Black & White

di Eneria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV vecchia versione ***
Capitolo 16: *** Avviso ai lettori (vecchi e nuovi) ***
Capitolo 17: *** XV nuova versione ***
Capitolo 18: *** XVI ***
Capitolo 19: *** XVII ***



Capitolo 1
*** I ***


Per i lettori bis (aggiornamento 2012): ho perso il conto di tutte le volte che ho preso in mano e rivisitato questa fan fiction. E’ una storia che ho in mente da un sacco di tempo e ne ho in testa ogni singolo dettaglio. Fino ad ora non sono riuscita a pubblicarla completamente, ma vi assicuro che è tutt’altro che incompiuta. Quest’ultima rivisitazione non ha subito molte variazioni rispetto alla precedente versione, tuttavia ho modificato alcuni dettagli per adattarla meglio al contesto originale. Bando alle ciancie. Buona lettura! 
Per i lettori (precedente edizione): innanzitutto grazie per aver deciso di leggere questa mia Fan Fiction. In realtà è la rivisitazione di una Fan Fiction che avevo cominciato a pubblicare su questo stesso sito parecchio tempo fa. Poiché non era compiuta era stata eliminata dal sito, così ora ho deciso di riproporla, un po' corretta e modificata. Mi auguro questa volta di riuscire ad aggiornarla con costanza anche se gli studi universitari tolgono molto tempo alla scrittura. Sicuramente i commenti sono un buon incentivo, per cui LEGGETE E COMMENTATE! Spero sarà di vostro gradimento!
Buona lettura!
 
I
 
Sara White era preoccupata. Sedeva nell’ufficio del suo capo, su una poltroncina sistemata davanti alla scrivania. Teneva le gambe accavallate e una copia della Gazzetta del Profeta spiegata davanti a se. I suoi occhi castani scorrevano rapidi sulle parole di un articolo in prima pagina. Man mano che procedeva nella lettura, la ruga di perplessità che si era formata sulla sua fronte diventava sempre più profonda. Quando ebbe terminato la lettura dell’articolo, chiuse il giornale con uno scatto e mormorò tra sé:
-          Idioti!
Sara guardò l’orologio che portava al polso. Il capo era in ritardo, evidentemente l’incontro con il Ministro stava andando per le lunghe. Il capo non era mai in ritardo.
La convocazione che aveva ricevuto quella mattina era stata inaspettata, aveva un che di ufficiale che non le piaceva. Quel giorno Sara era arrivata al Ministero più tardi del solito, la sera prima era rientrata dal lavoro a notte fonda e non si era presentata in ufficio fino alle otto e trenta. All’ingresso del Dipartimento degli Auror aveva trovato Shira alla sua scrivania, intenta a laccarsi le unghie di verde acido. Shira era, come definirla? La segretaria del Dipartimento? La centralinista? Qualcosa del genere. Appena aveva visto Sara comparire sulla soglia, l’aveva fermata:
-          Ciaooo Sara! – aveva esclamato con la sua vocetta, talmente acuta da rompere un vetro – C’è un messaggio del capo. Dice che potrebbe essere un po’ in ritardo – poi aggiunse in un sussurro cospiratorio – è andato dal Ministro!
Ancora vagamente assonnata, Sara aveva risposto con un semplice cenno del capo e aveva preso il foglietto che Shira le porgeva. Incamminandosi verso il suo ufficio, l’aveva aperto. C’erano scritte solo poche parole: La attendo alle 9.00 nel mio ufficio. Importante.
E così, alle nove e un quarto Sara era nell’ufficio del suo capo a domandarsi cosa ci fosse di così importante. O meglio a domandarsi quale delle mille cose che stavano succedendo in quel periodo fosse la più importante.
Era davvero un momento nero, come Sara non ne aveva mai visto in dieci anni di servizio da Auror. Innanzi tutto stavano accadendo un sacco di strani avvenimenti: scomparse inspiegabili, fughe di notizie, strani movimenti. Per di più Albus Silente e Harry Potter andavano in giro a dire che Voldemort era tornato. Come se tutto ciò non bastasse erano da poco evasi dieci tra i più pericolosi Mangiamorte ospitati ad Azkaban. E nessuno aveva la più pallida idea di dove fossero finiti.
Sara aveva sempre avuto grande fiducia in Albus Silente, ma credere che Voldemort fosse tornato era più di quanto i suoi nervi potessero sopportare. Da qualche tempo a quella parte però si stava convincendo che questo terribile ritorno fosse la spiegazione più plausibile a quanto stava succedendo nel mondo magico. Era terribile da credere, ma se era la verità sarebbe stato opportuno prepararsi al peggio, piuttosto che chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte.
Il Ministro Caramell cercava di negare l’evidenza o forse si era davvero convinto che Silente fosse impazzito a causa degli anni. In ogni caso le spiegazioni stiracchiate che dava alla stampa erano sempre meno credibili, non stavano in piedi, per nessuno se non per lui stesso e per Percivald Weasley, il suo leccapiedi di fiducia.
L’articolo che aveva appena terminato ne era un esempio lampante…
Il capo entrò nell’ufficio interrompendo il flusso di pensieri della donna. Sara si alzò per salutare:
-          Buon giorno – disse con sorridendo, ma il sorriso morì sulle sue labbra non appena vide il volto corrucciato del capo – Cosa succede? – domandò facendosi seria.
Il capo aggirò la scrivania e si sedette sulla sua poltrona, di fronte a Sara. Prima di parlare la guardò con gravità per un momento, poi iniziò:
-          Ho appena ricevuto una lavata di capo con i fiocchi dal Ministro. Ne immagina il motivo? Se non lo immagina glielo dico io! – esclamò cominciando a far fluire la rabbia e la frustrazione che aveva dovuto tener nascoste davanti a Caramell – Il motivo sono quei maledetti Mangiamorte evasi. Caramell dice che non stiamo facendo abbastanza, che stiamo qui a grattarci il mento mentre quelli fuggono indisturbati, che non possiamo far fare una tale figuraccia al Ministero…
-          Conosco le argomentazioni di Caramell, capo – interruppe Sara, temendo che la cosa potesse proseguire per ore – Ma ho indagato io stessa su questa cosa, non hanno lasciato alcuna traccia se non i segni dell’evasione. Usciti dai confini protetti di Azkaban si sono smaterializzati senza lasciare alcuna indicazione su una possibile destinazione.
-          Ho provato a spiegare al Ministro che abbiamo fatto il possibile ma non abbiamo elementi su cui lavorare. Mi ha dato retta? Crede che mi abbia dato retta? Signorina White crede, in tutta sincerità, che mi sia stato a sentire?
Sara ricordava a stento l’ultima volta in cui il capo era stato così arrabbiato ed era stato quando un collega aveva quasi fatto saltare per aria il Dipartimento con dei fuochi d’artificio sperimentali trafugati dal Dipartimento per i Giochi e gli Sport Magici.    
-         Hem... no, ho paura di no. Ma, in sostanza, Caramell cosa vuole che facciamo?- domandò Sara calibrando le parole per cercare di contenere l'ira del capo.
Il capo inspirò profondamente e quando riprese a parlare il suo tono era calmo come sempre anche se gli occhi mandavano ancora scintille.
-         Caramell dice che dobbiamo trovare i dieci Mangiamorte, sostiene che è necessario “far vedere che si sta facendo qualcosa”...
-         Già, sempre la solita vecchia storia. E come suggerisce di fare, il signor Ministro?
Ora era Sara ad arrabbiarsi: era stata lei la prima ad essere mandata ad Azkaban dopo l'evasione, era stata lei a fare i primi rilievi con la sua squadra ed era stata lei a condurre le indagini. Sentiva la propria competenza messa in discussione ed era una cosa che trovava intollerabile, soprattutto dopo tutta la fatica che aveva fatto per arrivare a diventare Auror Capo.
-         Il Ministro sostiene la tesi secondo cui l'evasione dei dieci Mangiamorte sarebbe collegata all'evasione di Sirius Black – il capo spiò l'espressione di Sara, che era improvvisamente cambiata in una maschera di pietra – Condivido il suo disappunto...
-         Disappunto? Io speravo che queste assurdità fossero solo una storiella da raccontare alla stampa! Non mi dirà che il Ministro crede veramente a questa storia? Ha letto la prima pagina della Gazzetta del Profeta? - Sarà prese il giornale che aveva chiuso poco prima e prese a declamare con disprezzo - “Così si spiega l'evasione dei Mangiamorte. Il Primo Ministro Cornelius Caramell, intervistato dai nostri inviati, ha rivelato che le prime indagini hanno portato a concludere che l'evasione dei Mangiamorte è strettamente legata a Sirius Black. “I prigionieri non potevano in alcun modo evadere senza un aiuto dall'esterno e l'unico che avrebbe potuto fornirglielo è Sirius Black” ha dichiarato il Ministro...”
Ma stiamo scherzando! E' ridicolo. Ho spiegato io stessa al Ministro, e mi ci sono volute due ore buone, che le due evasioni non possono essere collegate. Ci sono troppe differenze! Una è un’evasione singola, l’altra un’evasione di massa. Black non ha lasciato tracce, invece questi Mangiamorte hanno forzato magicamente le celle. E poi qualcuno dovrebbe spiegarmi come avrebbe fatto Sirius Black a raggiungere Azkaban senza essere visto. A nuoto? Le uniche imbarcazioni che portano alla prigione sono controllate da noi.
-         Sono tutte cose che io e lei sappiamo perfettamente, ma che il Ministro si rifiuta di credere. Caramell sostiene che trovando Black riusciremmo a trovare i Mangiamorte – ribadì il capo.
-         Stupido idiota...- sbottò Sara.
-         Signorina White si controlli, si ricordi che qui anche i muri hanno le orecchie – la ammonì il capo.
Sara cercò di riprendere il controllo, quindi riprese a parlare con più calma:
-         In tutto questo non capisco una cosa. Che cosa c'entro io? Se il punto è trovare Sirius Black abbiamo già qualcuno impegnato nelle ricerche, no? Mi pare che Kingsley Shakelbolt non abbia mai deluso le aspettative nelle missioni che gli sono state affidate.
-         Il fatto è che dopo due anni dall'evasione di Black ancora non ci sono risultati e il Ministro comincia a dubitare di Shakelbolt e di conseguenza di me. Mi ha imposto di togliere il caso a Kingsley e di affidarlo a qualcun altro.
Sara sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. No, per favore. Per favore, per favore!
-         Ritengo che la persona più adatta a svolgere il compito sia lei – disse infine il capo.
Aveva detto esattamente quello che Sara temeva. Ma lei non poteva, non poteva proprio occuparsi di questo caso. Era già stato sufficientemente difficile occuparsi dell'evasione di Sirius Black ed era stata così felice quando le ricerche erano state affidate a qualcun'altro.
-         Ma... che cosa... che cosa pensa che possa fare io che Shakelbolt non ha già tentato? E poi sa perfettamente come la penso. Black non c'entra assolutamente niente con questa storia.
-         Faccia quello che crede: trovi Black, trovi i Mangiamorte oppure dimostri che non c'entrano nulla l'uno con gli altri. Se vuole riapra il caso sulla strage di Godric’s Hollow, ma faccia qualcosa. Ho piena fiducia nelle sue capacità.
Sara non rispose, si fissava le mani cercando qualcosa da dire. Non poteva chiederle questo, possibile che non ci fosse una scappatoia? Il capo la guardava, aspettando una risposta.
-          E’ assolutamente sicuro che non ci siano alternative? Non c’è proprio nessun’altro? Chiunque altro che possa occuparsi di questa cosa al posto mio? Che ne dice di Michael Chilton? È un Auror Capo estremamente capace.
-          Sono consapevole delle capacità di Chilton ma lui, come la maggior parte dei nostri uomini migliori, è impegnato e lei si è occupata sia dell’evasione di Black che dei Mangiamorte. Chi meglio di lei, signorina White?
Già, chi?
Sara si alzò e il capo fece altrettanto. Prima di andarsene disse:
-          Ci devo pensare. Non le prometto niente, sia chiaro.
Il capo si limitò a sorridere e lei uscì con passo meno sicuro di quanto avrebbe voluto.
 
*^*^*^*^*
 
Sirius Black era seduto nella cucina del numero 12 di Grimmauld Place. Sorseggiava una tazza di caffè mentre leggeva la Gazzetta del Profeta, appoggiato alla mensola del camino che occupava parte della parete. Il suo amico Remus Lupin, seduto a un capo del tavolo, scriveva freneticamente su una pergamena. Gli unici rumori che si sentivano erano il frusciare delle pagine del giornale e lo scricchiolio della piuma sulla pergamena.
In casa stavano ancora tutti dormendo, era molto presto. Solo Arthur Weasley era già uscito per recarsi al Ministero. Molly, la moglie di Arthur, si sarebbe alzata a momenti e allora la cucina sarebbe stata piena dello scoppiettio del fuoco, dell’acciottolio di stoviglie e del profumo di deliziosi manicaretti.
Sirius, giunto a un paragrafo particolarmente interessante, esplose in una risata senza allegria. Remus alzò lo sguardo dal suo lavoro e chiese:
-          Cosa c’è di così divertente?
-          Senti qua: Così si spiega l'evasione dei Mangiamorte. Il Primo Ministro Cornelius Caramell, intervistato dai nostri inviati, ha rivelato che le prime indagini hanno portato a concludere che l'evasione dei Mangiamorte è strettamente legata a Sirius Black. “I prigionieri non potevano in alcun modo evadere senza un aiuto dall'esterno e l'unico che avrebbe potuto fornirglielo è Sirius Black”. Non posso fare a meno di trovarlo divertente.
Remus si limitò a scuotere la testa alzando gli occhi al soffitto e riprese a scrivere. Sirius ripiegò il giornale, nauseato da quelle sciocchezze, e si sedette al tavolo.
Era l’ennesima giornata che passava lì dentro senza fare nulla. Si limitava a vagare da una stanza all’altra, collaborando di tanto in tanto alle operazioni di pulizia e riordino. Non osava ammetterlo per non apparire ingrato, ma preferiva di gran lunga vivere nella grotta ai bordi di Hogsmeade piuttosto che in quella casa piena di ricordi spiacevoli. Gli pareva di essere fuggito da una prigione solo per farsi rinchiudere in un’altra. E il ghigno che aveva Severus Piton ogni volta che lo guardava stava diventando intollerabile. Silente lo trattava come se fosse stato un bambino cattivo sorpreso a rubare le caramelle, ma lui era un uomo, un uomo che ne aveva viste e passate tante, forse troppe, nella sua vita. Aveva sofferto, lottato, aveva avuto la libertà a un soffio da lui e ora niente di tutto questo sembrava avere più importanza. Veniva lasciato con Molly e i ragazzi alle prese con grembiule e piumino. Era molto più di quanto potesse sopportare.
Sirius fu riscosso dalle sue amare riflessioni dall’arrivo di Molly.
-          Buon giorno! – salutò la donna sorridente.
Remus rispose con calore al saluto, mentre Sirius parlò appena. Anche l’atteggiamento di Molly lo indisponeva, lo trattava come uno dei suoi figli, ma lui aveva rinunciato all’idea di una madre molto tempo prima.
-          Gradite qualcosa per colazione? – domandò la donna mentre cominciava ad armeggiare con pancetta, uova e pane da toast.
-          No grazie, abbiamo già dato – disse Remus indicando le due tazze di caffè.
Molly sbuffò impercettibilmente e dopo pochi istanti pose davanti ai due uomini un piatto di toast imburrati coperti di marmellata di albicocche. Sirius sentì di dover partecipare alla conversazione in qualche modo e mentre addentava un toast chiese la prima cosa che gli venne in mente:
-          Allora la riunione è per stasera?
-          Sì, subito prima di cena, come al solito. Giusto, Molly?
-          Già, ma temo che ceneremo piuttosto tardi. Non ho idea dell’ora in cui potrebbe tornare Arthur dal lavoro. Dopo la convalescenza ha trovato un sacco di lavoro arretrato da sbrigare in ufficio.
L’aggressione che Arthur aveva subito al Ministero, nonostante lo avesse debilitato, lo aveva reso ancor più determinato nello svolgere il suo compito per l’Ordine della Fenice. Per questo aveva insistito per tornare al lavoro il più presto possibile.
Poco dopo l’arrivo di Molly, sulla soglia della cucina, comparvero i gemelli Fred e George, Ron e Harry, tutti scompigliati e con gli occhi gonfi di sonno.
-          Mamma perché dobbiamo alzarci così presto? Siamo in vacanza! – mugolò Fred mentre si trascinava sulla sedia di fronte a Remus.
-          Già è vero! – confermò Ron – E poi perché le ragazze non sono ancora qui?
-          Per rispondere a entrambi: primo dobbiamo finire di riordinare questa casa e c’è ancora un mucchio di lavoro da fare. Secondo le ragazze non sono ancora qui perché ieri sera, mentre voi giocavate a Sparaschioppo, mi hanno aiutato fino a tardi per ciò dormiranno un’ora in più.   
La risposta della signora Weasley era senza possibilità di repliche, così i ragazzi presero a mangiare la loro colazione in silenzio. Sirius notò che cercavano di prolungare il più possibile la durata del pasto, probabilmente per ritardare il momento di mettersi al lavoro. Da quando erano tornati a Grimmauld Place per le vacanze di Natale, Molly aveva rimesso anche loro all’opera per riordinare la casa.
-          Allora Molly, qual è l’arduo compito che ci proponi oggi? – domandò l’uomo.
-          La soffitta non è stata ancora toccata – rispose la donna fingendo di non cogliere il sarcasmo nella voce di Sirius – così pensavo che potremmo mettere un po’ d’ordine lì.
-          Bene! Fantastico! Un antro polveroso è l’ideale per trascorrere una così bella giornata! – sbottò George.
La signora Weasley ignorò le proteste e sollecitò i ragazzi a sbrigarsi. Terminata la colazione si alzarono e si diressero verso la soffitta. Molly terminò di rassettare e, mentre si avviava, domandò:
-          Sirius, puoi aiutarci? Con il tuo aiuto sarà più facile decidere cosa conservare e cosa eliminare.
-          Forza… rimango anch’io ad aiutare. Potrebbe essere divertente – esclamò Remus precedendo la risposta dell’amico. 
A quanto pare Sirius non aveva scelta. Così si avviò scettico verso la soffitta, maledicendo quello che si preannunciava come un altro giorno da incubo.
*^*^*^*^*
 
La scritta a lettere dorate sul vetro della porta diceva “Sara White – Auror Capo”. Sara non aveva impiegato molto tempo per ottenere quella scritta e tutto quello che essa comportava. Rispetto a molti colleghi, aveva bruciato le tappe e ad appena trentuno anni era giù un Auror Capo. Ciò significava avere una squadra da gestire, avere un ufficio con quattro pareti e una porta anziché un cubicolo nell’open space e avere un sacco di responsabilità supplementari.
Sara aveva consacrato la sua vita al lavoro, da quando era entrata all’Accademia non aveva più fatto altro che lavorare, lavorare e ancora lavorare. Per un certo periodo aveva tentato di conciliare una sorta di vita privata con la sua professione ma poi aveva dovuto scegliere. E aveva scelto la carriera. Il Dipartimento era diventato la sua ragione di vita. Sara White sarebbe esistita come Auror oppure non sarebbe esistita affatto. Aveva guadagnato la sua posizione e quella scritta sulla porta facendo una gavetta snervante, accettando qualunque incarico, compresi quelli che non avrebbe voluto accettare.
L’unica possibilità che aveva era considerare il caso Black nulla più di un altro incarico spiacevole ma necessario. Per accettare questo però aveva bisogno di riflettere con calma. Considerò per un attimo la possibilità di rinchiudersi nel suo ufficio, ma non sarebbe servito. Troppa gente sarebbe andata comunque a disturbare le sue riflessioni. Così abbassò la maniglia della porta, entrò e prese la borsa che aveva abbandonato sulla scrivania. Prima di uscire dal Dipartimento si affacciò nel cubicolo più vicino al suo ufficio:
-          Non ci sarò per un po’ – comunicò Sara ad un ragazzo biondo chino su una scrivania ingombra di fogli, cartellette e faldoni.
-          Ciao capo! – rispose lui sollevando lo sguardo – Dove vai?
-          Non ti riguarda e non riguarda neppure nessun' altro qui dentro. Non ci sarò per un po’. Se qualcuno mi cerca uccidilo con un colpo alla nuca.
-          Ok capo.
Sara si allontanò dal cubicolo senza rispondere. Frank Parker lavorava con lei da molti anni ormai e la conosceva meglio della quasi totalità dei colleghi. Questa conoscenza faceva sì che sapesse quando era il momento di non fare domande. E quello era uno di quei momenti.
Mentre camminava lungo i corridoi del Ministero, Sara aveva lo sguardo perso nel vuoto e fu solo grazie all'abitudine che raggiunse l'esterno. Una volta fuori si trovò nel vicolo in cui era situata la cabina telefonica, tramite la quale si accedeva al Ministero. Che fare? Dove andare? Non riusciva a ragionare con lucidità.
Fece un profondo respiro e cercò di calmarsi. Frugò per un po' nella borsetta e ne estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino. Fumava le stesse lunghe sigarette ormai da quasi vent’anni ed erano la sua valvola di sfogo. Ne estrasse una dal pacchetto, la accese stringendola tra le labbra e aspirò la prima liberatoria boccata di fumo.
Sara era perfettamente conscia del fatto che fumare le faceva male, ma era altrettanto convinta che non sarebbe stato il fumo a ucciderla, sarebbe arrivato prima qualcosa o qualcun'altro. Essere un Auror Capo stava diventando sempre più pericoloso, anche se cercava di limitare al minimo la notorietà era come girare con un bersaglio appeso alla schiena. Se le sigarette avessero fatto in tempo ad ucciderla prima di un Mangiamorte si sarebbe potuta ritenere fortunata. Fumando cominciò a camminare e a pensare.
Sirius Black.
Erano passati quindici anni ma non l'aveva dimenticato, come avrebbe potuto? Mai nella vita aveva sofferto tanto, mai era stata così delusa da una persona. Lo shock per la morte di Peter Minus e l'arresto di Black l'avevano quasi uccisa, per non parlare della morte di Lily e James. In quel periodo la felicità e l'euforia del mondo magico per la sconfitta di Voldemort non erano riuscite a scalfire lo strato di gelido ghiaccio che era calato sul cuore di Sara. Ancora dopo tanti anni si domandava come avesse fatto ad andare avanti con la sua vita.
Quasi senza rendersene conto arrivò davanti al caffè dove spesso si rifugiava nelle pause dal lavoro. A quell'ora del mattino il locale era quasi deserto: era tardi per la colazione, troppo presto per il pranzo. Sara entrò e salutò calorosamente Lucilla, una signora circa quarantacinquenne che gestiva il caffè. Ordinò un caffè nero con qualche biscotto e andò a sedersi nel suo tavolo preferito, in un angolo poco illuminato e il più lontano possibile dall'ingresso.
Non sapeva cosa fare. Come poteva accettare quel lavoro così alla leggera? Sarebbe riuscita a fare i conti con il passato, avrebbe retto a vedersi piombare addosso tutti i ricordi più terribili della sua vita? Sarebbe stato come lavorare con un Dissenatore seduto sulle ginocchia. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno.
Sara tuffò nuovamente la mano nell'enorme borsa e ne estrasse un cellulare. Scorse rapidamente la rubrica fino a trovare il numero giusto. Lo compose e attese una risposta.
-         Pronto?
-         Pronto Rebecca. Sono Sara.
-         Ciao carissima! Dimmi tutto! Sono così felice di sentirti, non ti fai mai viva!
-         Hai ragione ma sono un po' presa dal lavoro ultimamente...
-         Ultimamente? Sono mesi che ti vedo solo di sfuggita nei corridoi.
-         Ascolta...sei libera per pranzo?
-         Sì, dove ci vediamo?
-         Da Lucilla. Appena puoi. Io sono già qui...
-         Sara... è successo qualcosa?
-         Ancora no, non ti preoccupare. Però ho bisogno… del consiglio di un'amica.
-         D'accordo. Allora ci vediamo dopo. Cercherò di arrivare il prima possibile.
Sara chiuse la comunicazione con un mezzo sorriso. Rebecca era la sua migliore amica fin dai tempi di Hogwarts. Era l'unica persona con cui avrebbe potuto parlare di questa cosa senza paura di essere giudicata. Sara trascorse il resto della mattinata da Lucilla, chiacchierando con la barista, leggendo da cima a fondo la Gazzetta del Profeta, bevendo un caffè dopo l'altro e fumando un quantitativo indecente di sigarette.
Rebecca fu più rapida del previsto e prima dell'ora di pranzo Sara la vide precipitarsi nel locale, accaldata per aver camminato di fretta e con una lunga ciocca di capelli biondi che sfuggiva dalla coda di cavallo.
-         Scusa! Non sono riuscita a liberarmi prima. Il mio capo mi ha incastrato in un corso di aggiornamento sulle Passaporte – disse Rebecca tutto d'un fiato.
Rebecca lavorava all'ufficio di Controllo del Trasporto Magico. Aveva cominciato a lavorare lì poco dopo il conseguimento dei MAGO e non se ne era più andata.
-         Non ti preoccupare Bex. Anzi, scusami tu per averti chiamato così all'improvviso.
-         Allora, raccontami – ingiunse Rebecca senza preamboli.
Sara fece un respiro profondo, accese l’ennesima sigaretta e ordinò altro caffè. Poi iniziò a raccontare cercando di non tradire la sua angoscia alla prospettiva di questo lavoro. Rebecca la lasciò parlare senza interromperla, ascoltando attentamente e sorseggiando un tè al gelsomino. Quando Sara ebbe terminato disse:
-         Bè? Che ne pensi? Che dovrei fare? Fra parentesi, sono informazioni riservatissime, se ti sfugge anche solo un fiato su questa storia sono un'Auror finita.
-         Non ti preoccupare – replicò Bex – So essere una tomba. Io sinceramente non so che dirti.
-         Non so davvero come comportarmi. Non riesco nemmeno a pensare.
-         Non so se sia una buona idea accettare questo incarico. Però ti conosco troppo bene per non sapere che continuerai a tormentarti. Sono anni che non fai che rimuginare su questa storia. Forse è meglio se vai fino in fondo e poi non ci pensi più. Quando sarai arrivata sul fondo non potrai fare altro che risalire e allora forse riuscirai una volta per tutte ad andare avanti con la tua vita.
Sara guardò l'amica. Probabilmente aveva ragione. In fondo non doveva essere poi così terribile, aveva da tempo imparato a fare i conti con il lato criminale di Sirius Black. Forse, una volta conclusa quella storia, sarebbe riuscita a non pensarci più. E comunque non aveva niente da perdere.
Valeva la pena tentare.
Quando Sara rientrò in ufficio, dopo avere parlato a lungo con Bex, il suo sguardo non era più perso nel vuoto. Era fisso sulla meta.
Per prima cosa andò nell'ufficio del suo capo. In quel momento non c'era ma non aveva tempo di aspettarlo. Ora che aveva deciso voleva cominciare il più presto possibile, così prese un pezzetto di pergamena e scarabocchiò solo una parola e la sua firma : “Accetto. S. White”.
 
*^*^*^*^*
 
Il lavoro nella soffitta era lunghissimo e terribilmente noioso. La stanza era semi buia, polverosa e terribilmente calda. Per non parlare della quantità di ciarpame che la famiglia Black aveva accumulato lassù nel corso delle generazioni. Dopo poco dall'inizio del lavoro Ginny e Hermione si erano unite a tutti gli altri e le operazioni procedevano in uno strano silenzio, reso spesso dalla polvere e interrotto solo da qualche occasionale esclamazione di stupore o di disgusto a seconda del reperto rinvenuto.
A Sirius in fondo non dispiaceva così tanto essere lì. Non era come combattere i Mangiamorte, ma la fatica lo distraeva dalla frustrazione e provava un sottile piacere nell'ammucchiare gli averi della sua famiglia in grossi sacchi della spazzatura.
Per pranzo avevano consumato velocemente dei panini, accompagnati da succo di zucca gelato, poi avevano ripreso a lavorare. Molly sembrava posseduta dal fuoco sacro della pulizia.
Fu nel primo pomeriggio che cominciarono ad accadere cose strane.
-         Hei! Chi è stato? - esclamò Harry a un tratto.
-         Che succede? - chiese Ron che era chino sullo stesso scatolone di libri di magia nera.
-         Qualcuno mi ha colpito sulla schiena – rispose il ragazzo.
-         Harry caro, non c'è nessuno dietro di te. Forse sei solo stanco, perché non ti riposi un po'? - suggerì la signora Weasley con tono materno.
Sirius e Remus si scambiarono un'occhiata perplessa, ma non fecero commenti e proseguirono a smistare un enorme ammasso di indumenti di vario genere.
Qualche tempo più tardi Hermione chiese a Ginny di passarle uno straccio per pulire uno scaffale che finalmente era stato svuotato, ma quando la ragazza si avvicinò alla scatola dei detersivi fu sbalzata all'indietro, come se ci fosse stata una parete di gomma trasparente, e cadde atterrando sul sedere.
-         Ma che diavolo sta succedendo? - domandarono all'unisono Fred e George – Non è normale! – proseguì George.
Inquietati da quegli strani fenomeni Sirius e Remus estrassero le bacchette e si accinsero a perlustrare la soffitta. Anche Harry tirò fuori la sua, ma prima ancora che fosse completamente al di fuori della tasca dei jeans, Sirius disse:
-         Mettila via, non vorrai fare magie fuori dalla scuola.
Harry sbuffò, ma obbedì e i due uomini presero a esaminare la stanza palmo a palmo, mentre tutti avevano sospeso le loro attività per osservare. Pareva essere tutto a posto, ma proprio quando tutti stavano per rimettersi al lavoro accadde la cosa più strana. Il pavimento cominciò a tremare leggermente, mentre tutti estraevano le bacchette. Poi smise di tremare e sembrò liquefarsi al centro della stanza, come se si trattasse di una tavoletta di cioccolato. Le ragazze strillarono mentre si ritraevano contro il muro. Molly afferrò Ron per il bavero della camicia mentre scivolava sul pavimento fluido. Una fortissima folata di vento spalancò porte e finestre e quella che sembrava l'onda d'urto di un'esplosione sbalzò tutti all'indietro facendoli cadere sul pavimento, come Ginny poco prima. L'esplosione arrivò dopo l'onda d'urto: si sentì un forte rombo e poi uno scoppio che riempì la stanza di un denso fumo verde azzurro.
Dopo, la quiete.
-         State tutti bene? - strillò Lupin.
-         Sì...più o meno...- furono le deboli risposte che giunsero da angoli non precisati della soffitta.
-         Ma.. ma... che cosa è stato? - domandò la signora Weasley con evidente preoccupazione.
-         Fuori le bacchette! – intimò Sirius – Tutti quanti! Maggiorenni e non – precisò poi.
Lupin e Sirius furono i primi a riaversi, mentre il fumo cominciava a dissiparsi uscendo dalle finestre aperte. Avanzarono fianco a fianco, le bacchette puntate avanti a loro verso il punto da cui si era sprigionato il fumo, lo stesso in cui si era deformato il pavimento. Qualcosa si muoveva nella cortina nebbiosa. Sembravano due figure.
-         Fermi! - gridò Sirius mentre le due ombre assumevano contorni più distinti. Sembravano umani.
Come spinti da una sola mente, Sirius e Remus esclamarono un incantesimo e sottili corde andarono ad avvolgersi attorno ai due intrusi. I due caddero a terra legati come salami, esclamando per l'attacco a sorpresa.
-         Ahi!
-         Ma che modi!
Sembravano un uomo e una donna.
-         Chi siete? – domandò Sirius. La penombra della soffitta gli impediva di vedere distintamente i volti.
-         Sirius? Sei tu? – domandò una voce maschile. All'udire quella voce Sirius si sentì mancare e la sua presa sulla bacchetta vacillò.
-         Non può essere...- mormorò Remus.
-         C'è anche Remus – disse la voce femminile – Vi pare questo il modo di trattarci? - chiese poi irritata.
Le espressioni degli occupanti della stanza variavano dallo sconcertato all'inorridito. Molly e i ragazzi erano così sconvolti da quell'apparizione che si erano persino dimenticati di rialzarsi dal pavimento. Sirius non sembrava in grado di proferire parola. Era bloccato con la bacchetta a mezz'aria e il suo volto assumeva gradatamente un colorito sempre più terreo.
Il fumo ormai era del tutto svanito e la poca luce della soffitta era più che sufficiente per riconoscere l'uomo e la donna. Lui aveva capelli neri arruffati e un paio di occhiali tondi sul naso. Lei aveva lunghi capelli rossi e due incredibili occhi verdi.
Lily e James Potterano a Grimmauld Place.

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Capitolo 2
*** II ***


Per i lettori (precedente edizione): ringrazio tantissimo tutti coloro che hanno letto e tutti coloro che hanno commentato. Sono felice che il primo capitolo vi sia piaciuto e spero che continuerete a leggere e commentare. Cercherò di aggiornare spesso fino a quando sarò in vacanza. Buona lettura!
P.S.: questo è un capitolo “di transizione”, spero di poter aggiornare con il terzo entro domani e sarà sicuramente un capitolo più interessante.
 
 
II
 
Il Dipartimento degli Auror brulicava di attività ad ogni ora del giorno: gli Auror professionisti andavano e venivano continuamente, gli Auror Guida istruivano le nuove reclute dell’Accademia muovendole in piccoli branchi, messaggi svolazzavano senza sosta da una scrivania all’altra.
Sara teneva spesso la porta del suo ufficio aperta, in parte perché detestava il continuo bussare dei colleghi, in parte perché le piaceva osservare quel brulichio incessante. Le ricordava i formicai che c’erano nel giardino della villa dei suoi genitori e che si divertiva ad osservare, quando era bambina, nei lunghi pomeriggi estivi. Ogni volta che aveva bisogno di riflettere si sedeva alla scrivania e lasciava che il movimento del Dipartimento la avvolgesse completamente.
Aveva appena dato al capo la conferma che avrebbe accettato il caso Black. Ora doveva decidere come agire, ma non c’era pista che non avesse vagliato per trovare Black subito dopo la sua evasione, che altro poteva fare?
Mentre rifletteva, vide Kingsley Shakelbolt dirigersi verso l’ufficio del capo. Probabilmente era stato convocato per essere sollevato dall’incarico, infatti poco dopo Sara lo vide tornare verso la sua scrivania, scuotendo la testa con aria estremamente preoccupata.
Sara non era abituata a starsene con le mani in mano, dopotutto qualcosa poteva fare. Si alzò dalla scrivania e andò al cubicolo di Frank Parker.
-          Allora sei tornata… - disse il ragazzo.
-          Sono tornata. Olga e Roger? – chiese la donna.
-          Stanno lavorando all’omicidio Jason.
I Jason erano una famiglia, padre, madre e tre figli, trovati morti nella loro casa. Niente segni di effrazione, poche tracce e un terribile bagno di sangue. Erano stati torturati prima di essere uccisi. Il signor Jason era un dipendente del Ministero, chissà quali informazioni avevano cercato di estorcergli. E soprattutto, chissà se ci erano riusciti?
Probabilmente sì, altrimenti non l’avrebbero ucciso.
-          Bene – disse Sara – Devo andare a parlare con loro, tu aspettami nel mio ufficio. Arrivo tra poco.
-          E’ successo qualcosa? – chiese Parker preoccupato.
-          Non esattamente. Tra poco ti spiego.
Sara si diresse verso il lato opposto del Dipartimento. In una stanza rettangolare con un grande tavolo al centro, Roger Klyne e Olga Vukavich erano intenti a etichettare e catalogare una serie di reperti.
-          Ciao Sara! – salutò Olga.
-          Capo – disse invece Roger con un cenno della testa.
-          Io e Parker dovremo occuparci di un altro caso per un po’, voi continuate come al solito – disse Sara.
-          A cosa lavorate? – chiese Olga.
-          Per il momento è meglio che non lo sappiate. Magari ve lo dirò più avanti – rispose Sara sorridendo con aria di mistero.
-           Hei? Com’è che Frank si becca i casi più intriganti e noi la routine? – interloquì Roger.
-          Sono lamentele quelle che sento? Se farete un buon lavoro su questo caso… di routine, come lo chiami tu, potrei mettere una buona parola per voi per quella promozione di cui parlava il capo – suggerì Sara con aria cospiratoria.
La donna si avviò verso l’uscita e prima di andare disse:
-          Mi raccomando fate i bravi e non fatemi fare brutte figure.
-          Agli ordini capo! – risposero all’unisono Roger e Olga.
Sara si allontanò e tornò verso il suo ufficio, con un mezzo sorriso, ben sapendo che i suoi collaboratori erano Auror molto capaci e perfettamente in grado di cavarsela.
Quando entrò, chiudendosi la porta alle spalle, trovò Frank Parker che la aspettava seduto su una delle due sedie, davanti alla scrivania.
Frank aveva cominciato a lavorare con lei quando era ancora una recluta e Sara era un’Auror Guida. Quando l’avevano promossa e le avevano affidato una squadra, il primo membro che aveva scelto era stato Parker. Olga e Roger erano invece il frutto di un’accurata selezione tra tutte le richieste che aveva ricevuto in seguito.
-          Andiamo subito al punto – esordì Sara sedendosi davanti a Frank – Il capo mi ha proposto di occuparmi di un caso. Potrebbe essere un colossale buco nell’acqua, che ci costringerebbe a dimetterci per non coprire il Dipartimento di vergogna, oppure potrebbe essere il caso dell’anno.
-          E il caso sarebbe? – domandò il ragazzo proteso in avanti verso la scrivania per la curiosità.
-          Il caso Black.
-          Ah – Frank ci pensò un attimo – Il caso Black in che senso?
-          Nel senso che il caso Black non è più affidato a Shakelbolt ed è affidato a me. Devo trovare Black e i dieci Mangiamorte evasi oppure dimostrare che le due evasioni non c’entrano l’una con l’altra e trovare in ogni caso undici criminali che al momento potrebbero essere ovunque nel mondo. Una bella sfida,vero? Non posso occuparmene da sola, ma se non te la senti posso sempre rivolgermi a qualcun altro.
Frank soppesò la proposta per un attimo, grattandosi il mento e fingendosi pensieroso poi dopo qualche secondo accettò:
-          Perché no – disse - Solo… da dove suggerisci di cominciare?
Sara sospirò, appoggiando i gomiti alla scrivania.
-          In archivio ci sono faldoni su faldoni relativi alla famiglia Black e a Sirius Black in particolare. Suggerirei di cominciare da lì. Solo un avvertimento… massima riservatezza! Non ho nessuna voglia di avere giornalisti, sciacalli e Percy Weasley alle calcagna.
-          Ricevuto! Quando cominciamo?
-          Che domande… Immediatamente!
 
*^*^*^*^*
 
Sirius aveva lo stomaco chiuso, gli occhi sbarrati e la bocca asciutta come se avesse mangiato sabbia. Lily e James? Non era possibile, forse aveva esagerato con il Whiskey Ogden Stravecchio  di Mundugus la sera prima. Eppure anche gli altri li vedevano. I ragazzi erano sconvolti. Harry sembrava sul punto di svenire. Molly fissava il pavimento polveroso. L’unico ad aver mantenuto un minimo di presenza di spirito sembrava essere Remus.
Lupin si avvicinò ai due legati e con un lieve tocco di bacchetta fece svanire le corde. Quindi porse il braccio prima a Lily poi a James aiutandoli a rimettersi in piedi.
-          Insomma! Ma che diavolo vi prende?! Che succede? Dove siamo?! Cos’è questo posto? Chi sono queste persone? – domandò d’un fiato James.
La sua fame di informazioni era più che giustificabile. Ma cosa si risponde a un amico morto quindici anni prima che compare nella tua soffitta mentre tu reggi un piumino da polvere?
Silenzio.
-          Ragazzi, è uno scherzo? – domandò più dolcemente Lily – Se è uno scherzo non è poi molto divertente. Ho lasciato Harry da solo sul pavimento del salotto!
Al sentir nominare Harry, Sirius fu colpito dal pensiero che probabilmente il ragazzo non aveva mai sentito le voci dei suoi genitori. Sorprendentemente il primo ad agire fu proprio Harry. Si alzò lentamente dal pavimento, muovendo con cura le gambe malferme. Si avvicinò a sua madre e la guardò intensamente, con la testa leggermente piegata da un lato, mentre lei era ancora rivolta verso Remus. Le sfiorò un braccio con la mano, come se volesse accertarsi della sua consistenza fisica.
A quel contatto Lily si voltò e sobbalzò per la sorpresa:
-          Buon Dio! Sei identico a…
-          Sono Harry – disse il ragazzo in un sussurro appena udibile.
-          Harry? Harry chi? – chiese James voltandosi a sua volta verso il ragazzo.
-          Harry Potter.
James sbiancò e Lily dovette afferrarsi al braccio del marito per non cadere. Un rumore proveniente dal piano di sotto riportò tutti alla realtà, sembrava che Grattastinchi stesse litigando ancora con il Libro Mostro dei Mostri.
Sirius riuscì a riscuotersi dallo stato ti trance in cui era piombato e fece un passo in avanti entrando nel cono di luce di una finestra.
-          James… - esordì non sapendo bene come continuare.
-          Caspita! Sembri invecchiato di quindici anni! – esclamò James voltandosi verso l’amico.
-          In effetti… più o meno...
Quello che seguì fu una lunga conversazione, tanto lunga che ad un certo punto tutti si trovarono seduti in cerchio sul pavimento. Prima dovettero accertarsi che fossero veramente Lily e James e non qualche trucco architettato dai Mangiamorte; tuttavia i due risposero senza esitare a tutte le domande poste da Sirius e Remus.
Harry si teneva a una certa distanza dai suoi genitori ma li guardava come se non avesse mai visto nient’altro nella sua vita. Apparivano come due giovani di circa ventidue anni, l’età che avevano quando Voldemort li aveva attaccati, l’età che avevano quando Harry aveva poco più di un anno.
Sirius e Remus si alternarono nelle spiegazioni, per quanto tutta la situazione fosse surreale e per molti aspetti inspiegabile. Raccontarono che si trovavano quindici anni avanti rispetto a loro, che quello era diventato il quartier generale dell’Ordine della Fenice, che il ragazzo così simile a James era loro figlio.
La prima decisione che presero fu quella di contattare Albus Silente. Sembrava la cosa più saggia da fare. Il Preside arrivò in un lampo e a lui toccò l’ingrato compito di raccontare a James e a Lily la parte più dolorosa della loro storia. Sirius e Remus non se l’erano sentita di raccontare loro la verità su Voldemort, su Peter Minus e su Harry. Non sapevano in effetti se fosse o meno una buona idea.
Mentre Silente colloquiava con i Potter, gli altri si erano riuniti in cucina e discutevano dell’accaduto senza per altro venirne a capo. Solo Harry rimaneva silenzioso, seduto ad un angolo del lungo tavolo di legno.
-          Come stai? – chiese Sirius porgendogli una burrobirra.
-          Bene – rispose il ragazzo con tono piatto prendendo la bottiglia.
-          Sicuro?
-          Sì.
Non era mai stato molto bravo a confortare il prossimo. Non era nemmeno sicuro che fosse necessario confortare Harry, ma di certo doveva essere scioccato. Sirius lo guardò per qualche secondo: il ragazzo non aveva toccato la burrobirra, fissava il muro di fronte a sé con aria inespressiva. Sirius stava cercando qualcosa da dirgli quando Silente rientrò nella stanza. Tutti si voltarono verso di lui. Il Preside guardò Harry e gli disse:
-          Harry, i tuoi genitori ti aspettano.
Harry si alzò come un automa, sempre con quello strano sguardo negli occhi, e uscì dalla stanza. Silente invece si sedette a capo del tavolo e attese che tutti si sistemassero prima di parlare. A Sirius sembrava quasi di essere tornato a Hogwarts ad assistere ai discorsi del Preside in Sala Grande.
-          Per prima cosa, la riunione dell’Ordine di stasera non sarà rinviata. Gli altri membri devono essere messi al corrente dell’accaduto, per quanto sia difficile determinarne la causa. In secondo luogo, come potrete immaginare, la questione è estremamente riservata. Non so dare una spiegazione di quanto successo, non ho memoria di avvenimenti simili e di solito la mia memoria è ottima. La spiegazione più plausibile è un accavallamento spazio temporale. Immaginate il tempo e lo spazio come una grande coperta: è come se un lembo si fosse ripiegato su se stesso formando una piega. Lily e James sono stati spostati dal loro spazio, Godric’s Hollow, e dal loro tempo. Non è escluso che qualcosa o qualcuno dal nostro tempo si sia spostato a quello di Lily e James.
-          Cosa pensa di fare in proposito? – domandò Molly.
-          Gli incantesimi di modificazione spazio temporale sono molto complessi e le informazioni sul loro funzionamento sono difficili da reperire. Non pretendo di essere un esperto in materia, dovrò studiare un sistema opportuno per rimandare Lily e James nel loro tempo.
-          Ma… come? Non… non potrebbero restare? – chiese timidamente Ron.
-          Sarebbe bello, ma non è possibile – rispose Silente con dolcezza – Non è mai una buona cosa cambiare il passato, non sappiamo che ripercussioni potrebbe avere sul presente o sul futuro. E in ogni caso che vita potrebbero avere Lily e James? Non potrebbero certo ricomparire così, dovrebbero vivere nascosti, altrimenti tutti coloro che hanno perso delle persone care vorrebbero cambiare il passato.
Sirius si sentì sopraffatto dal peso di quelle parole. Non poteva tollerare di avere di nuovo il suo migliore amico e poi di doverlo perdere un’altra volta. Non si era ancora abituato all’idea di averlo lì e già doveva pensare a quando non ci sarebbe più stato. Sirius non osava immaginare che cosa provasse Harry in quel momento e che dolore terribile sarebbe stato quando Lily e James se ne sarebbero andati.      
Albus Silente si fermò per la riunione dell’Ordine della Fenice. Quando cominciarono l’Ordine era al completo, tranne che per Kingsley. Aveva avvertito che sarebbe arrivato con qualche minuto di ritardo. L’argomento principale naturalmente furono James e Lily Potter. Erano tutti sconvolti e eccitati da questa novità ma Silente non volle che li incontrassero subito, non voleva che fossero assaliti da troppe domande.
Kingsley Shakelbolt era arrivato quando la riunione era cominciata da poco. Prima di concludere la seduta Silente chiese se ci fossero comunicazioni e Kingsley prese la parola:
-          Oggi mi hanno sollevato dalle ricerche di Sirius – disse con gravità centrando subito il punto della situazione.
La dichiarazione sollevò un coro di proteste scandalizzate.
-          Ma perché? – domandò Tonks – Hanno scoperto qualcosa di nuovo? Non avranno davvero capito dov’è Sirius. Vero? – aggiunse preoccupata.
-          Non lo so – replicò Kingsley – Non mi hanno dato molte spiegazioni. Mi hanno detto solamente che il mio lavoro non è stato abbastanza soddisfacente e che il caso è stato affidato a Sara White.
Sirius, che fino a quel momento aveva seguito la conversazione come se la cosa non lo riguardasse affatto, all’udire quel nome si ridestò. Sara White? White? Sara? Aveva capito bene? Chiese a Kingsley di ripetere il nome. Sì, aveva capito bene.
Sirius tremava impercettibilmente. Sara era un’Auror e lui non lo sapeva. Si voltò verso Lupin per vedere se anche lui fosse altrettanto sconvolto alla notizia, ma quello che incrociò non era uno sguardo di stupore bensì uno sguardo colpevole. Allora lui sapeva! E non gli aveva mai detto nulla!
-          Io ho lavorato con la White – intervenne nuovamente Tonks – E’ una dei migliori Auror che ci siano al Dipartimento.
-          In effetti la scelta è piuttosto logica – continuò Kingsley.
-          Perché? – domandò Sirius avido di informazioni. Possibile che a Remus non fosse venuto in mente di dirglielo? Possibile che nessuno l’avesse nominata prima?
-          Beh era stata lei ad essere incaricata di indagare sulla tua evasione, lei e la sua squadra. Hanno setacciato Azkaban e dintorni per giorni interi per cercare qualche traccia.
-          E poi che è successo? – chiese Lupin.
-          Poi è successo che le tracce erano poche, le idee ancora meno. Oltre a setacciare il paese con i Dissennatori c’era ben poco da fare e il caso è stato affidato a me.
-          Girava voce che sia stata proprio la White a chiedere di essere sollevata dall’incarico – disse Ninfadora – E questo è molto strano.
-          Non ne sono del tutto certo ma da come mi ha parlato il capo del Dipartimento credo che la richiesta di sospendermi dall’incarico sia partita dal Ministro – spiegò ancora Kingsley.
-          Non ci ha fatto un bell’affare allora – intervenne Arthur Weasley – Sara White è una piantagrane e fa quello che le pare senza curarsi della politica.
L’atmosfera era quanto di più strano Sirius avesse sperimentato in quella casa. Si sentiva come catapultato nel passato. Prima James e Lily e ora Sara. E non era del tutto certo che la cosa gli piacesse. Guardò nuovamente Remus e gli fece un cenno per indicargli di seguirlo in un’altra stanza.
Sirius salì le scale fino ad arrivare alla vecchia stanza di sua madre. Fierobecco era languidamente accoccolato sul letto, Sirius fece un profondo inchino, prese dall’armadio un enorme sacco di topi morti e chiuse la porta alle spalle di Remus, che fece un inchino a sua volta. Lupin si sedette su una sedia in un angolo, Sirius invece prese a misurare la stanza a grandi passi, gettando di tanto in tanto un topo a Fierobecco.
-          Tu lo sapevi? – chiese Sirius a bruciapelo – Sapevi che Sara era un’Auror e che aveva indagato sulla mia evasione?
Remus sospirò e rispose fissando le assi del pavimento:
-          Sapevo che era diventata un’Auror, sapevo da qualche notizia sporadica dei giornali che aveva fatto una buona carriera. Ma non avevo idea che si fosse occupata della tua evasione.
-          Perché non me l’hai mai detto? – domandò Sirius con rabbia – Non pensavi che avessi il diritto di saperlo!
-          Sirius… - cominciò Lupin alzandosi dalla sedia e facendo un passo verso l’amico - Tu non hai mai parlato di lei, non l’hai mai nominata, non hai fatto domande, pensavo che preferissi non parlarne.
Sirius sapeva che Remus aveva ragione, non gli aveva mai chiesto nulla. Era vero che preferiva non parlarne anche se aveva pensato a Sara ogni giorno negli ultimi quindici anni. Sentir pronunciare il suo nome aveva riaperto ferite che pensava di essere riuscito a chiudere. Credeva di aver archiviato Sara come ricordo, un ricordo meraviglioso distrutto in pochi istanti, ma pur sempre un ricordo. E invece non era così, gli sembrava di essere tornato ai primi tempi di prigionia ad Azkaban. Il pensiero della sua innocenza e il fortissimo desiderio di spiegare la verità a Sara lo avevano tenuto sano di mente. Sapeva di aver commesso un grosso errore con lei. E ora Sara si occupava del suo caso.
-          L’hai mai cercata? – chiese Remus con voce pacata.
-          Non ho mai avuto il coraggio, ero un evaso! Lo sono ancora… Non sapevo come avvicinarla e poi come avrebbe potuto credermi…
-          Non dimenticarti che è Sara, non una persona qualunque.
-          Non l’ho affatto dimenticato.
 

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Capitolo 3
*** III ***


Per i lettori (precedente edizione): noto con piacere che il numero di letture della mia fan fiction è piuttosto elevato. Sono molto felice che continui a  piacervi. Se desiderate essere informati sui nuovi aggiornamenti potete lasciarmi il vostro indirizzo e-mail nel commento e io vi avvertirò quando inserirò nuovi capitoli.
Ringrazio nuovamente tutti coloro e che leggono e tutti coloro che commentano.
Buona lettura!
 
III
 
Sara e Frank uscirono dall’ufficio della donna chiudendo la porta alle loro spalle.
-          Facciamo così, tu vai a prendere del caffè, tantissimo caffè, e io vado in archivio – propose Sara.
-          D’accordo, ci rivediamo nel tuo ufficio – rispose Parker.
Sara prese un respiro e si avventurò verso l’uscita dell’open space. Era ormai pomeriggio inoltrato. Il turno di giorno era finito e il Dipartimento era meno frenetico. Nonostante questo Sara si muoveva tra i cubicoli dell’open space cercando di evitare gli altri Auror. Davvero non aveva nessuna voglia di parlare in quel momento.
L’archivio si trovava allo stesso piano dell’ufficio del Primo Ministro. Chissà se il capo aveva detto a Caramell che aveva affidato il caso Black a lei. Forse quando l’avrebbe saputo si sarebbe pentito di aver fatto togliere il caso a Shakelbolt, il Ministro la considerava poco più di una piantagrane.
L’archivio del Ministero era protetto da un complesso sistema di sicurezza ed era suddiviso in più livelli. Il primo livello era accessibile a tutti comprese le reclute, conteneva per lo più materiale necessario per lo studio e la preparazione dei nuovi arrivati. Il secondo livello era accessibile a tutti tranne le reclute. L’accesso al terzo livello era consentito solo agli Auror di terzo grado e così via. Le informazioni che servivano a Sara erano considerate tra le più riservate ed erano contenute al quarto livello. Solo il Ministro, il suo capo e i pochi Auror di quarto grado potevano accedervi.
Sara aveva ottenuto la promozione al quarto livello solo un anno prima. Il terzo grado le dava la possibilità di gestire una piccola squadra di Auror di secondo e primo grado e, dopo la promozione, avrebbe potuto ambire ad avere una squadra più grande, composta dalle sottosquadre degli Auror di terzo grado ma aveva preferito rimanere con il suo piccolo gruppo. Una squadra troppo grande avrebbe significato una marea di burocrazia e troppo poco tempo per compiere effettivamente il lavoro operativo, che era quello che lei amava.
Dopo aver percorso alcune rampe di scale Sara giunse nel corridoio giusto. Lì si aprivano solo due porte una imponente e massiccia dalla quale si accedeva alle stanze del Ministro e una più piccola, dello stesso colore delle pareti con una strana serratura. La serratura presentava un foro a cinque punte. Sara estrasse dalla tasca una chiave molto particolare, fatta apposta per quella serratura. Esistevano poche copie di quella chiave, custodite dagli Auror di grado più elevato. Tutti gli altri, quando ne avevano bisogno, dovevano farne espressa richiesta ai superiori.
La chiave entrò nella serratura senza sforzo e scattò con un suono limpido e metallico. Sara fu accolta nella prima stanza da una voce femminile che diceva:
-          Archivio di livello 1. Benvenuta Sara White.
-          Buon giorno – rispose Sara.
La camera era ingombra di scaffali carichi di fascicoli, fogli sparsi, raccoglitori, giornali. Sul fondo c’era una porta con scritto in lettere dorate “Secondo Livello”. Sara si avvicinò e fece per aprire ma la voce la fermò:
-          Si prega di procedere al riconoscimento prima di accedere alla stanza successiva.
Sarà obbedì sbuffando, appoggiò la mano destra sulla porta e attese.
-          Riconoscimento completato. Archivio di livello 2. Benvenuta Sara White.
-          Grazie.
La seconda stanza era del tutto simile alla prima con una porta sul fondo con su scritto “Terzo Livello”. Sara si avviò decisa verso la porta e vi appoggiò la mano destra. La porta si illuminò leggermente e la voce ripeté:
-          Riconoscimento completato. Archivio di livello 3. Ben…
-          Sì, sì, lo so che sono la benvenuta. Possiamo procedere con un po’ più di rapidità.
-          Non se la prenda così – disse la voce – Io sono solo una voce, faccio quello che mi è stato ordinato.
-          Senti Voce, sono qui quasi ogni giorno, dovresti conoscermi ormai! – sbottò Sara.
-          E’ soltanto per fare quattro chiacchiere di tanto in tanto – disse la Voce spalancando la porta successiva senza richiedere ulteriori riconoscimenti – E’ piuttosto ripetitivo essere una voce.
-          Posso immaginare – rispose Sara più comprensiva mentre attraversava la stanza per raggiungere l’ultima parte dell’archivio.
La donna cercò un po’ tra gli scaffali prima di trovare ciò che le interessava. Sullo scaffale contrassegnato con una grossa B c’erano tre faldoni interi dedicati alla famiglia Black, uno per Bellatrix Lestrange, uno per Regolus Black e due per Sirius Black. Sara estrasse la bacchetta e sollevò dallo scaffale solo i fascicoli sulla famiglia Black e su Sirius in particolare, ignorando gli altri due.
Uscì dalla stanza tenendo il carico di informazioni sospeso davanti a sé e proseguì fino alla prima stanza mentre le varie porte si chiudevano alle sue spalle.
-          Grazie per la collaborazione – disse Sara rivolta alla Voce.
-          Prego! E’ sempre un piacere. Arrivederci Sara White.
Sarà lasciò l’archivio sorridendo tra sé e si diresse verso l’ascensore. Non aveva intenzione di fare tutte quelle scale carica di fascicoli. Quando le porte dell’ascensore si aprirono ne uscì Percy Weasley.
-          Signorina White – disse quello pomposamente.
-          Signor Weasley – replicò lei sperando che non la bloccasse con inutili chiacchiere.
-          Cosa la conduce da queste parti?
Ecco, come non detto.
-          Come può vedere sono appena stata  in archivio. Arrivederci – cercò di tagliare corto Sara salendo sull’ascensore.
-          Prima che vada, il Ministro ha saputo che le è stato affidato il caso Black. Confidiamo tutti che il suo lavoro sia all’altezza.
Sara lo guardò come si guarda uno scarabeo stercorario, non si diede neppure la pena di rispondergli. Non riusciva a capacitarsi del fatto che quell’individuo sciocco e arrogante fosse il figlio di Arthur Weasley, una persona di una gentilezza squisita.
Quando arrivò al piano del Dipartimento si diresse verso il suo ufficio senza più cercare di evitare i colleghi e ignorò completamente Phil Tarrentin che cercava di fermarla per chiederle chissà cosa.
Nel suo ufficio trovò Parker seduto alla scrivania con otto tazze di caffè.
-          ­Non mi dirai che dobbiamo leggerci tutta quella roba?! – domandò inorridito.
-          E invece sì…
-          Ma… ma... i fascicoli sull’evasione di Sirius Black li hai scritti quasi tutti tu!
-          Potrebbe esserci sfuggito qualcosa. Io comincerò dalla famiglia al completo. Tu studia a fondo il soggetto specifico. Al lavoro!
 
*^*^*^*^*
 
Le vacanze di Natale erano terminate e Harry e tutti i ragazzi erano partiti proprio quella mattina. Per Sirius era stato straziante vedere i saluti tra il suo figlioccio e James e Lily. Negli occhi del ragazzo c’era il rimpianto tremendo di non poter restare con i suoi genitori, anche se la promessa di lunghissime lettere lo aveva in parte confortato. Sirius l’aveva accompagnato fino alla porta, lo aveva abbracciato e gli aveva detto:
-          Ti prometto che quando tornerai per le vacanze di Natale saranno ancora qui.
Harry non aveva detto nulla, ma aveva sorriso, poi aveva seguito gli altri alla volta di King’s Cross.
Ora Sirius, Remus, James e Lily sedevano nella cucina di Grimmauld Place e sembrava che non fosse passato neppure un giorno da quando erano stati tutti insieme l’ultima volta.
-          E così Sara è diventata un’Auror – disse Lily affrontando cautamente l’argomento.
-          Già – rispose laconicamente Sirius.
James e Lily sembravano ancora ragazzi. In effetti lo erano. Lui invece si sentiva stanco e più vecchio di quanto non fosse in realtà.
-          Chi l’avrebbe detto – intervenne James – Sembrava più il tipo che avrebbe fatto l’impiegata o qualcosa del genere, non l’Auror Capo.
Sirius non era del tutto d’accordo. Già a undici anni aveva qualcosa di estremamente combattivo, qualcosa di affascinante e inquietante insieme.
Ricordava bene la prima volta che l’aveva vista. A Hogwarts. Lui e gli altri stavano per cominciare il sesto anno, erano arrivati da poco a scuola, affamati come lupi e si erano assiepati nella Sala Grande insieme a tutti i compagni. James, Remus, Sirius e Peter erano seduti all’estremità del tavolo di Grifondoro più distante dal tavolo dei professori. Non erano ancora sistemati che già confabulavano a proposito delle prime uscite serali che avrebbero fatto. Da quando, l’anno prima, erano diventati Animagi per aiutare Remus, tutto era cambiato in meglio.
Quando tutti i ragazzi si furono sistemati in Sala Grande, la professoressa McGrannitt fece entrare una lunga fila di spaventatissimi ragazzi del primo anno. Sirius si sorprese a pensare che fino ad un paio d’anni prima lui e i suoi amici seguivano lo Smistamento con estremo interesse, soprattutto per adocchiare le nuove arrivate. Ora invece era molto più coinvolgente parlare di avventure notturne che osservare un branco di bambini terrorizzati. Perché in confronto a loro erano quello: bambini.
Passando accanto a loro la McGrannitt li guardò con disappunto, così i ragazzi smisero di parlare e si misero ad osservare lo Smistamento.
Uno ad uno i ragazzi e le ragazze sottostarono al giudizio del Cappello Parlante, alcuni tremavano, altri faticavano ad arrivare allo sgabello senza inciampare. Sirius ricordava perfettamente il momento del suo smistamento. Seduto sotto il Cappello supplicava di non finire a Serpeverde come il resto della sua famiglia, qualunque altra cosa sarebbe andata bene, anche Tassorosso, ma non Serpeverde. E il cappello l’aveva accontentato.
Sirius stava di nuovo per voltarsi verso James e ricominciare a parlare, quando la sua attenzione fu attratta dalla ragazzina che stava salendo i gradini verso il Cappello Parlante. Sara White, così aveva detto la McGrannitt. Lei sembrava diversa dagli altri, sembrava più grande. Non tanto per l’aspetto fisico, ancora acerbo e tipico della preadolescenza, quanto per lo sguardo, l’atteggiamento. Era l’unica a non apparire terrorizzata, anzi sembrava serena e tranquilla. Prima che i suoi occhi scomparissero sotto la falda del Cappello Parlante, Sirius la vide guardarsi intorno con interesse e con un vago sorriso sulle labbra.
Il ragazzo non seppe dire se fosse una tranquillità derivante dalla totale inconsapevolezza dell’importanza dello Smistamento, oppure se fosse vera e propria sicurezza di sé. In ogni caso qualcosa in quella ragazzina lo incuriosiva e lo preoccupava al tempo stesso.
Il Cappello Parlante impiegò parecchio per decidere ma poi strillò “GRIFONDORO!”. Il tavolo esplose in un applauso di benvenuto, come per tutti gli altri, e Sirius non capì perché quella decisione lo irritasse.
Questi pensieri però furono questione di pochi attimi, dopo di che fu completamente assorbito dalla conversazione con i suoi amici, e si dimenticò di Sara White.
La ragazza ricomparve nel suo campo visivo durante la cena. James non faceva che continuare a voltarsi a guardare Lily Evans e ad un certo punto Sirius notò che Sara era seduta accanto a lei. Parlavano animatamente, come se si conoscessero da tempo e Sirius non poté fare a meno di notare che Sara era l’unica dei suoi compagni ad avere intavolato una conversazione animata con uno studente più grande.
Mentre parlavano Lily indicò un punto sopra la sua spalla e Sara si voltò a guardare. Il ragazzo distolse immediatamente lo sguardo sentendosi in imbarazzo.
Un momento? Imbarazzo? Lui imbarazzato? Fu in quel momento che comprese che Sara White sarebbe stata una persona da cui difendersi, una continua fonte di guai.
 
*^*^*^*^*
 
Erano due giorni che Sara e Frank erano chiusi nell’ufficio della donna a leggere una montagna di scartoffie e non avevano ancora trovato nulla che non sapessero già. Sara cominciava a spazientirsi, detestava perdere tempo.
Alle dieci del mattino del terzo giorno di inutili letture, decise di abbandonare Parker tra le scartoffie e mettere in pratica un’idea che le era balenata la sera prima, mentre andava a dormire. Voleva andare a parlare con Albus Silente. Poteva essere una scelta azzardata, non sapeva neppure se Silente sarebbe stato in grado di dirle qualcosa di nuovo, però valeva la pena tentare.
Lasciò a Frank le redini dell’ufficio e partì. Il treno era fuori discussione e con la sua macchina ci avrebbe messo tutto il giorno, così decise di prendere il Nottetempo. Estrasse la bacchetta dalla tasca e mormorò “Lumos” tendendola oltre il marciapiede. In pochi istanti comparve un enorme bus a tre piani viola melanzana.
-          Buon giorno! Mi chiamo Stan Picchetto e sarò il vostro… – salutò allegramente un ragazzo pallido e brufoloso saltando giù dal bus.
-          Buon giorno – tagliò corto Sara – Per Hogsmeade.
-          Sì. Sono diciotto falci.
Sara pagò e andò a sedersi il più lontano possibile da Stan, prima che lui potesse farle qualunque domanda. Il viaggio fu tremendo e come sempre punteggiato di scrolloni e scossoni, ma nel complesso non fu troppo lungo.
Quando scese dal Nottetempo, nella via principale di Hogsmeade, inspirò profondamente l’aria di quel posto. Il villaggio era molto tranquillo, in giro c’erano i pochi abitanti che entravano e uscivano dai negozi o tornavano alle loro case.
Sara camminò lentamente verso i cancelli di Hogwarts assaporando ogni ricordo che le era tornato alla mente. Lì aveva conosciuto un sacco di persone fantastiche, che le avevano insegnato tanto sull’amicizia, e aveva incontrato anche un sacco di persone orribili che le avevano insegnato a essere forte. Lì aveva conosciuto Lily, James, Remus… e Sirius. Lì aveva conosciuto la sua amica Rebecca, con cui aveva condiviso il dormitorio a scuola e poi l’appartamento a Londra, una volta terminati gli studi.
Quando arrivò davanti al pesante cancello quasi smise di respirare per le emozioni contrastanti che quel luogo suscitava. Ma lei era un’Auror, non una qualunque donnicciola sentimentale! Tirò su le spalle, sollevò il mento ed entrò nei territori di Hogwarts con passo sicuro.
Avvicinandosi al portone ripeté mentalmente il discorso che aveva deciso di fare a Silente, ammesso che lui avesse deciso di riceverla. Forse avrebbe fatto meglio ad avvertire del suo arrivo. Giunta davanti al portone di legno, afferrò una maniglia e fece ruotare la porta sui cardini. All’esterno c’era un venticello freddo, ma nell’ingresso Sara fu avvolta da un piacevole tepore. Quel posto era sempre così identico a se stesso che, nel guardarsi intorno, le si serrò lo stomaco e rimpianse di non avere con se gli occhiali da sole per nascondere lo sguardo.
-          Lei chi è? – domandò una voce gracchiante che Sara ricordava bene.
-          Buon giorno Mastro Gazza – salutò la donna cercando di sorridere – Sono Sara White, vorrei parlare con il Preside se fosse possibile.
L’uomo la squadrò con sospetto poi chiese:
-          Di che cosa deve parlare al professor Silente?
-          E’ una questione riservata, se non le dispiace.
-          Aspetti qui.
Gazza si allontanò imbronciato senza dire altro e Sara rimase nuovamente sola nel Salone d’Ingresso. Passeggiando avanti e indietro notò che la porta della Sala Grande era aperta, così si avvicinò per dare un’occhiata. Era completamente vuota, così come i corridoi. I ragazzi dovevano essere tutti a lezione.
A Sara venne in mente la prima volta che era entrata in quella sala.
Era il primo giorno del suo primo anno e non era mai stata così felice. Gli altri ragazzi erano eccitati e spaventati dalla prova ignota che avrebbero dovuto superare. Lei non sapeva niente di tutto ciò, non conosceva la storia e la fama delle quattro case, non sapeva cosa aspettarsi da quella scuola ma non le interessava. Sarebbe stato sicuramente meglio di quello che aveva lasciato alle sue spalle.
Vista dall’esterno la sua vita sarebbe potuta apparire perfetta, ma per lei era diventata insopportabile. Sara era di origini babbane: suo padre era un brillante chirurgo londinese, proveniente da una famiglia molto ricca e altolocata; sua madre, di origini più modeste, l’aveva sposato più per interesse che per amore. Dopo il matrimonio lui aveva continuato il suo lavoro di medico mentre lei aveva preso le redini del patrimonio di famiglia diventando una delle più brillanti manager di tutta Londra. Erano sfacciatamente ricchi e già di per sé questa cosa infastidiva terribilmente Sara. Anche se aveva solo undici anni sapeva che lo sfoggio di ricchezza che ostentava sua madre era arrogante oltre che maleducato.
Sara aveva una sorella maggiore, Grace, e un fratello minore, Derek. Grace era la copia di sua madre: bellissima, alta, bionda, occhi azzurri. Era solo un po’ più stupida. Derek era il figlio maschio, “l’erede al trono”, quindi il cocco di mamma. Lui aveva ragione sempre, incondizionatamente, e dall’alto dei suoi sei anni dettava legge.
Sara era il tentativo mal riuscito dell’erede maschio dopo la prima figlia femmina. Era un esperimento andato male. Assomigliava di più a suo padre: capelli scuri, occhi scuri, era sicuramente più intelligente della sorella. Ed era una strega.
Questa scoperta era stata il colpo fatale nel rapporto già precario tra lei e sua madre Elinor. Elinor aveva sempre avuto una predilezione per Grace e Derek e aveva sempre considerato Sara “non all’altezza”. All’altezza di cosa non era mai stato chiarito. Scoprire che era una strega era stato quasi impossibile da accettare.
Gerald, il padre di Sara, da quando aveva capito che tipo di donna aveva sposato, si era buttato anima e corpo nel lavoro rimanendo ai margini della famiglia. Era con lui che Sara andava più d’accordo, ma non c’era quasi mai e Sara si era sempre sentita terribilmente sola. Quando aveva saputo di essere una strega aveva pensato che forse, da qualche parte, avrebbe trovato un posto in cui si sarebbe sentita accettata per quello che era e non per quello che gli altri avrebbero voluto che lei fosse.
All’inizio Elinor si era opposta, non voleva che sua figlia diventasse una specie di fattucchiera e non sopportava che Sara, proprio Sara, fosse la più dotata tra la sua prole. In quel caso però l’intervento di Gerald era stato determinante, per la prima volta da che Sara aveva memoria si era opposto alla moglie e così lei era approdata a Hogwarts.
Il Cappello Parlante l’aveva smistata a Grifondoro. Sembrava il tavolo più vivace e questo piacque subito a Sara. Quando si avviò verso il tavolo per sedersi, quasi tutti i posti erano occupati. Era rimasto solo un posto libero accanto ad una ragazza con i capelli rossi e splendidi occhi verdi e Sara si sedette lì.
-          Ciao! Benvenuta a Grifondoro! Io sono Lily Evans – si era presentata la ragazza tendendole la mano.
Sara si era presentata a sua volta e avevano iniziato a parlare. Lily le aveva raccontato delle quattro case e delle loro storie e la ragazzina si era sentita onorata di essere stata scelta per Grifondoro, avevano parlato delle lezioni, dei professori, degli altri compagni. Ad un certo punto Lily le aveva detto:
-          Vedi quei quattro ragazzi seduti al capo del tavolo?
-          Sì – aveva risposto Sara guardando in quella direzione.
-          Ecco, sono i più arroganti e spocchiosi di Grifondoro, in particolare James Potter e Sirius Black.
Non era stata la prima volta che Sara aveva sentito il nome di Sirius. Ne aveva già sentito parlare sul treno da due ragazze più grandi che avevano diviso lo scompartimento con lei. Si era fatta un’idea piuttosto precisa di come dovesse essere quel tipo, ma ancora non aveva idea di quanto avrebbe influenzato la sua vita.
-          Prego da questa parte.
La voce di Gazza riscosse la donna dai suoi ricordi. Seguì il custode fino all’ufficio del Preside, in un lungo corridoio apparentemente simile a tanti altri, dove c’era una scultura di pietra piuttosto brutta. Quando vi si pararono davanti, la scultura si spostò rivelando una scala a chiocciola che saliva verso l’alto.
-          In cima alla scala – disse solo Gazza prima di girarsi e andarsene.
Sara salì sulla scala, che prese a salire da sola come una scala mobile, e si fermò davanti alla porta. Bussò due volte e, invitata da una voce all’interno, entrò.
-          Buon giorno Professor Silente – esordì la donna leggermente in imbarazzo – Mi perdoni se sono piombata qui senza preavviso.
-          Buon giorno! Non si preoccupi signorina White, è sempre un piacere vederla – disse il Preside con calore alzandosi dalla scrivania per stringere la mano a Sara.
Tranquillizzata dall’accoglienza positiva, Sara si accomodò su una delle due sedie davanti alla scrivania del Preside e cominciò a parlare.
-          Forse immagina il motivo della mia visita…
-          Forse, ma in ogni caso perché non me lo dice lei?
-          So che lei è molto ben informato riguardo all’attività del Ministero, non voglio sapere né come né perché abbia determinate informazioni, non mi interessa e mi fido del suo operato, per questo ritengo che lei sappia già che mi è stato affidato il compito di dare una svolta alle ricerche di Sirius Black e dei dieci Mangiamorte evasi – proseguì Sara tutto d’un fiato.
-          Mi erano giunte delle voci – disse Silente vago.
-          Credo che possa immaginare che cosa significhi per me occuparmi di questa cosa, sa bene quello che ho passato.
-          Lo so, me ne ricordo bene – confermò il Preside.
-          Ho bisogno di scavare a fondo, il più a fondo possibile in questa storia perché così una volta che avrò finito forse riuscirò a non pensarci più. Sirius ha fatto una cosa orribile, più che orribile, talmente orribile che non ho abbastanza parole per definirla. E il tutto è peggiorato dal fatto che tra le persone che ha ucciso ci fosse anche uno dei suoi migliori amici. Ci ho pensato moltissimo, ho cercato di capire come la persona che ho conosciuto abbia potuto fare una cosa del genere ma non riesco a trovare una spiegazione logica. Non riesco a trovare neanche una spiegazione illogica a dire il vero. Così volevo sapere se c’è qualcosa che io non so e che lei potrebbe dirmi a questo proposito.
In realtà non era questo il discorso che Sara si era preparata da fare ad Albus Silente, ma le parole erano venute fuori spontaneamente.
Vide il Preside tentennare. Non era un buon segno.
-          Ci sono molte cose che potrei dirle – iniziò Silente – ma non tutte sarebbero utili alla sua causa. E’ vero, ha bisogno di scavare a fondo in questa storia, ma deve farlo con le sue forze se davvero vuole che il dolore svanisca. Quindi io non le posso dare tutte le risposte che vorrebbe, le risposte che potrei darle.
Allora Silente aveva delle risposte. E non gliele voleva dire. Aveva voglia di prendere a testate la scrivania, ma si trattenne per educazione.
-          E quali delle informazioni in suo possesso ritiene di potermi dare? – domandò Sara con una punta di irritazione.
-          C’è una cosa che non sai – Silente era passato dal lei al tu, bruttissimo segno – Ricordi, nell’ultimo periodo prima della loro uccisione, Lily e James erano particolarmente braccati? Gli davano la caccia giorno e notte, in tutto il paese. Avevo suggerito loro una forma di protezione molto drastica, l’Incanto Fidelius. Sai come funziona?
-          Sì… - rispose la donna mentre i suoi battiti acceleravano. Che cosa c’entrava la morte di Lily e James adesso?
-          Bè, ecco… Sirius era stato scelto per essere il Custode Segreto dei Potter. Quando furono uccisi Peter andò a cercare Sirius e lui l’uccise facendo saltare in aria la strada con tutti quei babbani. O almeno questo è quello che sembra.
Oh.
Wow.
Oh Dio.
E questo che voleva dire?
Che Sirius aveva consegnato il suo migliore amico e sua moglie a Voldemort?
Oh mio Dio.
Era molto peggio di quanto avesse pensato. Molto, molto, molto peggio.
-          Sara? – chiese dolcemente Silente dopo alcuni istanti di silenzio da parte della donna.
-          Sì? – chiese Sara con un sorriso spiritato e inquietante.
-          Stai bene?
-          Sto meravigliosamente. Mi ha appena detto che l’uomo di cui ero innamorata quindici anni fa ha tradito la mia migliore amica e suo marito consegnandoli a Voldemort. Non potrei stare meglio – con la voce più acuta del normale e gli occhi lucidi. Mai come in questo momento aveva rimpianto gli occhiali da sole.
-          Io non ho detto questo – replicò il Preside criptico.
Sara chiuse gli occhi e scosse la testa, poi li riaprì come per accertarsi di essere sveglia. Era la conversazione più surreale che avesse sostenuto nella sua vita recente.
-          Come sarebbe a dire “non ho detto questo”? Cosa significa? – chiese Sara stringendo gli occhi e sporgendosi verso Silente.
-          Mi dispiace ma non posso dirle di più.
Sara rimase a bocca aperta. Forse Silente era veramente impazzito. Forse aveva ragione Caramell quando diceva che la vecchiaia lo aveva colpito al cervello e non distingueva più la realtà dalla fantasia.
Sara si alzò dalla sedia, ostentando una atteggiamento calmo che non le apparteneva, si alzò, ringraziò il Preside per la sua disponibilità e gli strinse la mano. Uscendo lui le fece i suoi migliori auguri e Sara dovette reprimere nuovamente l’istinto di sbattere la testa al muro.
Scese la scala a chiocciola e uscì nel corridoio. Man mano che procedeva verso l’uscita camminava sempre più velocemente tanto che a un certo punto quasi si trovò a correre.
Sirius era il Custode Segreto dei Potter. E non gliel’aveva mai detto. Nessuno gliel’aveva mai detto. Né Remus, né Silente. Nessuno. E cosa diavolo significava quello che aveva detto Silente? Era un incubo, un incubo terribile e lei non vedeva l’ora di svegliarsi. Ma non poteva.
I corridoi della scuola non erano più deserti, erano pieni di ragazzi che andavano a pranzo nella Sala Grande. Sara cercò di calmarsi e di camminare più lentamente. Quando uscì all’aperto respirò profondamente, si appoggiò al muro del castello e si accese una sigaretta. Alzò gli occhi verso il cielo. Era una giornata limpida e fredda come solo fuori città si riuscivano a vedere, il cielo era talmente azzurro che sembrava disegnato.
Sara si guardò intorno. In fondo al parco si scorgeva il campo di Quidditch, la donna ricordò con affetto tutte le partite a cui aveva assistito, facendo un tifo sfegatato, preparando striscioni e intonando canti di incitamento. A dispetto dell’ora non era vuoto. Piccole figure vestite di oro e di rosso sfrecciavano sopra le tribune. A quanto pareva la squadra di Grifondoro aveva già cominciato gli allenamenti. Forse non era una buona idea, ma la tentazione di andare a dare un’occhiata era molto forte.
Sapeva che Harry Potter faceva parte della squadra, le notizie sulle sue prodezze, sportive e non, erano andate ben oltre il parco di Hogwarts. Sara si avvicinò al campo. Sembrava che fosse in corso una riunione tattica a bordo campo. Sul lato degli spogliatoi, i componenti della squadra erano disposti in cerchio e discutevano animatamente. Tra di essi c’era un ragazzo con i capelli neri, gli occhiali rotondi e gli occhi verdi. Era cresciuto molto dall’ultima volta in cui l’aveva visto, ma sostanzialmente non era poi così diverso da come lo ricordava Sara.
Harry si voltò verso l’ingresso del campo, come se si sentisse osservato, e per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Poi Sara distolse il suo voltando le spalle al campo e avviandosi verso l’uscita del parco.        

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

Era piena notte. Londra viveva soltanto in alcune parti, dove c’erano i locali per i giovani e per i turisti. Le altre zone invece erano più tranquille, poco trafficate, silenziose e buie.
A Grimmauld Place Sirius era l’unico sveglio. Era seduto sul davanzale nella sua vecchia stanza, con la finestra spalancata nonostante il freddo pungente. Respirava l’odore della città cercando di sciogliere il nodo che da qualche giorno gli aveva attanagliato lo stomaco. Ogni volta che pensava a Sara o che qualcuno la nominava, il nodo si stringeva ancora un po’, rendendogli difficile pensare, mangiare, respirare. In quindici anni non aveva mai sentito così tanto la sua mancanza, era addirittura peggio di quando era stato arrestato, allora lo shock era stato più forte di tutto. Desiderava ardentemente vederla, parlarle, capire se era cambiata, se l’aveva perdonato o se lo odiava a morte, se era riuscita ad andare avanti con la sua vita o se lui gliel’aveva distrutta.
Nella stessa notte, nella stessa città, Sara vagava con la sua auto. Aveva il finestrino abbassato, l’aria che le sferzava il viso la aiutava a schiarirsi le idee, che erano tante e veramente confuse.
Per tornare da Hogwarts aveva preso il treno, aveva bisogno di tempo per riflettere con calma e il Nottetempo non era certo il mezzo migliore a questo scopo. Arrivata a Londra aveva avvertito Parker che non sarebbe tornata in ufficio. Era andata al suo appartamento e aveva provato a mangiare qualcosa e a distrarsi un po’, senza successo. Non poteva dormire, doveva fare qualcosa.
Così era uscita, aveva preso la macchina e si era diretta verso il Ministero. Gli uffici erano deserti, anche nel Dipartimento c’erano solo i pochi sfortunati destinati al turno di notte. Sara andò spedita al suo ufficio e lo trovò come l’aveva lasciato: pieno di documenti che riportavano il nome si Sirius Black.
Sirius era il Custode Segreto di James e Lily, ancora stentava a crederci. Di tanto in tanto provava a dirlo ad alta voce, per vedere se poteva suonare più reale, ma appariva sempre assurdo, come quando gliel’aveva detto Silente, come ogni volta che rimbombava nella sua testa.
Sara si sedette alla scrivania, prese dal primo cassetto una caraffa, una tazza e un posacenere. Colpì due volte la caraffa con la punta della bacchetta e questa si riempì di caffè nero bollente. Se ne versò una tazza, estrasse dalla borsa le sigarette e ne accese una.
La stanza si riempì dell’odore di fumo e di caffè, un odore che sapeva di casa. Quando si fu sistemata tirò a sé gli incartamenti relativi all’omicidio di Peter Minus. Avrebbe riletto ogni cosa, avrebbe analizzato ogni minimo dettaglio, ci sarebbe stata giorno e notte se fosse stato necessario. Ne sarebbe venuta a capo o sarebbe impazzita nel tentativo.
Per un attimo si immaginò all’Ospedale di San Mungo, nel reparto per le malattie mentali, in una stanza tutta bianca, sdraiata sul letto a fissare nel vuoto. Archiviò l’immagine come irragionevole e cominciò a leggere.
In quei fascicoli c’era di tutto: i rapporti dei primi tiratori scelti giunti sul luogo, le relazioni dei soccorritori, le trascrizioni degli interrogatori dei testimoni, le descrizioni della scena con riportate misure, distanze e varie indicazioni. Ma la cosa più straziante erano le fotografie, dei corpi dilaniati, della strada sventrata, degli alberi su marciapiedi mutilati, di un dito mozzato accanto a un tombino.
Quando l’angoscia diventava insopportabile, Sara beveva qualche sorso di caffè, si ripeteva ossessivamente che era solo un caso come un altro e andava avanti.

*^*^*^*^*

Da quando non riusciva più a dormire Sirius era sempre il primo ad alzarsi. In genere si addormentava per qualche ora, quando il suo corpo, stremato, si imponeva sul cervello precipitandolo in un sonno agitato. Si svegliava sempre sudato e stanco come se non avesse dormito affatto, si trascinava in cucina e lì si preparava un caffè forte e fumava la prima sigaretta della giornata.
Aveva anche ricominciato a fumare. Azkaban l’aveva costretto a smettere, ma da quando era rinchiuso a Grimmauld Place doveva pur occupare il tempo in qualche modo. Fumava le stesse sigarette che comprava sempre prima di essere arrestato.
Prima di essere arrestato.
Da quando era evaso la sua vita gli era sembrata spaccata in due: c'era il prima, quando era un giovane attraente e intelligente con un sacco di sogni e di belle speranze per il futuro, e c’era il dopo, quando era diventato un ricercato perseguitato e braccato. In mezzo non c'era nulla. Un buco nero di tredici anni in cui praticamente non era esistito.
Si passò una mano sugli occhi stanchi e cerchiati. Avrebbe tanto voluto poter tornare indietro e cambiare le cose, raccontare a Sara la verità quando ancora poteva farlo. Se avesse saputo forse lei non lo avrebbe lasciato a marcire in prigione per così tanto tempo, avrebbe capito che lui mai e poi mai avrebbe potuto tradire James e Lily. Ma era inutile recriminare sul passato. Non c'era nulla che potesse fare se non aspettare e sperare.
Sirius tolse la mano dagli occhi quando sentì dei passi sulla scala che portava alla cucina. Lily entrò nella stanza accompagnata dal fruscio della sua vestaglia. Molly e le ragazze le avevano procurato dei vestiti e ne era venuta fuori una strana mescolanza di stili. Ora, sopra un pigiama a quadretti bianchi e azzurri, la donna indossava una pesante vestaglia di lana grigia.
L'uomo si sforzò di sorriderle nel darle il buon giorno, ma l'effetto non dovette essere quello desiderato, perché lei chiese:
-          Tutto a posto?
No, non era tutto a posto. Anzi non c'era proprio niente a posto e non sopportava quasi più di sentirsi chiedere continuamente come stava, come si sentiva e se andava tutto bene.
-          Sì tutto a posto – mentì – Come mai già in piedi a quest'ora? - chiese poi.
-          Mi sono svegliata e non riuscivo più a riprendere sonno, così ho pensato di venire a fare quattro chiacchiere con un vecchio amico.
-          Sapevi che ero sveglio? - domandò l'uomo stupito.
-          Ti ho sentito scendere le scale – spiegò lei – Sinceramente, come ti senti?
-          Un vero schifo – rispose Sirius, questa volta con sincerità.
-          Mi dispiace...
-          Non è colpa tua.
-          In parte sì. E non mentirmi dicendo che non è vero perché lo pensi anche tu.
-          Non nego che avrei voluto che le cose fossero andate diversamente. Ma la colpa non è vostra, è mia perché non avrei dovuto fidarmi di Peter, è mia perché avrei dovuto dire a Sara come stavano veramente le cose invece di scaricarla senza troppe spiegazioni, è mia perché non sono stato in grado di difendervi anche se avevo giurato di farlo a costo della vita, è mia perché non sono riuscito a dimostrare che ero innocente.
-          Non è vero – disse Lily poggiando una mano sul braccio di Sirius – Sirius guardami.
L'uomo alzò gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto fissi su una venatura del legno del tavolo.
-          Non è colpa tua. Devi credermi. Mi credi?
Sirius annuì, non sapeva come sarebbe suonata la sua voce se avesse provato a parlare. Era peggio della rabbia e della frustrazione che aveva provato i primi tempi a Grimmauld Place, si sentiva vuoto.
-          Non è colpa tua – ripeté la donna – e non è neppure colpa di Peter o di Silente. E' colpa di Voldemort, è solo colpa sua. La responsabilità non è altro che sua. Non ti angustiare così, tu ci hai difeso a costo della vita. Hai sacrificato la tua libertà e il futuro che potevi avere con Sara per aiutare noi e io e James non ti saremo mai abbastanza grati, a prescindere da come siano andate le cose. Sì, forse avresti dovuto dire a Sara la verità. Ma hai agito in un certo modo perché pensavi fosse la cosa migliore. Volevi solo proteggerla. Tu hai agito come ritenevi giusto per ciò non colpevolizzarti così. Devi darti una scrollata e tornare a essere l'uomo forte che ricordo.
Lily aveva parlato con un calore che Sirius non sentiva da molto tempo. Sarebbe stato magnifico poter credere alle sue parole.
-          Vorrei poterti credere – le disse dando voce ai suoi pensieri – Vorrei davvero, ma mi riesce difficile pensare di aver agito per il meglio.
-          Sirius, ci ho provato con le buone – disse Lily ritraendo la mano dal suo braccio – ora passo alle cattive. Smettila di compatirti, smettila di deprimerti e prendi in mano la tua vita. E' vero ora come ora non puoi fare molto, è vero tredici anni sono passati tra le mura di Azkaban, ma ti rimane ancora molto tempo davanti. Puoi fare in modo che la tua vita sia migliore di così. Per cominciare potresti iniziare a sperare che Sara riesca a scoprire la verità. Non ti permetterò di sottovalutare così le capacità della mia migliore amica. E quando ti senti giù pensa che c'è chi sta peggio di te, perché non potrà vedere crescere suo figlio né invecchiare con suo marito.
Sirius si sentì egoista e meschino e se possibile si sentì ancora peggio di prima, ma Lily aveva ragione.
-          Mi dispiace Lily, non volevo essere così egoista. Hai ragione, devo cercare di riprendermi.
-          Bravo! Così ti vogliamo! Vedrai, le cose andranno per il meglio.
 
*^*^*^*^*

La prima impressione fu quella che l’ufficio, durante la notte, si fosse coricato. Sara impiegò qualche istante a capire che era lei ad aver appoggiato la testa sulla scrivania. Si tirò su di scatto e un foglio le rimase appiccicato alla guancia. Lo staccò con un misto di rabbia e frustrazione e lo rimise sopra gli altri. Evidentemente si era addormentata. Guardò l’orologio, erano le sette, l’ultima volta che ricordava di aver controllato l’ora erano le cinque passate. Doveva aver dormito un paio d’ore.
Sara si alzò dalla sedia con i muscoli indolenziti, si stiracchiò mentre si avviava verso la porta aggirando mucchi di giornali e documenti. Quella notte si era riletta gran parte di quello che aveva sulla strage di Godric’s Hollow, rapporti, interrogatori, articoli di giornale. Mentre leggeva aveva annotato le cose più interessanti sul blocco che usava sempre per prendere appunti. C’erano tante piccole cose che la lasciavano perplessa, inezie per lo più, ma se le si osservava nel quadro generale assumevano un’importanza decisamente maggiore. E dopo aver saputo che Sirius era il Custode Segreto dei Black tutto appariva diverso.
Aprendo la porta Sara vide un Dipartimento appena sveglio, proprio come lei. Gli ultimi Auror del turno di notte stavano per uscire e arrivavano i primi del turno di giorno. La donna approfittò di questa calma per occupare il bagno. Nel bagno c’era una lunga fila di armadietti, ognuno con una sigla sopra, Sara aprì il suo e ne estrasse un asciugamano, un bagnoschiuma e alcuni vestiti. Si infilò nella doccia più lontana dalla porta e aprì l’acqua. Il getto d’acqua calda che la investì riuscì a svegliarla e a ridarle un po’ di lucidità. Chiuse gli occhi mentre l’acqua le scorreva tra i capelli, sul viso, sulle spalle e da lì scendeva su tutto il corpo. Era il momento adatto per riordinare un po’ le idee.
La situazione qual’era? A Godric’s Hollow, quindici anni prima, la stessa notte in cui James e Lily Potter erano stati uccisi da Voldemort e il piccolo Harry aveva salvato il mondo magico dall’oblio, si era consumata una tragedia.
Una potente fattura scagliata da un mago aveva fatto saltare in aria una strada intera uccidendo tutti i passanti nel raggio di cento metri e un altro mago. Apparentemente sembrava che il mago ad aver scagliato la fattura fosse Sirius Black. Accecato dalla rabbia per la caduta di Voldemort aveva compiuto un ultimo gesto di follia. Peter Minus, l’altro mago presente sulla scena, aveva cercato di fermare Black ed era stato tragicamente ucciso. Di lui si era trovato solo un dito indice.  
Sirius Black era il Custode Segreto dei Potter, aveva tradito il giuramento fatto rivelando a Voldemort il nascondiglio di James e Lily, Minus, a conoscenza dell’Incanto Fidelius, aveva trovato Black dopo aver saputo che lui aveva tradito e  i due avevano lottato. La strage era solo una conseguenza del loro duello.
Questa era la spiegazione più logica.
La prima incongruenza era nelle parole di Silente. Quando lei aveva domandato se Sirius avesse tradito Lily e James, lui aveva risposto “Io non ho detto questo”. Che diavolo significava? Che Sirius non aveva tradito? Che non era il Custode Segreto dei Potter?
Ma questa era solo la prima delle domande senza risposta. La seconda era a proposito degli effetti personali di Black. C’era una lista, fra i documenti, che riportava tutti gli indumenti e gli oggetti trovati addosso a Black al momento dell’arresto con una minuziosa descrizione. Era descritto ogni dettaglio, comprese le macchie di terra, cenere e simili. Ma non erano descritte le macchie di sangue, non erano proprio menzionate, come se non ci fossero. I casi di omicidio non cadono in prescrizione, quindi gli indumenti di Black dovevano essere ancora in archivio. Sarebbe andata a dare un’occhiata appena possibile.
Un’altra cosa molto strana era la fotografia del dito tagliato di Peter Minus. Tutte le foto della scena mostravano oggetti e… persone… sfilacciate. Gli alberi che costeggiavano i marciapiedi sembravano candele bruciate a metà, l’enorme buca nell’asfalto era frastagliata, ma quel dito no. Sembrava tagliato di netto, quasi in modo chirurgico. Poteva essere una coincidenza, ma era un altro punto su cui riflettere.
Non erano le sole cose che Sara trovava poco convincenti. Oltre agli aspetti “tecnici” c’erano quelli umani. Sara non avrebbe potuto usare queste argomentazioni in un rapporto ufficiale tantomeno in tribunale davanti al Winzengamot, ma non poteva fingere di non aver conosciuto Sirius e la persona che aveva conosciuto non si sarebbe comportata così. Non avrebbe tradito gli amici, non avrebbe ucciso degli innocenti, non avrebbe smesso di lottare.
Sirius aveva sempre professato la sua innocenza, ma aveva aspettato tredici anni per scappare. Perché? Ogni volta che pensava all’evasione di Black, Sara sentiva una morsa di senso di colpa. Lei sapeva come era evaso, era chiaro che aveva usato il suo potere di Animagus, lo stesso potere che probabilmente usava per nascondersi. Ma non aveva mai parlato, avrebbe significato ammettere che aveva conosciuto Black, raccontare del suo passato e lei detestava parlare del passato. Per di più rischiava un accusa di intralcio alla giustizia, come minimo, se non di complicità con un criminale. Se qualcuno avesse scoperto della sua relazione con Sirius Black sarebbe stata licenziata in tronco. Così si era convinta a non parlare, continuando a ripetersi che intanto non sarebbe cambiato niente nell’esito delle ricerche.
Black era rimasto buono nella sua cella per tredici anni, poi un bel giorno aveva deciso di evadere. Sembrava che all’improvviso qualcosa l’avesse spinto a prendere questa decisione. Doveva scoprire cos’era.
Sara aveva troppe cose per la testa, se non altro però aveva un piano d’azione. Era meglio di niente.
Uscì dalla doccia avvolta nell’asciugamano, lo spogliatoio era deserto. Si vestì rapidamente e asciugò i capelli bagnati con un getto d’aria calda che fece uscire dalla punte della bacchetta.
Quando uscì nel Dipartimento erano le otto e quasi tutte le scrivanie erano occupate. Cercò Parker e lo trovò alla scrivania di Shira, la segretaria del Dipartimento.
- Frank smettila di flirtare – disse avvicinandosi.
- Non stavo flirtando! Buon giorno, capo! Non stavo flirtando!
- Non chiamarmi capo – Sara lo prese da una parte – Questa notte ho lavorato un po’…
- Questa notte? – domandò il ragazzo stupito.
- Sì questa notte. Mi sono venute in mente alcune cose. Vai al deposito e prendi gli effetti personali che hanno sequestrato a Black al momento dell’arresto. Io vado a prendere il caffè, ci vediamo nel mio ufficio.
Sara si allontanò lasciando Frank al suo flirt. Le mancava il periodo della sua vita in cui anche lei poteva permettersi di concedersi qualche sfizio. Mentre si avviava all’ascensore era soprappensiero, così urtò una persona che stava uscendo dalle porte scorrevoli.
- Scusi. Mi dispiace tanto! – esclamò una ragazza piuttosto alta con eccentrici capelli rosa acceso.
- No, scusi lei – replicò Sara guardandola.
Quando i loro sguardi si incrociarono, la ragazza assunse un’espressione terrorizzata e se ne andò quasi correndo. Sara non capì il motivo di quella reazione, ma non si preoccupò troppo. Aveva lavorato con Ninfadora Tonks e le era sembrato che la ragazza, per quanto fosse un’Auror promettente, non avesse tutte le rotelle al posto giusto.
Con un sospiro entrò nell’ascensore e premette il pulsante per l’Atrium. Per la giornata che l’aspettava il caffè era assolutamente necessario.

*^*^*^*^*

La giornata a Grimmauld Place, per chi non aveva missioni da compiere all'esterno, procedeva sempre più o meno nello stesso modo: colazione, pulizie, pranzo, pulizie, pausa, cena.
Lily, James, Remus e Sirius, dopo un'altra giornata di questo tipo, avevano trovato rifugio in un salotto al primo piano. Su una parete campeggiava l'albero genealogico della famiglia Black. Sirius si era seduto in modo da dargli le spalle. Non sopportava di vederselo davanti. Aveva provato a disfarsene ma una qualche fattura lo teneva indissolubilmente ancorato al muro.
- E' tutto così strano - disse James - Siamo insieme, come è sempre stato, almeno per me e Lily, ma è come se mancasse qualcosa.
- Ma, in effetti, manca qualcosa James - intervenne Lily - A noi mancano quindici anni che invece loro hanno vissuto.
- Non che siano stati i quindici anni migliori della mia vita - replicò Sirius con un sorrisetto amaro - Darei qualunque cosa per poter tornare indietro e cambiare le cose.
- Ma forse è stato meglio così - continuò Lily.
- Ma che dici? - domandò Remus guardandola come se fosse pazza.
- Forse capisco quello che intendi - disse James guardando sua moglie - Se noi non fossimo… morti… Harry non avrebbe sconfitto Voldemort.
- Francamente, non per sminuire il vostro sacrificio, ma non vedo cosa ci abbiamo guadagnato visto che ora è tornato – sbottò Sirius scrollando il lunghi capelli scuri che gli coprivano gli occhi.
- Tempo innanzi tutto - rispose saggiamente Remus - Abbiamo avuto modo di capire tante cose, di riorganizzarci, di prepararci.
- A mio modo di vedere non siamo più preparati di vent'anni fa - continuò l'altro deciso a fare del disfattismo. Sirius provava una sorta di piacere perverso nel colpevolizzarsi.
- Amico mio, capisco che tu sia arrabbiato… - cercò di calmarlo James.
- Arrabbiato? Io, arrabbiato? Perché dovrei esserlo. Ho passato tredici anni in prigione per colpa di un ratto di fogna che credevo un amico e ora quella che quindici anni fa era la mia ragazza sta cercando di sbattermi di nuovo in cella. In effetti non c'è nulla che non va.
Quando si arrabbiava Sirius appariva molto simile all'enorme cane nero che diventava da Animagus. Sapeva di essere ingiusto, sapeva che non aveva senso prendersela con loro. Ma ogni tanto doveva sfogarsi.
- Hai già dimenticato quello che abbiamo detto questa mattina, Sirius? - lo ammonì Lily con un'aria che gli ricordò molto quella della McGrannitt.
- No, non l’ho dimenticato - rispose l'uomo sentendosi di nuovo in colpa.
- Non puoi fare così - continuò lei - E poi chi ti dice che Sara stia cercando di rimandarti in prigione. Dici di aver pensato molto a lei, ma evidentemente ne hai un ricordo distorto. Ti ricordi che fosse una che si arrende facilmente?
- No – replicò Sirius seccamente; ecco che si ritornava a parlare di Sara ed ecco quel nodo allo stomaco che si stringeva un’altra volta.
- Se la conosco appena un po', sono convinta che non si darà pace finché non avrà chiaro ogni dettaglio. E per chiarire ogni cosa deve per forza scoprire la verità.
- Sì, vedrai che troverà la strada giusta - disse Remus calorosamente mettendo una mano sulla spalla dell'amico - Non ricordi quanto filo da torcere ti ha dato?
Se se lo ricordava? Quei ricordi erano nitidi come se fossero avvenuti da pochi giorni. Ricordava quanto quella ragazza schiva e stranamente matura lo avesse subito colpito. Ricordava di aver deciso di tenersene alla larga perché poteva portare guai. Ma la cosa non era stata facile quanto avrebbe pensato. Sembrava che questa Sara White avesse fatto molta amicizia con Lily Evans e in quel periodo James cercava di essere sempre dove c'era anche Lily. Di conseguenza Sirius e Sara si incrociavano spesso.
Per di più, sembrava fatto apposta, la incontrava sempre nei corridoi, anche quando James non era a caccia di Lily.
Sirius rammentò un episodio in particolare, avvenuto pochi mesi dopo l'inizio delle lezioni. Fin dal loro primo incontro non si erano trovati simpatici e ogni volta che si parlavano ne veniva fuori un continuo lanciarsi frecciate. Se capitava che uno dei due, o entrambi, fossero particolarmente nervosi si arrivava anche ad insulti più pesanti.
Quella volta Sirius e gli altri erano appena usciti da lezione di Trasfigurazione, erano carichi di compiti per la settimana successiva ed erano estremamente affamati. Si dirigevano a passo di marcia verso la Sala Grande pregustando un delizioso pranzetto quando, svoltando un angolo, Sirius scontrò contro qualcosa che sembrò saltare in aria.
Quando si ricompose si accorse che quel qualcosa era Sara White, che camminava a testa bassa con le braccia cariche di libri. Questi nella confusione si erano sparsi per tutto il pavimento.
- Ehi, guarda dove vai ragazzina! - sbottò Sirius mentre lei si chinava a raccattare tutti i libri.
- Piuttosto sei tu che dovresti guardare dove metti i piedi Black - rispose lei acida, voltandosi per lanciargli uno sguardo carico di disprezzo.
- Oh, oh, la ragazzina ribatte!
- Stupito? Pensavi che non esistessero esseri umani in grado di tenerti testa, caro signor Onnipotente? Ebbene, ti sbagli di grosso! In ogni caso io ho un nome, sei pregato di usarlo quando ti rivolgi a me.
Sirius era rimasto leggermente spiazzato da una risposta così pronta ma finse indifferenza e si preparò al contrattacco.
- Sicura di essere finita nella casa giusta? Ho l'impressione che saresti stata meglio tra i Serpeverde, visto che non fai altro che sputare veleno.
- E tu non dovresti essere tra i Grifondoro se non hai abbastanza fegato di staccarti dalla tua scorta neppure per andare in bagno - replicò a ragazza accennando con la testa a James, Remus e Peter che aspettavano alle sue spalle.
Mentre i due discutevano si era radunata una piccola folla in corridoio. Le schermaglie di Sara White e di Sirius Black erano diventate famose in poco tempo ed assistervi era considerato un privilegio. I ragazzi erano sconcertati che una ragazzina, per di più del primo anno, si permettesse di dire certe cose a Black. Le ragazze erano divise tra l'invidia, in quanto Sirius rivolgeva la parola a Sara seppur per prenderla in giro, e lo shock nel vedere che lei sembrava non sfruttare quella fortuna che metà della popolazione femminile di Hogwarts avrebbe dato qualunque cosa per avere.
- Andiamo, smettetela - intervenne Remus per calmare gli animi. Si chinò per aiutare Sara a raccogliere i libri e disse, rivolto a Sirius – Non vorrai perderti il pranzo per una cosa così sciocca.
Sirius non rispose e si voltò dall'altra parte verso James, ma sentì distintamente che, prima di andarsene con le braccia nuovamente cariche di libri, Sara disse:
- Grazie Remus, tu sei la sola persona come si deve qui in mezzo.
Sì... Sara gli aveva dato parecchio filo da torcere.

 

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Capitolo 5
*** V ***


Per i lettori (aggiornamento 2012): in questa FF mi sono concessa qualche licenza sui tempi, sulla cronologia e, mi dispiace doverlo dire, sulle scienze forensi. Lo so che non si può usare la vernice per simulare il comportamento del sangue, lo so. Concedetemi la licenza letteraria. Buona lettura!
 
V

Il deposito dei reperti era piuttosto grande, ma Parker non ebbe grosse difficoltà a trovare quello che cercava e fu abbastanza rapido da incrociare Sara nell'ascensore, di ritorno dalla caffetteria.
- Pensi che ci vorrà così tanto tempo? - domandò Frank preoccupato osservando le mani di Sara, piene di tazze di caffè.
- E' sempre meglio essere previdenti.
La donna preferiva il caffè del bar a quello che poteva preparare lei stessa nel bricco, quindi quando ne aveva la possibilità scendeva a comprarselo. Era anche un modo per prendere qualche minuto d'aria. Nonostante le finestre artificiali,  a volte trovava il Ministero claustrofobico.
Sara era molto impaziente di esaminare il contenuto della scatola, ma attese di aver raccontato a Frank le sue idee prima di aprirla. Quella scatola conteneva gli ultimi oggetti che Sirius Black aveva toccato prima di essere arrestato e questo, in qualche modo, faceva sentire Sara a disagio.
- Sono colpito... – disse Frank dopo che la donna gli ebbe esposto le sue idee -  Il dito, i vestiti... La tua analisi psicologica mi piace. In effetti, se ne aveva la possibilità, perché ha aspettato così tanto tempo per scappare? Qualcosa deve aver fatto scattare una molla nella sua mente...
- Bè, per ora non lo possiamo sapere - lo interruppe Sara cercando di riportarlo su una strada più pratica e meno teorica - Cominciamo da quello che possiamo verificare - disse appoggiando una mano sul coperchio della scatola.
Si alzarono entrambi in piedi, a Sara sembrava di stare per profanare qualcosa che avrebbe dovuto lasciar perdere. Nonostante ciò fece appello alla sua professionalità e scacciò ogni sentimento, pose entrambe le mani sul coperchio e lo sollevò. Dentro la scatola c'erano varie buste, di diverse dimensioni, tutte fatte di una pesante pergamena giallo scuro e chiuse da un sigillo in ceralacca  con lo stemma del Ministero.
I due sgombrarono la scrivania ed estrassero tutte le buste, disponendole ordinatamente davanti a loro. Indossarono dei guanti e cominciarono ad aprire le più piccole.
Parker aprì la prima e ne estrasse un semplice portafogli di pelle nera. Quella tra le mani di Sara conteneva invece qualche soldo, documenti e... una fotografia. La donna la intravide appena, aprendo la busta, ma le bastò per riconoscerla. Era una foto di lei e Sirius insieme. Si affrettò a chiudere la busta decretando che non conteneva nulla di interessante.
Una terza busta conteneva un pacchetto di sigarette pieno a metà e un accendino, un'altra ancora presentava un braccialetto d'oro con una targhetta con su inciso "Sirius Black".
L'ultima busta era quella dei vestiti. Sara e Frank li estrassero uno ad uno, c'era una giacca di pelle nera, un maglione con il collo a dolce vita anch'esso nero, un paio di jeans e un paio di anfibi neri.
- Hmm, nero di nome e di fatto... - commentò Parker guadagnandosi un'occhiataccia da Sara.
- Allora, sul rapporto non si parla di tracce di sangue. Vediamo se si sono dimenticati di scriverlo o se non ci sono proprio.
Sara si curvò sul tavolo per osservare da vicino la giacca, era l'indumento più esterno, quindi in teoria il più esposto agli schizzi di sangue. Mormorò "Lumos" accendendo la punta della sua bacchetta. Illuminò la giacca centimetro per centimetro sotto la luce. Ad occhio nudo non si vedeva niente. Parker intanto stava esaminando allo stesso modo i jeans.
Sara spense la bacchetta e mormorò un altro incantesimo:
- Sanguis revelio - disse facendo scorrere la bacchetta su tutta la giacca.
Le uniche macchie di sangue che si vedevano erano alcune piccole gocce sul bavero destro. La donna ripeté l'operazione anche sul retro ma non evidenziò nulla. Passò a controllare il maglione, ripeté gli stessi esami e in questo caso trovò una sorta di striscia di sangue che partiva da metà fino ad arrivare al bordo, come se alcune gocce fossero colate lungo le fibre.
Frank intanto aveva evidenziato delle piccole colate di sangue anche sulla gamba destra dei jeans.
- Che ne pensi? - chiese Parker
- E' poco. Io non ho mai provato a far saltare per aria una persona ma ritengo che il sangue dovrebbe essere molto di più.
Frank cercò tra i documenti e trovò un foglio su cui erano riportate le misure.
- Qui dice che Black e Minus erano a tre metri circa l'uno dall'altro. Potremmo fare una prova.
- Se hai voglia di imbrattarti di vernice rossa... Non siamo neppure sicuri che questo sangue sia di Minus. Potrebbe essere di Black, d'altra parte hanno duellato.
Sara prese il maglione nero e lo sistemò all'interno della giacca, poi mise i jeans al di sotto del maglione. Le gocce di sangue, che erano rimaste evidenziate dall'incantesimo, formavano una striscia unica.
- Questi sono segni di gocciolamento - commentò Frank osservando con interesse la composizione degli abiti - Sembra che a Black sia sanguinato il naso.
- Oppure un labbro... Forza. Organizziamo una simulazione.
Parker uscì per primo dall'ufficio, Sara stava per seguirlo quando improvvisamente si ricordò della foto. Si bloccò sulla porta, tornò verso la scrivania, estrasse la foto dalla busta e se la mise in tasca senza guardarla.
- Capo? Non vieni? - chiese Parker affacciandosi in ufficio.
- Sì, arrivo.

*^*^*^*^*
 
Sirius era stufo marcio di restare chiuso a Grimmauld Place. Era sera, Molly e Lily stavano riordinando i piatti della cena, James stava giocando una partita a scacchi con Remus. Sirius prese la decisione all’improvviso, si alzò e si avviò verso l’ingresso della casa ignorando James che gli chiedeva dove stesse andando. Scrisse un frettoloso biglietto che lasciò su una mensola, aprì la porta con la sua bacchetta, quindi si trasformò in cane e uscì chiudendosi la porta alle spalle con una zampata.
Felpato respirò la fresca aria autunnale a pieni polmoni e gli parve che Londra non avesse mai avuto un profumo così buono. Decise di allontanarsi da Grimmauld Place prima che qualcuno si accorgesse che era lì fuori e cercasse di convincerlo a rientrare.
Non aveva una meta, voleva solo fare un giro. Si lasciò guidare dall’istinto e dal fiuto, vagando per le strade di Londra e godendosi appieno quelle poche ore di libertà. Sapeva che quando fosse rientrato si sarebbe preso una lavata di capo da Remus e da Lily. James forse avrebbe capito di più il suo desiderio di evasione, ma loro no. Gli avrebbero detto che era un incosciente, che così rischiava non solo la sua sicurezza ma anche quella dell’Ordine intero, ma in quel momento non era importante. Si sentiva di nuovo vivo, si sentiva come quando ancora era una ragazzo e a Hogwarts sgattaiolava fuori dal dormitorio per andare con i suoi amici a correre nella Foresta Proibita.
Dopo qualche tempo rallentò l’andatura, aveva corso come un pazzo fino a quel momento, ma ora era in una zona più frequentata della città e doveva prestare più attenzione. Si era allontanato parecchio da Grimmauld Place, quasi senza rendersene conto.
Si guardò intorno, era in una strada piuttosto ampia, con negozi di vario genere, ristoranti e caffetterie. Sulla strada principale si aprivano alcune vie secondarie e qualche vicolo cieco. Sirius si infilò in un vicolo particolarmente malconcio e buio per riprendere fiato e riflettere con calma sulla strada da percorrere per rincasare. Si rintanò nell’angolo più scuro e fu allora che si accorse che stava accadendo qualcosa.
A metà del vicolo c’era una cabina telefonica con i vetri rotti e coperta dai grafiti. Sirius la osservò attentamente e ad un certo punto vide un lieve luccichio magico all’interno di essa. Due figure sembravano emergere dal pavimento della cabina, erano chiaramente un uomo e una donna.
I due uscirono dalla cabina e, quando passarono sotto la fioca luce dell’unico lampione sopravvissuto, il cuore di Sirius mancò un colpo.
L’avrebbe riconosciuta d’ovunque, era Sara.
Sara e l’uomo si avviarono per il vicolo e Sirius rimase immobile ad osservarli. Era bella come se la ricordava, anzi era ancora più bella di quando aveva sedici anni. Sirius si sorprese a pensare quanto fosse diventata donna, d’altronde erano passati quindici anni, cosa si aspettava? Chissà chi era quello con lei, forse era un collega, magari era il suo fidanzato.
Quando furono al termine del vicolo Sirius si arrischiò ad avanzare di qualche passo. Il desiderio di avvicinarla, di toccarla, di guardarla negli occhi era insopportabile. Solo la sorpresa di trovarsela davanti così all’improvviso lo trattenne dal fare qualcosa di molto avventato.
Felpato vide che l’uomo era più giovane di Sara, aveva ancora l’aria del ragazzino. Lui disse qualcosa e Sara rise di gusto, inclinando la testa all’indietro.
Nel vedere quella scena Sirius provò una terribile fitta al petto. Anche lui un tempo l’aveva fatta ridere a quel modo. Sara e il ragazzo si allontanarono attraversando la strada e Sirius uscì dal vicolo prendendo la via di casa.
 
*^*^*^*^*
 
Era sera, Sara e Frank avevano impiegato tutto il giorno a preparare la simulazione. Avevano dovuto chiedere il permesso di utilizzare una delle stanze delle vecchie prigioni, cosa che aveva richiesto la compilazione di un mucchio di documenti, quali dichiarazioni di responsabilità e cose del genere. Poi avevano dovuto procurarsi il materiale adatto, cosa non facile visto che avevano bisogno un manichino di forma umana, sangue finto e cose simili. Per fortuna Sara conosceva alcuni negozi babbani che vendevano, maschere, costumi, scherzi per carnevale e che si rivelarono molto utili. In uno di essi trovarono un macabro manichino che rappresentava un cadavere, sembrava vero, il peso e la struttura umana erano molto ben riprodotte. In un altro negozio invece acquistarono due mani finte che Sara aveva intenzione di utilizzare per un’altra prova. Per il sangue acquistarono alcuni litri di vernice rossa.
Tornati al Ministero si era trattato di allestire la simulazione, sostenendo il manichino in modo che stesse in piedi e iniettando al suo interno sei litri di vernice rossa. Avevano dovuto lanciare incantesimi protettivi e rinforzanti ai mobili e alle pareti per non distruggere ogni cosa. Infine avevano dovuto descrivere tutto minuziosamente in una relazione e scattare numerose fotografie.
A fine giornata erano esausti, ma non avevano intenzione di rimandare la simulazione al giorno seguente. Prima di procedere però si concessero una pausa e uscirono per andare da Lucilla a mangiare qualcosa.
Passarono dall’Atrium e uscirono in strada attraverso la cabina telefonica. Mentre camminavano Frank disse:
-          Pensa alla faccia di Caramell se sapesse cosa stiamo facendo. Gli verrebbe un colpo a pensare che stiamo mettendo in discussione un caso chiuso quindici anni fa.
Sara rise al pensiero della faccia paonazza di Caramell e pensò che sarebbe stata una grossa soddisfazione trovare la soluzione a tutti gli interrogativi di questo caso.
Quando arrivarono il locale di Lucilla era piuttosto affollato. Lo era sempre, soprattutto quando fuori faceva così freddo. Era uno dei pochi locali magici in zona e molti vi si ritrovavano per bere qualcosa o anche solo fare quattro chiacchiere.
-          Buonasera! – salutò Lucilla con un grosso sorriso.
-          Vorremmo mangiare qualcosa, è possibile? – chiese Frank con un sorriso altrettanto largo. Al ragazzo piaceva farsi viziare da Lucilla, era un po’ come una zia.
-          Prego accomodatevi!
Frank e Sara si addentrarono tra i tavoli finché non trovarono un  tavolo libero accanto a una parete. Non appena si furono seduti Lucilla andò a prendere le ordinazioni.
-          Cosa vi porto ragazzi?
-          Quello che vuoi tu – disse Sara – Ho piena fiducia nelle tue doti di cuoca.
-          Se si fida lei non posso che fidarmi anch’io – replicò Frank.
Lucilla si allontanò e Frank si abbandonò contro lo schienale della sedia di legno.
-          Allora… dimmi la verità… pensi che abbiano sbagliato?
-          Di cosa parli? – chiese Sara guardando il ragazzo con le sopraciglia sollevate.
-          Andiamo Sara sono sei anni almeno che lavoriamo insieme, credo di conoscerti un po’, se stai facendo tutte queste prove è perché non sei convinta delle conclusioni che sono state tratte.
Sara non era colpita dalla perspicacia di Frank. L’aveva scelto per collaborare a quell’incarico anche per questa sua qualità, ma ora si domandava se non avesse intuito troppo del suo coinvolgimento. Prima o poi avrebbe dovuto raccontargli la verità.
-          Bè… . rispose cautamente - Ci sono dei punti che non mi sono chiari e, come tu ben sai, le cose poco chiare non mi piacciono.
Prima di riprendere a parlare Frank prese un respiro più profondo degli altri e abbassò la voce in modo che nessun’altro nel locale potesse sentire.
-          Quello che sto cercando di chiederti è: tu pensi che Black possa essere innocente?
Sara ebbe un attimo di smarrimento, non sapeva neppure lei che cosa pensava. Cercava di pensare il meno possibile e essere obiettiva al massimo, perché avrebbe desiderato con tutto il cuore che Sirius fosse innocente ma se avesse sperato questo avrebbe finito per distorcere le prove per avallare questa tesi.
Per un attimo fu sul punto di raccontare tutta la storia a Frank, ma poi si trattene e rispose più semplicemente:
-          A questo stadio delle cose non penso né che sia colpevole né che sia innocente. O almeno ci provo. Dobbiamo cercare di guardare il quadro generale con distacco senza farci influenzare da quello che è già stato detto e fatto. Fingi che sia un caso come un altro, in cui non c’è ancora nessun colpevole dietro le sbarre.
-          D’accordo. Però tu non me la racconti giusta.
In quel momento Lucilla arrivò con due piatti stracolmi di una deliziosa pasta al forno e le loro bocche furono del tutto assorbite dal cibo. Sara si compiacque tra sé, Frank stava diventando un ottimo Auror, esattamente l’Auror che lei avrebbe voluto prendesse il suo posto se le fosse successo qualcosa. Non si illudeva di scamparla ancora lungo, i Mangiamorte le avevano già rivoltato la casa come un calzino un paio di volte lasciandole simpatici messaggi di morte, indagava sempre sui casi più spinosi, non ultima l’evasione dei dieci Mangiamorte. Avevano tutto l’interesse a toglierla di mezzo.
Quando ebbero finito la cena, pagarono e tornarono in ufficio. Il sotterraneo che una volta serviva da prigione era buio e freddo, ricordava un po’ il sotterraneo di Hogwarts, ma se possibile era ancora più triste.
-          Allora, pronto? – domandò Sara a Parker mentre si sfilava la giacca e la appendeva ad una parete.
-          Certo!
Erano in una stanza piuttosto grande che era servita un tempo come aula di tribunale secondario, al centro era sistemato il manichino che avevano riempito di vernice rossa, sostenuto in piedi da un incantesimo.
-          Ricontrolliamo le condizioni – disse Sara.
-          Allora, il rapporto dice che Black era a circa tre metri da Minus – disse Frank.
Presero un metro a nastro e misurarono tre metri sul pavimento. Nel punto giusto sistemarono uno sgabello.
-          Poi dice che Black è alto un metro e ottantanove centimetri – continuò Parker
-          Quindi ventidue centimetri in più di me – constatò Sara misurando l’altezza dello sgabello – Questo è troppo alto.
La donna fece un segno sulle gambe dello sgabello che indicava i ventidue centimetri, quindi, con un colpo secco di bacchetta tranciò il legno abbassandolo alla misura giusta.
-          Direi che non c’è altro – concluse Frank.
-          Allora possiamo procedere.
Sara e Parker indossarono due tute di tessuto bianco che li coprivano dalla testa ai piedi, quindi Sara salì sullo sgabello e puntò la bacchetta verso il petto del manichino. Parker scattò una foto della donna in posizione, quindi si allontanò di qualche passo.
-          Pronto? – domandò la donna.
-          Quando vuoi…
Sara si concentrò, prese un respiro profondo, quindi scagliò lo stesso incantesimo con cui Black aveva fatto saltare in aria una strada. La stanza si riempì di un’abbagliante luce gialla, il pavimento e le pareti tremarono, si sentì un boato assordante e una forte esplosione.
Poi la quiete. La stanza era piena di fumo denso e scuro.
Frank era stato sbalzato contro la parete dalla violenza del colpo. Per prima cosa andò ad aprire la porta per far uscire il fumo, quindi si avvicinò a Sara che stava distesa a terra anch’essa sbalzata dal suo stesso incantesimo.
-          Caspita! – le disse.
-          Caspita – ripeté lei rialzandosi in piedi – Guardami! Ti pare che i miei vestiti siano nelle stesse condizioni di quelli di Black?
-          Ehm, no – rispose Frank osservando il suo capo imbrattato da capo a piedi di vernice rossa.
Parker prese la macchina fotografica che aveva appesa al collo e scattò varie foto a Sara, davanti, dietro, di lato, poi passò a fotografare la scena. Il manichino era ridotto a una poltiglia piuttosto indistinta. Tutto intorno a quello che era stato il fantoccio c’era letteralmente un lago di vernice vermiglia.
Sara e Frank registrarono ogni cosa, fotografarono, scrissero la relazione più minuziosamente possibile e conservarono tutto quello che avevano utilizzato in buste sigillate e catalogate, non volevano che la simulazione fosse annullata in tribunale. Poi riordinarono il sotterraneo e si sedettero al tavolo che c’era contro una parete.
Era circa l’una di notte.
Sara prese dalla borsa il suo pacchetto di sigarette e ne accese una.
-          Ci voleva una sigaretta – commentò mentre espirava la prima boccata.
-          Se lo dici tu… - Parker disapprovava il vizio di Sara - Dunque, cosa abbiamo concluso? – chiese cambiando discorso.
-          Abbiamo concluso che sui vestiti di Black c’è troppo poco sangue. E questo significa che o non è stato Black a far saltare per aria Minus…
-          …o Minus non è affatto saltato in aria.
 
*^*^*^*^*
 
Quando Sirius rientrò a Grimmauld Place trovò, come aveva previsto, Lily e Remus in allarme. Quello che non aveva previsto era l’assalto della signora Weasley e di suo marito. Appena entrato nella cucina fu assalito da tutti quanti che si misero a strillare contemporaneamente.
-          Basta! – urlò ad un tratto – Lo so, sono stato un pazzo, un incosciente, sono stato irriguardoso, irresponsabile e tutto il resto. Non c’è bisogno che mi facciate la predica.
Detto questo sparì nella sua stanza e si sedette sul davanzale della finestra, come faceva anche da ragazzo quando voleva riflettere su qualcosa.
Vedere Sara era quello che desiderava di più da quando era evaso, ma ora che l’aveva vista non sapeva neppure cosa provava. Era stato insieme bellissimo e terribile averla lì a un passo e non poterle parlare, non poterla toccare, abbracciare. Le era sembrata tranquilla, serena, neanche lontanamente sconvolta quanto lo era lui.
Forse era uno sciocco, un illuso. Non doveva farsi speranze che sarebbero state senza dubbio disattese. Sara aveva la sua vita e lui non c’entrava più nulla.   

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Capitolo 6
*** VI ***


Per i lettori (precedente edizione): innanzi tutto mi scuso per la lunga attesa per l’aggiornamento. Ringrazio tutti coloro che commentano e che inseriscono la mia FF fra i preferiti, grazie anche a tutti coloro che leggono anche senza lasciare traccia del loro passaggio. Mi auguro che questo nuovo capitolo sia di vostro gradimento!
Buona Lettura!
 
VI
 
Sara era finalmente a casa. Come ogni volta, prima di abbassare la guardia, controllò che non ci fossero segni di effrazione e che tutto fosse a posto. Erano anni che non riusciva a dormire profondamente, aveva sempre un orecchio teso a captare suoni sospetti e la mano sotto il cuscino stretta sulla bacchetta.
Tolse le scarpe e la giacca, che abbandonò sul divano del salotto, e andò in cucina a prepararsi qualcosa da mangiare.
L’appartamento di Sara era composto da un ampio salotto arredato con comodi divani, tappeti e cuscini; la cucina, posta sulla sinistra, aveva un grande tavolo rotondo al centro e dei pensili in legno chiaro occupavano due delle quattro pareti. Alla destra del salotto invece c’erano il bagno, un piccolo ripostiglio e tre stanze da letto. Una delle camere era riservata a Raymond, il figlio di Rebecca, che di tanto in tanto passava qualche giorno con lei. La seconda stanza era occupata da Sara, mentre la terza, inutilizzata da anni, era diventata una specie di deposito.
L’appartamento era lo stesso che aveva affittato con Rebecca quando se ne era andata da casa. Rebecca e Trisha, la loro coinquilina, erano diventate la famiglia di Sara dal momento che la sua famiglia d’origine, da quando se ne era andata, si era completamente disinteressata di lei.
Sara non avrebbe mai dimenticato la reazione di sua madre Eleanor quando le aveva comunicato che sarebbe andata frequentare l’Accademia degli Auror. Sulle prime la donna non aveva compreso il vero senso dell’affermazione, poi, quando Sara le aveva spiegato in che cosa consisteva il lavoro era scoppiato un pandemonio.
-          Che cosa vorresti fare?! Vorresti diventare una specie di poliziotta? E che cosa ne sarà del nome della nostra famiglia?! Non ti sembra già abbastanza il fatto che ti abbia permesso di frequentare quella specie di scuola per fattucchiere! – aveva cominciato a strillare Eleanor, con i capelli generalmente perfetti che sfuggivano dall’elaborata acconciatura.
Grace e Derek, che erano nelle loro stanze, erano usciti precipitosamente per godersi lo spettacolo che si svolgeva al piano di sotto, nello studio della madre.
-          Ma mamma, non sarei “una specie di poliziotta”! – aveva cercato di spiegare Sara – Nel mondo magico essere Auror viene considerato un onore. Sono davvero pochi quelli che riescono a superare le selezioni per l’Accademia.
-          Non mi hai neppure consultata prima di fare l’esame di ammissione! Non se ne parla. Non ho intenzione di pagare per mantenerti altri tre anni mentre studi chissà quale diavoleria.
-          Bene – aveva gridato Sara ancora più forte di sua madre – Bene! Se è così, non dovrai mantenermi affatto! Me ne vado! Mi pagherò gli studi da sola!
Era uscita sbattendo la porta ed era scappata a casa di Rebecca. Quando aveva realizzato cosa aveva detto sull’onda della rabbia, in parte si era pentita. Come avrebbe fatto a mantenersi agli studi? In parte però si era sentita libera come mai in vita sua.
Suo padre, quando aveva saputo, aveva provato a ricondurla alla ragione e a convincerla a tornare a casa, ma ben presto si era reso conto che non ci sarebbe riuscito, così aveva aiutato Sara come aveva potuto, passandole qualche soldo di tanto in tanto, di nascosto dalla moglie.
Sara era grata a Gerald, gli voleva molto bene ma non poteva dire di avere un vero rapporto con lui. Era sempre stato assente e troppo preso dal lavoro. In questo si assomigliavano molto: il lavoro prima di tutto.
La pasta che aveva riscaldato al microonde ormai era pronta, prese il piatto e si trasferì in salotto. Si sedette sul suo divano preferito e accese la televisione; non che avesse realmente intenzione di seguire un programma ma sentire delle voci le teneva compagnia. Sedendosi, Sara udì un suono cartaceo provenire dal retro dei suoi jeans e improvvisamente ricordò della foto che era ancora nella sua tasca, la estrasse dai pantaloni e la guardò a lungo.
Ritraeva lei e Sirius, mano nella mano, nel giardino della casa di James e Lily. Era stata scattata il giorno del battesimo di Harry.  Guardando Sirius che le sorrideva con affetto, ricordò quel momento e le parve che facesse parte della vita di qualcun altro. Cercava sempre di non pensare a quel periodo meraviglioso per evitare che la nostalgia prendesse il sopravvento, ma quella sera fece un’eccezione e per la prima volta da quando quella storia era iniziata, si concesse di piangere.
 
*^*^*^*^*
 
Quando era rientrato dalla sua scappatella, Sirius aveva sperato di scamparsela rifugiandosi nella sua stanza, ma aveva fatto male i suoi conti. Ben presto era arrivato James per vedere come stava, poco dopo li raggiunse Lily e in fine arrivò anche Remus.
Fortunatamente i tre conoscevano Sirius abbastanza da sapere che non amava subire rimproveri troppo prolungati, così, dopo avergli detto quanto pensavano fosse stato incosciente e stupido, avevano sviato la conversazione su un argomento più neutro. Avevano iniziato a parlare di Harry.
Sirius, come spesso faceva, era appoggiato al davanzale della finestra, Lily aveva preso posto sul letto, mentre James e Remus erano seduti su due sedie accanto al caminetto.
-          Mi dispiace che Harry sia rimasto qui così poco… ma d’altronde era giusto che tornasse a scuola – stava dicendo la donna.
-          Fa uno strano effetto – continuò suo marito – fino a poco fa era un bambino di un anno e ora davanti ai miei occhi c’è un ragazzo di quindici anni che ne ha passate di tutti i colori. Non so neppure che cosa dirgli, mi sembra molto più adulto di me.
-          Senza dubbio ha dovuto crescere in fretta, ha incontrato nella sua vita molte più difficoltà di qualunque quindicenne normale, ha già incontrato Voldemort quattro volte ed è sopravvissuto quattro volte. Sono cose che segnerebbero chiunque – replicò Remus.
-          Harry è forte – disse Sirius – E’ una delle persone più forti e coraggiose che abbia mai conosciuto. E’ forte come te, James. Ma meno irresponsabile – concluse sorridendo.
-          Grazie della considerazione, amico mio! – esclamò James ridendo.
-          Voi l’avete conosciuto molto più di noi, perché non ci raccontate qualcosa – propose Lily con uno sguardo che anelava informazioni su suo figlio.
-          Bè, io l’ho avuto come studente per un anno – iniziò Remus – Non dico che sia uno stinco di santo ma ha dimostrato di essere molto maturo per la sua età. Ha affrontato i dissennatori con grande tenacia. Ama il Quidditch proprio come te – disse rivolto a James.
-          Mio figlio non avrebbe potuto essere altro che un grande Cercatore! Quante volte hanno già vinto la coppa?
-          Soltanto al terzo anno – rispose Remus – Ma al secondo anno è stata sospesa, mi hanno detto, e al primo anno Harry non ha potuto partecipare all’ultima partita. In compenso – proseguì l’uomo per lenire la delusione di James – da quando Harry è arrivato a Hogwarts Grifondoro non ha più perso la Coppa delle Case neppure una volta.
-          Uomini! – esclamò Lily irritata – Sempre a parlare di sport, di punti, di trofei! Io preferirei sapere cose più sostanziali su mio figlio, piuttosto che sapere la sua media di punteggio a Quidditch!
-          A proposito Sirius, ottima idea regalargli quella scopa! – disse James incurante del rimprovero di Lily.
Sirius rise, ma non replicò. Rispose invece a Lily:
-          Che ti posso dire? E’ sopravvissuto a dieci anni con i Dursley e credo che valgano come tredici anni ad Azkaban. Riesce a condurre una vita normale, per quanto possibile, anche se l’opinione pubblica oscilla tra il considerarlo un eroe predestinato e un pazzo furioso. Ha visto risorgere Voldemort senza dare di matto e questo è molto più di quanto potessimo pretendere da lui. Ha saputo scegliere molto bene i suoi amici, Hermione e Ron sono eccezionali e fuori dal comune quasi quanto lui. Che altro vuoi sapere?
-          Per ora posso ritenermi soddisfatta – rispose Lily concedendo un ampio sorriso.
-          Che fine ha fatto la Mappa del Malandrino? – chiese James ad un tratto.
-          Ce l’ha Harry – rispose Remus con un sorrisetto enigmatico – Gliel’hanno data George e Fred al terzo anno. Una volta Piton gliel’ha trovata nelle tasche. Funziona ancora piuttosto bene, l’ha insultato come non mai quando ha provato ad usarla.
I quattro scoppiarono in una sonora risata, prima di ricordare che era notte inoltrata e il resto degli abitanti della casa stava dormendo profondamente da ore. Era bello stare così a parlare. Sirius avrebbe voluto che non finisse mai. Ma questi momenti erano sempre velati dalla consapevolezza che non sarebbe durata e che prima o dopo avrebbero dovuto di nuovo dirsi addio. Sirius sperava solo, quando il momento sarebbe giunto, di aver trovato la forza sufficiente per andare avanti.
 
*^*^*^*^*
 
Sara aprì lentamente gli occhi. La luce del mattino filtrava dalle imposte e illuminava il salotto dell’appartamento. Si era appisolata sul divano, stringendo la fotografia in una mano. Guardò l’orologio: le sei e trenta.
La donna appoggiò la fotografia sul basso tavolino di fronte al divano e si alzò stiracchiandosi. Era ora di tornare al lavoro. Una doccia calda e un cambio d’abiti le diedero nuovo vigore. Una tazza di caffè bollente completò l’opera.
Mentre si dirigeva verso il garage dove aveva parcheggiato la sua auto, pensava a come la sua vita fosse uguale da circa dieci anni. Casa, lavoro, casa. Nulla di più. A volte si stupiva lei stessa del fatto che non si fosse ancora stufata, ma fare l’Auror le piaceva troppo per rinunciarci. Trovava esaltante avere una nuova sfida ad ogni caso, amava poter assicurarsi che giustizia fosse fatta. Almeno nella maggior parte dei casi era così.
Trattare il caso di Sirius con freddezza le costava sempre più sforzo, ma ne poteva valere la pena. La rivelazione della sera prima continuava a ronzarle in testa e non riusciva a trovare una spiegazione: o Black non aveva ucciso Minus (e a pensare questo il suo cuore batteva più forte ogni volta) o Minus non era affatto saltato per aria. E questo era assurdo, se non era saltato per aria che fine aveva fatto? Come spiegare il suo dito mozzato?
Il traffico del mattino era congestionato come ogni giorno. Per andare in giro in auto Londra era sicuramente meglio di notte. Per fortuna Sara conosceva il meccanico del Ministero, colui che curava le auto ministeriali, ed era riuscita a convincerlo ad apportare alcune modifiche alla sua macchina, in modo che riuscisse a districarsi rapidamente dagli ingorghi. Nonostante abitasse piuttosto lontano, la donna raggiunse il Ministero in un quarto d’ora.
Era ancora presto, ma il Ministero era già pieno di maghi che andavano e venivano. In quel periodo tutti erano carichi di lavoro extra. Quando raggiunse il Dipartimento, Sara si diresse per prima cosa verso il cubicolo di Frank, ma il ragazzo non era ancora arrivato, d’altronde era stata lei a dirgli di arrivare più tardi.
Sara era impaziente di effettuare la seconda simulazione che si era prefissa, voleva far saltare in aria una delle due mani finte che avevano acquistato il giorno precedente mentre con l’altra aveva intenzione di tagliare con un incantesimo soltanto il dito indice. Certo il confronto con le foto poteva essere ritenuto discutibile in tribunale, ma valeva la pena tentare.
Per fare questo però aveva bisogno di un testimone, doveva aspettare Frank.
Mentre aspettava, estrasse il fascicolo in cui erano raccolte le fotografie della scena del delitto. C’era una foto del punto in cui si trovava Black, ritraeva uno scorcio di strada quasi del tutto immobile, se non fosse stato per qualche foglia secca che svolazzava in secondo piano. La seconda foto invece ritraeva il punto in cui si trovava Minus, lì c’era una chiazza di sangue attorno al dito mozzato e alcune gocce di sangue più piccole che sembravano allontanarsi dalla chiazza più grande. Avevano una strana forma, vagamente allungata, ma Sara non avrebbe saputo identificarla meglio. Le piccole gocce di sangue proseguivano sull’asfalto fino a perdersi nei pressi di un tombino.
La donna mise da parte la fotografia e guardò l’orologio, erano quasi le otto, Parker sarebbe arrivato  a momenti. Aprì il primo cassetto della scrivania e estrasse un posacenere e un pacchetto di sigarette aperto, ne estrasse una e se la portò alla bocca. Mentre sollevava la bacchetta per accendere la sigaretta lo sguardo si posò nuovamente sulla fotografia. Sara, per un attimo, fissò intensamente l’immagine poi si riscosse e la sigaretta quasi le cadde dalle labbra. Come aveva potuto essere così cieca?
Estrasse in fretta e furia le fotografie che lei e Parker avevano scattato durante la simulazione e trovò quello che cercava: la foto che ritraeva la zona in cui avevano sistemato il manichino. Il pavimento della stanza era coperto da un lago di vernice rossa, gli schizzi erano arrivati addirittura alla parete della sala che si trovava a parecchi metri di distanza. Nulla a che fare con l’esigua chiazza di sangue della foto della scena del crimine.
Questo avallava sicuramente la tesi secondo cui Minus non era saltato in aria. Non poteva essere che così, a meno che qualcuno non si fosse preso la briga di ripulire la scena prima dell’arrivo dei soccorritori, ma la cosa pareva poco probabile. Se così fosse stato perché lasciare quelle macchie? Non avrebbe avuto senso.
Ma se Minus non era saltato per aria, com’era morto, dove era finito il suo corpo?
Era morto davvero?
Il cuore di Sara le martellava in petto. Se Minus non era morto allora… non aveva neppure il coraggio di pensarlo.
In quel momento Frank entrò nell’ufficio, ignaro delle ultime rivelazioni, salutò allegramente:
-          Ciao Capo! – poi quando vide la faccia sconvolta di Sara chiese – Tutto bene?
La donna non rispose, deglutì ripetutamente e si limitò a guardarlo con gli occhi sgranati indicando le fotografie sparse davanti a lei. Impiegò qualche istante a riorganizzare le idee e a riprendere una salivazione che le consentisse di spiegare. Quando cominciò a parlare, Parker la ascoltò con estrema attenzione restando anche lui sconcertato dalla conferma dei loro sospetti.
Il ragazzo esitò un po’ prima di parlare a sua volta:
-          Sara… ma tu credi… insomma pensi che sia possibile… che… sì, insomma… che Black possa essere… possa essere innocente?
La risposta di Sara cercò di essere il più possibile cauta, ma non poté esimersi dal rispondere:
-          Alla luce di tutto questo… potrebbe… anche essere…
-          E adesso che facciamo?
-          Non siamo precipitosi. Ci sono ancora un sacco di domande senza risposta. Andiamo avanti come avevamo programmato. Innanzitutto facciamo la prova delle mani.
Sara e Frank andarono nuovamente nei sotterranei armati di mani finte, vernice rossa e tutto l’occorrente. Scrissero l’ennesima relazione e scattarono foto su foto, dopo di che procedettero: fecero saltare in aria una delle due mani finte con lo stesso incantesimo della sera precedente. Ne restò veramente poco, niente più di una poltiglia indistinta con qualche brandello più grande. Con la seconda mano invece, Sara eseguì un incantesimo di taglio, il più semplice che conoscesse, indirizzando la bacchetta alla base del dito indice. Il dito si staccò in modo netto, senza arrecare altri danni alla mano.
Frank cercò tra le foto della scena del delitto e trovò quella che riportava il dito di Minus, il tipo di taglio, netto, preciso, quasi chirurgico, era simile in modo quasi inquietante.
-          Questo cosa può significare? – chiese Parker.
Erano seduti al tavolo, nella sala dei sotterranei dove avevano lavorato la sera prima. Sara rifletteva intensamente, gli occhi che saettavano tra i documenti e le fotografie. Possibile che nessuno si fosse accorto di queste incongruenze? Oppure si stava ingannando clamorosamente?
-          Ho solo una vaga idea di quello che potrebbe significare. Ci mancano troppi elementi, procediamo con ordine – propose Sara -  C’è una cosa che non sai – aggiunse poi cautamente - ma mi raccomando, è la più confidenziale tra tutte le informazioni che ti ho detto – rilfettè ancora un attimo, poi si risolse a parlare – Sirius Black era il Custode Segreto dei Potter.
-          Che cosa?!?! – strillò Frank.
-          Shhh! Vuoi farti sentire da tutto il Ministero – sibilò Sara inferocita – Sì, è così. James Potter e Sirius Black erano grandi amici e Black era il loro Custode Segreto. Anche Minus era un amico dei Potter. Fino ad ora si è sempre pensato che Black avesse tradito i Potter, consegnandoli a Voldemort e che Minus, a conoscenza dell’Incanto Fidelius, fosse andato in cerca di Black per vendicarli. Ma da quello che abbiamo trovato si direbbe che Minus non sia affatto morto. Non in quel momento almeno. Dov’è il corpo? E il sangue?
-          Tu come le sai queste cose? – chiese Frank impressionato e perplesso al tempo stesso.
-          Non ti preoccupare, ho le mie fonti. Tu che ne pensi?
-          Penso che il dito sembra stato messo lì apposta per farci credere che Black abbia ucciso Minus. Però non capisco… se Black era il Custode Segreto dei Potter e se non ha ucciso Minus, significa che non è stato lui a consegnarli a Voldemort. Ma allora chi è stato? Come può qualcuno aver aggirato l’Incanto Fidelius? E Minus che fine ha fatto?
-          Questo non lo so, ma prova ad immaginare la scena. E’ notte, i Potter sono appena stati assassinati da Voldemort e il piccolo Harry ha appena compiuto il miracolo di respingere la Maledizione Senza Perdono. Supponiamo che Black non li abbia consegnati a Voldemort, però ha saputo che è successo qualcosa ed è andato a Godric’s Hollow a controllare. Cosa può aver trovato?
-          La casa distrutta, i suoi amici morti – proseguì Frank – Doveva essere sconvolto. Ma Minus come entra in questa storia?
-          Anche lui è amico dei Potter, forse è lì anche lui per vedere se può fare qualcosa. E’ a conoscenza dell’Incanto Fidelius, è convinto che Black li abbia traditi e vuole vendicarli.
-          Ma allora le cose sarebbero andate come abbiamo sempre pensato e Minus sarebbe morto davvero. Potrebbe aver finto la sua morte per fuggire, perché era spaventato? – suggerì Parker.
-          Potrebbe essere, ma la cosa non mi convince – rispose Sara scettica – Se fosse stato per paura perché restare nascosto? Una volta arrestato Black il pericolo per lui non sussisteva più. No, ci deve essere qualcos’altro.
-          Se i Potter erano protetti da un Custode Segreto e Black non li ha consegnati deve averlo fatto qualcun altro. Ma chi? Nessuno a parte il Custode designato poteva rivelare il luogo in cui erano nascosti. A meno che…
-          A meno che non fosse Black il Custode – completò Sara.
-          Pensi che avrebbe potuto essere Minus? – chiese Frank perplesso.
-          Era un amico dei Potter anche lui…
-          Ma la tua “fonte” ti ha detto che il Custode era Black – replicò Parker con una punta di sarcasmo – A proposito, posso sapere di chi si tratta?
-          No.
-          Ti prego… - cantilenò il ragazzo.
-          Se lo dici a qualcuno ti stermino la famiglia – minacciò la donna.
-          Sarò una tomba, avanti chi è?
-          Silente.
-          Hai parlato con Silente? Quando? Perché non me l’hai detto? – domandò il Parker fingendosi offeso.
-          Ci sono andata qualche giorno fa. Non te l’ho detto perché speravo di non dover usare queste informazioni. D’altra parte Silente conosceva bene i Potter e anche Black. Speravo potesse dirmi qualcosa che non sapevo e così è stato – confessò Sara.
-          Potrebbe essersi sbagliato?
-          Non saprei, i Potter potrebbero aver deciso di cambiare Custode senza dire niente a nessuno per maggiore segretezza. In quegli anni la paura più grande derivava dall’impossibilità di fidarsi di chiunque. Può darsi che avessero deciso di non comunicare a Silente la loro decisione.
-          Se il Custode Segreto dei Potter era Minus allora le parti erano invertite! – esclamò Parker.
-          Proprio così… Minus ha tradito i Potter, Black che sapeva che era lui il nuovo Custode è andato a cercarlo e…
-          E Minus si è finto morto per fuggire – completò il ragazzo.
-          E ha fatto saltare in aria una strada intera per incolpare Black – concluse Sara.
Entrambi rimasero in silenzio per un po’. Sara sentiva questa nuova consapevolezza schiacciarla come se avesse un peso sulle spalle. Era una storia assurda, ma quadrava tutto. Quasi tutto. Prima di potersi fermare a riflettere troppo a lungo, disse:
-          Mi sembra una teoria alquanto campata per aria.
-          Già, non abbiamo uno straccio di prova, se non degli indizi che ci dicono che Minus potrebbe non essere morto come abbiamo sempre creduto.
-          Forse abbiamo lavorato troppo di fantasia.
Sara però non ne era così convinta. L’aveva detto per smorzare gli entusiasmi, per ritornare con i piedi per terra e per farci tornare anche Frank. Questa teoria però aveva un senso. Sirius non avrebbe potuto tradire Lily e James, non avrebbe mai messo in pericolo Harry e in fondo Sara l’aveva sempre saputo.
Di certo Voldemort avrebbe cercato Sirius non Peter. Peter era sempre stato il più debole del gruppo, non era certo un segreto, e Voldemort avrebbe pensato che il Custode fosse Sirius. Potevano aver deciso di scambiare i Custodi all’ultimo momento, senza dirlo neppure a Silente. Avrebbe potuto essere un piano geniale.
Ma Peter avrebbe tradito davvero gli amici che lo avevano protetto per anni a scuola e anche dopo? Forse sì, d’altronde lei stessa aveva appena sostenuto che Peter era debole.
Tutto questo però Frank non lo doveva sapere. Gli aveva rivelato già anche troppo.
-          Ci servono delle prove – disse infine – Che confermino o che smentiscano non importa, ma ci serve qualcosa di concreto su cui lavorare.
-          E dopo quindici anni dove le cerchiamo le prove? – chiese Frank
-          Possiamo cercare di capire che cosa ha spinto Black alla fuga innanzi tutto.
-          E come suggerisci di fare?
-          Un prigioniero come Black, tenuto sotto stretta sorveglianza, non ha molti stimoli esterni. Cerchiamo di capire se ad Azkaban è successo qualcosa nei giorni immediatamente precedenti alla sua evasione, qualcosa che avrebbe potuto spingerlo alla fuga.    
 
 
 

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Capitolo 7
*** VII ***


Per i lettor (precedente edizione): innanzi tutto, ben ritrovati! Per farmi perdonare per la lunga attesa ho preparato un capitolo piuttosto lungo. Vi chiedo scusa se gli aggiornamenti non sono più frequenti come all’inizio, ma ho ricominciato a preparare gli esami per l’università e ho decisamente meno tempo.
Spero che il nuovo capitolo sia di vostro gradimento! Leggete e commentate!
Buona Lettura!!!
 
VII
 
L’attività di Sara divenne frenetica. Aveva il bisogno quasi fisico di risolvere quel mistero. Non ne poteva più di dubbi, di supposizioni, voleva delle certezze, ma trovare delle certezze quando quasi tutti i protagonisti di questa storia erano scomparsi era un’impresa ardua.
Lei e Frank Parker erano seduti nella sua auto e sfrecciavano a velocità piuttosto sostenuta alla volta di Azkaban, purtroppo l’unico posto in cui trovare informazioni su quello che avveniva in prigione era la prigione stessa.
Sara aveva lavorato spesso ad Azkaban, quando era recluta era stata tra le prime ad essere mandata a fare le ispezioni di rito al carcere. Per le reclute era una sorta di prova di iniziazione, se riuscivano a reggere ad Azkaban potevano dirsi sufficientemente forti da reggere anche a tutto il resto.
In seguito le era capitato spesso di doverci andare per interrogare i prigionieri e infine aveva indagato sull’evasione di Black e su quella dei dieci Mangiamorte. Ogni volta che le era capitato di doversi recare ad Azkaban non aveva potuto fare a meno di pensare che Sirius era lì o c’era stato. Le prime volte era stato terribile sapere di essere nello stesso edificio in cui c’era lui, poi poco alla volta era riuscita ad anestetizzarsi, sia verso questo pensiero terribile, sia verso i Dissennatori. Per lei il Sirius Black rinchiuso dietro le sbarre era una persona completamente diversa da quella che aveva conosciuto, per cui bastava fingere che si trattasse solo di un caso di omonimia.   
Mentre uscivano dalla città e si addentravano nella campagna, Sara e Frank stavano in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. In quei giorni, quando Sara lasciava la mente libera di vagare, finiva sempre a rievocare i ricordi degli anni in cui era stata con Sirius, gli anni della sua amicizia con Lily, gli anni di Hogwarts.
Il suo rapporto con Sirius all’inizio era stato piuttosto controverso, dire che non si trovavano simpatici era riduttivo e le cose erano andate sempre peggiorando man mano che la frequentazione era proseguita. Sara ricordava bene l’ultimo periodo, quando aveva saputo che Lily e James si sarebbero sposati.
Era maggio e ad Hogwarts incominciavano a vedersi i primi scorci d’estate. Sara stava finendo il quarto anno e gli esami erano sempre più vicini, così invece di godersi la bella giornata era rinchiusa nella Sala Comune di Grifondoro, china su un enorme tomo di Trasfigurazione. Come al solito aveva occupato il suo tavolo preferito, accanto a una delle grosse finestre. La luce si rifletteva invitante sulle pagine di pergamena del libro, ma non doveva farsi distrarre, era rimasta molto indietro con Trasfigurazione.
Ad un tratto un ombra si fermò sul suo libro e Sara fu costretta ad alzare gli occhi verso la finestra per vedere cosa l’avesse provocata. Un ampio sorriso si aprì sul suo volto quando vide, dall’altra parte del vetro, un grosso gufo bruno con una busta legata alla zampa.
-          Frullo! – esclamò alzandosi per andare ad aprire la finestra.
Frullo era il gufo di Lily, Sara lo fece posare sulla spalliera della sua sedia, mentre la sua amica Rebecca, seduta poco distante, lo guardava con aria di scarsa approvazione. Rebecca non amava molto gli animali, soprattutto quelli dotati di piume. La busta che Frullo aveva portato era piuttosto spessa e aveva l’aria di contenere un sacco di informazioni interessanti, così Sara decise che la Professoressa McGrannitt non l’avrebbe bocciata solo per essersi presa una breve pausa.
Dopo aver slegato la busta, prese nuovamente posto sulla sedia e aprì l’involucro di pergamena. Dentro trovò altre due buste: una di semplice pergamena da lettere e l’altra di una raffinata pergamena azzurra decorata con fili argentati.
Sara sorrise, sospettando il contenuto della busta azzurra. Dagli accenni che Lily si era lasciata sfuggire nelle lettere precedenti poteva trattarsi solo di una cosa, ma prima di rovinarsi la sorpresa prese l’altra busta. Su di essa vi era scritto “Apri prima la busta azzurra”. La ragazza obbedì e all’interno trovò un cartoncino azzurro con gli stessi decori argentati che diceva:
 
Lily Evans e James Potter
sono lieti di annunciare il loro matrimonio
che si terrà il giorno 10 Giugno
presso la Chiesa di Saint Paul a Londra
alle ore 10.30.
Di seguito alla cerimonia si terrà un piccolo ricevimento.
 
Sara rise tra se, non poteva fare a meno di pensare che, quando aveva conosciuto Lily, lei non poteva sopportare James e ora stava per sposarlo. Era felice per la sua amica, stava per iniziare una nuova vita e da quando stava con James l’aveva vista serena e tranquilla come non mai. Sentiva molto la mancanza della sua amica e temeva che sposandosi la loro corrispondenza sarebbe diventata meno assidua, così come i loro incontri, ma non era il caso di preoccuparsi prima del tempo.
Sara aprì la seconda busta e si sistemò contro lo schienale della sedia, preparandosi a leggere quella che sperava fosse una lunga lettera.
 
 
Cara Sara,
Sorpresa!
Ma credo che tu non sarai poi così sorpresa dalla notizia, dopo tutto mi ero già lasciata sfuggire qualcosa. Sono davvero felice! Non puoi neanche immaginare quanto! Non vedo l’ora che sia il dieci di giugno! E tu ci devi assolutamente essere!!!
Io e Jamie abbiamo già parlato con Silente e mi pare propenso ad accordarti il permesso di lasciare la scuola per un giorno. Davvero non posso sposarmi senza la mia migliore amica.
Forse la nostra decisione può apparire avventata, i miei genitori non sono particolarmente d’accordo, ma non voglio passare neppure un attimo senza James, non in questo momento in cui potremmo essere attaccati ad ogni istante.
Se dobbiamo affrontare qualche terribile destino, vogliamo affrontarlo insieme. E quale modo migliore di realizzare questo proposito che  sposarsi?
So che tu capirai e che non mi giudicherai troppo duramente.
Ora passiamo ad argomenti più allegri. Manca così poco al matrimonio e devo fare ancora così tante cose. Se non sbaglio il prossimo fine settimana avrete libera uscita a Hogsmeade. Se venissi al villaggio, mi aiuteresti a sbrigare alcune commissioni? Mi piacerebbe passare una giornata con te. Ti prego non dire di no!
Aspetto la tua risposta prestissimo! Frullo ha ordine di attendere la risposta e di beccarti a morte se non risponderai immediatamente! Per cui fai attenzione!
Fidanzatissimamente tua
Lily
 
Sara scosse la testa continuando a sorridere, come aveva fatto per tutto il tempo in cui aveva letto. Non perse tempo, afferrò una pergamena e cominciò a scrivere la risposta.
 
Cara Lily,
CONGRATULAZIONI!
Sono davvero felice per te, benché il tuo stato mentale mi preoccupi un po’. Jamie? Da quando chiami James Jamie? E soprattutto da quando James Potter accetta di farsi chiamare Jamie?
Inoltre mi inquieta leggermente questo abuso di punti esclamativi. E’ un effetto del fidanzamento?
A parte gli scherzi, sono davvero contenta per te, per voi.
Avevo deciso di rimanere a scuola a studiare sabato, ma per il tuo matrimonio posso fare un’eccezione. So che non hai idea di che cosa sia l’organizzazione.
Ci vediamo davanti a Mielandia alle nove, d’accordo?
Un bacio a te e un abbraccio a Jamie!
Sara
 
La ragazza piegò la lettera in quattro e la legò alla zampa di Frullo.
-          Mi raccomando, consegnala in fretta alla tua padrona, altrimenti penserà che non le ho risposto subito – disse Sara accarezzando Frullo sulla testa. Quindi fece posare il gufo sul braccio e lo accompagnò alla finestra. Il gufo la guardò stringendo gli occhi, poi spiccò il volo.
-          Di chi era la lettera? – domandò Rebecca alzando la testa dagli appunti di Incantesimi.
-          E’ di Lily – rispose Sara avvicinandosi all’amica – Indovina un po’ – continuò poi sventolandole il cartoncino azzurro davanti agli occhi – Lily e James si sposano!
-          Ma dai? – rispose Bex facendo un piccolo balzo sulla sedia – E dire che sembravano non sopportarsi!
-          Eh già, e invece… Ascolta – disse Sara con più serietà – so che avevamo deciso di restare a studiare invece di andare a Hogsmeade, ma Lily mi ha chiesto di accompagnarla al villaggio per fare alcune commissioni per il matrimonio. Ti dispiace se vado?
-          Oh… bè, no. Vai pure – rispose Rebecca lievemente delusa – Chiederò a Bob. Se va al villaggio andrò con lui, se resta a studiare potrei farmi dare una mano.
-          Sei sicura che non sia un problema? – chiese ancora Sara.
-          Vai tranquilla, non c’è problema – replicò Bex questa volta sorridendo apertamente.
Sara aveva spesso l’impressione che Bex fosse un po’ gelosa di Lily. Sara e Rebecca erano state in camera insieme fin dal primo anno, ma avevano legato di più all’inizio del terzo anno, quando Lily aveva già finito gli studi e aveva lasciato Hogwarts. Sara aveva raccontato spesso di Lily alla sua nuova amica, ma aveva deciso di smettere quando aveva avuto l’impressione che le desse fastidio.
Bob invece era una specie di fidanzato di Rebecca. In realtà la cosa non era molto chiara, si prendevano e si mollavano con una certa facilità, attraversavano dei periodi di amore incondizionato e dei periodi in cui quasi non si parlavano. Sara aveva smesso da tempo di cercare di capirci qualcosa, lasciava che l’amica facesse quello che voleva del suo tempo e della sua vita.
Quel giorno Sara si rimise a studiare con uno spirito più positivo, disponendosi ad una settimana di attesa prima della gita ad Hogsmeade.
Il sabato giunse abbastanza rapidamente, Sara aveva così tanto da studiare che le giornate parevano sempre troppo corte. La mattina del giorno fissato si alzò molto presto, quando ancora le sue compagne di stanza dormivano profondamente. Si fece la doccia nel bagno comune cercando di fare il minor rumore possibile, indossò un paio di jeans scuri e una maglia alla marinara con righe orizzontali bianche e blu. Prima di uscire prese la borsa di cuoio, che usava anche per portare i libri nei giorni di lezione, e indossò un leggero giubbotto di seta blu scuro.
Quando scese le scale, in Sala Comune trovò solo poche persone, alcuni che avevano deciso, come lei, di sfruttare appieno la giornata e recarsi al villaggio di buon ora e qualche studente degli ultimi anni che aveva già cominciato a studiare.
I corridoi del castello si presentavano altrettanto sonnolenti e silenziosi, solo in Sala Grande cominciava ad esserci un certo movimento per la colazione. Sara si sedette al tavolo di Grifondoro e consumò una colazione sostanziosa con uova, pancetta, pane tostato imburrato e coperto di marmellata di lamponi e succo di zucca gelato. Non aveva idea di quante cose dovesse fare Lily, quindi non sapeva se si sarebbero fermate per pranzare.
La giornata si presentava serena e soleggiata. Anche se si avvicinava molto a un clima estivo, l’aria del mattino era fresca e tagliente e il giubbotto che Sara indossava non era affatto eccessivo.
Quando arrivò davanti a Mielandia, il negozio aveva appena aperto, il proprietario stava abbassando una tenda colorata sopra la vetrina mentre la moglie sistemava alcuni scacchi di caramelle all’interno.
Lily non era ancora arrivata, così Sara si avviò lungo la strada principale di Hogsmeade e si fermò accanto a una staccionata che racchiudeva un prato. La ragazza si guardò un po’ intorno. Non c’era nessuno in vista, soprattutto non c’erano insegnanti. Così si passò tra una trave e l’altra della staccionata e si nascose dietro l’angolo dell’edificio lì accanto. Frugò rapidamente nella borsa e trovò quasi subito quello che cercava: un pacchetto di sigarette e un accendino. Prese una sigaretta e se la accese con le mani che le tremavano furiosamente, tanto che rischiò di incendiarsi i capelli con l’accendino. Aveva il terrore che qualcuno la vedesse, ma era dall’ultima partita di Quidditch che non si concedeva una sigaretta.
Aveva iniziato a fumare l’estate precedente, l’unica che ne era a conoscenza era Bex, che la accompagnava di tanto in tanto dietro gli spogliatoi del campo di Quidditch per fumarsi una sigaretta. Non era fiera di questo vizio, ma purtroppo aveva provato e le era piaciuto. E ora diventava sempre più difficile rinunciarci.
-          Che cosa stai facendo?!
La voce che la sorprese alle spalle era ben nota a Sara e si voltò con aria colpevole, cercando di nascondere la sigaretta dietro la schiena.
-          Niente! Non sto facendo niente! – esclamò Sara facendo scivolare la sigaretta a terra e schiacciandola con il tallone.
-          Sara! Quando hai iniziato a fumare? – chiese Lily con aria di disapprovazione.
-          Allora, non hai delle commissioni da fare? Andiamo! – disse Sara tornando sulla strada e affiancandosi alla sua amica.
-          Non credere di passarla liscia così – disse Lily stringendo gli occhi con aria minacciosa – Comunque per il momento soprassediamo.
-          Grazie, vostro onore – replicò Sara con un sorrisetto ironico – Dimmi, dimmi, che commissioni devi fare?
-          Devo comprare il vestito.
-          Il vestito? Mi vuoi dire che tu ti sposi tra meno di un mese e ancora non hai scelto il vestito? E sei venuta a cercarlo a Hogsmeade? – domandò Sara incredula.
-          Non voglio comprarlo a Hogsmeade, ma tu verrai con me a sceglierlo a Londra – dichiarò Lily con un sorriso immenso.
Sara rimase per un attimo interdetta, ma Lily la tolse dall’imbarazzo di replicare.
-          Prenderemo il Nottetempo, ci metteremo poco per arrivare a Londra, passeremo la giornata lì e poi, nel tardo pomeriggio, puoi tornare usando ancora il Nottetempo.
-          Se sei convinta tu? – disse Sara un po’ perplessa – Ma se mi fai passare dei guai a scuola boicotto il tuo matrimonio!
-          Stai tranquilla, andrà tutto bene.
Hogsmeade cominciava a riempirsi di studenti in libera uscita. Se non volevano farsi troppo notare dovevano sbrigarsi. Sara sapeva che non sarebbe stato saggio farsi vedere salire sul Nottetempo. Lily si infilò in una strada secondaria ed estrasse la bacchetta, mormorò “Lumos” e tese la bacchetta davanti a sé.
Un enorme autobus viola si stagliò davanti a loro, le porte a soffietto si aprirono e ne scese un vecchissimo bigliettaio di nome Ulric.
-          Buon giorno, sono Ulric, il vostro bigliettaio per oggi. Dove siete dirette? – chiese l’anziano signore con voce inespressiva mentre le ragazze salivano a bordo.
-          Londra, Diagon Alley – rispose Lily con voce chiara.
-          Fanno dodici falci e tre zellini – continuò con voce sempre piatta e monotona.
Lily pagò il biglietto per entrambe, ignorando le proteste di Sara che voleva pagare per sé.
-          Signorine vi prego di accordarvi e prendere posto, dobbiamo ripartire – invitò il bigliettaio – Devo andare in pensione, sono troppo vecchio per queste cose.
-          Ci scusi – disse Sara.
Lei e Lily si sedettero in fondo al bus e poco dopo l’autobus ripartì con un rombo e un forte scoppio. Le ragazze avevano moltissime cose da dirsi, così il viaggio non sembrò così terribile e movimentato come al solito e parve che Londra arrivasse in un attimo.
Il Nottetempo si fermò con un’inchiodata davanti al Paiolo Magico e le ragazze furono praticamente sbalzate fuori. Salutarono il bigliettaio con un sorriso e si avviarono lungo la via.
-          Allora – cominciò Sara – Dove vuoi comprare il vestito?
-          Non saprei… non sarà una cerimonia sontuosa. Abbiamo invitato gli amici più stretti, qualche parente, ma niente di più. Non voglio esagerare – disse Lily gravemente.
-          Bè, ci si sposa una volta sola… si spera… se non ti togli adesso lo sfizio del vestito quando pensi di farlo? – domandò Sara
-          Hai ragione! Guarda! – esclamò Lily indicando un grande negozio con la vetrina zeppa di tulle bianco.
Le due amiche attraversarono la strada e si trovarono davanti a una boutique con un’insegna che recitava “Le spose di Susan – al vostro servizio dal 1923”.
-          Ho sempre sognato di comprare qui il vestito da sposa. Ogni volta che venivo a Diagon Alley con mia madre ci fermavamo a guardare queste vetrine – disse Lily trattenendo il fiato davanti agli abiti esposti dietro il vetro.
-          Benissimo! Entriamo.
Sara precedette la futura sposa dentro il negozio. Una commessa annoiata alzò lo sguardo da una rivista e si alzò in piedi:
-          Buon giorno! – salutò allegramente ridestandosi dal torpore – Io mi chiamo Mary Jane e sono a vostra completa disposizione. Come posso esservi utile?
-          Piacere Mary Jane, io sono Sara e questa è la mia amica Lily. Lily si sposa tra meno di un mese e non ha ancora comprato il vestito. Per di più è la persona più difficile e indecisa che abbia mai conosciuto. Pensa di poter fare qualcosa?
-          Ci possiamo provare – rispose Mary Jane con un sorriso, senza avere l’aria di essere preoccupata.
-          Benissimo! Taglia 42, ci mostri quello che il negozio può offrire.
La commessa si addentrò per alcuni minuti nei meandri del negozio e ne riemerse con una rastrelliera carica dei più svariati modelli.
Lily sparì in un camerino e Sara rimase ad attendere seduta su un divanetto. La ragazza provò decine e decine di abiti senza mai essere soddisfatta, al punto che sia Sara che Mary Jane stavano per perdere le speranze.
-          Questo? Che ne dici? – chiese perplessa Lily uscendo dal camerino.
L’abito era enorme ed elaborato, con una gonna ampia e vaporosa.
-          Lily… - sussurrò Sara avvicinandosi per non farsi sentire dalla commessa – sembri una meringa enorme.
-          Ok. Ricevuto il messaggio.
La ragazza scomparve nuovamente e Sara, disperata, decise di fare un giro per il negozio per distrarsi. C’erano numerosi scaffali e rastrelliere con scarpe, borsette, abiti non solo da sposa, ma anche da cerimonia, ed era tutto bellissimo. L’attenzione della ragazza fu attratta da una rastrelliera carica di abiti molto colorati. Ce n’erano di rossi, rosa pesca, rosa confetto, verde pallido, quello che le piacque di più era color carta da zucchero, molto semplice, lungo al ginocchio, con le spalline sottili e la scollatura drappeggiata.
-          E’ bello vero? – chiese Mary Jane arrivando alle spalle di Sara.
La ragazza sobbalzò al punto che quasi le cadde il vestito di mano. Non credeva di essere osservata.
-          Mi scusi, non volevo spaventarla!
-          Non si preoccupi. Si, in effetti è molto bello – rispose Sara con aria sognante.
-          Perché non lo prova? Per il matrimonio della sua amica sarebbe perfetto – suggerì la commessa.
-          Mi piacerebbe ma è al di sopra delle mie possibilità – disse Sara sbirciando il cartellino del prezzo.
-          Provare non costa nulla! – esclamò Mary Jane – Venga – disse guidando Sara verso un camerino vuoto.
Sara si lasciò convincere a provare l’abito anche se sapeva che non avrebbe potuto comprarlo, era davvero al di sopra del suo budget. Si spogliò e prese il vestito dalla stampella. Se lo fece scivolare addosso facendo molta attenzione a non sgualcirlo, quindi uscì e si guardò allo specchio.
Era perfetto. Sembrava che glielo avessero cucito addosso. Mary Jane comparve nuovamente alle sue spalle, posò a terra un paio di sandali dello stesso colore dell’abito coperti di strass e le porse una stola di seta in tinta bordata di perline.
-          Come faceva a sapere il mio numero? – domandò Sara incredula provandosi le scarpe e drappeggiando la stola sulle spalle.
-          Ho molto occhio – replicò Mary con modestia.
-          E’ bellissimo, non ci sono altre parole – disse Sara osservando lo specchio estasiata.
-          Le sta benissimo! Se vuole posso farle un po’ di sconto. Bè, la lascio, vado a vedere come se la cava la sposa.
-          Sì – rispose Sara assente – le dica che arrivo subito.
Sara si guardò allo specchio ancora un po’. No, non ci doveva neppure pensare. Non se lo poteva permettere. Però forse, facendo qualche sacrificio ce la poteva fare. Aveva tempo di pensarci su. Si cambiò rapidamente e tornò da Lily che si rimirava nello specchio con aria estatica.
-          Questo è assolutamente perfetto! – esclamò appena la vide – Non trovi?
L’abito che indossava era stato confezionato con una stoffa morbida e cangiante, che a seconda della luce assumeva una tonalità bianco perlacea lucente o opaca. Aveva una scollatura profonda ma non sfacciata, il corpetto era aderente e la gonna scendeva morbida a formare un piccolo accenno di strascico. Una giacchina con le maniche a tre quarti e decorata con una finissima passamaneria copriva le spalle.
-          E’ davvero perfetto! – replicò Sara – Dice che ce l’abbiamo fatta? – scherzò poi rivolta alla commessa.
-          Io dico di sì – disse Mary Jane tirando un sospiro di sollievo.
-          Anch’io! – confermò Lily – Ora mancano solo le scarpe.
-          Ferma! Ci penso io! – proclamò Sara che non aveva nessuna intenzione di passare un’altra ora in quel negozio.
Seguita a ruota dalla commessa, Sara si addentrò nel negozio esaminando rapidamente tutte le scarpe. Ad un tratto si bloccò davanti ad un paio di decolleté bianche con il tacco e la punta decorate con paillettes perlate.
-          Queste! – disse alla commessa che scelse la scatola con il numero di Lily e le portò alla sposa perché le provasse.
Quando Lily le vide fu entusiasta della scelta e fu d’accordo a non provare altri modelli. Mary Jane prese nota di alcune piccole modifiche da apportare al vestito, segnò l’indirizzo a cui inviare l’abito e incassò un piccolo acconto.
Mentre stavano per uscire Sara prese una decisione. Attese che Lily fosse fuori portata di orecchie e si avvicinò a Mary Jane.
-          Senta… - cominciò.
-          Mi dica.
-          Se le do un acconto mi può tenere da parte il vestito fino al giorno del matrimonio? Potrei passare la mattina stessa a prenderlo.
-          Ma certo! Sono contenta che abbia deciso di prenderlo. Le sta d’incanto – esclamò la commessa.
Evidentemente due vendite così insieme era parecchio che non capitavano. Sara fece scivolare una banconota in mano alla commessa e si avviò all’uscita con la sua amica.
-          Evviva, ora mi sento più leggera! – decretò Lily con un sorriso enorme – Adesso ci vuole qualcosa da mettere sotto i denti.
-          Decisamente – confermò Sara, nonostante l’abbondante colazione.
Poco distante c’era una tavola calda dall’aria accogliente. Le ragazze attraversarono la strada ed entrarono nel locale. Si sedettero al primo tavolo libero e ordinarono due panini super farciti ad una cameriera scheletrica. Quando la cameriera tornò con le loro ordinazioni, le guardò con l’odio di chi vive da anni di sedano gratinato, ma Lily e Sara avevano altro a cui pensare che i disturbi alimentari di una ventenne troppo magra e troppo truccata.
-          Dimmi, donna disorganizzata – cominciò Sara – Come sei messa con i preparativi?
-          Abbastanza bene, per la cerimonia è tutto a posto e i festeggiamenti sono organizzati quasi in ogni dettaglio – rispose Lily con tono pratico.
-          Non era questo che intendevo – la interruppe Sara con un sorrisetto - Non ti puoi sposare senza qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato e qualcosa di blu. Sul nuovo con il vestito siamo a posto direi. Per il vecchio?
-          Per il vecchio ho la biancheria. Dici che basta?
-          Sì direi di sì – confermò Sara.
-          Mancano il prestato e il blu – confessò la futura sposa.
-          Se permetti vorrei risolverti entrambi i problemi in un colpo solo – disse Sara estraendo un astuccio di velluto nero dalla borsa.
-          Che cos’è? – domandò Lily curiosa.
Sara aprì l’astuccio e lo voltò verso l’amica. Lily rimase senza fiato nel vedere il contenuto: era una splendida collana di zaffiri blu come la notte e brillanti con un bellissimo paio di orecchini in coordinato.
-          Sara ti ringrazio ma non posso accettare – disse Lily spingendo l’astuccio verso la ragazza.
-          Perché no? E’ soltanto un prestito… e starebbe perfettamente con il vestito.
-          Ma è la collana di tua nonna, il tuo pezzo di eredità! – esclamò Lily.
-          Appunto, è il mio pezzo di eredità e probabilmente è anche l’unico pezzo di eredità che riceverò dalla mia famiglia visto come si stanno mettendo le cose. Per cui posso disporne come voglio e ora voglio prestartelo per il matrimonio – ribatté Sara decisa.
-          E’ così drammatica la situazione con tua madre?
-          Non è delle più rosee, minaccia di diseredarmi. E’ per questo che mi sono portata a scuola la collana. Non vorrei che mia madre la vendesse per farmi un dispetto.
-          E perché vorrebbe diseredarti? – domandò Lily incredula.
-          Perché non corrispondo al suo ideale di figlia. Quando sono tornata a Natale c’è stata una delle migliori discussioni di tutti i tempi perché ho osato accennare al fatto che probabilmente finita la scuola mi dedicherò a un lavoro nel mondo della magia – raccontò Sara con voce piatta.
-          E tua madre non l’ha presa bene, immagino. Ma d’altra parte è quello per cui hai studiato.
-          Già – tagliò corto Sara, non aveva nessuna voglia di parlare di sua madre – Allora la prendi o no questa collana?
-          D’accordo – acconsentì Lily e dopo un momento aggiunse – Grazie mille! – e si alzò per andare ad abbracciare Sara.
Sciogliendosi dall’abbraccio, Lily fece un respiro profondo e disse timidamente:
-          Avrei un ultima richiesta da farti.
-          No! Non ci pensare nemmeno! – esclamò Sara con gli occhi spalancati sapendo bene quale sarebbe stata la richiesta.
-          Perché no? Non vuoi fare da damigella alla tua migliore amica?
-          Non è una questione di amicizia – si giustificò Sara – E’ che non ho intenzione di attraversare la navata della chiesa davanti a te, sai quanto detesti mettermi in mostra.
-          Lo so bene – disse tristemente Lily – Ma non sarà un altro il motivo? – chiese poi con un sorriso ironico.
-          Ti assicuro che non c’è nessun altro motivo – confermò Sara fissandosi le mani.
-          Non sarà che non vuoi farmi da damigella perché Sirius è il testimone di James?
-          Assolutamente no, Black non c’entra nulla. Non sapevo neppure che sarebbe stato il testimone di James – replicò Sara rapidamente. Quindi dopo una pausa aggiunse: - Comunque ora che me l’hai detto anche questa potrebbe essere una valida ragione.
-          Io credo che Sirius c’entri eccome e credo anche che sarebbe il momento che voi due la smetteste di fare gli idioti in questo modo – rispose bruscamente Lily.
Mentre scendeva dall’auto, davanti al piccolo molo dove era ormeggiato il traghetto che li avrebbe condotti sull’isolotto di Azkaban, Sara rifletté che Lily aveva avuto anche troppo ragione a dire che avrebbero dovuto smettere di fare gli idioti.
 
*^*^*^*^*
 
Le giornate di Grimmauld Place sembravano a Sirius sempre più monotone. Erano tutte identiche l’una all’altra e lui, come ogni mattina, era seduto in cucina a sorseggiare un caffè leggendo la Gazzetta del Profeta. Se non fosse stato per la data impressa sul giornale non avrebbe neppure saputo dire che giorno fosse, forse era ieri o l’altro ieri o domani. Non c’era alcuna differenza.
L’unico sollievo veniva dalle lunghe chiacchierate che faceva con Lily, James e Remus. Sia Sirius che Remus cercavano di godersi questo splendido dono fino a quando sarebbe durato. Ora più che mai Sirius desiderava che le cose fossero andate in modo diverso, ma non poteva cambiare il passato, poteva solo ricordarlo.
Arrivato all’ultima pagina della Gazzetta, lo sguardo gli si posò sulle pubblicazioni dei matrimoni e un mezzo sorriso gli attraversò il viso nel ricordare la festa di fidanzamento di James e Lily.
In realtà non avevano organizzato una vera e propria festa di fidanzamento seguendo i crismi del galateo. Avevano invitato alcuni amici in un locale, all’epoca piuttosto alla moda, e avevano prenotato qualche tavolo.
Lily e James erano impegnati ad accogliere gli invitati che arrivavano man mano, c’erano alcune amiche di Lily, alcuni compagni di scuola di James e naturalmente Remus e Peter. Remus era già immerso in una conversazione animata con una delle amiche di Lily, mentre Sirius era appoggiato al bancone del bar dall’altro lato della sala e osservava la scena con interesse. Ad un tratto una ragazza bionda, piuttosto alta e inguainata in un tubino bianco, attirò la sua attenzione accarezzandogli un braccio. Sirius si voltò verso di lei e la guardò perplesso, poi si riscosse e la attrasse verso di sé.
-          C’è qualcosa che non va? – chiese la bionda.
-          No Mandy, va tutto bene – rispose Sirius.
Mandy era la ragazza del momento ma, nonostante stessero insieme da poco più di un mese, Sirius già faticava a ricordare le ragioni per cui si era messo con lei. Come per farsi perdonare, il ragazzo la baciò appassionatamente attirando gli sguardi invidiosi della maggior parte degli uomini nel raggio di dieci metri.
Quando si staccarono Mandy sorrideva raggiante, ma lo sguardo di Sirius era già altrove. Stava fissando l’ingresso dove era appena entrata una ragazza che gli pareva di conoscere. Aveva lunghi capelli scuri e indossava un abitino nero molto semplice. Subito non la riconobbe, ma quando la vide avvicinarsi a Lily e salutarla calorosamente realizzò: era Sara White.
Non la vedeva dall’estate precedente e si sorprese a pensare che era cambiata molto… e in meglio. Ma non avrebbe dovuto essere a scuola?
Sirius si staccò dal bancone e attraversò la sala tenendo per mano Mandy che saltellava sui tacchi vertiginosi per stargli dietro. Si avvicinò quel tanto che bastava per verificare che si trattasse effettivamente di Sara e per cogliere uno stralcio di conversazione.
-          Sono contenta che tu ce l’abbia fatta! – stava dicendo Lily.
-          Lascia perdere! E’ stata una vera impresa. Ho dovuto promettere a Rebecca tutta una serie di favori per convincerla a coprirmi stasera – replicò Sara.
E così era scappata da scuola. Sirius era sorpreso, non la credeva capace di tanto.
-          Sei scappata? – domandò Lily incredula.
-          Certo! Non pensavi che la McGrannitt mi avrebbe dato il permesso spero?
In quel momento Sara si voltò e vide Sirius a poca distanza. Il ragazzo cercò di assumere un’espressione indifferente, ma senza grande successo.
-          Black, la mamma non ti ha insegnato che è maleducazione origliare – disse aspramente la ragazza.
-          E tua mamma non ti ha insegnato che è contro le regole fuggire da scuola? – ribatté il ragazzo.
-          Senti chi parla – sbuffò Sara e si voltò di nuovo verso Lily cercando di ignorarlo.
A quel punto gli invitati erano tutti arrivati, così i futuri sposi li guidarono verso i tavoli riservati e si formarono tre gruppi attorno ad altrettanti tavoli. Lily e James presero posto al centro e al loro tavolo si sistemarono Sirius con Mandy, Sara che si sedette accanto a Remus e Peter.
All’inizio tutto sembrò andare per il meglio, la conversazione era piacevole e tranquilla. Sirius e Sara praticamente non si rivolgevano la parola ma la cosa non pareva troppo grave.
A metà serata Lily e James si alzarono per andare a chiacchierare anche con gli altri ospiti e lasciarono il tavolo. I bicchieri giacevano sul tavolo vuoti, così Sara disse:
-          Altro giro?
-          Perché no, vado io – disse Remus.
-          No, lascia vado io – replicò Sara alzandosi e raccogliendo i bicchieri vuoti.
Sirius la osservò allontanarsi zigzagando tra i tavoli e non poté fare a meno di notare che alcuni ragazzi si erano voltati a guardarla. Sara si fermò al bancone e chiacchierò un attimo con il barista prima di ordinare. Il ragazzo al di là del bancone continuò a chiacchierare mentre riempiva i bicchieri e questo infastidì Sirius, anche se non avrebbe saputo spiegare il perché.
Per far passare la sensazione di fastidio, Sirius si voltò e si accorse che Remus lo fissava intensamente.
-          Che c’è? – chiese seccato.
-          Niente. Assolutamente niente – rispose Remus alzando le mani come in segno di resa.
Dopo qualche istante Sara era di ritorno con un vassoio carico di bicchieri che depose con delicatezza sul tavolo. Ognuno prese il suo cocktail e Sirius osservò:
-          I miei complimenti, non ne hai versato neppure una goccia. Hai un futuro come cameriera.
-          Oh  grazie per questo benevolo giudizio! – esclamò Sara irritata – Vuoi che mi prostri ai tuoi piedi per il complimento?
-          Non era un complimento era una constatazione – replicò Sirius – Sei sempre così acida? Mi stupisce che non si sciolga tutto quello che tocchi.
-          Sirius… - disse Remus cercando di placare gli animi.
-          Ma no, lascialo dire Remus. Sarai simpatico tu! Ad Hogwarts non siamo mai stati così bene come da quando te ne sei andato – rincarò Sara alzando leggermente la voce – Ci siamo liberati di un rompiscatole e piantagrane da guinness dei primati.
-          Vedo però che tu sei una degna sostituta quanto all’essere piantagrane. Dimmi la verità ci godi a litigare?
Mandy seguiva la discussione con l’aria di una che non capisce quello che sta succedendo, Remus era a disagio e cercava di fermarli prima che la situazione degenerasse, mentre Peter fingeva indifferenza guardando altrove.
-          Ti ricordo che sei stato tu a cominciare – precisò Sara.
-          E tu hai colto la palla al balzo, vero? – replicò Sirius
-          Ho l’impressione che sia tu che godi nel litigare con me, non è vero Black?
-          Sei fuori strada, non sei diversa da mille altre persone, perché dovrei preferire litigare con te che con altri? – ribatté Sirius con un sorrisetto sarcastico.
-          Bene allora non vedo perché continuare questa discussione – concluse Sara.
-          Per una volta siamo d’accordo su qualcosa – confermò Sirius.
-          Comunque Mandy – cominciò Sara rivolgendosi alla ragazza – i miei complimenti per la pazienza. Devi essere una santa per sopportare uno così.
Detto questo Sara si alzò e andò a cercare Lily. Sirius rimase seduto a fissare il bicchiere che teneva in mano. Fu la voce di Remus a riscuoterlo:
-          Cosa ne dici, potrebbe essere arrivato il momento di smetterla.
-          Smetterla di fare cosa? – domandò fingendo ingenuità Sirius.
-          Smetterla di fare gli idioti. Tu e Sara. Stareste meglio voi e starebbero meglio gli altri.
Seduto nella cucina di Grimmauld Place, Sirius dovette riconoscere che Remus aveva avuto perfettamente ragione.
     

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Capitolo 8
*** VIII ***


VIII
 
La traversata del lago, che separava la costa dall’isola su cui si ergeva Azkaban, fu piuttosto rapida anche se funestata dagli schizzi di acqua gelida e dal vento che si era alzato improvvisamente. In quel luogo sembrava che non ci fosse mai il sereno e che il calore del sole non riuscisse ad attraversare i muri della prigione e neppure a scaldare le acque del lago.
Sara supponeva che si trattasse dell’effetto dei Dissennatori, erano così tanti nella prigione che il loro influsso malefico raggiungeva tutta la zona circostante. Quando lei e Frank scesero dalla barca che li aveva portati sull’isola si trovarono davanti ad un edificio enorme ed imponente. La facciata era liscia e grigia, le uniche variazioni erano costituite dalle piccole fessure che costituivano le finestre delle celle.
L’ingresso era un enorme arco, chiuso da una cancellata in ferro battuto, da un pesante portone di legno rinforzato e infine da una terza porta di ferro. Le guardie erano tutti Dissennatori tranne l’addetto all’ingresso che restava sempre rintanato nella stanza accanto al portone.
Quel giorno era di turno un uomo sulla quarantina, con i capelli striati di grigio ma lo sguardo ancora giovane e attento. Quando Sara e Frank si avvicinarono alla cancellata uscì da una porta situata nell’angusto spazio tra il cancello e il secondo portone. L’uomo teneva la bacchetta tesa davanti a sé pronto ad attaccare.
-          Chi siete? – domandò aspro.
-          Sara White e Frank Parker, Auror del Ministero – rispose Sara estraendo dalla tasca un distintivo di riconoscimento e invitando Parker a fare lo stesso.
La guardia si avvicinò per dare un’occhiata più accurata poi abbassò la bacchetta. Tornò nella stanza senza dire una parola e, dopo qualche istante, il cancello iniziò a muoversi sui cardini producendo un terribile stridio. L’uomo li invitò a entrare e chiuse il cancello alle loro spalle azionando un meccanismo situato nella portineria.
-          Che cosa volete? – chiese bruscamente la guardia. Di certo lavorare ad Azkaban non metteva di buon umore.   
-          Abbiamo bisogno di vedere il registro delle visite – disse Sara senza andare troppo per il sottile.
-          E’ lì, il primo a destra – rispose la guardia indicando uno scaffale sulla parete.
In quel momento un ondata di gelo si riversò nella stanza facendo voltare Sara e Frank verso la porta che dava verso il carcere. Un Dissennatore riempiva interamente il vano della porta e raggelava l’ambiente con il suo respiro rauco.
-          Via da qui, è tutto a posto! – urlò la guardia puntando la bacchetta da cui esplose una nuvola argentea – Sta diventando sempre più complicato tenerli a bada – disse poi l’uomo rivolto verso Sara.
-          Proverò a farlo presente al Ministero – disse la donna rilassandosi mentre il Dissenatore si voltava per andarsene.
Frank intanto aveva estratto dallo scaffale il registro delle visite e aveva cominciato a sfogliarlo. Sara si avvicino al collega e iniziò a scrutare le pagine del registro. Per ogni anno c’erano solo alcune pagine, evidentemente le visite non erano molto numerose. I due Auror individuarono presto il periodo che cercavano.
-          Dunque – cominciò Frank – questi sono i giorni precedenti alla fuga di Black – disse indicando alcune righe vuote.
-          L’unica visita è questa – continuò Sara sfiorando il punto del foglio dove erano annotate data, ora e motivo della visita – quattro giorni prima dell’evasione.
Sara seguì con il dito la riga fino ad arrivare alla firma del visitatore. Quando riuscì a decifrare la calligrafia restò senza parole: Cornelius Caramell. Allora l’ultima persona che era stata ad Azkaban prima che Black fuggisse era il Ministro. Sara e Frank si fissarono per un attimo, poi chiusero il registro e contemporaneamente si voltarono verso la guardia.
-          Se fosse successo qualche evento strano, insolito sarebbe segnato da qualche parte? – chiese Sara alla guardia.
-          Sì ma qui, al di la delle ultime evasioni, non è successo nulla da un sacco di tempo.
-          Quindi gli unici eventi degni di nota sono le visite? - domandò Frank.
-          Sì, direi di sì.
-          Bene, grazie della disponibilità. Arrivederci! – tagliò corto Sara.
Aveva una fretta indiavolata di tornare al Ministero per parlare con il Ministro. Frank la seguì mentre si dirigeva a passo di marcia verso la barca. Salirono a bordo e Sara avviò la barca con un colpo di bacchetta. La traversata fu effettuata a velocità doppia rispetto all’andata e quando giunsero sulla costa Sara riconsegnò la barca alle guardie appostate al molo senza dire una parola.
Mentre viaggiavano a tutta velocità per tornare a Londra, Sara si augurava che Caramell ricordasse qualcosa, un particolare qualunque che la aiutasse a venire a capo di quel mistero. Era una sensazione nuova dover fare affidamento sul Ministro. In tanti anni di servizio aveva imparato a considerarlo più che altro una seccatura inevitabile.
Mentre guidava, continuava a ripercorrere nella sua mente i vari elementi dell’indagine: non c’era abbastanza sangue sui vestiti di Black perché avesse ucciso Minus, non c’era abbastanza sangue sull’asfalto perché Minus fosse saltato in aria, quindi tutto faceva pensare che Minus non fosse morto, almeno non in quel momento. E il dito, il dito tagliato da un incantesimo e non dall’esplosione faceva pensare che Minus fosse fuggito.
Bisognava accertare se era fuggito per paura di Black o perché era lui il colpevole della strage.
Ma la strada saltata in aria? Poteva essere una copertura di Minus per incastrare Black e fuggire indisturbato.
Sara sapeva che, come Sirius, anche Peter era un Animagus e, se davvero era fuggito, probabilmente aveva usato questo suo potere per nascondersi. Però non poteva usare questa informazione senza tradire il suoi coinvolgimento e a quel punto le avrebbero tolto il caso. Proprio ora che cominciava a venirne a capo. Eppure ci doveva essere un modo per dimostrare che Minus era un Animagus.
-          Stavo pensando… - iniziò Sara mentre entravano in città – Potremmo chiedere l’autorizzazione a riesumare il dito di Minus.
-          Cosa?! Ma ormai saremo fortunati se troviamo un osso, cosa speri di scoprire? E poi non ci daranno mai il permesso – esclamò Frank.
-          Ti prego di non essere così disfattista. Non lo so cosa spero di scoprire, ma è l’unica cosa di Minus su cui possiamo indagare. Possiamo verificare intanto se il dito è stato veramente tagliato da un incantesimo – suggerì la donna – E poi potremmo effettuare un po’ di test, magari ci aiuteranno a scoprire come è fuggito.
-          Si può tentare, ma credi che il Ministro ci autorizzerà? – acconsentì Parker.
-          E chi ha parlato di chiederlo al Ministro!
Sara parcheggiò l'auto non distante dal Ministero, in una strada secondaria poco frequentata. Quando entrambi furono scesi la chiuse prima con la chiave, poi con un incantesimo anti-furto.
-         Meglio andarci cauti – disse a Frank con un'alzata di spalle.
Era l'ora della pausa pranzo e quando entrarono nell'Atrium lo trovarono gremito di dipendenti che stavano uscendo per andare a fare uno spuntino. Sara aveva deciso di saltare il pranzo, Frank era libero di decidere come preferiva, ma sapeva che per niente al mondo avrebbe barattato gli sviluppi di quella storia per un panino.
Il Dipartimento degli Auror raramente si svuotava per ora di pranzo, erano tutti piuttosto impegnati, soprattutto in quel periodo di evasioni di massa, strane sparizioni e misteriosi omicidi. Sara tendeva sempre più a credere alla teoria di Silente secondo cui Voldemort era tornato. Il Ministro continuava a fingere che andasse tutto bene, ma per quanto ancora avrebbe potuto reggere questa finzione?
-         Vieni Parker, andiamo a parlare col Capo – disse Sara guidando Frank verso l'ufficio del loro superiore.
-         De... devo venire anch'io? - domandò Parker con una nota di panico nella voce.
-         Sì, è ora che impari a trattare con il Capo, se dovesse succedermi qualcosa saresti tu a sostituirmi – replicò Sara continuando a camminare tranquillamente.
-         Non puoi parlare sul serio – esclamò Frank bloccandosi.
-         Ho l'aria di una che scherza? - gli chiese Sara fermandosi a sua volta.
Frank non ebbe il coraggio di replicare e si limitò a seguire la donna nell'ufficio del capo. Giunti davanti alla porta Sara bussò energicamente e, ricevuto il permesso, si fece avanti.
-         Buon giorno capo – salutò cercando di non avere un tono troppo ansioso – Volevamo aggiornarla sugli sviluppi.
Sara si era imposta di parlare con calma, di fornire un quadro completo ed esaustivo, senza precipitare la richiesta di riesumazione, che sapeva essere piuttosto strana. Il Capo ascoltò con attenzione il resoconto che Sara espose con alcuni interventi di Parker. Alla fine Sara prese fiato e formulò la richiesta:
-         Dopo aver valutato attentamente lo stato delle cose ritengo che potrebbe essere di grande aiuto poter riesumare il dito di Peter Minus per effettuare dei test diretti e non solo delle comparazioni con fotografie vecchie di quindici anni.
-         Lei sa cosa mi sta chiedendo? - domandò il Capo con gravità.
-         Sì, mi rendo conto che la cosa implica una marea di scartoffie e che se lo venisse a sapere la stampa si tufferebbero su questa storia come un branco di pescecane, però le chiedo di avere fiducia in me adesso così come ha avuto fiducia nell'affidarmi questo caso. Se glielo chiedo non è per divertimento, o perché non so che cos'altro fare. Ho le mie ragioni fondate di voler effettuare determinate analisi.
Dopo l'arringa Sara trattenne il fiato mentre il Capo rifletteva sul verdetto, le rughe sulla fronte che diventavano sempre più profonda. Prima che l'uomo parlasse parve che fosse passato un secolo, ma infine disse:
-         D'accordo. Ha vinto. Le farò avere l'autorizzazione. Ma guai a lei se mi mette nei pasticci!
-         Non si preoccupi! Saremo la discrezione personificata – assicurò Sara con un sorriso di soddisfazione rivolto a Frank – Quando potremo procedere?
-         Penso che domani in giornata dovrebbe essere tutto sistemato – disse il Capo rassegnato.
-         Domani? Non si potrebbe fare oggi? - azzardò Sara – Anche nel tardo pomeriggio andrebbe bene, ho intenzione di lavorare fino a tardi – aggiunse poi vedendo lo sguardo tendente all'inferocito del Capo.
-         Vedo che ha fretta di concludere – commentò l'uomo.
-         Bé voglio venirne a capo il più presto possibile. Converrà con me che le cose hanno preso una piega strana.
-         Va bene, va bene! Vedrò quello che posso fare, ma non le prometto niente.
-         Grazie mille, Capo! - esclamò Sara alzandosi dalla sedia su cui era stata seduta fino a quel momento – Andiamo Parker – disse poi rivolta al ragazzo ancora seduto.
Frank si alzò di scatto e seguì la donna fuori dall'ufficio guardandola con aria ammirata.
-         Finiscila di guardarmi come se fossi un fenomeno da baraccone. Sarebbe ora che anche tu imparassi un po' di dialettica.
Parker non trovò di che rispondere, così si limitò a fissare lo sguardo da un'altra parte.
-         Ora se vuoi puoi andare a pranzo – riprese Sara – Temo che lo sfoggio di dialettica con il nostro beneamato Ministro dovrà restare privato. Ti racconterò appena avrò finito.
-         D'accordo, ci vediamo nel tuo ufficio tra mezz'ora? - acconsentì Frank.
-         A dopo.
Sara si fermò un momento a guardare le spalle di Frank che si allontanavano. Spesso si chiedeva se fosse stata una buona insegnante e se gli avesse dato veramente gli strumenti necessari per cavarsela con le sue sole forze. Ma quello non era il momento adatto per recriminare, aveva un compito da svolgere.
Sara si voltò e percorse il corridoio che conduceva all’ascensore. Gli uffici del Ministro si trovavano al Primo Livello e non aveva voglia di fare le scale.
L’ascensore era occupato, così Sara si dispose all’attesa appoggiandosi a un muro. L’ascensore arrivò al piano sferragliando e le porte scorrevoli si aprirono con uno scampanellio. L’uomo che Sara vide all’apertura era tra le persone che la indisponevano di più al mondo e ultimamente la semplice irritazione che di solito provava nel vederlo tendeva a trasformarsi nel primo stadio dell’odio.
-          Signorina White – disse l’uomo uscendo dall’ascensore e parandosi davanti alla donna.
-          Signor Malfoy, quale onore averla qui – rispose Sara con mal celato sarcasmo.
-          Il piacere di visitare il Ministero è tutto mio – disse Malfoy con voce melliflua.
-          Dovrei passare – tagliò corto Sara.
-          Le consiglio di stare attenta, signorina White – disse Lucius Malfoy cambiando improvvisamente tono di voce – Potrebbe scoprire il pericolo che si cela nel rivangare certe verità.
-          Se cerca di farmi paura ha sbagliato persona – ribatté la donna voltandosi di scatto e fulminandolo con uno sguardo di fuoco – Non ho certo intenzione di nascondermi.
-          Adoro le persone come lei – replicò l’uomo avvicinandosi a Sara – Ci rendono tutto più facile.
Detto questo Lucius Malfoy si allontanò senza darle il tempo di replicare. Sara si infilò nell’ascensore e premette il pulsante con rabbia.
Detestava non poter avere l’ultima parola.
 
*^*^*^*^*
 
Al Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si era appena conclusa una riunione e Sirius aveva passato l’ultima ora a subire le battutine di Piton. Cercava, per rispetto dei componenti dell’Ordine e per mantenere il quieto vivere, di reagire il meno possibile ma la cosa diventava ogni giorno più complicata.
In quel momento Piton si trovava dal lato opposto della grande cucina rispetto a Sirius e discuteva di qualcosa con Kingsley. Dal resoconto che aveva fatto sembrava che la sua missione di controllare il giovane Malfoy procedesse a gonfie vele.
Per quel che riguardava Harry e la sua pericolosa connessione con Voldemort invece non c’erano novità sostanziali. Le lezioni di Occlumanzia erano appena iniziate e Piton non sembrava particolarmente ansioso di condividerne il contenuto.
Sirius era così concentrato a guardare in cagnesco Piton che non si accorse di Lily, che gli pose una mano sulla spalla.
-          Lo so che è insopportabile – disse la donna facendolo sobbalzare – E’ assurdo, ma è ancora invidioso di te e James.
-          Non vedo che cosa potrebbe invidiare della mia vita – rispose amaramente Sirius.
-          Direi soprattutto il fatto che tu sei sempre stato un leader – suggerì saggiamente Lily.
-          Allora! Chi si ferma per pranzo? – strillò la signora Weasley per coprire il chiacchiericcio.
Sirius pregò in cuor suo che Mocciosus avesse altro da fare che godere dei meravigliosi pranzi di Molly.
-          Severus lei è dei nostri? – chiese Arthur.
-          Grazie, ma devo tornare a Hogwarts – rispose Piton congedandosi con un piccolo inchino.
Sirius fu tranquillo solo quando sentì lo scatto del portone che si chiudeva alle sue spalle. Allora si concesse di lasciarsi andare su una sedia con un sospiro di sollievo. Mentre tutti si affaccendavano per aiutare Molly a preparare il pranzo, Sirius si sentì autorizzato a riprendere il filo dei pensieri che l’inizio della riunione aveva interrotto.
I ricordi erano un ottimo lenitivo per quei giorni così terribilmente vuoti. Gli piaceva soprattutto richiamare alla mente i momenti felici, provava un piacere quasi perverso nel ricordare quei giorni e paragonarli a quelli che trascorreva a Grimmauld Place a fissare il muro grigio della cucina. Sapere di aver sciupato irrimediabilmente la cosa più bella che gli fosse capitata nella vita era una ferita ancora aperta e rigirare continuamente il coltello in quella ferita era doloroso, ma lo faceva sentire vivo.
La mente di Sirius si estraniò completamente e viaggiò a ritroso fino al giorno in cui si era acceso quel fuoco che aveva illuminato gli anni più intensi che avesse vissuto. Dapprima non era stato un fuoco divampante, era stata più una piccola fiammella che però con le dovute cure era cresciuta fino a diventare una luce calda e rassicurante, come il raggio di un faro in mare aperto. Se Sirius avesse dovuto identificare il momento esatto in cui aveva visto il primo barlume avrebbe detto sicuramente che era stato il giorno del matrimonio di Lily e James.
Quella mattina era piuttosto nervoso. La chiesa cominciava a ospitare un leggero brulichio di invitati e lui si sentiva osservato. James stava scambiando qualche parola con il parroco in sagrestia e l’aveva abbandonato agli sguardi indagatori di amici e parenti. Sapeva che Lily e James avevano deciso di sposarsi in quel momento, che pareva essere stranamente tranquillo, perché temevano di non avere altre occasioni, però non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che stessero precipitando le cose. Erano ancora talmente giovani.
Personalmente non avrebbe tollerato la responsabilità di una famiglia con tutto quello che stava succedendo. Era già complicato cercare di proteggere se stessi. Mentre osservava James tornare sorridente verso di lui, una vocina interiore, che assomigliava terribilmente a quella di Remus, gli suggerì che forse il fastidio che questo matrimonio gli procurava era dettato anche dalla consapevolezza che da quel giorno in avanti il suo migliore amico avrebbe avuto altro a cui pensare anziché a lui. Questa cosa non poteva che rattristarlo. Gli sarebbero immensamente mancate le avventure e le scorribande con i Malandrini e i Malandrini non potevano esistere senza la partecipazione di James.
-          Allora amico mio… - esordì James avvicinandosi e sfregandosi le mani con aria di soddisfazione – E’ tutto pronto?
-          Direi di sì. Lo sposo c’è, gli anelli ci sono, gli invitati stanno prendendo posto. Manca solo la tua Signora – rispose Sirius sforzandosi di sorridere in modo naturale.
-          Colgo una appena velata nota di sarcasmo nelle tue parole – disse James acutamente.
-          No, che dici – cercò di giustificarsi con noncuranza l’altro.
-          Dico che non ti è ancora andata giù che io mi sposi. Pensi che sia pazzo a farlo proprio in questo momento e al mio posto ti saresti fatto tagliare le gambe piuttosto che sposarti.
-          Ma non è assolutamente vero! – esclamò Sirius senza peraltro suonare convincente.
-          Non ti preoccupare, non te ne faccio mica una colpa. Lo so che tu non sei come me. Tu non faresti una cosa del genere. Io sì.
Mentre cercava le parole con cui rispondere Sirius si voltò a osservare la navata e lo sguardo gli cadde sulla porta d’ ingresso.
-          Oh no! – gemette voltandosi nuovamente verso James.
-          Che c’è? – chiese lo sposo preso alla sprovvista dall’espressione disperata dell’amico.
-          Guarda chi è appena entrata – suggerì Sirius.
James scrutò verso l’ingresso mentre Sirius indagava il suo volto. Quando individuò quello che cercava disse:
-          E’ Sara White. E quindi?
-          E quindi dovrò passare la giornata a evitarla per non trasformare il tuo matrimonio in un ring di pugilato – replicò Sirius piccato.
-          Te ne sarei molto grato.
-          Non ti preoccupare, non ho intenzione di rovinarti questo momento.
Sirius distolse lo sguardo dall’espressione di rimprovero di James e riprese a scandagliare i banchi della chiesa. Ad un tratto si sorprese a cercare Sara con gli occhi. La trovò, era defilata, appoggiata  ad una colonna con apparente non curanza. Sirius notò che non era affatto male, così elegante nel suo vestito azzurro, ma sempre con la sua aria come se non le importasse di quello che pensavano gli altri attorno a lei.
Sara si voltò verso l’altare e, per un attimo, i loro sguardi si incrociarono. Sirius fece un lieve cenno di saluto e avvertì un sobbalzo allo stomaco, come se avesse saltato un gradino in una scala, quando lei rispose al saluto. Il ragazzo si voltò in fretta e si disse che forse, quel giorno, non sarebbe stato così difficile andare d’accordo con Sara White.
   

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Capitolo 9
*** IX ***


Per i lettori (precedente edizione): innanzi tutto chiedo umilmente perdono per l’interminabile attesa. Ringrazio i lettori che mi hanno seguito fin qui, per farmi perdonare ho scritto un capitolo piuttosto ricco. Inoltre do il benvenuto ai nuovi lettori, sperando che apprezzino la mia storia e che continuino a seguirla.
Leggete e commentate!
 
IX
 
Pling! Le porte dell’ascensore scomparvero a lato delle pareti e lasciarono scorgere un lungo e ampio corridoio. Sara uscì dall’ascensore e si avviò verso l’unica porta, esattamente di fronte a lei. Le sue scarpe sportive calpestavano pesantemente un tappeto dall’aria lussuosa e i suoi occhi evitavano di vagare sulle pareti decorate con arazzi elaborati e drappi di velluto vermiglio. Il pensiero di Sara era rivolto all’insignificante omuncolo che si trovava al di là di quella porta e che aveva il potere di decidere delle sorti del mondo magico. Giunta alla fine del corridoio, la donna spinse la porta di mogano finemente intagliato e si trovò in un’anticamera ampia e luminosa. Di fronte a lei c’era un’ulteriore porta, sulla sinistra c’erano una serie di poltroncine allineate al muro, mentre a destra era posizionata una scrivania dall’aria semplice, se paragonata a tutto quello sfarzo. Dietro la scrivania stava un giovane con i capelli rossi e le lentiggini.  
Percy Weasley alzò lo sguardo verso la donna e Sara si chiese ancora come quel ragazzo dall’aria astiosa potesse essere il figlio di una persona gentile come Arthur Weasley. Sara aveva avuto a che fare poche volte sia col padre che col figlio, ma la differenza era stata subito evidente.
-          Si? – domandò noncurante il ragazzo.
-          Devo vedere il Ministro – rispose altrettanto asciutta Sara.
-          Ha un appuntamento?
-          No, ma è una cosa importante – replicò la donna cercando di non far trasparire l’urgenza dalla voce.
-          Vedo se posso fare qualcosa – disse Weasley con aria di sufficienza.
Mentre Percy si alzava e si dirigeva impettito verso la porta dell’ufficio del Ministro, Sara non poté fare a meno di immaginarlo inciampare nel tappeto che, dal corridoio, si estendeva a coprire completamente il pavimento. Il ragazzo tornò dopo poco, senza inciampare e annunciando con il solito tono pomposo che Caramell acconsentiva a riceverla.
Troppa grazia.
Sara immaginava che Caramell fosse piuttosto preoccupato, le sue visite non portavano mai notizie positive per la sua carriera di Ministro, e lo sguardo accigliato che la accolse quando varcò la porta confermò i suoi sospetti.
-          A cosa devo questo onore? – domandò Caramell facendole cenno di sedere di fronte a lui. Caramell sapeva di avere di fronte una persona che poteva metterlo in seria difficoltà e fu meno ostile del suo zelante assistente.
-          Devo parlarle di una cosa veramente importante. Il mio capo l’ha informata che mi occupo del caso Black? – disse Sara senza preamboli.
-          Sì, i suoi superiori mi avevano accennato – rispose il Ministro con una smorfia non particolarmente incoraggiante.
-          Bene. Ho visto dai registri della prigione che lei è stato ad Azkaban poco prima della fuga di Black. Per ragioni che ora sarebbe troppo lungo spiegarle ho assolutamente bisogno di sapere se lei ricorda qualcosa di insolito in quella visita. Qualunque dettaglio potrebbe essere importante.
Seduta sulla punta della sedia Sara trattenne il fiato mentre aspettava una reazione da parte di Caramell. Il Ministro spalancò gli occhi per un istante e la sua bocca si dischiuse in un’esclamazione muta. Sara si sporse dalla sedia verso la scrivania come per incalzarlo a parlare e, dopo qualche istante, il Ministro sembrò ritrovare la voce.
-          Sì – iniziò titubante – Ricordo perfettamente quella visita. Ero andato per la solita ispezione semestrale. Allora non ero ancora Ministro.
Caramell parlava a scatti e aveva un tono che Sara non gli aveva mai sentito. Per la prima volta da che lo conosceva, la donna ebbe l’impressione che Caramell trovasse la sua sedia scomoda come se fosse coperta di spine e che avrebbe preferito fare qualunque cosa tranne il Primo Ministro.
-          Durante le ispezioni dovevamo, come ultima cosa, fare visita ai detenuti. Camminavo davanti alle celle e non vedevo altro che visi persi nel vuoto. Le uniche parole che sentivo erano borbottii indistinti o discorsi deliranti. Per questo Black mi aveva colpito così tanto.
Sara pendeva letteralmente dalle sue labbra. Il Ministro era pur sempre la persona che aveva visto più recentemente Sirius e lei bramava informazioni come un assetato nel deserto.
-          Quando arrivai davanti alla sua cella lo trovai seduto sulla branda con lo sguardo rivolto verso le sbarre della piccola finestra. Gli rivolsi qualche parola e lui mi rispose con assoluta lucidità, come se per lui tutti quei Dissennatori fuori dalla cella non avessero alcun effetto. Alla fine della visita mi chiese se potevo lasciargli il giornale. Disse che gli mancavano i cruciverba.
Sara chiuse gli occhi e si sforzò di controllare ogni cellula del suo viso per trattenere un sorrisetto. Tipico di Sirius fare del sarcasmo nelle situazioni peggiori.
-          Così gli ho lasciato la Gazzetta del Profeta. Dopo quella giornata non avevo nessuna voglia di leggere il giornale.
-          Non ricorda nient’altro? Niente di strano, di insolito, di diverso dalle volte precedenti? – chiese Sara sperando in altri particolari.
-          No, mi dispiace. Questo è tutto – rispose il Ministro togliendosi gli occhiali da lettura e appoggiandoli alla scrivania.
Sara si appoggiò allo schienale della sedia e fissò lo sguardo nel vuoto. Sentiva un’idea, un’intuizione geniale appostata in un angolo del suo cervello e stava cercando di farle superare la timidezza per manifestarsi in tutto il suo splendore.
C’era qualcosa di terribilmente importante che le sfuggiva, un dettaglio, qualcosa… doveva esserci qualcosa, era la sua ultima speranza.
-          Si sente bene? – chiese Caramell, che nel frattempo aveva recuperato il suo tono d’ordinanza.
-          Ma certo! - esclamò Sara balzando in piedi – Ma certo! Il giornale! Mi dica, era di quel giorno? O era precedente?
-          No, era di quel giorno – rispose il Ministro – Ma non capisco che cosa c’entri.
-          Grazie! – esclamò Sara uscendo di corsa dall’ufficio senza rispondere – Grazie mille dell’aiuto!
Come aveva fatto a non capirlo immediatamente? Il giornale era stata la molla. Doveva essere così. Sara superò come un fulmine Percy Weasley senza degnarlo di uno sguardo, corse lungo il corridoio, ignorò l’ascensore e percorse le scale più in fretta possibile.
Quando entrò nel suo ufficio trovò Frank che sbocconcellava un tramezzino accanto alla scrivania.
-          Forse ci siamo! – esclamò eccitatissima Sara.
-          Davvero? Cosa hai scoperto? – domandò Frank esaltato come un bambino.
-          Ascoltami. Ascoltami senza interrompermi – iniziò Sara passeggiando su e giù per la stanza – Caramell quel giorno era andato a fare un’ispezione. Quando è andato a visitare i detenuti ha parlato con Black e gli ha lasciato il giornale. Capisci? Il giornale!
-          Hem… mi dispiace ma no, non capisco… – rispose Frank aggrottando le sopraciglia.
-          Deve essere stato il giornale a far scattare quella molla di cui parlavamo – strillò Sara alzando le mani al cielo. Quindi si sedette e proseguì con più calma – Abbiamo detto che, se è evaso dopo tredici anni e non subito, qualcosa deve averlo turbato, spaventato, deve aver avuto una spinta, un impulso. Era un sorvegliato speciale, stava in isolamento. L’unico contatto con l’esterno che ha avuto è stato quel giornale! Deve aver letto qualcosa lì dentro, qualcosa che lo ha spinto ad evadere.
-          Credi che sia possibile? – chiese Parker incredulo.
-          Lo spero più che altro. È l’ultimo appiglio che abbiamo.
-          Non dimenticare la riesumazione. Mentre non c’eri hanno portato l’autorizzazione – la informò Parker sventolando un plico di moduli.
-          Calma, una cosa per volta. Prima la riesumazione, finché è giorno e c’è luce. Mentre organizzo la cosa tu vai all’archivio della Gazzetta del Profeta e procurati una copia del giornale di quel giorno.
Frank si alzò senza perdere un attimo e uscì dall’ufficio. Sara prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, quindi sollevò la cornetta del telefono collegato alla linea interna.   
-          Andrew, sono Sara. Mi servono due uomini per una riesumazione... Sì, hai capito bene, una riesumazione… Adesso… No, forse non sono stata chiara. Mi servono ora, partiamo tra mezz’ora…. Ti consiglio di fare qualcosa di più del tuo meglio.
Il click della cornetta che si riagganciava risuonò nel silenzio dell’ufficio. Sara si passò le dita tra i capelli e si appoggiò allo schienale della sedia con i gomiti abbandonati sui braccioli. Che giornata. E non era ancora finita.
Sara sperava ardentemente di trovare qualcosa, o nel giornale o sul dito di Minus o, ancora meglio, su tutti e due. Era l’ultima spiaggia, l’ultimo briciolo di speranza. Nessun caso era mai stato cosi difficile. Non solo non aveva informazioni, non solo la scena del crimine non esisteva più, ma doveva anche fingere di essere totalmente estranea alla cosa, di non aver mai conosciuto Sirius Black, di non aver avuto una storia con lui, di non essere stata sul punto di mollare ogni cosa quando l’avevano accusato dell’assassinio di quelle persone.
Quella storia la toccava più profondamente di quanto chiunque immaginasse. Lei stessa dopo tutti quegli anni non avrebbe creduto di soffrire ancora così tanto, ciò nonostante la ferita era ancora aperta e sanguinante per giunta. Quando tutto era iniziato nessuno avrebbe creduto che sarebbe finita così, nessuno poteva prevedere… Né lei, né Sirius.
Sara aveva rivissuto ogni istante di quei due anni nella memoria, centinaia e centinaia di volte, i momenti belli e quelli brutti e tutto quello che era stato dopo. Ricordava tutto con precisione quasi psicotica.
Il giorno del matrimonio di Lily e James, Sara si era alzata presto, prima delle sei. Hogwarts dormiva ancora profondamente e non si sentiva alcun suono. Sara si alzò dal letto e si vestì con un paio di jeans e una maglietta presa a caso dal mucchio nel suo baule. Aveva preparato la sera prima una sacca da portare a Londra con alcune cose che le sarebbero servite. Una volta pronta raccolse le sue cose e uscì silenziosamente.
Faceva uno strano effetto camminare per i corridoi di Hogwarts con quel silenzio, la Sala Grande, quando Sara entrò, era ancora più strana, completamente deserta. La tavola di Grifondoro era apparecchiata per due. La ragazza si guardò intorno ma non c’era nessuno in vista, si sedette e attese davanti al piatto vuoto che qualcosa accadesse.
Dopo qualche istante sulla porta comparve il Professor Silente.
-          Buon giorno professor Silente – salutò Sara alzandosi in piedi.
-          Comoda, comoda. Buon giorno! Non ha appetito? – chiese il professore indicando la tavola improvvisamente imbandita, che Sara ignorava.
La ragazza si voltò di scatto e vide che i piatti davanti a lei si erano riempiti. Titubante per la presenza del Preside, Sara si servì di toast imburrati e di caffè. Silente si sedette di fronte alla ragazza e si servì un toast al formaggio che spalmò di marmellata.
-          Era moltissimo tempo che non sedevo a questo tavolo. Devo dire che da qui la prospettiva è del tutto diversa – esordì Silente guardandosi intorno mentre addentava un angolo del toast.
Sara non sapeva cosa rispondere. Non aveva mai parlato con il Preside a quattr’occhi, a dire la verità non aveva mai parlato con il Preside direttamente, né era mai stata sola con lui. Non poteva fare a meno di domandarsi cosa facesse lì a quell’ora del mattino. Probabilmente quella domanda doveva averla impressa in volto, perché dopo qualche istante Silente proseguì:
-          Immagino che si chieda come mai sono qui. Sono stato invitato anch’io al matrimonio, quindi temo che dovrà sopportarmi fino a Londra.
A quella rivelazione Sara parve ritrovare la voce e rispose con un sorriso:
-          Sarà un piacere viaggiare con Lei.
-          In realtà – disse ancora Silente – anche la professoressa McGrannitt è stata invitata, ma qualcuno deve restare a controllare la scuola quindi ho fatto valere il mio diritto di anzianità.
La colazione fu consumata abbastanza rapidamente e, quando entrambi furono sazi, Silente guidò Sara all’esterno. Il cielo su Hogwarts era limpido e il sole cominciava a riscaldare i prati e il lago. La ragazza stava appunto per domandarsi come avrebbero raggiunto Londra, quando il Preside indicò una carrozza di quelle che conducevano gli studenti alla scuola dal treno il primo giorno dell’anno scolastico.
-          Dopo di lei – la invitò Silente aprendo lo sportello.
Sara si arrampicò sulla scaletta e prese posto in un angolo. Non appena anche il Preside si fu sistemato, la carrozza partì da sola lungo il vialetto in direzione del cancello. Man mano che si avvicinava alla cancellata chiusa acquistava sempre più velocità, tanto che Sara iniziò a temere che sarebbero usciti sfondando il cancello. Quando stavano per scontrarsi, la carrozza si sollevò da terra e prese quota nel cielo azzurro. Questo improvviso cambiamento colse Sara così di sorpresa che emise un grido strozzato.
Silente la guardò divertito, poi spiegò:
-          Thestrals.
-          So… sono Thestrals che trainano le carrozze? – chiese Sara incredula, riavendosi dallo spavento.
-          Sì, conosce queste creature? Sono straordinarie, estremamente mansuete se si sanno prendere per il verso giusto.
La ragazza non trovò nulla da replicare, così prese a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorreva rapido sotto di loro. Quando si voltò verso il Preside vide che l’uomo aveva appoggiato la testa di lato e si era assopito o almeno così sembrava.
Il viaggio fu più rapido di quanto Sara si aspettasse, aveva portato con sé un romanzo da leggere nell’attesa ma il paesaggio era molto più interessante e i suoi pensieri la tennero occupata fino all’arrivo. Non sapeva che cosa aspettarsi da questa giornata, sperava solo di riuscire a evitare Sirius Black il più possibile. Non aveva nessuna intenzione di rovinare alla sua amica quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita.
L’idea che Lily si sposasse la rattristava un po’, significava la fine di un periodo in cui potevano permettersi di essere frivole e spensierate, significava che Lily stava passando nel mondo degli adulti e Sara non sapeva se sarebbe stata ammessa a far parte di questo mondo nuovo.
La carrozza atterrò leggera in un vicolo e Silente si ridestò con l’aria fresca e riposata come se avesse riposato tra coltri di seta.
-          Ah bene! Siamo arrivati! – annunciò stiracchiandosi – Allora signorina White, qui le nostre strade si dividono, dico bene? So che la signorina Evans ha prenotato per lei una stanza d’albergo. Ci rivediamo qui domattina alle otto in punto. Passi una buona giornata e si diverta!
Sara e Silente si divisero all’imbocco del vicolo. Silente fermò un taxi e si allontanò alla volta della chiesa. Che strano effetto faceva vederlo su un mezzo così evidentemente babbano!
Prima di incamminarsi Sara respirò per un attimo lo smog di Londra, in qualche modo quella città era la sua casa e le piaceva tornarci di tanto in tanto. Come rispondendo ad un comando, svoltò a destra e prese a camminare rapidamente. Prima di andare in chiesa doveva passare al negozio di abiti da cerimonia.
Quando varcò la soglia Mary Jane, la commessa, le corse in contro.
-          Buon giorno! Ben arrivata! Il vestito è già pronto nel camerino – strillò indicando una tenda alla sua destra.
-          La ringrazio – replicò Sara un po’ spaesata da quell’accoglienza.
Scortata dalla commessa, la ragazza si diresse verso il camerino. Lì trovò il vestito avvolto in una elegante busta di stoffa bianca. Fece scorrere la cerniera ed eccolo lì, bellissimo ed elegante più di quanto non ricordasse. Si spogliò rapidamente e raccolse i suoi abiti nella sacca, quindi indossò le scarpe e  il vestito con la massima cautela. Quando fu pronta si voltò verso lo specchio. L’immagine che ne ebbe indietro non le apparteneva, non si era mai vista così. I miracoli che poteva fare un po’ di stoffa ben confezionata!
Accostandosi allo specchio la ragazza si truccò in modo leggero: un velo di ombretto, una riga nera per dare profondità agli occhi e il suo rossetto preferito.
Mary Jane la attendeva subito dietro la tenda e, quando la vide, diede in esclamazioni di ammirazione e giubilo. In effetti anche Sara era soddisfatta del risultato. Prima di avviarsi al bancone diede un’ultima occhiata allo specchio: il vestito cadeva perfettamente, con i drappeggi giusti nei punti giusti, la stola copriva le spalle come un velo, la scollatura non era eccessiva e, per finire, i tacchi la slanciavano parecchio. Distogliendo lo sguardo dalla sua immagine, Sara diede un’occhiata all’orologio d’acciaio che portava al polso sinistro. Si stava facendo tardi.
Mary Jane la attendeva dietro il bancone. Quando la ragazza si accostò per saldare il conto le porse una scatola argentata.
-          Questa è un omaggio della ditta – spiegò la commessa.
La ragazza aprì la scatola e vi trovò una piccola borsetta, con la tracolla a catenella, esattamente della stessa tinta dell’abito.
-          E’ troppo non posso accettare! – esclamò Sara.
Cercò di protestare, ma con così poca convinzione che pochi istanti dopo era in strada, con i suoi vecchi vestiti nella sacca, la nuova borsetta appesa alla spalla e il portafogli alleggerito di un bel po’ di quattrini.
Sara guardò nuovamente l’orologio. Poteva farcela, ma non a piedi e non sui tacchi. La chiesa distava pochi isolati ma la ragazza decise di fermare un taxi e farsi accompagnare. Per il matrimonio di Lily non avrebbe badato a spese.
Quando l’auto si fermò, davanti alla chiesa c’era già un certo fermento, anche se gli invitati non erano molti a quanto aveva detto Lily. Sara vide parecchie persone che conosceva di vista come studenti di Hogwarts, ma vide anche persone che non conosceva. Dall’altro lato della strada le parve perfino di scorgere Severus Piton, ma quando si voltò per guardare meglio non c’era nessuno. Probabilmente doveva averlo immaginato. James Potter non avrebbe mai e poi mai invitato Mocciosus al suo matrimonio.
Sara si affrettò a salire la scalinata, c’era una fioriera molto interessante al lato della porta. La ragazza la esaminò per un attimo poi, con indifferenza ma stando attenta che nessuno la notasse, ci fece scivolare dentro la sacca. Non voleva andare in chiesa con quella. Depositato il bagaglio varcò il portone laterale di sinistra e prese a guardarsi intorno alla ricerca di visi noti.
Mentre muoveva qualche passo verso la navata centrale, due ragazze che riconobbe essere compagne di scuola di Lily, la oltrepassarono e Sara colse uno stralcio di conversazione:
-          L’hai visto? – diceva una in un sussurro cospiratore.
-          Si – rispose l’altra languidamente – E’ ancora meglio di quando andavamo a scuola.
-          Il testimone più affascinante che abbia mai visto – replicò l’altra ridacchiando.
-          Già, e avremo tutto il ricevimento per passare all’attacco.
Sara le guardò allontanarsi provando una punta di fastidio che non riuscì a spiegarsi del tutto. Che razza di discorsi da fare in quel momento, ma dopotutto non era la prima volta che le capitava di sentir parlare di Sirius in quei termini, come se fosse una preda di una battuta di caccia.
Sara diede un’occhiata tra i banchi e ne individuò uno vuoto, accanto ad una colonna. Si diresse da quella parte e si sistemò nel punto più defilato. Mentre il suo sguardo passava sugli invitati, la ragazza si sorprese a cercare proprio il testimone dello sposo. Lo individuò esattamente dalla parte opposta della chiesa, che parlava con James.
Ad un tratto Sirius guardò nella sua direzione e i loro sguardi si incrociarono per un istante. Il ragazzo fece un cenno di saluto e lo stomaco di Sara fece un sobbalzo strano e lei pensò che, in effetti, non era affatto male. Sollevò appena una mano per ricambiare il saluto e Sirius tornò a voltarsi verso James. Poteva aver ragione Lily, forse si sbagliava sul conto di Sirius Black. Magari, conoscendolo meglio, non sarebbe stato così insopportabile. Quasi immediatamente si diede della stupida per aver pensato una cosa del genere, ma la sua mente fu sollevata da ulteriori riflessioni grazie all’arrivo della sposa.
Lily era bellissima e James era raggiante. Sara non l’aveva mai visto così felice, sembrava del tutto diverso dalla persona che aveva conosciuto a Hogwarts. Lo sguardo della ragazza finiva più spesso di quanto non avrebbe voluto sul ragazzo alla destra dello sposo. Anche Sirius sembrava in qualche modo diverso, più adulto, più uomo.
La cerimonia filò via liscia e rapida, nessuno obiettò a quell’unione e, al termine della messa, gli invitati sciamarono all’esterno per le foto di gruppo. Sara fu tra le ultime ad uscire. In un momento di tregua dal fotografo, si avvicinò a Lily e la salutò con un abbraccio.
-          Allora ce l’hai fatta! Sei splendida! – esclamò la sposina.
-          Grazie! Anche tu non sei niente male con questo vestito. Allora, come ci si sente da sposati? – chiese Sara curiosa.
-          Felici come non mai! – fece in tempo a rispondere Lily, prima di essere nuovamente trascinata via dal fotografo.
In quel momento Sara avvertì una mano sulla spalla, si voltò e vide il volto aperto e solare di Remus Lupin che le sorrideva.
-          Ciao Remus! – salutò con calore.
-          Ciao Sara! E’ andato bene il viaggio? – chiese il ragazzo prendendola sotto braccio e accompagnandola verso l’uscita.
-          Sì, benissimo. Come stai? È parecchio che non ci vediamo.
-          Tutto bene, grazie. Hai già un mezzo per andare al ricevimento? – si informò Remus.
-          Non ancora, pensavo di prendere un taxi – rispose la ragazza.
-          Ma no! Perché non vieni in macchina con noi? Siamo solo io, Peter e Sirius – suggerì lui.
-          Hem… il mio programma per la giornata sarebbe evitare il più possibile il testimone dello sposo. Non vorrei trasformare il ricevimento in un talk show.
-          Sara, non potete continuare ad evitarvi. Perché semplicemente provate a non punzecchiarvi continuamente?
Sara sospirò e si guardò intorno. I suoi occhi raggiunsero la figura di Sirius come se fossero stati attratti da una calamita. Lui era in cima alla scalinata, allegro e sorridente, non sembrava affatto il ragazzo astioso che coglieva sempre ogni pretesto per litigare con lei. Il fotografo stava immortalando l’abbraccio amichevole tra lui e James. La ragazza chiuse gli occhi e si voltò di nuovo verso Remus.
-          D’accordo – acconsentì riaprendo gli occhi – ci posso provare. Ma ci riuscirò solo se il signor Black deciderà di collaborare.
Remus sorrise sollevato e rispose:
-          Per questo non credo ci saranno problemi, almeno per oggi.
Detto questo la lasciò per un attimo con le sue preoccupazioni mentre andava a recuperare l’auto. Quando tornò con la sua vecchia vettura malconcia, anche Peter e Sirius si avvicinarono. Peter si limitò a un timido cenno di saluto, mentre Sirius la fissò un attimo con sospetto prima di voltarsi verso Remus e fulminarlo con lo sguardo.
-          Buon giorno, signor Black! – salutò Sara con un sorriso che sperò che risultasse conciliante. Era meglio cominciare con il piede giusto.
-          Buon giorno, signorina White – rispose lui osservandola con stupore.
-          Allora, si va? – domandò Remus mettendosi alla guida.
-          Sì, io devo stare davanti altrimenti soffro – disse Peter prendendo posto accanto all’autista prima che qualcuno potesse protestare.
Prima di salire sull’auto Sara schizzò a prendere la borsa che aveva nascosto nella fioriera, quindi si sedette dietro Remus e Sirius prese posto accanto a lei. Si guardarono per un attimo, senza dire nulla, come supplicandosi con gli occhi di tacere per non complicare le cose. Poi, quando Remus partì, si voltarono da parti opposte e così rimasero per tutto il tragitto fino al ristorante.
 
*^*^*^*^*
 
-          Niente, non riusciamo a scoprire niente – stava dicendo Tonks davanti a un caffè bollente nella cucina di Grimmauld Place.
-          Sanno sempre tutto di tutti al Ministero – rispose James – Possibile che non si sappia assolutamente nulla di quello che la White sta facendo? – esclamò con una certa frustrazione.
-          E’ brava a svolgere il suo lavoro quanto è brava a nasconderlo – intervenne Kingsley con la sua voce calma e profonda - Le uniche persone che possono sapere qualcosa sono i suoi collaboratori più stretti, ma non è affatto facile avvicinarli senza destare sospetti. Sono stati addestrati molto bene.
-          Chi sono questi collaboratori? – domandò Sirius, intervenendo per la prima volta nella conversazione.
Tonks e Kingsely avevano ricevuto dall’Ordine il compito di tenere d’occhio Sara, di cercare di capire a che punto fossero le indagini e che cosa avesse scoperto. A Sirius sembrava del tutto assurdo che qualcuno dovesse controllare Sara, come se fosse una spia o un pericolo, ma Silente aveva insistito, non avevano idea di cosa avrebbe potuto scoprire, né sapevano da che parte stesse, quindi era meglio prendere le dovute precauzioni. A quanto sembrava però non era così semplice.
-          I collaboratori di Sara sono Roger Klyne, Olga Vucavich e Frank Parker – cominciò a spiegare Kingsley - Klyne e Vucavich lavorano con la White da quattro anni. Facevano parte del gruppo di reclute affidate a Sara e, terminato il periodo di prova, sono rimasti con lei.
-          A dire il vero – lo corresse Ninfadora – credo che sia stata lei a sceglierli per far parte della sua squadra, era stata sommersa di richieste.
-          Sì, può essere – confermò l’Auror, lievemente seccato per l’interruzione.
-          Invece Frank Parker? – chiese Lily, interessata.
-          Frank Parker – riprese Tonks – lavora con Sara da più tempo. Sono poco più di otto anni. E’ stato la prima recluta affidata alla White, quando era Auror Guida, e da allora hanno sempre lavorato insieme. E’ stato la prima persona che ha scelto quando ha formato la sua squadra.
-          Sembra che attualmente nelle indagini su Sirius sia coinvolto solo Parker – interloquì Kingsley – Vucavich e Klyne continuano a lavorare agli altri casi.
-          Probabilmente Sara ha ritenuto che coinvolgere meno persone possibili fosse il modo migliore per evitare fughe di notizie di qualunque tipo – suggerì Lupin.
-          A questo punto mi domando per quale motivo non se ne sia occupata da sola – chiese James.
-          Quando ho lavorato con lei – replicò Tonks – mi ricordo che mi aveva detto che lavora meglio con un interlocutore. Parlare in due delle cose aiuta a vedere dettagli che da soli non si riuscirebbero a distinguere. Diceva così.
Sirius si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Quelle teorie erano tipiche di Sara. Gli aveva detto una cosa simile una volta in cui l’aveva coinvolto in un ripasso prima degli esami. Quando lui aveva protestato che gli esami li aveva già sostenuti una volta, lei gli aveva detto che con un interlocutore sarebbe riuscita a ripassare meglio e più in fretta.
Era incredibile come Sirius ricordasse ogni dettaglio di quei due anni passati con Sara, era quasi maniacale. Ricordava in modo particolare i momenti più importanti, quelli che avevano segnato una svolta, come il matrimonio di Lily e James.    
La cerimonia aveva assorbito completamente i suoi pensieri, facendogli scordare la presenza di Sara. Solo al momento di partire alla volta del locale che era stato affittato per i festeggiamenti, i pensieri di Sirius erano tornati alla ragazza. Scendendo la scalinata della chiesa, la vide confabulare con Remus e avvicinarsi alla sua auto. Quando arrivò accanto alla macchina comprese che Sara sarebbe andata con loro e lanciò un’occhiataccia a Remus: una cosa era cercare di non litigare con Sara, un’altra cosa era invece cercare di non litigare con Sara passando la giornata gomito a gomito con lei.
Mentre stavano per salire, la ragazza esclamò:
-          Un momento! Che idiota, stavo per dimenticarmene – e fuggì di corsa verso la chiesa.
-          Che ragazza strana – commentò Peter.
-          Era assolutamente necessario che venisse con noi? – chiese Sirius a denti stretti.
-          Non aveva un mezzo, volevi che la lasciassi andare in taxi? – replicò Remus, mentre Sara ritornava con una strana sacca in mano.
-          No, certo che no, ma non c’era proprio nessun’altro che la potesse accompagnare?
Remus pose fine alla conversazione con un’occhiata, mentre Sara arrivava di corsa. Sirius salì in auto dietro a Peter e, dall’interno dell’auto, sentì Remus che chiedeva:
-          Da dove viene questa?
-          Remus, non crederai davvero che sia venuta da Hogwarts vestita così – rispose Sara riponendo la sacca nel bagagliaio.
Quindi la ragazza si sedette accanto a Sirius e lo guardò per un momento. Sirius avrebbe voluto dire qualcosa, ma non gli venne in mente nulla, così si voltò verso il finestrino e rimase in silenzio per tutto il tragitto. Remus fece qualche timido tentativo di conversazione, ma quando non ottenne che qualche monosillabo di risposta, decise di lasciar perdere.
Il locale era in una splendida località di campagna, appena fuori Londra, il ristorante occupava il primo piano di una villa d’epoca ed era circondato da un immenso parco. Lily e James avevano dato fondo ai loro risparmi per quella cerimonia e anche i signori Potter avevano dato un discreto contributo. Se la cerimonia era stata tipicamente Babbana, la festa si preannunciava esattamente l’opposto. Un mago in livrea controllava il cancello d’ingresso e spruzzava scintille argentate dalla bacchetta per indicare agli ospiti lo spiazzo per il parcheggio. Uno scintillio dorato segnava il sentiero pedonale che portava dal cancello all’ingresso della villa.
I quattro occupanti dell’auto scesero nel parcheggio e si guardarono intorno ammirati.
-          Però, gli sposini hanno deciso di esagerare! – esclamò Sirius.
-          Sì, hanno fatto davvero le cose in grande – convenne Remus.
-          Volete stare lì impalati tutto il tempo o pensate di andare a festeggiare? – chiese Sara indicando il vialetto.
-          Direi che potremmo andare a festeggiare – replicò Sirius affiancandosi a Sara e porgendole il braccio.
Lei lo guardò stupita, ma poi accettò il braccio e si avviò con Sirius lungo il vialetto. Sirius si disse che quello poteva essere un buon modo per iniziare la giornata, in fondo non era male comportarsi civilmente anziché azzuffarsi in continuazione.
Il pranzo si svolse senza eccessive complicazioni, i camerieri volteggiavano tra gli invitati servendo le bevande, mentre le portate comparivano direttamente nei piatti disposti sui tavoli. Sirius era seduto accanto agli sposi con Remus e Peter, Sara invece era a poca distanza da Lily assieme alle damigelle. Di tanto in tanto gli occhi del ragazzo vagavano verso l’altro lato del tavolo e si soffermavano sulla figura di Sara; questo in effetti accadeva più spesso di quanto lui stesso avesse voluto tanto che Remus, alla fine della terza portata gli domandò:
-          Tutto bene amico?
-          Sì… certo… perché? – rispose Sirius lievemente disorientato ma mantenendo lo sguardo su Sara.
-          Mi sembri distratto, tutto qui. Qualcosa non va? – chiese ancora Remus.
-          No – replicò Sirius sorridendo e voltandosi verso Lupin – tutto a posto.
Al termine del pranzo la festa proseguì con il taglio della torta nel parco, quindi gli sposi aprirono le danze sulla musica di un quartetto. Quando scese la sera, nel parco si accesero luci colorate provenienti dai cespugli e dagli alberi, i camerieri portarono sulla grande terrazza candelabri splendenti, gli ospiti presero posto ai tavolini disposti a sostituire il tavolo da pranzo intorno alla pista da ballo e venne allestito un bar lungo la parete.
Non appena era iniziata la musica Sirius era stato attorniato dalle invitate, compagne di scuola di Lily, amiche, le damigelle. Era lusinghiero ottenere tanta attenzione, ma dopo aver ballato con quattro ragazze diverse, di cui non riusciva nemmeno a ricordare il nome, si rese conto che non gliene importava più di tanto. Mentre danzava con una certa Brit, i suoi occhi cominciarono a vagare per la sala alla ricerca di Sara.
Al termine della canzone non l’aveva ancora individuata e una certa inquietudine cominciò a insinuarsi nei suoi pensieri. Che se ne fosse andata?
Ad un tratto si bloccò. Ma come? A lui cosa importava di quello che faceva Sara White?
Cambiò repentinamente direzione e si diresse verso il bar dove aveva scorto Remus e Peter. Quando li raggiunse ordinò un drink al cameriere e si appoggiò al tavolo accanto a loro.
-          Come procede, fatto conquiste? – domandò agli amici.
-          Mai quanto te! – scherzò Remus – Hai sempre un discreto fan club che ti attornia.
-          Già… - rispose Sirius amaramente, quella situazione cominciava a stancarlo.
Sirius riprese a scandagliare la sala con lo sguardo quasi senza accorgersene. Dove poteva essersi cacciata la ragazzina? Remus lo fissò per un po’, studiando la sua espressione, poi disse:
-          Se la cerchi, l’ho vista uscire in terrazza poco fa.
Sirius si voltò verso Lupin e lo guardò intensamente domandandosi come diavolo facesse a sapere sempre quello che pensava. Lo ringraziò dell’informazione e, con il suo bicchiere in mano, si diresse verso la terrazza.
Mentre camminava verso la porta che dava sull’esterno fu bloccato da Brit che gli chiese un altro ballo, ma lui la liquidò senza troppi complimenti. Raggiunta la sua meta si fermò. La terrazza era deserta, c’era soltanto Sara appoggiata alla balaustra nell’angolo più lontano. Dava le spalle all’ingresso e di lei si scorgevano solo i lunghi capelli castani che le ricadevano sulle spalle, stava armeggiando con la borsetta e non si accorse dell’arrivo di Sirius.
Per la prima volta da che la conosceva Sirius decise che sarebbe andato a parlare con Sara, non per dirle qualche cattiveria o per prenderla in giro, ma per cercare di comunicare amichevolmente.
 
*^*^*^*^*
 
Col passare delle ore si era alzato un vento gelido che ora sferzava il viso di Sara e di Frank mentre assistevano alla riesumazione della piccola cassetta che conteneva il dito di Minus. Gli operai che erano con loro non erano stati particolarmente contenti del fuori programma, ma a Sara non importava, voleva risolvere la faccenda il più in fretta possibile. Cominciava a fare buio e le luci soffici dei lampioni del cimitero ricordavano a Sara le luci che avevano illuminato il parco della villa dove, tempo prima e in un momento molto più felice, Lily e James avevano festeggiato il loro matrimonio.
Il vento gelido che si era abbattuto su Londra, portando con sé anche nuvole spesse e nere, non riusciva a penetrare nella cucina di Grimmauld Place dove Sirius era rintanato nel solito angolo. I ricordi continuavano ad affiorare alla memoria, come un film visto e rivisto.
Erano lontani chilometri, ma i loro pensieri erano gli stessi. Entrambi ripensavano a quella terrazza, illuminata dalle candele immersa nella magia del parco. La musica filtrava leggera dalla sala da ballo creando soltanto un lieve sottofondo.
Sara era uscita per fumarsi una sigaretta, lontana dal chiasso e da tutti quegli occhi che la squadravano come per cercare di capire cosa c’entrasse lei in quel posto. La terrazza fortunatamente era deserta, la ragazza si appoggiò alla balaustra nel punto più lontano dalla porta nella speranza di non essere vista e di essere lasciata in pace. Il pacchetto di sigarette era una delle poche cose che era riuscita a fare entrare nella piccola borsetta ma ora, nonostante le ridotte dimensioni della borsa, non riusciva a trovare l’accendino e non le andava di usare la bacchetta fuori da scuola solo per accendersi una sigaretta.
Sirius era fermo sulla porta e guardandola da lontano poté apprezzare la sua figura snella e aggraziata e con le curve giuste, il vestito per di più le donava particolarmente. Sembrava molto più grande dei suoi quindici anni. Sirius si avvicinò lentamente, camminando con noncuranza, una mano lasciata casualmente nella tasca dei pantaloni. Quando arrivò accanto a lei, Sara si voltò all’improvviso sorpresa di vederlo lì. Aveva una lunga sigaretta che le pendeva dalle labbra e Sirius fu piuttosto sorpreso di apprendere che fumava.
-          Guarda, guarda – disse estraendo un accendino dalla tasca e porgendole la fiamma – Sara White che fuma…
-          Ebbene sì – rispose lei – E’ grave? – domandò poi aspirando la prima agognata boccata.
-          Non particolarmente, non puoi essere perfetta. Dovevi pur avere qualche vizietto anche tu – replicò il ragazzo appoggiandosi alla balausta accanto a lei e accendendosi a sua volta una sigaretta.
-          Sono ben lontana dalla perfezione e se il fumo fosse davvero il mio unico difetto… – replicò Sara lasciando la frase in sospeso.
-          Bé sei brava negli studi, sei un’ottima amica per Lily, sei intelligente, schietta…
-          Con te sono sempre stata molto più che schietta – ammise la ragazza – Forse a volte ho esagerato.
-          Sì, a volte. Ma spesso ti ho provocata… e probabilmente anch’io ho esagerato – confessò il ragazzo.
Sirius era sorpreso di se stesso, non sapeva dire da dove venissero quei discorsi, né perché proprio in quel momento avesse deciso di parlare a quel modo. Sara era altrettanto stupita, di sé stessa e del ragazzo che aveva di fronte. Non sembrava affatto lo stesso Sirius Black che aveva creduto di conoscere. Ma forse lei non conosceva davvero Sirius Black.
-          Che ne dici, tregua? – propose Sara titubante tendendogli una mano.
-          Tregua – rispose Sirius prendendole la mano.
Stringendosi la mano i due si guardarono negli occhi, per la prima volta senza diffidenza, senza rancore, senza avversione. Sara sentì un brivido percorrerle il braccio fino alla schiena, mentre Sirius avvertì nuovamente quella stretta allo stomaco, la stessa che aveva provato quella mattina quando l’aveva vista entrare in chiesa. Si sorrisero e poi si voltarono nuovamente verso il parco.
Terminarono la sigaretta nel silenzio quindi Sara si voltò, si scostò i capelli dal viso scrollando la testa all’indietro, facendo così ondeggiare gli orecchini d’argento.
Sirius non riusciva a sciogliere il nodo allo stomaco che si era formato, in sala il quartetto aveva attaccato una canzone lenta e romantica. Il suo raziocinio gli diceva a gran voce che aveva fatto il suo dovere, si era comportato civilmente, ma ora era il momento di congedarsi. Il suo istinto però non lo lasciava andare via da lì. Qualcosa gli diceva che se si fosse voltato e fosse andato via l’avrebbe rimpianto in futuro.
Il ragazzo studiò Sara per un momento poi si risolse a parlare:
-          Ti va di ballare? – propose titubante, temendo, per la prima volta da quando aveva cominciato a interessarsi alle ragazze, di essere respinto.
-          Ballare? – domandò incredula Sara – Ballare, io e te?
Alla ragazza sembrava assurdo che Black, Sirius Black, il ragazzo più gettonato di Hogwarts, chiedesse a lei di ballare, lei che non era altro che una normalissima Sara White.
-          Sì, ballare, io e te. Cosa c’è di così strano? – confermò Sirius, lievemente offeso da quella reazione.
Ma cosa si aspettava, d’altra parte non aveva mai fatto altro che prenderla in giro, ora non poteva pretendere che lei facesse i salti di gioia per un invito a ballare con lui.
-          Non credo che ci sia niente di strano. Anzi, accetto con piacere – rispose Sara con un ampio sorriso.
-          Bene – replicò il ragazzo sollevato - Andiamo!
Sirius prese la mano di Sara, che si lasciò guidare sulla pista da ballo senza opporre resistenza. Quando rientrarono nella villa la musica si fece più forte e avvolgente, Sirius si sistemò di fronte a Sara, pose la mano sinistra sulla schiena di lei e la mano destra in quella della ragazza.
Sara non si era mai sentita tanto in imbarazzo ma al tempo stesso non avrebbe voluto essere in nessun altro posto al mondo. Una vocina nella sua testa le diceva che non era una buona idea, lei non c’entrava nulla con Sirius Black, perché farsi delle illusioni inutili? Però la stretta allo stomaco che aveva provato quando lui le aveva chiesto di ballare non se ne era ancora andata e la costringeva a restare lì, su quella pista da ballo.
Sirius fece un passo verso la ragazza, stringendosi un po’ di più a lei. Sara era parecchio più bassa, gli arrivava appena alla spalla, lasciò la mano di Sirius e gli pose le braccia sulle spalle, attorno al collo. Mentre ballavano i loro sguardi si sfioravano appena vagando continuamente su altri dettagli, i capelli, la punta del naso, la bocca.
Sirius non ricordava di aver sentito il suo cuore battere così dall’ultima avventura con i Malandrini. Cercava di guardare Sara negli occhi, ma le sue labbra lo attraevano come una calamita. Se non fosse stato vittima di una lotta interiore tra la sua ragione e il suo istinto avrebbe ceduto molto prima, ma anche così non sapeva quanto avrebbe potuto resistere.
Sara non aveva la minima idea di cosa le stesse succedendo, le pareva di avere un volo di farfalle nello stomaco e il cuore martellava all’impazzata. Sirius la guardava talmente intensamente che lei non aveva idea di quanto avrebbe potuto resistere prima di lasciarsi andare.
Sirius si avvicinò ancora a Sara, tanto che il suo profumo gli riempì le narici. Le sue labbra erano talmente vicine che solo pochi millimetri sarebbero bastati.
In quel momento la canzone terminò e Sirius e Sara furono riportati alla realtà dagli applausi dei ballerini e degli astanti al quartetto. Sara si allontanò di un passo, ma Sirius non le diede modo di andarsene, le prese la mano e la trattenne.    
-          Scappi? – chiese il ragazzo con un sorriso.
-          No… è che… - rispose Sara confusa – Si sta facendo tardi, domattina devo partire presto per tornare a Hogwarts, è meglio che vada all’albergo.
A Hogwarts. Per un attimo Sirius aveva dimenticato che Sara sarebbe dovuta tornare a scuola.
-          Aspetta, ti accompagno – disse Sirius prima di allontanarsi a passo di carica.
Sara si guardò intorno smarrita, cosa diavolo le stava succedendo? Prima di andare doveva salutare Lily e James. I novelli sposi avevano appena terminato un ballo e ora erano seduti ad un tavolino. Mentre Sara camminava verso di loro, vide le due ragazze che aveva incrociato in chiesa squadrarla con odio. Quando si fu avvicinata Lily si alzò in piedi per accoglierla:
-          Ciao ragazzi! Io devo andare. Grazie della splendida giornata – salutò Sara.
-          Come! Te ne vai già? – esclamò Lily avvicinandosi – Ti abbiamo visto ballare con Sirius – aggiunse poi sussurrando -  Che succede?
-          Hem… poi ti racconterò – abbozzò la ragazza sorridendo imbarazzata.
Mentre le due ragazze si accordavano per tenersi in contatto e vedersi al più presto, Sirius era andato alla ricerca di Remus. Lo aveva trovato seduto a un tavolino intento a chiacchierare con una ragazza che era stata loro compagna di scuola. 
-          Amico, scusa se ti interrompo – esordì Sirius – Avrei bisogno di un favore.
Remus si alzò dalla sedia e si allontanò di qualche passo dal tavolino.
-          Ti ho visto ballare con Sara, cosa succede? – domandò Remus sorridendo.
-          Niente, non succede niente. Senti, puoi prestarmi la macchina? Te la riporto entro la serata.
-          Certo – rispose Lupin estraendo le chiavi dalla tasca – Per cosa ti serve?
-          Accompagno Sara all’albergo. A più tardi.
Sirius si allontanò prima che Remus potesse fare qualunque commento, non aveva nessuna intenzione di subire battutine in quel momento. Quando tornò nel punto in cui aveva lasciato Sara, la ragazza non c’era e per un attimo temette che se ne fosse andata, poi la vide tornare dal punto in cui si trovavano Lily e James e tirò un sospiro di sollievo.
Un sospiro di sollievo? Che diavolo gli stava succedendo?
Sara tornò facendo ticchettare i tacchi sul pavimento in marmo.
-          Ok, possiamo andare – disse la ragazza – Ma come hai intenzione di accompagnarmi?
Sirius le sorrise e le mostrò le chiavi dell’auto di Remus. I due si avviarono verso l’uscita, giunti al portone imboccarono il vialetto e presero a camminare in silenzio. Era però un silenzio diverso da quello di quella stessa mattina. Quando raggiunsero il parcheggio Sirius aprì lo sportello del passeggero e fece accomodare Sara, quindi si sistemò al posto di guida.
Mentre viaggiavano verso la città Sirius si sorprese a guidare molto più lentamente di quanto non avrebbe fatto normalmente, cercava di far durare quel tragitto il più a lungo possibile per trovare qualcosa di adeguato da dire. Qualunque cosa.
Fu Sara a toglierlo dall’imbarazzo:
-          Come mai sei venuto in macchina con Remus? – domandò – Non hai la macchina?
Sara sperava di non essere inopportuna, ma quel silenzio diventava opprimente.
-          Diciamo che non ho un mezzo adatto ad un’occasione del genere – rispose Sirius misteriosamente.
-          Sarebbe a dire? Cos’è un tappeto volante, una scopa? – cercò di indovinare Sara.
-          No, è una moto – replicò il ragazzo con orgoglio.
-          Stai scherzando? Adoro le moto! – esclamò Sara – Un mio amico Babbano è un patito di moto, ho passato un sacco di tempo nel suo garage a guardarlo trafficare con la sua.
-          Vorrà dire che ti porterò a fare un giro sulla mia un giorno di questi – propose Sirius con un sorriso.
Sara si abbandonò contro lo schienale del sedile e lasciò che il suo sguardo vagasse su Londra, che si avvicinava pian piano. Le sembrava di vivere la vita di qualcun altro. Come era possibile che quello che era successo quel giorno fosse vero? Sirius che la invitava a ballare, Sirius che la accompagnava all’albergo, Sirius che le proponeva un giro sulla sua moto. Sara sarebbe rimasta su quella macchina una vita, ma purtroppo l’albergo comparve in fondo ad una via e Sirius fermò l’auto.
Scesero entrambi, piuttosto in imbarazzo. Il giovane prese la sacca di Sara dal bagagliaio e gliela porse. Si guardarono in silenzio, cercando qualcosa da dire.
-          A dispetto delle previsioni, ho passato una bella giornata con te – esordì Sirius.
-          Anche per me è stata una bella giornata, chi l’avrebbe detto? – disse Sara sollevata che fosse stato lui a rompere il silenzio – Bé, grazie del passaggio. Ora… devo andare – proseguì indicando la porta dell’hotel.
Sirius le prese la mano e l’attirò verso di sé. Si chinò verso Sara e le diede un bacio a fior di labbra. Sara fu del tutto incapace di reagire e, quando lui si allontanò nuovamente, rimase inebetita per un momento. Sirius sorrise con quel sorriso meraviglioso e sarcastico, che Sara l’aveva visto usare tanto spesso a scuola, ma mai rivolto verso lei.
-          Ci vediamo, uno di questi giorni – propose il ragazzo.
-          Sì… perché… perché no – balbettò Sara in risposta.
La ragazza si voltò e mosse qualche passo verso l’ingresso dell’edificio, Sirius invece fece per risalire in macchina. In quel momento Sara si voltò e, prima di perdere il coraggio, disse precipitosamente:
-          Il prossimo finesettimana passeremo una giornata a Hogsmeade, se ti va puoi venire a trovarmi.
-          Perché no – acconsentì Sirius sorridendole ancora. Poi salì sull’auto e la salutò dal finestrino – Dormi bene, Sara.
-          Anche tu. 

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Capitolo 10
*** X ***


L’appartamento di Sara non vedeva ospiti da mesi, esattamente dall’ultima volta in cui Raymond, il figlio di Rebecca, aveva passato una settimana con lei. La cucina si stava riempiendo del profumo invitante di verdure grigliate. Sara era divertita dallo sguardo sconvolto di Frank, seduto al tavolo rotondo della cucina, intento a sorseggiare una birra. Si guardava intorno come se non avesse mai pensato che anche Sara, come tutti, potesse avere una casa con dei mobili e degli oggetti personali.
Frank e Sara avevano portato il reperto della riesumazione al Ministero che era ormai sera, lo avevano riposto in un contenitore sigillato appositamente per la conservazione e avevano deciso di andarsene a casa e occuparsi delle analisi il giorno seguente.
Parker era riuscito a reperire una copia del giornale che interessava loro all’archivio della Gazzetta del Profeta e c’era voluto del bello e del buono per convincere l’addetta a lasciargliela portare via. Non avevano intenzione di aspettare l’indomani anche per esaminare il giornale e Frank non era disposto a lasciare che il capo lavorasse di nuovo una nottata intera da sola. Così avevano deciso di cambiare un po’ ambiente, per ossigenare il cervello.
-          Non sapevo t’intendessi di cucina – disse Frank ad un tratto.
-          Non sai un sacco di cose su di me – replicò Sara aggiungendo pomodoro a cubetti alle altre verdure.
-          Raccontamene qualcuna allora – propose audacemente il ragazzo – Sono anni che lavoriamo insieme ma della donna che si nasconde dietro l’Auror Capo non so quasi nulla.
-          Sarebbe un racconto lungo e complicato… e noioso. Sono comunque un tuo superiore, non mi conviene che tu sappia troppe cose – commentò la donna scolando nel lavello un incredibile quantità di fettuccine.
-          Almeno mi puoi dire come hai imparato a cucinare.
-          Sì, questo credo di potertelo rivelare – rispose Sara con un sorriso cospiratore. Prima di iniziare a parlare però servì le fettuccine in due piatti e le condì con abbondante sugo alle verdure. Depose un piatto davanti a Frank, quindi si sedette – Buon appetito!
-          Altrettanto… allora dimmi – incalzò Frank impaziente.
-          Ho imparato a cucinare grazie a Emily. Emily è la governante in casa dei miei, ma definirla così è riduttivo. E’ con noi da una vita, praticamente ha cresciuto sia me che mio fratello e mia sorella. E’ una persona fantastica.
-          Aspetta un momento! – esclamò Frank incredulo – Tu hai un fratello e una sorella?!
-          Sì – rispose Sara – Lo trovi così strano?
-          No, è che è insolito pensarti con una famiglia
-          Lo so, è talmente tanto tempo che non mi considero più parte di quella famiglia che fa uno strano effetto pure a me – continuò Sara con una nota amara nella voce.
-          Se avete la domestica dovete passarvela piuttosto bene – rifletté Parker – Come sei finita a fare l’Auror?
-          In effetti, i miei genitori sono sfacciatamente ricchi – confessò la donna con un certo disgusto – Io no di certo – aggiunse poi – Da tempo non compaio più sul testamento.
-          Ti hanno diseredata?! – chiese Frank sconvolto al punto da scordare una forchettata di fettuccine a mezz’aria.
-          Sì, quando sono entrata in Accademia. E’ stato un colpo durissimo per mia madre – scherzò Sara.
-          E come mai hai deciso di entrare in Accademia? – chiese ancora il ragazzo.
-          Ora stai diventando un po’ troppo curioso. Ti ho già raccontato più di quanto volessi all’inizio – rispose Sara.
Era giunto il momento di mettersi al lavoro. Il programma era di leggere e rileggere il giornale da cima a fondo, senza trascurare nulla, neppure le soluzioni dei cruciverba. Il problema maggiore era che non avevano la più pallida di cosa cercare. Mentre Parker suddivideva la Gazzetta del Profeta in diverse sezioni, Sara si accinse a lavare i piatti.
L’acciottolio delle stoviglie le ricordò un’altra serata, in un’altra parte di Londra, in cui aveva lavato i piatti dopo una cena a due.
Era a casa di Remus Lupin. Era una sera d’estate piuttosto afosa, Sara aveva da poco terminato gli esami del M.A.G.O. ed era in attesa dei risultati. Meno di un anno era trascorso dalla morte di Lily e James… e dall’arresto di Sirius. Se Sara era riuscita a sopravvivere e a terminare gli studi lo doveva all’appoggio di Remus e ora, terminati gli esami, era spesso insieme a lui.
-          Cosa pensi di fare ora? – le chiese Remus mentre asciugava e riponeva le stoviglie che lei stava lavando.
-          Intendi cosa penso di fare della mia vita? – replicò Sara – Ancora non lo so. Credo che mi cercherò un lavoro qualunque in un posto qualunque e cercherò di farmi notare il meno possibile.
-          Quindi intendi sprecare le tue capacità? – domandò ancora Remus, quasi con indifferenza.
-          Non credo di avere grandi capacità da sprecare – rispose Sara continuando imperterrita a lavare i piatti.
-          Hai da fare domattina? – chiese il ragazzo cambiando improvvisamente discorso.
-          No, perché? – rispose la ragazza, stupita dal brusco cambiamento.
-          Ti vengo a prendere a casa, alle otto e mezzo.
Sara aveva imparato a non fare troppe domande quando Remus si comportava in questo modo. Così la serata proseguì senza ulteriori accenni al futuro di Sara e verso le undici Lupin riaccompagnò la ragazza a casa, lasciandola sola con la sua curiosità.
La mattina seguente Sara si trovò fuori dal cancello della casa dei suoi genitori alle otto e venticinque ad attendere impazientemente l’arrivo dell’amico. Non aveva idea di cosa avesse in mente, ma si fidava ciecamente di Remus. Probabilmente, qualsiasi cosa fosse, era una buona idea.
Lupin arrivò puntualissimo con la sua vecchia auto, la fece salire e partirono. Quando Sara chiese dove stessero andando non ottenne una risposta soddisfacente, così si rassegnò e attese in silenzio.
Remus fermò l’auto davanti ad un vicolo con una cabina telefonica rossa parzialmente distrutta.
-          Cosa facciamo qui? – domandò la ragazza molto perplessa.
-          Tu sai cosa c’è lì dentro? – chiese per tutta risposta Remus.
-          Certo, è l’ingresso visitatori del Ministero della Magia – rispose Sara cominciando a preoccuparsi. Non capiva dove stessero andando a parare.
-          Esatto – continuò il ragazzo – Oggi alle nove, cioè tra dieci minuti, ci sarà la prova scritta dell’esame di ammissione all’Accademia degli Auror. Qui – proseguì Remus porgendo a Sara una busta – ci sono tutti i documenti compilati per l’iscrizione. Manca solo la tua firma. Ora tu vai lì dentro e fai il test.
Sara fissò con estremo sospetto la busta gialla che Remus le porgeva, poi disse:
-          Tu sei completamente uscito di senno. Io non farò assolutamente niente del genere.
-          Perché no, così hai da perdere? – provò a convincerla Remus - Non sai cosa fare della tua vita, cosa cambia se perdi una mattinata a tentare questo esame? Provaci almeno, se non lo passi non ci hai perso nulla, non hai neppure passato del tempo a studiare. Se invece lo passi non sei obbligata a frequentare l’Accademia. E’ solo un’opportunità.
-          Tu sei fuori di testa! – strillò Sara – Non ti puoi permettere di decidere della mia vita! Non ne hai alcuni diritto!
Sara era furente. Come diavolo si permetteva Remus di metterla in una situazione del genere.
-          Io non sto decidendo della tua vita. Quando sono venuto a trovarti a Hogwarts mi hai chiesto di aiutarti. E’ quello che sto facendo, ti sto aiutando. Ora sta a te decidere se accettare o meno il mio aiuto.
Sara non aveva mai visto Remus con quello sguardo, le faceva quasi paura. Era così duro, quasi cattivo. Si vedeva più chiaro che mai il lupo dietro i suoi occhi grigi.
La ragazza sostenne il suo sguardo a fatica, si sentiva egoista ma allo stesso tempo si sentiva tradita. Non aveva di che replicare, era vero che aveva chiesto l’aiuto di Remus, era l’unico che avrebbe potuto capire, ma non credeva che si sarebbe arrivati a questo.
Senza dire una parola la ragazza afferrò la busta con i documenti, scese dall’auto e sbatté lo sportello con rabbia. Mentre si dirigeva a passo di carica verso la cabina telefonica rossa, Sara non sapeva spiegare perché stesse entrando al Ministero ma era certa che se si fosse voltata avrebbe visto Remus Lupin sorridere.
 
*^*^*^*^*
 
La visita di Silente fu una vera sorpresa per Sirius, non si aspettava di vedere il Preside a Grimmauld Place, né tantomeno si aspettava che fosse venuto apposta per parlare con lui. Era arrivato di prima mattina e aveva domandato di restare solo con Sirius.
-          Le hanno raccontato della mia uscita fuori programma? – domandò amaramente l’uomo, seduto di fronte a Silente.
-          Sì, me ne hanno parlato – rispose il Preside servendosi del the posto sul tavolo tra di loro.
-          Ed è venuto fin qui solo per questo? – chiese incredulo Sirius, servendosi a sua volta.
-          Non solo, ma devo dirti che il tuo comportamento mi sorprende, oltre che deludermi – rispose Silente guardandolo negli occhi.
-          Ho provato ad accettare questa situazione – si infervorò Sirius – ma non posso continuare a stare qui con le mani in mano.
-          Capisco la tua frustrazione, ma se avremo fortuna la situazione sarà temporanea.
Sirius fissò lo sguardo sul tavolo e replicò con disillusione:
-          Non credo più nella fortuna.
-          Credi almeno in Sara White? – chiese Silente al di sopra della tazza di the.
Sirius alzò lo sguardo aggrottando le sopraciglia e continuò:
-          Mi sta chiedendo se penso che Sara possa scoprire la verità?
-          Non esattamente, ti sto chiedendo se pensi che possa stare dalla nostra parte. Tu sei una delle persone che la conosce meglio. Pensi che avrebbe il coraggio di compromettere la sua posizione, credere sulla parola a quello che le diremo e unirsi all’Ordine?
Il Preside fissò lo sguardo negli occhi del suo vecchio alunno. Sirius non capiva cosa avesse in mente Silente e, senza una ragione precisa, un brivido gli percorse la spina dorsale.
-          Io non la conosco più così bene – decise di rispondere senza compromettersi troppo – Immagino che abbia lottato a lungo per ottenere il suo posto. Ha sempre avuto un forte spirito competitivo. Non so se vorrà pregiudicare la sua carriera.
-          Neppure per te? – continuò Silente osservandolo da sopra le lenti a mezza luna.
Sirius non poté fare a meno di pensare che Silente ci andava giù piuttosto pesantemente.
-          Per me? Perché dovrebbe? Mi crede un criminale.
-          Ne sei sicuro?
-          Cosa significa questo? – chiese incredulo e seccato Sirius.
-          Sara è venuta a trovarmi a Hogwarts, qualche giorno fa – raccontò il Preside – E’ venuta non appena le sono state affidate le indagini. E’ venuta a chiedermi se avessi delle informazioni, mi ha domandato se sapessi qualcosa di differente rispetto a quello che è noto al Ministero.
-          E lei che cosa ha risposto? – domandò Sirius con il cuore che cominciava a battere più forte del normale.
-          Le ho detto che era previsto che tu fossi il Custode Segreto di Lily e James.
Sirius sentì lo stomaco contrarsi dolorosamente, una parte di lui avrebbe voluto che Silente se ne andasse e non dicesse più una parola, un altro lato di lui invece voleva sapere di Sara, qualunque cosa il Preside fosse in grado di dirgli.
-          Cos’altro le ha detto? – chiese infine.
-          Nient’altro – replicò laconicamente Silente.
Le ultime flebili speranze abbandonarono Sirius. Ora Sara non solo credeva che fosse un pazzo assassino, ma anche un traditore. Come poteva pensare che lui fosse innocente adesso, come avrebbe fatto a trovare la verità?
Sirius si passò una mano sul viso e poi nei lunghi capelli neri. Non aveva il coraggio di guardare Silente, così parlò tenendo gli occhi bassi, verso il tavolo.
-          Non riesco a capire la sua logica, Professore.
-          Senza questo elemento non avrebbe mai potuto venire a capo del mistero – rispose prontamente il Professore – E immagino che tu capisca per quale ragione non potevo dirle come sono andate veramente le cose.
-          Mi perdoni, ma al momento questa ragione mi sfugge – disse Sirius con una nota di sarcasmo non troppo velata.
-          Ma è ovvio! – esclamò Silente – Come avrebbe fatto Sara a giustificare queste conoscenze? Ho fiducia piena in Sara, ho fiducia nelle sue capacità e soprattutto nei suoi sentimenti.
-          Non vedo come potrebbe vedere la strada giusta – disse Sirius cercando di non pensare a quelli che avrebbero potuto essere i sentimenti di Sara in quel momento.
-          Già il fatto che sia venuta a parlare con me è indicativo di qualche dubbio, di qualche perplessità. L’Auror White di solito non si ferma fino a che non ha chiarito ogni cosa.
Sirius alzò lo sguardo e indagò il viso del Preside. Sembrava credere davvero in quello che diceva. Dal canto suo lottava per non cadere nella depressione ma anche per non illudersi. Cedere all’illusione sarebbe stato estremamente consolante, ma una speranza disillusa sarebbe stata peggio della depressione immediata.
Silente aveva ragione, Sara non era tipo da arrendersi.
Ricordava ancora quando avevano toccato l’argomento “famiglia Black” per la prima volta. Sirius non amava parlarne e le sue risposte sull’argomento erano vaghe ed elusive, ma Sara non si accontentava di questo. Lo aveva tormentato, tempestandolo di domande fino a quando non aveva ceduto e le aveva raccontato ogni cosa della sua infanzia, di sua madre, di suo fratello e della sua fuga da casa. Solo quando si dichiarò soddisfatta e ritenne che ogni tassello fosse al suo posto lo lasciò in pace.
Era passata circa una settimana dal matrimonio di Lily e James e gli sposini erano in Luna di Miele. Sirius aveva passato la settimana a pensare a quello che era successo con Sara; aveva avuto molto tempo per riflettere, infatti l’Ordine della Fenice gli aveva affidato un banale compito di sorveglianza e pedinamento ed aveva attraversato i più diversi stati d’animo. Dapprima aveva pensato di aver fatto un’idiozia enorme, che rapporto sperava di avere con Sara White? Era ancora una ragazzina e lui si stufava molto in fretta, perché farla soffrire inutilmente? D’altro canto però l’invito di Sara ad andarla a trovare a Hogsmeade continuava a ronzargli in testa e c’era una piccola parte di lui che non vedeva l’ora di buttarsi in questa sfida. In fondo Sara era la prima ragazza che aveva così a lungo resistito al suo fascino.
Sabato mattina Sirius rientrò nel suo appartamento alle cinque, dopo che Remus gli aveva dato il cambio al pedinamento. L’unica cosa che aveva in mente era quella di farsi una doccia e buttarsi a letto, ma quando si fu lavato e rivestito non aveva più sonno.
Si lasciò cadere pesantemente sul divano e accese una sigaretta, cercando di distrarsi ma con scarsi risultati. I suoi pensieri non facevano che vagare verso Hogwarts, calandolo in una fastidiosa inquietudine. Non capiva per quale motivo si sentisse così, l’effetto che quella ragazza produceva su di lui lo spiazzava e lo faceva arrabbiare con se stesso. Come poteva essere che quella ragazzina monopolizzasse così i suoi pensieri? Era solo perché lo incuriosiva, oppure c’era qualcosa di più?
La sigaretta era consumata fino al filtro. Sirius la spense con rabbia in un posacenere colmo, posato sul tavolino del salotto. Si alzò dal divano.
Aveva una sola cosa da fare: andare a Hogsmeade e cercare di capire.
Indossò la giacca nera che portava sempre, afferrò le chiavi della sua moto e uscì dall’appartamento sbattendo la porta. Il viaggio in moto ebbe il potere di calmarlo. Non doveva essere così irritato, non c’era nulla di cui preoccuparsi. E poi non era lo stato d’animo più appropriato per avere a che fare con un caratterino come quello di Sara.
Atterrò al villaggio che erano quasi le nove del mattino. Parcheggiò la moto in un vicolo e si diresse verso la via principale. Solo in quel momento Sirius rifletté che forse sarebbe stato meglio avvertire Sara, mandarle un gufo quantomeno. Ora non sapeva dove cercarla né se sarebbe andata davvero a Hogsmeade. Si sentì uno stupido, ma ormai era lì, tanto valeva aspettare.
Percorse due volte avanti e indietro la via principale del villaggio, poi si fermò in fondo al paese e si sedette sulla staccionata che delimitava un prato.
Dopo qualche minuto gli studenti cominciarono a riversarsi nelle vie di Hogsmeade, evidentemente avevano avuto il via libera. Sirius cominciò a scandagliare i visi alla ricerca di Sara. Mentre passavano notò alcune ragazze che dovevano essere dell’ultimo anno che lo indicarono e poi si voltarono per ridacchiare. Non per la prima volta si rese conto davvero di quanto quelle ragazze fossero stupide e superficiali.
Superandole con lo sguardo, Sirius la vide: eccola lì, Sara. Era molto carina, indossava un abito nero con una fantasia di piccoli fiori rossi, sulle spalle era appoggiato un giubbotto di jeans e ai piedi aveva un paio di scarpe da tennis nere. Mentre Sirius la osservava Sara si voltò dalla sua parte. Quando lo riconobbe gli sorrise, salutò l’amica con cui stava passeggiando e si incamminò verso di lui. Le ragazze ridacchianti, che erano poco lontane, quando videro Sirius sorridere a Sara strabuzzarono gli occhi e si allontanarono per elaborare la sconfitta.
-          Ciao! – la salutò Sirius scendendo dalla staccionata con un balzo.
-          Allora sei qui… - constatò Sara fermandosi davanti a lui.
-          Sì, ti devo un giro in moto o sbaglio? – rispose Sirius.
-          Già… senti, devo chiederti una cosa… - esordì la ragazza facendosi seria.
-          Dimmi pure – disse Sirius altrettanto seriamente.
-          Possiamo andarcene da qui? Subito. Sento gli occhi delle mie allegre compagne piantati tra le scapole – confessò Sara – E’ peggio di una radiografia.
Sirius notò che effettivamente parecchi sguardi erano diretti dalla loro parte, ma non poté fare a meno di ridere. Era davvero così poco abituata all’attenzione degli altri?
-          Stai ridendo di me, Black? – domandò Sara con aria truce.
-          No… no, scusa… - rispose il ragazzo cercando di ricomporsi.
-          Smettila di ridere! – ingiunse Sara.
-          Non sto ridendo! – esclamò Sirius cercando di non sghignazzare sotto i baffi.
-          Oh, d’accordo. Resta pure lì a divertirti – replicò la ragazza facendo per andarsene.
-          Aspetta! – la fermò Sirius prendendola per un polso – Perdonami non volevo essere scortese – disse, finalmente serio.
Sara si voltò e lo squadrò duramente. Sirius guardò con attenzione in quei profondi occhi scuri per capire se fosse veramente arrabbiata. Fu lei a rompere il silenzio per prima:
-          Ascolta Black, io non so perché sei qui oggi. Ma se ti sei preso il disturbo di fare tutta questa strada solo per prendermi in giro puoi anche tornartene da dove sei venuto.
In quell’istante Sirius comprese, quasi senza rendersene conto, che quella non era solo una sfida, c’era qualcosa di più e lui non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire questo qualcosa.
-          Non sono venuto qui per prenderti in giro, no di certo.
Sara non replicò e Sirius capì che la ragazza non aveva alcuna intenzione di rendergli le cose più facili rompendo il silenzio. Il messaggio era chiaro: “hai fatto il danno, poni rimedio”.
-          Ho parcheggiato la moto in quel vicolo – disse infine – Andiamo?
Sara riflette qualche secondo, poi gli concesse un mezzo sorriso. Si incamminarono in silenzio verso la moto e, quando la raggiunsero, Sirius indossò il casco e ne porse uno alla ragazza. Se Sara rimase sorpresa dalle dimensioni e dalle stranezze del mezzo non lo diede a vedere, si allacciò il casco sotto il mento e, quando Sirius si fu sistemato, salì dietro di lui.
-          Ok, Black. Possiamo andare – disse la ragazza.
-          Va bene – ma prima di partire Sirius disse – Puoi farmi un favore? Chiamami Sirius.
-          D’accordo… Sirius – replicò leggermente titubante la ragazza.
-          Dimenticavo – aggiunse Sirius accendendo il motore – questa moto vola.
Appena ingranata la prima la moto iniziò a sollevarsi da terra, Sirius sentì Sara stringersi a lui e sorrise.
Per quella giornata aveva deciso di portarla a Londra, lontano dagli sguardi indiscreti di Hogsmeade e di Hogwarts. L’avrebbe riportata al castello in tempo per la cena e nessuno avrebbe saputo che si era allontanata tanto. 
Trascorsero la mattinata passeggiando tra i negozi e chiacchierando. Sirius fu piuttosto sorpreso dalla facilità che trovava nel conversare con Sara, scoprì in questo modo che la ragazza aveva senso dell’umorismo e aveva le idee chiare su molti argomenti.
Quando si fece ora di pranzo Sirius la condusse in un piccolo ristorante Babbano, piuttosto nascosto ma di ottima qualità. Il cameriere che li accolse li fece accomodare ad un tavolo accanto ad una finestra luminosa. Mentre veniva servito il pranzo Sirius disse:
-          Allora anche tu abiti a Londra. In che zona?
Sara gli disse il quartiere e il ragazzo esclamò:
-          Però! Zona di lusso.
-          Già – fu la laconica risposta della ragazza.
-          Non mi sembri particolarmente contenta – osservò Sirius.
-          No, infatti non lo sono. Ma non è la zona il problema, figuriamoci – spiegò Sara – il problema è quello che abitare in quella zona comporta. L’eleganza, il lusso, l’ostentazione. Mia madre poi è fissata con le sue convinzioni, ha convinzioni per ogni cosa, sul cibo, sull’abbigliamento, sull’istruzione, sulle compagnie. E guai al mondo a contraddirla, rischi di essere esposto al pubblico ludibrio.
-          In un certo senso ti posso capire – ammise Sirius pensando che con le convinzioni di sua madre avrebbe potuto scriverci un’enciclopedia.
-          Davvero? Non l’avrei mai detto. In che senso puoi capire? – indagò Sara ansiosa di saperne di più.
-          Preferirei cambiare discorso, non amo parlare della mia famiglia – disse Sirius per cavarsi dall’impaccio. L’ultima cosa che voleva era impelagarsi in una conversazione con sua madre come protagonista.
-          Allora perché hai tirato fuori l’argomento se non ne vuoi parlare? – rincarò Sara scrutandolo al di sopra di un bicchiere di vino bianco.
-          Io non ho tirato fuori l’argomento. Tu l’hai tirato fuori – rispose il ragazzo sulla difensiva.
-          Perché ti arrabbi tanto? – domandò innocentemente la ragazza – Non sarai una di quelle persone che tirano il sasso e nascondono la mano. È una cosa da vigliacchi.
-          Mi stai dando del vigliacco? – sibilò Sirius.
La conversazione stava decisamente prendendo una brutta piega e Sirius non voleva finire a litigare al primo appuntamento. Un momento… primo appuntamento? Era già passato dal considerarlo un tentativo al considerarlo un appuntamento?
-          Non ti sto dando del vigliacco, non ti scaldare così  per favore – disse Sara con tono più disteso.
Il pranzo proseguì senza ulteriori intoppi e Sirius credette che la discussione fosse conclusa lì. Ma ancora non conosceva a fondo Sara. Nel pomeriggio decisero di fare una passeggiata a Diagon Alley e concedersi un gelato come i Babbani non avevano idea che esistesse. Fu seduti nella gelateria Florian, davanti a una gigantesca coppa alla ciocconocciola affogata in una vellutata ai frutti di bosco, che Sara ripartì all’attacco sul tema famiglia.
-          Tu sei figlio unico? – chiese a bruciapelo.
Sirius la studiò per un istante con il cucchiaio fermo a mezz’aria prima di decidere che ad una domanda di questa entità poteva tranquillamente rispondere.
-          No, ho un fratello. Si chiama Regulus.
-          Ah già! – esclamò Sara – Che sciocca, Regulus Black di Serpeverde. E’ due anni avanti a me se non erro. E dimmi, è lui la pecora nera della famiglia o sei tu?
-          Cosa ti fa credere che uno di noi sia una pecora nera? – domandò il ragazzo preoccupato dall’acume di Sara.
-          Il fatto che siate agli antipodi. Uno a Grifondoro e l’altro a Serpeverde, uno spavaldo e l’altro più schivo, uno al centro dell’attenzione e l’altro più in ombra.
-          Sono colpito da questa analisi – replicò Sirius sarcastico – In linea di massima la pecora nera sono io.
-          Lo immaginavo – disse Sara in tono quasi trionfante mentre affondava nuovamente il cucchiaio nel gelato.
Sirius attese prima di chiedere perché. Aveva una certa voglia di vedere cosa avrebbe fatto lei se avesse lasciato cadere completamente il discorso. Ma dallo sguardo acceso della ragazza comprese che non avrebbe desistito con tanta facilità, così si arrese e domandò:
-          Perché lo immaginavi?
-          Perché altrimenti non vedo come avresti potuto capire il mio punto di vista – spiegò lei semplicemente - Ricordi il discorso che facevamo prima? Bene, anche io sono la pecora nera della famiglia. Ho sempre detestato gli amici di mia madre, non ho mai partecipato a ricevimenti e feste a meno di non essere costretta, non ho intenzione di sposare un ricco avvocato e fare la mantenuta per il resto dei miei giorni, non mi piace impiegare otto ore a prepararmi prima di uscire a comprare il giornale e, cosa da non sottovalutare, sono una strega. Questo è il massimo dell’onta che potevo fare a mia madre. Se capisci il mio punto di vista significa che la tua esperienza è simile alla mia. Scommetto che vieni da intere generazioni di Serpeverde.
Sirius cercò di non dare a vedere quanto fosse sconcertato da queste rivelazioni. Aveva sempre immaginato Sara in una bifamiliare, con una famiglia normale ma felice, con genitori orgogliosi e con poche preoccupazioni per la testa. E invece scopriva che le loro esperienze non erano poi così diverse.
-          Tu parli sempre di tua madre. Tuo padre invece? – domandò infine cercando qualcosa da dire.
-          Mio padre è una presenza positiva ma aleatoria nella mia vita. Non è che ci sia un granché da dire. Ok, io ho confessato. Ora tocca a te – disse Sara con un ampio sorriso.
-          Tu non molli mai vero? – chiese il ragazzo esasperato.
-          No e soprattutto non ho intenzione di mollare con te. Devo fartene purgare troppe. Quindi o ti decidi a parlare oppure continuerò a tormentarti.
Sirius fece un sospiro di rassegnazione. Il gelato era terminato e lui sembrava non avere scelta. La cosa che lo stupiva di più era che si sarebbe infuriato a morte con chiunque altro avesse osato torchiarlo a quel modo, anche con James Potter. Con Sara invece era diverso. Sarà stata colpa di tutto quello zucchero che aveva appena assunto, oppure del modo in cui lei gli sorrideva mentre gli faceva le domande più spinose. Anche a distanza di più di un decennio Sirius non avrebbe saputo dirlo. Fatto sta che cominciò a parlare.
Raccontò di sua madre, despota familiare che ce l’aveva a morte con lui. Raccontò di suo padre, che viveva completamente all’ombra della moglie. Raccontò di suo fratello Regulus, il figlio perfetto che lui non era stato capace di essere. Poi parlò della sua fuga da casa, di come avesse trovato rifugio dalla famiglia di James e a Hogwarts e di come, da allora, non avesse più parlato con nessun membro della famiglia. Le disse dell’eredità di suo zio e le parlò a lungo di sua cugina Andromeda, l’unica parente per cui valesse la pena spendere qualche parola in più.
Parlò fino a quando non fu ora di riaccompagnare Sara a Hogwarts e lei non batté ciglio, ascoltò con interesse come se quelle storie riguardassero lei personalmente. Non fece commenti e non gli diede consigli. Lo ascoltò e basta.
Prima di risalire sulla moto e intraprendere il viaggio di ritorno, Sara disse:
-          Visto? Non è stato poi così terribile parlarne.
Sirius si limitò a sorridere. Non avrebbe mai ammesso che, dopo quella chiacchierata, si sentiva sollevato. Non avrebbe mai ammesso che temeva che quel lato non proprio esaltante della sua vita avrebbe potuto allontanare Sara.
Salirono sulla moto volante e ripercorsero la rotta che avevano seguito al mattino, fino ai cancelli di Hogwarts. Quando arrivarono stava scendendo la sera e gli ultimi ritardatari erano già sulla via del castello.
-          Devo sbrigarmi o Gazza non mi farà più entrare – esclamò Sara slacciando in fretta il casco e restituendolo a Sirius – Grazie della giornata, sono stata benissimo.
-          Anche io sono stato bene – rispose Sirius avvicinandosi a lei – Mi piacerebbe ripetere – propose con un sorriso che avrebbe fatto squagliare le ginocchia a tutte le ragazze di Hogwarts.
-          Piacerebbe molto anche a me – replicò Sara, arrossendo appena – Sarò impegnata con gli esami tutta la settimana e poi dovremo attendere i risultati. Tra un paio di settimane però tornerò a Londra per l’estate.
-          Fammi sapere quando arrivi. Vengo a prenderti alla stazione – disse Sirius estraendo un frammento di pergamena dalla tasca e scribacchiandoci sopra il suo indirizzo – Mandami un gufo – aggiunse porgendole la pergamena.
Per la prima volta nell’arco della giornata pareva che Sara avesse esaurito le parole. Sirius decise di essere clemente e di toglierla dall’imbarazzo. Si chinò verso di lei, le pose le mani sulla vita e la baciò piano. Fu un bacio molto più lungo di quello che si erano scambiati dopo il matrimonio di Lily e James, di sicuro non fu il migliore, ma senza dubbio fu il loro primo vero bacio.

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Capitolo 11
*** XI ***


A notte fonda Sara e Frank cominciavano a disperare di trovare qualcosa in quel giornale. Sara lottava per non cadere in preda al panico, non aveva quasi più nessuna pista da seguire. Svanendo l’ipotesi del giornale, l’unico lumicino in fondo al tunnel restava il dito di Minus che avevano riesumato. Lei e il collega avevano diviso il quotidiano in due blocchi, ciascuno si era occupato di un blocco e poi se li erano scambiati per evitare che qualcosa sfuggisse all’attenzione dell’uno o dell’altro. Al termine di questo estenuante compito, interrotto soltanto dal fruscio delle pagine e dal crepitio delle sigarette che Sara fumava in continuazione, Frank si era assopito sul divano. Sara però non riusciva a riposare.
Ricompose il giornale e ricominciò a leggere. Provò a mettersi nei panni di Sirius, chiuse gli occhi e richiamò quella terribile sensazione che la invadeva ogni volta che metteva piede ad Azkaban. Provò a immaginare come doveva essere provare quel gelo straziante per tredici anni consecutivi senza potersi allontanare, senza un momento di respiro. Si vide rinchiusa in una cella di tre metri per due, senza alcun contatto con l’esterno e senza alcun contatto con l’interno, completamente isolata. Sola. Intrappolata. Senza avere nulla da fare, senza alcun modo di occupare il tempo, in un luogo in cui il tempo stesso diventava qualcosa di terribilmente indefinito.
Che cosa avrebbe fatto con un giornale?
Lo avrebbe sicuramente accolto con gioia, come la manna dal cielo. Lo avrebbe divorato da cima a fondo, avida di informazioni sul mondo esterno. Oppure lo avrebbe letto poco per volta per far durare la novità più a lungo possibile. Sì, forse avrebbe fatto così. Si sarebbe goduta ogni dettaglio, ogni parola, ogni fotografia.
In quest’ottica Sara riprese il giornale dall’inizio, lesse ogni riga come se non avesse saputo nulla del mondo per anni e anni, osservò ogni fotografia per cercare qualcosa di strano, qualcosa che tredici anni prima sarebbe parsa strana, insolita, improbabile, addirittura impossibile. Osservò con minuzia certosina ogni particolare, ogni numero di pagina, ogni replica della data impressa all’angolo dei fogli, persino le cornici delle fotografie. Per guardare meglio le immagini, Sara estrasse da un cassetto pieno di cianfrusaglie Babbane una lente d’ingrandimento.
Arrivando alle ultime pagine ricominciò a cadere preda dello sconforto, non aveva ancora trovato niente. Tra le notizie di minore importanza lo sguardo vagò per un attimo sulla fotografia di una famiglia. Erano i Weasley.
Subito non li aveva riconosciuti, ma poi aveva notato il viso allegro di Arthur e una schiera di ragazzi molto somiglianti tra loro. Il trafiletto parlava di un premio che avevano vinto ad una lotteria. Sara avvicinò la lente alla foto e cominciò ad analizzarla: al centro c’erano Arthur e quella che doveva essere sua moglie; ai lati dei genitori stavano due ragazzi, uno alto con i capelli lunghi e un orecchino piuttosto evidente e l’altro più basso e nerboruto, con le spalle muscolose di chi fa un lavoro di fatica; in primo piano c’era quello che Sara riconobbe come un giovanissimo Percy Weasley, due ragazzi vivaci e identici e ancora un ragazzo lentigginoso con il braccio sulle spalle dell’unica ragazzina.
Era un bel quadretto, sembrava una famiglia felice e nulla di più, ma Sara si soffermò a lungo su quella foto. Era così diversa dalle foto della sua famiglia: era difficile vedere fotografie con tutta la sua famiglia riunita e, nei rari casi in cui accadeva, erano foto stiracchiate, piene di facce imbronciate e di musi lunghi.
Ad un tratto una macchia scura attrasse lo sguardo della donna. C’era qualcosa sulla spalla del ragazzo in primo piano. Sara aguzzò la vista e si avvicinò al giornale con la lente. Era… sembrava un animaletto… un topo forse.
Un topo?
Sara ebbe un sobbalzo allo stomaco e le si asciugò la bocca. Guardò di nuovo il giornale. Era proprio un topo, grassoccio, con occhietti piccoli e acquosi. Sembrava proprio… ma Sara non osava pensarci. Alzò lo sguardo e si abbandonò contro lo schienale della poltrona. Lo stomaco le si attorcigliò lasciandole una sensazione di vuoto al centro dell’addome. Il cuore le martellava nel petto e dovette concentrarsi per non smettere di respirare.
Quello era… ma forse era assurdo da credere… eppure non poteva essere che così.
Se avesse avuto ragione, se quello fosse stato davvero Peter Minus, avrebbe potuto essere stata quella la molla. Sirius conosceva bene Peter, lo aveva visto trasformarsi milioni di volte, sarebbe bastata un’occhiata per riconoscerlo e sarebbe bastato ancora meno per decidere di evadere e andare a cercarlo.
Per la terza volta Sara tornò a guardare la fotografia della famiglia Weasley. Sì era proprio un topo e assomigliava molto al topo in cui si trasformava Peter Minus e che lei aveva visto alcune volte. E poi… La rivelazione arrivò come una secchiata d’acqua gelida: a quel topo mancava un dito! Ecco la prova che quello era Peter Minus, ecco la prova che Peter Minus era vivo!
Sara fu tentata di svegliare Frank, ma poi si trattenne. Frank non sapeva che Minus era un Animagus e non doveva sapere che Sara era a conoscenza di questo “dettaglio”. La donna si alzò e andò in cucina per riflettere con calma. Si preparò una tazza di caffè quindi cominciò a passeggiare per la stanza, sorseggiando il caffè bollente e pensando in modo frenetico.
Peter Minus era vivo, o almeno lo era fino a due anni prima.
Questo significava che Sirius non l’aveva ucciso.
Mio dio… Sirius Black era… innocente.
Quando Sara prese coscienza di questo, la parola “innocente” cominciò a rimbombarle in testa, una vampata di calore proveniente dalle parti dello stomaco la assalì come un’onda e lei fu costretta ad appoggiarsi ad una parete per non svenire. Anche se non aveva voluto ammetterlo neppure con se stessa, dall’inizio dell’indagine aveva sperato di trovare qualcosa che scagionasse Black… Sirius… ma ora che aveva la prova davanti agli occhi ne era comunque sconvolta. Era davvero innocente, non aveva ucciso nessuno e nessuno gli aveva creduto!
Una valanga di emozioni travolse la donna, euforia, felicità, disperazione, panico, frustrazione, senso di colpa. Due calde lacrime rotolarono sulle guance di Sara, ma non doveva piangere, non se lo poteva permettere e non doveva scordarsi che Frank era ancora nella stanza accanto.
Si impose la calma, cercò di fare un respiro profondo ma questo le si bloccò al centro del petto provocandole quasi un dolore fisico. Non poteva farsi vedere da Parker in quello stato.
Appoggiò la schiena alla parete ricoperta di mattonelle di terracotta e si lasciò scivolare fino a toccare il pavimento. Si strinse le ginocchia con le braccia e abbandonò la testa su di esse.
Calma.
Respira, Sara. Inspira. Espira. Calma, devi restare lucida e concentrata.
Mentre cercava di convincere i suoi nervi a reagire nel modo giusto iniziò a riordinare le idee.
Minus era vivo, non era stato ucciso. Ma allora la strage di tutte quelle persone? Con tutta probabilità era stato Peter a provocarla per fingersi morto e coprire la sua fuga. Ma per quale motivo aveva bisogno di fuggire? La risposta venne da sé: perché era colpevole, era colpevole di tradimento. Aveva tradito gli amici che gli avevano dato fiducia e lo avevano scelto come Custode Segreto. Per di più questo aveva causato la fine di Voldemort, quindi Minus sarebbe stato braccato sia dai Mangiamorte che dai suoi vecchi amici. Quale geniale piano fingersi morto e darsi alla macchia sotto forma di topo! D’altronde non era registrato da nessuna parte come Animagus, così come non lo erano Sirius e James.
Tutto combaciava perfettamente.
Ora l’unico problema era come sfruttare queste informazioni che lei non avrebbe dovuto avere.
Un’altra ondata di panico la prese alla gola. Sirius era innocente e lei non aveva mezzi per dimostrarlo. O meglio, un modo c’era. Poteva rivelare al suo Capo e al Ministro che lei conosceva Sirius Black e Peter Minus, che sapeva che erano Animagi e raccontare loro tutta la storia. La sua carriera sarebbe finita, ma questo era il lato meno importante. Il lato più importante era che probabilmente non le avrebbero creduto, avrebbero pensato che era impazzita o peggio che era una complice di Black e l’avrebbero arrestata.
No, non era una soluzione. Non sarebbe servito a niente fare tutto quel lavoro per poi finire in prigione.
Prima ancora che ne fosse del tutto consapevole, il suo inconscio aveva già iniziato ad elaborare una strategia. Sara fece un respiro profondo, che questa volta prese la via giusta, si alzò dal pavimento della cucina e si diresse verso il divano su cui era addormentato Frank.
Lo svegliò senza troppi complimenti, dicendogli che c’era del caffè in cucina e di raccogliere la documentazione mentre lei faceva una doccia.
Quando entrò nel bagno si chiuse la porta alle spalle e si guardò allo specchio. Che razza di persona era? Una che non si fida della parola del suo ragazzo e preferisce credere ai giornali? Come aveva potuto aspettare tutto questo tempo per farsi venire dei dubbi? Come aveva fatto a non capire che Sirius nono avrebbe mai potuto fare una cosa del genere?
Sarà avvertì un groppo enorme salirle alla gola e altre due lacrime scivolarono dagli occhi fino al mento. Distolse lo sguardo dallo specchio e si ficcò un pugno in bocca per impedirsi di singhiozzare rumorosamente. Per coprire il suono della sua disperazione aprì l’acqua della doccia al massimo. Cercando di smettere di piangere, si svestì e si insinuò sotto l’acqua.
Non poteva comportarsi così.
Doveva resistere, essere forte e fare il suo lavoro fino in fondo.
Ora si sarebbe schiarita le idee, poi sarebbe tornata da Parker e avrebbe finto che non fosse cambiato nulla dalla sera prima.
Doveva riuscirci. Non poteva cedere alla depressione, non ancora.
Doveva farlo per Sirius.
Era il minimo che potesse fare.
Recuperare la consapevolezza di avere un dovere insindacabile ebbe il potere di calmarla. Le lacrime presero a confondersi con l’acqua della doccia e pian piano si fermarono. La ritrovata lucidità le consentì di pensare con razionalità. Mentre si lavava i lunghi capelli castani, le balenò in mente un espediente che forse avrebbe potuto sfruttare per dimostrare le sue teorie e sorrise sotto i baffi. Poteva funzionare.
Era prima mattina ma lei non riusciva resistere, doveva andare al Ministero, verificare gli ultimi dettagli, non poteva aspettare un minuto di più. Uscita dal bagno trovò Parker pronto, con la giacca indossata e fasci di documenti tra le braccia, come se avesse saputo che lei non vedeva l’ora di uscire.
Frank precedette Sara fuori dalla porta, la donna chiuse a chiave l’appartamento e lo condusse fino all’auto. Il tragitto verso il Ministero fu trafficato e a Sara non era mai parso così lungo. Il suo cervello non la voleva smettere di lavorare.
Sirius era innocente.
Innocente.
Innocente!
INNOCENTE!!!
Sara aveva voglia di mettersi a urlare, ballare, piangere, cantare, ma doveva trattenersi ad ogni costo.
Sirius era innocente e lei aveva finalmente trovato la verità, le risposte alle sue domande, le risposte di cui aveva un disperato bisogno da quindici lunghi anni. Ogni volta che lo ripeteva nella sua testa sentiva un fuoco accendersi in mezzo al petto e scaldarla dall’interno. La gioia di aver scoperto la verità sarebbe stata perfetta se non fosse stata velata dal rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non era stato e dal senso di colpa per non aver creduto al suo cuore. Perché il suo cuore aveva avuto ragione. Fin dal primo istante aveva urlato “FALSO! È tutto falso! Non è così che sono andate le cose! Non può essere la verità!”, ma lei non aveva avuto il coraggio e la forza di ascoltarlo, aveva dato retta alla stampa, all’opinione pubblica, al Ministero e aveva soffocato quella voce interiore. Quella voce aveva continuato ad urlare per un po’, poi lentamente si era messa solo a parlare, poi a sussurrare, fino a che il sussurro non era diventato altro che un bisbiglio sporadico. Quanto avrebbe voluto aver ascoltato quella voce!
Ma il passato era passato. Ora bisognava concentrarsi sul presente. Il problema non era solo il modo in cui sfruttare le informazioni, sarebbe stato complicato anche farsi ascoltare dal Ministro.
Mentre Sara parcheggiava l’auto nel posteggio riservato al Ministero, rifletté che era meglio pensare ad una cosa alla volta. Lei e Frank scesero dall’auto e camminarono con passo deciso fino ad un’entrata secondaria, riservata ai dipendenti, che dava direttamente sul parcheggio. L’addetto ai controlli li lasciò passare senza problemi e, mentre Sara si dirigeva verso il suo ufficio, Frank andò all’obitorio a recuperare il dito riesumato.
Una volta giunta all’ufficio, Sara aprì il primo cassetto della scrivania e ne estrasse una chiave argentata. Quindi si diresse verso il fondo del Dipartimento degli Auror, fino ad arrivare a una porta grigia con su scritto “Laboratorio”. Infilò la chiave nella toppa ed entrò.
Quella era in assoluto la parte del Ministero che Sara preferiva ed era un sollievo trovarsi lì; non era solo il Laboratorio, era il Suo Laboratorio. Era stata lei a spingere per avere quelle attrezzature, per metà Babbane e per metà magiche. Aveva introdotto un modo nuovo di indagare, molto più scientifico, un modo che nel mondo Babbano era usato da tempo, ma che nel mondo magico stentava a prendere piede. Questo suo nuovo modo di indagare aveva costretto le alte sfere del Ministero a occuparsi di problematiche del tutto nuove e per questo avevano dovuto redigere nuove leggi e aggiornare il personale. Era stata la stessa Sara a tenere corsi di aggiornamento per i colleghi, sia più giovani che più anziani.
Molti non avevano celato il loro scetticismo, ma nonostante le prime perplessità i metodi di Sara avevano sempre dato ottimi risultati, tant’è vero che dopo un po’ i colleghi avevano dovuto arrendersi all’evidenza: i suoi metodi funzionavano davvero.
Solo allora, dopo quasi nove anni di lotte, alcuni Auror avevano iniziato a interessarsi al laboratorio, a richiedere a Sara e alla sua squadra delle consulenze tecniche e a utilizzare le loro scoperte in tribunale.
Mentre Sara preparava il tavolo del laboratorio con alcuni strumenti, Parker tornò dall’obitorio con in mano il contenitore. Entrambi indossarono i guanti e si prepararono a cominciare i test. Quando aprirono la chiusura ermetica della scatola di metallo furono colpiti da una zaffata di puzza di decomposizione. Del dito di Minus rimaneva poco più dell’osso immerso in un liquame maleodorante, ma tanto bastava per le loro indagini.
Frank indossò una mascherina e ne porse una anche alla donna. Sara la indossò, non le serviva più il naso per quell’indagine. Ormai aveva i fatti.
Insieme i due Auror presero ad analizzare il dito e ad annotare le loro osservazioni in un rapporto ufficiale. Innanzi tutto il taglio, come avevano osservato dalla fotografia, era netto, preciso, chiaramente reciso con un incantesimo. Parker scattò alcune foto che in tribunale sarebbero servite come confronto con il manichino usato per la prova.
Fatto ciò Sara prelevò un campione di tessuti che ancora resisteva attaccato all’osso e lo mise da parte per effettuare il test del DNA. Poteva essere utile in futuro avere il patrimonio genetico di Minus nel database. Per un attimo Sara fu assalita dal dubbio… e se quello non fosse stato il dito di Minus? Come poteva verificare, la madre era morta e non c’erano altri campioni con cui effettuare un confronto. Non aveva il coraggio di chiedere al Capo il permesso di riesumare la salma della madre di Peter Minus. Non c’era motivo di dubitare dell’identità del dito dopo tutto. Se qualcuno avesse sollevato il problema avrebbe sempre potuto fare il confronto dopo.
Convinta di questo, Sara pose il campione di tessuto su un vetrino e lo inserì in una delle tante macchine, colpì due volte l’apparecchiatura con la bacchetta e quella cominciò a sibilare, a ronzare e a sbuffare fumi colorati. Bene, ora avrebbe lavorato da sola.
Ora era il momento di verificare se il suo espediente avrebbe funzionato davvero.
-          Allora Parker – esordì Sara appoggiandosi ad uno dei banconi con aria di aspettativa.
-          Allora cosa? – domandò il ragazzo ancora vagamente assonnato.
-          Vediamo cosa sai fare. Lascio a te le redini della situazione – replicò la donna.
Il ragazzo assunse un colorito lievemente terreo e la guardò come se non sapesse di cosa parlava.
-          In… in che senso mi lasci le redini?
-          Voglio metterti alla prova, vedere cosa riusciresti a combinare se fossi da solo in una situazione analoga – spiegò Sara.
-          Capo, non mi sembra il momento adatto per fare dei test – provò a suggerire Parker – E’ troppo delicata questa indagine.
-          Non ti lascio mica qui in balia di te stesso, sarò qui a controllare che tu non faccia disastri, anche se ho piena fiducia nelle tue capacità. Avanti, non avrai paura?
Frank guardò Sara come se fosse appena scesa dalla Luna con una scala a pioli, ma siccome non aveva intenzione di farsi dare del vigliacco cominciò a lavorare. Sara tirò un sospiro di sollievo interiore poi, mentre si sedeva più comodamente per osservare l’operato del collega, iniziò a pregare. Non lo faceva da tempo ma la situazione lo richiedeva. Pregò che Parker facesse tutto, ma proprio tutto quello che gli veniva in mente per analizzare quel dito. Pregò di essere stata una buona insegnante negli anni passati. Pregò che Frank ricordasse gli schemi logici che aveva elaborato come filo guida in questo tipo di indagini.
-          Raccontami quello che fai e pensa ad alta voce – suggerì Sara – Parlare aiuta a schiarirsi le idee.
-          D’accordo – acconsentì Parker e iniziò a riflettere ad alta voce – Innanzi tutto sappiamo che il contenitore in cui era contenuto il dito di Peter Minus era chiuso ermeticamente e non è mai stato forzato. Sappiamo quindi che il reperto non è stato contaminato da interventi esterni. Il grado di decomposizione collima con le tempistiche della strage di Godric’s Hollow. Il taglio con cui il dito è stato reciso è netto, probabilmente è stato effettuato con un incantesimo. I bordi dell’osso sono frastagliati ma non pare un effetto del taglio quanto un effetto del tempo.
-          Molto bene – lo incoraggiò Sara alzandosi e avvicinandosi al tavolo su cui Frank stava lavorando – Continua.
-          Per prima cosa verifichiamo che non siano presenti incantesimi di invecchiamento o ringiovanimento.
Il ragazzo prese dal tavolo accanto uno strumento costituito da un contenitore centrale circondato da piccole clessidre argentee, sollevò con cautela lo sportello del contenitore e vi inserì il dito. Chiuse lo sportello e con un piccolo movimento circolare della sua bacchetta azionò lo strumento che prese a emettere piccoli sbuffi di vapore azzurrino.
Nel frattempo un suono avvertì Sara che l’analisi del DNA era completata. L’Auror si avvicinò allo strumento e salvò i dati in un computer che aveva personalmente modificato perché le componenti elettroniche potessero resistere in un posto pieno di magia come il Ministero. Quel computer avrebbe potuto resistere anche a Hogwarts. A quel punto stampò una copia dei risultati e la inserì nel fascicolo dell’indagine.
-          Ecco fatto – disse Frank – Lo strumento non ha rilevato traccia di incantesimi di invecchiamento o ringiovanimento, ne presenti ne pregressi.
-          Bene, procedi pure – commentò Sara.
-          A questo punto passo a verificare la presenza di incantesimi di protezione.
Il ragazzo ripose lo strumento con le clessidre e ne prese un secondo costituito da un intrico di tubicini di vetro. Sara respirò profondamente, stava perdendo il controllo dei suoi nervi, ma doveva stare tranquilla. Frank stava seguendo alla lettera il suo protocollo, se avesse continuato così sarebbe arrivato per forza di cose dove Sara voleva. Doveva solo tenersi occupata per un po’.
Per non mettere fretta a Parker, andò nel suo ufficio e raccolse da sotto la scrivania la scatola che conteneva gli effetti personali di Sirius, ne estrasse la busta con gli abiti e la portò in laboratorio. Una volta rientrata osservò per un attimo Frank che armeggiava con lo strumento, riempiendo ogni tubicino con una diversa pozione. Il giovane lavorava con precisione, con alacrità ma senza trascurare nulla.
Sara si sistemò su uno dei banconi che costeggiava le pareti e, dopo aver indossato dei guanti in lattice, estrasse dalla busta gli abiti di Sirius. Questa volta li guardò con occhi diversi dalla precedente. Ricordava perfettamente quella vecchia giacca di pelle nera, così come ricordava il momento in cui era stata acquistata. 
Giugno era ormai agli sgoccioli, i risultati degli esami erano stati comunicati agli studenti e Sara aveva passato tutti gli esami senza problemi. Man mano che si avvicinava il momento di tornare a Londra, Sara sentiva crescere una certa ansia. Più passava il tempo più le pareva strano quello che era capitato e aveva fantasticato talmente tante volte che non riusciva più a distinguere completamente le fantasie dalla realtà.
Aveva raccontato a Bex dell’appuntamento con Sirius appena era tornata a Hogwarts e l’amica era rimasta a bocca aperta.
-          Siete andati a Londra?! – esclamò quando lei glielo raccontò.
-          Sì, con la sua moto volante – spiegò di nuovo Sara – E’ stato carino, non ti pare?
-          Carino? – fece Bex lievemente sconcertata – Sì, certo. Carino. Ma… ma avresti potuto cacciarti nei guai!
-          Lo so, ma non è successo – rispose laconica Sara, tutto quello stupore la irritava. Come se lei non potesse permettersi di uscire con un ragazzo. Solo Rebecca doveva avere il monopolio della popolazione maschile?
-          Bè, continua! Voglio sapere ogni cosa! – la incalzò Rebecca vedendo che lei non parlava.
Sara obbedì e raccontò ogni cosa: la discussione appena si erano visti, il viaggio in moto, la mattinata tra i negozi, il pranzo, raccontò del pomeriggio a Diagon Alley tralasciando però le confidenze che Sirius le aveva fatto sulla sua famiglia. Infine le raccontò del bacio che si erano scambiati davanti al cancello e della promessa che lui le aveva fatto di andarla a prendere alla stazione.
Rebecca era estremamente sorpresa e non si faceva scrupolo di nasconderlo.
-          Sono sconvolta! Nel senso – si corresse vedendo l’espressione scocciata di Sara – sono felice per te ma mi sembra molto strano questo improvviso cambiamento di comportamento da parte di Black.
-          Si chiama Sirius – la corresse Sara senza pensare, guadagnandosi un’occhiata melodrammatica dalla sua amica.
-          Insomma, non puoi darmi completamente torto – continuò Rebecca imperterrita ignorando lo sguardo di rimprovero dell’amica - Anche tu fino a qualche settimana fa la pensavi allo stesso modo. Cosa è cambiato? Non vorrei che ci fosse qualcosa sotto…
-          Bé, non è stata proprio una cosa improvvisa – cercò di giustificare Sara – Ti ho raccontato cosa è successo al matrimonio di Lily e James, e poi non è che tutto a un tratto si sia trasformato nel principe azzurro. Continuiamo a battibeccare come abbiamo sempre fatto.
-          Perché lo difendi? – chiese Bex a bruciapelo.
-          Non lo sto difendendo! – esclamò l’altra alzando leggermente il tono della voce.
-          Sì invece, comunque io ti auguro con tutto il cuore che le cose vadano bene e che lui non ti sta prendendo in giro. Però ti dico anche di stare attenta e di non farti troppe illusioni.
Dopo questa conversazione con Rebecca, Sara si era ripetuta mille volte che non poteva essere come diceva la sua amica, che Sirius non la stava prendendo in giro e che doveva fidarsi del suo istinto. Ma nonostante questo era tormentata dai dubbi.
Bex poteva aver ragione?
Era davvero una stupida illusa a pensare che Sirius Black fosse interessato a lei?
Doveva mandargli un gufo per dirgli il giorno in cui sarebbe arrivata a Londra o sarebbe stato meglio lasciar perdere?
Era assurdo davvero aspettarsi che lui si facesse vivo per vederla?
D’altra parte lui era più grande di cinque anni, era un adulto, aveva la sua vita, mentre lei era solo un’adolescente confusa.
Questi pensieri la tormentavano al punto che la gioia di aver passato tutti gli esami non scalfì di un millimetro la sua ansia. Il giorno prima di partire decise di mandare quel gufo a Sirius. Era mattina prestissimo, ma lei non riusciva più a dormire. Seduta sul letto a baldacchino con tutte le tende tirate, accese la bacchetta per illuminare l’ambiente, sporse un braccio verso il comodino e afferrò la scatola dove teneva la carta da lettere. Non voleva correre il rischio di svegliare Bex nel letto accanto.
Aprì la scatola e la prima cosa che vide fu il biglietto su cui Sirius aveva scritto il suo indirizzo. Sara prese un foglio bianco e cominciò a scrivere. Doveva soltanto comunicare un giorno e un orario, ma riscrisse il biglietto sei volte prima trovare la forma giusta.
 
Caro Sirius,
come mi hai chiesto, ti scrivo per dirti che arriverò a Londra domani nel tardo pomeriggio. Mi dispiace di non averti avvertito con maggiore anticipo, se non puoi venire alla stazione non c’è problema.
A presto,
Sara
 
Quando rilesse il messaggio Sara lo trovò patetico, ma non aveva intenzione di scriverlo un’altra volta, non sarebbe comunque stata capace di ottenere un risultato migliore. Piegò il biglietto e lo chiuse in una busta su cui copiò l’indirizzo di Sirius.
Una volta finito era arrivata un’ora sensata per alzarsi e prepararsi per la colazione. Così sgusciò fuori dal letto, si vestì con le prime cose che capitavano e andò alla voliera dei gufi.
La mattina seguente era il primo luglio, il giorno del rientro a casa. Sara si svegliò ancor più presto della mattina precedente, le sembrava di avere delle rane che le saltavano nello stomaco, ma allo stesso tempo pareva anche qualcosa di volatile. Ecco, delle rane alate. Le pareva di avere delle rane alate nello stomaco.
La sera precedente non aveva avuto per niente sonno, così aveva già fatto tutti i bagagli. Si alzò cercando di non fare rumore e si diresse verso il bagno. Fece una lunga doccia, si lavò i capelli e, per una volta, anziché lasciarli asciugare selvaggiamente cercò di pettinarli dando loro un aspetto presentabile. Si vestì con una cura maggiore del solito e si truccò persino un po’.
Quando tornò in camera Bex la vide e sorrise maliziosamente, siccome però erano presenti anche le loro compagne di stanza si astenne dal fare commenti. Sara le aveva chiesto di non fare parola con nessuno di questa cosa, non voleva essere sulla bocca di tutte le ragazze di Hogwarts come quella che stava dietro al famoso Sirius Black, né voleva essere compatita se lui avesse deciso che in fondo quella ragazzina non gli interessava poi più di tanto.
Quando finalmente le due amiche si trovarono sole, Sara chiese nervosamente:
-          Come sto? Mi trovi ridicola?
-          Sei splendida! – disse con sincerità Rebecca osservando i pantaloni neri attillati e il top anch’esso nero decorato con perline coloratissime.
I pantaloni erano molto più attillati e il top molto più scollato degli standard abituali di Sara, ma Bex la rassicurò: stava benissimo. Le ragazze indossarono la divisa scolastica sopra gli abiti Babbani e si avviarono verso la Sala Grande.
Il viaggio di ritorno fu il più lungo e noioso che Sara ricordasse, non riuscì a mangiare neppure una briciola da tanto il suo stomaco era contratto dall’ansia e poi era già pieno di rane alate, non servivano anche le cioccorane a peggiorare le cose.
Man mano che il treno si avvicinava a Londra, Sara era sempre più dilaniata: non vedeva l’ora di scendere, ma voleva anche ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe scoperto se Sirius si era presentato o no. Non era poi così sicura di volerlo sapere. E se lui non ci fosse stato?
Una vocetta razionale dentro di lei le disse “se lui non ci sarà archivierai la storia nel novero delle delusioni e andrai avanti come se nulla fosse”. Sì, quella voce aveva ragione. Non c’era nulla da perdere.
Mentre entravano in stazione Sara si alzò dal sedile e si spostò in corridoio.
-          Respira – disse la voce di Bex alle sue spalle – Stai tranquilla, quando scendi dal treno saluta le altre come faresti di solito, non ti guardare intorno come un’indemoniata e mantieni un minimo di controllo.
Sara non poté fare a meno di sorridere di quei consigli. Bex ne sapeva molto più di lei di ragazzi.
-          Ci proverò – fu tutto quello che riuscì a rispondere.
Ad un tratto il treno si fermò davanti alla banchina del binario 9 e ¾ e tutti gli studenti si misero in coda per scendere. Quando Sara raggiunse il marciapiede di pietra grigia, le bastò un occhiata per valutare la folla di persone che attendevano l’arrivo del treno. Quella stessa occhiata le bastò per capire che Sirius non c’era.
Si sentì una colossale stupida, ma che cosa si aspettava? Si diresse come un automa verso la carrozza bagagli e recuperò il suo baule.
-          Mi dispiace – disse Bex sempre alle sue spalle.
-          Non fa niente – mentì Sara, ma decise subito di smettere di parlare.
La sua voce suonava molto strana. Non stava per piangere, vero? O no, non avrebbe concesso a nessun ragazzo la soddisfazione di piangere per lui, tantomeno a Sirius Black. La delusione in un lampo si trasformò in rabbia, verso se stessa e verso Sirius che l’aveva presa in giro.
Come le aveva consigliato Rebecca, andò a salutare le compagne e i compagni di scuola fingendo allegria e promettendo cartoline che non avrebbe spedito neppure sotto tortura, quindi si avviò verso il tornello. Una volta passate dall’altra parte Bex chiese:
-          Che fai adesso?
-          Andrò a prendere l’autobus per andare a casa. Che bello – disse con voce funerea – non vedo l’ora di tornare a casa da mia madre. Ci sentiamo vero?
-          Certo! Questa sera, così mi racconti com’è l’atmosfera casalinga – rispose Rebecca incoraggiante.
Insieme si avviarono verso l’uscita della stazione, spingendo un carrello su cui erano caricati i due bauli. Quando attraversarono la porta a vetri, videro che il sole era ancora alto, ma cominciava a colorarsi di rosso. E così erano cominciate le vacanze, davvero un bell’inizio.
-          Ciao!
Sara sentì lo stomaco fare quattro capriole e poi scomparire del tutto. Se l’era immaginato? Si voltò di scatto a sinistra, da dove aveva sentito provenire la voce.
Sirius era lì, appoggiato al muro, che fumava una sigaretta con gli occhiali da sole che coprivano quegli splendidi occhi azzurri. Sara si voltò verso Rebecca per cercare di nascondere il sorriso ebete che le era apparso sul viso e l’amica sollevò le sopraciglia facendole segno di andare da lui.
Sara si voltò un’altra volta, cominciava a girarle la testa, e con passi rapidi si diresse verso Sirius. Lui gettò via la sigaretta con gesto noncurante e, quando lei gli fu di fronte, si chinò a baciarla su una guancia.
Sara era completamente inebetita:
-          Ciao! – disse con una voce un po’ troppo stridula – Hem… non… non mi aspettavo di trovarti qui.
-          No? Perché? Te l’avevo detto che sarei venuto a prenderti – disse Sirius semplicemente.
Visto che lei sembrava incapace di proferire parola, il ragazzo aggiunse:
-          Sono venuto con l’auto di Remus. Vieni, carichiamo il tuo baule.
E senza aspettare una risposta si avviò verso Rebecca. Sara lo seguì e quando l’ebbero raggiunta li presentò. Quando Sirius strinse la mano di Rebecca e lei sorrise dicendo “piacere”, Sara provò l’impulso di schiaffeggiarla per il sorrisetto che aveva stampato in faccia, ma riuscì a trattenersi appena in tempo. Indicò a Sirius il suo baule, poi si rivolse a Bex.
-          Allora ci sentiamo…
-          Sì – rispose Rebecca continuando a sorridere – Ci sentiamo… domani!
Sara si allontanò dall’amica e seguì Sirius fino alla vecchia macchina di Remus, caricarono il baule nel bagagliaio e, quando chiusero lo sportello, si trovarono uno di fronte all’altra. Sara non poté fare a meno di sorridere.
-          Cosa c’è da ridere? – domandò Sirius.
-          Non sto ridendo, sto sorridendo – replicò Sara.
-          Allora cosa c’è da sorridere? – insisté ancora lui.
-          Non credevo che saresti venuto davvero, tutto qua – confessò la ragazza abbassando gli occhi verso le scarpe da ginnastica.
-          Come ti ho già detto prima, ti avevo detto che sarei venuto a prenderti. Non sono certo uno che si rimangia le promesse – rispose Sirius piccato.
Nonostante lo stallo della conversazione nessuno dei due sembrava volersi muovere, con la coda dell’occhio Sara vide Rebecca che, mentre attraversava il piazzale per raggiungere l’auto di suo padre, li osservava con interesse. Pensando a cosa avrebbe fatto la sua amica, Sara fece una cosa che la stupì di se stessa: prese l’iniziativa. Si sollevò in punta di piedi e, appoggiandosi al braccio di Sirius, lo baciò sulle labbra. Se il ragazzo fu sorpreso dell’iniziativa non lo diede a vedere e decise di collaborare, passò il braccio attorno alla vita di Sara e la strinse un po’ di più verso di sé.
Quando si separarono Sara distolse lo sguardo e vide Bex che le faceva segno di vittoria con i pollici prima di salire in auto e andarsene. Con orrore Sara si accorse che anche Sirius l’aveva vista.
-          L’hai vista anche tu, vero? – domandò chiudendo gli occhi orripilata.
-          Sì – confermò Sirius scoppiando a ridere.
-          Hem… mi dispiace. E’ un po’ fuori di testa, però è una brava ragazza – continuò Sara osservando l’auto che si allontanava.
-          Non importa, immagino tu le abbia raccontato della nostra giornata a Londra – disse Sirius avviandosi verso lo sportello del guidatore.
-          Sì. Spero che non ti dispiaccia – rispose Sara – Ma ne ho parlato solo con lei – aggiunse subito – e sono sicura che se lo terrà per sé. Non voglio diventare la ragazzina che sta dietro a Sirius Black. Diventerei lo zimbello di tutte le mie compagne.
-          Hmm “stare dietro” – fece Sirius fintamente pensieroso mentre avviava il motore – Mi piace. Mi stai dietro, Sara?
-          No, caro. Sei tu che stai dietro a me, se mai – ribatté la ragazza con una sicurezza tutta nuova – Hai cominciato tu, Sirius.
Il ragazzo rise di nuovo e ingranò la retromarcia, fece manovra e uscì dal parcheggio. Percorsero il primo tratto di strada in silenzio. Sara era decisamente stordita dalla sequenza degli eventi. Aveva davvero baciato Sirius? A quanto pareva sì. La voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri.
-          Come scusa? – chiese.
-          Ho detto se preferisci prima passare a casa a lasciare il baule – ripeté Sirius.
-          No, per carità. Più tardi vedo mia madre meglio è. A proposito, dove stiamo andando? – chiese Sara, che fino a quel momento non si era neppure posta il problema della destinazione.
-          Adesso andiamo in centro a comprare da bere, poi andiamo a Godric’s Hollow da Lily e James – spiegò Sirius voltandosi per un attimo a guardarla.
-          Davvero? Oh sono così contenta di vedere Lily! Come stanno? E’ una vita che non si fa sentire.
Sirius raccontò le notizie che aveva sugli sposi novelli e sulla loro luna di miele, raccontò a Sara della loro nuova casa e di quanto fossero felici. Le disse che stavano diventando irritanti in modo irrimediabile.
Arrivati in centro Sirius parcheggiò in divieto di sosta davanti ad un negozio di liquori e scese dall’auto.
-          Sei in divieto di sosta – gli fece notare Sara scendendo a sua volta – Faremo prendere a Remus una multa.
Senza darsi la pena di rispondere, Sirius estrasse la bacchetta dalla tasca e con un gesto noncurante cambiò i numeri della targa. Sara lo guardò perplessa ma non commentò, non le pareva il momento migliore per intavolare discorsi sulla legalità.
-          Non preoccuparti – disse Sirius introducendola nel negozio. Quando lui la prese per mano Sara decise che per quella sera non si sarebbe preoccupata assolutamente di niente.
Malgrado la decisione appena presa, quando la ragazza vide un telefono pubblico all’interno del negozio pensò che poteva essere una buona idea avvertire a casa che sarebbe arrivata in tarda serata. Lasciò con rimpianto la mano di Sirius e si diresse verso il telefono. Frugò nel portafogli per trovare qualche moneta Babbana e, quando le trovò, le fece scivolare nella fenditura e compose il numero dello studio di suo padre. Preferiva parlare con lui che con quella iena di sua madre.
-          Studio del Dottor White – rispose la segretaria del padre di Sara.
-          Buona sera, sono Sara White. Vorrei parlare con mio padre – comunicò la ragazza con il suo miglior tono autoritario.
-          Un momento.
Una musichetta irritante la avvertì che la chiamata veniva trasferita al telefono diretto di suo padre, poi una mano sollevò il ricevitore.
-          Pronto? – rispose il dottor White con tono interrogativo.
-          Pronto papà, sono io.
-          Ciao Sara! – esclamò l’uomo – Sei arrivata? Hai bisogno che ti venga a prendere.
Sara rifletté che a volte sembrava persino un padre normale, poi si concentrò per mentire in modo convincente:
-          Non sono ancora arrivata, c’è stato un problema con il treno e probabilmente arriveremo in tarda serata. Comunque non vi preoccupate, mi accompagna a casa un’amica.
Mentre suo padre esprimeva costernazione nel saperla ancora in viaggio, Sara sollevò lo sguardo e vide Sirius accanto a lei con due buste piene di birra e bottiglie di vino. Quando riattaccò, lui chiese:
-          Hai chiamato a casa?
-          No, ho telefonato a mio padre al lavoro – spiegò la ragazza – Non volevo che si preoccupassero.
-          Perché gli hai raccontato quella storia del treno? – chiese Sirius aprendo la porta del negozio e tornando verso l’auto.
-          Perché mio padre non approverebbe sapere che sono appena tornata e già me ne vado in giro senza neppure passare a salutare. Mia madre mi darebbe dell’ingrata e dovrei sopportare le battute di mia sorella per settimane. Preferisco raccontare qualche bugia. Allora – disse poi Sara per cambiare discorso, indicando le numerose bottiglie – cosa si festeggia?
-          Il mio compleanno – rispose Sirius casualmente.
L’informazione impiegò qualche istante di troppo a penetrare nel cervello di Sara.
-          Oggi è il tuo compleanno? – chiese poi.
-          Non proprio, è stato qualche giorno fa, ma volevamo aspettarti per festeggiare – disse Sirius.
Lo stomaco di Sara riprese a saltellare insieme alle rane alate e non poté fare altro che sorridere di nuovo in quel modo ebete. Stava diventando imbarazzante.
-          Bé allora devo farti un regalo – riuscì ad articolare infine.
-          Non devi disturbarti – si schermì Sirius. Sembrava persino un po’ in imbarazzo.
-          Invece sì. Dai andiamo! – esclamò Sara prendendolo per mano e trascinandolo lontano dall’auto.
-          Sara, lascia stare. Davvero – cercò di fermarla lui.
Lei gli si piantò davanti  con le mani sui fianchi e disse:
-          Senti, io non lascio perdere, ok? Vuoi farmi fare la figura della maleducata che non ti fa il regalo di compleanno? Non dopo che hai aspettato il mio arrivo per festeggiare.
Se Sara fosse riuscita a ragionare in modo razionale si sarebbe resa conto che entrambi si comportavano come cretini. Sorridevano in continuazione, si tenevano per mano e giravano per i negozi cercando qualcosa di appropriato all’occasione. Se avesse visto la situazione da fuori l’avrebbe trovata sdolcinata fino all’insopportabile, ma essendoci dentro non sentiva altro che felicità ed euforia.
Quando il sole tramontò del tutto stavano entrando forse nel quindicesimo negozio. Sara guardò l’orologio, cominciava a diventare tardi e non aveva ancora trovato qualcosa che la soddisfacesse. Il posto in cui erano entrati era un piccolo negozio di abbigliamento. Vagando tra le rastrelliere Sirius e Sara si divisero, l’uno da un lato e l’altra dall’altro di una fila di abiti ordinatamente appesi. Sirius continuava a farla ridere proponendole delle cose assurde.
-          Che ne dici di questa? – chiese ridacchiando e mostrandole una camicia attillata, di un viola acceso con dei disegni geometrici arancioni.
Sara rise a sua volta, guadagnandosi un’occhiataccia della proprietaria. Poi lo sguardo si posò su un capo di pelle nera. Era l’unico in mezzo a camicie e giacche eleganti. La ragazza si avvicinò incuriosita e scoprì che era un giubbotto di pelle, decisamente adatto per un motociclista; senza pensarci lo prese dalla stampella e lo porse a Sirius:
-          Prova questo.
-          Wow! E’ bellissimo! – esclamò Sirius provando la giacca.
-          Direi che ti sta bene – confermò Sara appoggiata a una rastrelliera mentre il ragazzo si guardava in uno specchio appeso alla parete – Può sostituire quella cosa vecchia e informe che ti ho visto addosso a Hogsmeade.
-          Hei! Non offendere la mia giacca, ne ha passate di cotte e di crude – si infervorò Sirius senza però smettere di esaminare il proprio riflesso.
-          Non voglio offendere – rispose Sara ridendo – Però direi che è ora di mandarla in pensione, che dici?
-          Potresti aver ragione.
-          Allora dai qua.
Sirius sfilò la giacca e Sara gliela prese di mano per andare a pagare. Lui cercò di protestare che era troppo per un semplice regalo di compleanno, ma lei lo cacciò dal negozio prima che lui potesse vedere il cartellino del prezzo.
Esaminando la giacca, appoggiata al bancone del laboratorio, Sara ricordò che le era costata tutti i risparmi che le rimanevano nel portafogli. Ma non le importava, in fondo era stata un buon acquisto. Sirius non aveva più voluto indossare altro.
 
*^*^*^*^*
 
Dopo la visita di Silente, Sirius non aveva mai smesso di pensare alle parole del Preside. Sara sapeva che lui era il Custode Segreto di Lily e James, quindi probabilmente lo odiava ancora di più di quanto non avesse fatto fino a quel momento.
Bene. Era una splendida notizia.
Prima aveva flebili speranze in una soluzione positiva, ma ora non ne aveva più nessuna. Sirius non capiva Silente: non aveva detto a Sara tutta la verità però voleva coinvolgerla nell’Ordine. A che scopo?
Il pensiero di Sara al Quartier Generale mozzò il respiro a Sirius, ma ormai ci era abituato, gli capitava ogni volta che pensava a lei e succedeva di continuo.
Quando Kingsley e Ninfadora arrivarono a Grimmauld Place Sirius era occupato a nutrire Fierobecco con la sua dose giornaliera di topi morti. Non appena sentì la porta d’ingresso chiudersi alle loro spalle, si precipitò nella grande cucina per sentire gli aggiornamenti.
Attorno al tavolo trovò già schierati Lily e James, Remus e la Signora Weasley, protesi verso i nuovi arrivati come per incitarli a parlare immediatamente.
-          Ciao Sirius – salutò Tonks prima di lasciarsi cadere sulla sedia accanto a Remus. Kingsley invece si limitò ad un cenno del capo e si sedette compostamente.   
-          Ciao – rispose Sirius posando sul tavolo una serie di burrobirre e prendendo posto a sua volta – Ci sono novità? – chiese impaziente.
-          Bè, sì – rispose Tonks – Ma non saprei dire se sono buone o cattive.
-          Sentiamo… - li incalzò James impaziente quanto l’amico.
-          Dunque – iniziò la ragazza – Ci sono voci piuttosto insistenti che dicono che Sara ha riesumato il dito di Peter Minus.
-          Che cosa? – esclamò Remus incredulo – Ma perché?
-          Non se ne conosce la ragione – continuò la ragazza – ma deve aver avuto delle motivazioni davvero valide per chiedere di riesumare i resti di quello che è considerato un eroe nazionale.
Sirius era davvero perplesso. A che diavolo poteva servirle quel dito maledetto?
-          Si sa che cosa ne ha fatto del dito? – chiese per trovare un lume ai suoi dubbi.
-          Oggi ho visto lei e il suo collega, Frank Parker, che armeggiavano in laboratorio – rispose Kingsley dando il suo contributo alla conversazione – Pareva che Parker stesse esaminando il dito, mentre la White era alle prese con dei vestiti.
-          Dei vestiti? – chiese stupita Lily – I metodi ministeriali di indagine mi risultano sempre più incomprensibili.
-          Il fatto è che non sono i metodi del Ministero, sono i personalissimi “metodi White”, come vengono chiamati al Dipartimento – confermò Ninfadora – E’ possibile che fossero i tuoi vestiti – disse poi rivolta a Sirius – quelli che ti hanno sequestrato quando sei stato arrestato.
-          Mi ricordo, portavo un paio di jeans scuri, una maglia nera e un giubbotto di pelle nera.
-          Ecco – esclamò Kingsley – l’ho vista armeggiare proprio con una giacca di pelle nera.
Sirius ricordava bene quella giacca. Era stato il primo regalo che Sara gli aveva fatto, per il suo compleanno.
Quel giorno lei era appena tornata da Hogwarts e lui era andato a prenderla in stazione. La ragazza era sorpresa di vederlo lì e questo, in un certo modo, ferì Sirius. Sara dubitava di lui e della sua buona fede, ma aveva tutta l’intenzione di farle cambiare idea.
Nonostante la sorpresa, il sorriso che lei aveva fatto quando l’aveva visto aveva fatto stringere lo stomaco a Sirius. Quando poi Sara l’aveva baciato, vicino alla macchina di Remus, il ragazzo aveva capito che si stava fregando con le sue mani, ma ormai non poteva più farci niente.
Mentre si dirigevano verso il centro di Londra, Sirius le aveva detto che avrebbero festeggiato il suo compleanno a casa di Lily e James e aveva avuto l’impressione che lei fosse risentita per non averlo saputo prima. Sirius si domandò se non avrebbe dovuto avvertirla con una lettera, ma non voleva che stesse ad angustiarsi con storie di abbigliamento e di regali.
Questa parte del progetto però non aveva funzionato. Sara aveva talmente insistito per trovargli un regalo che lui non aveva saputo come fare a rifiutare. Aveva assunto quel tono imperioso metà da professoressa e metà da bambina capricciosa e lo aveva trascinato per negozi, ignorando le sue proteste.
Quando ormai si stava facendo tardi e Sirius cominciava a pensare a qualche scusa da propinare a James per il ritardo, entrarono in un piccolo negozio defilato. Era uno strano misto di abiti sobri ed eleganti e stranezze. Sara era concentratissima nella ricerca e Sirius si divertiva a distrarla mostrandole capi che definire assurdi era riduttivo. Ad un certo punto la ragazza aggirò la rastrelliera che li divideva e porse a Sirius un giubbotto di pelle nera. A quel punto della giornata il ragazzo lo provò più per farle piacere che per vera convinzione, ma quando si guardò allo specchio pensò che Sara aveva colto nel segno. Era proprio il suo stile e non gli stava affatto male. In quell’istante ebbe l’impressione che Sara lo conoscesse molto meglio di quanto pensasse.
-          Allora, ti piace? – chiese.
-          Sì, è bellissimo! Ma non è il caso che spendi così tanto per il mio compleanno – rispose Sirius sbirciando il cartellino del prezzo.
Sarà seguì il suo sguardo e nascose il cartellino prima che lui potesse leggerlo attentamente.
-          Non devi guardare il prezzo! E’ un regalo. Avanti, dai qua. E aspettami fuori mentre pago – ordinò Sara.
-          Agli ordini capo! – si arrese Sirius.
Quando arrivarono alla cassa, che si trovava in prossimità della porta, Sirius fece un ultimo tentativo per dissuaderla dal spendere una cifra che, se anche non conosceva perfettamente, sapeva che non sarebbe stata piccola. Sara però fu categorica, lo cacciò sul marciapiede con una spinta e, non appena pagato, strappò il cartellino e lo gettò nella spazzatura.
-          Ecco fatto! – disse allegramente porgendo a Sirius la busta.
Lui non poté fare a meno di sorridere.
Anche se era luglio l’aria della sera era piuttosto frizzante ed entrambi avevano le braccia scoperte. Tornando alla macchina, Sara estrasse una sciarpa di seta dalla grande borsa che portava appesa alla spalla e se la drappeggiò attorno alle spalle e al collo. Sirius invece tolse il nuovo acquisto dalla busta e lo indossò con naturalezza, come se gli fosse stato cucito addosso.
Tornati all’auto, Sirius modificò nuovamente la targa e si avviarono verso Godric’s Hollow. Mentre viaggiavano accese la radio, che a quell’ora diffondeva solo una forma di pop piuttosto melensa.  
-          Allora, come sono andati gli esami? – chiese Sirius per fare conversazione.
-          Bene, li ho passati tutti discretamente. Senza infamia e senza lode – rispose Sara smettendo di guardare fuori dal finestrino – Posso fumare?
-          Certo – rispose il ragazzo estraendo il posacenere dal cruscotto e aprendo un po’ il finestrino.
Sara tuffò una mano in quella borsa che sembrava senza fondo e ne emerse con un pacchetto di sigarette e un accendino argenteo. Estrasse una sigaretta, la portò alle labbra e la accese con gesti da fumatrice consumata.
-          Da quanto fumi? – chiese il ragazzo.
-          Da un po’ – rispose Sara laconica.
-          Avverto una nota di reticenza nelle tue risposte. C’è qualcosa che non va?
-          No, assolutamente no! – disse la ragazza voltandosi per sorridergli – Ho cominciato più o meno un anno fa, ma a Hogwarts per ovvi motivi ho fumato davvero poco. Questo pacchetto mi dura da mesi.
-          Scusa, dove andavi a fumare a scuola? – si informò Sirius incuriosito.
-          In genere dietro gli spogliatoi del campo da Quidditch. È un’attività interessante. Oltre a togliermi lo sfizio di una sigaretta scopro sempre un sacco di cose – rivelò Sara con aria di mistero.
-          In che senso?
-          Nel senso che c’è un buco nella parete e si sentono tutte le conversazioni che vengono fatte negli spogliatoi. Cosa non si dicono certe persone dopo gli allenamenti!
-          È così che sai sempre tutto di tutti? – continuò Sirius sorpreso.
-          Diciamo che questa è una parte. Tante cose le vengo a sapere semplicemente guardandomi intorno.
Sirius aveva notato, negli anni in cui entrambi erano ancora a Hogwarts, che Sara era sempre informatissima su tutto e su tutti. Per esempio sapeva sempre con quale delle tante ragazze lui stava o fingeva di stare, se gli piaceva davvero o se la stava solo prendendo in giro. E quando si trovavano a discutere, o forse era meglio dire litigare, queste informazioni le davano sempre quel certo vantaggio che le concedeva l’ultima parola.
Quando finalmente arrivarono a casa di Lily e James, le due amiche si abbracciarono e cominciarono subito a chiacchierare. Lily le mostrò la nuova casa, poi iniziò il racconto del viaggio di nozze. Sirius invece si ritirò in cucina con James, Remus e Peter.
-          Buon compleanno amico mio! – disse James aprendo quattro birre e distribuendole per brindare.
Le bottiglie si toccarono con un tintinnio e i quattro amici bevvero un sorso.
-          Allora – iniziò James – come va con Sara?
-          Oh, non cominciare – si schernì Sirius. Aveva già parlato di Sara con James e non aveva un ricordo positivo della conversazione.
Nelle due settimane dal loro appuntamento a quel giorno, Sirius aveva pensato spesso a Sara e ne aveva parlato altrettanto spesso, tanto che i suoi amici cominciavano a preoccuparsi. James gli aveva chiesto se stesse ammattendo a perdere la testa per una ragazzina e il tono con cui l’aveva detto aveva irritato moltissimo Sirius. Per questo aveva cercato, da quel momento in poi, di parlare di Sara il meno possibile davanti a James, non sopportava le sue battutine e le sue allusioni.
Lily naturalmente aveva perorato la causa dell’amica. Gli aveva detto che quel continuo pensare a Sara era normale, che era normale a un certo punto sentire il bisogno di fermarsi, ma soprattutto Lily l’aveva ascoltato parlare e parlare di quello che provava senza interromperlo e senza fare battute.
Remus era stato oltremodo paziente. Il viaggio di ritorno da Hogsmeade gli aveva dato l’occasione per riflettere e Sirius si era… spaventato. Cosa stava facendo? Si stava imbarcando in una storia in quel momento in cui la vita di tutti i membri dell’Ordine della Fenice era appesa a un filo. E per di più si stava imbarcando in una storia con una ragazza che andava ancora a scuola.
Senza pensare, arrivato a Londra, Sirius si precipitò da Remus. Lasciò la moto davanti al cancelletto metallico e attraversò il piccolo cortile. Remus abitava in una casetta di quattro stanze, due a piano terreno e due al piano superiore. Il ragazzo bussò con energia attendendo che l’amico andasse ad aprire.
Quando la porta si aprì, Sirius vide il viso sorridente di Remus con una lieve sfumatura di sorpresa.
-          Sirius! Va tutto bene?
-          Sì, ti devo parlare. Posso entrare? – chiese Sirius concitatamente.
-          Certo – rispose Remus scostandosi per farlo passare.
Una volta in casa, Remus si sedette sul divano in salotto mentre Sirius prese a passeggiare avanti e indietro mentre parlava. Raccontò a Remus della giornata con Sara e alla fine del resoconto disse:
-          Remus, sto diventando pazzo! Non posso farlo…
-          Non puoi fare… cosa esattamente? – chiese Remus con l’aria di uno che conosce la risposta.
Sirius si bloccò come se le sue stesse parole lo avessero meravigliato, fece un respiro profondo e si sedette accanto all’amico sul divano. Che cosa non poteva fare? In fondo lo sapeva bene che cosa, ma era riluttante ad ammetterlo perfino con se stesso, ammetterlo con qualcun altro era anche peggio. Però aveva bisogno di dirlo ad alta voce per comprendere davvero l’entità della cosa.
-          Non posso… innamorarmi… di Sara – disse guardando l’amico negli occhi.
Remus soppesò per un attimo le parole, distolse lo sguardo e si mordicchiò il labbro inferiore prima di parlare:
-          Sirius, credo che… ormai… tu… sia già innamorato.
Sirius si alzò di scatto, si coprì il volto con le mani e si passò le dita tra i capelli neri. Non erano esattamente le parole che sperava di sentirsi dire. Sapeva che Remus aveva ragione, in fondo ne era consapevole anche lui, ma avrebbe voluto sentirsi dire che sì, sarebbe stata una buona idea troncare subito la cosa per evitare di soffrire e di farla soffrire.
In un secondo momento Sirius rifletté che per una risposta del genere Remus non era la persona più indicata, ma fu grato all’amico della sincerità.
E poi si era trovato lì, a festeggiare il suo compleanno con i suoi amici più cari e con Sara. Era stato uno dei compleanni migliori della sua vita. Avevano bevuto, mangiato, scherzato e riso fino alle lacrime. Sara era stata fantastica, aveva saputo ascoltare e ridere al momento giusto, ma anche intervenire e raccontare. Sirius era rapito, non aveva mai conosciuto una ragazza come lei. Perché non si era mai accorto di che persona fosse in realta?
Al momento di tornare a casa, Sirius e Sara salutarono gli amici e si avviarono verso l’auto di Remus. Sara si accomodò sul sedile passeggero e Sirius si mise alla guida. Il viaggio di ritorno verso Londra fu piuttosto silenzioso; quando arrivarono in città Sara cominciò a dargli indicazioni.  
-          Ecco, puoi fermarti qui – disse ad un tratto la ragazza.
Sirius fermò l’auto davanti a un imponente cancello di ferro battuto da cui partiva una strada lastricata. La villa non era visibile dalla strada, ma se ne intuiva la sagoma attraverso gli alberi del parco.
-          Complimenti per la casetta! – esclamò Sirius dando un’occhiata alla proprietà.
-          Sì, non è male. Ma sono le persone che ci abitano che non sono entusiasmanti – replicò Sara guardando verso la casa – Ti ringrazio per la splendida serata – aggiunse poi voltandosi nuovamente verso Sirius.
-          È stato un piacere. Dove ti lascio? – chiese il ragazzo indicando il cancello.
-          Non ho le chiavi per aprire il cancello. Lasciami pure qui, faccio la strada a piedi – disse la ragazza.
-          E ti porti il baule in braccio? – osservò Sirius – Ti accompagno alla porta – disse scendendo dall’auto e avviandosi verso il bagagliaio.
Il ragazzo tirò fuori il baule di Sara e chiuse la macchina di Remus. Sara prese una maniglia del baule e lo aiutò a trasportarlo fino ad un portoncino accanto al cancello principale. Trascinarono il baule per tutto il vialetto e lo depositarono in cima alla scalinata che conduceva al portone.
Sara titubò per un attimo davanti al portone, ma Sirius non aveva nessuna intenzione di andarsene, non ancora almeno.
-          Ti va di fare due passi? – chiese Sirius indicando i vialetti che si addentravano nel giardino.
-          Certo! – rispose Sara con entusiasmo.
Si incamminarono lentamente, senza prestare realmente attenzione alla strada che stavano percorrendo. All’inizio camminarono a qualche passo di distanza, poi si avvicinarono. Sirius non era preparato a sostenere situazioni di quel genere. Le ragazze con cui era uscito fino a quel momento pendevano dalle sue labbra e non si perdevano in tanti preamboli. Con Sara era diverso, non sapeva fino a che punto poteva spingersi, non riusciva a interpretare i suoi pensieri.
Mentre pensava queste cose Sara sfiorò la sua mano e lui colse l’occasione per avvicinarsi e passarle un braccio attorno alle spalle. Lei gli mise un braccio attorno alla vita e, sempre camminando lentamente, si appoggiò a lui.
Ad un tratto Sara si fermò, con lo sguardo fisso davanti a sé. Aveva un’espressione che a Sirius non piaceva, troppo seria, quasi triste.
-          Cosa stiamo facendo? – chiese Sara continuando a guardare dritto davanti a sé.
-          Stiamo passeggiando – rispose Sirius fingendo di non capire quello che la ragazza intendeva.
Lei si voltò a guardarlo con un sopraciglio sollevato e decise che sarebbe stato meglio essere serio.
-          Non ne sono sicuro – disse voltandosi a guardala – ma credi di essere sulla buona strada per... insomma... diciamo con un eufemismo che non sono più così ostile verso di te come prima.
Sara sollevò gli occhi con aria scettica, come se non credesse davvero alle sue orecchie. Sembrò soppesare le parole per qualche istante, poi disse:
-          Meno ostile – un mezzo sorriso comparve sulle sue labbra – Se questo è essere meno ostile sono curiosa di scoprire cosa succederebbe se cominciassi a piacerti davvero. Secondo te stiamo commettendo un errore? – chiese poi, più seria.
-          No – rispose Sirius attirandola a sé – Non credo. Sai, anche io sono curioso.
Come rispondendo a un comando, il loro volti si avvicinarono e le labbra si sfiorarono. Lo sguardo di Sirius non riusciva a spostarsi dagli occhi di Sara, scuri come pozzi senza fondo. Sembrava che le loro labbra sapessero esattamente cosa fare di loro spontanea volontà. Si baciarono, fermi in mezzo al giardino di Villa White, per un tempo che parve loro infinito.
Quando finalmente si separarono, nessuno dei due poté fare a meno di sorridere. Sirius accompagnò Sara al portone, quindi la salutò e tornò verso l’auto di Remus felice come non lo era da tempo.

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Capitolo 12
*** XII ***


Per i lettori (precedente edizione): come sempre mi scuso per i tempi biblici di attesa tra un capitolo e l’altro. Un giorno forse scriverò un racconto autobiografico sulla mia vita universitaria così potrete capire :-P. Ringrazio sentitamente tutti coloro che leggono la mia ff e soprattutto coloro che commentano e che aggiungono la mia fic tra i preferiti.
Attendo altri commenti!!!
Al prossimo capitolo!
 
XII
 
Sara e Frank erano in laboratorio ormai da ore. Sara aveva raccolto campioni da ogni macchia di sangue sui vestiti di Sirius Black e ne aveva analizzato il DNA. La velocità delle apparecchiature magiche le aveva permesso di eseguire tutte le prove in poco tempo e nessun campione corrispondeva al patrimonio genetico di Peter Minus, questo significava che non c’era la minima traccia di Peter Minus addosso a Sirius. Quel sangue, come avevano ipotizzato inizialmente, doveva essere di Black.
Parker intanto aveva proseguito le analisi sul dito seguendo minuziosamente il protocollo e aggiornando Sara su ogni sua mossa. Rimaneva l’ultimo passo: le verifiche per gli incantesimi di trasfigurazione. Era il momento cruciale.
-          Ok, qui ho finito – disse Frank rompendo il silenzio – Mancano gli incantesimi di trasfigurazione.
-          Bene – disse Sara sforzandosi di sembrare distaccata – come hai intenzione di procedere?
Mentre Frank elencava le procedure, la donna trattenne il respiro. Al termine dell’elenco le enumerò mentalmente. Ok. Non mancava nulla. In quel modo avrebbe dovuto scoprire che Minus era un Animagus… ammesso che quegli incantesimi avessero effetto su un osso vecchio di quindici anni. Sara non riusciva più a restare in quella stanza, doveva uscire. Lasciò Frank alle prese con le analisi e si rintanò nel suo ufficio. Se avesse scoperto qualcosa, il ragazzo l’avrebbe avvertita immediatamente. Si sedette alla scrivania cercando di riordinare le idee ed elaborare la successiva linea d’azione. Non aveva molte prove a sostegno della sua tesi, ma doveva farsele bastare. Se non fossero state sufficienti per dimostrare l’innocenza di Sirius, Sara sperava per lo meno che bastassero a sollevare qualche dubbio. L’unico problema sarebbe stato superare le resistenze del Ministro: ammettere un errore di quelle proporzioni significava un bombardamento mediatico senza precedenti.
Mentre rifletteva, Frank si precipitò correndo nell’ufficio spalancando la porta:
-          Presto! Devi venire a vedere! E’… è incredibile! – strillò il ragazzo eccitatissimo.
-          Hai scoperto qualcosa? – chiese Sara alzandosi di scatto e cercando di trattenere un sorriso di sollievo.
-          Penso di si! Vieni, avanti!
Sara si precipitò in laboratorio. Lì Frank si posizionò dall’altro lato del tavolo rispetto al suo capo e puntò la bacchetta verso il dito, pronto a scagliare l’incantesimo.
Sara era talmente agitava che non riusciva a proferire parola, così gli fece un cenno d’assenso con la testa e dalla punta della bacchetta del ragazzo partì un fascio di luce blu e argento che andò a colpire quel che restava del dito di Peter Minus. Lo scheletro fu avvolto dalla luce azzurrina, quindi sembrò scomparire. In realtà non era affatto sparito, si era soltanto rimpicciolito assumendo dimensioni minuscole.
-          Che ne pensi? – domandò Frank con gli occhi accesi dal brivido della scoperta.
-          Tu che ne pensi? – disse di rimando Sara. Doveva stare molto attenta a sbilanciarsi in congetture, non poteva in alcun modo influenzare Frank.
-          Bè, chiaramente non è un osso umano e sono certo che non si tratta di un osso animale trasfigurato in umano, ma il contrario. Infatti se lasci passare un po’ di tempo torna alla forma umana originaria.
Mentre Parker diceva queste cose la stessa luce azzurrina avvolse le minuscole falangi riportandole alle dimensioni e alla forma precedente.
-          La cosa più probabile è che Minus fosse un Animagus – continuò il ragazzo parlando più in fretta del normale.
-          Direi che mi sembra l’unica spiegazione possibile – disse Sara con cautela.
-          Vediamo se il ragionamento fila – proseguì Parker che ormai sembrava aver preso gusto nella conduzione dell’indagine – Sappiamo che è improbabile che Black abbia ucciso Minus perché sulla scena e sui suoi vestiti c’era troppo poco sangue. Sappiamo che Black era o avrebbe dovuto essere il Custode Segreto dei Potter. La spiegazione più plausibile è che Minus abbia finto la sua morte tagliandosi il dito e trasformandosi per fuggire. Ma perché fuggire?
-          Avevamo ipotizzato due possibilità – intervenne Sara che a quel punto sentiva di dover contribuire – Minus, a conoscenza del tradimento di Black, si è finto morto ed è fuggito per paura. Oppure Minus si è finto morto e ha provocato la strage per coprire la sua fuga perché lui era in realtà il Custode Segreto dei Potter.
-          Però non avrebbe avuto senso nascondersi per tutto questo tempo se non era colpevole – osservò Frank – E’ più probabile che fosse lui il traditore...
Sara quasi non osava respirare, più idee Frank tirava fuori, minore sarebbe stato il suo intervento e se un giorno qualcuno avesse scoperto del suo legame con Sirius, questo sarebbe stato fondamentale in tribunale.
-          Questo però non si collega alla storia del giornale – aggiunse Parker ignaro di quello che stava passando per la mente di Sara – Continuiamo a non sapere quale sia stato l’input che ha spinto Black alla fuga.
In quel momento Sara si rese conto che Frank non avrebbe mai notato quel topolino sulla spalla del figlio di Arthur Weasley neppure se avesse sfogliato quel giornale per giorni interi, così decise che era venuto il momento di recitare. Occorreva un’interpretazione da Oscar, anche se non era mai stata molto brava a mentire.
-          Aspetta un momento! – esclamò come se avesse ricordato qualcosa di importante.
Schizzò verso l’ufficio e portò la copia della Gazzetta del Profeta sul tavolo del laboratorio. Cominciò a sfogliarlo freneticamente, come se stesse cercando qualcosa che non sapeva esattamente dove si trovasse, intanto pregava che Parker non si accorgesse che stava mentendo.
Quando ritenne di aver fatto abbastanza scena, spiegò il quotidiano alla pagina che ritraeva la famiglia Weasley.
-          Guarda! – esclamò indicando la fotografia – Questo sulla spalla del ragazzo non è un topo? – chiese la donna.
Il giovane si avvicinò la fotografia al naso e strizzò gli occhi per vedere meglio.
-          Oh mio Dio! – esclamò a sua volta – E’… è un topo… e… e gli manca un dito! – concluse quasi strillando – Credi che possa essere Minus? – chiese poi abbassando la voce.
-          Bé, perché no? Coincide tutto! Quello che abbiamo visto potrebbe essere benissimo essere il dito della zampa di un topo. Se davvero è Minus, sarebbe stato facile sparire da Godric’s Hollow senza dare minimamente nell’occhio.
Mentre Sara finalmente esprimeva ad alta voce tutto quello che aveva pensato quella mattina, Parker lesse rapidamente l’articolo che accompagnava la fotografia.
-          Ascolta – disse interrompendo le riflessioni della donna – qui dice che la famiglia si era presa una vacanza grazie al premio e che i ragazzi sarebbero tornati a Hogwarts il primo settembre. Tutti hanno sempre pensato che Black fosse diretto a Hogwarts per cercare Harry Potter… e se invece fosse andato a Hogwarts per cercare Minus dopo aver visto la foto?
-          Parker sei un genio! – strillò Sara al settimo cielo.
Aveva sperato con tutto il cuore che fosse Frank a scoprire che Minus era un Animagus, ma non avrebbe sperato tanto neppure nei suoi sogni più ottimistici. Ora avevano tutte le prove necessarie per sollevare un discreto polverone.
Sara lasciò a Frank il compito di scrivere un dettagliato rapporto sulle analisi e i test eseguiti. Lei invece aveva in mente un paio di verifiche che poteva effettuare in giornata.
Per prima cosa uscì dal Dipartimento degli Auror e si diresse con passo spedito verso l’ufficio di Arthur Weasley. Mentre bussava energicamente si augurò di trovare il signor Weasley da solo anche se sapeva che divideva il piccolo ufficio con un altro impiegato, un certo Perkins. Una voce gioviale dall’interno la invitò a entrare e Sara aprì la porta.
-          Buon giorno, scusi il disturbo – salutò la donna entrando.
Quel giorno sembrava girare tutto per il verso giusto. Nell’ufficio non c’era nessun’altro. Arthur sembrò lievemente sconcertato dalla sua visita, tanto che rischiò di scivolare dalla sua sedia.
-          Si sente bene? – domandò Sara chiudendosi la porta alle spalle.
-          Perfettamente – rispose Weasley invitandola con un gesto ad accomodarsi – Prego, mi dica cosa posso fare per lei?
-          Devo chiederle un’informazione… personale – disse Sara avvicinandosi alla scrivania ma restando in piedi – Uno dei suoi figli ha mai avuto un topo come animaletto?
Arthur Weasley impallidì visibilmente. Che il signor Weasley sapesse qualcosa?
-          Sì… sì mio figlio Percy ha avuto un topo di nome Crosta, che poi è passato a mio figlio Ronald. Ma perché me lo chiede? – rispose l’uomo in evidente imbarazzo.
-          Mi dispiace ma questo non posso dirglielo. Ancora una cosa – aggiunse Sara – come siete entrati in possesso del topo?
-          Lo abbiamo trovato che gironzolava per il giardino di casa – rispose Weasley.
-          Quando all’incirca? – incalzò Sara avida di informazioni.
-          Mio figlio Ron era nato da poco più di un anno e Percy aveva circa cinque anni. Quindi sono passati quindici anni più o meno. Ma non capisco…
-          E’ ancora con voi, Crosta? – continuò la donna senza dargli il tempo di concludere.
-          No, è… - e qui il signor Weasley esitò - …è fuggito, qualche anno fa.
Senza aggiungere altro Sara ringraziò e uscì dall’ufficio. Anche i tempi combaciavano perfettamente.
Ora c’era un’ultima cosa da fare. Sara a avvertì Frank che sarebbe stata fuori per il resto della giornata e si fiondò alla sua auto. Non aveva mai guidato così prima, teneva l’acceleratore premuto fino in fondo e aveva attivato tutti i dispositivi magici di cui la sua auto disponeva per andare più veloce, sgusciare meglio nel traffico e passare il più possibile inosservata. Quando partì dal Ministero era tarda mattinata, guidò per l’intero pomeriggio e arrivò a Hogwarts che ormai il sole era quasi completamente tramontato.
Sara lasciò l’auto al villaggio e raggiunse il castello a piedi. Mentre camminava riordinò mentalmente le idee. Aveva bisogno di parlare con Silente per avere conferma delle sue ipotesi. Ora anche quello che il Preside le aveva detto giorni addietro assumeva un senso nuovo. Quando lei aveva domandato se Sirius avesse tradito i Potter, Silente aveva risposto in modo ambiguo, probabilmente aveva sperato di darle un indizio.
Il pesante cancello, che si apriva sul viale di accesso di Hogwarts, si presentò davanti a Sara dopo una curva. Quel cancello le ricordò tutte le volte che Sirius l’aveva riaccompagnata a scuola dopo aver passato la giornata insieme.
Ma non era il momento di perdersi in sentimentalismi. Aveva ancora molto lavoro da fare.
Sara percorse il viale quasi correndo e arrivò davanti al portone quasi senza fiato. La donna rimase per un attimo ferma sui gradini di pietra per riprendere fiato. Nell’ingresso intanto parecchi ragazzi sciamavano in varie direzioni, verso la Sala Grande o verso i rispettivi dormitori, ma nessuno sembrò far caso a lei. Per entrare Sara attese un momento di calma, quindi si avventurò tra i corridoi per andare ad avvertire Gazza del suo arrivo e farsi annunciare a Silente.
Giunta davanti all’ufficio del custode, Sara bussò, prima delicatamente poi con più forza ma non ottenne alcuna risposta. Forse poteva attendere lì, oppure poteva andare direttamente da Silente. Mentre rifletteva sul da farsi, avvertì una presenza ai bordi del suo campo visivo e voltandosi vide Minerva McGrannitt avanzare verso di lei. Sulle prime sembrò che la professoressa non l’avesse riconosciuta, poi quando fu più vicina osservò meglio Sara e sbiancò.
Sara si domandò che cosa nel suo aspetto avesse l’effetto di far impallidire le persone. Prima il signor Weasley ora lei. Che accidenti avevano tutti? La professoressa si avvicinò a passo di carica e, quando fu davanti a lei, disse:
-          Desidera?
-          Buona sera, mi dispiace disturbare. Sono Sara White – esordì Sara.
-          So bene chi è lei. Che cosa ci fa qui? – domandò la McGrannitt nel suo tono più asciutto.
Sara aveva cercato di essere cortese il più possibile, ma visto l’atteggiamento decise di adeguarsi al tono e rispose seccamente:
-          Devo vedere il professor Silente – poi aggiunse – Subito.
Senza rispondere Minerva McGrannitt si voltò e si avviò lungo il corridoio. Sara intuì che doveva seguirla e allungò il passo per raggiungerla. Quando si trovarono davanti alla statua di pietra che introduceva negli appartamenti del Preside, la professoressa pronunciò la parola d’ordine e precedette Sara sulla scala a chiocciola. Una volta raggiunta la sommità, bussò piano e, quando ricevette un segnale dall’interno, aprì la porta.
-          Professor Silente, c’è la signorina White – annunciò utilizzando sempre lo stesso tono secco.
-          Prego, si accomodi signorina – disse Silente in un tono molto più cordiale.
Sara superò la McGrannitt che uscì dall’ufficio e si chiuse silenziosamente la porta alle spalle.
-          Buona sera Professore – salutò la donna stringendo la mano che il Preside le porgeva – Mi dispiace disturbarla ancora.
-          Non si preoccupi, è un piacere vederla – rispose Silente tornando a sedere sulla sua poltrona – Cosa posso fare per lei?
Sara fece un respiro profondo e cercò le parole per iniziare.
-          Da quando ho iniziato le indagini ho sempre avuto le sue parole che mi ronzavano in testa. Non riuscivo a capire che cosa avesse voluto dirmi, così mi sono spaccata la testa per cercare una soluzione. Quando ho preso in mano il fascicolo sulla strage di Godric’s Hollow non ho dovuto neppure scavare troppo a fondo per trovare le prime cose strane e in base a queste mi sono fatta un’idea. Visto che lei non fa più parte del Winzengamot – proseguì la donna – posso raccontarle quello che ho scoperto senza timore che annullino il processo.
-          Sarò ben felice di ascoltare le sue scoperte – disse Silente sistemandosi sulla sua sedia come se si preparasse ad ascoltare una storia interessante.
Sara cominciò a raccontare ogni cosa dall’inizio. Raccontò le sue scoperte in ordine cronologico, spiegando dettagliatamente il come e il quando. Alla fine riassunse la sua ipotesi su come dovevano essersi svolti i fatti.
Senza rendersene conto, mentre parlava si era alzata in piedi e aveva cominciato a camminare avanti e indietro davanti alla scrivania del Preside. Quando ebbe finito il racconto, il cielo fuori dalla finestra era scuro e punteggiato di stelle. Sara si fermò davanti a Silente e concluse:
-          Allora ho ragione oppure devo essere rinchiusa nel reparto per malattie mentali del San Mungo?
Silente le fece cenno di sedere, quindi si sistemò gli occhiali sul naso. C’era un sorriso lieve che gli attraversava il volto che Sara non riusciva a decifrare.
Era compiacimento o scherno?
Mentre parlava aveva cercato di mettere in primo piano l’Auror Capo e lasciare in disparte la donna, ma ora l’attesa del verdetto le faceva quasi mancare il fiato. Sara sapeva che dalla risposta di Silente sarebbe dipesa ogni cosa. Cosa avrebbe fatto se il Preside le avesse riso in faccia?
-          Le faccio i miei complimenti, signorina White – disse infine – Si è avvicinata talmente tanto alla verità dei fatti che non ho praticamente nulla da correggerle.
I polmoni di Sara ricominciarono a ricevere ossigeno e la sua testa si svuotò completamente. Non riusciva ad articolare nessun pensiero razionale. C’erano soltanto una serie di immagini sconnesse che le passavano davanti agli occhi ed erano talmente rapide che riusciva a coglierne solo qualche dettaglio, ma non il senso generale. Sapeva che avrebbe dovuto essere felice, perché aveva trovato la verità, aveva ragione e ora avrebbero dovuto crederle, ma non riusciva a provare altro che un sordo stordimento.
Ad un certo punto si rese conto che avrebbe dovuto dire qualcosa e qualcosa nel suo inconscio le fece ricordare che lei era una perfezionista.
-          Ha detto che non ha praticamente nulla da correggere nella mia teoria, però qualcosa c’è. Cosa ho sbagliato? – domandò Sara.
Il Preside ridacchiò impercettibilmente, poi rispose:
-          Lei mi ha detto che suppone che Sirius sia evaso da Azkaban per andare in cerca di Peter Minus e che, sapendo che era con un giovane mago, fosse venuto a Hogwarts a cercarlo. In realtà non è del tutto vero. Sirius era venuto a Hogwarts per proteggere Harry da Minus.
Sara rimase per un attimo interdetta. Poco a poco le parve che qualcuno le stringesse un pugno di ferro attorno allo stomaco.
Come aveva fatto a non pensarci! Harry era stata la vera e propria molla che aveva spinto Sirius a evadere. Non il desiderio di vendetta, ma la preoccupazione per il suo figlioccio.
Sara si vergognò di se stessa, come aveva potuto non ricordarsi dell’amore e della venerazione di Sirius per Harry. Ne avevano parlato spesso e ogni volta Sirius le aveva detto che avrebbe fatto qualunque cosa per Harry, sempre e in qualunque situazione.
Harry Potter era nato in piena notte, in un ospedale Babbano di una cittadina vicina a Godric’s Hollow. Sirius e Sara stavano insieme da circa un anno ed era stato l’anno più bello e intenso che lei avesse vissuto.
Quella notte Sara era nella sua stanza, a casa dei genitori, cercava invano di dormire dopo l’ennesima litigata con sua madre. L’argomento del momento era proprio Sirius. Naturalmente sua madre non sapeva che era un mago, né che aveva cinque anni più di lei, ma le continue uscite di Sara e la sua aria felice l’avevano insospettita e aveva capito che si trattava di un ragazzo. Messa alle strette Sara aveva dovuto confessare e sentire il nome del ragazzo della figlia aveva dato alla signora White un duro colpo. Non aveva idea di chi fosse e questo significava che non era il figlio di una delle famiglie altolocate di Londra, di conseguenza non poteva essere una buona compagnia. Sara era stufa di essere costretta a difendere ogni sua azione come se fosse sotto processo, ma con sua madre non c’erano alternative. Così per evitare una lite ogni volta che usciva di casa aveva cominciato a inventarsi scuse su scuse: la palestra, la piscina, lo studio a casa di un’amica, aveva persino raccontato che andava una volta a settimana dall’estetista. Di tanto in tanto però doveva dire la verità e allora erano dolori.
Stesa sul letto, con gli occhi piantati sul soffitto e le braccia incrociate dietro la testa, Sara stava architettando la scusa da raccontare il giorno successivo, quando ad un tratto sentì qualcosa picchiettare alla finestra. Si alzò di scatto dal letto e si avvicinò circospetta per dare un’occhiata. Qualcuno tirava dei sassolini contro il vetro… e poteva essere soltanto una persona.
Senza neppure guardare giù, Sara si precipitò all’armadio e si vestì di corsa, indossò le scarpe e afferrò la borsa che giaceva abbandonata ai piedi del letto.
Una volta pronta strisciò fuori dalla sua stanza, che si trovava nella mansarda, scese le scale e oltrepassò la porta della stanza dei suoi genitori trattenendo il fiato. Era molto tardi e tutti dovevano essere a dormire, ma i problemi di insonnia erano all’ordine del giorno in famiglia, per questo era meglio essere prudenti. Arrivata al piano terra la ragazza entrò in cucina e uscì dalla porta sul retro, chiudendosela alle spalle.
Il giardino era buio e umido, si sentivano ancora alcuni grilli emettere il loro verso. L’unica luce proveniva da qualche sporadico lampione sparso lungo i sentieri. Quando svoltò l’angolo della casa, Sara si trovò davanti Sirius.
-          Ciao! – salutò in un sussurro buttandogli le braccia al collo.
Si erano visti solo quel pomeriggio, ma a Sara era parso un secolo. Lui le diede un leggero bacio sulle labbra, ma non si dilungò troppo in convenevoli. Era evidente che aveva qualcosa da dirle.
-          Che succede? – chiese la ragazza sempre sussurrando.
-          Sta per nascere! – esclamò lui al settimo cielo.
-          Davvero?! – esclamò Sara – Quando? Lily è già in ospedale?
-          Sì, mi ha avvertito James. Ti va di accompagnarmi? – chiese Sirius.
-          Naturalmente!
I due si incamminarono velocemente verso il cancello d’ingresso, uscirono dal portoncino laterale e salirono sulla moto di Sirius, parcheggiata ad attenderli. Sara era felice come se le stesse per nascere un nipote, non vedeva l’ora di conoscere il figlio di Lily e James.
Il volo fu rapido e l’aria frizzante della notte svegliò Sara più di qualunque caffè. Quando la moto cominciò a planare per scendere a terra, la ragazza si strinse a Sirius. Era il momento di ogni volo che temeva di più, ma Sirius era un pilota abile e atterrò leggero come una piuma sull’asfalto di un grande piazzale.
L’ospedale era illuminato a giorno, non c’era finestra oltre la quale non brillasse una lampadina. Sirius parcheggiò la moto nell’angolo più lontano dall’ingresso, quindi insieme si avviarono verso la scintillante porta a vetri. Camminavano rapidi e in silenzio, era chiaro che entrambi erano nervosi, neanche fosse stato figlio loro quello che doveva nascere.
Non appena entrati fermarono un infermiera di passaggio e le chiesero indicazioni per il reparto di ostetricia. I due ragazzi imboccarono un corridoio, poi un altro, infine una scala che percorsero saltando i gradini tre a tre. Giunti in cima si guardarono attorno smarriti, cercando la direzione giusta nel dedalo di corridoi, quando a un tratto si sentirono chiamare da una voce familiare.
-          Da questa parte! – disse la voce di Remus Lupin.
Sara e Sirius si voltarono e videro l’amico in piedi in una sala d’aspetto ingombra di sedie e vecchie riviste.
-          Quali notizie? – domandò Sara ansiosa, quando l’ebbero raggiunto.
-          Sembra che vada tutto bene – disse Remus con un sorriso incoraggiante – James naturalmente è con Lily, l’infermiera ha detto che possiamo aspettare qui.
Quando Sara si voltò verso la sala d’attesa, notò che non erano soli. Anche Peter Minus li aveva raggiunti e ora sedeva in un angolo, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra.
Mentre Sirius continuava a confabulare con Remus, Sara si avvicinò a Peter e lo salutò. Quindi si sedette di fronte a lui.
-          Come va? – chiese la ragazza tanto per fare un po’ di conversazione.
-          Bene – rispose lui laconico.
-          Sei sicuro di sentirti bene? – domandò ancora la ragazza scrutandolo in volto.
-          Sì – rispose Peter voltandosi verso di lei.
Quando Minus si voltò verso di lei, Sara vide che era pallido, tirato, più magro dell’ultima volta che l’aveva visto. Tutto questo parve a Sara molto strano, ma non conosceva Peter abbastanza da poter giudicare.
Della compagnia, Peter Minus era quello con cui la ragazza aveva legato di meno. Era così timido, riservato ancor più di Remus, parlava poco e quando parlava era per approvare qualcosa che avevano detto gli altri. Non aveva quasi mai scambiato con lui parole che non fossero di circostanza oppure mediate da un discorso generale. Almeno non da quando stava con Sirius; le uniche vere conversazioni le avevano avute ben prima del matrimonio di Lily.
Dopo qualche minuto, Sirius e Remus smisero di parlare e i quattro amici si prepararono ad una lunga attesa. Di tanto in tanto qualcuno si alzava per sgranchirsi le gambe o per uscire a fumare una sigaretta, ma nessuno sembrava aver voglia di fare conversazione.
L’attesa proseguì per due ore, che ben presto divennero tre, poi quattro. Infine, da una porta in fondo al reparto, uscì James che teneva in braccio un fagottino avvolto in una coperta azzurro cielo.
-          E’ un maschio! – comunicò al colmo della gioia.
I tre ragazzi gli corsero incontro, mentre Sara rimase qualche passo indietro. Quello era il momento dei Malandrini, lei avrebbe avuto tutto il tempo dopo di fare la conoscenza del nuovo arrivato.
Quando James alzò lo sguardo estasiato da suo figlio a Sara, la ragazza si sentì autorizzata ad avvicinarsi. Dalle coperte spuntava solamente un visetto arruffato e addormentato incorniciato da folti capelli neri. Sara non poté far altro che sorridere.
-          Come avete deciso di chiamarlo? – chiese Sirius con un sorriso molto simile a quello di Sara.
-          Harry – rispose James senza staccare gli occhi dal bambino – Harry James Potter.
Dopo qualche istante un’infermiera li richiamò all’ordine e James e Harry tornarono da Lily, lasciando gli amici ad attendere nuovamente.
Qualche tempo dopo il bambino fu trasferito nella nursery e la madre venne sistemata in una stanza. Mentre Lily riposava, Sirius, James e Sara rimasero davanti al vetro della nursery a osservare il piccolo Harry come se non avessero mai visto un neonato in vita loro.
-          Sirius – fece il neopapà ad un tratto.
-          Sì?
-          Vorresti essere il padrino di mio figlio? – chiese James, staccando per un attimo lo sguardo dal bambino e fissandolo negli occhi dell’amico.
Sirius si voltò e deglutì poi, con il sorriso più grande e luminoso che Sara avesse mai visto, rispose:
-          Sarà un onore.
Era mattina inoltrata quando Sirius riaccompagnò a casa Sara. Prima di salutarsi, si fermarono davanti al cancello a scambiarsi ancora qualche parola.
-          E così – cominciò la ragazza – sarai il padrino di Harry – non aveva potuto fare a meno di mettere una sfumatura amara in quella osservazione e questo la disturbava.
-          Così pare – rispose Sirius appoggiato alla moto.
Aveva l’aria di non essere del tutto presente, come se avesse la mente ancora davanti a quel vetro nella nursery, e per un attimo Sara provò un moto di gelosia nei confronti di quel neonato che aveva il potere di distogliere i pensieri del ragazzo da lei.
-          E’ una bella responsabilità – commentò scacciando dalla mente questi pensieri funesti.
-          Sì, lo è. Spero di essere all’altezza – rispose lui pensieroso.
-          Lo sarai sicuramente – disse Sara incoraggiandolo con un sorriso. Se essere il padrino di Harry lo rendeva così felice lei sarebbe stata al suo fianco.
-          Questo non lo so – continuò Sirius – Ma so per certo che farò tutto quanto è in mio potere per proteggerlo e per stargli accanto.
Solo a distanza di quindici anni Sara comprendeva appieno il significato di quelle parole. Sì, Sirius avrebbe fatto sempre qualunque cosa per Harry. Tant’è vero che il pensiero di lei non era stato sufficiente per indurlo a evadere, mentre la preoccupazione per Harry sì. E quando era uscito di prigione non era andato a cercare Sara, ma Harry.
 
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La convocazione straordinaria della riunione dell’Ordine della Fenice colse tutti di sorpresa. Era passata da un pezzo l’ora di cena a Grimmauld Place e i più mattinieri stavano quasi per prepararsi ad andare a dormire, quando il Patronus di Silente apparve nella cucina annunciando l’imminente arrivo del Preside.
Oltre agli abituali occupanti del Quartier Generale, ben presto si materializzarono Tonks, Kingsley, Mundugus e tutti gli altri. Minerva McGrannitt e Severus Piton mancavano all’appello, probabilmente non avevano potuto lasciare il castello. Quando Silente arrivò, l’assemblea era riunita, pronta a ricevere le notizie, buone o cattive che fossero.
Sirius, seduto al solito posto, con James di fronte a sé e Remus accanto, si domandava cos’altro potesse essere successo quel giorno da richiedere una riunione straordinaria a quell’ora. Qualcosa nel suo istinto gli diceva che si stava per arrivare a una soluzione, stavano accadendo troppe cose tutte insieme. Dentro di sé era dilaniato come sempre, l’incertezza era terribile, ma forse era preferibile non sapere piuttosto che sentirsi condannare una seconda volta. In parte il racconto di Arthur, che aveva detto che Sara era andata a chiedergli del topo Crosta, aveva fatto sperare Sirius, ma non osava più farsi illusioni.
L’impazienza lungo la tavola era palpabile, ma l’ingresso di Silente pose fine al chiacchiericcio generale. Il Professore entrò con tutta calma e si sistemò a capotavola prima di iniziare a parlare. La sua espressione era indecifrabile, Sirius non avrebbe saputo dire se fosse preoccupato, arrabbiato o divertito. Per trovare una delucidazione, alzò gli occhi verso James, che però gli restituì uno sguardo altrettanto interrogativo.
-          Signori – esordì Silente rivolgendosi al suo personalissimo pubblico – perdonatemi per avervi convocato a quest’ora tarda, ma la comunicazione che devo farvi è molto importante.
Nessuno fiatava, in attesa. Sirius quasi non osava respirare, perché Silente ci metteva tanto ad arrivare al sodo?
-          Oggi è stata da me la signorina White e, come credo sappiate già, è stata anche dal signor Weasley. Per quanto abbia assicurato alla signorina White che avrei mantenuto la massima riservatezza sulle confidenze che ho avuto l’onore di ascoltare, sono certo di non venir meno a questa promessa riferendovi la nostra conversazione.
A questo punto Silente riportò per filo e per segno quanto gli aveva detto l’Auror.
Mentre il Preside parlava, Sirius sentì un piccolo fuoco accendersi nel petto. Questo fuoco, man mano che il racconto proseguiva, diventava sempre più caldo e avvolgente e l’uomo non aveva il coraggio di muoversi, di parlare, di guardare un punto diverso dal volto di Silente. Temeva che un movimento anche impercettibile avrebbe fatto svanire quello che sembrava essere il più bello e incredibile dei sogni. Non poteva crederci! Sara aveva davvero capito che lui era innocente! Aveva risolto quel mistero senza altro aiuto che non quello del suo intuito e, forse, gli avrebbe regalato la libertà. Era una cosa troppo incredibile da credere.
Sirius riuscì a tornare parzialmente in sé quando si sentì rivolgere direttamente la parola da Silente, che disse:
-          E così Sirius, sembra che tu sarai presto un uomo libero.
Sirius non aveva parole per rispondere. Si limitò a sorridere, ma non era il solito sorriso amaro e sarcastico. Era un sorriso vero, il primo che riuscivano a strappargli da quando era arrivato a Grimmauld Place. Lui non poteva vederlo, ma la trasfigurazione che quel sorriso portò sul suo volto lo fece ringiovanire di dieci anni.
A questo punto, nella cucina di Grimmauld Place, si scatenò una festa improvvisata. Mundugus estrasse dalle pieghe del suo mantello alcune bottiglie di whiskey, il signor Weasley andò in dispensa e tornò con le braccia cariche di burrobirre e Molly si mise immediatamente ai fornelli per un banchetto improvvisato.
Sirius percepì solo parzialmente le parole di congratulazioni, gli abbracci e le pacche sulle spalle che arrivavano da ogni parte. Si riscosse soltanto quando James lo afferrò per le spalle e gli disse, prima di abbracciarlo:
-          Amico mio! Non sai quanto sono felice!
Anche Sirius era felice, come non lo era da un sacco di tempo, forse come non lo era mai stato. Non soltanto sorrideva, ma gli veniva da ridere. Doveva ridere, era in arretrato di tredici anni. Ancora non riusciva a crederci, non sapeva capacitarsi di quello che stava succedendo, ma all’improvviso decise che si sarebbe goduto quel momento fino in fondo.
-          Anch’io sono felice! – disse infine.
 
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Sara rientrò al Ministero che la mezzanotte era passata da un pezzo. Percorse i corridoi e le scale fino al suo ufficio saltellando come una ragazzina in un prato di margherite, ignorando gli sguardi sconcertati dei pochi che incontrò sul suo cammino.
Giunta al Dipartimento degli Auror trovò Frank Parker barricato nel suo ufficio, ancora intento a trascrivere rapporti e relazioni ufficiali. Il ragazzo la accolse con un sorriso ampio quasi quanto il suo e, senza perdersi in troppi convenevoli, si misero entrambi al lavoro.
Passarono la notte a riordinare il materiale e a preparare una relazione dell’indagine da presentare l’indomani prima al Capo e poi al Ministro. Sara era felice, per la prima volta da mesi era davvero felice, soddisfatta del suo lavoro e delle sue capacità. Il lavoro notturno non le era mai pesato,  ma quella notte fu ancora meno difficile del solito e al mattino non si sentiva affatto stanca. Anzi, era piena di energie e non vedeva l’ora di portare a compimento la sua opera.
Più ci pensava più era convinta che nessuno, neppure la persona a lei più avversa, avrebbe potuto dubitare delle conclusioni che aveva tratto. Nessuno avrebbe più potuto dubitare dell’innocenza di Sirius Black.
-          Bene Frank – disse abbandonandosi contro lo schienale della sedia su cui era seduta ormai da ore – Direi che siamo pronti per andare dal Capo.
-          Andiamo allora.
Il Dipartimento ormai era popolato dal turno di giorno e Sara si stupì di come tutto fosse estremamente normale. Come poteva essere tutto come prima dopo quello che lei aveva scoperto? Mentre si dirigeva con il collega verso l’ufficio del Capo avvertì alla bocca dello stomaco quel misto di ansia e eccitazione che la prendeva sempre quando arrivava alla conclusione di un’indagine e quindi al processo. La calma però era fondamentale.
-          Buon giorno Capo! – salutò allegramente la donna entrando nell’ufficio – Veniamo a comunicarle importanti novità.
-          Buon giorno signorina White, signor Parker. Prego accomodatevi – li invitò il Capo.
L’uomo conosceva a sufficienza Sara per sapere quando si preparava a sferrare il colpo finale e lei sapeva che l’avrebbe lasciata esporre senza interruzione. Questa era la prova generale per il discorso che avrebbe fatto al Ministro.
Una volta sistemati davanti a sé i plichi contenenti la documentazione, Sara cominciò la sua relazione. Parlò per una mezz’ora abbondante senza interruzioni né esitazioni, aveva ripetuto quel discorso nella sua mente decine di volte per tutta la notte. L’espressione del Capo era spesso imperscrutabile, ma in quel caso Sara lo vide chiaramente passare dalla curiosità allo stupore fino allo sconcerto. E ne aveva ogni ragione.
Sara aveva un unico dubbio. Tutte le informazioni che aveva raccolto inducevano a credere che Peter Minus non fosse stato ucciso, ma che avesse simulato la sua morte. Queste congetture però perdevano valore senza un movente. Doveva rivelare al Capo quello che le aveva detto Silente? Che Sirius Black avrebbe dovuto essere il Custode Segreto dei Potter?
-          Signorina White, questo è il caso più grosso in cui mi sia imbattuto da quando occupo questa poltrona e sono contento di averlo affidato a lei. Si è dimostrata all’altezza delle aspettative – disse il Capo mentre Sara ancora rifletteva.
L’Auror Capo non poté fare a meno di sorridere, mentre il suo orgoglio guadagnava un migliaio di punti in pochi secondi, però doveva parlare. In tribunale quelle ipotesi non avrebbero retto senza il movente. Si voltò verso Frank, che la guardò con le sopraciglia sollevate; anche lui probabilmente stava pensando alla stessa cosa.
-          La ringrazio Signore, ma non è tutto – si risolse a dire Sara.
-          No?
-          C’è un particolare, di cui sono venuta a conoscenza solo di recente…
Raccontare quella storia senza nominare Silente e glissando tutte le domande su come avesse fatto a saperlo fu piuttosto complesso, ma Sara riuscì a completare il discorso senza tradirsi. Alla fine il Capo rimase in silenzio con un’espressione indecifrabile sul volto.
Sara temette di aver travalicato i limiti e sentì lo stomaco sprofondare a livello del pavimento. Aveva rovinato tutto? Ora come avrebbe fatto a spiegare che sapeva certe cose? Oddio, perché non ci aveva pensato prima?
-          Si, lo sapevo – disse infine il Capo.
-          Come?! – esclamò Parker, mentre Sara, paralizzata dall’orrore, era incapace di fare altro che sbattere le palpebre ripetutamente.
-          Il Ministro Caramell, dopo l’omicidio di tutte quelle persone, ricevette da Silente in persona l’assicurazione che Sirius Black era il Custode Segreto dei Potter. Tuttavia può essere che abbiano cambiato piano senza informare nemmeno Silente.
Sara avvertì il click che faceva scattare l’interruttore della rabbia. Caramell, persino Caramell, lo aveva saputo prima di lei. E il Capo, che sapeva a sua volta, non le aveva detto niente!
Ritrovando la parola Sara disse:
-          Hem… vediamo se ho capito. Caramell lo sapeva, Lei lo sapeva e non avete pensato di dirmelo quando mi avete affidato le indagini?
-          Era una informazione riservata.
-          Riservata? Così riservata da non poterla comunicare ad un Auror Capo? Non è poi così riservata se sono riuscita a saperlo comunque! Quante altre cose non so? – domandò Sara con il tono di voce che saliva pericolosamente. Possibile che non ci fosse fine alle sorprese in questa storia?
-          Nient’altro... – rispose titubante il Capo – Non che io sappia.
-          Come faccio a crederle adesso? – chiese Sara abbandonandosi su una sedia, non più così furiosa ma quasi rassegnata.
Cominciava a domandarsi se qualcuno, in tutta quella vicenda, fosse stato completamente sincero con lei e se ci fosse almeno una persona a conoscenza di tutti i dettagli. Sembrava un puzzle senza fine e lei si stava stancando di fare l’indovina.
Parker notò lo stallo tra Sara, al colmo della frustrazione, e il Capo, che sembrava non avere intenzione di dire altro, e decise di prendere in mano la situazione. Iniziando a raccogliere il materiale, disse:
-          Immagino che adesso la cosa migliore da fare sia presentare il caso al Ministro Caramell. Capo, lei viene con noi?
Sara spostò lo sguardo dal volto del Capo a Frank e senza dire altro lo aiutò a raccogliere fogli e fotografie. Era arrabbiata, era frustrata, era stanca, sfiduciata, esasperata. Aveva una gran voglia di mandare tutti al diavolo e ritirarsi in un eremo su una montagna.
-          Probabilmente ha ragione – disse il Capo – avremmo dovuto dirglielo.
Sara non aveva più voglia di discutere. Si limitò ad annuire e ribadì la richiesta di Frank, di presentare il caso al Ministro. Bisognava mettere da parte le divergenze e fare fronte comune per convincere Caramell.
I tre Auror uscirono insieme dall’ufficio e si diressero verso “gli appartamenti” di Caramell spostandosi con passo quasi marziale. Vedendo quell’insolita processione, nel Dipartimento cominciò a diffondersi il sentore che stesse per accadere qualcosa di grosso, anche se nessuno poteva immaginare quanto grosso.
Incontrare il Ministro fu più complicato del previsto. Dovettero superare l’ostinato ostruzionismo di Percy Weasley che si rifiutava di lasciarli passare asserendo che il Ministro non voleva essere disturbato per nessuna ragione. Era probabile che Caramell si aspettasse quella visita ed era altrettanto probabile che stesse cercando di ritardarla il più possibile. Alla fine il Capo fece valere la sua autorità sul segretario personale del Ministro e i tre furono ammessi al cospetto della massima carica nel mondo della magia.
-          Buon giorno signor Ministro – salutarono gli Auror quasi all’unisono.
-          A cosa devo questo onore? – domandò Caramell con un tono che faceva intuire che non lo considerava affatto un onore ma una seccatura inevitabile.
-          Abbiamo importanti notizie da comunicarle – annunciò il Capo, che aveva tutta l’aria di spassarsela un mondo – Signorina White, lascio a lei l’ingrato compito.
-          Grazie Capo. Dunque Ministro – esordì la donna facendo mostra di una calma che non aveva.
Era ancora arrabbiata col Capo, ma almeno sapeva di poter sfruttare tutte le possibili argomentazioni per convincere il Ministro. Decise di giocare subito pesante e calò un poker d’assi.
-          Abbiamo portato a termine le indagini sul caso Black e la conclusione è che Sirius Black è innocente.
Fu come se Sara avesse sganciato una bomba in faccia al Ministro. Caramell passò dal suo colorito naturale al rosso, quindi al violaceo poi impallidì fino ad assumere un colorito terreo. Sul suo volto non si vedeva solo stupore, ma vero e proprio orrore.
-          Ma… ma… non è possibile! Come può essere innocente! Siete usciti tutti di senno! – strillò Caramell.
-          Ministro, se vuole concedermi la possibilità di spiegare posso dimostrarle come questo possa non essere così impossibile – disse Sara cercando di ricondurlo alla ragione.
Caramell parve comprendere che non aveva alternativa e cercò di ricomporsi. Sara approfittò del momento per cominciare a raccontare, per la seconda volta nell’arco di un’ora, lo svolgimento delle indagini. Mentre la donna parlava, Frank gli mostrò i documenti, le prove, le fotografie che avvaloravano la loro tesi, ma il Ministro era congelato in una maschera di indignazione.    
Quando Sara arrivò al termine del discorso non era certa che Caramell avesse capito il senso di quanto era stato detto. Il Ministro sembrava del tutto incapace di proferire parola, così toccò al Capo rompere il silenzio.
-          Ministro, converrà con noi che, alla luce di quanto detto, Sirius Black non può essere colpevole.
-          Inaudito – bisbigliò Caramell nuovamente rosso in viso – Inaudito! – strillò poi più forte – E voi queste le chiamate prove? Vi sembra il modo di condurre un’indagine?
-          Signore – intervenne Sara prima che l’uomo continuasse – Non vedo in quale altro modo avremmo potuto agire a quindici anni di distanza e mi sembra che abbiamo raccolto prove a sufficienza.
-          A sufficienza? – ripete il Ministro – Sono supposizioni! Come potete dire che Peter Minus era il Custode Segreto dei Potter, non avete alcuna prova. Non c’è modo di dimostrarlo. Io stesso ho avuto precise assicurazioni da Albus Silente che Sirius Black era il Custode Segreto!
-          Su questo punto devo essere d’accordo – ammise Sara cercando di non perdere il sangue freddo – Ma se in questo caso non possiamo avere la certezza, possiamo essere certi oltre ogni ragionevole dubbio che Sirius Black non ha fatto saltare in aria Minus. La mancanza di sangue, il taglio del dito così netto, la fotografia sul giornale non sono supposizioni, sono fatti. Se non possiamo essere certi della colpevolezza di Peter Minus abbiamo motivi sufficienti per dubitare seriamente della colpevolezza di Sirius Black.
Terminato questo discorso Sara si lasciò sfuggire un’occhiata verso il suo Capo che, con uno sguardo, la incoraggiò a continuare.
-          Ministro quello che le chiedo è di sottoporre questo caso al giudizio di una giuria.
-          Non riunirò il Winzengamot per questa pagliacciata! Diventerei lo zimbello dello stato – urlò Caramell alzandosi dalla sedia.
-          Signor Ministro – continuò Sara impegnandosi per non urlare a sua volta – non credo che si tratti di una pagliacciata. E poi se non ricordo male non è mai stato concesso un regolare processo a Sirius Black. Lo avete sbattuto dietro le sbarre senza dargli la possibilità di difendersi. Che cosa penserebbe la gente di questo?
Dall’espressione di Caramell, Sara comprese di aver toccato un nervo scoperto. La mancanza di un processo era un’irregolarità cruciale nell’arresto di Sirius Black.
-          E sia allora! – sentenziò infine Caramell – Avrà il suo processo signorina White, ma non si aspetti di vincerlo.
Senza indugiare oltre Sara e Frank raccolsero i documenti e con il Capo si avviarono verso la porta. Mentre stavano per uscire, Caramell li fermò:
-          Farò riunire il Winzengamot domani mattina alle nove – comunicò con tono di sfida.
Mezza giornata era un tempo quanto mai ristretto per preparare un’udienza come quella, ma Sara non osò protestare, avrebbe dovuto accontentarsi.
-          Maledizione! – esclamò Parker una volta tornati nell’ufficio di Sara – Il processo domani! E’ una follia come possiamo preparare le deposizioni entro domani.
-          Ce la faremo Frank, tranquillo.
Nemmeno Sara era convinta di quello che stava dicendo. Aveva un mare di cose da fare e troppo poco tempo per farle accuratamente come avrebbe desiderato, ma occorreva adattarsi.
Poche ore, poche ore soltanto e avrebbe conosciuto il verdetto della giuria. Su quel caso e sul suo futuro.
 

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Capitolo 13
*** XIII ***


Al Quartier Generale dell’Ordine della Fenice avevano festeggiato per tutta la notte e solo al mattino Sirius aveva potuto restare da solo per pensare. I suoi amici erano stati fantastici, lo avevano festeggiato e lo avevano fatto divertire per tutta la serata, senza accennare al fatto che la sua assoluzione era ancora in discussione. Ad un certo punto però la confusione aveva iniziato a dargli fastidio così, scusandosi con tutti, si era rifugiato nella sua stanza.
Grimmauld Place si trovava su un’altura e la casa dei Black era la casa più alta e imponente dell’isolato, per questo dalla sua finestra Sirius vedeva tutta Londra. Anche da ragazzo aveva passato lunghe ore appollaiato sul davanzale a immaginare di fuggire da quel posto tanto odiato. Ora però guardava la città con un sentimento diverso. Non aveva più bisogno di fuggire. Poteva andare e venire a suo piacimento. Era innocente e presto tutti lo avrebbero saputo. E tutto questo lo doveva a Sara.
Sara.
Strano a dirsi, non aveva pensato a lei per tutta la notte, la sua mente era stata troppo occupata a elaborare la notizia. Ma ora che era solo, nel silenzio, con il sole che cominciava a imporporare il cielo di Londra, i suoi pensieri erano tutti per Sara.
Chissà dov’era in quel momento. Cosa stava facendo? E soprattutto, a cosa stava pensando?
Una piccola parte del cuore di Sirius si cullava nella speranza che Sara stesse pensando a lui nello stesso modo in cui lui pensava a lei. Ma forse questo era chiedere troppo alla sorte. Più ci rifletteva, più capiva di essersi comportato male nei confronti di Sara. Non si era fidato abbastanza da dirle la verità e non osava immaginare quanto dolore dovesse averle causato con il suo comportamento. Ora che avrebbe riavuto la sua libertà, la cosa che desiderava di più al mondo era rivedere Sara.
Il ricordo del loro ultimo incontro però bastava a smorzare gli entusiasmi. Sicuramente Sara non avrebbe più voluto avere a che fare con lui.
Il giorno in cui Silente comunicò a Lily e James il contenuto della profezia di Sibilla Cooman, Sirius e Sara stavano insieme da più di due anni. Era la storia più lunga che Sirius avesse mai avuto ed era anche la più bella. Era stupito di se stesso, non credeva che sarebbe diventata una cosa così importante e profonda, né credeva di poter stare per così tanto tempo con la stessa ragazza senza sentire il bisogno di cambiare.
Con Sara era esattamente l’opposto di quello che era sempre stato. Per lui le ragazze erano un diversivo, piacevole, ma soltanto un diversivo. Lui aveva la sua vita e le ragazze erano un accessorio, qualcosa di secondario per cui lo spazio poteva esserci come non esserci. E quando lo spazio non c’era non si era mai fatto remore a troncare.
Sara non era un diversivo, Sara era diventata una delle componenti fondamentali della sua vita e ora erano altre cose a cedere il passo di fronte a lei. Le uniche persone che per Sirius erano altrettanto importanti erano i suoi amici, ma Sirius mai avrebbe immaginato che si sarebbe trovato a dover scegliere.
Dopo che Silente aveva dato loro la notizia, Lily e James si erano subito rivolti a Sirius per aver un consiglio.
-          Secondo te cosa dobbiamo fare? – domandò James seduto sul divano del salotto, con le mani affondate nei folti capelli corvini.
-          Dovete accettare il consiglio di Silente. Dovete mettervi sotto la protezione dell’Incanto Fidelius – rispose prontamente Sirius – Se me lo permetterete sarò io il vostro Custode Segreto – aggiunse poi.
Quasi non aveva dovuto pensarci. Era assolutamente naturale che fosse così. Lui era il migliore amico di James ed era il Padrino di Harry. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto proteggerli, era suo preciso dovere farlo, anche se questo avesse comportato il sacrificio della sua vita.
-          Sirius, non posso chiederti tanto! – protestò James – Non posso permettere che tu rischi la vita per proteggere noi.
-          E se non lo faccio io chi dovrebbe farlo? – chiese Sirius gravemente – Sono il Padrino di Harry, ho giurato di proteggerlo a qualunque costo. Io non ho famiglia, non ho niente da perdere.
-          E Sara? – domandò James ancora più gravemente – Cosa pensi di fare con lei?
Sirius aveva pensato subito a Sara, ma la sua decisione era stata immediata. Per quanto tenesse a Sara, non poteva tirarsi indietro. Non sarebbe più riuscito a guardarsi allo specchio se, nel momento di massimo bisogno, avesse voltato le spalle a James. Avrebbe trovato qualcosa da dire a Sara… anche se ancora non sapeva cosa.
James non aveva resistito molto alle insistenze e ben presto sia lui che Lily si erano convinti ad accettare che Sirius fosse il loro Custode Segreto.
Sara era a Hogwarts per l’anno scolastico e Sirius non l’avrebbe vista fino alla settimana successiva, quando era in programma la prima visita a Hogsmeade, per questa ragione ebbe diversi giorni per pensare a cosa raccontarle.
All’inizio aveva pensato di dirle la verità, ma in un secondo momento si era convinto che sapere che lui era il Custode Segreto dei Potter l’avrebbe messa in pericolo. Voldemort non si sarebbe fatto scrupolo di torturarla per avere informazioni o peggio avrebbe potuto rapirla per ricattarlo. A quel punto come avrebbe potuto scegliere?
Semplicemente non avrebbe potuto.
No, era meglio che lei non sapesse nulla. Qualcosa le avrebbe detto e, anche se sulle prime si sarebbe arrabbiata, una volta conclusa la faccenda avrebbe capito che lo aveva fatto per il suo bene.
Il giorno della gita a Hogsmeade, Sirius partì da Londra con un peso legato attorno al cuore. Era la prima volta in due anni in cui non era ansioso di arrivare da Sara. Ci aveva pensato migliaia di volte, ma non era ancora riuscito a trovare un modo per affrontare l’argomento.
Arrivato al villaggio parcheggiò la moto al solito posto e attese, appoggiato alla staccionata, in fondo al paese. Per un attimo sperò che Sara non arrivasse, poi si dette dello stupido. Non poteva fare il vigliacco, doveva avere il coraggio delle sue azioni… almeno con Sara.
Sara apparve dal fondo della via, raggiante come sempre. Quel giorno indossava un paio di pantaloni di velluto nero e una giacca di panno verde smeraldo. La ragazza andò verso di lui quasi correndo e, arrivata alla staccionata, gli buttò le braccia al collo.
-          Ciao! – salutò allegramente prima di dargli un caldo bacio sulle labbra.
-          Ciao – rispose Sirius cercando di avere il tono di sempre ma fallendo miseramente.
-          Sono contenta di vederti, non vedevo l’ora di andarmene da quella scuola. Allora, dove andiamo oggi?
Sirius non riusciva a sopportarlo, non poteva lasciare che lei si comportasse come sempre mentre lui doveva porre fine alla loro storia. Non era giusto, eppure non riusciva a costringersi a dire quello che doveva. Lui non voleva lasciarla.
-          Sirius ti senti bene? – chiese Sara accarezzandogli dolcemente un braccio – Sei pallido…
-          Sto bene – rispose Sirius – Andiamo.
E senza aggiungere altro la condusse fino alla moto. Nel giro di pochi attimi erano partiti. L’unico posto che a Sirius veniva in mente era il suo appartamento a Londra. Forse era crudele da parte sua portarla lì per dirle che non potevano più vedersi, la stava portando in un posto in cui lei sarebbe stata costretta a rimanere, senza avere la possibilità di dargli un ceffone e andarsene, perché comunque avrebbe dovuto farsi riaccompagnare a Hogwarts.
Mentre la moto sfrecciava verso Londra, Sirius avvertiva più che mai Sara che si stringeva a lui e la sua decisione vacillò. Forse poteva continuare a stare con lei, forse non era necessario lasciarla. Atterrando a Londra però Sirius capì che si stava illudendo. Non poteva avere tutto e aveva già scelto. La cosa fondamentale era proteggere James e la sua famiglia e avrebbe pagato fino in fondo il prezzo della sua scelta.   
Quando smontarono dalla moto, davanti al palazzo dove abitava Sirius, Sara domandò:
-          Vuoi restare a casa oggi? Per me va bene qualunque cosa, lo sai – aggiunse poi.
Sirius si sentiva come se lo avessero completamente svuotato, aveva la bocca asciutta e non sarebbe riuscito a parlare neppure se avesse avuto qualcosa di sensato da dire, così si limitò ad annuire.
Dio quant’era difficile.
Non aveva previsto che sarebbe stato così complicato, ma ora che aveva Sara davanti a sé gli mancava il coraggio per distruggere tutti i suoi sogni. I loro sogni.
Quando entrarono in casa, la ragazza andò a sistemarsi sul grande divano al centro del salotto. Sirius temporeggiò per un attimo nell’ingresso poi, prima che la risolutezza lo abbandonasse del tutto, andò a sedersi accanto a lei.
-          Sara… ti devo parlare – esordì con un tono che non avrebbe voluto che fosse così funereo.
-          Dimmi – lo incoraggiò lei aggrottando le sopraciglia. Cominciava anche lei ad apparire preoccupata.
-          E’ la cosa più difficile che io abbia mai dovuto fare…
-          Anche più difficile dell’esame della McGrannitt? – chiese Sara cercando di sdrammatizzare.
-          Sara ti prego – la interruppe Sirius – E’ una cosa seria.
-          Ok… mi devo spaventare? Stai male? E’ successo qualcosa a Lily, a Harry? – domandò la ragazza ora seria quanto lui.
-          No, no. Stanno tutti bene.
Sirius prese un respiro profondo, poi riprese a parlare.
-          Non esiste un modo facile per dirtelo. C’è una cosa che devo fare. E’ una cosa molto importante, ne va della vita di alcune persone però non posso dirti di più. E’ una cosa pericolosa e io non voglio che tu sia in coinvolta…
-          Aspetta, aspetta un momento! – lo interruppe Sara – Di cosa stai parlando? Non riesco a capire.
-          Sara ascoltami, io non ti posso dire cosa devo fare. Non posso perché metterei a rischio la missione e, cosa più importante, metterei a rischio te. Non voglio che tu sia in pericolo e meno cose sai meno rischi corri.
Sirius vide gli occhi di Sara indurirsi improvvisamente, non lo guardava a quel modo da quando la prendeva in giro a scuola, e questo fece sprofondare il suo morale ancora di più.
-          Sirius – iniziò lei alzandosi di scatto – mi hai sempre raccontato delle missioni che ti affidava Silente. Perché immagino che si tratti di una missione di Silente. E ora non puoi dirmi assolutamente nulla. Perché? Cosa mi stai nascondendo?
-          Non ti sto nascondendo niente – replicò Sirius stremato – Io non ti voglio mentire, potrei raccontarti una bugia e farti stare tranquilla per un po’, ma non ti voglio mentire. Allo stesso tempo non ti posso dire la verità, quindi preferisco non dirti niente. Ti chiedo solo di fidarti di me. E’ meglio che tu non sappia – concluse alzandosi a sua volta.
-          Come posso fidarmi di te se sei tu il primo a non fidarti di me! Hai paura che ti tradisca? Che mi faccia sfuggire qualcosa con qualcuno?
-          No, no! Non è così. Io so che tu manterresti il segreto ma non voglio che vengano a cercare te per arrivare a me! – rispose Sirius alzando la voce più di quanto non avesse voluto.
Sara si mise una mano sulla bocca e si voltò dando le spalle a Sirius. Lui si abbandonò nuovamente sul divano, si sentiva come se avesse corso una maratona, completamente privo di forze. Non avrebbe voluto che le cose prendessero quella piega, ma non esisteva un altro modo.
Sempre dando le spalle a Sirius, Sara si allontanò dal divano e raggiunse la finestra, appoggiò la fronte al vetro e rimase ferma immobile. Dopo qualche minuto o forse dopo ore si voltò. Sembrò soppesare le parole per un attimo, poi disse:
-          Stiamo insieme da più di due anni e in tutto questo tempo non mi hai mai dato motivo di dubitare di te. Spero, altrettanto, di non averti dato motivi per dubitare di me. Detto questo, mi pare di capire che non ho alternative. O accetto questa sottospecie di spiegazione oppure mi becco una simpatica bugia. Preferisco la sottospecie di spiegazione, anche se non mi soddisfa.
Sara aveva pronunciato l’intero discorso fissandosi le mani che teneva intrecciate. Sirius aveva l’impressione che se lo fosse studiato mentre guardava dalla finestra. Alzando lo sguardo verso di lei, Sirius non poté trattenere un mezzo sorriso. Era davvero una ragazza fantastica.
-          Ora – proseguì Sara, questa volta guardandolo negli occhi e andando a sedersi sul divano accanto a lui – vorrei sapere tutto questo che conseguenze avrà.
Questo era il momento che Sirius aveva temuto di più.
-          Non… non potremo vederci, per un po’. Almeno fino alla fine della missione – disse cercando di non avere un tono troppo triste.
Sara deglutì prima di rispondere.
-          E quanto pensi che durerà questa missione?
-          Questo non lo so, potrebbe durare a lungo… molto a lungo.
Quando Sirius vide Sara voltarsi nuovamente dall’altra parte fu preso da un panico inspiegabile. Scivolò sul divano avvicinandosi a lei e la cinse con le braccia. Quando lei si decise a voltarsi e nascose il viso nella sua spalla, Sirius vide che stava piangendo. Era la prima volta in più di due anni che vedeva Sara piangere.
-          Mi stai lasciando? – domandò Sara scostandosi leggermente.
-          Sara io non vorrei, ma lo faccio per il tuo bene…
-          Non raccontarmi idiozie! – strillò la ragazza alzandosi nuovamente – Non lo fai per il mio bene! Lo fai per non sentirti in colpa! Se non mi fidassi di te potrei anche pensare che stai solo cercando un modo per liberarti di me.
Sirius si alzò a sua volta, andò verso di lei e la prese per le spalle.
-          Io non sto cercando di liberarmi di te! Credi che non lo eviterei se potessi farlo? Non ho scelta! Devo fare questa cosa per potermi guardare ancora allo specchio senza farmi schifo!
Sara lo guardò con aria terrorizzata, mentre grosse lacrime calde le rotolavano sulle guance e Sirius si pentì di aver urlato. La strinse a sé con forza e lasciò che singhiozzasse con il volto affondato nel suo maglione. Mentre stavano lì, abbracciati, al centro della stanza, Sirius rifletté che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta che la stringeva così e questo pensiero gli fece salire le lacrime agli occhi. Anche scavando a fondo nella memoria, Sirius non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva pianto.
-          D’accordo allora – disse lei infine – Se è così importante, fallo. Io ti aspetterò.
Cercarono di trascorrere il resto della giornata normalmente, come se non fosse cambiato nulla tra loro, ma per tutto il giorno non fecero altro che parlare della “missione” di Sirius e, considerando che lui non aveva intenzione di raccontare granché, finivano per ripetere sempre le stesse considerazioni. Alla fine arrivò il momento di separarsi.
Davanti ai cancelli di Hogwarts Sirius spense il motore della moto e aiutò Sara a scendere.
-          Bè – disse Sara con un sospiro – è ora che vada. Dammi tue notizie, se puoi.
-          Non so se ci riuscirò – rispose Sirius con una voce che non sembrava la sua.
Sara lo guardò esasperata, poi il suo sguardo si addolcì e disse:
-          Mi raccomando, fai attenzione.
-          Stai tranquilla.
-          Mi mancherai.
-          Anche tu.
Il loro ultimo bacio fu lunghissimo, interminabile e bagnato delle lacrime di entrambi. Nessuno dei due sembrava volersi staccare per primo. Sirius avrebbe voluto che quel momento si dilatasse all’infinito, ad un certo punto però si separarono.
Sirius fissò lo sguardo in quei profondi occhi castani, senza sapere che sarebbe stata l’ultima volta per molto, molto tempo. La ragazza si sforzò di sorridere poi, senza una parola, si voltò e corse verso il castello. Sirius rimase a guardarla, quando raggiunse il portone Sara si voltò un’ultima volta e gli mandò un bacio, soffiandolo dal palmo della mano.
Quando Sirius inforcò la moto e decollò, gli parve di lasciare un pezzo di anima davanti al cancello di Hogwarts.   
 
*^*^*^*^*
 
Era stata una delle nottate più lunghe della vita di Sara. Ormai erano oltre quarantotto ore che non dormiva, ma non le importava. Questo era più importante di ogni altra cosa al mondo e aveva perso talmente tante ore di sonno negli ultimi dieci anni che qualche ora in più non avrebbe fatto alcuna differenza.
Il momento che odiava di più delle udienze processuali era l’attesa, rimanere a fare anticamera la snervava incredibilmente e per scaricare la tensione passeggiava avanti e indietro davanti alla porta dell’aula, mordicchiandosi nervosamente le unghie. Mentre camminava i tacchi facevano risuonare il pavimento e le pareti di pietra del corridoio. Frank invece sembrava non essere in grado di reggersi in piedi; era seduto su una scomoda panca di legno allineata accanto alla parete, era pallido e visibilmente nervoso, quasi che fosse il suo primo processo, ma come biasimarlo? Questa era una cosa grossa. Se fossero riusciti a convincere il Winzengamot dell’innocenza di Sirius Black sarebbe stato un enorme successo, ma se avessero fallito probabilmente avrebbero perso il posto entrambi. Era quel genere di errori che al Ministero della Magia si pagavano molto cari.
A Sara pareva di aver vissuto gli ultimi quindici anni solo per arrivare a quel momento, a quell’attesa: dietro quella porta si sarebbe deciso tutto.
Lei e Frank avevano passato tutto il giorno precedente e tutta la notte barricati nell’ufficio di Sara a provare e riprovare i discorsi che avrebbero tenuto davanti all’assemblea. Si erano spremuti le meningi per trovare tutte le domande e le obbiezioni che avrebbero potuto fare loro e avevano dato una risposta ad ognuna. Non potevano essere più preparati di così, ma Sara ancora non credeva che fosse sufficiente. Tutto si riduceva alla fiducia che i membri del Winzengamot avrebbero avuto o meno nelle sue capacità e nel Winzengamot c’era anche Caramell.
Fu Percy Weasley a strappare Sara dalle sue riflessioni. Uscì con la sua aria pomposa ed arrogante ad annunciare che l’assemblea era pronta per l’udienza. Avrebbero ascoltato prima Sara e poi Frank, quindi il ragazzo doveva attendere all’esterno. Parker sembrò accogliere la notizia come un condannato a morte che vede prorogato il giorno dell’esecuzione.
Sara invece avvertì improvvisamente l’enormità di quello che avrebbe dovuto fare di lì a poco e fu convinta più che mai che non avrebbe dovuto accettare quel caso. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata, avvertì un lancinante vuoto allo stomaco e le mani presero a tremarle. Fissando le dita delle sue mani, tese di fronte a lei, Sara cercò di calmarsi e di non pensare a tutte le conseguenze che quell’udienza poteva avere.
Quando fu pronta le sue dita si strinsero in due pugni di ferro e Sara si voltò a guardare Percy Weasley con occhi di ghiaccio. Il ragazzo, messo a disagio da quell’occhiata, si voltò per rientrare nella stanza e Sara lo seguì.
L’aula era enorme e illuminata da un così grande numero di candele e fiaccole da sembrare quasi completamente bianca. Le pareti, con i mattoni a vista, erano spoglie ma gli scranni su cui sedevano i membri del Winzengamot erano eleganti e riccamente intagliati, ogni postazione era personalizzata in base al gusto e alle caratteristiche del suo occupante. Solamente una era vuota: quella che era appartenuta a Silente, sul cui schienale era scolpita una fenice nell’atto di risorgere dalle ceneri. Al centro, sullo scranno più ridondante e pacchiano, sedeva Cornelius Caramell, Ministro della Magia.
A Sara non sfuggì lo sguardo di disprezzo misto a compatimento che il Ministro le lanciò quando fece il suo ingresso, ma era troppo nervosa per arrabbiarsi. Cercando di apparire sicura, ma non presuntuosa, si fermò davanti all’assemblea e fece un piccolo inchino, come richiedeva il protocollo.
-          Buon giorno signorina White – esordì Caramell con tono mellifluo – Prego si accomodi – aggiunse indicandole una sedia al centro della stanza.  
Sara si voltò e gettò un’occhiata alla sedia. No, decisamente non poteva sostenere l’udienza seduta al centro dell’aula come una scolaretta.
-          Se permettete Ministro, signori, preferirei stare in piedi – rispose.
Il fugace attimo di confusione che colse sul volto di Caramell bastò a darle un po’ di coraggio. Il Ministro stava per rispondere quando un signore anziano dal volto gentile intervenne:
-          Come preferisce! Purché cominciamo, sono davvero curioso di sentire quello che ha da dirci.
Un mormorio di assenso seguì questo intervento e Sara indirizzò all’uomo un sorriso di gratitudine, sistemò i polsini della giacca dell’alta uniforme e iniziò a parlare.
-          Innanzi tutto vorrei ringraziarvi per l’estrema disponibilità con un così breve preavviso. Suppongo che tutti siate a conoscenza della questione su cui sono chiamata a deporre: la strage di Godric’s Hollow. In realtà l’incarico che mi era stato affidato era differente, lo scopo della mia indagine doveva essere quello di stabilire se esistesse o meno una connessione tra l’evasione di Sirius Black e quella dei dieci Mangiamorte, inoltre avrei dovuto cercare di scoprire qualcosa che potesse aiutarci a catturare Black. Con questa precisa intenzione ho preso in mano tutto il materiale disponibile riguardo alla strage di Godric’s Hollow. Volevo trovare qualcosa, qualche dettaglio che potesse indirizzarci verso un luogo o una persona legata a Black che potesse condurci a lui. Quello che ho trovato però è stato molto differente.
Come era accaduto nell’ufficio di Silente, quasi senza rendersene conto, Sara aveva cominciato a passeggiare avanti e indietro davanti all’assemblea. Accompagnava le parole gesticolando e facendo pause di estremo effetto. Nonostante l’agitazione, sembrava che l’arte oratoria non l’avesse abbandonata. Sara faceva attenzione a  non abbassare lo sguardo, ma allo stesso tempo cercava di non fissare troppo a lungo nessuno dei suoi attenti ascoltatori.
-          Già ad una prima lettura, il fascicolo sulla strage di Godric’s Hollow si è rivelato pieno di informazioni interessanti e apparentemente inascoltate. Riaprire quel caso non sarebbe stato nei miei compiti, ma a quel punto la mia curiosità si era risvegliata ed evitare di approfondire sarebbe stato impossibile.
A quel punto Sara iniziò ad illustrare le sue scoperte. Facendo ticchettare i tacchi sul pavimento si avvicinò ad un tavolo, addossato ad una parete, su cui aveva sistemato personalmente tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno. Con un colpo di bacchetta sollevò il tavolo e lo depositò con un leggero tonfo davanti al Winzengamot.
-          Questi – proseguì sollevando alcuni fogli scritti fittamente – sono i rapporti degli Auror, dei Guaritori, dei Tiratori Scelti che la notte della strage ebbero modo di visionare la scena del delitto. Queste invece  - disse mostrando un plico di fotografie – sono le immagini scattate sulla scena dai fotografi ufficiali del Dipartimento. Da questi documenti emerge un quadro molto chiaro della scena e nessuna contraddizione. Proprio l’assenza di contraddizioni mi ha indotto a prendere in considerazione il primo indizio. Nel punto in cui fu rinvenuto il dito mozzato di Peter Minus nessuno, né i Tiratori, né gli Auror, né i Guaritori, hanno menzionato la presenza consistente di sangue. Certo potrebbe essere che i colleghi abbiano ritenuto superfluo parlarne, ma l’assenza di sangue è confermata senza ombra di dubbio dalle fotografie.
Per avvalorare le sue parole Sara si accostò al lungo tavolo che la separava dagli illustri maghi e streghe e vi depositò il plico di foto, invitando gli ascoltatori a passarsele per osservare con i loro occhi. Nel frattempo continuò a parlare.
Raccontò del suo stupore nel constatare che, nel punto in cui avrebbe dovuto essere saltata per aria una persona, non c’era più che qualche goccia di sangue. Descrisse le prove sperimentali che lei e Frank Parker avevano condotto in proposito, anche in questo caso mostrando le fotografie. Parlò dei suoi dubbi riguardo al taglio così netto del dito di Peter Minus. Raccontò ogni cosa, dando enfasi ad ogni dettaglio. Espose il profilo psicologico di Black, mostrò una copia del registro delle visite di Azkaban e presentò la copia del giornale che lo stesso Caramell non poteva negare di aver lasciato a Sirius Black.
Ormai Sara era entrata nel suo elemento e, ad ogni nuova informazione, Caramell diventava sempre più pallido. La maggior parte dei maghi e delle streghe invece seguiva il discorso con un rapimento tale che pareva che Sara stesse raccontando un romanzo. L’agitazione era scomparsa da un pezzo, Sara era quasi certa di avere in pugno la vittoria.
-          In base alle osservazioni effettuate da me e dal mio collega, Frank Parker – concluse dopo aver parlato per quasi un’ora – posso dunque affermare con un ragionevole grado di certezza che Sirius Black è innocente.
Il termine del discorso cadde nel silenzio più assoluto. Il Primo Ministro era pietrificato in una maschera di orrore, l’unica parte del suo corpo che pareva muoversi era una vena che gli pulsava visibilmente sulla tempia. I maghi e le streghe del Winzengamot erano altrettanto sconcertati, ma non tutti così evidentemente ostili.
Il primo a parlare fu il mago che aveva interrotto Caramell all’inizio.
-          Auror White! Ci ha dato veramente una bella gatta da pelare. Tutto quello che dice è molto interessante, ma se permette vorrei farle qualche domanda.
Ora cominciava la parte su cui Sara non aveva più il completo controllo: le domande. Cominciarono dalle domande di rito sulla sua professione: da quanto tempo lavora al Dipartimento degli Auror? Perché ha deciso di diventare Auror? Chi è il suo diretto superiore? Dove ha studiato? Perché ha scelto queste materie? Ha mai avuto problemi di salute, fisica o mentale? Ha mai sofferto di stress post traumatico in seguito a una missione affidatale dal Ministero?
Per queste domande Sara aveva risposte collaudate e precise, ma di lì a poco sarebbe venuto il difficile.
-          Credo che tutti i presenti siano d’accordo con me nell’affermare che la parte della sua spiegazione che ci convince meno sia quella a proposito dell’Incanto Fidelius – disse una donna seduta ad una estremità della fila – Come può affermare con certezza che i Potter avessero deciso all’ultimo momento di modificare i loro piani nominando Peter Minus loro Custode Segreto?
Sara si era aspettata questa domanda, ma non era certa di avere una risposta convincente. 
-          Questo non posso affermarlo con certezza, posso solo fare delle supposizioni. Sono però supposizioni fondate su dei fatti. Con certezza sappiamo che Sirius Black doveva essere il Custode Segreto dei Potter, lo sappiamo perché esiste una deposizione di Albus Silente a questo riguardo che risale a qualche giorno dalla scomparsa di Lily e James Potter. Ho ragione di credere che uno dei motivi per cui Sirius Black fu incarcerato senza processo e senza ulteriori indagini fu proprio questo. Si credeva che avesse tradito i Potter, che Minus l’avesse scoperto e che Black, in preda alla pazzia per la scomparsa di Voldemort, avesse ucciso Peter Minus e altri innocenti. Tutto questo non farebbe una piega se Peter Minus fosse morto davvero. Ma in base a quello che ho scoperto è chiaro che Minus non è morto, non in quel momento almeno. Dalle analisi effettuate sul dito sappiamo che aveva i mezzi per fuggire. Dalla fotografia sulla Gazzetta del Profeta possiamo supporre che all’epoca dell’evasione di Black fosse vivo.
Siamo certi che Peter Minus ha simulato la sua morte. Invece non possiamo dire con sicurezza se l’abbia fatto per paura di Black o per sfuggire alle sue colpe. Di sicuro però non avrebbe avuto bisogno di nascondersi così a lungo se fosse stata solo la paura a indurlo a fuggire. Una volta arrestato Sirius Black avrebbe potuto tornare allo scoperto, invece non l’ha fatto. Perché? Probabilmente perché non avrebbe potuto spiegare il suo ritorno agli amici di Lily e James Potter senza destare sospetti e non sarebbe potuto tornare dai Mangiamorte perché proprio per mano sua Colui che Non Deve Essere Nominato aveva trovato la sua fine.
-          Mi perdoni se mi permetto di smontare questo splendido castello di carte – intervenne il Ministro quando Sara ebbe risposto alla domanda – Ma come può essere sicura che il topo raffigurato nella fotografia della Gazzetta del Profeta sia Peter Minus? Potrebbe trattarsi di una coincidenza.
Sara lottò per mantenere l’autocontrollo e non schiaffeggiare il Primo Ministro. Per qualche istante l’immagine di lei che picchiava Caramell si impossessò della sua mente, ma riuscì a scacciare questo pensiero abbastanza rapidamente per rispondere:
-          Signor Ministro, personalmente credo poco nelle coincidenze e questa in particolare mi sembra una serie un po’ troppo estesa di coincidenze. E’ un caso che sul giornale che Black ha letto poco prima di evadere ci sia la foto di un topo a cui manca un dito? E’ un caso che quel topo sia scomparso dalla famiglia che lo aveva adottato pochi giorni dopo l’evasione di Black? E ancora è un caso che quel topo sia comparso in quella famiglia nello stesso periodo della strage di Godric’s Hollow? Inoltre mi permetta di osservare che non ho mai sentito di un topo tanto longevo.
Dopo questa risposta, la donna vide i membri del Winzengamot scambiarsi sguardi e frasi a mezza voce, alcuni addirittura annuivano con convinzione. Sara capì di aver colto nel segno quando Caramell la congedò, dicendole di fare entrare il suo collega. Evidentemente il Ministro si era accorto di non poterla mettere in difficoltà con le domande ed era ansioso di proseguire.
Sara si congedò un inchino, questa volta accompagnato da un sorriso, e si diresse con passo sicuro verso la porta dell’aula. Non appena uscì, Frank balzò in piedi come se la panca su cui era seduto l’avesse morso.
-          Com’è andata? – chiese in un sussurrò concitato.
-          Credo bene – rispose Sara con un sorrisetto di trionfo – Vai e colpisci! Non farti intimorire da Caramell, ho l’impressione che pochi siano dalla sua parte.
Sara si avvicinò a Frank, gli sistemò il colletto della giacca dell’uniforme e, con una pacca sulla schiena, lo spinse dentro l’aula. Ora non le restava che pregare che tutto filasse liscio e aspettare. Preparandosi all’attesa si abbandonò sulla panca; era un sollievo potersi sedere dopo così tanto tempo in piedi, inoltre i tacchi cominciavano a farle male.
In quel lugubre corridoio deserto il tempo scorreva con una lentezza esasperante. Sara pregò, rivisse mentalmente la sua deposizione, cercò di immaginare a che punto potesse essere quella di Frank, contò i mattoni del muro di fronte a lei, poi contò le piastrelle del pavimento. Quando stava per ricominciare da capo, la porta si aprì, lasciando uscire un Frank Parker esausto.
-          Racconta – lo invitò lei, facendogli segno di sedersi.
E il ragazzo raccontò, per filo e per segno, domande e risposte. Sara era ammirata per come Frank aveva sostenuto l’udienza. Sì, era quasi il momento che il ragazzo prendesse il volo e cominciasse a lavorare per conto suo.
-          Hai fatto un ottimo lavoro! – esclamò la donna al termine del racconto.
-          Grazie capo – rispose Parker sorridente.
Dopo qualche tempo in cui rimasero in silenzio, Sara decise di esprimere ad alta voce un’idea che le era venuta.
-          Frank, tu non trovi sia un peccato che nessuno sia a conoscenza di quello che sta accadendo? Ci siamo solo noi quaggiù, noi e il Winzengamot. Non trovo giusto che l’opinione pubblica debba essere privata di un così gustoso argomento di conversazione.
-          In effetti hai ragione – rincarò Parker che cominciava a capire dove volesse arrivare la donna – Mi piacerebbe conoscere anche l’opinione di altri in proposito.
-          Forse potremmo, così in via del tutto informale, diffondere la notizia che si sta svolgendo il processo a Sirius Black.
-          Improvvisamente – disse Frank alzandosi – sento il bisogno di andare ad offrire un caffè a Shira.
-          Mi sembra un’ottima idea – replicò Sara alzandosi a sua volta – Io invece credo che occuperò questo tempo coltivando vecchie amicizie.
Senza indugiare oltre i due Auror si separarono. Frank si diresse verso il Dipartimento; rivelare qualcosa a Shira, la segretaria del Dipartimento degli Auror, era come appendere manifesti per il Ministero. Sara invece andò alla voliera dei gufi che si trovava accanto al salone d’ingresso. Negli anni dell’Accademia si era fatta molti amici e alcuni di loro lavoravano nel giornalismo. Sarebbero bastate poche righe e Caramell avrebbe trovato una grossa sorpresa all’uscita dell’aula.
Sara era convinta che, a prescindere dall’esito dell’udienza, il mondo doveva sapere quello che era accaduto in realtà e se l’avessero licenziata per questo, sarebbe stato il suo ultimo grande atto da Auror Capo.
 

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Capitolo 14
*** XIV ***


Per i lettori: finalmente ho terminato il lavoro di revisione e rimaneggiamento dei primi 14 capitoli della storia. Al momento sono alle prese con il capitolo 15, che è piuttosto critico. Lo sto stravolgendo rispetto alla versione precedente, ma penso che si raccorderà al capitolo 16 allo stesso modo, quindi lascerò entrambe le versioni e starà a voi decidere quale preferite! Buona lettura!!!

Era bastato poco, davvero poco, perché la notizia che si stava svolgendo il processo a Sirius Black si diffondesse a macchia d’olio. Parlando con Shira, la segretaria del Dipartimento degli Auror, Frank aveva innescato una reazione a catena e ben presto tutti gli Auror in servizio erano a conoscenza della novità. Molti di loro avevano amici e conoscenti in altre sezioni del Ministero, così le voci cominciarono a rimbalzare anche agli altri piani.
Intanto alcuni giornalisti avevano iniziato a gironzolare nell’Atrium con aria indifferente, nella speranza di cogliere qualche informazione, informazioni che non tardarono ad arrivare. I dipendenti del Ministero sapevano essere molto chiacchieroni all’occorrenza.
Sara, dopo aver lanciato il sasso, era tornata con Frank fuori dall’aula del tribunale ad attendere il verdetto del Winzengamot e da un angolo osservava il corridoio popolarsi di curiosi. C’erano un sacco di persone che Sara conosceva, anche solo di vista, ma anche molte che non conosceva. Una giornalista, che era stata una sua compagna di scuola, le fece un cenno di saluto che lei ricambiò.
Tra le persone che cominciavano ad aggirarsi davanti alla porta dietro cui il Winzengamot stava prendendo la sua decisione, Kingsley Shakelbolt svettava con la sua mole. Il suo interesse per il caso era comprensibile considerando che se ne era occupato lui per quasi due anni.
Sara si avvicinò all’Auror e, quando gli fu di fronte, lo salutò con una vigorosa stretta di mano.
-          E così sembra che le abbia rubato il lavoro – disse Sara guardandolo di sottecchi.
-          Direi che ha fatto un lavoro molto migliore del mio. Ha fatto in una settimana quello che io non sono riuscito a fare in due anni – rispose Kingsley con la sua voce calma e profonda che, anche in quell’occasione, non tradiva alcuna emozione.
La donna aveva ben poco da rispondere, così decise di non dire nulla e Shakelbolt non proseguì la conversazione. Dopo qualche istante comparve anche la zazzera rosa di Tonks. La ragazza si guardò intorno qualche istante e quando vide Sara e Kingsley l’uno accanto all’altro si voltò di scatto come per non farsi  sorprendere a osservarli.
Quell’atteggiamento stupì Sara e l’occhiata frettolosa che Kingsley lanciò a Tonks lo stupì ancora di più. Per un attimo si sentì incastrata in un qualche complotto, ma poi si convinse che era frutto della sua immaginazione. Stava diventando paranoica.
Il tempo scorreva con una lentezza esasperante. I minuti sembravano durare ore e le ore giorni. Da quando era diventata un’Auror, raramente aveva trascorso dei momenti così. Non le capitava quasi mai di restare con le mani in mano senza fare nulla e aveva perso l’abitudine di aspettare.
L’ultima volta che le era successo di sentirsi così incredibilmente impotente era stato quando aveva diciassette anni. Lily e James erano stati uccisi da qualche settimana, Sirius era stato arrestato, Harry ormai viveva con gli zii e mentre il mondo magico ancora festeggiava la caduta di Voldemort, Sara osservava il suo mondo cadere in frantumi.
Questo turbinio di eventi l’aveva sconvolta al punto che l’unica cosa che riusciva a fare era restare immobile ad aspettare che qualcosa o qualcuno facesse qualcosa di sensato della sua vita. Era dicembre, Natale si avvicinava e il mondo sembrava schifosamente felice. Sara non era a Hogwarts, non era riuscita a rimanerci, non dopo quello che era successo. Silente era stato comprensivo. L’aveva lasciata partire e le aveva anche concesso la possibilità di ritornare, se avesse cambiato idea, in fondo era il suo ultimo anno, sarebbe bastato un piccolo sforzo per arrivare in fondo e conseguire il M.A.G.O. Sara però non aveva più energie da spendere, per nulla.
Il giorno in cui i giornali avevano titolato la caduta di Voldemort, la morte dei Potter e l’arresto di Sirius Black era passata appena una settimana dall’ultimo incontro di Sara e Sirius. Era stata una delle settimane più terribili che Sara ricordasse di aver vissuto e mai avrebbe potuto credere che le cose sarebbero peggiorate a tal punto.
Dopo quattro giorni dalla tragedia, Madama Chips le aveva permesso di lasciare l’infermeria. Rebecca era rimasta con lei per tutto il tempo, però Sara non riusciva a dire una parola, non riusciva a mangiare, non riusciva a pensare. Solo il fatto di dover respirare la impegnava fino a sfinirla.
Lo stesso giorno in cui era uscita dall’infermeria, Remus era andato a trovarla a scuola. Aveva l’aria distrutta quasi quanto lei. Entrambi avevano perso tutto in pochi istanti e Sara sentiva che Remus era l’unica persona al mondo che avrebbe potuto capire cosa provava. Chiese a Silente di poter andare via dalla scuola per un po’ e si trasferì a casa di Remus, a Londra.
Dopo tre settimane era ancora lì. Appollaiata sul davanzale della stanza degli ospiti che Remus le aveva riservato, passava le giornate a guardare la strada sottostante. Osservava i passanti fare cose normalissime, ritirare la posta, andare a fare la spesa, accompagnare i figli a scuola, e provava un distacco estremo, come se lei fosse ormai tagliata fuori da quella vita.
Parlava sempre poco e mangiava ancora meno. Remus usciva la mattina per andare a lavorare, rientrava nel tardo pomeriggio e passava tutta la sera con Sara. A volte cercava di farla parlare, a volte la cercava di riscuoterla dal suo torpore, altre volte restavano semplicemente in silenzio a guardare entrambi fuori dalla finestra.
-          Ciao – salutò Remus comparendo sulla porta.
Era ormai buio, ma Sara non aveva acceso la lampada e l’unica luce che entrava nella stanza era quella dei lampioni della strada.
-          Ciao – rispose Sara senza voltarsi.
La ragazza scese dal davanzale e si sedette sul letto a gambe incrociate. Remus entrò nella stanza e fece lo stesso, sistemandosi davanti a lei la guardò negli occhi. Sara non riusciva a sostenere il suo sguardo, così si voltò nuovamente verso la finestra. Si sentiva in colpa per come stava trattando Remus, ma non poteva farci niente. O non voleva farci niente?
-          Scendi un po’ questa sera? – chiese il ragazzo speranzoso – Sono tre giorni che non esci da questa stanza.
-          Non ho ragioni per uscire da qui – rispose Sara in tono piatto senza smettere di guardare la finestra.
-          Sara… pensi di rimanere qui a crogiolarti nel dolore all’infinito? – chiese Remus con uno sbuffo – Non ti dimenticare che hai ancora una vita, non sprecarla così.
-          Non sono sicura di volerla questa vita – replicò lei come se stesse parlando del vicino di casa o del tempo.
-          Non dire idiozie! – esclamò Remus alzandosi di scatto – Lily e James hanno dato la loro vita per la nostra salvezza! Il minimo che puoi fare è onorarli non buttando al vento il tuo tempo!
Remus aveva quasi urlato. Uscì dalla stanza sbattendo la porta e Sara scoppiò in singhiozzi incontrollati.
Era tutto così assurdo. Fino a un mese prima era la ragazza più felice del mondo, innamorata, quasi diplomata. E ora non era più niente. Era un guscio prima svuotato completamente e poi riempito di dolore. Non riusciva a pensare ad altro che a James e Lily. James e Lily che si erano sposati da due anni, James e Lily che avevano appena avuto un bambino, James e Lily che avevano migliaia di progetti per il futuro. Non poteva credere che non li avrebbe visti mai più, che non avrebbe più passato una serata da loro, che non avrebbe più ricevuto una lettera di Lily che le raccontava i progressi di Harry nel camminare e nel parlare.
E poi pensava a Sirius, a ogni ora del giorno e della notte. Pensare a lui era un incubo, ma per quanto orrendo non ci sapeva rinunciare. Continuava a rivivere nella mente tutta la loro storia: quando si erano conosciuti a Hogwarts, tutte le litigate nei corridoi e in Sala Comune, il matrimonio di Lily e James, le gite in moto, le chiacchierate. Riviveva ogni dettaglio, ogni conversazione cercando dei segni, degli indizi che potessero chiarire quello che era successo. Sara non capiva, non riusciva a crederci! Il ragazzo di cui era innamorata non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Come poteva aver ucciso Peter e tutte quelle persone? E come poteva lei essersi ingannata a tal punto su di lui?
Neppure Remus credeva nella sua innocenza… e se non ci credeva Remus come poteva crederci lei.
Remus. Povero Remus. Si era fatto carico del dolore di Sara oltre che del suo. Faceva di tutto per aiutarla e lei lo trattava così. Era solo una ragazzina egoista e viziata.
Passò la serata e la notte a rigirarsi nel letto, a pensare, a piangere, a pensare ancora e a piangere ancora e ancora e ancora. Alla fine il suo corpo ebbe la meglio sulla mente e la precipitò in un sonno agitato e popolato di incubi.
La mattina seguente però si svegliò piena di buoni propositi. Tese le orecchie per sentire la porta chiudersi alle spalle di Remus e, appena fu sicura che se ne fosse andato, uscì dalla sua stanza e scese al piano di sotto.
La casa di Remus era costituita da quattro stanze: al piano terra c’erano la cucina e il salotto, mentre al piano di sopra c’erano due stanze da letto e un bagno. Non era grande, ma poteva essere accogliente. Evidentemente però, negli ultimi tempi, Remus non aveva avuto molto tempo per tenerla in ordine.
Erano appena le sette del mattino ma Sara si sentiva piena di energie, come non lo era da tempo. In uno sportello della cucina trovò alcuni detersivi, si procurò degli stracci e iniziò a pulire. Cominciò dalla cucina stessa: tolse la polvere, pulì i pensili e le mensole una ad una, riuscì a togliere le macchie di calcare dal lavello e disinfettò il frigorifero, pulì il pavimento e i vetri, staccò le tendine logore e le mise a lavare nella vasca da bagno al piano di sopra.
Dopo la cucina attaccò il salotto: spolverò, svuotò e riordinò ogni cassetto, ogni ripiano della libreria, ogni sportello. Spostò il divano e le due poltrone in corridoio e pulì a fondo il pavimento e il caminetto.
Quando ebbe finito con il piano terra era ora di pranzo e, per la prima volta da giorni, aveva fame. In cucina però non c’era quasi nulla da mangiare. Così la ragazza salì al piano superiore, si vestì con qualcosa di diverso dalla tuta che portava ormai da una settimana e andò al supermercato più vicino. Le erano rimasti un po’ dei soldi Babbani che il padre le aveva mandato per Natale, così li spese tutti per fare provviste. Per fortuna il supermercato non era molto distante da casa di Remus, perché le quattro enormi buste con cui Sara rientrò erano davvero pesanti. Sistemò la spesa nei pensili e nel frigorifero, quindi si preparò un panino che consumò con gusto.
Appena terminato il pranzo, Sara attaccò il piano superiore e sottopose le stanze da letto e il bagno allo stesso trattamento che aveva riservato al piano di sotto. Quando ebbe finito era quasi l’ora in cui Remus rientrava dal lavoro, ma aveva ancora il tempo di fare una doccia e preparare la cena.
Nonostante tutto, Sara era una discreta cuoca e, quando Remus entrò a casa sua, la trovò pervasa dall’invitante profumino di ragù e pollo arrosto con patate al forno.
-          Che stai facendo? – domandò perplesso affacciandosi in cucina.
-          Ho preparato la cena – rispose la ragazza semplicemente mentre estraeva le patate dal forno.
-          Hai anche fatto le pulizie! – esclamò il ragazzo passando un dito su una mensola che trovò miracolosamente priva di polvere – Grazie!
Sara lo fissò intensamente, poi disse:
-          Grazie a te.
Da quella sera le cose iniziarono a migliorare per entrambi. Quel dolore lancinante era sempre presente, ma entrambi stavano imparando a controllarlo. Ci sarebbe voluto tanto tempo e Sara avrebbe versato molte altre lacrime, ma quell’esperienza avrebbe creato tra lei e Remus un’amicizia che sarebbe durata a lungo.
Assorta in questi pensieri Sara quasi non si accorse di Percy Weasley affacciato alla porta dell’aula di tribunale che faceva segno a lei e a Parker di entrare.
La donna sentì le ginocchia tremarle in modo incontrollabile. Tutti i curiosi e i giornalisti che si erano raccolti si divisero in due ali ai lati del corridoio per lasciarli passare. Lei e Frank si guardarono per farsi coraggio. Era il momento della verità.
Lentamente si avviarono verso l’aula. Sara era divisa tra la voglia di sapere e la paura di sapere, ma era solo questione di attimi. Quando Weasley chiuse la porta alle loro spalle, il brusio che si era alzato al loro passaggio scomparve come per magia. L’unico rumore che si udiva erano i tacchi di Sara che picchiettavano il pavimento. I due si fermarono davanti al Winzengamot, si inchinarono e attesero, trepidanti, il verdetto.
Caramell aveva un’espressione che Sara non gli aveva mai visto prima, il volto grassoccio era chiazzato di rosso in più punti, la bocca era distorta da una piega a metà tra il maligno e il disgustato, gli occhi erano stretti a scrutare i due Auror davanti a lui.
Per qualche istante nessuno sembrò aver intenzione di parlare, poi una donna che reggeva sulle ginocchia una serie di fogli, prese la parola:
-          Ministro, vogliamo comunicare la decisione del Winzengamot? – suggerì.
-          Sì… ecco… Bè, glielo dica lei – disse infine Caramell apparentemente incapace di proseguire.
Sara spostò la sua attenzione sulla donna, che iniziò a leggere la dichiarazione stilata dal Winzengamot. Ad ogni parola il cuore di Sara accelerava i battiti e ogni parola erano una parola più vicini alla conclusione.
Finalmente avrebbero saputo.
Il verdetto.
 
*^*^*^*^*
 
A Grimmauld Place la tensione era palpabile. Quel giorno nessuno era riuscito a dedicarsi alle occupazioni abituali, né aveva osato lasciare la casa per timore di perdere notizie importanti. La cucina era molto più popolata del solito. Persino Mundugus era arrivato di prima mattina per avere notizie e non se ne era più andato; ora sedeva in un angolo, avvolto nel suo cappotto logoro, e di tanto in tanto sorseggiava un liquido non meglio identificato da una fiaschetta che teneva in una tasca.
James sedeva al lungo tavolo fingendo di leggere il giornale, ma senza concentrarsi molto sugli articoli; Remus era intento a riordinare i suoi conti annotando le entrate e le uscite su un quaderno piuttosto consunto, spesso però lanciava un’occhiata a Sirius come per accertarsi che non facesse nulla di avventato.
Ma cosa avrebbe mai potuto fare?
Lily non si sforzava neppure di dissimulare la sua ansia, allo stesso tempo però non smetteva di parlare con Sirius cercando di rincuorarlo. La signora Weasley si aggirava per la cucina alla ricerca di qualcos’altro da fare, ma aveva già spolverato e ripulito ogni superficie diverse volte. Sirius era sorpreso dall’ansia di Molly per le sue sorti: evidentemente la donna gli era meno ostile di quanto sembrasse.   
Sirius dal canto suo non era particolarmente agitato. Ormai era abituato all’idea di essere un latitante e se la sua condizione fosse rimasta la stessa non sarebbe stato particolarmente sorpreso. La cosa più importante era che adesso Sara sapeva la verità, sapeva che lui era innocente.
Sara.
Nei tredici anni che aveva trascorso ad Azkaban due pensieri gli avevano impedito di impazzire: sapere di essere innocente e la consapevolezza di tutto il dolore che aveva causato alle persone che amava di più al mondo. Nessuno di questi pensieri era felice e per questo i Dissennatori non erano riusciti a portarglieli via. Non era passato giorno senza che avesse ricordato il male che aveva fatto, al suo migliore amico e a sua moglie, al suo figlioccio e a Sara.
Non osava neppure immaginare cosa Sara avesse pensato di lui. Lei si era fidata, non gli aveva fatto troppe domande e si era accontentata di restare ad aspettarlo. Chissà cosa aveva provato quando aveva appreso della morte di Lily e James e del suo arresto.
Ogni volta che ci pensava, Sirius si sentiva stringere lo stomaco. Da quando era evaso aveva pensato più e più volte di andare a cercare Sara per raccontarle la verità, per dirle che lui non l’aveva abbandonata di proposito, che era stato incastrato. Ma come avrebbe potuto indurla a credergli? Così aveva rinunciato, ma questo non gli aveva impedito di pensare a Sara ogni giorno della sua vita, senza esclusione.  
La sua Sara.
Ma lei non era più la sua Sara, aveva la sua vita e probabilmente era fidanzata con qualcuno. Era uno sciocco a pensare di poter recuperare anche solo in parte il rapporto che aveva con lei. E pensare che aveva sprecato un sacco di tempo cercando di ignorarla e di soffocare il sentimento che stava nascendo per lei.
Quando lui, James, Remus e Peter avevano finito la scuola avevano giurato solennemente di non perdersi di vista e non era stato poi così difficile tener fede al giuramento. James e Lily avevano continuato ad uscire insieme, così anche la ragazza era entrata a far parte del gruppo. Anche l’amicizia tra Lily e Sara White era rimasta salda nonostante la distanza e durante le vacanze capitava che Sara uscisse con la loro compagnia.
Sirius aveva passato gli ultimi due anni a Hogwarts a cercare di tenersi alla larga da quella ragazza e ora se la trovava sempre tra i piedi. Non avrebbe saputo spiegare esattamente che cosa gli desse tanto fastidio della sua presenza, però lo metteva a disagio. Nei rari casi in cui incrociava lo sguardo di Sara si sentiva come se lei potesse vedere oltre quello che vedevano tutti gli altri e questo non gli piaceva affatto.
Era passato quasi un anno da quando avevano lasciato Hogwarts e quell’anno il compleanno di Lily cadeva nei giorni delle vacanze di Pasqua, per questo aveva deciso di dare una festa a casa sua. I genitori sarebbero andati qualche giorno in vacanza e la sorella di Lily, Petunia, si era appena sposata e non abitava più con i genitori. La casa dunque era a completa disposizione.
Per il suo diciottesimo compleanno la fidanzata di James aveva deciso di fare le cose in grande. Per i figli di Babbani era un compleanno importante ma Sirius non riusciva a capire che cosa ci fosse di così eclatante nel compiere diciotto anni. In ogni caso aveva risposto con entusiasmo all’invito. L’idea di una serata con i Malandrini, per di più in una casa dove non c’erano genitori a sorvegliare, era più che benvenuta.
Sirius arrivò leggermente in ritardo rispetto all’ora stabilita, atterrò dolcemente con la moto davanti a casa Evans e la parcheggiò in un punto in cui nessuno avrebbe potuto rigarla o rovinarla in alcun modo. Aveva comprato da poco la moto: se l’era regalata come premio per aver trovato il suo primo “lavoro serio”. Non era un granché come lavoro, era poco meno di un impiegato in una ditta che produceva manici di scopa; d’altro canto però era il lavoro in cui gli avevano accordato gli orari più flessibili e questo gli permetteva di lavorare anche per l’Ordine della Fenice. Albus Silente aveva coinvolto i Malandrini e Lily non appena avevano terminato gli studi e loro non si erano tirati indietro, nemmeno per un attimo.
L’idea della moto volante era piaciuta molto a James e Sirius sapeva che l’unica cosa che lo tratteneva dal comprarsene una pure lui era che mai e poi mai sarebbe voluto passare per quello che copia il suo migliore amico.
Mentre si avvicinava alla casa, Sirius sentì un gran vociare, soprattutto femminile, e musica ad alto volume; a quanto pareva gli invitati erano già arrivati in gran parte. Le amiche di Lily non erano niente di speciale ma erano sempre molto arrendevoli con Sirius.
Sì, la serata poteva essere molto divertente.
Attraversando il giardino per raggiungere la porta d’ingresso, Sirius passò davanti alla finestra della cucina. Uno sguardo casuale all’interno lo fece bloccare davanti ai vetri. Era Sara White quella? Che diavolo ci faceva lì? La risposta sorse semplicemente come era sorta la domanda: era amica di Lily ed era chiaro che l’avesse invitata al suo compleanno, per di più durante le vacanze. Ora Sirius non era più tanto certo che la serata sarebbe stata così divertente, la presenza della White poteva essere un problema.
Ma perché poi? Bastava che la ignorasse. O no?
Dando un’altra guardata attraverso la finestra, il ragazzo vide che Sara era intenta a farcire un vassoio di tramezzini mentre ballava una canzone dei Rolling Stones. Dopo qualche istante Lily la raggiunse e le ragazze cominciarono a ballare insieme ancheggiando e facendo piroette. Se la ridevano come matte e Sirius rifletté che non aveva mai visto Sara così scatenata e così sorridente. Nonostante fosse di ben cinque anni più giovane, non sfigurava affatto accanto a Lily e il suo sorriso non era poi male.
Questo pensiero colpì Sirius come uno schiaffo. Cosa diavolo gli veniva in mente?
Ad un tratto Lily guardò fuori, vide Sirius e lo salutò con la mano. Il ragazzo cercò di dissimulare l’imbarazzo fingendo di essere appena arrivato, non poteva certo ammettere di essere rimasto lì imbambolato a guardarle. Sara si voltò di scatto verso la finestra e Sirius la vide chiaramente irrigidirsi e ricominciare di fretta a occuparsi dei tramezzini.
Sirius si diresse deciso verso la porta di ingresso e sulla soglia trovò ad accoglierlo Lily accompagnata da James.
-          Ciao Sirius! – salutarono quasi all’unisono. Quei due erano sempre più inseparabili e sdolcinati.
-          Ciao ragazzi! Buon compleanno Lily – aggiunse porgendole un pacchetto fasciato in carta argentata.
-          Grazie! Non dovevi disturbarti – esclamò Lily introducendolo nell’ingresso – Allora di qua c’è da bere – disse indicando il salotto che si apriva sulla destra – mentre di qua c’è il cibo – dichiarò puntando il dito a sinistra verso la cucina – Il bagno è al piano di sopra. Divertiti! – concluse prima di tornare in cucina ad aiutare Sara.
Sirius rimase così solo con James. Insieme si trasferirono in salotto e si unirono a Remus e a Peter intenti ad aprire bottiglie dietro al lungo tavolo che fungeva da bar. L’ingresso di Sirius provocò un certo scompiglio tra le ragazze: alcune si voltarono imbarazzate, altre gli sorrisero ammiccanti e un paio accennarono un saluto.
-          Ecco la nostra star – sussurrò Remus quando l’ebbero raggiunto – Sempre un po’ in ritardo come i veri vip.
-          Smettila – si schernì Sirius, che però era evidentemente lusingato dalle attenzioni delle ragazze.
In breve tempo casa Evans si animò ancora di più. Arrivarono altri invitati, tra cui parecchi amici di James; il cibo circolava liberamente tra la cucina e il salotto, i cocktail e la birra andavano come acqua, la musica diventò progressivamente più scatenata con qualche lento, dedicato alle coppiette. Per tutta la serata Sirius vide Sara poco o niente. Quella ragazza si comportava in modo davvero strano: prima si scatenava a ballare in cucina e poi si riduceva a fare da tappezzeria. Le uniche volte in cui Sirius la vide stava parlando con Lily o con Remus.
Remus era il componente del gruppo con cui Sara aveva legato di più, quando uscivano tutti insieme parlavano spesso di scuola, di libri, di musica e anche quella sera sembrava non fare eccezione. Guardandoli chiacchierare Sirius provò l’impulso di unirsi alla conversazione, ma in quel momento stava ballando con una ragazza di nome Lisa e non poteva sganciarsi. E poi che cosa avrebbe potuto dire? Ogni volta che si rivolgeva a lei Sara diventava improvvisamente seria. Ma poi che cosa diavolo gli importava di quella ragazzina?
Terminata la canzone, il ragazzo colse l’occasione per allontanarsi. Sulle prime si diresse verso Remus, ma in quel momento si accorse che Sara non era più con lui. Con una scrollata di spalle cambiò direzione e uscì nel giardino a fumare una sigaretta.
Casa Evans si trovava in un sobborgo Babbano nei pressi di Londra, era una sorta di isola felice per chi non voleva vivere nel caos della città ma non voleva neppure allontanarsene troppo. Strade progettate a tavolino si incrociavano perpendicolarmente formando un reticolo. Ogni isolato comprendeva tre o quattro villette, con le pareti di colori vivaci, un garage ad un lato e un giardino più o meno curato tutt’intorno.
Il giardino degli Evans era tra i più curati, ma con quel pizzico di disordine studiato che non lo fa sembrare di plastica. Era la madre di Lily ad occuparsene e il suo gusto femminile si riconosceva nella disposizione dei fiori e negli arredi. Sotto il porticato c’era un dondolo bianco, due panchine di legno smaltato facevano ala al vialetto d’accesso e da un lato della casa c’era un gazebo di ferro battuto che ospitava le cene e le grigliate estive.
Fermo sulla porta, per prima cosa Sirius lanciò un’occhiata in direzione della sua moto per controllare che fosse tutto a posto, dopo di che si sistemò sul dondolo e accese l’agognata sigaretta. In casa faceva piuttosto caldo e il ragazzo trovò l’aria frizzante della sera molto piacevole.
Gustandosi il suo vizio aveva intenzione di non pensare affatto a Sara White, ma non aveva fatto in tempo a formulare questo proposito che la vide svoltare l’angolo della casa.
Quando si rese conto della sua presenza Sara si fermò di botto. Sirius notò un’espressione strana sul suo viso, sembrava un misto tra disappunto e divertimento.
-          Cosa fai qua fuori?
Sirius si pentì immediatamente del tono scocciato che aveva usato nel formulare quella domanda. Non era sua intenzione litigare con Sara, ma la sua bocca agiva prima che lui riuscisse a fermarla.
-          Niente – rispose lei sulla difensiva – Prendevo un po’ d’aria.
Pareva che nessuno dei due avesse molto da dire, ma Sara sembrava non aver intenzione di rientrare. Dava l’impressione di essere indecisa se dire qualcosa o meno e Sirius era curioso di sapere da cosa fosse causato quell’atteggiamento. Dopo qualche istante la ragazza prese fiato e, non senza un certo imbarazzo, disse:   
-          Mentre camminavo mi è capitato di sentire una conversazione molto interessante.
-          Che conversazione? – domandò il ragazzo ancor più incuriosito.
-          Bé se vuoi puoi sentire con le tue orecchie – replicò lei facendogli segno di seguirla.
Sirius si alzò dal dondolo e svoltò l’angolo della villa. Sara lo attendeva sotto una delle finestre del piano superiore e, con un dito premuto sulle labbra, gli fece segno di fare silenzio. Il ragazzo si avvicinò circospetto e man mano che si appropinquava sentì sempre più distintamente delle voci provenire da quella che doveva essere la finestra del bagno.
-          Certo che è proprio figo! – strillò una voce piuttosto acuta.
-          A chi lo dici – disse un’altra – tutte le volte che lo vedo le ginocchia mi diventano di burro.
-          E poi ha un sorriso – aggiunse una terza voce che Sirius riconobbe come quella di Lisa, la ragazza con cui aveva ballato poco prima – Sirius Black è decisamente il ragazzo più bello che abbia mai visto.
Sirius, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi puntati verso la finestra, abbassò lo sguardo verso Sara. La ragazza lo guardava lottando per non scoppiare a ridere e lui fu contento che la semioscurità nascondesse in parte la sua espressione. In parte era compiaciuto da quei commenti, ma in parte li trovava fastidiosi e inspiegabilmente trovava ancor più fastidioso che Sara li stesse ascoltando. Stava per andarsene quando la voce di una bionda che l’aveva salutato al suo ingresso espresse la sua opinione:
-          Vedrete se non riuscirò ad accalappiarlo! – esclamò in tono cospiratore – Non riuscirà a sfuggirmi ancora a lungo.
-          Non capisco perché ti accanisci tanto – disse ancora Lisa – E’ decisamente bello ma… c’è altro dietro la bellezza?
-          Io non mi accanisco… e poi non accetto di essere respinta. Da nessuno! – continuò la voce della bionda – Ricorrerò ad ogni mezzo, anche pozioni d’amore se sarà necessario.
A quel punto Sara era sul punto di scoppiare a ridere, così si allontanò di corsa tornando sotto il portico e Sirius la seguì.
-          Lo trovi divertente? – disse Sirius, che faticava a sua volta per non sghignazzare.
-          Un pochino sì… - ammise Sara senza smettere di ridacchiare.
-          Ora dovrò passare la serata a controllare che non mi manomettano cibo e bevande!
-          Almeno sei avvisato! – esclamò lei – Dovresti come minimo ringraziarmi.
Sirius fece finta di non aver sentito e continuò:
-          Ma tu guarda se, oltre che dai Mangiamorte, devo guardarmi le spalle anche dalle ragazze. E poi cosa vorrebbe dire quella! C’è molto altro dietro la bellezza.
Per quanto ci scherzasse quelle parole avevano colpito molto Sirius. Dava davvero quell’impressione di sé?
-          Davvero? – intervenne Sara strappandolo dai suoi pensieri – Dimostralo.
-          Che intendi dire? – chiese Sirius alla ragazza che si stava avviando per rientrare in casa.
-          Dimostra che c’è di più oltre a un bell’involucro. Per esempio smettendo di dare corda a queste oche.
Ora quella stessa ragazzina che aveva cercato di aprirgli gli occhi era diventata una donna e aveva il suo destino tra le mani. E lui, per l’ennesima volta, non poteva fare altro che aspettare.
La quiete del tutto apparente di Grimmauld Place fu rotta improvvisamente da un potente crack che si sentì provenire dall’ingresso, contemporaneamente il ritratto della signora Black prese a strillare a squarciagola. In cucina tutti erano balzati in piedi in attesa di notizie, solo Tonks poteva produrre quello scompiglio e il suo arrivo poteva significare solo Novità di quelle con la maiuscola. La ragazza percorse il corridoio fino alla cucina praticamente correndo. I passi risuonavano nella testa di Sirius allo stesso ritmo forsennato con cui il cuore gli martellava nel petto. Tonks entrò in cucina affannata e parlando così in fretta che nessuno riusciva a capire una parola. Ma l’esito del processo fu chiaro a tutti quando la ragazza si slanciò ad abbracciare Sirius e strillò:
-          Cugino sei libero! Libero! Libero! Libero! LIBERO!
Sirius si sciolse dall’abbraccio e la guardò incredulo, senza riuscire ad articolare una sillaba. L’intera stanza fu percorsa da un attimo di sconcerto, poi arrivò l’esplosione.
Sirius non ricordava un tale fragore dall’ultima volta in cui Grifondoro aveva vinto la Coppa del Quidditch. Tonks saltellava in preda ad un’allegria quasi isterica, Lily e Molly piangevano come due fontane, Mundugus festeggiò aprendo l’ennesima bottiglia, James e Remus andarono ad abbracciare Sirius.
Lui, dal canto suo, non riusciva ancora a credere all’enormità di quello che stava accadendo. Lo stordimento e la sorpresa però lasciarono ben presto spazio a una felicità mai provata prima.
Era libero!
Era stato scagionato!
Era finalmente padrone di vivere la sua vita!
Quasi senza accorgersene scoppiò in una risata fragorosa e liberatoria, rise così a lungo da farsi dolere i muscoli e da farsi venire le lacrime agli occhi.
Ancora non riusciva a crederci. Ma era convinto che presto si sarebbe abituato all’idea.
 
*^*^*^*^*
   
Sara aveva cercato di mantenere un contegno mentre si trovava davanti al Ministro e al Winzengamot, anche se né lei né Frank avevano potuto evitare che un enorme sorriso si allargasse sui loro volti. Avevano ringraziato compostamente per il tempo dedicato loro e per la fiducia accordata e si congedarono.
Quando erano usciti dall’aula, avevano superato in fretta i giornalisti, che immediatamente li avevano accerchiati, e si erano rifugiati in un corridoio deserto. Lì si erano guardati e come rispondendo a un ordine avevano cominciato a strillare e a saltellare esultando come matti.
Ce l’avevano fatta!
Li avevano convinti!
Avevano dichiarato Sirius Black innocente!
Sara era felice come una bambina. Ce l’aveva fatta. Era riuscita a raggiungere il suo scopo. Per prima cosa doveva andare a dirlo al Capo, poi doveva raccontarlo alla sua amica Rebecca, doveva sistemare gli aspetti burocratici e poi…
E poi?
Questo pensiero la fece vacillare per un momento. Che cosa avrebbe fatto dopo? Come sarebbe potuta tornare alla vita di tutti i giorni?
Ma poi decise che ci avrebbe pensato quando sarebbe stato il momento. Ora voleva solo godersi la sua felicità e il suo momento di gloria.
Il Capo aveva ostentato indifferenza per tutta la mattina ma, quando Sara arrivò nel Dipartimento degli Auror, lo trovò a passeggiare nervosamente avanti e indietro nel suo ufficio. L’uomo accolse la notizia del verdetto con un sorriso che Sara non gli aveva mai visto e con un sospiro di sollievo che sapeva di scampata condanna a morte. Anche la sua carriera era stata pericolosamente in bilico. Immediatamente il Capo acconsentì a scendere a parlare con i giornalisti; era sicuramente la persona più adatta: calmo, pacato, sempre misurato nelle parole. Sara avrebbe rischiato di farsi trascinare e dire più di quanto sarebbe stato opportuno. Così mentre il Capo assolveva ai suoi compiti istituzionali, Sara volò a cercare la sua amica Rebecca.
Ovunque andasse al Ministero era seguita da decine di sguardi. La notizia si era sparsa davvero in fretta e per una volta Sara non ne era infastidita ma compiaciuta. Tutti dovevano sapere cos’era accaduto, tutti dovevano sapere che Sirius Black era stato braccato e condannato ingiustamente. Tutti dovevano sapere la verità.
Quando infine riuscì a trovare la sua amica, non servirono parole. Bastò uno sguardo, Rebecca la conosceva troppo bene per non immaginare cosa stava passando. Si limitò ad abbracciarla e ad accordarle il suo pieno appoggio qualunque sarebbero state le sue scelte, da quel momento in avanti.
Il problema era che Sara non aveva nemmeno idea di quali fossero le sue possibilità. Tra quali opzioni doveva scegliere? Ancora non le era chiaro. Ma scoprirlo sarebbe stata solamente la prossima appassionante sfida.

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Capitolo 15
*** XV vecchia versione ***


Per i lettori: chiedo perdono, perdono e ancora perdono per l’interminabile attesa! Mi perdonate vero?! So che è davvero tanto che non aggiorno ma ho avuto pochissimo tempo. Vi ringrazio per la dedizione che dimostrate alla mia storia e vi ringrazio per i commenti che, man mano, diventano progressivamente più numerosi.  

Per Alohomora: sì spesso ho pensato di scrivere storie gialle e/o poliziesche. Addirittura una volta io e un mio amico abbiamo scritto un giallo a quattro mani. Ognuno scriveva un capitolo e poi passava il quaderno all’altro. Ci siamo incasinati talmente tanto l’esistenza che alla fine nessuno dei due capiva più qual’era il colpevole!

Spero di non deludervi con questo nuovo capitolo. Se pensate che possa migliorare non esitate a dirlo! Sono aperta a suggerimenti.

Buona lettura!

P.S.: il capitolo 11 non vi è proprio piaciuto visto che è l’unico poverino a non avere neanche un commento ;-P

 

XV

 

Per la seconda notte consecutiva al Quartier Generale si festeggiò e i festeggiamenti furono ancora più allegri e chiassosi della sera precedente. Sirius Black era stato finalmente scagionato e ora il mondo intero avrebbe dovuto ricredersi sul suo conto.

Sirius si sentiva leggero come una piuma. Ora non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nascondersi, ora avrebbe potuto aiutare veramente l’Ordine della Fenice. Silente non aveva più scuse per tenerlo rinchiuso a Grimmauld Place. Certo ci sarebbe voluto del tempo per reintegrarsi, ci sarebbe voluto del tempo prima che la gente accettasse che lui era innocente, ma aveva avuto pazienza per quindici anni, poteva avere pazienza ancora per un po’.

Quando finalmente si decise ad andare nella sua stanza era quasi mattina. Per la prima volta da giorni Sirius si buttò a letto senza temere insonnia e incubi. Erano finalmente scese la tensione e l’adrenalina e tutta la stanchezza era emersa all’improvviso, cullandolo in un sonno sereno e senza sogni.

Sara White intanto era tornata nel suo appartamento. Il Capo non aveva voluto sentire ragioni e, dopo il processo, l’interminabile conferenza stampa e un breve colloquio con il Ministro, l’aveva spedita a casa a riposarsi. Fino a quando era stata in ballo aveva ballato, ma non appena era arrivata a casa aveva sentito tutta la stanchezza piombarle addosso. Si era buttata sul letto senza neppure svestirsi e si era addormentata di schianto. Aveva dormito profondamente, come non le capitava da un sacco di tempo, ed era stata svegliata da un raggio di sole molesto che passava attraverso le fenditure della tapparella. Sulle prime Sara non riuscì a capire dov’era, poi lentamente aveva ricordato: il Capo che la mandava a casa, il colloquio col Ministro, il processo.   

Man mano che ricordava un sorriso di soddisfazione le illuminò il volto. Senza indugiare troppo a lungo tra le coperte, Sara si alzò e per una volta, anziché una doccia veloce, si concesse un lungo bagno con la schiuma. Mentre si crogiolava nell’acqua bollente rivivendo la giornata precedente, il cellulare prese a squillare rompendo la pace che era regnata fino a quel momento. Sara si sporse dalla vasca verso la mensola dove aveva appoggiato il cellulare e premette il pulsante per accettare la chiamata.

-         Sara White – disse nel ricevitore.

-         Buon giorno Signorina White – disse la voce del Capo dall’altro capo del filo.

-         Buon giorno Capo, mi dica.

-         Ho parlato con il Ministro. Non è contento della piega che hanno preso le cose, ma ha accettato la decisione del Winzengamot e ha parlato con i giornalisti appoggiando l’operato del Dipartimento degli Auror. Ora la situazione sembra abbastanza tranquilla. Siamo riusciti a cacciare i giornalisti promettendo un’altra conferenza stampa per domani. Quando vuole può tornare al lavoro senza problemi – spiegò l’uomo.

-         Molto bene, sarò al Ministero tra poco allora – rispose Sara chiudendo la comunicazione.

Appena conclusa la telefonata, Sara uscì dall’acqua e si preparò per andare al lavoro. E così sembrava che stesse per cominciare una nuova giornata, c’erano i vecchi casi di cui Sara doveva tornare a occuparsi e sicuramente ci sarebbe stato qualche nuovo caso che avrebbe richiesto la sua attenzione. Sapeva che la stampa le sarebbe stata alle calcagna per un po’, lei stessa aveva suscitato l’interesse dei giornalisti per il caso Black, ma poco a poco le acque si sarebbero calmate e tutto sarebbe tornato alla normalità.

Quando arrivò al Ministero si assicurò che non ci fossero giornalisti in agguato all’ingresso dipendenti, quindi entrò mostrando il suo tesserino alla guardia e si diresse verso gli ascensori. Quando fece il suo ingresso fu ricevuta da un’accoglienza calorosa, sorrisi, saluti, pacche sulle spalle, che davvero non si sarebbe aspettata da quei colleghi che generalmente erano così ostili. In fondo al corridoio, davanti alla porta del suo ufficio su cui campeggiava la targa di Auror Capo, Sara trovò Frank, Olga e Roger.

-         Ragazzi – salutò Sara invitandoli a entrare nel suo ufficio e chiudendo la porta alle loro spalle.

-         Siete dei maledetti egoisti! – esclamò Roger.

-         E perché mai? – domandò Sara fingendo di non capire.

-         Perché avevate per le mani questo caso enorme e non ci avete detto niente! – rispose Roger risentito.

-         Per ovvie ragioni dovevo coinvolgere il minor numero di persone possibili – spiegò pazientemente Sara mentre aggirava la sua scrivania e andava a sedersi sulla poltrona da ufficio – e Frank aveva diritto di prelazione per anzianità. Allora, raccontatemi com’è andata in questi giorni.

Olga e Roger aggiornarono il loro capo sugli sviluppi nei casi che stavano seguendo e ricevettero istruzioni per proseguire il lavoro.

-         A proposito – disse Sara mentre i suoi sottoposti prendevano congedo – avete fatto un ottimo lavoro. Continuate così.

I tre ragazzi la ringraziarono con un sorriso e si diressero verso le rispettive scrivanie. La porta non aveva fatto in tempo a chiudersi che cominciò una processione. Prima andò a trovarla il Capo per complimentarsi ancora per l’esito delle indagini e rassicurarla riguardo alla posizione del Ministro; poi arrivò Phil Tarrentin, un Auror di terzo livello, che aveva bisogno di una comparazione di impronte digitali per un’indagine che stava seguendo. A intervalli regolari Shira, la segretaria del Dipartimento, compariva nell’ufficio di Sara per portarle richieste e messaggi di giornalisti che chiedevano informazioni, interviste, incontri e dichiarazioni.

A ora di pranzo, Sara non era riuscita a combinare quasi nulla del lavoro che si era prefissa. Rassegnata raccolse le sue cose e uscì dal Ministero per andare a mangiare qualcosa. Quel giorno aveva voglia di starsene un po’ da sola, quindi non chiese a nessuno di andare con lei e sgattaiolò verso l’ascensore prima che qualcun altro potesse fermarla. Ad una prima occhiata l’Atrium le parve sgombro di giornalisti, così lo attraversò in fretta e si infilò nella cubicolo per risalire a livello strada. Il pavimento si mosse sotto i suoi piedi e la sollevò fino a fermarsi nella solita malconcia cabina telefonica. Sara uscì dalla cabina e si diresse verso il centro della città. I locali frequentati da maghi erano assolutamente da escludere per quel giorno, detestava essere osservata mentre mangiava.

Quando svoltò l’angolo rimase per un attimo interdetta. Sul marciapiede opposto c’era una figura familiare, un uomo che a Sara sembrava di conoscere.

Sembrava proprio… ma non poteva essere…

Eppure guardando meglio si rese conto che l’uomo era davvero Remus Lupin e la fissava piuttosto insistentemente. Sara non era del tutto impreparata ad una visita di questo genere, ma rimase ugualmente sorpresa di vederlo lì. La sua comparsa poteva significare molte cose e il cuore di Sara prese a battere più intensamente.

Sara fece un cenno a Remus, per fargli capire che l’aveva riconosciuto, quindi prese a camminare allontanandosi dal Ministero e vide Lupin fare lo stesso mantenendosi dall’altro lato della strada. Qualunque cosa Remus dovesse dire, non potevano parlare lì e neppure potevano andare in un luogo pubblico. La donna aveva imparato a sue spese che la prudenza non era mai troppa, così si incamminò verso il punto in cui aveva parcheggiato l’auto. Quando la raggiunse, disattivò i sistemi di sicurezza con un lieve tocco di bacchetta e si sistemò al volante, mise in moto l’auto e uscì dal parcheggio immettendosi nella strada. Percorse qualche metro in direzione opposta quindi si accostò al marciapiede.

Sara osservò nello specchietto retrovisore Remus Lupin avvicinarsi rapidamente, l’uomo salì sull’auto e la donna ripartì immettendosi nel traffico.

-         Ciao Remus – disse continuando a guardare la strada – Chissà perché non sono sorpresa di vederti.

-         Ciao Sara, come stai? – domandò Lupin cordialmente.

-         Una favola, grazie – replicò lei con tono sarcastico – A cosa devo un tale onore?

-         Mi manda Silente – spiegò Remus.

-         Oh sì, certo. Silente – commentò lei mentre conduceva la macchina fuori città verso la campagna.

-         Mi sembra di cogliere dell’irritazione nella tua voce – continuò Lupin senza però smettere di sorridere amichevolmente – Sei arrabbiata con me?

-         Arrabbiata con te? – replicò Sara in tono ancor più sarcastico – E perché mai dovrei essere arrabbiata con te? Ti pare, che ne abbia motivo?

-         Sara ti prego…

L’auto di Sara era molto più rapida di quelle Babbane e in breve tempo erano arrivati in una zona piuttosto deserta di campagna. Sara svoltò in una stradina sterrata e, quando ritenne che fossero sufficientemente isolati, fermò la macchina e scese sbattendo energicamente lo sportello.

-         Io non sono arrabbiata con te, e neppure col tuo amico, che ultimamente mi ha dato così tanto lavoro. Io sono furiosa!

-         Hai ragione però… - provò a dire l’uomo.

-         Ragione? Certo che ho ragione! Come potrei non avere ragione! Non avete scuse, nessuna scusa per il vostro comportamento.

-         Lo so Sara, ma cerca di capire, che cosa avrei dovuto fare? – riuscì finalmente a dire Remus.

-         Dirmi la verità per esempio. Io ti ho chiesto più volte “c’è qualcosa che sai e che io dovrei sapere? Qualcosa di diverso da quello che so io?”. L’ho chiesto a te e l’ho chiesto a Silente. L’unica risposta che ho avuto è stata “No, non c’è assolutamente niente”. NIENTE! E ora io ci devo uscire pazza con questa storia del Custode Segreto perché tra tutti avete avuto la bella pensata di tenermi completamente all’oscuro di come stessero le cose. IO NON SONO ARRABBIATA!

Non era esattamente il discorso che Sara si era immaginata di fare con Remus a questo proposito, ma rivederlo le aveva ricordato molte cose spiacevoli e tutta la rabbia che aveva cercato di nascondere era venuta fuori senza che potesse controllarla. Era arrabbiata davvero con Remus, con Silente, anche con Sirius perché sì, lei era solo una ragazzina di diciassette anni quando tutto era accaduto, ma aveva il diritto di sapere la verità. E nessuno aveva creduto in lei, mai, neanche quando era diventata adulta e aveva continuato a farsi sempre le stesse domande.

Con le mani che le tremavano, Sara si accese una sigaretta e attese la risposta di Remus. Ora che si era sfogata era curiosa di sapere che cosa avesse da dirle.

-         Sara – cominciò lui lentamente – posso capire che tu sia amareggiata e furiosa, ma noi tutti abbiamo creduto di farlo per il tuo bene. Non è stata una mancanza di fiducia nei tuoi confronti. Prima non era saggio che Sirius di dicesse che cosa stava per fare e dopo che senso avrebbe avuto? Che cosa dovevo fare? Dirti che Sirius era il Custode Segreto di Lily e James e causarti ancora più dolore? E per quanto riguarda la faccenda di Peter, io stesso ne sono venuto a conoscenza solo due anni fa.

-         Due anni fa? – domandò Sara ora più calma – L’anno in cui hai insegnato a Hogwarts. L’ultima volta che ci siamo visti allora lo sapevi già? – chiese lanciandogli un’occhiata talmente fiammeggiante che avrebbe impaurito anche l’uomo più coraggioso.

-         No, quella volta ancora non ne sapevo nulla. L’ho scoperto solo verso la fine dell’anno scolastico.

Sara ripensò a quell’incontro con Remus. Sirius Black era evaso da circa una settimana e Sara era già stata sollevata dall’incarico delle ricerche con suo estremo sollievo. La notizia dell’evasione di Sirius l’aveva sconvolta, non sapeva come gestire la cosa. Sarebbe andato a cercarla? E in quel caso che cosa avrebbe dovuto fare lei? Consegnarlo alle autorità? O farlo a pezzi con le sue mani?

Ma più di tutto c’era una cosa che la tormentava: lei sapeva che Sirius era un Animagus, lo aveva sempre saputo, e sospettava fortemente che proprio quel potere gli avesse consentito di evadere. Però ancora non l’aveva detto a nessuno. Come poteva ammettere di conoscere un criminale tanto bene da sapere un simile segreto? Che cosa ne sarebbe stato della sua carriera? L’avrebbero accusata di intralcio alla giustizia? Che cosa doveva fare?

L’unica persona che avrebbe potuto aiutarla a rispondere a questa domanda era l’unica altra persona al mondo a sapere che Sirius Black sapeva trasformarsi in un cane: Remus Lupin. Così una sera, terminato l’orario di lavoro, si era presentata a casa sua.

-         Ciao Sara, che piacere vederti! – l’accolse Remus sulla porta – Vieni entra!

Erano anni che non si vedevano, ma Remus l’accolse come se si fossero visti il giorno prima. Sara doveva molto a Remus, ma una volta entrata all’Accademia i loro rapporti si erano diradati sempre più. Lei aveva pochissimo tempo libero e poi continuare a vedersi era estremamente doloroso per entrambi. Così, come per un tacito accordo, avevano iniziato a non vedersi più, dopo un po’ erano cessate le telefonate e alla fine avevano anche smesso di scriversi. Quella sera Sara si sentiva strana a ricorrere nuovamente all’aiuto di Remus ma l’accoglienza calorosa le aveva dato coraggio. Si erano abbracciati sulla porta di casa, dopo di ché erano rientrati e si erano seduti a parlare. Dopo i soliti convenevoli sul lavoro, salute e famiglia, erano arrivati al dunque.

-         Non ti immagini perché sono qui? – chiese Sara seduta al tavolo di quella cucina che ricordava così bene.

-         Sì, lo immagino – rispose Remus posandole davanti una tazza di the e sedendosi a sua volta – Come stai?

-         Bene. Oddio insomma, un po’ sotto sopra. Ma potrei stare peggio. Ormai credo di averla superata – rispose la donna titubante.

-         Certo – replicò Lupin scrutandola con uno sguardo non altrettanto convinto quanto le sue parole.

-         C’è una cosa che mi preoccupa – continuò Sara visto che l’amico non sembrava intenzionato a dire altro – Io e te sappiamo che Sirius è un Animagus. E’ probabile che per questo sia riuscito a evadere. Tu l’hai mai detto a nessuno?

-         No, io non l’ho detto ad anima viva – rispose Remus sorseggiando il the – E tu?

-         Nemmeno io. Hai intenzione di farlo? Pensi di dirlo a Silente? In fondo andrai a lavorare a Hogwarts da quanto mi hai detto, forse dovrebbe saperlo.

-         Non credo che lo dirò – disse Remus gravemente – Significherebbe ammettere che quando ero a scuola andavo in giro a fare bravate quando invece avrei dovuto rimanermene alla Stamberga Strillante. Non voglio dare questa impressione a Silente,  non ora che nonostante tutto mi ha dato un lavoro.

Una parte di Sara inspiegabilmente fu sollevata dalla notizia che Remus non avrebbe detto nulla.

-         Sono certa che sarai un ottimo insegnante – disse infine la donna strappando un sorriso all’amico – Sai io non posso compromettermi dicendo che Sirius Black è un Animagus, nella migliore delle ipotesi mi prenderebbero per pazza e nella peggiore mi sbatterebbero al suo posto ad Azkaban. Intanto non credo che cambierebbe qualcosa, che potrebbe fare il Ministero? Mettersi a controllare ogni cane nero d’Inghilterra?

-         Anche io credo che non cambierebbe nulla – interloquì Lupin con tono convincente – In fondo per quello che ne sappiamo Sirius potrebbe essere evaso usando qualche magia nera imparata da Voldemort.

Sentire queste parole le fece più male di quanto avrebbe creduto possibile, probabilmente non si sarebbe mai abituata ad associare Sirius a Voldemort, ma era esattamente quello che aveva sperato di sentirsi dire. Aveva bisogno che qualcuno le dicesse che stava facendo la cosa giusta e nessuno meglio di Remus avrebbe potuto farlo.   

Ripensando a quella conversazione Sara convenne che probabilmente Remus diceva la verità, all’epoca non sapeva ancora com’erano andate effettivamente le cose tra Sirius e Peter Minus.

La sua mente la riportò alla realtà, in quella strada di campagna.

Mentre era rimasta in silenzio a riflettere, Remus si era avvicinato. Quando Sara sollevò gli occhi, il suo sguardo era meno furibondo, anche se aveva ancora la mascella contratta, e Lupin azzardò addirittura a farle un sorriso. Sara sorrise a sua volta poi, senza preavviso, abbracciò l’uomo come se lo vedesse solo in quel momento.

-         Mi sei mancato Remus! – esclamò Sara stringendolo forte.

-         Anche tu mi sei mancata – rispose lui rispondendo all’abbraccio.

Quando si staccarono l’atmosfera era molto meno tesa. Si appoggiarono all’auto e ricominciarono a parlare normalmente mentre osservavano la campagna circostante.

-         Allora amico mio – cominciò Sara – Tu sai dov’è.

Non era una domanda.

-         Dov’è chi? – chiese Lupin guardandosi le unghie di una mano.

-         Sai benissimo a chi mi riferisco – replicò la donna guardandolo al di sopra degli occhiali da vista.

-         In teoria non te lo potrei dire, ma in effetti sì, so dov’è – ammise l’uomo voltandosi verso Sara.

Quindi Remus sapeva dove si trovasse Sirius. Da quando aveva scoperto la verità, Sara non poteva fare a meno di provare una stretta allo stomaco ogni volta che pensava a Sirius.

-         Il motivo per cui sono venuto a cercarti – riprese Remus – riguarda anche il luogo in cui si trova Sirius. Quello che ti ho detto prima è la verità, mi manda Silente.

-         Ho parlato con Silente tre giorni fa – intervenne Sara – che cosa deve dirmi che ancora non mi ha detto?

-         Mi ha mandato per chiederti se ti interessa far parte dell’Ordine della Fenice – annunciò Lupin.

-         Il cosa? – chiese la donna molto interessata.

-         L’Ordine della Fenice. E’ la società segreta fondata da Silente per combattere Voldemort. Ne fanno parte diverse persone e vorremmo che ne facessi parte anche tu. Non devi sentirti obbligata, so che ti stiamo chiedendo di fare una cosa rischiosa che mette in pericolo il tuo lavoro e soprattutto la tua vita – concluse Lupin mettendosi di fronte a Sara in modo da poterla guardare bene in faccia.

-         L’Ordine della Fenice. E’ la stessa società segreta di cui facevate parte quindici anni fa? – domandò Sara.

-         Sì, esattamente. Come lo sai? – chiese l’uomo leggermente sorpreso.

-         Il tuo amico non mi ha raccontato tutto ma mi aveva accennato qualcosa, diciamo abbastanza per capire che si trattava di qualcosa del genere – rispose Sara fissandosi le scarpe.

-         Il tuo amico – ripeté Remus con un sorrisetto che a Sara non piaceva affatto – Non riesci neppure a pronunciare il suo nome?

Sara sentì il suo cuore stringersi e decise di non rispondere. Spostò lo sguardo dalle sue scarpe all’orizzonte. No, non riusciva a pronunciare il suo nome. Aveva dovuto dire il nome “Sirius Black” troppe volte al lavoro negli ultimi giorni e ora non riusciva a pronunciarlo come se parlasse di qualcuno che faceva parte della sua vita. L’unica soluzione era cambiare discorso:

-         Così se Silente ha deciso di ricostituire questo Ordine della Fenice significa che Voldemort è tornato davvero.

-         Purtroppo è così – confermò l’uomo – Ne abbiamo le prove.

-         Davvero? Quali prove?

Parlare di prove era sempre allettante per un Auror Capo e più il discorso si allontanava da Sirius, meglio sarebbe stato per entrambi.

-         Harry l’ha visto risorgere in un cimitero… e c’era anche Peter Minus.

Harry. Harry Potter. Ancora una volta incrociava il suo destino con quello di Voldemort. Sara mandò mentalmente una preghiera a chi di dovere perché quella volta le cose andassero meglio poi disse:

-         Harry. Come sta? È a Hogwarts immagino.

-         Sì, ora è a Hogwarts, ma ha passato parte delle vacanze con l’Ordine. E’ un ragazzo incredibile, non so come riesca a essere ancora vivo e sano di mente con tutto quello che gli è successo.

-         Bè ha dei buoni geni – replicò la donna – E così Harry conosce il suo padrino.

-         Sì, lo conosce anche se non hanno passato molto tempo insieme fino ad ora.

Sara provò improvvisamente un moto di gelosia verso Harry Potter, verso Remus, verso l’Ordine della Fenice. Tutti loro sapevano dell’innocenza di Sirius da più di lei e avevano trascorso con lui tempo che a lei non era stato concesso. Era tutto così tremendamente ingiusto.

-         Non hai risposto alla mia domanda – disse Remus riportandola alla realtà – Vuoi far parte dell’Ordine della Fenice?

Già, non aveva risposto. Che bella domanda. Voleva far parte dell’Ordine della Fenice?

-         Remus, non saprei davvero. Non so se ho la forza di affrontare tutto questo – disse passandosi una mano tra i capelli.

Benché apparisse piuttosto sorpreso da questa risposta, forse si aspettava un assenso entusiastico, Lupin disse:

-         Non mi devi rispondere subito. Questa sera ci sarà una riunione. Alle otto io sarò davanti al Ministero. Se avrai deciso di partecipare ci vedremo lì altrimenti, se non ti vedrò, saprò che non vuoi far parte dell’Ordine e tu dimenticherai la nostra conversazione.

A questo punto non c’era più molto da dire. Risalirono in macchina e si diressero verso Londra.

 

*^*^*^*^*

 

Sirius attendeva con ansia il rientro di Remus a Grimmauld Place. Voleva assolutamente sapere se Sara avesse accettato di far parte dell’Ordine. Se così fosse stato l’avrebbe vista quella sera stessa. Benché esternamente apparisse calmo e sereno, dentro di sé aveva un vulcano di sentimenti, uno più intenso dell’altro. Provava contemporaneamente ansia, felicità, paura, speranza, delusione, desiderio. A pranzo quasi non riuscì a toccare cibo tanto che la signora Weasley cominciò a temere di aver perso le sue doti culinarie. Molly ultimamente era molto più gentile con Sirius e teneva in gran conto l’opinione del padrone di casa sulla cucina e altre faccende domestiche.

Un’altra persona visibilmente agitata era Lily. Anche lei era ansiosa di conoscere la risposta di Sara per sapere se avrebbe o meno rivisto la sua grande amica. Certo che, se avesse accettato, sarebbe stato davvero un colpo per lei trovare lì Lily e James. Sirius non riusciva a immaginare che cosa avrebbe provato Sara e per un momento provò a figurarsi la scena, lì in quella cucina. Sarebbero stati di nuovo tutti insieme.

Proprio in quel momento Remus scese i pochi gradini che separavano la cucina dall’ingresso della casa e si avvicinò all’estremità del tavolo dove sedevano Lily, James e Sirius. Senza preamboli inutili cominciò a raccontare del suo incontro con Sara e non venne interrotto fino alla fine.

-         Quindi non ti ha dato una risposta – disse infine Lily torcendosi le mani.

-         No, ma siamo d’accordo che deciderà entro stasera.

Sirius cominciava a essere davvero esausto. Possibile che non potesse mai essere tranquillo? Doveva sempre e comunque esserci qualcosa di cui preoccuparsi. A quanto pareva non era ancora finita. C’erano ancora alcune ore di ansia da sopportare. Gli sarebbe probabilmente venuta un ulcera, ma aveva scelta?

No, non ne aveva.

 

*^*^*^*^*

 

Erano le otto meno dieci e Sara era seduta alla sua scrivania, intenta a fissare il vuoto. Per tutto il pomeriggio non era riuscita a combinare niente. Si era barricata nel suo ufficio, fingendo di non esserci ed evitando accuratamente di rispondere al telefono. Che cosa doveva fare? Doveva accettare? Accettare significava rivedere Sirius. Voleva davvero rivedere Sirius? Poteva farlo? O sarebbe stata a rischio di diventare matta un’altra volta? Valeva la pena di correre questo rischio?

Ad un certo punto della giornata Sara aveva deciso che l’unica cosa che valesse davvero la pena fare era smettere di pensare e aspettare che l’istinto le dicesse cosa fare. Così si era imposta di respirare profondamente, svuotare la mente sia dai pensieri negativi che da quelli positivi e attendere.

Per tutto il pomeriggio il suo istinto le aveva detto di restare lì seduta a non fare altro che guardare la porta di fronte a sé, ma ora, ora che i suoi occhi si erano posati sull’orologio, il suo istinto cambiò direzione. Sara provò a combatterlo con la razionalità, continuando a ripetersi che non era una buona idea, che il lavoro non le avrebbe lasciato tempo da dedicare all’Ordine della Fenice, che era troppo pericoloso, ma l’istinto fu più forte. Quando la lancetta si spostò sulle otto meno nove minuti Sara scattò in piedi, afferrò la sua borsa e uscì chiudendosi la porta alle spalle.

In ascensore Sara tuffò una mano nella borsa e ne estrasse un piccolo specchio, lo aprì con uno scatto e controllò lo stato dei capelli e del trucco. Mentre ritoccava una sbavatura di matita nera sotto l’occhio destro si bloccò. Ma che diavolo stava facendo? Era il momento di preoccuparsi del suo aspetto? Il lato razionale della sua personalità le disse che non era affatto il momento, ma una vocina dentro di lei continuava a bisbigliare “stai per rivedere Sirius, non vorrai sembrare uno spaventapasseri?”.

L’ascensore si fermò e le porte si aprirono sferragliando come sempre. Un suono familiare, per quanto sgradevole, le era di conforto in quel momento. Si sentiva come se stesse per saltare nel vuoto. Sara ripose lo specchio nella borsa e si avviò verso l’uscita a passo di marcia. A ogni passo il suo cuore accelerava i battiti. Era tutto il giorno che faceva le bizze e la donna non sapeva a quante emozioni ancora sarebbe stato in grado di resistere. Quando si trovò all’esterno la prima cosa che vide fu Remus che la aspettava all’angolo del vicolo. Non appena l’uomo la vide, il suo volto fu illuminato da un sorriso caloroso.

-         Ciao – le disse stringendole la mano – Alla fine hai deciso di accettare.

-         Sai, credo di non avere molta scelta dopotutto. Allora, dove dobbiamo andare?

Remus prese a camminare in direzione di una strada secondaria poco frequentata. Quando furono sufficientemente lontani da orecchie e occhi indiscreti si voltò e disse:

-         Direi che è meglio usare la Materializzazione, la tua auto potrebbe dare nell’occhio. Siamo molto sorvegliati.

-         D’accordo, ma dove dobbiamo andare? – chiese ancora Sara.

-         Ti guiderò io.

Senza aggiungere altro Remus la afferrò saldamente per un braccio e si preparò a smaterializzarsi. Sara si concentrò non sulla destinazione, che non le era nota, ma su Remus cercando di costringere ogni particella del suo corpo a seguire l’amico, ovunque stesse andando. Dopo pochi istanti Sara avvertì la familiare sensazione di essere prima compressa da ogni lato e poi risucchiata, vide immagini indistinte sfrecciare attorno a lei poi, all’improvviso, la terra ferma fu nuovamente sotto i suoi piedi.

Sara si guardò intorno, erano in una strada male illuminata, costellata da entrambi i lati da ville indipendenti e case a schiera. Alcune apparivano in pessime condizioni, come se non fossero abitate, altre invece avevano un’aria ordinata. La donna cercò dei punti di riferimento per orientarsi. Era ancora a Londra, lo sapeva perché il tragitto della Materializzazione era stato piuttosto breve e lo sapeva perché anche quella zona aveva l’odore tipico di Londra, un inconfondibile miscuglio di umido e di smog. Ma a parte questo non aveva idea di quale parte della città si trattasse.

-         Dove siamo? – domandò sussurrando a Remus. Non sapeva perché ma quel luogo la induceva a parlare sottovoce.

Per tutta risposta l’uomo frugò nella tasca della giacca e estrasse un piccolo foglietto di pergamena. Glielo porse dicendo che era da parte di Silente e Sara lo aprì impaziente.

 

“Il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si trova al numero 12 di Grimmauld Place”

 

-         Silente è il Custode Segreto del Quartier Generale – spiegò Remus.

-         No, basta Custodi Segreti! – scherzò Sara che evidentemente non aveva perso del tutto il senso dell’umorismo.

-         Ora che hai letto il messaggio sai dove si trova, ma non puoi rivelarlo a nessuno. Memorizza quello che c’è scritto e concentrati.

Sara obbedì, diede un’ultima scorsa al biglietto, prima che Remus lo distruggesse incendiandolo, e si concentrò. Fu un’apparizione davvero strana, una villa che prima non c’era si materializzò tra le due case adiacenti come se fosse spuntata dal suolo. Accanto alla porta un numero in ottone comunicava che si trattava del numero dodici e l’inquietante batacchio a forma di serpente intrecciato aveva probabilmente la funzione di scoraggiare eventuali seccatori.

E così ora faceva parte dell’Ordine della Fenice e di lì a poco avrebbe rivisto Sirius. Lo stomaco le si strinse per l’ennesima volta quel giorno, respirare normalmente cominciava ad essere complicato e il fisico della donna cominciava a protestare per la stanchezza. Tutta l’ansia di quei giorni la rendeva esausta.

-         Prima di entrare ti devo dire una cosa – esordì Remus invitandola a sedersi accanto a lui su uno dei gradini che conducevano all’ingresso.

-         O mio Dio, che altro c’è? – domandò la donna sedendosi titubante.

-         Vedi, un po’ di tempo fa, diciamo qualche mese, è successa una cosa davvero strana. Eravamo nella soffitta qui a Grimmauld Place a fare le pulizie e…

Remus raccontò quello che era successo durante l’estate, di come ci fosse stato quello strano scoppio che aveva portato con sé Lily e James Potter. Le spiegò le supposizioni di Silente a proposito di questo fenomeno e le comunicò che i Potter erano ancora lì.

Al termine del racconto Sara era completamente attonita. Aveva gli occhi sgranati fissi su Remus e la bocca leggermente aperta per lo stupore. Non poteva credere alle sue orecchie. Lily e James erano tornati! Aveva creduto che nulla sarebbe più riuscito a sconvolgerla e invece, ancora una volta, si era sbagliata. E si era sbagliata di grosso. E adesso? Come avrebbe potuto affrontare anche questo?

Sara spostò lo sguardo verso la strada, poi si voltò per guardare l’uomo negli occhi. Adesso aveva le labbra serrate e la fronte corrugata.

-         Ti prego dimmi che è solo uno scherzo di cattivo gusto – disse supplichevole.

-         Ti assicuro che non è uno scherzo – replicò l’altro senza scomporsi.

-         Voi volete farmi morire – disse Sara alzandosi dal gradino – Io comincio ad avere una certa età! State cercando di farmi venire un infarto.

Remus ridacchiò ma non disse niente. Sara prese a camminare avanti e indietro nel vialetto davanti al numero 12, facendo scricchiolare la ghiaia sotto le scarpe da ginnastica.

Ci mancava solo quella!

Era già stato difficile riconciliarsi con l’idea che Sirius non fosse un criminale, ora doveva anche fare i conti con il ritorno alla vita di due amici morti quindici anni prima. Mentre camminava su e giù Sara avvertì una fitta allo stomaco molto diversa dalle semplici strette che aveva sentito durante la giornata.

Ecco, per completare il quadro ecco comparire la gastrite nervosa in tutto il suo splendore! Era un segnale pesante, un mal di stomaco così le veniva solo quando era davvero in preda al panico. Come diavolo poteva entrare in quella casa? Sembrava che tutto il suo passato di fosse radunato lì. Sara continuò a riflettere mentre camminava e Remus la lasciò fare, probabilmente sapeva che non era una notizia facile da digerire.

Alla fine la donna si fermò e scrutò la porta della casa con sospetto. Ormai era lì, non poteva più decidere di tornare indietro. Inspirò profondamente ed espirò tenendo gli occhi chiusi, cercando di recuperare un briciolo di autocontrollo.

-         Va bene – disse infine più a se stessa che a Remus – Andiamo.

-         Un’ultima cosa – aggiunse Remus – Nessuno sa della storia che c’è stata tra te e Sirius, tranne me, James e Lily. Per ora riteniamo sia più saggio che non si sappia, d’accordo?

Sara annuì, come in trance. Ci mancava solo questo a complicarle le cose.

L’uomo si alzò e aprì la porta con un colpo di bacchetta. Sara sentiva ogni muscolo ogni nervo del corpo in preda a una tensione mai provata prima; lo sforzo di tenersi in piedi e muovere qualche passo verso la casa sembrava disumano; senza rendersene conto cominciò a tremare. Quando varcò la soglia e si trovò nell’ingresso buio e polveroso del Quartier Generale sentì di aver oltrepassato un punto di non ritorno. Ora avrebbe dovuto semplicemente stare a vedere come si sarebbero messe le cose.

 

*^*^*^*^*

 

Remus era uscito da un pezzo per andare a prendere Sara e Sirius cominciava a domandarsi dove fosse finito. Forse lei non si era presentata e aveva deciso di non prendere parte all’Ordine. Ma no, non era possibile. Sara avrebbe voluto sicuramente aiutare Silente nella lotta contro Voldemort, non si sarebbe tirata indietro così. Ma forse non voleva incontrarlo, per questo aveva deciso di rifiutare.

Però ancora non sapeva se avesse rifiutato.

Sirius, che fino a quel momento aveva camminato avanti e indietro nella sua stanza, si fermò di fronte allo specchio appeso a una parete.

-         Smettila di fare così – disse severamente al suo riflesso – Sei patetico, piantala immediatamente!

Nelle ultime ore il desiderio di vedere Sara, di poterle parlare di nuovo, era diventato così intenso da tramutarsi quasi in un dolore fisico. Mentre cercava di calmarsi in vista della riunione Sirius decise che avrebbe visto Sara in ogni caso, se lei non avesse accettato di far parte dell’Ordine sarebbe andato a cercarla e le avrebbe parlato. Poteva anche essere che lei non volesse avere più niente a che fare con lui ma doveva almeno dargli la possibilità di spiegarsi.

Questa risoluzione ebbe un effetto calmante. Benché non fosse ancora perfettamente padrone di sé, almeno poteva arrischiarsi a tornare in cucina in compagnia degli altri. Un’ulteriore complicazione veniva dal fatto che non doveva tradire i suoi sentimenti davanti agli altri membri dell’Ordine. Solo James, Lily e Remus erano a conoscenza dei suoi trascorsi con Sara e per il momento era più prudente che le cose restassero così.

Quando arrivò al piano di sotto, trovò Molly e Lily che si affaccendavano ai fornelli per preparare il cibarie per la cena che sarebbe seguita alla riunione. Chissà se Sara si sarebbe fermata a cena? Bé non sapeva neppure se sarebbe andata alla riunione, era meglio pensare ad una cosa per volta.

James e Arthur intanto stavano sistemando la poca documentazione a proposito dell’Ufficio Misteri che l’Ordine aveva a disposizione. Il progetto di Voldemort di rubare la profezia a proposito di Harry stava procurando molti problemi all’Ordine, soprattutto perché avevano pochi mezzi per impedirlo. Avevano istituito dei turni di sorveglianza all’Ufficio Misteri per accertarsi che nessuno si avvicinasse alla profezia, ma era davvero troppo poco. Avrebbero dovuto controllare meglio gli ingressi, proteggerli in qualche modo, occorreva sapere chi e quando aveva accesso a quelle sale, tutte cose impossibili da sapere a quello stato delle cose. Non avevano neppure una pianta dell’Ufficio Misteri. Ma esisteva poi? Era tutto così segreto.

Queste riflessioni allontanarono per qualche istante i suoi pensieri da Sara, ma non appena Sirius colse lo sguardo apprensivo di James, la donna ricominciò prepotentemente ad occupare la sua mente.

Sirius si spostò dall’uscio della stanza e si mise ad aiutare James e Arthur, tanto per avere qualcosa da fare. Quando ebbero terminato si sedette accanto all’amico e si accese una sigaretta, procurandosi un’occhiataccia da Molly.

-         Come stai? – chiese amichevolmente James.

-         Bene – rispose, nonostante sentisse un pugno gelido stretto all’interno del petto – Sto bene davvero, James – aggiunse vedendo lo sguardo perplesso del suo interlocutore – La mia innocenza è stata finalmente dimostrata e i giornali non parlano d’altro, ho di nuovo il mio migliore amico, che cosa potrei chiedere di più?

James capì che Sirius non era in vena di parlare di Sara e lasciò perdere. Per questo Sirius gli fu immensamente grato. Era già sufficientemente difficile non riuscire a pensare ad altro, anche parlarne sarebbe stato davvero troppo.

Ad un tratto si udì il familiare scatto della porta d’ingresso. Sirius smise di respirare, potevano essere Remus e Sara? In quegli istanti di emozioni concitate l’uomo incrociò lo sguardo di Lily e il sorriso incoraggiante della donna lo rincuorò.

La cucina era seminterrata rispetto al piano della casa e per accedervi occorreva scendere una breve rampa di scale. Sirius tese spasmodicamente le orecchie: erano i passi di due persone che scendevano le scale e il suono prodotto dalla camminata di Remus era inconfondibile.

Sirius iniziò a tremare impercettibilmente e si aggrappo allo schienale della sedia che aveva davanti per evitare che gli cedessero le ginocchia.

Stava davvero per incontrare Sara.

 

*^*^*^*^*

 

Remus si premette un dito sulle labbra per indicare a Sara di fare silenzio. Lei fece un cenno d’assenso per dimostrare di aver capito, in ogni caso non sarebbe riuscita a emettere alcun suono. Ora non solo lo stomaco era contratto, ma anche la gola sembrava non rispondere a dovere ai comandi del cervello. La situazione rischiava di diventare imbarazzante.

Sara seguì Remus giù per una breve rampa di scale, in fondo alla quale c’era una semplice porta di legno. L’uomo la aprì per introdursi all’interno della stanza e, dopo il buio dell’ingresso, la luce proveniente dai candelabri alle pareti e dal caminetto abbagliò Sara, costringendola a stringere gli occhi.

-         Ciao ragazzi – salutò Remus.

Le voci che risposero al saluto erano così familiari da toglierle il respiro: la voce dolce di Lily, il tono sempre lievemente beffardo di James e soprattutto l’inconfondibile voce roca di Sirius. Il cuore di Sara batteva talmente all’impazzata che dovette controllarsi per non premersi le mani sul petto. Ad un tratto si rese conto che Remus la guardava invitandola a entrare. La donna fece un respiro, profondo quanto la sua ansia glielo concesse, e avanzò di qualche passo per entrare nella luce di quella che sembrava una grande cucina.

Quando trovò il coraggio per alzare gli occhi dal pavimento, il cuore che prima aveva rumoreggiato così intensamente sembrò fermarsi. Erano davvero loro, c’erano James, Lily e Sirius che la guardavano. Sara quasi non riusciva a respirare, figuriamoci a parlare. Ferma accanto alla porta fece scorrere lo sguardo da Lily, in piedi accanto a James, fino a Sirius.

Le bastò un sbirciata per vedere quanto era cambiato, era evidentemente segnato da tutte le disgrazie che avevano caratterizzato la sua vita, ma nell’occhiata che l’uomo le restituì Sara riconobbe il ragazzo di cui era stata innamorata e improvvisamente trovò impossibile sostenere il suo sguardo.

Sara guardò nuovamente Lily, era proprio lei non c’era dubbio. Capelli rossi, occhi verdi, viso innocente, quasi da bambina… ed era giovanissima. Sara si sorprese a pensare che adesso era lei quella più vecchia delle due.

La scena era bizzarra e stranamente immobile, la donna sapeva che era il momento di dire qualcosa, ma non aveva idea di che cosa. Per fortuna qualcuno che prima non aveva notato venne in suo soccorso spezzando la tensione del momento.

-         Signorina White! – esclamò una donna dai capelli rossi che fino a un attimo prima era stata rivolta verso i fornelli – E’ un vero piacere conoscerla, sono Molly Weasley – disse avvicinandosi per stringerle la mano.

Sara riuscì a riprendere un minimo di padronanza di sé, sufficiente a fare qualche passo e a stringere la mano alla donna. Ai margini del suo campo visivo avvertì il movimento di Lily che sussurrava qualcosa al marito e allo stesso modo percepì l’immobilità di Sirius che non smetteva i fissarla.

-         Piacere Signora Weasley – disse cercando di suonare naturale.

-         Mi chiami Molly, la prego Signorina White.

-         E allora lei mi chiami Sara – replicò l’Auror sciogliendo la tensione in un sorriso sincero, quella donna le era simpatica.

Arthur, che fino a quel momento era rimasto seppellito sotto il giornale, si unì alla moglie nel dare il benvenuto a Sara e Sirius li osservò con un misto di sollievo e invidia bruciante. Era sollevato perché grazie alla presenza dei Weasley Sara sembrava si stesse sciogliendo un po’, ma invidiava l’immediata confidenza che avevano acquistato con lei quando lui non era neppure riuscito a salutarla.

A Sirius era parso che il suo ingresso in cucina avesse illuminato la stanza ancor più di quanto facessero le candele. Non appena aveva varcato la soglia i suoi occhi erano stati completamente catturati da Sara e ancora non era riuscito a distogliere lo sguardo da lei. L’aveva pensata, l’aveva sognata ogni giorno senza eccezione negli ultimi quindici anni e ora era lì davanti a lui. Niente a che vedere con la visione fugace nel vicolo del Ministero, adesso poteva guardarla davvero. Osservò i lineamenti del volto: non erano cambiati poi di tanto, erano più adulti, forse un po’ più severi, ma si vedeva ancora la ragazzina che era in lei. E Sirius la trovava bellissima. Chissà che cosa pensava lei? Lui certo non somigliava più al ragazzo che era stato, non dopo tredici anni ad Azkaban. Forse lo trovava così cambiato da essere irriconoscibile. Sirius non avrebbe saputo dirlo, quando era entrata i loro occhi si erano incrociati per qualche istante ma Sara aveva distolto lo sguardo quasi immediatamente. E ora era stata monopolizzata dai Weasley.

-         Sa, signorina White – stava dicendo Arthur.

-         Sara – lo corresse gentilmente la donna che ancora sorrideva. Sirius non riusciva a capire come Arthur non fosse abbagliato da quel sorriso.

-         Sara – proseguì lui – mi ha messo davvero alle strette quando è venuta a chiedermi del topo di mio figlio.

-         Mi dispiace, non volevo metterla in difficoltà – rispose Sara.

Per Sirius udire quella voce che aveva amato così tanto era come sentire la musica più bella del mondo. Avrebbe voluto scavalcare il tavolo con un balzo, stringerla tra le braccia e implorarla di perdonarlo, ma non poteva farlo. Non poteva.

-         Arthur, puoi andare a vedere cosa fanno i ragazzi? Io devo scendere nello scantinato a controllare le provviste – disse Molly dopo qualche istante.

Non appena Molly e Arthur furono usciti dalla stanza Sara avvertì un movimento repentino e, prima che potesse rendersene conto, Lily le aveva buttato le braccia al collo e l’aveva stretta in un abbraccio stritolatore.

-         Oh Sara! Sono così felice di vederti! – esclamò la donna senza sciogliere l’abbraccio. Evidentemente aveva deciso di approfittare dell’attimo in cui non c’erano occhi e orecchie indiscreti.

-         Anche io sono felice di vederti! – esclamò Sara.

Aveva uno spaventoso nodo in gola, ma giurò a se stessa che non avrebbe pianto. Restituì l’abbraccio all’amica e, con il mento appoggiato alla sua spalla, lasciò vagare lo sguardo prima su James, che appariva divertito, poi su Sirius.

Ogni volta che si concedeva uno sguardo all’uomo sentiva una stretta allo stomaco. Osservandolo di sottecchi le parve che non fosse particolarmente contento, sembrava anzi rabbuiato quasi arrabbiato. Forse la sua presenza lo infastidiva.

Questo pensiero fece crescere il nodo che Sara sentiva premere in gola, ma ricacciò indietro le lacrime e si staccò da Lily. Tenendole le mani sulle spalle si costrinse a distogliere gli occhi da Sirius e a posarli sul viso dell’amica. 

-         E così… - iniziò a dire in evidente imbarazzo – siete qui. È, come dire, una sorpresa.

-         Hai reagito meglio di Sirius e Remus se è per questo – intervenne James ridacchiando – Loro quando ci hanno visti ci hanno legato come due salami.

-         Ma io ero preparata, Remus mi aveva avvertito. Se vi avessi incontrati senza neppure un minimo di preparazione avrei avuto una reazione decisamente peggiore.

Dopo questo scambio di battute scese un silenzio imbarazzato, rotto quasi immediatamente dal ritorno dei coniugi Weasley che annunciarono l’imminente arrivo degli altri componenti dell’Ordine della Fenice. Lily cominciò a tempestare Sara con un milione di domande e la trascinò a sedere ad un’estremità del tavolo. Era così strano parlare di nuovo con Lily, soprattutto dopo aver impiegato tanti sforzi per accettare l’idea della sua morte. Ma dopo appena pochi minuti di chiacchiere a Sara sembrava di aver parlato con Lily appena qualche giorno prima. Nonostante fosse molto presa dalla conversazione, Sara non poté esimersi dal notare che Sirius era seduto davanti a lei e i suo occhi vagavano verso l’uomo molto più spesso di quanto non fosse opportuno. Stava cercando con tutte le sue forze di comportarsi il più normalmente possibile, ma quasi nessun muscolo del suo corpo rispondeva correttamente ai comandi e doveva attuare uno sforzo di concentrazione per impedire alle mani di tremare e per non dimenticare di respirare.

Quando Lily aveva fatto accomodare Sara, Sirius si era seduto di fronte a lei con un gesto del tutto naturale. D’altronde quello era il posto che occupava sempre, all’angolo del tavolo più distante dalla porta, perché non avrebbe dovuto sedersi lì?

Sara stava parlando con Lily, Sirius supponeva che avessero molte cose da raccontarsi ma l’indifferenza che Sara stava mostrando nei suoi confronti non poteva che addolorarlo. Ma che cosa si era aspettato poi? Lily parve intuire il suo disagio e, approfittando della presenza di Molly, si allontanò dal tavolo per avvicinarsi nuovamente ai fornelli. Proprio mentre Sirius pensava che il silenzio imbarazzato tra lui e Sara fosse inevitabile, la donna alzò lo sguardo verso di lui e gli rivolse un sorriso caloroso. Sirius si sentì come se gli avessero svuotato il corpo di tutti gli organi e nonostante i pensieri funesti non poté fare a meno di restituire il sorriso a Sara. L’unica cosa che gli venne in mente di dire fu:

-         Ciao…

Banale, scontato. Forse anche un po’ stupido. Possibile che dopo quindici anni non avesse niente di meglio da dirle?

-         Ciao – rispose lei trasformando il sorriso caloroso in un sorrisetto sarcastico.

Teneva i gomiti appoggiati al tavolo e il mento appoggiato sulle mani e lo scrutava al di sopra della spessa montatura degli occhiali da vista. Ora che avevano iniziato a scalfire il ghiaccio Sara si rese conto che Sirius era imbarazzato almeno quanto lei. Bastò questa piccola consapevolezza a farla sentire in colpa. Sirius non avrebbe dovuto essere in imbarazzo, avrebbe dovuto essere arrabbiato con lei, lei che era stata la sua ragazza e non aveva creduto neppure per un secondo che potesse essere innocente, lei che l’aveva lasciato a marcire in prigione, lei che ci aveva impiegato quindici anni per farsi venire qualche dubbio.

E invece la guardava con le sopraciglia aggrottate e con quegli occhi incredibili carichi di aspettativa, come se temesse la sua reazione. Sara aveva talmente tante cose da dire che, in quel momento, non gliene venne in mente neanche una e rimase imbambolata a guardarlo.

Sirius a sua volta si domandava come fosse possibile che Sara riuscisse a tollerare di stare nella stessa stanza con lui, dopo tutto quello che le aveva fatto. Avrebbe voluto ringraziarla e chiederle scusa per tutto, ma non era un discorso che si sentisse di fare così davanti a tutti.

Mentre loro erano impegnati a non parlarsi, la cucina di Grimmauld Place si era pian piano riempita e i nuovi arrivati, seppur fingendo di essere impegnati in diverse conversazioni, osservavano Sara con un misto di curiosità a diffidenza. La donna li osservò a sua volta e realizzò con una certa sorpresa che conosceva diversi di loro.

C’era l’Auror dai capelli viola, Tonks, che Sara aveva incrociato diverse volte al Ministero. C’era Mundugus Fletcher, che in alcune occasioni era finito nella stanza degli interrogatori con Sara. Quando vide entrare un uomo di colore alto e imponente, Sara non riuscì a reprimere una risatina. E così Kingsley Shakelbolt faceva parte dell’Ordine! Questo spiegava diverse cose.

Udendola ridacchiare Sirius non riuscì a trattenersi dal chiederle:

-         Cosa c’è che ti fa ridere?

Sara sentì la ormai familiare stretta allo stomaco quando Sirius le rivolse la parola e, sperando di non apparire eccessivamente adorante, si voltò di nuovo verso di lui e rispose:

-         Mi sono sempre domandata per quale ragione un Auror preparato e abile come Shakelbolt fosse così a corto di idee da supporre che tu fossi in Tibet. Ora l’ho capito. Ha sempre lavorato per voi. Quindi è per questa stessa ragione che era così preoccupato quando lo hanno sollevato dal caso per affidarlo a me.

-         Esattamente – commentò Sirius senza dilungarsi. L’unica cosa che voleva era che Sara continuasse a parlare.

-         Francamente era una cosa che davvero non riuscivo a capire. Personalmente se mi avessero tolto dalle mani una simile gatta da pelare sarei stata solamente contenta – continuò sfoderando di nuovo il sorriso sarcastico.

La via dell’ironia aveva già funzionato una volta con Sirius, chissà che non funzionasse ancora.

-         Io non posso che essere felice che Kingsley sia stato sollevato da questa incombenza – replicò Sirius ridacchiando a sua volta. Poi, guardando Sara più intensamente, disse – Grazie.

-         Ho fatto solamente il mio dovere – minimizzò Sara sperando ardentemente di non arrossire.

Santo cielo, che fine aveva fatto il suo ferreo autocontrollo?

Persa negli stupefacenti occhi di Sirius, Sara aveva quasi dimenticato dove si trovasse e perché fosse lì. Aveva dimenticato persino che la sua migliore amica era tornata dal passato e se ne ricordò solo quando Lily si sedette accanto a lei. Nella cucina, eletta a Sala Riunioni, il brusio calò improvvisamente e Sara distolse riluttante lo sguardo da Sirius per verificare cosa avesse causato quel repentino cambiamento. L’ingresso di Silente aveva dato inizio alla riunione. Il Preside si sistemò al centro del lungo tavolo e abbracciò la congregazione con un solo sguardo limpido.

-         Buona sera a tutti – disse con la sua voce bassa e calma.

Sara aveva quasi dimenticato quale carisma emanasse Silente e quale potere avesse nel rapire il suo uditorio.

-         Benvenuta Signorina White. Sono contento che abbia deciso di unirsi all’Ordine – le disse con un sorriso.

-         Grazie a lei per avermi dato la possibilità di essere qui – rispose Sara.

-         Prima di cominciare con le novità vorrei farle un breve riassunto della situazione – continuò il Preside – Come immagino saprà all’Ufficio Misteri al Ministero della Magia sono conservati alcuni degli aspetti più segreti del mondo magico. A noi interessa particolarmente la Stanza delle Profezie. In questa stanza sono custodite le memorie di tutte le profezie sentenziate da che il Ministero esiste e fra queste ve n’è una che riguarda Harry Potter.

Sara ascoltava Silente sforzandosi di assorbire ogni minima informazione, ma le occorreva tutta la concentrazione di cui disponeva per non tornare a guardare Sirius.

-         L’autrice di questa profezia è Sibilla Cooman, l’attuale docente di Divinazione a Hogwarts. Sappiamo che Voldemort conosce parte del contenuto di questa profezia ed è estremamente interessato a conoscere il resto. Per questo attualmente uno dei nostri impegni principali è controllare che la profezia non venga rubata. A questo scopo abbiamo istituito dei turni di guardia.

Una profezia a proposito di Harry Potter. Sara moriva dalla voglia di sapere il contenuto della profezia, ma non si arrischiò a chiederlo. Magari più avanti…

Tonks estrasse dalla sua borsa una serie di fogli pieni di tabelle con giorni e orari, dovevano essere i famosi turni di guardia.

-         Al momento abbiamo qualche difficoltà a coprire certi orari – disse la ragazza porgendole le tabelle.

Sara le afferrò e, dopo essersi sistemata gli occhiali sul naso, iniziò ad esaminarle. Sirius era rapito dalla sua concentrazione, sembrava così… professionale. Una differenza abissale rispetto a pochi attimi prima, quando era così titubante e imbarazzata. In quel momento emanava sicurezza e autorità.

-         Non ho problemi per i turni di notte – disse infine Sara – tranne che in caso di qualche chiamata urgente. Per i turni di giorno mi posso organizzare.

Tonks si riappropriò delle tabelle e iniziò a completarle con il nome di Sara. Intanto Silente riprese a parlare:

-         Bene, possiamo procedere. Abbiamo novità sulle mappe dell’Ufficio Misteri?

-         Purtroppo no – rispose Kingsley – Sappiamo che ce n’è una sola copia, custodita nell’archivio privato del Ministro e quindi quasi inarrivabile. Non possiamo rischiare di chiedere un autorizzazione ufficiale, desteremmo troppi sospetti.

Mentre Kingsley parlava nella mente di Sara cominciò a delinearsi un piano.

-         Forse un modo per arrivare a quell’archivio c’è – disse quasi senza pensare.

Probabilmente stava esagerando, era l’ultima arrivata e non vedeva perché avrebbero dovuto darle retta, ma aveva agito d’impulso come avrebbe fatto con un qualunque caso ufficiale. Silente la invitò a continuare e lei si sentì rincuorata:

-         Nel mio ufficio ho ancora tutta la documentazione su… - esitò per un attimo, stava per dire sul caso Black ma non le parve opportuno - … sul mio ultimo caso – si risolse a dire infine – Potrei dire a Caramell che sarebbe più prudente custodirla nel suo archivio e andare a dare un’occhiata.

-         Se crede di poterlo fare senza compromettere la sua posizione potrebbe essere un’idea risolutiva – concordò Silente – ma la prego di non mettersi nei guai. Più persone ad alto livello abbiamo all’interno del Ministero meglio sarà per tutti.

-         Non si preoccupi – rispose Sara sfoderando il sorrisetto che riservava al suo Capo per convincerlo delle sue capacità.

Sirius era piuttosto sconcertato dalla piega che avevano preso le cose. Sara era nell’Ordine da meno di un’ora ed aveva già un ruolo attivo molto importante. Aveva sempre saputo che era intelligente, determinata, forte ma aveva un ricordo piuttosto netto di una Sara totalmente riluttante a mettersi al centro dell’attenzione e ora era esattamente quello che stava facendo.

Che cosa poteva averla cambiata a tal punto?

Da quel punto in poi la riunione proseguì come al solito e Sirius si lasciò distrarre più volte. I suoi occhi erano calamitati da Sara e, malgrado le raccomandazioni di mantenere la segretezza, non riusciva a controllarsi al punto da guadagnarsi alcune occhiatacce da Remus e una gomitata nelle costole da James.

Con Sara lì a Grimmauld Place la sua felicità era completa. Non poteva chiedere nient’altro.

Anche Sara faticava a mantenere l’attenzione sulla riunione dell’Ordine e alcune volte si sorprese a controllare se Sirius la guardasse. La presenza di Sirius l’aveva ritrasformata in un’adolescente incasinata. Com’era possibile?

A riunione conclusa i membri dell’Ordine si alzarono e si divisero in gruppetti per chiacchierare. Diverse persone andarono da Sara a presentarsi. La prima fu Tonks.

-         Ciao! – disse allegra – Non so se ti ricordi di me, sono Ninfadora Tonks.

-         Certo che mi ricordo, abbiamo lavorato insieme al caso Wittler. Quattro anni fa, esatto? – rispose Sara non del tutto conscia di tutti gli sguardi che erano puntati su di lei. L’unico sguardo che percepiva come se le bruciasse la pelle era quello di Sirius.

-         Impressionante! Ti ricordi tutti i casi che hai seguito? – domandò ammirata la giovane Auror.

-         Non proprio, ma di sicuro mi ricordo tutti quelli da cui ho imparato qualcosa – replicò Sara enigmatica.

Dopo Tonks andarono a salutarla Kingsley, i figli maggiori dei Weasley e persino Mundugus. Mentre tutti chiacchieravano amabilmente, come se fino a poco prima non avessero parlato del più pericoloso mago di tutti i tempi, Molly aveva ricominciato a preparare la cena.

-         Sara lei è dei nostri? – domandò Molly felice di avere qualcuno di nuovo da rimpinzare.

Sara stava per rispondere che si sarebbe fermata volentieri, soprattutto dopo aver visto lo sguardo di approvazione che Sirius aveva lanciato alla Signora Weasley, ma in quel preciso momento il suo cellulare prese a squillare insistentemente.

Sara tuffò una mano in tasca e ne estrasse un cellulare nero che aprì con uno scatto.

-         White – rispose secca allontanandosi un passo per sentire meglio il suo interlocutore.

Sirius osservò la fronte di Sara, prima distesa, contrarsi in un’espressione preoccupata. Le sopraciglia si aggrottarono e il sorriso che fino a poco prima aveva illuminato il suo volto scomparve.

-         Dannazione – disse la donna quando dall’altra parte della cornetta il suo interlocutore terminò di parlare – D’accordo arrivo subito.

Sara ripose il telefono in tasca e raccolse la sua borsa dal pavimento.

-         Mi dispiace – disse con sincero rammarico guardando Molly ma sbirciando Sirius – sarei rimasta davvero volentieri ma era il Ministero, devo andare.

Sirius era davvero deluso, avrebbe voluto avere ancora la possibilità di parlare con Sara da solo. Ma poi rifletté che ora che Sara faceva parte dell’Ordine della Fenice l’avrebbe vista spesso. Mentre la donna salutava e si avviava verso la porta della cucina, Sirius si alzò per accompagnarla. La seguì lungo le scale che portavano all’ingresso.

Sara si voltò verso di lui con un sorriso e lasciò che Sirius le tenesse aperta la porta. Non era ancora stata così vicino a lui e il suo battito prese ad accelerare pericolosamente. Il suo profumo caldo la investì mentre usciva nella sera e Sara fu sul punto di buttargli le braccia al collo. Fortunatamente riuscì a trattenersi e ad allontanarsi di un passo prima di tradirsi.

Sirius reagì all’allontanamento di Sara facendo un passo verso di lei e prendendole una mano.

-         Sono felice che tu sia qui – sussurrò.

-         Anch’io sono felice – rispose Sara quasi senza fiato. Era un sogno poter avere di nuovo Sirius così vicino, anzi era meglio di un sogno.

-         Tornerai? – chiese l’uomo con un’evidente ansia nella voce. Non era stata sua intenzione fare quella domanda, non voleva assillarla o rischiava di spaventarla, ma era stato più forte di lui.

-         Certo – rispose semplicemente Sara – Domani.

Rimasero fermi ad osservarsi, mano nella mano, lasciando vagare ognuno i propri occhi sul viso dell’altro. Una voce fastidiosa in un angolo del cervello di Sara le ricordò che doveva correre sulla scena di un crimine, ma per la prima volta in dieci anni di servizio Sara era riluttante a tornare al lavoro. Alla fine però riuscì a staccare gli occhi da quelli di Sirius, ritrasse la mano e si allontanò salutandolo con un sorriso.

Sirius chiuse l’uscio solo quando Sara fu fuori dalla sua vista. Rimasto solo si appoggiò alla porta e fece un respiro profondo per calmarsi prima di tornare in cucina. Ora la sua felicità era perfetta: aveva la sua libertà, aveva James e Lily e ora aveva anche Sara, che l’indomani sarebbe tornata a Grimmauld Place.

Mentre scendeva i gradini per tornare con gli altri, Sirius pensò con un sorriso che domani non sarebbe arrivato sufficientemente presto.       

   

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Capitolo 16
*** Avviso ai lettori (vecchi e nuovi) ***


Avviso ai lettori:
Non so se c'è ancora qualcuno di voi che controlla per eventuali aggiornamenti della mia storia, è passato talmente tanto tempo!
Nel caso vi comunico che la sto rimaneggiando e continuando. Presto riprenderò la pubblicazione!!!

Eneria

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Capitolo 17
*** XV nuova versione ***


Per i lettori: come canterebbe il Genio della lampada di Aladino, "Sia lode agli eroi trionfatoriiiii!". Finalmente sono riuscita a completare la riscrittura di questo maledetto capitolo 15, che mi ha dato tanti problemi. Dunque... funziona così. Fino al capitolo 14 ho rivisto e corretto alcune cose, ma la sostanza è rimasta all'incirca invariata. Siccome però il vecchio capitolo 15 mi pareva troppo precipitoso, ho deciso di riscriverlo e questa è la nuova versione. Spero che vi piaccia. Aspetto commenti!!!
Buona lettura e grazie per l'infinita pazienza!


XV

 
In seguito a recenti indagini e accertamenti, è emerso che Sirius Black, ricercato di categoria prioritaria, è stato ingiustamente detenuto e
 
Con la presente si comunica alle autorità competenti che le ricerche dell’evaso Sirius Black sono sospese, in quanto
 
È stato recentemente accertato che Sirius Black, evaso dal carcere di massima sicurezza di Azkaban, non è colpevole dei crimini che gli sono stati attribuiti. In ragione di questo
 
Sara abbandonò la testa sulla scrivania. Era la terza volta che scriveva e poi cancellava il comunicato per le autorità babbane a proposito dell’innocenza di Sirius Black. Il Ministero Babbano e Scotland Yard dovevano essere informati, ma Sara non riusciva a trovare le parole giuste. Probabilmente non era nello stato d’animo adeguato per scrivere quel comunicato, in quel momento provava talmente tante emozioni contrastanti che la maggior parte delle sue energie era concentrata a dipanare quella matassa.
Era certamente felice di aver finalmente scoperto la verità su Sirius e sull’assassinio di Lily e James, era soddisfatta di aver portato a conoscenza del mondo magico questa verità, ma c’era dell’altro. Queste belle sensazioni erano venate di amarezza e di rabbia. Continuava a chiedersi ossessivamente perché nessuno le avesse mai raccontato nulla di tutto questo. Se avesse saputo forse avrebbe potuto dimostrare prima l’innocenza di Sirius. Forse.
Per di più si sentiva vuota e senza scopo, come se avesse esaurito la missione per cui si era preparata durante tutti quegli anni. Non sapeva che cosa fare, che direzione far prendere alla sua vita. Si era aspettata, forse erroneamente, un segno, un cambiamento di qualche tipo, qualcosa che le desse un suggerimento. Ma a due giorni dal processo si trovava nella più completa impasse.
Passandosi le mani sul volto, Sara cercò di recuperare un po’ di lucidità e di concentrazione per terminare il comunicato, ma un leggero bussare alla porta la distrasse nuovamente.
-          Avanti – disse stancamente. Dalla porta fece capolino Olga, la più giovane componente della sua squadra, nonché l’unica altra donna. Per lo meno non erano di nuovo giornalisti decisi a strapparle un’intervista sul caso Black.
-          Ciao capo, scusa se ti disturbo. Hai un momento? Dovrei parlarti…
Olga pareva estremamente seria e vagamente a disagio. Sara la invitò ad entrare e la fece accomodare in una delle due sedie sistemate davanti alla scrivania.
-          Ascolta, non ho voluto parlartene prima perché sapevo che avevi altre cose per la testa ma… Beh, prima o poi devo dirtelo quindi tanto vale che sia prima.
Olga pareva veramente in imbarazzo, si torceva le mani in grembo e guardava ovunque tranne che verso Sara, come se dovesse comunicarle qualcosa di spiacevole.
-          Olga, c’è qualcosa che non va? – chiese la donna sinceramente preoccupata.
-          No, no va tutto bene. Davvero. Solo che quello che devo dirti non ti piacerà – la ragazza prese un respiro profondo prima di continuare, poi disse – Sara, sono incinta e io e Adam abbiamo deciso di sposarci.
Dopo di che la ragazza trattenne il fiato attendendo una reazione. Sara rimase per qualche istante pietrificata. Quella si che era una notizia ed era anche un bel problema. Olga aveva appena raggiunto il grado ottimale di competenza nel suo lavoro ed ecco che doveva essere sostituita. Sara non si sarebbe mai e poi mai sognata di lasciare in servizio attivo una donna incinta, era troppo pericoloso. Un conto era rischiare la vita di un’Auror, un altro era rischiare quella di una madre e di suo figlio.
Cercò di ricomporsi abbastanza da non essere scortese, poi disse:
-          Allora credo di doverti fare le mie congratulazioni - la voce era amichevole, ma l’espressione del viso mal si accordava con le parole.
-          Lo so, Sara. So cosa pensi del matrimonio e dei figli per un Auror, però ti giuro che non era programmato. È successo e basta. Non vorrei crearti problemi, ma mi pareva corretto informarti.
Rendendosi improvvisamente conto di essersi comportata da egoista, Sara scosse il capo e rispose:
-          Non ti preoccupare. È solo che è stata una notizia… improvvisa. Ma non c’è nessun problema. Posso assegnarti al lavoro d’ufficio fino a quando non nascerà il bambino e poi, quando deciderai di tornare, se deciderai di tornare, il tuo posto sarà qui ad aspettarti.
-          Allora non… non sei arrabbiata?
Sara si alzò dalla sedia e aggirò la scrivania per andare ad abbracciare Olga. In fondo la sua squadra era come una famiglia.
-          Non sono arrabbiata, sono molto felice per te! Davvero! – disse con il sorriso più ampio che le riuscì di mettere insieme.
Olga, visibilmente sollevata, ricambiò l’abbraccio poi uscì dall’ufficio per tornare al suo lavoro. Sara tornò a sedersi e si prese la testa tra le mani. Aveva desiderato dei cambiamenti? Eccoli serviti su un piatto d’argento.
 
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-          Perché dovrebbe essere un problema ammettere Sara a far parte dell’Ordine? Tutti voi avete appena ammesso che un’Auror nella sua posizione potrebbe fornire un apporto fondamentale!
-          Lily, non abbiamo idea se possiamo fidarci di lei. È molto vicina al Capo del Dipartimento degli Auror e al Ministro. Come facciamo a credere a quello che dice? Come possiamo sapere che non passerà informazioni su di noi al Ministero?
-          Ma andiamo Kingsley! – replicò Remus mentre Lily scuoteva la testa arrabbiata – Ha appena scagionato Sirius Black, ricercato numero uno da due anni, quando Caramell sosteneva che era il basista dei dieci Mangiamorte evasi. Non penso che Caramell avesse questo in programma quando ha deciso di sollevare te dal caso. Non credi che sia perlomeno infastidito?
-          Chi può sapere con certezza perché la White abbia agito in questo modo? – riprese Kingsley senza smuoversi dalla sua posizione – Magari vuole convincerci a fidarci di lei per poi consegnarci al Ministro.
La discussione andava avanti su questi toni da almeno un’ora, dal momento in cui Silente, al termine della riunione, aveva sollevato la questione se coinvolgere Sara White nell’Ordine della Fenice.
Quando aveva saputo delle intenzioni di Silente, Sirius aveva sentito immediatamente nascere una folle e irragionevole speranza che lei, dopo tutto, potesse non odiarlo in modo irreparabile. Subito a seguire era venuto il panico: se davvero l’avesse rivista, come avrebbe dovuto comportarsi? Tuttavia non sembrava che l’arrivo di Sara a Grimmauld Place si sarebbe concretizzato molto presto. Quella discussione tra il partito pro e il partito contro poteva durare all’infinito.
Solo poche ore prima, Silente era arrivato a Grimmauld Place per discutere con Lily, Sirius, James e Remus e li aveva riuniti nel salotto al primo piano. Aveva annunciato loro l’intenzione di chiedere, durante la riunione di quella sera, se l’Ordine fosse d’accordo ad ammettere Sara White. Lily e Remus erano stati immediatamente entusiasti dell’idea, mentre Sirius era troppo stordito dalla sequenza di eventi degli ultimi due giorni per reagire in modo coerente anche a questa notizia.
Di comune accordo avevano deciso che sarebbe stato meglio, almeno all’inizio, tenere nascosti all’Ordine i precedenti di Sara e Sirius. Avrebbero semplicemente comunicato che Sara e Lily si erano conosciute ad Hogwarts, senza specificare quanto profonda fosse stata la loro amicizia.
Così, mentre gli altri discutevano animatamente, Sirius si teneva fuori dal dibattito, fingendo che l’esito della discussione non gli interessasse. In realtà aveva l’impressione che, se avesse potuto raccontare quello che sapeva di Sara, che persona fosse in realtà, molti scettici si sarebbero convinti. Ma Silente era stato categorico. Mantenere il riserbo.
Dopo aver ascoltato l’opinione di tutti coloro che avevano voluto esprimerla, Silente alzò una mano per tacitare le proteste:
-          Signori, mi sembra di comprendere che non tutti siano d’accordo sul metter a parte la signorina White dei nostri piani. Fino a quando tutti non saremo d’accordo non possiamo muovere passi in questa direzione. È essenziale che tra i membri dell’Ordine ci sia la massima fiducia – ignorando alcuni mormorii di dissenso, Silente proseguì – per questo vi propongo questa soluzione. Faremo in modo che Ninfadora affianchi la signorina White nel suo lavoro allo scopo di raccogliere maggiori informazioni sul suo conto.
Un silenzio assorto e pensoso accolse la proposta, silenzio che fu interrotto dalla stessa Tonks:
-          Per me va bene, ma come suggerisce di avvicinare Sara White?
-          Sono certo che riflettendo troveremo un modo – replicò Silente sorridendo con gli occhi da sopra gli occhiali a mezza luna.
 
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Dopo aver rinunciato a scrivere il comunicato per Scotland Yard, Sara aveva iniziato a riflettere sul problema. Non poteva lasciare che Olga continuasse a lavorare, ma non poteva neppure caricare Frank e Roger di ulteriore lavoro. L’unica soluzione era addestrare qualcuno che potesse sostituire Olga temporaneamente. E chissà che non potesse diventare un membro permanente della squadra.
Dopo aver preso la decisione, fu un attimo comunicare le sue intenzioni al Capo e alla squadra stessa. Entro sera l’intero Dipartimento era a conoscenza della modalità per presentare la richiesta.
Sara non era mai felice quando doveva addestrare qualcuno. Fino a pochi anni prima era stata Auror Guida, adibita all’addestramento delle reclute dell’Accademia in aggiunta alle mansioni ordinarie, ma, appena aveva potuto, aveva lasciato quell’incarico. Era sempre in difficoltà quando doveva rapportarsi alle reclute. Da un lato non avrebbe voluto essere dura con loro, dall’altro però sapeva che, affinché imparassero qualcosa, non aveva alternative che mostrarsi dura e implacabile.
Sara diceva spesso che il compito di un Auror Guida era assicurarsi che le reclute arrivassero vive al termine del primo anno. Un solo errore poteva costare la vita anche ad Auror esperti, per le reclute era ancora peggio, perché uscivano dall’Accademia convinti di sapere tutto e invece non sapevano assolutamente niente del mestiere.
Adesso si trattava solo di avere pazienza, aspettare i colloqui e sperare che si presentasse qualcuno anche solo vagamente competente.
 
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Quella stessa sera, a Grimmauld Place, Tonks si presentò a cena con un’aria quanto mai soddisfatta. Sirius si chiese vagamente a cosa potesse essere dovuta ma, prima che potesse fare domande, la ragazza informò tutti che aveva trovato un modo per avvicinare Sara White.
-          È una notizia fresca di oggi pomeriggio. Pare che Olga, la collaboratrice di Sara, sia incinta e per questo verrà assegnata al lavoro d’ufficio. Sembra anche che la White abbia chiesto al Capo di poter inserire qualcuno nella squadra in sostituzione di Olga. Se Silente è d’accordo pensavo di propormi per il posto. Sarebbe il modo perfetto per saperne di più su di lei!
La notizia suscitò in Sirius il solito miscuglio di sensazioni contrastanti. Una parte di lui era affamata di informazioni su Sara, voleva sapere il più possibile e non gli importava la fonte delle notizie. Un’altra parte di lui invece detestava profondamente l’idea di imbrogliare Sara. Non se lo meritava. Non le aveva dato fiducia, quando invece ne avrebbe avuto tutto il diritto. Aveva dovuto scoprire la verità nel modo più difficile, districandosi tra menzogne e sotterfugi. E adesso continuavano a ingannarla, a usarla senza dirle esattamente come stavano le cose. Non era giusto, non era corretto. Sirius credeva che ogni bugia e ogni raggiro in più, assottigliassero sempre di più le probabilità che Sara decidesse di unirsi all’Ordine. Ma nessuno, a parte Remus e Lily, sembrava condividere la sua opinione. Tutti volevano prove per potersi fidare di Sara, ma come avrebbe potuto lei fidarsi di loro?
 
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Erano passate solo poche ore dall’annuncio che l’Auror Capo White stava cercando qualcuno per la squadra e la donna si era presa giusto il tempo di andare a casa per una doccia e una dormita. Impalata sulla porta del suo ufficio, una tazza di caffè in una mano, gli occhiali da sole scivolati sulla punta del naso e la bocca aperta per lo stupore, Sara osservava la scrivania: era letteralmente seppellita sotto plichi e plichi di carta.
-          Shiraaaa! – strillò Sara ancora ferma sulla porta.
La ragazza arrivò con tutta la rapidità che le consentivano i tacchi vertiginosi e si fermò accanto a Sara con un sorriso.
-          Che cos’è tutta questa roba? – domandò alla ragazza sgranando gli occhi.
-          Sono le domande per il posto nella tua squadra! – rispose semplicemente Shira.
-          Tu… tutte quante?
-          Si, tutte quante – confermò semplicemente sventolando una mano - Le ho trovate sulla mia scrivania questa mattina e ho pensato di metterle qui.
Orripilata, Sara congedò Shira e poi si mise a cercare una superficie libera su cui appoggiare il suo caffè. Sembrava che Shira avesse utilizzato ogni spazio a disposizione.
A malincuore Sara si sedette e attaccò la prima colonna di domande. Il volume di carta era così spropositato perché ogni Auror aveva inserito le valutazioni di Hogwarts e dell’Accademia, le relazioni sui casi risolti, attestati, note di merito, referenze e raccomandazioni. Lei si era limitata a chiedere un curriculum con nome e cognome e qualche informazione di base!
Olga, Frank e Roger, che dovevano aiutarla a vagliare le domande per decidere chi ammettere al colloquio, la trovarono che si aggirava per l’ufficio suddividendo le domande.
-          Qual è il criterio di suddivisione? – domandò Roger sollevando davanti agli occhi la prima pagina del plico più vicino a lui.
-          Sto dividendo le domande in base al numero di pagine. Quelle oltre le dieci pagine non le prendo nemmeno in considerazione.
-          Eppure sembrano essere le più divertenti – disse Frank, che armeggiava intorno alla colonna più voluminosa – Senti questo: ottima conoscenza delle procedure ministeriali, MAGO di massimo livello in Trasfigurazione, Incantesimi, Pozioni, Difesa contro le Arti Oscure, Erbologia, Divinazione, Babbanologia, Astronomia, Cura delle Creature Magiche, Antiche Rune, Aritmanzia. Diplomato all’Accademia degli Auror con il massimo dei voti. Giudicato dal professor Purdy il miglior studente che abbia mai avuto.
-          Se è tutto vero ha preso perfino più MAGO di Sara – commentò Roger.
-          Come mai non abbiamo conosciuto prima questo genio? Dove è stato tutto questo tempo? – disse ironica Olga – Comunque possiamo sempre chiedere informazioni a questo professor Purdy…
-          Che è morto l’anno scorso dopo lunga e onorata carriera – disse Sara.
Dopo che la risata generale si fu placata, tutti si misero al lavoro ed entro l’ora di pranzo avevano selezionato una trentina di domande che sembravano promettenti: niente meriti esagerati, buone competenze, ottimi risultati negli studi e sul campo, pochi fronzoli. Sara avrebbe preferito scegliere una donna per l’incarico, per mantenere inalterati i rapporti all’interno della squadra, ma se non fosse stato possibile avrebbe dovuto accontentarsi.
Con l’aiuto dei ragazzi e di Olga, il lavoro di lettura delle domande si era rivelato molto più piacevole e molto più breve del previsto. Nel pomeriggio inviarono una lettera ai candidati migliori, per comunicare l’orario del colloquio, che si sarebbe tenuto il giorno seguente.
Il giorno dopo, all’ora stabilita, una lunga fila di Auror nervosi e con le mani sudate si dipanava dall’ingresso della sala riunioni del Dipartimento.
Capire se una persona fosse adatta o meno a un incarico in dieci minuti di colloquio non era impresa semplice, soprattutto se i candidati si comportavano tutti come tanti soldatini di latta, rigidi e impersonali.
Sara, dopo le prime domande di rito sugli studi, l’esperienza lavorativa e gli interessi, faceva a tutti alcune domande specifiche sulle indagini. Per la maggior parte le risposte erano desolanti. Possibile che non ci fosse un solo Auror dotato di un po’ di fantasia?
Quando Ninfadora Tonks si presentò al colloquio, un campanello d’allarme suonò nella testa di Sara. Da quando l’aveva vista scambiarsi occhiate furtive con Shakelbolt fuori dall’aula del tribunale, non aveva smesso di arrovellarsi sulla questione. Finalmente, leggendo la scheda personale di Tonks, Sara capì perché quel nome le fosse familiare: era la figlia di Andromeda, la cugina di Sirius e lui aveva nominato spesso la cugina e suo marito, Ted Tonks.
Era un caso che lei si presentasse per quel posto proprio in quel momento? O c’era sotto dell’altro? Ma la domanda vera era: se c’era sotto dell’altro, come fare per scoprirlo?
La ragazza sembrava molto nervosa, mentre si sedeva al centro del tavolo della sala riunioni, esattamente di fronte a Sara, che la osservava con un sopraciglio sollevato.
-          Buon giorno, sono Ninfadora Tonks – si presentò.
-          Buon giorno – rispose Sara – Se per lei va bene salterei i convenevoli. So dalla sua scheda che il suo operato al Ministero è ottimo. Vuole dirmi perché ha scelto di presentarsi per questo incarico?
Sara si preparò a sentire la solita tiritera. “Vorrei questo incarico per imparare”. “Vorrei questo incarico per crescere professionalmente”. “Ho sempre desiderato lavorare con la sua squadra”. La solita broda da leccapiedi.
-          Trovo che sia una opportunità unica per imparare aspetti nuovi del mio lavoro e…
-          Eccoci – mormorò Sara a mezza voce mentre Tonks continuava il suo discorso.
Probabilmente la ragazza notò lo sguardo esasperato dell’Auror Capo, perché a un tratto si interruppe.
-          …a dire il vero, ci sarebbe anche un'altra ragione.
Il tono della ragazza incuriosì Sara, che si voltò verso Frank e Roger, posizionati alla sua sinistra, con uno sguardo interrogativo. Con un gesto della mano invitò Tonks a continuare.
-          Ho fatto una scommessa con un collega dei Tiratori Scelti. Non credeva che avrei avuto il coraggio di presentarmi per questo lavoro.
-          Il coraggio? – domandò Sara incredula – E’ una sostituzione per maternità, non una condanna a morte.
-          No, non è una condanna a morte… magari ai lavori forzati.
Frank e Roger scoppiarono a ridere di gusto, mentre Olga si limitò a sorridere voltandosi dall’altra parte.
Alcune ore dopo, terminati i colloqui, Sara decise di parlare separatamente con Olga, Roger e Frank per conoscerne le opinioni.
-          Non saprei davvero – disse Parker grattandosi un sopraciglio – Sembra strano dover scegliere qualcuno per sostituire Olga. E so perfettamente che non riusciremo a trovare qualcuno che lavori bene quanto lei.
-          Non possiamo aspettarci un clone di Olga – replicò Sara stringendosi nelle spalle – però qualcosa dobbiamo fare. C’è troppo lavoro e in tre non riusciremmo a portarlo a termine.
-          Proprio dovendo scegliere, esclusi gli uomini, la più adatta mi sembra l’Auror Tonks. La Willis è troppo insicura e la Bedfield troppo arrogante. Tonks potrebbe essere abbastanza sveglia da imparare in fretta.
Roger e Olga avevano espresso pareri simili e avevano individuato in Tonks la migliore candidata. Sara dal canto suo era disposta a correre il rischio si ammettere in squadra la cugina di Sirius, pur di sapere se questo desiderio di lavorare in squadra era frutto del caso.
Presa la decisione, Sara compilò tutti i moduli necessari e li portò al Capo, che era barricato nel suo ufficio dietro una scrivania carica di scartoffie. Quando la vide entrare, sollevò lo sguardo.
-          Altra carta, meraviglioso – commentò sarcastico, indicando a Sara la pila dove depositare i documenti – A proposito, White. Quest’anno non potrà scamparsela.
-          Di cosa sta parlando? – domandò la donna, senza capire.
-          Le reclute. Negli ultimi anni si è rifiutata di ammettere le reclute nella sua squadra, ma quest’anno dovrà sceglierne almeno due. Sono stato chiaro?
Sara non poté fare a meno di pensare “Attenta a quello che vuoi ragazzina, perché tu certamente lo otterrai”. Altri cambiamenti in arrivo. Evviva.
Uscita dall’ufficio del Capo, con la testa piena di preoccupazioni su quanti problemi le avrebbero dato le nuove reclute, Sara si diresse a passo di marcia verso il cubicolo di Ninfadora Tonks. Si affacciò oltre la parete e disse seccamente:
-          Cominci domani. Ti aspetto qui alle sei.
Senza aggiungere altro si allontanò con un mezzo sorriso dipinto sul volto. In fondo un po’ di divertimento nel maltrattare le reclute si poteva trovare.
 
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-          Ce l’ho fatta!
Fu la prima cosa che Ninfadora strillò entrando nella cucina di Grimmauld Place quella sera.
-          Comincio domani alle sei.
-          Del mattino? – domandò Sirius incredulo mentre rimestava in un paiolo posto sul fuoco.
Ora che la sua innocenza era stata provata e riconosciuta, Molly aveva deciso che non c’erano più ragioni per essere depresso, taciturno, intrattabile e poco collaborativo; così l’aveva messo al lavoro. Dal canto suo, Sirius non trovava più quella casa così deprimente, ora che non era più una prigione, e l’idea di renderla meno cupa era davvero allettante.
-          Si, alle sei del mattino – confermò Tonks – Me lo aspettavo. Dicono che il primo test per i nuovi arrivati sia una prova di resistenza.
-          Con Miss-dormo-due-ore-per-notte-e-sono-fresca-come-una-rosa? Sarà un gran divertimento – commentò Kingsley sarcastico.
-          Proprio non riesci a fartela piacere Sara, vero? – intervenne Lily, che stava sbucciando delle patate.
-          Non è che non mi piaccia – rispose l’Auror – È un’ottima Auror, ma non riesco a fidarmi. Stiamo mettendo Tonks nelle sue mani come se niente fosse. Potrebbe essere in combutta con il Ministro, potrebbe addirittura essere una Mangiamorte e avere chissà quale piano.
-          Kingsley, ancora! Ne abbiamo già parlato. Sara non può essere una Mangiamorte – disse Lily accalorandosi.
Sirius rimase voltato a fissare il paiolo in cui stava mescolando, cercando di mantenere la sua espressione imperscrutabile, lasciando che Lily e Remus si occupassero della difesa di Sara. 
 
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Mentre cercava per l’ennesima volta di spiegare a un cocciuto collega che le impronte digitali di un incensurato non potevano in alcun caso trovarsi nei fascicoli del Ministero e che quindi le impronte trovate sulla sua scena del crimine erano, per il momento, inutili, Sara osservava Ninfadora Tonks con la coda dell’occhio. L’Auror era intenta a pulire meticolosamente i banconi del laboratorio e Sara poteva vederla attraverso le vetrate.
Da quando, quasi una settimana prima, Tonks aveva iniziato a lavorare con la squadra, Sara aveva cercato di mettere alla prova i suoi nervi, la sua pazienza e il suo orgoglio, come faceva sempre con le reclute.
Il primo giorno avevano trascorso la mattinata in laboratorio, dove Sara le aveva spiegato le procedure e le analisi di base che eseguivano sui diversi campioni. In pausa pranzo Tonks era tornata alla sua scrivania e Sara l’aveva vista scrivere furiosamente su un quaderno; probabilmente prendeva appunti per non dimenticare niente.
Al pomeriggio le aveva affidato il compito più noioso che le era venuto in mente: l’inventario dei materiali. La giovane però non aveva battuto ciglio, si era messa di buona lena a lavorare e alle nove di sera si era presentata da Sara con l’inventario completo tra le mani.
Il giorno seguente, convocata di nuovo alle sei del mattino, Tonks fu messa alla prova sulle analisi che Sara le aveva spiegato il giorno prima. Ancora si applicò al compito affidatole senza chiacchiere, senza proteste e facendo tutto molto bene.
Sara la osservava con un mezzo sorriso, domandandosi se tutto questo zelo fosse reale o simulato. Ma il trial non era finito qui. Nei giorni seguenti Sara le affidò prima il compito di riordinare tutte le carte dei casi risolti, ma non ancora archiviati, poi le affidò la pulizia del laboratorio.
Terminato di discutere con il collega cocciuto, Sara si avvicinò alla porta del laboratorio. Era il momento di lasciarle intendere che aveva superato la prova.
-          Tonks.
-          Sì? – disse la ragazza emergendo dalle profondità di un armadietto con uno straccio in mano.
-          Vieni a pranzo con noi?
La ragazza si aprì in un sorriso e annuì.
 
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La biblioteca di famiglia stava dando a Sirius qualche grattacapo. Era situata in una delle grandi stanze al primo piano della casa, al di sotto di quella che era stata la camera da letto dei genitori. La stanza era polverosa e buia, ma probabilmente sarebbe bastato dare una bella pulita ai vetri colorati delle finestre per renderla immediatamente più luminosa. Tutte le pareti erano tappezzate con pesanti scaffalature di legno scuro e ogni spazio, anche il più piccolo, era occupato da libri, vecchi giornali e dai quaderni che suo padre aveva compilato diligentemente per tutta la vita.
In piedi al centro della stanza, Sirius si stava grattando la testa, incapace di decidere cosa fare di tutta quella roba. I volumi, un tempo di gran pregio, erano malconci e richiedevano interventi radicali per poter essere salvati. D’altra parte mettere le mani tra quei libri poteva riservare brutte sorprese. Molti erano dedicati alle Arti Oscure e spesso suo padre aveva camuffato gli scritti più compromettenti utilizzando copertine di noiosi libri di storia o Antiche Rune.
Sirius teneva pochissimo a preservare gli averi della famiglia Black e, in un momento di scoramento, aveva addirittura proposto di buttare via tutto quanto, ma non ne aveva avuto il coraggio. Quando l’aveva accennato, Hermione era rimasta tanto scandalizzata e terrorizzata da finire quasi in lacrime alla prospettiva e anche Remus era visibilmente impallidito. Per mesi Sirius aveva rimandato la decisione, ma adesso era il momento di decidere e lui non aveva nessuna voglia di mettere le mani in quel disordine muffito.
-          Speri che fissandoli a lungo, questi libri scompaiano?
La voce di James raggiunse Sirius dal vano della porta. Evidentemente non l’aveva sentito entrare.
-          Sto cercando di decidere come fare per farli sparire senza che Remus se ne accorga. Dici che potrei buttarli un po’ per volta nel cassonetto in fondo alla strada? Magari nottetempo, col favore delle tenebre…
James sorrise ma non rispose e prese a sua volta a guardare i libri allineati alle pareti.
-          Probabilmente – disse dopo qualche tempo – una volta ripuliti potresti ricavarci qualcosa vendendoli. Se proprio non li vuoi tenere, almeno puoi cercare di guadagnarci.
-          L’idea di mettere in circolazione tanti testi sulle Arti Oscure non mi entusiasma, ma probabilmente hai ragione. È sempre meglio che darli alle fiamme, devo solo aspettare un momento più propizio. Eri venuto qui per parlare di libri? – domandò poi Sirius.
-          In realtà ero venuto a chiamarti, è arrivata Tonks. Vuoi sentire gli ultimi aggiornamenti?
Sirius si irrigidì impercettibilmente ma James, che lo conosceva bene, se ne accorse ugualmente.
-          Non credo sia nulla di sostanziale, ma pensavo ti avrebbe fatto piacere avere… notizie di prima mano.
Anche Sirius conosceva bene James e non gli sfuggì la sfumatura sarcastica della sua voce.
-          Dimmi la verità – disse voltandosi verso l’amico – tu la pensi come Kingsley?
-          No! – si schermì James sollevando le mani – Però – aggiunse dopo un attimo di esitazione – sono preoccupato per te.
-          Per me? – esclamò Sirius – Non temere, se non sono ancora diventato matto, non lo diventerò più, credimi!
-          Non è questo, è solo… Sirius, non vorrei che restassi deluso. Io e Sara non siamo mai andati molto d’accordo, è vero, però me la ricordo bene e la donna di cui sento parlare in questi giorni mi sembra incredibilmente diversa.
-          Hai paura che mi faccia delle illusioni e che resti scottato – disse Sirius semplicemente.
-          Sì.
Non che Sirius non avesse preso in considerazione la cosa. Lui stesso ci aveva pensato e ripensato. Ma aveva deciso che preferiva restare terribilmente deluso, piuttosto che continuare questa estenuante altalena. Sospirando, Sirius si voltò nuovamente verso i libri.
-          Domani comincerò a dare un’occhiata a tutta questa roba. Ora andiamo a sentire le ultime novità.
 
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Mentre sbocconcellavano panini, preparati dalle abili mani di Lucilla, il telefono cellulare di Sara prese a squillare. Anche il Ministero aveva dovuto cedere e adeguarsi alle tecnologie Babbane di comunicazione, molto meno vistose di gufi e civette e sicuramente più pratiche degli aeroplanini di carta, che andavano a meraviglia per le comunicazioni interne, ma creavano spiacevoli inconvenienti per le comunicazioni esterne, soprattutto se ti raggiungevano in una strada affollata o mentre eri in coda al supermercato.
-          White… Sì… No, ho finito… Dove? …e quanto tempo fa? D’accordo. Arriviamo subito.
Quando ebbe interrotto la comunicazione e ingoiato l’ultimo boccone di panino, Sara spiegò brevemente il contenuto della telefonata.
-         Omicidio, la vittima è un mago ma vive in un quartiere Babbano. Voi tornate al Ministero – disse rivolta a Olga e Roger – Andremo io, Parker e Tonks. Prima scena del crimine con la nuova squadra – disse poi a Tonks – nervosa?
-         No – rispose sinceramente la ragazza.
-         Bene. Hai problemi con i cadaveri in avanzato stato di decomposizione?
-         No – disse ancora, questa volta un po’ meno sinceramente.
Sara non mancò di notare l’occhiata che Tonks aveva lanciato ai resti del suo pranzo, forse rimpiangeva di averlo consumato. Bé, qui non si trattava più di metterla alla prova, bisognava lavorare sul serio.
Dopo aver fatto tappa al Ministero per prendere le necessarie attrezzature, Sara, Frank e Tonks si avviarono verso uno dei tanti quartieri residenziali ai bordi di Londra. Le automobili di Scotland Yard erano ferme davanti ad una piccola abitazione a due piani, assolutamente identica a tutte le altre nella via, insieme ad una ambulanza e ad un veicolo dei Vigili del Fuoco.
-          Fantastico – commentò Frank – Abbiamo un sacco di compagnia.
Fermarono l’auto a pochi passi dalle altre e, non appena scesi, furono accolti da un agente che sembrava più anziano, più nervoso e più irritabile di tutti gli altri.
-          Voi siete “gli esperti”? – domandò senza salutare e senza presentarsi, con una voce roca e sarcastica.
-          Si, siamo gli esperti – disse Sara, inducendo l’uomo a spostare gli occhi da Frank a lei – E io sono il capo degli esperti – aggiunse per mettere le cose in chiaro.
-          Lei?
-          Sì, io. E lei è il capo dei “non esperti”, presumo – disse Sara senza premurarsi di aspettare una risposta – Mi aspetto la piena collaborazione da parte di tutti i suoi agenti… e anche da parte sua.
-          Si aspetti pure quello che vuole – replicò l’altro – Quello che avrà però potrebbe essere un’altra faccenda.
Avere a che fare con la Polizia aveva sempre degli svantaggi, quando si incontravano individui del genere poi era ancora peggio. Cercando di mantenere la calma, Sara disse:
-          Perché non comincia raccontandoci com’è andata?
-          È andata che i vicini hanno telefonato a noi per lamentarsi della puzza malefica che esce da quella topaia. È stato Wilson a raccogliere la chiamata. Wilson! Wilson, vieni qui!
Un agente piuttosto giovane e timoroso si avvicinò titubante.
-          Racconta agli “esperti” com’è andata – disse con una roca risata, prima di allontanarsi.
Sperando che l’agente Wilson fosse più malleabile, Sara ripeté la sua domanda e il ragazzo cominciò:
-          La prima segnalazione è arrivata ieri, ma il centralino non l’ha smistata immediatamente ritenendo che non ci fossero ancora gli estremi per un intervento. Poi questa mattina hanno telefonato in tre, le famiglie che abitano nelle due case adiacenti e la famiglia nella casa di fronte, lamentandosi dell’odore insostenibile che si sentiva passando davanti al giardino della casa. Queste tre segnalazioni sono state inoltrate ai Vigili del Fuoco, che hanno mandato Tolber e Mills a controllare. Loro poi hanno avvertito noi, che siamo arrivati circa tre ore fa.
-          Tolber e Millis hanno trovato il corpo? – chiese Frank
-          Sì – confermò l’Agente
-          Hanno toccato qualcosa? – domandò poi Sara.
-          Solo l’erba del prato che hanno calpestato, hanno detto che non c’era bisogno di avvicinarsi troppo per accertarsi della morte.
-          E voi avete toccato qualcosa?
-          Siamo entrati in casa in tre, per perquisire l’abitazione e accertarci che non ci fosse nessun’altro e per cercare un documento di identità. Quando abbiamo cercato l’identità del morto nel database abbiamo ricevuto una telefonata dalla Direzione Generale, che diceva di aspettare il vostro arrivo. La vittima è Elton Guilford, 47 anni, celibe. Vive qui con la sorella che al momento risulta essere fuori città.
Sara e Frank si scambiarono un’occhiata, ci sarebbe stato da divertirsi. Cinque perfetti estranei erano entrati sulla scena del crimine, l’avevano perquisita ed erano rimasti lì per ore. Sarebbero stati fortunati a trovare qualcosa.
Allontanandosi di qualche passo dall’Agente, Sara affidò a Frank il compito di ascoltare e raccogliere le dichiarazioni di tutti quelli che erano entrati sulla scena e poi contattare la sorella della vittima. Lei e Tonks invece si fecero guidare fino al corpo.
Al di là di una bassa cancellata in ferro battuto, c’era un piccolo giardino molto curato che si estendeva per qualche metro ai due lati del vialetto, che conduceva all’ingresso principale. Sotto le finestre del piano terra, una aiuola piena di folti cespugli cercava, senza molto successo, di nascondere parte delle crepe nel muro della facciata. Già a distanza di parecchi metri, si poteva percepire l’intenso odore caratteristico della decomposizione e Sara, mentre attraversava il giardino, vide Tonks mettersi una mano davanti alla bocca.
Il corpo era disteso fra il muro e i cespugli, a destra della porta d’ingresso, completamente nascosto alla vista. Era in avanzato stato di decomposizione, il che lasciava intendere che fosse lì da parecchi giorni, ma il Guaritore dell’obitorio avrebbe potuto essere più preciso.
Sara si inginocchiò accanto al corpo e iniziò ad ispezionare la zona, mentre Tonks attendeva istruzioni. C’erano diverse impronte di scarpe nel terreno fangoso, ma sembravano troppo confuse per poterne ricavare qualcosa, in ogni caso valeva la pena tentare. Il corpo invece era davvero troppo malridotto per poter ricavare altro che sommarie informazioni.
-          Chiama il Guaritore Faith al San Mungo e dì che possono venire a prenderlo – disse Sara rivolta a Tonks – Poi chiama gli Obliviatori, che si occupino di questi qui – aggiunse accennando con il capo ai poliziotti – E fai il calco di queste impronte. Io vado a dare un’occhiata all’interno.
L’interno dell’abitazione era angusto ma ordinato, arredato con gusto anche se in modo semplice. la prima porta a sinistra dava su una cucina, immacolata tranne che per un piatto contenente gli avanzi di un pasto. Diverse mosche svolazzavano sul piatto, doveva essere lì almeno da tanto tempo quanto la vittima.
La porta a destra invece si apriva sul salotto, dove la situazione era decisamente diversa e mostrava inequivocabili segni di colluttazione. Una tazza era in pezzi sul pavimento, il tappeto chiaro era macchiato di quello che probabilmente era stato the, ma la chiazza era asciutta. Alcuni fogli strappati della Gazzetta del Profeta erano sparsi sul pavimento. La finestra, che si apriva sopra il punto in cui avevano rinvenuto il cadavere, era aperta e le tendine bianche svolazzavano verso l’esterno.
Forse l’uomo stava bevendo un the e leggendo il giornale quando era stato sorpreso dal suo assassino; ma a giudicare dalle impronte all’esterno avrebbero potuto anche essere più assassini. La tazza si era rotta perché gli era scivolata dalle mani per lo spavento? Oppure aveva cercato di opporre resistenza?
Dal momento che il corpo della vittima si trovava all’esterno e la colluttazione era iniziata all’interno, era probabile che avesse opposto una qualche resistenza, almeno che avesse tentato di fuggire. Sara si voltò a guardare la porta che aveva appena varcato. La pare interna, quella rivolta verso la stanza, era graffiata e ammaccata.
Sara immaginò la scena: una o più persone che entrano di soprassalto nella stanza, Guilford che lascia cadere la tazza e il giornale. Forse ha con se la bacchetta, forse no, ma il suo primo istinto è quello di lanciarsi verso la porta, la sua unica via d’uscita. L’assassino però blocca la porta e Guilford la colpisce e la graffia nel tentativo di aprirla. Preso dal panico l’uomo cerca scampo verso la finestra aperta.
Date le condizioni del corpo, non era facile stabilire subito la causa del decesso ma se l’assassino era un mago, doveva trattarsi di Maledizioni Senza Perdono. Forse Guilford era già morto prima di raggiungere la finestra ed era stato gettato in giardino in seguito; forse invece era riuscito ad uscire, ma non era andato molto lontano.
La cosa che più preoccupava Sara era l’assoluta indifferenza degli assassini riguardo alle tracce che si erano lasciati dietro. Il corpo innanzi tutto era relativamente facile da trovare, le impronte nel fango poi erano molte e ben visibili sebbene confuse e Sara era certa che, se le avesse cercate, avrebbe trovato numerose impronte digitali nella stanza.
Perché queste persone (ormai Sara era convinta che fossero più di uno) non si erano preoccupate di cancellare le tracce? Avevano avuto tanta fretta di andarsene? Per quale motivo? Guilford viveva con la sorella e lei era fuori città. Piuttosto era come se non si curassero di essere scoperti, come se sapessero che le forze dell’ordine non avevano alcuna possibilità di catturarli, come se si sentissero al di sopra delle conseguenze delle loro azioni. Il delitto in se aveva qualcosa di strano.
Sara non sapeva molto sulla vittima, ma si fece un’idea su come potesse essere la vita dei Guilford facendo un giro per la casa. A giudicare dalle fotografie, poche e datate, in cui erano ritratti molto giovani, nessuno dei due si era sposato né aveva figli. La casa era ordinata ma certo non abitata da chi navigasse nell’oro. In cucina aveva intravisto una radio e, benché vivessero in un quartiere babbano, non c’era traccia di televisore, solo moltissimi libri e giornali.
Il signor Guilford e sua sorella non parevano condurre una esistenza che potesse attirare compagnie pericolose, eppure il signor Guilford era finito cadavere nel suo stesso giardino. Perché? Che cosa aveva fatto? Cosa volevano da lui?
Dopo aver completato il giro della casa, Sara tornò al piano di sotto e trovò Frank e Tonks che avevano da poco terminato i loro compiti.
-          La sorella di Guilford, - iniziò Frank - Margaret Guilford, 43 anni, nubile, era a Newark-on-Trent in visita da un’amica. È stata avvertita e sta arrivando. Un Auror andrà a prenderla in stazione e la porterà direttamente al Ministero.
-          Bene – disse Sara – Si sa qualcosa dal San Mungo?
-          Si, il Guaritore Faith arriverà tra poco per portare il corpo all’obitorio – rispose prontamente Tonks, che pareva sollevata di essersi potuta allontanare dal fetore del giardino – Gli Obliviatori sono arrivati e sono già al lavoro – aggiunse poi – dovrebbero riuscire a fare allontanare i poliziotti babbani in poco tempo. Il calco delle impronte è asciutto, catalogato e imbustato.
-          Ottimo – disse Sara – Possiamo continuare, a partire da questa stanza.
Il lavoro era lungo ma necessario. Tutti e tre si disposero a cercare tracce, prelevare impronte, scattare fotografie, in ciascuna delle stanze della casa, concentrandosi soprattutto sul salotto. Lì trovarono ancora alcune impronte di scarpe, stavolta più nitide, sul pavimento di legno lucido. Le impronte erano tante, ma bisognava distinguere quelle dei Guilford e dei poliziotti da eventuali impronte estranee. Per il resto non rinvennero granché.
Il lavoro procedette spedito e silenzioso, interrotto solo dai barellieri del San Mungo giunti per prelevare il corpo e portarlo all’obitorio dell’ospedale. Sotto al cadavere trovarono la bacchetta dell’uomo, dunque Sara vide confermata la sua ipotesi, aveva cercato di difendersi in qualche modo.
A pomeriggio inoltrato, una telefonata avvertì Sara che Margaret Guilford era arrivata al Ministero.
-          Frank, ce la fai a finire da solo? Vorrei che Tonks mi accompagnasse a parlare con la sorella della vittima.
Mentre il ragazzo assicurava che non ci sarebbero stati problemi, Sara vide una strana espressione sul volto di Tonks, ma non riuscì a capire se si trattasse di sospetto o sollievo. Nell’attesa che la ragazza raccogliesse le sue cose, Sara uscì in strada e si accese una sigaretta. La via era quasi deserta, tranne che per le auto del Ministero e un anziano signore a passeggio con il cane. I mezzi babbani se n’erano andati da tempo e la zona era tornata piuttosto silenziosa.
Voltandosi verso l’estremità opposta della strada, dove si trovava un piccolo parco giochi con alcuni alberi, Sara ebbe la sensazione di scorgere qualcuno, l’ombra di un uomo alto e imponente, ma fu questione di un attimo talmente fugace che poteva tranquillamente esserselo immaginato.
-          Eccomi, sono pronta – disse Tonks arrivando alle sue spalle, mentre la donna cercava ancora di vedere in lontananza.
Non era il momento di farsi prendere dalla paranoia, non c’era proprio nessuno in quel parco giochi.
Le due Auror si diressero verso l’auto di Sara e partirono per tornare al Ministero. Tonks era taciturna, appariva pallida e vagamente contrariata.
-          Ti sei occupata di molti omicidi, fino ad ora? – chiese Sara dopo qualche minuto, per spezzare la tensione.
-          A dire la verità, non molti. Grazie alle mie capacita di Metamorfomago mi hanno utilizzata più spesso per le missioni operative che per le indagini.
-          Sì, immagino che possa essere una qualità molto utile per certe operazioni. Come trovi il cambiamento? – chiese poi Sara, visto che Tonks continuava a restare in silenzio.
-          È radicale, ma interessante. Mi piace questo modo di lavorare, così meticoloso e analitico. Da la sensazione di avere le cose sotto controllo.
-          Purtroppo le cose non sono quasi mai sotto controllo – disse Sara amaramente – ma ci piace fare del nostro meglio.
Dopo qualche altro istante di silenzio, Tonks aveva ancora la stessa enigmatica espressione. Sara quindi decise di tentare un’altra strada, pensando che avesse male interpretato la sua decisione.
-          Non ti ho allontanata dalla scena del crimine perché penso che tu non sia in grado di lavorare da sola o perché voglio tenerti sotto controllo. Semplicemente vorrei che perfezionassi anche questo aspetto del lavoro. Trattare nel modo giusto con i parenti delle vittime è fondamentale.
La ragazza parve vagamente più rilassata e disse:
-          In effetti non mi è capitato spesso. Suppongo che non sia semplice.
-          Si impara, col tempo.
-          Si dice che tu sia particolarmente abile in questo – aggiunse Tonks con ritrovata sicurezza – Sembra che i parenti delle vittime abbiano la tendenza a fidarsi di te e a parlare liberamente.
-          Già – disse Sara ridacchiando – però posso attribuirmi ben poco merito per questo! Mi è sempre successo, anche da ragazzina. Perfino persone che conoscevo pochissimo venivano da me a raccontarmi tutti gli affari loro, senza farsi problemi e soprattutto senza che io avessi mai chiesto niente.
Nel frattempo erano arrivate al Ministero. Sara parcheggiò l’auto nel sotterraneo e scesero in fretta per raggiungere l’entrata che dal parcheggio portava all’Atrium. Nell’avanzare tra le auto di ordinanza del Ministero e quelle dei dipendenti, Sara si gettò un’occhiata alle spalle ed ebbe nuovamente l’impressione di vedere l’ombra di qualcuno, questa volta più concreta.
Si fermò e si voltò di scatto, con la bacchetta sguainata di fronte a sé. Tonks, pochi passi più avanti, si girò a sua volta e, con una certa sorpresa, si affiancò a Sara.
-          Che succede? – domandò tenendo la mano pronta a raggiungere la bacchetta.
-          Tu hai visto nessuno, quando siamo scese dalla macchina? – domandò Sara a bassa voce, continuando a scrutare il buio del parcheggio sotterraneo.
-          No – rispose Tonks, scuotendo la testa – Perché?
-          No… niente. Uno dei problemi di questo lavoro è che alla lunga ti rende paranoico.
Sara ripose la bacchetta e si impose di calmare il battito, che ormai era alle stelle. Insieme entrarono al Ministero e raggiunsero il Dipartimento degli Auror, dove Margaret Guilford attendeva seduta su una scomoda panchina nel corridoio di accesso. Era una donna alta e asciutta, con i capelli neri tagliati molto corti e un’espressione severa. Sedeva con la schiena dritta appoggiata contro il muro e teneva tra le mani un fazzoletto, che doveva aver utilizzato fino a poco prima.
-          Signora Guilford?  Sono l’Auror Capo White e questa è l’Auror Tonks. Le hanno già comunicato che…
-          Sì – interruppe la signora con tono secco – Elton è stato trovato morto nel giardino di casa nostra.
-          È così. Venga, parliamo nel mio ufficio.
Sara e Margaret Guilford, seguite da Tonks, si diressero verso l’ufficio. Sara sedette su una delle due sedie poste davanti alla scrivania e offrì l’altra alla signora, mentre Tonks rimase in piedi.
-          Mi dispiace molto per suo fratello e mi dispiace di averla convocata qui.
-          Non c’è problema, immagino che vogliate… qualche informazione – rispose la signora fissando un punto imprecisato della giacca di Sara.
-          So che ha fatto un lungo viaggio prima di arrivare, gradisce un caffè o un the? – disse Sara alzandosi e aggirando la scrivania per raggiungere il cassetto dove teneva due bricchi. Li estrasse entrambi e li colpì con la punta della bacchetta. Uno prese a riempirsi di caffè bollente e un di the.
-          Un the andrebbe benissimo, grazie.
Sorseggiando rispettivamente caffè e the, Sara e Margaret Guilford parlarono a lungo del fratello Elton. Era fidanzato? No. Lavorava? Si, per una casa editrice di riviste di magia. Aveva molti amici? No, non molti. Frequentazioni assidue? No, affatto. Problemi con qualcuno? Litigi? Discussioni? Con maghi? Con babbani?
-          Ascolti, mio fratello era una persona tranquilla, riservata, sedentaria. Amava i libri più di ogni altra cosa. Immagino che abbia visto casa nostra. È piena di libri da scoppiare. Non ha mai fatto altro che leggere, scrivere e lavorare. Il suo amore per i libri è stato tale che non è mai stato capace di tenersi l’amore di una donna per più di qualche mese. Non ha mai dato fastidio a nessuno. Elton era un filosofo: piuttosto che scontrarsi con qualcuno si arrovellava per mesi per cercare una soluzione alternativa. Io lo capisco, per me è stata la stessa cosa con la musica. Ho studiato musica per tutta la vita e non ho mai fatto altro: pochi amici, pochi svaghi, ma mi andava bene così e anche Elton era contento della sua vita così com’era.
Sara ascoltò con attenzione il discorso appassionato della sorella di Elton Guilford, senza interrompere. La prima impressione che aveva avuto, che quel delitto fosse strano, senza apparente movente, si faceva sempre più forte.
-          Signora Guilford – disse Sara con partecipazione – lei conosceva Elton meglio di chiunque altro e io mi fido della sua impressione. Tuttavia un delitto deve avere un movente e, per adesso, dobbiamo tenere aperte tutte le porte. La sua abitazione dovrebbe essere libera entro poche ore. Vorrei che controllasse se manca qualcosa, per ora non possiamo escludere che si sia trattato di furto.
-          A casa nostra non c’è nulla che valga la pena rubare, ma controllerò. Mi sembra tutto assurdo – disse la donna, dando il primo segno di cedimento emotivo dall’inizio della conversazione – Nessuno avrebbe potuto avercela con Elton. Chi poteva volerlo morto?
Sara ancora non aveva una risposta, ma assicurò alla signora che avrebbe fatto il possibile per scoprirlo. Accompagnandola all’uscita, Sara incaricò due Auror di accompagnarla a casa, di perquisire l’abitazione e di restare fino al giorno successivo a sorvegliare la casa.
-          Se avesse bisogno di qualcosa, se le venisse in mente qualche informazione mi chiami pure a qualsiasi ora del giorno e della notte – disse Sara porgendole un biglietto.
-          Grazie, è stata molto gentile.
Quando Margaret Guilford si fu allontanata, scorata da due Auror, Tonks, che fino a quel momento si era tenuta in disparte, si avvicinò a Sara.
-          Avevano ragione – disse Tonks.
-          Chi?
-          Quelli che dicevano che la gente si fida di te spontaneamente. Questa in mezz’ora ti ha raccontato la storia della sua vita e quella del fratello. Io avrei dovuto stare per ore a fare domande e a interpretare silenzi reticenti.
Sara scrollò le spalle e tornò verso l’ufficio.
-          È stata una giornata lunga – disse senza voltarsi – Vai a casa, ci vediamo domani alle otto.
 
*^*^*^*^*
 
-          E questo è quanto – disse Tonks, seduta al tavolo della cucina di Grimmauld Place, quando ebbe finito di raccontare la sua giornata.
Sirius aveva ascoltato attentamente, con i nervi a fior di pelle, temendo ogni istante di sentire qualcosa che Sara aveva detto o fatto e che potesse essere male interpretato. Ma niente, assolutamente niente, era stata irreprensibile per tutto il giorno e nessuno, nemmeno Kingsley, sarebbe riuscito a trovare qualcosa che non andava.
Sirius non poté trattenersi e sorrise. Voleva che Sara entrasse a far parte dell’Ordine. Voleva vederla, aveva bisogno di parlarle e se ne fregava altamente se qualcuno trovava strano che lui sorridesse.
-          Tu che impressione ti sei fatta? – domandò Arthur Weasley a Tonks – Ora che la conosci meglio, cosa ne pensi?
-          Sono sempre convinta che potremmo fidarci. Mi sembra a posto, lavora con passione e non ha detto una sola parola che possa essere intesa come sostegno al Ministro o peggio a Voldemort.
-          Bene, questo dovrebbe sistemare gli scettici – disse Lily guardandosi intorno – A proposito, dov’è Kniglsey?
-          Questa sera non si è ancora visto – rispose la Molly – Tonks tesoro, ti fermi a cena con noi? Ho fatto il pasticcio di carne.
Tonks impallidì leggermente prima di rispondere.
-          Ti ringrazio Molly. Mi fermo a cena, ma non credo di farcela a mangiare carne, non dopo la scena del crimine di oggi.
 
*^*^*^*^*
 
Il giorno seguente, al Dipartimento degli Auror, Sara, Frank e Tonks passarono la giornata a interrogare amici, conoscenti, colleghi, vicini, negozianti, tutti coloro che avevano in qualche modo avuto a che fare con la vittima, senza peraltro ricavare niente di decisivo.
Tutti dicevano più o meno le stesse cose. Era un gran lavoratore, una persona a modo, nessuna discussione, mai nessun contrasto. No, non conoscevano nessuno che potesse avercela con lui. No, ultimamente non si era comportato in modo strano.
Olga invece aveva il compito di trovare un senso a tutte le impronte digitali rinvenute nel salotto e nel resto della casa, ma anche da quel lato non c’erano molte novità. La maggior parte delle impronte appartenevano a Elton e Margaret Guilford, alcune ai poliziotti che avevano perquisito l’abitazione e le poche impronte estranee non avevano corrispondenza nei database del Ministero.
Quell’indagine non stava andando da nessuna parte.
Seduta alla scrivania, davanti alle deposizioni di tutte le persone interpellate, Sara si passò le mani tra i capelli. Non vedeva appigli, non trovava nessun indizio da seguire. Zero assoluto.
Per di più non era riuscita a sbarazzarsi della sensazione di essere seguita, quell’ombra nel parcheggio e nel parco giochi la tormentavano dal giorno precedente. Forse si trattava soltanto di uno scherzo della sua immaginazione, forse era solo stanca. Oppure qualcuno la stava pedinando? Chi poteva avere interesse a spiarla, a controllarla?
Per schiarirsi le idee, Sara decise che sarebbe andata a trovare Margaret Guilford e questa volta ci sarebbe andata da sola.
Quando raggiunse la sua auto nel parcheggio, controllò scrupolosamente l’eventuale presenza di ombre non meglio identificate, ma non trovò traccia di pedinatori. Dopo aver interrotto tutti gli incantesimi di protezione che abitualmente gettava sulla macchina, Sara si mise al volante e si diresse verso l’abitazione dei Guilford. Nonostante cercasse di tranquillizzarsi, continuando a ripetersi che non c’era nessuno a seguirla, non poté fare a meno di controllare ossessivamente lo specchietto retrovisore, ma nel traffico di Londra era difficile capire se qualcuno ti stesse seguendo o se stesse semplicemente andando dalla tua stessa parte.
Attraversando il vialetto d’ingresso, Sara notò che il giardino davanti alla casa della signora Guilford recava ancora i segni del recente passaggio di Polizia e Auror. I due Auror di guardia erano sistemati in un auto dall’altro lato della strada e le fecero un cenno, vedendola arrivare.
Sara bussò lievemente e Margaret Guilford aprì la porta quasi immediatamente.
-          Ah, è lei! – disse a mo di saluto – Prego si accomodi.
-          Mi dispiace disturbarla, speravo di poterle fare ancora qualche domanda – disse Sara entrando.
-          Si, certo. C’è qualche novità? – domandò la donna, poi aprendo la porta della cucina disse – Se non le spiace la faccio accomodare qui. Non ho ancora avuto il coraggio… bè, non ho ancora avuto modo di riordinare il salotto.
Seduta al tavolo della cucina, con una tazza di the davanti, Sara si domandò quanto dovesse sentirsi sola Margaret senza il fratello e con la paura che qualcuno tornasse anche per lei. Era fondamentale scoprire il movente dell’omicidio, per stabilire se anche lei fosse effettivamente in pericolo.
La signora Guilford aveva l’aria stanca e sciupata di chi non ha dormito quasi per niente, ma ricevette Sara con estrema cortesia e rispose a tutte le sue domande. In realtà non c’erano molte domande nuove che potesse porle, ma voleva sapere qualcosa in più su Elton Guilford.
-          Mi duole di non poterle dire molto di più di quanto le abbia detto ieri.
-          Non si preoccupi, ogni dettaglio può essere utile. Volevo chiederle una cortesia – aggiunse Sara sperando di dare un senso a quella visita – potrei dare ancora un’occhiata alla stanza di suo fratello?
-          Ma certo – rispose la donna alzandosi e facendole segno di seguirla.
Salirono la stretta scala fino al piano di sopra e Sara entrò nella stanza, che aveva già visitato il giorno precedente. Anche qui, le pareti erano ingombre di mensole cariche di libri, un letto singolo occupava l’angolo della stanza più lontano dalla porta e un piccolo armadio si trovava invece subito a destra.
Rimasta sola, Sara si avvicinò alla scrivania sotto la finestra e si sedette. Era un buon posto per lavorare in tranquillità, luminoso e silenzioso perché la finestra affacciava sul retro dell’abitazione, lontano dalla strada. Una pila di quaderni immacolati era posizionata a destra, mentre quaderni e fogli scritti erano impilati a sinistra. Il cassetto centrale conteneva penne e boccette di inchiostro, una agenda e una cartellina rossa.
Sara estrasse l’agenda e la cartellina. Nella prima erano annotati meticolosamente appuntamenti e scadenze in una calligrafia piccola e ordinata. Nella cartellina invece erano contenuti scontrini e ricevute insieme a un rendiconto di entrate e uscite. Forse esaminando l’agenda e le spese della vittima si poteva ricavare qualcosa.
Sara si alzò e scese al piano di sotto, dove trovò Margaret ad attenderla. Mostrandole l’agenda e il resto chiese il permesso di portarli al Ministero, anche se in realtà non avrebbe avuto bisogno di domandare.
-          Spero di poterle dare al più presto qualche notizia – disse Sara riponendo i nuovi reperti nella sua borsa – Nel frattempo stia tranquilla, qui di fronte ci sono due Auror a sorvegliare la casa. Non deve preoccuparsi.
Congedandosi, si domandò quanto fosse effettivamente in pericolo quella donna e se si potesse fare qualcosa di più ma in quel momento non c’erano ragioni sufficienti per predisporre maggiore sorveglianza e il Dipartimento era già abbastanza a corto di personale.
Era quasi ora di pranzo e la strada era un po’ più animata del giorno precedente. Diverse mamme con bambini si dirigevano probabilmente verso le rispettive case, qualche signora con la spesa si affannava trasportando sacchetti, alcuni anziani erano seduti su una panchina a chiacchierare e nessuno sembrava prestare attenzione alla casa in cui, solo il giorno prima, era avvenuto un omicidio. Gli Obliviatori avevano fatto un ottimo lavoro, come sempre.
Il quadro era quello di una perfetta tranquillità, ma Sara si guardò intorno inquieta. Gli occhi tornavano magneticamente al punto in cui aveva visto quell’ombra, tanto che decise di andare a dare un’occhiata al parco giochi.
Camminava lentamente, per non attirare l’attenzione. Il parco giochi era un piccolo spiazzo erboso circondato da alberi, con alcune altalene, uno scivolo e una buca piena di sabbia. In quel momento era deserto e dava l’idea di essere il posto più sicuro del mondo.
Con un sospiro, Sara si voltò per tornare alla sua auto e fu in quel momento che lo vide. Lo stesso uomo alto e imponente che spariva nel vicolo tra due case poco più avanti.
Questa volta ne era certa. Non l’aveva immaginato!
Con la mano nella tasca interna della giacca stretta sulla bacchetta, Sara corse in quella direzione, stavolta incurante dei passanti che si erano voltati a guardarla. Arrivò al vicolo appena in tempo per vedere il bordo del mantello dell’uomo sparire dietro l’angolo, ma non fu tutto. Nei brevi istanti in cui fu in vista, Sara scorse un lampo rosa shocking.
Era Tonks! Non poteva essere che lei. Quel colore di capelli era assolutamente inconfondibile. Col cuore che martellava, Sara si lanciò all’inseguimento. Possibile che la ragazza fosse in combutta con il pedinatore? Allora anche lei era stata messa lì a controllarla!
Quando raggiunse il termine del vicolo, non c’era nessuno in vista. Maledizione!
I due Auror che stavano di guardia alla porta dei Guilford arrivarono trafelati.
-          Auror White! Tutto a posto?
-          Sì, non preoccupatevi – disse Sara senza fiato – Mi era sembrato… ma mi sono sbagliata…
Non poteva dire nulla, come faceva ad essere sicura che anche quei due non fossero in combutta con il pedinatore?
Più in fretta che poté, Sara tornò alla sua auto e guidò come una pazza fino al Ministero. Era furiosa. Furiosa con se stessa per non aver capito che Tonks la stava prendendo in giro e furiosa con chiunque la stesse controllando. Perché? Che cosa volevano da lei?
Arrivata al Dipartimento trovò Tonks seduta tranquillamente alla sua scrivania, anche se un po’ scompigliata. Probabilmente si era smaterializzata poco dopo che l’aveva vista e aveva avuto il tempo di tornare in ufficio e sistemarsi alla scrivania.
Quando la vide arrivare, con gli occhi fiammeggianti, la ragazza si fece piccola sulla sedia e assunse un’aria colpevole; probabilmente aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Sara si avventò su di lei e la fece alzare trascinandola per un braccio. Sempre tenendole stretto il braccio, la spinse verso il suo ufficio dove sbatté la porta con uno schianto e la chiuse a chiave.
-          Sara… io non capisco…
Senza darle il tempo di dire altro, Sara la afferrò per un braccio, glielo torse dietro la schiena e la bloccò sulla scrivania tenendola ferma con il proprio peso.
-          Stammi a sentire, mi hai preso per deficiente? Credi che non ti abbia vista, insieme a quel tizio che mi segue? Ora, se vuoi uscire viva da qui mi dici per conto di chi mi state controllando e perché.
-          Ma io… credimi non… davvero non capisci… – Tonks parlava con voce soffocata mentre ancora era bloccata contro la scrivania – Io non volevo… davvero però…
-          Però cosa? – sibilò Sara sempre più furibonda – Forse non mi hai capito. Dimmi SUBITO per chi lavori e che cosa volete da me. ADESSO!
Sara tremava di rabbia. Come osavano, chiunque fossero? Lasciò andare il braccio della ragazza, arretrò di due passi ed estrasse la bacchetta. Quando Tonks si alzò trovò la bacchetta di Sara sospesa all’altezza del naso e alzò le mani in segno di resa.
La mano che teneva la bacchetta era ferma, le nocche bianche tanta era la forza con cui stringeva l’impugnatura. Col volto contratto dalla rabbia, Sara faceva davvero paura e la ragazza si decise a parlare.
-          Silente. È stato Silente a chiedermi di mettermi in contatto con te.
-          Metterti in contatto?! Mi state SORVEGLIANDO! Che storia è questa? – Sara cercava di trattenersi dall’urlare, per evitare che tutto il Dipartimento sentisse.
-          È la verità!
-          Non raccontarmi idiozie, continui a credermi stupida? Ho parlato personalmente con Silente pochi giorni fa, perché avrebbe dovuto chiedere a te di controllarmi?
-          Mi… mi dispiace – balbettò Tonks tenendo d’occhio la punta della bacchetta di Sara – Io non sono autorizzata… non posso davvero… non posso dirti di più ma…
-          FUORI!!! – questa volta Sara gridò a pieni polmoni – Esci dal mio ufficio, non farti più vedere nella mia squadra e, se riesci, non farti più vedere al Ministero perché sappi che d’ora in poi la tua vita qui sarà impossibile.
Tonks uscì di corsa, pallida e stravolta, e appena la porta si fu chiusa alle sue spalle, Sara crollò in ginocchio sul pavimento con il volto nascosto tra le mani.

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Capitolo 18
*** XVI ***


Per i lettori: ecco a voi un nuovo capitolo. Avevo detto che il vecchio capitolo 15 e il nuovo capitolo 15 si sarebbero raccordati al 16 allo stesso modo. Bè, mi sbagliavo. Quindi probabilmente eliminerò il vecchio capitolo 15 per evitare confusione.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto i precedenti capitoli, anche se non hanno lasciato una recensione. Vedere il conteggio di visite all'ultimo capitolo che sale è sempre una soddisfazione, ma è un piacere ancor più grande trovare nuovi commenti dei lettori. Le recensioni sono il carburante che permette di andare avanti a scrivere. Per questo vi invito a farmi conoscere le vostre impressioni. Risponderò a tutti (se vedete molte recensioni senza risposta è solo perchè risalgono a prima che ci fosse la possibilità di rispondere!).
BUONA LETTURA!!!


XVI

 
-          Kingsley deve sperare che non lo trovi, perché questa volta lo riduco a fettine!!! A fettine SOTTILI!!!
Tonks era decisamente furiosa. Era arrivata a Grimmauld Place sconvolta, urlando che Kingsley le aveva fatto saltare la copertura con Sara, ma a parte quello non erano ancora riusciti a cavarle informazioni utili. Era troppo arrabbiata per parlare in modo coerente.
Sirius lottava per non cadere nel panico. Se la copertura di Tonks era saltata, significava che Sara sapeva di essere controllata. Si volse verso Lily e James, le uniche altre persone presenti in quel momento, implorandoli con gli occhi di fare qualcosa.
Lily, con un’aria preoccupata quanto quella dell’amico, colse la prima pausa nell’invettiva di Ninfadora per cercare di calmarla e farle raccontare l’accaduto.
-          Dora, calmati – disse Lily avvicinandosi e posandole le mani sulle spalle – Siediti e bevi qualcosa. Perché non ci racconti cos’è successo? Intanto preparo una tazza di the.
L’intervento di Lily sembrò prosciugare Tonks di tutta l’energia, che aveva solo un attimo prima. La ragazza si lasciò cadere sulla prima sedia a portata di mano e si coprì il volto con una mano, gettando la testa all’indietro.
-          Un disastro. Non poteva andare peggio di così – disse, sempre nascondendosi gli occhi – Proprio adesso che stavo cominciando ad entrare in confidenza con lei!
Sedendosi di fronte a Tonks, dall’altra parte del tavolo, Sirius si sorprese ad invidiarla terribilmente per aver avuto la possibilità di parlare con Sara.
-          Raccontaci cosa è successo – disse Sirius gentilmente, mentre Lily serviva il the – Dall’inizio.
-          Come vi avevo già raccontato – iniziò la ragazza con un sospiro – ieri mi ha permesso di lavorare con la squadra sul nuovo caso e mi ha portata con lei, per parlare con la sorella della vittima. C’è una cosa però che non vi ho detto.
Lily, James e Sirius pendevano letteralmente dalle sue labbra.
-          Quando siamo uscite dalla casa della vittima, siamo andate con la sua auto al Ministero e, una volta scese dalla macchina, Sara ha avuto l’impressione di vedere qualcuno nel parcheggio. Mi sembrava molto agitata, ha persino tirato fuori la bacchetta come se temesse un attacco. Mi ha chiesto se avessi visto qualcuno e io… le ho mentito. Avevo visto qualcuno, ma non ho confermato i suoi sospetti. Per la precisione quel qualcuno era Kingsley…
-          Che cosa?! – esclamò James – Vi stava seguendo?
-          Sara non l’ha riconosciuto, ma io sì. Forse perché lo conosco meglio. Ho cercato di non farci caso, non volevo pensare che Kingsley si fidasse così poco delle mie capacità da doverci pedinare, ma ho fatto male a lasciar correre.
La ragazza fece una pausa per sorseggiare il the, lasciando il suo pubblico in penosa attesa.
-          Questa mattina abbiamo lavorato sui conoscenti della vittima – riprese la ragazza che, ora che aveva iniziato a raccontare, non sembrava volersi interrompere – abbiamo convocato amici, parenti, colleghi per avere qualche informazione in più. A metà mattinata circa ho visto Sara allontanarsi. È passata da me e Parker solo per dire che sarebbe tornata a parlare con la sorella della vittima e poi si è avviata verso l’uscita del Dipartimento. Sapete, il mio cubicolo nell’open-space è piuttosto vicino all’uscita e ho visto Kingsley uscire subito dopo di lei. Sapevo che questa volta non poteva essere un caso. Ho cercato di fermarlo! Ma prima che potessi raggiungerlo si era smaterializzato! – esclamò Tonks picchiando un palmo sul tavolo – Probabilmente aveva sentito Sara parlare della sua destinazione. Così mi sono smaterializzata anch’io e l’ho raggiunto.
Nessuno adesso aveva la minima intenzione di interrompere e le facce cupe rendevano perfettamente l’idea della gravità della situazione.
-          Quando mi ha vista si è arrabbiato, come se ne avesse alcun diritto! Mi ha detto che non capivo quanto stavo rischiando e che avrei potuto essere nelle mani di una Mangiamorte senza saperlo. Io ho tentato di convincere Kingsley che era impossibile ma non mi ha dato retta. Abbiamo discusso tanto che non ci siamo accorti che Sara stava uscendo dalla casa dei Guilford e lei ci deve aver visti.
-          Maledizione! – esclamò Sirius – Ci credo che pensi che la controlliamo!
-          Ma perché non vi siete smaterializzati? – chiese Lily incredula.
-          È un quartiere babbano, non potevamo così, in pieno giorno. Siamo fuggiti in fondo a un vicolo, ma prima che potessimo smaterializzarci ci ha visti, almeno di sfuggita. Non sono certa che abbia riconosciuto Kingsley ma di certo ha riconosciuto me, perché…
Tonks sembrava sull’orlo delle lacrime, Sirius non sapeva se per la frustrazione o che altro. Non poteva credere che Shakelbolt avesse rovinato tutto in questo modo.
-          Sono tornata in ufficio – riprese la ragazza, con le mani tremanti aggrappate alla tazza di the – e sono arrivata prima perché Sara ha dovuto recuperare l’auto. Quando è arrivata al Dipartimento, mio Dio, è stato… orribile…
A questo punto Ninfadora raccontò, sempre tenendo gli occhi fissi sul tavolo, quello che Sara le aveva detto, dopo averla rinchiusa nel suo ufficio e bloccata con un braccio dietro la schiena.
Sirius aveva la bocca asciutta. Ora erano davvero nei guai, in ogni caso, perché se Sara avesse accettato di far parte dell’Ordine probabilmente non si sarebbe mai fidata di nessuno di loro e, se non avesse accettato, ormai sapeva che Silente stava tramando qualcosa alle spalle del Ministero.
Doveva convenire con Tonks. Era un vero disastro.
-          È un delirio, capite? Io sono finita, lei ha davvero il potere di rendermi la vita impossibile. Proprio adesso che stavo cominciando un lavoro che davvero mi piace!
-          Non disperare – disse Lily con il suo caratteristico buon senso – Sono certa che se Silente parlerà a Sara per spiegarle la situazione, capirà.
-          Ma sai qual è la cosa peggiore? – domandò Tonks, rivolta direttamente a Lily – Stavo davvero cominciando a fidarmi di lei, iniziavo a credere che potesse veramente far parte dell’Ordine, perché è una persona fuori dal comune. Avresti dovuto vederla parlare con la sorella della vittima, non è affatto fredda e altezzosa come tutti pensano. È forte, capace e ha un intuito straordinario per capire le persone.
Lily guardò Sirius con occhi pieni di tristezza. Era la descrizione di Sara più calzante che avessero sentito fino a quel momento.
Sirius aggiunse mentalmente questa alle cose per cui si sentiva in colpa e per cui avrebbe voluto chiedere scusa. Ma fu come la goccia che fece traboccare il vaso. Era finito il tempo di tenersi in disparte. Voleva vedere Sara? Bene, si sarebbe messo all’opera per realizzare questo desiderio.
-          Ormai è fatta – disse seccamente – Adesso bisogna trovare una soluzione.
-          D’accordo – assentì James – Suggerimenti?
-          Dobbiamo contattare Remus. E anche Silente. Subito.
 
*^*^*^*^*
 
Quando Frank, dopo più di un’ora da che ne era uscita Tonks, entrò titubante nell’ufficio di Sara, la trovò seduta alla scrivania, la testa bassa e le mani che sorreggevano la fronte. Non muoveva un muscolo, sembrava che neppure respirasse, e non si mosse neppure quando Frank entrò nel suo campo visivo.
-          Hem… Capo? Tutto… tutto bene?
Nessuna risposta.
-          Capo, scusa se ti disturbo ma… ho visto Tonks uscire di qui correndo.
-          Non. Nominarmi. Quella. Tonks. Mai. Più. – disse Sara alzando la testa di scatto – Non la voglio più vedere nemmeno in fotografia. E non ammetterò mai più nessun nuovo membro nella nostra squadra.
Lo sguardo tetro di Sara suggeriva che non era il caso di fare domande. Frank si ritirò in buon ordine, chiudendosi la porta alle spalle e la lasciò nuovamente sola.
 
*^*^*^*^*
 
Patronus con messaggi di allarme furono mandati a Silente, a Remus e anche a Kingsley, che doveva rendere conto delle sue azioni.
-          Che cosa vuoi fare? – chiese James sotto voce a Sirius, mentre Lily confortava Ninfadora.
-          Dobbiamo chiarire subito questo malinteso, altrimenti sarà peggio. L’unico di noi che può andare da Sara e convincerla, almeno a starci a sentire, è Remus.
-          Pensi che funzionerà? – domandò Tonks, che aveva sentito le parole di Sirius e cominciava a riprendersi.
-          Sirius ha ragione, Remus è la persona adatta – confermò Lily – Si conoscevano a scuola – spiegò a beneficio della ragazza – e sono sicura che di lui si possa fidare.
-          Remus dovrà spiegarle la situazione – continuò Sirius, che aveva preso il comando – e dovrà chiederle di venire qui, stasera, per la riunione dell’Ordine. Anzi, per avere il tempo di fare tutto dobbiamo ritardare la riunione di qualche ora.
Proprio in quel momento, Molly rientrò con parecchi sacchetti di provviste. La misero brevemente a conoscenza dell’accaduto e insieme mandarono messaggi a tutti i membri dell’Ordine della Fenice per comunicare che la riunione non sarebbe stata alle sei del pomeriggio, come previsto, ma alle otto.
-          In questo modo Remus dovrebbe avere il tempo di parlarle – disse James – Ma dove è finito?
Lupin e Silente arrivarono quasi contemporaneamente, preoccupati dal messaggio ricevuto, furono ancora più preoccupati quando videro le espressioni ansiose che aleggiavano a Grimmauld Place. A Tonks toccò l’ingrato compito di raccontare nuovamente l’accaduto, ascoltando il quale Remus si indignò mentre Silente mantenne la sua espressione imperscrutabile di sempre.
Sirius poi comunicò il piano di azione che avevano messo a punto.
-          So che a te tocca la parte più difficile – disse rivolto a Lupin – ma so anche che saprai cosa dire… Sempre se lei è d’accordo – aggiunse rivolto a Silente.
Nella foga del momento, Sirius stava dimenticando chi era il vero “capo”. D’altra parte si sentiva di nuovo bene nei panni del leader.
-          Mi sembra la soluzione migliore che potessimo trovare – sentenziò il Preside dopo qualche attimo di riflessione – So che la signorina White ha molta stima di te, Remus.
-          Lo spero – rispose Lupin – vista la fiducia che riponete in me, non vorrei deludervi. Soprattutto, prima di decidere cosa dirle, devo decidere come avvicinarla. Cosa mi suggerite di fare? Dovrei aspettarla fuori dal Ministero.
-          Sarebbe meglio non entrare al Ministero se possibile, ma se non dovesse uscire per molto tempo non avresti il tempo di parlare prima della riunione – disse Silente considerando le varie possibilità – Prova ad aspettare per un po’ all’esterno. Se non dovesse uscire, mandale un messaggio via gufo.
Remus annuì, confermando di aver capito le parole di Silente e, senza perdere altro tempo, uscì lasciando Sirius a predisporsi all’ennesima attesa.
L’attesa che accadesse qualosa, a dire il vero, non fu poi così lunga. Kingsley Shakelbolt, per quanto avesse tergiversato il più possibile, non aveva potuto evitare di presentarsi a Grimmauld Place e il suo arrivo fu accolto da un silenzio glaciale. Tutti lo fissavano, fermo sulla porta della cucina, senza neppure respirare a Tonks lo guardava con puro disgusto. Lo sguardo più difficile da sostenere, tra tutti era quello di Silente, Sirius lo sapeva per esperienza personale.
La prima a rompere il silenzio fu Ninfadora
-          Come diavolo hai potuto! – strillò avanzando minacciosa verso di lui – Possibile che tu non abbia pensato alle conseguenze? Che stavi cercando di fare, eh? Si può sapere?
-          Stammi a sentire – rispose Kingsley altrettanto arrabbiato – Ho agito come mi suggeriva la coscienza. Stavi passando troppo tempo sola con la White. E se ti avesse scagliato la Maledizione Imperius? Se ti avesse estorto informazioni sull’Ordine? Lo so che ti fidi di lei, ma io non sono il tipo che si fida così alla leggera!
Prima che Tonks potesse ricominciare a urlare, Silente decise di intervenire.
-          Apprezzo molto le tue intenzioni di proteggere sia l’Ordine che Ninfadora – disse con voce pacata – ma ci terrei a farti notare che, dal tuo comportamento, noi potremmo essere indotti a credere che tu sia sotto la Maledizione Imperius.
Kingsley era ammutolito e, senza cercare di opporsi, osservò Silente che estraeva la bacchetta dalla manica della sua lunga veste blu. Il Preside puntò la bacchetta verso Kingsley mormorò qualche parola, prima di sentenziare:
-          No, non sei sotto l’effetto della Maledizione Imperius e questo è un sollievo. Però voglio che tu sappia che, se prenderai altre iniziative di questo tipo, ne risponderai direttamente a me.
-          Mi dispiace di aver creato problemi – disse Kingsley sollevando lo sguardo su tutti i presenti, come per scusarsi con l’intero Ordine, oltre che con Silente – Se dovesse ricapitare una situazione del genere sarò meno impulsivo.
Il lieve sorriso di Silente ebbe il potere di rasserenare tutti quanti, che ricominciarono ad affaccendarsi, molto più sereni di poco prima.
-          Ancora una cosa, Kingsley – aggiunse Silente – Abbiamo deciso di contattare direttamente la signorina White che, se tutto va bene, parteciperà alla riunione di stasera. Mi aspetto che tu le faccia le tue scuse e ti comporti in modo adeguato verso di lei. Nessuno desidera pericolose tensioni all’interno dell’Ordine.
Kingsley annuì, poi si avvicinò a Tonks per porgere anche a lei le sue scuse per averla messa in difficoltà. La ragazza, non avvezza ad essere infuriata troppo a lungo, lo perdonò con una sonora pacca sulla spalla e un mezzo sorriso.
Sirius, che aveva osservato tutta la scena da un angolo, si accese una sigaretta, tranquillizzato dall’intervento del Preside. Come sempre, Silente aveva la capacità innata di sistemare qualsiasi problema e infondere una grande fiducia nelle persone. D’altro canto non era piacevole vedere un uomo forte coma Shakelbolt comportarsi come un scolaro in punizione, per questo Sirius fu felice di vedere che tutti riprendevano le loro attività normalmente, senza serbare rancore.
Lui stesso doveva ammettere che l’intervento di Kingsley, per quanto poco opportuno, aveva decisamente accelerato i tempi. Ora doveva solo sperare che il suo amico Remus fosse abbastanza convincente.
 
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Erano passate diverse ore da quando Sara era rientrata in ufficio, ormai era pomeriggio inoltrato e ancora non era riuscita a muoversi dalla sua scrivania. Fissava la porta davanti a se, come se il legno scuro potesse darle qualche risposta, e aveva le sopraciglia aggrottate da talmente tanto tempo che le stava venendo un gran mal di testa.
Perché Silente le aveva messo accanto Tonks? Silente la conosceva, forse non bene, ma doveva sapere che tipo di persona fosse. Perché compiere un gesto che appariva tanto inutile quanto avventato? Era stato tutto calcolato oppure il fatto che Olga fosse rimasta incinta proprio adesso era soltanto un caso? Possibile che Olga fosse parte della cospirazione e la sua gravidanza fosse inventata?
No, no. Quello non era possibile. Olga non avrebbe mai fatto una cosa del genere e, per quanto ne sapesse lei, non aveva mai avuto contatti diretti con Tonks. Probabilmente si era trattato di una coincidenza che Silente aveva saputo abilmente sfruttare.
Restare sola con i suoi pensieri la stava rendendo paranoica, vedeva collegamenti dove non c’e n’era nemmeno l’ombra e le teorie della cospirazione stavano prendendo il sopravvento. Doveva schiarirsi le idee.
Compiendo il primo movimento da almeno un’ora, Sara voltò la testa verso l’orologio appeso alla parete. Le quattro in punto.
Decise subito. Si alzò dalla sedia, raccolse le sue cose e si diresse alla porta. Quando la aprì la confusione del Dipartimento agì come una martellata sul suo mal di testa. No, in quel via vai frenetico di Auror non poteva riflettere. Doveva uscire.
-          Parker – disse affacciandosi in laboratorio, dove Frank stava ancora lavorando.
-          Capo, tutto a posto? – chiese il ragazzo, preoccupato.
-          Si, Frank. Tutto a poto – rispose Sara stancamente – Io esco. Non so se torno prima di domattina. Sei tu di turno stasera?
-          Si, ci sono io. Non preoccuparti, se succede qualcosa ti chiamo.
Sara annuì e si allontanò in fretta, prima che qualcuno potesse fermarla.
Tutto il Ministero le sembrava estremamente caotico, davvero troppo per la stanchezza che sembrava averla assalita all’improvviso. Raggiunto l’Atrium, uscì dall’ingresso visitatori, insinuandosi nel cubicolo che l’avrebbe portata alla sgangherata cabina telefonica.
Il vicolo, umido e poco luminoso, era più adatto all’umore di Sara. Si abbottonò il cappotto grigio fino al mento ed estrasse da una tasca le sigarette e l’accendino. Aspirò la prima boccata ad occhi chiusi, poi si diresse verso l’estremità del vicolo.
Presa com’era dai suoi pensieri, non notò subito la persona ferma dall’altro lato della strada, casualmente appoggiata al muro. Quando lei iniziò a camminare, quella persona si diresse dalla sua stessa parte, mantenendosi però sul marciapiede opposto.
Solo dopo qualche passo l’istinto di Auror prese il sopravvento e Sara si voltò a guardare meglio. Sembrava proprio… ma non poteva essere… In un attimo sembrò che tutta la stanchezza che aveva provato fino a un attimo prima, scomparisse per lasciare di nuovo il posto ad una rabbia cieca.
La sigaretta le cadde dalle mani.
Remus Lupin doveva essere l’ennesimo emissario di Silente messo alle sue calcagna! Incurante della auto che strombazzavano e inchiodavano per non investirla, Sara attraversò precipitosamente la strada.
-          Che diavolo ci fai qui? Ti ha mandato Silente? – sibilò inferocita.
-          Ciao Sara. Anche per me è bello rivederti – disse Remus per tentare di smorzare la tensione.
-          Non scherzare, oggi davvero non è giornata.
Remus probabilmente intuì di aver sbagliato approccio, perché la sua espressione si fece ad un tratto molto seria e disse.
-          In effetti, mi ha mandato Silente. Vuole che ti spieghi come sono andate le cose… se ti va di starmi a sentire.
Silente le aveva dato l’informazione chiave per risolvere il caso Black, poi l’aveva fatta pedinare e ora le mandava Remus. Tutto questo doveva essere in qualche modo collegato a Sirius e, anche se fino a quel momento si era rifiutata di ammetterlo, la cosa che voleva di più era sapere dove fosse Sirius, sapere se stesse bene e, cosa ancor più patetica, se si ricordasse di lei. Ascoltare Remus poteva essere un passo avanti in questa direzione, così annuì e rimase in silenzio. Poi iniziò a camminare.
Remus la seguì senza fiatare fino a che raggiunsero un tratto del lungo fiume. Il traffico di automobili era intenso, ma sul marciapiede non si vedeva un passante per centinaia di metri. Sara si lasciò cadere su una panchina e fece segno a Remus di fare lo stesso.
-          Mi dispiace per quello che è successo, non era nostra intenzione…
-          Nostra? – interruppe Sara, tenendo gli occhi fissi sull’acqua del Tamigi – Tua e di chi?
-          Mia e dell’Ordine della Fenice.
-          Ordine di che cosa? – domandò Sara senza capire.
-          L’Ordine della Fenice – spiegò Lupin – è una società segreta fondata da Silente ai tempi della presa di potere di Voldemort. Vista la situazione, Silente ha pensato di contattare i vecchi membri e coinvolgerne di nuovi.
-          Dunque è la stessa società segreta di cui facevate parte quindici anni fa – affermò Sara, sempre con lo sguardo davanti a sé; non riusciva a guardare Remus negli occhi e non riuscì neppure a meravigliarsi di aver avuto la conferma del ritorno del Signore Oscuro.
-          Si, sai già qualcosa dell’Ordine?
-          Il tuo amico mi aveva accennato qualcosa. Niente di particolarmente dettagliato, ma abbastanza per capire che potesse trattarsi di una cosa del genere.
-          Il tuo amico? – domandò Remus voltandosi verso di lei con un sopraciglio sollevato – Non riesci nemmeno a pronunciare il suo nome?
Sara sentì il suo cuore stringersi e un groppo salirle in gola, così decise di non rispondere. No, non riusciva a pronunciare il suo nome. Aveva dovuto dire il nome “Sirius Black” troppe volte, per lavoro, negli ultimi giorni e ora non riusciva a pronunciarlo come se parlasse di qualcuno che faceva parte della sua vita.
Rimase ostentatamente in silenzio, con lo sguardo rivolto ovunque tranne che verso Lupin, così l’uomo riprese a parlare.
-          L’Ordine ha seguito con interesse il tuo lavoro. Sei stata davvero in gamba a scagionare “il mio amico”.
Sara sbuffò sonoramente e incrociò le braccia davanti al petto.
-          Ho come l’impressione che tu sia arrabbiata – tentò Remus per rompere il mutismo della donna.
Sara si voltò di scatto, guardandolo per la prima volta e perforandolo con un’occhiata glaciale.
-          Arrabbiata? Hai l’impressione che sia arrabbiata? Ti pare che abbia dei motivi per essere arrabbiata? – inveì con un tono di voce sempre crescente.
-          Sara, ti prego…
-          Io non sono arrabbiata! – gridò alzandosi dalla panchina e piazzandosi davanti a lui – SONO FURIOSA! Voi ve ne state lì, dietro le quinte, a tirare le fila del vostro teatrino e lasciate gli altri a sbattere la testa nei muri! E adesso dovrei starti a sentire? Perché? PERCHÈ?
-          Hai ragione – cominciò Remus alzandosi a sua volta – però…
-          Però che cosa? Certo che ho ragione! Come potrei non avere ragione! Non avete scuse, nessuna scusa, per il vostro comportamento!
-          Lo so Sara, ma cerca di capire, che cosa avremmo dovuto fare? – riuscì finalmente a dire Remus.
-          Dirmi la verità per esempio! Io ti ho chiesto più volte se sapessi qualcosa, se avessi informazioni che mi mancavano, se fossi a conoscenza di qualche dettaglio che mi aiutasse a capire! Te l’ho chiesto quindici anni fa! QUINDICI! L’ho chiesto a te e l’ho chiesto a Silente. L’unica risposta che ho avuto è stata “No, non c’è assolutamente niente. Mettiti il cuore in pace”. NIENTE! E ora io ci devo uscire pazza con questa storia del Custode Segreto perché tra tutti avete avuto la bella pensata di tenermi completamente all’oscuro di come stessero le cose. IO NON SONO ARRABBIATA!
Era di nuovo furente come quando aveva cacciato Tonks dal suo ufficio. Come poteva Remus presentarsi così e sperare che lei lo stesse a sentire accettando le sue stiracchiate spiegazioni.
Poiché la donna era senza fiato dopo la sfuriata, Remus riuscì a parlare con più calma.
-           Sara – cominciò lui lentamente – posso capire che tu sia amareggiata e furibonda, ma noi tutti abbiamo creduto di farlo per il tuo bene. Non è stata una mancanza di fiducia nei tuoi confronti. All’inizio non era saggio che Sirius ti dicesse che cosa stava per fare e dopo… che senso avrebbe avuto dirtelo? Che cosa dovevo fare? Dirti che Sirius era il Custode Segreto di Lily e James e causarti ancora più dolore? E per quanto riguarda la faccenda di Peter, io stesso ne sono venuto a conoscenza solo due anni fa.
-          Due anni fa? – domandò Sara ora più calma. Il suo cervello riprese a lavorare a pieno ritmo facendo collegamenti – L’anno in cui hai insegnato a Hogwarts.
Dopo una pausa in cui avvertì nuovamente un’ondata di rabbia crescerle dalle parti dello stomaco, chiese:
-          L’ultima volta che ci siamo visti allora lo sapevi già?
Il suo sguardo era talmente fiammeggiante che avrebbe impaurito anche l’uomo più coraggioso del mondo.
-          No, quella volta ancora non ne sapevo nulla. L’ho scoperto solo verso la fine dell’anno scolastico.
Il fatto che nemmeno Remus sapesse molto della faccenda, placò in parte il senso di ingiustizia che attanagliava il petto di Sara. Cercando di riordinare le idee, domandò:
-          Perché Silente mi ha fatta controllare da Tonks e poi pedinare?
-          Non ti stavamo controllando, non nel senso stretto del termine. Siediti, così ti racconto.
Sara si sedette sulla panchina e fumò l’ennesima sigaretta, mentre ascoltava Lupin raccontare di quando Silente aveva proposto di ammetterla all’Ordine, delle obiezioni che c’erano state, della decisione di affiancarle Tonks per conoscerla meglio e infine dell’intervento di Kingsley Shakelbolt.
Erano un sacco di nuove informazioni da digerire e Sara non sapeva più che cosa pensare. Da un lato si sentiva onorata che Silente avesse proposto di ammetterla nell’Ordine della Fenice, dall’altro sentiva di meritarlo per tutto quello che aveva dovuto passare. Meritava delle risposte.
Era arrabbiata con Tonks per averla ingannata, ma si rendeva conto che la ragazza non l’aveva fatto con cattive intenzioni e, anzi, si era schierata dalla sua parte sostenendone l’affidabilità.
Non poteva che avercela con Kingsley Shakelbolt per averla seguita, ma in un certo senso capiva le sue ragioni: gli avevano tolto il caso Black, facendogli fare la figura dell’incompetente, e ora proponevano di introdurre quella che gli aveva fatto fare la figura dell’incompetente nell’Ordine, così su due piedi.
Dopo averle lasciato il tempo per riflettere, Lupin disse:
-          So che non è una decisione facile da prendere e non posso nasconderti che far parte dell’Ordine della Fenice sia rischioso. L’ultima volta eri troppo giovane, ma questa volta hai il diritto di combattere contro Voldemort attivamente… se desideri farlo.
-          Siete certi che sia tornato? – chiese Sara, sperando inutilmente in una risposta negativa.
-          Sì. Harry l’ha visto risorgere, recuperare il suo corpo… con l’aiuto di Peter Minus.
Harry. Harry Potter. Ancora una volta incrociava il suo destino con quello di Voldemort.
-          Harry. Come sta? È a Hogwarts immagino.
-          Sì, ora è a Hogwarts, ma ha passato parte delle vacanze con l’Ordine. E’ un ragazzo incredibile, non so come riesca a essere ancora vivo e sano di mente con tutto quello che gli è successo.
-          Bé ha dei buoni geni – replicò la donna.
Sara deglutì un paio di volte e respirò a fondo prima di fare la domanda che le interessava davvero, la domanda che aveva in testa fin dal primo istante in cui aveva riconosciuto Lupin.
-          Tu sai dov’è, non è vero?
Non ebbe bisogno di specificare a chi si riferisse, perché Remus capì immediatamente che non stavano più parlando di Harry Potter.
-          Sì, lo so – confermò l’uomo – Ma capirai perché non posso dire di più.
-          E così Harry conosce il suo padrino…
-          Sì, lo conosce anche se non hanno passato molto tempo insieme fino ad ora.
Sara provò improvvisamente un moto di gelosia verso Harry Potter, verso Remus, verso l’Ordine della Fenice. Tutti loro sapevano dell’innocenza di Sirius da più di lei e avevano trascorso con lui tempo che a lei non era stato concesso. Era tutto così tremendamente ingiusto.
-          Non devi decidere in questo istante – riprese Remus, tornando al discorso precedente – Questa sera ci sarà una riunione, alle sette e trenta sarò davanti al Ministero. Se avrai deciso di partecipare ci vedremo lì, altrimenti, se non ti vedrò, saprò che non vuoi far parte dell’Ordine e tu dimenticherai questa conversazione.
Detto questo Remus si alzò e si allontanò, lasciando Sara sulla panchina, con molte più cose a cui pensare di quando ci si era seduta solo una mezz’ora prima.
 
*^*^*^*^*
 
Quella mattina, prima che Tonks arrivasse tempestando a Grimmauld Place, Sirius aveva iniziato a sistemare la collezione di libri di suo padre. Adesso, nell’attesa che Remus tornasse con un responso, aveva deciso di continuare, giusto per avere qualcosa da fare.   
Nonostante le premesse, decisamente negative, aveva scoperto di apprezzare quel lavoro. Non c’erano solo libri di magia nera, come aveva temuto, anche se alcuni dei testi erano davvero raccapriccianti. C’erano molti libri di Storia della Magia, raccolte di articoli di giornale, saggi sui più vari argomenti e perfino qualche romanzo.
La biblioteca era sempre stato il regno privato di suo padre, l’unico da cui fosse riuscito a escludere l’ingombrante presenza della moglie, Walburga Black, e portava i segni del gusto e della personalità del Signor Black come nessun’altra parte della casa.
Sirius non poteva dire di aver avuto un rapporto molto profondo con suo padre. In un certo senso il rapporto con sua madre era stato più intenso, anche se completamente negativo. Orion Black, soggiogato dalla moglie, non aveva interferito con l’educazione dei figli e si era mantenuto ai margini della scena. Ora, frugando tra i suoi libri, Sirius scopriva cose su suo padre di cui non aveva avuto la minima percezione.
Remus, tornato a Grimmauld Place per riportare l’esito della sua conversazione con Sara, si affacciò dalla porta aperta della biblioteca, dove Sirius stava suddividendo i libri per argomento.
Nel vedere l’amico, di ritorno dalla sua missione, Sirius si bloccò con un libro tra le mani, stringendolo come se fosse la sua unica salvezza.
-          Niente panico, non ha ancora deciso – disse Lupin per prima cosa – Le ho parlato, sono d’accordo di farmi trovare davanti al Ministero, tra poco più di due ore. Se deciderà di far parte dell’Ordine si farà trovare lì.
Un’altra attesa. Questa storia stava diventando così frustrante da rasentare la tortura.
-          Che cosa ti ha detto? – domandò Sirius depositando il libro su una pila precaria di tomi simili.
-          Non credo di poterti riportare la conversazione parola per parola – disse Remus avanzando cautamente tra i libri impilati sul pavimento – ma la sostanza del discorso è che è estremamente arrabbiata.
Sconfortato, Sirius si lasciò cadere sulla poltrona dietro l’ampia scrivania, che occupava il centro della stanza.
-          Non mi sorprende – disse dopo qualche istante – anche io sarei arrabbiato. Pensi che accetterà? – domandò poi, sollevando gli occhi verso Lupin.
Remus rifletté alcuni istanti prima di decidersi a rispondere, come se stesse cercando le parole giuste. Trascinò una sedia accanto alla scrivania e si sedette di fronte a Sirius, poi parlò.
-          Credo che tu debba sapere delle cose, prima che tu veda Sara. In tutta questa storia, sicuramente tu, Lily e James avete pagato il prezzo più alto, ma per capire come si sia sentita Sara, devi provare a metterti nei nostri panni, nei panni di chi è rimasto qui, libero e in vita, ma senza più niente di quello che aveva conosciuto.
Sirius, preoccupato dal tono serio di Remus, si sporse in avanti per ascoltare con più attenzione.
-          Quando tu sei stato arrestato e Lily e James sono… bè, lo sai… io mi sono sentito perso. Voi eravate la mia famiglia, l’unica rimasta dopo la morte di mia madre. Ero distrutto, niente aveva più senso e non mi sono mai sentito così solo come in quel periodo.
Comprendendo quanto fosse difficile per Lupin parlare di quelle emozioni, Sirius non fiatò e lo lasciò proseguire.
-          Dopo alcuni giorni, mi ero ripreso abbastanza da realizzare che c’era un’altra persona nelle mie stesse condizioni, anzi probabilmente in condizioni peggiori. Così sono andato a Hogwarts a trovare Sara. Credimi Sirius, non sono mai più riuscito a dimenticare il suo volto quando l’ho vista la prima volta. Era così pallida e distrutta da essere irriconoscibile, faticava persino a parlare. Tutte le energie che aveva le ha usate per chiedermi di trascorrere qualche tempo a casa mia, a Londra. Voleva andarsene da Hogwarts e io non ho saputo rifiutare.
-          Ha passato del tempo a casa tua? – chiese Sirius, incapace di trattenersi.
-          Sì. È rimasta da me per diversi mesi. All’inizio non sapevo cosa fare. Non mangiava, non parlava, non dormiva. Temevo che si lasciasse andare fino a morire. Non sapevo se gridare o cercare di consolarla. Poi, pian piano, ne è venuta fuori da sola. Ha ritrovato una sorta di equilibrio, ma per lei è stato tremendamente difficile. Non riusciva a credere che tu fossi colpevole e non sapeva capacitarsi di essersi sbagliata così tanto sul tuo conto. Se è per questo… nemmeno io riuscivo a capacitarmene.
Remus parlava tenendo gli occhi bassi, come se quei ricordi fossero troppo dolorosi per riuscire a sostenere lo sguardo di Sirius.
-          Ho faticato molto per convincerla a tornare a Hogwarts, almeno per completare gli esami del M.A.G.O., e alla fine ci sono riuscito. Sara però non è più stata la stessa. Io, che l’avevo conosciuta bene sia prima che dopo, vedevo chiaramente la differenza. È diventata cinica, dura, con gli altri ma soprattutto con se stessa.
Sirius sentì il familiare senso di colpa prendere il sopravvento, potente come non mai. Cosa le aveva fatto?
-          Immagina che cosa deve essere stato per lei occuparsi del tuo caso, districarsi tra tutte queste menzogne e arrivare finalmente a scoprire la verità. Adesso è arrabbiata con me e con Silente per non averle detto che tu avresti dovuto essere il Custode Segreto di Lily e James. E credo anche che sia arrabbiata perché so da due anni che sei innocente e non le ho detto nulla.
Era molto peggio di quanto avesse creduto. Vedeva il dolore negli occhi di Remus a distanza di anni. C’era lo stesso dolore in quelli di Sara?
-          Però, sai… mi ha chiesto di te. Mi ha domandato se sapessi dove tu fossi. Ovviamente non le ho risposto, ma lei ha capito lo stesso.
Remus fece una pausa e sollevò gli occhi per guardare l’amico in faccia.
-          Non so – disse infine – se sarà abbastanza forte da presentarsi qui stasera. Ma prima o poi accetterà. Le manchi troppo.
*^*^*^*^*
 
Il sole stava tramontando. Sara era sempre seduta sulla panchina del lungofiume e non sapeva decidere. Un secondo era perfettamente convinta di accettare l’offerta di Remus, il secondo successivo invece voleva mandare al diavolo tutto e tutti, soprattutto Sirius Black, e tornare a condurre un’esistenza normale.
Che poi… normale… non c’era mai stato niente di normale nella sua vita e Sirius Black era stato una costante, perfino quando era rinchiuso in prigione. Sara aveva avuto altre storie. Un compagno di Accademia, uno strano tizio che aveva conosciuto in un bar, poi un collega di lavoro, ma nessuna aveva funzionato perché il suo termine di paragone era troppo elevato.
Aveva separato Sirius Black l’assassino da Sirius Black il suo ragazzo e quest’ultimo era diventato il paragone per tutti gli altri uomini. Inutile dirlo, nessuno reggeva neppure lontanamente il confronto.
Adesso tutti i tasselli del puzzle, che davvero sembrava senza fine, stavano andando al loro posto. Tutti i dettagli sembravano combaciare. Quello che Remus le aveva raccontato spiegava molte cose del passato e quasi tutte quelle del presente. Per esempio, ora Sara sapeva di non aver immaginato l’occhiata di intesa tra Kingsley Shakelbolt e Ninfadora Tonks fuori dall’aula in cui si era tenuta l’udienza per il caso Black.
Sapeva di potersi fidare di Remus. Era l’unico che l’avesse aiutata sempre, capita quando piangeva perché sentiva la mancanza di un pluriomicida, sostenuta quando aveva deciso di lasciare Hogwarts e aiutata a tornarci quando era stata pronta. Lei si era appoggiata a Remus Lupin con tutto il suo peso senza curarsi dei suoi sentimenti, del suo dolore, e lui non aveva mai protestato. Questa era vera amicizia.
Quando Sara era entrata all’Accademia, la sua vita era diventata talmente frenetica che non aveva tempo per altro che non fossero lo studio e il lavoro. Col tempo aveva visto Remus sempre meno, poi avevano preso solo a telefonarsi, infine anche le telefonate erano cessate. Erano legati indissolubilmente da una grande amicizia, ma la presenza l’uno per l’altra era causa di ricordi troppo dolorosi.
Eppure Sara aveva sempre saputo di poter contare su di lui e non aveva esitato a cercarlo quando ne aveva avuto veramente bisogno. Era accaduto quando Sirius era evaso da circa una settimana.
Durante le iniziali ricerche a tappeto, in cui tutto il Ministero era stato coinvolto, Sara era stata inviata ad Azkaban per i rilievi nella cella dell’evaso. Entrare nella stanza che Sirius aveva occupato per tredici anni era stato tremendamente difficile ma, utilizzando la corazza di cinismo che si era costruita con tanta attenzione, Sara era riuscita a portare a termine il suo lavoro.
Dopo qualche giorno però aveva chiesto al Capo di poter tornare a lavorare sui vecchi casi. Con se stessa diceva che comunque c’era così tanta gente a cercare Sirius Black che la sua presenza non sarebbe servita a molto.
La notizia dell’evasione di Sirius Black inizialmente l’aveva sconvolta, non sapeva come gestire la cosa. Sarebbe andato a cercarla? E in quel caso che cosa avrebbe dovuto fare lei? Consegnarlo alle autorità? O farlo a pezzi con le sue mani?
Ma più di tutto c’era una cosa che la tormentava: lei sapeva che Sirius era un Animagus, lo aveva sempre saputo, e sospettava fortemente che proprio quel potere gli avesse consentito di evadere. Però ancora non l’aveva detto a nessuno. Come poteva ammettere di conoscere un criminale tanto bene da sapere un simile segreto? Che cosa ne sarebbe stato della sua carriera? L’avrebbero accusata di intralcio alla giustizia o peggio di complicità? Che cosa doveva fare?
L’unica persona che avrebbe potuto aiutarla a rispondere a questa domanda era l’unica altra persona al mondo a sapere che Sirius Black sapeva trasformarsi in un cane: Remus Lupin. Così una sera, terminato l’orario di lavoro, si era presentata a casa sua.
-          Ciao Sara, che piacere vederti! – disse Remus, fermo sulla porta – Vieni entra!
Erano anni che non si vedevano, ma Remus l’accolse come se si fossero visti appena il giorno prima. Sara si sentiva strana a ricorrere nuovamente all’aiuto di Remus ma l’accoglienza calorosa le aveva dato coraggio. Si erano abbracciati sulla porta di casa, dopo di ché erano rientrati e si erano seduti a parlare.
-          Allora, come vanno le cose? – chiese Sara mentre Remus riempiva il bollitore.
-          Bene, ultimamente molto meglio.
L’uomo prese un foglio di pergamena da un portadocumenti e lo porse a Sara. Era una lettera, vergata in una calligrafia stretta e sinuosa che portava in calce la firma di Albus Silente. Sara la lesse rapidamente sgranando gli occhi.
-          Quindi da ora in poi dovrò chiamarti “Professor Lupin”? – disse restituendo la lettera a Remus – In fondo sono stata la tua prima allieva.
-          Hmm… no, credo che tu possa continuare a chiamarmi Remus. Aiutarti a preparare gli esami del M.A.G.O. non è stato poi un vero lavoro, sei sempre stata una studentessa particolarmente dotata.
Sara sorrise ed entrambi rimasero in silenzio per un po’, sprofondati nei ricordi. Ricordando improvvisamente il motivo della sua visita, la donna tornò seria e chiese:
-          Non ti immagini perché sono qui?
-          Sì, lo immagino – rispose Remus posandole davanti una tazza di the e sedendosi a sua volta – Come stai?
-          Bene. Oddio insomma, un po’ sotto sopra. Ma potrei stare peggio. Ormai credo di averla superata – rispose la donna titubante.
-          Certo – replicò Lupin scrutandola da sopra la tazza con uno sguardo non altrettanto convinto quanto le sue parole.
-          C’è una cosa che mi preoccupa – continuò Sara visto che l’amico non sembrava intenzionato a dire altro. Fece un respiro profondo e disse – Io e te sappiamo che Sirius è un Animagus. E’ probabile che per questo sia riuscito a evadere. Tu l’hai mai detto a nessuno?
-          No, io non l’ho detto ad anima viva – rispose Remus sorseggiando il the – E tu?
-          Nemmeno io. Hai intenzione di farlo? Pensi di dirlo a Silente? In fondo andrai a lavorare a Hogwarts, forse dovrebbe saperlo.
-          Non credo che lo dirò – disse Remus gravemente, dopo aver riflettuto un istante – Significherebbe ammettere che quando ero a scuola andavo in giro a fare bravate quando invece avrei dovuto rimanermene alla Stamberga Strillante. Non voglio dare questa impressione a Silente,  non ora che nonostante tutto mi ha dato un lavoro.
Una parte di Sara inspiegabilmente fu sollevata dalla notizia che Remus non avrebbe detto nulla e aveva l’impressione che anche Lupin avesse riflettuto sulla questione.
-          Sono certa che sarai un ottimo insegnante – disse infine la donna strappando un sorriso all’amico – Sai io non posso compromettermi dicendo che Sirius Black è un Animagus, nella migliore delle ipotesi mi prenderebbero per pazza e nella peggiore mi sbatterebbero al suo posto ad Azkaban. Intanto non credo che cambierebbe qualcosa, che potrebbe fare il Ministero? Mettersi a controllare ogni cane nero d’Inghilterra?
Aveva parlato precipitosamente, cercando allo stesso tempo di suonare convincente e di giustificare la sua decisione. Attese col fiato sospeso che Remus parlasse.
-          Anche io credo che non cambierebbe nulla – interloquì Lupin con tono convincente – In fondo per quello che ne sappiamo Sirius potrebbe essere evaso usando qualche magia nera imparata da Voldemort.
Sentire queste parole le fece più male di quanto avrebbe creduto possibile, probabilmente non si sarebbe mai abituata ad associare Sirius a Voldemort, ma era esattamente quello che aveva sperato di sentirsi dire. Aveva bisogno che qualcuno le dicesse che stava facendo la cosa giusta e nessuno meglio di Remus avrebbe potuto farlo.  
Ripensando a quella conversazione Sara convenne che probabilmente Remus diceva la verità, all’epoca non sapeva ancora com’erano andate effettivamente le cose tra Sirius e Peter Minus.
Una parte di lei, che risiedeva in un punto non ben identificato del suo stomaco e che aveva a che fare con l’istinto, le diceva a gran voce che sarebbe andata comunque a cercare Sirius. Aveva bisogno di altre risposte. Tanto valeva accettare questa opportunità.
Un’altra parte di lei, annidata nella parte raziocinante del suo cervello, diceva invece che era una pessima idea. Era pericoloso, folle, incosciente. Stava mettendo a repentaglio la sua carriera, tutto quello che aveva faticosamente costruito, il rispetto che si era guadagnata al Ministero. Tutto questo per cosa? Perché da adolescente era stata tanto stupida da innamorarsi?
Il Tamigi, che scorreva placido davanti ai suoi occhi, non le avrebbe dato alcuna risposta.
Sara chiuse gli occhi e cercò di immaginare se stessa nell’atto di tornare a casa, preparare la cena, andare a dormire e dimenticare tutto quanto. Sola. Lo scenario era così desolante che quasi le venne da piangere.
Riaperti gli occhi, controllò l’orologio da polso. Mancavano pochi minuti all’appuntamento con Remus.
Senza più pensare, Sara si alzò dalla panchina e si mise a correre verso il Ministero della Magia.
 
*^*^*^*^*
 
Quando Remus uscì, per andare all’appuntamento con Sara, Sirius si trovò da solo, schiacciato dall’ansia e dal senso di colpa. Il desiderio di vedere Sara era diventato un dolore fisico che Sirius non riusciva più a sopportare.
Quando arrivò al piano di sotto, trovò Molly e Lily che si affaccendavano ai fornelli per preparare il cibarie per la cena, che sarebbe seguita alla riunione. James e Arthur intanto stavano sistemando la poca documentazione a proposito dell’Ufficio Misteri che l’Ordine aveva a disposizione.
Il progetto di Voldemort di rubare la profezia a proposito di Harry stava procurando molti problemi all’Ordine, soprattutto perché avevano pochi mezzi per impedirlo. Avevano istituito dei turni di sorveglianza all’Ufficio Misteri per accertarsi che nessuno si avvicinasse alla profezia, ma era davvero troppo poco. Avrebbero dovuto controllare meglio gli ingressi, proteggerli in qualche modo, occorreva sapere chi e quando aveva accesso a quelle sale, tutte cose impossibili da sapere a quello stato delle cose. Non avevano neppure una pianta dell’Ufficio Misteri. Ma esisteva poi? Era tutto così segreto.
Queste riflessioni allontanarono per qualche istante i suoi pensieri da Sara, ma non appena Sirius colse lo sguardo apprensivo di James, la donna ricominciò prepotentemente ad occupare la sua mente.
Sirius si spostò dall’uscio della stanza e si mise ad aiutare James e Arthur, tanto per avere qualcosa da fare. Quando ebbero terminato si sedette accanto all’amico e si accese una sigaretta, procurandosi un’occhiataccia da Molly.
-          Come stai? – chiese amichevolmente James.
-          Bene – rispose, nonostante sentisse un pugno gelido stretto all’interno del petto – Sto bene davvero, James – aggiunse vedendo lo sguardo perplesso del suo interlocutore – La mia innocenza è stata finalmente dimostrata e i giornali non parlano d’altro, ho di nuovo il mio migliore amico, che cosa potrei chiedere di più?
 
*^*^*^*^*
 
Sara arrivò trafelata e senza fiato, col cuore che le batteva direttamente in gola, appena in tempo per vedere Remus Lupin comparire da dietro un angolo.
-          Alla fine hai deciso di accettare – disse l’uomo con un sorriso.
-          Sai, credo di non avere molta scelta dopotutto – disse Sara cercando di riprendere fiato – Mi dispiace per essermi tanto arrabbiata, prima – disse poi, titubante.
Non era colpa di Remus, tutto quello che era accaduto e non si meritava di essere accusato ingiustamente. Avrebbe potuto arrabbiarsi in seguito, con chi di dovere.
-          Non ti preoccupare, sei giustificata – rispose Lupin con un sorriso – Sara… mi sei mancata.
-          Anche tu, amico mio.
Il sorriso di Remus era così rassicurante che, per un attimo, l’ansia di Sara si ritirò in buon ordine e le diede modo di domandare:
-          Allora, dove dobbiamo andare?
Remus prese a camminare in direzione di una strada secondaria poco frequentata. Quando furono sufficientemente lontani da orecchie e occhi indiscreti si voltò e disse:
-          Direi che è meglio usare la Materializzazione, la tua auto potrebbe dare nell’occhio. Siamo molto sorvegliati.
-          D’accordo, ma dove dobbiamo andare? – chiese ancora Sara.
-          Ti guiderò io.
Senza aggiungere altro Remus la afferrò saldamente per un braccio e si preparò a smaterializzarsi. Sara si concentrò non sulla destinazione, che non le era nota, ma su Remus, cercando di costringere ogni particella del suo corpo a seguire l’amico, ovunque stesse andando. Dopo pochi istanti avvertì la familiare sensazione di essere prima compressa da ogni lato e poi risucchiata, vide immagini indistinte sfrecciare attorno a lei poi, all’improvviso, la terra ferma fu nuovamente sotto i suoi piedi.
Sara si guardò intorno, erano in una strada male illuminata, costellata da entrambi i lati da ville addossate le une alle altre. Alcune apparivano in pessime condizioni, come se non fossero abitate, altre invece avevano un’aria ordinata e curata. La donna cercò dei punti di riferimento per orientarsi. Era ancora a Londra, lo sapeva perché il tragitto della Materializzazione era stato piuttosto breve e lo sapeva perché anche quella zona aveva l’odore tipico della città, un inconfondibile miscuglio di umido e di smog. Ma a parte questo non aveva idea di quale quartiere si trattasse.
-          Dove siamo? – domandò sussurrando a Remus.
Non sapeva perché ma quel luogo la induceva a parlare sottovoce. Per tutta risposta l’uomo frugò nella tasca della giacca e estrasse un piccolo foglietto di pergamena. Glielo porse dicendo che era da parte di Silente e Sara lo aprì impaziente.
 
“Il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si trova al numero 12 di Grimmauld Place”
 
-          Silente è il Custode Segreto del Quartier Generale – spiegò Remus.
-          No, basta Custodi Segreti! – scherzò Sara che evidentemente non aveva perso del tutto il senso dell’umorismo.
-          Ora che hai letto il messaggio sai dove si trova, ma non puoi rivelarlo a nessuno. Memorizza quello che c’è scritto e concentrati.
Sara obbedì, tornando seria, diede un’ultima scorsa al biglietto prima che Remus lo distruggesse e si concentrò. Fu un’apparizione davvero strana, una villa che prima non c’era si materializzò tra le due case adiacenti come se fosse spuntata dal suolo. Accanto alla porta un numero in ottone comunicava che si trattava del numero dodici e l’inquietante batacchio a forma di serpente intrecciato aveva probabilmente la funzione di scoraggiare eventuali seccatori.
E così ora faceva parte dell’Ordine della Fenice e di lì a poco avrebbe rivisto Sirius. Lo stomaco le si strinse per l’ennesima volta quel giorno, respirare normalmente cominciava ad essere complicato e il fisico della donna protestava per la stanchezza. Tutta l’ansia di quei giorni la rendeva esausta.
-          Prima di entrare ti devo dire una cosa – esordì Remus invitandola a sedersi accanto a lui su uno dei gradini che conducevano all’ingresso.
-          O Dio mio, che altro c’è? – domandò la donna sedendosi titubante.
Quante altre rivelazioni sarebbe stata in grado di sopportare? Remus sembrava a disagio, molto più di quanto non fosse stato in precedenza, e Sara si preoccupò.
-          Remus, ti prego. Prima che mi scoppino le coronarie, dimmi che cos’altro devo sapere.
Lupin prese fiato e, guardando Sara dritta in faccia, iniziò a raccontare.
-          Vedi, un po’ di tempo fa, diciamo qualche mese, è successa una cosa davvero strana. Eravamo nella soffitta, qui a Grimmauld Place, a fare le pulizie e…
Remus raccontò quello che era successo durante l’estate, di come ci fosse stato quello strano scoppio che aveva portato con sé Lily e James Potter. Le spiegò le supposizioni di Silente a proposito di questo fenomeno e le comunicò che i Potter erano ancora lì, poco oltre quella porta di legno scuro.
Al termine del racconto Sara era completamente attonita. Aveva gli occhi sgranati fissi su Remus e la bocca leggermente aperta per lo stupore. Non poteva credere alle sue orecchie. Lily e James erano tornati! Aveva creduto che nulla sarebbe più riuscito a sconvolgerla e invece, ancora una volta, si era sbagliata. E si era sbagliata di grosso. E adesso? Come avrebbe potuto affrontare anche questo?
Sara spostò lo sguardo verso la strada, poi si voltò per guardare l’uomo negli occhi. Adesso aveva le labbra serrate e la fronte corrugata.
-          Ti prego dimmi che è solo uno scherzo di cattivo gusto – disse supplichevole.
-          Ti assicuro che non è uno scherzo – replicò l’altro senza scomporsi.
-          Voi volete farmi morire – disse Sara alzandosi improvvisamente – Io comincio ad avere una certa età! State cercando di farmi venire un infarto.
Remus ridacchiò ma non disse niente. Sara prese a camminare avanti e indietro nel vialetto davanti al numero 12, facendo scricchiolare la ghiaia sotto le scarpe da ginnastica.
Ci mancava solo quella!
Era già stato difficile riconciliarsi con l’idea che Sirius non fosse un criminale, ora doveva anche fare i conti con il ritorno alla vita di due amici morti quindici anni prima. Come diavolo poteva entrare in quella casa? Sembrava che tutto il suo passato di fosse radunato lì. Sara continuò a riflettere mentre camminava e Remus la lasciò fare, probabilmente sapeva che non era una notizia facile da digerire.
Alla fine la donna si fermò e scrutò la porta della casa con sospetto. Ormai era lì, non poteva più decidere di tornare indietro. Inspirò profondamente ed espirò tenendo gli occhi chiusi, cercando di recuperare un briciolo di autocontrollo.
-          Remus, fammi un favore. Se ci sono altre cose, altre rivelazioni sconcertanti… ti prego, aspetta fino a domani. Stasera non sono in condizione di tollerare altro.
Remus annuì con aria divertita e si alzò a sua volta.
-          Va bene – disse infine  la donna più a se stessa che a Lupin – Andiamo.
-          Un’ultima cosa – aggiunse Remus – Nessuno sa della storia che c’è stata tra te e Sirius, tranne me, James e Lily. Per ora riteniamo sia più saggio che non si sappia, d’accordo?
Sara annuì, come in trance. Ok, altre complicazioni? Tutto qui? Ottimo, sempre più facile da gestire.
L’uomo si alzò e aprì la porta con un colpo di bacchetta. Sara sentiva ogni muscolo ogni nervo del corpo in preda a una tensione mai provata prima. Lo sforzo di tenersi in piedi e muovere qualche passo verso la casa sembrava disumano, senza rendersene conto cominciò a tremare. Quando varcò la soglia e si trovò nell’ingresso buio e polveroso del Quartier Generale sentì di aver oltrepassato un punto di non ritorno. Ora avrebbe dovuto semplicemente stare a vedere come si sarebbero messe le cose.
 
*^*^*^*^*
 
Dalla cucina, che si trovava ad un livello leggermente seminterrato rispetto all’ingresso, Sirius udì il familiare scatto della porta. Si alzò di scatto dalla sedia e tese spasmodicamente le orecchie per cercare di capire se i passi che si sentivano appartenessero a una o due persone.
Anche Lily aveva sentito lo scatto della porta e pareva nervosa. L’atmosfera nella cucina era cambiata drasticamente, sembrava che anche le pareti trattenessero il respiro.
Nell’ingresso intanto Remus si premette un dito sulle labbra per indicare a Sara di fare silenzio. Lei fece un cenno d’assenso per dimostrare di aver capito, in ogni caso non sarebbe riuscita a emettere alcun suono. Ora non solo lo stomaco era contratto, ma anche la gola sembrava non rispondere a dovere ai comandi del cervello. La situazione rischiava di diventare imbarazzante.
Sara seguì Remus giù per una breve rampa di scale, in fondo alla quale c’era una semplice porta di legno. L’uomo la aprì per introdursi all’interno della stanza e, dopo il buio dell’ingresso, la luce proveniente dai candelabri alle pareti e dal caminetto abbagliò Sara, costringendola a stringere gli occhi.
-          Ciao ragazzi – salutò Remus.
Le voci che risposero al saluto erano così familiari da toglierle il respiro: la voce dolce di Lily, il tono sempre lievemente beffardo di James e soprattutto l’inconfondibile voce roca di Sirius. Il cuore di Sara batteva talmente all’impazzata che dovette controllarsi per non premersi le mani sul petto. Ad un tratto si rese conto che Remus la guardava invitandola a entrare. La donna fece un respiro, profondo quanto la sua ansia glielo concesse, e avanzò di qualche passo per entrare nella luce di quella che sembrava una grande cucina.
Quando trovò il coraggio per alzare gli occhi dal pavimento, il cuore che prima aveva rumoreggiato così intensamente sembrò fermarsi. Erano davvero loro, c’erano James, Lily… e Sirius… che la guardavano in silenzio.
Sara quasi non riusciva a respirare, figuriamoci a parlare. Ferma accanto alla porta fece scorrere lo sguardo da Lily, in piedi accanto a James, fino a Sirius.
Le bastò un sbirciata per vedere quanto era cambiato, era evidentemente segnato da tutte le disgrazie che avevano caratterizzato la sua vita, ma nell’occhiata che l’uomo le restituì Sara riconobbe il ragazzo di cui era stata innamorata e improvvisamente trovò impossibile sostenere il suo sguardo.
Sara guardò nuovamente Lily, era proprio lei non c’era dubbio. Capelli rossi, occhi verdi, viso innocente, quasi da bambina… ed era giovanissima. Sara si sorprese a pensare che adesso era lei quella più vecchia delle due.
La scena era bizzarra e stranamente immobile, la donna sapeva che era il momento di dire qualcosa, ma non aveva idea di che cosa. Per fortuna qualcuno che prima non aveva notato venne in suo soccorso spezzando la tensione del momento.
-          Auror White! – esclamò una donna che fino a un attimo prima era stata rivolta verso i fornelli – E’ un vero piacere conoscerla, sono Molly Weasley – disse avvicinandosi per stringerle la mano.
Sara riuscì a riprendere un minimo di padronanza di sé, sufficiente a fare qualche passo e a stringere la mano alla donna. Ai margini del suo campo visivo avvertì il movimento di Lily che sussurrava qualcosa al marito e allo stesso modo percepì l’immobilità di Sirius che non smetteva i fissarla.
-          Piacere Signora Weasley – disse cercando di suonare naturale.
-          Mi chiami Molly, la prego.
-          E allora lei mi chiami Sara – replicò l’Auror sciogliendo la tensione in un sorriso sincero, quella donna le era simpatica.
Arthur, che fino a quel momento era rimasto seppellito sotto il giornale, si unì alla moglie nel dare il benvenuto a Sara e Sirius li osservò con un misto di sollievo e invidia bruciante. Era sollevato perché grazie alla presenza dei Weasley sembrava che Sara si stesse sciogliendo un po’, ma invidiava l’immediata confidenza che avevano acquistato con lei quando lui non era neppure riuscito a salutarla.
A Sirius era parso che il suo ingresso in cucina avesse illuminato la stanza ancor più di quanto facessero le candele. Non appena aveva varcato la soglia i suoi occhi erano stati completamente catturati da Sara e ancora non era riuscito a distogliere lo sguardo da lei. L’aveva pensata, l’aveva sognata ogni giorno senza eccezione negli ultimi quindici anni e ora era lì davanti a lui. Niente a che vedere con la visione fugace nel vicolo del Ministero, adesso poteva guardarla davvero. Osservò i lineamenti del volto: non erano cambiati poi di tanto, erano più adulti, forse un po’ più severi, ma si vedeva ancora la ragazzina che era in lei. E Sirius la trovava bellissima.
Chissà che cosa pensava lei? Lui certo non somigliava più al ragazzo che era stato, non dopo tredici anni ad Azkaban. Forse lo trovava così cambiato da essere irriconoscibile. Sirius non avrebbe saputo dirlo, quando era entrata i loro occhi si erano incrociati per qualche istante ma Sara aveva distolto lo sguardo quasi immediatamente. E ora era stata monopolizzata dai Weasley.
-          Sa, signorina White – stava dicendo Arthur.
-          Sara – lo corresse gentilmente la donna che ancora sorrideva. Sirius non riusciva a capire come Arthur non fosse abbagliato da quel sorriso.
-          Sara – proseguì lui – mi ha messo davvero alle strette quando è venuta a chiedermi del topo di mio figlio.
-          Mi dispiace, non volevo metterla in difficoltà – rispose Sara.
Per Sirius udire quella voce che aveva amato così tanto era come sentire la musica più bella del mondo. Avrebbe voluto scavalcare il tavolo con un balzo, stringerla tra le braccia e implorarla di perdonarlo, ma probabilmente Silente avrebbe giudicato eccessivamente rivelatore un gesto del genere.
-          Arthur, puoi andare a vedere cosa fa Tonks al piano di sopra? Io devo scendere nello scantinato a controllare le provviste – disse Molly dopo qualche istante.
Non appena Molly e Arthur furono usciti dalla stanza Sara avvertì un movimento repentino e, prima che potesse rendersene conto, Lily le aveva buttato le braccia al collo e l’aveva stretta in un abbraccio stritolatore.
-          Oh Sara! Sono così felice di vederti! – esclamò la donna senza sciogliere l’abbraccio. Evidentemente aveva deciso di approfittare dell’attimo in cui non c’erano occhi e orecchie indiscreti.
-          Anche io sono felice di vederti! – esclamò Sara.
Aveva uno spaventoso nodo in gola, ma giurò a se stessa che non avrebbe pianto. Restituì l’abbraccio all’amica e, con il mento appoggiato alla sua spalla, lasciò vagare lo sguardo prima su James, che appariva divertito, poi su Sirius.
Ogni volta che si concedeva uno sguardo all’uomo sentiva una stretta allo stomaco. Osservandolo di sottecchi le parve che non fosse particolarmente contento, sembrava anzi rabbuiato quasi arrabbiato. Forse la sua presenza lo infastidiva.
Questo pensiero fece crescere il nodo che Sara sentiva premere in gola, ma ricacciò indietro le lacrime e si staccò da Lily. Tenendole le mani sulle spalle si costrinse a distogliere gli occhi da Sirius e a posarli sul viso dell’amica. 
-          E così… - iniziò a dire in evidente imbarazzo – siete qui. È, come dire, una sorpresa.
-          Hai reagito meglio di Sirius e Remus se è per questo – intervenne James ridacchiando – Loro quando ci hanno visti ci hanno legato come due salami.
-          Ma io ero preparata, Remus mi aveva avvertito. Se vi avessi incontrati senza neppure un minimo di preparazione avrei avuto una reazione decisamente… scomposta.
Dopo questo scambio di battute scese un silenzio imbarazzato, rotto quasi immediatamente dal ritorno dei coniugi Weasley che annunciarono l’imminente arrivo degli altri componenti dell’Ordine della Fenice.
Lily cominciò a tempestare Sara con un milione di domande e la trascinò a sedere ad un’estremità del tavolo. Era così strano parlare di nuovo con Lily, soprattutto dopo aver impiegato tanti sforzi per accettare l’idea della sua morte. Ma dopo appena pochi minuti di chiacchiere a Sara sembrava di aver parlato con Lily appena qualche giorno prima.
-          Sei stata incredibile, sai? Abbiamo letto delle indagini e dell’udienza sul giornale. Sei stata davvero incredibile.
-          Non ho fatto niente – si schermì Sara.
-          Niente? Bè, se questo è niente…
Nonostante fosse molto presa dalla conversazione, Sara non poté esimersi dal notare che Sirius era seduto davanti a lei e i suo occhi vagavano verso l’uomo molto più spesso di quanto non fosse opportuno. Stava cercando con tutte le sue forze di comportarsi il più normalmente possibile, ma quasi nessun muscolo del suo corpo rispondeva correttamente ai comandi e doveva attuare uno sforzo di concentrazione per impedire alle mani di tremare e per non dimenticare di respirare.
Quando Lily aveva fatto accomodare Sara, Sirius si era seduto di fronte a lei con un gesto del tutto naturale. D’altronde quello era il posto che occupava sempre, all’angolo del tavolo più distante dalla porta, perché non avrebbe dovuto sedersi lì?
Sara stava parlando con Lily, Sirius supponeva che avessero molte cose da raccontarsi ma l’indifferenza che Sara stava mostrando nei suoi confronti non poteva che addolorarlo. Ma che cosa si era aspettato poi? Lily parve intuire il suo disagio e, approfittando della presenza di Molly, si allontanò dal tavolo per avvicinarsi nuovamente ai fornelli.
Proprio mentre Sirius pensava che il silenzio imbarazzato tra lui e Sara fosse inevitabile, la donna alzò lo sguardo verso di lui e gli rivolse un sorriso appena accennato. Sirius si sentì come se gli avessero svuotato il corpo di tutti gli organi e nonostante i pensieri funesti non poté fare a meno di restituire il sorriso a Sara. L’unica cosa che gli venne in mente di dire fu:
-          Ciao…
Banale, scontato. Forse anche un po’ stupido. Possibile che dopo quindici anni non avesse niente di meglio da dirle?
-          Ciao – rispose lei trasformando il sorriso caloroso in un sorrisetto sarcastico.
Teneva i gomiti appoggiati al tavolo e il mento appoggiato sulle mani e lo scrutava al con qualcosa di simile al divertimento. Ora che avevano iniziato a scalfire il ghiaccio Sara si rese conto che Sirius era imbarazzato almeno quanto lei. Bastò questa piccola consapevolezza a farla sentire in colpa. Sirius non avrebbe dovuto essere in imbarazzo, avrebbe dovuto essere arrabbiato con lei, lei che era stata la sua ragazza e non aveva creduto neppure per un secondo che potesse essere innocente, lei che l’aveva lasciato a marcire in prigione, lei che ci aveva impiegato quindici anni per farsi venire qualche dubbio.
E invece la guardava con le sopraciglia aggrottate e con quegli occhi incredibili carichi di aspettativa, come se temesse la sua reazione. Sara aveva talmente tante cose da dire che, in quel momento, non gliene venne in mente neanche una e rimase imbambolata a guardarlo.
Sirius a sua volta si domandava come fosse possibile che Sara riuscisse a tollerare di stare nella stessa stanza con lui, dopo tutto quello che le aveva fatto. Avrebbe voluto ringraziarla e chiederle scusa per tutto, ma non era un discorso che si sentisse di fare così, davanti a tutti.
Mentre loro erano impegnati a non parlarsi, la cucina di Grimmauld Place si era pian piano riempita e i nuovi arrivati, seppur fingendo di essere impegnati in diverse conversazioni, osservavano Sara con un misto di curiosità a diffidenza. La donna li osservò a sua volta e realizzò con una certa sorpresa che conosceva diversi di loro.
Naturalmente c’erano Ninfadora Tonks e Kingsley Shakelbolt. C’era Mundugus Fletcher, che in alcune occasioni era finito nella stanza degli interrogatori con Sara. C’erano alcune persone che conosceva di vista, ma di cui non sapeva il nome.
Mentre la fissava rapito, Sirius si rese conto che Sara stava ridacchiando. Era un comportamento inspiegabile e non riuscì a trattenersi dal chiederle:
-          Cosa c’è che ti fa ridere?
Sara sentì la ormai familiare stretta allo stomaco quando Sirius le rivolse la parola e, sperando di non apparire eccessivamente adorante, si voltò di nuovo verso di lui e rispose:
-          Mi sono sempre domandata per quale ragione un Auror preparato e abile come Shakelbolt fosse così a corto di idee da supporre che tu fossi in Tibet. Ora è tutto più chiaro. Ha sempre lavorato per voi. Quindi è per questa stessa ragione che era così preoccupato quando lo hanno sollevato dal caso per affidarlo a me.
-          Esattamente – commentò Sirius senza dilungarsi. L’unica cosa che voleva era che Sara continuasse a parlare.
-          Francamente era una cosa che davvero non riuscivo a capire – riprese Sara, aveva scoperto che parlare a raffica era più semplice che restare in silenzio – Personalmente se mi avessero tolto dalle mani una simile gatta da pelare sarei stata solamente contenta – continuò sfoderando di nuovo il sorriso sarcastico.
La via dell’ironia aveva già funzionato una volta con Sirius, chissà che non funzionasse ancora.
-          Io non posso che essere felice che Kingsley sia stato sollevato da questa incombenza – replicò Sirius ridacchiando a sua volta. Poi, guardando Sara più intensamente, disse – Grazie.
-          Ho fatto solamente il mio dovere – minimizzò Sara sperando ardentemente di non arrossire.
Santo cielo, che fine aveva fatto il suo ferreo autocontrollo?
Persa negli stupefacenti occhi di Sirius, Sara aveva quasi dimenticato dove si trovasse e perché fosse lì. Aveva dimenticato persino che la sua migliore amica era tornata dal passato e se ne ricordò solo quando Lily si sedette accanto a lei. Nella cucina, eletta a Sala Riunioni, il brusio calò improvvisamente e Sara distolse riluttante lo sguardo da Sirius per verificare cosa avesse causato quel repentino cambiamento.
L’ingresso di Silente aveva dato inizio alla riunione. Il Preside si sistemò al centro del lungo tavolo e abbracciò la congregazione con un solo sguardo limpido.
-          Buona sera a tutti – disse con la sua voce bassa e calma.
Sara aveva quasi dimenticato quale carisma emanasse Silente e quale potere avesse nel rapire il suo uditorio.
-          Benvenuta Auror White. Sono contento che abbia deciso di unirsi all’Ordine – le disse con un sorriso.
-          Grazie a lei per avermi dato la possibilità di essere qui – rispose Sara.
-          Prima di cominciare con le novità vorrei farle un breve riassunto della situazione – continuò il Preside – Come immagino saprà, all’Ufficio Misteri al Ministero della Magia sono conservati alcuni degli aspetti più segreti del mondo magico. A noi interessa particolarmente la Stanza delle Profezie. In questa stanza sono custodite le memorie di tutte le profezie sentenziate da che il Ministero esiste e fra queste ve n’è una che riguarda Harry Potter.
Sara ascoltava Silente sforzandosi di assorbire ogni minima informazione, ma le occorreva tutta la concentrazione di cui disponeva per non tornare a guardare Sirius.
-          L’autrice di questa profezia è Sibilla Cooman, l’attuale docente di Divinazione a Hogwarts. Sappiamo che Voldemort conosce parte del contenuto di questa profezia ed è estremamente interessato a conoscere il resto. Per questo attualmente uno dei nostri impegni principali è controllare che la profezia non venga rubata. A questo scopo abbiamo istituito dei turni di guardia.
Una profezia a proposito di Harry Potter. Sara moriva dalla voglia di sapere il contenuto della profezia, ma non si arrischiò a chiederlo. Magari più avanti…
Tonks estrasse dalla sua borsa una serie di fogli pieni di tabelle con giorni e orari, dovevano essere i turni di guardia.
-          Al momento abbiamo qualche difficoltà a coprire certi orari – disse la ragazza porgendole le tabelle.
Sembrava terribilmente imbarazzata, forse temeva che Sara l’avrebbe aggredita di nuovo, ma lei non era il tipo da fare piazzate. Forse le avrebbe parlato dopo la riunione. Sara afferrò le tabelle e iniziò ad esaminarle con le sopraciglia aggrottate.
Sirius era rapito dalla sua concentrazione, sembrava così… professionale. Una differenza abissale rispetto a pochi attimi prima, quando era così titubante e imbarazzata. In quel momento emanava sicurezza e autorità.
Dopo che la donna ebbe dato le sue disponibilità, Tonks si riappropriò delle tabelle e iniziò a completarle con il nome di Sara. Intanto Silente riprese a parlare:
-          Bene, possiamo procedere. Abbiamo novità sulle mappe dell’Ufficio Misteri?
-          Purtroppo no – rispose Kingsley – Sappiamo che ce n’è una sola copia, custodita nell’archivio privato del Ministro e quindi quasi inarrivabile. Non possiamo rischiare di chiedere un autorizzazione ufficiale, desteremmo troppi sospetti.
Mentre Kingsley parlava, Sara non poté fare a meno di pensare alla figura furtiva che aveva visto, prima nel parcheggio del Ministero e poi fuori dalla casa dei Guilford. Ora che sapeva la verità, si stupì di non averlo riconosciuto prima. Al pari di Tonks, anche Kingsley sembrava a disagio e guardava ovunque tranne che nella direzione di Sara.  
-          Ho controllato e ricontrollato tutti gli archivi. Non ci sono altre mappe, è inutile – stava dicendo, sconsolato.
-          Forse un modo per arrivare a quell’archivio c’è – disse Sara quasi senza pensare.
Probabilmente stava esagerando, era l’ultima arrivata e non vedeva perché avrebbero dovuto darle retta, ma aveva agito d’impulso come avrebbe fatto con un qualunque caso ufficiale. Silente la invitò a continuare e lei si sentì rincuorata anche se aveva gli sguardi di tutti puntati addosso.
-          Nel mio ufficio ho ancora tutta la documentazione su… - esitò per un attimo, stava per dire sul caso Black ma non le parve opportuno - … sul mio ultimo caso – si risolse a dire infine – Potrei dire a Caramell che sarebbe più prudente custodirla nel suo archivio e andare a dare un’occhiata.
-          Se crede di poterlo fare senza compromettere la sua posizione potrebbe essere un’idea risolutiva – concordò Silente – ma la prego di non mettersi nei guai. Più persone ad alto livello abbiamo all’interno del Ministero meglio sarà per tutti.
-          Non si preoccupi – rispose Sara sfoderando il sorrisetto che riservava al suo Capo per convincerlo delle sue capacità.
Sirius era piuttosto sconcertato dalla piega che avevano preso le cose. Sara era nell’Ordine da meno di un’ora ed aveva già la sua prima missione. Aveva sempre saputo che era intelligente, determinata, forte ma aveva un ricordo piuttosto netto di una Sara totalmente riluttante a mettersi al centro dell’attenzione e ora era esattamente quello che stava facendo.
Davvero era cambiata a tal punto?
Da quel punto in poi la riunione proseguì come al solito e Sirius si lasciò distrarre più volte. I suoi occhi erano calamitati da Sara e, malgrado le raccomandazioni di mantenere la segretezza, non riusciva a controllarsi, al punto da guadagnarsi alcune occhiatacce da Remus e una gomitata nelle costole da James. Con Sara lì a Grimmauld Place la sua felicità era completa. Non poteva chiedere nient’altro.
Anche Sara faticava a mantenere l’attenzione sulla riunione dell’Ordine e alcune volte si sorprese a controllare se Sirius la guardasse. La presenza di Sirius l’aveva ritrasformata in un’adolescente incasinata. Com’era possibile?
A riunione conclusa i membri dell’Ordine si alzarono e si divisero in gruppetti per chiacchierare. Ninfadora Tonks si avvicinò a Sara con aria colpevole. Sirius era dispiaciuto che il rapporto tra Sara e Tonks fosse stato compromesso e temeva che non sarebbe stato facile sistemare le cose.
-          Mi… mi dispiace – disse la ragazza nervosamente – Non avrei voluto ingannarti ma… beh, credo che Remus ti abbia spiegato… insomma…
-          Non ti preoccupare – disse Sara seccamente – So che ti sei trovata in una situazione difficile.
Capiva il disagio della giovane Auror e, anche se ancora un po’ arrabbiata, non voleva che il suo ingresso nell’Ordine della Fenice fosse segnato dalla tensione. Per lo stesso motivo, mosse qualche passo verso Kingsley. Voleva appianare le divergenze anche con lui, prima che l’imbarazzo diventasse così radicato da essere insormontabile.
Vedere Sara che andava a parlare con Kingsley sorprese, non solo Sirius, ma anche Lily, James e Remus, che seguirono la loro conversazione con vivo interesse.
-          Shakelbolt.
-          White.
-          Mi pare di aver capito che non ti fidi di me – disse Sara inclinando il capo da una parte e stringendo gli occhi.
-          La prudenza non è mai troppa – replicò Kingsley, visibilmente in difficoltà.
-          Spero che non ci saranno problemi d’ora in avanti – aggiunse la donna, rilassando lo sguardo – Non vorrei attaccarti per sbaglio, la prossima volta.
Intuendo che l’Auror stava scherzando, Kingsley fece un mezzo sorriso e disse:
-          Non ci sarà una prossima volta, credo di aver sciolto ogni riserva.
Sollevata di aver rotto il ghiaccio, sia con lui che con Tonks, Sara tornò a voltarsi verso Sirius. La stava ancora fissando, ma la sua espressione non era più così cupa, sembrava divertito.
-          Ora sta a me chiederti cosa ti diverte.
-          Stavo solo notando che sei l’attrazione della serata – rispose Sirius, alzandosi dal suo posto per avere gli occhi a livello di quelli di Sara.
Ricordando improvvisamente che lei e Sirius dovevano fingere di non conoscersi, Sara distolse lo sguardo, cercando di concentrarsi su qualcun altro. Mentre tutti chiacchieravano tranquillamente, come se fino a poco prima non avessero parlato del più pericoloso mago di tutti i tempi, Molly Weasley aveva ricominciato a preparare la cena.
-          Sara lei è dei nostri? – domandò Molly felice di avere qualcuno di nuovo da rimpinzare.
-          Molto volentieri, Molly. Posso dare una mano in qualche modo?
In quell’istante Sirius comprese il valore inestimabile di una persona come Molly Weasley, che metteva tutti a proprio agio.
Dal canto suo, Sirius si sentiva completamente rincretinito e non riusciva nemmeno a formulare un pensiero coerente. Riusciva solo a fissare Sara, seguendo i suoi movimenti mentre apparecchiava la tavola insieme a Lily e mentre aiutava Molly a disporre pentole e piatti da portata sulla tovaglia bianca.
Durante la cena, Sara riprese il posto davanti a Sirius e chiacchierò amabilmente con Lily e Remus. Di tanto in tanto gettava un’occhiata a Sirius, sempre con un sorriso a fior di labbra.
-          Davvero? – stava domandando in quel momento la donna – Severus Piton fa parte dell’Ordine?
-          Silente ha insistito – disse James come se per lui l’insistenza di Silente fosse, non solo inspiegabile, ma assolutamente ripugnante.
-          James, ti prego. Cerca di comportarti da adulto almeno tu, visto che lui non lo fa – esclamò Lily esasperata.
Sembrava che non fosse cambiato niente, che tutto fosse rimasto congelato a quindici anni prima. Ma Sara sapeva che non era così e la realtà tornò bruscamente a riscuoterla.
Proprio mentre Sirius stava architettando un modo per parlare con Sara senza destare eccessivi sospetti, il cellulare della donna squillo prepotentemente.
-          White – rispose con voce neutra – Frank, dimmi… No, non sono a casa… Questo davvero non ti riguarda… Sì, dico sul serio. Falla finita. Che cosa è successo? … Ah, ecco… Dove? …e perché hanno chiamato noi? …accidenti, ancora! D’accordo arrivo subito… no, ci vediamo direttamente lì. Porta l’attrezzatura.
Chiudendo lo sportello del cellulare con uno scatto secco, Sara si alzò, anche se molto a malincuore.
-          Devo andare – disse rivolta a nessuno in particolare, ma lasciando che gli occhi saettassero verso Sirius – Il dovere chiama!
-          Così presto? – si lamentò Lily, dando voce anche al disappunto di Sirius – Tornerai domani? – chiese la donna supplichevole.
-          Sì, certo! Se tutto va bene tornerò con le mappe dell’Ufficio Misteri.
-          Sara, fa attenzione – intervenne Remus – Non correre rischi inutili, d’accordo?
Sirius era furioso con se stesso. Era così inebetito da non riuscire nemmeno a parlare? Sara invece si maledisse. Si comportava come se nulla fosse e invece forse avrebbe dovuto essere meno chiacchierona, Sirius era così taciturno.
-          Buona notte – disse, concedendosi di guardarlo negli occhi un po’ più a lungo di quanto avrebbe consigliato la prudenza.
-          Buona notte.
Sapere che l’avrebbe rivista l’indomani scaldò Sirius come nemmeno il miglior whiskey avrebbe saputo fare e la scena a cui assistette, prima che lei lasciasse Grimmauld Place, lo rese orgoglioso di lei.
Sara aveva voltato le spalle alla cucina, dopo aver salutato e ringraziato i Weasley per l’accoglienza, e stava per salire le scale per tornare in ingresso, quando si bloccò sul primo gradino e si voltò di scatto.
-          Auror Tonks. Chiamata dal Ministero – disse con voce autoritaria – Tu non vieni?
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Prese la giacca dalla spalliera della sedia e si precipitò alle calcagna di Sara.
 
 

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Capitolo 19
*** XVII ***


Per i lettori: lo so, lo so. L'attesa tra un capitolo e l'altro è infinita. In questo non sono cambiata, ma mi piace scrivere capitoli lunghi. D'altra parte vi avevo promesso che questa volta non avrei abbandonato la storia. Abbiate fiducia!!! Grazie molte a tutti quelli che hanno letto gli ultimi capitoli e a Tata92 per aver lasciato un commento.
Buona Lettura!

XVII

 
-          Il posto è questo? – domandò Tonks scendendo dall’auto di Sara all’imbocco di un vicolo buio e maleodorante.
-          Così pare – disse Frank smontando a sua volta e prelevando dal bagagliaio due valigette nere.
La zona della città non era certo delle più rassicuranti. La scena del crimine era in un vicolo poco illuminato, pieno di saracinesche abbassate e sacchi della spazzatura. Alcune scatole vuote, in un angolo accanto ad un cassonetto, indicavano quello che doveva essere stato il giaciglio di un senzatetto.
In una serata normale, probabilmente il vicolo sarebbe stato deserto, ma quella sera era pieno di poliziotti e, a quel che Sara poteva vedere, di Obliviatori.
Un uomo basso e magro si staccò dal gruppo e si avvicinò rapido e furtivo a Sara.
-          Buona sera, Auror White.
-          Buona sera, Trent. Questa volta siete arrivati prima voi, eh? – disse Sara sarcastica.
-          Cerchiamo di essere tempestivi – rispose Trent, sempre serissimo.
-          Come funziona questa volta? – domandò la donna, abbandonando la polemica e facendo cenno a Frank e Tonks di avvicinarsi.
-          Ufficialmente noi apparteniamo ad un’agenzia governativa appena istituita per il monitoraggio dei crimini violenti – spiegò l’Obliviatore. Poi accennando con la testa alla porta alle sue spalle, disse – Hanno ucciso il proprietario di quel negozio. È una libreria che tratta soprattutto testi sulla mitologia e sulla magia. Pare che il proprietario fosse un Babbano particolarmente interessato all’esoterismo. Il negozio è stato completamente messo a soqquadro ma non siamo ancora riusciti a stabilire se sia stato portato via qualcosa.
Avvicinandosi alla porta del locale, piantonata da un altro Obliviatore in incognito, a mezza voce Frank domandò:
-          Che cosa ci lascia supporre che ci sia stato un intervento magico?
-          Era un po’ che tenevamo sotto controllo questo Babbano – rispose Trent – Gli sono passati tra le mani testi di magia piuttosto rari. Inoltre non c’è alcun segno di scasso e sembra che l’uomo sia stato ucciso dall’Avada Kedavra.
Sara annuì. L’assenza di segni di scasso poteva non essere significativa, poteva semplicemente voler dire che la vittima conosceva i suoi aggressori, ma era difficile non riconoscere una morte da Maledizione Senza Perdono.
Prima di entrare, Sara si avvicinò ai poliziotti di Scotland Yard. Doveva sbarazzarsi di loro. Un’altra volta.
-          Buona sera signori – esordì – Mi chiamo Catherine Sherman – si presentò usando lo pseudonimo che usava sempre, il suo secondo nome e il cognome da nubile di sua madre – Da qui in poi ce ne occupiamo noi, vi ringrazio per lo splendido lavoro. Gradirei avere i vostri rapporti il più presto possibile. Abbiamo già avvertito i vostri superiori. Ora se volete scusarmi…
Senza dare a nessuno il tempo di replicare, Sara sparì all’interno del negozio, seguita a ruota da Tonks e Frank. L’ambiente era buio e polveroso, gli Auror indossarono guanti in lattice ed estrassero delle torce dalla tasca per illuminare la scena. Era meglio essere prudenti con tutti quei Babbani in circolazione e non usare le bacchette.
La stanza, che costituiva l’intera libreria, era totalmente nel caos. Quasi tutti gli scaffali erano stati brutalmente svuotati e il pavimento era coperto da pesanti volumi rilegati in cuoio o con stoffe colorate, altri erano libri più a buon mercato, con le solite copertine di cartone. Alcune pagine giacevano strappate e svolazzanti.
In fondo alla stanza si estendeva un bancone: sopra erano appoggiati un computer e un registratore di cassa che stonavano decisamente col resto dell’ambiente, studiatamente retrò. Da dietro al bancone spuntavano le caviglie e i piedi della vittima. Probabilmente aveva cercato di nascondersi. Non che fosse servito a molto.
Sara si avvicinò, scavalcando cautamente ogni ostacolo sul suo cammino, e si fermò ai piedi del cadavere. Puntò la torcia verso il viso dell’uomo: un’espressione di puro terrore era congelata su quel volto esangue. Sì, decisamente Avada Kedavra. Un medico legale Babbano non avrebbe potuto concludere altro che fosse “morto di paura”.
L’attenzione dell’Auror fu attratta da altri particolari. Il collo e le braccia, che spuntavano dalle maniche arrotolate della camicia, presentavano diverse ecchimosi, piccole chiazze scure simili a lividi. Non c’erano però ferite superficiali che avessero sanguinato, neppure un graffio. Questo poteva significare solo una cosa: prima di essere ucciso era stato torturato con la Maledizione Cruciatus, fino a provocare piccole emorragie interne. Una prolungata tortura, soprattutto su un fisico non particolarmente resistente, poteva avere un effetto come quello. Sara l’aveva visto altre volte.
-          Cruciatus e Avada Kedavra – confermò Frank, sbirciando il cadavere da sopra la spalla di Sara.
-          Ne siete certi? – chiese Tonks, che ancora non si era avvicinata al corpo.
-          È abbastanza sicuro che l’abbia ucciso l’Avada Kedavra, per quanto riguarda queste ecchimosi… – spiegò Sara – potrebbero anche derivare da percosse. Ma…
-          Ma non si spiega perché qualcuno dotato di una bacchetta dovrebbe prendersi il disturbo di picchiare la sua vittima, correndo oltretutto il rischio di lasciare delle tracce sul corpo – completò Tonks con aria pensosa.
Sara sollevò un sopraciglio e si scambiò un’occhiata d’intesa con Parker. La ragazza stava davvero entrando nella giusta mentalità per quel lavoro.
In quel momento l’Obliviatore Trent si affacciò nel negozio per comunicare che i Babbani se ne erano andati ed erano arrivati i Guaritori del San Mungo. Gli Auror estrassero con sollievo le bacchette, accesero le luci nel negozio e si misero al lavoro. Sara iniziò col tracciare la sagoma del corpo sul pavimento con un tratto scintillante di bacchetta. Quando ebbe terminato chiamò i Guaritori per spostare il corpo e portarlo al San Mungo dove sarebbe stata eseguita l’autopsia.
Osservando la sagoma bianca sul pavimento Sara si trovò a riflettere su quante volte aveva visto ripetersi quella scena. Certo le circostanze erano sempre diverse, ma c’era sempre una sagoma sul pavimento e uomini che portavano via un corpo, un corpo che fino a qualche ora prima aveva contenuto una vita e ora era poco più di un reperto per un processo. Spesso si domandava come facesse a non impazzire, probabilmente ci aveva fatto l’abitudine. Ma era comunque una cosa terribile da credere: come ci si può abituare alla violenza e alla morte?
Distolse lo sguardo per tornare al lavoro e vide che Parker si era già messo all’opera, stava scandagliando ogni superficie con una serie di polverine che spandeva con rapidi e leggeri colpi di bacchetta. La ricerca di impronte era la sua specialità, sapeva dosare esattamente al granello le sue polveri e aveva la mano ferma nel recuperare l’impronta con il nastro biadesivo.
Ninfadora invece stava esaminando la cornice della porta d’ingresso. Aveva individuato alcune fibre rimaste impigliate in una scheggia del legno e le stava recuperando con un paio di pinzette.
Sara mormorò “Lumos” per accendere la bacchetta e iniziò a osservare centimetro per centimetro la spessa moquette blu che copriva il pavimento. C’erano svariate impronte di scarpe, almeno quattro diverse persone, ma nessuna era abbastanza netta per ricavarne qualcosa. C’erano sassolini, chiaramente provenienti dalla strada, una discreta quantità di polvere e macchie di diversa natura, ma nulla di utile. Sara proseguì la sua ricerca spostandosi a esaminare il pavimento attorno alla sagoma e sotto il bancone. E, in effetti, sotto il bancone trovò qualcosa di interessante: un lungo, lunghissimo capello, liscio e biondo, quasi bianco.
Mentre fotografava e repertava il capello, una immagine chiarissima di Lucius Malfoy le balenò davanti agli occhi. Sì, il colore e la lunghezza erano compatibili ma, per quanto avesse Lucius Malfoy in antipatia, Sara dovette riconoscere che le probabilità che il capello fosse suo erano piuttosto ridotte. C’erano molte altre persone, soprattutto donne, che avrebbero potuto lasciare lì quel capello. In ogni caso non aveva modo di verificarlo; senza un campione di DNA per il confronto, non avrebbe potuto stabilire se davvero fosse di Malfoy e il Ministro Caramell mai e poi mai le avrebbe concesso l’autorizzazione a prelevare un campione.
Figurarsi! Caramell non avrebbe mai avuto il coraggio di pestare ai piedi a un esponente dell’alta società, soprattutto non in questo momento in cui Malfoy era così influente al Ministero. Ora che sapeva con certezza del ritorno di Voldemort, anche la posizione di personaggi come Malfoy al Ministero acquisiva un nuovo significato. Da tempo Sara motivo di credere che Malfoy fosse coinvolto in diversi crimini che non avevano trovato soluzione. Tutto sommato importava poco. Sara sapeva che prima o poi sarebbe riuscita a incastrare quello spocchioso di Malfoy. Avrebbe incastrato lui e tutta la sua famiglia di criminali.
Un sorrisetto sarcastico le curvò le labbra quando ricordò che anche Sirius in qualche modo era parente di Malfoy. Forse non proprio tutti i membri di quella famiglia erano criminali.
 
*^*^*^*^*
 
Dopo che Sara se ne fu andata, insieme a Tonks, Sirius rimase per un momento pietrificato sulla sua sedia. Era incredibile! Era stata lì per appena qualche ora e la sua assenza era già difficile da sopportare.
Sirius si sarebbe mangiato le mani per la frustrazione. Gli pareva di non essere riuscito per niente a comunicare con Sara, nonostante l’avesse avuta seduta davanti a lui per tutta la sera. Poteva trovare la scusa del nervosismo, poteva raccontarsi che l’aveva fatto per tener fede alla promessa fatta a Silente e non rivelare di conoscere già Sara, ma la verità era che era un vigliacco. Aveva così paura che lei lo mandasse al diavolo che aveva preferito restare immobile a guardare.
Sapeva che non sarebbe riuscito a dormire, così tornò a seppellirsi tra i libri di suo padre. Con degli stracci presi in prestito dalle scorte della signora Weasley, Sirius aveva iniziato a ripulire i volumi dalla polvere e dalla muffa. In qualche modo quel lavoro lo faceva sentire utile.
Ancora non si era abituato del tutto all’idea che la sua innocenza fosse stata dimostrata, ma l’idea di fare qualcosa di più per l’Ordine cominciava a diventare prepotente. Avrebbe dovuto parlare con Silente a questo proposito.
Pensare di rientrare nel mondo così, come se niente fosse, non era nemmeno da prendere in considerazione. Però non aveva le idee chiare su come fare a riappropriarsi della sua vita. Non aveva neppure dei documenti, la patente, la carta d’identità. Era un’anomalia del sistema e praticamente non esisteva.
-          Ti disturbo – disse James bussando leggermente alla porta.
-          No, affatto. Non riuscirei a dormire e così…
-          Pensavo di darti una mano. Anche io non riesco a dormire.
Mentre James raccoglieva uno straccio e si accingeva a ripulire una serie di monografie a tema storico, un pensiero attraversò la mente di Sirius: James sembrava preoccupato, più teso di quanto l’avesse visto nei giorni precedenti. Perché?
-          James, va tutto bene? – domandò Sirius.
-          Si, si. Non tutto a posto – rispose l’amico tenendo però gli occhi bassi.
-          Ora che la mia vicenda si è conclusa riesco a guardarmi attorno con un po’ più di lucidità e tu mi sembri preoccupato.
James si limitò ad alzare lo sguardo per un attimo, senza rispondere. Sirius proseguì il suo lavoro, domandandosi cosa dire. Lui non era bravo a fare discorsi, non era bravo a far parlare le persone quando queste non volevano. In questo Remus era sempre stato meglio di lui, a dire il vero meglio di chiunque altro conoscesse.
-          Ascolta, James – si risolse finalmente a dire – io non ho mai capito esattamente che cosa sia successo. So che tu non andavi molto d’accordo con Sara, quando stavamo insieme, ma da un certo momento in avanti mi è sembrato che le cose tra voi fossero migliorate. Non vorrei che adesso ricominciasse tutto da zero.
Sirius ricordava bene l’atteggiamento di James quando aveva deciso di fare sul serio con Sara. All’inizio ci aveva scherzato, poi James aveva iniziato a mostrarsi infastidito dalla ragazza e Sirius proprio non riusciva a capire perché. Lily, Remus e persino Peter sembravano contenti per lui, ma non James. Anche Sara se ne era accorta e più di una volta Sirius si era trovato a litigare con lei per difendere il comportamento di James.
-          Non è vero! – disse Sirius seccamente gettando le chiavi della moto su un tavolino accanto alla porta di ingresso.
-          Sì che è vero, Sirius! – replicò Sara avviandosi verso la cucina e aprendo il frigorifero per prendere da bere – Te ne sei accorto anche tu, non puoi negare. Oggi si è comportato in modo orribile per tutto il tempo.
-          A me non è sembrato così orribile…
-          Senti, lo so che è il tuo migliore amico ed è anche il marito della mia migliore amica, ma oggi non ha fatto altro che fare battute e allusioni al fatto che domani dovrò tornare a scuola. “E come mai sei ancora qui? Non dovresti essere a casa a preparare i bagagli? Allora, da domani si torna nel giardino d’infanzia! Eh ragazzina, è bello tornare a scuola senza problemi e senza responsabilità”. È andato avanti così tutto il giorno!
Sara aveva ragione, ma lui non riusciva ad ammetterlo. Parlare male di James con Sara sarebbe stato come tradirlo. Allo stesso modo parlare male di Sara con James gli avrebbe fatto venire il voltastomaco.
-          Sara, non so perché ha detto quelle cose – non lo sapeva davvero! – Ma sono certo che l’abbia fatto senza cattiveria. Sai com’è fatto James.
-          Senza cattiveria? Sul serio lo pensi, Sirius? Persino Lily era a disagio!
Avevano passato la giornata a Godric’s Hollow, insieme a Lily e ai Malandrini, l’ultimo giorno prima che Sara tornasse a Hogwarts, e James non aveva fatto che tormentarla. Lui si era sentito del tutto impotente e sapeva che il fatto che non l’avesse difesa aveva ferito Sara.
Ancora adesso, a distanza di anni, non sapeva perché il suo migliore amico si fosse comportato a quel modo, né sapeva che cosa lo avesse indotto a smettere, qualche mese dopo.
-          È vero – confermò James, posando il libro e lo straccio che aveva ancora in mano – sono preoccupato. Ma non ha niente a che fare con Sara. Tranquillo, adesso mi fido di lei.
 
*^*^*^*^*
 
Il lavoro di Tonks, Frank e Sara proseguì per diverse ore, ma non diede molti risultati. Man mano che al Ministero diventavano esperti nel cercarle, i Mangiamorte diventavano più bravi a non lasciare tracce.
In ultimo gli Auror si dedicarono al computer. Sara lo accese sperando di non doversi scervellare per eludere password e chiavi di accesso e, per quella volta, ebbe fortuna. L’hard disk era pieno di file, fotografie e filmati sulla magia e sul paranormale. Quell’uomo doveva essere davvero ossessionato. L’unica cosa davvero utile che trovarono fu l’inventario dei libri del negozio.
Altre ore di duro lavoro erano lì ad attenderli, così Sara autorizzò una pausa e Frank andò a recuperare caffè per tutti. Quando il ragazzo tornò, portando con se diverse tazze, cominciarono a raccogliere e suddividere i libri per argomento mettendoli in ordine alfabetico per autore.
Passando i libri uno ad uno si resero conto che, tra le tante pubblicazioni fantasiose e prive di fondamento, c’erano veramente dei testi di magia, alcuni dei quali piuttosto complessi e davvero rari. Terminata la suddivisione cominciarono a confrontare i titoli con quelli dell’inventario, era l’unico sistema per scoprire se i Mangiamorte avessero portato via qualcosa.
Sara aveva provato a figurarsi la scena: probabilmente la vittima, Josh Meyer, aveva da poco chiuso il negozio, forse aveva già calato la saracinesca quando aveva sentito qualcosa, un rumore, e prima di capire che cosa stesse accadendo il dolore bruciante della Maledizione Cruciatus aveva iniziato a impadronirsi del suo corpo.
Gli assassini probabilmente erano più di uno. Lo dicevano tutte le impronte sul pavimento e poi, probabilmente, uno si era occupato della vittima mentre l’altro era rimasto alla porta per fare da sentinella. A giudicare dal lungo capello biondo, uno degli assassini avrebbe potuto essere una donna.
L’unica ragione per cui gli assassini avevano scelto proprio quel Babbano doveva essere uno dei suoi libri, altrimenti non avrebbe avuto senso, non potevano aver deciso di uccidere qualcuno a caso solo per divertimento. Inoltre se fosse stato un omicidio immotivato perché perdere tempo a torturarlo? No, la tortura era servita per convincerlo a dar loro quello che cercavano, probabilmente con la promessa di risparmiarlo. Poi, una volta trovato il libro, l’avevano eliminato e avevano messo tutto a soqquadro per confondere le idee agli investigatori.
Fossero stati Babbani probabilmente avrebbero pensato all’inventario sul computer, ma la maggior parte dei maghi non aveva la minima idea di come funzionasse il mondo Babbano, figurarsi la tecnologia. A Sara sfuggì un sorrisetto: forse aveva ancora un piccolo vantaggio rispetto ai criminali.
I due Auror stavano lavorando da parecchio quando arrivarono alla sezione più interessante, quella con veri libri di magia. Sara, seduta davanti al computer, leggeva un titolo dopo l’altro, mentre Frank e Tonks controllavano tra i volumi. Ad un certo punto, quando la donna stava già per passare oltre, Parker la fermò:
-          Aspetta! Aspetta un attimo – esclamò il ragazzo – Com’è il titolo che mi hai detto?
-          “Le pieghe del tempo”, autore anonimo – ripeté Sara.
Che finalmente avessero trovato qualcosa?
-          Non c’è. Capo, deve essere quello che hanno portato via. 
-          Non ho la minima idea di cosa si tratti, ma forse possiamo scoprirlo. Dovrò fare qualche ricerca.
Sarebbe andata innanzi tutto alla Biblioteca Artemisia Lufkins, ma dubitava di trovare qualcosa. Se si trattava di un libro raro difficilmente sarebbe stato tra i titoli in consultazione alla biblioteca del Ministero. Forse poteva chiedere a Silente, la prossima volta che l’avesse visto.
-          Bè, continuiamo comunque fino alla fine dell’elenco – continuò la donna – Non manca molto.
Quando ebbero terminato era quasi mattina. Sara aveva giusto un po’ di tempo per fare una doccia negli spogliatoi del Dipartimento, prima di presentare il caso al Capo. Dopo di che aveva un altro importante compito da svolgere: rubare le mappe dell’Ufficio Misteri sotto il naso di Caramell.
 
*^*^*^*^*
 
L’aria fredda della notte gli frustava la faccia, nonostante il pesante cappotto e la sciarpa che aveva indossato a coprirgli il volto. Camminava lentamente, le mani affondate nelle tasche, la destra stretta attorno alla bacchetta magica. Tutti i negozi e i locali erano chiusi, i passanti pochissimi e quei pochi tutti di fretta. Le auto passavano rapide, senza rallentare.
Osservando che nessuno sembrava prestare attenzione a lui, Sirius si rilassò impercettibilmente. Solo pensare alla sua libertà ritrovata, gli aveva fatto venire una gran voglia di uscire di casa, ma questa volta sotto forma di Sirius Black e non di Felpato.
Aveva deciso di fare quattro passi, senza allontanarsi molto da Grimmauld Place, così aveva gettato su di sé un incantesimo di Disillusione, si era allontanato dal Quartier Generale e solo a diversi isolati di distanza aveva deciso che sarebbe stato abbastanza sicuro da tornare visibile.
Vagare di notte, quando avrebbe dovuto essere a dormire, era sempre stato uno dei suoi passatempi preferiti e la notte era il momento migliore per riprendere contatto con il mondo: niente occhi indiscreti, niente giudizi gratuiti.
Camminando in direzione del centro della città, oltrepassò diverse edicole che, pur avendo le saracinesche sprangate, esponevano all’esterno le locandine delle prime pagine dei giornali. La maggior parte presentava almeno un titolo sul suo processo e la classica fotografia segnaletica che avevano già diffuso all’epoca dell’evasione da Azkaban. Forse avrebbe dovuto mandare ai giornali una fotografia più recente, pensò con un ghigno.
Ora che era di nuovo solo, la preoccupazione per la strana espressione di James tornò a tormentarlo. Doveva credere davvero che non avesse niente a che fare con Sara? Più ci pensava e meno riusciva a capacitarsi del fatto che la sua avversione verso Sara fosse svanita così, di colpo, quasi da un giorno all’altro.
Sirius ricordava bene quando era accaduto. Era passato Halloween e l’atmosfera natalizia incalzava attraverso decorazioni e lucine, fiocchi e festoni, passanti intenti ad acquistare regali. Tutta quella gioiosa aspettativa aveva poco effetto su di lui.
Non riusciva ancora a credere di sentire così tanto la mancanza di Sara, che era tornata ad Hogwarts ormai da mesi, e il suo ritorno per le vacanze di Natale gli sembrava ancora lontanissimo. Si erano visti tutte le volte che era stato possibile: durante le gite ad Hogsmeade e anche in qualche gita “non autorizzata” di Sara al di fuori dei cancelli della scuola. Si scrivevano quasi ogni giorno, ma non era abbastanza, non dopo che avevano passato l’intera estate sempre insieme.
Da otto giorni non la vedeva e non le scriveva. La domenica precedente, quando si erano incontrati ad Hogsmeade, le aveva spiegato che sarebbe stato in missione per Silente per tutta la settimana successiva e che non avrebbe potuto comunicare.
Sara, eccezionale come sempre, non aveva protestato, si era limitata a sorridere e a fargli promettere che le avrebbe scritto non appena avesse terminato la missione.
Questa volta l’Ordine della Fenice gli aveva affidato un compito nient’affatto facile. Le persone più difficili da proteggere erano quelle che non volevano essere protette, ma erano anche quelle che ne avevano bisogno più di chiunque altro, perché non si consideravano in pericolo e quindi si comportavano in modo incosciente.
Emerald Fairling era di quelli. Membro anziano del Winzengamot si rifiutava di credere che potesse essere in pericolo, riteneva che un membro del Winzengamot non dovesse temere gli attacchi dei Mangiamorte, perché di certo quei “fanfaroni mascherati”, per citare le sue parole, non avrebbero osato. A niente era servito che Silente e Malocchio Moody cercassero di convincerlo del contrario.
Era stata la moglie, Marlene Fairling, ad accettare la protezione dell’Ordine della Fenice, a patto però che il marito non sapesse niente.
Silente non aveva potuto far altro che accettare. Avevano bisogno che Fairling arrivasse vivo alla consultazione del Winzengamot in cui sarebbe stata discussa la legge sulla pena di morte per i lupi mannari. Non potevano permettere che passasse e il voto di questo cocciuto signore era fondamentale. Fairling aveva un nutrito seguito di membri più giovani, che avrebbero fatto come diceva lui. Era essenziale evitare che lo uccidessero oppure lo ponessero sotto la Maledizione Imperius per modificare il voto suo e dei suoi seguaci.
Così Sirius, Remus, James e Peter avevano passato giorni e giorni a montare la guardia a turno fuori dalla villa dei Fairling, pronti a dare l’allarme se un Mangiamorte si fosse avvicinato. Lily non partecipava alla missione; da poco infatti aveva scoperto di essere incinta e James si era opposto a qualsiasi coinvolgimento attivo della moglie fino al termine della gravidanza.
Quella notte il freddo era pungente e due pesanti maglioni, la giacca e il Mantello dell’Invisibilità non riuscivano a difenderlo dal freddo. Per costringersi a restare sveglio, Sirius enumerava mentalmente tutti i regali che aveva intenzione di comprare a Sara per Natale. Quel ciondolo a forma di pesce che avevano visto insieme in una vetrina, una sciarpa di lana per sostituire quella che il gatto di una sua compagna di stanza aveva rosicchiato, un nuovo set di carta da lettere che avrebbe potuto usare per la loro corrispondenza.
Era talmente assorbito nei suoi pensieri, acquattato dietro un cassonetto sul bordo della strada, che non si accorse immediatamente di cosa stava succedendo. Solo quando furono vicine alla casa, parzialmente illuminate dalle luci che filtravano dalla finestra del salotto, Sirius si rese conto che tre figure incappucciate di nero si avvicinavano alla porta d’ingresso.
Sfacciati, pensò brevemente, nemmeno si preoccupano di passare dal retro.
Senza riflettere più a lungo, Sirius estrasse la sua bacchetta e fece apparire un Patronus che sarebbe andato ad avvertire prima Silente e poi tutti gli altri. Il primo dei tre Mangiamorte stava puntando la bacchetta sulla serratura della porta. Doveva intervenire prima che entrassero in casa, altrimenti per Fairling e la sua famiglia non ci sarebbe stato scampo.
Uscendo da dietro il cassonetto, scagliò un primo Schiantesimo verso il Mangiamorte più vicino alla porta, quindi un secondo lampo rosso colpì il Mangiamorte accanto. Indossava ancora il Mantello dell’Invisibilità, ma il terzo Mangiamorte doveva aver visto la direzione da cui erano arrivati gli incantesimi, perché scagliò un lampo verde che mancò Sirius per un soffio. Balzando di lato, schivò altri incantesimi lanciati nella sua direzione e si preparò a colpire l’ultimo Mangiamorte. Così era davvero troppo facile! Non c’era quasi gusto a vedere i propri nemici cadere a terra come mosche!
Non aveva fatto in tempo a pensarlo, che sentì un dolore bruciante alla schiena. Perse l’equilibrio e il Mantello dell’Invisibilità scivolò a terra, lasciandolo completamente esposto. Si voltò di scatto e vide altri due Mangiamorte emergere dalla stradina alle sue spalle.
Senza pensare lanciò uno Schiantesimo nella loro direzione e si abbassò a terra, cercando di recuperare il mantello e allo stesso tempo di nascondersi.
-          Prendiamolo vivo! – ordinò una voce da uno dei cappucci neri – Chissà che torturandolo non riveli informazioni interessanti – aggiunse poi ridendo sguaiatamente.
Altri incantesimi partirono nella sua direzione e il Sortilegio Scudo che Sirius riuscì a innalzare, lo protesse solo da un lato. Dove diavolo erano finiti gli altri, maledizione!
Oltre al dolore alla schiena, si era aggiunto anche il dolore alla spalla, tanto forte che lo fece cadere in ginocchio e, per poco, non perse la presa sulla bacchetta.
Sperando di guadagnare tempo fino all’arrivo di James e Remus, Sirius scagliò altri incantesimi alla cieca, mentre rotolava sull’asfalto per cercare riparo dietro un’auto parcheggiata. Alcuni dei suoi colpi andarono a segno, mentre diversi lampi rossi mandarono in frantumi i finestrini dell’auto. Il proprietario sarebbe stato tutto fuorché contento.
I Mangiamorte si stavano avvicinando da due lati e lui sapeva di non avere alcuno scampo. Si alzò in piedi per affrontarli a viso aperto, ma loro furono più rapidi. Un potente incantesimo lo colpì all’addome, mozzandogli il respiro.
Per un attimo fu il buio. Poi riaprì gli occhi e si trovò in ginocchio, una mano stretta sulla ferita che sanguinava copiosamente. La vista era annebbiata, ma non tanto da non distinguere tre figure nere che torreggiavano sopra di lui, le bacchette sollevate. Raccogliere le forze per un ultimo incantesimo sembrava impossibile oltre che inutile, sarebbe riuscito a colpire solo uno di loro.
-          Fermi! – il grido, dall’altro capo della strada, arrivò appena prima di una pioggia di incantesimi che disperse i Mangiamorte in varie direzioni.
Sirius vide Remus correre verso la casa dei Fairling, per accertarsi che stessero tutti bene, mentre James si diresse verso di lui.
-          Abbiamo fatto più in fretta possibile – disse James con voce agitata – Andrà tutto bene, vedrai.
Sirius ricordava che, prima di svenire, aveva cercato di dire a James di avvisare Sara, ma non era sicuro di essere riuscito a farsi capire. Era rimasto privo di conoscenza per diversi giorni e, al suo risveglio, si era trovato nel suo letto con Sara seduta accanto.
Da quel momento in poi i rapporti tra James e Sara non erano più stati così tesi come all’inizio e Sirius aveva il sospetto che in quei giorni, mentre lui era privo di conoscenza, fosse accaduto qualcosa. Ma non aveva mai capito cosa.
 
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Ogni giorno della vita di Sara negli ultimi dieci anni era iniziato circa allo stesso modo, entrando al Dipartimento degli Auror e cominciando una nuova giornata di lavoro. Forse ad occhi esterni una vita del genere sarebbe sembrata insopportabile, tragedie su tragedie, giorno dopo giorno incontrare persone che probabilmente stanno passando uno dei momenti peggiori della loro vita. Per Sara però era diventata una missione, una ragione di vita, mettere a posto tutte le tessere di queste tragedie. Non poteva certo riportare indietro le persone che erano state uccise, né poteva far dimenticare le loro sventure a quelle che avevano subito violenze o abusi, però poteva assicurarsi che i responsabili fossero puniti. E questo la faceva sentire meglio, oltre a darle la forza di andare al lavoro ogni giorno.
Quel giorno, nonostante tutto quello che era accaduto nelle ultime ventiquattro ore, non faceva eccezione.
-          Buon giorno Sara – salutò Olga sporgendosi dal suo cubicolo.
-          Buon giorno Olga, già al lavoro? – rispose Sara, sorpresa di trovare la ragazza già al Ministero.
-          Non riuscivo più a dormire, così sono venuta qui. Hai qualcosa da affidarmi?
-          In effetti sì – rispose Sara estraendo una copia dell’inventario – Avrei bisogno una ricerca su un libro che s’intitola “Le pieghe del tempo”, autore anonimo. Dopo di che dovresti verificare questi titoli. Dobbiamo sapere quali di questi sono effettivamente testi di magia.
-          Nessun problema – disse Olga prendendo la lista e mettendosi immediatamente all’opera.
Sara aveva congedato Frank e Tonks sulla porta del negozio del libraio assassinato. Li aveva mandati a casa a riposare qualche ora, mentre lei aveva preso in consegna tutte le prove raccolte e si era diretta al Ministero.
Nel tempo che impiegò a sistemare le prove in laboratorio, fare una doccia e cambiarsi gli abiti, il Dipartimento degli Auror si era riempito della frenetica attività del mattino. Anche Roger era arrivato e aspettava istruzioni, fermo davanti alla porta dell’ufficio di Sara.
-          Klyne – disse la donna, alzando una mano in segno di saluto – questa notte abbiamo avuto un bel da fare. Vieni in laboratorio che ti aggiorno.
Era importante che Roger verificasse subito eventuali corrispondenze tra le impronte repertate e la banca dati. Se il libro mancante era un testo raro, probabilmente era prezioso. Se era così prezioso da uccidere, probabilmente sarebbe stato venduto molto presto e allora non avrebbero avuto più niente per collegare gli assassini a quella libreria.
Ninfadora Tonks arrivò al Ministero quando Olga e Roger erano al lavoro da un pezzo. Sara aveva trascorso l’ultima mezz’ora nell’ufficio del Capo a spiegare quanto successo quella notte e ad aggiornarlo sul caso Guilford, che ancora non aveva trovato una soluzione.
Quando, uscendo dall’ufficio del Direttore del Dipartimento degli Auror, Sara vide Tonks, le fece ceno di seguirla nel suo ufficio e chiuse la porta alle loro spalle. L’ufficio di Sara era un delirio di carta: scatole e scatole piene di documenti, fotografie e giornali giacevano sparse sul pavimento, sulle sedie e sul divano sfondato che occupava un lato della stanza.
-          Siediti – disse Sara indicando l’unica sedia rimasta libera e posizionandosi dietro la scrivania.
Tonks appariva nervosa, forse ricordava l’ultima volta che era stata lì dentro sola con Sara. Davvero era stato solo il giorno prima? Sembrava molto di più.
-          Sto per andare da Caramell – annunciò Sara – Porterò con me tutto il materiale sul caso di Sirius e gli chiederò di custodirlo nel suo archivio privato. Una volta dentro, potrò cercare le mappe dell’Ufficio Misteri ma avrò bisogno di un po’ di tempo. Credi di potermelo fornire?
Se Tonks fu sorpresa dalla richiesta, non lo diede a vedere.
-          Quanto tempo di serve? – domandò semplicemente.
-          Direi non più di cinque minuti – rispose la donna appoggiando i gomiti alla scrivania – il tempo di trovare le mappe e copiarle. Pensi di poter creare un diversivo che tenga occupato Caramell per un po’.
Un inspiegabile sorrisetto comparve sulle labbra di Ninfadora, mentre le assicurava che sapeva esattamente cosa fare. Sollevando un sopraciglio, Sara concluse:
-          Dammi dieci minuti, il tempo di farmi ricevere dal Ministro, e poi procedi.
Sara era stata indecisa per un po’ se fare tutto da sola, ma alla fine si era convinta che dare nuovamente fiducia alla ragazza poteva essere una mossa saggia. Nonostante fosse stata distratta per tutto il tempo dagli occhi di Sirius, Sara aveva notato che gli sguardi rivolti a lei, durante la riunione dell’Ordine della Fenice, non erano tutti così benevoli e fiduciosi. Probabilmente avrebbe avuto bisogno di alleati là dentro e cominciare con Tonks era un primo passo.
Senza aggiungere altro, entrambe si alzarono dalle sedie. Ninfadora sgattaiolò con passo rapido verso il suo cubicolo mentre Sara raccolse con un colpo di bacchetta tutte le scatole e, facendole fluttuare davanti a sé, si diresse con passo sicuro verso l’ascensore.
Il professor Silente si era raccomandato di agire con prudenza e lei ne aveva tutta l’intenzione. Avrebbe fatto il possibile per mettere di buon umore Caramell, doveva solo sperare che il diversivo funzionasse a dovere.
-          Buon giorno – disse depositando con delicatezza le scatole sul pavimento e voltandosi a fronteggiare Percy Weasley – Avrei bisogno di vedere il Ministro.
-          Ha un appuntamento? – domandò pomposamente il ragazzo, sollevando ostentatamente gli occhi dal suo lavoro.
-          No, mi dispiace.
-          Allora non posso fare niente per lei – replicò Weasley abbassando nuovamente gli occhi sulle pergamene che aveva davanti.
Sara sfoderò il suo miglior sorriso e il suo tono più convincente. Era meglio tenere di buon umore anche questo sciocco presuntuoso.
-          Capisco che il Ministro sia estremamente occupato – disse con voce calda – ma sono certa che se glielo chiederà lei, il Ministro accetterà di ricevermi. D’altra parte con un assistente così capace ad aiutarlo, sono sicura che potrà trovare qualche minuto per me.
Percy Weasley sembrava piuttosto compiaciuto mentre si alzava per andare a bussare alla porta di Caramell. Bastava davvero così poco? Ma andiamo…
Dopo qualche istante il ragazzo tornò nell’anticamera e fece cenno a Sara di seguirlo. Caramell si alzò dalla sedia e accolse Sara con uno sguardo tra lo scettico e il terrorizzato.
-          A cosa devo l’onore di questa visita? – domandò con un tono che diceva “quale altro problema c’è adesso?”.
-          Avrei un favore da chiederle, signor Ministro. Sono certa che comprenderà le mie ragioni non appena le avrò spiegato tutto.
Caramell, seppur riluttante, la fece accomodare e Sara prese posto davanti alla scrivania.
-          Vede signor Ministro, fino ad oggi ho tenuto tutto il materiale riguardante il caso Black sotto chiave nel mio ufficio. Ora che l’inchiesta e il processo sono conclusi, devo archiviare la documentazione, ma non sono certa che nell’archivio sia al sicuro.
-          Auror White, i nostri archivi sono i più sicuri del paese – disse seccamente Caramell.
-          Lo so, Ministro. Ma vede, questi documenti contengono informazioni molto sensibili. Non vorrei che qualcuno decidesse di andare a sbirciare, magari per poi passare qualche informazione ai giornali. Il Ministero potrebbe trovarsi in una situazione molto imbarazzante, se capisce cosa intendo – disse Sara con aria cospiratoria.
Caramell parve valutare rapidamente le possibilità, prima di invitare Sara a continuare.
-          Sono certa che i documenti sarebbero perfettamente al sicuro sotto la sua tutela diretta. Sarebbe disposto a custodirli qui, nel suo archivio privato, in modo da tenerli lontani da occhi indiscreti?
Forse sollevato che la richiesta fosse così poco onerosa, Caramell tirò un sospiro e accettò prontamente.
-          Ma certo, ma certo. Che domande… quale posto migliore! Si, si… prego.
Quasi che avesse fretta di sbarazzarsi di Sara, il Ministro si alzò e si diresse verso un pannello nel muro. Vi poggiò sopra la punta della sua tozza bacchetta magica e il pannellò si spostò di lato, rivelando una stanza ingombra di scaffali.
Senza smettere di sorridere e ringraziare Caramell per la sua disponibilità, Sara tornò nell’anticamera, recuperò le scatole e si diresse verso l’archivio. Ora le serviva il diversivo. Con il cuore che cominciava ad accelerare i battiti per l’ansia, Sara si guardò intorno. Anche qui tutto era organizzato in ordine alfabetico.
Cercando di impiegare più tempo possibile, la donna cercò lo scaffale contrassegnato con la lettera B e iniziò a fare spazio per posizionare tutte le scatole, sempre sotto lo sguardo vigile del Ministro, immobile sulla porta. Sara cercò di essere lenta e meticolosa, ma non poteva permettersi di far insospettire Caramell.
Proprio quando cominciava a temere che il suo piano sarebbe stato un buco nell’acqua, uno scoppio poderoso fece tremare le pareti e le urla isteriche di Percy Weasley arrivarono attraverso la porta.
-          Ma che diavolo… - esclamò il Ministro sobbalzando per lo spavento.
Passi di corsa, piccoli scoppi, rumore di sedie rovesciate e di vetri in frantumi provenivano dalla stanza accanto. Caramell sembrò indeciso per un attimo, poi si scusò e si allontanò di gran carriera.
Sara colse l’occasione al volo. Appena sentì la porta dell’ufficio richiudersi, estrasse da una delle scatole dei grandi fogli di pergamena nuovi che si era procurata in precedenza. Poi si diresse allo scaffale con la lettera M.
Sotto “Misteri” c’erano diversi faldoni, parecchi fascicoli e alcuni rotoli. Sperando di azzeccare al primo colpo, Sara prese i rotoli e li aprì quel tanto che bastava per cercare la mappa. Al terzo tentativo trovò quello che cercava: la planimetria completa dell’Ufficio Misteri.
Lavorando rapidamente, stese la mappa a terra, vi posizionò sopra la pergamena pulita e cominciò a far scorrere la punta della bacchetta sul foglio bianco. Man mano ce procedeva, linee e parole si trasferivano sulla pergamena.
-          Avanti, avanti – mormorò Sara, sollevando momentaneamente lo sguardo, per accertarsi che Caramell fosse ancora impegnato.
Le urla dall’altra stanza erano ancora forti e chiare
-          Che diavolo succede! Che cosa sono questi? Fuochi d’artificio? Weasley è impazzito per caso?
-          N-no… Ministro, io… li ha lasciati un gufo… erano già innescati… d-devono essere i miei fratelli… s-sa dei gran…b-burloni…
-          Burloni? BURLONI? Le sembra DIVERTENTE? Spenga questi cosi… immediatamente! Quando uscirò dal mio ufficio, dovrà essere tutto tornato come prima. HA CAPITO?
La risposta desolata di Percy Weasley si perse nello schianto della porta dell’ufficio. Caramell stava tornando, ma Sara aveva finito. Arrotolò la copia della mappa e la fece scomparire con un colpo di bacchetta, risistemò la mappa originale al suo posto e prese in mano l’ultima scatola contrassegnata “Black” proprio mentre il Ministro tornava ad affacciarsi nell’archivio.
-          Ha finito? – chiese evidentemente meno cordiale di prima.
-          Sì, in questo istante – rispose l’Auror con un ampio sorriso – Problemi? – domandò poi con l’aria più innocente che le riuscì di mettere insieme.
-          Solo uno stupido scherzo.
Sara si congedò prima che Caramell potesse fare domande e tornò al Dipartimento degli Auror. Tonks la aspettava sorridente fuori dal suo ufficio.
-          Ha funzionato? – domandò sotto voce mentre entrambe si avviavano al laboratorio.
-          Ha funzionato – rispose Sara raggiante – Ma che diavolo hai combinato?
-          Sono fuochi d’artificio sperimentali, me li hanno dati Fred e George Weasley, sono una loro creazione.
-          Bel colpo!
Sara ancora non riusciva a credere che avesse funzionato davvero. Ora non vedeva l’ora di tornare a Grimmauld Place.
 
 
 

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