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Tonks passeggiava avanti e in dietro davanti al camino non curante degli
sguardi perplessi di sua madre e dei suoi figli
Rieccomi!! Ebbene sì, sono tornata
con una nuova storia tutta per voi, in attesa di poter pubblicare la terza
parte di confessioni notturne.
Ma parliamo di questa nuova
storia, ho deciso di concentrarmi sul mio AU, vi ricordate di Alexis e Max per
non parlare di Julian? Ecco, mi sono scoperta affezionatissima a questi
bambini, così mi sono dedicata nuovamente alle loro vicende e delle loro
famiglie.
Come avrete intuito dal titolo ci
saranno novità e solo leggendo potrete scoprire quali, ma dovrete resistere per
tutti i sette capitoli + l’epilogo.
Non mi resta che augurarvi buona
lettura.
Dedicata a tutte le persone che mi sono
state vicine in questi mesi durante la stesura e durante i miei numerosi
blocchi.
Prologo
Tonks
passeggiava avanti e in dietro davanti al camino non curante degli sguardi
perplessi di sua madre e dei suoi figli.
«Tesoro,
perché non ti siedi? Libby ha detto…» Tentò di calmarla Andromeda, ma venne
fulminata con lo sguardo dalla figlia.
«So benissimo
cos’ha detto Libby, visto che è la stessa cosa che mi ha detto circa due anni
fa». Rispose, lasciandosi cadere sulla poltrona, il piccolo Max andò verso di
lei facendosi prendere in braccio.
«’Apelli
zsui!» Esclamò il bambino indicando i capelli della madre, la quale, da rosa li
fece diventare azzurri per la gioia del bimbo.
In quel
momento Remus comparve nella stanza. Alexis e Max, vedendolo, gli corsero in
contro con entusiasmo.
«Papà sei
arrivato!» Urlò Alexis abbracciandolo.
«Pa pa!
Baio!» Max allungò le braccia verso di lui così Remus lo prese in braccio e,
dopo aver salutato la suocera, andò dalla moglie dandole un bacio.
«Amore, come mai quel
faccino imbronciato?» Chiese lasciando libero Max di tornare a giocare.
«Remus, so
benissimo che hanno avvertito anche te, quindi, non fare finta di non sapere…»
Lo fulminò come aveva fatto poco prima con la madre.
Capendo
l’antifona, Remus si voltò verso Andromeda che, annuendo, prese i bambini e
andò in cucina, lasciandoli soli.
Remus la
prese tra le braccia, stringendola a sé.
«Sei mesi,
Remus. Sei mesi confinata qui!» Mugugnò Tonks trattenendo a stento le lacrime.
«Lo so
tesoro. Ma Libby preferisce non correre rischi, dopo quello che è successo con
Max. abbiamo quasi rischiato di perderlo». Rispose, mentre un brivido gli
percorse la schiena ripensando a quei momenti.
«Sì certo lo
capisco. Ma sei mesi sono troppi, dico davvero. E il mio lavoro… Come farò?»
Chiese.
«Non è
facile, lo capisco. Ma non voglio rischiare di perdervi entrambi». Continuò
Remus, stringendola ancora di più a sé.
Tonks rifletté
sulle parole del marito. Una parte di lei, quella di madre, concordava con lui,
ma quella di auror avrebbe voluto continuare a lavorare il più possibile. Sentì
una mano di Remus sfiorare il ventre, che ormai cominciava ad arrotondarsi.
Esitante,
Tonks, ci posò anche la sua.
Il lato di
madre aveva vinto ma, nel suo cuore, non le dispiaceva. Anche lei teneva a
quella nuova vita che cresceva dentro di lei, e l’avrebbe protetta ad ogni
costo.
Piaciuto?
Va beh dai è solo l’inizio della storia, magari i primi capitoli vi sembreranno
noiosi, vi chiedo scusa se fosse davvero così, ma vi assicuro che migliorano.
Vi do
appuntamento alla prossima pubblicazione. Tranquilli non vi farò aspettare
molto ;)
Capitolo 2 *** Un'idea preludio di grossi disastri ***
Tonks aveva preso il periodo di maternità anticipata e quindi aveva
molto, moltissimo tempo libero da passere con i figli
Come
promesso sono di nuovo qui per aggiornare la mia storia.
Sono davvero felice che il prologo vi sia piaciuto e nella
speranza di non deludervi con questo primo capitolo vi auguro buona lettura.
Tre Possono Bastare
Un’idea preludio di grossi disastri
Tonks aveva
preso il periodo di maternità anticipata suggeritogli dalla guaritrice Galt,
così ora si ritrovava ad avere molto, moltissimo tempo libero da passere con i
figli.
Questa nuova
situazione aveva reso Alexis e Max particolarmente felici, i quali
trascorrevano le loro giornate tra lezioni di metamorfismo per la prima e
giochi letture di libri di favole per il secondo.
Come due anni
prima, Andromeda si trasferì da loro per aiutare la figlia con la casa e i
bambini, ma ogni scusa era buona per ribadire il concetto “dovresti lasciare
il lavoro e pensare alla famiglia”, ma Tonks odiava quel discorso,
sfortunatamente sapeva, in fondo al suo cuore, che la madre da un lato aveva
ragione, con tre figli sarebbe diventato ancora più difficile coniugare le due
cose.
Era da poco seduta sul
divano leggendo un libro di fiabe con Max, approfittando del fatto che la madre
fosse uscita per delle commissioni, quando sentì bussare alla porta.
Alexis corse ad aprire.
«Chi è?»
Chiese con voce squillante.
«Alexis sono io,
Julian! E c’è anche la mia mamma». Rispose il bambino dall’altra parte della
porta. La piccola padrona di casa li fece entrare con entusiasmo, per poi
trascinare l’amico verso l’angolo dei giochi, seguiti a ruota da Max.
«Ciao
Silphie! Come stai?» Chiese Tonks andandogli in contro, stupita di vedere
l’amica in un giorno feriale.
«Ciao Tonks,
io sto bene, e tu? Come va il riposo forzato?» Chiese a sua volta
abbracciandola.
«Bene direi.
Ho un sacco di tempo libero da passare con i bambini. Ma ora dimmi, come mai
sei qui? Dovresti essere a Hogwarts». Chiese Tonks facendola accomodare sul
divano.
«Ecco, oggi è
il mio giorno libero e così ne ho approfittato per prendere un appuntamento al
San Mungo». Cominciò Silphie, Tonks sgranò gli occhi incredula.
«Come mai? Se
malata?» Chiese preoccupata.
Silphie
scosse la testa. «L’appuntamento era con Libby».
«Grazie, ti assicuro
che quando Libby me l’ha detto non ci volevo credere, ci ho messo più di dieci
minuti per metabolizzare. Sai, sono passati sette anni da quando abbiamo avuto
Julian, ormai non ci pensavamo più ad avere altri bambini». Confessò.
«Più o meno
quello che ho pensato io quando ho saputo di aspettare Max. Ed invece eccomi
qui per la terza volta». Sorrise Tonks sfiorandosi il ventre. «Sirius lo sa?»
Continuò.
«Sa che avevo
dei sospetti tutto qui». Sospirò.
Le due amiche
passarono il resto della giornata insieme, osservando i figli giocare, e a
fantasticare su quelli che dovevano ancora nascere.
«Remus è
convinto che sarà una bambina. Ma a me un altro maschietto non dispiacerebbe».
Confessò Tonks versando, facendo molta attenzione, dell’altro tè nelle tazze che
avevano davanti.
«Anche Sirius
vorrebbe una bambina. Per me, invece, è indifferente. La cosa che però trovo
meno allettante è il dover lasciare il lavoro, Libby mi ha detto che dovrei
pensare ad un congedo a partire dal quarto quinto mese».
«Come mai? Certe
volte Libby mi sembra esageratamente prudente. Nel mio caso forse ha ragione
visto il rischio che abbiamo corso con Max, ma se non ricordo male, con Julian
è filato tutto liscio».
«Sì, infatti.
Non è scesa nei particolari, dice che per avere certe conferme devo arrivare
almeno al quarto mese o forse oltre. Èstata parecchio misteriosa». Rispose con una certa nota di
preoccupazione nella voce.
«Vedrai che
non è niente. Come ho già detto, è sempre molto prudente».Ribadì.
«Speriamo».
Sospirò.
Dopo circa
un’ora arrivò anche Andromeda, la quale si sorprese molto di vedere Silphie, di
conseguenzacominciò a tempestarla di
domande su domande, fino a quando non furono costrette a raccontare anche a lei
della gravidanza.
«E’
fantastico! Quindi se sei qui hai preso un congedo dal lavoro. Brava è così che
si fa, cerca di convincere anche questa testona a lasciare il lavoro, io sono
anni che glielo dico, ma pensi che mi abbia dato retta? Assolutamente no!»
Cominciò a dire la donna.
«Hem
veramente…» Cercò d’intervenire Silphie.
«Speriamo che
almeno a te dia rette, visto che ascoltare le madri non è più di moda».
Continuò senza dargli retta.
«Non è vero,
sono sicura…» Balbettò.
«Ormai
contano solo i pareri degli amici, i genitori sono obsoleti. Ah questa gioventù».
«Mamma ora
smettila! Silphie non ha preso nessun congedo!» Tonks fu costretta ad alzare la
voce per interrompere gli sproloqui della madre.
«Come? Ma
cara devi riguardarti». Insisté.
«Certo, ma
penso di lavorare almeno fino al quarto o al quinto mese».
«Io non vi
capirò mai. Tutta questa smania di far vedere che potete lavorare anche in
dolce attesa, o subito dopo il parto».
«Mamma ti
prego ne abbiamo già parlato fino allo sfinimento. Non mi sembra il caso di
stressare anche lei con questa storia. Io sono a riposo forzato, non ti basta?
Almeno lei lasciata in pace». Rimproverò ancora la madre.
«Va bene, ho
capito, vado in camera mia. Visto che i miei consigli sono così disprezzati».
Visibilmente offesa si diresse al piano di sopra.
Le due amiche
rimasero per qualche istante senza parole mentre la osservavano allontanarsi.
Poi, appena sparì dalla loro visuale scoppiarono a ridere sotto lo sguardo
confuso dei loro figli.
*****
Come previsto, giunta al quinto mese, Silphie prese il
periodo di congedo suggeritole da Libby, anche se la voglia di rimanere al
lavoro era tanta, preferì non rischiare di compromettere la gravidanza.
Girovagando per la sua
piccola ma accogliente casa di Hogsmeade, quella che usavano durante il periodo
scolastico, si sentì particolarmente sola e inutile, anche se Julian l’aiutava
parecchio.
«Mamma, vieni
a giocare?»
«Certo, a
cosa vuoi giocare?»
«Con questo!»
Esclamò prendendo un modellino in scala di un campo di quidditch, dove a farla
da padroni erano 14 manici di scopa in miniatura con degli omini sopra di due
colori diversi, giallo e blu.
Avevano
appena cominciato a giocare quando bussarono alla porta, Julian andò ad aprire.
«Chi è?»
Chiese con voce squillante.
«Sono la zia
Molly». Rispose la donna dall’altra parte della porta. Il bambino aprì e la
fece entrare. «Ciao piccolo, come stai?» Chiese Molly.
«Bene. Vieni,
la mamma è in salotto. La sto sfidando a quidditch».
«Cosa??»
Esclamò, con un certa nota di terrore nella voce, per poi calmarsi vedendo il
modellino e Silphie seduta a tavola su una tranquilla sedia e non su un manico
di scopa.
«Ciao Molly,
che bello vederti! A cosa devo la tua visita?» Chiese alzandosi per andarle in
contro.
«Volevo
vedere come stavi. Sono già passata da Tonks e ora eccomi qui».
«E come sta
Tonks? Non la sento da qualche giorno». Chiese ancora Silphie.
«Bene direi,
a parte la noia ovviamente. Ma almeno ci pensano i bambini a distrarla».
«La capisco».
Sospirò, «scusami! Non ti ho nemmeno offerto una tazza di Tè». Esclamò
alzandosi di scatto dal divano.
«Non ti
preoccupare, sfortunatamente non posso restare molto, questa sera ho a cena
tutta la truppa Weasley». La tranquillizzò, con una nota di fierezza nella voce
pensano alla sua famiglia, che negli ultimi anni si era allargata ancora di
più.
«Capisco. Ci
sarà un sacco di gente». Sorrise quasi invidiosa, da quanto tempo non era
circondata da persone allegre che chiacchieravano tra loro.
«Sì più o
meno 12 persone». Fece un rapido conto mentale.
«Avrai un
sacco da fare allora…»
«Già, ma ora
parliamo di te. Come procede la gravidanza?» Chiese curiosa.
Chiacchierarono
per circa un’ora poi Molly fu costretta ad andare. Rimasti nuovamente soli,
tornarono a giocare a quidditch, ma Silphie aveva uno sguardo triste, parlare
con un’altra persona che aveva più di nove anni, compreso il marito, le mancava
tantissimo. Venne risvegliata dalle urla di esultanza di Julian il cui
cercatore aveva appena preso il boccino d’oro.
«Uffa, mi hai
battuta». Esclamò fingendosi sorpresa.
«Già, ma non
mi sembra che ti sei impegnata tanto. Con Alexis c’è più battaglia. Sarebbe
bello stare tutti insieme, visto che tu e la zia Tonks dovete stare a casa».
Commentò Julian risistemando i manici di scopa.
«Mi
dispiace…Ma aspetta un attimo, non è una cattiva idea. Però dobbiamo chiedere
anche a loro». Mormorò pensierosa.
«Allora
mandiamogli un gufo! Anzi, usiamo la metropolvere che è più veloce!» Esclamò
entusiasta, trascinandola verso il camino e porgendogli la ciotola con la
polvere volante.
«Va bene, ma
prima dobbiamo parlarne con papà». Cercò di calmarlo, rimettendo la ciotola al
suo posto.
«Gli mandiamo
un gufo?» Chiese speranzoso.
«No. Ne
parleremo questa sera a cena». Rispose la madre.
Julian
sbuffò.
«Ma mancano
ancora tre ore?!» Si lamentò, ma Silphie gli scoccò un’occhiata che non ammetteva
repliche. «Va bene. Aspettiamo…» Sbuffò, infine, con rassegnazione.
Le tre ore
che lo separavano dalla cena gli sembrarono eterne. Julian cercò in ogni modo
di farle passare più velocemente ma senza grossi risultati.
Stava ancora
passeggiando davanti alla porta quando, finalmente, Sirius fece il suo
ingresso.
«Hey ciao
campione!» Esclamò scompigliando i capelli al figlio.
«Finalmente
sei arrivato!» Urlò Julian, senza nemmeno salutarlo, e trascinandolo in cucina.
«Wow, non
sapevo di essere così richiesto. Ciao tesoro, ma cosa gli prende?» Chiese
baciando la moglie per poi indicare il bambino.
«E’ solo un
poco eccitato per un’idea che gli è venuta». Rispose lei.
«Possiamo
stare nella stessa casa con Alexis, Max e la loro mamma? Possiamo?! Possiamo?!»
Chiese ansioso.
«Cosa?»
Chiese a sua volta Sirius visibilmente confuso.
«Julian,
aspetta, spiego io a papà la tua idea. Allora, prima stavamo parlando e, visto
che sia io che Tonks siamo costrette a stare a casa, lui ha proposto distare
tutti insieme, così ci possiamo fare compagnia», spiegò.
«Gisto. La
mamma è troppo facile da battere a Quidditch». Continuò Julian. Sirius ci pensò
per qualche minuto.
«Di sicuro
questa casa è troppo piccola per tutti. E anche quella di Remus e Tonks…»
Commentò.
«Ma casa
Black è abbastanza grande per tutti». Constatò la moglie.
«Sì direi di
sì. Ma così non potremmo vederci tutte le sere».
«Puoi sempre
tornare nei fine settimana con lo zio Remus, lui fa sempre così». Intervenne
Julian.
«Vedo che tu
hai già deciso» Rise Sirius. «Ok, va bene. Ma avete chiesto anche il loro
parere?»
«Lo facciamo
subito!» Esclamò correndo verso il camino trascinando i genitori, i quali
scoppiarono a ridere vedendolo così eccitato.
«Secondo te le fondamenta di
casa sono resistenti?» Chiese Silphie.
«Beh hanno
sopportato me e tutta la truppa Weasley, cosa vuoi che facciano due bambini di
nove e uno di tre anni?» Chiese a sua volta Sirius.
Fine primo capitolo! In verità erano due capitoli distinti
ma poi ho pensato che unirli era la cosa migliore per non spezzare inutilmente
la storia.
Piccola
anticipazione sul prossimo capitolo:
Mettete due
bambini curiosi, figli di malandrini non dimenticatelo, in preda alla noia e
una vecchia casa, secondo voi cosa potrebbe succedere? Prossimamente avrete la
risposta.
Vorrei infine
ringraziare tutte le persone che hanno letto e commentato, o solo letto, il
prologo, non potete immaginare che emozione è stata per me.
Grazie, grazie
mille! (Per la canottiera di Merlino, sembro quella di “The Closer”O_O)
Ebbene sì, sono di nuovo qui per aggiornare con il secondo
capitolo la mia storia.
Da qui, possiamo dire che le cose cominciano a muoversi, e voi
direte “era ora!”.
Ok, ok vi lascio leggere in pace.
Dedicato adAngelombra.
Tesoro, sappi che sono sempre con te,
nonostante tutto.
Tre
Possono Bastare
Capitolo II (Esplorazioni)
Il secondo
week end di Febbraio lo dedicarono al trasloco delle due famiglie a casa Black,
il cui atrio era pieno di scatole rimpicciolite quel tanto d’agevolarne il
trasporto. Anche i bambini diedero il loro contributo portando, da soli, le
cascatole con i loro nomi nelle rispettive camere.
«Alexis, voi
due starete nella stanza vicino a quella di Julian». Comunicò Silphie indicando
le scale.
«Venite, è
molto bella quella camera». Concordò il bambino prendendo una paio di piccole
scatole e cominciando a salire al piano di sopra. Arrivati a destinazione
trovarono i loro padri intenti ad ingrandire due letti.
«Grazie papà,
grazie zio. Possiamo appendere anche queste?» Chiese Alexis, prendendo due
targhette con scritti il suo nome e quello del fratello.
«Certo, vieni
mettiamole sulla porta». Rispose Remus. «Ecco fatto, ora sistemate le vostre
cose. Io vado ad aiutare la mamma». Continuò dopo aver ingrandito le scatole,
per poi scendere di sotto seguito da Sirius.
Ci volle
tutta la giornata di sabato e parte della mattinata di Domenica ma riuscirono a
sistemarsi tutti i nuovi abitanti di quella vecchia casa. Ma i più entusiasti,
naturalmente, erano i bambini. Ritrovarsi insieme era come vivere una grande
avventura, o almeno era quello che, loro, progettavano da un mese.
«Bene, la
fase uno del piano è stata portata a termine con successo». Esclamò Julian dopo
aver chiuso la porta della sua camera, approfittando del fatto che gli adulti
erano radunati in salotto.
«J.R. sei
sicuro di quello che mi hai detto via gufo?» Chiese dubbiosa Alexis.
«Certo! Non
vorrai mica tirarti in dietro proprio ora, vero? Ma forse hai troppa paura…» La
prese in giro.
«Hey per chi
mi hai presa?? Non mi tiro in dietro». Rispose scandalizzata.
«Ok, bene.
Cominceremo dalla cantina». Propose Julian con aria furbetta.
I giorni
passavano e i due bambini, dopo le consuete quattro ore di lezione mattutine,
scomparivano in camera fino all’ora di pranzo per poi sparire nuovamente
ingoiato l’ultimo boccone, intenti a mettere in pratica il loro piano.
«Ahia! Alexis
stai attenta, mi ha pestato un piede!» Urlò Julian.
«Scusa tanto,
ma se tenessi quella candela un poco più in alto non ti pesterei i piedi».
Rispose lei.
«Tienila tu
se sei così tanto brava, però stai anche davanti».
«E se,
invece, ne prendiamo una per uno?» Chiese. Julian borbottò qualcosa che suonava
come “lo volevo dire io, saputella”, poi però continuò a camminare in
quello stretto cunicolo che avevano scoperto due giorni prima, dopo essere
riusciti ad aprire una vecchia porta di legno nascosta dietro ad una enorme
pila di vecchie cianfrusaglie ammassate in cantina.
«Non vedo
l’ora di avere una bacchetta magica tutta mia. Mi sento tanto un bambino…»
Borbottò Julian, districandosi tra delle grosse ragnatele.
«J.R. noi,
siamo ancora bambini. Almeno per il mondo magico lo siamo. C’è di buono che ci
mancano solo due anni per averle. Ma naturalmente io sarò molto più brava di
te». Lo prese in giro.
«Non vantarti
tanto, quando saremo a Hogwarts vedremo chi sarà il migliore con una bacchetta
in mano». La sfidò porgendogli la mano con aria di sfida.
«Puoi
contarci. Non vedo l’ora». Rispose accettando la sfida.
Avanzarono
ancora per alcuni metri poi una strano oggetto nella borsetta di Alexis
cominciò ad illuminarsi e a suonare.
«Dobbiamo
tornare in camera tua. Tra poco verranno a chiamarci». Urlò guardando l’oggetto
che portava impresso l’inconfondibile marchio Weasley.
«Sempre sul
più bello, guarda lì». Julian puntò la candela in avanti illuminando una
vecchia porta di ferro arrugginita.
«Tanto per
ora non possiamo aprirla, vedi? Sembra bloccata. Credo che nessuno la apra da
secoli. Ora andiamo, dopo cena studieremo un modo per aprirla».
Così entrambi
uscirono dal cunicolo e poi dalla cantina. Alexis però, giunta al piano terra
si bloccò di colpo, facendo sbattere Julian contro la sua schiena.
«Quando
decidi di fermarti potresti anche avvertirmi». Mugugnò massaggiandosi il naso
dolorante.
«Zitto! C’è
la zia Molly in cucina, Non è proprio il caso che lei ci scopra, non credi? Ora
chiudi il becco e fai attenzione». Si raccomandò, continuando a tenere premuta
la sua mano sulla bocca dell’amico, il quale annuì.
Cercando di
fare meno rumore possibile, svoltarono l’angolo e superarono con successo la
cucina, arrivati davanti alle scale cominciarono a salire cercando di non farle
scricchiolare troppo ma, arrivati quasi al primo piano, Alexis mise accidentalmente
il piede su un giocattolo che Max aveva dimenticato sul terzultimo gradino.
Questo, cominciò ad emettere suoni infernali.
«Non stare lì
impalata, corriamo in camera!» Urlò trascinandola via per poi chiedere la porta
alle loro spalle. «Per fortuna che ero io a non dover far rumore. Per poco non
ci scoprivano». La rimproverò cercando di riprendere fiato.
«Cavolo, non
l’avevo proprio visto… Ma ora sbrighiamoci a ripulirci prima che arrivino a
chiamarci per la cena». Ansimò Alexis specchiandosi e togliendosi delle
ragnatele dai capelli quel pomeriggio di un bel viola.
Come
previsto, un quarto d’ora dopo essere rientrati in camera, arrivò Molly a
chiamarli. Quando entrò li trovò seduti a terra concentratissimi in una
appassionante partita di scacchi magici.
«Bambini, è
ora di cena, andate a lavarvi le mani. La continuerete più tardi la vostra
partita». Propose.
«Ok, ma
potresti incantare la porta per evitare che Maximilian entri? L’ultima volta ha
spostato tutti i pezzi. E ha mangiato la corona della regina bianca, Vedi? È
ancora offesa e si muove controvoglia» Julian indicò la regina bianca, che
teneva le braccia conserte e lo sguardo imbronciato.
«Va bene, ma
ora sbrigatevi». Insisté ridendo la donna.
Seduti a
tavola i due bambini, tra un boccone e l’altro bisbigliavano animatamente tra
di loro, questo insospettì non poco le loro madri.
«Alexis,
cos’avete fatto di bello oggi? Siete spariti subito dopo pranzo». Chiese Tonks
alla figlia cercando di osservare ogni suo minimo movimento.
«Ecco… Siamo
stati in camera a giocare a…» Cominciò a dire cercando di pensare il più
velocemente possibile.
«A quidditch,
ma poi anche a scacchi». Intervenne Julian.
«Giusto, però
domani i giochi li scelgo io…» Continuò Alexis, rassicuratasi dal supporto dell’amico.
«Capisco…» Mormorò Tonks poco convinta.
Dopo cena
entrambi declinarono la proposta di Andromeda di stare tutti insieme in
salotto, questo comportamento però non fece altro che aumentare i sospetti in
Silphie e Tonks.
Non curanti
di questo però, tornarono nella camera di Julian con la scusa di avere una
partita in sospeso e, dopo essersi assicurati di non essere “spiati” spostarono
la scacchiera e tirarono fuori un grande foglio di pergamena sul quale erano
scritti parecchi appunti.
«Ok, oggi abbiamo
percorso circa 250 metri di quello stretto tunnel e in fondo abbiamo trovato
una porta di ferro arrugginita». Alexis fece il punto della situazione fino a
quel momento.
«Proprio
così, ma ora il problema è, come l’apriamo?» Chiese Julian.
«Con queste».
Rispose tranquillamente lei prendendo dalla sua borsa due spazzole di ferro.
«Un giorno ho chiesto allo zio Arthur come fanno i babbani a sistemare e pulire
gli oggetti di ferro senza magia, e lui mi ha detto che li strofinano con
queste». Continuò, dandogliene una.
«E dove le
hai prese?» Chiese ancora lui.
«Prima quando
sono andata in bagno ho fatto una deviazione nella stanza strana dello zio».
«Alexis, sei
un genio». Esclamò Julian, osservando la spazzola.
«Sono o non
sono la figlia di Remus J Lupin, il genio dei Malandrini di Hogwarts?» Chiese a
sua volta, piuttosto fiera di sé e facendogli l’occhiolino. Julian annuì quasi
ammirato.
Probabilmente
quella porta avrebbe dato una svolta decisiva alle loro ricerche.
Rieccomi! Se
state leggendo queste righe vuol direi che avete sopportato tutto il capitolo.
Bravi!! Spero che facciate la stessa cosa anche con i prossimi hihihi.
Forse qualcuno
di voi si starà chiedendo perché Alexis chiama Julian “JR” beh a voi la
risposta, anche se credo che sia abbastanza ovvio.
Vorrei
ringraziare tutte le persone che leggono e commentano, o solo leggono tutte le
mie storie, ogni volta che vedo i contatori salire, mi si riempie il cuore,
dico davvero, Grazie a tutti!
Non mi resta
che salutarvi qui, dandovi appuntamento, tra una settimana, al prossimo
capitolo.
Pensavate di
esservi liberati di me, vero? Ed invece no, sono di nuovo qui con il terzo
capitolo.
Quindi, buona
lettura!
Tre Possono
Bastare
Capitolo III
(Tali padri…)
In un freddo e nevoso mattino di Febbraio Tonks e Silphie erano sedute
in cucina, immerse in una fitta conversazione riguardo al comportamento
bizzarro dei propri figli.
«Non fanno in tempo a finire di mangiare che spariscono al piano di
sopra e si chiudono a doppia mandata in camera». Esclamò Silphie rigirando
distrattamente il cucchiaino nella tazzina.
«Già, non ci stanno raccontando tutto. Se solo riuscissimo a seguirli e
scoprire cosa stanno complottando…» Sbuffò esasperata Tonks.
Non sapere cosa combinavano quei due piccoli furfanti era frustrante ma
forse Silphie aveva la soluzione.
«Certo, noi non possiamo. Ma fortunatamente conosciamo qualcuno che, in
base ai loro racconti, sono esperti in questo genere di cose». Esclamò
sfoderando un sorrisetto compiaciuto, trovando immediatamente l’appoggio
dell’amica.
Come concordato, il week end successivo parlarono dei loro sospetti con
Remus e Sirius, quest’ultimo però, non sembrò particolarmente convinto delle
affermazioni delle due donne.
«Ma sono solo bambini, dubito che possano fare grossi danni».
«Hem… Ti ricordo che anche noi eravamo solo bambini quando abbiamo fatto
saltare in aria venti calderoni nei sotterranei di Hogwarts». Obiettò Remus,
decisamente più preoccupato dell’amico.
«Certo me lo ricordo, che botto! Ma noi avevamo delle bacchette, loro
no». Insistette Sirius.
«Dubito che questo sia un ostacolo. Ricordo che, anche senza bacchette,
Fred e George ne combinavano di tutti i colori, nel vero senso della parola».
Intervenne Molly, rabbrividendo pensando a quegli anni.
«Sirius, dovete scoprire cosa stanno combinando. Questa non è una
richiesta, è un ordine!» Silphie scoccò un’occhiataccia al marito che non
ammetteva repliche.
«Signor Sì, Signora». Rispose Sirius imitando il saluto militare.
*****
Chiusi come al solito in
camera, Alexis e Julian studiavano un piano per velocizzare i lavori di
pulitura e apertura della porta di ferro arrugginita.
«Ci deve essere un altro modo, di questo passo non l’apriremo mai». Si
lamentò Julian.
«No, non c’è un altro modo. Senza magia è impossibile sbloccare quella
vecchia serratura». Ribadì per la centesima volta Alexis. «Potremmo chiedere
aiuto a Fred e George, in fondo è colpa loro se ci siamo infilati in questa
impresa». Continuò.
«Non ci pensare nemmeno. Dobbiamo farcela da soli». Obiettò Julian.
«Ok allora non ci resta che continuare…» Ma venne interrotta dal suono
di un altro marchingegno marchiato Weasley. «Presto, sta arrivando qualcuno!
Prendi la scacchiera!»
Julian non se lo fece ripetere due volte e in men che non si dica prese
la scacchiera che avevano abbandonato sopra al letto con una partita lasciata a
metà. «La prossima volta che andiamo a Diagon Alley ricordami di ringraziare i
gemelli per quel segnalatore d’intrusi». Esclamò prima di concentrarsi sui suoi
pezzi.
«Ok, ma ora zitto o ci sentiranno». Lo ammonì lei.
Dopo pochi istanti entrarono i rispettivi padri che con fare fintamente
disinvolto si sedettero vicino a loro.
«Ciao piccola, chi vince?» Chiese Remus dandole un bacio sulla testa.
«Per ora io, ma quella di prima l’ha vinta lui».
«Allora, cos’avete fatto di bello questa settimana?» Chiese Sirius.
«Abbiamo studiato e abbiamo giocato. Tutto qui». Rispose Julian senza
guardarlo.
«Io sto imparando a modificare il colore dei capelli, degli occhi e la
forma del naso contemporaneamente, ma è difficile», intervenne Alexis.
«Lo immagino. Nient’altro? Siete sicuri di non aver fatto qualcosa di
particolare?» Chiese ancora Sirius.
«Papà, qui non c’è molto da fare. L’unico che si diverte come un matto è
Max, mentre osserva i personaggi dei quadri che si muovono». Rispose Julian
sfoderando un tono di voce talmente rilassato che stupì sia Alexis che se
stesso.
«Questa casa non offre molti svaghi, lo so bene». Confermò il padre
soprappensiero, «allora vi lasciamo alla vostra partita, ci vediamo più tardi».
E così dicendo i due uomini uscirono dalla stanza e, una volta trovatisi da
soli cominciarono a tirare le somme di quello che avevano scoperto o, per
meglio dire, che non avevano scoperto.
«L’avevo detto che non c’era da preoccuparsi, sono solo bambini».
Mormorò Sirius cominciando a scendere le scale per tornare in salotto.
«Ne sei davvero sicuro?» Bisbigliò Remus fermandosi a metà scala.
«Certo, li hai visti anche tu, o sbaglio? Ma cosa stai facendo lì in
ginocchio?»
«Stai zitto due secondi e guarda qui cosa c’è».
L’amico si avvicinò e osservò attentamente il punto indicato, in
principio non vide nulla poi però notò una piccola sfera nascosta all’ombra del
gradino.
«Cos’è?» Chiese bisbigliando anche lui.
«Ha un’aria familiare…» Remus la prese in mano e se la rigirò tra le
dita, in rilievo era stampata una “W” «Weasley…» Commentò.
«Cosa? Quei due piccoli furfanti ecco dove spendono le loro paghette!»
Esclamò Sirius dimenticando di abbassare il tono della voce.
«Zito!» Lo ammonì nuovamente dandogli una gomitata nello stomaco, «ora
ricordo, vieni non facciamoci sentire…»
Rimise a posto la sfera e trascinò via l’amico.
Arrivati in cucina poterono tornare a parlare normalmente, con estremo
sollievo di Sirius intendo a massaggiarsi il punto in cui Remus lo aveva
colpito.
«Mi spieghi cos’è quell’affare sulle scale?»
« “Quell’affare” come lo chiami tu, è un’invenzione dei gemelli. E’ solo
una parte di tutto il marchingegno, quello che abbiamo trovato invia un segnare
ad un altro, che probabilmente è nascosto in camera, e li avverte se sta
arrivando qualcuno», rispose cercando di mascherare il senso di fierezza che lo
aveva pervaso pensando a quando quei due ragazzini fossero astuti. «Piuttosto
ingegnoso, ma mi chiedo a cosa gli possa servire visto che, come dici tu, sono
solo due bambini».
«Ok, ok, forse stanno davvero combinando qualcosa e Noi, domani,
scopriremo cosa». Sirius sfoderò il suo solito sorriso malandrino,
«Padfoot quando fai qui sorriso so che Noi finiremo nei guai». Sospirò
Remus.
«Andiamo Moony, un po’ di spirito avventuriero, come hai vecchi tempi!»
«E’ proprio per questo che mi preoccupo».
*****
Il giorno seguente, approfittando della passeggiata pomeridiana delle
mogli, Remus e Sirius misero in atto il loro piano.
Fecero credere ai figli che anche loro sarebbero usciti poi, facendo
molta attenzione alle “trappole” si nascosero al secondo piano e attesero in
una camera vuota vicino alle scale, dove attesero in silenzio. Ci vollero
quindici minuti prima che i due ragazzini si decidessero ad uscire.
«J.R. controlla di sopra, magari mia nonna è in giro». Ordinò Alexis.
Julian obbedì e salì fino al secondo piano, si guardò più volte in giro
facendo attenzione a non sporgersi troppo dal margine del muro poi tornò in
dietro.
«Sembra tutto tranquillo, andiamo». Così scesero di corsa le rampe di scale.
I due uomini uscirono dal loro nascondiglio e andarono a perlustrare la
camera di Julian in cerca di prove e indizi.
«Attento, potrebbe esserci qualche altra diavoleria in giro». Avvertì
Remus.
«Ok, allora che facciamo?» Chiese Sirius, ma in quel momento sentirono
la voce di Max all’interno.
«Papa! Tio!» Urlò il piccolo di casa Lupin.
«Max! Ciao cucciolo, ti hanno lasciato qui da solo!?» Esclamò Remus
prendendolo in braccio.
«Ci, Exiss e Guian giù». Mugugnò il bimbo giocando con i capelli del
padre.
«Giù dove?» Chiese Sirius facendosi avanti.
«Antina…» rispose, ancora intento nel suo gioco.
«Bene, Bravo ragazzo… Andiamo!»
«Ok. Max, stai qui e fai la guardia. Noi torniamo subito». Promise Remus
rimettendolo nel suo box.
«Mach guardia!» Rise salutandoli mentre uscivano.
Scendendo verso la cantina, entrambi tesero le orecchie per cercare di
capire quello che i due bambini stessero facendo ma non udirono nulla.
«Certo che se mi trasformassi…»
«Scordatelo Sirius…» Remus lo bloccò prima che potesse finire la frase.
«Ma…» Cercò di ribattere lui, si fermò per sbirciare oltre la soglia
dell’oscura cantina di casa Black, «per le ciabatte di Merlino, cos’è successo
qui dentro? Ero certo di aver messo quegli scatoloni qui in mezzo, e anche quei
tavolini… E questa cos’è? E da quando qui c’è una porta?» Chiese, stupito di
quella scoperta.
«Beh, suppongo che tu non abbia esplorato molto questa casa. Scommetto
che conosci meglio i sotterranei di Hogwarts».
«Questo è poco ma sicuro. Entriamo, cosa stiamo aspettando!?» Sirius era
anche fin troppo eccitato per quella scoperta, tanto che Remus fu tentato di
tornare al piano di sopra dal figlio ma, alla fine, si decise a seguirlo.
Più avanzarono, più si accorsero che il tunnel nel quale erano entrati
andava stringendosi e inclinandosi in modo strano.
«Ma stiamo andando al centro della terra?» Chiese Sirius scostandosi i
capelli dal viso che si erano appiccicati a causa del sudore.
«Shhh». Lo zittì Remus, mentre affievoliva la luce emanata dalla sua
bacchetta.
«Ma cosa…»
«Zitto!» Sibilò ancora.
In lontananza sentirono le voci di Alexis e Julian, contornate da strani
rumori.
«Smettila di lamentarti e spazzola». Lo rimproverò lei, mentre Julian
sbuffava, ma senza smettere di produrre quello strano rumore.
Remus e Sirius si fecero un cenno col capo e, dopo uno sguardo d’intesa
avanzarono ancora più silenziosamente di prima, fino ad arrivare alle spalle
dei due bambini. Sirius Batté più volte il dito sulla spalla del figlio, il
quale lanciò un urlo, seguito a ruota dall’amica.
«Hey calmatevi, siamo noi!» Cercò di calmarli Remus.
«Papà! Ma cosa ci fate qui? Anzi come ci avete trovati?» Chiese Alexis
dopo essersi ripresa dallo spavento.
«Per chi ci avete presi? Noi siamo i Malandrini di Hogwarts, nulla ci
sfugge». Esclamò Sirius battendosi una mano sul petto, Remus alzò gli occhi al
cielo, rassegnato.
«Cosa ci fate qui Voi. Non dovreste stare qui, è pericoloso». Li ammonì
Remus.
«Ecco… Noi abbiamo trovato una porta mentre stavamo giocando in
cantina…» Cominciò a dire Alexis.
«Poi il tunnel ed ora eccoci
qui». Continuò Julian, improvvisamente sentì che, nonostante tutto, doveva
difendere i gemelli. Ignorò l’occhiata dell’amica. «Questa, però, non riusciamo
ad aprirla» continuò indicando la porta di ferro, con ancora la spazzola in
mano.
«Quest’affare cos’è?» Chiese Sirius.
«Lo zio Arthur ci ha detto che per pulire il ferro dalla ruggine è
l’ideale. Ma fino ad ora non abbiamo ottenuto grossi risultati». Rispose Alexis
guardandosi le mani rosse e gonfie, a causa del troppo strofinare di quel pomeriggio.
«Mmm, dubito che riuscirete ad aprirla con quelle». Commentò Remus,
osservando attentamente la porta.
«Ma se voi ci date una mano… Magri con le vostre belle bacchette…»
Alexis fece gli occhi dolci al padre, ormai sapeva che non era in grado di resistere
alla sua bambina quando faceva così, Julian fece altrettanto con Sirius.
I due uomini si guardarono perplessi ma allo stesso tempo rassegnati.
Forse per la curiosità o per il fatto che non riuscivano mai a dire di no ai
loro figli, puntarono le bacchette verso la porta la quale si aprì subito.
Quella che si trovarono davanti fu una stanza buia che emanava un forte
odore di chiuso misto a polvere e muffa causata dall’umidità che sembrava
regnare da secoli lì sotto.
Sirius entrò per primo cercando d’illuminare il più possibile quel luogo
angusto: molti mobili impolverati erano stati accantonati in un angolo, mentre
alcuni grossi scatoloni se ne stavano abbandonanti proprio al centro della
stanza.
Julian si precipitò verso di loro per aprirli ma venne bloccato dal
padre.
«Aspetta, non si sa mai cosa si può nascondere in questa casa». Lo
avvertì, e con cautela cominciò lentamente ad aprire la prima scatola.
Al suo interno trovarono molte provette e alambicchi vari, poi passarono
alla seconda. Lì ci trovarono un mucchio di vecchie pergamene dalle scritte
sbiadite. Sirius le guardò per qualche istante poi capì.
«Il rifugio di mio padre, ecco dove andava a nascondersi…» Commentò
pensieroso.
«Guardate, che strano questo armadio». Esclamò Alexis avvicinandosi.
«Ferma, non aprirlo!» Remus la bloccò appena in tempo perché l’armadio
cominciò a muoversi.
«Ma cosa…» Tentò di dire lei.
«Un molliccio, quasi sicuramente un molliccio. Meglio non disturbarlo
chissà da quanti anni è chiuso la dentro». Rispose Remus allontanandola ancora
di qualche passo..
Julian si mise seduto a terra, noncurante della sporcizia che si era
accumulata al suolo. «Qui dentro non c’è assolutamente niente d’interessante!»
Sbuffò.
«Hai ragione, tanto lavoro per niente…» Concordò Alexis.
I rispettivi padri si sedettero vicino a loro.
«Cosa pensavate di trovare per l’esattezza?» Chiese Sirius.
«Un tesoro, o qualcosa di simile. In fondo questa casa appartiene a una
delle più antiche famiglie del mondo magico». Rispose Julian.
«Già, ma temo che col tempo sia rimasto gran poco di quello splendore».
Ammise Sirius, cercando d’ignorare la delusione dei due bambini.
«Io non sono d’accordo sul fatto che questa piccola avventura non ha
portato a niente. Avete lavorato molto, e vi siete impegnati per raggiungere
uno scopo, e tutto senza magia. Dovreste essere molto fieri di voi stessi».
Affermò Remus.
Alexis e Julian ci pensarono sopra per qualche istante, poi sorrisero.
«E’ vero! Siamo stati davvero bravi. E pensa a cosa saremo in grado di
fare una volta che avremo le nostre bacchette!» Esclamò Alexis, trovando la
complicità dell’amico.
Sirius fisso Remus. «Tra tre anni, questi due, ci daranno un sacco di
problemi…» Gli sussurrò, Remus annuì quasi terrorizzato alla sola idea.
«Quando tornarono di sopra stavano ancora ridendo ma smisero subito
appena si ritrovarono di fronte Silphie e Tonks.
«Hem ciao amore…» Sirius
abbozzò un sorriso verso la moglie che, invece, passò il suo sguardo
scandalizzato dal marito al figlio, i due erano completamente ricoperti di polvere
e ragnatele, come anche Remus e Alexis.
«Ma cos’avete combinato?» Chiese con voce strozzata.
«Ecco, abbiamo… Sistemato un poco la cantina, sono mesi che me lo
dici…E così oggi…» Sirius cercava di
pensare il più velocemente possibile ad una scusa da rifilare alla moglie, ma
senza successo.
«Ok, non lo voglio sapere, ma ora filate tutti di sopra a lavarvi».
Tonks dal canto suo riuscì a stento a trattenere le risate osservando la
figlia, i cui occhi azzurri brillavano, anche se contornati da uno strato di
polvere grigia non indifferente.
I quattro salirono di corsa su per le scale lasciando le due donne di
nuovo da sole.
«Sai Tonks, a volte mi chiedo quanti figli abbiamo in realtà».
«Semplice, in tutto tre piccoli, due grandi, e in più quelli in arrivo».
Tonks e Silphie scoppiarono a ridere, ammettendo che quella era la pura e
semplice verità.
Piaciuto?
Prima
di tutto volevo ringraziare tutte le persone che continuano a leggere le mie
storie e a commentarle, o solamente leggerle. Grazie di cuore.
Ora
vi lascio, e vi do appuntamento alla prossima pubblicazione ;)
Sono di nuovo
qui per aggiornare la mia FF. qualcosa mi dice non sta avendo particolarmente
successo. Un po’ mi dispiace, ma ora che ho cominciato a pubblicarla devo
finire.
Tre Possono
Bastare
Capitolo IV
(Grace)
Aprile aveva portato con se i colori e i profumi della primavera. A casa
Black regnava un’aria allegra anche grazie ai bambini che non stavano mai fermi
cinque minuti di fila. Tonks però ormai era confinata a letto, proprio come due
anni prima, su ordine insindacabile di Libby.
Spesso e volentieri i bambini andavano a trovarla per farle compagnia,
trascurando così le loro avventure. Nonostante questo Tonks si sentiva sola,
avrebbe voluto avere Remus vicino, lui era l’unico in grado di farla stare
davvero bene anche se relegata in quella stanza, ma sapeva altrettanto bene che
non gli avrebbe mai accennato niente di tutto ciò per non turbarlo, e per non
costringerlo a lasciare il lavoro che amava.
«Mamma, stoia». Esclamò Maximilian, risvegliandola dai suoi pensieri e
porgendogli un libro di favole.
«Ma certo piccolo mio, vediamo… Quale leggiamo?» Chiese sfogliandolo.
«Etta!» Rispose lui puntando il ditino su una pagina.
Così Tonks cominciò a leggere con il figlioaccoccolato vicino.
«C’era una volta in un regno lontano, lontano, un piccolo principe
che viveva in un grande castello circondato da tante persone. Nonostante questo
però, si sentiva solo perché la sorella più grande si divertiva con i suoi
amici, mente lui giocava sempre da solo.
Un giorno, mentre giocava nel grande parco del castello, vide passare
il re e la regina, i quali si avvicinarono per fargli un poco di compagnia.
Improvvisamente il piccolo principe smise di giocare.
«Non ti senti bene?» Chiese il re preoccupato per il figlio.
«Vorrei dei bambini con cui giocare». Rispose il bimbo, con sguardo
triste.
I genitori si guardarono poi annuirono con fare complice.
«Piccolo mio, tu sei primo a cui lo diciamo, ma presto ci sarà un
altro principino o principessina qui al castello, e quando sarà un poco più
grande potrete giocare…»
Tonks s’interruppe bruscamente a causa di una forte fitta al ventre che
le tolse il fiato.
Max si mise seduto e fissò la mandre con occhi sgranati.
«Mamma…» Mormorò preoccupato.
«Non… Non ti preoccupare la mamma sta bene». Cercò di rassicurarlo.
Sfortunatamente per lei, Max non sembrava convinto e appoggiò una manina
sul ventre della madre e, appena percepì quel tocco, il nascituro smise di
agitarsi.
«Visto? Ora va meglio». Tonks tirò un sospiro di sollievo sentendo la
fitta diminuire d’intensità, «ora vai di sotto con gli altri, tra poco arriverà
papà».
Così Max scese dal letto, non prima d’aver dato un bacio alla madre, poi
corse fuori dalla stanza.
Tonks, rimasta sola, si appoggiò stancamente sui cuscini, «manca poco…»
Sussurrò, sorridendo.
Come previsto Remus arrivò di li a un’ora e, dopo aver salutato i figli,
corse subito dalla moglie.
«Ciao tesoro, come ti senti?» Chiese sedendosi vicino a le i e
baciandola.
«Vediamo: sono confinata in questa stanza da un mese, mi posso alzare
solo per andare in bagno, ma non da sola, e sono grossa come un ippogrifo.
Secondo te come sto?» Rispose acida.
«Mi dispiace amore». Si scusò lui, sentendosi in parte responsabile di
tutto questo.
«No, scusami tu, non è colpa tua, anzi, direi di sì». Rise,
accoccolandosi tra le sue braccia, «sai, manca poco…» Continuò.
«Già, ormai sei al nono mese…» Commentò lui.
«No, manca davvero poco. Me lo sento, presto la o lo terremo in
braccio». Si spiegò meglio.
«Non vedo l’ora».
«Se vuoi, quando sarà il momento, ci scambiamo di posto…» Propose lei.
«Se si potesse fare, lo fare. ma le altre due volte sei stata così
brava».
«Adulatore…» Sorrise.
«Dico solo la verità». Ricambiò il sorriso per poi dargli un bacio sulla
testa.
Dopo qualche istante Alexis piombò nella loro camera da letto seguita dal
fratellino. «Mamma, papà! Possiamo stare un po’ qui con voi?» Chiese saltando
sul letto.
«Certo!» Rispose Tonks facendogli posto, ma mentre si spostava avvertì
un’altra fitta al ventre.
«Dora, tutto bene?» Chiese Remus.
«Credo di sì». Ma il suo tono di voce non era molto convincente.
«Non credi che sia il caso di andare…» Tentò di dire.
«No, non è ancora il momento». Lo rassicurò.
Remus, senza toglierle gli occhi di dosso, si appoggiò alla testiera del
letto.
La stanza era immersa nel silenzio, quando Remus fu svegliato di
soprassalto da un urlo della moglie.
«Cosa c’è?» Chiese ancora intontito dal sonno.
«R… Remus dobbiamo andare. Subito!»
«Cosa? Oh sì, ok, vado ad avvertire quelli del..» Tonks però lo bloccò
afferrandogli il braccio.
«No, resta qui…» Lo supplicò.
«Va bene, ma devo chiedere a Sirius d’avvertire i portantini, poi torno
subito da te, lo prometto». Tonks annuì mollando la presa.
Nel giro di due minuti i portantini arrivarono a casa Black e, dopo
essersi accertati delle reali condizioni di Tonks, si smaterializzarono con
lei.
Remus si voltò verso gli amici, «io devo andare ma i bambini…»
«Ci pensiamo noi, tu vai». Lo rassicurò Sirius.
«Vengo con te». S’intromise Andromeda, Remus annuì.
«Papà, aspetta, vengo anche io!» Urlò Alexis andandogli in contro,
completamente vestita. Remus sorrise, ormai conosceva la figlia e sapeva che
nulla le avrebbe fatto cambiare idea.
«Sirius, più tardi, potreste portare anche Max all’ospedale?» Chiese
all’amico, Sirius annuì pochi istanti prima che i tre sparissero con uno
schioppo.
Arrivati a destinazione, si avviarono a grandi passi verso il sesto
piano dove si trovava il reparto di ostetricia.
«Mi scusi, sto cercando mia moglie, è stata portata qui poco fa». Chiese
ad un’infermiera che incontrarono nel corridoio.
«Certo, la stanno portando in sala parto. Vuole che l’accompagni?» Remus
annuì, ma prima andò verso la figlia.
«Resta qui con la nonna , appena ci sono novità ti mando a chiamare». La
baciò sulla fronte poi seguì l’infermiera.
Appena entrato in sala parto corse subito al capezzale di Tonks.
«Amore sono qui». Disse prendendole la mano.
«Eccoti! E i bambini?» Chiese affannata.
«Alexis è qui fuori con tua madre. Max è a casa con Sirius e Silphie,
non me la sono sentito di svegliarlo». Rispose.
«Hai fatto bene… »Un urlo causato da una contrazione le impedì di finire
la frase.
«Tonks ci siamo, alla prossima devi cominciare a spingere». L’avvertì
Libby.
Il travaglio durava da circa due ore ma il bambino non ne voleva sapere
di uscire.
«Non… Non ce la faccio più». Balbettò Tonks stremata.
«Resisti! Ricordi? Con Alexis e Max sei stata bravissima, e anche adesso
lo sei». Cercò d’incoraggiarla.
«L’offerta di prendere il mio posto è sempre valida». Remus sorrise
passandole una mano tra i capelli impregnati di sudore.
«Forza Tonks ci siamo quasi, tieni duro. So che sei stanca ma devi
resistere». La incitò Libby.
Tonks annuì e, proprio in quel momento arrivò un'altra contrazione.
«Spingi!»
«Forza tesoro, ci siamo!» Continuarono ad incoraggiarla, e dopo pochi
istanti sentirono il pianto disperato del loro bambino.
«Eccolo! Anzi, eccola è una femminuccia!» Esclamò Libby porgendogli il
fagottino rosa.
Tonks, in lacrime, prese tra le braccia la sua bambina.
«Ciao piccolina». Sussurrò toccandole le manine e poi il nasino.
«E’ bellissima...» Remus era troppo commosso per dire altro.
Restarono parecchi minuti ad ammirare quella piccola creatura poi
decisero di far entrare anche Alexis e Andromeda.
«E’ così bella, guardate che occhietti azzurri, e che capelli cosi scuri
e riccioli…» Esclamò la neo – pluri - nonna, sfiorandole una guancia rosea.
«Max mi sembrava più piccolo quando è nato, o sbaglio?» Chiese Alexis.
«In effetti era più piccolo ma lui è nato all’ottavo mese». Le spiegò
Remus.
Poco dopo arrivò un’infermiera. «Scusate ma dobbiamo potare la neo mamma
e la bambina in camera. Hanno bisogno di riposo».
«Va bene, Andromeda puoi portare Alexis a casa? Io resto qui».
«Ma certo, non ti preoccupare, vieni piccola».
«Ma non sono stanca, e poigià
giorno!» Esclamò la bimba cercando, inutilmente, di trattenere uno sbadiglio.
«Certo, ma andiamo lo stesso, così avvertiamo tutti della nuova
arrivata». Andromeda prese la nipote per mano e, dopo aver salutato i genitori
sparirono.
Remus rimase con la moglie per tutta la mattina, nonostante lei fosse
crollata dalla stanchezza appena la misero a letto.
Lì seduto rimase a guardarla dormire, immobile, rapito.
Verso mezzogiorno qualcuno bussò alla porta destandolo dal suo piccolo
mondo personale in cui era sprofondato.
«Ciao vecchio mio! Congratulazione!» Esclamò Sirius entrando nella
stanza, con il piccolo Max in braccio.
«Grazie Sirius». Sorrise cercando di condurli fuori dalla stanza, «ora
stanno dormendo, è stata una lunga notte», continuò prendendo il figlio in
braccio. «E tu come ti senti?» Chiese a Silphie, che nel frattempo si era
seduta su una sedia del corridoio.
«Bene, non ti preoccupare».
«R… Remus, chi c’è?» Biascicò Tonks, ancora intontita, cercando di
mettersi faticosamente seduta.
«Scusa cuginetta, non volevamo svegliarti». Sirius rientrò nella stanza
e le andò in contro.
«Ciao! Non ti preoccupare, è bello vedervi qui»
«Mamma!» Urlò Max, allungandosi verso di lei.
«Ciao piccolino!» Il bambino le gettò le braccia al collo e le diede un
bacio sulla guancia.
«Soellina?» Chiese.
«E’ lì, nella culla». La madre gliela indicò e lui, a carponi, si sporse
per guardare all’interno.
«Tao, soellina!» La salutò con la manina.
«Ditemi che questa volta avete già pensato ad un nome, non possiamo
chiamare anche lei “bambina” o “piccolina” per tutto il prossimo mese». Il tono
della voce di Sirius rasentava la supplica.
«Ecco… Noi ci abbiamo pensanto ma…» Tentò di dire Tonks.
«Sì, avevamo delle preferenze, ma…» Continuò Remus.
«Lo sapevo, tutte le volte la stessa storia». Commento Sirius.
«Geis». Esclamò
Maximilian.
«Cos’hai detto?» Chiese Remus al bimbo.
«Soellina Geis»
«Hai detto Grace? Bello!» Esclamò Tonks. «Bravissimo Max!»
«Grace Lupin, suona bene». Commentò Remus, prendendola in braccio,
visito che con tutto quel trambusto si era svegliata e reclamava attenzioni.
Stavano ancora chiacchierando, quando nella stanza arrivò Libby.
«Come si sente la neo mamma? Oh Silphie vedo che ci sei anche tu, come
stai?» Chiese.
«Ciao Libby. Tutto bene, ma mi sento grossa come un olifante».
«Non darle retta, è sempre stupenda». Sirius le diede un bacio per non
farla controbattere.
«Campisco, visto che sei già qui, cosa ne diresti di vedere come
procede? Sirius vieni anche tu, così li lasciamo soli per un po’, presumo che
la piccola abbia fame». Propose la guaritrice, «Scusa Tonks, ci vediamo più
tardi, se per te non è un problema».
«Non ti preoccupare, il grosso io l’ho fatto, ora tocca a lei». Rise
salutandoli, mentre i tre uscivano dalla stanza.
Arrivati nello studio di Libby, Silphie andò subito a prepararsi per la
visita.
«C’è qualcosa che non va?» Chiese Sirius, preoccupato.
«No, tranquillo, è solo una visita di controllo». Lo rassicurò.
Tutto si svolse come al solito fino a quando Libby rise compiaciuta. «Lo
sapevo, è come pensavo». Esclamò decisamente fiera del suo intuito.
«Cosa vuoi dire? C’è qualcosa che non va? Non tenerci sulle spine». La
supplicò Silphie, che cominciava ad agitarsi per lo strano comportamento della
guaritrice.
«Libby?» La incalzò Sirius, vedendo che non si decideva a rispondere.
«Scusate, allora è tutto a posto, ma…»
«Ma??» La interruppe Sirius.
«Ma il bambino…»
«Ma il bambino cosa? Non sta bene?»
«Sirius lasciala finire!» Lo rimproverò la moglie.
«Ok, dicevo, il bambino sta benissimo, anzi, stanno bene tutti e due i
bambini!» Esclamò eccitata guardandoli, ma la reazione dei due diretti
interessanti non fu esattamente quella che si aspettava, o forse sì.
Sirius crollò seduto sulla sedia, dalla quale si era alzato pochi
istanti prima, senza però lasciare la mano della moglie, che dal canto suo era
sbiancata.
«Hey, vi sentite bene?» Chiese avvicinandosi a loro. Il primo a dare
segni di vita fu Sirius, che cominciò ad annuire e a respirare.
«G… Gemelli». Sussurrò, questa volta fu Libby ad annuire mentre lui
cominciava, pian piano, a sorridere voltandosi verso la moglie che aveva gia
cominciato piangere per l’emozione.
Si abbracciarono.
Ci volle almeno un’ora prima che entrambi si riprendessero dalla notizia
e, quando tornarono nella stanza di Tonks, sfoggiavano ancora dei sorrisi
smaglianti.
«Ben tornati, eravamo preoccupati. Tutto bene?» Chiese Remus, alzandosi
per lasciare la sedia Silphie.
«Grazie. Sì tutto benissimo». Rispose lei accomodandosi, senza smettere
di sorridere.
«Cosa vi ha detto Libby?» Chiese Tonks, incuriosita dal loro strano
comportamento.
«Mi ha visitata, poi ci ha dato una notizia sconvolgente». Cominciò a
raccontare la donna.
«Una super notizia, una notiziona! Lo posso dire io?» La supplicò
Sirius, con occhi luccicosi. Appena ricevette il via libera parlò a raffica,
Remus e Tonks faticarono per stargli dietro.
«L’ha visitata, poi ha esclamato qualcosa del tipo “lo sapevo!” Noi due
ci siamo allarmati da morire ma lei non si decideva ad arrivare al punto, così
ho dovuto metterla alle strette. Ma alla fine sono riuscito a farla parlare…
Avremo due gemelli!» Urlò in fine.
Max che dormiva in fondo al letto di Tonks si svegliò di soprassalto,
quasi cadde a terra.
«Cosa? Gemelli? Wow questa si che è una notizia. Congratulazioni amico!»
Remus gli strinse la mano.
«Sono felice per voi!» concordò Tonks abbracciando l’amica.
«Grazie! Ci ho messo quasi un’ora per riprendermi, sarà un bel
cambiamento, non c’è che dire, ma ora mi sto abituando all’idea». Silphie si
sfiorò il ventre.
«Già, ma ora dovremo dirlo anche a Julian». Commentò Sirius, un poco
preoccupato. Lei annuì.
Tenete duro, mancano sono due capitoli + l’epilogo, poi vi
prometto che questa FF finirà.
Dai vostri
commenti deduco che la notizia dell’arrivo dei gemellini Black, vi ha lasciato
abbastanza stupiti, hihi bene era quello che volevo.
Ed ora, buona
lettura!
Tre Possono
Bastare
Capitolo V
(Faccende d’amore?)
Tre giorni dopo il parto, Tonks e la piccola Grace, tornarono a casa
dove ad attenderle si era formato un piccolo, ma folto rumoroso comitato
d’accoglienza. Nonostante quel baccano, Grace non sembrò intimorita, anzi, si
divertì molto osservando incuriosita dalle strane persone che le giravano in
torno.
Tutti rimasero incantati da lei, compresi i genitori, i quali passavano
molto tempo a guardarla dormire nella sua culla, ma c’era qualcun altro che non
la lasciva quasi mai da sola. Maximilian era diventato una sorta di guardiano
e, per avvicinarsi a lei, bisognava chiedere il suo permesso.
«Max, tesoro. Dovresti andare a dormire, è tardi». Sussurrò la madre
cercando di non svegliare la bimba.
«E’ vero, torna i camera tua. Penseremo noi a lei mentre dormi».
Concordò Remus. Max ci pensò per qualche istante, e non si accorse delle risate
trattenute, a fatica, dai genitori.
«Davveo?» Chiese. Loro annuirono. «Va bene, buonagnotte», e così se ne
andò, non prima di aver dato un’ultima occhiata alla sorellina.
Appena la porta si chiuse, entrambi si lasciarono andare alle risate.
«Ha preso davvero sul serio il suo ruolo di “fratello grande”». Esclamò
Remus, Tonks annuì incapace di parlare per il troppo ridere, ma senza riuscire
a nascondere uno sbadiglio.
«Vieni qui». Sorrise Remus l’attirandola a sé, facendola accoccolare
meglio contro il suo petto, e poco dopo lei si addormentò, esausta.
Nel frattempo nella camera dei bambini nessuno sembrava intenzionato a
dormire. Anzi, Julian sembrava più irrequieto del solito.
«Gemelli… Due fratelli o sorelle, in un colpo solo… Almeno tu ti sei
potuta abituare all’idea con calma».
«Non mi sembra una cosa così brutta». Commentò Alexis.
«Lo so, è solo strano. E’ difficile avere un fratellino figurati due
insieme».
«Vedrai che ti passerà subito. Ti ricordi quando mi avevano detto che
stava arrivando Max?» Chiese lei.
Julian annuì.
«Mi piaceva essere da sola con mamma e papà e non volevo dividerli con
altri bambini. Poi però me l’hanno messo in braccio e ora sono contenta che ci
sia, e anche Grace». Confidò.
«Forse hai ragione…» Concordò.
«Poi, se i tuoi genitori sono presi da loro due, tu potrai fare quello
che vuoi». Alexis sorrise, trovando il pieno appoggio dell’amico.
Le settimane passavano e tutti gli abitanti che animavano casa Black si
stavano abituando a tutte le novità che erano avvenute quel caldo giorno di
aprile.
Tonks era sempre più assorta nell’accudire l’ultima arrivata, ma questo
non le impediva difare compagnia
all’amica, giunta ormai all’ottavo mese, che se ne stava spesso a letto per
evitare complicazioni.
«E’ una mia impressione, o i giorni non passano mai?» Sbuffò la donna.
«Ti capisco, ma ti resta solo un mese, cerca di goderti questi ultimi
giorni di tranquillità, quando i gemelli saranno nati, rimpiangerai questa
calma». Rispose Tonks, mentre finiva di dare da mangiare a Grace.
«Lo so, ma sarà un lungo, lunghissimo mese». Sospirò.
Toc, toc. Julian entrò nella stanza tenendo in mano un vassoio, con
delle invitanti pietanze sopra.
«La zia Molly mi ha chiesto di portarti questo». E lo appoggiò vicino a
lei.
«Grazie tesoro, e ringrazia anche Molly».
«Ti serve altro?» Chiese Julian.
«No, grazie, torna pure a giocare con gli altri». Rispose la madre.
«Ok, ma se cambi idea chiamami». Ribadì lui prima di uscire.
Tonks osservò per qualche istante la porta chiusa.
«Hey ma si sente bene? Da quando è diventato così premuroso?» Chiese.
«Non lo so. All’inizio non sembrava particolarmente felice dell’arrivo
dei gemelli. Ora, invece, non fa che coccolarmi. E ‘quasi sospetto». Rispose
Silphie.
«Bel cambiamento, goditelo finche dura». Entrambe scoppiarono a ridere,
ma Silphie si bloccò subito.
«Sil tutto bene?» Chiese Tonks. L’amica annuì.
«Sembra che questi due stiano giocando alla lotta». Riuscì a dire dopo
aver ripreso fiato.
«Ne sei sicura? Forse è il caso di chiamare Libby». Propose Tonks, ma
Silphie scosse la testa.
«Non c’è da preoccuparsi, non è il caso di disturbarla per così poco».
Tonks decise di darle retta ma non le tolse gli occhi di dosso per tutto
il resto della giornata.
Come previsto da Tonks le fitte accusate dall’amica, nascondevano
qualcosa di più. Verso metà maggio le condizioni di Silphie precipitarono a tal
punto che Libby predispose un suo ricovero immediato.
Quando Tonks vide Sirius al San Mungo era ancora intento a fermare tutte
le infermiere che incontrava, in cerca d’informazione.
«Sir! Vieni, è qui». Lo chiamò.
«Tonks, finalmente! Ma cos’è successo? Tua madre mi ha chiamato dicendo
che Silphie era qui e..» Era in preda al panico.
«Sì, è qui ma ora sta bene. Cerca di calmarti prima di entrare da lei,
altrimenti rischia di agitarsi di nuovo. Non è stato facile calmarla».
Sirius fece parecchio fatica per riacquista il suo solito autocontrollo
ma, alla fine, ci riuscì.
Silphie era distesa a letto, intenta ad osservare il cielo azzurro fuori
dalla finestra.
«Amore, come stai?» Esclamò Sirius correndo verso di lei.
«Sirius! Finalmente sei qui…» Lei si voltò di colpo e allungò le braccia
per farsi abbracciare.
«Cos’è successo?» Chiese lui, dopo aver sciolto l’abbraccio.
«Mi sono sentita male a casa, così Tonks ha chiamato subito Libby. Dice
che è stato un inizio di travaglio, succede spesso nei parti gemellari. Ma ora
va tutto bene». Rispose, cercando di tranquillizzarlo.
«Sicura?»
«Sì, ma mi hanno detto che per precauzione è meglio che io resti qui
fino al parto».
«Resterò qui con te…»
«No. Tu devi tornare a Hogwarts, tra poco ci saranno anche gli esami,
non voglio che trascuri il tuo lavoro».
«E’ vero, Sirius non ti preoccupare ci siamo qui noi per aiutarla,
Molly, mia madre e io a turno le staremo sempre vicine. In oltre non
dimenticare che qui è in buone mani».
«Ok, ma se succede qualcosa chiamatemi subito».
«Certo. Ora vi lascio un po’ da soli, torno a casa dai bambini saranno
ancora scossi», e così dicendo uscì dalla stanza.
Riapparsa a casa, venne letteralmente assalita da Julian e Alexis.
«Come sta la mamma? E i bambini?» Chiese con tono particolarmente
ansioso, Julian.
«Tutti bene. Libby ha deciso di tenere tua mamma sotto osservazione fino
al momento del parto, così se i gemelli decideranno di nascere prima del
previsto saranno tutti pronti».
«Davvero? Non lo dici solo per tenermi buono?»
«Ma certo che dico sul serio, non ti mentirei mai su una cosa del
genere. Domani andremo da lei così lo vedrai con i tuoi occhi».
«Va bene, ci sto». Julian abozzò un sorriso.
Passarono due settimana dal ricovero di Silphie, ma tutto era ormai
sotto controllo quindi tutti si ritrovarono ad essere molto più tranquilli.
In una mite serata di fine maggio, mentre Tonks cercava di far
addormentare Grace, Alexis leggeva un fumetto sdraiata sul letto dei genitori.
«E’ interessante?» Le chiese la madre, ancora intenta a cullare la
bimba.
«Sì, è una storia d’amore. Sembra tutto difficile da capire».
«Cosa vuoi dire?»
«Questa cosa dell’amore. Non credo di averla capita tanto bene».
«In effetti è molto complicata, ma sei ancora piccola, col tempo
capirai». Rispose Tonks, tranquillamente rimettendo Grace nella culla.
«Tu e papà quando vi siete innamorati?» Chiese improvvisamente
spiazzando la madre.
«Cosa?»
«Come vi siete conosciuti lo so, lo zio Sirius ne parla sempre. Dice che
papà è sempre stato un grande testone, e questo mi sembra strano perché secondo
me, la testa dello zio è molto più grande di quella di papà, ma voglio sapere
quando avete capito che eravate innamorati».
«Beh vedi, non è una cosa facile da spiegare…»
«Perché?»
«Perché i sentimenti, certe volte, sono difficili da spiegare a parole».
«Ma tu quando hai capito che eri innamorata?»
«Quasi subito direi. Appena ho visto papà ho capito di essere innamorata
di lui».
«E lui? Anche papà si è innamorato subito?»
«Dovresti chiederlo a lui, non credi? Certo lo zio Sirius ha ragione
quando dice che papà è un poco testone, non nel senso che abbia la testa
grande, ma solo perché…Quando decide una cosa è difficile fargli cambiare
idea». Cercò di spiegarle, mentre ripensava a quei momenti.
«Io ci riesco sempre». Esclamò piuttosto fiera di sé.
«Già, lo so». Rise.
«Va bene, quando torna gli chiedo a lui e poi corro subito a dirtelo.
Bisogna sempre sapere queste cose».
Tonks non sapeva esattamente cosa pensare o dire, ma una cosa era certa,
avrebbe davvero voluto assistere a quella conversazione.
Come promesso, Alexis non si fece sfuggire l’occasione d’interrogare il
padre sulle “faccende d’amore” come le chiamava lei.
L’occasione tanto attesa si presentò il sabato successivo alla
discussione con la madre. Remus se ne stava in salotto seduto sul divano
leggendo alcune pergamene, mentre teneva una piuma in mano, ogni tanto
tracciava delle righe oppure scriveva dei commenti su di esse. Alexis rimase ad
osservarlo per qualche minuto dalla porta socchiusa poi, con finta noncuranza
entrò e si sedette proprio vicino a lui.
«Ciao papà, cosa fai di bello?»
«Correggo dei compiti in classe. Tu, invece? Come mai non sei a giocare
con Julian?»
«E’ andato a trovare sua mamma in ospedale, Max dorme e la mamma è
uscita con la nonna e Grace. Siamo da soli». Sorrisa compiaciuta, di quelle
coincidenze fortunate.
«Se vuoi che facciamo qualcosa insieme, questi compiti posso sempre
correggerli più tardi», proposte l’ignaro genitore.
«Ok! Parliamo un po’».
«Certo, di cosa vuoi parlare?» Di cosa mai poteva parlare con la sua
primogenita di nove anni?
«Quando ti sei innamorato della mamma?»
Quella domanda lo fece sbiancare in volto, le mani cominciarono a
diventare umide mentre, ne era certo, alcune goccioline di sudore freddo
caddero dalle sue tempie.
«C… Cosa?»
«Quando ti sei innamorato della mamma? Lei mi ha detto che si è
innamorata di te appena ti ah visto, tu invece?» Chiese di nuovo, sembrava non
aver notato lo stato di puro panico del padre.
«Ecco, io… Hem, cosa ne dici di andare a Diagon Alley?» Cercò di
distrarla.
«No, grazie. Come mai non vuoi rispondere?» Tentativo fallito.
«No, non è che non voglio rispondere. Solo… Vedi non è facile spiegare
certe cose».
«Me lo ha detto anche la mamma. Ma io voglio capire». Sbuffò.
«Va bene ci provo». A quelle parole un grande sorriso si aprì sul volto
di Alexis.
Remus prese un grosso respiro.
«Anche io mi sono innamorato a prima vista. Ormai sono passati quasi
undici anni. Eppure mi sembra solo ieri che l’ho vista entrare per la prima
volta nella cucina di questa casa».
«Quindi siete stati insieme due anni prima del mio arrivo?»
«Hem… Non proprio. Era un periodo molto brutto, quello in cui ci siamo
conosciuti, non c’era molto tempo per l’amore».
«Ma con tante cose brutte, ci voleva qualcosa di bello».
«Infatti, solo che ci ho messo un po’ troppo a capirlo. Per fortuna la
mamma è caparbia,non ha smesso
d’insistere, ed ora eccoci qui».
«Cosa vuol dire caparbia?»
«Se una persona è caparbia vuol dire che non rinuncia facilmente a
quello che desidera ottenere. E la mamma non ha rinunciato, e all’amore che
provava per me»
«Non volevi stare con lei?» Chiese stupita di quella rivelazione.
«Certo che volevo, ma le complicazioni erano tante».
«Però poi hai cambiato idea».
«Sì, la mamma è sempre stata molto convincente». Sorrise tra sé e sé.
Alexis rimase in silenzio per diversi minuti.
«Le faccende d’amore sono davvero complicate. Troppo complicate».
Remus rise, osservando l’espressione corrucciata della figlia.
«Papà?»
«Dimmi».
«Ti va ancora di andare a Diagon Alley? Ora ho proprio bisogno di un
gelato al cioccolato». Mugugnò.
«Certo, Andiamo!» Felice che quella discussione imbarazzante fosse
finita.
Erano a pochi passi dalla porta d’ingresso quando sentirono la voce di
Sirius provenire dal camino del salotto.
«Remus! Chiama tutti a raccolta, ci siamo!» Urlò.
Prima di tutto vorrei ringraziare per i vostri messaggi
di supporto, mi hanno dato di nuovo la fiducia che avevo perso a causa delle
poche letture che sta riscotendo questa mia ultima FF, grazie di cuore!
Ed ora vi dico arrivederci alla prossima
pubblicazione!
Sono di nuovo
qui, mi aspettavate con ansia, vero? (fatemi contenta e dite di sì hihi).
Siamo quasi
giunti alla fine di questa storia, ma di certo non finisco l’emozioni.
Buona lettura.
Tre Possono
Bastare
Capitolo VI
(Nuovi arrivi)
Tonks si ritrovò faccia a faccia con un grosso lupo
argenteo il quale cominciò a parlare con la voce di Remus.
“Io e Alexis siamo corsi al San Mungo. Ci siamo,
Sil sta per avere i bambini. Raggiungici appena puoi, Molly si occuperà di Max
fino al vostro ritorno a casa. Fai presto”.
Con occhi sgranati fissò la madre.
«Vai, a Grace ci penso io e appena arrivo a casa dico a Molly di
raggiungervi». La rassicurò.
«Grazie mamma. Ciao piccola mia», e dopo aver dato un bacio alla figlia
si smaterializzò.
Riapparve pochi istanti dopo davanti all’entrata dell’ospedale e, dopo
aver sbrigato le solite formalità d’entrata, si precipitò al sesto piano dove
alcuni amici erano già arrivati e aspettavano con impazienza il lieto evento.
Appena la videro la salutarono con vari sorrisi.
Remus le corse in contro.
«Eccoti, hai fatto presto».
«Appena ho ricevuto il tuo messaggio mi sono precipitata qui, mia madre
terrà i bambini con sé fino al nostro ritorno. Ma dimmi, ci sono novità?»
Chiese, ansimando per al corsa.
Lui scosse la testa e l’accompagnò dal resto della compagnia.
«Mamma sei arrivata!» Urlò Alexis andandole in contro, lasciando per un
attimo da solo Julian.
«Certo. Come sta Julian?»
«Bene. Credo… Forse è solo un po’ agitato».
«Stagli vicino, per lui è tutto nuovo».
Alexis annuì tornando dall’amico.
Poco dopo l’arrivo di Tonks, fecero il loro ingresso in reparto anche
Molly e Charlie, il secondogenito dei Weasley era a casa per un periodo di
vacanza e aveva incontrato la madre nell’atrio dell’ospedale, poi tutti insieme
attesero con ansia notizie dalla sala parto.
Ci vollero due ore prima che un’infermiera uscisse a dare notizie, ma la
poveretta non poteva certo aspettarsi un assalto simile.
Una mezza dozzina di persone le piombarono addosso parlando
contemporaneamente e schiacciandola contro il muro. Le sue richieste di parlare
uno alla volta caddero nel vuoto, soffocata dal vociare generale, fino a quando
una donnetta bassa dalla capigliatura rossa, con voce autoritaria, li fece
tacere. Con grande sollievo dell’infermiera.
«Prego mia cara, dica quello che è venuta a dire». La incoraggiò.
«Va bene, Il signor Black mi ha pregato di venire qui ad avvertirvi che
uno dei bambini è nato, ed è una bellissima bambina». Annunciò.
Dalla piccola folla esplose un’esultanza pari alla vittoria della coppa
del mondo di Quidditch.
«E l’altro bambino?» Chiese Julian facendosi largo tra gli adulti. «Sarà
una femmina?»
«Tu devi essere Julian, vero?» Il bambino annuì. «Lo sapremo tra poco.
Ora torno dentro e appena so qualcosa torno qui ad avvertirti». Così dicendo si
congedò dai presenti, e lentamente tutti tornarono ai rispettivi posti
commentando la notizia appena ricevuta.
«Una bambina, chissà a chi assomiglierà». Esordì Fleur.
«Già, sono curioso anche io di saperlo». Confermò il marito.
«Io, invece, sono curiosa di sapere se anche l’altro sarà una
femminuccia» s’intromise Molly.
«Spero sia maschio». Dichiarò Julian.
«Perché? Cos’hai contro le femmine?» Chiese risentita Alexis, fissandolo
torva.
«Niente!» Si affrettò a rispondere. «E’ solo che… Ecco, non mi va di
essere in minoranza. Se fosse maschio saremmo alla pari. Tre maschi e tre
femmine».
«Non ci avevo pensato. Allora spero che sia un'altra femmina» sogghignò
Alexis.
Passò circa mezz’ora prima che l’infermiera uscisse di nuovo dalla sala
parto.
Ormai preparata alla calorosa accoglienza del gruppetto della sala
d’attesa, non si fece intimidire e mise le mani in avanti come per fermare la
loro irruenza.
«Fermi tutti!» Esclamò. «Julian, vieni con me. I tuoi genitori ti
vogliono dentro con loro».
Julian si fece avanti e si mise vicino all’infermiera.
«Mi può dire solo una cosa, maschio o femmina?» Chiese titubante.
«E’ un bel maschietto».
«Evviva! Lo sapevo!» Esultò. «Te l’avevo detto». Prese in giro l’amica,
che rispose con una linguaccia.
Julian non era mai stato in una sala parto e, in un’altra occasione,
forse, avrebbe fatto più attenzione allo strano arredamento e alle persone che
l’osservavano sorridenti. Invece, teneva lo sguardo fisso davanti a sé cercando
di mascherare l’agitazione che non lo aveva mai abbandonato da quando la
guaritrice Galt, accorsa immediatamente da sua madre in preda a dolori
fortissimi, aveva annunciato che era arrivato il momento tanto atteso.
Arrivati davanti ad una porta azzurrina, l’infermiera gli fece cenno
d’entrare, così Julian prese un grosso respiro e con mano tremante afferrò la
maniglia ed entrò.
«Vieni Julian, dobbiamo presentarti qualcuno». Lo incitò il padre, così
il bambino si avvicino al letto dov’era seduta la madre. Appena le fu vicino
vide che teneva in braccio un fagottino azzurro, mentre il padre ne teneva uno
rosa, entrambi scostarono un lembo delle copertine quel tanto che bastava per
far sbucare due faccine rosse e grinzose.
«Ecco, il tuo fratellino». Sussurrò Silphie per non svegliare il piccolo
addormentato.
«E la tua sorellina». Continuò Sirius.
Julian si sporse appena per osservarli meglio, e in quel momento due
paia di occhi verde smeraldo lo fissarono, curiosi.
«Ciao a tutti e due. Benvenuti nella famiglia Black», esclamò rapito.
Sirius e Silphie si sorrisero.
«Come si chiamano?» Chiese Julian distogliendo per un attimo lo sguardo
dai fratellini.
«Ecco, veramente volevamo parlarne anche con te, volevamo renderti
partecipe». Rispose Sirius.
«Bene! Alexis mi ha aiutato a fare una lista di nomi, mi ha detto era
utile averla sempre pronta».
Così dicendo tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni un foglio
di pergamena spiegazzato e lo mostrò ai genitori.
Nel frattempo Libby uscì nella sala d’attesa, pronta ad affrontare le
mille domande delle persone che ormai da diverse ore si erano accampate lì.
«Stanno predisponendo il trasferimento in camera, appena sarà tutto a
posto potrete passare a salutarli. Tonks
tu comestai? E la piccola Grace?»
«Sto benissimo, grazie. E anche
Grace, sta crescendo a vista d’occhio».
«Bene, mi fa piacere. Ora se volete scusarmi devo cominciare il mio giro
visite. A presto».
Poco dopo arrivò un’infermiera ad annunciare che potevano passare in
camera della paziente per un breve saluto e naturalmente non se lo fecero
ripetere due volte. In meno di due minuti la camera di Silphie si riempì di
chiacchiere e risate.
«Ma sono adorabili!» Esclamò Molly, incapace di lasciare andare la
culla, impedendo così ai più di vedere i bambini.
«Molly tesoro, vieni via e lascia il posto anche agli altri», cercò di
convincerla Arthur ma senza grossi risultati.
«Come li chiamerete?» Chiese Tonks curiosa.
«Julian ci ha dato una serie di nomi uno più bello dell’altro». Rispose
Silphie.
«L’ho aiutato io a scriverla». S’intromise Alexis, visibilmente fiera
del suo operato.
«Vero, grazie Alexis». Continuò Sirius.
«Ma alla fine hanno scelto quelli che ho proposto io». Esclamò a sua
volta Julian.
«Ah sì? E quali?»
«Noah ed Elaine».
«Ma quelli li ho proposti io!»
«Non è vero!»
«Sì invece!»
«Bambini, calma. Sono davvero belli questi nomi, non è importante chi li
ha proposti». Cercò di calmarli Remus.
«Hai ragione papà». Mormorò mortificata Alexis.
«Sì zio». Concordò Julian.
«Direi che è ora di tornare a casa, così ti lasciamo riposare. Ne avrai
bisogno». Intervenne Tonks.
«Dobbiamo già andare?» Chiese Alexis.
«Sì, così diamo alla nonna e a Max la bella notizia. Julian vuoi venire
con noi?» Chiese Remus.
Il bambino guardò i genitori, incerto sul da farsi.
«Vai pure. Io resto ancora un po’ qui. Poi ti raggiungo». Sirius rispose
alla domanda silenziosa del figlio che, dopo aver salutato i genitori e i
fratellini uscì dalla stanza.
«E comunque i nomi li ho scelti io». Bisbigliò.
«Non è vero, sono stata io!» Replicò l’amica.
Volevo
ringraziare tutte le persone che mi seguono ormai da 4 anni, costantemente. E
pensare che all’inizio avevo cominciato a scrivere per necessità di casata
(forza Corvonero! Domani comincia una nuova sfida!).
Ok, ok a parte i
messaggi privati ai miei colleghi corvi, vi annuncio che il prossimo capitolo
sarà l’epilogo conclusivo, e spero davvero che vi sorprenda.
Capitolo 8 *** tre possono davvero bastare (epilogo) ***
Tre Possono Bastare
E così siamo
giunti alla fine. Ebbene si, questo è l’epilogo, spero, tanto atteso.
Buona lettura!
Tre Possono
Bastare
Epilogo (tre
possono davvero bastare)
I° Settembre di due anni e qualche mese dopo.
Casa Lupin era nel più totale caos.
E pensare che quel primo settembre era soltanto l’inizio di una lunga,
lunghissima serie di partenze per Hogwarts che li aspettavano.
«Mamma, papà dobbiamo andare o faremo tardi!» Urlò Alexandra dal fondo
delle scale seduta sul suo baule, in attesa che i genitori scendessero con Max
e Grace.
«Non temere, arriveremo in orario. Sono solo le nove e mezza». Cercò di
tranquillizzarla il padre.
«Uffa scommetto che Julian è già arrivato alla stazione». Sbuffò.
Improvvisamente Maximilian scese di corsa dalle scale inseguito dalla
madre.
«Fermo! Devi infilarti i pantaloni prima di uscire!»
«No! Anche io voglio andare con Alexis!» Si lamentò il bimbo,
nascondendosi dietro alla sorella maggiore.
«Max, sei ancora piccolo per venire con me a Hogwarts». S’intromise
Alexis.
«Non è vero, ho già cinque anni!» Protestò.
«Ma ne devi avere undici per venire a scuola».
«Undici? Quanti sono undici??» Chiese.
«Vediamo. Altri cinque, più uno. Quindi Altri sei anni». Rispose lei,
contandoli sulla punta delle dita per fargli capire meglio.
«Ma sono tantissimi! Non è giusto!»
«Vedrai che passeranno in fretta, e poi fino a quando resterai qui,
potrai prenderti cura di Grace, lei è ancora piccola, e avrà bisogno del suo
fratellone ancora per parecchi anni».
«Va bene resto, però solo per Grace. Io sono il fratello grande».
Esclamò infine, visibilmente fiero di sé, mentre infilava i pantaloni.
«Ci siamo tutti?» Chiese Remus, scendendo dalle scale tenendo per mano
Grace, che ormai aveva due anni.
«Evviva si parte!» Esultò Alexis.
«Non così in fretta. Sei sicura di aver messo tutto nel baule?» Chiese.
«Certo, ieri sera abbiamo ricontrollato tutto con la lista in mano, due
volte».
«Controllare una terza volta non farà di certo male. Hai ancora la
lista?».
Alexis annuì, cercando di trattenere uno sbuffo d’irritazione per
quell’ennesimo controllo.
«Tre divise, cappello, mantello e guanti?» Chiese Remus.
«Ci sono». Rispose controllando il baule aperto.
«Otto libri di testo, la bacchetta, il calderone di peltro, le provette,
il telescopio e la bilancia d’ottone?»
«…Telescopio e bilancia. Ci sono tutti».
«Ok perfetto. Hem Alexis, tesoro, sai che non puoi portare il manico di
scopa fino al secondo anno». Le disse osservando il contenuto del baule e
intravedendo dei rametti della coda nascosti dal mantello.
«Ops, chissà come ci sarà finito qui dentro…» Cercò di fare
l’indifferente prendendolo e andando a posarlo nello sgabuzzino sotto alle
scale.
«Già, chissà». Sghignazzò Remus.
«Ma ieri sera avevi detto…» S’intromise Max, ma venne zittito da
un’occhiataccia della sorella.
«Ok, visto che c’è tutto possiamo andare ora? Altrimenti il treno
partirà senza di me».
«Va bene, andiamo».
Così la famiglia Lupin uscì tranquillamente di casa.
Casa Black era nel più totale caos.
Il baule di Julian era aperto in mezzo alla sua stanza con vari
indumenti che pendevano da tutte le parti e oggetti vari sparsi tutt’intorno.
«Julian? A che punto sei con il baule?» Chiese la madre dalla camera dei
fratellini.
«Quasi sistemato!». Urlò, «o quasi» mormorò poi tra sé e sé, guardandosi
in torno sconsolato. Con la poca buona volontà che gli era rimasta prese di
nuovo la lista in mano e cominciò a sistemare di nuovo tutto nel baule.
«Divisa, libri, telescopio, bilancia… Dove ho messo la bilancia?» Si
chiese, rovistando in tutti gli angoli della camera.
Carck. Sentì un rumore di metallo spezzato.
«Oh per la barba di Merlino, e ora che faccio?» Mugugnò.
«Serve aiuto qui?» Silphie si affacciò in camera.
«Hem veramente… Devo aver calpestato per sbaglio la bilancia». Disse
mortificando mostrando la bilancia spezzata in due.
«Non ti preoccupare la sistemo io. Il resto è tutto sistemato?» Chiese.
Julian annuì, osservando la madre che con un rapito tocco di bacchetta,
e mormorando “Reparo” sistemò la bilancia.
«Ok direi che c’è tutto. Possiamo andare. Vai a vedere a che punto è
papà con i gemelli, l’ho lasciato che doveva cambiare Elaine».
Senza farselo ripetere due volte, andò a controllare nella camera
adiacente la sua, ma quando entrò riuscì a stento a trattenere le risate.
Sirius con in mano un vestitino rosa cercava di
afferrare la piccola Elaine, Noah continuava a ridere mentre, a fatica, si
toglieva i vestiti che probabilmente il padre aveva appena finito mettergli.
«Elaine vieni subito qui! Noah smettila di toglierti i vestiti!» Urlò
esasperato. «Ok, ora basta. Pie…» Mormorò puntando la bacchetto verso la bimba.
«Sirius, non ci provare!» Urlò Silphie, entrando di corsa nella stanza.
«Hem, ciao tesoro…»
«Zitto tu. Non provare mai più a scagliare un incantesimo sui nostri
figli». Lo minacciò, scoccandogli un’occhiataccia.
«Ma tesoro, non stanno fermi due minuti di fila. Mi spieghi come faccio
a vestirli?»
«Ci penso io, tu porta di sotto il baule di Julian». Ordinò. «E questa
la tengo io». Aggiunse sfilandogli la bacchetta di mano.
«Ma…»
«Niente “ma” Sirius, Vai!»
Senza aggiungere altre proteste, per non aggravare ulteriormente la sua
già precaria situazione, Sirius trasportò il baule fin davanti alla porta
d’ingresso.
«Certo che potevi aiutare il tuo vecchio padre». Sbuffò lasciandosi
cadere sul coperchio di legno.
«La mamma l’ha detto a te. E poi non sono io che ho tentato d’incantare
Elaine e Noah». Sghignazzo il ragazzino.
«Solo perché non sei ancora in grado di farlo, e rischi l’espulsione da
scuola ancora prima di entrarci». Mormorò Sirius.
«Mamma, andiamo o faremo tardi! Scommetto che Alexis è già arrivata alla
stazione!» Urlò Julian guardando l’ora, ignorando i mormorii del padre.
«Arriviamo. Non preoccuparti siamo in perfetto orario». Rispose Silphie,
comparendo in cima all’ultima rampa di scale, tenendo i gemelli per mano,
perfettamente vestiti e senza un capello fuori posto.
«Ok, ora mi spieghi come hai fatto a convincerli». Esclamò Sirius
stupefatto.
«Basta saperli prendere». Rispose tranquillamente la moglie.
Sirius osservò meglio i bambini, così si accorse che entrambi stavano
succhiando avidamente degl’invitanti lecca – lecca.
« “saperli prendere”!, certo, per la gola…» Commentò.
«A mali estremi, estremi rimedi». Sorrise lei.
«E in amore e in guerra tutto è lecito. Giusto?»
«Se avete finito con le frasi fatte, possiamo andare?» S’intromise
Julian, spazientito.
Così, finalmente anche i Black uscirono di casa.
La stazione di King’s Cross era affollatissima come sempre, ma come ogni
primo settembre, molte famiglie di maghi si dirigevano con passo spedito verso
il binario 9 ¾con carrelli pieni di
bauli e animali in gabbia.
I babbani sembravano non accorgersi di quel via vai o forse,
semplicemente lo ignoravano, troppo presi dalle loro vite.
Alexis era sempre più eccitata all’idea di salire per la prima volta
sull’espresso per Hogwarts, aveva sempre sentito i suoi genitori e il loro
amici parlare delle mille avventure vissute tra le mura della scuola dei maghi
ed ora, con un po’ di fortuna, le avrebbe vissute anche lei.
C’era solo una cosa che la turbava.
«Mamma, papà se non finirò in una delle vostre case andrà bene lo
stesso?» spingendo il suo carrello.
«Ma certo, tutte le case andranno bene per noi». Rispose Remus, intento
ad evitare che Max scappasse via da solo.
«Anche serpeverde?» Chiese ancora.
I due genitori si guardarono perplessi, probabilmente non avevano mai
preso in considerazione quell’eventualità.
«Vedrai che non finirai a serpeverde, sei troppo in gamba». Sentenziò
Tonks.
Anche se non del tutto convinta, Alexis accettò quella parole sperando,
in cuor suo, che la madre avesse ragione.
Erano quasi arrivati allo spartitraffico tra i binari 9 e 10 quando
Alexis si sentì chiamare.
«Alexis, sono qui!» Urlò Julian, sbracciandosi da lontano.
«Ciao! Sei arrivato!» Urlò a sua volta Alexis andandogli in contro.
«Forza ragazzi, dobbiamo andare, altrimenti il treno partirà davvero
senza di voi». Li avvertì Silphie.
Così i due cominciarono ad accelerare il passo quasi fino a correre e,
guardandoli, anche i gemellini cominciarono ad agitarsi per seguirli, come
anche Max e Grace, ma arrivati davanti allo spartitraffico i due ragazzi si
fermarono di colpo.
«J.R. ci siamo». Mormorò Alexis.
«Già, comincia l’avventura». Concordò.
«Forza, attraversate la barriera». L’incitò Remus.
Alexandra e Julian presero un grosso respiro ed insieme oltrepassarono
la barriera.
Quello che si trovarono davanti li lasciò a bocca aperta.
La grossa locomotiva rossa a vapore sbuffava fumo bianco dal comignolo.
Centinaia di ragazzi correvano da una parte all’altra della banchina salutando
amici e parenti. Ma ad attirare la loro attenzione fu un gruppo sempre più
folto di ragazzi che sembravano accerchiare qualcuno.
«Ma cosa succede la giù?» Chiese Tonks, che aveva appena oltrepassato la
barriera con Grace, seguita da tutti gli altri.
In quel momento qualcuno si fece largo tra i ragazzi liberandosi così
dall’assedio, e si avviò quasi correndo verso di loro.
«Ciao! Siete arrivati!» Esclamò Harry salutandoli.
«Ciao Harry cosa ci fai qui?» Chiese Julian.
«Pensavate davvero che mi sarei perso la vostra partenza? Non lo avrei
mai fatto nemmeno per tutti i dissennatori del mondo».
I due ragazzi sorrisero quasi fieri di essere così importati per colui
che aveva salvato il mondo magico.
«Ok venite un attimo con me, devo darvi il mio regalo». E così li
allontanò di parecchi metri dai genitori.
«Ecco, tenete questa, vi sarà molto utile a scuola. Usatela con
saggezza». Disse consegnandogli una vecchia pergamena.
«Ma cosa…» Tentò di chiedere Alexis.
«L’hanno creata in nostri padri quando andavano a scuola. Mi è stata
molto utile, e credo che lo sarà anche per voi. In fondo è una sorta di
eredità, ma per evitare problemi, visto che ci saranno anche loro a scuola con
voi, ho apportato delle modifiche così non la potranno usare facilmente». Sorrise
compiaciuto. Poi bisbigliò qualcosa all’orecchio dei due ragazzi, prima di
riportarli dai genitori.
«Cos’avete confabulato voi tre?» Chiese Sirius sospettoso.
«Niente d’importante, gli stavo dando delle dritte, per sopravvivere a
scuola». Rispose tranquillamente Harry. «Ora vi devo salutare, il lavoro mi
aspetta. Ciao ragazzi, buona fortuna per lo smistamento». E dopo aver
scompigliato i capelli ai due ragazzini si congedò dal gruppetto.
«Forza voi due, in carrozza sono quasi le undici!» Esclamò Sirius.
E dopo i saluti di rito a madri e fratelli, i due salirono sul treno,
mentre Tonks e Silphie a fatica trattenevano le lacrime per la commozione.
Pochi minuti dopo il treno fischiò e cominciò a muoversi lentamente per
uscire dalla stazione, Alexis e Julian cominciarono a salutare dai finestrini,
ma vennero interrotti da alcuni ragazzi circa la loro età.
«Hem scusate, ma voi conoscete il famoso Harry Potter?» Chiese un
ragazzino più coraggioso degli altri.
«Sì, è un’amico di famiglia. Mio papà è il suo padrino». Rispose Julian,
sorpreso di tanta curiosità.
«Wow davvero?» Esclamarono altri ragazzi e senza accorgersene
cominciarono a chiacchiere.
Ancora alla stazione i quattro genitori osservavano il treno ormai
lontano.
«Ormai stanno diventando grandi». Mormorò Tonks.
«Già, pian piano se ne andranno tutti». Concordò Silphie, sospirando.
«Qualsiasi cosa abbiate in mente voi due, scordatevelo, tre possono
bastare». Sentenziò Sirius categorico, ripensando agli accadimenti di quella
mattina.
«Cosa vorresti dire?» Chiese confusa la moglie.
«Non stavate pensando di avere altri bambini?»
«Certo che no, tre possono decisamente bastare». Esclamò Tonks.
Sirius fece un sospiro di sollievo.
«Papà cosa stanno dicendo?» Chiese confuso Max.
«Che abbiamo delle famiglie bellissime, numerose certo, ma bellissime».
Rispose il padre prendendolo per mano e uscendo dal binario 9 ¾.
Ci siete ancora? Siete arrivati alla fine? Sì? Perfetto!
Allora, cosa ne dite, vi ha stupito questo epilogo, mi auguro di sì, quindi,
fatemi sapere cosa ne pensate di questa storia.
Io, invece, vi dico arrivederci alla prossima storia, che
non so bene quando posterò qui, sempre per il fatto che se voglio aiutare la
mia casata di corvonero le mie ff devono restare inedite. Ma chi lo sa, magari
scriverò su altri argomenti come criminal minds e twilight.
Infine lasciatemi ringraziare tutte le persone che mi
hanno seguito e che lo fanno tutt’ora: