parte importante, e che fra al massimo due settimane dovrebbero dimetterlo. Il colpo, però, potrebbe aver fatto sì che l’ematoma che gli intaccò il nervo ottico anni fa, si sia ridotto. Quindi, c’è qualche piccola possibilità che torni… beh… a vedere.- curvò le sue labbra.

Quando finì il discorso, sorrisi. Sentii il mio cuore leggero e privo dell’ansia e della preoccupazione che provavo fino a poco fa. Terence sarebbe stato dimesso entro due settimane, senza alcuna complicazione, e anzi, se fosse andato tutto bene, sarebbe persino tornato a… a… vedere! Si poteva morire di gioia?

Anche l’anziano autista sembrò sollevato. Vidi che i suoi occhi si fecero lucidi e che prese a guardare con sguardo inebetito le due ragazze.

-Dovete essere due angeli, voi due signorine! Ci avete portato una notizia splendida.

Harrison face su con il naso e poi si alzò in piedi, abbracciando Sarah e Lizzie.

-Oh, ma non abbiamo fatto nulla! – sorrisero, entusiaste.

-Avete fatto tantissimo, invece.- andai ad abbracciarle anch’io.

Poco dopo ci raccontarono che dalle due alle tre, il padre e i due fratelli di Terence scendevano nella mensa dell’ospedale per il pranzo, lasciando ad un’infermiera l’incarico di sorvegliare la stanza. Ovviamente sapevano tutto questo, sempre grazie al loro zio medico.

-Giusto oggi, stavamo pensando di tentare la sorte e di provare ad andare nella stanza di Terence, durante l’ora di pranzo. Ogni giorno, c’è un’infermiera diversa, e quella di oggi la conosciamo, quindi…- continuò Liz.

Sarah ci lanciò uno sguardo furbetto.

-Sarebbe splendido.- trillai entusiasta.

A quanto pare, un po’ di luce si stava facendo spazio tra i tanti momenti bui che avevo vissuto.

-Bene. Ora, vi va di andare a bere qualcosa?

CONTINUA…

 

Ciaoo ragazze! :) Chiedo scusa per il ritardo con cui ho pubblicato il capitolo. Sono stata con un po’ impegnata in questo periodo! Spero, in ogni caso, di non aver deluso nessuna aspettativa!

Terence è stato ricoverato in ospedale per un incidente che fortunatamente non gli ha causato nulla di grave, e potrebbe tornare persino a vedere…

Mi scuso, a tal proposito, se dal punto di vista medico ci siano delle imprecisioni, ma ai fini della storia, era necessario che le cose andassero come le ho descritte. Spero risultino veritiere ;)

Jane sembra decisa a prendere in mano la situazione e a diventare la “protagonista” della sua storia. Non che fino adesso non lo sia stata, ma a causa dei vari momenti tristi che stava vivendo, si stava lasciando un po’ andare…

Grazie come sempre a tutte voi che non smettete mai di seguirmi, a chi ha conosciuto la mia storia da poco, e in particolare a : angy_897 e a marioasi per le bellissime recensioni allo scorso capitolo. <3

A: Jein 1993, _Ayaka_,mki90,DeneB, LauraG86,shiroganegirl,wadowice,chocosrainbow,Ice and Love, WikiJoe,Kihara,Vale031, e a miriananana93 per aver aggiunto “Ad occhi chiusi” alle proprie seguite. Siete in 104 ,per il momento, che seguite questa storia! Grazie mille davvero a tutte! Non mi aspettavo un traguardo simile. <3

E grazie nuovamente a : wadowice per averla inserita anche nelle proprie preferite <3

Spero di avere il piacere di leggere alcuni vostri commenti sul capitolo! Ci sentiamo presto ^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo Diciotto ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Diciotto

 

http://40.media.tumblr.com/b5cbe01da0646886abfe52d238955f15/tumblr_n1gq55Kmmk1s2p54ko2_r1_500.png

Il grande amore ci fa paura perchè ci mette in una situazione di pericolo,
perchè si diventa vulnerabili; si perde la corazza che abbiamo nei confronti del mondo.
Perchè in amore si dà tutto e si può anche perdere,e perdere tutto.
F.Ardant

Alle due in punto, Sarah rientrò all’interno dell’ospedale per farci da “vedetta”. Il suo compito era di controllare che tutti i componenti degli Ashling si dirigessero nella mensa, così che noi potessimo finalmente entrare nella stanza di Terence.

Dieci minuti dopo, ritornò da noi, dandoci il via libera e dicendoci che insieme ai fratelli e al padre di Terence aveva anche visto Tessa Campbell.

Con noncuranza, ci avviammo verso l’ospedale. Decidemmo di entrare due alla volta, per non dare troppo nell’occhio. Lizzie sarebbe entrata con sua sorella, e io con Harrison.

Dopo poco, fummo dentro. Notai che l’infermiera che ci aveva allontanato in mattinata, era stata sostituita con una dai capelli biondi e che il fermento dei pazienti era minore rispetto a poche ore prima.

-Ovviamente non possiamo stare molto nella camera di Terence. Generalmente gli Ashling rimangono in mensa fino alle tre, ma non si sa mai.- fece Lizzie, quando fummo tutti dentro un ascensore.

Tutto odorava di medicinali. Non mi erano mai piaciuti gli ospedali.

-E per quanto riguarda l’infermiera che sorveglierà la stanza di Terence, possiamo fidarci?- domandò Harrison.

-Sì, potete stare tranquilli. Lavora spesso con mio zio, e molte volte mi è stata vicina durante le mie visite.- rispose Lizzie.

La stanza di Terence era la numero trentaquattro, situata al terzo piano. Quando l’ascensore si fermò, uscimmo tutti con un carico di ansia piuttosto pesante. Passai di fronte numerose camere, notando dalle finestre trasparenti che davano sul corridoio, diverse persone stese su letti coperti da lenzuola bianche.  Sulle maniglie di alcune porte erano legati palloncini colorati, unici sprazzi di colore in quell’ambiente candido. Due volte, passarono due infermiere con dei carrelli di medicinali, ma per fortuna non ci dissero niente. Sapevo, infatti, che per i parenti delle persone in coma, non vi erano degli orari ristrettivi, o comunque lo erano meno che per gli altri pazienti. La presenza di persone care poteva aiutare molto le persone in coma.

Quando fummo di fronte alla porta numero trentaquattro, tutti e quattro ci fermammo. Un’infermiera con una lunga coda di cavallo nera,  salutò le due sorelle, regalando anche a me e a Harrison un sorriso.

-Per fortuna Terence non è in condizioni gravi, e anzi verrà dimesso a breve, ma sono sicura che la presenza di persone amiche non potrà fargli che bene. Non capisco infatti, perché la famiglia non voglia nessuna visita!- fece dispiaciuta la donna, che doveva chiamarsi Megan, come scritto su un cartellino posto sulla sua divisa.- Prego.- aggiunse dopo poco, aprendoci la porta.- Io rimango fuori e vi avverto se qualcuno è in arrivo. Non rimanete molto, però.

-Grazie.- dicemmo all’unisono.

Con il cuore che mi martellava freneticamente nel petto, entrai per ultima. La stanza di Terence era una banale stanza d’ospedale, se non fosse stato per il suo essere più lussuosa delle altre.  Una tv a schermo piatto si ergeva su una parete tinta di un pallido giallo e due grandi piante erano poste accanto a una finestra a balcone, coperta da una tenda bianca. Accanto al suo letto, invece, c’era un comodino con sopra un vaso trasparente, riempito da un vivace mazzo di fiori colorati.

Una volta che fummo tutti vicini al suo letto, lo vidi. Alle sue braccia erano legati alcuni tubicini attaccati a delle macchine che riportavano i suoi parametri vitali e sulla bocca era posata una mascherina di plastica. Notai il suo battito cardiaco regolare.

Aveva ovviamente gli occhi chiusi e vederlo così vulnerabile, mi strinse fortemente il cuore. Sapevo che, ringraziando Dio, sarebbe stato dimesso in poco tempo, ma non potevo sentirmi triste nel vederlo inerme in quel letto.

Tutti lo guardammo senza parlare, tranne Lizzie che fece diverse domande a sua sorella, non potendoci, disgraziatamente, vedere.

I capelli di Terence sembravano più lunghi, e un leggero strato di barba copriva le pallide guance. Le sue ciglia, lunghe e scure, facevano ombra sui bei zigomi, e una medicazione gli copriva una parte della fronte e della testa. Anche così, mi sembrò bellissimo.

Poco dopo vidi Harrison stringergli forte la mano e avvicinarsi al suo orecchio per sussurrargli qualcosa. Ogni tanto mi guardò sorridendo, con occhi lucidi e brillanti.

Poi si avvicinò Lizzie che, aiutata da sua sorella, gli strinse forte la mano. Iniziò a parlargli e a raccontargli di come mancasse a tutti al centro di riabilitazione. Gli augurò una pronta guarigione, e infine gli lasciò un leggero bacio sulla guancia.

Poi, arrivò il mio turno. Mi avvicinai ancora di più al suo letto, e con attenzione strinsi delicatamente la mia mano alla sua. Era fredda.

Ripensai a tutte le volte in cui ci eravamo tenuti per mano, e a come adesso, questo gesto assumesse una valenza diversa.

Rimasi in silenzio per alcuni minuti, concentrata a guardarlo e fotografarmi la sua immagine nella mia mente. Poco dopo, gli accarezzai la guancia destra.

-Ciao Terence.- sussurrai.- Sono Jane.- sentii i miei occhi pizzicarmi.- So che mi avevi detto che quella al parco sarebbe stata l’ultima volta che si saremmo visti, ma… a quanto pare non riesco a starti proprio lontana. –mi morsi le labbra.- E poi, hai visto? E’ bastato che non ci sentissimo per un po’ che tu hai avuto un incidente.

Mi fermai, sentendo gli occhi di tutti addosso.

-Non pensare che non sia ancora arrabbiata con te per come mi hai trattata l’altra sera, ma… ho capito la tua scelta, o almeno ci ho provato. La cosa importante adesso è che tu ti riprenda e che tu sappia che volevo stare con te e lo voglio tutt’ora. Non so cosa succederà quando sarai fuori da questo ospedale, ma poco mi importa. Anche se non staremo insieme, sapere che tu stai bene mi renderà ugualmente la persona più felice del mondo.- sentii una lacrima scorrermi lungo una guancia. Prontamente l’asciugai.- Quando avrai bisogno di me, io ci sarò, e ricorda che ci sono delle persone che ti vogliono bene e che credono in te. Che sanno che scorre coraggio e forza nelle tue vene.– gli strinsi più forte la mano, poi, non badando al fatto che gli altri mi stessero guardando, mi avvicinai al suo viso e posai le mie labbra sulla sua fronte, posando su di essa un leggero bacio. Infine gli lasciai un carezza tra i morbidi capelli, e mi allontanai.

Quando mi voltai vidi Harrison e Sarah guardarmi con occhi lucidi. Lizzie doveva star piangendo perché notai che passò l’indice sotto una lente degli occhiali da sole.

Trascorremmo l’ora in questo modo. Ognuno raccontò qualche aneddoto o qualche ricordo legato a Terence. Ma, anche se nessuno lo diede a vedere, ero sicura che tutti si sentissero come me: strani. Strani a vivere una situazione che nessuno mai avrebbe potuto immaginare. Terence, un ragazzo dalla risposta sempre pronta, testardo, orgoglioso, fragile ma forte allo stesso tempo, steso su un letto di ospedale, e noi qui inermi, a non sapere che fare, nella sua camera come dei ladri, con il tempo contato per guardarlo.

Quando mancarono dieci minuti alle tre, decidemmo di andarcene, per evitare qualche arrivo anticipato da parte degli Ashling. Gli stringemmo di nuovo la mano, e tutti gli mandammo un saluto, con la speranza di rivederlo presto. Io fui l’ultima a lasciare la sua stanza.

Ci affrettammo a salutare l’infermiera Megan che ci disse che avrebbe avuto lo stesso turno tre giorni dopo, se avessimo voluto fare un ulteriore visita a Terence. Ovviamente tutti fummo d’accordo nel riandare in ospedale quando ci sarebbe stata di nuovo lei.

Usciti dall’ospedale, tirammo tutti un sospiro di sollievo, per non aver beccato nessuno degli Ashling. Potevamo solo immaginare cosa sarebbe successo se ci avessero visti.

Comprati dei panini da un chioschetto fuori l’ospedale, decidemmo poi di fare due chiacchere su una delle tante panchine di Central Park.

-E’ stato davvero brutto vedere il signorino in queste condizioni. Non vedo l’ora di vederlo di nuovo in salute. Certo è che mi chiedo come possa aver avuto questo incidente… non riesco a credere che il signor Ashling gli abbia permesso di camminare da solo per le strade della città.- fece Harrison, stringendo tra le sue mani il panino incartato.

Tutti annuimmo con la testa, concordando su quanto avesse detto. Era davvero strano che Terence fosse stato lasciato solo. Per fortuna le cose erano andate bene, ma non osavo immaginare se invece… beh se la caudata gli avesse causato qualcosa di più grave.

-Speriamo che fra tre giorni le cose andranno come oggi, e che nessuno degli Ashling ci becchi.- continuò Lizzie.

Poi rimanemmo in silenzio. Ognuno assorto nei suoi pensieri mangiando lentamente ciò che avevamo comprato. Io rimasi a pensare a cosa sarebbe successo una volta che Terence fosse stato dimesso dall’ospedale. Cosa avrei dovuto fare? Andare da lui e dirgli di dare una possibilità a… un possibile “noi”? Qualsiasi cosa io avessi potuto fare, l’avrei fatta. Questo era sicuro.

***

Nei giorni seguenti rimanemmo tutti chiusi nei nostri alberghi, uscendo solo per comprare qualcosa e per prendere un po’ d’aria. Abbie e Tom ci raggiunsero il giorno dopo dall’arrivo mio e di Harrison. Anche Thomas, come prevedibile, non era riuscito a vedere Terence e si dispiaceva per non essere arrivato il nostro stesso giorno, così da fargli visita insieme a noi, ma era felice di poterlo vedere a giorni, grazie a Megan. Lui ,come noi, non si capacitava di come avessero negato a lui, il più fedele e caro amico di Terence, di vederlo.

Abbie mi fu vicina, e proprio il giorno prima della seconda visita a Terence, mi suggerì di andare a fare una passeggiata per prendere un po’ d’aria e per schiarirmi i pensieri. Secondo lei ero un po’ pallida e sciupata, seppur avessi gli occhi più brillanti delle settimane scorse, per citarla.

Accolsi il suo consiglio e decisi di andare a fare una passeggiata a Central Park, da sola. Ma fu proprio qui che mi capitò una cosa che non avrei mai previsto.

 Ero seduta a guardare dei bambini che rincorrevano un aquilone, ridacchiando e venendo inseguiti da alcune foglie secche, troppo ribelli per rimanere attaccate ai rami degli alberi, insieme alle altre poche loro sorelle staccatesi all’inizio dell’ autunno. Quando mi sentii chiamare da qualcuno. Mi voltai, trovandomi davanti l’ultima persona che mai avrei pensato avrei conosciuto di persona.

Rimanemmo a osservarci per vari istanti. I capelli corti e rossi, il volto bianco coperto da lentiggini, il fisico minuto e gli occhi verdi erano esattamente come avevo visto, tante volte nell’ultimo periodo, sui giornali e alla tv. Vista dal vivo, però, sembrava più bassa e più piccola.

-Jane Ryan?- mi domandò, avvicinandosi. Il suo tono era basso e quasi… timoroso.

Era strano che anche lei mi conoscesse.

-Sono io.- le risposi.

-Sono Tessa Campbell.- mi disse.

L’avevo riconosciuta subito, ma sentire il suo nome mi creò uno strano effetto.

Si sedette accanto a me, sulla panchina, guardando fisso davanti a sé e posando le mani sulla sua borsetta di pelle, color sabbia. Aveva un gradevole profumo, sicuramente firmato, che mi investì in pieno. Indossava un cappotto rosa pastello, abbinato a una collana di perle, ora illuminata dal sole pomeridiano.

-E’ una strana coincidenza trovarti qui, ma sono contenta che il destino ci abbia aiutato, perché avevo bisogno di parlare con te.- fece timidamente, guardandomi un attimo negli occhi.

Dischiusi le labbra dalla sorpresa. Aver incontrato Tessa Campbell in un momento inaspettato mi aveva lasciato già senza parole, ma sapere che lei mi conoscesse e che volesse vedermi, mi sorprese e non poco.

-Terence mi ha parlato di te.- aggiunse.

Mi limitai a guardarla incuriosita.

-Sì, mi ha parlato molto di te. Ho visto delle tue foto sulla versione online del giornale per cui lavori, e adesso eccoci qui.- mi guardò per un secondo sorridendomi, per poi tornare a guardare fisso davanti a sé.

Sembrava come se avesse paura di affrontare il mio sguardo, e dal modo in cui stringeva la borsetta avrei detto fosse molto tesa e imbarazzata. Anch’io lo ero, dovevo ammetterlo.

-Adoro Central Park. E’ così bello, non trovi? Soprattutto in inverno, con la neve e tutto il resto. Da quando sono qui a New York, vengo sempre qui a fare lunghe passeggiate.- osservò.

Annuii con la testa, troppo stranita per poter parlare. Stavo forse sognando? D’altronde l’ultima volta che avevo fatto un sogno strano, mi trovavo proprio in un parco. Mi diedi un pizzicotto su una guancia, ma… no! Ero sveglia e seduta accanto a me c’era la fidanzata del ragazzo di cui ero innamorata, incontrata per caso qui a New York, per chissà quale scherzo del destino.

-Purtroppo non ho molto tempo a disposizione, - riprese,-perché gli Ashling e mio padre mi aspettano in ospedale. Ma volevo incontrarti per dirti che piaci davvero tanto a Terence, e che mi dispiace essere stata la causa della vostra separazione. Se può consolarti, anch’io sono stata separata da un ragazzo che amo alla follia.

Ancora una volta, rimasi in silenzio. Non riuscivo a dire nulla.

-Sì. – mi sorrise, forse capendo il mio stato attuale che prevedeva che io fossi abbastanza sorpresa.- So che probabilmente ti sembra tutto… strano, ma vorrei che tu mi ascoltassi. Ti va?

-… Sì.- riuscii finalmente a risponderle, coinvolta dalla sua gentilezza.

-Mi sono trovata immischiata, proprio come Terence, in un qualcosa di troppo grande a cui entrambi abbiamo avuto paura di ribellarci. Io ho lasciato il mio ragazzo e Terence ha lasciato te, sebbene non steste insieme ma tu fossi importante per lui, come mi ha detto. Abbiamo fatto una scelta a causa della nostra insicurezza, della nostra fragilità, ma soprattutto per un bene più grande: la famiglia, credendo di potercela fare, ma… così non è stato. – scosse la testa, facendo muovere i corti boccoli ramati.- Io e Terence abbiamo condiviso diversi momenti insieme, in queste settimane. Abbiamo parlato, siamo usciti insieme, abbiamo scoperto di avere dei caratteri talmente simili che se ci penso mi vengono i brividi, ma… non è scattato nulla. – mi guardò per un attimo. Mi sembrò che avesse gli occhi lucidi.- Abbiamo concordato, così, sul fatto che il nostro fidanzamento avrebbe portato all’infelicità di entrambi. Che poi, devo essere sincera, Terence non sembrava preoccupato per la sua infelicità, ma… per la mia. Abbiamo deciso di prendere posizione e di discutere con i nostri genitori. Terence ha litigato furiosamente con suo padre e ciò lo ha portato ad allontanarsi da casa da solo, a far perdere le tracce di sé… fino a che… beh, -mi guardò di nuovo.- non è caduto ed ha avuto questo brutto incidente, di cui so che tu sai.- sospirò.- So che volevate andare a trovarlo, è vero?- mi chiese.

-Sì.- sussurrai.- Ma la sorella di Terence non ce l’ha permesso.

In tutto questo non avevo smesso di guardarla. Di guardare questa ragazza che non avevo sopportato per diverso tempo, che avevo persino… invidiato. Lei era la persona che gli Ashling avrebbero fatto sposare al loro figlio, anche se loro due non si conoscevano, anche se non si piacevano, né si amano. E io, invece? Io ero quella innamorata di un sogno, di un qualcosa di irrealizzabile, troppo… nessuno per poter provare a creare qualcosa con lui. Non avevo mai odiato Tessa, perché in fondo, anche lei era una marionetta nelle mani dei suoi genitori, ma adesso che ce l’avevo di fronte mi sembrò così fragile, piccola ma forte, che mi fu inevitabile non ritenerla simpatica.

-Lo so. E mi dispiace molto. Mi spiace anche per lei, perché non ha capito davvero nulla della vita. – sospirò.- Jane…- Tessa si voltò verso di me, prendendomi le mani tra le sue.

Il suo gesto mi mostrò una sicurezza che le sue guance tinte di rosso, cancellarono.

-Io e Terence non ci fidanzeremo ufficialmente né ci sarà alcun matrimonio né adesso, né fra un mese, né fra un anno, né mai. E’ bene che tu lo sappia. Lascia stare Catherine, suo fratello, suo padre,  mio padre, o qualsiasi altra cosa. Terence ha avuto questo incidente per me, perché non voleva la mia infelicità, più che la sua. E non permetterò che quello che gli è successo sia vano, ma  combatterò per la nostra felicità e farò ragionare mio padre e gli Ashling, fosse l’ultima cosa che faccio. – mi guardò con una tale intensità, che non mi fu difficile credere alle sue parole.-Non aggiungo altro, ma volevo incontrarti per tranquillizzarti perché, da come mi ha raccontato Terence, tu sei un ragazza speciale che merita di essere felice.

Si schiarì la voce e io sentii il cuore battermi forte.

Poi si alzò in piedi, tendendomi la mano destra. Mi alzai anch’io stringendogliela.

-Ti prometto che sarai felice Jane, come ti prometto che lo sarà Terence e lo sarò io. Cadi sette volte, ma rialzati otto, ricordalo. E’ stato un piacere incontrarti.- disse.

-Ma… ma io cosa… cosa posso fare?- domandai, tesa.

-Attendi e abbi speranza.

Poi, con timidezza e con mia grande sorpresa, mi abbracciò, prima di salutarmi e di andarsene, lasciandomi con le sue parole degne di un oracolo.

Eravamo proprio sicuri che non avessi sognato?

***

10 Dicembre

 

-Jane Ryan è desiderata alla cassa.- fece Vincent Price, entrando nel nostro ufficio con due bicchieri fumanti di caffè.

-Come, prego?- chiesi confusa, smettendo di scrivere il mio articolo sulla sfilata Missoni, che ci sarebbe stata fra una settimana a Parigi.

-Il grande capo vuole parlare con te.- mi rispose spazientito, alzando gli occhi al cielo.

Come se con il “ è desiderata alla cassa”, avrei dovuto automaticamente capire a cosa si riferisse! Era solo un rincitrullito, quel galletto!

Mi alzai dalla mia postazione, guardando Fred e Barbara che mi fecero un occhiolino. Sorrisi loro e mi avviai.

Uscire dal mio ufficio, e percorrere il corridoio che lo collegava a quello di George, mi faceva sempre ricordare diversi momenti. Come quello legato a quando avevo conosciuto per la prima volta Christopher Wilson, a quando avevo litigato con la donna delle pulizie che, con il tempo ,avevo capito essere stata pagata da Mary Anne per diffondere false notizie su me e il modello, quando davanti alla macchinetta del caffè avevo riso e pianto con i miei colleghi. Era passato così poco tempo da allora, ma sembrava ne fosse passato tanto.

Quando fui di fronte alla porta del ‘grande capo’,  bussai e feci un sospiro.

-Prego.- fece la laconica voce del mio datore di lavoro.

L’ufficio di George era sempre ridotto a topaia, ma quando arrivava dicembre e con esso l’arrivo del Natale, un alberello striminzito e poveramente decorato con tre, al massimo cinque, palline rosse, rendevano l’ambiente più… festoso. O almeno ci provavano.

-Siediti pure, cara Jane.- mi disse… sorridente.

Sì, sorridente. Infatti, George, quando arrivava il Natale, si trasformava letteralmente in un’altra persona. Un po’ come Scrooge, il personaggio di Dickens, avete presente? Ma sì, quel vecchio burbero che ricevette la visita di tre spiriti la sera prima di Natale, che lo ammonirono su quanto brutta sarebbe stata la sua sorte, se non si fosse redento e se il suo cuore non si fosse addolcito davanti alle bellezze della vita. Ed era per questo che ,secondo me, il mio capo, temendo l’arrivo di tre spiritelli pre natalizi, provava a rendersi simpatico, in questo periodo.

Feci come mi aveva chiesto, constatando, per la millesima volta, quanto fosse dura la sedia del suo ufficio. Con le feste non ne poteva comprare una nuova?

-Cara Jane, ho da darti una splendida notizia.- continuò a mantenere le sue labbra curvate.

Quella sua specie di ghigno barra sorriso, mi spaventava un po’, dovevo essere sincera.

-Ah sì?- chiesi, intrecciando le mie mani.

-Sì, mia cara, dolce, ragazza. Hai presente il tuo articolo sul rapporto disabilità-moda? Quello per cui ti diedi la prima pagina e con cui, ti dissi, si sarebbero giocate le sorti del Giornale?- disse entusiasta.

-Sì…- feci titubante.

-Beh, cara ragazza, è stato ben accolto e, oltre a ricevere un premio per il miglior articolo che sia mai stato scritto sull’argomento da un giornale britannico, ho appena firmato contratti con due giornali americani, tre giornali italiani e un magazine asiatico. Ti rendi conto?- si alzò dalla sua sedia, venendomi incontro.

Io rimasi impietrita sulla mia sedia, sia per l’immensa gioia che la sue parole mi donarono, sia perché il mio capo mi sembrò un folle.

-Posso darti un abbraccio, cara ragazza?- mi disse.

Boccheggiai qualche secondo, incredula. Poi, senza che potessi rispondere, George mi prese le mani e mi alzò in piedi, come se fossi super leggera, e mi stritolò… ehm strinse, a sé. Wow!

-Complimenti Jane Ryan.- mi disse.- Beh, ora fila via.- continuò subito dopo, continuando a sorridermi, con le guance rosse come due mele, e aprendomi la porta del suo ufficio.- Ovviamente non accetto un ‘no’ come risposta alla cena del 23 dicembre per festeggiare tutti insieme il “Santo Natale”.- concluse la frase guardando verso l’alto, come se qualcuno lo stesse guardando da lassù.

-Festa del 23 dicembre? Sì… perché no!- gli sorrisi, uscendo poi dal suo ufficio.

Dio, che situazione… imbarazzante! Ridacchiando, tornai nel mio ufficio.

-Jane, ti è suonato il cellulare, mentre eri via. Beh, il capo che voleva?- mi domandò Freddie, aggiustandosi il papillon di paillettes, quando ritornai. Come ogni anno, portava un cappello da Babbo Natale sui capelli castani.

Buttai l’occhio sulla mia scrivania, accorgendomi di aver lasciato il mio telefonino proprio accanto il pc.

-Mi ha detto che il mio articolo sul rapporto disabilità-moda ha ricevuto un premio, e che grazie ad esso, il Giornale ha fatto accordi con diversi giornali internazionali. Il tutto condito da un insolito entusiasmo e da un inaspettato abbraccio.- feci una smorfia, sorridendo subito dopo.

I miei colleghi si guardarono curiosi, per poi ridere anche loro.

-Lo scongelamento di Scrooge: parte prima, attivato!- ci fece ridere Steve.

-Il grande capo che abbraccia Jane Ryan. Troppo figo! Dovevo esserci.- disse Price, sorseggiando ancora il suo caffè.

Io scossi la testa sorridendo, attivando lo screen del mio cellulare e notando un messaggio vocale, allegato a un faccino, da parte di Lizzie. Non la vedevo da quei giorni in ospedale.

Cliccai su di esso, portandomi l’apparecchio all’orecchio.

“Ciao Jane. Scusami per il disturbo, ma Tony, e Charlotte mi stanno costringendo a lasciarti questo messaggio. – sentii un vociare in sottofondo,- Dicono di aver letto il tuo articolo in cui ci sono anche loro, di essere contenti di come lo hai scritto e di volerti assolutamente incontrare per farti gli auguri di Natale. Dicono che avevi loro promesso che saresti andata a trovarli e che non avendolo più fatto, ora ti tocca mantenere la promessa. In cambio… sì  Lotte, glielo dico, ti daranno un dolce Natalizio. Se ti va puoi venire questo fine settimana. Baci.”

Quando il messaggio finì, riposi il telefono sulla mia scrivania. Tornare al “The house of the Rising Sun”? Da sola?

Fu inevitabile per me non rattristirmi un po’. Ripensai a quando ci ero andata con Terence. Terence… chissà come stava. Da quella volta in cui avevo incontrato Tessa Campbell a Central Park, avevo accolto le sue parole “attendi e abbi speranza”, vivendo ogni giorno nella speranza di qualche sconvolgimento. Mi ero immaginata un po’ come Julia Roberts in Pretty Woman, quando alla fine del film incontra finalmente il suo “principe azzurro” venuto a prenderla su una limousine bianca. Il guaio era che io stavo ancora aspettando la mia limousine e il mio principe.

Avevo sperato in una qualsiasi cosa, ma a parte qualche messaggio di Harrison in cui mi diceva di stare tranquilla e di aspettare, ero all’oscuro di tutto. Dopo che avevamo lasciato New York avevo vissuto in simbiosi con il cellulare e con il computer, sperando di leggere qualche notizia relativa agli Ashling o di ricevere qualche chiamata da parte di qualcuno che mi dicesse che tutto si era risolto per il meglio, ma nulla, non avevo ricevuto nulla. Solo due settimane prima ero riuscita a mettermi in contatto con Harrison che mi aveva semplicemente detto di avere un po’ di pazienza. Dopo quello che avevo passato, lui mi diceva di avere pazienza. Mi stupivo del suo buon senso!

Avrei voluto fare qualsiasi cosa, ma non sapevo cosa.

Certo, io stavo andando avanti con il mio lavoro, e con tutto il resto, sorridendo ogni giorno alla vita, perché avevo speranza e l’avrei sempre avuta. In fondo, se Harrison stesso mi diceva di aspettare e di stare tranquilla, qualcosa doveva pur significare, no? Ma era snervante questa attesa, bisognava dirlo. Dovevo attendere cosa? Chi mi avrebbe detto quando l’attesa sarebbe finita? Ah, per la barba di Merlino, che ansia! Intanto, decisi che avrei accettato l’invito di Lizzie. Se il mio articolo aveva ricevuto un premio e una così buona accoglienza, era solo merito suo, di Tony e di Charlotte.

***

Anche il centro di riabilitazione era più colorato, rispetto all’ultima volta in cui ci ero stata. Diversi addobbi natalizi adornavano tavolini , porte e la receptionist, e un grande e alto albero riccamente addobbato, si ergeva nella hall. Era tutto molto bello.

Mary Margaret, la donna che stava seduta dietro la receptionist, mi riconobbe e mi disse che sapeva che sarei venuta. Rispetto all’ultima volta, in cui mi aveva guardato male perché giornalista e quindi “stravolgitrice automatica di eventi”, ora mi sorrideva. Che anche lei avesse paura degli spiritelli natalizi come George? Sorrisi a questo pensiero, entrando con lei in ascensore.

-Di solito i nostri amici possono ricevere una visita dai loro cari della durata di un’ora, ma tu puoi rimanere anche un po’ di più.- mi sorrise cordiale.

Okay, tutta questa cordialità mi insospettiva. Che lei sapesse qualcosa e che nella stanza di Tony, Lizzie, e Charlotte ci fosse…? No, forse ero io che stavo sognando troppo.

-Grazie.- le sorrisi di rimando.

-Prego.- aggiunse, quando fummo di fronte la stanza dei miei tre simpatici nuovi amici, mantenendo un sorriso caloroso.

Bussai alla loro porta, sentendo il cuore iniziare a battere forte. Stupido muscolo, chissà cosa credeva.

Al loro “avanti”, aprii la porta con estrema lentezza. Quando la aprii, però, trovai solo loro tre.

-Oh Jane, cara nostra ragazza.- mi accolse Tony, venendomi incontro sulla sua sedia a rotelle.

-Ciao zuccherino.- mi salutò Charlotte, anche lei in carrozzina.

-Jane.- concluse Lizzie, seduta sul suo letto.

Io richiusi la porta alle mie spalle, salutando Mary Margaret.

-Buonasera a tutti.- sorrisi.

-Oh cara ragazza, che piacere vederti. Ti aspettavamo da tempo, ma finalmente sei qui.- mi tese le mani Lotte.

Quando le tesi le mie, me le strinse nelle sue.

-Come stai, dolcezza?- fece Tony.

La barba bianca e i folti capelli lo facevano sembrare un simpatico Babbo Natale, in questo periodo, con diverse taglie in meno, però.

-Bene, grazie. Voi, invece? Vi ringrazio per il vostro gradito invito. E’ un piacere essere qui e scusatemi per il ritardo. Non sono venuta prima, perché… perché…- non trovavo le parole adatte.

D’altronde non ero più stata lì perché dovevo tornare con Terence, ma prima che potessimo andare, lui… beh, aveva messo la parola ‘fine’ alla nostra… amicizia.

-Non preoccuparti, cara. Prego siediti. Raccontaci come ti stanno andando le cose.

Feci come mi avevano detto, accomodandomi sul letto di Tony.

Ero un tantino imbarazzata. Forse perché ricordavo ancora l’ultima volta in cui ero stata in questo luogo, e forse perché un barlume di speranza mi aveva suggerito, data l’insolita cortesia di Mary Margaret, che avrei potuto trovare Terence in questa stanza. Che mi avrebbe accolto sorridente, stringendomi a sé e dicendomi che saremmo stati sempre insieme. Fantasticavo troppo, vero?

Iniziai a raccontare loro qualche recente avvenimento della mia vita quotidiana. Dal premio che il Giornale aveva ricevuto per il mio articolo, e a tal proposito li ringraziai calorosamente, all’imminente matrimonio della mia collega. Lizzie e Charlotte furono entusiaste di ascoltare nei dettagli l’outfit che avrei indossato in questa occasione. Poi parlai brevemente di mio padre, del recente incontro che avevo avuto con lui e di altre sciocchezze. Ovviamente omisi tutta la parte riguardante i miei piagnistei, e le mie disavventure recenti.

Dopo un po’ feci anch’io loro qualche domanda. Su come avrebbero passato le feste, su come stessero, su come andasse il loro rapporto con la moda. Speravo, infatti, che grazie a ciò che avevo scritto le cose migliorassero per quanto riguardava vestiti, taglie, comodità e qualità.

Poi mi offrirono un pezzo di un dolce italiano, portato da alcuni parenti di Tony. Era delizioso.

Quando controllai l’orologio da polso, mi resi conto di come fosse passato velocemente il tempo. Fra cinque minuti l’orario delle visite si sarebbe concluso, e anche se Mary Margaret mi aveva detto che mi sarei potuta intrattenere di più, Abbie mi aspettava per cena.

-Posso farvi una domanda?- chiesi, iniziando ad alzarmi.

-Certo cara, -fece cordiale Charlotte.

-Cosa ve ne pare di Mary Margaret? Ve lo chiedo perché, l’ultima volta che sono venuta qui mi ha trattato con una certa scortesia, oggi invece… è stata gentile e mi ha sorriso affabile. E’ il Natale che le fa questo effetto, ha ricevuto una bella notizia ultimamente, o sono io che ho frainteso tutto? È solo una mia curiosità.- ridacchiai,  passandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Vidi che si guardarono… complici. Tranne Lizzie che vidi ,però, nascondere un sorriso. Era come se mi stessero nascondendo qualcosa.

-Ma no, è solo… il Natale che le fa questo effetto. Comunque te ne vai di già, cara?- mi domandò Tony.

Solo il Natale… okay. Allora Mary Margaret era proprio come George.

-Sì. E’ stato un piacere venire a trovarvi e state certi che verrò ancora, ma la mia amica mi sta aspettando per cena e non vorrei si facesse troppo tardi.- sorrisi.

-Oh ma certo, hai ragione zuccherino.- mi rispose Charlotte, o meglio Lottie, come voleva farsi chiamare.- Prima però, prendi questo. E mangialo questa sera, mi raccomando.- mi fece un occhiolino.

Mi fu dato un dolce simile a quello che mi avevano offerto, incartato e posto dentro una busta con stampe Natalizie.

-Grazie, siete stati molto gentili. Magari prima della vigilia di Natale, passo di nuovo.  A presto e grazie ancora per il vostro aiuto e per i dolci complimenti che mi avete fatto.

Prima di andarmene diedi loro un bacio sulla guancia. Erano davvero delle persone deliziose!

***

-Che gentili che sono stati i tuoi amici. Magari più tardi mettiamo il dolce in forno per qualche minuto, così da mangiarlo bello caldo.- fece Abbie, assaggiando da un mestolo di legno un sugo preparato da lei.

-Sì, è vero, sono delle persone davvero fantastiche. Potremmo appoggiarlo anche sul termosifone. Così il burro che c’è al suo interno si scioglie meglio.- proposi.

-Hai ragione. Non ci avevo pensato.

Mi avvicinai così, in pigiama, pantofole e capelli disordinatamente raccolti in una crocchia, al tavolo del salotto dove avevo appoggiato il dolce.

Quando lo uscii dalla busta, però, notai che cadde qualcosa. Mi spostai, e guardai che era caduta una busta da lettere bianca.

Una busta da lettere? Aggrottai la fronte. Che Charlotte l’avesse messa per sbaglio nella mia busta?

Appoggiai nuovamente il dolce sul tavolo, e presi la busta.

“A Jane Ryan. Da leggere comodamente su una poltrona o un divano, preferibilmente con un pacchetto di caramelle, a forma di orsetto, alla coca cola”.- era scritto.

Non era firmata, così dedussi che fosse un piccolo regalo da parte dei miei tre amici al centro di riabilitazione. Ma, le caramelle a forma di orsetto? Loro non sapevano che a me piacevano quelle caramelle…!

Decisi di fare le cose con calma. Posai così la lettera sul tavolo, portai il dolce sul termosifone della cucina e dissi ad Abbie che avrei visto un po’ di tv in salotto.

Fatto ciò, con mani tremanti, ripresi la busta bianca, accesi la televisione senza badare al canale, mi avvicinai al divano del soggiorno, mi sedetti e aprii la busta. Le caramelle non le avevo, ma non importava. Mi trovai in pochi secondi, una lettera scritta a mano, con una calligrafia elegante.

Cara Jane Ryan,

mi trovo seduto su una scrivania a scriverti una lettera. Sei una appassionata di letteratura inglese, no? Beh non sarò Mr Darcy, Il signor Rochester o qualche altro paladino del romanticismo inglese ottocentesco, ma ho pensato che ti sarebbe piaciuto ricevere una lettera. Una di quelle scritte a mano che le tue eroine letterarie preferite devono aver stretto tra le loro dita, tante volte. Non sono mai stato bravo con le parole, né sono mai stato capace di esternare con facilità le mie emozioni, per questo ti chiedo di non giudicarmi troppo male, se ciò che leggerai non sarà abbastanza bello come l’avrebbe scritto un cavaliere d’altri tempi.

Si dice che il tempo risani le ferite. Beh, sappi che non è cosi! Siamo noi stessi e sono le persone che ci circondando che cuciono, giorno dopo giorno, le nostre ferite, o che le rendono più profonde. (questo dipende da chi si incontra). Nella mia vita non mi sono mai fidato molto di nessuno, né ho mai regalato i miei sentimenti alla prima persona che mi passava di fronte. Non chiedermi perché! Probabilmente il motivo si cela dietro il fatto che non ho vissuto un’infanzia e una adolescenza propriamente piacevoli, ma questo lo sai già, come un uccellino mi ha riferito. Poi un giorno ho incontrato una ragazza, che mi ha subito colpito, per il suo modo di affrontarmi. Mi piaceva il suo profumo e il suono della sua voce, e mi piaceva il calore che mi faceva sentire la sua presenza, quando era vicina alla mia. Ci sono uscito alcune volte, a volte anche se lei non desiderava la mia compagnia (si veda il viaggio con meta lo stilista McDuff), perché sì… non devo averle fatto una buona impressione all’inizio, e mi sono reso conto di quanto fosse… speciale. I suoi discorsi, la sua risata cristallina e pulita, il modo in cui stringeva la mia mano, la sua intelligenza, la sua ironia  e simpatia mi facevano sorridere e mi piacevano tanto. Per non parlare della gelosia che provavo quando la sentivo parlare di un modello da strapazzo che spero lei non veda più. Fino a quando non ho fatto la pazzia di lasciarmi sopraffare dalla paura e dall’insicurezza, facendola piangere e soffrire. Una delle cose peggiori che abbia mai fatto! Che stupido sono stato! Credo tu abbia capito di chi sto parlando, ma siccome so quanto sia bassa la tua autostima, credo di doverlo specificare: sto parlando di te, Jane Ryan. Sei tu la ragazza che ha toccato le corde del mio cuore, uno stupido muscolo che si era un po’ atrofizzato con il tempo, e che grazie a te è tornato a vivere. Un uccellino (sì, lo stesso di prima) mi ha detto che mi hai sognato… devo proprio piacerti tanto! (lo sai che sono un fantastico e adorabile narcisista!), quindi voglio farti un piccolo indovinello:

Se il ragazzo che stai aspettando vorrai incontrare,

nel punto più alto del parco dei tuoi sogni, dovrai andare.

Da quando il sole sorgerà a quando tramonterà, lui con piacere

aspettare, si farà.

Okay, fa piuttosto pena come indovinello, ma spero l’avrai capito lo stesso. Ora, non voglio più tediarti con il mio romanticismo da due soldi. Spero di avere il piacere di rivedere la tua incantevole figura, magari questa volta… guardandoti sul serio.

T.”

Quando finii di leggere, mi accorsi di avere le mani tremolanti e di aver bagnato di alcune lacrime la carta. Tirai su con il naso, asciugandomi con la mano le guance bagnate. Il cuore mi martellava così forte nel petto che credevo sarei morta da lì a breve, se non si fosse calmato. Poi, poco dopo, scoppiai a ridere. Risi così forte, che Abbie si affacciò dalla cucina, guardandomi con sguardo stranito.

-Che succede? Oddio ma tu stai piangendo… oppure stai ridendo? Jane, mi senti? Ti senti bene? E quella lettera?

Gliela diedi, senza rispondere, iniziando a saltellare a ballare per tutta la casa, pensando “Oddio, oddio, oddio”, piangendo e ridendo allo stesso tempo.

Sembravo una pazza, e forse lo ero. La gioia mi aveva resa pazza.

Quando anche Abbie gridò un “Oh. Mio. Dio”, capii che aveva finito di leggere. La mia amica mi corse incontro, con il grembiule sporco di sugo, stritolandomi in un abbraccio.

-Okay, okay… stiamoci calmi! Questa lettera è di Terence, vero? Oh cavoli, è di lui sicuro,- iniziò a biascicare,- Quindi vuole che vi incontriate al parco di Holyrood, no? Perché è lì che l’hai sognato, giusto? Il punto più alto è l’ Arthur Seat? E poi, l’uccellino? E’ Harrison, giusto?

-Abbie, stai straparlando.- la interruppi scoppiando a ridere.

-Sì lo so!- rise anche lei. -È che sono così felice per te. Anche Tom ha fatto l’evasivo su tutto l’argomento Terence in questi giorni, e temevo che per voi due non ci fossero più speranze e invece… oddio, sono troppo felice. Ora però vestiti, dobbiamo andare a trovare il tuo innamorato.

-Cosa?- la mia voce uscì troppo squillante.- adesso?

-Sì hai ragione, è meglio fare domani. Tanto è domenica, no? Quindi sei libera. Domani mattina si va ad Holyrood, gente.- gridò, prima di allontanarsi.

L’adoravo troppo. Era inutile.

***

La domenica mattina mi svegliai in tutta fretta. Era così tanta la voglia di rivedere Terence che non avevo dormito per niente, controllando ogni secondo l’orologio e alzandomi ogni tanto per cercare l’outfit adatto per quando l’avrei rivisto. D’altronde con quel suo “potrò guardarti meglio” non poteva volermi dire altro: era tornato a vedere. Oddio, mi sentivo svenire al solo pensiero che avrei visto i suoi occhi.

Alle sei non ce la feci più a rimanere nel letto, così mi alzai andando ad aprire la doccia, per lasciare scorrere l’acqua calda.

Poi mi avvicinai all’armadio e optai per il secondo completo che avevo scelto durante la notte. Avrei indossato un vestitino dallo stile anni ’50, nero con dei ricami bianchi, dei collant color carne e delle inglesine di vernice bordeaux. Da sopra avrei indossato un cappottino color cremisi. A Terence, amante della buona moda, sarebbe piaciuto il mio stile… o almeno lo speravo.

Mi feci la doccia, poi mi asciugai i capelli e idratai il viso con mille creme. Volevo che fosse tutto perfetto!

-Jane, sei sveglia?- sentii Abbie gridare dalla cucina.- Fra poco si parte, ragazza.

-Sì, scendo subito.- urlai di rimando, ridendo.

A colazione avrei voluto bere solo una tazza di caffè bollente, ma Abbie mi costrinse a mangiare anche una fetta biscottata ricoperta di marmellata “perché la giornata deve partire con zucchero”, come aveva detto.

Quando fummo pronte, uscimmo di casa.

Il viaggio mi sembrò lentissimo e per tutto il tempo dovetti resistere alla tentazione di mangiarmi tutte le unghie, vista l’ansia che mi stava pervadendo. Cosa avrei fatto? Cosa mi avrebbe detto? Cosa sarebbe successo? In un cartone animato, la mia mente sarebbe stata fumante in questo istante.

-Harrison ti ha detto nulla? Sa che oggi incontrerai Terence?- mi chiese la mia amica, ferma all’ultimo semaforo prima di arrivare al parco.

-In realtà aveva il cellulare spento. Ho provato a chiamarlo molte volte ma non mi ha mai risposto. Gli ho lasciato comunque un messaggio. In ogni caso penso che sappia tutto . Magari vogliono farmi una sorpresa…

-E’ probabile.- Abbie si voltò un attimo verso di me, e mi sorrise.

Cinque minuti dopo, fummo di fronte il parco di Holyrood. Notai dal cancello esterno quanto fosse pieno. Palloncini colorati, passeggini, anziani signori. Oggi c’era così tanta gente che sperai di non metterci troppo a trovare Terence. Mi aveva scritto che si sarebbe fatto trovare sul ‘punto più alto’ ovvero l’Arthur seat.

-A dopo, baby! Vedrai che andrà tutto bene.-mi diede un bacio sulla guancia, prima che io uscissi.

-Ti faccio sapere tutto, appena possibile. Speriamo vada tutto bene, amica mia.- la salutai con la mano, e poi mi allontanai.

Iniziai a camminare rischiando di venire travolta da biciclette e tricicli di bambini. Mi aspettava un lungo cammino davanti, ma non mi importava.

Avevo raccontato il mio sogno ad Harrison, ma non gli avevo specificato che nel mondo onirico incontravo Terence proprio sull’ Arthur Seat. Pensai che fosse proprio una bella coincidenza che lui avesse scelto proprio quel posto come punto di incontro.

Camminai respirando l’aria fredda che mi circondava. Nel mio sogno, eravamo all’inizio dell’autunno, e un incantevole ballo delle foglie mi si stagliava davanti agli occhi. Io ero seduta e Terence mi si avvicina. Oggi, invece, ad Edimburgo la neve era iniziata a cadere ed ero io che sarei andata da lui.

Una decina di minuti dopo, un po’ affaticata, raggiunsi la collinetta più alta del parco. Iniziai a scalarla e in poco tempo, ci fui sopra.

Volsi lo sguardo attorno a me, con il cuore a mille. Di fronte ai miei occhi si stagliava il paesaggio mozzafiato del parco e da qui tutte le persone sembravano delle macchioline colorate seminate in un immenso campo bianco. Mi voltai dappertutto ma di Terence non ci fu neanche l’ombra.

Il cuore iniziò a battermi forte nel petto. Che mi fossi sbagliata? Che il punto di incontro non fosse quello?

-Ho sempre immaginato che tu non fossi un tipo da scarpe con il tacco.- disse una voce.

Mi voltai con lentezza, mettendo una mano sul petto, come se in questo modo, facessi smettere al mio cuore di battere così forte.

-Terence…- sussurrai, quando lo vidi.

In un’altra situazione sarei rimasta immobile a guardarlo, ma la voglia di incontrarlo era stata così forte che quando me lo ritrovai davanti, gli corsi incontro e lo abbracciai.

Lui rimasi inizialmente impassibile, forse non aspettandosi il mio gesto, ma poi mi strinse con le sue braccia più vicino a sé.

Rimasi ferma contro il suo petto, sentendo il suo cuore battere velocemente e inspirando il suo profumo di pulito. Avevo sempre amato il suo profumo.

Dopo qualche istante, mi allontanai per guardarlo negli occhi. Finalmente non erano coperti da alcuna montatura da sole. Erano grandi, luminosi, vivaci, brillanti e così vivi da togliermi il respiro. Tendevano più sull’azzurro che sul verde ed erano incredibilmente… belli.

-Jane.- mi disse, sorridendo.

Quanto poteva essere bello il suo sorriso.

Rimasi incantata a guardarlo, senza riuscire a spiccicare alcuna parola. Sentivo le gambe molli, come se fossero fatte di gelatina e il cuore battere così forte da farmi male.

-Ehi?- mi chiese, vedendomi incantata.

-Terence.- riuscii a rispondergli, stringendomi di nuovo a lui.

-Vuoi farmi proprio arrossire, Jane Ryan.- mi disse.

Ridacchiai scostandomi e guardandolo di nuovo negli occhi. Mi guardò con una tale intensità, che dovetti rimanere appoggiata  a lui per non rischiare di cadere.

-Hai un viso… così bello.- mi sussurrò accarezzandomi una guancia.- Sei ancora più bella di come avevo immaginato.- continuò, sorridendo dopo un po’ e facendomi inumidire gli occhi.

Era così strano vederlo sorridere.

-Il fatto che tu non mi dica nulla, mi preoccupa. Mi ricorda l’ultima volta che ci siamo visti…- girò il capo, cercando di celare il suo imbarazzo.

-E’ solo che... non ho parole abbastanza belle da esprimere ciò che sto provando.- sussurrai.

Poi gli accarezzai la guancia, tastandone il calore, e la morbidezza. Tornò a guardarmi.

-Mi spiace… per tutto. Per averti fatta piangere. Per essere stato uno stupido. Per non averti aperto il mio cuore fin da quando avevo capito che ormai era tuo. Mi spiace…- continuò, abbassando lo sguardo.

Gli sorrisi.

-Mi sei… mancata tanto, Jane. – tornò a guardarmi.

-Anche tu. E’ così bello rivederti, ed è così bello sapere che ora ci vedi, Terence. E’ stato un miracolo.- gli sorrisi, sentendo una lacrima sfuggire dal mio controllo.

Ultimamente mi stavo trovando a piangere troppe volte, ma era bello quando le lacrime erano dovute all’immensa felicità.

-Forse sei tu… il mio miracolo, Jane.- disse serio.

Io abbassai lo sguardo, non riuscendo a controllare i miei occhi dal piangere altre lacrime.

-E’ un sogno, vero? Sto sognando?- chiesi, voltando lo sguardo attorno a me.

Era impossibile che una cosa così bella stessa capitando a me.

-Siamo nel mondo reale questa volta, Jane.- raccolse le mie lacrime con il pollice della sua mano.- E se vuoi te lo dimostro, anche.

Posai nuovamente lo sguardo su di lui, curiosa della sua affermazione. Ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, Terence posò le sue labbra sulle mie e mi baciò.

CONTINUA…

Ciaoo ragazze ^_^

Eccoci finalmente al diciottesimo capitolo di “Ad occhi chiusi”. Chiedo scusa per il ritardo con cui l’ho pubblicato. Ormai avrete capito che sono una lumaca con gli aggiornamenti ç_ç

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Io ho amato scrivere la lettera di Terence e descrivere il loro incontro alla fine del capitolo. Mi auguro sia lo stesso per voi e di non aver deluso alcuna aspettativa :D

“Ad occhi chiusi” è una storia molto importante per me, ed è proprio per questo che credo sia giusto darle il finale che merita. Se i miei calcoli non sono errati, il prossimo capitolo sarà il penultimo o l’epilogo finale. Vedo un po’ come strutturarlo ^^ Ovviamente cercherò di non farvi attendere molto la prossima lettura.

Vi sono tanto ma tanto grata  per leggere ciò che scrivo e per seguirmi. Davvero grazie mille a tutte voi <3

Grazie in particolare a : marioasi, e a Clojuno per le belle recensioni allo scorso capitolo <3

A: orny81, yama1988,hurry, e Lullaby 85 per aver aggiunto la mia storia alle proprie seguite! :)

A: Jamessa Bond per averla aggiunto alle proprie preferite <3

Grazie a tutte! Un bacio e a presto <3

Ah, ovviamente, se vi va sarei contenta di leggere la vostra opinione sul capitolo :)^^

 


Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo Diciannove ***


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Diciannove

 http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

“Non può essere ch’io abbia tanta felicità, dopo tanto dolore. È un sogno; un sogno di quelli che ho fatto spesso, di notte, immaginandomi di stringerla ancora una volta sul mio cuore, come faccio ora; credendo di baciarla e sentendo che mi amava e che non mi avrebbe lasciato mai.” –Jane Eyre- C. Bronte

 

Se inizialmente rimasi sorpresa per il suo gesto, dopo non mi fu difficile sciogliermi tra le sue braccia, beandomi del suo bacio che si rivelò lento e dolce.

Terence mi tenne stretta tra le sue braccia come se fossi fatta di cristallo, accarezzandomi i capelli e baciando le mie labbra con una lentezza e una dolcezza tali da farmi pensare che avesse paura di rompermi, o farmi male. Io assaggiai le sue, assaporandone il sapore dolce, fresco, e delizioso, constatando quanto fossero soffici e piene. Poi, spostai le mie mani passandole tra i suoi capelli, morbidi e lisci.

Avevo spesso immaginato come sarebbe stato baciare Terence, ma ogni mia aspettativa era inferiore a ciò che stavo vivendo adesso.

Il suo bacio fu stravolgente e l’effetto che mi causò fu destabilizzante. Era come se fossimo rinchiusi in un bolla, e non esistesse più niente  e nessuno oltre noi. Le nostre labbra si modellarono come se non avessero voluto fare altro da tempo, come se stessero aspettando questo momento da sempre. Come si aspetta di vedere una fontana d’acqua in un deserto ,o una fonte di luce in fondo ad una galleria. E dentro di me iniziai a sentire una girandola di emozioni che mi costrinse a tenermi a lui, se non fossi voluta cadere. Sentivo un grande calore all’altezza del petto, come se un’infinità di raggi solari mi stessero trapassando il cuore. Ed era bella come sensazione. Tanto bella.

Non so quanto tempo passò. Probabilmente stavano passando minuti, ore o giorni. Sapevo solo che non volevo separarmi da lui per nulla al mondo.

Qualche secondo dopo, però, ci scostammo l’uno dall’altro, per tornare a respirare.

Terence mi guardò sorridente. Anche i suoi occhi ridevano ed erano così belli, luminosi, vivi.

-Ti ho convinta che non stiamo sognando?- tornò ad accarezzarmi la guancia.

Io sorrisi, abbassando lo sguardo.

-Mi sa che ho bisogno di un’altra prova.- aggiunsi dopo poco.

Ridacchiai e poi mi tuffai nuovamente sulle sue labbra, baciandolo con sentimento.

 Quando ci scostammo, lui rideva. Rimanemmo a guardarci in silenzio per vari secondi. Mi trovai a pensare che fosse così bello che Terence vedesse e stesse qui con me. Ero così emozionata, euforica e felice che non trovavo alcuna parola per esprimere ciò che stavo provando. Avevo tante domande da fargli, ma non mi sembrò il momento di esporle. D’altronde, avrei avuto tutto il tempo per fargliele, no?

-Non te ne andrai più, vero?- gli chiesi titubante.

Mi guardò intensamente, facendomi di nuovo tremare le ginocchia.

-Nessuno potrebbe più separarmi da te, Jane Ryan, a meno che sia tu… a dirmi di farlo.- soffiò sulle mie labbra, lasciando su di esse un altro leggero bacio.

Io lo strinsi di nuovo a me. Ascoltare il battito del suo cuore era musica per le mie orecchie.

-Sei ancora arrabbiata con me?- domandò, teso.

Mi scostai da lui, per guardarlo.

-Vorrei esserlo, soprattutto perché non hai capito fin dall’inizio che non era la scelta giusta quella di assecondare tuo padre, ma… non potrei esserlo neanche volendo, perché sono troppo felice di vederti, e la felicità è più grande di tutto. Comunque, dovresti ringraziare Harrison, per avermi fatto capire tante cose di te.

Lui mi accarezzò i capelli, sorridendo.

-Ne sono felice. Per quanto riguarda Harrison, l’ho già ringraziato.- ridacchiò. –Comunque… ti è piaciuta la mia lettera? Spero che non sia risultata troppo pietosa.- continuò, puntando lo sguardo verso il paesaggio che si stagliava dietro di noi. Come se non affrontando il mio sguardo, non si sarebbe sentito a disagio.

-Moltissimo. È stata la lettera più bella che abbia mai ricevuto… anche se è stata l’unica che io abbia mai ricevuto, in effetti- ridacchiai,- ma è stata splendida, davvero. E mi è piaciuto anche il modo in cui me l’hai fatta recapitare.- gli risposi sinceramente.

-I cari Charlotte, Lizzy e Tony…! Avevo già deciso che ti avrei fatto arrivare la mia lettera in maniera speciale, e quando sono stato contattato da Lizzy, perché voleva sapere come stessi, mi è venuta l’idea. Sono contento che ti sia piaciuta.- mi sorrise, felice.

-Ma a proposito… hai scritto davvero di essere geloso di un certo “modello da strapazzo”?- ricordai ciò che avevo letto.

Terence si schiarì la voce, in evidente imbarazzo. Trattenni una risata.

-Può darsi. Comunque, visto che ne parli… che ne è stato di lui?- riprese a guardarmi.

-Mah niente di che! Ci siamo solo fidanzati ufficialmente.- lo presi in giro, mordendomi le labbra per non scoppiare a ridere.

Lui si scostò un secondo da me, corrucciandosi.

-Ti piace scherzare, Jane Ryan?

-Sì.- diedi finalmente libero accesso alle mie risate.

Dopo poco, rise anche lui, stringendomi di nuovo tra le sue braccia.

-Mi era mancato anche il suono della tua risata.- mi strinse forte.

Rimanemmo così per diversi attimi, poi sciolse il nostro abbraccio, e mi prese per mano.

 -Beh… non sono più abituato a invitare ragazze ad appuntamenti, ma… ti andrebbe di passare la giornata con me?- il suo sguardo era titubante.

Davvero credeva che avrei rifiutato una simile proposta? Dopo che non lo vedevo da settimane ed avevo sofferto moltissimo per la sua mancanza nella mia vita?

-Certo che sì. E spero di passarne anche molte altre con te.- gli feci un occhiolino, sicura di me stessa.

-Bene,- sembrò sollevato.- ti andrebbe dunque di iniziare, facendo una passeggiata nel parco e andando a bere una cioccolata calda? Conosco un negozio che la fa buonissima.- mi propose.

-Ovvio che sì.- feci entusiasta.

 -Perfetto. -mi strinse la sua mano, leggermente imbarazzato.- Questa volta lascia che ti guidi io.- continuò con fermezza.

Gli sorrisi.

Probabilmente, visti dall’esterno, sembravamo entrambi due adolescenti, impacciati e timidi, al primo appuntamento. Ma andava bene così.

Camminammo in silenzio, scendendo la piccola collinetta di “Arthur seat” e iniziando a passeggiare tra la tanta gente. La neve cadeva lenta, in piccoli e soffici fiocchi bianchi. Faceva molto freddo ma la presenza di Terence era una sufficiente, e molto piacevole, fonte di calore.

-Terence?- lo chiamai ad un certo punto.

-Sì?- si voltò verso di me, curioso.

-Ti aspettavi che io fossi così? Nel senso, ora che mi hai visto, sei rimasto… deluso?- preferii guardare davanti a me, più che affrontare il suo sguardo che sentii posarsi su di me.

-Sì, sono rimasto deluso.

Sentii il mio cuore perdere un colpo. Abbassai un attimo lo sguardo.

-Sono rimasto deluso da me stesso, per non averti immaginato così bella nella mia mente. Quando sei cieco, il tatto diventa la tua vista e quando accarezzai il tuo volto me lo disegnai in un certo modo nella mia testa. Ti avevo immaginato bella, ma non… così tanto.- si schiarì la voce.

Sorrisi imbarazzata, sentendomi le guance arrossire.

-Non capisco perché tu non ti piaccia. Ricordo ancora quando mi parlasti delle tue insicurezze sul tuo aspetto fisico. Sei veramente bella, Jane, e devi credermi. Hai una di quelle bellezze raffinate, e semplici che non possono far altro che disarmarti.- mi sorrise per un attimo, tornando a volgere lo sguardo davanti a sé.

Lo guardai, con il cuore in gola. Forse questo, era uno dei complimenti più belli che mi fossero mai stati dati. Ricordavo ancora Christopher Wilson quando, con i suoi ammalianti occhi grigi, mi aveva detto che ero bella. Avevo creduto alle sue parole, a volte, ma adesso che sapevo che erano parti di uno sporco piano, le parole che Terence mi rivolse brillarono di una pura autenticità.

-Grazie Terence.- gli sussurrai.

Terence strinse più forte la presa delle nostre mani.

Poi continuammo a camminare in silenzio. Ogni tanto rise, soprattutto quando vide dei bambini giocare o far arrabbiare qualche nonno o quando il naso a carota di un pupazzo di neve fatto da una ragazzina, cadde miseramente a terra. E io mi beavo del suono della sua risata. Era come se lo conoscessi adesso, per la prima volta. Quello che avevo frequentato fino adesso, era stato il Terence cieco, scontroso, freddo, che rideva poco o mai e che mostrava la bellezza del suo animo, poche volte. Quello di adesso, che vedeva e sorrideva sempre, sentivo che era diverso.

Ridemmo e continuammo a camminare, fino a quando non si fermò davanti a un negozietto che vendeva cioccolata calda e dolci natalizi. Era abbastanza piccolo, ma riuscimmo a trovare un piccolo tavolo per noi.

Al suo interno, fummo accolti dal tipico profumo dei buoni dolci, da un caloroso camino e da delle graziose tendine a quadretti bianchi e rosa che coprivano due piccole finestre. C’era anche un piccolo alberello di Natale, e qualche campanellina festiva messa qua e là. Una radio posata sul bancone d’ingresso, invece, trasmetteva con volume basso, delle canzoni.

-È bellissimo qui.- osservai, iniziando a togliermi il cappotto.

-Faccio io.- disse Terence, sfilandomelo del tutto e spostandomi, in modo cavalleresco, la sedia su cui mi sedetti.

-Quanta galanteria.- lo stuzzicai, ridacchiando.

-Io sono un gentleman, signorina.- fece un sorriso sghembo.

Io risi, di risposta. Lo era davvero.

-Sono contento che ti piaccia questo posto.- continuò togliendosi il suo giubbotto e rimanendo con una camicia bianca visibile solo dal colletto, coperta da un maglioncino rosso.

Poi, prendemmo i nostri menù. C’erano così tante leccornie che avevo l’imbarazzo per la scelta. Alla fine optai per della cioccolata calda con panna e per una fetta di torta al limone. Anche Terence scelse le mie stesse golosità.

Dopo aver ordinato, quando la proprietaria del negozio se ne andò, prese a fissarmi, sorridendomi.

-Perché mi guardi così?- domandai, leggermente imbarazzata.

-Così come? È la prima volta che ti guardo sul serio, non puoi dirmi di non farlo.- mi fece un occhiolino.

-Giusto…- ridacchiai.- Allora ho una scusa per farlo anch’io.- ricambiai l’occhiolino, posando la guancia sul palmo della mia mano, e prendendo ad osservalo con gli occhi a cuoricino. Proprio come facevo da ragazzina, di fronte al poster di qualche attore. Solo che Terence era più bello di qualsiasi attore, ed era proprio qui davanti ai miei occhi.

-Mi trovi bello, almeno?- mi chiese, con sguardo malizioso.

Mi fu inevitabile non ripensare alla prima volta che lo conobbi. Quando mi fece la stessa identica domanda.

-Tendo a non giudicare l’aspetto esteriore di una persona se non conosco prima la sua interiorità!- gli risposi, ridendo.

Aspettavo che anche lui ricordasse le mie parole del nostro primo incontro.

Tempo due secondi, e infatti anche lui scoppiò a ridere.

-Sapevo che avresti collegato la mia domanda alla prima volta che ci incontrammo.- rise ancora.- Comunque, conosci bene la mia interiorità adesso e … mi hai già detto di trovarmi bello.- mi fece di nuovo l’occhiolino.

Abbassai lo sguardo, sorridendo. Che tipo che era!

Qualche istante dopo, iniziarono a trasmettersi le note di “Stay with me” di Sam Smith.

-Grazie Jane.- disse poco dopo, tornando serio.

Mi piaceva il modo in cui pronunciava il mio nome. Lo guardai sorpresa.

-Perché ho ammesso che ti trovo bello?- sollevai un sopracciglio, facendo un mezzo sorriso.

Lui scosse il capo, sorridendo leggermente e prendendo la mia mano posata sul tavolo, e stringendola alla sua.

-Per diverse cose. Per essermi stata sempre vicina, accettando tutti i miei difetti senza rimanerne spaventata. Per essere sempre stata forte e non aver mai avuto paura di esprimere la tua opinione, facendomi capire tante cose. Per aver fatto un lungo viaggio per essermi vicino. E soprattutto per non avermi dimenticato.- sussurrò l’ultima frase, abbassando lo sguardo.

Io sollevai una mano per accarezzargli una guancia, facendo incatenare di nuovo i suoi occhi ai miei.

-Come si può dimenticare la persona che ti ha rapito il cuore, e stregato l’anima?- ora toccò a me abbassare lo sguardo, in pieno imbarazzo.

Aver letto tanti grandi romanzi inglesi, mi permetteva a volte di dire frasi molto romantiche. Ma era la verità! Terence Ashling mi aveva stregato l’anima come Elizabeth Bennett aveva fatto con Mr Darcy, o come Jane Eyre aveva fatto con il signor Rochester. Nella mia vita avevo amato solo Freddie, prima di Terence, ma… neanche lui era riuscito a far vibrare le corde della mia anima come aveva fatto il ragazzo dagli occhi azzurri.

Sentii il sorriso di Terence posarsi su di me, baciando poi il palmo della mia mano, appoggiata ancora sulla sua guancia.

-Qui l’unica che mi ha stregato l’ anima, sei tu, Jane Ryan. Credo davvero che tu sia stata il mio miracolo.

Sorrisi, sentendo i miei occhi farsi ,di nuovo, lucidi. Stavo diventando una dalla lacrima facile, ma era così bello sentirsi rivolgere questa frase, che per diverse volte avevo solo immaginato. Poi Terence spostò la mia mano, stringendola alla sua sul tavolo.

-Sei stata coraggiosa a venire in ospedale, nonostante… la mia famiglia. A tal proposito, - si schiarì la voce,- ti chiedo scusa anche per questo. Harrison mi ha detto come si è comportata mia sorella.- il suo volto si corrucciò.

-Non preoccuparti. Tu non sei loro e, sapendo di aver fatto la cosa giusta, non ho badato minimamente alle parole di tua sorella, che… se posso permettermi, è davvero una strega.- lo guardai.

-Puoi permettermi eccome! Lei è uguale a mio padre, e con mio fratello, non merita alcun appellativo gentile. -mi strinse più forte la mano.

-Piuttosto tu… come stai? Stai davvero bene?- gli accarezzai, di nuovo, una guancia. Il suo volto era così liscio e profumava di dopo barba.

Lui chiuse un attimo gli occhi, al mio tocco.

-Sto benissimo, Jane. Come non lo ero da tantissimo tempo.  E non lo dico solo perché sono tornato a vedere, e perché ho la fortuna di essere qui con te, ma anche perché… sono successe tante cose, in questo periodo.

-Ah sì?- feci curiosa.

Lui annuì con il capo, sorridendomi.

-Sul tuo bellissimo volto leggo che vuoi che ti racconti un po’ di novità, giusto?- chiese.

A quanto sembrava ero proprio un libro aperto!

-In effetti sono molto curiosa e ho sete di risposte. Ma, non per il momento… voglio solo che oggi stiamo insieme, senza che alcun problema pesi su di noi.- feci sincera.

Ero la prima a voler sapere tante cose. Volevo capire come si fosse risolta la questione con Tessa, con suo padre e con il signor Campbell, come mai i mass media non parlassero più della sua famiglia, come avesse avuto l’incidente che lo aveva riportato a vedere e… tanto altro. Ma, oggi non era sicuramente il giorno adatto.

Lui annuì nuovamente.

-Ti prometto che ti racconterò tutto. Ogni più piccolo dettaglio.- fece una croce immaginaria sul cuore.

Nel frattempo due tazze a forma di pupazzo di neve, belle fumanti, arrivarono insieme a due piattini di torta. Il profumo della cioccolata calda era inebriante. Terence mi lasciò la mano, sorridente.

Poi prese il suo cucchiaino mangiando un po’ della mia panna.

-Ehi, quella è la mia tazza!- mi lamentai, sorridendo, e pizzicandogli la mano.

-Ahi!- si lamentò di risposta.- La tua cioccolata ha molta più panna della mia, non lamentarti.- continuò, facendomi la linguaccia.

Terence Ashling che mi faceva la linguaccia. Andava tutto bene.

***

La meta successiva al negozietto della cioccolata, fu un mercatino di Natale che fu allestito sul Royale Mile, dove era stato decorato anche un alto abete, ora non ancora illuminato.

C’erano immensi tavoli addobbati di oggetti natalizi troppo deliziosi! Cappellini, coperte ricamate a mano, orecchini, braccialetti, palline, festoni, sculture e tante altre meraviglie.

Terence guardava tutto con gli occhi sgranati, come se fosse un bambino davanti a tanti regali. Aver vissuto tanti anni senza vedere niente, se non il buio più totale, doveva permettergli adesso di vedere tutto con più meraviglia. Era come se guardasse il mondo, con i suoi colori, le sue luci e la sua vivacità, per la prima volta.

-È bellissimo qui. Stasera, se vuoi, ci torniamo. So che illuminano tutto.- fece entusiasta.

Poi si fermò vicino a un bancone che vendeva cornici per quadri e fotografie, tutte in legno intagliato.

-Ti serve una cornice?- feci incuriosita.

-Sì, ne vorrei una piccola in cui racchiudere una fotografia di mia madre.- mi spiegò, guardandomi per un attimo, per poi tornare a osservare i numerosi lavori artigianali che lo fronteggiavano.

Rimanemmo a lungo per cercare quella giusta, poi aiutato dalla signora che li vendeva, optammo per una piccola cornice in legno chiaro con intagliati due piccoli cuori intrecciati.

-Ottima scelta.- gli dissi, osservando la busta con il suo nuovo acquisto.

-Sono d’accordo.- mi sorrise,- Oh guarda che belli.- si fermò, poi, vicino a venditore di gioielli.

-Sono fatti a mano.- ci disse il vecchio signore che li vendeva.

Erano meravigliosi. Tutti gioielli in un materiale simile all’argento, impreziositi da pietre colorate. Mi colpì subito un braccialetto con pietre blu e un anello.

Poco dopo Terence prese l’anello che stavo guardando e me lo mise davanti gli occhi.

-Ti starebbe bene. Provalo.- mi sorrise.

-Cosa? Oh no, non preoccuparti.- accompagnai la frase con un gesto della mano.

-Insisto. Mi piace e vorrei vedere come ti sta.- continuò, prendendomi la mano. -Posso farglielo indossare, vero?- si rivolse al signore.

-Certo.- gli rispose il vecchio venditore, sorridendo bonariamente.

L’anello era molto semplice. Era argentato con al centro una piccola pietra rossa, ora colpita da un raggio solare, che tentava di far capolino nel cielo coperto da nubi bianche. Terence me lo infilò all’anulare della mano sinistra, con molta facilità. Sembrava fosse fatto per me.

Rimasi a guardarlo per diversi istanti. Era bellissimo.

-Quanto costa?

Lo sentii fare questa domanda, e prima che potessi fare qualcosa, me lo comprò.

-Ti sta benissimo.- mi disse con gli occhi luminosi, prendendomi poi per mano.

-Grazie, Terence. Ma non dovevi, davvero...

-Perché non dovevo? Ora siamo insieme Jane, e l’anello è uno dei simboli più importanti dell’unione di due persone. In più, quando lo vedrai penserai sempre a me, e quando lo vedranno gli altri, sapranno che hai già il cuore impegnato.- mi rispose, senza voltarsi, continuando a camminare.

 Sorrisi, sentendomi di nuovo battere forte il cuore. “Ora siamo insieme”. Quanto poteva essere bella una frase così. Stare insieme. Essere uniti. Inseparabili.

-Non ho bisogno di un oggetto per pensare  a te.- gli feci presente, sorridendo.

-Effettivamente con una bellezza della mia portata, è difficile non pensare a me.- mi prese in giro, ridendo.

Risi anch’io finché non si fermò davanti ad un'altra bancarella. Due ragazze stavano vendendo angioletti e palline da appendere all’albero di Natale.

-Che meraviglia! Non faccio un albero di Natale da quando… ero piccolo.- mi sorprese.

Terence non decorava un abete natalizio da così tanto tempo? Potevo scommetterci che colpevole di questo doveva essere stato quell’odioso del padre.

-Ciò è male Terence. Dobbiamo assolutamente porre rimedio alla cosa. Ti chiedo, dunque, se ti va domani sera di venirmi a prendere dal lavoro, di venire poi a casa mia e di aiutare me ed Abbie a fare l’albero.- gli proposi.

Lui rimasi qualche altro istante con lo sguardo puntato sul luccichio che emanavano quei deliziosi addobbi, per poi guardarmi.

-Sarebbe bellissimo! E magari sempre domani, coglierò l’attimo per raccontarti un po’ di novità che sono successe, se vorrai ascoltarmi ovviamente. Una te la posso anticipare: Harrison si è licenziato, ora vivo a casa sua e non vengo più scorrazzato su auto di lusso. Sono tre novità, in realtà, ma non fa nulla…

Fu inevitabile per la mia bocca non dischiudersi dalla sorpresa. Cosa mi aveva appena detto?

-Oddio, non ci credo! Davvero?- feci con stupore.

-Assolutamente sì. Ma te ne parlerò meglio domani. Ora aiutami a scegliere qualche decorazione per l’albero.- mi si avvicinò, lasciandomi un bacio a stampo sulle labbra.

-Va bene.- balbettai, scossa per questo nuovo bacio.

***

Io e Terence trascorremmo il resto delle ore, divertendoci e comprando quanti più addobbi possibili. Non potemmo fare molti giri per la città, vista la neve che aveva iniziato a coprire i marciapiedi e a rendere le strade bagnate. Tornammo nuovamente al parco di Holyrood per costruire un pupazzo di neve che, ahimè, non venne molto bene. Ma poco importava, perché ciò ci procurò ulteriori risate.

Quando la neve smise di ballare nel cielo, era già sera. Avevamo cenato in un piccolo locale scozzese, mangiando dei panini e bevendo coca cola.

Dopo cena, avevamo deciso di ritornare a passeggiare lungo il Royal Mile, ora tutto illuminato a festa. Sembrava che le stelle del cielo si fossero trasferite sull’alto albero di Natale posto al centro della strada. Tutto brillava, compresi gli occhi dei bambini estasiati davanti alla magia del Natale, e compresi gli occhi di Terence, più vivi che mai.

-Mi era mancato così tanto vedere.- mi disse, mantenendo lo sguardo fisso sulle numerose lucine che ci fronteggiavano, e stringendomi la mano con delicatezza.- Mi erano mancati i colori, la luce… la vita.

Io annuii con il capo, rimanendo a guardare il suo profilo perfetto. Lui era per me, la luce più bella di tutte.

-Terence ti va di venire a un matrimonio?- gli chiesi, dopo un  po’.

Lui si voltò e prese a guardarmi curioso.

-Un matrimonio? – i suoi occhi brillavano come diamanti azzurri.

-Sì. È di una mia collega. Te lo accennai quando andammo al centro per cani, non so se ricordi. La messa e la cerimonia avranno luogo fra pochi giorni, il 20 per la precisione. Quindi mi chiedevo se,- titubai,- vuoi venire con me.- volsi lo sguardo sull’abete.

-Certo, molto volentieri.- vidi con la coda dell’occhio che mi sorrise.

***

A fine serata, quando a malincuore dovetti ritornare a casa, Harrison si fece trovare vicino al parco di Holyrood, appoggiato a una… DeLorean grigia, modello anni ‘80. Una caffettiera, insomma.

-Harrison!- gli corsi incontro, sorridente.

Era bello rivedere quel vecchio uomo, dal cuore grande e dagli occhi buoni. Se non fosse stato per lui, dubitavo che le cose sarebbero andate come erano andate.

Lui mi sorrise, tendendomi una mano. Io la rifiutai, abbracciandolo direttamente.

Harrison rimase immobile per qualche secondo, per poi ricambiare il mio abbraccio, gentilmente.

-Ha sorpreso anche me con i suoi abbracci.- fece Terence, divertito.

-È bello vederla felice signorina.- mi disse il vecchio autista, scostandosi da me.

Io gli sorrisi. La sincerità con cui disse questa frase, non fece altro che renderlo più adorabile.

-Grazie per tutto Harrison.- gli dissi.

-Dovere, signorina.- ricambiò il sorriso.

-Certo è però che mi sarebbe piaciuto che mi anticipasse qualcosa, piuttosto che dirmi di avere pazienza e di aspettare.- feci una smorfia, ridendo.

Harrison rise.

-Signorina, non sa che l’attesa del piacere è essa stessa il piacere?- mi fece l’occhiolino.

-Bella risposta, Harry!- gli batté il cinque, Terence.

Io scossi la testa, ridacchiando. Guardandolo meglio mi accorsi che non era vestito con la sua divisa da autista.

-Anche se Harrison non è più il mio autista, siamo rimasti amici ovviamente. In quest’ultimo periodo ho ancora bisogno di qualcuno che mi accompagni, perché ho perso allenamento con la guida.- mi lesse nel pensiero Terence, avvicinandosi a me.

-E io l’accompagno molto volentieri. Mi sono dimesso come autista degli Ashling, ma non come autista di Terence, il mio amico.

I due si sorrisero, come un padre può sorridere orgoglioso a un figlio e come un figlio può sorridere felice a un padre, e mi fu inevitabile non pensare a come la vita fosse strana. Il vero padre di Terence non mostrava a suo figlio l’affetto e l’amore che avrebbe dovuto, e una persona che non aveva alcun rapporto di parentela con lui, invece sì. Pensai che Harrison fosse il miracolo di Terence.

-Mi fa molto piacere. Era sofferente sapere che un uomo buono come lei, prestasse servizio presso una famiglia così… sgarbata.- dissi.

I due annuirono, e dopo poco fummo tutti in macchina, con meta la mia casa. Pensai, a quando io e Terence ne avremmo potuto condividere una tutta nostra. Arrossii al pensiero.

***

-Jane mi puoi passare la pallina verde, per favore?- gridò Abbie, sopra uno sgabello.

Io, Terence, Abbie e Tom avevamo impiegato almeno un’ora per montare ogni ramoscello dell’albero di Natale. Avremmo voluto comprarlo vero, ma non avendo un giardino, e a causa del lavoro, non avremmo potuto curarlo dopo il periodo natalizio, così ne avevamo comprato uno sintetico.

I due ragazzi erano in cucina a lucidare la stella che avremmo usato come puntale, regalata ad Abbie da sua nonna, qualche anno fa.

Io ero tuffata nella scatola dove avevamo conservato le palline acquistate negli altri anni.

-Questa?- le passai una pallina di vetro verde.

-Sì, è perfetta.- me la prese dalle mani e l’appese ad un ramoscello.

Abbie era l’artista della casa. Ogni Natale addobbava l’albero senza permettermi di appendere nulla. Si creava degli schemi, e dei disegni, e quando arrivava il giorno voleva che tutto fosse fatto come diceva lei.

Io la lasciavo fare, perché era davvero brava nell’addobbarlo, ma quando si allontanava o si distraeva, coglievo l’attimo per aggiungerci io qualche decorazione.

-Eccoci qui!- fece Tom, sorreggendo trionfante la luminosa stella che avremmo messo sulla punta dell’albero.

-È solo merito mio, se è venuta così luminosa.- disse Terence, prendendo in giro l’amico.

-Ma per favore!- gli disse Thomas spintonandolo leggermente.

Io ed Abbie scuotemmo il capo, dicendo insieme : “Uomini! Sono come i bambini”.

-Sta venendo benissimo, amore mio. –le disse il suo ragazzo, abbracciandola da dietro.

Anche se lei era sopra uno sgabello, lui era ancora più alto di lei.

-E tu non l’aiuti?- mi domandò Terence, cingendomi la vita con un braccio.

Il suo calore e il suo profumo, mi fecero battere forte il cuore.

-Non me lo permette, la signorina. L’albero può essere addobbato solo da lei. In cambio, le faccio da sguattera passandole palline.- presi in giro la mia amica, attendendo una sua risposta.

Abbie si voltò un attimo verso di me, con un angioletto, di quelli comprati da me e Terence, in mano.

-Invece di essere onorata di passare le palline a Lady Abbie Anderson, si dà anche della sguattera. Ma sentitela!- storse il naso, stizzita.

Scoppiammo tutti a ridere.

-Senta Milady, non è che mi permetterebbe di aiutarla a  decorarlo? È un desiderio che ho da anni.- fece Terence, sorridendo.

Tutti lo guardammo. Abbie alzò un sopracciglio per qualche istante, chiaramente indecisa sul da farsi.

-E sia Sir, ma solo perché lei è Sir Terence di Edimburgo.

Ridemmo nuovamente tutti.

Due ore dopo eravamo stravacati sul divano del salotto a guardare uno show televisivo. Eravamo tutti molto stanchi e anche un po’ impolverati per via della polvere che era posata su alcuni scatoloni di palline, ma felici per il risultato ottenuto. Palline rosse e verdi si fondevano benissimo con pupazzi di neve in legno e angioletti brillantati. Tutti illuminati da lucine bianche.

Terence si era mostrato un bravissimo decoratore di abeti natalizi, grazie al suo buon gusto, e il risultato finale era splendido. Certo io non avevo fatto molto, ma vedere la luce di gioia che brillava negli occhi di Terence mentre appendeva le varie decorazione, proprio come fosse un bambino, era stato uno spettacolo bellissimo.

-Va bene, questo show mi ha  già annoiato. Io e Tom ce ne andiamo…- disse Abbie, tirando per il braccio il suo ragazzo, ad un certo punto.

Iniziammo tutti a guardarla.

-Ma amore, questa è la parte dove…- cercò di protestare Tom.

-Niente ‘ma’ tesoro. Andiamo in camera mia e lasciamo questi due fanciulli da soli a godersi un po’ dell’intimità che è stata loro privata in questo periodo.- Abbie fu categorica. Poi si voltò verso di me, facendomi l’occhiolino.

Io mimai un “grazie” con le labbra, sorridendole.

Thomas si alzò di malavoglia, dando una pacca sulla spalla al suo amico. Poco dopo si allontanarono, bisticciando, mentre salivano le scale.

Quando non si sentirono più le loro voci, ma solo il rumoreggiare della tv, voltai lo sguardo verso Terence.

-Hai proprio un’amica fantastica.- disse, iniziando ad accarezzarmi i capelli.

-Anche il tuo non è male.- sorrisi, socchiudendo gli occhi per la delicatezza con cui mi arrivavano le sue carezze.

Lui annuì con  il capo. Poi mi prese il polso con delicatezza, e mi avvicinò più a sé iniziando a baciarmi. Lasciò un bacio prima sulla mia fronte, poi sulle mie guance, poi sul mio naso, poi su i miei occhi che si erano automaticamente chiusi. Una parte del viso alla volta. Proprio come quando vide il mio viso per la prima volta, usando le mani.

-Posso baciarti?- chiese, avvicinandosi di più.

Sentii il suo profumo di pulito così forte, che sarei voluta rimanere così per sempre.

-Non lo stai già facendo?- sussurrai, sorridendo e mantenendo gli occhi chiusi.

-Non qui, però!- mi rispose prima di tuffarsi sulle mie labbra.

Mi baciò come aveva fatto il giorno prima. Con una delicatezza e una gentilezza estremi. Io risposi al bacio, stringendo tra la mia mano il suo maglione, per tenerlo il più possibile vicino a me. Le sue labbra erano come il Paradiso e sapevo che da quel momento, ne avrei sempre avuto bisogno.

Quando ci scostammo l’uno dall’altro, posai la testa sul suo petto, mentre lui mi cinse i fianchi con un braccio, e prese ad accarezzarmi i capelli con l’altra mano.

-Credi che sia il momento giusto per raccontarti alcune cose, Jane?- mi domandò.

Mi sembrò che questa domanda, dato il modo in cui me la pose, fosse una richiesta per Terence. Come se avesse la necessità di liberarsi di un peso che lo teneva lontano da me. Mi fece piacere sapere che adesso, contrariamente a come era prima, voleva aprirsi con me e non nascondermi nulla.

Annuii senza rispondergli. Ritenni anch’io che fosse il momento giusto per dirmi quelle novità che ieri non avevo voluto ascoltare. Eravamo insieme. Felici. Uniti. E nessun ricordo avrebbe potuto rovinare l’atmosfera.

-Bene.- si schiarì la voce, come se si stesse preparando a un discorso molto lungo.- Vuoi farmi tu delle domande? Sai… non so da che parte cominciare.- ammise, ridacchiando.

-Va bene,- sollevai lo sguardo, sorridendogli.- Parto allora con il chiederti come sia avvenuto l’incidente che ti ha ridato la vista.

Era come essere tornati al giorno in cui avevamo giocato al “do ut des”, solo che adesso ci sarebbe stato solo il “do”.

-Domanda interessante. -sospirò,- Dunque… Jane, come ti ho raccontato tempo fa, ho avuto un incidente di pugilato anni fa, della portata tale da farmi cadere in coma e da procurarmi dei danni al nervo ottico. La vista mi sarebbe tornata solo grazie a un miracolo o grazie… a un colpo della stessa potenza del primo che avrebbe potuto guarire il mio ematoma celebrale, causa della perdita della vista.

Io annuii contro il suo petto, ascoltando attentamente.

-Quando ho deciso di accettare il fidanzamento con la figlia dei Campbell, l’ho fatto per diverse ragioni: per insicurezza, per fragilità, per paura… per stupidità. Pensavo che si mi fossi lasciato andare con te, ti avrei resa infelice, ma anche questo dovresti saperlo, come Harrison mi ha fatto presente. La situazione è peggiorata quando ho capito che anche Tessa era infelice, che amava un’altra persona e che la nostra unione sarebbe stata troppo deleteria. Non dormivo al pensiero che avrei rovinato anche la sua vita, e non sono mai stato un egoista. In più avevo sognato mia madre il giorno prima di firmare l’accordo pre matrimoniale. Era bella come ricordavo e mi diceva solo una parola : coraggio. Il giorno dopo, presi la decisione di andare da mio padre.  Gli dissi chiaramente che non sarei stato più al suo gioco e che non avrei messo da parte la mia felicità per i suoi stupidi affari. Inutile dirti che litigammo pesantemente, anzi furiosamente. Gli rivoltai addosso tutto il rancore che avevo covato nei suoi confronti per tanti anni, fino a che, stanco e arrabbiato, decisi di piantarlo in asso, e andarmene. Camminai con James, in quanto Ulisse era nella mia stanza, lasciando che la rabbia mi scorresse nella vene, e mi ritrovai sperduto in una città per me sconosciuta. Ho rischiato molto, sai?-fece una pausa, poi riprese.- Vagai per la città, sentendo la rabbia fondersi con la paura. Probabilmente quello fu uno dei momenti in cui avvertii di più il peso della mia cecità. Camminando, passo dopo passo, non mi accorsi di essere finito in strada, e tra i vari clacson che suonavano inferociti, avvertii la presenza di una macchina in arrivo. Questa si fermò  in tempo, ma fu tutto così improvviso, che persi l’equilibrio e caddi sull’asfalto procurandomi un colpo alla testa. Un colpo così forte, però, da essere paragonato a quello che mi portò al tappetto, tanti anni fa.- rabbrividii immaginando la scena.- È grazie a questo se ora ci vedo.- si fermò.- Quando mi sono risvegliato dal coma farmacologico, e ho riaperto gli occhi, sono scoppiato a piangere.- fece una pausa, sospirando.- Riuscivo a vedere. Mi sentivo così forte, vivo, pieno di energia, come se avessi vissuto per anni con una batteria scarica, in quel momento rigenerata al massimo. Vedevo i colori della mia stanza, i tubicini che erano legati alle mie braccia, il sole che si rifletteva sulla finestra  e anche… la mia famiglia. Aspettarmi di vederli felici per la mia ritrovata vista, era troppo, ma non mi sarei mai aspettato che mi dicessero, senza troppe cerimonie, che erano pronti, per citarli, “ a perdonarmi e a mettere una pietra sopra alla nostra discussione, così da procedere come stabilito, con il matrimonio”.- Terence rise.

-Perché adesso ridi?- feci curiosa, sollevando il mio sguardo su di lui.

-Perché sto pensando a quello che successe dopo questa frase che disse mio padre. Ascolta. C’era  anche Tessa Campbell nella mia stanza, che riconobbi grazie a delle descrizioni sul suo aspetto fisico che mi aveva fatto mia sorella, insieme a quello che dedussi fosse suo padre, ma me ne accorsi dopo. Si alzò in piedi e disse, mantenendo la calma, che lui era il peggior genitore che avesse mai incontrato, che non mi avrebbe mai sposato e che se non avesse iniziato ad amarmi come meritavo, avrebbe fatto di tutto per fargli passare seri guai finanziari. Dovevi vederla. Così piccola e minuta, fronteggiava la mia famiglia, mantenendo la testa alta e stringendo le mani a pugno. Suo padre la rimproverò seduta stante, ma lei fu ferrea e disse che se avesse concesso che la pantomima del nostro fidanzamento continuasse, ne avrebbe sofferto come non mai, e non gli avrebbe rivolto mai più la parola.

Non mi fu difficile immaginarmi la scena. Quella piccola donna dai capelli ramati mi aveva conquistata quando l’avevo incontrata. Così forte e determinata. Così pronta a fare di tutto per rendere tutti felici.

-E poi?- feci avida di altre informazioni.

-E poi lei uscì dalla stanza, seguita da suo padre. Mio padre e i miei fratelli cercarono di seguirli, e io firmai le mie dimissioni il giorno stesso, carico come non mai. Quando tornai ad Edimburgo trovai Harrison ad aspettarmi. Con il suo aiuto, presi la decisione di andarmene da quella casa intrisa di troppi brutti ricordi. D’altronde, con la vista e la forza ritrovata, non avevo più alcun motivo di dipendere da mio padre. Venni a sapere, in seguito, che il signor Campbell recise il contratto con la Ashling Corporation, dimostrandosi un padre più attento alle esigenze di sua figlia. Da allora, ho ricevuto un sacco di minacce da parte di mio padre, tutte indirizzate a tagliarmi fuori dall’eredità e altre sciocchezze simili. Ma non ho badato minimamente alle parole che mi sono state rivolte.- si fermò.

-Ma tu mi raccontasti che il signor Campbell decise di firmare un accordo con tuo padre, proprio per inserire sua figlia nella tua famiglia… come mai, poi, ha cambiato idea? Si era accorto solo in quel momento delle esigenze di sua figlia?- mi spostai per guardarlo negli occhi.

-Tessa mi ha raccontato di essersi sempre mostrata debole nella sua famiglia. Suo padre deve non aver pensato mai, neanche per un momento, che il matrimonio con me le avrebbe procurato dolore. Mi ha raccontato, infatti, che le ha sempre mostrato affetto e che sicuramente, l’idea di farla sposare con me, era dettata dalla speranza di garantirle un futuro prospero. Poi… beh, lei ha finalmente tirato furi gli artigli, e suo padre l’ha ascoltata. Per quanto mi riguarda…tutt’ora continuo a ricevere pressioni da mia sorella e mio padre. Pensa che mi hanno scritto un centinaio di messaggi, sottolineando quanto fossi egoista. Io, egoista. Capisci?- Terence fece un riso amaro.

Corrugai la fronte, pensando a come fosse stato sfortunato Terence ad avere delle persone del genere, al suo fianco per tanti anni.

-Dunque è questo il motivo per cui le tv e i giornali non hanno parlato più del matrimonio tra te e la figlia dei Campbell?

-Sì. Non appena io e mio padre litigammo, come mi ha raccontato Tessa, lui fece mettere a tacere la stampa, temendo che io potessi diffondere prematuramente la mia scelta di rompere il fidanzamento. Sai, lui è sempre stato un tipo teso a  preservare la sua immagine pubblica, più che pensare alle cose essenziali.- mi rispose, deluso.

Ripensai a quando Harrison mi aveva raccontato del periodo della malattia della mamma di Terence e di come il signor Ashling si fosse più preoccupato di silenziare i giornali che stare accanto a sua moglie.

D’istinto, mi strinsi più a lui.

-E questo è tutto! Ora ovviamente non sono più ricco, almeno materialmente, perché spiritualmente lo sono. Il mio cuore è ricco di gioia e felicità e questo grazie a te.- mi accarezzò la testa.- Continuerò a lavorare come speaker radiofonico, sperando di mettere qualche risparmio da parte per comprarmi una casa e poi…- lasciò la frase in sospeso.

-E poi?- domandai, in attesa.

-Mi sono iscritto ad un accademia d’arte. Riuscirò, così, finalmente a coltivare il mio sogno di studiare storia dell’arte.- lo sentii sorridere.- E questo è stato possibile anche grazie ad Harrison, che mi ha finanziato le prime spese.

Mi sentii così felice quando disse così, che mi vennero gli occhi lucidi e dovetti mordermi le labbra per non piangere. Era così bello sapere che Terence aveva smesso di essere una zattera alla deriva, e che aveva deciso di diventare il capitano della sua vita.

-Sono felice. Tanto.- Mi sollevai, per abbracciarlo e dargli un bacio sulla guancia.

-Anch’io, Jane, anch’io.- mi strinse a sé.- Hai altre domande, dubbi, curiosità?- chiese, poi.

Ci pensai un attimo.

-Volevo sapere cosa è stato esattamente a spingerti a ribellarti a tuo padre. Quando ci incontrammo l’ultima volta… ti feci un discorso che sperai ti avrebbe dato quella fiducia tale a farti prendere le giuste decisioni, ma… così non è stato.- sospirai.- è stato solo il fatto di sapere che anche Tessa ne avrebbe sofferto dal tuo fidanzamento? Non avevi considerato che anche lei avrebbe sofferto della decisione, già prima?- lo sommersi di domande, guardandolo negli occhi.

Terence ricambiò lo sguardo, per poi posarlo aldilà della finestra nel salotto.

-Non credere che le parole che mi rivolgesti quella sera al parco, mi furono indifferenti. Solo che… avevo paura, Jane.- tornò a guardarmi intensamente.- Te l’ho detto. Vedevo il matrimonio come un’altra costrizione di mio padre, che mi avrebbe permesso di starti lontano e di non affezionarmi ulteriormente a te, e che mi avrebbe garantito di avere al mio fianco una figura diversa da quella della mia famiglia. Sapevo, infatti, che anche se mi piacevi molto, non sarebbe stato giusto che tu ti prendessi carico della mia disabilità. Sono stato uno stupido, lo so, perché non ho pensato che tu sei una ragazza… speciale, e che mi saresti stata accanto solo per vero interesse. E poi… non so perché, ma mi immaginavo Tessa come una classica figlia di papà, viziata e vanitosa, disposta persino a sposare un cieco sconosciuto, per avere un po’ di popolarità in più. Purtroppo sono stato reduce di varie esperienze che prevedevano donne interessate al portafoglio della mia famiglia, e non alla mia persona.- tornò a guardarmi, prendendo ad accarezzarmi una guancia.- Poi, più passavano i giorni, più ascoltavo i discorsi di mio padre, più capivo che Tessa era tutt’altro di quello che avevo creduto, e più ti… pensavo, più capivo che era l’ora di smetterla con quell’enorme bugia. –sospirò, passandosi nervosamente una mano nei capelli.

Annuii con il capo, poi mi avvicinai al suo volto, e premetti le mie labbra sulle sue, per infondergli tutta la mia comprensione. Terence approfondì il nostro bacio.

-Mi hai perdonato davvero, Jane?- mi domandò, dopo aver smesso di baciarmi.

-Sì, Terence. Hai fatto degli errori, ma non è stata colpa tua. Ora sei qui con me, hai preso in mano la tua vita, e hai fatto le scelte giuste. L’importante, adesso, è guardare avanti, verso il futuro.- mormorai.- Comunque… Ulisse?- feci, dopo poco.

-Purtroppo non è più con me. Avrei voluto tanto tenerlo, ma sarebbe stato egoistico da parte mia avere un cane per non vedenti, ora che Dio mi ha ridato la vista. Penso che sarà d’aiuto a tante altre persone. L’ho riportato al centro, dunque.- fece un mezzo sorriso, ma nei suoi occhi lessi un po’ di tristezza.

-Hai fatto la cosa giusta.- posai di nuovo le mie labbra sulle sue.

***

Mi erano sempre piaciuti i matrimoni. Promesse d’amore eterno, vestiti scintillanti, fiori, sviolinate, confetti nel cielo, e ancora tanto amore, mi rendevano emozionata e felice.

La mattina del 20 dicembre, mi svegliai molto presto per prepararmi. Barbara aveva richiesto la mia presenza a casa sua, in qualità di damigella d’onore, almeno tre ore prima dell’inizio della cerimonia.

Guardai la mia immagine riflessa nello specchio un’ultima volta, e poi uscii. L’abito rosa antico che indossavo, uguale a quella di Jessica, mi faceva sentire graziosa, e le Mary Jane con il tacco, mi facevano sembrare più alta. Per impreziosire il mio vestito avevo indossato anche una collanina con un ciondolo d’argento, un braccialetto molto semplice al polso sinistro, e l’anello di Terence, ovviamente. Sopra il mio cappotto color panna, avevo lasciato i capelli sciolti, lavorati dal parrucchiere in morbide ciocche  dalla punta abboccolata. Il mio viso era leggermente truccato con colori neutri e una matita nera per gli occhi.

Abbie, era rimasta a casa per prepararsi e per preparare l’attrezzatura adatta per fare le foto alla mia collega e al suo futuro consorte. Anche lei si era svegliata felice come una Pasqua, super carica a immortalare sorrisi e occhi brillanti in memorabili fotografie.

Presi così un taxi, che mi accompagnò davanti alla casa di Barbara, riconoscibile anche in lontananza per i diversi palloncini bianchi, appesi ai lampioni frontali al giardinetto della sua abitazione.

Quando suonai al campanello della sua casa, mi aprì una signora piuttosto anziana, incredibilmente somigliante alla biondina, che mi guidò lungo uno stretto corridoio coperto da nastri bianchi, coriandoli e altre cianfrusaglie memori della notte prima, in cui avevamo festeggiato il suo addio al nubilato. Non mi fu difficile scorgere il fermento che impregnava quella casa. Persone che salivano delle scale, altre che le scendevano, il pianto di un bambino, voci femminili che parlavano di trucchi, tacchi e lacche.

Fui condotta davanti alla camera di Barbara, leggermente aperta, e quando la intravidi seduta alla sua toeletta, non riuscii a non socchiudere le labbra per lo splendore e la luce che emanava. Dopo aver ringraziato la signora, entrai nella sua stanza.

-Jane, tesoro. Finalmente sei qui! - mi accolse con la voce tremolante, voltandosi un attimo verso di me.

-Ciao bellissima. Sei meravigliosa.- le dissi sinceramente, avvicinandomi alla sua figura.

-Tu lo sei. Sapevo che l’abito da damigella che ho scelto sarebbe stato quello giusto.- mi sorrise un secondo, per poi rivoltarsi verso lo specchio che la fronteggiava.

Due ragazze la stavano preparando, aggiungendo alcune roselline bianche ai suoi capelli, raccolti in parte verso l’alto, e in parte lasciati sciolti, e truccandole le guance con un pennello.

-Colombella, ha ragione Barbie. Sei splendida.

Mi voltai, accogliendo questo dolce complimenti da parte di Freddie, seduto sul letto di Barbara, intento ad annodarsi la cravatta, con mani tremolanti.

Era strano vedere loro due, sempre euforici, pimpanti, pronti a sostenere gli altri, così tesi.

-Grazie Fred. – gli sorrisi sincera, sentendomi le guance imporporarsi.- Aspetta, che ti aiuto!- gli dissi avvicinandomi a lui, per poi piegarmi sulle ginocchia per annodargli la cravatta.

Portava le lenti a contatto sui profondi occhi marroni e i capelli scuri pettinati all’indietro. Pensai che fosse molto carino.

-È che sono così nervoso! È la prima volta che faccio da testimone a un matrimonio.- balbettò, teso come una corda di violino.

-Ehi, guardami negli occhi!- gli ordinai, fissando il mio sguardo nel suo, mentre le mie dita si cimentavano a dare una bella forma alla cravatta.- Sei un figo pazzesco, okay? E sei il migliore amico di Barbara! Vedrai che andrai alla grande.- gli diedi una pacca sulla spalla, alzandomi dopo poco.

-Sei sempre stata un angelo con me, colombella.- mi rispose, guardandosi allo specchio.- Mi piace anche il nodo che mi hai fatto alla cravatta.- sorrise, contento.

-Ehi, sono io che dovrei essere tesa, non tu Fred. Io sono la sposa, ricordi?- continuò leggermente isterica, Barbie.

-Ehi calma Barbie, anche tu sei bellissima, stai sposando l’uomo che ami e coronando il tuo sogno d’amore e andrà tutto bene. D’accordo?- mi calai nei panni di coach emozionale, per la seconda volta.

La mia collega annuì con il capo, ispirando ed espirando per diverse volte, fino a che non dovette chiudere le labbra per permettere alla truccatrice di metterle il rossetto.

-E Jessica?- domandai, qualche istante dopo, appoggiandomi allo stipite della porta.

-È nella sua stanza, due porte avanti alla mia, a finire di prepararsi. È più in ansia di me, pensa. Ma credo che ciò sia dovuto al fatto che ha invitato al mio matrimonio anche il ragazzo per cui ha una cotta.- disse, prima di tornare a inspirare ed espirare, con le labbra , adesso, dipinte di un bel rosso messo in risalto dalla sua carnagione lattea.

Annuii sorridendo, volgendo lo sguardo verso la camera di Barbara, in pieno stile etnico, proprio come era lei. Oggi, però, mi trovai a pensare che avesse un aspetto molto elegante e che anche senza i suoi numerosi bracciali tintinnanti, fosse sempre splendida.

-E tu sei pronta per fare la damigella, Jane? – mi domandò il mio ex, alzandosi in piedi.

-Spero di sì. Ieri pomeriggio mi hai visto alle prove in chiesa. Sono stata piuttosto brava a mimare di sorreggere il lungo velo di Barbie, lungo la navata centrale, non trovi?- ridacchiai.

-Più che brava, oserei dire.- rise Freddie.- E il tuo principe dove l’hai lasciato?- continuò, chiedendomi.

Solo due giorni prima avevo invitato entrambi a cena fuori, per raccontare le meravigliose  novità che mi erano successe.

-Si sta preparando. Ci incontreremo direttamente in chiesa.- risposi sorridendo.

Poi ridacchiai tra me e me, ripensando a come la sera prima Terence si fosse ingelosito sapendo che alla festa di addio al nubilato di Barbara sarebbe venuto uno spogliarellista tutto muscoli. Alla fine non era venuto proprio nessuno, ma era stato divertente prenderlo in giro.

-E il tuo?- chiesi, poi.

-Idem.- mi sorrise.

Dopo qualche minuto, le due ragazze artefici di trucco e parrucco, esclamarono all’unisono che avevano finito. Poi, preso un lungo velo incellofanato e posato su una poltrona, glielo sistemarono delicatamente sul capo, lasciando che strascichi di velo bianco si appoggiassero al pavimento, cadendole appena sulle spalle.

Barbara iniziò a guardarsi allo specchio che la fronteggiava, piegando la testa di lato.

-Okay… credo che inizierò a piangere… tra 3,2…

-NO!- la interrompemmo, urlando in sincrono tutti quanti.

Ci mancava che rovinasse tutta l’opera d’arte che aveva creato la make up artist, per via delle lacrime.

Barbara ridacchiò per la nostra reazione, per poi sventolare una mano davanti agli occhi.

-Mi sento bellissima. Non so che dire.- disse con le labbra tremolanti.

-E non dire niente, perché sei bellissima. Ora, se mi permetti, splendida principessa, vorrei ammirarti a figura intera.- le tese la mano il mio ex.

Barbara la strinse alla sua, e dopo qualche attimo si alzò in piedi, mostrando la sua graziosa figura, fasciata dallo splendido abito a sirena che ,già una volta, le avevo visto indosso.

-Semplicemente da mozzafiato.- le dissi, sentendo anche i miei occhi inumidirsi.

Era così potente la bellezza di una donna in procinto di coronare il suo sogno d’amore, da scuotere il cuore in profondità.

-Vi ringrazio. Sinceramente. Per tutto.- Barbie scandì ogni frase, sbattendo velocemente le palpebre.

**

La cattedrale di Saint Giles non era mai stata così bella. La navata centrale era stata decorata con vasi di peonie, le panche in legno chiaro con delle decorazioni floreali. Dalle vetrate colorate poste in alto, che rappresentavano diverse scene bibliche, filtrano dei pallidi raggi solari che, nonostante il freddo, facevano capolino nel cielo.

La chiesa era gremita di parenti e amici dei due sposi. Le porte dietro di noi si chiusero, e dopo qualche attimo la marcia nuziale ebbe inizio. Barbara era a braccetto con suo padre e con passo cadente solcò con leggerezza il lucido pavimento della navata centrale. Io e Jessica, ci guardammo solo un attimo sorridendo e sorreggendo il pesante velo con estrema delicatezza per evitare che toccasse terra. Due bambine, invece, che seppi essere due nipotine della mia bionda collega, iniziarono a spargere petali di rosa, precedendo di poco la sposa.

Sentivo gli occhi di tutti posati addosso a noi, e ammetto che mi sentii agitata all’idea di fare qualche sbaglio durante la marcia. Già mi immaginavo, incespicare nell’abito di Barbara e cadere di faccia, davanti a tutti i presenti.

Per fortuna ,però, le cose andarono bene, e quando giungemmo davanti al presbiterio, io e Jessica lasciammo ricadere il velo, e ci spostammo verso le nostre panche. Il signor Richardson sollevò il velo dal viso di sua figlia per poi posare, con mani tremolanti e occhi lucidi, la sua mano su quella di Michael, l’ormai prossimo marito.

-Sei bellissima.- mi sussurrò all’orecchio Terence, non appena mi sedetti. Lo guardai per un secondo arrossendo e vedendo che mantenne lo sguardo fisso sugli sposi.

-Grazie.- sussurrai, di risposta.

Poi, concessi ai miei occhi di guardarlo meglio. Era vestito in maniera elegante, con un completo giacca e pantalone nero, una camicia del medesimo colore e una piccola rosa bianca come boutonniere. Non portava alcuna cravatta e i suoi capelli erano pettinati con del gel. Profumava del suo solito ammaliante profumo, intensificato da una gradevole acqua di colonia.

Quando la messa ebbe inizio, cercai di non farmi distrarre dalla bellezza di Terence e iniziai ad ascoltare le parole del sacerdote. Poi, Terence prese la mia mano nella sua, intrecciando le nostre dita e l’intenzione di concentrarmi sulla messa, andò a farsi benedire.

***

Il castello di Culzean era uno dei luoghi più belli di tutta Edimburgo. Situato nelle Lowland, era un residenza neogotica eretta su una casatorre medievale, dal design interno chic e raffinato in stile italiano. Era circondato da un lato da un ampio giardino, con tanto di laghetto per cigni, e dall’altro era limitato da una costa rocciosa che si affacciava sul mare.

Credo che Barbara non avrebbe potuto scegliere una località più fiabesca per celebrare la sua festa di matrimonio. Le sale interne presentavano uno stile sfarzoso, ma classico, e i tavoli ,su cui tutti noi ospiti eravamo accomodati, erano arredati con un livello massimo di eleganza e bon-ton.

Al mio tavolo erano seduti Freddie e il suo ragazzo, Steve ed Arabella, Vincent con una ragazza che non avevo mai visto, e ovviamente il mio Terence, in questo istante intento a osservarsi attorno, come un bambino nel paese dei balocchi. Sembrava che stesse avendo una sindrome di Stendhal nel vedere così tanta bellezza e arte.

Il pavimento era candido e lucido, le pareti dipinte di un colore neutro erano circondate da lunghe tavolate, al momento riempite solo di bevande, e a diversi metri dai tavoli era situata una postazione Dj. A illuminare tutto, oltre i raggi solari che filtravano dalle grandi finestre ai lati della stanza, vi erano anche grossi lampadari coperti di gocce di cristallo che si riflettevano sui pavimenti.

-È assurdamente meraviglioso questo posto!- fece Terence dopo poco, prendendo a guardarmi.

Vidi, con la coda dell’occhio, che tutti smisero di parlottare per guardarlo. Ovviamente non erano mancate le domande su noi due, soprattutto da parte di Price e Steve che erano rimasti alquanto stupiti nel vedermi con il figlio degli Ashling, ora non più cieco. Prima di entrare in sala, mi avevano, infatti, letteralmente allontanato da Terence per interrogarmi.

-Concordo. Trovo che questo castello sia il massimo del buon gusto.- gli rispose Freddie.

Mi trovai a pensare che fosse strano che il mio ex e Terence conversassero. Poi presi a osservare il suo ragazzo. Alto, biondo, dal volto pieno di lentiggini e dai profondi occhi verdi. Non male! Stavano bene insieme, molto meglio di quanto stessimo bene insieme io e lui, da fidanzati. Poi, forse sentendosi osservato, Edward mi guardò un attimo, sorridendomi con imbarazzo. Io sorrisi, di rimando.

Da lì partì una conversazione sul design e sullo stile di alcuni dei quadri presenti in sala tra loro due. Per la prima volta, potei approfondire il talento di Terence sulle opere artistiche. Ci disse che in questo castello erano esposte delle opere di un artista chiamato Robert Adam e il modo in cui descrisse i colori, le sfumature, le forme, le espressioni dei soggetti delle tele, me lo fece… amare ancora di più.

Poco dopo, però, tutti smisero di parlare, per via dell’entrata dei due sposi nella sala. Il Dj mise, come musica di sottofondo, la base della marcia nunziale in una versione remixata che ci fece sorridere e dopo che sia Barbara che Michael presero posto al loro tavolo, il banchetto ebbe inizio.

La festa si stava svolgendo in una maniera impeccabile. I camerieri servirono ottime pietanze e ,con regolarità, il centro della sala si riempiva di ospiti pronti a scatenarsi al ritmo di canzoni moderne e non.

Anch’io ballai, soprattutto con Barbie e con gli altri miei colleghi scatenandomi e ridendo come una matta. Mi erano tanto mancati questi momenti di spensieratezza!

-Il tuo Terence è proprio un bel bocconcino, comunque. Quegli occhi color del mare, quelle labbra…- mi disse Freddie, prendendo le mie mani e ballando con me.

-Mi spiace ma non è più sulla piazza, Fred.- risi.

-Oh tesoro, ma io ho il mio Edward, che per me sarà sempre il più bello di tutti, ma volevo comunque farti sapere che approvo la scelta e che… sono tanto felice per te.- mi si avvicinò scoccandomi un bacio sulla guancia.

Io sorrisi, abbracciandolo per un attimo. Poi continuammo a ballare sfrenatamente.

Fu quando gli ospiti iniziarono a raccogliersi in coppie e a ballare a ritmo di una canzone più lenta, che capii che i balli più sfrenati avevano lasciato il posto a dei balli più romantici.

Quando tornai a sedermi, notai Terence guardarmi sorridente con un luccichio negli occhi. Era l’unico rimasto seduto al nostro tavolo.

-Che c’è?- gli domandai, bevendo dell’acqua.

-Non balli più?- sviò la mia domanda, sempre sorridendomi.

-Beh… non posso di certo ballare da sola, in mezzo a tutte queste coppie…- gli feci notare, sorridendo di rimando.- Purtroppo il mio cavaliere non vuole accompagnarmi nelle danze, quindi…- lasciai la frase in sospeso, sfidandolo con lo sguardo.

Avevo provato a convincerlo un’infinità di volte a ballare con me, ma aveva sempre rifiutato l’offerta, preferendo restare al tavolo, a guardarmi.

-Il tuo cavaliere potrebbe voler ballare le canzoni belle con te, e non quelle commerciali. Quindi ti va di ballare, Jane?- mi tese la sua mano.

Il suo sorrisetto non voleva andarsene.

-Accetto.- presi la sua mano.

Poi ci avviammo al centro della sala. Terence appoggiò una mano sulla mia schiena e con l’altra strinse la mia a mezz’aria.

Mi trovai a pensare che i suoi gesti mostrarono una sicurezza che non gli avevo mai visto. Ricordai quando ballammo insieme il giorno della sagra del cioccolato.

-Quindi “Fix you” merita di essere ballata?- gli domandai.

Una mia mano era posata sulla sua spalla e i nostri occhi si guardavano attentamente.

-I Coldplay meritano sempre di essere ballati.- mi rispose, ballando lentamente.

-Ballammo una loro canzone anche il giorno della sagra del cioccolato. Tu mi avvicinasti a te, poi mi allontanasti e io…

-E tu te la prendesti, parlandomi con freddezza.- mi interruppe, continuando a guardarmi.- Sai, ti svelo un segreto, volevo baciarti già da quel giorno ma avevo troppa paura per farlo.

Sentii il cuore prendere a battermi con forza.

-Ti svelo un segreto anch’io, avrei voluto che tu mi baciassi.- abbassai lo sguardo, leggermente imbarazzata.

Terence, di risposta, mi sollevò il mento e posò le sue labbra sulle mie.

-So quello che ti ha fatto Mary Anne. Me ne ha parlato Tom qualche giorno fa…- aggiunse dopo poco.

Sgranai per un attimo gli occhi, sorpresa. Poi, pensai che fosse normale che Tom gli avesse raccontato tutto.

-Ah sì? Beh… è acqua passata ormai. Credo di essermi difesa abbastanza bene. Non so se ti ha detto che le ho dato uno schiaffo.- sorrisi.

Tornando indietro, anche un bel pugno non sarebbe stato male.

-Non potevo aspettarmi di meglio, dalla mia Jane. Comunque non l’ha passata liscia neanche con me. Le ho telefonato qualche giorno fa e… l’ho ripagata con la sua stessa medaglia.

-Ovvero?- chiesi curiosa, mentre mi fece girare su me stessa.

Notai mentre giravo che Barbara era stretta a suo marito, con la testa sul suo petto e gli occhi chiusi, Arabella e Steve si stavano baciando, Jessica stava ballando in modo impacciato e timido con il ragazzo che le piaceva, effettivamente molto simile a Logan Lerman, che la guardava sorridendo, Fred ed Edward ridacchiare tra loro ed Abbie, con la sua Canon tra le mani a scattare foto a chiunque.

-Le ho chiesto un appuntamento.

-Cosa hai fatto tu?- sgranai gli occhi, per la seconda volta.

-Le ho fatto credere di aver mollato Tessa per stare con lei. Dovevi vederla. Non era più nella pelle. Ha abboccato all’amo in pochi istanti e quando ha visto che ero tornato a vedere ha quasi fatto i salti di gioia.- Terence rise, come se avesse detto una battuta.

-Oddio, ma stai dicendo sul serio?- non riuscivo a crederci.

-Certo che sì. Ovviamente la pantomima è durata poco. Le ho detto poco dopo, che era tutto uno scherzo. Era furiosa, Jane!- scoppiò a ridere.- Do ut des, no?

Scossi la testa ridendo. Quando avesse trovato il tempo di fare tutto questo, era un mistero, ma era stato un gesto carino il suo. Aveva preso in giro Mary Anne, come lei aveva fatto con me, in un maniera meno crudele, però.

-E ovviamente a tutto ciò,  è seguito un bel discorso. Non credo che si permetterà più di prendere in giro qualcuno.- mi fecie l’occhiolino.

-Grazie Terence.- feci sorridendo leggermente.

 

-Di cosa? Avrei voluto  dare un bel pugno anche al modello, ma preferisco non spendere troppe energie con chi non se lo merita.- contrasse leggermente la mascella, chiaramente infastidito da ciò che mi avevano combinato quei due.

-L’importante è che sia passato tutto.- gli accarezzai una guancia, sorridendo.- Comunque tu mi devi promettere di non dare mai più neanche un pugno a nessuno.- lo ammonii puntandogli un dito contro il petto.

Se solo pensavo che a causa di un pugno era diventato cieco, mi sentivo montare rabbia e tristezza.

Un lampo gli attraversò gli occhi.

-Promesso.- disse serio.

Ballammo in silenzio per un altro po’.

-Alla fine com’è andata con lo spogliarellista ieri sera?- mi chiese poi, avvicinandomi più  a sé. Il suo sguardo era puntato dietro di me.

Io risi.

-Ce la siamo spassati. Un bel tipo, davvero. Muscoloso, atletico, abbronzato…

-Okay, okay… non voglio sapere tutti i dettagli. L’importante è che ti sia divertita.- rispose, leggermente offeso.

-Ehi gelosone, scherzavo. Non è venuto neanche lo spogliarellista.- risposi, dandogli un pizzicotto sulla guancia, e scoppiando a ridere.

-Ah ah, che divertimento.- scosse la testa, sorridendo. -Ti diverti troppo a farmi ingelosire. Mi sa che anch’io dovrò usare la stessa strategia. Sai un giorno ho incontrato Sandy. Sandy era una bella ragazza e …

-Ehy!- lo ammonii con lo sguardo.

Scoppiò a ridere.

Mancavano poche note alla fine della canzone, ma tutti stavano ancora ballando con interesse e mi sembrò che attorno a tutti noi si fosse creata una bolla magica, dove ognuno poteva vivere il suo sogno romantico.

-Jane?- richiamò la mia attenzione.

-Sì?

-Domani ti va di venire in un posto con me?

CONTINUA…

 

 

Alleluia! Sono finalmente riuscita a pubblicare! *cori angelici si innalzano nel cielo*. No, vabbè, a parte gli scherzi, mi dispiace davvero tanto di avervi lasciato senza capitolo per così tanto tempo! Purtroppo, dopo le vacanze natalizie, sono stata molto  impegnata con l’università e fino a ieri sono stata impegnata con la sessione invernale. Per fortuna, gli esami che ho fatto sono andati bene :)

Spero che l’attesa sia valsa la pena, però! E che il capitolo vi piaccia. È molto lungo e mi scuso per questo…

Il prossimo sarà l’epilogo, quindi quello finale. Mi dispiacerà tantissimo non poter più scrivere del mio adorabile, fantastico, gentile Terence, e della mia fantastica Jane ma credo sia giusto dare un finale a queste due colombelle ^^

In questi giorni( proprio da oggi) inizierò a scriverlo e spero di non farvi attendere troppo per leggerlo, anche perché ho già in mente le varie scene ;)

Grazie per leggermi, per seguirmi, per preferire o ricordare la mia storia. Sono piccole grandi soddisfazioni.

In particolare grazie a: Clojuno, marioasi, Alba Ellingtown e Helmwige per le bellissime recensioni allo scorso capitolo! Davvero, amo troppo leggere i vostri commenti su ciò che scrivo. Spero di avere il piacere di leggerne altri anche per questo! <3

Grazie a : angorvat, Occhi di fuoco, Chanty 21, mary66, Mrs Kaneky, toretto_lavigne, Callem, e JadeSmoky99 per aver aggiunto “Ad occhi chiusi” nelle proprie seguite. <3

Grazie a : inchiostroelacrime, SIL1996, e nuovamente a JadeSmoky99 per averla aggiunta alle proprie ricordate! <3

E grazie a: lisa934, vichi1, nuovamente a Alba Ellingtown e maggiostesy per averla aggiunta alle proprie preferite <3

Grazie mille a tutte ragazze! Ci vediamo al prossimo capitolo,

Novalis

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Epilogo ***


AD OCCHI CHIUSI

-EPILOGO-

 

http://oi60.tinypic.com/2iayiox.jpg

Musica consigliata per leggere il capitolo: https://www.youtube.com/watch?v=HP6SHn2fZhk 

“Lo amavo tanto, più di quanto io stessa potessi ammettere,

 più di quanto potessi esprimere a parole.”- J. Eyre- C. Bronte-

 

Non andavo in un cimitero da tanti anni, quando l’ultimo dei miei nonni, il padre di mio padre, ci aveva lasciati. Era stato un giorno triste quello.

Nonostante qui, ad Edimburgo, i cimiteri fossero vere e proprie attrattive turistiche per via dei diversi personaggi famosi che vi erano sepolti e per la tranquillità che emanavano, essendo presenti in mezzo alla città,  e non in luoghi tetri e nascosti, a me non erano mai piaciuti, in quanto sinonimi di perdite e di tristezza.

Quando Terence mi aveva chiesto di accompagnarlo al Cimitero di Greyfriars, presente nella Old Town, ero rimasta alquanto sorpresa.  Avevo pensato simpaticamente, che un cimitero non fosse proprio un luogo appropriato per un appuntamento, ma poi avevo capito che l’invito di Terence era più di un appuntamento. Era una richiesta. Una mano che mi stava chiedendo per essergli vicino in un momento delicato.

Avevamo camminato in silenzio, e sempre senza spiccicare una parola, eravamo giunti fino a una tomba. Bianca e adornata da fiori freschi e colorati, che Terence aveva sostituito con un mazzo di profumate rose bianche.

-Era bellissima, non trovi?- ruppe il silenzio, stringendo forte la mia mano.

Elizabeth Sinclair Ashling ci guardava sorridente, da una piccola foto incisa sua una lapide chiara. Mi fu sufficiente guardarla per pochi secondi per ricordarmi di averla già vista a casa Ashling, nella stanza di Terence, in un ciondolo a forma di cuore appartenente a una collana, su cui era incisa la lettera “E”. E, che ora capii, essere di Elizabeth.

-Hai ragione. Era bellissima, e sai… le assomigli molto.- gli risposi, continuando a guardare quel bellissimo volto sorridente, circondato da una cascata di riccioli biondi.

E non scherzavo. Terence aveva gli stessi lineamenti di sua madre, dolci ma decisi, gli stessi occhi chiari, e quello sguardo sbarazzino che lo contraddistinguevano tanto.

-Credo che una delle cose più brutte dell’essere diventato cieco, sia stata non poter vedere più nessuna sua foto. Conservavo, e conservo tutt’ora, una sua collana, infatti, che le regalai per il suo quarantesimo compleanno e che, poco prima di andarsene, mi aveva restituito, dicendomi di darlo a quella persona che mi avrebbe fatto sentire speciale come io avevo fatto con lei. Al suo interno c’era una sua foto che mio padre le aveva scattato quando era incinta di me. Da quando persi la vista, però, non ebbi più modo di guardare quella foto e ricordare il suo volto, e ora finalmente eccomi qui...- sospirò. Sentii la sua voce leggermente incrinata, come se volesse piangere ma si stesse trattenendo.- Ti ringrazio per essere venuta oggi, Jane.

Lo guardai, per poi posare il capo sulla sua spalla. Non sapeva che io quella collana l’avevo già vista.

-Non devi affatto ringraziarmi, perché sono io che devo farlo. Grazie Terence per avermi permesso di conoscere tua madre.

Lui mi accarezzò i capelli.

-Lei era una persona meravigliosa. Una di quelle di cui ti basta ascoltare solo la voce, e che ti basta guardare negli occhi, per capire come sia fatta. Un raggio di sole caldo, confortevole, tenero, e dolce. Spero che mi abbia perdonato, per tutte le cretinate che ho fatto.- la sua voce era triste.

-Credo che non avesse nulla da perdonarti, Terence.- strinsi più forte la presa delle nostre mani.- Ti amava, e continua a farlo anche se… da lassù.- puntai un dito verso il Cielo.

-Ne sei sicura?- si voltò verso di me.

I suoi occhi erano lucidi, ma luminosi. Terence non aveva ricevuto molto amore nella sua vita, se non quello di sua madre e del suo autista. Aveva quindi molte più insicurezze.

-Certo che lo sono. Non perché una persona non è più viva, non ci è più vicina. La sua anima non morirà mai e quella sarà sempre al nostro fianco. Non mi hai detto che ti è apparsa anche in sogno?- gli ricordai.

-Sì, è vero. Solo che, a me… a me non bastano i ricordi o i sogni. Io avrei voluto averla qui, con me. Avrei voluto abbracciarla, stringerla tra le mie braccia, per dirle quanto la ami profondamente e per ringraziarla per avermi voluto sempre bene. Avrei voluto farla ridere e vedere i suoi capelli fluttuare nel vento d’estate. Avrei voluto assaggiare tutti quei dolci che bruciava nel forno, su cui poi rideva come se avesse fatto una marachella da bambini. Avrei voluto presentarti a lei…- sospirò di nuovo.

Io ingoiai un groppo che mi si formò in gola. Non volevo piangere, ma quando Terence smise di parlare, sentii una goccia scorrermi lungo la guancia, fuori dal mio controllo.

-E io avrei voluto conoscerla.- gli risposi.

Poi rimanemmo in silenzio.

Sulla lapide era inciso “In memoria di Elizabeth, madre amorevole, moglie devota”.

Rimasi a guardarla, facendo più di una preghiera silenziosa. Ringraziai Elizabeth per aver dato alla luce un figlio meraviglioso come Terence. Per avergli  insegnato i veri valori della vita, per averlo fatto diventare l’uomo di cui mi ero innamorata, a poco a poco.

-Ti manca tua madre Jane?- mi chiese, dopo un po’.

Socchiusi leggermente le labbra sorpresa da questa domanda, poi sospirai e risposi.

-Mi è mancata. Ora non più.- mormorai.

Mia madre aveva abbandonato me quando ero poco meno che un’adolescente, e mio padre, sebbene lui l’avesse sempre amata, rispettata e onorata. Ci aveva lasciati, senza alcun preavviso, lasciando solo uno stupido biglietto scritto a matita, e senza farsi mai sentire. Mai, neanche una volta.

-A mancare sono le cose che ti fanno stare bene, non ciò che ti fa stare male. Quando ero una ragazzina, mi è mancata. Ma non lei, perché lei non è mai stata una madre modello, ma l’idea di madre. Mi mancava l’idea di avere una figura materna che mi amasse come le altre madri facevano con le mie coetanee. Poi, sono cresciuta e anche l’idea di madre non mi è più mancata. Ho conosciuto Abbie, ho avuto le mie piccole grandi soddisfazioni nella vita, e ho mio padre, la persona più adorabile e bella che conosca.- conclusi.

Non avrei voluto confidarmi in questo modo, ma era come se tutte le parole che avevo pronunciato fossero uscite da sole dalle mie labbra. E non sapevo neanche se ciò che avevo detto fosse vero. Sapevo che non mi mancava mia madre, ma non ero sicura che non mi mancasse una figura materna, a cui fare affidamento sempre e comunque. D’altronde, soprattutto quando ero una ragazzina, per quanto amassi mio padre, lui non poteva rispondere a tutte le mie domande.

-E se ti chiedesse scusa e ritornasse da te, adesso?- continuò, voltandosi verso di me.

Il suo viso era triste, ma allo stesso momento, interessato a conoscere le mie risposte.

-Penso che le accetterei, ma non subito. Le concederei il perdono, perché non sono una persona così spregevole da non farlo, ma in ogni caso non le permetterei di ricucire con me, né con mio padre, un rapporto che sarebbe solo… una maschera utile a coprire un suo errore madornale. Nella vita tutti facciamo degli errori, ma ce ne sono alcuni per cui è opportuno pentirsi in tempo. Lei il suo tempo l’ha avuto e non lo ha usato.- risposi, rendendomi conto di quanto duro e… triste fosse uscito il mio tono.

-È la stessa cosa che penso di mio padre.- aggiunse Terence a bassa voce.- Comunque, Jane, penso che le tue parole siano dettate dalla rabbia. Da una giusta rabbia, sia chiaro, ma da rabbia. Tua madre, senz’altro ha fatto un’azione deplorevole a lasciare te e tuo padre, ma se un giorno si ripresentasse alla tua porta, credo di essere abbastanza sicuro che tu gliel’apriresti. D’altronde, se c’è una cosa che ho capito nella vita, è che tutto è imprevedibile. Basta poco che tutto nasca. Basta poco che tutto crolli. Basta poco che la tua vita cambi del tutto. E io non so cosa darei per avere mia madre con me.

Lo guardai, trovandomi il suo sguardo, adesso caldo e rassicurante, ad accogliermi.

-Forse hai ragione tu.- feci sottovoce.

In questo luogo sacro, al momento visitato solo da me e Terence, e da una signora che sorrideva di fronte a una tomba, le parole andavano solo sussurrate.

-Deduco, quindi, che anche tu perdonerai tuo padre, se un giorno venisse a bussare alla tua porta?

Continuai a guardare la foto di Elizabeth sulla tomba. Così giovane e bella.

-Sì, Jane, lo farei. Lui è una di quelle persone che mi ha fatto più male nella vita, se non il peggiore, ma… lo ascolterei e, un giorno, magari non subito , come hai detto tu, gli darei il mio perdono più sincero. E poi, non è anche Jane Eyre che dice a sua zia: “Amatemi, allora, o odiatemi, come più vi piace. Io vi perdono liberamente e pienamente: chiedete il perdono di Dio; e siate in pace.”?

Mi voltai a guardarlo, stupefatta che si ricordasse a memoria un passo del mio libro preferito.

-Come fai a ricordare a memoria una citazione intera?- feci curiosa.

-Anche se preferisco la letteratura russa, come ti ho già detto, non ho mai sdegnato quella inglese. Ho letto Jane Eyre tre volte, una delle quali poco prima di scriverti la lettera, e ho un’ottima memoria fotografica.- mi spiegò.

-È una frase bellissima. Quello di Jane Eyre è un gesto toccante.- gli risposi.

-Lo è, in effetti.- continuò.

Poi, calò nuovamente il silenzio su di noi. Terence osservava la tomba con sguardo attento, come se volesse fotografare la foto di sua madre fin dentro la sua anima.

-Penso che tu un po’ le somigli, Jane.- continuò.- Avete lo stesso candore, la stessa purezza, la stessa dolcezza. E sono felice che oggi vi siate incontrate.

Mi ritrovai a sorridere, felice e profondamente colpita per le sue parole.

-Sono orgogliosa di assomigliarle, allora.

Terence mi sorrise, poi avvicinò le sue dita prima alle labbra e poi alla foto di sua mamma, come a volerle lasciare un bacio.

-Vuoi parlare un po’ con lei, da solo?- gli domandai.

-No, Jane. Le ho detto tutto quello che volevo dirle. E poi, ho deciso di venire a salutarla ogni giorno della settimana.- fece un mezzo sorriso.

-E io verrò con te, se vorrai.- lo guardai.

***

Un anno- e qualche mese -dopo…

 

-Non ci posso credere! Ma che meraviglia! Un bambino, sul serio?- strillò Abbie per la centesima volta.

-Sì Abbie, un bambino. Un bebè, un infante, un fagottino cuccioloso.- le spiegai paziente.

-Oddio che bello. Sono tanto felice per Barbara. È incredibile la gioia che si possa provare quando si sa dell’avvento di una nuova nascita.- si commosse leggermente.

Era appena tornata da un breve viaggio fatto con il suo Thomas. Avevano visitato alcune cittadine spagnole, tra cui Madrid e Barcellona.

-Hai proprio ragione. Ce l’ha detto ieri mattina in ufficio. Ha scoperto di essere incinta di tre settimane. Questa sera andremo tutti insieme al “Queen Victoria” per festeggiare la bella notizia.

Abbie mi sorrise, piegando alcune magliette e mettendole dalla valigia all’armadio. Era leggermente abbronzata e i suoi occhi erano ridenti.

-Comunque,- continuai,- com’è andato il viaggio? Ti sei divertita?- mi avvicinai a lei, per aiutarla a riporre alcune cose ancora presenti nel trolley.

-Benissimo. Tom è stato meraviglioso. Mi ha portato a vedere tutti i monumenti più belli della città, abbiamo mangiato in ristoranti stupendi, ho comprato diversi souvenir e ovviamente ho scattato delle foto troppo belle.- fece un sorriso a trentadue denti.

Fui molto contenta per lei.

-E tu?- continuò,- cos’hai fatto con Terence in questa settimana? Non è che anche tu sfornerai un bel bambino, a breve?- mi fece l’occhiolino, maliziosa.

Io arrossii per la sua allusione.

-Abbie!- la ripresi, infatti.- Potrei chiederti la stessa cosa?- la sfidai con lo sguardo.

Fu il suo turno di arrossire. Poi, ridemmo subito dopo.

-Comunque è andato tutto bene. Ci siamo visti meno questa settimana, perché è stato impegnato con le lezione all’ Accademia. Quest’anno, come sai, ha iniziato il tirocinio e si sta dividendo tra la radio e un museo.- risposi.- In compenso, la settimana prossima per festeggiare il mio compleanno, ha detto di aver organizzato una giornata solo per noi due.- finii entusiasta.

-Che bellezza. Sono troppo felice.- posò un pantalone e poi mi abbracciò da dietro.

-Lo sono anch’io. E poi sai, mio padre ha finalmente deciso di dare una chance alla signorina Ford, la donna che lo interessava. È da qualche mese che fa il vago durante le nostre telefonate, ma sono abbastanza sicura che siano usciti insieme già alcune volte.- ridacchiai, posando le mie mani sulle sue.

-Se lo merita proprio tanto.- la sentii sorridere.

Era bella la presenza di Abbie nella mia vita. Sempre positiva, frizzante, allegra, pronta ad ascoltarmi e a essermi vicina nel momento del bisogno e non. Se non fosse stato per lei non avrei probabilmente vissuto tanti momenti meravigliosi nella mia vita. Mi piaceva considerarmi una persona forte, ma non sempre era facile esserlo, era allora, in quei momenti, che Abbie mi dava la carica per superare tutto, al meglio.

Ricordavo ancora quando l’avevo incontrata la prima volta. Dopo la laurea, avevo deciso di trasferirmi definitivamente da Aberdeen ad Edimburgo. Avevo voglia di cambiare vita, di diventare autonoma e indipendente. In più, avevo letto dell’Edinburgh Fashion Magazine, una delle riviste verso cui puntavo, ed avevo tutta l’intenzione di mettermi in gioco e di provare.

Ovviamente non avevo chissà quale disponibilità economica con me, e di certo non volevo pesare su mio padre che già mi aveva prestato del denaro per finanziare gli studi e le prime spese. Fu così che andai alla ricerca di una casa in affitto che mi permettesse di dividere i diversi pagamenti con qualcun altro. Trovai un annuncio scritto proprio da quella che adesso era la mia migliore amica. Quando bussai alla sua porta, mi accolse con i bigodini nei capelli scuri, gli occhialoni da vista calati sugli occhi, e con una mano smaltata di viola. Ammetto che mi destò subito simpatia.

-Bene. Finisco dopo di svaligiare le mie cose. Vado a farmi una doccia, così dopo passiamo una serata da ragazze. Ci stai?- mi propose, poi allontanandosi da me.

-Ci sto. Ma il film lo scelgo io.- le feci la linguaccia.

***

Okay, era tutto pronto.

Terence non aveva voluto anticiparmi nulla sull’uscita che aveva organizzato per noi due. Inutile dire che mi sentivo elettrizzata all’idea di quello che mi sarebbe aspettato.

-Ehi ventottenne sei pronta? – fece la sua entrata trionfale la mia migliore amica.

-Credo di sì.- sorrisi, chiudendo la zip della mia borsa e osservandomi un’ultima volta allo specchio.

Per fortuna la giornata era luminosa e un caldo sole faceva capolino nel cielo.

Terence mi aveva detto di vestirmi in una maniera comoda, così avevo optato per un paio di jeans, scarpe da tennis nere e una camicetta verde acqua. I capelli mossi, irrimediabilmente sciolti e un filo di lucidalabbra rosso completavano il tutto.

-Sei bellissima, ma adesso esci dalla tua camera, ché il tuo bel tenebroso è appena arrivato.

-È già arrivato?- feci sorpresa.- Non mi dà neanche il tempo di spruzzarmi due gocce di Chanel n.5?- strabuzzai gli occhi, prendendo in giro la mia amica, e prendendo un po’ del mio profumo (no, non Chanel) fruttato.

-Jane, visto che ne hai parlato tu… ti abbiamo realmente regalato uno Chanel n.5.- Abbie si morse le labbra, con gli occhi ridenti.

-Cosa?- sgranai gli occhi,- ma se prima mi hai detto che per il vostro regalo dovevo aspettare domani.- posai una mano sul mio fianco.

-Beh… è vero. Te lo daremo domani, ma visto che te lo sei auto spoilerato…- lasciò la frase in sospeso.

Io scossi il capo, ma poi mi avvicinai a lei e l’abbracciai forte.

-Beh allora grazie mille. Non dovevate spendere tutti quei soldi per un semplice regalo di compleanno.

La mia amica mi scostò leggermente da sé.

-A parte che hanno collaborato al regalo anche i tuoi colleghi, e quindi il costo finale non è pesato a nessuno, ti meriti questo e altro, baby.- mi strizzò l’occhio.

-Grazie.- le diedi un bacio sulla guancia.

-Su, ora fila dal tuo Terence. Ti aspetta fuori, nella sua macchina figa.- mi diede un pizzicotto sulla guancia, prima di spintonarmi fuori la porta della mia stanza.

Quando raggiunsi l’ingresso, la salutai ulteriormente, e poi uscii.

Il mio ragazzo era appoggiato alla sua auto, una Peugeot nera, con gli occhi puntati verso un libro, e una mano nella tasca dei pantaloni. Avrei voluto avere una macchinetta fotografica solo per scattargli una foto in questo momento.

-Ehilà bell’imbusto.- lo salutai, avvicinandomi a lui.

-Ciao Jane Ryan.- ricambiò il saluto, sorridendo leggermente e richiudendo il libro.

Notai che il romanzo in questione era “La mite” di Dostoevskij. Gliel’avevo regalato per il precedente Natale.

-Pronta?- mi domandò, avvicinandomi a sé, per poi lasciarmi un leggero bacio, prima  sulle labbra e poi sulla mia mano. Questi suoi gesti da cavaliere d’altri tempi mi mandavano fuori di testa.

-Se non mi dici dove stiamo andando, non posso sapere se sono pronta.-gli risposi, puntandogli il dito contro.

-Credo che tu lo sia.- mi lasciò un bacio sui capelli, e poi salì in macchina.

Io sospirai e mi accomodai al suo fianco, in poco tempo.

Ci mettemmo la cintura di sicurezza e poi accese la radio, da cui si trasmisero le note di  Sultan of Swings” dei Dire Straits. Beh, almeno il viaggio partiva bene.

-Quindi non mi dirai nulla di nulla, finché non saremo arrivati in questo famigerato posto?- presi a guardarlo.

Indossava una camicia azzurra arrotolata fino ai gomiti e dei blue jeans. Mi soffermai sul suo profilo elegante e poi sulle sue mani da pianista. Una sul volante e una sullo sterzo. Erano belle, forti e curate. Davano un senso di sicurezza.

-Esattamente.- si voltò un attimo verso di me, sorridendomi di uno dei suoi mezzi sorrisi.

-Bene. Ma mi vendicherò Terence Ashling, è una promessa.- gli feci una linguaccia.

Lo sentii ridere.

-Comunque, ho notato che stavi leggendo il libro che ti ho regalato a Natale. Ti sta piacendo?- domandai, curiosa.

-Assolutamente sì. Dostoevskij rimarrà sempre il mio preferito.

Sorrisi soddisfatta, poi presi a guardare fuori dal mio finestrino.

Man mano che l’auto procedeva iniziai a riconoscere i luoghi che ci circondavano.

-Ti dico solo, e lo faccio solo perché è il tuo compleanno, che ci metteremo poco più di tre ore per arrivare in questo posto.- mi disse, quando si fermò ad un semaforo.

-Ah sì?- cercai di indagare,- quindi è fuori da Edimburgo. Interessante!- constatai, mettendomi una mano sotto il mento.

-Brava piccola Sherlock Holmes. Se vuoi, prova ad indovinare.- mi lanciò uno sguardo di sfida.

Ci pensai su. Erano diverse le cittadine che distavano circa tre ore da Edimburgo, quindi non era facile indovinare.

-È troppo poco un indizio, Terence. Proprio perché è il mio compleanno dovresti aiutarmi di più.- mi lamentai come una bambina.

-Devi solo pazientare Jane Ryan. Nel frattempo, leggi il libro che mi hai regalato a Natale.- rise, facendo finta di non ascoltare il mio tono lamentoso.

-Cosa? Io? Dostoevskij?- fu il mio turno di ridere,- non è il mio genere, lo sai.

-Lo so! Ma devi provarci. È un romanzo avvincente e, fidati ,che leggendolo il tempo trascorrerà più in fretta. Ti lancio il guanto di sfida.

-Bene. Facciamo quindi che a ogni capitolo che finisco di leggere, mi dai un aiutino?- stetti al suo gioco.

-E sia.- mi sorrise.

Fu così che presi “La mite” e iniziai a leggerlo.

***

Quando Terence parcheggiò vicino ad un posto, rialzai la testa dalle pagine del libro. Tirai su col naso e mi asciugai una lacrima dalla guancia.

Alla fine i capitoli mi avevano così preso che non gli avevo chiesto neanche un indizio. Il romanzo era davvero avvincente e molte scene mi avevano portato, inevitabilmente, a commuovermi.

-Mi sembra quasi che tu non voglia più smettere di leggere, vero Jane Ryan?- Terence mi stava aprendo la portiera.

Annuii con la testa, poi misi il libro in borsa.

-Mi sa che non te lo restituisco più.- presi la sua mano e in men che non si dica mi trovai all’aperto.

Osservai ciò che mi circondava, cercando di capire dove fossimo.

-Oddio non sarà mica Inverness?- feci incredula, mentre Terence chiuse lo sportello dietro di me. Notai che in un mano aveva un cestino da pic-nic, preso chissà quando, e che una montatura da sole gli copriva gli occhi.

Era strano vederlo con gli occhiali da sole. Mi ricordava il Terence che avevo conosciuto.

-Credo proprio che lo sia.- mi sorrise, prendendomi per mano e iniziando a camminare.

-E ora dove andiamo?- domandai.

-Ti porto ad incontrare il mostro di Lochness.- rispose, senza voltarsi verso di me.

Il sole era alto nel cielo, c’erano poche persone disseminate per le strade e una leggera brezza iniziò a farci ondeggiare i capelli nell’aria.

Decisi di non chiedere altro, e di seguirlo in silenzio.

Terence camminava deciso, lasciando qualche ragazza a bocca aperta, mentre io me la ridevo sotto i baffi per essere la fortuna che gli era accanto.

Non ci volle molto prima che si fermasse, di fronte al lago più famoso di tutti i tempi.

-Benvenuta a Lochness, Jane Ryan.- mi sorrise, voltandosi verso di me, gli occhi chiari ben oscurati dalle lenti.

Rimasi a guardare il panorama mozzafiato che mi circondava, schiudendo le labbra e chiedendomi perché Terence avesse scelto questo posto.

-Perché mi hai portato qui?- diedi voce ai miei pensieri, guardandolo.

Il sole di mezzogiorno rischiarava i suoi capelli e colorava la sua carnagione.

-Perché è un bel posto e io amo la bellezza. Un giorno, quando venni a pranzo a casa tua, ti dissi che non avevo mai visto questa città. Così ho deciso di portarti con me.- mi rispose, sorridente.

Io continuai a fotografarmi con la mente il panorama da mozzafiato che mi si stagliava di fronte.

-Grazie. È splendido qui.- gli risposi.

Terence di risposta, rimase prima a fissarmi, per poi circondarmi la vita con un braccio. Appoggiai  automaticamente il capo sulla sua spalla.

-Ti propongo questo itinerario: passeggiata per la città alla ricerca dei luoghi più belli, picnic di fronte al lago per l’ora di pranzo, e infine gita sul lago di Lochness.- vidi con la coda dell’occhio che mi guardò.

-Ci sto.- gli risposi, sorridendo.

Così detto, rimanemmo qualche altro istante a farci accarezzare dal fresco vento primaverile, per poi iniziare a camminare.

Sebbene Terence non avesse mai visitato la città,  sembrava molto sicuro dei suoi passi e delle direzioni in cui mi stava conducendo.

Mi portò prima a visitare la Church Street, la via più antica della città, dominata dalla torre campanaria, piena di negozietti sfiziosi e colorata da diverse persone che passeggiavano con spensieratezza.

Poi mi condusse verso l’ Inverness Museum and Art Gallery, un museo ricco di tesori risalenti ai vichinghi. Terence fu felice di mostrarmi le sue abilità artistiche descrivendomi ciò che ci fronteggiava meglio di una qualunque guida turistica. Quando parlava di arte, diventava ancora più bello. I suoi occhi si illuminavano e brillavano come le stelle di agosto. In più spiegava tutto con incredibilità facilità e spontaneità. Già me lo immaginavo in un museo a fare la guida, con tutte le ragazzine a guardarlo adoranti. Poi ci fermammo in alcun negozietti di souvenir, da cui uscimmo con un paio di cartoline del luogo, una calamita da frigorifero, e due braccialetti che ci scambiammo.

Il tempo trascorse incredibilmente in fretta, tant’è che l’ora di pranzo si fece vicina in men che non si dica. Terence mi chiese di scegliere tra due monumenti quale visitare, prima del pic-nic, e io optai per il Cawdor Castle, un castello che sapevo essere legato alle vicende del Macbeth di Shakespeare. Questa volta fui io la più esperta tra noi due. Ricordavo ancora come amassi il famoso poeta inglese al liceo, e come avessi divorato numerose sue opere fin dall’adolescenza. Facemmo in tempo ad osservarlo all’interno, con i suoi passaggi segreti, le sue prigioni e con persino un albero cresciuto all’interno delle mura. Infine, prima di andare a pranzo, ci facemmo coinvolgere dalla bellezza dei giardini esterni, colorati dalla primavera.

Felici ma un po’ stanchi, poi, ci avviammo nuovamente verso i paraggi di Lochness.

Quando arrivammo, Terence scelse un posto un po’ appartato, vicino a un grande albero. Posizionò una tovaglietta che prese dal suo cestino e poi uscì alcuni tramezzini, della frutta di stagione, e delle bevande.

-Wow Terence Ashling… questa volta ti sei superato! Hai preparato tutto nei minimi dettagli.- gli sorrisi, divorando con lo sguardo ciò che mi si presentava davanti.

-E non hai ancora visto il dolce. – si sfilò gli occhiali da sole che appoggiò sul colletto della camicia, mi fece l’occhiolino, e si sedette vicino a me.

-Il dolce?- domandai, curiosa.

Mi voltai verso di lui. Mi erano mancati i suoi occhi.

-Certamente Jane. Che compleanno sarebbe senza dolce?- disse, prima di sorridermi.

Sorrisi anch’io felice e serena. Era così bello essere qui, in questo momento, con una persona speciale come lui.

-Bene, da dove vuoi cominciare?- mi chiese, invitandomi con gli occhi a prendere qualcosa.

Feci vagare il mio sguardo, per poi optare per un tramezzino al tonno. Terence ne scelse uno al prosciutto.

Mangiammo in silenzio, osservando tutta la bellezza che ci stava abbracciando.

-Perché mi chiami spesso Jane Ryan?- gli chiesi, dopo un po’.

Terence prese  a fissarmi, curioso per questa domanda.

-Come dovrei chiamarti?- fece, senza capire.

-No, dico, perché aggiungi anche il mio cognome dopo il nome?- spiegai meglio.

-Ah…- continuò,- perché è bello. Semplice, breve, e dolce. Ha un bel suono e mi piace chiamarti così. Ti dà fastidio che lo faccia, Jane Ryan? - mi sorrise.

-Assolutamente no, signor Ashling.- gli sorrisi, anch’io.

In effetti la mia era una domanda che desideravo chiedergli da tempo.

Poi mangiammo in silenzio. Nella nostra zona, avanti a dove eravamo noi, iniziarono ad arrivare turisti che armati di macchine fotografiche, scattavano il lago più leggendario di sempre.

Dopo aver finito di consumare i panini, mangiato alcune pere e dell’uva gialla, infine Terence si schiarì la voce annunciando il dolce. Si avvicinò al cestino del picnic e ne estrasse, in pochi secondi, una piccola torta al cioccolato decorata con alcune piccole fragole.

Appena la vidi battei le mani, come una bambina. Era bellissima. Mi ricordava tanto una torta che mi aveva fatto mio padre per i miei 12 anni. Parlando di lui, ci eravamo sentiti la mattina per telefono, ma la prossima domenica ci saremmo visti di persona, perché aveva insistito per incontrare Terence, di cui gli avevo tanto parlato. Non vedevo l’ora di abbracciarlo e di incontrare la signorina Ford.

Poi, con mia somma gioia, Terence pose due candeline che unite davano il numero ‘28’, sullo strato superficiale di cioccolato.

-L’ho fatta cucinare dalla compagna di Harrison. Spero ti piaccia.- aggiunse, accendendo con un accendino le candeline.

Il vento fece muovere leggermente le fiammelle, ma per fortuna non si spensero.

-Buon compleanno, Jane. Esprimi un desiderio.- mi diede due baci sulle guance, poi prese la mia mano poggiata sulla tovaglietta e mi sorrise.

Rimasi qualche istante a guardare prima gli occhi profondi di Terence e poi le candeline. Un desiderio? Avevo già tutto quello che potevo desiderare, ma… forse c’era una cosa che avrei voluto che accadesse.

Espressi il mio desiderio e poi soffiai le candeline.

-Fatto.- sorrisi entusiasta.

-Bene.- sciolse la presa dalla mia mano, in seguito tagliò due fette di torta che mise in due piattini di plastica arancioni.

-Grazie.- gli risposi quando mi diede la mia fetta, riferendomi anche a tutto il resto.

Lui, di risposta, mi scoccò un bacio sulla guancia, facendomi arrossire.

-Sono io l’unico che deve dire grazie, Jane Ryan.- continuò, incredibilmente serio.

Io feci un mezzo sorriso e poi presi a mangiare la mia torta.

-Mi hai detto che l’ha fatta la compagna di Harrison?- domandai.

-Esatto. Non ti ho parlato mai di lei, se non un accenno al fatto che si trovi in un pensionato. Ricordi?

Ci pensai un attimo su.

-Sì. Me lo dicesti il giorno in cui andammo al centro di riabilitazione, per la prima volta.

-Giusto. Beh… diciamo che, anche se non parlo con mio padre da più di un anno, il mio cognome ha ancora un certo fascino alle orecchie delle persone, così sono andato a fare una chiacchierata con i tizi del pensionato, permettendo che la signora uscisse. Pare che non abbia più famigliari. Come sai, da qualche mese vivo nella casa dello studente vicino all’università, così possono vivere insieme a casa di Harrison.- mi spiegò, portandosi alle labbra un pezzo di torta.

Questo dolce era incredibilmente buono.

-Harrison, insieme a te, è l’unico che mi sia rimasto vicino e devo fare di tutto per renderlo felice e non pesargli troppo sulle spalle. Sai quanto lui abbia fatto per me, ed è giusto che ora inizi a ripagarlo dei suoi sforzi. Non mi aveva mai parlato dell’esigenza di voler rivedere la donna di cui è innamorato, ma ora che abbiamo vissuto insieme un po’ e che non lavora più per mio padre, ho capito che dovevo fare qualcosa per unirli. In più ho anch’io la necessità di sentirmi completamente indipendente.

Lo guardai, annuendo.

-Secondo me potresti provare a mandare alcuni curricola a dei centri d’arte. Ti posso assicurare che le tue conoscenze artistiche sono molto elevate e che il modo in cui spieghi è sublime.- gli feci sincera.

Lo vidi arrossire leggermente. Non succedeva spesso che si imbarazzasse, visto che il più delle volte era lui ad imbarazzare me, ma quando succedeva diventava immensamente dolce.

-Ho intenzione di farlo a breve. Credo che il proprietario del museo presso cui sto facendo il tirocinio, mi abbia preso in simpatia, quindi vedrò di battere il ferro finché è caldo.

-Ottima idea.- mi trovai d’accordo con lui.- Comunque ringrazia questa signora e dille che la torta è buonissima.

-Sarà fatto.- mi sorrise.

Continuammo a mangiare il dolce, in silenzio, facendoci cullare dal vento e dalla melodia delle risate dei bambini che passavano da lì, tornando da scuola.

Dopo che finimmo di mangiare, ripulimmo tutto e sistemammo le varie cose nel cesto.

-Ho prenotato una barca per le quattro del pomeriggio. La guiderò io.- mi disse, prendendomi per mano e iniziando a passeggiare nei dintorni. -Comunque Jane, c’è una cosa che non ti ho mai detto.- si schiarì la voce.

-Ah sì?- lo guardai, in attesa e anche un po’ in ansia.

Tra le cose più belle dell’esserci messi insieme, c’era sicuramente il fatto che Terence fosse diventato aperto con me. Mi raccontava tutto di quello che gli succedeva, come andava a lavoro, quando si sentiva giù di morale e qualsiasi cosa gli andasse di farmi ascoltare. Certo, quel suo lato un po’ sfuggente e solitario, tornava ogni tanto a farsi sentire, ma d’altronde faceva parte del suo carattere, e a me andava bene così.

-Mi ha contattato mio fratello, circa quattro mesi fa.- disse soltanto, quasi sussurrando, fermandosi e volgendo lo sguardo verso il lago.

Sgranai gli occhi.

-Tuo fratello? Heathcliff?- riuscii solo a dire.

Che domanda intelligente avevo fatto. Dieci punti a Grifondoro.

-Proprio lui.- tornò a volgere il suo sguardo verso di me.

-E perché non me l’hai mai detto?- corrugai la fronte.

Avevo appena finito di pensare che mi piacesse il suo essere diventato aperto con me, e adesso venivo a sapere che mi nascondeva delle cose?

Lui si toccò i capelli in imbarazzo.

-Diciamo che volevo prima capire le sue intenzioni e capire il perché si fosse messo in contattato con me. Se fosse stato un tentativo per farmi tornare a casa di mio padre non te l’avrei detto, in quanto non degno di nota, se invece avessi visto qualcosa di positivo nel suo contattarmi, ti avrei avvisato. Ho impiegato un po’ di tempo per capirlo.

Annuii, in attesa di altre informazioni.

-E cosa ti ha detto?- continuai, curiosa, inarcando le sopracciglia.

-Si è scusato con me.- mormorò, tornando a guardare frontalmente a sé.

-Wow.- abbassai il capo, permettendo ai capelli di ricadermi ai lati del volto.

Avrei voluto aggiungere altro, ma per il momento non riuscivo a spiccicare parola. Heathcliff, il fratello gemello che insieme a Catherine aveva fatto tanto male al mio Terence, ora si era scusato con lui.

-Ha sorpreso anche me. Non so come abbia fatto ad avere il mio numero, fatto sta che mi ha telefonato qualche tempo fa. Mi ha proposto di andare a bere qualcosa con lui, diverse volte, e io… l’ho fatto. Sentivo che dovevo farlo. Abbiamo parlato un bel po’…

Mi voltai per incontrare il suo sguardo.

-Quindi si è scusato. E come… cosa ti ha detto esattamente?- ripetei la mia precedente domanda.

Terence fece spallucce. Poi spostò con la scarpa un sassolino sotto di lui, con sguardo basso.

-Semplicemente che è stato un grandissimo idiota e che gli dispiace per aver contribuito alle mie sofferenze. Mi ha detto che ha smesso di parlare con Catherine, che, ha aggiunto, essere stata la causa di tanti suoi comportamenti.

-Troppo facile così, però. Ha dato tutta la colpa a tua sorella?- feci io.

-No. Si è assunto la sua responsabilità, dicendomi di essere stato uno stupido, ma sottolineando quanto si sentisse più affezionato a nostra sorella, e di come molte volte le sia andato troppo dietro, ascoltando ogni suo suggerimento.- rispose.- Mi ha detto poi che l’impresa di mio padre è ancora in piedi grazie ad un fidanzamento tra mia sorella e un tizio che neanche conosco. Avevo letto qualcosa in giro, ma ammetto che non mi ero mai interessato.- continuò, con voce fintamente distaccata.

Da quando Terence si era separato dalla sua famiglia, non avevamo più parlato della Ashling Corporation, né di suo padre o dei suoi fratelli. In più avevamo provato a stare lontani dalle tv o dai giornali che potessero parlarne, per non rimmergerci in faccende spiacevoli. Sapere che ora suo padre aveva pensato di manipolare sua figlia Catherine, come aveva fatto l’anno prima con Terence, mi fece capire come certe persone non cambino mai perché non vogliano farlo.

-E come mai si è deciso a scusarti solo adesso? Voglio dire, è passato più di un anno dall’ultima volta che l’hai visto in ospedale…- lasciai la frase in sospeso.

Terence sospirò, mettendo le mani nelle tasche. Poi volse lo sguardo verso il lago.

-Credo che abbia trovato il coraggio di farlo solo adesso.- rispose.

Io lo guardai, ferma al suo fianco.

-E a te sta bene come cosa?- gli domandai.

Lui annuì con il capo.

-Penso di sì,- continuò,- di certo non dimentico i nostri attriti ma…,- si fermò,- credo di aver bisogno anche di lui, di una persona che abbia il mio stesso sangue, nella mia vita. Ci siamo incontrati diverse volte in questo periodo, e ho cercato di capire se fosse sincero. Jane,- si voltò verso di me.- tu mi hai insegnato tante cose, lo sai?

Rimasi impalata, con le labbra leggermente socchiuse a guardare quegli occhi verdazzurri che mi guardavano come se fossi un gioiello prezioso.

-Sì?- mi uscì soltanto.

Lui sorrise.

-Sì. Mi hai insegnato che nella vita non è bello stare soli, ma è bello avere al proprio fianco qualcuno che ci voglia bene e che ci ami.- concluse.- Io voglio credergli, voglio avere fiducia che mio fratello possa voler realmente allacciare un rapporto con me. D’altronde non avrebbe alcun interesse a fingere.- fece un mezzo sorriso.

Io lo guardai , annuendo.

-Sono felice per te Terence. Sono felice che tu abbia imparato a dare fiducia al prossimo. Sono felice che tu abbia deciso di aprire il tuo cuore. Sono felice che tuo fratello abbia fatto questo passo.- lo abbracciai di slancio.

Lui ricambio la stretta, affondando il suo sorriso nei miei capelli profumati del mio shampoo alla pesca.

-Mi spiace avertene parlato solo adesso, ma prima non mi sembrava il momento adatto, sapendoti impegnata anche al Giornale.- aggiunse.

-Non fa nulla, ma comunque non devi farti alcun problema Terence. Ci sarò sempre per te, tutto il resto passerà sempre in secondo piano.- gli feci sincera.

Lui mi strinse più forte a sé.

Rimanemmo così a lungo, con il vento che ci danzava attorno, e con le nuvole che ci sorridevano dal cielo turchese.

Poi ci scostammo, entrambi felici.

-Vieni, andiamo a fare il nostro giro in barca. Ho una cosa da chiederti.- mi prese per mano.

-Cosa?- feci curiosa, seguendolo.

-Sei poco paziente Jane Ryan.- rispose continuando a camminare. Poi mi condusse verso un molo. C’erano attraccate diverse barche e un uomo anziano era seduto su una sedia in legno, con un giornale in mano.

Intanto cercai di capire cosa volesse domandarmi.

-Salve signore. Sono Terence Ashling, il ragazzo che le ha telefonato il mese scorso…

Il mese scorso? Terence aveva organizzato questa giornata già da così tanto tempo? Sorrisi.

-Ah sì sì, ho capito chi è lei.- il signore gli fece un occhiolino.

Cosa? Un occhiolino?

-Sì…- Terence lasciò la frase in sospeso, insospettendomi.- Possiamo usare la barca per un’ora giusto?

-Sì, signore. Prego,- disse alzandosi e avvicinandosi a una barca a remi dipinta di rosso, e con la scritta “Penelope” verniciata di bianco su un fianco.

Slegò una corda che la teneva legata al molo e ci invitò a salirci su.

Terence mi prese per mano, salendo per primo con agilità e poi aiutandomi a salire insieme a lui. Non ero mai stata su una barca a remi, e appena  ballò un po’ sotto il mio peso, mi spaventai leggermente, ma quando Terence strinse forte la presa sulle mie mani, mi tranquillizzai e mi sedetti di fronte  a lui.

-Non allontanatevi troppo, signori. Questo è il biglietto con le tariffe e gli orari. – ci disse l’uomo dandoci un bigliettino bianco.- e fate attenzione al mostro di Lochness… non si sa mai quando potrebbe fare la sua comparsa.- ci strizzò l’occhio, prima di spintonare la barca per farla andare a largo.

Terence ridacchiò, io… un po’ meno. Nessuno aveva prove che il mostro fosse vero, ma neanche che non lo fosse.

-Non sapevo che tu sapessi guidare una barca a remi.- osservai, guardandolo muovere i remi lentamente.

-Infatti non è che abbia chissà quale esperienza. Un giorno ti raccontai che d’estate, quando io e i miei fratelli eravamo piccoli, la mia famiglia passava le vacanze a Nairn. Qui andavamo spesso al mare, e … mio padre ci insegnò ad andare in barca.- spiegò, abbassando un attimo lo sguardo, quasi… dispiaciuto nel rinvangare certi ricordi.

Allora suo padre non era sempre  stato una persona fredda e calcolatrice.

-Capisco.- gli risposi, sorridendogli leggermente.

Poi feci volgere il mio sguardo su ciò che ci circondava. Sembrava di essere all’interno di un affresco o di una fotografia.  Degli uccellini cantavano sulle fronde degli alberi in lontananza, le nuvole bianche si spostavano lentamente sopra di noi, assumendo le forme più strane, e una piacevole brezza ci sfiorava la pelle ed i capelli. Mancava un concerto di violini e di violoncelli, e mi sarebbe sembrato di essere in un film.

Amavo la mia Scozia. Così bella. Così leggendaria. Con i suoi castelli, i suoi monumenti, i suoi paesaggi mozzafiato, le sue musiche e le sue tradizioni. Non avrei abbandonato la mia terra per nulla al mondo.

-E se davvero uscisse Nessie?- gli chiesi, stringendo la mia borsetta tra le braccia.

-Beh avremo un testimone in più.- rispose Terence, stringendosi nelle spalle.

Non riuscivo a capire.

-Testimone? A cosa?- risi nervosamente.

-Abbi pazienza Jane.- si limitò a dire, sorridendo e continuando a remare.

Quante volte mi aveva detto oggi di avere pazienza?

Rimasi in silenzio, con solo il cuore a martellarmi più forte nel petto, per cercare di capire cosa gli stesse frullando per la mente. Aveva stampato sul viso un sorriso divertito, mentre spingeva i remi contro l’acqua.

Mi sporsi leggermente verso il lago, osservandone la profondità. Il sole si ergeva ancora nel cielo, ma fra non molto avrebbe iniziato a tramontare, e si sarebbe specchiato sulla superficie dell’acqua, colorandola di un caldo arancione.

Mi ritrovai a pensare, vedendo me stessa riflessa sull’acqua, che solo un anno prima a quest’ora stavo festeggiando i miei ventisette anni con mio padre e la mia migliore amica in un ristorante, che la mia vita era totalmente diversa, che non avevo scritto un articolo che aveva avuto la prima pagina e che aveva vinto un premio, che non ero stata presa in giro da nessun modello, che non avevo ancora incontrato l’amore della mia vita: Terence. Se solo non fossi andata al pub, quel settembre dell’anno prima, per incontrare il fidanzato di Abbie, non avrei conosciuto un ragazzo scontroso, freddo, a tratti scorbutico, dagli occhiali da sole sugli occhi, con una piccola cicatrice sopra le labbra, con un bastone chiamato James sempre tra le mani, con un cuore tanto dolce, dalle doti nascoste, tanto intelligente, e con il suo charme da ragazzo di altri tempi e da protagonista di quei romanzi che mi piacevano tanto. Non avrei vissuto la vita che stavo vivendo adesso. Una vita piena di calore e di gioia, che mi ero guadagnato non senza fatica.

Quando fummo lontani diversi chilometri dal molo e il signore che ci aveva dato la barca fu solo un puntino lontano, Terence si fermò scrocchiandosi le mani e sistemando i remi in modo che non cadessero.

-Bene. Credo sia arrivato il momento di darti il mio regalo di compleanno.- mi disse, guardandomi contento.

-Regalo?- feci sorpresa.- Ma… non era questa giornata passata insieme il tuo regalo?- lo guardai.

-Anche, ma il vero regalo è un altro. Ora, per favore, chiudi gli occhi Jane Ryan.- mi invitò.

Lo osservai sospettosa. Sentivo che il suo doveva essere un qualcosa di bello, per cui feci come mi aveva detto, aspettandomi un qualsiasi gesto da un momento all’altro.

Sentii Terence armeggiare con qualcosa, per poi avvicinarsi a me. Percepii il suo profumo intensamente e dovetti frenare la mia voglia di baciarlo, per non rovinare la sua sorpresa.

Poi qualcosa di freddo mi sfiorò il collo, e Terence si scostò da me subito dopo.

-Sei così bella… anche ad occhi chiusi.- lo sentii sospirare per poi riavvicinarsi a me per baciarmi sulle labbra.

Risposi con dolcezza al bacio e quando si allontanò da me, faticai a riaprire gli occhi.

Terence mi invitò con lo sguardo a guardare verso il basso, così spostai i miei occhi verso i bottoni della mia camicia, osservando che mi aveva messo una collana intorno al collo.

Impiegai qualche istante a riconoscerla. Era la collana di Elizabeth.

-Terence questa… questa è…- balbettai, incredula.

-La collana che regalai a mia madre e che mi disse di dare a quella persona che mi avrebbe fatto sentire speciale come io avevo fatto con lei.- mi rispose.

Io rimasi a guardarla estasiata. Era fatta di oro e qualche raggio solare stava illuminando il piccolo ciondolo a forma di cuore.

-Io non ho parole. È bellissima… grazie.- sussurrai, con il cuore a battermi forte.

-Non è finito il mio regalo. Apri il ciondolo.- continuò.

Lo guardai. I suoi occhi divennero sfuggenti. Sembrava improvvisamente agitato.

Riguardai il ciondolo e con lentezza lo aprii. Mi trovai la foto della mamma di Terence guardarmi con dolcezza e dall’altra parte…un piccolo cuscinetto inserito nella parte a forma di cuore, con al suo interno inserito un anello.

Lo presi con mani tremolanti. Era una fede d’argento con incastonato al suo centro un piccolo diamante.

Sentii mancarmi il respiro quando lo vidi.

-Senti Jane…- iniziò Terence con tono agitato, mentre io continuai a guardare quel piccolo gioiello luminoso,- avrei voluto mettermi in ginocchio ma credo non sia il caso,- lo sentii ridere nervosamente,- quello che voglio dirti è che… vuoi essere… -sospirò in imbarazzo. Rialzai il mio sguardo verso di lui,- vuoi darmi l’enorme privilegio di diventare mia moglie?

Boccheggiai presa alla sprovvista. Il cuore batteva forte nel mio petto e mancava poco che non arrivasse più aria nei polmoni. Mi diedi anche un pizzico sulla guancia, sentendo ridere Terence, per capire se non stessi facendo uno dei miei sogni realistici, ma no… ero sveglia.

-Oh mio Dio…- riuscii solo a dire.

-Cosa… cosa vuol dire?- mi chiese Terence, guardandomi in attesa.

Io ricambiai lo sguardo, inspirando ed espirando.

-Sì… vuol dire sì. Tremila volta sì. Voglio diventare tua moglie, Terence Ashling.- gli risposi, sporgendomi verso di lui.

La barca tremò leggermente, ma poco importò perché Terence mi prese tra le sue braccia e mi strinse forte contro il suo petto. Poi prese l’anello che stringevo ancora convulsamente tra le mie mani, e me lo mise all’anulare della mano sinistra. Infine sollevò il mio viso e mi baciò con sentimento.

Sentivo un tumulto di sentimenti dentro di me, come se stessero esplodendo mille fuochi d’artificio dentro la mia anima.

Quando ci separammo, avevamo entrambi gli occhi luminosi, o almeno anch’io ero sicura di averceli.

-Wow… non so cosa dire…- balbettai, scuotendo la testa.

-Hai detto tutto quello che volevo sentirti dire.- mi accarezzò i capelli.

-Ma… mi avevi già regalato un anello Terence.- presi a osservare l’anello con la pietra rossa che mi aveva comprato al mercato del Natale precedente.

-Lo so, ma… questo è più… ufficiale, Jane. Con quello ti ho chiesto di diventare la mia ragazza, con questo ti ho chiesto di diventare la mia sposa.- vidi i suoi occhi leggermente lucidi.

Io abbassai lo sguardo, commossa. Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Prima, quando avevo soffiato sulle candeline, avevo espresso il desiderio di essergli accanto per tutta la vita, e adesso che  mi aveva chiesto di sposarlo mi sentivo a dir poco spossata. Non che non mi aspettassi che un giorno questo sarebbe successo, o almeno lo speravo, ma di certo non credevo che sarebbe successo oggi, su una barca, sul lago di Lochness.

-Mi piaci da sempre, Jane. Da quando ho sentito la tua voce al pub la prima volta, da quando ho toccato la tua mano alla stazione, e da quando ho sfiorato i contorni del tuo viso, ma… tu non mi piaci soltanto, io… sono profondamente, perdutamente, e immensamente innamorato di te e voglio che tu stia con me, per tutta la vita, perché ho bisogno di te al mio fianco.- sussurrò le ultime frasi.

Rialzai lo sguardo. Sorrisi, mordendomi le labbra. Diceva sempre di non essere una persona romantica. Forse dovevo registrare le sue parole e fargliele ascoltare.

-E ti ringrazio per aver accettato la mia proposta di matrimonio. Non ho un lavoro che mi faccia guadagnare così tanto ma… non potevo più aspettare. Ho messo diversi risparmi da parte e in questo periodo… mio fratello mi ha promesso il suo aiuto, per farsi perdonare. In tal caso, riuscirò  a comprare una casa per noi due dove potremo vivere insieme… per sempre, mi auguro.- abbassò il capo.- Sono un uomo imperfetto, e non ti prometto che a volte non avrò voglia di stare da solo, o sarò un po’ scontroso, ma ti prometto che ti amerò con passione e con rispetto fino a quando la vita scorrerà nelle mie vene e la mia anima vivrà con la tua.

Trattenni un singhiozzo, asciugandomi una lacrima che scorse lungo la mia guancia. Non esisteva una proposta più bella di questa.

-Io… ti amo profondamente anch’io Terence. E grazie, grazie per avermi reso così felice. - singhiozzai leggermente, stringendolo tra le mie braccia.

***

Io e Terence ci sposammo qualche mese dopo, ad agosto.

La nostra fu una cerimonia semplice. La messa fu celebrata in una piccola chiesa in campagna vicino alla mia casa di nascita, con mio padre che mi guardava commosso accanto a quella che era diventata la sua compagna, la signora Ford. A tutto questo seguì un semplice banchetto all’aperto, complice anche il bel tempo, che fu organizzato grazie ad Abbie, a Barbara (con il suo pancione un po’ più grande) e a Freddie.

Ci eravamo divertiti, soprattutto io, fasciata nel mio abito bianco. Lungo, semplice, di taffetà, con uno scollo a barchetta e delle maniche a tre quarti di raso, una gonna leggermente a ruota e le mie Mary Jane bianche, dalla punta tonda e dal tacco basso.

Era piovuti tanti sorrisi quel giorno, oltre che confetti, soprattutto da parte di Abbie che si sarebbe sposata anche lei a breve, e da mio padre, la piccola grande luce della mia vita.

Fu un bel giorno quello. Il mio Terence era super elegante nel suo smoking nero, e con la camicia bianca. Suo fratello era venuto, accompagnato da sua moglie in dolce attesa, facendoci i suoi migliori auguri, chiedendo scusa anche a me e dandomi un bacio sulla guancia. Assomigliava poco a suo fratello, ma mi fece un' impressione positiva. Forse era davvero stata sua sorella a fungere da burattinaia, quando si trattava di andare contro Terence. Suo padre e sua sorella, invece, non si erano fatti mai sentire, ma poco importava. Erano loro a perdere molto, e non di certo noi.

La torta che mangiammo fu buonissima. Avevo insistito per farla preparare e decorare da quella che era diventata la moglie di Harrison. Una donna dalle guance rosse e dai brillanti capelli tinti di nero, che era convolata a nozze solo un mese prima, con una semplice cerimonia al comune, con l’autista più buono che conoscessi.

C’era persino Tessa che con i capelli ramati, un po’ più lunghi di come ricordavo, si teneva per mano con un bel ragazzo, sorridendoci felice. Era stato anche grazie a lei, se non soprattutto, che io e Terence eravamo insieme in questo momento.

E infine io e quello che era diventato mio marito ci concedemmo l’ultimo ballo. Optammo per  “Mad World”, cantata da Gary Jules. Per ovvi motivi. Danzammo quando era già sera, con solo delle piccole lucine bianche inserite nelle fronde degli alberi che ci facevano da scenario, guardandoci negli occhi e stringendoci a vicenda, come se fossimo l’uno l’ancóra dell’altra.

Quando la festa si concluse, andammo in quella che era diventata la nostra casa, ad Edimburgo. Piccola, graziosa e tanto calorosa, con persino un camino pronto a riscaldarci in quelle che sarebbero state le nostre giornate invernali.

Ci amammo quel giorno, così come continuammo a farlo i giorni a seguire, con la piena convinzione che se avessimo avuti dei figli (ed entrambi ne volevamo) li avremmo chiamati Elizabeth e Dorian. Sì come Dorian Gray. D’altronde, non era stato anche grazie a lui che io e Terence ci eravamo conosciuti?

Il resto della mia vita non ve lo racconterò, perché anch’io dovevo ancora viverlo, ma ero sicura che ,pur con i suoi alti e bassi, se fosse stata accanto a Terence Ashling, la mia vita sarebbe stata meravigliosa, perché ci amavamo  e ci saremmo amati per sempre, anche ad occhi chiusi.

-FINE-

 http://media.gettyimages.com/videos/the-end-video-id472862305?s=640x640

Se sentite qualcuno piangere, sappiate che sono io ( e parlo sul serio) e se sentite un cuore che fra crack sappiate che è sempre il mio.

Scrivo “Ad occhi chiusi” dal 2014, quando facevo il quarto anno del liceo, e mettere quella parola “FINE” mi ha spezzato il cuore davvero. Non scrivere più di Jane e di Terence mi mette tanta tristezza, come se mi stessero dicendo “addio”. So però che il loro è un “arrivederci” perché, quando vorrò, ci saranno sempre nella mia testa. Per esempio, adesso, li sto guardando mentre mi salutano, vestiti da sposi, su una macchina vecchia e bianca, con delle lattine attaccate sul retro e la scritta “JUST MARRIED” che troneggia dietro di loro.

Mi mancheranno anche gli altri personaggi, e mi mancherà anche Edimburgo, ma sono felice, tanto. Felice per essere riuscita a dare una fine a questa storia, e per aver ricevuto del calore da parte di tutti voi che mi avete letto e mi avete spronato a continuare a scrivere, la mia passione preferita.

Spero di tutto cuore che dall’inizio alla fine vi sia piaciuta la mia storia, e vi abbia regalato qualcosa, qualsiasi cosa: questo è il mio obiettivo, ogni volta che scrivo. Spero di non aver deluso nessuna vostra aspettativa e che anche a voi mancheranno i miei personaggi.

Ci tenevo poi a dirvi che ,visto che siamo arrivati all’epilogo, ho deciso di cambiare il rating della storia. Credo che sia più adatto un rating giallo, e non arancione come avevo pensato all’inizio. Credo non ci sia alcuna scena che preveda quello arancione, ma se ritenete più opportuno che andasse bene quello arancio, fatemelo sapere ;)

Vi voglio dire ancora GRAZIE per avermi letto e avermi seguito.

Ringrazio nel particolare: fenice65, T13_I, e Vampgiulietta per aver aggiunto la mia storia alle proprie seguite. Grazie anche a tutte le ragazze che la seguono fin dai primi capitoli e chi inizierà a seguirla.

Grazie a : pulcino piccolino per averla aggiunta alle proprie ricordate, e grazie, anche in questo caso, a chi ricorda la mia storia fin dagli inizi, e a chi la ricorderà.

E grazie a : m12, Mix, saku_93, Candy_Heart e a tutte le ragazze che preferiscono “Ad occhi chiusi” fin dal primo capitolo, e a  chi la preferirà in seguito.

Infine ringrazio anche tutte le ragazze che hanno recensito la mia storia, anche solo un capitolo. Le recensioni che ho ricevuto sono sempre state tanto belle e mi hanno scaldato il cuore. Spero di riceverne qualcuna anche per questo epilogo, per sapere se questa storia vi ha lasciato qualcosa  ^_^

Grazie di cuore a tutte, nessuna esclusa.

 In questo periodo continuerò a scrivere ovviamente. Non so se continuerò a pubblicare qui su EFP, perché noto che il sito è diventato un po’… “passivo”, ma vediamo un po’…

Sicuramente continuerò a pubblicare su Wattpad che credo conosciate tutti. Se vi può interessare mi trovate su questa piattaforma con il nickname: Rob_Granger  

Se avete bisogno di qualche informazione, di farmi delle domande, o di chiedermi qualsiasi cosa attinente alla mia storia, mi potete benissimo scrivere qui su EFP, però, e mi trovate anche su:

TWITTER: @Rob_Redmayne

FACEBOOK (account fake che uso solo per pubblicizzare le mie storie e per condividere qualche mio pensiero, ogni tanto xD ): Sara Novalis Caravaggio a cui potete chiedermi tranquillamente l'amicizia :)

Comunque, per divagare un po’, se non l’avete ancora fatto vi consiglio la visione del film “La bella e la bestia” con Emma Watson. È a dir poco stupendo! Non c’entra molto, ma tenevo a dirvelo ^^

Penso che sia arrivato davvero il momento di salutarci(si capisce che ho cercato di allungare il brodo, per non separarmi da questa storia?). Terence, Jane, Abbie, Harrison, Freddie, Barbie, Steve, Vincent e tutti gli altri, si prendono per mano e si inchinano a tutti voi ringraziandovi per averli seguiti, aver amato, e aver pianto con loro.

Vi mando un bacione ragazze.

Novalis

P.S: Non l’ho mai sottolineato, ma per sicurezza lo faccio: ogni diritto di “Ad occhi chiusi” appartiene a me. Spero che nessuno abbia mai la malsana idea di copiare il mio lavoro o quello di altri, perché ( e chi scrive, lo sa), i propri racconti sono come dei figli, che si crescono, accudiscono e a cui si danno tante attenzioni. Spero di non imbattermi mai in qualcuno che copi ciò che scrivo, ma se anche voi notate qualcosa, non esitate a segnalarmelo, mi raccomando ;)

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2607230