Jubel

di Claire Riordan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stronger ***
Capitolo 2: *** A window to the past ***
Capitolo 3: *** Memories ***
Capitolo 4: *** The code ***
Capitolo 5: *** Taken ***
Capitolo 6: *** Gunshot ***
Capitolo 7: *** Hunters ***
Capitolo 8: *** In the shadows ***



Capitolo 1
*** Stronger ***


Jubel

1. Stronger

La morte di Allison. La morte di Aiden. La partenza di Ethan. Il dolore sul volto di Chris. Il senso di colpa negli occhi di Stiles.
Lo stesso che affliggeva Lydia.
Lo stesso che teneva sveglio Scott ogni notte.
 
Era accaduto tutto così in fretta…
 
Erano passate alcune settimane da quando spiriti di antiche volpi giapponesi e minacciosi ninja mascherati avevano lasciato Beacon Hills. In città si respirava un’insolita aria di pace, sebbene talvolta si potesse percepire una sottile vena d’inquietudine, quella che solo chi sapeva riusciva a riconoscere.
Isaac non era in grado di darsi pace. Non riusciva a capacitarsi del fatto che altri potessero continuare a vivere con serenità, dopo ciò che era successo. Non riusciva ad accettare che altre persone fossero felici mentre lui si sentiva sopraffatto dal dolore. Non capiva come i suoi coetanei riuscissero ad affrontare la dura realtà, ad ignorare il fatto che non avrebbero mai, mai più rivisto Allison Argent.
Si sentiva in gabbia, incapace di liberarsi da quelle catene che gli opprimevano il cuore e gli mozzavano il respiro. E si sentiva in colpa, perché, nel profondo, una parte di lui voleva odiare Scott, nonostante sapesse che non era sua la colpa di quel che era successo. Non poteva odiarlo soltanto perché Allison lo amava ancora. Non avrebbe potuto, non dopo tutto quello che Scott e Melissa avevano fatto per lui.
Lo invidiava. Scott aveva una madre che si prendeva cura di lui, amici su cui contare, era riuscito ad essere la sua stessa ancora. Scott era forte, nonostante tutto. Isaac no. Non riusciva a lasciarsi il passato alle spalle, né quello con suo padre, né quello più recente, tutto ciò che era successo con Allison.
Avrebbe voluto essere forte. Ma non ce la faceva.
Da quando avevano sconfitto il Nogitsune, Isaac ancora non aveva messo piede a scuola. E dopo il funerale di Allison, non aveva più avuto modo di vedere Chris. Non che lo volesse: il fatto che il padre di Allison riuscisse a mantenersi così distaccato dalla morte della figlia, lo infastidiva fin troppo. Si era chiuso nella sua stanza a casa McCall, uscendo solo sporadicamente; né Scott, né Melissa avevano insistito troppo per farlo uscire dal suo rifugio. Ma non sarebbe potuto rimanere là dentro in eterno.
Fu in un qualunque giovedì mattina che decise di reagire.
Quando aprì la porta della sua stanza, udì i tipici rumori della colazione: il ronzio del microonde, il tintinnio delle posate contro i piatti, qualche scambio di battute tra Scott e sua madre. Giunto in cucina, il tempo parve fermarsi per qualche secondo: Melissa e Scott lo osservarono sorpresi, ma Isaac percepì l’imbarazzo nell’aria. Sollevò una mano in segno di saluto, un po’ incerto.
«Isaac!» esclamò Melissa andandogli incontro «Come ti senti?»
Distrutto. Incapace. Debole. Deluso. Triste.
«Affamato» rispose infine, spinto dai crampi che, si rese conto solo in quell’istante, gli attanagliavano lo stomaco.
«Beh, siediti» disse lei «Preparo qualcosa anche per te» 
Mentre Melissa trafficava con piatti e bicchieri sul piano della cucina, Isaac prese posto a tavola, di fronte a Scott. Lui sollevò gli occhi per guardarlo, come se si aspettasse che dicesse qualcosa su ciò che era successo. Isaac si limitò ad abbozzare un sorriso, senza proferire nulla, e Scott abbassò di nuovo lo sguardo sulla sua colazione.
«Ecco qui, Isaac» esclamò Melissa, posandogli davanti un piatto di pancakes, uova e pancetta «In frigo c’è del succo d’arancia e ho preparato del caffè, è sulla cucina. Vorrei tanto restare ancora con voi, ma devo correre in ospedale. Ci vediamo stasera, d’accordo?»
Detto ciò, infilò velocemente una giacca sopra la divisa da infermiera, raccolse la borsa e, un attimo prima di uscire, si voltò indietro: «Isaac?»
«Sì?» fece lui.
«Sono… sono contenta che tu stia meglio» sorrise. Isaac, nonostante non stesse poi tanto meglio, non poté fare a meno di ricambiare. L’affetto di Melissa riusciva sempre a risollevarlo un po’.
Non appena lasciò la casa, Isaac e Scott rimasero soli e fra loro calò il silenzio, rotto solo dal tintinnare delle posate sui piatti. La sensazione di disagio che aleggiava nell’aria era a dir poco palpabile. Fu dopo quella che parve un’eternità che Scott ruppe la quiete con un colpo di tosse.
«Beh, come… come stai?» borbottò, evitando accuratamente di guardarlo.
Isaac scrollò le spalle «Mi riprendo» buttò lì, premurandosi di ingollare immediatamente un boccone di uova per non dover dire altro.
Silenzio. Di nuovo. Scott si alzò da tavola e si avvicinò al banco della cucina, versandosi del caffè.
«Mi dispiace per come sono andate le cose» riprese dopo un po’ «Per quello che ha detto… insomma, per quelle parole…»
«Non fa niente» si affrettò a rispondere Isaac; non credeva che Scott avrebbe affrontato quel discorso così presto «Era quello che sentiva in quel momento ed è giusto che l’abbia detto»
«Lei ti voleva bene, Isaac» tentò Scott «Ne sono sicuro»
«Sì» rispose lui «immagino di sì. Nonostante tutto»
Si rese conto di quanto suonassero astiose le ultime parole. Non voleva riempirle così tanto d’odio. Ma, nelle ultime settimane, non era riuscito a non mettere in dubbio tutto quello che c’era stato con Allison, per quanto vero e sincero potesse essere sembrato. Dopo le parole che aveva detto a Scott in punto di morte, si sentiva come preso in giro. Era come una sconfitta. E bruciava ancora.
«Comunque, non importa» riprese poi, cercando di riparare a ciò che aveva appena detto «Credo di aver sempre saputo come stavano le cose, in realtà. E va bene così. Passerà»
«Isaac, mi dispiace, io…»
«No, Scott, davvero, non importa» ribadì Isaac «Va bene così. Solo… non parliamone. Per favore»
«Certo, scusa» fece Scott con un sospiro. Isaac ebbe l’impressione che anche lui, in qualche modo, si sentisse in colpa nei suoi confronti. Che gli stesse dicendo quelle cose per scusarsi, sebbene non ne avesse motivo.
Isaac si alzò da tavola, riponendo il suo piatto ancora pieno per metà: quei discorsi gli avevano chiuso lo stomaco.
«Vuoi un passaggio a scuola?» gli domandò Scott, un po’ titubante.
Isaac scosse la testa «Faccio da me» rispose «Ma grazie, comunque»
Si avviò su per le scale prima ancora che l’amico potesse ribattere, premurandosi di chiudere la porta del bagno una volta dentro. Per la prima volta dopo settimane, si soffermò ad osservare la sua immagine riflessa: era pallido, stanco e le occhiaie sotto gli occhi erano più marcate che mai.
Doveva reagire.
Fece un respiro profondo, aprì il rubinetto del lavandino e vi tuffò sotto le mani, buttandosi l’acqua in viso: la sensazione di fresco sembrò risvegliarlo un po’. Ripeté l’azione un paio di volte, poi si passò l’asciugamano sul volto, sfregando forte: lo specchio gli restituì la stessa immagine di poco prima, con la differenza che la sua pelle aveva assunto un tono un po’ più colorito.
Andiamo, Isaac. Sei o non sei un lupo mannaro?
Ripensare alla sua vera natura parve rinvigorirlo. Non aveva più considerato quale fosse la sua forza da quando Allison se n’era andata. Perché Isaac era questo: forte. Lui poteva reagire. E lo avrebbe fatto.
Spinto dalla consapevolezza di cosa fosse, di chi fosse, da una nuova, improvvisa volontà, tornò in camera, si vestì ed uscì di casa diretto alla scuola di Beacon Hills. Quel giorno, Isaac sarebbe ripartito.
Avrebbe ricominciato da zero. Avrebbe ricominciato da se stesso.
 
 
Qualche giorno prima…
 
Il cielo stava cominciando ad imbrunire. Ancora nell’abitacolo della sua auto, parcheggiata al lato della strada, Chris Argent scrutò con attenzione la casa perfettamente visibile dalla parte opposta della carreggiata: la vernice sui muri era scrostata in diversi punti, il patio invaso da vecchi rottami, il giardino rovinato dalle erbacce, come se il proprietario avesse permesso allo scorrere del tempo di lasciare i propri segni. Estrasse dalla tasca del giubbotto il pezzetto di carta su cui aveva segnato l’indirizzo, chiedendosi se non avesse sbagliato: com’era possibile che quella sottospecie di catapecchia solitaria, alla periferia di Austin, fosse proprio il posto che stava cercando?
Un po’ titubante, scese dalla macchina, dirigendosi con passo incerto verso la porta: i gradini di legno che conducevano all’ingresso scricchiolarono pericolosamente al suo passaggio. Esaminò l’uscio alla ricerca del campanello e del nome che gli confermasse che quella casa era proprio il luogo giusto, ma nulla. Così, bussò tre colpi.
Attese, senza ricevere risposta. Bussò di nuovo. Non passò molto prima che udisse scattare la serratura.
Sulla soglia apparve un uomo anziano, sulla settantina. Era alto, i capelli ingrigiti gli arrivavano alla nuca e una barba folta ricopriva il volto solcato dalle rughe. Nonostante l’età, sembrava ancora piuttosto lucido.
L’uomo fissò Chris per un paio di secondi prima di scoppiare a ridere soddisfatto.
«Argent!» esclamò «Qual buon vento?»
«Mi serve il tuo aiuto» rispose lui, senza esitazioni.
«Ma non mi dire» ribatté l’uomo, sarcastico «Un uomo forte come te che chiede aiuto ad un povero vecchio?»
«Sappiamo entrambi che sei più di un povero vecchio, Jonah» disse Chris «Vivere in questa topaia non ti aiuterà a nascondere chi sei»
L’uomo chiamato Jonah si fece serio, scrutando Chris con sospetto «Entra» sentenziò «Non voglio rischiare che questa conversazione sia ascoltata da orecchie indiscrete»
Benché la strada fosse totalmente deserta, Chris decise di seguirlo all’interno. Dentro, la casa di Jonah non era meglio rispetto all’esterno: un vecchio divano in pelle marrone occupava la parte destra della stanza e un gatto dall’aria trasandata sonnecchiava appallottolato su un bracciolo; il tappeto in pelle di mucca sul pavimento davanti al camino aveva alcune bruciature qua e là e il tavolo sul lato opposto era ancora apparecchiato con piatti e bicchieri di una cena mai terminata. Nell’aria, aleggiava uno strano odore, un misto di bruciato e pipì di gatto.
«Allora, Argent» riprese Jonah, chiudendosi la porta alle spalle «di che hai bisogno?»
«Ho bisogno di Ellen» rispose lui, deciso.
Jonah restò impassibile «Perché?»
«Ho bisogno di lei e basta» fece Chris, risoluto «Mia figlia è morta pochi giorni fa e mi serve aiuto»
Si fissarono in silenzio per alcuni istanti. Chris percepì la curiosità di Jonah: sentiva che voleva domandargli cosa fosse successo, ma l’uomo parve decidere di soprassedere.
«Ellen non vive più in Texas, lo sai?» disse invece «Si è trasferita a New York»
«Temo mi sia sfuggito questo particolare» replicò Chris «ma sono sicuro che tu farai in modo di metterci in contatto»
Jonah assottigliò gli occhi «E se non lo facessi?» sibilò.
«Lo farai» ordinò Argent «o la mia vendetta si ritorcerà su di te»
E, senza proferire altro, girò sui tacchi e lasciò la casa, consapevole che, nonostante tutto, Jonah si sarebbe piegato al suo volere. Perché il dolore per Allison era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ed era giunta l’ora della vendetta.

 

*Clare's corner
Ok, ehm... Sono agli esordi nel fandom di Teen Wolf - o, che dir si voglia, in un qualsiasi fandom che non sia quello in cui ho sempre scritto - e ho un'ansia tremenda.
Visto che in questa parte mi dilungo sempre, cercherò di essere breve ma concisa.
Dunque, la storia ruota principalmente intorno ad Isaac e ad un nuovo personaggio da me inventato, ma è probabile che, nel corso della narrazione, come già è successo in questo capitolo, si possano trovare diversi PoV. Ho messo l'avvertimento OOC perché è purtroppo mia abitudine trasformare i personaggi a mio piacimento, ma uno di essi uscirà un po' dalle righe, perciò ha senso. Forse.
Bene, spero che l'ansia da pubblicazione non mi abbia giocato scherzi e di aver scritto tutto! *corre a nascondersi*
C.

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Capitolo 2
*** A window to the past ***


Jubel

2. A window to the past

Holly Chase aveva da sempre l’abitudine di ponderare una decisione per secoli prima di fare la sua scelta definitiva. Una peculiarità che, di certo, non la faceva somigliare a sua madre: nel giro di pochi giorni, Ellen Fletcher aveva deciso improvvisamente di mollare la loro vita a New York per tornare a vivere in California, nella cittadina di Beacon Hills, dove Holly aveva vissuto per i primi nove anni della sua vita e dove ora avrebbe dovuto dividere una casa con il nuovo fidanzato di sua madre e il suo insopportabile figlio.
Non le era mancata per nulla, quella città: anche nelle migliori giornate di sole, non poteva fare a meno di pensare che avesse qualcosa di cupo, qualcosa che la rendeva misteriosa e minacciosa. Non le piaceva. Ed era certa che le sarebbe piaciuta ancora di meno ora che sua madre e Richard West avrebbero unito le loro vite e le loro famiglie, costringendole a vivere sotto lo stesso tetto.
Il taxi che avevano preso dall’aeroporto di San Francisco per arrivare a Beacon Hills era innaturalmente stretto: sul sedile posteriore, Holly, strizzata tra sua madre e quello che avrebbe potuto definire il suo fratellastro, non si sentiva affatto a suo agio. A dire la verità, non si sentiva mai a suo agio quando Connor West le era vicino.
Connor aveva un anno in più di Holly e lei, fin dal primo momento in cui l’aveva conosciuto, non aveva potuto fare a meno di etichettarlo come un belloccio borioso senza cervello. Non sopportava il suo fare spocchioso e i suoi atteggiamenti da cascamorto con qualsiasi ragazza che fosse in grado di respirare, la voce da latin lover che sfoggiava ogni qualvolta volesse fare colpo e quel ciuffo di capelli biondi spettinati quel poco che bastava per dargli una vaga aria da “bello e dannato”. Odioso.
«Quindi questa è Beacon Hills» commentò Connor guardando fuori dal finestrino, mentre attraversavano la periferia della città «Sembra un posto da film horror»
Incredibilmente, Holly dovette dargli ragione. Non aveva ancora messo piede in città che già avvertiva uno strano senso d’irrequietezza.
Connor si voltò verso di lei «Sai cosa dicono di questo luogo?» esclamò «Dicono che sia come una calamita, un faro che attira creature sovrannaturali»
«Sì, certo» commentò lei, sarcastica.
«Non sto scherzando» continuò lui, abbassando la voce di qualche tono «Ho sentito dire che, da queste parti, sono morte diverse persone, tutte quante in circostanze misteriose»
«Connor, finiscila» sbottò Holly «Sono anni che ho smesso di credere alle storie di fantasmi e non saranno certo un paio di stupide dicerie a non farmi dormire la notte»
«Holly cuor di leone!» la canzonò Connor, pizzicandole una guancia.
«E smettila!» fece lei, allontanandogli la mano con un gesto stizzito.
«Ragazzi, comportatevi da adulti, per favore» li redarguì Ellen, rivolgendo ad entrambi un’occhiata di fuoco.
Holly sbuffò, incrociando le braccia sul petto. Da quando aveva conosciuto Richard, di qualche anno più giovane di lei, Ellen sembrava voler ostentare tutta la sua maturità di madre quarantacinquenne. Holly detestava quando si comportava così, poiché Ellen era tutto, fuorché una madre modello. Nel suo passato, c’erano sette anni da mamma single, quegli anni che da sempre sognava di passare al college e che aveva invece trascorso dietro il bancone di un bar, per guadagnare quel poco che bastava per mantenere se stessa e la sua bambina, Natalie, concepita durante una notte brava con un perfetto sconosciuto ad una festa, l’ultimo anno di liceo. Holly sapeva che, in giovane età, sua madre non si era fatta mancare nulla: anche nei primi anni di vita di Natalie, Ellen usciva con gli amici, rincasando ad orari improbabili, a volte ubriaca, lasciando ai suoi genitori il compito di occuparsi di sua figlia. Non era raro, infatti, sentirla sbraitare le proprie ragioni quando suo padre l’accusava di essere un’irresponsabile e una poco di buono.
Le cose iniziarono a cambiare quando la madre di Ellen annunciò al resto della famiglia che era malata di cancro e che non ci sarebbe stato nulla da fare, perché la malattia le era stata diagnosticata troppo tardi e né un intervento, né una terapia avrebbero potuto salvarla. Ellen ne rimase sconvolta: aveva sempre scaricato le proprie responsabilità sulle spalle dei suoi genitori, non si era mai occupata di quella bambina nata da una sciocca distrazione, nonostante la quale aveva continuato a vivere la sua vita come una qualsiasi ragazza della sua età. Quando seppe che sua madre aveva i giorni contati, fu sopraffatta dai sensi di colpa per essersi sempre comportata come una ragazzina viziata e capricciosa.
Lasciò tutto quanto: smise di uscire tutte le sere, cominciò a fare doppi turni al bar e a prendersi cura di Natalie e di sua madre, ogni qualvolta ne avesse bisogno. Ma nonostante tutto, non le sembrava mai di fare abbastanza da potersi redimere.  
Due mesi dopo aver comunicato la tremenda notizia, la madre di Ellen morì. La malattia aveva fatto il suo corso e la donna li aveva lasciati, spegnendosi nel sonno. Per Ellen il dolore fu immenso: rifiutò di partecipare ai funerali e, convinta di essere una delusione troppo grande per suo padre, decise di andarsene dal Texas e trasferirsi altrove, nella speranza di lasciarsi alle spalle tutto quanto. Fu allora che arrivò a Beacon Hills, quella piccola cittadina californiana all’apparenza tanto tranquilla, ma nella quale, invece, trovò il cambiamento di cui aveva bisogno. Russell Chase, a prima vista nulla di più che un ricco uomo d’affari, la salvò dal baratro in cui era precipitata dopo la morte di sua madre: le diede amore, una casa in cui vivere assieme, una nuova famiglia, una nuova vita. E Holly.
L’arrivo di Holly fu come una ventata d’aria fresca per Ellen, il tassello che completava un puzzle in maniera perfetta. Ma non passò molto tempo prima che il destino le mettesse davanti un altro ostacolo.
Terminato il liceo, Natalie disse di voler frequentare il college, per studiare legge. Russell, grazie a diverse conoscenze piuttosto altolocate, riuscì a garantirle un posto alla NYU, la prestigiosa università di New York, il che costrinse l’intera famiglia a trasferirsi, non senza parecchi litigi prima di prendere la fatidica decisione, per permettere a Natalie di seguire gli studi.
Il trasloco nella Grande Mela sembrò rompere quel nuovo equilibrio che si era creato nella vita di Ellen: Natalie viveva in un appartamento all’interno del campus del college e tornava a casa raramente; Russell venne promosso a vice-dirigente della multinazionale per cui lavorava e parve diventare un tutt’uno col suo lavoro, costantemente impegnato in riunioni, videoconferenze e viaggi che lo tenevano lontano da casa anche per diversi giorni. Holly ricordava bene quante ore aveva passato chiusa nella sua cameretta, con le mani sopra le orecchie o, una volta un po’ più cresciuta, con la musica che usciva a tutto volume dallo stereo, nel tentativo di arginare il più possibile le grida dei suoi genitori: tutte le volte che il suo papà tornava a casa dopo un periodo d’assenza, sperava che avrebbero passato del tempo tutti assieme, e invece era costretta ad ascoltare liti e discussioni ogni dannata volta.
Solamente due anni prima, Holly si era vista forzata a lasciare l’attico in cui vivevano. Lei e sua madre si accontentarono di un misero appartamento a Brooklyn e, ben presto, si trovarono di nuovo nella condizione in cui Ellen si era ritrovata nei primi mesi successivi alla morte di sua madre: avendo sempre vissuto in un ambiente benestante dall’arrivo di Russell, ritrovarsi all’improvviso sole e con le finanze che scarseggiavano, fu destabilizzante per entrambe. Ellen, fortunatamente, trovò presto un lavoro come cameriera in un noto ristorante della zona, e fu proprio in quel ristorante che conobbe Richard West. Richard era un avvocato, non particolarmente affermato, ma con la sua cerchia di clienti. Aveva poco più di quarant’anni, un bell’aspetto e un figlio, rimasto con lui dopo che la moglie era stata coinvolta in un grave incidente d’auto. Lui ed Ellen avevano cominciato a frequentarsi sempre più spesso, iniziando a trascinare anche i rispettivi figli alle cene assieme, fino ad arrivare alla decisione, presa soltanto tre settimane prima, di costruire finalmente una vita insieme, tornando nella città che, per Ellen, era stata l’ancora di salvezza.
Il centro abitato di Beacon Hills stava pian piano prendendo il posto delle fabbriche e dei capannoni della periferia. Sbirciando oltre il vetro del finestrino, Holly constatò che, nonostante avesse passato diversi anni a New York, quella cittadina californiana non era cambiata quasi per nulla: aveva mantenuto la sua atmosfera misteriosa, quella strana luce che sembrava far presagire di continuo cose terribili, ma anche quella calma piatta che ne caratterizzava le strade e gli abitanti. Sicuramente, vivere lì a diciassette anni doveva essere una noia mortale.
«Manca molto?» chiese Richard dal sedile anteriore.
«Cinque minuti, signore» gli rispose il tassista.
«È incredibile che siamo riusciti a trovare una casa così in fretta» continuò Richard, poi si voltò verso Ellen: «Hai corrotto l’agenzia immobiliare?»
«Ho semplicemente le conoscenze giuste» fece lei con un sorriso. Holly alzò gli occhi al cielo, esasperata: l’ennesimo comportamento civettuolo di sua madre.
«Ci siamo» annunciò il tassista poco dopo, mentre svoltavano in un viale costeggiato da diverse ville. Davanti ad una di esse, era posteggiato un grosso SUV scuro.
«Dietro quell’auto, per favore» disse Ellen, indicando la macchina. Il tassista obbedì e accostò come richiesto.
Non appena Connor aprì la portiera, Holly gli diede uno spintone «Muoviti» sbraitò: non ne poteva più di stare in quel maledetto taxi.
«Ehi, ehi, calma» fece lui, con una lentezza esasperante, studiata apposta per irritarla ancora di più.
«Ho bisogno di sgranchirmi le gambe, scendi» continuò lei. Spinse un divertito Connor a forza giù dall’auto e, finalmente, mise i piedi sull’asfalto. Alzò le braccia sopra la testa, stiracchiandosi e inspirando l’aria, quando qualcosa di strano nello scenario davanti a sé attirò la sua attenzione.
Sotto il portico che circondava la loro nuova casa, davanti alla porta d’ingresso, un uomo dall’aria vagamente misteriosa osservava con particolare interesse il loro arrivo.
«Mamma» chiamò, senza staccare gli occhi da quell’uomo «quello chi è?»
«Un secondo solo, tesoro» fece lei, la voce affaticata «Aiutami con i bagagli»
Holly continuò a fissare lo sconosciuto, che sembrava a sua volta non volerla perdere di vista, e indietreggiò di qualche passo verso il taxi.
«Mamma, non per metterti fretta» Holly bisbigliò a sua madre, mentre l’aiutava a scaricare un trolley particolarmente pesante «ma c’è uno strano tizio davanti alla casa in cui vivremo fino al tuo prossimo fidanzato»
Ellen le lanciò la peggiore occhiata infuriata mai vista. Holly si limitò a fare spallucce: sapeva che sua madre non poteva darle torto. Non del tutto, almeno.
«È un vecchio amico» disse poi Ellen, dopo aver lanciato una fugace occhiata alla casa «L’ho conosciuto quando vivevo qui ed è grazie a lui se abbiamo un tetto sopra la testa»
«Gentile da parte sua» fece Holly, sarcastica «Prendo le mie cose»
Si tuffò nel baule del taxi, cercando di recuperare la valigia con i suoi vestiti e il borsone in cui aveva messo tutto quello che aveva nell’appartamento di Brooklyn: per un attimo, ricordò con una punta di tristezza che molte delle sue cose erano ancora nella casa di suo padre.
«Serve aiuto?»
Holly si lasciò sfuggire un sospiro esasperato «No, Connor, non mi serve il tuo aiuto» sbottò.
«Cercavo solo di essere gentile» rispose lui, allegro.
«Non ho bisogno che tu sia gentile» continuò lei, riuscendo a recuperare i suoi bagagli.
«Ma tu dovresti esserlo con lui» Ellen riprese Holly.
«Non preoccuparti, Ellen» disse Connor, con un ampio sorriso «Holly mi apprezza a modo suo»
Ellen gli rivolse un sorriso adorante prima che si allontanasse per raggiungere suo padre, impegnato a parlare col tassista per pagare il tragitto.
«Mamma, non dargli corda» sibilò Holly.
«Non ho detto nulla» fece lei.
«Gli hai sorriso» esclamò, stizzita.
«E cosa c’è di male?»
«C’è di male che tu lo adori e non puoi adorarlo!» Holly continuò imperterrita «Io non lo sopporto e, in quanto mia madre, tu dovresti stare dalla mia parte»
«Tesoro, Connor è un bravissimo ragazzo» disse Ellen «Devi solo imparare a conviverci e prenderlo nel modo giusto»
«Intendi, tipo, prenderlo a schiaffi?»
«Holly!»
«Dai, mamma, lo sai che non potrò mai andarci d’accordo!» si lamentò lei «Solo a pensare che lo avrò sotto il naso tutto il giorno, ogni giorno, mi fa venire da vomitare»
«Ti ci abituerai» tagliò corto Ellen, notando che Richard e Connor si stavano avvicinando.
«Fatto» disse Richard riponendo il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni «Se abbiamo preso tutto, possiamo andare»
«Andiamo, allora» fece Ellen.
Raccolsero i bagagli, incamminandosi verso la porta d’ingresso della loro nuova casa. L’uomo misterioso, che doveva averli osservati in silenzio fino a quel momento, gli andò incontro.
«Chris!» esclamò Ellen «Che piacere rivederti!»
«Lo è anche per me» disse lui, stringendole la mano. Aveva una voce molto profonda e, Holly notò, degli occhi di un azzurro glaciale che avrebbero messo in soggezione chiunque.
«Grazie infinite per averci aiutato con la casa» disse poi Ellen «Senza di te, avremmo probabilmente atteso un’eternità»
«L’ho fatto volentieri» disse lui, accennando un sorriso.
Holly spostò lo sguardo da Chris a sua madre: sorrideva, e i suoi occhi sembravano vedere qualcosa di diverso dalla scena che aveva realmente davanti. Era come se fosse persa nei suoi pensieri. O nei ricordi.
Guardò di nuovo Chris: il suo volto appariva impassibile, ma i suoi occhi parevano non volersi staccare da quelli di Ellen.
«Devo fare pipì» esordì allora Holly, nel tentativo di interrompere quel contatto visivo «Non è che potremmo entrare?»
Chris sbatté le palpebre più volte «C-certamente» disse «Prego, accomodatevi»
«Grazie» intervenne Ellen «Oh, a proposito, lei è mia figlia Holly» continuò, indicandola «e loro sono Richard, il mio compagno, e suo figlio Connor»
«Molto lieto» disse Richard, facendosi avanti per stringere la mano a Chris, il quale ricambiò con poca convinzione; ne mise un po’ di più nella stretta che riservò a Connor. Tese quindi il braccio verso Holly, la quale esitò per alcuni istanti prima di afferrargli la mano e lasciare la presa immediatamente. Quel Chris non le piaceva per nulla.
«Beh, entrate» disse di nuovo Chris, aprendo loro la porta «Vi aiuto con i bagagli»
Dopo aver rifiutato l’offerta d’aiuto, Ellen trascinò due pesanti valigie all’interno della casa, seguita da Connor e Richard. Holly rimase fuori sul patio, con accanto il suo trolley e il borsone, gli occhi che non si staccavano da Chris.
«Vuoi che ti aiuti?» le chiese allora lui, un po’ burbero.
«No, non mi serve» rispose lei «Chi sei tu?»
«Credevo ci fossimo già presentati» fece Chris, con un velo d’ironia.
«Intendo, chi sei davvero»
Chris la guardò con sospetto, restando in silenzio.
«Sei inquietante» riprese Holly «Ci avrai anche trovato una casa, ma non hai certo l’aspetto di uno che lavora nel settore immobiliare»
«Questa era la mia vecchia casa» disse lui, freddo «Tua madre mi ha chiamato qualche settimana fa per chiedermi se sapessi di qualche casa in vendita e io le ho offerto la mia. Ora, se non ti dispiace, avrei…»
«È una bella casa» lo interruppe Holly, osservando le mura della sua nuova abitazione «Sembra costosa. Che lavoro fai? Lo spacciatore? Sei della CIA? Oppure fai parte di qualche strano giro mafioso?»
Chris le si avvicinò minaccioso, costringendola ad arretrare di qualche passo «Ti garantisco che non ti piacerebbe saperlo» sibilò.
Holly deglutì, maledicendo la sua linguaccia e la sua brutta abitudine di dire sempre tutto ciò che le passava per la testa. Sostenne lo sguardo di Chris, finché lui non sembrò ritenersi soddisfatto dell’effetto che aveva sortito su di lei.
«Non dovevi usare il bagno?» le disse. Senza farselo ripetere due volte, Holly raccolse le sue cose e azzerò la distanza che la separava dalla porta. Prima di entrare, il suo sguardo si posò sul campanello: una targhetta leggermente consumata recava scritto il nome “Argent”.
Gettò un’occhiata alle sue spalle, vedendo Chris allontanarsi verso la sua auto. Non ci avrebbe messo molto a scoprire chi fosse davvero: ora che sapeva il suo nome, le sarebbe bastata una ricerca in Internet per sapere cosa nascondesse Chris Argent.  



*Clare's corner
Ok, a quanto pare la puntualità non è più il mio forte. No, ok, avrei pubblicato prima se il mio pc non si fosse fatto due settimane in assistenza. Anyway, here we are, col capitolo numero due e svariati nuovi personaggi, che ritroveremo più volte nel corso della storia.
Holly è il personaggio, assieme ad Isaac, attorno a cui ruoterà la maggior parte della trama. E' un po' petulante, forse scorbutica, ma vi garantisco che migliorerà. :)
Poi, poi, poi... voglio sempre dire tante cose quando arrivo a questa parte, ma mi dimentico sempre tutto! Oh, sì! Non so esattamente dove si trovi Beacon Hills, Wikipedia dice che in un episodio si nota il codice postale di San Francisco, perciò ho supposto che fosse da quelle parti.
E niente, non so cos'altro dire, perciò... ditemi voi!
C.

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Capitolo 3
*** Memories ***


Jubel

3. Memories

Il lunedì successivo al suo ritorno a scuola, Isaac non era ancora riuscito a convincersi di aver preso la decisione giusta. Aveva ricominciato a sedersi a tavola con Scott e Melissa, a seguire le lezioni, ma la sua mente era continuamente offuscata da una valanga di pensieri e di ricordi. Gli sembrava di vivere in una dimensione parallela, in una nuova, triste realtà senza Allison, quella realtà in cui perfino la sua forza di lupo mannaro sembrava essersi affievolita, fino a svanire quasi del tutto. Continuava a sentirsi vuoto, stremato, inutile, a volte perfino di troppo per le persone che gli stavano attorno. Sapeva di dover reagire e voleva farlo a tutti i costi. Aveva bisogno di un’ancora, di qualcuno che lo aiutasse davvero a risalire quell’abisso da cui non riusciva ad uscire da solo, da cui era convinto di non avere più vie di fuga, se non una fuga vera e propria.
Aveva pensato diverse volte di andarsene, di lasciarsi alle spalle Beacon Hills e tutta quell’orribile faccenda, partire senza dire nulla a nessuno, senza lasciare sue notizie, perché sapeva che i più avrebbero capito il motivo di un gesto simile da parte sua. Ma non ne aveva il coraggio: si sentiva troppo vulnerabile, troppo debole per intraprendere da solo una strada verso un futuro ignoto.
Conosceva bene, invece, la strada verso il liceo di Beacon Hills. L’aveva percorsa così tante volte che le sue gambe avrebbero potuto percorrerla da sole, senza che il suo cervello scegliesse in quale direzione andare.
Non aveva voglia di vedere nessuno, quella mattina. Non gli andava di perdersi in chiacchiere, così, una volta oltrepassata la porta d’ingresso, decise di dirigersi subito verso l’aula in cui si sarebbe tenuta la lezione di storia. Finché non si ricordò che i libri di cui aveva bisogno non erano nello zaino.
Con uno sbuffo, girò sui tacchi e si diresse verso la fila di armadietti blu che costeggiavano il corridoio. Era ormai prossimo ad aprire il proprio, quando una presenza inaspettata lì accanto attirò la sua attenzione.
Erano passati tantissimi anni, forse dieci o forse più, ma non era cambiato nulla. Il viso tondo era familiare come allora, il naso piccolo e le labbra sottili erano gli stessi, i capelli forse un po’ più corti. C’era qualcosa di diverso negli occhi: non erano più vivaci come una volta, ma avevano mantenuto quella stessa profondità che, anni prima, veniva celata da un paio di buffi occhiali dalla montatura lilla.
La mente di Isaac parve svuotarsi all’improvviso di tutti i pensieri che lo avevano tormentato negli ultimi giorni, sostituiti da più allegri ricordi d’infanzia che credeva di aver lasciato nel dimenticatoio. All’improvviso, si sentì invaso da uno strano moto di vitalità.
Decise di avvicinarsi, schiarendosi la voce «Holly?» disse.
Lei si voltò «Sì?» fece, a metà tra l’incerto e il sorpreso: il suo sguardo sembrava vagamente smarrito.
Isaac non riuscì a trattenere un sorriso «Sono Isaac» continuò «Isaac Lahey. Ti ricordi?»
Holly aggrottò la fronte, lo osservò un paio di secondi e, infine, scosse la testa.
«Alla scuola elementare di Beacon Hills» disse ancora Isaac, muovendo un passo avanti, animato da quel nuovo entusiasmo «Quello che… che ti ha spinto giù dall’altalena e ti ha rotto il naso» concluse con una risata.
Holly chiuse il suo armadietto e si mise la borsa in spalla «Senti, ehm… Isaac» disse, apparentemente imbarazzata «non per essere scortese, ma ho passato gli ultimi anni della mia vita a trasferirmi da una parte all’altra dell’America e ho visto così tante facce che non ne ricordo nemmeno una»
«Nemmeno una?» ripeté lui, speranzoso.
Lei sospirò «Scusami, è il mio primo giorno qui, ho traslocato solo tre giorni fa ed è tutto un casino e…»
«Non fa niente, tranquilla» tagliò corto Isaac, un po’ deluso «Se… se posso darti una mano…»
«Me la cavo da sola» rispose lei, spiccia «ma… grazie»
Isaac abbozzò un sorriso. Holly ricambiò in fretta prima di voltarsi e dirigersi verso la classe di storia. Mentre la osservava allontanarsi, Isaac avvertì una mano sulla spalla: con la cosa dell’occhio, notò che si trattava di Stiles.
«Se ne va così? Non ti merita» esordì.
Isaac gli lanciò un’occhiataccia: doveva ancora abituarsi al fatto che Stilinski stesse tornando il chiacchierone sarcastico di sempre.
Stiles si affrettò ad allontanare la mano «Scusa» disse, con un colpetto di tosse «Chi… chi era?»
«Holly Chase» rispose Isaac, lo sguardo che frugava oltre la porta aperta dell’aula in fondo al corridoio, dove Holly stava dialogando col professor Yukimura «Eravamo compagni di scuola alle elementari»
«A volte ritornano» commentò Stiles «Chiedile di uscire»
«È in città da tre giorni» ribatté Isaac, irritato «E non lo farei, in ogni caso»
Voltò le spalle a Stiles, decidendosi finalmente ad aprire il suo armadietto e prendere i libri che gli servivano. Non appena lo aprì, la vista di una foto di Allison attaccata all’interno dell’anta lo colpì con la forza di un pugno allo stomaco. Era un dettaglio che non ricordava: l’aveva messa lì da talmente tanto tempo che ci aveva ormai fatto l’abitudine. Ma ritrovarla così, ora che Allison li aveva lasciati e lui non aveva più messo piede a scuola da allora, fu sicuramente un brutto colpo. Mandò giù il groppo che gli si era formato in gola, afferrò la foto e la strappò via con decisione, senza pensarci troppo. Non aveva senso aggrapparsi al passato, a quello che non c’era più e che non sarebbe mai più tornato. Doveva andare avanti senza guardare indietro, anche se faceva male.
Prese il libro di storia e un quaderno a caso, richiuse l’armadietto con un colpo secco e si diresse in classe. Dopo una rapida occhiata all’aula, vide Holly seduta in un banco nella penultima fila, intenta a giocherellare con una matita: di tanto in tanto, si guardava attorno con fare nervoso. Cercando di mantenere un atteggiamento più indifferente possibile, Isaac andò ad occupare il posto libero dietro di lei. Dal canto suo, Holly parve non farvi caso.
Passandole accanto, Isaac ne avvertì il profumo: era fresco e, per qualche strana ragione, gli faceva pensare all’estate. Mentre si sedeva nel banco dietro al suo, dopo quella che gli era sembrata un’eternità, liberò i suoi sensi di lupo: credeva che il dolore per la scomparsa di Allison glieli avrebbe fatti perdere o, nel migliore dei casi, che si sarebbero indeboliti, ma gioì quando scoprì che nulla pareva essere cambiato.
Il battito cardiaco di Holly era accelerato: provava ansia, ma bastava uno sguardo alla sua gamba, che rimbalzava ininterrottamente su e giù, per capire quanto fosse inquieta. Quel trasferimento doveva agitarla parecchio.
Il professor Yukimura lasciò entrare un ultimo studente ritardatario prima di chiudere la porta dell’aula, quindi si posizionò davanti alla cattedra e fronteggiò la classe.
«Allora» esordì «prima di cominciare, vorrei dare il benvenuto alla nostra nuova arrivata, Holly Chase, che si è trasferita qui da New York»
Fece un cenno verso di lei con la mano e buona parte della classe si voltò incuriosito nella sua direzione. Isaac avvertì il suo imbarazzo: essere al centro dell’attenzione non doveva piacerle troppo.
«Spero ti troverai bene a Beacon Hills» disse ancora Yukimura.
Isaac non poteva vederla in viso, ma fu quasi certo che Holly avesse sorriso e che quella frase l’avesse tranquillizzata. Era sicuro che si sarebbe trovata bene a Beacon Hills, aveva già vissuto lì. Anche se erano passati davvero tanti anni…
 
La campanella che segnava l’inizio dell’intervallo risuonò lungo i corridoi della scuola. Isaac scattò in piedi, rischiando di rovesciare la sedia dietro di sé, corse alla porta e l’aprì con uno spintone, filando verso il giardino. Era piovuto per quasi due settimane e le maestre avevano costretto gli alunni a passare la loro mezz’ora libera chiusi in aula, a guardare dalla finestra il cortile battuto dagli acquazzoni. Finalmente sarebbero potuti uscire di nuovo all’aria aperta, in quella tanto attesa giornata di sole.
Ad Isaac non piaceva la scuola e quei trenta minuti d’intervallo erano la parte migliore della giornata. Gli piaceva correre, arrampicarsi sullo scivolo, dondolarsi sull’altalena, giocare a nascondino con gli altri bambini. Ma non con le bambine. Con loro non voleva giocare, volevano sempre avere il controllo. E nemmeno dividere la sua altalena preferita, quella attaccata al grosso ramo di un cedro.
Quel giorno, Holly Chase, una bambina della classe di fronte alla sua, aveva creduto di potergli rubare il posto. Si dondolava felice, mentre alcune altre bambine aspettavano con ansia che venisse il loro turno.
«Quella è la mia altalena!» esclamò Isaac, dirigendosi a passo deciso verso il capannello che si era creato sotto l’albero.
«Ehi!» sbottò quindi, rivolto a quella Holly «Scendi! Questa è la mia altalena!»
«No che non è tua» ribatté lei, continuando ad oscillare avanti e indietro «È di chi la prende per primo»
«Non è vero, è mia!» continuò lui, imperterrito.
«Non c’è scritto il tuo nome» lo sbeffeggiò la ragazzina.
Tra un’oscillazione e l’altra, Isaac si lanciò in mezzo alla traiettoria dell’altalena e ne afferrò una corda, costringendola a rallentare. Ma Holly, a sua volta, sembrava non voler mollare la presa.
«Scendi!» urlò Isaac.
«No!» strillò la bambina di rimando. Prima che Holly se ne rendesse conto, Isaac afferrò il seggiolino da sotto e lo rovesciò, costringendola a lasciare le corde dell’altalena per buttare le mani a terra. Ma i suoi riflessi non furono troppo pronti e Holly si ritrovò col viso schiacciato sul terreno.
«Ahia!» gridò, mentre cominciava a piangere e si rimetteva in piedi con qualche difficoltà, tenendosi una mano sulla faccia «Mi hai fatto male!»
«Così impari a rubarmi l’altalena!» la canzonò Isaac, beandosi della sua postazione sul suo seggio preferito.
Da lontano, la signorina Roberts, la maestra di inglese, doveva aver notato l’accaduto e corse da loro.
«Cos’è successo?» domandò severa ai bambini.
«Lui mi ha spinto giù dall’altalena!» frignò Holly, puntando un dito accusatore contro Isaac «Mi fa male il naso»
«Fammi vedere» le disse dolcemente la Roberts, spostandole le mani dal viso: la parte destra del naso della bambina era una chiazza di sangue.
«Isaac» lo ammonì la maestra, voltandosi a guardarlo «lo sai che i giochi del giardino sono di tutti e non si fanno queste cose»
«No, questa è mia!» si difese lui.
«No, Isaac» continuò la signorina Roberts, paziente «l’abbiamo detto tante volte che dovete fare a turno. Lascia l’altalena anche ai tuoi compagni, su»
Dopo una breve esitazione, Isaac balzò giù dall’altalena con uno sbuffo e si diresse verso lo scivolo.
«Mi hai fatto male, brutto!» gli urlò dietro Holly.
«Brutta tu!» gridò lui in risposta.
 
«Cos’è che ti diverte, Isaac?»
La voce di Yukimura lo riportò alla realtà.
«Come, scusi?» fece lui, svanito.
«Trovi divertente la politica del Terrore di Robespierre?» continuò il professore «O c’è qualcosa che ti fa ridere che vorresti condividere con noi?»
«N-no, ehm, io…» balbettò Isaac «No, niente, mi scusi»
Non aveva nemmeno idea di chi fosse quel “Robert Pierre”. E nemmeno si ricordava quand’era stata l’ultima volta che aveva aperto un libro per studiare.
«Beh» disse Yukimura «perché, allora, prima di continuare, non ci fai un riassunto veloce dei punti salienti della Rivoluzione francese?»
 
Cinque ore e una D in storia dopo, l’ultima campanella mise finalmente fine a quella che, per Isaac, era sembrata una giornata infinita. Lasciò l’aula di chimica, ritrovandosi nel corridoio pieno di studenti, che riempivano l’aria con il loro chiacchiericcio allegro. Ben deciso a rimediare al brutto voto di quella mattina, andò al suo armadietto per recuperare un paio di appunti che gli aveva lasciato Lydia qualche tempo prima, consapevole che sarebbero stati la migliore compagnia per il pomeriggio che lo aspettava.
Mentre richiudeva l’anta dell’armadietto, notò che Holly si stava avvicinando al proprio, camminando a passo svelto e col capo chino, come se sperasse di non essere vista. Ma Isaac l’aveva vista e lei parve accorgersene.
Si arrestò di botto, fissandolo come se non sapesse cosa fare, quindi si mise a frugare nella borsa per poi estrarne il cellulare. Isaac percepì delle sensazioni contrastanti: c’era dell’impazienza e un briciolo di senso di colpa.
Holly si guardò attorno, poi spostò lo sguardo su Isaac, di nuovo sullo schermo del suo telefono, infine ancora su Isaac. Il ragazzo la vide sbuffare, riporre il cellulare ed incamminarsi a passo deciso verso di lui.
Preso alla sprovvista da quel gesto, riaprì l’armadietto, fingendo di cercarvi qualcosa dentro.
«Ehm… Isaac?» la voce incerta di Holly lo raggiunse da dietro lo sportello aperto.
Lui si sporse «Sì?» disse.
«Volevo…» cominciò lei, gesticolando animatamente, come se stesse cercando le parole più giuste da dire «Ecco, io volevo chiederti scusa per questa mattina. Non volevo sembrarti scortese o…»
«Oh, no, per niente» rispose lui, chiudendo l’armadietto per la seconda volta «Va tutto bene»
«È solo che… insomma, tu cercavi di essere gentile e ti ho liquidato in cinque secondi» disse Holly, concludendo la frase con una risata nervosa.
«Non fa niente, davvero» ripeté Isaac «Ma non farti problemi a chiamarmi se ti serve una mano. Per i compiti o… qualsiasi cosa»
«Ti ringrazio» fece lei, arricciando gli angoli della bocca. Lo sorpassò, diretta verso l’uscita, e Isaac si accorse solo in quel momento di essersi irrigidito. Rilassò le spalle e soffiò fuori l’aria, quando sentì qualcuno chiamarlo. Si voltò e vide Holly tornare indietro.
«Ho dimenticato una cosa» disse, mentre percorreva gli ultimi metri che li separavano «Avrò la mia vendetta per quella caduta dall’altalena»
Isaac scoppiò a ridere «Oh, la attendo con ansia» esclamò.
Holly gli sorrise, quindi fece dietrofront e uscì dalla scuola.
Lo ricordava. Holly ricordava quell’episodio, lo aveva fatto ridere e, per alcuni istanti, era riuscita a fargli dimenticare tutto quello che era successo, liberandogli il petto da quella pressione che sembrava farsi sempre più schiacciante.
«Quella non era Holly Chase?»
Senza il bisogno di guardare, Isaac riconobbe la voce di Lydia Martin.
«La conosci?» le domandò.
Lydia fece spallucce «Viveva vicino a me prima di trasferirsi» si limitò a rispondere. La sua voce era piatta, atona, il suo volto stanco.
«Stai bene?» le chiese allora Isaac. Non aveva ancora avuto occasione di parlarle da quella tremenda notte e sapeva che Lydia stava soffrendo almeno quanto lui.
«Faccio del mio meglio» sospirò «Tu come stai?»
«Me la cavo» buttò lì. Sapevano entrambi di stare mentendo l’uno all’altra, così come sapevano che ammettere il loro dolore non li avrebbe di certo fatti stare meglio.
Lydia strinse la mano di Isaac, limitandosi a scambiare con lui uno sguardo carico di comprensione. Si sarebbero fatti forza.
«Ci vediamo presto» disse Lydia, incamminandosi verso l’uscita.
Poco dopo, Isaac la imitò. Mentre camminava verso casa McCall, si rese conto di quanto, nonostante quel piccolo spiraglio di sole, il suo cielo fosse ancora scuro e pieno di nuvole.



*Clare's corner
E rieccomi, "abbastanza" puntuale!
Prima di perdermi nei miei sproloqui post-capitolo, ci tengo a ringraziare coloro che hanno recensito (giuro, prima o poi risponderò alle recensioni singolarmente, abbiate fede!) e che hanno aggiunto questa storia nelle preferite/seguite/ricordate, per me significa tanto, essendo questo il mio primo esperimento nel fandom. Faccio un ringraziamento particolare a
Lilyhachi e Marti Lestrange, che mi supportano anche su Facebook - se volete farlo anche voi, c'è il link al mio profilo FB nella pagina autore.
Dunque... Isaac e Holly si sono finalmente incontrati, ma il loro rapporto avrà bisogno di parecchio tempo prima di ingranare, poiché Isaac, come avrete intuito, soffre tantissimo per la scomparsa di Allison - cosa che non viene quasi nemmeno menzionata nella quarta stagione e la cosa mi manda in bestia. Sono apparsi anche Lydia e Stiles, che ovviamente torneranno anche più avanti, assieme a tutti gli altri personaggi della serie. Detto ciòòòòò, boh, niente, credo di aver finito di ciarlare! :) Pace a tutti!
C.

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Capitolo 4
*** The code ***


Jubel

4. The code

Seduta su una panchina fuori da scuola, Holly, in attesa che Connor la raggiungesse, ripensò allo scambio di battute che aveva avuto con Isaac. Aveva finto di non conoscerlo, di non ricordarlo, per poi ritrovarsi, poche ore dopo, a chiedergli scusa per avergli mentito, e già cominciava a pentirsene.
Ricordava bene quella caduta: il suo naso era stato gonfio e pieno di croste per due settimane, dando la possibilità ai suoi compagni di classe più pestiferi di prenderla in giro, chiamandola con i soprannomi più assurdi. Quando poi i suoi genitori le dissero che sarebbero andati via da Beacon Hills, la felicità di lasciarsi alle spalle quei ragazzini antipatici fu indescrivibile. Ma, una volta a New York, si rese conto di quanto poco felice sarebbe stato quel trasferimento.
Negli ultimi anni, era stata sballottata da una casa all’altra, da Beacon Hills a Manhattan e poi a Brooklyn e, infine, di nuovo in quella piccola cittadina californiana, e il pensiero di dover cominciare un nuovo capitolo della sua vita, quando quello precedente sembrava non avere ancora un punto, le faceva male. Non aveva mai avuto qualcuno su cui poter contare, non ne aveva avuto il tempo. Non aveva mai avuto dei veri amici, qualcuno di cui potesse fidarsi e a cui potesse confidare i suoi pensieri, le sue paure, i suoi dubbi. Si era sfogata sempre e solo sulle pagine di un diario e, quelle poche volte in cui era presente, con suo padre.
La verità era che non sapeva quanto tempo sarebbe rimasta a Beacon Hills: sua madre era imprevedibile e l’idea di legarsi a qualcuno con cui, probabilmente, avrebbe poi dovuto tagliare i ponti, le faceva preferire la solitudine. Certamente, avrebbe sofferto meno. E, nel caso in cui le fosse servito aiuto, non avrebbe mai chiamato Isaac Lahey: meglio uno sconosciuto qualunque di qualcuno che, con ottime probabilità, l’avrebbe fatta finalmente sentire a casa. Avrebbe dovuto prendere le distanze da lui, e al più presto.
Una voce che la chiamava interruppe il flusso dei suoi pensieri: era Connor.
«Quando vuoi» gli disse, sarcastica, alzandosi dalla panchina.
«Con calma, sorellina, con calma» fece lui, con quella finta pacatezza che, lo sapeva bene, irritava Holly.
Lei sbuffò «Dai, muoviti» esclamò spazientita, afferrandolo per un braccio e trascinandolo verso lo scuolabus giallo che attendeva alla fine della strada.
«A proposito» esordì Connor «credo di averti vista parlare con un ragazzo prima, chi era?»
«Non deve interessarti» sputò lei, senza preoccuparsi di voltarsi per guardarlo in faccia.
«Siamo appena arrivati e hai già una fiamma?» la punzecchiò.
A quel punto, Holly si fermò e fronteggiò il suo fratellastro «È solo una vecchia conoscenza» spiegò.
«Sembrava vi conosceste bene» commentò Connor.
«Eravamo compagni di scuola alle elementari» proseguì Holly, cominciando ad innervosirsi.
Connor alzò le sopracciglia, mentre le sue labbra cominciavano ad arricciarsi in un ghigno che stentava a trattenere.
«Strozzati» sentenziò Holly a denti stretti, voltandogli di nuovo le spalle e facendo per incamminarsi verso il pullman. Lui scoppiò a ridere e la raggiunse in pochi passi, mettendole un braccio attorno alle spalle.
«Sorellina, non essere sempre così scontrosa» le disse, ancora divertito «o non ti farai amici, qui»
«Lo scopo è quello» rispose Holly, funerea. Si liberò dalla sua presa, accelerò il passo e salì sullo scuolabus. A bordo, aleggiava un forte odore di cuoio, probabilmente emanato dai vecchi sedili in pelle. Per quanto potesse essere poco piacevole per l’olfatto, di sicuro non puzzava più dell’affollata metropolitana di New York.
Camminò tra le due file di sedili finché non trovò un posto libero in fondo al pullman, dove si lasciò cadere insieme a Connor. Ben decisa a non voler sentire chiacchiere, si mise a trafficare nella borsa, alla ricerca del suo iPod. Ma un nodo particolarmente ostile nel filo degli auricolari sembrò ritardare il suo isolamento forzato.
«Holly?» la chiamò Connor.
«Mmh?» grugnì lei, concentrata sulle cuffiette.
«È appena salito un tizio che sembra particolarmente interessato a te» le sussurrò.
«È un problema suo» rispose Holly, riuscendo finalmente a districare le cuffie. Le infilò nelle orecchie, accese l’iPod e alzò il volume su una canzone dei Kasabian. Appoggiò la fronte al vetro freddo del finestrino e chiuse gli occhi per un attimo, grata che quel primo giorno di scuola fosse finalmente terminato. Quando li riaprì, notò che Connor aveva ragione: seduto un paio di posti più avanti, c’era un ragazzo che le lanciava occhiate curiose con assai poca indiscrezione. Aveva i capelli neri e spettinati, gli occhi vispi e il naso all’insù, oltre ad una vaga aria di qualcuno che proprio non era in grado di farsi gli affari suoi. Era quasi certa che fosse nella sua stessa classe di storia, di chimica e matematica.
«Credo che da queste parti non siano abituati a vedere facce nuove» Holly bisbigliò all’orecchio di Connor.
Lui scrollò le spalle «È una città piccola, i cambiamenti si notano subito» asserì.
«Disse il saggio West» lo canzonò lei, prima di concentrare la sua attenzione sulla musica che le rimbombava nelle orecchie e la visuale fuori dal finestrino.
Il pullman si avviò con un rombo e partì, lasciandosi alle spalle il liceo di Beacon Hills. Percorrendo le strade della cittadina, Holly ricordò pian piano diversi episodi della sua infanzia: le continue visite all’ospedale, quando sua sorella Natalie era stata operata alle tonsille, un intero pomeriggio alla centrale di polizia per denunciare il tentato furto dell’auto di suo padre, le ore trascorse a giocare nel parco vicino alla scuola… e, mentre attraversavano un largo viale alberato, la vista della sua vecchia casa la colpì con la forza di un pugno allo stomaco. Era ancora là, quella grande villa dai muri bianchi che lei chiamava “il suo castello”, perché il suo papà le aveva sempre detto che lei era la sua principessa. Si lasciò sfuggire un sorriso a quel pensiero, rendendosi tristemente conto che non vedeva suo padre almeno da quando Ellen aveva conosciuto Richard, il che significava da quasi un anno. Nonostante non fosse mai stato particolarmente presente da quando si erano trasferiti dalla California a New York, Holly sapeva che suo padre era l’unica persona su cui avrebbe potuto contare sempre. Ma ora erano distanti: Russell le mancava da morire e si sentiva sola più che mai.
Un colpetto sulla spalla la costrinse a riemergere dai suoi ricordi.
«Holly, dobbiamo scendere» disse Connor.
Con un sospiro, Holly sfilò gli auricolari dalle orecchie, spense l’iPod e lo gettò a casaccio dentro la borsa, alzandosi dietro il suo fratellastro e raggiungendo la porta dello scuolabus; la sensazione di avere gli occhi di tutti – o, se non altro, di molti – puntati addosso, la metteva tremendamente a disagio. Fortunatamente, non passò molto prima che il pullman giallo rallentasse e si fermasse poco lontano dalla loro casa.
Una volta scesa, Holly gettò un’occhiata agli studenti ancora a bordo dello scuolabus, mentre quello ripartiva: il ragazzo dall’aria ficcanaso li osservava col volto spiaccicato contro il finestrino e pareva non volerli perdere di vista a nessun costo.
Cercò di non darvi troppo peso e s’incamminò sul vialetto di casa. Non ci mise molto prima di notare che, davanti alla porta d’ingresso, sua madre sembrava star sostenendo una discussione con l’unica persona che Holly già detestava in quella città: Chris Argent.
«Che cavolo…?» borbottò Holly, più a se stessa che al suo fratellastro accanto a lei.
«Che c’è?» fece lui.
Prima che uno dei due potesse aggiungere altro, Chris notò il loro arrivo «Holly!» disse, con un sorriso non troppo affabile «E… Connor, giusto?»
«Ciao, tesoro!» esclamò Ellen «Come…»
«Scusateci, abbiamo tantissimo da fare, un sacco di compiti» li interruppe Holly. Ignorando le espressioni perplesse dei presenti, afferrò Connor prima che potesse dire qualcosa e lo trascinò in casa.
«Sei impazzita?» le domandò, mentre lo guidava su per le scale.
«Sto benissimo» rispose lei, entrando nella camera di Connor e chiudendo la porta.
«La tua stanza è dall’altra parte del corridoio» brontolò lui.
«Ma la tua dà sul giardino» disse Holly, lanciando la borsa sul letto «e voglio sapere cosa ci fa qui Argent»
«Non è un vecchio amico di tua madre?» chiese Connor.
«Può essere quello che ti pare, ma sono sicura che nasconda qualcosa» asserì Holly, avvicinandosi alla finestra e sollevando il vetro quel poco che bastava per udire la conversazione che stava avvenendo sul patio.
Connor le si affiancò «Holly, sei sicura che…»
«Sssh!» fece lei: le voci di Ellen e Chris si udivano chiaramente.
«Sei sicura che nessuno ci ascolti?» stava dicendo Chris.
«Richard è al lavoro, se è questo che intendi» rispose Ellen, dura.
Ci fu una pausa, poi Chris riprese: «Sai che mi serve il tuo aiuto»
«Ma continui a non dirmi per cosa» ribatté Ellen «Mi hai chiamato un mese fa chiedendomi di tornare e non so ancora perché sono qui»
Holly e Connor si scambiarono un’occhiata interrogativa: cosa stava dicendo? Non si erano trasferiti perché Richard aveva ricevuto un’ottima offerta da uno studio legale della contea di Beacon?
«Ti ho chiamata perché voglio giustizia e tu mi aiuterai» disse Chris.
«Cosa ti fa credere che lo farò?»
«Fin dove saresti disposta a spingerti per le tue figlie?» domandò l’uomo.
«Farei qualsiasi cosa per loro» rispose Ellen. Holly si lasciò sfuggire uno sbuffo, prima che sua madre aggiungesse: «Anche se non sono di certo stata la migliore delle madri»
«Almeno lo riconosce» sussurrò Holly.
«Saresti disposta ad uccidere?»
Holly si sentì mancare: Chris Argent voleva che Ellen la uccidesse? Era un assassino, era quello il segreto che nascondeva?
«Connor…» cominciò, stringendogli il braccio, mentre le peggiori teorie cominciavano a farsi strada nella sua mente, ma lui alzò una mano per zittirla: la conversazione che stavano origliando era appena all’inizio.
«Cosa intendi?» chiese Ellen: nella sua voce, si poteva percepire chiaramente una nota di preoccupazione.
«Ho bisogno del tuo aiuto, perché mia figlia è morta poche settimane fa» spiegò Chris «È stata assassinata e chi me l’ha portata via dovrà pagare»
«Chris» disse Ellen «l’odio e la vendetta non ti condurranno da nessuna parte. Sono certa che tua figlia non vorrebbe mai che tu facessi una cosa del genere»
«Ma lo farò» replicò lui, deciso «Non ho più nulla, se non la vendetta. E tu mi aiuterai»
«Non mi coinvolgerai in inutili spargimenti di sangue, Christopher!» sbottò Ellen.
«Non ho detto che ce ne saranno»
«Uccidere per vendetta va contro il nostro codice»
«Nostro?» fece Chris, sorpreso «Non credevo ti ritenessi ancora una di noi»
«Diciamo che ho appeso le armi al chiodo» rispose lei «ma non ho dimenticato le regole»
Holly era certa che le sarebbe scoppiata la testa da un momento all’altro. Aveva sentito troppo in pochi minuti e non era sicura che sarebbe riuscita ad ascoltare altro. Perciò, con un colpo secco, richiuse la finestra, mettendo fine a quel fiume di parole assurde.
«No!» strepitò Connor «Perché l’hai fatto?»
«Non credo di poter sopportare tutto questo» rispose Holly, strofinandosi una mano sulla fronte mentre tentava di riordinare le informazioni che aveva ascoltato negli ultimi minuti.
«Tutto cosa?»
«Tutto quello che abbiamo appena sentito, Connor!» esclamò lei, senza rendersi conto di star quasi urlando «Non siamo qui perché tuo padre ha avuto un lavoro, quella era chiaramente una copertura! Siamo qui perché… perché Argent è un pazzo e vuole coinvolgere anche mia madre!»
Si lasciò cadere sul letto con un lungo sospiro, coprendosi il viso con le mani. Erano arrivati da soli quattro giorni e la loro permanenza in California sembrava essere già segnata da imminenti omicidi ed effrazioni di codici misteriosi che, probabilmente, accomunavano una qualche specie di setta di cui doveva far parte anche Ellen. Voleva saperne di più su Chris Argent e ora le sembrava di sapere fin troppo.
Una leggera pressione sul materasso le fece capire che Connor si era seduto accanto a lei.
«Mia madre ha parlato di armi» osservò Holly, riemergendo da dietro le mani «Non voglio pensare che sia un’assassina»
«Non lo è» la rassicurò Connor.
«Come fai a esserne certo?» gli domandò lei, sentendo gli occhi inumidirsi.
Lui alzò le spalle «Sono ottimista» rispose «Magari sono, che ne so, persone che agiscono per il bene. Tipo i Jedi»
Holly rise, asciugando una lacrima che minacciava di caderle sulla guancia. Non era certa di voler approfondire quella questione, ma nemmeno voleva accontentarsi di quelle poche informazioni. Doveva trovare un modo per saperne di più e scoprire cosa significassero quel codice e quel “noi” di cui avevano parlato Ellen e Chris, quel gruppo di cui sembravano far parte entrambi.
Manco le avesse letto nel pensiero, Connor prese di nuovo la parola: «Holly, cerca solo di lasciare la questione a loro» disse «So che sei preoccupata, ma non credo dovresti immischiarti»
«E se Chris volesse farci del male?» fece lei.
«L’hai sentito» rispose Connor «Vuole vendicare sua figlia. E non credo che farà del male a tua madre o a te. Credo voglia solo… insomma, fare ciò che crede giusto per una persona a cui voleva bene»
Holly lo guardò con tanto d’occhi: non era abituata a sentire Connor fare discorsi tanto seri e, a dirla tutta, non aveva mai nemmeno pensato che potesse esserne capace.
«Forse tua madre ha ragione» riprese poi Connor «Uccidere per vendetta è sbagliato, ma siamo disposti a fare di tutto per le persone a cui teniamo»
Le posò una mano sulla spalla, stringendo appena. Holly abbozzò un sorriso, cercando di non far trasparire il disagio che quelle parole appena pronunciate le stavano causando.
Diede un colpetto di tosse «Beh, vado… vado a fare i compiti» balbettò. Si liberò dalla mano del suo fratellastro, raccolse la borsa ed andò in camera sua, premurandosi di chiudere la porta.
Connor le aveva appena detto di volerle bene, di essere disposto a fare qualsiasi cosa per lei. Non sapeva se le sue intenzioni fossero quelle di un fratello o qualcosa di più, ma c’era certamente dell’affetto in quelle parole. Non credeva che dietro quella facciata da ragazzo duro e sicuro di sé si nascondesse, in realtà, qualcuno che potesse avere così a cuore gli interessi altrui. Non aveva mai pensato che, tra i due, fosse lei, Holly, quella fredda e distaccata, che ripudiava i legami per paura di soffrire, quella egoista che pensava sempre prima a se stessa che agli altri.
Non aveva mai pensato che una persona che credeva di detestare sarebbe riuscita a farle capire che non era di ferro e che, prima o poi, si sarebbe spezzata e sarebbe crollata a pezzi. E che quella stessa persona, in quel momento, valeva per lei più di chiunque altro.



*Clare's corner
Ok, spero di non essermi dilungata troppo e di non aver scritto un capitolo noioso, ma ci tenevo a fare questa piccola parentesi sul passato di Holly.
Proprio con questa parentesi, si sanno un paio di cose in più su di lei e si sanno anche alcune cose in più su Ellen e Chris. Direi che il succo della questione si è capito, ma non è tutto lì. ;)
E niente, penso che si intuisca chi è il "ragazzo ficcanaso" e spero che l'ultima parte del capitolo, con Holly e Connor, sia piaciuta. ^_^
Oh, last but not least, ringrazio tutti coloro che continuano a recensire e farmi complimenti, mi riempite di gioia!! *-*
Baci a tutti, peace and love!
C.

P.S. Ho scritto che Holly ascolta i Kasabian perché non sapevo quale band inserire e, mentre scrivevo, Mtv ha mandato il video della loro ultima canzone e li ho buttati nella storia. In realtà, li conosco a malapena...! :D

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Capitolo 5
*** Taken ***


Jubel

5. Taken

Non appena lo scuolabus si fermò nelle vicinanze di casa Stilinski, Stiles, che aspettava sui gradini dell’uscita da quando avevano imboccato la strada, iniziò a scalpitare per scendere. Doveva chiamare Scott.
Quando le porte si aprirono, si precipitò giù così in fretta da rischiare di capitombolare per terra. Una volta ritrovato l’equilibrio, percorse il vialetto di casa a tutta velocità, estraendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e digitando il numero di Scott. La linea era libera.
Uno squillo. Due. Tre. Quattro.
«Dai, amico, rispondi» mugugnò Stiles, incastrando il telefono tra la spalla e l’orecchio, mentre trafficava nello zaino alla ricerca delle chiavi di casa.
«Sì?» la voce del suo migliore amico risuonò nel suo orecchio.
«Scott!» esclamò Stiles, preso alla sprovvista, tanto che lasciò cadere lo zaino «Ho delle notizie»
«Buone o cattive?» domandò l’altro.
«Buone» rispose Stiles, riuscendo finalmente a trovare le chiavi «Credo. Non lo so, dipende dai punti di vista»
Scott sospirò «Ok, spara» disse.
«C’è una ragazza nuova a scuola» proseguì allora Stiles, entrando in casa.
«Sì, credo di aver sentito qualcosa a riguardo» fece Scott; la sua voce parve a Stiles leggermente disinteressata.
«Sai che è nata qui?» continuò «Ed è tornata dopo aver vissuto… lontano?»
«Stiles, cosa dovrebbe esserci di eclatante in tutto questo?» disse Scott.
«Che vive nella vecchia casa degli Argent?»
Silenzio. Stiles riuscì ad immaginare perfettamente l’espressione sconvolta che, in quel momento, albergava sicuramente sul viso del suo migliore amico.
«Scott?» lo chiamò, mentre entrava in camera sua «Sei ancora vivo?»
«S-sì, io…» balbettò lui «Insomma, com’è possibile, come lo sai?»
«L’ho vista scendere dallo scuolabus»
«L’hai pedinata?» chiese Scott, sconvolto.
«No, ero sullo scuolabus»
«Perché mai dovresti prendere lo scuolabus?»
Stiles sbuffò «La jeep è dal meccanico, il radiatore è andato» spiegò, irritato «ma non mi ci far pensare, è già abbastanza brutto senza che tu me lo ricordi. Comunque, questo è quanto»
Scott esitò «Sai altro?» gli domandò.
«Solo che si chiama Holly Chase» rispose lui «e che lei e Isaac erano insieme alle elementari, o così sembra»
«Chase» borbottò Scott all’altro capo del telefono, più a se stesso che all’amico «Non mi dice nulla»
«Niente di niente?» chiese Stiles.
«Niente» ripeté Scott «Mi sembra strano che viva nella vecchia casa di Allison»
Stiles strinse le labbra. Non era sicuro di essere pronto per affrontare quel discorso: la situazione era già abbastanza difficile di per sé. Da quando avevano distrutto il Nogitsune e lui aveva ripreso le sue facoltà mentali e fisiche, faticava comunque a tornare alla normalità. Ricordava tutto quello che era successo quando lo spirito giapponese aveva preso il controllo del suo corpo e la memoria di tutte quelle cose orribili lo tormentava ogni notte nel sonno, terrorizzandolo tutte le volte che si svegliava di scatto nel suo letto, madido di sudore, con le mani tremanti e la paura di riaddormentarsi, di cadere di nuovo in quegli incubi che sembravano non volerlo abbandonare più. L’unica certezza che aveva era che, ora, un sogno sarebbe stato soltanto un sogno, anche se la paura di confonderlo con la realtà, di essere ancora posseduto, lo perseguitava ogni sera, prima di mettersi a dormire.
Decise di soprassedere e lasciare che Scott parlasse, sperando con tutto se stesso che la conversazione non si spostasse su argomenti troppo delicati.
«Da quello che sapevo» riprese Scott «Argent non era intenzionato a vendere la casa»
Stiles tirò un sospiro di sollievo prima di immergersi di nuovo in quella conversazione «Potrebbe aver cambiato idea» suggerì «Magari gli servivano dei soldi»
«No, non credo» disse l’amico «Non ha problemi di questo genere. Ci dev’essere sicuramente altro»
«Domandare è lecito»
«Ma non a lui, potrebbe sembrare sospetto» sospirò Scott «Potremmo provare a parlare con la ragazza»
«Intendi Holly?»
«Esatto»
«Fantastico» esclamò Stiles «Allora, uhm… ci serve un piano»
«Ok» approvò Scott «A cosa pensavi?»
 
 
Nel preciso momento in cui Isaac varcò l’entrata della scuola, la campanella segnò l’inizio delle lezioni di quella giornata. Il suo ritorno alla vita di tutti i giorni si stava rivelando molto meno difficile di quel che pensava: vivere la quotidianità, dopotutto, lo aiutava a distrarsi e a non focalizzarsi sui pensieri negativi che lo avevano tormentato nell’ultimo periodo. Inoltre, il fatto che Holly, dopo il loro primo, disastroso incontro, sembrava essersi aperta un po’ di più nei suoi confronti, gli dava un nuovo senso di sicurezza, qualcosa che lo spingeva ad andare avanti, senza fermarsi a guardare indietro.
Entrò nell’aula di chimica, ormai piena, e non ci mise molto ad individuare il braccio di Holly, che sventolava in aria da un banco vicino alla finestra. Le fece un cenno col capo prima di raggiungerla e sedersi nel posto libero a fianco a lei.
«Ciao» la salutò, un po’ in imbarazzo «Come stai?»
«Non c’è male, grazie» rispose lei con un sorriso, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Concentrandosi sui battiti del suo cuore, leggermente accelerati, Isaac poté capire che quella era una risposta di circostanza. Qualcosa turbava Holly: avrebbe voluto chiederle cosa, magari aiutarla, ma poi si rese conto che forse non era la persona giusta con cui lei avrebbe voluto confidarsi. Del resto, si conoscevano appena.
«Tu come stai?» gli chiese Holly.
«Sono stanco» disse «ma sto bene»
Lei sorrise di nuovo, prima di prendere la sua borsa e tirare fuori un quaderno e il libro di chimica: sfogliò alcune pagine e ad Isaac non sfuggì la miriade di appunti ordinati che faceva capolino da quei fogli. Decise di usarlo come pretesto per iniziare una conversazione.
«Te la cavi bene in chimica?» le domandò allora.
Holly scrollò le spalle «È l’unica cosa che posso fare» disse, un po’ amareggiata.
Isaac le rivolse uno sguardo interrogativo, così lei proseguì: «Non ho mai avuto molti amici a New York, perciò i libri sono sempre stati la mia unica compagnia»
«Oh» fece Isaac «Mi… mi dispiace»
«Ci ho fatto l’abitudine» rispose Holly «Spostandomi da un posto all’altro non ho mantenuto molti contatti»
Prima che Isaac potesse ribattere, la signora Martin entrò in classe con un plico di fogli in mano.
«Oh, no» esalò, già pronto al peggio.
«Tranquilli» li rassicurò l’insegnante, notando l’espressione preoccupata su molti visi «non è un compito a sorpresa. È un semplice test di valutazione che vi chiedo di svolgere per la prossima settimana»
Un sospiro generale si levò nell’aula. Dal canto suo, Isaac non riuscì a sentirsi molto più sollevato.
«Che c’è?» gli chiese Holly.
«Prenderò un’altra D» rispose lui «Ultimamente non… insomma, lo studio non è il primo dei miei pensieri»
Deglutì, inghiottendo quel groppo amaro che gli risaliva la gola ogni volta che pensava ad Allison, pronto a sentirsi fare la fatidica domanda. Ma, straordinariamente, non venne.
«Posso aiutarti, se vuoi» disse Holly «Magari ti presto i miei appunti»
«Lo faresti?» esclamò lui, tra il sorpreso e lo speranzoso.
«Possiamo studiare insieme» propose lei «Tu potresti migliorare i tuoi voti e io…»
Si interruppe, arrossendo. Isaac avvertì il suo imbarazzo.
«Che cosa?» la sollecitò.
«Potrei… potrei finalmente passare del tempo con qualcuno che non siano i libri» concluse, evitando accuratamente di guardarlo.
Isaac non riuscì a trattenere un sorriso. Anche Holly, nel suo piccolo, stava combattendo qualcosa: la solitudine. Si leggeva nei suoi occhi che ne aveva passate tante e che l’essere costantemente sola stava diventando per lei un peso piuttosto grosso.
«Credo ti farebbe bene» le disse con sincerità «E sarebbe fantastico se potessi darmi una mano»
«Lo faccio volentieri» rispose lei con un sorriso, mentre l’imbarazzo si dissolveva «Se… se ti va, possiamo cominciare oggi»
Isaac esitò. Non si aspettava di certo un invito così rapido.
«Sei… sei sicura che non sia un problema?» le domandò, un po’ a disagio.
«Assolutamente» fece lei «Casa mia è così caotica, ultimamente, che un ospite in più non si noterà»
Isaac le sorrise di nuovo. Sapere che avrebbe aiutato Holly ad uscire dalla solitudine lo riempiva di gioia. Finalmente si sentiva utile a qualcosa, aveva uno scopo. Finalmente uno spiraglio di luce si era fatto strada in mezzo a quella coltre di nuvole, quel dolore che gli opprimeva il petto. Finalmente, poteva ricominciare a sentirsi vivo.
 
 
Il trillo della campanella dell’ultima ora segnò la fine di un’altra interminabile giornata. Per Holly, la prospettiva di lasciare la scuola e sapere che, per una volta, avrebbe passato il pomeriggio in compagnia di qualcuno diverso da Connor, era un vero toccasana. Finalmente avrebbe trascorso del tempo con qualcuno che, forse, col tempo, avrebbe potuto definire un amico.
Scese le scale fino al piano terra, percorrendo il corridoio verso l’uscita: lei e Isaac si erano accordati per incontrarsi appena fuori da scuola, dopo la fine delle lezioni. Solo quando raggiunse il suo armadietto per lasciarvi un paio di libri che non le sarebbero serviti quel pomeriggio, si rese conto di aver dimenticato l’astuccio nell’aula di economia. Dimenticava troppe cose, troppo spesso, in quel periodo.
Scocciata dalla sua stessa sbadataggine, tornò indietro, sperando con tutta se stessa che nessuno avesse fatto proprio il suo astuccio – lo portava con sé fin dalla prima media, non potevano averglielo rubato. Tirò un sospiro di sollievo quando lo vide sul suo banco, dove l’aveva lasciato pochi minuti prima. Lo recuperò, cacciandolo malamente in borsa, scendendo poi di nuovo verso l’uscita. Aveva quasi raggiunto la porta, quando si sentì afferrare per un braccio e trascinare via dal corridoio.
Cacciò un urlo, presto soffocato da una mano che le tappava la bocca. Immediatamente, s’impadronì di lei il terribile pensiero che qualcuno la stesse rapendo, insieme al panico di non tornare a casa, quel giorno.
Barcollò, la vista oscurata dai capelli che le ondeggiavano davanti al viso. Udì una porta chiudersi di scatto, poi, tutt’a un tratto, le braccia che la tenevano stretta lasciarono la presa.
Riuscì a ritrovare l’equilibrio e, una volta scostati i capelli dalla faccia, fu in grado di vedere cosa fosse appena successo: si trovava in quello che doveva essere un piccolo ufficio e, di fronte a lei, stavano i suoi rapitori. Uno di essi, lo riconobbe quasi subito, era il ragazzo che l’aveva fissata con insistenza dal finestrino dello scuolabus, qualche giorno prima; l’altro, poteva essere quasi certa di averlo visto alle lezioni di chimica: aveva la mascella leggermente storta.
«Non vogliamo rapirti o farti del male» disse subito il ragazzo curioso «Vogliamo solo farti delle domande»
«Chi cavolo siete?» sbottò Holly «Non potevate fermarmi in corridoio?»
«Tecnicamente è quello che abbiamo fatto» asserì ancora il ragazzo.
«Stiles» fece l’altro, con un pizzico di rassegnazione «Non…»
«Stiles?» lo interruppe Holly, incapace di trattenere una risata «Che nome è?»
«Le domande le facciamo noi» sbottò il ragazzo chiamato Stiles.
Resasi conto di quanto fosse ridicola quella situazione, Holly incrociò le braccia sul petto «Va bene, vi ascolto» disse, scrollando le spalle. Quei due dovevano essere soltanto due bulletti, probabilmente con voti piuttosto bassi, che obbligavano i loro compagni a dare loro gli appunti. Con metodi scadenti e assai poco convincenti, a dirla tutta.
«Ok» disse il ragazzo dalla mascella storta «Io sono Scott. Conosco Argent e so che vivi nella sua vecchia casa»
No, non erano affatto due bulletti insignificanti. C’era la possibilità che fossero due stalker.
Holly aggrottò le sopracciglia, cercando di scacciare quel pensiero «Mi avete pedinato?» esclamò, stizzita.
«Stiles ti ha vista scendere dallo scuolabus» Scott cercò di giustificarsi «E, come ti dicevo, conosciamo le persone che vivevano nella tua casa, prima»
«Chris Argent» ripeté Holly.
«E la sua famiglia» rispose Stiles «Anche se… sì ecco… non ha importanza, cosa sai di Argent?»
«Avete appena detto di conoscerlo!» sbottò Holly «Non ho idea di chi sia, a parte essere un vecchio amico di mia madre, a quanto pare»
«Un vecchio amico?» domandò Scott, quasi con sospetto. Anche l’espressione di Stiles si era fatta più interessata.
Holly emise un verso d’assenso «A quanto pare si conoscono da parecchio» disse «Qualche giorno fa li ho sentiti parlare, credo facessero entrambi parte di un gruppo o una setta, hanno nominato un codice, ma…»
«Un codice?» la interruppe Stiles, infervorandosi «Intendi quel codice?»
«Stiles» lo fermò Scott «non credo che lo sappia»
«Che sappia cosa?» chiese lei, cominciando ad insospettirsi. Guardò Scott e poi Stiles: parevano entrambi a disagio.
Forse era meglio inviare un sms ad Isaac e rimandare il pomeriggio di studio. Quella conversazione si prospettava essere più lunga del previsto…



*Clare's Corner

Sto diventando una perfetta ritardataria, ultimamente, ergo ecco che ritardo in maniera tremenda anche nell'aggiornamento di questa storia. Vi chiedo scusa se sono sparita per così tanto tempo, ma ho avuto diversi qui pro quo che mi hanno tenuto lontano dalla scrittura, in questo e nell'altro fandom in cui scrivo.
Anyway, se siete bravi e ricordate cos'è successo prima, well done, in caso contrario, facciamo un "Previously, on..."
Holly incontra Stiles sullo scuolabus e lui sembra molto incuriosito dalla nuova ragazza della scuola, dato che vive nella vecchia casa degli Argent. E' proprio quando arriva a casa dopo la scuola che Holly trova sua madre e Chris Argent intenti in una conversazione in cui viene nominato un certo codice... Quel codice.
Lo so, la sintesi non è il mio forte, faccio schifo a fare riassunti ç_ç Spero vi ricordiate comunque.
Saluti a everybody!
C.


 
 

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Capitolo 6
*** Gunshot ***


Jubel

6. Gunshot

“Ho avuto un contrattempo. Ti chiedo scusa, ma temo dovremo rimandare il pomeriggio di studio. Scusami ancora.”
Isaac sospirò, deluso, mentre fissava quelle poche parole sullo schermo del suo cellulare. Quella mattina, Holly sembrava così convinta di passare il pomeriggio con lui, così entusiasta. E ora, lo stava bidonando, senza dargli nemmeno una motivazione. Beh, non che ne fosse stata costretta: Isaac dovette ricordare a se stesso, per l’ennesima volta, che lui e Holly non erano così tanto amici da doversi giustificare l’uno con l’altra.
Ripose il telefono nella tasca dei jeans, guardandosi intorno: il cortile della scuola era affollato dai pochi studenti che si erano attardati a chiacchierare con gli amici. Holly sarebbe stata da qualche parte, là in mezzo? O se n’era già andata? Probabilmente era già sulla strada di casa, se l’aveva sistemato in così breve tempo.
Sconfitto, si sistemò meglio lo zaino in spalla e si incamminò verso casa McCall, sapendo che quel compito di chimica gli sarebbe valso l’ennesima D.
 
 
Lo sguardo di Holly rimase fermo sullo schermo del telefono per qualche secondo, dopo aver pigiato il tasto “Invio”. Si sentiva incredibilmente in colpa nei confronti di Isaac: per causa sua, non avrebbe passato quel compito e, probabilmente, non le avrebbe nemmeno più rivolto la parola. Sperò con tutto il cuore che Isaac avrebbe capito, mentre lei avrebbe cercato in tutti i modi di scusarsi e ritrovare un po’ della sua fiducia. Quei due pazzi che l’avevano sequestrata non potevano costringerla alla solitudine.
«Hai fatto?» le chiese Stiles con insistenza.
«Sì» grugnì lei, cacciando il cellulare nella borsa «Dicevamo?»
«Argent» fece Stiles.
«Prima ditemi del codice» ribatté Holly.
«Non possiamo» disse Scott «Non prima di aver chiarito un paio di altre cose»
«Tipo?»
Stiles e Scott si scambiarono una lunga occhiata silenziosa. Holly pensò stupidamente che stessero comunicando col pensiero.
«Allora?» li esortò.
«Ok, uhm…» cominciò Scott «sai… sai dirci quello che hai sentito da Argent e tua madre?»
Holly si strinse nelle spalle: ripensare a quella conversazione le provocò un brivido di paura.
Con un sospiro, un po’ incerta che raccontare tutto a quei due fosse una decisione saggia, cominciò: «Mia madre si è lamentata con Argent di essere stata contattata da lui circa un mese fa, senza una ragione precisa» disse «Lei e il suo compagno hanno detto che ci saremmo trasferiti qui perché lui aveva ricevuto una promozione, ma, a quanto pare, è stata la chiamata di Argent a costringerci a traslocare»
«Potrebbe avere senso» borbottò Stiles, più a se stesso che all’amico o ad Holly.
«Argent ha detto di volere giustizia» proseguì la ragazza, mentre il terrore che l’aveva assalita mentre origliava quella conversazione sembrava lentamente rimpossessarsi di lei «Ha chiesto… ha chiesto a mia madre se fosse stata disposta ad uccidere, perché vuole vendicare sua figlia. È morta qualche settimana fa»
Scott sospirò, abbassando il capo e strofinandosi con vigore gli occhi «Lo sappiamo» mormorò, cupo «Allison Argent è morta fra le mie braccia»
Holly si sentì gelare. Quei due sapevano molto più di quanto volessero lasciar intendere.
«Oh mio Dio, io… Scusami, non immaginavo. Ma che… che è successo?» domandò, la voce poco più alta di un sussurro. Si chiese per quanto le sue gambe l’avrebbero sorretta: la sua mente stava assimilando troppo, e troppo in fretta.
«È una storia piuttosto lunga, in effetti» tagliò corto Stiles.
«E non credo che questo sia il momento giusto per raccontarla» aggiunse Scott.
«Ok, sentite» esclamò Holly, iniziando ad agitarsi «le uniche cose che so, sono che Argent vuole vendetta, mia madre ha detto che ha abbandonato le armi, o qualcosa del genere, e che non lo aiuterà, poi hanno nominato questo codice, e poi ho chiuso la finestra, perché stavo per impazzire, e voi due non mi state certo aiutando!»
Si rese conto solo nel momento in cui ci fu silenzio che aveva urlato. Quella questione l’avrebbe fatta rinchiudere in un manicomio.
Stiles le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla «Senti, noi conosciamo Argent» disse, con calma «Non è un assassino. Non ti farà del male, né a te, né a nessun altro. Forse hai capito male, magari eri…»
«So bene cos’ho sentito» ribatté lei, con un tremito nella voce «E credo anche che voi nascondiate qualcosa. Sbaglio?»
Scott e Stiles si scambiarono l’ennesima occhiata d’intesa.
«Va bene» si arrese Scott «ma credo sia meglio se ti siedi»
 
 
Sul sedile posteriore dell’auto di Stiles, Holly non riusciva a staccare gli occhi dallo schienale del posto del passeggero. Era certa che, se avesse mosso un singolo muscolo, avrebbe vomitato.
Nell’ultima mezz’ora aveva saputo troppo, molto più di quanto, ne era certa, la sua testa poteva sopportare. A quanto pareva, Scott era un licantropo, un lupo Alfa, un capobranco; Stiles era stato posseduto dallo spirito di una volpe maligna, che l’aveva spinto a compiere azioni terribili; Allison, la figlia di Argent, era stata uccisa dalla spada di un guerriero giapponese, seguace dello spirito che si era impossessato di Stiles. Stando a quel che dicevano Scott e Stiles, Beacon Hills era un luogo infestato da creature soprannaturali: di licantropi ce n’erano diversi, senza contare tutta un’infinità di altri esseri dai nomi improbabili che erano andati e venuti dalla città. Solo ora capiva quel che blaterava Connor il giorno in cui erano arrivati, quando farneticava sulle storie di misteriose morti avvenute in quel luogo. Evidentemente, non erano solo voci: era tutto vero.
Come se non bastasse, c’erano in circolazione quelli che venivano chiamati cacciatori, uomini armati fino ai denti di pistole, archi e frecce per eliminare i lupi mannari, tra i quali c’era anche Argent. Ma, come avevano assicurato Stiles e Scott, Argent non era tra i cattivi, non più: da ormai molto tempo, era diventato un loro alleato e li aiutava a dare la caccia alle creature che minacciavano la sicurezza di Beacon Hills.
Svoltarono nella strada di casa di Holly, dopo un tragitto che sembrava essere durato un’eternità. Stiles fermò l’auto davanti al vialetto d’entrata.
«Ti senti bene?» le chiese Scott, voltandosi a guardarla dal sedile anteriore.
Holly fece un lieve cenno d’assenso «Sì» borbottò «Forse. Non lo so, ho bisogno di… di…»
«Forse è meglio se entri in casa» suggerì Scott.
«Sì» sussurrò lei. Era troppo scossa per riuscire a formare qualsiasi frase di senso compiuto. Come un automa, aprì lo sportello e scese dall’auto, senza proferire parola, incamminandosi verso la porta di casa. Udì il motore ripartire alle sue spalle. Infilò la chiave nella toppa ed entrò.
«Ciao, fuggitiva» l’accolse Connor «Dov’eri finita?»
«Lasciami stare, Connor, non mi sento bene» lo liquidò lei, salendo in camera sua. Si chiuse la porta alle spalle e si distese sul letto, chiudendo gli occhi: aveva le vertigini. Udì la porta scattare.
«Holly?»
Era di nuovo Connor.
«Ti ho detto di lasciarmi in pace» ribadì lei, tirandosi il cuscino sopra la testa.
«La sindrome premestruale è più grave di quanto pensassi» disse lui, pronunciando una delle sue frasi tattiche che avrebbero scatenato la reazione della sua sorellastra. Infatti, Holly scattò a sedere, lanciandogli il cuscino.
«Connor, non è un buon momento per le tue battute» strepitò «Viviamo in una città di matti!»
Si prese la testa tra le mani, le parole della conversazione avuta con Scott e Stiles che ancora le rimbombavano nella testa.
Connor raccolse il cuscino da terra e raggiunse Holly sul letto «Che intendi esattamente con “matti”?» domandò, curioso.
«Mi hanno rapita, a scuola» buttò lì lei.
«Cosa?!» esclamò Connor, chiaramente interdetto da quell’affermazione.
«Sì, due pazzi che volevano sapere come siamo finiti in questa casa» disse Holly, sventolando una mano a mezz’aria con noncuranza «Conoscono Argent»
Connor aggrottò le sopracciglia «Sono dei sicari?» chiese, confuso.
«No, sono…»
Un licantropo e il suo migliore amico reduce dalla possessione di uno spirito assassino.
Holly prese un respiro profondo «Sai quando mi raccontavi di ciò che si dice di questo posto?» mormorò.
Lui annuì, così Holly continuò: «Beh, non sono dicerie. È la verità»
Connor sgranò gli occhi, guardandola per un attimo come se fosse impazzita. Poi la sua espressione si rilassò e scoppiò a ridere.
«Non dicevi di non credere più alle storie di fantasmi?» ghignò.
«Connor, sono seria!» sbottò lei, scattando in piedi «Tu… tu non hai idea di quel che succede in questa maledetta città!»
«In effetti, no, non ce l’ho» fece lui, con quel solito tono fastidioso.
Holly ruggì la sua frustrazione «Ti odio!» sbraitò. Afferrò la sua borsa ed uscì dalla sua camera, scendendo in cucina. Vi frugò dentro, alla ricerca del suo iPod: non voleva più sentire niente e nessuno. Una volta trovato, infilò le cuffiette nelle orecchie e alzò il volume al massimo, una vecchia canzone degli Offspring che le martellava i timpani in una maniera quasi fastidiosa, ma non le importava. Se quello era l’unico modo per non sentire più nulla, tanto meglio.
Tirò un sospiro, cercando di calmarsi. Prese una bottiglietta d’acqua dal frigo e bevve qualche sorso mentre scrutava il giardino sul retro, ancora invaso dalle erbacce che nessuno pareva aver voglia di sistemare. Ripensò alla conversazione avuta con Scott e Stiles: quei ragazzi erano guerrieri, erano eroi, avevano combattuto creature terribili e affrontato la morte decine di volte, una loro coetanea era stata assassinata davanti ai loro occhi eppure sembravano così… normali. Come potevano andare avanti dopo un evento simile? Come riuscivano a vivere sapendo cosa si nascondeva là fuori?
All’improvviso, una mano si poggiò con decisione sulla spalla di Holly, facendola sobbalzare e ritornare alla realtà. Voltandosi, scoprì con sollievo che si trattava di sua madre.
«Mamma!» esclamò, sfilando gli auricolari dalle orecchie «Mi hai fatto prendere un colpo»
«Ti ho chiamata quattro volte» ribatté Ellen, infastidita.
Holly sospirò «Ascoltavo la musica» disse con rassegnazione, mostrando alla madre le cuffiette.
Ellen ignorò le parole della figlia e ne scrutò il volto «Ti senti bene, tesoro?» le domandò «Sembri molto stanca»
«È stata una giornataccia» rispose lei «Molto… intensa»
Ellen sedette al tavolo della cucina «La nuova scuola ti piace?» le chiese.
Holly scrollò le spalle «Sì, non è male, è solo che… ecco, devo mettermi in pari con i programmi. È un po’ dura» inventò. In realtà, recuperare gli appunti sembrava il male minore dopo quel che aveva appreso quel pomeriggio.
«Sei molto intelligente, Holly» la rassicurò Ellen «Hai sempre avuto ottimi voti. Vedrai che te la caverai anche questa volta»
Holly abbozzò un sorriso «Sai, credo… credo che uscirò a prendere una boccata d’aria» disse, gettando di nuovo l’iPod nella borsa.
Ellen si alzò in piedi, allarmata «Non ti senti bene?» le domandò.
«No, mamma, sto benissimo» la rassicurò Holly, alzando una mano per evitare che si avvicinasse «Ho solo bisogno di sgranchirmi un po’ le gambe. Sai… a scuola passo molto tempo seduta, ho bisogno di camminare. Ma torno per ora di cena, non ti preoccupare»
E, senza aggiungere altro, raggiunse la porta d’ingresso più in fretta che poté, prima che sua madre riuscisse a proferire parola. Uscì fuori, sotto il cielo nuvoloso di quel giorno, incamminandosi lungo una strada senza destinazione. Non aveva idea di dove andare, non ricordava quasi nulla dei suoi primi anni a Beacon Hills e ancora non era riuscita a fare un giro che le permettesse di conoscere meglio la città. Ma quel giorno non poteva rimanere nella stessa stanza in cui si trovava Ellen, non dopo quel che aveva saputo. Scott e Stiles le avevano detto che Chris Argent e la sua famiglia erano cacciatori di lupi mannari, che i cacciatori portavano diverse armi e che dovevano attenersi a un codice. Che fosse proprio quel codice ciò di cui parlavano Chris ed Ellen qualche giorno prima? Questo faceva di Ellen stessa una cacciatrice? Che conoscesse Argent perché avevano lavorato insieme, in passato? Conoscendo sua madre, ad Holly l’idea parve totalmente assurda: Ellen, che aveva abbandonato la sua primogenita per le sue notti brave, una cacciatrice di licantropi? La donna che si atteggiava a moglie e madre perfetta nascondeva lo spirito di una combattente? No, non poteva per nulla essere possibile. Forse aveva solamente aiutato Chris, ma non poteva di certo essere come lui. Non era la migliore delle persone, ma non era affatto un’assassina. E se la sua conoscenza di Chris fosse per via di Natalie? Che ne fosse il padre?
Holly rise da sola. Quell’idea era a dir poco inverosimile. Natalie non assomigliava a Chris, non poteva essere sua figlia. Alzò il capo e si rese conto di aver quasi raggiunto una tavola calda. Sbirciò oltre il vetro, notando che, all’interno, la clientela scarseggiava. Chissà se facevano il cappuccino, là dentro.
Decise di entrare, facendo tintinnare una campanella sopra la porta quando l’aprì. Si avvicinò al bancone, dietro il quale lavorava un ragazzo che doveva avere appena pochi anni più di lei.
«Ciao» la salutò lui, mentre era impegnato ad asciugare un bicchiere.
Holly abbozzò un sorriso «Un cappuccino, per favore» disse.
Il barista alzò le mani in un gesto di scusa «Ho finito il latte e il fornitore non si è presentato questa mattina» si giustificò «Posso farti un espresso»
«D’accordo» sospirò Holly, leggermente delusa «Allora un espresso. Doppio, se puoi»
«Assolutamente» fece lui «Accomodati, te lo porto io»
Holly si allontanò dal bancone e si guardò attorno, alla ricerca di un tavolo isolato, sebbene il locale fosse quasi vuoto. I suoi occhi si soffermarono su una ragazza, sola, che sedeva in fondo alla stanza. Aveva le braccia distese sul tavolo davanti a sé, lo sguardo fisso, i capelli rossi che le ricadevano davanti al viso. Sembrava in stato catatonico.
Un po’ titubante, Holly andò a sedersi di fronte a lei «Ehi» la chiamò.
La ragazza non batté ciglio.
«Ti senti bene?» le domandò Holly «Posso aiutarti?»
L’altra sussurrò qualcosa d’incomprensibile.
«Come dici?»
«Arrivano» disse la ragazza, questa volta con la voce appena più alta d’un bisbiglio.
Holly aggrottò le sopracciglia «Arrivano?» ripeté, interdetta «Chi sta…»
Ma non ebbe tempo di terminare la frase, né tantomeno di ricevere risposta. La ragazza di fronte a lei alzò improvvisamente il capo e cacciò un urlo tanto forte e acuto che parve trapanarle la testa. Nello stesso istante, la vetrata del locale andò in frantumi e il rumore di una serie di colpi riempì l’aria. Holly si buttò a terra, sotto il tavolo, in preda al panico, nascondendo il capo sotto le braccia. Che diavolo stava succedendo?!
Udì i pochi clienti gridare terrorizzati, lo scricchiolio dei vetri rotti sotto i loro piedi, il rumore della porta che sbatteva con violenza contro il muro, poi la voce di un uomo che ruggiva in mezzo al caos: «Dove si nascondono?»
«Non lo so, non so di cosa stia parlando!» rispose la voce spaventata del barista.
«So che cosa sei» disse ancora l’uomo sconosciuto «Dimmi dove trovarli»
«Non so di cosa stia parlando!» disse ancora il ragazzo, atterrito.
«Dimmelo!»
«Giuro, non lo so, non so di cosa stia parlando, se mi dice…»
Le sue parole furono bruscamente interrotte da un colpo di pistola.
«Stronzetto bugiardo» disse lo sconosciuto. Holly, ancora nascosta, udì ì suoi passi pesanti affievolirsi sempre più.
«Non ha voluto parlare» gridò l’uomo, in lontananza «Andiamocene»
Qualcuno fuori dal locale avviò il motore di un’auto, tre sportelli furono chiusi e il veicolo si allontanò. Poi, il silenzio.
Alzando il capo, col cuore che batteva all’impazzata, Holly voltò il capo e notò la ragazza dai capelli rossi che la scrutava da sotto la panca di fronte a lei, in volto un’espressione preoccupata.
«Non siamo più al sicuro» mormorò.
Holly si lasciò sfuggire una risata isterica «Chissà perché, l’avevo immaginato» disse.
«No» disse la ragazza, funerea «La morte sta arrivando»


 
*Clare's Corner
E rieccomi, stavolta con un ritardo un po' più accettabile. Chiedo scusa per i continui aggiornamenti tardivi, ma ultimamente ho avuto un periodo un po' pieno - si veda "laurea" - e, purtroppo, la scrittura non poteva essere il primo dei miei pensieri. Comunque...
SBABAM! Colpo di scena multiplo! Circa, dai. Holly scopre cosa nasconde Beacon Hills e diventa testimone di... un omicidio? Una vendetta? Assieme a quella che, avrete capito, è la nostra Banshee preferita. Ma questo sconosciuto... chi stava cercando? E chi lo manda? ZAN-ZAN-ZAAAN!
Va bene, dai, la smetto, lascio a voi i commenti.
Cià-cià!
C.
 

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Capitolo 7
*** Hunters ***


Jubel

7. Hunters


A Helena (o preferisci Lena?), perché il suo entusiasmo per questa storia ha riacceso anche il mio.
A Marti, perché sì e perché strippa con me dalla notte dei tempi.
E a tutti coloro che, dopo un anno e aggiornamenti incostanti, sono comunque ancora qui.
 

Al tavolo della cucina di casa McCall, Isaac sfogliava le pagine del libro di chimica con fare svogliato. Di fronte a lui, Scott scriveva appunti come un forsennato.
Sbuffò, passandosi stancamente una mano sulla fronte, pensando a come sarebbe stato molto più entusiasmante quel pomeriggio se solo Holly avesse mantenuto la parola datagli quella mattina. Ancora non riusciva a capacitarsi del perché avesse deciso di scaricarlo così.
Scott alzò il capo e lo guardò «Tutto bene?» gli domandò.
Isaac aggrottò la fronte «S-sì, sono… sono solo un po’ in difficoltà con questa roba» buttò lì, voltando una pagina con noncuranza. Sapeva che Scott percepiva la sua delusione e la sua frustrazione.
McCall annuì «Se ti serve una mano…»
«No, non fa niente, ne verrò fuori»
Sapevano entrambi che non era di chimica che stavano parlando. Scott aveva avvertito che qualcosa non andava in Isaac, ma lui non avrebbe mai ammesso di avere grattacapi tanto banali per la testa, dopo quello che era successo qualche settimana prima.
Scott tornò ai suoi compiti, mentre Isaac si puntellò su un gomito, gli occhi sul libro, la mente altrove. Da qualche parte dentro di sé, sapeva che Holly era quel faro di speranza che avrebbe di nuovo fatto luce nel suo buio, ma era come se ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto quello, come se non fosse giusto accantonare il dolore così velocemente. Ma era qualcosa che non poteva controllare: Holly era piombata nella sua vita dal nulla, in quello che era senz’altro il momento peggiore che avesse mai vissuto, ma gli aveva fatto rivivere vecchi ricordi, piacevoli, di tempi spensierati, in cui il dolore e la sofferenza non erano nemmeno lontanamente contemplati. E lui aveva un tremendo bisogno di scappare da tutto quel dolore, di ritrovare la stessa serenità di tanti anni prima, di superare la morte di Allison, le difficoltà e le sofferenze della trasformazione in lupo mannaro, i maltrattamenti di suo padre. Isaac aveva bisogno di fuggire e lasciarsi tutto alle spalle, di ricominciare, di chiudere quel capitolo della sua vita a Beacon Hills e cominciarne uno nuovo in un luogo diverso.
Improvvisamente, Isaac avvertì un forte senso di preoccupazione provenire da Scott. Alzò il capo e lo vide sull’attenti, con gli occhi vigili.
«Che succede?» domandò.
«Lydia» rispose Scott «Andiamo»
Isaac non ebbe nemmeno il tempo di ribattere che Scott era già scattato in piedi, avviandosi verso la porta. Lo seguì, guardandolo estrarre il cellulare dalla tasca.
«Stiles?» disse concitato al telefono «Devi venire subito. È successo qualcosa. Lydia ha urlato»
 
 
Ancora col cuore che le martellava nel petto per la paura, Holly fissò la ragazza di fronte a sé, la mente che rimbombava delle sue ultime parole: la morte sta arrivando.
In realtà, era già arrivata, pensò. Chiunque avesse distrutto il locale e sparato al malcapitato barista non aveva certo intenzioni pacifiche.
«Tutto bene?» la ragazza domandò ad Holly.
Lei scoppiò nuovamente a ridere in maniera isterica «Avrei preferito bere il mio caffè» disse «Chi cavolo era quello?»
La ragazza scosse la testa, senza dire nulla. Era chiaro che ne sapesse quanto Holly. L’uomo che era entrato aveva tutta l’aria di essere una specie di sicario. Ma chi lo mandava? E soprattutto, chi stava cercando con così tanta insistenza da arrivare ad uccidere un innocente?
«Forza, usciamo da qui» disse la ragazza, risvegliando Holly dai suoi pensieri.
Ancora piuttosto frastornata, Holly annuì, strisciando sul pavimento, fuori dal suo nascondiglio. Rialzandosi in piedi, pensò per un attimo di aver perso l’uso delle gambe: sembravano di gelatina.
Si guardò attorno: il tranquillo locale in cui era entrata meno di mezz’ora prima, ora somigliava ad un campo di battaglia. Il pavimento era cosparso di vetri rotti; qualche cliente, nella foga del momento, doveva aver fatto cadere il suo pasto; sul bancone, era accasciato il barista, inerme, un buco in mezzo alla fronte da cui usciva un abbondante rivolo di sangue. Davanti a quell’immagine, Holly si sentì mancare.
L’altra ragazza le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola con forza «Ti senti bene?» le chiese.
Holly deglutì nel tentativo di reprimere un conato di vomito, scuotendo appena la testa «Mi manca l’aria» mormorò. La vista di quel povero ragazzo, ucciso barbaramente senza una vera ragione, era stata così scioccante da toglierle le ultime forze che le erano rimaste.
Uscirono da quel che rimaneva di quella tavola calda, raggiungendo gli altri clienti spaventati all’esterno. Stesa a terra, una donna sulla cinquantina stringeva la parte alta del braccio destro, mentre un uomo che poteva essere suo marito cercava di tranquillizzarla. Le sue dita erano sporche di sangue.
«Lydia!»
Un uomo dai capelli brizzolati richiamò l’attenzione della ragazza dai capelli rossi mentre s’incamminava verso di loro.
«Salve, sceriffo» fece lei. Nel trambusto generale, Holly non aveva nemmeno udito l’arrivo della polizia.
Lo sceriffo si guardò brevemente attorno prima di rivolgersi nuovamente a Lydia «Un locale distrutto, un morto e un ferito. Devo considerare una coincidenza che ti trovassi qui?»
Per un attimo, Holly pensò che quella Lydia dovesse avere dei precedenti penali per essere redarguita così dalle autorità. Forse era lei l’obiettivo di quell’uomo misterioso.
«Sceriffo, io…»
La voce di Lydia giungeva stranamente ovattata all’orecchio di Holly. Le parve di udire anche una voce maschile che la chiamava, ma sembrava lontana anni luce. Sbatté le palpebre più volte, il campo visivo che si riempiva di migliaia di luci nere e arancioni ogni volta che riapriva gli occhi. La testa si fece pesante, le gambe molli. Poi, il mondo si spense e fu soltanto il buio.
 
 
In un parcheggio fuori città, Chris Argent aveva appena spento la sua auto quando un grosso Hummer nero fece la sua apparizione, arrestandosi a pochi metri da lui. Scese dall’auto, ponendosi davanti al cofano, in attesa di fronteggiare i proprietari dell’altro mezzo.
La portiera del conducente si aprì: ne uscì un uomo alto e ben piazzato, col cranio rasato, gli occhi piccoli e scuri ed il naso storto, come se fosse stato rotto più volte.
«I cacciatori sono in città» disse l’uomo con voce alta e trionfante, incamminandosi verso Chris a braccia aperte.
«Meglio non farlo sapere troppo in giro» gli disse Chris, stringendogli la mano in un gesto d’intesa.
Una donna dai lunghi capelli neri, scesa dal sedile posteriore, li raggiunse: sembrava furibonda.
«Idiota, è già tanto che la polizia non ci abbia inseguiti» sbraitò.
Chris la guardò, accigliato «Che vuoi dire?» chiese, preoccupato.
«Delaney…» cominciò l’uomo, ma lei lo ignorò.
«Cliff ha freddato il ragazzo che lavorava alla tavola calda» disse Delaney, rabbiosa.
Chris avvertì un improvviso moto di rabbia ed odio montargli dentro. Afferrò i lembi della giacca in pelle di Cliff, lo rovesciò e lo mandò a cozzare contro il cofano della sua auto.
«Ti avevo detto niente vittime!» gridò, infuriato.
«Quel bastardo non ha parlato» disse Cliff, la voce arrochita dalla pressione delle mani di Argent sul petto.
Chris non riuscì a credere alle sue orecchie. Non aveva realizzato fino in fondo ciò che aveva detto Delaney finché Cliff non aveva pronunciato quelle ultime parole.
Mollò la sua giacca come se fosse qualcosa di pericolosamente infetto «Avevi solo un compito da svolgere» ringhiò «e hai preferito uccidere un povero ragazzo innocente per saziare la tua sete di sangue»
«Ti ho detto che non ha voluto parlare!» esclamò Cliff, rimettendosi in piedi.
«Ti avevo detto» fece Chris, sempre più furioso, l’indice accusatorio puntato contro Cliff «di parlare con la ragazza! La ragazza che avresti trovato alla tavola calda!»
«Beh, non c’era nessuna ragazza» cercò di giustificarsi Cliff «Solo qualche vecchio e quel maledetto barista del cazzo»
Chris sbuffò dal naso, voltando le spalle a quell’incapace. Come aveva potuto pensare di assegnare quel compito a un tale idiota? Cliff Roberts era soltanto un guerrafondaio maniaco delle armi. Ma trovare quella ragazza non poteva essere poi così difficile, nemmeno per uno come lui. Chris l’aveva seguita, l’aveva vista incamminarsi come un automa verso quel luogo e sedersi ad un tavolo. Cos’era successo prima che Cliff e gli altri arrivassero?
Argent si passò stancamente una mano sul volto prima di rivolgersi nuovamente a Delaney: «Tuo fratello?» le domandò.
«È in auto» rispose lei.
«Chiamalo»
Delaney si voltò verso l’Hummer, agitando una mano in aria per indicare a qualcuno di avvicinarsi. La portiera del passeggero e quelle posteriori si aprirono, lasciando scendere tre uomini. In testa a quel piccolo manipolo, un energumeno dai capelli neri e la barba brizzolata si avvicinò a Chris con fare spavaldo.
«È un piacere vedere Xavier James ancora in servizio» disse Argent, mentre l’altro gli stringeva la mano in una presa tanto stretta che, Chris non l’avrebbe mai ammesso, quasi si rivelò dolorosa.
«Io non abbandono le armi per la famiglia» ribatté Xavier con la sua voce roca e profonda «Faccio entrare le armi in famiglia»
Diede un pizzicotto sulla guancia a Delaney, la quale non sembrò apprezzare particolarmente.
«Ti prego, siamo adulti» brontolò, incrociando le braccia sul petto, scocciata.
Xavier ridacchiò divertito, poi tornò a rivolgersi a Chris: «Allora, per cosa ci hai chiamati? Oltre a far divertire Cliff con qualche inutile sparatoria?»
Al fianco di Chris, Cliff emise un grugnito offeso. Lui lo ignorò bellamente, concentrandosi su Xavier: «Da quello che dici, deduco che Jonah ti abbia contattato» disse.
Xavier sorrise, sornione «Quel vecchio burbero» ridacchiò «Sì, mi ha chiamato. So che anche Ellen è qui»
Argent annuì «L’ho chiamata per chiederle aiuto, ma, a quanto pare, ha deciso di comportarsi da madre, per una volta»
Xavier scoppiò a ridere «È incredibile come cambino le persone» disse.
«Già, si è accasata con un avvocato da quattro soldi di New York» buttò lì Chris «Credo tema che sua figlia venga coinvolta»
«La piccola Natalie?» domandò Xavier.
«Holly» fece Argent «Ha… ha la stessa età di Allison»
Si rabbuiò. Pensava tutti i giorni alla sua bambina, la sua bambina coraggiosa, morta combattendo per salvare un amico. Ogni volta che pronunciava il suo nome, la ferita lasciata dalla sua assenza sembrava bruciare ancora di più, come se venisse riaperta e cosparsa di manciate di sale. E capiva appieno la paura di Ellen, il timore di rientrare in campo e combattere, di dare ad Holly quell’esempio che lui stesso, ora, si pentiva di aver dato a sua figlia. Allison era cresciuta in una famiglia di cacciatori, l’aveva scoperto tardi ma aveva imparato ad usare le armi, aveva tirato fuori il suo coraggio, proteggendo coloro che non potevano proteggersi da soli, dimenticando, forse, quanto fosse importante proteggere se stessa. Sapeva che Ellen temeva la stessa sorte per sua figlia, che Holly nascondeva la stessa forza di sua madre. Che se fosse stata addestrata allo stesso modo, il destino avrebbe potuto portarsela via, proprio come aveva fatto con Allison, perché come lei, come Ellen, avrebbe lottato fino all’ultimo per salvare chi le stava a cuore. E Chris non avrebbe permesso che Ellen provasse quello stesso dolore, il bruciore di una perdita tanto grande da fare a pezzi l’anima.
Il parcheggio in cui si trovavano parve venire spazzato da un’ondata di gelo.
«Sappiamo che se n’è andata» mormorò Delaney «Jonah ci ha detto anche questo»
«E voglio che chi me l’ha portata via paghi per ciò che ha fatto» disse Chris con la voce spezzata.
«È per questo che ci hai chiamati?» domandò lei.
Chris annuì «È qualcosa che non posso fare» ammise «Non da solo»
«Christopher» intervenne uno degli uomini rimasti in silenzio fino a quel momento «lo sai che uccidere per vendetta va contro il codice, vero?»
«Lo so, Floyd» rispose lui «È per questo che siete qui»
«Un momento, che hai detto?» s’infervorò Xavier «Farai sporcare le mani a noi per la tua vendetta personale? Saremo noi a doverci macchiare di un omicidio?»
«Non ho parlato di omicidio»
«Quindi niente vendetta “occhio per occhio”?» intervenne Cliff, quasi deluso.
«Tieni la pistola in tasca, Wyatt Earp» lo redarguì Delaney.
«Niente “occhio per occhio”» ribadì Argent, ignorando la battuta di Delaney «E non colpirò il diretto interessato. Colpirò il suo cuore»
Xavier alzò le mani, rassegnato «Va bene, chi è il bersaglio?»
«La persona che ha dato inizio a tutto quanto» rispose Chris «Voglio che troviate Noshiko Yukimura»


*Clare's Corner
Di tempo libero ne ho e BAM! Aggiornamento!
So che il capitolo è un po' cortino, ma sono perdonata per la quantità di avvenimenti che ci sono? *fa gli occhi dolci*
Anyway, i nostri eroi (Scott, Isaac e Stiles) si muovono per recarsi sulla scena del crimine come sempre - e saprete prossimamente com'è andata -, Holly, come avrete immaginato, non regge lo shock per l'accaduto e stramazza al suolo - anche questo verrà maggiormente approfondito - e, dulcis in fundo, Chris chiama rinforzi per attuare il suo piano malefico. Ho messo l'avvertimento OOC per questo, ma tranquilli, nessuno si farà male, almeno, non troppo.
E, what else, credo di aver chiarito abbastanza perché Chris ed Ellen si conoscessero da tempo.
Oookay, ancora grazie a tutti per l'ascolto e buon pomeriggio! :)
C.

 

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Capitolo 8
*** In the shadows ***


Jubel

8. In the shadows

Nel tepore del suo letto, Holly si rigirò sotto le coperte, portando il suo sguardo ad incrociare i numeri rossi e luminosi della vecchia radiosveglia posata sul comodino: le nove e cinquantasei.
«Cacchio!»
Si alzò a sedere di scatto, provando un leggero capogiro, poi balzò giù dal letto, chiedendosi perché diamine non avesse puntato la sveglia la sera prima. Non dimenticava mai di farlo.
Mentre apriva l’armadio alla ricerca di qualcosa di comodo da indossare, il ricordo di quanto era accaduto il giorno precedente la colpì con la forza di un violento schiaffo in faccia. Si portò una mano sugli occhi, mentre la testa ricominciava a girare vorticosamente.
«Wow, calma!» esclamò, tornando ad accomodarsi sul letto. Si lasciò cadere a pancia in su sul materasso, i palmi delle mani premuti sugli occhi, mentre le immagini di ciò che era successo il giorno prima le scorrevano davanti come un film mandato a velocità doppia. Era cominciato tutto con Scott e Stiles che l’avevano sequestrata nel corridoio della scuola e, nel giro di poche ore, si era ritrovata coinvolta in una sparatoria conclusasi con una morte. Lo shock era stato esagerato e, non appena si era resa conto di essere al sicuro, fuori da quell’inferno, era finita a gambe all’aria, svenuta. Ricordava a malapena l’espressione angosciata di sua madre, accorsa sul posto non appena saputo dell’accaduto dalla polizia, e l’infermiera che l’aveva aiutata, una donna dai capelli scuri e un viso rassicurante, che le aveva raccomandato di passare un paio di giorni a casa per riprendersi dal trauma, prima di tornare agli impegni scolastici. Ecco perché non aveva puntato la sveglia. La sera precedente era crollata dal sonno non appena aveva poggiato la testa sul cuscino, consapevole che, l’indomani, avrebbe avuto l’intera giornata libera.
Dal piano di sotto, udì il trillo del campanello. Chi poteva essere, a quell’ora del mattino? Magari la polizia, arrivata per farle delle domande?
Scendendo dal letto con più calma, per evitare di provare nuovamente la spiacevole sensazione delle vertigini, si avvicinò alla porta della sua stanza per ascoltare. E se fosse stato Chris Argent, venuto per cercare di convincere ancora Ellen a collaborare con lui?
Sentì la porta scattare, poi la voce di sua madre: «Ciao» disse semplicemente. Il suo tono suonò perplesso «Posso aiutarti?»
Le rispose una voce maschile, che Holly non riuscì a captare. Era il postino? Un corriere?
«Ma certo, certo, vieni pure!» trillò Ellen, questa volta in modo molto più affabile «Accomodati»
Passarono pochi secondi prima che strillasse il nome di Holly dal fondo delle scale.
«Holly, tesoro, sei sveglia?» la chiamò «Hai visite»
Holly alzò gli occhi al cielo. Sua madre era talmente preoccupata di fare brutta figura con un ospite, chiunque egli fosse, da non curarsi minimamente di svegliare la propria figlia con toni che perfino un sordo avrebbe potuto udire. Recuperò una felpa, gettata malamente sulla sedia, e la indossò prima di scendere di sotto, legandosi i capelli in una coda fatta alla meno peggio mentre saltellava giù per i gradini.
«Che c’è, mamma?» sbuffò «È la pol- oh!»
Quasi sobbalzò per la sorpresa quando si ritrovò davanti Isaac.
«I-Isaac, io… ma tu… che cosa…» balbettò, così stupita da non riuscire a trovare le parole. Cosa ci faceva lì? Era venuto a chiederle spiegazioni per il bidone del pomeriggio precedente?
«Isaac mi ha detto che siete compagni di scuola» intervenne Ellen tutta allegra «È venuto a trovarti»
«Già» confermò lui, stringendosi nelle spalle, mentre le sue guance si tingevano di una leggera sfumatura rosata «Ho saputo di ieri alla tavola calda e… ecco, volevo sapere come stavi»
Concluse la frase abbozzando un sorriso timido. Se avesse saputo del suo arrivo, Holly si sarebbe impegnata un po’ di più per rendersi presentabile.
«Sì, beh» cominciò Holly, un po’ in imbarazzo «a quanto pare, sono viva»
«Oh, Holly, non dire così» commentò sua madre con fare teatrale, mettendole un braccio attorno alle spalle.
«Mamma, sono rimasta coinvolta in una sparatoria» le fece presente lei, come se dovesse ricordare una cosa banale ad un anziano affetto da demenza senile «Pensa se fossi rimasta senza una gamba»
«Ma non è successo» cinguettò Ellen, lasciando andare la figlia e rivolgendo un sorriso che sarebbe dovuto risultare accogliente ad Isaac. Lui arricciò appena gli angoli della bocca, evidentemente parecchio a disagio.
«Posso offrirti qualcosa, Isaac?» proseguì poi Ellen «Un caffè? Un tè?»
«Sono a posto, grazie» si affrettò a dire lui «E…»
«E poi vuole sapere come sono andate le cose ieri» lo interruppe Holly, impaziente di portarlo via dalle grinfie di sua madre. Superò Isaac, diretta verso la porta d’ingresso, afferrandolo per un braccio e trascinandolo con sé, lontano dalle orecchie indiscrete di Ellen, augurandosi con tutta se stessa che non si mettesse a spiarli da una finestra.
 
 
Mentre Holly si chiudeva la porta alle spalle con uno scatto, Isaac non poté fare a meno di provare l’ennesima fitta di dolore al petto nello sbirciare il nome sul campanello. Non era mai stato in quella casa ai tempi in cui vi abitavano Allison e la sua famiglia. Essere consapevole che, ora, ci viveva Holly, quell’ancora di salvezza che lo stava di nuovo trascinando in superficie, gli provocò quell’ormai familiare sensazione di senso di colpa che sentiva ogni volta in cui pensare a lei alleviava le sue sofferenze. Era come se si fosse convinto di non meritare una nuova felicità, di non essere degno di una vita serena e senza pensieri negativi, come se fosse destinato a soffrire per il resto dei suoi giorni.
Cercò di scacciare quel pensiero fastidioso, tentando piuttosto di concentrarsi sulla ragazza che gli stava davanti: i capelli scuri di Holly erano legati in una coda spettinata, dalla quale erano sfuggite diverse ciocche, gli occhi erano gonfi ed assonnati, la felpa grigia che indossava sopra il pigiama blu troppo larga.
«Allora» cominciò lei, stropicciandosi un occhio prima di incrociare le braccia sul petto «come hai saputo della sparatoria?»
Isaac esitò per una frazione di secondo «Il padre di Stiles» disse infine «È lui lo sceriffo di Beacon, la città è piccola ed è bastato un passaparola veloce»
Che altro poteva dirle? Certamente non che aveva saputo dell’accaduto perché Scott aveva percepito l’urlo di Lydia, quell’urlo che Holly doveva sicuramente aver interpretato come un segno di pazzia.
«Capisco» disse Holly, annuendo appena «Sai, è stata una giornata folle, ieri. Credevo che avremmo studiato e, invece, mi sono quasi fatta ammazzare»
Isaac, incapace di trattenersi, sparò fuori la fatidica domanda: «È per questo che non ci siamo visti?»
Non era riuscito a resistere. Quel quesito gli frullava in testa da quando aveva ricevuto l’sms di scuse di Holly il giorno prima. Era una compagnia così terribile da preferire di rischiare la morte?
Holly sospirò, passandosi stancamente una mano sugli occhi «In realtà, è cominciato tutto qualche ora prima» disse «Mi sono attardata perché avevo dimenticato una cosa e, mentre uscivo, sono stata… beh, rapita»
«Rapita?» ribatté Isaac, sgomento. Che diavolo le era successo?
«Scott e Stiles» rispose lei «Mi hanno sequestrata mentre passavo per il corridoio»
Isaac chiuse gli occhi per un attimo, nel tentativo di nascondere un improvviso moto d’esasperazione «È molto da Scott e Stiles» sospirò «Cosa volevano?»
Holly alzò le spalle «Chiedermi di Chris Argent» rispose «Cosa so di lui, dato che conosce mia madre»
«Davvero?» fece Isaac, sorpreso «E tu che gli hai detto?»
«Che non so nulla» disse lei. Isaac si concentrò sui suoi battiti cardiaci: erano perfettamente regolari. Non seppe spiegarsi perché, per un attimo, avesse sospettato di lei. Per quale ragione, poi? Chris e la signora Chase potevano semplicemente essere vecchi compagni di liceo, ed ecco spiegato perché si conoscevano.
«E la cosa folle» riprese Holly «è che poi mi hanno raccontato cose incredibili su questo posto»
«Incredibili?»
«Sì» disse lei, il tono entusiasta tradito dallo sguardo nervoso «Beacon Hills è piena di… licantropi. E Scott è uno di loro»
Isaac diede un forse troppo violento colpo di tosse. Aveva completamente dimenticato che Holly era del tutto estranea a quel che era successo a Beacon Hills negli ultimi anni. Era stata lontana da quel posto per moltissimo tempo e, di certo, non poteva immaginare che, durante la sua assenza, si fosse popolato di creature di cui aveva sentito parlare soltanto nei libri o nei film. Lui stesso era così concentrato sul suo tentativo di liberarsi di tutti quei fardelli che lo opprimevano da aver scordato che Holly non conosceva affatto la sua vera natura di lupo mannaro. E non avrebbe dovuto conoscerla mai. Ma che dire di Scott?
«Sì, io… lo sapevo, vivo con lui da un po’» decise di dire, infine.
Holly lo guardò come se fosse pazzo «Tu vivi con un licantropo?» esclamò, sbigottita «Ma lui… insomma, tu… potrebbe farti a pezzi da un giorno all’altro!»
Isaac cercò di soffocare una risata, trasformandola in un altro colpo di tosse «No, lui è… mansueto» disse, dopo una veloce riflessione.
«Intendi come un cane addestrato?» domandò lei, vagamente perplessa.
«Come un cane addestrato» ripeté Isaac, ben deciso a non voler far prendere a quella conversazione una piega che avrebbe reso le cose troppo difficili.
Holly alzò le sopracciglia, sbattendo più volte le palpebre: era ovvio che quella spiegazione, seppur vagamente plausibile, le sembrasse assurda.
«Beh» disse dopo un po’ «in ogni caso, sta’ attento»
Non era affatto carino da pensare, ma Isaac avrebbe voluto scompisciarsi dalle risate. Ormai era così abituato alle stranezze di Beacon Hills che sentire qualcuno parlarne come se fosse un evento fuori dall’ordinario gli sembrava quasi ridicolo. Ma non avrebbe riso di Holly. Quel che le avevano detto Scott e Stiles doveva averla turbata parecchio e lui voleva aiutarla, non allontanarla.
«Farò attenzione» ribatté, con un largo sorriso.
Holly ricambiò prima di lasciarsi andare ad un sospiro «Niente scuola, oggi?» gli domandò poi.
Isaac scosse la testa «No, non era il caso» rispose «Non con quel compito di chimica lasciato in bianco»
Holly si lasciò sfuggire un lamento «Scusami ancora, davvero» cominciò, prima che Isaac la interrompesse: «Non preoccuparti, non è stata colpa tua, lo so che…»
«Volevo davvero aiutarti» disse Holly, costringendolo a troncare la sua frase a metà «Volevo… volevo avere un amico»
Isaac, preso alla sprovvista da quella dichiarazione, restò a bocca aperta, nell’espressione silenziosa della frase precedente rimasta incompleta. Le parole di Holly, nonostante sapesse quanto si sentisse sola, lo lasciarono nuovamente spiazzato, facendogli salire in gola la verità.
«Anch’io» mormorò «E spero… spero che avremo la possibilità di rimediare presto»
«Sono sicura di sì» rispose Holly, sorridendogli di nuovo. Isaac ricambiò, restando a fissarla come inebetito. All’improvviso, provò lo strano impulso di avvicinarsi e stringerla a sé, un impulso sopito immediatamente da un repentino flashback dei momenti che aveva passato con Allison. Con una fitta allo stomaco, fece un passo indietro «Beh, allora… a presto, sì» borbottò, cercando di non lasciar trasparire il suo disagio «E cerca di rimetterti»
«Ci proverò» disse Holly. Prima di andarsene, Isaac cercò di captare le sue emozioni: pareva non essersi accorta di nulla, il suo battito era normale e riusciva ad avvertire soltanto una sensazione di sollievo. Con un ultimo saluto, si voltò e lasciò la vecchia casa degli Argent, udendo la porta scattare quando Holly rientrò.
Si ritrovò a camminare lungo la strada, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, la testa, per l’ennesima volta, affollata di pensieri. Di nuovo, si era bloccato. Si era bloccato davanti all’idea di poter essere nuovamente sereno. I sensi di colpa sembravano non volerlo abbandonare, costringendolo a vivere nel dolore dei ricordi di momenti che non sarebbero ritornati mai più. Forse non voleva che lo abbandonassero. Forse vivere di quei ricordi era l’unico modo per non dimenticare quell’unico periodo della sua vita in cui aveva sentito di essere qualcosa di importante per qualcuno.
Ma anche per Holly poteva essere importante. Poteva essere un amico, una spalla, qualcuno su cui poter contare. Avrebbe potuto sentirsi importante anche con lei, senza dovere per forza scordare il passato. Avrebbe potuto custodirlo in un angolo della sua mente e del suo cuore e ricordarlo, di tanto in tanto, con un pizzico di malinconia. Ma, probabilmente, ancora non era arrivato il momento giusto per mettere tutto quanto da parte. Di una cosa, però, era certo: quando quel momento sarebbe arrivato, l’avrebbe saputo riconoscere. E l’avrebbe accolto a braccia aperte.
 
 
Scott avviò la moto con un rombo, dando qualche colpetto al pedale d’accensione prima di dare gas e partire. L’aria fresca della sera entrava dalla visiera del casco, che aveva lasciato aperta, facendogli lacrimare gli occhi. Sbatacchiò le palpebre più volte per cercare di alleviare quella fastidiosa sensazione: non aveva mai sopportato sentire gli occhi inumidirsi.
Sfrecciò lungo le strade di Beacon Hills, dirigendosi fuori città, nella zona industriale, dove aveva dato appuntamento a Kira. Da quando avevano debellato la minaccia del Nogitsune non si erano più rivolti la parola. Dopo la morte di Allison, Scott si era sentito lacerato, fatto a pezzi. Non aveva mai smesso di amarla e sapeva che per lei era lo stesso, e le strazianti parole che gli aveva detto in punto di morte non avevano fatto altro che riportare a galla le sofferenze che aveva cercato di lasciarsi alle spalle dopo il loro distacco, rendendo ancora più doloroso il ricordo dei tempi in cui si erano amati. Ma, nonostante tutto, Scott era riuscito ad andare avanti, a lasciarsi alle spalle, seppure con qualche difficoltà, la sua relazione con Allison e a vedere una nuova luce in Kira. Kira, che si era fatta da parte in silenzio dopo quella perdita che aveva straziato Scott, forse provata dal senso di colpa di essere la figlia di colei che aveva risvegliato quello spirito malvagio che aveva assassinato Allison. Ma lei non aveva alcuna colpa e Scott aveva deciso che era il momento che Kira lo sapesse, che, a piccoli passi, forse, sarebbero potuti ripartire daccapo.  
Svoltò a destra, superando un vecchio capannone, raggiungendo il luogo del loro incontro. Kira era seduta sui gradini di quello che, un tempo, doveva essere l’ingresso di quel fabbricato ora abbandonato: teneva il capo chino e si tormentava l’unghia del pollice. Alzò la testa solamente per un attimo quando udì il suono del motore.
Scott girò la chiave nel quadro e slacciò il casco, sfilandolo. Guardò Kira, che gli rivolse un mezzo sorriso più che mai imbarazzato. Scese dalla moto e si incamminò verso di lei, ma non l’avrebbe mai raggiunta: la porta del capannone alle sue spalle si spalancò all’improvviso e due uomini col volto coperto la afferrarono per le braccia prima che potesse riuscire ad opporsi.
«Kira!» urlò Scott, mettendosi a correre, mentre la ragazza gridava e si dimenava per cercare di sfuggire alla presa. Gli uomini la trascinarono all’interno del magazzino, sbarrando l’entrata. Scott prese a pugni la porta, ripetutamente.
«Kira!» gridò di nuovo «Lasciatela andare!»
Sferrò un calcio alla porta, mandando in frantumi il legno vecchio e marcio: l’interno dello stabilimento sembrava essere vuoto.
«Kira!» chiamò, sentendo solamente la sua voce che riecheggiava sui muri. Fuori, udì lo stridio delle gomme di un’auto: si catapultò all’esterno appena in tempo per vedere un Hummer nero sfrecciare via nella notte.
Corse alla sua moto, s’infilò il casco e fece per avviare il motore, quando si rese conto che non avrebbe più potuto inseguirli. Quegli uomini erano fuggiti, portando Kira con loro chissà dove. E lui non poteva raggiungerla: era scomparsa.


*Clare's Corner
Hello everyoneeeee! Tanto per cambiare, sono in ritardo, sebbene stavolta sia un po' più contenuto. Il mio entusiasmo post-laurea si è esaurito troppo in fretta anche per i miei gusti ç_ç
Anyway, eccoci qui con un nuovo capitolo, finalmente con Holly e Isaac che riescono ad avere un piccolo momento per loro. E poi ci sono Scott e Kira, che viene rapita dai possessori dello stesso Hummer nero che si è presentato a Chris Argent nel capitolo scorso - in realtà, scopriremo che è Horatio Caine, direttamente da CSI Miami, carramba, che sorpresa! Va bene, la smetto.
E niente, se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate ne sarò felice :)
See you next time!
C.

 

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