Shadowhunters - Città dei dannati

di Fiamma Erin Gaunt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I just want to make you proud ***
Capitolo 3: *** Hello, little brother ***
Capitolo 4: *** Put your hands on my body ***
Capitolo 5: *** You can’t touch me ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

 

 

 

 

 

 

Katherine era acciambellata sul divano in pelle nera, intenta a sfogliare un tomo dall’aria imponente e le pagine segnate dall’usura del tempo, quando un rumore di passi in avvicinamento interruppe la sua concentrazione. Lo scricchiolio della porta in mogano che veniva aperta le annunciò la presenza dei due uomini con cui condivideva la casa. Alzò appena lo sguardo verso di loro, scrutandoli con i suoi inconsueti occhi argentati. Valentine era appoggiato a uno degli scaffali della libreria e lasciava vagare lo sguardo dal figlio alla ragazza che aveva adottato, pregustando quello che sarebbe di certo stato uno scontro verbale senza esclusione di colpi; il fatto che quei due adolescenti non si sopportassero all’inizio lo aveva infastidito, ma quando aveva scoperto che la ragione era che entrambi desideravano ottenere la sua approvazione non poteva negare di aver trovato la situazione alquanto divertente.

- Jonathan ha delle novità. –

Inarcò pigramente un sopracciglio, riprendendo a scorrere con gli occhi le lettere impresse sulla carta. – Sto ascoltando. –

- Clary sta cercando Ragnor Fell per risvegliare sua madre. – disse, sfidandola a controbattere.

Katherine rimase in silenzio. Quella era una vera notizia, non come tutte le altre che aveva riferito loro da quando si era infiltrato tra gli amici di quella patetica ragazzina. Decise comunque che non gli avrebbe dato la minima soddisfazione.

- Bravo, adesso vuoi un biscottino? – lo provocò.

Jonathan scattò in avanti, provando ad afferrarla, ma non si fece trovare impreparata e scartò di lato. Rotolò giù, usando il solido schienale del divano come una barriera per arginare l’impeto del ragazzo.

- Cominci a perdere colpi, Nathan. –

Aveva appena finito di pronunciare la frase che si ritrovò schiacciata contro il muro, intrappolata tra la parete e il petto muscoloso del ragazzo. Si era mosso in modo così veloce da non riuscire a permetterle di vederlo.

- Allora, Kat, sono stato abbastanza veloce per i tuoi gusti? – sibilò a un paio di centimetri dal suo volto.

Un ghigno malizioso le stirò le labbra.

- Veramente di solito non mi piace quando i ragazzi sono troppo veloci, il divertimento finisce subito. – commentò, giocherellando distrattamente con i bottoni della camicia fino a scendere sempre più verso il basso.

Lo sguardo di Jonathan, che da inizialmente perplesso era passato a imbarazzato e poi bramoso, la fece scoppiare a ridere. Fu un suono carico di sarcasmo e scherno, tagliente come il vetro. Scivolò via dalla sua presa e mise una buona distanza tra di loro. Si divertiva a sfidarlo, ma non era così sciocca da farlo quando c’era meno di mezzo metro di distanza tra loro.

- Puttana. – ringhiò tra i denti, fulminandola con un’occhiataccia.

- Solo un po’. –

La voce di Valentine interruppe il loro scambio di opinioni. Si era divertito a vederli battibeccare, ma era giunto il momento che i suoi ragazzi tornassero a focalizzarsi sull’obiettivo.

- Basta così. Katherine, andrai a casa di Fell insieme a un paio di demoni; Clary non deve parlare con lui. –

Jonathan si voltò verso il padre, indignato, - Perché mandi lei e non me? –

- Perché tu devi fare ritorno a Idris e continuare a spiare Clary, non hai tempo da perdere. – replicò Valentine.

Abbassò la testa, sconfitto. Quando suo padre decideva una cosa era legge, non sarebbe mai riuscito a fargli cambiare idea. Lanciò un’ultima occhiata malevola in direzione di Katherine e poi annuì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

La casa di Fell non era nulla d’eccezionale, a ben guardarla non si sarebbe mai neanche detto che fosse abitata da uno stregone. C’era da dire che aveva sentito parecchie storie su di lui e sulla sua passione per il genere femminile; non era un segreto per nessuno, infatti, che Ragnor fosse pienamente consapevole e orgoglioso del fascino curioso che il suo aspetto esercitava sul gentil sesso. Fascino che sarebbe presto stato la sua rovina.

Si ravviò le morbide onde corvine, scompigliate a causa del viaggio sulla moto demoniaca, e sistemò la spada angelica in modo che risultasse pressoché invisibile al di sotto della giacca in pelle. Aveva appena raggiunto la porta quando venne spalancata e sulla soglia comparve l’alta figura di Fell.

Il colorito verdastro della pelle non risultava affatto sgradevole come aveva immaginato, anzi faticava a immaginarlo senza. Nel complesso era un bell’uomo, anche se non si avvicinava neanche lontanamente alla perfezione dei tratti di Valentine … né a quelli di Jonathan, ammise controvoglia.

- Cosa ci fa una Nephilim così graziosa davanti alla mia porta, per di più a un’ora così insolita? –

Sorrise, abbassando la testa in un tentativo di fingersi imbarazzata, e fissandolo al di sotto delle lunghe ciglia.

- Sono arrivata a Idris da poco e non ho resistito all’idea di conoscere il grande Ragnor Fell. – sussurrò.

Lo stregone la scrutò dalla testa ai piedi, per poi abbozzare un sorrisetto d’apprezzamento. Si spostò dalla soglia.

- Vuoi entrare? –

Annuì, oltrepassandolo facendo tintinnare le unghie sul suo petto. Lanciò una rapida occhiata al salotto, cercando qualsiasi cosa che potesse essere usata contro di lei. Non trovò nulla di particolarmente pericoloso; se fosse stata rapida nell’agire Ragnor non avrebbe neanche fatto in tempo a pensare a uno dei suoi incantesimi.

- C’è qualcosa da bere, qualcosa di forte? – domandò, mordicchiandosi il labbro inferiore con aria speranzosa.

Ragnor evocò una bottiglia di whiskey dal nulla, versandone un bicchiere e porgendoglielo.

- Sai il mio nome, ma io non so il tuo. – osservò, lasciandosi cadere a sedere accanto a lei.

- Katherine ... Katherine Herondale. –

La consapevolezza illuminò lo sguardo dello stregone, che cercò immediatamente di mettersi all’opera per tessere un incantesimo. Ma era lento, decisamente troppo lento.

I demoni che l’avevano accompagnata e avevano aspettato in silenzio, avvolti nella loro illusione, fecero la loro comparsa. Una lama d’oscurità trafisse il petto di Ragnor, all’altezza del cuore, lasciando lo stregone riverso a terra in una pozza di sangue.

La ragazza li congedò con un secco gesto della mano. Tornò a sorseggiare il whiskey, attendendo pazientemente che anche l’ultimo barlume di vita lasciasse il corpo di Fell. Quando il busto s’inarcò e un copioso fiotto di sangue uscì dalle labbra verdastre, gli occhi dello stregone si chiusero per sempre.

- Con tanti saluti da parte di Valentine. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccomi finalmente approdata in questo spettacolare fandom. Avevo atteso per mesi nella speranza che l’ispirazione giungesse e finalmente ce l’ha fatta! Ergo, vi toccherà sorbirmi la mia long xD. Scherzi a parte, spero che questo prologo vi abbia incuriosito e che vogliate farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 2
*** I just want to make you proud ***


I just want to make you proud

 

 

 

 

 

Tornata alla residenza di famiglia, in attesa che Valentine la ricevesse, Katherine passeggiava per il salotto come una pantera in gabbia. Aveva deciso che gliel’ avrebbe chiesto, non vedeva perché solo Jonathan avesse il diritto di andare in giro a divertirsi mentre a lei toccava uscire solo quando si trattava di andare a far fuori un qualche stupido stregone.

- Mi stavi aspettando? –

Si voltò verso di lui, sorpresa dalla sua comparsa, per poi annuire.

- Volevo chiederti una cosa. –

Lo sguardo dell’uomo si assottigliò, quasi stesse cercando di indovinare cosa le passasse per la testa.

- Chiedi pure, Katherine. –

Una scia di brividi le corsero lungo la schiena. Il suo nome, pronunciato da quelle labbra, suonava come qualcosa d’incredibilmente peccaminoso e non si sarebbe mai stancata di sentirglielo ripetere.

- Voglio andare anche io a casa dei Penhallow, o da qualche altra parte, ma permettimi di stare al centro dell’azione. – disse con decisione, sforzandosi di apparire inflessibile.

Questa volta non avrebbe accettato un rifiuto, non si sarebbe lasciata convincere come era sempre accaduto in quei diciotto anni di vita.

Valentine le si avvicinò, accarezzandole delicatamente una guancia.

- Credevo che ti piacesse stare qui con me. – mormorò, con voce bassa e voluttuosa.

Sospirò, impedendosi di trattenere la mano contro la sua pelle. Valentine sapeva bene quali fossero i punti su cui fare leva, conosceva ogni debolezza umana e sapeva usarla alla perfezione. E lei aveva una sola grande, immensa, debolezza: proprio lui.

- Infatti mi piace, ma … – le parole le morirono in bocca mentre una mano affusolata scendeva ad accarezzarle il collo fino ad arrivare alla clavicola.

- Ma? – sussurrò, invitante.

- Voglio stare al centro dell’azione, mostrare il mio valore. –

Voglio solo renderti fiero di me.

- Desideri dimostrare il tuo valore … E perché, per compiacermi? –

Un campanello d’allarme suonò nella sua mente, ma decise d’ignorarlo. Valentine non le avrebbe mai fatto del male, questa era una delle pochissime cose di cui era assolutamente certa.

- Sì, per compiacerti. – confermò.

Un ghigno si dipinse sul volto dell’uomo e il suo respiro caldo s’infranse contro la delicata pelle alabastrina del collo; si chinò a depositarvi un bacio bollente, facendola fremere.

- Esistono altri modi in cui puoi compiacermi, cose per cui non occorre lasciare la residenza. – replicò, insinuante.

Quelle parole le tolsero ogni raziocinio, lasciando spazio solo alla passione che divampava dentro di lei. Spinse Valentine contro il muro più vicino, premendo le labbra sulle sue e mordendole lievemente. Un rapido colpo di reni e fu lei a trovarsi incastrata tra il petto dell’uomo e il freddo stucco.

Gli occhi neri la fissavano con uno scintillio divertito e bramoso insieme. Le artigliò i fianchi con le mani e la sollevò, costringendola a cingergli la vita con le gambe per mantenere l’equilibrio. Poi la baciò a sua volta, con impeto e decisione, come se volesse divorarla. Katherine gemette quando i denti le vennero conficcati nel labbro inferiore e il sapore metallico del sangue le ottenebrò le papille gustative.

Fu allora che Valentine la rimise giù, sforzandosi d’ ignorare l’espressione accalorata, i capelli scarmigliati e le labbra gonfie che reclamavano a gran voce un altro contatto di quel tipo. Doveva darsi una calmata o avrebbe perso definitivamente il controllo.

- Sembri abbastanza compiaciuto. – commentò Katherine, maliziosamente.

- E tu sei ancora sicura di volertene andare da qui? –

Si mordicchiò il labbro, pensierosa. Il suo istinto le gridava di rimanere e lasciare che quell’uomo dal fascino tenebroso disponesse di lei in tutti i modi che gli fossero venuti in mente, ma l’orgoglio degli Herondale unito alla sua testardaggine ebbe la meglio. Aveva detto che non si sarebbe fatta convincere e così sarebbe stato.

- Sì, voglio andare. – confermò, incrociando le braccia per sottolineare la sua irremovibilità.

Quella ragazza aveva davvero una forza  di volontà spaventosa. Il suo corpo fremeva dal desiderio, ma vi avrebbe rinunciato pur di ottenere ciò che voleva. Gli ricordava così tanto se stesso a quell’età.

- Va bene, puoi andare. –

Gli occhi argentati si sgranarono, sorpresi.

L’aveva presa in contropiede, mai si sarebbe aspettata che finisse con il cedere con tutta quella facilità.

- Posso davvero andare in giro e … – si morse la lingua, impedendosi di continuare con ciò che stava dicendo.

- E? –

E conoscere Jace?

- E divertirmi a provocare un po’ di caos come fa Jonathan? – concluse.

Riecco il lato adolescenziale di Katherine. Certe volte faceva davvero fatica a ricordarsi che la splendida giovane donna che aveva davanti aveva solo un anno più di suo figlio e che mostrava verso il mondo un entusiasmo fanciullesco; non era mai uscita molto, non era sicuro mandare una Herondale in giro da sola quando il Conclave era attento a ogni minima mossa, e quell’occasione doveva sembrarle incredibilmente eccitante.

- Sì, certo che puoi. Non perdere di vista l’obiettivo, però. –

- Non lo farò, Valentine. – assicurò, afferrando la mano che le veniva porta e lasciandosi tirare verso di lui.

- Molto bene. Rendimi fiero di te e poi torna da me, perché il tuo posto e quello di Jonathan è al mio fianco, lo sai, vero? –

Annuì.

- Lo so. –

Le labbra di Valentine catturarono le sue in un ultimo profondo e violento bacio, poi la presa sulle sue braccia s’infranse e Katherine fu libera di voltargli le spalle e uscire nel patio sommerso dai raggi del Sole.

Sto arrivando, fratellino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

 

Eccoci qui con l’aggiornamento. Perdonate l’attesa e la striminzitezza scandalosa dell’aggiornamento, ma se l’avessi unito al capitolo successivo sarebbe venuta fuori una roba chilometrale e non mi sembrava il caso. Spero che il comportamento di Valentine in questo capitolo sia chiaro a tutti: le persone vengono dominate o dal punto di vista fisico o da quello mentale; ebbene, lui non si accontenta solo di quello mentale ma desidera anche dominare fisicamente Katherine – Jonathan no, oltre a essere un uomo è anche eterosessuale e suo figlio – quindi ricorre al contatto fisico anche per cercare di piegarla alla sua volontà. Quella di Katherine, d’altra parte, se non vogliamo parlare proprio di succubanza possiamo definirla come una sorta d’ossessione. Insomma, spero di essermi spiegata e che vogliate lasciarmi un commentino per farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 3
*** Hello, little brother ***


Hello, little brother

 

 

 

 

 

 

 

 

- Magari sei solo geloso perchè ho baciato tua sorella. –

La voce di Jonathan, beffarda e tagliente come al solito, risuonò nel salone dei Penhallow mentre Katherine entrava dalla porta d’ingresso. Non udì la risposta di Jace e in parte le dispiacque. Era curiosa di sentire l’inflessione della sua voce. Sarebbe stata bassa e sorniona come la sua, tagliente e fredda come quella di Jonathan o calda e avvolgente come quella di Valentine?

Tuttavia il suo disappunto venne presto ricompensato con l’apparizione del diretto interessato. Un ragazzo intorno ai diciassette anni, gli zigomi alti e i tratti del volto decisi come i suoi, una chioma bionda e due incredibili occhi dorati le veniva incontro. Il suo cuore perse un battito quando lo riconobbe. I tratti erano gli stessi, come anche la carnagione e, riusciva a immaginarlo chiaramente, anche il modo di sorridere doveva essere come il suo.

Finse di non vederlo, finendogli addosso di proposito.

- Scusami, è colpa mia – disse, incastonando le iridi argentee in quelle dorate.

Oro e argento erano colori così diversi eppure in quel momento sembravano complementari.

L’espressione furente sul volto di Jace si rasserenò un po’.

- No, non stavo guardando dove camminavo. Non ti sei fatta male, no? –

Katherine scosse la testa. Da così vicino riusciva a sentire distintamente l’odore dolciastro del suo dopobarba. Odore di casa … incredibile come pensasse a una cosa del genere quando era solo la prima volta che lo incontrava.

- Tutta intera. Katherine Verlac, piacere di conoscerti – replicò, porgendogli una mano affusolata con un sorriso.

- Un’altra Verlac, fantastico – borbottò tra i denti.

- Problemi con Sebastian, vero? Mio fratello è il genere di persona la cui testa andrebbe sbattuta ripetutamente contro un muro … un bel muro di robusto cemento armato. –

Jace abbozzò un sorriso divertito.

- Sembri una tipa okay. Dimmi, cosa è andato storto con lui? –

- Credo sia stato adottato – ribattè, sfoderando il suo miglior tono a metà tra l’ironico e il serio.

Questa volta il ragazzo scoppiò a ridere, sinceramente divertito, e Katherine ne ebbe la conferma. Avevano la stessa fossetta che spuntava e lo stesso identico sorriso sghembo.

- Jace Lightw … Morgenstern – si corresse, storcendo il naso in una comica espressione di disgusto.

Katherine si chiese distrattamente che cosa ne avrebbe pensato Valentine se l’avesse sentito pronunciare il nome di famiglia con un tono del genere. Probabilmente l’avrebbe preso per la collottola e scaraventato dall’altra parte della stanza. Ma questo non voleva dire molto … Valentine non era esattamente il prototipo del padre amorevole e tollerante.

- Quindi tu sei lo Shadowhunter delle meraviglie di cui si parla tanto in giro. –

- “Shadowhunter delle meraviglie”? Sì, mi piace come suona, ma pensavo che fossi conosciuto con un nome più melodrammatico. Che so, qualcosa tipo “la bionda progenie di Satana” o “l’Anticristo”. –

Katherine arricciò il labbro inferiore, fingendosi pensierosa. – Sì, “bionda progenie di Satana” devo dire che suona bene. –

Poi tornò seria e lo scrutò con attenzione. – Allora, vuoi dirmi cosa ha combinato mio fratello per farti arrabbiare così tanto? –

- Ha … Ha baciato Clary. Lei è mia sorella – spiegò, pronunciando l’ultima parola come se fosse l’insulto peggiore che potesse venirgli in mente.

- Capisco. Sei il tipico fratello maggiore geloso. –

- Qualcosa del genere – borbottò per tutta risposta, ma si capiva che non era ciò che pensava sul serio.

- Bè, Sebastian si diverte a infastidire le persone … è un po’ una specie di hobby per lui – poi aggiunse, inarcando un sopracciglio – Insomma, è un gran rompicoglioni. –

Risero all’unisono. Poi Jace le puntò un dito contro con aria solenne.

- Tu mi piaci, Katherine Verlac, sappilo. –

- Anche tu, Jace “bionda progenie di Satana” Morgenstern. –

- Stavo andando in biblioteca per distrarmi un po’ … vuoi venire? –

Jace l’aveva buttata lì come se non fosse questa gran proposta, ma se le assomigliava anche solo un po’ caratterialmente significava molto.

Rimasero seduti tra gli scaffali per una decina di minuti finchè non si decise a prendere la parola e raccontarle dal principio tutta la storia con Clary. Come l’aveva conosciuta, il loro primo bacio, la rivalità con il migliore amico di lei, la scoperta della loro parentela e, per finire, la gelosia che l’aveva assalito quando aveva sentito le parole di Sebastian.

- E so che è sbagliato, innaturale, ma non riesco a fare a meno di pensare a lei – concluse, guardandola con le sopracciglia inarcate. – Bè, non sei ancora scappata disgustata, quindi o sei la comprensione fatta persona o sei ancora più strana di me. –

- Probabilmente entrambe le cose – replicò, avvicinandoglisi e continuando a guardarlo negli occhi, - Forse dovresti semplicemente concentrarti su qualcun’altra e provare a vedere cosa succede. –

- Sembra un’idea sensata – replicò, per poi annullare la distanza che li separava e catturarle le labbra in un bacio.

Baciare il proprio fratello minore non era neanche lontanamente disgustoso come chiunque avrebbe potuto pensare. Forse c’entrava il fatto che le labbra di Jace fossero inaspettatamente morbide e delicate, o magari la sua ottima tecnica da baciatore o, infine, il disperato bisogno di provare un amore “naturale” per qualcuno che non fosse sua sorella. Peccato solo che in realtà Clary non fosse sua sorella, ma il ruolo fosse occupato da lei, proprio la ragazza con cui stava cercando di dimenticarla.

Ricambiò il bacio con dolcezza. Le mani di Jace le cinsero i fianchi, attirandola a sé e accarezzandola delicatamente al di sotto della t shirt scura. Era un contatto molto diverso da quelli a cui era abituata, ma non per questo sgradevole. Rese comunque mentalmente grazie a chiunque avesse aperto la scricchiolante porta in mogano e li avesse interrotti, traendola d’impaccio da una situazione quantomeno ambigua.

Una ragazza dai capelli rosso fuoco e gli occhi verde smeraldo li guardava incredula. Sembrava avere difficoltà ad articolare qualsiasi commento e guardava Jace con un’espressione che era un misto tra l’addolorato e lo stupito.

- Lei è mia sorella … Clary. –

Spiegazione superflua dal momento che Katherine aveva visto delle foto di Jocelyn e la sedicenne era tanto simile alla madre quanto Jonathan lo era al padre.

Alle sue spalle si stagliava proprio lui, con gli occhi color ossidiana che la fissavano come se volessero incenerirla su due piedi.

- Magari è meglio se io e Sebastian andiamo, vorrete parlare un po’ – propose, avvicinandosi al ragazzo e trascinandolo per un braccio fuori dalla biblioteca.

Percorsero il corridoio in silenzio, accompagnate dalle esclamazioni indignate di Clary e dalle repliche gelide di Jace.

Quando rimasero soli, nella stanza che i Penhallow gli avevano offerto, Katherine realizzò per la prima volta che i coniugi non avevano trovato nulla di male nel fatto di farli dormire insieme, dal momento che erano fratelli, e i due letti a una piazza e mezzo erano sistemati a una ventina di centimetri l’uno dall’altro. Non aveva mai passato la notte tanto vicina a Jonathan né desiderava farlo. Essere chiusa per ore in balia di uno psicopatico lunatico, per giunta inerme a causa del sonno, non era proprio in cima alla lista delle sue priorità. Tuttavia non lo diede a vedere. Con Jonathan valevano le stesse regole degli animali feroci; non bisognava mai fargli capire quanto si fosse spaventati da lui.

- Esattamente cosa ti è saltato in mente? –

Inarcò un sopracciglio. – Scusa? –

- Perché l’hai baciato? –

- Temo che dovrai essere un po’ più specifico. Sai, ho baciato molte persone in questi diciotto anni – replicò, decisa a continuare con la storia della finta tonta.

- Non provarci nemmeno, Katherine. Perché hai baciato Jace, tuo fratello? –

- Tanto per la cronaca tu hai baciato Clary, tua sorella, quindi non venire a farmi la morale. –

Jonathan le si avvicinò, stringendole i polsi con forza per impedirle di allontanarsi e fissandola con rabbia.

- Basta con questi giochetti. Rispondi alla domanda. –

- Lasciami andare, Jonathan. Adesso – ordinò, mentre la rabbia cominciava a trapelare dalla sua voce.

Strattonò all’indietro con forza, districandosi e mettendo quanta più distanza possibile tra loro.

- Faccio quello che mi pare e non devo renderti conto di nulla, cerca di ricordartelo – concluse, voltandogli le spalle e cominciando a sistemare ostentatamente i pochi cambi che si era portata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Attesa indegna per l’aggiornamento, lo so, ma l’ispirazione era morta e sepolta. Fortunatamente è resuscitata per cui eccomi  nuovamente qui. Fatemi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

Fiamma Erin Gaunt

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Put your hands on my body ***


Put your hands on my body

 

 

 

 

 

Passare la notte con Jonathan non era esattamente in cima alla lista dei suoi desideri, ma in mancanza di meglio avrebbe dovuto arrangiarsi. Mentre frugava alla ricerca della sua camicia da notte, si ricordò che in effetti lei ce l’aveva eccome un’alternativa. Un’alternativa alta, snella e decisamente affascinante.

Mise via la camicia da notte, recuperò il fodero della spada e lo allacciò alla cintura. Stava giusto per scavalcare il davanzale e uscire quando Jonathan varcò la soglia. Gli occhi scuri sembrarono capaci di immobilizzarla, neanche fosse stato un coniglietto abbagliato dai fari di una macchina.

- Dove stai andando? –

- Non mi pare che siano affari tuoi, no? – ribattè.

Jonathan inarcò un sopracciglio, sprezzante. – Voglio solo essere certo che tu non mandi a rotoli la missione solo per andarti a rotolare tra le lenzuola con mio padre. –

Beccata in pieno.

- Non stavo andando da Valentine, volevo solo prendere un po’ d’aria – mentì rapidamente, ma persino alle sue orecchie suonava come una bugia molto poco convincente.

Le si avvicinò con l’andatura sinuosa di un serpente, continuando a fissarla negli occhi. Un ghigno gli increspò le labbra sottili mentre scuoteva la testa fintamente deluso.

- Pensavo che sapessi mentire meglio di così, Katherine. –

Si fermò a pochi centimetri da lei, le labbra che quasi si sfioravano mentre parlavano. Eppure in quel momento, ipnotizzata com’era da lui, non trovò nulla di male nel fatto di averlo così addosso.

- Se anche fosse non è un tuo problema, no? – trovò la forza di ribattere, maledicendosi mentalmente per come suonavano titubanti le sue parole.

Una delle mani alabastrine di Jonathan si posò sulla sua guancia, giocherellando distrattamente con un’onda corvina. Mai come in quel momento le ricordò così tanto Valentine. Si chiese distrattamente se lo stesse facendo apposta. Farla fremere dal desiderio per poi ridere di lei sembrava proprio il genere di cosa che avrebbe potuto fare Jonathan Christopher Morgenstern.

- No, non è un mio problema – confermò, abbandonando i capelli per seguire il profilo della mandibola, del collo e soffermarsi sulla clavicola. – Bè, perché non stai uscendo? – chiese, fingendosi innocentemente sorpreso, ma il luccichio nei suoi occhi lo contraddiceva.

Katherine posò una mano sul suo petto, saggiando la consistenza dei muscoli celati dalla divisa da combattimento, scendendo verso il basso fino ad arrivare alla cintura. Indugiò sulla fibbia, osservando come quegli occhi già così scuri s’incupivano ulteriormente.

- Pensavo che non ti piacessi – osservò, decisa a prendere in mano il gioco.

- Infatti non mi piaci. Sei testarda, arrogante, inso … - si morse la lingua, distratto dalla mano della ragazza che si era spostata ancora più verso il basso.

- Sì? –

- Insopportabile – concluse, prendendola per il bavero della maglietta e spingendola contro il muro.

Prese d’assalto le sue labbra, leccandole e mordendole fino a farla sanguinare. Katherine reagì d’istinto, artigliandogli le spalle e cingendogli i fianchi con le gambe. Trovarono il letto a tentoni, continuando quella furiosa lotta a base di lingue e denti. I vestiti finirono a terra, sparpagliati per la stanza, ormai completamente inutili. Affondò in lei, sorridendo davanti al suo gemito. Spinse nuovamente, guardandola sospirare di nuovo e chiudere gli occhi.

Si fermò a metà spinta, improvvisamente furioso.

- Apri gli occhi. –

Katherine obbedì, perplessa.

- Che accidenti ti prende? –

- Sono Jonathan, non Valentine, e non ti permetterò di pensare a mio padre mentre sei con me. –

Una spinta più forte, rabbiosa, che le mozzò il fiato per il dolore. Continuò a muoversi così: rapido, brutale, inesorabile, finchè non giunse all’apice del piacere. Rotolò su un fianco, voltandole le spalle.

Rimasero in silenzio per un po’ finchè non avvertì la mano fredda di Katherine che si posava sulla sua spalla.

- Jonathan. –

- Che c’è? – chiese, gelido, sforzandosi di non lasciar trapelare la strana sensazione che lo attanagliava. Collera, delusione, dolore … sentimenti noti che in quel momento lo punzecchiavano inesorabilmente. Sua madre gli aveva preferito Clary, suo padre Jace, Katherine vedeva in lui solo una pallida copia di Valentine. Non importava quanto forte fosse, quanto migliore di tanti altri sapesse essere, non era la prima scelta di nessuno.

Non doveva essere stato tanto bravo come credeva, perché Katherine gli si mise a cavalcioni per costringerlo a guardarla negli occhi. C’era un pizzico di comprensione e dolcezza nelle sue iridi argentee.

- Per la cronaca, non stavo pensando a tuo padre. –

Emise un verso sprezzante.

- Strano, visto che sembra essere il centro dei tuoi pensieri. Neanche fossi davvero sua figlia. Non sei una Morgenstern, sei una Herondale, e non sarai mai nulla più che una ragazzina orfana e impaurita che ha raccolto come avrebbe fatto con un cucciolo randagio e ha portato a casa – concluse, con bruciante soddisfazione.

Finalmente era riuscito a ferirla, lo vedeva da come quegli occhi d’argento lo fissavano impietriti.

- Va’ all’inferno, Jonathan. –

Scivolò via, indossando una vestaglia sopra la camicia da notte e uscendo dalla stanza.

Si chiuse la porta alle spalle con forza, incurante dell’ipotesi di svegliare qualcuno degli ospiti dei Penhallow.

Lei che aveva persino provato a rincuorarlo. Oh, per l’Angelo, che razza d’idiota che era stata. Jonathan Morgenstern era uno stronzo incapace di provare anche un minimo barlume di riconoscenza. Paragonarlo a suo padre? Impossibile, perché Valentine non era neanche lontanamente inumano come suo figlio.

Jonathan, intento a fissare il soffitto della stanza, scosse la testa. Non era capace di guadagnarsi l’amore delle persone e quella ne era stata la riprova. Non sapeva perché le aveva detto quelle cose, malgrado fossero vere, soprattutto in un momento come quello in cui le divergenze sembravano essersi appianate.

La verità è che tu non vuoi essere amato, sussurrò malignamente la vocina nella sua testa. E sì, probabilmente aveva ragione lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Rieccoci qui. Nessuna recensioncina? Non vorrete fare di me un’autrice tanto ma tanto triste, vero? Alla prossima.

Baci baci,

Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 5
*** You can’t touch me ***


You can’t touch me

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mattina in casa Penhallow era cominciata in modo frenetico. I coniugi erano usciti di buon’ora per una riunione con il Conclave. Alec era con Isabelle e quel loro strano amico vampiro … Katherine non aveva mai visto un vampiro nerd, ma Simon lo era decisamente. Clary era tornata a casa dei Greymark e Jonathan … beh, più le stava lontano e meglio era. Dopo ciò che era accaduto la notte precedente non aveva proprio voglia di trovarselo tra i piedi.

Così, rimasta sola, girovagò per l’abitazione fino a raggiungere la cucina.

Preparò un paio di toast, delle uova strapazzate con bacon croccante e due spremute d’arancia. Poi s’incamminò verso la stanza del terzo piano, quella che era stata assegnata a Jace.

Bussò piano.

- Avanti. –

Suo fratello era seduto sul bordo del letto, a torso nudo, e si stava tracciando distrattamente una runa sull’avambraccio. Le nocche della mano destra erano scorticate come se avesse preso a pugni un muro e probabilmente era davvero così.

- Se vuoi ti do una mano, disegnare con la sinistra non è semplice. –

Gli occhi dorati si sollevarono sulla sua figura e un sorriso lieve gli increspò le labbra.

- Ah, sei tu. –

Katherine arricciò il labbro inferiore, in un’espressione a metà tra la malizia e il broncio.

- Deluso?

- No, affatto. Quella è la colazione? –

Annuì, togliendogli lo stilo dalle mani e posizionando il vassoio sul comodino accanto al letto.

- Finisco di disegnarti la runa di guarigione e poi mangiamo – disse, maneggiando lo stilo con abilità, - Hai litigato con Clary? È arrabbiata per ieri, per il fatto che ci siamo baciati? –

- È arrabbiata perché non la volevo qui. Pensa che io la voglia proteggere perché non credo che possa cavarsela. –

- Ed è così? –

Scosse la testa. – Voglio proteggerla, questo sì, ma non credo che sia debole e indifesa. –

- E questo a lei lo hai detto? –

- Avrei dovuto? –

Rise, scuotendo la testa. Ah, gli uomini.

- Ti svelo un segreto che in pochissimi sanno: alle donne le parole piacciono. Spiegale il motivo per cui fai ciò che fai, non limitarti a darle ordini. Aiutala a capirti. –

- È quello che Sebastian fa con te? –

- Io e Sebastian ci detestiamo cordialmente, non siamo un esempio fraterno da prendere in considerazione – replicò.

In realtà non siamo un esempio da imitare e basta, pensò.

Jace rise, per poi commentare ironicamente: - Beh, non è colpa tua. Sebastian è una testa di cazzo mentre tu sei … beh, sei fin troppo intelligente. –

- Sono sicura che anche Clary sia una ragazza molto intelligente … quindi parlale, Jay. –

Le lanciò un’occhiata incuriosita. Già, probabilmente anche lei si sarebbe stranita se una quasi sconosciuta le avesse affibbiato un soprannome così amichevole.

- Scusa, magari non ti piace sentirti chiamare così. –

Fece per alzarsi dal letto, ma una mano alabastrina si chiuse sul suo polso e la costrinse a rimanere dove si trovava. Gli occhi dorati la osservavano con una scintilla dolce e sorpresa nello sguardo.

- No, non fa niente, mi piace. –

- Bene. Allora, Jay, farai come ti dico o no? –

Le sorrise malandrino. – Forse. –

- E da che dipende? –

- Dal fatto che il sottoscritto riceva o meno un altro bacio. –

Suo malgrado indietreggiò appena, di riflesso, perché per quanto inaspettatamente piacevole fosse stato il contatto del giorno prima non era affatto desiderosa di provare nuovamente l’esperienza.

- Guarda che se non vuoi non fa niente, non me la prendo mica – aggiunse poi, ma si vedeva che quella non era stata affatto la reazione che si era aspettato.

Quell’espressione. Che l’angelo la perdonasse, ma quando la guardava così non riusciva a negargli nulla. Erano stati lontani tanto a lungo e lei voleva davvero aiutarlo a cancellare tutto il dolore che aveva provato in quei diciassette anni. Avrebbe fatto qualunque cosa per lui, per  alleviare un po’ la sua sofferenza.

Così, semplicemente, si sporse in avanti e lo fece. Lo baciò, chiudendo gli occhi e rilassandosi un po’ quando sentì le sue braccia cingerle i fianchi e ricambiarla con trasporto. Le mani di Jace corsero nuovamente sui suoi fianchi, accarezzandoli con il tocco delicato di una farfalla, sollevando la maglietta per poterle lasciar vagare più su. Le accarezzò il ventre piatto, la schiena e risalì lungo il costato.

Le tolse l’indumento con un movimento fluido e rapido, facendola sdraiare sul materasso. Si chinò a baciarle il lobo dell’orecchio, il collo, la clavicola e seminò una scia di baci bollenti lungo tutto il busto fino al ventre e poi più giù … finchè la sua bocca non si scontrò con il bordo dei pantaloni in pelle.

Fu allora che Katherine si rimise seduta, allontanandosi un po’ da lui.

- Non avevi detto che volevi solo un bacio? – replicò, con la stessa ironia che poco prima aveva utilizzato lui.

Jace sorrise sghembo. – Sono abbastanza sicuro di non aver mai detto di non volere altro. Ma se vuoi che ci fermiamo va bene. –

Questa volta diceva sul serio. Non le avrebbe fatto alcuna pressione per spingersi oltre. Era un gentiluomo, il suo fratellino. Clary era fortunata.

- Sì, credo che sia meglio se ci diamo una calmata – confermò, recuperando la t shirt e infilandola proprio mentre la voce di Isabelle, al piano inferiore, annunciava l’arrivo di Clary.

- Sarà meglio che non mi trovi qui e, mi raccomando, parlale – concluse, fissandolo seria, per poi uscire alla svelta dalla stanza.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

Quando rientrò nella sua stanza, sussultò trovando Jonathan sdraiato sul copriletto.

- Pensavo che fossi uscito. –

- Hai la maglietta al contrario – le fece notare gelidamente per tutta risposta, per poi avvicinarlesi come un predatore a caccia non appena la porta si fu richiusa dietro di lei. La inchiodò contro il muro, proprio come aveva fatto la sera precedente, ma la furia nei suoi occhi era nuova e ancora più terrificante del solito.

- Eri da Jace? Ti sei fatta sbattere da tuo fratello? –

Non urlava, non lo faceva mai quando si arrabbiava. Parlava a bassa voce, in modo quasi sibilante tanto era furente, e proprio per questo era ancora più inquietante.

- Non è successo nulla, sei paranoico, e poi ti ho già detto che a te non devo rendere conto di nulla – replicò, determinata a tenergli testa.

Era una Herondale, dopotutto, doveva ancora nascere il ragazzo capace di ridurla a una ragazzina frignante e tremante.

Jonathan però la colse di sorpresa, agganciando con un dito lo scollo a V della t shirt e strappandola con un unico movimento potente.

Sulla pelle chiara, cosa che in precedenza era stata troppo occupata per notare, c’erano una decina di piccoli segni di un rosa un po’ più intenso in corrispondenza di dove Jace aveva posato la sua bocca.

- Non è successo niente, eh? –, la schernì aspramente, - Hai semplicemente deciso che volevi farti scopare da qualcun altro per toglierti dalla testa Valentine. –

- Veramente con Jace non ho pensato nemmeno per un secondo a Valentine. –

Lo disse per provocarlo, farlo arrabbiare, ma in realtà perché era anche la verità. Non aveva pensato a nulla mentre era stesa sotto suo fratello, intenta a ricevere i suoi baci, semplicemente perché quel contatto non le aveva fatto nessun effetto. Era difficile avere fantasie sessuali mentre non avvertivi la minima eccitazione.

Ottenne la reazione sperata perché Jonathan la schiacciò ancora di più contro il muro mentre una mano scostava una coppa del reggiseno e la rimpiazzava stringendo con un po’ più di forza del necessario mentre l’altra si faceva strada in mezzo alle gambe della ragazza, senza alcun pudore.

- E adesso? Adesso a che stai pensando? – le ringhiò a fior di labbra, chinandosi su di lei per baciarla.

A che pensava? Era facile.

Pensava che fosse un dannato psicopatico, un vero e proprio stronzo dal cuore di ghiaccio. Pensava però che fosse bello, di una bellezza tremenda e spaventosa, e sexy. Sì, non poteva negare che fosse tremendamente sexy persino mentre la fissava con furia cieca.

Pensava che non voleva fare sesso con lui. Non di nuovo, non per accontentare quel suo stupido ego né per sentirsi sputare addosso di nuovo parole come quelle della notte precedente.

Strinse l’impugnatura del coltello che portava assicurato al sistema ascellare, sfoderandolo e puntandolo contro quella pelle candida in un balenio d’argento.

- Penso che se non mi togli le mani di dosso immediatamente ti squarcerò la gola da parte a parte. –

Sorpreso, si ritrovò inaspettatamente ad accontentarla. Probabilmente perché nei suoi occhi lesse la conferma alle sue parole. L’avrebbe fatto, l’avrebbe davvero ucciso se non le avesse tolto le mani di dosso.

- Non provarci mai più, Jonathan, perché la prossima volta non sarò così clemente – asserì, rinfoderando la lama e sgattaiolando fuori dalla finestra.

Aveva bisogno di un po’ d’aria e un momento di calma senza che qualcuno le andasse dietro per scoprire cosa ci fosse che non andava. E per qualcuno intendeva Jace.

Si rifugiò sul tetto, chiudendo gli occhi e assaporando la sensazione piacevole della luce calda del sole che s’infrangeva sulla sua pelle.

Finalmente un po’ di pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Lo so, neanche a dirlo sono in ritardo come al solito. Non so perché ma scrivere su Shadowhunters mi riesce sempre abbastanza difficile, però sono testarda quindi insisto e resisto u.u

Della serie chi insiste e resiste raggiunge e conquista *ride*

Vabbè, visto che non so più che dire, facciamo che passo la palla a voi e mi fate sapere che ne pensate di questo nuovo capitolo … eh? *sorride supplichevole*

Alla prossima.

Baci baci,

Fiamma Erin Gaunt

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