Shadowhunters - Città dei dannati di Fiamma Erin Gaunt (/viewuser.php?uid=96354)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I just want to make you proud ***
Capitolo 3: *** Hello, little brother ***
Capitolo 4: *** Put your hands on my body ***
Capitolo 5: *** You can’t touch me ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Katherine
era acciambellata sul divano in pelle
nera, intenta a sfogliare un tomo dall’aria imponente e le
pagine segnate
dall’usura del tempo, quando un rumore di passi in
avvicinamento interruppe la
sua concentrazione. Lo scricchiolio della porta in mogano che veniva
aperta le
annunciò la presenza dei due uomini con cui condivideva la
casa. Alzò appena lo
sguardo verso di loro, scrutandoli con i suoi inconsueti occhi
argentati.
Valentine era appoggiato a uno degli scaffali della libreria e lasciava
vagare
lo sguardo dal figlio alla ragazza che aveva adottato, pregustando
quello che
sarebbe di certo stato uno scontro verbale senza esclusione di colpi;
il fatto
che quei due adolescenti non si sopportassero all’inizio lo
aveva infastidito,
ma quando aveva scoperto che la ragione era che entrambi desideravano
ottenere
la sua approvazione non poteva negare di aver trovato la situazione
alquanto divertente.
-
Jonathan ha delle novità. –
Inarcò
pigramente un sopracciglio, riprendendo a
scorrere con gli occhi le lettere impresse sulla carta. – Sto
ascoltando. –
-
Clary sta cercando Ragnor Fell per risvegliare sua
madre. – disse, sfidandola a controbattere.
Katherine
rimase in silenzio. Quella era una vera notizia,
non come tutte le altre
che aveva riferito loro da quando si era infiltrato tra gli amici di
quella
patetica ragazzina. Decise comunque che non gli avrebbe dato la minima
soddisfazione.
-
Bravo, adesso vuoi un biscottino? – lo provocò.
Jonathan
scattò in avanti, provando ad afferrarla,
ma non si fece trovare impreparata e scartò di lato.
Rotolò giù, usando il
solido schienale del divano come una barriera per arginare
l’impeto del ragazzo.
-
Cominci a perdere colpi, Nathan. –
Aveva
appena finito di pronunciare la frase che si
ritrovò schiacciata contro il muro, intrappolata tra la
parete e il petto
muscoloso del ragazzo. Si era mosso in modo così veloce da
non riuscire a
permetterle di vederlo.
-
Allora, Kat, sono stato abbastanza veloce per i
tuoi gusti? – sibilò a un paio di centimetri dal
suo volto.
Un
ghigno malizioso le stirò le labbra.
-
Veramente di solito non mi piace quando i ragazzi
sono troppo veloci, il divertimento finisce subito. –
commentò, giocherellando
distrattamente con i bottoni della camicia fino a scendere sempre
più verso il
basso.
Lo
sguardo di Jonathan, che da inizialmente
perplesso era passato a imbarazzato e poi bramoso, la fece scoppiare a
ridere.
Fu un suono carico di sarcasmo e scherno, tagliente come il vetro.
Scivolò via
dalla sua presa e mise una buona distanza tra di loro. Si divertiva a
sfidarlo,
ma non era così sciocca da farlo quando c’era meno
di mezzo metro di distanza
tra loro.
-
Puttana. – ringhiò tra i denti, fulminandola con
un’occhiataccia.
-
Solo un po’. –
La
voce di Valentine interruppe il loro scambio di
opinioni. Si era divertito a vederli battibeccare, ma era giunto il
momento che
i suoi ragazzi tornassero a focalizzarsi sull’obiettivo.
-
Basta così. Katherine, andrai a casa di Fell
insieme a un paio di demoni; Clary non deve parlare con lui. –
Jonathan
si voltò verso il padre, indignato, -
Perché mandi lei e non me? –
-
Perché tu devi fare ritorno a Idris e continuare a
spiare Clary, non hai tempo da perdere. – replicò
Valentine.
Abbassò
la testa, sconfitto. Quando suo padre
decideva una cosa era legge, non sarebbe mai riuscito a fargli cambiare
idea.
Lanciò un’ultima occhiata malevola in direzione di
Katherine e poi annuì.
*
La
casa di Fell non era nulla d’eccezionale, a ben
guardarla non si sarebbe mai neanche detto che fosse abitata da uno
stregone. C’era
da dire che aveva sentito parecchie storie su di lui e sulla sua
passione per
il genere femminile; non era un segreto per nessuno, infatti, che
Ragnor fosse
pienamente consapevole e orgoglioso del fascino curioso che il suo
aspetto
esercitava sul gentil sesso. Fascino che sarebbe presto stato la sua
rovina.
Si
ravviò le morbide onde corvine, scompigliate a
causa del viaggio sulla moto demoniaca, e sistemò la spada
angelica in modo che
risultasse pressoché invisibile al di sotto della giacca in
pelle. Aveva appena
raggiunto la porta quando venne spalancata e sulla soglia comparve
l’alta
figura di Fell.
Il
colorito verdastro della pelle non risultava
affatto sgradevole come aveva immaginato, anzi faticava a immaginarlo
senza.
Nel complesso era un bell’uomo, anche se non si avvicinava
neanche lontanamente
alla perfezione dei tratti di Valentine … né a
quelli di Jonathan, ammise
controvoglia.
-
Cosa ci fa una Nephilim così graziosa davanti alla
mia porta, per di più a un’ora così
insolita? –
Sorrise,
abbassando la testa in un tentativo di
fingersi imbarazzata, e fissandolo al di sotto delle lunghe ciglia.
-
Sono arrivata a Idris da poco e non ho resistito
all’idea di conoscere il grande Ragnor
Fell. – sussurrò.
Lo
stregone la scrutò dalla testa ai piedi, per poi
abbozzare un sorrisetto d’apprezzamento. Si spostò
dalla soglia.
-
Vuoi entrare? –
Annuì,
oltrepassandolo facendo tintinnare le unghie
sul suo petto. Lanciò una rapida occhiata al salotto,
cercando qualsiasi cosa
che potesse essere usata contro di lei. Non trovò nulla di
particolarmente
pericoloso; se fosse stata rapida nell’agire Ragnor non
avrebbe neanche fatto
in tempo a pensare a uno dei suoi incantesimi.
-
C’è qualcosa da bere, qualcosa di forte?
–
domandò, mordicchiandosi il labbro inferiore con aria
speranzosa.
Ragnor
evocò una bottiglia di whiskey dal nulla,
versandone un bicchiere e porgendoglielo.
-
Sai il mio nome, ma io non so il tuo. – osservò,
lasciandosi cadere a sedere accanto a lei.
-
Katherine ... Katherine Herondale. –
La
consapevolezza illuminò lo sguardo dello
stregone, che cercò immediatamente di mettersi
all’opera per tessere un
incantesimo. Ma era lento, decisamente troppo lento.
I
demoni che l’avevano accompagnata e avevano
aspettato in silenzio, avvolti nella loro illusione, fecero la loro
comparsa.
Una lama d’oscurità trafisse il petto di Ragnor,
all’altezza del cuore,
lasciando lo stregone riverso a terra in una pozza di sangue.
La
ragazza li congedò con un secco gesto della mano.
Tornò a sorseggiare il whiskey, attendendo pazientemente che
anche l’ultimo
barlume di vita lasciasse il corpo di Fell. Quando il busto
s’inarcò e un
copioso fiotto di sangue uscì dalle labbra verdastre, gli
occhi dello stregone
si chiusero per sempre.
-
Con tanti saluti da parte di Valentine. –
Spazio
autrice:
Eccomi
finalmente approdata in questo spettacolare
fandom. Avevo atteso per mesi nella speranza che
l’ispirazione giungesse e
finalmente ce l’ha fatta! Ergo, vi toccherà
sorbirmi la mia long xD. Scherzi a
parte, spero che questo prologo vi abbia incuriosito e che vogliate
farmi
sapere che ne pensate. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 2 *** I just want to make you proud ***
I just want to
make you proud
Tornata
alla residenza di famiglia, in attesa che
Valentine la ricevesse, Katherine passeggiava per il salotto come una
pantera in
gabbia. Aveva deciso che gliel’ avrebbe chiesto, non vedeva
perché solo
Jonathan avesse il diritto di andare in giro a divertirsi mentre a lei
toccava
uscire solo quando si trattava di andare a far fuori un qualche stupido
stregone.
-
Mi stavi aspettando? –
Si
voltò verso di lui, sorpresa dalla sua comparsa,
per poi annuire.
-
Volevo chiederti una cosa. –
Lo
sguardo dell’uomo si assottigliò, quasi stesse
cercando di indovinare cosa le passasse per la testa.
-
Chiedi pure, Katherine. –
Una
scia di brividi le corsero lungo la schiena. Il
suo nome, pronunciato da quelle labbra, suonava come qualcosa
d’incredibilmente
peccaminoso e non si sarebbe mai stancata di sentirglielo ripetere.
-
Voglio andare anche io a casa dei Penhallow, o da
qualche altra parte, ma permettimi di stare al centro
dell’azione. – disse con
decisione, sforzandosi di apparire inflessibile.
Questa
volta non avrebbe accettato un rifiuto, non
si sarebbe lasciata convincere come era sempre accaduto in quei
diciotto anni
di vita.
Valentine
le si avvicinò, accarezzandole
delicatamente una guancia.
-
Credevo che ti piacesse stare qui con me. –
mormorò, con voce bassa e voluttuosa.
Sospirò,
impedendosi di trattenere la mano contro la
sua pelle. Valentine sapeva bene quali fossero i punti su cui fare
leva,
conosceva ogni debolezza umana e sapeva usarla alla perfezione. E lei
aveva una
sola grande, immensa, debolezza: proprio lui.
-
Infatti mi piace, ma … – le parole le morirono in
bocca mentre una mano affusolata scendeva ad accarezzarle il collo fino
ad
arrivare alla clavicola.
-
Ma? – sussurrò, invitante.
-
Voglio stare al centro dell’azione, mostrare il
mio valore. –
Voglio
solo renderti fiero di me.
-
Desideri dimostrare il tuo valore … E perché, per
compiacermi? –
Un
campanello d’allarme suonò nella sua mente, ma
decise d’ignorarlo. Valentine non le avrebbe mai fatto del
male, questa era una
delle pochissime cose di cui era assolutamente certa.
-
Sì, per compiacerti. – confermò.
Un
ghigno si dipinse sul volto dell’uomo e il suo
respiro caldo s’infranse contro la delicata pelle alabastrina
del collo; si
chinò a depositarvi un bacio bollente, facendola fremere.
-
Esistono altri modi in cui puoi compiacermi, cose
per cui non occorre lasciare la residenza. –
replicò, insinuante.
Quelle
parole le tolsero ogni raziocinio, lasciando
spazio solo alla passione che divampava dentro di lei. Spinse Valentine
contro
il muro più vicino, premendo le labbra sulle sue e
mordendole lievemente. Un
rapido colpo di reni e fu lei a trovarsi incastrata tra il petto
dell’uomo e il
freddo stucco.
Gli
occhi neri la fissavano con uno scintillio
divertito e bramoso insieme. Le artigliò i fianchi con le
mani e la sollevò,
costringendola a cingergli la vita con le gambe per mantenere
l’equilibrio. Poi
la baciò a sua volta, con impeto e decisione, come se
volesse divorarla.
Katherine gemette quando i denti le vennero conficcati nel labbro
inferiore e
il sapore metallico del sangue le ottenebrò le papille
gustative.
Fu
allora che Valentine la rimise giù, sforzandosi d’
ignorare l’espressione accalorata, i capelli scarmigliati e
le labbra gonfie
che reclamavano a gran voce un altro contatto di quel tipo. Doveva
darsi una
calmata o avrebbe perso definitivamente il controllo.
-
Sembri abbastanza compiaciuto. – commentò
Katherine,
maliziosamente.
-
E tu sei ancora sicura di volertene andare da qui?
–
Si
mordicchiò il labbro, pensierosa. Il suo istinto
le gridava di rimanere e lasciare che quell’uomo dal fascino
tenebroso
disponesse di lei in tutti i modi che gli fossero venuti in mente, ma
l’orgoglio
degli Herondale unito alla sua testardaggine ebbe la meglio. Aveva
detto che
non si sarebbe fatta convincere e così sarebbe stato.
-
Sì, voglio andare. – confermò,
incrociando le
braccia per sottolineare la sua irremovibilità.
Quella
ragazza aveva davvero una forza di
volontà spaventosa. Il suo corpo fremeva
dal desiderio, ma vi avrebbe rinunciato pur di ottenere ciò
che voleva. Gli
ricordava così tanto se stesso a
quell’età.
-
Va bene, puoi andare. –
Gli
occhi argentati si sgranarono, sorpresi.
L’aveva
presa in contropiede, mai si sarebbe
aspettata che finisse con il cedere con tutta quella
facilità.
-
Posso davvero andare in giro e … – si morse la
lingua, impedendosi di continuare con ciò che stava dicendo.
-
E? –
E
conoscere Jace?
-
E divertirmi a provocare un po’ di caos come fa
Jonathan? – concluse.
Riecco
il lato adolescenziale di Katherine. Certe
volte faceva davvero fatica a ricordarsi che la splendida giovane donna
che
aveva davanti aveva solo un anno più di suo figlio e che
mostrava verso il
mondo un entusiasmo fanciullesco; non era mai uscita molto, non era
sicuro
mandare una Herondale in giro da sola quando il Conclave era attento a
ogni
minima mossa, e quell’occasione doveva sembrarle
incredibilmente eccitante.
-
Sì, certo che puoi. Non perdere di vista
l’obiettivo,
però. –
-
Non lo farò, Valentine. – assicurò,
afferrando la
mano che le veniva porta e lasciandosi tirare verso di lui.
-
Molto bene. Rendimi fiero di te e poi torna da me,
perché il tuo posto e quello di Jonathan è al mio
fianco, lo sai, vero? –
Annuì.
-
Lo so. –
Le
labbra di Valentine catturarono le sue in un
ultimo profondo e violento bacio, poi la presa sulle sue braccia
s’infranse e
Katherine fu libera di voltargli le spalle e uscire nel patio sommerso
dai
raggi del Sole.
Sto
arrivando, fratellino.
Spazio
autrice:
Eccoci
qui con l’aggiornamento. Perdonate l’attesa e
la striminzitezza scandalosa dell’aggiornamento, ma se
l’avessi unito al
capitolo successivo sarebbe venuta fuori una roba chilometrale e non mi
sembrava il caso. Spero che il comportamento di Valentine in questo
capitolo
sia chiaro a tutti: le persone vengono dominate o dal punto di vista
fisico o
da quello mentale; ebbene, lui non si accontenta solo di quello mentale
ma
desidera anche dominare fisicamente Katherine – Jonathan no,
oltre a essere un
uomo è anche eterosessuale e suo figlio – quindi
ricorre al contatto fisico
anche per cercare di piegarla alla sua volontà. Quella di
Katherine, d’altra
parte, se non vogliamo parlare proprio di succubanza possiamo definirla
come
una sorta d’ossessione. Insomma, spero di essermi spiegata e
che vogliate
lasciarmi un commentino per farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 3 *** Hello, little brother ***
Hello, little
brother
-
Magari sei solo
geloso perchè ho baciato tua sorella. –
La
voce di Jonathan,
beffarda e tagliente come al solito, risuonò nel salone dei
Penhallow mentre
Katherine entrava dalla porta d’ingresso. Non udì
la risposta di Jace e in
parte le dispiacque. Era curiosa di sentire l’inflessione
della sua voce.
Sarebbe stata bassa e sorniona come la sua, tagliente e fredda come
quella di
Jonathan o calda e avvolgente come quella di Valentine?
Tuttavia
il suo
disappunto venne presto ricompensato con l’apparizione del
diretto interessato.
Un ragazzo intorno ai diciassette anni, gli zigomi alti e i tratti del
volto
decisi come i suoi, una chioma bionda e due incredibili occhi dorati le
veniva
incontro. Il suo cuore perse un battito quando lo riconobbe. I tratti
erano gli
stessi, come anche la carnagione e, riusciva a immaginarlo chiaramente,
anche
il modo di sorridere doveva essere come il suo.
Finse
di non vederlo,
finendogli addosso di proposito.
-
Scusami, è colpa
mia – disse, incastonando le iridi argentee in quelle dorate.
Oro
e argento erano
colori così diversi eppure in quel momento sembravano
complementari.
L’espressione
furente
sul volto di Jace si rasserenò un po’.
-
No, non stavo
guardando dove camminavo. Non ti sei fatta male, no? –
Katherine
scosse la
testa. Da così vicino riusciva a sentire distintamente
l’odore dolciastro del
suo dopobarba. Odore di casa … incredibile come pensasse a
una cosa del genere
quando era solo la prima volta che lo incontrava.
-
Tutta intera.
Katherine Verlac, piacere di conoscerti – replicò,
porgendogli una mano
affusolata con un sorriso.
-
Un’altra Verlac,
fantastico – borbottò tra i denti.
-
Problemi con
Sebastian, vero? Mio fratello è il genere di persona la cui
testa andrebbe
sbattuta ripetutamente contro un muro … un bel muro di
robusto cemento armato. –
Jace
abbozzò un
sorriso divertito.
-
Sembri una tipa
okay. Dimmi, cosa è andato storto con lui? –
-
Credo sia stato
adottato – ribattè, sfoderando il suo miglior tono
a metà tra l’ironico e il
serio.
Questa
volta il
ragazzo scoppiò a ridere, sinceramente divertito, e
Katherine ne ebbe la
conferma. Avevano la stessa fossetta che spuntava e lo stesso identico
sorriso
sghembo.
-
Jace Lightw …
Morgenstern – si corresse, storcendo il naso in una comica
espressione di
disgusto.
Katherine
si chiese
distrattamente che cosa ne avrebbe pensato Valentine se
l’avesse sentito
pronunciare il nome di famiglia con un tono del genere. Probabilmente
l’avrebbe
preso per la collottola e scaraventato dall’altra parte della
stanza. Ma questo
non voleva dire molto … Valentine non era esattamente il
prototipo del padre
amorevole e tollerante.
-
Quindi tu sei lo
Shadowhunter delle meraviglie di cui si parla tanto in giro. –
-
“Shadowhunter delle
meraviglie”? Sì, mi piace come suona, ma pensavo
che fossi conosciuto con un
nome più melodrammatico. Che so, qualcosa tipo “la
bionda progenie di Satana” o
“l’Anticristo”. –
Katherine
arricciò il
labbro inferiore, fingendosi pensierosa. – Sì,
“bionda progenie di Satana” devo
dire che suona bene. –
Poi
tornò seria e lo
scrutò con attenzione. – Allora, vuoi dirmi cosa
ha combinato mio fratello per
farti arrabbiare così tanto? –
-
Ha … Ha baciato
Clary. Lei è mia sorella – spiegò,
pronunciando l’ultima parola come se fosse
l’insulto
peggiore che potesse venirgli in mente.
-
Capisco. Sei il
tipico fratello maggiore geloso. –
-
Qualcosa del genere
– borbottò per tutta risposta, ma si capiva che
non era ciò che pensava sul
serio.
-
Bè, Sebastian si
diverte a infastidire le persone … è un
po’ una specie di hobby per lui – poi aggiunse,
inarcando un sopracciglio – Insomma, è un gran
rompicoglioni. –
Risero
all’unisono.
Poi Jace le puntò un dito contro con aria solenne.
-
Tu mi piaci,
Katherine Verlac, sappilo. –
-
Anche tu, Jace “bionda
progenie di Satana” Morgenstern. –
-
Stavo andando in
biblioteca per distrarmi un po’ … vuoi venire?
–
Jace
l’aveva buttata
lì come se non fosse questa gran proposta, ma se le
assomigliava anche solo un
po’ caratterialmente significava molto.
Rimasero
seduti tra
gli scaffali per una decina di minuti finchè non si decise a
prendere la parola
e raccontarle dal principio tutta la storia con Clary. Come
l’aveva conosciuta,
il loro primo bacio, la rivalità con il migliore amico di
lei, la scoperta
della loro parentela e, per finire, la gelosia che l’aveva
assalito quando
aveva sentito le parole di Sebastian.
-
E so che è
sbagliato, innaturale, ma non riesco a fare a meno di pensare a lei
– concluse,
guardandola con le sopracciglia inarcate. – Bè,
non sei ancora scappata
disgustata, quindi o sei la comprensione fatta persona o sei ancora
più strana
di me. –
-
Probabilmente
entrambe le cose – replicò, avvicinandoglisi e
continuando a guardarlo negli
occhi, - Forse dovresti semplicemente concentrarti su
qualcun’altra e provare a
vedere cosa succede. –
-
Sembra un’idea
sensata – replicò, per poi annullare la distanza
che li separava e catturarle
le labbra in un bacio.
Baciare
il proprio
fratello minore non era neanche lontanamente disgustoso come chiunque
avrebbe
potuto pensare. Forse c’entrava il fatto che le labbra di
Jace fossero inaspettatamente
morbide e delicate, o magari la sua ottima tecnica da baciatore o,
infine, il
disperato bisogno di provare un amore “naturale”
per qualcuno che non fosse sua
sorella. Peccato solo che in realtà Clary non fosse sua
sorella, ma il ruolo
fosse occupato da lei, proprio la ragazza con cui stava cercando di
dimenticarla.
Ricambiò
il bacio con
dolcezza. Le mani di Jace le cinsero i fianchi, attirandola a
sé e
accarezzandola delicatamente al di sotto della t shirt scura. Era un
contatto
molto diverso da quelli a cui era abituata, ma non per questo
sgradevole. Rese
comunque mentalmente grazie a chiunque avesse aperto la scricchiolante
porta in
mogano e li avesse interrotti, traendola d’impaccio da una
situazione
quantomeno ambigua.
Una
ragazza dai
capelli rosso fuoco e gli occhi verde smeraldo li guardava incredula.
Sembrava
avere difficoltà ad articolare qualsiasi commento e guardava
Jace con un’espressione
che era un misto tra l’addolorato e lo stupito.
-
Lei è mia sorella …
Clary. –
Spiegazione
superflua
dal momento che Katherine aveva visto delle foto di Jocelyn e la
sedicenne era
tanto simile alla madre quanto Jonathan lo era al padre.
Alle
sue spalle si
stagliava proprio lui, con gli occhi color ossidiana che la fissavano
come se
volessero incenerirla su due piedi.
-
Magari è meglio se
io e Sebastian andiamo, vorrete parlare un po’ –
propose, avvicinandosi al
ragazzo e trascinandolo per un braccio fuori dalla biblioteca.
Percorsero
il
corridoio in silenzio, accompagnate dalle esclamazioni indignate di
Clary e
dalle repliche gelide di Jace.
Quando
rimasero soli,
nella stanza che i Penhallow gli avevano offerto, Katherine
realizzò per la
prima volta che i coniugi non avevano trovato nulla di male nel fatto
di farli
dormire insieme, dal momento che erano fratelli, e i due letti a una
piazza e
mezzo erano sistemati a una ventina di centimetri l’uno
dall’altro. Non aveva
mai passato la notte tanto vicina a Jonathan né desiderava
farlo. Essere chiusa
per ore in balia di uno psicopatico lunatico, per giunta inerme a causa
del
sonno, non era proprio in cima alla lista delle sue
priorità. Tuttavia non lo
diede a vedere. Con Jonathan valevano le stesse regole degli animali
feroci;
non bisognava mai fargli capire quanto si fosse spaventati da lui.
-
Esattamente cosa ti
è saltato in mente? –
Inarcò
un
sopracciglio. – Scusa? –
-
Perché l’hai
baciato? –
-
Temo che dovrai
essere un po’ più specifico. Sai, ho baciato molte
persone in questi diciotto
anni – replicò, decisa a continuare con la storia
della finta tonta.
-
Non provarci
nemmeno, Katherine. Perché hai baciato Jace, tuo fratello?
–
-
Tanto per la
cronaca tu hai baciato Clary, tua sorella, quindi non venire a farmi la
morale.
–
Jonathan
le si
avvicinò, stringendole i polsi con forza per impedirle di
allontanarsi e
fissandola con rabbia.
-
Basta con questi
giochetti. Rispondi alla domanda. –
-
Lasciami andare,
Jonathan. Adesso –
ordinò, mentre la
rabbia cominciava a trapelare dalla sua voce.
Strattonò
all’indietro
con forza, districandosi e mettendo quanta più distanza
possibile tra loro.
-
Faccio quello che
mi pare e non devo renderti conto di nulla, cerca di ricordartelo
– concluse,
voltandogli le spalle e cominciando a sistemare ostentatamente i pochi
cambi
che si era portata.
Spazio
autrice:
Attesa
indegna per l’aggiornamento, lo
so, ma l’ispirazione era morta e sepolta. Fortunatamente
è resuscitata per cui
eccomi nuovamente
qui. Fatemi sapere che
ne pensate. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma
Erin Gaunt
|
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Capitolo 4 *** Put your hands on my body ***
Put your hands on my body
Passare
la notte con Jonathan non era esattamente in cima
alla lista dei suoi desideri, ma in mancanza di meglio avrebbe dovuto
arrangiarsi. Mentre frugava alla ricerca della sua camicia da notte, si
ricordò
che in effetti lei ce l’aveva eccome
un’alternativa. Un’alternativa alta,
snella e decisamente affascinante.
Mise
via la camicia da notte, recuperò il fodero della spada
e lo allacciò alla cintura. Stava giusto per scavalcare il
davanzale e uscire
quando Jonathan varcò la soglia. Gli occhi scuri sembrarono
capaci di
immobilizzarla, neanche fosse stato un coniglietto abbagliato dai fari
di una
macchina.
-
Dove stai andando? –
-
Non mi pare che siano affari tuoi, no? – ribattè.
Jonathan
inarcò un sopracciglio, sprezzante. – Voglio solo
essere certo che tu non mandi a rotoli la missione solo per andarti a
rotolare
tra le lenzuola con mio padre. –
Beccata
in pieno.
-
Non stavo andando da Valentine, volevo solo prendere un po’
d’aria – mentì rapidamente, ma persino
alle sue orecchie suonava come una bugia
molto poco convincente.
Le
si avvicinò con l’andatura sinuosa di un serpente,
continuando
a fissarla negli occhi. Un ghigno gli increspò le labbra
sottili mentre scuoteva
la testa fintamente deluso.
-
Pensavo che sapessi mentire meglio di così, Katherine.
–
Si
fermò a pochi centimetri da lei, le labbra che quasi si
sfioravano mentre parlavano. Eppure in quel momento, ipnotizzata
com’era da
lui, non trovò nulla di male nel fatto di averlo
così addosso.
-
Se anche fosse non è un tuo problema, no? –
trovò la forza
di ribattere, maledicendosi mentalmente per come suonavano titubanti le
sue
parole.
Una
delle mani alabastrine di Jonathan si posò sulla sua
guancia, giocherellando distrattamente con un’onda corvina.
Mai come in quel
momento le ricordò così tanto Valentine. Si
chiese distrattamente se lo stesse
facendo apposta. Farla fremere dal desiderio per poi ridere di lei
sembrava
proprio il genere di cosa che avrebbe potuto fare Jonathan Christopher
Morgenstern.
-
No, non è un mio problema – confermò,
abbandonando i
capelli per seguire il profilo della mandibola, del collo e soffermarsi
sulla
clavicola. – Bè, perché non stai
uscendo? – chiese, fingendosi innocentemente
sorpreso, ma il luccichio nei suoi occhi lo contraddiceva.
Katherine
posò una mano sul suo petto, saggiando la
consistenza dei muscoli celati dalla divisa da combattimento, scendendo
verso
il basso fino ad arrivare alla cintura. Indugiò sulla
fibbia, osservando come
quegli occhi già così scuri
s’incupivano ulteriormente.
-
Pensavo che non ti piacessi – osservò, decisa a
prendere
in mano il gioco.
-
Infatti non mi piaci. Sei testarda, arrogante, inso … - si
morse la lingua, distratto dalla mano della ragazza che si era spostata
ancora
più verso il basso.
-
Sì? –
-
Insopportabile – concluse, prendendola per il bavero della
maglietta e spingendola contro il muro.
Prese
d’assalto le sue labbra, leccandole e mordendole fino
a farla sanguinare. Katherine reagì d’istinto,
artigliandogli le spalle e
cingendogli i fianchi con le gambe. Trovarono il letto a tentoni,
continuando
quella furiosa lotta a base di lingue e denti. I vestiti finirono a
terra,
sparpagliati per la stanza, ormai completamente inutili.
Affondò in lei,
sorridendo davanti al suo gemito. Spinse nuovamente, guardandola
sospirare di
nuovo e chiudere gli occhi.
Si
fermò a metà spinta, improvvisamente furioso.
-
Apri gli occhi. –
Katherine
obbedì, perplessa.
-
Che accidenti ti prende? –
-
Sono Jonathan, non Valentine, e non ti permetterò di
pensare a mio padre mentre sei con me. –
Una
spinta più forte, rabbiosa, che le mozzò il fiato
per il
dolore. Continuò a muoversi così: rapido,
brutale, inesorabile, finchè non
giunse all’apice del piacere. Rotolò su un fianco,
voltandole le spalle.
Rimasero
in silenzio per un po’ finchè non
avvertì la mano
fredda di Katherine che si posava sulla sua spalla.
-
Jonathan. –
-
Che c’è? – chiese, gelido, sforzandosi
di non lasciar
trapelare la strana sensazione che lo attanagliava. Collera, delusione,
dolore …
sentimenti noti che in quel momento lo punzecchiavano inesorabilmente.
Sua
madre gli aveva preferito Clary, suo padre Jace, Katherine vedeva in
lui solo
una pallida copia di Valentine. Non importava quanto forte fosse,
quanto
migliore di tanti altri sapesse essere, non era la prima scelta di
nessuno.
Non
doveva essere stato tanto bravo come credeva, perché
Katherine
gli si mise a cavalcioni per costringerlo a guardarla negli occhi.
C’era un
pizzico di comprensione e dolcezza nelle sue iridi argentee.
-
Per la cronaca, non stavo pensando a tuo padre. –
Emise
un verso sprezzante.
-
Strano, visto che sembra essere il centro dei tuoi
pensieri. Neanche fossi davvero sua
figlia. Non sei una Morgenstern, sei una Herondale, e non sarai mai
nulla più
che una ragazzina orfana e impaurita che ha raccolto come avrebbe fatto
con un
cucciolo randagio e ha portato a casa – concluse, con
bruciante soddisfazione.
Finalmente
era riuscito a ferirla, lo vedeva da come quegli
occhi d’argento lo fissavano impietriti.
-
Va’ all’inferno, Jonathan. –
Scivolò
via, indossando una vestaglia sopra la camicia da
notte e uscendo dalla stanza.
Si
chiuse la porta alle spalle con forza, incurante dell’ipotesi
di svegliare qualcuno degli ospiti dei Penhallow.
Lei
che aveva persino provato a rincuorarlo. Oh, per l’Angelo,
che razza d’idiota che era stata. Jonathan Morgenstern era
uno stronzo incapace
di provare anche un minimo barlume di riconoscenza. Paragonarlo a suo
padre?
Impossibile, perché Valentine non era neanche lontanamente
inumano come suo
figlio.
Jonathan,
intento a fissare il soffitto della stanza, scosse
la testa. Non era capace di
guadagnarsi l’amore delle persone e quella ne era stata la
riprova. Non sapeva perché
le aveva detto quelle cose, malgrado fossero vere, soprattutto in un
momento
come quello in cui le divergenze sembravano essersi appianate.
La
verità è che tu non vuoi
essere amato, sussurrò malignamente la vocina nella sua
testa. E sì, probabilmente
aveva ragione lei.
Spazio
autrice:
Rieccoci
qui. Nessuna recensioncina? Non vorrete fare di me un’autrice
tanto ma tanto
triste, vero? Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma
Erin Gaunt
|
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Capitolo 5 *** You can’t touch me ***
You can’t touch me
La
mattina in casa Penhallow era cominciata in modo
frenetico. I coniugi erano usciti di buon’ora per una
riunione con il Conclave.
Alec era con Isabelle e quel loro strano amico vampiro …
Katherine non aveva
mai visto un vampiro nerd, ma Simon lo era decisamente. Clary era
tornata a
casa dei Greymark e Jonathan … beh, più le stava
lontano e meglio era. Dopo ciò
che era accaduto la notte precedente non aveva proprio voglia di
trovarselo tra
i piedi.
Così,
rimasta sola, girovagò per l’abitazione fino a
raggiungere la cucina.
Preparò
un paio di toast, delle uova strapazzate con bacon
croccante e due spremute d’arancia. Poi
s’incamminò verso la stanza del terzo
piano, quella che era stata assegnata a Jace.
Bussò
piano.
-
Avanti. –
Suo
fratello era seduto sul bordo del letto, a torso nudo, e
si stava tracciando distrattamente una runa sull’avambraccio.
Le nocche della
mano destra erano scorticate come se avesse preso a pugni un muro e
probabilmente era davvero così.
-
Se vuoi ti do una mano, disegnare con la sinistra non è
semplice. –
Gli
occhi dorati si sollevarono sulla sua figura e un
sorriso lieve gli increspò le labbra.
-
Ah, sei tu. –
Katherine
arricciò il labbro inferiore, in un’espressione a
metà tra la malizia e il broncio.
-
Deluso?
-
No, affatto. Quella è la colazione? –
Annuì,
togliendogli lo stilo dalle mani e posizionando il
vassoio sul comodino accanto al letto.
-
Finisco di disegnarti la runa di guarigione e poi mangiamo
– disse, maneggiando lo stilo con abilità, - Hai
litigato con Clary? È arrabbiata
per ieri, per il fatto che ci siamo baciati? –
-
È arrabbiata perché non la volevo qui. Pensa che
io la
voglia proteggere perché non credo che possa cavarsela.
–
-
Ed è così? –
Scosse
la testa. – Voglio proteggerla, questo sì, ma non
credo che sia debole e indifesa. –
-
E questo a lei lo hai detto? –
-
Avrei dovuto? –
Rise,
scuotendo la testa. Ah, gli uomini.
-
Ti svelo un segreto che in pochissimi sanno: alle donne le
parole piacciono. Spiegale il motivo per cui fai ciò che
fai, non limitarti a
darle ordini. Aiutala a capirti. –
-
È quello che Sebastian fa con te? –
-
Io e Sebastian ci detestiamo cordialmente, non siamo un
esempio fraterno da prendere in considerazione –
replicò.
In
realtà non siamo un esempio da imitare e basta,
pensò.
Jace
rise, per poi commentare ironicamente: - Beh, non è
colpa tua. Sebastian è una testa di cazzo mentre tu sei
… beh, sei fin troppo
intelligente. –
-
Sono sicura che anche Clary sia una ragazza molto
intelligente … quindi parlale, Jay. –
Le
lanciò un’occhiata incuriosita. Già,
probabilmente anche
lei si sarebbe stranita se una quasi sconosciuta le avesse affibbiato
un
soprannome così amichevole.
-
Scusa, magari non ti piace sentirti chiamare così.
–
Fece
per alzarsi dal letto, ma una mano alabastrina si
chiuse sul suo polso e la costrinse a rimanere dove si trovava. Gli
occhi
dorati la osservavano con una scintilla dolce e sorpresa nello sguardo.
-
No, non fa niente, mi piace. –
-
Bene. Allora, Jay, farai come ti dico o no? –
Le
sorrise malandrino. – Forse. –
-
E da che dipende? –
-
Dal fatto che il sottoscritto riceva o meno un altro
bacio. –
Suo
malgrado indietreggiò appena, di riflesso, perché
per
quanto inaspettatamente piacevole fosse stato il contatto del giorno
prima non
era affatto desiderosa di provare nuovamente l’esperienza.
-
Guarda che se non vuoi non fa niente, non me la prendo
mica – aggiunse poi, ma si vedeva che quella non era stata
affatto la reazione
che si era aspettato.
Quell’espressione.
Che l’angelo la perdonasse, ma quando la
guardava così non riusciva a negargli nulla. Erano stati
lontani tanto a lungo
e lei voleva davvero aiutarlo a cancellare tutto il dolore che aveva
provato in
quei diciassette anni. Avrebbe fatto qualunque cosa per lui, per alleviare un po’
la sua sofferenza.
Così,
semplicemente, si sporse in avanti e lo fece. Lo
baciò, chiudendo gli occhi e rilassandosi un po’
quando sentì le sue braccia
cingerle i fianchi e ricambiarla con trasporto. Le mani di Jace corsero
nuovamente sui suoi fianchi, accarezzandoli con il tocco delicato di
una
farfalla, sollevando la maglietta per poterle lasciar vagare
più su. Le accarezzò
il ventre piatto, la schiena e risalì lungo il costato.
Le
tolse l’indumento con un movimento fluido e rapido,
facendola sdraiare sul materasso. Si chinò a baciarle il
lobo dell’orecchio, il
collo, la clavicola e seminò una scia di baci bollenti lungo
tutto il busto
fino al ventre e poi più giù …
finchè la sua bocca non si scontrò con il bordo
dei pantaloni in pelle.
Fu
allora che Katherine si rimise seduta, allontanandosi un
po’ da lui.
-
Non avevi detto che volevi solo un bacio? –
replicò, con
la stessa ironia che poco prima aveva utilizzato lui.
Jace
sorrise sghembo. – Sono abbastanza sicuro di non aver
mai detto di non volere altro. Ma se vuoi che ci fermiamo va bene.
–
Questa
volta diceva sul serio. Non le avrebbe fatto alcuna
pressione per spingersi oltre. Era un gentiluomo, il suo fratellino.
Clary era
fortunata.
-
Sì, credo che sia meglio se ci diamo una calmata –
confermò, recuperando la t shirt e infilandola proprio
mentre la voce di Isabelle,
al piano inferiore, annunciava l’arrivo di Clary.
-
Sarà meglio che non mi trovi qui e, mi raccomando, parlale
– concluse, fissandolo seria, per poi uscire alla svelta
dalla stanza.
*
Quando
rientrò nella sua stanza, sussultò trovando
Jonathan
sdraiato sul copriletto.
-
Pensavo che fossi uscito. –
-
Hai la maglietta al contrario – le fece notare gelidamente
per tutta risposta, per poi avvicinarlesi come un predatore a caccia
non appena
la porta si fu richiusa dietro di lei. La inchiodò contro il
muro, proprio come
aveva fatto la sera precedente, ma la furia nei suoi occhi era nuova e
ancora
più terrificante del solito.
-
Eri da Jace? Ti sei fatta sbattere da tuo fratello? –
Non
urlava, non lo faceva mai quando si arrabbiava. Parlava
a bassa voce, in modo quasi sibilante tanto era furente, e proprio per
questo
era ancora più inquietante.
-
Non è successo nulla, sei paranoico, e poi ti ho
già detto
che a te non devo rendere conto di nulla –
replicò, determinata a tenergli
testa.
Era
una Herondale, dopotutto, doveva ancora nascere il
ragazzo capace di ridurla a una ragazzina frignante e tremante.
Jonathan
però la colse di sorpresa, agganciando con un dito
lo scollo a V della t shirt e strappandola con un unico movimento
potente.
Sulla
pelle chiara, cosa che in precedenza era stata troppo
occupata per notare, c’erano una decina di piccoli segni di
un rosa un po’ più
intenso in corrispondenza di dove Jace aveva posato la sua bocca.
-
Non è successo niente, eh? –, la
schernì aspramente, - Hai
semplicemente deciso che volevi farti scopare da qualcun altro per
toglierti
dalla testa Valentine. –
-
Veramente con Jace non ho pensato nemmeno per un secondo a
Valentine. –
Lo
disse per provocarlo, farlo arrabbiare, ma in realtà
perché
era anche la verità. Non aveva pensato a nulla mentre era
stesa sotto suo
fratello, intenta a ricevere i suoi baci, semplicemente
perché quel contatto
non le aveva fatto nessun effetto. Era difficile avere fantasie
sessuali mentre
non avvertivi la minima eccitazione.
Ottenne
la reazione sperata perché Jonathan la schiacciò
ancora di più contro il muro mentre una mano scostava una
coppa del reggiseno e
la rimpiazzava stringendo con un po’ più di forza
del necessario mentre l’altra
si faceva strada in mezzo alle gambe della ragazza, senza alcun pudore.
-
E adesso? Adesso a che stai pensando? – le ringhiò
a fior
di labbra, chinandosi su di lei per baciarla.
A
che pensava? Era facile.
Pensava
che fosse un dannato psicopatico, un vero e proprio
stronzo dal cuore di ghiaccio. Pensava però che fosse bello,
di una bellezza
tremenda e spaventosa, e sexy. Sì, non poteva negare che
fosse tremendamente
sexy persino mentre la fissava con furia cieca.
Pensava
che non voleva fare sesso con lui. Non di nuovo, non
per accontentare quel suo stupido ego né per sentirsi
sputare addosso di nuovo
parole come quelle della notte precedente.
Strinse
l’impugnatura del coltello che portava assicurato al
sistema ascellare, sfoderandolo e puntandolo contro quella pelle
candida in un
balenio d’argento.
-
Penso che se non mi togli le mani di dosso immediatamente
ti squarcerò la gola da
parte a parte. –
Sorpreso,
si ritrovò inaspettatamente ad accontentarla.
Probabilmente perché nei suoi occhi lesse la conferma alle
sue parole. L’avrebbe
fatto, l’avrebbe davvero ucciso se non le avesse tolto le
mani di dosso.
-
Non provarci mai più, Jonathan, perché la
prossima volta
non sarò così clemente –
asserì, rinfoderando la lama e sgattaiolando fuori
dalla finestra.
Aveva
bisogno di un po’ d’aria e un momento di calma
senza
che qualcuno le andasse dietro per scoprire cosa ci fosse che non
andava. E per
qualcuno intendeva Jace.
Si
rifugiò sul tetto, chiudendo gli occhi e assaporando la
sensazione piacevole della luce calda del sole che
s’infrangeva sulla sua
pelle.
Finalmente
un po’ di pace.
Spazio
autrice:
Lo
so,
neanche a dirlo sono in ritardo come al solito. Non so
perché ma scrivere su
Shadowhunters mi riesce sempre abbastanza difficile, però
sono testarda quindi
insisto e resisto u.u
Della
serie chi insiste e resiste raggiunge e conquista *ride*
Vabbè,
visto che non so più che dire, facciamo che passo la palla a
voi e mi fate
sapere che ne pensate di questo nuovo capitolo … eh?
*sorride supplichevole*
Alla
prossima.
Baci
baci,
Fiamma
Erin Gaunt
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