L'Ynem

di pearlmoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Parigi si può ricominciare? ***
Capitolo 2: *** L'arrivo ***
Capitolo 3: *** Tempi lontani ***
Capitolo 4: *** Soir à Paris ***



Capitolo 1
*** A Parigi si può ricominciare? ***


Erano ormai passati due mesi, due mesi di pura agonia per Anise, una ragazza di appena diciotto anni che il destino aveva voluto punire togliendole ciò che di più caro aveva al mondo, i genitori. E con loro, la sua casa.
Ogni giorno si ritrovava a passare davanti a quella che una volta era la sua umile villetta, dimora di anni di spensieratezza e felicità. Tutto andato in fumo in un attimo. Ricordi bruciati e attimi che il tempo non le avrebbe più restituito.
Sua zia Margareth era tutto ciò che le era rimasto, e di questo Anise ne era felice. Oltre ad essere una zia modello, era anche la sorella della sua amata mamma che ora – da due mesi, oramai – la guardava dall’alto e vegliava su di lei con suo marito affianco. Quale peggior tortura, per una giovane donna che si trova a dover affrontare un’intera vita, sola con se stessa e i suoi dolorosi ricordi. Ma a strapparle un sorriso c’era appunto lei, la zia Margareth, che con la sua simpatia, la sua perenne allegria e il suo fare spumeggiante,  continuava ad irradiare solarità anche in una situazione terribile come era la loro. Anise aveva perso una madre, ma quella signora bassina e grassottella, aveva perso per sempre la sua sorellina. Amava ricordare così Hellen, la madre di Anise, e non smetteva mai di raccontare a quella povera ragazza, aneddoti sulla mamma e la zia da piccole; Margareth era più grande di una quindicina d’anni e si era sempre presa cura della più piccolina, nonché unica fra sorelle e fratelli. Si divertiva a crescerla facendola divertire e strappandole un sorriso anche nei momenti più bui, cosa che ora doveva fare con la piccola Anise.
Anise sorrideva, ma con un sorriso malinconico che non riesce mai ad espandersi in una risata, anche se leggera, anche se minima. Non riusciva ancora a farlo, il dolore prendeva il sopravvento su quelle labbra sottili, rosse come la rosa più bella, che si ritraevano sempre non appena un sorriso prendeva forma su di esse. E Margareth lo sapeva, lo sapeva bene quanto fosse dura per la giovane donna che si trovava a dover accudire e consolare quando quegli occhi chiari, nascosti sotto ad una frangetta ordinata che tendeva verso destra, volevano esplodere in un pianto incontrollato. Margareth era sempre lì, a fermarli.
“Piccola, buongiorno! Sono le sette e trenta e mi auguro di non svegliarti nel bel mezzo di un sogno, ma anche se così fosse, credo che mi perdonerai!”
Queste le parole della zia che si introdusse nella stanza che era ormai diventata la camera di Anise, mentre la ragazza era ancora in dormiveglia.
“Zia, buongiorno.” Rispose Anise sollevandosi e appoggiandosi alla spalliera del letto; la voce assonnata, gli occhi stanchi, ma le orecchie ben pronte ad ascoltare Margareth che sembrava così felice da poter scacciare quelle nuvole nere che caratterizzavano Londra. “Dimmi tutto, ti ascolto.” Solita educazione e solito sorriso di chi tenta di star bene, o di chi prova a mostrarlo.
“Ma guarda che buio micidiale che c’è qui dentro! Apriamo, figliola, apriamo! Le finestre sono state create per poter far entrare la luce del giorno nei cuori dove regna lo scuro del passato. Basta buio, basta scuro! E soprattutto, basta passato!”
Un’allegria ed una positività come poche, quella della zia sorridente che cercava di infondere speranza con persistenza e tenacia a quella che sembrava essere una ragazza rassegnata al suo destino, infame e crudele. Si accomodò sul letto vicino ad Anise e le mostrò un biglietto aereo.
“Dunque, figliola, sappiamo entrambe che hai bisogno di una svolta. Di una svolta, chiaro? Non come quelle che ti cambiano la vita, ma una di quelle che te la migliorano!”
“Zia, non ti seguo.” La voce tremante di Anise faceva trasparire chiaramente la paura che stesse per arrivare una proposta troppo esagerata, che era sicuramente nello stile della sua cara zia.
“Ti spiego subito, tesoro. Lo vedi questo? È un biglietto aereo, e questa non è la svolta, è solamente la chiave. Parigi è la porta che dovrai aprire per immergerti in un mondo nuovo, in una vita diversa! Tu as compris, mademoiselle?”
Anise la guardò in un primo momento senza fiatare, poi iniziò a chiedersi come facesse a sapere che quello era sempre stato il suo sogno, negli anni precedenti. Aveva addirittura seguito dei corsi per apprendere il francese poiché desiderava trascorrere in quella splendida città molti anni, se non tutta la vita.
“Allora, smettila di dialogare con i tuoi pensieri e parla con me.” Ordinò Margareth fingendo un tono autoritario verso la ragazza, persa tra sé e sé.
“Sì zia, scusami. Io non so… Non so cosa dire. Ho sempre sognato questa città, ma quando ho perso la mamma e papà, sai, non ci pensavo più.”
“Ed è normale!” Rispose prontamente col suo solito tono di voce squillante.
“Normale e giusto. Ma ora, figliola, sei nel fior fiore della tua età. Sei bella, intelligente e non butterai al vento la tua vita! La tua mamma non me lo permetterebbe mai. Chiaro?” Margareth provò a giocarsi la carta dei genitori angeli custode che vogliono il bene per la figlia che continua a vivere, anche se senza loro. Banale, ma efficiente.
“Grazie zia, davvero! Non so come farei senza di te!” Fu la risposta di Anise, piena di un sorriso, forse per la prima volta dopo mesi, vero e felice. 

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Capitolo 2
*** L'arrivo ***


Ci volle poco più di un’oretta per realizzare quel piccolo  grande sogno di Anise, che risiedeva nella bellissima Paris.
Trascorse il volo con gli occhi rivolti verso l’esterno del finestrino dell’aereo: l’azzurro di quel cielo chiaro si poteva mischiare al blu intenso dei suoi occhi grandi e profondi che cercavano le sfumature di abbozzi di nuvole candide e leggere.
Nonostante si trovasse in alto, Anise guardava ancora più in alto, quasi a voler cercare qualcuno, e con un po’ di immaginazione riusciva ad intravedere quello chignon leggero che non costringeva i capelli setosi di Hellen, tanto che un paio di ciocche erano libere di ricadere ai lati del viso mischiando il biondo cenere al verde intenso di quegli occhi che Anise ricordava come gli occhi più belli del mondo. Erano occhi che sorridevano, che la amavano come nessuno avrebbe mai potuto fare. Il chiaro delle nuvole rendeva facile immaginare la carnagione di sua madre, brillante e candida come queste ultime. Nell’immaginarla non poteva mancare il suo sorriso, quello che non negava mai a nessuno, tanto meno a sua figlia. Ma Hellen non era sola a guardarla da lassù, al suo fianco c’era Peter, il papà di Anise, colui che le aveva regalato la bellezza di quegli occhi azzurri, esattamente come i suoi, quelli che non avrebbe mai dimenticato perché ogni volta che la ragazza si guardava allo specchio rivedeva proprio lui, con il suo sorriso accenato e i movimenti impacciati di una persona buona e timida, di un uomo che ride sempre per affrontare la vita nel modo giusto. Anise li ricordava così, la sua mamma e il suo papà, e sorridendo verso l’immenso del cielo che era scenario di un insieme di ricordi, passò il tempo e Londra si faceva sempre più lontana, così come la nostalgia.
L’aereo decollò e bastò un passo per illuminare gli occhioni di Anise, intenti a guardarsi intorno e ad ammirare ogni dettaglio, anche il più minimo.
 
L’albergo Les Lunettes la accolse con la gentilezza e la cortesia che caratterizza i francesi  e, piena di entusiasmo e voglia di ricominciare, si avviò verso la sua stanza.
220.”  Ripeté Anise a bassa voce con un sorriso che le andava dall’orecchio destro al sinistro, uno di quelli che non ricordava più di poter fare.
Salutò con un rapido “Merci, au revoir” il concierge che gentilmente le diede le chiavi, quelle chiavi che le fecero tornare in mente le parole di Margareth: “Parigi è la porta che devi aprire per immergerti in un mondo nuovo.”
“È ciò che voglio.” Mormorò con convinzione mentre sentiva scattare la serratura della sua stanza con quelle chiavi che erano metafora di un nuovo inizio.
Si sistemò nella sua stanza così piccola e allo stesso tempo accogliente che sembrava una scatola piena di dettagli preziosi, come potevano essere i due lampadari lavorati con pietre brillanti oppure la bajour decorata con il pizzo, oppure ancora il grande specchio di fronte al letto contornato da una cornice dorata e sottile.
Anise si guardava attorno meravigliata e contenta mentre disfaceva la valigia e sistemava i vestiti nell’armadio color perla, abbinato alla spalliera del letto da una piazza e mezza.
 
Quella sera Anise decise di uscire per scoprire la città dei suoi sogni, ma prima si fermò al bar dell’albergo per un cocktail; avrebbe così esercitato il suo francese e intanto si sarebbe goduta le persone attorno a lei.
Arrivò in poco tempo e si sedette ad un tavolo per due, il menu era posto al centro del tavolino bordeaux e la ragazza lo prese in mano e cominciò a sfogliarlo fino a quando arrivò alle pagine dei cocktail; l’idea era quella di provare qualcosa di tipico, dopo averne capito il contenuto.
 
Anise, così serena e spensierata dopo così tanto tempo, non poteva di certo aspettarsi ciò che Parigi le avrebbe a breve regalato.
Darren, dal canto suo, non aveva mai smesso di cercarla, anche se, capirete, cinquecento anni sono tantissimi, ma questo non era un ostacolo che lo avrebbe fermato. Se quello era il loro Destino e solo lui lo conosceva, doveva fare tutto ciò che era in suo potere per far andare le cose come dovevano.
Il ragazzo conosceva bene Anise, era la stessa diciottenne di cinquecento anni prima, solo in un’altra vita, in un’altra storia. Riconoscerla sarebbe stato facile per lui. Ma per lei? Non sarebbe stato così semplice convincere quella giovane di ciò che stava accadendo attorno a lei, ma a tutto c’era un perché e ad ogni sua domanda, Darren aveva una relativa risposta.
Bastava ricordare, ma prima ancora, dovevano incontrarsi.
E non lasciarsi più, questa volta. 

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Capitolo 3
*** Tempi lontani ***


Londra e la sua terribile tempesta di quel Sabato pomeriggio primaverile del lontano 1533, rappresentarono un’enorme svolta nella vita di un bambino di appena dieci anni.
Stregonerie, misticismo, magia: tutti elementi che immaginiamo molto lontani. Ma se non fosse così? Se la Natura scegliesse solo pochi di noi a cui regalare una vita diversa, meravigliosa? Se tutto questo fosse provato, cambiereste idea?
Mettete pure da parte il cinismo verso lo sconosciuto e aprite la mente ad avvenimenti che mai vi sareste aspettati di poter leggere.
 
 
Londra, 1533.
 
Mio diario,
non ho ormai più nessuno con cui parlare, il mio amato marito prova odio e rancore per me, mi detesta e mi definisce un essere pressoché ripugnante.
Ma che colpa ne ho io?
Che colpa ne ho se il mio adorato figliolo è stato maledetto da una Natura ignobile che gli ha tolto le vaghe speranze, tacendo la sua bocca e oscurando la sua vista?
Sono qui a scrivere con le lacrime agli occhi, lacrime che non cessano di invadere il mio viso fino a giungermi al cuor colmo di sofferenza.
È qui al mio fianco, il mio piccolo pezzetto di cuore, ormai senza respiro.
Giace sul suo lettino accanto al fuoco acceso, utile a non render fredda la sua olivastra pelle; mi par quasi di udire la pagliuzza del cuscino scontrarsi coi suoi capelli castani. Ma così non è e non sarà.
Pagherei oro per poter rivedere gli occhi suoi: il cielo e la terra.
 
Figliolo, perdonami, in te risiede un potere troppo immenso e non sarei brava a ridarti la vita, se non privandomi della mia stessa.
E a che cosa servirebbe allora che io ti dessi la vita e ti restituissi le speranze, se poi non potrei goder con te del tuo cammino vittorioso e tenerti la mano per levarla al cielo quand’ottenessi una vittoria?
Ho perso, figlio mio.
Ho perso, marito mio.
 
Non sono così forte da restituirti il sorriso vivo sulle tue rosee labbra che mi baciavano ogni sera e ogni mattino.
 
[…]
 
È un nuovo giorno, il Sole ancora non si mostra, forse ancora in lutto per la perdita del mio figliolo.
Il mio caro marito piange e non dorme più e non mangia più e mi prega di riportarlo con noi, ed io mi chiedo allora: “Per qual ragione mi hai presa in sposa, se questo è ciò che vuoi? Se tu non m’ami come un marito ama una moglie, se tu non mi onori come un marito buono onora la sua moglie? Per quale pensiero mi hai scelta al tuo fianco se poi daresti in pasto alla Natura questa mia oramai inutile vita?”
E ho capito.
Ho capito che non val più la pena udire i tuoi lamenti, le strida tue.
Hai nostalgia, marito mio, ed io comprendo bene. Io pure, ho nostalgia.
 
E se la tempesta ci ha portato via la scintilla di vita del figlio nostro, io posso restituirtelo, posso riportarlo solo tra le braccia tue.
Prometti che quel bacio che mi diede, tu lo ridarai a lui sulla guancia destra, come ero solita far io, madre destinata alla peggior sorte. Maledetta sorte che mi toglie prima il mio fanciullo, poi la possibilità di tenerlo tra le braccia mie.
 
Tornerà da te questa sera, amato marito che non ama altri che sé.
Tornerà ed io me n’andrò.
Felice d’averti reso felice.
 
 
Il potere risiedeva nelle mani di una madre che poteva vantare di essere una strega; ma a cosa sarebbe servito esser felici di ciò, quando il suo stesso figlio le ha tolto la vita nel momento in cui lei gliel’ha restituita?
Si deve rendere grazie dapprima a quella terribile tempesta, poi alla morte di Darren e all’insistenza del padre che voleva ad ogni costo il suo bambino nel mondo dei vivi.
Il piccolo tornò, ma avendo usato la magia, la Natura decise di offrirgli un Destino felice, e per arrivare ad ottenerlo avrebbe dovuto soffrire, com’era giusto per ogni normale uomo su questa Terra.
Trascorrere l’eternità da solo non era ciò a cui era destinato il bel giovane che all’età di trent’anni perse per sempre l’amore della sua vita, e non per cause naturali, non perché si tratta di persone e perciò le persone muoiono, ma bensì perché era scritto. Era tutto destinato ad accadere.
Nel momento in cui Darren riaprì gli occhi quando la sua dolce madre lo riportò in vita, prima di ogni cosa, ebbe una visione – se così si può definire –
Lunghi capelli lisci di un colore scuro come la notte, due perle azzurre al posto degli occhi ed una grazia come poche ne esistono.
Conobbe questa ragazza durante l’adolescenza e i due si innamorarono immediatamente, trascorsero la vita insieme, all’insegna di amore e avventure, esattamente com’era scritto. Ma poi lei morì. A Darren si frantumò il cuore, eppure sapeva che l’avrebbe ritrovata. Ma chissà quando. Chissà dove.
Il suo cuore ora, ancora, dopo cinquecento anni, aspettava solo quella fanciulla che non se ne sarebbe più andata, come lui d’altronde, perché ciò che avrebbe tenuto in vita entrambi sarebbe stato quel Destino che precedentemente li punì con una crudeltà straziante.
 
Parigi, Darren e il suo lavoro.
Parigi, Anise e la sua voglia di ricominciare.
Occorreva solamente legare le due storie, fino a crearne una sola.

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Capitolo 4
*** Soir à Paris ***


Il cameriere stava per raggiungere il tavolo della ragazza inglese che sembrava aver scelto il suo cocktail, dopo aver riposto il menu esattamente dove l’aveva trovato. Ma quell’ordine non fu mai preso e quel drink non arrivò, perché a cambiare i programmi fu la telefonata della zia che fece vibrare il telefonino della giovane che non appena lesse sullo schermo il suo nome, si alzò e si diresse verso l’enorme portone d’ingresso dell’albergo. Non fece in tempo a parlare, che la zia aveva già aperto bocca dando spazio al suo tono di voce fin troppo elevato e vivace, com’era lei stessa, d’altronde.
“Anise! Allora, ti sei già dimenticata di me?” Chiese Margareth facendo intendere un enorme sorriso che, esattamente com’era solita fare anche sua sorella, non risparmiava mai a nessuno.
“Zia, che bello sentirti. No, certo che non mi sono dimenticata di te. Avrei voluto telefonarti di fronte a la tour Eiffèl, ma mi hai preceduta e mi trovo solamente nel bar dell’albergo. Non male, eh?” Chiese retoricamente la ragazza, con un sorriso in volto mentre si guardava attorno e si godeva quel sereno clima francese, un clima in cui aveva sempre desiderato trovarsi.
“Sei pur sempre a Parigi. Scrivimi ogni tanto e… Fatti rubare il cuore da un bel giovanotto francese! Sono romantici, sono belli e romantici.”
“E tu come fai a saperlo? Non hai mai fatto un passo fuori da Londra.” Ribatté Anise ridacchiando silenziosamente per non disturbare i sorrisi graziosi che si esponevano sulle labbra delle donne parigine, intente a conversare con i loro uomini usando un tono di voce così basso che fece nascere in lei la paura di urlare troppo.
“Ho una cultura, figliola. Ma ora ti lascio alla tua Paris e mi raccomando, voglio tutti i dettagli!”
Parlava della meravigliosa città dell’amore o di qualcos’altro? Di qualcun altro? Sembrava saperne una più del diavolo, quella donna. Anise non ci fece caso perché l’esuberanza rientrava nella personalità di Margareth, ma se invece non si fosse trattato semplicemente di quello?
Come faceva la zia a sapere che Parigi, proprio Parigi, era il sogno della piccola Anise? Ma soprattutto, come faceva a sapere che sarebbe stata la sua grande svolta? Semplice intuito, forse. O forse no.
 
Quella notte Margareth fece un sogno in cui vide un uomo girato di spalle, un giovane uomo, le sembrava. Capelli lunghi e folti, giacca e pantalone, passo lento e deciso verso la torre Eiffèl, ma non per raggiungere quella fantastica struttura, bensì per conoscere, o ri-conoscere, la ragazza dagli occhi chiari come il ghiaccio e i capelli neri che elegantemente delineavano il suo viso chiaro come la luna, circondato da una galassia di lentiggini. Si svegliò di colpo. “Anise!”
 
Quella notte il Destino, o qualunque cosa fosse, si era impadronito della mente di Margareth per mostrarle, anche se in breve, la storia che doveva avere inizio.
La mattina seguente, la zia non esitò ad andare a comprare quel biglietto aereo per poi recarsi nella stanza di Anise, che si sgombrò esattamente quella stessa sera.
 
Anise rivolse uno sguardo all’esterno dell’albergo e notò che il buio era calato su quella favolosa città, era ormai tardi e la ragazza pensò che sarebbe stato meglio riservare la visita di Parigi al giorno dopo.
Nonostante fosse tardi per uscire da sola, era comunque presto per andarsene a letto, così si accomodò su un divanetto di fronte al camino: era una zona ristretta ed accogliente dell’hotel; in quel momento era vuota, così Anise si accomodò di fronte al fuoco acceso che riscaldava l’ambiente e lo rendeva piuttosto intimo, tanto da fare un viaggio tra i ricordi, tra i pensieri. Il fuocherello suscitò un brivido che percorse la schiena della ragazza facendo tornare alla mente fiamme assassine che le tolsero il sorriso per molto, molto tempo.
Il cameriere che poco prima avrebbe dovuto portarle un drink, si permise di offrirle un bicchiere di vino rosso. Ora sì che l’atmosfera era quasi perfetta.
“Oh merci, combien ça fait?” Anise domandò con un sorriso leggerissimo il prezzo di quel buon vino.
“Rien mademoiselle, je vous l’offre.” Con la stessa gentilezza con cui le porse quel bicchiere, il cameriere rispose che era un regalo da parte sua, chissà se si usava offrire un bicchiere di vino ai nuovi arrivati.
Oppure Anise era una ragazza speciale che semplicemente non sapeva di esserlo.

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