La canzone di Omega

di Shinra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Squall ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


[ Musica: Era - Flowers of the sea ]

Che bella canzone, faceva quasi sciogliere il cuore...
Penetrava fino all’anima, congelando le ossa, scorrendo nel sangue come una scarica elettrica sottocutanea.
La pelle d’oca elettrizzava le braccia nude del pianista mentre suonava quella melodia, mentre sentiva suonare le campane in testa nello stesso frangente in cui premeva quei tasti.. e quando sentiva il suono venir fuori, si sentiva un dio, un dominatore della musica di quello strumento.
Sentiva tutta la schiena fredda, il fiato caldo condensarsi in uno strano fumo bianco quando gli usciva dalle labbra screpolate, socchiuse e pallide.
Mancava solo le stelle nel cielo, la neve, una coperta calda, il camino e le caldaie accese, e sarebbe stato un vero inverno...
Mentre la musica usciva dalla pancia di quel pianoforte antico, e la cappella veniva inondata di quella musica trillante e leggera, a volte bassa e cupa, ma che ritrovava la sua vitalità un nota dopo, i capelli bianchi venivano scostati con leggere scosse del capo, che cantava a suo modo la melodia, muovendosi e ondeggiando al ritmo e cullandosi sulle note melodiose e fresche che le dita di quel corpo suonavano semplicemente esercitando pressione sui tasti bianchi e neri... il suono era una magia.

Ancora la stessa melodia... impassibile il pianista continuava a suonare, gli occhi chiusi dal piacere, o dalla concentrazione. Conosceva quella melodia a memoria. E le sue dita riconoscevano i tasti ormai dal numero purtroppo finito di volte che avevano ripercorso quelli stessi negli stessi tempi e con lo stesso, quasi inesistente tocco. Il piano suonava da solo. La schiena del pianista si curvava un po' per poi risollevarsi, addolcita e cadenzata dal piacere di quella musicalità dolce e frammentata in piccole note brevi e squillanti. La soddisfazione che provava era premiata... suonare per uno sfogo, per passatempo, per abitudine.. non per sentire la musica scorrere nei nervi del cervello.. quello non era suonare...

Ancora le stesse note. Ogni volta sembravano diverse, eppure erano così simili, così semplici... una ninna nanna come una madre la canta al suo bambino... faceva perdere la forza di continuare a suonare, e il desiderio di dormire, e basta.. di scomparire... ma se avesse smesso, anche la magia allora..
Ricominciando a suonare con nuovo vigore, ancora, per sempre, sentirla risuonare in testa e scivolare nel sangue....si perse in quella magia. ...

Mentre le note diventavano sempre più basse.. mentre il corpo del pianista cercava di trovare la forza per continuare a reggere in piedi la magia di quell’incantesimo per evitare che si spezzasse..
La musica coprì i suoi passi, gli occhi chiusi e la mente in trance non videro né percepirono la sua presenza.. Si avvicinò lentamente salendo sulla pedana del piano, mentre ancora le dita scivolavano come acqua sui tasti ingrigiti e vecchi.
Adesso era alle sue spalle. Spinse le braccia oltre alla persona seduta, fino a mettere a sua volta le mani sulla tastiera. Coordinandosi con il ritmo del pianista, incominciò a suonare a sua volta.
La melodia scivolò sempre più bassa, fino a ritrovare di nuovo stabilità...

Mentre adesso era più completa, e bella... Il pianista continuava a suonare, per lui c’era solo la musica.. e il suo assistente suonava con lui.

Le loro braccia si incrociarono, le loro dita si sfiorarono spostandosi da una parte all’altra, ma la melodia continuò ancora, mentre i fiori venivano toccati per la prima volta dopo tanto tempo dalla pallida luce del sole che, timido, in quel momento di calma e resa, era stato liberato da una coltre densa di nuvole, e inoltrandosi dalle finestre illuminava la triste sala grigia.
Eppure non era quella luce calda che rincuora, era una luce fredda, spenta, come se i raggi del sole fossero impediti da un secondo strato di nuvole, più alto, che li smorzava.

Mentre la luce pallida attraversava la vetrata riflettendo il mosaico color blu, rosso, verde, e giallo, sul pavimento..
Mentre i fiori nei vasi di terracotta cercavano di catturare ogni frammento di luce prima che questa venisse ricoperta dalle nuvole..
Un guizzo di felicità scaturì tra quelle note, facendole suonare come una mantra... fino a quando, come tutte le cose in questo modo, le quali hanno un inizio, ma anche una fine,
si spense
.
.

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Capitolo 2
*** Squall ***


[ Musica: Yami no Matsuei - Il trillo del diavolo ]

Squall vagava assorto tra le sale del castello, attorno a lui gli oggetti e mura erano ingrigiti e sfocati, come se egli fosse all'interno di una coltre di nebbia. Aveva delle sensazioni strane, indefinite, cangianti, che forse la nebbia stessa gli causava. Era come se potesse sentire le innumerevoli essenze che ogni oggetto del castello conteneva. Si sentiva a tratti triste, a tratti nervoso, a tratti ancora felice, ma di una gioia dolorosa che gli infilzava il petto e lo stomaco. L'essere soggetto a tutte quelle influenze lo metteva a disagio . . .
Non udiva suoni, neanche i suoi passi provocavano alcun rumore. Gli sembrava di appartenere a un'altra dimensione. O forse era in un sogno . . . Camminava, camminava . . . E le pareti scomparivano dinanzi a lui, per magia o forse per illusione. Anche gli oggetti cambiavano. Più si guardava intorno e meno riusciva a distinguere quello che aveva accanto . . . Gli angoli si ammorbidivano, rimodellavano. Un candelabro, un mobile antico, un vaso, un dipinto alto quasi quanto lui. Eppure non appena si avvicinava per cercare di mettere a fuoco quello che il quadro rappresentava, l'immagine si offuscava, come se la nebbia si infittisse attorno a lei per impedirgli la vista. In un vaso c'erano dei fiori, forse, e un attimo dopo non c'era più niente. Squall non si chiedeva il perchè. Continuava a camminare, con i suoi stivali che non facevano rumore, passava di stanza in stanza, di porta in porta, guardando sempre dritto di fronte a sé, ricacciando nella sua mente le domande che gli affioravano ogni secondo che passava, se il tempo esisteva.
Sono nel castello di Artemisia, si disse Squall, qui il tempo non ci riguarda.
Ed era vero, non lo sentiva scorrere, non lo avvertiva. Non c'era niente lì che scandisse il tempo: non c'erano suoni né movimenti, neanche il suo cuore batteva e i suoi polmoni non respiravano. Che cos'era dunque?
Un fantasma . . . Squall pensò, sono uno spettro.
Essere un fantasma o un essere vivente non aveva nessuna importanza per lui. Gli sembrava di essersi dimenticato i suoi sentimenti da vivo, come se questi fossero qualcosa di remoto che non lo riguardava. Un film sulla vita di un'altra persona. Che cosa significasse avere un corpo, le sensazioni che il mondo imprimeva in lui, il tepore che gli riscaldava il petto ogni qual volta Rinoa gli sfiorava la mano con le sue morbide dita . . . com'era vivere . . . Tutto era annullato.
Se non ricordo quello che ho perso, allora è come se non avessi perso nulla. Tra poco avrebbe smesso anche di pensare, perchè si sarebbe scordato come si faceva.
Nulla aveva più importanza, neanche come era arrivato fino a lì, com'era diventato uno spettro, che cosa gli aveva fatto Artemisia. L'aveva ucciso? Era questo che c'era dopo la morte? L'oblio . . . Niente sarebbe stato così uguale e così diverso allo stesso tempo. Rivedere sempre lo stesso luogo senza ricordarsi di vederlo. Era la maledizione dei Guardian Forces?
La nebbia si faceva sempre più fitta, come assecondando il suo stato d'animo. Squall percepiva il progressivo svanire delle forme intorno a lui. Si sentiva risucchiato, e a poco a poco lo svanire delle sue sensazioni venne accolto da lui con un sollievo inaspettato, come quando cercava di prendere sonno e il sonno tardava ad arrivare, ma poi finalmente sentiva che stava per essere inglobato dentro di lui, e si sentiva riempito . . . e vuoto allo stesso tempo.
Dormire è come morire. E sognare è l'unica cosa che ti dimostra di essere ancora vivo.
E proprio come un sogno, venne un suono. Un suono, un fischio, non di animale né di uomo, flebile ma reale, che ruppe il suo torpore. Nessun suono era stato udito prima, e questo di adesso lo scosse. Non capendo, Squall riemerse dalla foschia e il castello lentamente riprese forma intorno a lui. C'era sempre lo stesso strato di nebbia, ma ora era più lieve, come se il fischio di prima avesse aiutato a dissolverla. Il silenzio era tornato a imperare adesso, e Squall si chiese se quel fischio non fosse stato solo un sogno nel sogno. Ma ecco che lo stesso rumore si rimanifestò, più forte e acuto, e si protasse stavolta più a lungo, sembrò scomparire, ma ecco che riprese, con un tono diverso e più basso, poi tornò acuto. È una musica, pensò Squall, ammaliato, qualcuno sta suonando . . .
I muri e il pavimento sembravano più solidi adesso, e Squall li percorse, attratto dalla fonte del suono. Quest'ultimo si rafforzava a poco a poco, diventava sempre più forte e più vivo, trascinava fuori Squall dal suo torpore. Era un violino, Squall lo sapeva bene, la sua mente era di nuovo sveglia, ma la nebbia desisteva dall'andarsene.
Molte porte, corridoi, scalinate dopo, la musica sembrava ormai a un passo dall'esplodere.
Un'ultima porta si dischiuse, e miliardi di sensazioni attraversarono il corpo di nuvola di Squall in un tutt'uno. La potenza della musica l'aveva riempito, non era più un guscio vuoto fluttuante: Squall sentiva adesso un nuovo calore bruciargli dentro, mentre la musica ne alimentava la fiamma.
Oltre la porta vedeva una luce brillare. Il pesante ostacolo di legno scomparve davanti a lui mentre Squall avanzava sicuro.
Davanti a lui vi era adesso un uomo, anzi un ragazzo, con la testa reclinata sulla spalla, un braccio allungato e uno flesso. Sembrava accarezzare la luce che teneva tra il mento e la spalla con il solo tocco delle dita. Il violino era la luce che dava colore a tutto. Squall sentì il calore di quella luce sul suo viso. Si sentiva in pace. Non aveva bisogno di nient'altro per vivere.
La musica era dolce e melodiosa, ma anche triste. Il violinista teneva gli occhi chiusi e un delicato sorriso gli accarezzava le labbra. Un sorriso malinconico.
La melodia rallentò, e, proprio mentre sembrava approssimarsi alla fine, essa riprese con più vigore, più veloce, più travolgente, più malvagia.
I colori nella stanza cambiarono, la luce del violino sembrava impazzita, rosso, verde, blu, viola, un'energia che scombinava l'animo, angoscia, terrore, disperazione, tristezza. Squall ne venne pervaso. La musica continuava a crescere in potenza e velocità. Il volto del pianista era contorto in un'espressione demoniaca, a ogni suo movimento sembrava che il suo corpo si stesse per staccare, i suoi arti erano impazziti, le braccia si muovevano in una direzione, le gambe in un'altra e il busto di piegava prima da un lato e poi dall'altro. Nella sala echeggiò una risata spaventosa che sembrava divorare l'anima. Squall era paralizzato. Un'aura mostruosa si alzò dal corpo del violinista e la luce del violino era diventata adesso un buco nero. La risata aumentò e la musica con essa. Squall sentiva il male allungarsi verso di lui, iniziò a tremare sempre più forte, anche la stanza tremava. Sembrava di stare per esplodere da un momento all'altro. Ma raggiunto il suo limite, improvvisamente tutto cessò. L'enorme aura maligna decrebbe e venne assimilata dal buco nero. Il grigiore della nebbia riavvolse la sala, e Squall si accasciò a terra, svuotato. Niente più si mosse o si udì.
Il nulla era tornato a regnare.

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