Footprints in the snow

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brienne, Jaime/Cersei, Jaime/Brienne ***
Capitolo 2: *** Brienne, Tyrion, Jaime/Brienne ***



Capitolo 1
*** Brienne, Jaime/Cersei, Jaime/Brienne ***


Azzurro
Brienne, Nuovo personaggio
437 parole

Si affaccia alla finestra del palazzo di suo padre e guarda il mare sotto di lei.
Non è un eufemismo: la sua dimora è costruita a picco sul mare. Tarth è come uno scoglio dipinto di verde in mezzo all’azzurro delle acque che lo circondano.
Capre pascolano le sue pendici, cavalli corrono liberi nelle sue piccole praterie, i pescatori si gridano sconcezze dai quattro angoli del porto.
Lei è cresciuta così, nuotando nuda tra le rocce affioranti, nascosta ad ogni occhio dalla spuma del mare.
Brienne guarda le onde con insistenza perché se si voltasse e si affacciasse all’altra finestra vedrebbe il verde dei prati bagnati dal sole e non può permetterselo.
Pensa a lui spesso, più spesso di quanto vorrebbe, ed essendo sempre stata una donna forte, in grado di evitare pensieri inopportuni, non riesce proprio a capire perché gli occhi verdi e tormentati di Jaime non la abbandonino quasi mai.
«È morto» dice a se stessa. «Basta con queste sciocchezze» aggiunge poi, con più forza.
Si alza, sistemandosi i pantaloni da uomo che non ha smesso di indossare, nonostante siano passati anni e lei sia diventa a tutti gli effetti la Signora di Tarth.
Passa una mano sul grande tavolo di legno – è una mano segnata da anni di battaglie, una mano di un guerriero – e osserva con pazienza le scartoffie che ancora deve sistemare, i messaggi dal continente a cui ancora deve rispondere.
Da sotto il tavolo sente una risatina soffusa. Rotea gli occhi e si china in avanti, scoprendo due bambini.
«Cosa ci fate qui?» domanda seria.
La più piccola, con i capelli castano scuro e gli occhi dello stesso colore, emerge dalle ombre con il faccino abbattuto. «Scusate, Lady Brienne» dice con voce appena udibile.
L’altro, un ragazzino biondo di circa cinque anni, gattona all’esterno e si pone accanto alla sua compagna di giochi, spostato un po’ in avanti, come se la volesse proteggere.
«Stavamo solo giocando a Dame e Cavalieri» le spiega fissandosi la punta degli stivali.
Brienne sospira e finalmente il bambino la guarda negli occhi.
Lei sostiene il suo sguardo con forza inaudita, quando l’unica cosa che vorrebbe fare – l’unica cosa che potrebbe darle un po’ di sollievo – è spostare la sua attenzione sull’acqua di zaffiro di Tarth.
Tuttavia gli occhi verdi e pieni di vita del bambino non si staccano dai suoi e alla fine Brienne li manda fuori tutti e due, a giocare a Dame e Cavalieri in un posto più appropriato.
Il bambino si volta a guardarla un’ultima volta e le sorride.
Brienne chiude la porta e fissa il mare con occhi vuoti di ogni sentimento.

Paura
Cersei/Jaime
248 parole

Quando la bacia, la barba le punge la faccia.
Cersei ha un’immagine vividissima e improvvisa della faccia grassa di Robert premuta sulla propria e il primo violento impulso è quello di allontanarsi e spingerlo via.
È un impulso che riesce a dominare quando la lingua di Jaime – quella lingua che conosce bene – si fa strada nella sua bocca, così calda, così familiare.
I baffi di Jaime le solleticano il labbro superiore.
Il suo odore è sudore, fango, sangue secco e qualcos’altro che non può fare a meno di ricordarle la putredine. Di nuovo, per la seconda volta nella sua vita, sente il bisogno di allontanarsi da lui.
Non lo fa naturalmente, perché quello è Jaime, suo fratello, la metà della sua anima che vive al di fuori di lei, ma vorrebbe farlo.
Anche quando lui alza il moncherino che adesso possiede al posto della sua mano destra e glielo porta al volto, anche in quel momento ha paura, e ha gli occhi sgranati e aperti sul volto martoriato di Jaime. Con i suoi baffi che le pungono la faccia e la sua passione che – gli Dei la salvino – la spaventa. La spaventa con gli occhi verdi pieni di dolore e disperazione, occhi di un fratello che stenta a riconoscere, la spaventa con quella mano che non c’è più, la spaventa con quel volto pieno di croste e cotto dal sole e dal vento.
Cersei lo bacia, perché lo ama – lo amerà sempre –, ma Jaime le fa paura.

Prima volta
Jaime/Brienne
361 parole

Brienne non sa cosa fare.
Lo ha voluto lei e per questo non si tira indietro – non si è mai tirata indietro di fronte a niente, Brienne la Bella, Vergine di Tarth – ma di fronte alla perdita di quella verginità che ha così tanto lottato per mantenere i suoi propositi iniziano a venir meno.
La stanza è buia: è lei che ha spento l’ultima candela e Jaime non ha protestato.
Brienne non vuole essere vista. Brienne non ha mai voluto essere vista. Brienne è brutta e sa di esserlo, ma forse al buio Jaime non si ricorderà di quanto lo è realmente.
Dopotutto lei, al buio, è sempre riuscita a immaginare tutto ciò che desiderava.
Quando la mano sinistra di Jaime le prende il polso, lei sussulta. Quando la faccia di Jaime preme contro la sua, lei sussulta. Quando la barba di Jaime le solletica la pelle del volto, di nuovo, lei sussulta.
Le labbra di Jaime sono piegate in un sorriso quando la bacia.
Ride di me, pensa Brienne. Ma sa perfettamente che non è vero, che quello di Jaime è uno dei suoi rari, rarissimi, momenti di tenerezza. Quelli che ha imparato a riconoscere come miracolosi e improvvisi e sempre rivolti verso di lei.
Non c’è paura, negli attimi successivi, quando è lei a dover aiutare Jaime a togliersi gli abiti, quando è lei a dover aiutare Jaime a toglierle gli abiti.
Non c’è paura quando la pelle incontra la pelle, quando riesce finalmente a comprendere come sia fatto il corpo di un uomo e di come, alla fine, non sia poi così diverso dal proprio.
Non c’è paura quando le labbra di Jaime si posano sulle sue spalle, sul suo petto, sulle sue cosce.
Non c’è paura né dolore, forse per la prima volta nella sua vita, non c’è paura né dolore.
«Mi fido di te» le aveva detto Jaime nella vasca di Harrenhal, guardandola fissa negli occhi.
«Mi fido di te» le stava dicendo ora lei, con le dita delle mani intrecciate tra i suoi capelli biondi, e quel corpo così brutto, così denigrato dal resto del mondo, che si univa al suo.
«Mi fido di te».

Gemelli
Jaime e Cersei
185 parole

Abbiamo respirato la prima aria insieme. Abbiamo osservato, urlanti, il volto di nostra madre. Insieme.
Ci siamo sorretti a vicenda nei nostri primi passi, nelle cadute inevitabili, nei pianti inconsolabili che scandivano le nostre notti. Abbiamo dormito abbracciati in una culla troppo grande e vuota che sapeva di latte, abbiamo stretto le dita l’uno dell’altro nei giorni di tempesta in cui niente sembrava essere sicuro tranne noi stessi.
Ci siamo scambiati sorrisi, dolcetti, baci, giocattoli, vestiti, morsi, unghiate e abbracci.
Ci hanno definito in modo diverso, ci hanno diviso, separato, allontanato, ma noi sempre tornavamo a dormire l’uno nel letto dell’altra, perché quello eravamo: un'unica, indivisibile entità.
Jaime e Cersei sono i nomi che ci identificano: con quelle poche sillabe cercano di darci una nostra identità, di separarci per sempre, così come ci hanno separato, strillanti, il giorno in cui siamo venuti al mondo.
Ma noi non siamo fratelli. Siamo un’unica anima, divisa in due corpi diversi e uguali che si cercano, vibranti, nelle notti più oscure.
Ma noi non siamo gemelli. Siamo un solo essere che brama ogni giorno il ricongiungimento con se stesso. 

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Capitolo 2
*** Brienne, Tyrion, Jaime/Brienne ***


Parole
Brienne/(Jaime)
184 parole


Gli occhi di Jaime pesano su di lei come ingombranti macigni che soltanto la sua forza di volontà riesce a sostenere.
Gli occhi di Jaime la seguono, nelle notti solitarie, incastrandosi nei suoi sogni come se avesse passato tutta la sua vita ad osservarli.
Gli occhi di Jaime la guardano e la vedono e dicono cose. E lei, che ha amato (ama?) Renly con tutto il suo cuore di cavaliere e di donna, non può fare a meno di paragonare lo sguardo indifferente e divertito, sebbene gentile, del defunto sovrano con quello bruciante e vivido di Jaime.
Forse lui nemmeno si rende conto di quanto un suo solo sguardo sia in grado di comunicare. Forse non si rende conto di non essere davvero in grado di nascondere ciò che pensa, perché, attraverso quel verde incupito dalle sofferenze e dai dubbi, Jaime le parla.
Oppure forse è Brienne che non si rende conto che gli occhi di Jaime parlano e si mostrano a lei, certo, ma che per tutto il resto del mondo restano gli occhi di uno spergiuro, privi di sentimenti, privi di senso.

 

Infanzia

Tyrion
240 parole


Tyrion sbadiglia senza alcun freno e non si disturba nemmeno a mettersi la mano davanti alla bocca, ma la giovane Septa che si occupa di lui non lo rimprovera. Si limita a guardarlo, invece, un cosino minuscolo, dai capelli gialli e arruffati, perduto in quel letto che sarebbe troppo grande anche per un bambino di normale statura.
«Raccontami un’altra storia» le dice Tyrion, con gli occhi pesti di sonno che rischiano di chiudersi da un momento all’altro.
La Septa però lo accontenta, perché quel bambino è così solo e triste che un buon racconto è l’unica consolazione che lei riesca a dargli.
Gli parla di cavalieri e di draghi da sconfiggere e di bellissime principesse imprigionate da crudeli Re senza corona. Gli parla di coraggio e di spade e amore. Tutte cose che lui non avrà mai.
Ma il bambino è contento, sorride, con le palpebre ormai abbassate e poco prima di addormentarsi dice ciò che tutte le sere non riesce a trattenersi dal dire: «È Jaime quel cavaliere» e si addormenta così, sognando di quel fratello – unico al mondo – che lo tratta con dignità, che lo solleva in alto, che una volta, una gloriosa volta, se l’è messo sulle spalle e lo ha portato in giro per il castello finché suo padre non gli ha ordinato di metterlo subito giù.
Dorme, Tyrion, un po’ sognando di essere come suo fratello, e un po’ sognando di essere con suo fratello.


Orso di pezza
Brienne, Galladon
359 parole


Brienne si succhia un dito e stringe la rassicurante zampa del suo orso di pezza con forza inaudita – ha solo tre anni, ma già così tanta forza – mentre all’esterno il temporale rischiara il cielo con lampi spaventosi.
«Non aver paura» dice al suo orso.
Aveva una bambola, una volta, ma le bambole non le piacciono, così come non le piacciono le gonne che suo padre le fa indossare, perché non può correre e non può saltare e non può rotolarsi nell’erba o tuffarsi nel mare.
Preferisce quell’orso senza nome, con gli occhi fatti di bottoni e gli strappi ricuciti di tutte le volte che insieme hanno vissuto mille avventure.
«Non aver paura» ripete, coraggiosa, mentre sussulta per il rombo del tuono. Si era fatto più vicino?
Quando qualcuno le posa una mano sulla spalla la bambina si volta di scatto, i capelli biondi che le coprono gli occhi e le iridi azzurre rivestite di panico.
Ma è solo Galladon, Galladon e il suo sorriso rassicurante.
Galladon le toglie la mano dalla bocca – perché le vere Lady non si succhiano il dito, Brienne – e la stringe tra le proprie dita.
«Hai paura del temporale?» le chiede, bisbigliando.
Suo fratello non è molto più grande di lei, ma è alto e grande e forte e Brienne lo ama follemente.
«Non io» gli spiega con sussiego, «lui» aggiunge mostrandogli la faccia spaventata del suo orso.
Galladon le sorride con i suoi denti grandi e le lentiggini sparse su quel volto largo, tanto simile al suo.
«Allora portalo a dormire nel mio letto» le propone, tirandole indietro una ciocca di capelli.
Brienne non è convinta, non vuole rimanere sola mentre suo fratello e l’orso dormono insieme. «Ma lui non dorme se non ci sono anche io» si risolve a dire, piccata.
«Certo. Lo so» replica Galladon con serietà, «per questo devi venire anche tu.»
Brienne stringe la mano di suo fratello e la zampa dell’orso e tutti e tre insieme tornano al caldo, sotto le coperte. Il temporale imperversa all’esterno, ma Brienne sa che adesso il suo piccolo compagno di giochi non avrà più paura, perché suo fratello lo proteggerebbe contro qualsiasi pericolo.

 

Scrivere una storia in cui avviene l’ultimo incontro tra Jaime e Brienne.
Jaime/Brienne

611 parole


Nelle rare, irreali notti in cui lui e Cersei avevano potuto dormire insieme anche dopo l’infelice matrimonio di lei e l’infelice cavalierato di lui, Jaime non chiudeva mai gli occhi. Rimaneva lì, nel buio, intento a fissare la sorella addormentata tra le sue braccia, con il panico che gli occludeva la gola e i sensi accelerati.
Non temeva di essere scoperto, no. La sua paura – inconscia e forse sciocca – era che Cersei svanisse nel nulla, come se per tutta la notte Jaime non stesse stringendo nient’altro che un refolo di fumo.
Anni dopo si sarebbe reso conto che, in effetti, era proprio così, che per qualche motivo Cersei gli era lontana, preclusa, che la sentiva davvero sua soltanto nel momento dell’unione fisica, mentre passava il resto del tempo a desiderare di poterla toccare di nuovo, solo per sincerarsi che fosse ancora con lui, la parte di lui da cui era stato separato al momento della nascita.
Con Brienne invece chiudeva gli occhi, dormiva, si girava nel letto, nell’incoscienza si allontanava da lei, ma lei era sempre lì.
Il suo calore, il suo respiro, il suo odore. Persino nei suoi sonni più profondi Jaime era consapevole dell’ingombrante presenza della donna accanto a sé.
Nelle fredde notti invernali, quando il calore fuggiva via dai corpi addormentati, nelle taverne rischiarate dai fuochi perenni, nelle grandi camere gelide dei castelli che avevano assaltato, in mezzo al campo eretto nella notte e distrutto durante il giorno... Brienne era sempre lì, sia che Jaime dormisse o che mantenesse gli occhi sgranati nel buio, con la testa piena di pensieri e di parole ingarbugliati tra di loro.
Forse è questa la normalità, pensò Jaime, mentre ascoltava il respiro di Brienne, distesa accanto a lui, forse due amanti non hanno bisogno di aprire gli occhi per sapere di poter contare sempre l’uno sull’altro.
Ma quella notte Jaime non aveva intenzione di dormire. La sua prima, impellente necessità era quella di seppellirsi dentro di lei, dimenticare se stesso, dimenticare il proprio nome e il proprio dovere, percepire soltanto il sangue martellare nelle tempie e le dita di Brienne intrecciarsi con i ciuffi sudati dei suoi capelli e il respiro di lei, franto in spasmi concitati, contro le sue orecchie.
L’ultima notte, l’ultima rimanente briciola di normalità della sua vita che svaniva, infine, come fumo, senza che Jaime potesse fare niente per impedirglielo.
Allungò una mano nel buio e incontrò una guancia di Brienne – quella ancora intatta, con la pelle chiara e accaldata spruzzata di lentiggini – la sentì umida e decise di interpretarlo come un residuo di sudore.
Brienne si voltò verso di lui e Jaime poté incontrare la sua bocca e soffocare il suo singhiozzo con la propria lingua e le proprie dita contro la sua pelle e il proprio corpo contro il suo ventre.
«È un grande onore, quello che hai ottenuto» le disse. Parole goffe, inutili: niente avrebbe potuto far dimenticare loro che era l’ultima notte.
Brienne lo sapeva bene, forse meglio di lui, e non rispose niente, non disse niente di niente e le sue grandi mani da cavaliere si strinsero con delicata disperazione alle spalle di Jaime.
Accanto a loro, abbandonato su una sedia – ma mai, mai dimenticato – giaceva una mantello bianco. Il peso dell’onore che il giorno dopo sarebbe stato drappeggiato sulle spalle di Brienne, la Vergine di Tarth, posta ad eterna protezione di una Regina alla quale era legata da qualcosa di più profondo di ciò che la legava ad un uomo come Jaime Lannister.
Con lei non fallirà, pensò Jaime mentre nascondeva la parte peggiore di se stesso tra le braccia di quella donna brutta e coraggiosa. Con me non ha mai fallito.

 

Scrivere una storia in cui Jaime si rende conto con sorpresa di essere attratto da Brienne.
Jaime/Brienne
498 parole


Jaime si bea dell’ultimo sole di quella lunga estate e, per una volta, la sua mente è scevra di ogni pensiero conscio.
Lontano da Cersei, lontano da Aeris, lontano dalla propria mano perduta e dal pensiero di quei figli che mai davvero gli sono appartenuti, lontano dai propri doveri e dai propri desideri. Per un solo, fulgido attimo Jaime è solo Jaime, un uomo che affila la propria spada in mezzo alla neve di un inverno incipiente.
Poi il rumore di due lame che cozzano lo riscuote e si alza in piedi, brandendo l’arma. È un riflesso incondizionato che lo porta a sospirare scocciato quando si rende conto che il rumore è stato prodotto da Brienne e Hunt che stanno mostrando al giovane Pod uno dei movimenti base della lotta corpo a corpo.
Si siede di nuovo e li osserva, con gli occhi vagamente assenti.
Si muovono lentamente, quasi che fossero bloccati da lacci invisibili, in modo che il ragazzino possa osservarli bene e imprimersi nella mente ogni loro mossa.
Brienne solleva il gomito destro, la lama guizza verso il basso parando un affondo di Hunt, e la luce danza per un lungo attimo sul suo volto lentigginoso, reso ancora più grottesco dalla cicatrice rosea che le deturpa la guancia.
Gli occhi di Brienne sono spalancati e attenti, ad ogni singolo movimento che compie tenta di spiegare a Pod con parole semplici il motivo e la tecnica che l’hanno portata a compierlo. I suoi piedi calpestano la neve in una danza quasi ipnotica e Jaime si trova a seguirli, immobile, dimentico del lavoro che sta compiendo sulla propria spada.
All’improvviso prova un odio quasi bruciante per Hunt: all’improvviso vorrebbe avere entrambe le mani per l’unico, inebriante scopo di incrociare di nuovo la spada con Brienne, anche soltanto per mostrare i movimenti base di quel ballo aggraziato ad un ragazzino che puzza ancora di latte.
Guarda Brienne, i suoi capelli biondo pallido che volteggiano nell’aria, troppo corti per essere legati, troppo lunghi perché rimangano incollati alla sua fronte, coperta di una lieve patina di sudore.
Guarda Brienne, le sue lunghe gambe che saggiano il terreno... così goffa in qualsiasi altra occasione e così aggraziata con una spada stretta tra le dita.
Guarda Brienne, le cicatrici che le solcano le mani, il collo, la faccia.
Guarda Brienne e, all’improvviso, la luce di divertimento che riesce a leggere nei suoi occhi azzurri è quasi più calda di quella del sole che brilla su di loro.
Si chiede se anche lui sarebbe capace di provocare in lei lo stesso compiacimento, se anche uno storpio con una mano posticcia potrebbe generare un sorriso sulle sue labbra, esattamente come quello che sta sorgendo in quel momento, indesiderato, forse, ma impossibile da arginare.
Si chiede, con subitaneo, infantile sgomento se uno storpio come lui sarebbe in grado di cancellare poi quel sorriso con un bacio. E, subito dopo, se sia possibile mantenerlo lì, rivolto a lui e non ad una spada, con un secondo bacio.

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