carpediem

di TizianaLaudani
(/viewuser.php?uid=686066)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Helena e Andrea. ***
Capitolo 2: *** Incidenti di percorso. ***
Capitolo 3: *** Il colore del destino. ***
Capitolo 4: *** Senza maschere. ***
Capitolo 5: *** Chi(amami) amore. ***



Capitolo 1
*** Prologo- Helena e Andrea. ***


 
Helena e Andrea.
-Prologo.
Dedicato a tutte quelle ragazze che nonostante le delusioni,
continuano ad amare.

Guardo inviperita la sveglia e richiudo gli occhi.
Le sette del mattino.
Svegliarsi a quest'ora dovrebbe essere illegale o immorale, dovrebbero mettere in guardia i bambini e avvisare le forze dell'ordine.
Ma tant'è, che mi tocca alzarmi. 
Mi chiamo Helena e ho diciannove anni.
Il diciannove è un numero approssimativo, non è venti ma neanche diciotto, non sono più una bambina ma neanche una vera e propria donna.
Sono in una fascia di età in cui posso fare l'altalena e indossare il sabato sera una gonna più corta, magari non necessariamente entrambe le cose insieme.
Mia madre lavora al supermarket vicino casa e mio padre fa il ragioniere.
Sono due persone distinte, di cinquanta e quasi sessant'anni, eppure nonostante l'età, sembrano ancora dei ragazzini.
Mio padre è un uomo forte e autoritario, forse con una mentalità un po' all'antica ma sicuramente un padre meraviglioso con una simpatia e l'amore per la famiglia travolgenti.
Mia madre invece è più mansueta, lei è la mia compagnia di vita e - che dir si voglia- la mia consigliera più arguta.
Ho due fratelli, Lorenzo e Marco, che hanno ventiquattro e dodici anni ciascuno, e sono due angeli.
Dico sul serio, niente a che vedere con quei fratelli gelosi e possessivi che si ritrovano alcune mie amiche, Lorenzo e Marco sono dolci, affettuosi e protettivi. 
Insomma, la mia è una di quelle famiglie incasinate che ti sembra sempre di portare dietro, anche quando esci. 
La classica famiglia Siciliana che riempie la tavola di cibo e adora chiacchierare all'ombra, d'estate. 
La adoro. 
Starei ore a riflettere su quanto la mia famiglia sia speciale, ma aimè, il lavoro chiama.
E quando il lavoro chiama, Helena deve rispondere.
Un po' come l'amore, insomma.
Biascico verso il bagno mentre mia madre dall'altra parte della casa urla il mio nome, ricordandomi l'ora.
Lo so che è tardi, mamma.
Mi lavo la faccia e i denti e guardo per qualche secondo il mio viso riflesso perfettamente sullo specchio.
Ho i capelli lunghi, quasi biondi, gli occhi  neri e qualche lentiggine sul naso.
Non sono certamente una fan di me stessa, ma con il mio corpo e la mia faccia ci devo convivere ogni giorno, quindi tanto vale accettarsi.
Indosso un paio di jeans strappati e una maglietta leggera sul rosa pallido, ravvivo i capelli e metto il mascara sugli occhi. 
E via, nel traffico della città.



Pov Andrea.
Cazzo. 
Apro gli occhi, ancora impastati di sonno e impreco. 
Porcaputtana, che ora è?
Mi guardo intorno, la ragazza di stanotte sta ancora dormendo accanto a me.
Com'è che si chiamava?
Mi metto a sedere sul letto, con i piedi ben saldi sul pavimento e passo una mano tra i capelli.
"Valeria, s'è fatto tardi, non è che..."
"Mi chiamo Chiara." Si lamenta lei, con gli occhi ancora chiusi.
"Valeria, Chiara, cosa cambia? Io devo andare e anche tu."
Chiara si alza dal letto con addosso ancora le lenzuola e prende i suoi vestiti sparsi sul pavimento.
Roberto mi starà aspettando, chissà da quanto.
Mi trascino contro voglia verso il bagno e dopo aver fatto la doccia, mi vesto. 
Jeans decisamente scuri e maglietta bianca. 
Vivo da solo da qualche anno e adoro non dover dare più nessun tipo di spiegazione a nessuno di ciò che faccio o non faccio. 
Ho ventidue anni e sono maturo abbastanza da poter scegliere da solo della mia vita.
Mio padre ha comprato questa casa con l'intento di vedermi sistemato, neanche fosse una mammina premurosa.
Ha scelto le piastrelle del bagno e ha fatto impiantare l'allarme, ha scelto la casa più bella e più grande che si potesse scegliere, tanto che quasi somiglia ad una villa. 
Vivere in una villa da soli, è uno di quei paradossi grazie al quale inventerei qualche barzelletta.
Ma a me poco importa.
Sono uno di quei tipi cresciuti col motto del "carpe diem", uno di quelli che non hanno paura di sbagliare e che non hanno mai sofferto, o quasi.
Quando ti ritrovi ad avere tutto dalla vita e ti rendi comunque conto che ti mancano le cose essenziali,
quando hai almeno quattro camere da letto e nessuno con cui dormire, quando il destino gioca a dadi col tuo cuore, è quello il momento in cui ti rendi conto che è meglio perderlo che farci i conti tutta la vita. Ed è quello che ho fatto anch'io.
Mia madre è morta in un incidente d' auto neanche tanto tempo fa e da quel giorno la mia vita è cambiata radicalmente. 
La sera dell'incidente ero rimasto a casa, perché lei doveva assolutamente andare a cena con papà.
Si erano riappacificati da poco, dopo quasi un anno di separazione e volevano riprovarci.
Riprovare a stare insieme, insomma.
C'era tutto quel fatto sull'amore che mi avevano spiegato e a cui io non credevo. 
Tutta quella storia del destino che ci conosce già e delle anime gemelle che sono destinate ad amarsi.
Fatto sta che quella notta mia madre e morta, e con lei anche un pezzo di me. 
Salgo sulla mia moto e sfreccio via, sperando in cuor mio che il traffico non m'impedisca di arrivare da Roberto. 

Commento:
Salve ragazze.
Voglio prima di tutto ringraziarvi di cuore, perché se state leggendo questo mio commento è perché avete deciso di darmi un' occasione e di leggere la mia storia, o soltanto il prologo.
E' importante che voi sappiate che questa storia mi appartiene, in ogni modo e da ogni lato.
Ogni singolo aspetto dei protagonisti è un aspetto del mio carattere e ogni loro movimento è stato prima il mio.
Helena è la parte del mio carattere più semplice, lei è spontanea, sempre sorridente e innamorata di tutto. 
Helena vuole vivere, vuole imparare, è curiosa e frizzante.
Andrea invece è irruento, passionale e tormentato.
Il suo carattere è frutto delle sue delusioni, frutto delle mancanze e delle paure.
Ma Andrea non è stronzo.
E' solo terribilmente solo e fragile.
Due caratteri che non combaciano, eppure entrambi dentro di me.
Il loro sarà uno di quegli amori in cui la vita ti catapulta e non puoi più farci nulla. 
Ma il finale è da scoprire.
E la stora è ancora da assaporare.
Vi chiedo di darmi un'altra occasione, così come questa, e di continuare a leggermi. 
L'amore alla fine ruba il cuore di tutti.
Un abbraccio, Tiziana.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incidenti di percorso. ***


Primo capitolo.
INCIDENTI DI PERCORSO.



La mia corsia è invasa da motorini e moto, e mi precede una - chissà quanto lunga- fila di automobili che aspettano che il traffico defluisca.
E io dovrei già essere a lavoro.
Roberto sarà incazzato nero.
Me lo immagino già, tutto impettito, con la solita camicia azzurra e i capelli ricci e scuri, il sorriso enigmatico di chi ne conosce sempre troppe e gli occhi color nocciola da cucciolo.
Roberto, se non si era ancora capito, è il mio datore di lavoro, un ragazzo sulla trentina con una carriera alle spalle quasi esemplare.
Adesso fa lo psicologo a tempo pieno e io, che dir si voglia, faccio la sua assistente.
Vogliamo chiamarmi tirocinante? Assistente sexy? Segretaria senza macchia ne paura?Donna in gamba in grado forse, di fare la psicologa più di Roberto? 
Insomma, qualsiasi sia il mio appellativo,con questo lavoro, riesco a pagarmi gli studi.
Mentre le auto sono ancora tutte ferme, mi guardo in giro e mi sistemo i capelli. 
Se svoltassi a destra, in una stradina neanche troppo grande, troverei finalmente la strada sgombra, allungando di un po', certo, ma risparmiandomi la fila.
Deciso. 
Imbocco la strada facendo bene attenzione alle altre auto e ai motorini e proprio sul più bello, un motociclista, ignorando del tutto la mia presenza e anche il codice stradale, avanza senza segnalare e centra in pieno la mia auto. 
Provo ad evitare l'impatto, portandomi ancora più a destra e finendo con lo sbattere contro il muro. 
Di bene in meglio.
L'idiota della moto spegne quell'aggeggio infernale e lo perlustra, tutto intento a cercare graffi o ammaccature.
"Dovrebbero togliere la patente alle donne!" Mi urla il maleducato. 
"Come?" Dico io, abbassando il finestrino.
"Hai sentito." Mi dice, ancora più arrogante.
Provo a riaccendere l'auto, ma niente. 
"Mi hai mandato in panne l'auto." Dico.
"Non potevi stare più attenta?" Scendo dalla macchina e faccio un respiro profondo.
"Sei tu che dovevi stare attento!"
"Io lo sono sempre. " Ammicca.
"Senti, io non ti conosco e non sono neanche molto propensa a farlo, quindi..." mi avvicino al motociclista accorgendomi che ha ancora il casco addosso.
" ci sono due cose che puoi fare, la prima è toglierti dalle scatole e smetterla di dare aria ai denti visto che il danno lo hai fatto tu e la seconda è aiutarmi ad accendere l'auto, piuttosto che fare il maleducato e lasciarmi qui, in difficoltà. Spero tu sia in grado di fare la tua scelta in silenzio religioso." 
"Sono in ritardo." Si lamenta lui sbuffando, poi si toglie il casco e mi guarda.
Gli occhi di un blu elettrico e i capelli neri come il carbone, spettinati e sexy.
Un bel ragazzo, non c'è che dire.
"Voi donne, sarete la mia rovina."
" Potrei anche chiamare i carabinieri e raccontare che mentre svoltavo a destra, un pazzo ha provato a superarmi a sinistra, A quel punto sarei degna di 
chiamarmi rovina."
Lo sconosciuto si mette a ridere, mi prende la mano destra con lo sguardo ancora fisso sui miei occhi e mi sfila dal dito il portachiavi.
Si siede sul sedile del conducente con un gesto diplomatico e anche lui prova ad accendere la macchina.
Un altro rombo di motore e poi niente, il silenzio.
"Maledizione." Guardo l'orologio mentre lo sconosciuto sposta l'auto, spingendola di fianco al marciapiede.
Ha un fisico scolpito - sicuramente da anni di palestra- e un braccio possente.
"Niente da fare, la tua auto è fuori servizio." Mi volto a guardare la sua moto e torno su di lui. 
"
"Andiamo."
"Andiamo? "Mi chiede sorpreso. " Dove?" 
" Accompagnami tu, sono in ritardo e non posso fare incazzare ulteriormente il mio capo, quindi andiamo."
"In realtà stavo giusto facendo la cosa che mi hai - molto gentilmente devo dire - suggerito."
"Il silenzio religioso, dici?"
"No."
Si avvicina a un palmo dal mio naso. " togliermi dalle scatole."
"E dov'è finito l'altruismo?"

" Non mi sembri una capace di andare in giro in moto."
"Anche tu all'inizio non sembravi un tipo che dice stronzate, eppure...
" Mi passa il casco, con un ghigno sulla bocca e poi si siede sulla sua moto. 
"Come vuole lei, madame. Si tenga stretta."
Partiamo; il vento gli scompiglia i capelli e io mi tengo stretta a lui per non cadere.
Profuma d'estate.
" Allora, dov'è che devi andare?"
"Alla Centoventitré."
"Ah, la conosco, ci lavora un mio amico. In ogni caso, ti avevo chiesto di tenerti, non di stritolarmi."
Mi ammonisce.
"Ah." Faccio io, come per scusarmi. "E' che ho paura di cadere."
" O ti piacciono i miei addominali?"
"Gli addominali non sono male, ma preferisco il cervello e qui mi sa tanto che scarseggia."
" Ah, quindi sei una di quelle ragazze che giudica le persone senza conoscerle?"
"Tu sei il classico ragazzo, e quelli come te li riconosco sempre."

"Illuminami allora." Rallenta per svoltare a destra e io mi avvinghio ulteriormente a lui, senza rendermene conto.
Lo sento ridere.
"Sarai il classico ragazzo pieno di soldi, che si sveglia ogni mattina con una ragazza diversa e non ricorda neanche il suo nome. Uno di quelli che vivono alla giornata, con le moto, i bei vestiti e la casa enorme."
Si ferma ad un semaforo e si gira a guardarmi.
"Sei sempre così acida?" Lo sento ridere e allora lo assecondo.
"Soltanto con chi mi fa arrivare tardi a lavoro."
"Comunque, io sono Andrea, piacere."
Mi dice e riparte. 
Io sto zitta e non rispondo, decido di smetterla con le parole e di chiude piuttosto gli occhi, sperando di arrivare il prima possibile. 
Non passa neanche molto e sento la voce di Andrea, divertita e limpida.
"Siamo arrivati, fifona." Mi dice.
Scendo da quel bestione di moto e gli sorrido grata, togliendomi il casco.
" Grazie Andrea, ci si vede in giro eh?"
Faccio per andarmene, ma lui mi afferra un braccio.
"Non mi hai detto come ti chiami."
"Perché non è necessario saperlo. "
E con un gesto rapido mi allontano da lui, percorrendo la via fino al cancello verde. 
"Comunque prego!" Mi urla, riaccendendo la moto.
Il cancello si apre e vedo Roberto, in tutta la sua incazzatura.
"Dove..." Mi guarda." Stavo aspettando te!"
" E io sono qui. Scusa, ma un perfetto idiota mi ha fatta schiantare contro il muro, si è rotta l'auto e..."
"Va bene, io comunque devo andare a discutere di un fatto, con un mio amico. Mi hai già fatto perdere troppo tempo; sali e prendi qualche appuntamento,io sarò di ritorno quasi subito."

Lo saluto con la mano, quanto meno non mi ha licenziata, no?


Pov. Andrea.
Ma guarda te se tutte le pazze sconsiderate non devono finire nelle mie mani.
Roberto mi starà aspettando da chissà quanto tempo, ormai.
E lei è salita in moto con uno sconosciuto che - tra le altre cose- l'ha incidentata, mi ha parlato con una tale arroganza, neanche fosse la Regina Elisabetta e non mi ha neanche detto il suo nome.
Probabilmente si chiama Furia o Tornado.
Non ne incontravo una così da chissà quanto tempo.
Spengo il motore e scendo dalla mia moto, togliendomi il casco. 
E' raro trovare una ragazza così, una di quelle che non si nasconde dietro le macchine quando mi vede o che fa scendere- accidentalmente- la spallina della maglietta, giù per la spalla.
E' strano che una ragazza come lei mi abbia parlato e guardato come se fossi uno dei tanti ragazzi, non che me ne importi, eh, eppure per un attimo ho temuto che il mio fascino con lei non funzionasse.
Ma quanto meno non ha chiamato i carabinieri.
"Roberto!" 
"Scusami Andrea, ma ho avuto un contrattempo. "
Mi dice il mio amico.
"Sei arrivato adesso?" Chiedo.
"Si ho avuto un problema con la ragazza che lavora da me."
"Le donne portano solo problemi, ecco la verità. Ci sediamo? " 
"Si, certo."

"Allora, di che volevi parlarmi?"
"Sono in un bel casino, amico."
"Qualcosa di grave?"
"No, niente di serio. Ma è un bel casino."
"Di che tipo?"
"Ti ricordi la festa di Sabato? Quella di cui ti parlavo la settimana scorsa. Quella a cui saranno presenti i più importanti professori di Oxford?"
"La festa di domani, certo."
"Non verrà nessuno, Andrea, il che significa che ho soltanto buttato soldi nel cesso e che farò una figura di merda."
"Non sei riuscito a combinare niente? Sei un cazzone, Roberto!"

"E' che tra il lavoro e le donne, non riesco mai a trovare tempo. E io che miravo ad un'offerta di lavoro in Inghilterra. "
"Bastava semplicemente spargere la voce."
"Lo faresti tu?"
"Eh?"
"Spargeresti tu la voce?"
"In un giorno?"
"Si, tu hai molte conoscenze Andrea, lo sai. Bastano poche persone, ma buone."
"Tu hai bisogno di uno psicologo."
Ironizzo.
"No, mi serve qualcuno che valga in questa società, che venga alla mia festa e mi faccia fare bella figura. Chiedi a tuo padre, lui è un pezzo forte, no?."
"Lascia fuori mio padre da questa storia."
Dico, in tono risoluto.
Mio padre è un uomo buono, uno di quelli pieno di soldi con la fissa per le cose belle, uno che sbaglia sempre le tempistiche. 
Ama quando è troppo tardi, si mette in gioco troppo presto, sbaglia quando dovrebbe fare la cosa giusta.
Dopo la morte di mia madre il nostro rapporto è cambiato, lui si sentiva colpevole della sua morte e anch'io, anche se non l'ho mai ammesso, lo ritenevo colpevole.
Non è stato facile all'inizio.
Ogni volta che guardavo lui, vedevo anche l'assenza di lei.
Mia madre mi mancava ad ogni respiro e l'idea di poter tornare a vivere senza la sua presenza, mi risultava impossibile.
Andare a dormire senza la sua buonanotte, passeggiare per casa senza sentirla intorno, non sentire più le sue ramanzine, la sua voce, era come non vivere.
Come se dopo anni di luce, non vedessi più. 
E la mattina mi svegliavo credendo di aver fatto solo un brutto sogno, come quando se bambino e fai un incubo di domenica mattina, quando hai paura che sia tutto vero ma poi apri gli occhi e la senti che canta in cucina e allora sai che va tutto bene, che può ancora abbracciarti, che sei sul tuo letto e a casa tua. 
Ma io la sua voce non la sentivo più e passeggiavo per casa con la speranza di vederla ancora, anche per l'ultima volta. 
Da piccolo avevo il terrore di restare da solo, le chiedevo sempre di restare sul mio letto, fino a quando non mi addormentavo e lei restava con me per davvero.
Era l'unica persona di cui mi fidavo. 
E se n'è andata. 
Ad ogni modo, da quel giorno è cambiato tutto.
E sono cambiato anch'io.
"Andrea? Hai capito?Ci sei?"
" Eh?"
Mi passo una mano tra i capelli. "Si, ci sono e ci proverò Roberto,ma non ti assicuro niente."
Lo vedo alzarsi e sorridermi raggiante.
"Ci conto. Adesso vado da Helena, altrimenti sai che casini combina. Quella ragazza è un tornado."
Lo guardo curioso, mentre penso alla ragazza dell'incidente.
Anche lei è un tornado e mi viene da sorridere.
"Ovviamente un tornado sexy e brillante." 
"Quando non ci sono i testimoni, tutte le ragazze sono sexy."
"Helena lo è davvero, dovresti conoscerla."

Gli do una pacca sulla spalla e lo saluto. 
"Un giorno di questi."
"Tanto domani sarà alla festa."

Non ho mai attribuito il termine sexy a nessuna delle ragazze con cui sono stato, insomma, ho fatto sesso con tante di quelle donne da non pormi più il problema.
Non che fossero brutte, me ne guarderei bene dal dirlo, ma sono dell'opinione che la donna sexy non è solo quella brava a toglierti i pantaloni o a sfilarsi la maglietta.
Piuttosto quella che con i vestiti addosso, ti fa sentire più uomo che mai.
E io di donne con i vestiti addosso ne vedo poche. 


Commento:
Ciao ragazze!
Il realtà non siete ancora molte, ma confido sul fascino di Andrea e sulla simpatia di Roberto. 
Questo è ufficialmente il primo capitolo.
Spero vi sia piaciuto e spero di trovare almeno una recensione.
Andrea, come potete vedere, è un bel tipetto.
Ed Helena gli tiene perfettamente testa.
Chissà come continuerà la loro storia e se ala festa di Roberto i due si incontreranno. Un abbraccio a tutte!


 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il colore del destino. ***


Secondo capitolo.
IL COLORE DEL DESTINO.


"Sei sicura?" Dico a Sara, mentre mi guardo allo specchio.
"Sei fenomenale." Mi dice lei.
"Forse avrei dovuto prendere quello più lungo."
"Ma sei diventata matta? Questo ti sta alla grande."
E' un vestito corto, in pizzo e con una scollatura vertiginosa, mette in risalto le mie forme e mi dona un'aria decisamente sexy, ma appunto per questo, forse, avrei dovuto optare per un vestito più sobrio.
Sara è la mia migliore amica da quando sono nata e come se non bastasse, anche la persona più buona e tollerante del mondo.
La adoro perché non è invadente, perché mi vuole bene come una sorella e soprattutto perché sopporta le mie sfuriate. 
E' una di quelle persone che vale la pena incontrare almeno una volta nella vita e avere la consapevolezza che sarà sempre la mia migliore amica, mi rende forse la persona più felice dell'universo.
"Non lo so, non ti sembro volgare?"
"Affatto, questa notte farai scintille."
Assume il solito tono divertito e mi guarda con aria trasognante."Sarai una perfetta Cenerentola."
"Mi sembra un tantino difficile, senza un principe azzurro."
"I principi sono passati di moda, a te serve un motociclista con il fisico da atleta."

Per un attimo il mio pensiero torna ad Andrea.
"Perché stai ridendo?" 
"Ridendo, io? Ma ti pare?"

"Tu non me la racconti giusta."
"Piuttosto, comincia ad acconciarmi o farò tardi come al mio solito."
"Sissignora. Allora, che festa sarebbe, questa?"

" Non lo so, Roberto mi sta praticamente costringendo, dovrebbe esserci qualche pezzo grosso della società e qualche suo amico."
"Tu di quale categoria fai parte?"
"Faccio parte della categoria degli amici, Sara."
"Ah, giusto. Quelli che Roberto si scoperebbe
?" Mi metto a ridere.
"Ma la smetti?"
"E' la solita vecchia storia, mia cara. "
"Non conosco nessuna vecchia storia."
"Devi smetterla di allontanare gli uomini o ti ritroverai da sola a cinquantanni con qualche gatto di troppo."
"Io non allontano gli uomini! Aspetto soltanto la persona giusta."
"Sei una povera illusa."
Mi dice, sorridendo appena.
"Magari questa sera incontro la mia anima gemella. Il destino sfodera sempre le sue nuove carte."
"Il destino non esiste."
"Certo che esiste." 
"Così come esistono gli unicorni e le fate. Scendi dalle nuvole, Hel."

Ecco, questo è il mio più grande difetto: io vivo tra le nuvole. 
Non letteralmente parlando, certo, ma è comunque un problema.
Adoro l'idea che da qualche parte nel mondo qualcuno mi stia aspettando,che continua a vivere la propria vita ma mi aspetta.
Che qualcuno ama le mie stesse cose, che ascolta la mia stessa canzone e pensa al suo futuro con una persona che non conosce ancora, e che sono io. Sono io, non è meraviglioso?
Qualcuno che dedicherà la sua vita alla mia, che mi accarezzerà la notte e mi comprerà il cornetto caldo a colazione, qualcuno tanto forte da proteggermi e tanto folle da amarmi. 
Certo, a volte non vorrei avere questo carattere, e neanche la paura di regalare i miei sentimenti ad una persona che non sia quella giusta.
Non vorrei avere questa mania di conservare il meglio di me per qualcuno che non conosco neanche.
Conservo le mie parole più belle e le mie emozioni per l'uomo giusto.
E se non esistesse?
Non è che non mi diverta, eh, riesco comunque a prendermi qualche soddisfazione con gli uomini di tanto in tanto, ma l'amore è ben altro.
"Lo so, Sara, ma che posso farci?"
"Sei meravigliosa anche per questo."
Le sorrido e mi guardo ancora una volta allo specchio.
"Divertiti e non pensare ad altro."
"Questa festa sarà mia!"




Pov. Andrea.
Sono davvero a questa festa del cazzo? Spero che almeno ci sia qualcuno da rimorchiare, anche se la metà delle persone le ho invitate io.
Magari questa Helena è una tipa abbordabile. 
Magari stanotte mi diverto. 
Mi avvicino al tizio grande e grosso, che dovrebbe proteggere -in teoria- questa -sicuramente fantastica- festa e lo saluto.
"Tu sei il bodyguard?" 
"Si, tu sei l'amico di Roberto."
"E' una domanda o un'affermazione?"
Nessuna risposta."Siete delle macchine per socializzare voi bodyguard, devo ammettere." Faccio per entrare, ma il tizio mi trattiene da un braccio e mi porge una mascherina nera. 
"Questa sarebbe?"
"Devi metterla."
"Ti sembra carnevale?"
"Roberto ha detto così."

Vorrei tornarmene a casa, ma cosa non si farebbe per un amico? E per una scopata in incognito, soprattutto.
"Dammi qua."
Entro con quella specie di mascherina nera, che mi copre metà viso e mi da un fastidio cane. 
Ma che cazzo di idee vengono a quell'idiota?
Centinaia di persone, come me, indossano maschere, bevono drink e parlando.
Devo dire che c'è più gente di quanto mi aspettassi.
Mentre prendo un altro drink scorgo tra la folla Roberto e mi avvicino, ignorando il rumore assordante della musica.
"Punto primo, che cazzo ti sei fumato!? Doveva essere una festa di classe, ti sembra di classe?"
"Ah."
Sorride lui. "Sei Andrea!"
"No, sono l'uomo nero."
"Ho dovuto farlo, amico. Una festa del genere è più intrigante, non credi?"
" E perché tu non indossi la maschera?"
Chiedo, urlando leggermente per farmi ascoltare.
"Perché io sono l'organizzatore."
"No, tu sei un perfetto idiota.Ti sei giocato Oxford."
"Ne varrà la pena."

Mentre entrambi ridiamo, una ragazza si avvicina e sussurra una cosa al mio amico. 
Ha un vestito cortissimo e in pizzo con una scollatura che mi fa quasi girare la testa.
E' esattamente il tipo di donna che mi scoperei anche qui, davanti a tutti. 
"Helena!" La saluta Roberto. " ti presento il mio amico!" 
Indossa una maschera rossa che le copre quasi tutto il viso, mi trovo rapito dal movimento delle sue labbra, mentre parla o mentre sorride.
"Piacere." Dico, sfoggiando tutto il mio charme.
"Piacere mio." La voce è ovattata, ma tanto per quello che ho in mente non dovremmo parlare molto.
Roberto mi sorride percependo il mio stupore e poi ci saluta entrambi per andare a parlare con qualche altro amico.
"E quindi tu saresti Helena." Dico, avvicinandomi al suo orecchio.
" Si." Mi dice lei. 
Mi avvicino con un movimento perfetto e lei si irrigidisce.
"Sei bella da mozzare il fiato." La vedo ridere e poi inclina leggermente il viso.
"Questo è tutto quello che sai fare?"
"E tu che sai fare?"
Chiedo.
Avvicino il mio corpo al suo mentre lei prova a fingere indifferenza.
Mi vuole, come io voglio lei.
Non ho ancora capito perché le donne, pur di non ammettere la propria sessualità, rinchiuderebbero in un convento.
Se ogni donna mettesse da parte questi inutili problemi, ci sarebbe meno ipocrisia.
E più sesso.
Prendo la sua mano e ci allontaniamo dalla folla, la musica è ancora forte ma siamo dietro la tenda del salone e le luci pulsate ci avvolgono.
"Pensi davvero che andrei a letto con uno sconosciuto?" Mi dice, mentre porta la sua mano tra i miei capelli.
Ha un modo di fare che mi manda letteralmente fuori di testa, e non mi era mai successo.
"E chi ti ha detto che è quello che voglio fare?"
"Le frasi enigmatiche, l'isolamento precoce, non mi hai offerto neanche un drink." Si lamenta.
Il suo tono di voce mi è familiare ma sono concentrato su quegli occhi, tanto scuri da non poterne scrutare l'espressione.
"Magari voglio solo parlare." Mi avvicino al suo collo e ne bacio ogni centimetro.
Uno, due, tre baci. 
La sua pelle è fresca e profumata e il suo respiro regolare. 
"Bel...modo di parlare." La sento, mentre combatte con il suo stesso istinto, vorrebbe non trovarsi qui e questo mi piace ancora di più.
Mi allontano dal suo collo mentre lei mi ammonisce con lo sguardo, poi con un gesto spontaneo la bacio.
Ed è una cosa che non ho mai fatto, considerando che il sesso non necessita di alcun bacio.
Eppure sentivo di doverla baciare. 
Lei mi strattona un po' i capelli e proprio sul più bello si allontana da me, con un sorriso bello tanto da starci male.
"Fare sesso è un'arte, non lo si può mica fare con tutti."
Percepisco dal tono della sua voce il sarcasmo e sorrido. 
"Mi stai rifiutando?"
"Decisamente."

Mi lascia un lieve e casto bacio a stampo e si avvicina, alzandosi sulle punte.
"Credi al destino?"
"Ancora non lo so."  Mi sorride estasiata e poi sparisce, lasciandomi da solo e completamente spiazzato.
Una ragazza mi ha appena rifiutato, non posso crederci.


Commento:
L'ego sproporzionato del nostro amico Andrea è stato appena massacrato.
Helena lo ha rifiutato, e anche in grande stile, devo dire.
Anche lei però, e lo vedrete nel prossimo capitolo, è rimasta incatata da questo sconosciuto. 
L'attrazione è il primo passo per innamorarsi di qualcuno o soltanto una pretesta in più per fare sesso?
In ogni caso, entrambi si conoscevano già.
Peccato che non se ne siano accorti. 
E quando se ne accorgeranno?
Helena dovrà stare molto attenta.
Il predatore non rinuncia mai alla sua preda, soprattutto quando questa scappa via.
Ps: Ringrazio la ragazza che mi ha recensito. 
Un abbraccio!














Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Senza maschere. ***


Terzo capitolo.
SENZA MASCHERE.



Le lenzuola sono bianche, quasi immacolate e profumano di lavanda.
Non sentivo questo profumo da qualche anno ormai ed è una di quelle sensazioni di cui non puoi fare a meno.
La luce soffusa e familiare mi ricorda chissà cosa, apro ancora una volta gli occhi e li vedo seduti poco distanti da me, a questo punto mi rannicchio in un 
angolo del letto, con l'impressione di essere a casa.
Finalmente a casa.
Sento la voce di mio padre in contrasto con la sua.
Chiacchierano seduti sul bordo del mio letto, sussurrandosi appena.
"Sarebbe bello, Margherita."
"Ma come ho fatto a non capirlo prima?"
La sua voce è morbida, serena e stranamente innamorata.
"Eravamo troppo presi dai litigi, dai cambiamenti, dal lavoro, ma adesso siamo di nuovo qui."
"E' il destino, ne sono certa."
"Si può credere di non amare più una persona e ad un certo punto, invece, essere convinti più che mai, di averla amata sempre?"

La risata di mio padre riempie la stanza e io mi sveglio. 
"Papà." Sussurro.
"Andrea." Mi sorride lui.
"Perché parlate in camera mia?" Inclino leggermente la testa e la vedo.
I capelli lunghi e neri, gli occhi blu come i miei e quel sorriso.
Quel sorriso che non vedevo da tempo.
"Mamma!"
"Amore mio
." Mi dice lei. "scusaci se ti abbiamo svegliato."
Si scambia uno sguardo complice con papà e poi, sfilandosi le scarpe, sale sul lettone vicino a me.
Mio padre compie esattamente lo stesso gesto meccanico e mi chiedo che diavolo gli sia preso, io non sono più un bambino.
Mia madre comincia a farmi il solletico, cantandomi la ninna nanna a cui sono tanto legato e io rido.
Rido, rido tanto da non respirare più.
Poi la voce acuta di mio padre mi distoglie.
"Margherita!" Urla."Margherita!"
Io e la mamma lo guardiamo attoniti. " Sono qui, amore mio." Dice, ma la sua voce si fa sempre più flebile.
"La mamma è morta." Ripete mio padre, in lacrime. " La mamma non c'è più. " E io lo guardo, perché quello che sta dicendo non ha senso.
"La mamma è qui." Dico, sentendo le palpebre pizzicare. "Sei diventato matto?"
"La mamma è morta, Andrea." Faccio per voltarmi a cercarla ma è sparita.  Mi guardo intorno, la chiamo, mi alzo dal letto e urlo, ma nulla. 
Poi scorgo una macchia, proprio nello stesso punto del letto in cui si era seduta poco prima.
Una macchia in quelle lenzuola che parevano immacolate.
E' una macchia di sangue vistosa e rossa che piano piano si ingrandisce e diventa sempre più grande, fino a quando ogni centimetro di quelle lenzuola si colora di rosso.
"Andrea." Mi chiama lei. "Andrea! Aiutami!" 
E io non so dov'è, io non la posso aiutare.
Mi sveglio finalmente, tutto sudato e con il cuore che corre all'impazzata, sono nel mio letto e la luce del mattino mi sovrasta, faccio per alzarmi e ancora
scosso vado in bagno.
Una doccia veloce e sono già fuori.
E' ancora presto, ma sento di dover uscire. 
Ogni tanto mi capita di sognarla e tutte le volte alla fine del sogno urla il mio nome e mi chiede aiuto.
E' il mio tormento. 
Salgo sulla mia moto mettendo da parte le mie paure e decido di fare un giro, prima di andare da Roberto e chiedere di Helena.
Sarà che noi uomini siamo principalmente predatori, ma al ritorno della festa non riuscivo quasi a dormire al pensiero che una donna m'avesse rifiutato. 
Una donna come Helena, poi.
Certo, aveva il viso coperto, quindi c'è anche la possibilità che sia brutta, ma m'incuriosisce.
Potrebbe essere la scopata migliore della mia vita.
Mentre sto per girare l'angolo, però, incontro la sconosciuta dell'altro giorno, quella a cui - si fa per per dire - ho rotto la macchina.
Sono indeciso ma nonostante questo, mi schiarisco la voce e la chiamo.
"Sconosciuta!" Lei si gira con un movimento spontaneo e poi mi sorride.
"Andrea." 
"Come mai senza auto?" Assumo un tono vago e poi scoppio in un sorriso.
"Fossi in te non riderei troppo."
"Come l'hai spostata, dopo?"
"Ho chiesto a mio padre di venirla a prendere e di portarla dal meccanico più vicino."

"Dove stai andando?"
"Per adesso da nessuna parte." Mi dice lei. " Pensavo fossero le dieci ma in realtà sono in anticipo di almeno un'ora e mezza e me ne sono accorta soltanto adesso. E tu?"
"Vado da un mio amico, ma anche io sono partito presto e senza un motivo preciso."
"E' il destino, ne sono certa." Si mette a ridere come se mi stesse prendendo in giro, ma io mi irrigidisco ripensando al sogno e provo a darmi una regolata, stringendo i denti. 
"Ti va di andare da qualche parte?" Le chiedo poi, e sfodero il mio solito sorriso enigmatico, sperando non si sia accorta di nulla.
"Soltanto se rinunci al bestione."
"Mai." Le dico, stringendomi ancora più forte alla mia moto.
"Allora sarà per qualche altra volta." Mi guarda intensamente e in quello sguardo ci vedo qualcosa.
Qualcosa di indefinito che mi piace.
"Va bene, la lascio qui, allora." Spengo il motore e la raggiungo. 



Pov Helena.
Andrea ha uno sguardo decisamente sexy e allo stesso tempo ferito.
Non lo so, ma è come se ogni suo gesto ne rimandasse altri, come se le sue parole celassero qualcosa di più, una ferita, un nodo alla gola, la paura di essere solo.
Ha i capelli spettinati che gli donano un'aria da ragazzino e un sorriso ricattatore, capace di farti fare quello che vuole.
E' assurdo il modo in cui mi sento quando sto con lui, nonostante non mi stia molto simpatico.
E' un tipo decisamente arrogante, prepotente e scorretto, ha l'aria di chi non ha bisogno di nessuno ma penso che finga.
"Mi sembrava non ti stessi molto simpatica." Sorrido.
"Infatti non mi sei simpatica."
"Eppure hai abbandonato l'aggeggio infernale e sei qui con me."

Mi metto a ridere e lui mi guarda; 
in fondo mi piacerebbe conoscerlo un po' meglio, non perché mi piace, intendiamoci, ma Andrea sembra un tipo da scoprire e poi continuo ad incontrarlo.
Un motivo ci sarà, no?
Lo so che è da stupidi credere al destino e attribuire ogni avvenimento ad un suo volere, eppure sono fatta così.
Per un attimo il mio pensiero corre al ragazzo in maschera, ai suoi occhi prepotenti e ai suoi gesti calmi e -oserei dire- perfetti;
sento che prima o poi lo incontrerò di nuovo, che il destino mi darà le giuste carte per parlarci e sapere che è lui, l'uomo che mi ha rubato il cuore in neanche mezz'ora e con cui avrei abbandonato ogni limite.
Forse avrei dovuto mettermi in gioco o meglio dire al suo gioco, avrei dovuto baciarlo ancora e chiedergli il suo nome ma la paura di sbagliare mi attanagliava
il cuore, penso che quando una cosa ti è proibita la vuoi con tutta te stessa, eppure scappi.
L'idea di aver baciato uno sconosciuto mi spaventa e mi elettrizza allo stesso tempo.
"Solo perché non ho niente di meglio da fare." Andrea mi riporta alla realtà e poi sbuffa come un bambino.
"Che c'è?" Chiedo.
"Non mi hai detto come ti chiami." 
Faccio tre giri su me stessa e poi mi fermo. "Secondo te?"
"Trottola?"
"Non ti dirò mai come mi chiamo, ho deciso." Dico mentre metto su il broncio, poi lo sento ridere e insieme ci dirigiamo verso la panchina più vicina.
"Allora, chi sei tu, misterioso ragazzo venuto dal nulla?"
"L'altro giorno, in moto, mi è parso che mi conoscessi."

"Le mie erano soltanto supposizioni. Ho azzeccato?"
"Può darsi."

Lo guardo negli occhi e mi accorgo che il suo volto è improvvisamente diventato serio.
"Guarda che non volevo offenderti." 
"No, non mi sono offeso, Trottola."

Mentre entrambi siamo intenti a parlare, sento la voce di Roberto che sovrasta la mia.
"Andrea!" 
"Roberto!
" Sorride lui. 
"Vi conoscete?" Mi intrometto io. 
"Helena, dovresti essere a lavoro."
"Non ancora, capo."
Ironizzo.
"Helena? Ti chiami Helena?Sei tu?" Mi chiede Andrea e poi si rivolge al suo amico. "E' lei?"
"Vedo che la serata di ieri ha dato i suoi frutti." Dice Roberto, con un filo di amarezza nella voce.
"La serata di ieri?" Chiedo.
Poi realizzo.
"Sei..." Deglutisco. "O mio dio." Mi allontano da entrambi, portandomi una mano sulle labbra.
Andrea mi guarda ancora in dubbio e divento rossa quasi come un peperone.
Non posso crederci.
Andrea è il ragazzo con cui avrei volentieri fatto sesso ieri, il ragazzo con la maschera nera che mi ha baciata, quello che avrei voluto baciare ancora.
Lo sconosciuto della moto, l'idiota che mi ha fatta schiantare contro il muro, quello che mi ha trascinato dietro la tenda.
Come può essere tutto questo?
"Ma sei un perfetto idiota! Perché non me lo hai detto?!"
"Non sapevo fossi tu!" 

Roberto si mette a ridere e con un ciao quasi mimato si allontana da noi.
Io comincio a camminare e Andrea affretta il passo per raggiungermi. 
"Se avessi saputo che eri tu, non ci avrei provato minimamente!"
"Mi hai baciata!"
"Non mi sembra di aver ricevuto un tuo rifiuto!"

"Potevamo anche..." Mi fermo e lui mi guarda dritto negli occhi. " non posso crederci."
"Helena, intanto calmati. "
"Stavo facendo sesso con te!"
"Che differenza fa? Io o qualcun altro, ieri sera c'era dell'attrazione tra noi, non puoi negarlo."
"Ma noi non ci sopportiamo."

"Appunto." Sorride lui, ammiccando come al suo solito. "sarebbe più divertente."
"Devo andare a lavoro."
Andrea mi afferra da un braccio e si avvinghia a me, il mio cuore perde un battito e il mio corpo freme all'idea di essere così vicino al suo.
"Non mi sei simpatica."
"Neanche tu, che credi?"
"Ma oggi abbiamo avuto una discussione cordiale, e ieri avrei voluto portarti a casa mia."
"Mi lasci stare?" La sua presa si fa più forte. 
"E tu ci saresti venuta. Non fare la bambina, so che mi stavi cercando anche tu e non per parlare."
"E' la situazione più imbarazzante della mia vita."
" Senti, non deve per forza esserci dell'altro, tu vuoi me, io voglio te, fine della storia."

Lo guardo dritto negli occhi, mentre le immagini di ieri mi passano per la testa come un film in bianco e nero.
E' tutta colpa del destino e di questo mio corpo che non vuole rinunciare a questa nuova esperienza.
Penso a come sarebbe e me ne vergogno. 
Mi allontano da lui, dandogli uno schiaffo in piena faccia.
"Non provarci mai più." Lo vedo sorridere e mi rendo conto che adesso sono la nuova preda di Andrea.
Il nuovo giocattolo che vuole provare. 
E che non mi libererò tanto velocemente di lui.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chi(amami) amore. ***


Quarto Capitolo.
CHI(AMAMI) AMORE.



Guardo gli occhi di Roberto e mi rendo conto soltanto adesso di quanto mi stavano già scrutando.
"Sei stanca?" Mi dice e io sorrido.
"Non troppo." 
"Mi dispiace di aver ritardato così tanto."
"Oggi avevamo pochi appuntamenti e ho svolto egregiamente il mio ruolo."

Chissà dove sarà stato per tutto il tempo, spero soltanto che non abbia avuto l'opportunità di vedere Andrea e di parlarci.
Non posso far altro che pensare ad Andrea e allo sconosciuto della festa, che poi sarebbero la stessa persona.
E mi sento una stupida per non essermene accorta subito, come ho fatto a non riconoscere i suoi occhi? Il pensiero di noi due insieme, mi mette particolarmente in imbarazzo, e mi sento due volte stupida perché con lo sconosciuto di imbarazzo non ne avevo neanche un po'.
Ma lo sconosciuto è Andrea!
Ecco, adesso vado nel panico più assoluto.
Avrei fatto volentieri sesso con un pazzo conosciuto per caso ad una festa in maschera e adesso invece che il pazzo ha un nome, anche solo l'idea mi manda in tilt il cervello.Il fatto è che implicherebbe certe cose, ad esempio la possibilità di non soddisfarlo, oppure la possibilità che mi piaccia sul serio.Tutta questa storia, insomma.
E se poi m'innamoro? Andrea è stato abbastanza chiaro e io di starci male non ci penso proprio.
Ma è anche vero che Andrea non mi sta abbastanza simpatico, tutt'altro.
E' un bambino capriccioso e non ha nulla da darmi se non...
ecco si, si è capito.
"Ti va se parlo un po' con te?" Roberto mi riporta alla realtà, si siede accanto a me e poggia i gomiti sulle gambe, tenendosi la testa con entrambe le mani.
"Mi dica." Scherzo io.
" Sono ancora un ragazzino, ti prego, dammi del tu, altrimenti diventa tutto poco accogliente, freddo e triste." 
"Sono abituata a dare del lei a tutti i clienti e poi mi sembra che anche lei..."
sorrido. "volevo dire tu, mi stia parlando col dovuto distacco, penso sia normale, quando si parla con estranei." Roberto mi sorride e sembra un cucciolo.
"Qualche volta si è più vicini agli estranei, che alle persone con cui si parla sempre."
"Sembri così triste."
"D'altronde vado dallo psicologo."
E ride.
"Di cosa mi vuoi parlare?"
"Mi sono innamorato." Mi metto a ridere.
"E sei qui per questo?"
"E' che quando hai una cosa bella tra le mani finisci sempre con l'aggrappartici."
"Non mi sembra una cosa triste, o no?"
"E' triste se la cosa a qui ti aggrappi non è tua."
"Ah."
Mi guarda e sospira.
"Non è una vera storia, la mia."
"Una storia per essere vera non deve per forza durare in eterno, ci sono storie belle da morire che ad un certo punto finiscono, ma sono state comunque belle da morire, non credi?

"Hai ragione, ma una storia, per essere vera, deve quanto meno cominciare."
Alzo lo sguardo per incontrare il suo, ma sfugge, a questo punto mi alzo e mi avvicino a lui. 
"Chiudi gli occhi." Gli dico, asciugando qualche lacrima scesa con amarezza. "e parlami di lei, raccontami qualcosa di voi due, sfogati."
"Sicura?" 
"Sicura."

Roberto chiude gli occhi e sospira, poi comincia a parlare.
"Lei alza la mano e mi saluta; i capelli che le volano dietro e le guance rosse. 
A volte sembra che il vento esista solo perché le sta bene addosso, solo perché nessuno può spettinarle i capelli come riesce a fare lui.
Le sta bene sulla pelle, si vede. 
Lei è fresca come il vento, imprevedibile come il vento, delicata e forte come il vento, le sta bene sul collo, sulle mani, sulle spalle, le sta bene addosso.
Ha lunghi capelli chiari e un rossetto rosso sulle labbra.
-Scusa per il ritardo.- Mi dice. 

-Non preoccuparti.- Rispondo io. 
Si avvicina, mi lascia un lieve bacio sulla guancia e il mio cuore gioca a fare il martello pneumatico. 
- Ma che fai? Mi dico. Come diavolo ti permetti?- Dico invece, al mio cuore.
-Smettila di fare il bambino e non correre; qui chi arriva primo non vince nulla. -
E' bella come il mare quando è tranquillo, è bella come la notte quando dormono tutti e c'è un silenzio che ti spiazza. E' bella come il vento, sì.
Sto un po' a guardarla ma lei non se ne accorge. 
Socchiude gli occhi e mi accorgo di quanto mi è mancata in questi giorni. 
-Ciao. -Le dico e lei sorride. Ha un sorriso così caldo che Dicembre diventa estate e poi quando sorride sembra una bambina.
-Ciao. -Sussurra lei e si avvicina di più. - com'è andata oggi? -
- E' stato tutto un casino, sono distrutto.- Mi guarda per qualche secondo e dopo sorride di nuovo; 
ha un modo di guardare le cose e le persone che a volte mi chiedo se è davvero soltanto una ragazza e se non ha già visto il bello e il brutto della vita insieme.
-Almeno non ti sei annoiato.-

 No, mi verrebbe da dirle,no, non mi sono annoiato perché ho pensato a te, mi verrebbe da dirle.
Penso a te in ogni attimo e mi sembra di vederti ovunque, negli occhi delle persone, sui libri di storia, nei quadri di casa mia.
Mi sembra di vederti per strada, nei negozi, sul divano, mi sembra di vederti mentre cucini qualcosa di buono, mentre ridi o studi."

Roberto sta in silenzio per qualche secondo e poi spalanca gli occhi, guardandomi come nessuno mi ha mai guardata, poi li richiude, come perso in quel suo strano racconto. 
"Sei negli occhi. Per questo ti vedo sempre, perché sei entrata nei miei occhi.
E come devo fare? 
Come faccio a dirti che sei meglio delle stelle la notte tardi? Meglio di una corsa in moto, dei biscotti al cioccolato, meglio di una birra con gli amici, meglio della champions, delle Domeniche d'Agosto, delle canzoni che sembra ti rimettano al mondo. Come faccio?
- Sei meglio delle altre, di tutte le altre -, mi verrebbe da dirle. Ma sto zitto e mi mordo la lingua.- E tu?Ti sei annoiata oggi? - Le chiedo."

Mi sento in soggezione e mi rendo conto che chiunque lei sia, è molto fortunata ad avere intorno un uomo innamorato come lui, Roberto sta per ricominciare con il racconto ma lo batto in velocità. 
Ha parlato di lei e di quel giorno come se fosse rimasto ancora a quei momenti. 
"Lei non lo sa?"
"E come potrebbe?
"Dovresti dirglielo."
Gli sorrido, provando a rincuorarlo. 
Voglio bene a Roberto e sapere che sta male, mi fa stare male.
"Non ho il coraggio."
Lo aiuto ad alzarsi e lo abbraccio.
"Chiudi lo studio e usciamo. Andiamo dove vuoi, basta che non pensi più a lei."
"
Una parola." Roberto mi sorride ed entrambi usciamo.
Mentre guida lo scruto per un po', è così strano vederlo in queste vesti, Roberto è sempre stato uno che ama il gioco, che non vuole impegnarsi, eppure eccolo qui, innamorato come un matto e in cerca di attenzioni.




Pov Andrea.
Se Helena fosse furba, verrebbe a letto con me.
E invece no.
Scoprire che la ragazza della festa è lei, mi ha causato non pochi problemi, ma non intendo rinunciare.
E' la prima al mondo che mi respinge, sarà forse lesbica?
Magari ha talmente tanta paura di godere che si allontana da me.
L'Helena della festa è sexy, intrigante e perfetta, ma l'Helena dell'incidente è tutt'altro, è fredda, contenuta e aggressiva, anche se mentre parlavamo seduti sulla panchina ho avuto l'impressione che fosse dolce.
In così poco tempo ho conosciuto così tante sfaccettature di lei, da non capirci nulla.
Mi sembra una che vive in un mondo a parte, una di quelle svampite che non ricorda mai dove ha messo il cellulare ma sa perfettamente l'ultima pagina del libro che ha letto. 
Eppure dietro l'aria da professoressa bacchettona, si nasconde una pantera, ne sono certo.
Vorrei poter paragonare Helena alle altre, ma non posso.
Helena con  me non ci vuole stare e questo mi fa incazzare, ma la cosa che davvero mi manda fuori di testa, è il modo in cui io sto impazzendo per averla nonostante lei non mi voglia.
Ma l'unica cosa che so adesso è che sarà mia. 
"Andrea." Mio padre entra in camera mia e io sussulto.
"Come cazzo sei entrato, papà?"
"Ho la chiave, ricordi?"
"Che vuoi?"
"Sono preoccupato."
"Per cosa?"
"Ti stai lasciando andare, Andrea. Alex ti ha visto andare a lavoro con tre ragazze, venerdì."

Alex è l'amico di mio padre e a volte vorrei non conoscerlo.
"Il sesso non ha mai ucciso nessuno."
"Ma la solitudine si."
"Io non sono solo."
Mento, mentre gli occhi di mio padre mi perlustrano dentro. 
Mi ricordo quando da bambino mi guardava per qualche secondo e poi mi diceva - scommetto che sai già quello che sto per dirti" e io lo sapevo davvero. Poi abbassavo gli occhi e lui correva ad abbracciarmi. 
Era così bello non dover pensare a niente, sprofondare in un abbraccio e basta. 
"La mamma non vorrebbe questo."
" E cosa vorrebbe la mamma?"
"Vorrebbe che riprendessi gli studi, che ti impegnassi di più nella vita, vorrebbe vederti innamorato e vorrebbe sapere che sei felice, che ti manca e ti mancherà sempre, ma sei felice."

"Lasciala fuori da questa storia, papà."
"Ho lasciato che tu andassi via dalla nostra casa, ma non lascerò che tu vada via dalla nostra famiglia, Andrea."
"Non esiste più la nostra famiglia, papà."

"Non puoi continuare così, respingendo tutti, bevendo come se non ci fosse un domani e trattando le donne come se fossero delle puttane!"
"Mi devi lasciare vivere, papà!"
"Non è così che si vive, ho bisogno che tu mi parli! "

Prendo le chiavi della macchina e vado via, trattenendo il respiro.
"Non ho niente da dire."
Le auto sfrecciano veloci, come i miei ricordi.
Vorrei non dover pensare sempre a questa storia, vorrei poter dire che la vita continua, ma era mia madre, cazzo.
Ed era la mia famiglia.
L'unico modo per non soffrire è tenere tutti a distanza debita, per non dover perdere mai nessuno.
Ho paura che se mi concedo un briciolo di felicità,questa mi si rivolterà contro.
Accendo le frecce e svolto a destra, dirigendomi verso uno dei soliti locali. 
Parcheggio neanche troppo bene e scendo dall'auto.
Mentre sto per aprire la porta del locale portando una mano sulla maniglia, un'altra mano si sovrappone alla mia, sento una risata e poi mi ritrovo gli occhi di Helena addosso.
"Scusa, stavo ridendo con Roberto e non ho visto che stavi entrando anche tu." La vedo distaccata e imbarazzata ma i suoi occhi mi rapiscono, nonostante tutto.
"Che ci fate qui?"
"Niente di particolare."
Risponde Roberto e poi la trascina dentro senza aggiungere altro.
Si siedono in un tavolo remoto del locale mentre io mi ordino qualcosa di forte al bancone.
Vorrei poter parlare con Helena ma con Roberto intorno, sarebbe impossibile instaurare il dialogo che vorrei. 
Helena si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorride, mi chiedo cosa si staranno dicendo.
Sono certo che Roberto abbia una cotta per lei e questo non mi creerebbe alcun problema, se non fosse che ogni volta che la incontro, ce l'ho tra i piedi. Che noia che sono le donne, infondo basterebbe una scopata e basta, non chiedo mica chissà cosa.
Una ragazza si siede vicino a me e a questo punto non posso far altro che sorridere.
"Aspetti qualcuno?"
"Aspettavo te."

"Cosa guardi?"
"Sciocchezze."
Le sorrido radioso. " Come ti chiami?" 
"Monica."

"Allora Monica, perché ti sei seduta qui con me?"
"Ho fatto male?"
"Affatto. Cosa vuoi bere?"
"Quello che bevi tu."

Mentre Monica si avvicina sempre di più a me, vedo Helena alzarsi e dirigersi verso il bagno.
E' il mio momento.
"Scusa un attimo." Le dico, liquidandola in mezzo secondo mentre vado verso Helena. 
Roberto per fortuna ignora il mio gesto. 
Entro nel bagno delle donne e la trovo davanti allo specchio, mentre si aggiusta la camicetta.
"Il destino?"
"Che diavolo ci fai qui? E' il bagno delle donne."
"Non riesco a starti lontano."
"E non riesci a stare lontano neanche a quella brunetta al bancone?"

"Quindi mi spii?" La vedo arrossire leggermente prima di cambiare tono di voce.
"Non ti stavo assolutamente spiando! Cosa vuoi Andrea?"
"Solo capire cosa provi."
La spingo verso il muro, mentre i suoi occhi si incastrano perfettamente ai miei. "Hai paura?" Le sussurro, con un tono più dolce.
"No." Mi dice e io sorrido. 
"Sei attratta da me?"
"Decisamente...no." 
"E allora perché tremi?"
"Perché...perché devo andare."
"Aspetta Helena, concedimi una serata soltanto."
"E perché?"
"Perché continuerò a cercarti con gli occhi e il destino continuerà a metterci l'uno davanti l'altra, fino a quando..."
"Fino a quando non consumeremo."
Mi guarda lei, con un filo di fastidio nella voce. "Io non sono una delle tante con cui ci provi." Mi sussurra e poi si allontana da me.
Non è una delle tante. 











 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2618954