Makoto - Verità

di SkyEventide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Makoto - Verità ***
Capitolo 2: *** Fuzai - Privazione ***



Capitolo 1
*** Makoto - Verità ***


-1-
Makoto - Verità



I corridoi le erano sembrati più lunghi, quella volta. Le porte delle stanze private erano scorse una dopo l’altra, tutte uguali, sotto i suoi occhi neri, gonfi, arrossati. Quei corridoi le erano parsi interminabili, eppure erano finiti troppo presto.
Era stata decine, centinaia di altre volte in quell’ospedale, e sempre era rimasta nell’edificio con entusiasmo a curare l’ennesimo paziente. Mai aveva desiderato come in quel momento di trovarsi da tutt’altra parte.
Aveva preso quella decisione con sofferenza, secondo l’etica di un medico, quella che ogni vita va salvata. E Tsunade, per la prima volta, non era stata d’accordo con lei. Lei, lei che aveva sempre cercato di far ragionare la sua maestra quando giocava troppo, quando beveva, quando si trovava fra due fuochi e doveva capire da che parte stare, adesso si comportava in modo così irrazionale, così immaturo.
«Non pensare che sarà questo a liberarti dal peso che senti!» l’aveva rimproverata, con le sopracciglia aggrottate e quell’espressione così risoluta, così autoritaria. «Stai sbagliando. Non avrai mai nessuna serenità, scegliendo questa strada».
Cos’era stato a farle intraprendere quella via, a fare quella scelta?
Le immagini di ciò che le era accaduto le erano rimaste marchiate a fuoco nella retina. Aveva perso un combattimento contro di lui, lui contro cui aveva già perso una volta. E per conseguenza il suo avversario l’aveva voluta umiliare. Le aveva voluto far sentire che era più debole, mostrando una dose di sadismo, cattiveria, che nessuno avrebbe mai attribuito a quel viso da bravo ragazzo, con quel sorriso disponibile che esibiva sempre.
Con lei non aveva dissimulato. Dopo averla vinta in duello di jutsu, aveva desiderato vincerla anche sull’orgoglio.
Vedendo i suoi occhi abbassarsi a guardarsi i piedi e la sua vergogna palesarsi, Tsunade aveva deviato su un tono meno aggressivo ma pur sempre duro, realistico. «Non ti devi sentire in colpa. Ma io non ritengo sia la cosa giusta. Te ne sei innamorata, per caso?».
Lei sapeva di non poter reggere lo sguardo indagatore degli occhi nocciola della Godaime. «Ti ha stuprato, Shizune». Che tono impietoso che aveva usato. Forse per cercare di farla ragionare. «Se pensi di esserti innamorata, ti sbagli. Cerchi solo di giustificarti, di cancellare l’onta o di motivare a te stessa perché non hai reagito».
Non aveva ribattuto; ostinata, non aveva fatto altro che guardare il pavimento.
Non aveva avuto il coraggio di far uccidere quel bambino, forse a causa di un vibrante istinto materno che l’aveva assalita, forse per un’ingenua speranza che c’era stato qualcosa di buono. Aveva rifiutato, sempre e comunque, anche quando Tsunade le aveva detto che non avrebbe rivelato niente a nessuno ed avrebbe eseguito lei stessa l’intervento, con il solo supporto di Sakura e nessun altro che potesse intromettersi in quei fatti privati.
Shizune aveva detto di no.
E così eccola, distesa su un lettino e portata nella sala parto del nosocomio, col cuore in gola, con fitte, doglie, ansia, dolore, insicurezza. Sarebbe stata un’infermiera a tenerle la mano; il suo bambino lo avrebbe preso in braccio un’infermiera, non il padre che non aveva.
La Godaime le aveva detto anche questo, come ultimo, rabbioso tentativo di dissuaderla. «Questo bambino non ha passato e non avrà futuro. Non ti aiuterà, Shizune, sarà solo la tua sofferenza, il ricordo di quello che è avvenuto! La sua presenza qui, a Konoha… credi davvero che potrà aiutare te, o il villaggio?».
L’aveva ammonita anche con queste ultime frasi, ma anche a queste lei non aveva voluto pensare. Era sul lettino dell’ospedale adesso… ed iniziava ad avvertire un dolore tremendo.

Sentiva la testa pulsare. Era confusa, era spaventata, ed i sensi non l’aiutavano. La vista era offuscata, e il dolore era stato tanto…
Era convinta di aver pianto; continuava a sentire le palpebre appiccicarsi, incollate da lacrime secche e dalla stanchezza. Le voci erano confuse; alle volte parlottavano, altre volte si chiamavano ad alta voce fra di loro. L’intuito le diceva che la guardavano, le lanciavano occhiate fugaci.
Mentre, da qualche parte nell’altra stanza, c’era suo figlio.
Suo figlio.
A quell’unico pensiero la paura e la confusione mutarono lentamente in una sorda tranquillità.
Suo figlio, quel bambino che nessuno voleva ma che lei, si rese conto, aveva desiderato con tutta se stessa, fino al punto di mettersi contro i consigli di Tsunade; lo aveva desiderato nonostante tutto il dolore che sapeva le avrebbe arrecato.
La bocca screpolata si tese lentamente in un sorriso, dapprima incerto, poi impossibile da trattenere, tanto l’aveva anelato; gli occhi chiusi sul buio si inumidirono di nuove lacrime felici.
Konoha non voleva suo figlio. Ma lei sarebbe stata comunque una buona madre.
Le palpebre pesanti si aprirono sul soffitto bianco e accecante della stanza del nosocomio e le pupille nere ruotarono di lato. Muovere il collo le faceva male.
Due ninja medici e un’infermiera che lei stessa aveva addestrato parlottavano fra loro, figure sfocate nel suo campo visivo. Avevano sul viso quell’espressione accigliata che molte volte anche lei aveva assunto osservando i pazienti distesi pacificamente nei letti dopo un’operazione.
Non voleva sapere di cosa stavano parlando.
Forse perché già lo poteva immaginare.
Tornò a fissare l’abbacinante lampada al neon appesa sopra di lei e, sotto il suo sguardo, accompagnata dal calore che provava nel petto, si mutò lentamente nel sole di un settembre ancora caldo.
Settembre. Nel nono mese dell’anno suo figlio sarebbe entrato nell’Accademia ninja. Forse per lui sarebbe stato difficile, all’inizio, farsi qualche amico… ma se un po’ aveva preso da lei sarebbe riuscito anche in questo.
Shizune chiuse gli occhi. Sentiva il tepore irradiarsi dentro di lei, forse il desiderio di una madre di vivere quei momenti unici.
Il suo bambino forse avrebbe pianto. E non per una caduta sull’erba, un capriccio per farsi compare qualche dango. Avrebbe pianto perché avrebbe sentito che gli mancava qualcosa rispetto agli altri, perché non avrebbe avuto una figura da poter chiamare “padre”. Ma lei sarebbe stata lì, ed il tepore nel petto le scaldava il cuore con una luminosa determinazione.
Un giorno avrebbe dovuto dirgli che lui non era nato per amore, ma per disprezzo.
Il disprezzo di un ninja verso la sua avversaria.
Non avrebbe potuto parlargli di lui come di un eroe morto in missione, come di un grande medico che salvava vite. Ne avrebbe potuto parlare solo come di un traditore e di una spia quale era.
Ma, se non altro, il suo bambino sarebbe cresciuto in modo diverso.
L’avrebbe cresciuto lei. E gli avrebbe insegnato tutto quello che un vero ninja doveva sapere.
Immaginava che il suo chakra medico sarebbe stato di gran lunga prevalente rispetto a quello normale: aveva sicuramente ereditato sia il suo che quello del padre che, beffardo il caso, era un medico a sua volta. Con una sorta di sorda amarezza Shizune fu costretta a riconoscere che era anche uno dei migliori che avesse mai conosciuto.
Sbatté le palpebre, scrostando le ciglia appiccicate. Stava ricominciando solo ora a riprendere piena coscienza del suo corpo. Mosse le dita delle mani e si sfiorò i polpastrelli.
Avvertiva in sé quel pulsare tenace che la rincuorava. Seppe con una nuova ondata di commozione che lei avrebbe cresciuto quel bambino.
Il suo bambino.
Suo figlio.
Forse le avrebbe portato sofferenza, ma era sicura che ne avrebbe ricavato anche gioia. La gioia di insegnargli, di imparare dalle sconfitte e dalle sofferenze, come aveva fatto la principessa Tsunade, suo maestra, la gioia di sapere che qualcosa di buono poteva comunque nascere e svilupparsi.
Quel bambino era la sua verità: dimostrava che, si, non era stata capace di vincere o di reagire, forse perché un po’ aveva amato sul serio il suo avversario, ma dimostrava anche che era abbastanza forte dal sapersi rialzare dalla polvere.
La sua verità, la sincerità sei suoi sentimenti.
Shizune sorrise un’altra volta, l’ennesima in pochi minuti di fantasie e promesse dopo settimane che non riusciva più a farlo.
Sorrideva perché aveva trovato un nome per suo figlio.
L’avrebbe chiamato così: sincerità. L’avrebbe chiamato Makoto.












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Nell’attesa che io posti il diciassettesimo capitolo di Konoha- Eredi del Sangue vi potete divertire a leggere questa piccola long-fic (appena due capitoli) che ha partecipato al contest “Maternità” di SweetAudy. ^^
Terza classificata, peraltro! *ç*

Spero che il primo capitolo sia piaciuto! Fra due giorni aggiornerò con il secondo ed ultimo. ^^

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Capitolo 2
*** Fuzai - Privazione ***


-2-
Fuzai - Privazione



«Avete già finito di lavarlo?».
La voce arrochita e gracchiante risuonata nella stanza d’ospedale fece ammutolire l’infermiera e i due dottori.
«Shizune-sempai!» esclamò allarmata la giovane che avrebbe dovuto assisterla protendendosi in uno scatto verso il letto.
Raddrizzò delicatamente il collo alla ninja distesa.
«Lo avete lavato?» sussurrò di nuovo lei.
L’infermiera smise di aggiustarle il cuscino dietro la testa e la guardò in faccia trattenendo il respiro. «Credo di si, Shizune-sempai».
I due ninja medici lì presenti rimasero in silenzio, fermi nelle loro divise color panna.
Shizune sorrise guardando il soffitto.
Fu inevitabile cogliere l’espressione dell’infermiera: era logico visto che il suo viso rientrava nel suo campo visivo; quegli occhi accigliati, confusi, morbosamente curiosi davanti alla sua felicità.
Il sorriso persisté: avrebbe accettato di buon grado quegli sguardi in virtù di quel momento che aspettava con ansia e incontenibile tremore. L’attimo in cui le avrebbero posato suo figlio fra le braccia e lei avrebbe potuto regalargli il suo primo sguardo. Era curiosa di sapere se i capelli erano marroni, come i suoi, o del colore del fumo e della luna, come quelli di suo padre.
«Quando me lo portate?» chiese.
Probabilmente i dottori si sarebbero irritati: quelle domande erano sempre le più frequenti e tediose da parte delle giovani madri, e Shizune ricordava bene la rassegnata pazienza con la quale esibiva un sorriso tranquillo alle pazienti e rispondeva…
«Fra poco lo avrà con lei».
Annuì, silenziosa. Ora poteva capire le donne che partorivano, la loro fremente impazienza.
L’attesa sembrava sempre troppo lunga.
Iniziò a mordicchiarsi le labbra, a tormentarsi le unghie e a sistemare la schiena sul cuscino. Aveva aspettato anche troppo!
Si era addirittura addormentata, completamente sfinita e spaventata, dopo il parto e poi era rimasta a lungo immobile a pensare al futuro a crogiolarsi all’idea del suo piccolo nell’altra stanza.
Di tempo ne era passato… allora perché ancora non gliel’avevano portato!?
Fece un respiro profondo: non voleva diventare isterica. Sapeva che in quei casi il timore e lo stress subito portavano le donne a temporanee crisi nervose.
I dottori nella camera si girarono verso la ninja. «Noi andiamo a vedere com’è la situazione, signorina Shizune. Torniamo subito».
Non rispose. Quel “torniamo subito”, forse detto per tranquillizzarla, l’aveva solo inquietata.
Se un medico vuole “controllare la situazione” è perché c’è qualcosa che non va, lei queste cose le sapeva bene.
Ingoiò la saliva e rimase immobile con gli occhi neri fissi in avanti. In certi casi lei si faceva prendere dall’euforia e dalla determinazione di sicuro più di quanto facessero Sakura o la signorina Tsunade, ma il sangue freddo non lo perdeva mai. Dopotutto la lucidità era una caratteristica fondamentale per un medico.
Respirò, dapprima profondamente e ansiosamente, poi acquistando regolarità.
Col silenzio che regnava incontrastato nella sua camera, così immobile e bianca, riuscì a sentire le voci che si avvicinavano dal corridoio all’esterno.
«Allora è sicura, Hokage-sama?».
La frase, udita ovattata come se le sue orecchie fossero otturate da del cotone, le fece sbarrare gli occhi: la signorina Tsunade lì?
«Ovviamente». La voce della Godaime era molto più nitida, ed aveva una terribile sfumatura fatale. «In questo caso ho il dovere di prendermi io ogni responsabilità».
I passi si fermarono dietro la porta e Shizune, senza capire, col cuore che martellava nel petto e la gola ostruita da un tormentoso peso, guardò la maniglia abbassarsi e l’uscio ben oliato aprirsi senza alcun rumore. Tsunade le apparve con un’espressione indecifrabile. Ancora nel corridoio, scorse uno dei due medici che prima erano con lei.
Gli occhi neri guardarono con una muta domanda quelli della donna che le aveva insegnato tutto sulle arti mediche.
Perché non le aveva portato suo figlio?
Con un cenno veloce della testa Tsunade congedò l’infermiera rimasta nella camera a dare un passivo conforto e a trasmettere sicurezza alla sua sempai, anche se con tentativi veramente blandi. Quindi la Quinta Hokage si accostò al letto che lei occupava, dando un’occhiata clinica e inquisitoria alle apparecchiature per la misurazione del battito cardiaco, per le flebo e per la pressione montate lì di fianco.
«Ora ti senti meglio?».
Shizune non poté non cogliere una sfumatura rassegnata nelle iridi nocciola della sua maestra e l’angoscia che, improvvisamente, era scivolata, gelida, nel suo petto ridusse la sua voce ad un sussurro. «Si, Tsunade-sama».
Non riuscì a trattenersi oltre. Doveva sapere. «Dov’è mio figlio?».
Tutto d’un fiato, sputò fuori la domanda. Sperava con tutte le sue forze che Tsunade le rispondesse semplicemente che stavano solo finendo di fare gli accertamenti, che stavano soltanto ritardando un po’.
Ma quello sguardo profondo e silenzioso che ricevette, uno sguardo che diceva tutto e niente, le fece capire che le sue erano speranze vane.
Tsunade si sedette sul bordo del letto. Sul suo viso gravava qualcosa.
Shizune la guardò ad occhi spalancati e la paura le sfiorava malignamente la schiena in brividi freddi.
«Mi dispiace, Shizune». Bastarono quelle tre stupide parole a farle salire in gola un moto di terrore e negli occhi le lacrime. «Il parto non è stato semplice, anche tu hai sofferto parecchio, lo sai…».
«No». Quell’urlo che le rimbombava in testa uscì dalle sue labbra solo come un debole sussurro. Pronunciò la negazione come se fosse un esorcismo contro la verità dei fatti.
«…Era prematuro, Shizune, io non ho potuto farci niente…».
«No». Tsunade continuava con tono ragionevole, calmo, e lei, scuotendo la testa lentamente, con le prime gocce che le scivolavano lungo le guance, non riusciva a far altro che negare ancora, incredula.
«…Ho fatto il possibile, ma…».
«No!». Ultimo disperato tentativo di confutare quell’ipotesi solo con la sua voce.
«…Il suo cuore si è fermato».
Sentì il vuoto aprirsi sotto di lei, dentro di lei e tutto attorno. La stanza era vuota, la sua mente era vuota e lo era la sua anima nell’incapacità di accettare quell’atroce consapevolezza.
Tutto d’un tratto aveva sentito crollare e sgretolarsi qualcosa, ed era arrivato un dolore sordo che le rendeva difficile respirare.
Un cambiamento così repentino, così improvviso…
Non era giusto.
Si accorse di tenere una mano davanti alla bocca che veniva bagnata dalle gocce salate, le lacrime che stava piangendo silenziosamente. Tsunade non parlava, perché altre parole sarebbero state superflue; la aiutava come poteva con il solo silenzio.
La disperazione per tutto quello che aveva desiderato e immaginato, tutto quello che aveva provato e sofferto, tutto quello che era andato perduto era come qualcosa che si infrangeva ed i cui frammenti continuavano a ferirla impietosamente.
Allora la felicità che aveva sentito quando si era svegliata era stata davvero vana ed effimera, presto destinata a svanire!?
Il cuore non poteva reggere il passaggio talmente veloce da un’emozione ad un’altra, così, senza nessun preavviso.
Si sentiva male. Lasciò cadere la schiena sul cuscino dietro di lei, preparato così premurosamente dall’infermiera e la sua maestra abbassò lo sguardo sul pavimento.
«Come volevi chiamarlo?» le domandò con voce contemporaneamente distaccata e partecipe, ma che nascondeva ben di più di quel che un estraneo avrebbe potuto credere: la Godaime conosceva bene quel dolore e nessuno come lei avrebbe potuto dare alla kunoichi lì sdraiata il conforto e la forza che necessitava.
Shizune sentiva ogni proprio respiro come un rantolo. Quando parlò, la sua voce era solo un mormorio. «Makoto».
Assaporò quel nome sulle labbra come fosse un nettare di vita eterna che non avrebbe mai potuto più assaggiare. Le sembrava che il solo suono di quella parola avrebbe potuto riportare indietro il tempo.
«Makoto…» ripeté Tsunade. Poi sospirò, alzandosi dal letto con le coperte ormai sgualcite. «So che è difficile…».
Si, era difficile. Era difficile perdere qualcuno quando ancora nemmeno l’avevi trovato, era difficile e soltanto adesso poteva capirlo davvero.
Tsunade si avviò verso la porta. «So che è difficile, ma credimi Shizune… forse per te è meglio così».
Non rispose, limitandosi ad ascoltare i passi della Quinta Hokage nella camera d’ospedale, il rumore della porta che si apriva e si chiudeva. Uno stupido rumore come tanti, banale nelle sue orecchie. In quel momento riusciva a dare importanza solo a quel bambino che non avrebbe mai potuto abbracciare ed alla sofferenza che aveva lasciato al proprio posto.
Inspirò profondamente aria tentando di alleviare almeno un poco il suo strazio.
La medicina insegna che ogni ferita può essere guarita e, forse, un giorno, anche lei avrebbe guardato al passato dicendo che “era meglio così”.
Lo sperava sul serio, perché non avrebbe potuto sopportare oltre il ricordo di quella perdita.
Senza più forze, prosciugate dal corpo, si abbandonò contro il cuscino e a lungo continuò silenziosamente a piangere. Poi, con ogni speranza ormai persa, attese che il sonno le togliesse ogni coscienza di quell’ingiusto mondo.








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Ed ecco il secondo e ultimo capitolo. Lo so sono stata crudele. XD
Credo che il finale sarebbe dovuto essere più struggente, come mi ha scritto nel giudizio SweetAudy, l’autrice del contest… ma non sapevo proprio in che modo rendere tutto più lacrimoso di così. XD

Ringraziamenti per le recensioni:

Lilithkyubi, oh mia fida, chiedo perdono per quel ritardo gigantesco. Adesso ho aggiornato anche Eredi del sangue e spero che la cosa basti a farmi perdonare… Comunque non mi morire per astinenza da Nohiro, il ragazzo torna sempre prima o poi. XD Ovviamente grazie per aver detto che ti è piaciuta,e tranquilla, puoi infuriarti quanto vuoi, ne hai tutti i diritti. XD P.S. Hai visto la mail che ti ho mandato?
Hachi92, grazie per tutti i complimenti! Anche io sono stata felicissima quando ho visto il terzo posto. *-* In quanto a Shizune devo dire che è stata un’impresa scrivere dal suo punto di vista, dato che sappiamo così poco del suo carattere… è un po’ “campata in aria” XD. Ed è anche per questo che sono contenta che sembri IC: :D
Chary, mia fedele commentatrice e lettrice, tranquilla non stai tradendo le OroKabu. XD In realtà io non sono proprio per le KabuShizu ma volevo qualcosa di un po’ originale, e soprattutto volevo osare utilizzando un personaggio di cui si sa così poco come Shizune, cercando di darle le giuste emozioni ed il giusto carattere! Ergo sono contentissima che ti sia piaciuta!

Arrivederci a tutti, e grazie per aver letto e/o commentato! ^__^

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