Monster Heart: Fairy Tail

di Claudia Ponto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: fine estate. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Festa... con sorpresa ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Caccia aperta ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Nascosti ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: in cerca di verità ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Brutti ricordi. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Barlume di speranza ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Miraggi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Fuga ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Verità infine ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Mai più soli ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: fine estate. ***


  Capitolo 1: fine estate

Accadde tutto un giorno, in una città considerata la più romantica e la più bella del mondo: Parigi.
Il sole alto nel cielo sovrastava la città francese in tutto il suo splendore, dando l’illusione di essere situato sopra la Torre Eiffel come il diamante di una corona.
Era perfetta quel giorno;i rigogliosi giardini sparsi nella capitale erano più verdi degli smeraldi più belli, arricchiti dai delicati fiori che li adornavano coi loro petali delicati come seta e dai bambini che giocavano spensierati, il cielo azzurro nella sua purezza faceva perdere nel mondo della fantasia le menti dei giovani artisti che ammiravano le candide nuvole bianche che lo solcavano a cui davano forme di cose a loro famigliari.
Pareva che la natura quel giorno stesse dando sfoggio di tutta la sua bellezza in quel pomeriggio di 23 settembre che dava l’addio all’estate e il benvenuto all’autunno di cui ancora non si avvertiva la presenza a causa degli odori e dei colori estivi ancora impregnati a Parigi.
 
In un elegante appartamento situato sulla rive gauche, la cantante Lucille s’improvvisava stilista, decorando con poca pazienza un vestito che per altre fanciulle sarebbe già stato perfetto: bianco puro, merletti e pizzi lungo la gonna, tagliato in modo tale che le forme di chi lo indossasse risaltassero.
Nonostante la bellezza, la ragazza non era comunque soddisfatta: era molto pretenziosa, lo sapevano tutti coloro che avevano lavorato insieme a lei, se una cosa non le piaceva lo diceva direttamente senza peli sulla lingua, puntava sempre a migliorare tutto ciò che era già perfetto, spesso comportandosi come una bambina viziata.
In quel momento nella stanza entrò una donna corpulenta, gli elementi che più spiccavano erano i bracciali e la collana di perle, i capelli biondi raccolti sulla testa e il lungo vestito viola, quando notò il vestito sul manichino si portò entrambe le mani sulla bocca, sussultando leggermente.
<< Santo cielo Lucille! Che cosa hai combinato? >> chiese stupita.
<< Meraviglioso, vero zia? Adesso è perfetto. >> esordì fiera la cantante, sistemandosi i lunghi capelli rosi.
<< Ma anche prima era elegante, cosa c’era che non andava stavolta? >>
<< Non era abbastanza sfavillante. Sul palco devo apparire, essere al centro dell’attenzione, è questo vestito non era per niente “favoloso”, mi avrebbe oscurata. >>
Carlotta non potè far altro che sospirare: era impossibile far cambiare idea alla nipote quando si metteva in testa qualcosa.
<< Ehm… è tempo di recarsi al club, ero venuta a chiamarti apposta. >>
<< Ottimo! Non vedevo l’ora! Sarò pronta in un attimo! >>
A differenza delle ragazze della sua età, il successo per Lucille contava più di ogni altra cosa.
Fin da piccola aveva avuto un innato dono per il canto, il desiderio di diventare una cantante famosa era il suo sogno nel cassetto che col tempo era diventato, avrebbe osato dire la zia, l’unica ragione di vita. Crescendo, aveva cominciato a mettersi in mostra, ad essere più vanitosa e anche presuntuosa, ogni cosa doveva essere secondo i suoi gusti altrimenti avrebbe dato il via ad una scenata interminabile, almeno fino a quando non avrebbe ottenuto ciò che voleva. Nonostante quei capricci, Carlotta sapeva che era una persona per bene, doveva solo imparare ad essere più “tranquilla”.
<< Forza zia! Non voglio far tardi! >>
 
                                                                                  ****

I dipendenti dell'Oiseau Rare, il cabaret appartenente a Madame Carlotta, dovevano  stringere i denti per non urlare contro Lucille  che ripetutamente ordinava di risistemare lo scenario del palco e gli attrezzi di scena come le luci, gli strumenti musicali e così via dicendo.
All’esterno il sole tramontava, i cui colori viola, rosa e arancio intrisi nel cielo e nelle nuvole erano lo sfondo che annunciava agli abituali clienti che stava per aver inizio lo spettacolo, affrettandosi a prendere posto nella sala interna prima che l’ultimo raggio di sole svanisse, per poter raggiungere in tempo l’esibizione serale.
Lucille ci teneva al suo lavoro, prima che il pubblico rischiasse di innervosirsi per l’attesa voleva che ogni cosa fosse perfetta.
<< “Oh Ambrogio, c’è una macchia di un centimetro lì in fondo!” “Caterina! Le mie scarpe non sono fatte di cristallo! Compramele!” “ No Martin, ho detto che voglio i guanti di velluto!”. >>
Le fantasie della fanciulla svanirono in una bolla di sapone nell’udire una voce “fuori campo” alquanto fastidiosa.
<< Smettila di fare l’idiota, Raoul! >> sbottò Lucille contrariata.
<< Mi perdoni principessa, non volevo interrompere il suo “momento di gloria”. Hi! Hi! Hi! >> rispose l’altro scherzosamente.
Il tizio di nome Raoul era un uomo alto, magro e con una strana capigliatura allungata in avanti: era un addetto alle riparazioni del palcoscenico, ma aspirava a diventare inventore e passava più tempo a costruire cose senza senso che lavorare seriamente, i due si conoscevano fin da bambini e i rapporti non erano esattamente amichevoli, lui si divertiva spesso a prenderla in giro perché sapeva che si arrabbiava facilmente, e lei si difendeva marcando il differente status sociale tra loro.
<< Bè, almeno io ho un lavoro garantito e la gente non mi considera una nullità. >>
<< Oh no, è vero! La gente è pazza di te! Il tuo talento di comandare a bacchetta è unico! Talmente unico che sto cominciando ad ingelosirmi! Tutta questa ingiustizia mi costringerà a nascondermi da qualche parte! >>
<< Sei un bambino. >>
<< Avanti piccola, davvero pensi che avrei il coraggio di restare lontano da te? >>
<< Solo perché siamo gli unici che possono darti i soldi per non morire di fame.  >>
<< Non posso farci niente principessa, ci tengo troppo a te. >>
I due si guardarono a lungo, senza rivolgersi la parola, lui sorrideva beffardo e lei era alterata, non c’era comunque bisogno di parlarsi per farsi capire.
<< Dovresti crescere Raoul, i bambini non hanno il permesso di giocare nel mio locale. >>
<< Scusami se sono un eterno bambino, ma sei tu che mi ispiri a comportarmi come tale. >>
<< Stai insinuando che sono infantile come te? >>
<< L’hai detto tu. >>
Lucille stava per urlare, ma al primo richiamo di andare sul palco lei corse dritta dietro le quinte, un attimo prima che il presentatore annunciasse il suo nome: le piaceva sentire la sua presentazione, la faceva sentire fiera di sé stessa, la migliore fra tutte le cantanti, e si immaginava sui palcoscenici più famosi al mondo con la gente che gridava il suo nome.
La tenda color panna del palcoscenico si aprì seguita da un lungo e caloroso applauso, gli spettatori erano entusiasti e non vedevano l’ora di sentire la sua splendida voce, accomodati intorno a dei tavolini ornati da piccole candele e fiori di campagna. Per l’occasione Lucille indossava l’abito da sera lungo modificato precedentemente, di un chiaro rosa pastello, privo di maniche e con i bordi adornati da lustrini che davano l’illusione di essere diamanti; i capelli erano sciolti, tranne dietro la testa che erano tenuti alzati da un fermaglio verde e blu con una farfalla sopra, le finte ali d’angelo brillavano debolmente da dietro la sua schiena e tra le braccia reggeva uno scialle leggero.
Si guardò intorno con emozione, esaminando nella penombra della sala le numerose persone, poi si voltò in direzione dell’orchestra dove la band, ad un cenno, cominciò a suonare:
“Ti sei mai sentito sottile come un foglio di carta,
e come un castello di carte, ad un soffio dal cadere?
Ti sei mai sentito già sepolto in profondità?
delle urla a tre metri sotto terra che nessuno sente
Sai che c’è ancora una possibilità per te?
Perché c’è ancora una scintilla in te

Devi solo dar fuoco, la luce, e lasciarla splendere…”
 
La voce della ragazza era qualcosa di raro da trovare in una cantante.
Non vi era traccia di incertezza, era sicura e squillante, delicata a volte e soprattutto capace di incantare.
 
“Non ti devi sentire come se non valessi niente
Sei originale, non puoi essere rimpiazzato
Se solo sapessi ciò che riserva il futuro
Dopo un uragano c'è un arcobaleno

Forse è colpa tua se tutte le porte sono chiuse
quindi potresti aprirne una che ti porterà alla strada giusta
Come un lampo di luce, il tuo cuore soffierà
E’ quando è il momento, lo saprai

Devi solo dar fuoco, la luce, e lasciarla splendere…

Anche più luminoso della luna
Ed è sempre stato dentro di te
Ed ora è il momento di lasciarlo uscire
…”
 
Si faceva fatica a rimanere concentrato sulla sinfonia da eseguire: la voce di Lucille era meravigliosa, non poteva fare a meno di ascoltare ogni parola del testo pronunciata dalla sua bocca per quanto fosse bella.
Fu quasi un dispiacere sentirla smettere.
L’applauso fu fragoroso, l’ovazione si poteva sentire fino all’esterno per strada: ogni volta era così, un successo che  soddisfaceva la fanciulla del risultato ottenuto con tanta fatica, il raggiungimento dell’ennesima conquista da cantante.
Raoul, nascosto dietro le quinte, applaudiva debolmente, ammettendo che era stata brava.
 
                                                                                  ****
 
L’ora di chiusura giunse senza preavviso, L'Oiseau Rare con successo concluse anche quella serata.
Mentre i camerieri ripulivano la sala assicurandosi che niente rimanesse fuori posto, cambiando i fiori dei centro tavola, le tovaglie con altre di colore diverso, le scenografie del palco e tutto il resto, l’unica cliente rimasta si rilassava bevendo una tazza di tè.
Lucille se ne stava da sola messa in disparte in un angolo del salone, quieta e concentrata solo sulla sua bevanda.
Raoul, insieme agli altri pochi addetti rimasti, la osservava in quella sua abitudine di fine spettacolo: si era reso conto da poco tempo di quella cosa, non il gesto in sé ma il sentimento che provava, ossia una sorta di tristezza celata dietro una apparente impassibilità. Il fatto di prenderla in giro era una banalità alla fine, da quando si era reso conto dei suoi occhi malinconici non poteva preoccuparsi per lei: Lucille pretendeva di essere una grande star, ma era una stella solitaria senza amici intorno a lei, il suo carattere le impediva di essere più amichevole e compensava la mancanza con l’arroganza e la sua passione canterina.
Non avrebbe dovuto preoccuparsi dato che lo trattava male, ma capiva quanto sarebbe stato bello ritrovarsi dopo il lavoro con qualcuno, conversare fino a tardi e infischiarsene di svegliarsi tardi il giorno dopo, levarsi lo stress di dosso divertendosi con cui si era amico.
In quel momento Lucille  uscì dal locale, avviandosi alla sua abitazione.
Raoul se ne andò poco dopo, sbadigliando anche lui per la stanchezza.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Festa... con sorpresa ***


Capitolo 2: Festa… con sorpresa.
 
§ Un’ombra si mimetizzò con l’oscurità della notte.
Non era difficile passare inosservati in quella grande città, anche perché nessuno sapeva della sua esistenza.
Quando il mondo non sa che esisti sei come invisibile… e l’ombra ci teneva a rimanerlo per sempre.
Persino il luogo in cui si nascondeva era sconosciuto, antico soprattutto per la sua struttura di pietra, le armature medievali arrugginite sparse per terra e le prigioni che rinchiudevano ragnatele e ossa. Una di quelle celle era abitata da lui, pochi averi presi dalla spazzatura o perduti dalla gente, alcuni stracci che servivano a coprire i lati più raccapriccianti del luogo come le catene sul muro.
Era denutrita e ferita,poco era il cibo trovato e per il suo stato malandato non sapeva cosa fare; l’ombra si rannicchiò in un angolo dove giaceva un piccolo cuscino che, in quel momento, un topo stava rosicchiando, il quale notando la sua presenza scappò, lasciando solo. §
 
                                                                                  ****
 
Tre giorni dopo.
 
Raoul adorava inventare.
Non c’era giorno in cui non si chiudeva nel suo laboratorio, dopo un qualsiasi lavoro, nel tentativo di creare qualcosa di fantastico e rivoluzionario che poteva renderlo famoso in tutto il mondo,
Mai si stancava di tentare e ritentare tutte quelle volte in cui le sue strampalate creazioni non riuscivano a funzionare come aveva previsto, aveva perso il conto dei fallimenti ma questo non contava per lui, il suo motto era “non arrendersi mai”.
Solo il vecchio orologio a pendolo del nonno, allo scandire delle dodici ore, costrinse l’inventore a mettere giù i propri attrezzi e gli appunti, richiamato soprattutto dai brontolii del suo stomaco. Raoul non era un gran cuoco, il problema del cucinare per lui era peggio di una tortura medievale che lui stesso si infliggeva nel vano tentativo di potersi sfamare, ogni volta che metteva mano ai fornelli; per fortuna c’erano giorni in cui la cara zia di Lucille era così magnanima da fornirgli dei pasti caldi, se non ci pensava lei lui sarebbe morto sicuramente di fame.
 
Era domenica e come capitava spesso nel fine settimana, Parigi era più calma del solito.
La gente andava per lo più a passeggiare per il centro oppure in campagna per qualche pic-nic, in strada si vedevano quasi solamente autobus e pochissime automobili, i soliti carretti che vedevano frutta o pesce erano assenti, persino i piccioni mancavano, soliti a becchettare il terreno per cibarsi delle briciole cadute a terra.
L’ammirazione per la quiete svanì brutalmente allo squillare del telefono, rispose all’apparecchio e la “candida” voce di Lucille gli distrusse il timpano. La ragazza parlò talmente in fretta che l’unica cosa che l’inventore riuscì a capire fu solo l’ordine di correre all’istante al club altrimenti l’avrebbe licenziato, lui non rimase lì a  pensarci e partì subito a bordo di Catherine, il suo furgone, guidando rapido per le strade, raggiungendo dopo pochi minuti il locale.
Si trovava davanti alla porta quando, poco prima di bussare, non udì una canzone familiare provenire dall’interno: aprì lentamente la porta e sgattaiolò in punta di piedi nel corridoio che precedeva la sala vera e proprio, da lì sbirciò Lucille intenta a ballare da sola mentre un grammofono d’ottone riproduceva un valzer lento.
Per Raoul fu un’occasione ghiotta per burlarsi di lei.
<< O SANTO CIELO! UN MOSTRO! SI SALVI CHI PUÒ! >> urlò improvvisamente, facendola spaventare e cadere addosso al grammofono che concluse bruscamente la sua melodia. L’uomo rideva coprendosi la bocca mentre lei gli lanciava un infuocato sguardo alterato.
<< Je suis désolè Lucille, ma non sono riuscito a trattenermi. Eri troppo buffa. >> le disse, prima di ricevere in faccia una scarpa.
<< Considerati fortunato che ci serve la tua inutile presenza! Mettiti subito al lavoro e addobba la sala! Ripara il palco e controlla gli attrezzi di scena! >>
<< Subito madame Grimilde. Posso avere almeno sapere perché sua maestà, bravissima ballerina esagerata, si dilettava al ritmo di valzer? >>
<< Non hai sentito quello che ti ho detto al telefono? Questa sera mia zia ha organizzato un party per festeggiare l’anniversario del locale, e in onore ha invitato tutti i personaggi famosi dello spettacolo che hanno iniziato la loro carriera all’Oiseau Rare! >>
<< SSSSSSTTT! Non urlare! I tuoi acuti mi stanno facendo diventare sordo! Ora capisco perché tanta agitazione: ti troverai in mezzo ai tuoi “simili”. >>
<< Proprio così! è un sogno che si realizza! Essere a stretto contatto con gente famosa dello spettacolo e poterci parlare! Potrei svenire dalla gioia! >>
Raoul si batté una mano sulla fronte, incredulo a ciò che aveva sentito, e sentì ancora di più quando lei riprese ad urlare.
<< Quindi mettiti al lavoro! Tutto deve essere perfetto stasera! Se qualcosa andrà storto sarà solo per causa tua! >>
<< Madame, rilassati. Se continui a starnazzare come un’oca il tuo valzer, stasera, diverrà una marcia funebre. >>
<< Non mi ci fare pensare, l’agitazione mi rende più rigida di una scopa. Vorrei avere un partner per la danza, non so nemmeno se sto facendo i passi giusti. >>
Una lampadina si accese per Raoul.
Quelle parole gli squillarono come l’annuncio di una promozione: uscì dal locale e corse al furgoncino, vi rovistò all’interno per tirare fuori un oggetto che con molta fierezza portò davanti alla cantante: si trattava di una specie di manichino da sartoria alla quale erano stati aggiunti centinaia di ingranaggi, rotelle con molle alla base e il componente principale di un carillon all’interno del busto, collegato a una molla che doveva solo essere caricata.
<< Cos’è questo obbrobrio? >>
<< La mia ultima invenzione: il Maestro di Danza. Una macchina speciale capace di insegnare alle persone a ballare i balli di coppia. >>
<< Ho di aver bisogno di un partner, non di spazzatura. >>
<< Forza scettica, prendi le braccia del manichino e tieniti pronto a ballare. >> disse Raoul, euforico come un bambino, caricando la strana macchina per farla funzionare.
Quanto rimosse la chiave per girare la molla aspettò che questa cominciasse a funzionare, ottenendo però come risposta degli stridii e degli sbuffi ben poco rassicuranti, tanto anomali da far allontanare Lucille per la paura.
Non capendo cosa stesse accadendo alla sua invenzione, Raoul ci mise sopra le mani nel tentativo di far cessare quei rumori e movimenti ostili, svitando e avvitando qualche bullone o prendendolo addirittura a calci, fino a quando non ottenne, come conseguenza delle sue azioni, un’improvvisa esplosione che mandò letteralmente in fumo la macchina, lasciando tracce nere di fuliggine addosso all’inventore, il quale rimase senza parole.
<< Va tutto bene? >>
L’inventore non disse niente, limitandosi a ripulirsi dal disastro.
<< Si, tutto ok. No problem. >> gli rispose poco dopo impassibile.
<< Bè, visto che la meccanica non è in grado di eguagliare le capacità umane, vai a pulire e piantala di farmi perdere tempo. >> 
 
                                                                                  ****
Quella sera.
 
L’Oiseau Rare sembrava essere pronto a festeggiare il Natale con tutti gli eccessivi sfarzosi addobbi interni ed esterni con cui era stato decorato, tra nastri rossi, fiocchi dorati, bandiere parigine e rare rose bianche.
In realtà la festa era per un’altra ricorrenza: l’anniversario della sua apertura.
Erano passati molti anni da quando quel posto aveva aperto i battenti, superando mille problemi spesso allietati dagli spettacoli che si erano tenuti lì dentro nel corso degli anni, arrivando all’attuale successo; molti personaggi importanti accettarono l’invito offerto dalla proprietaria, celebrità che un tempo si erano esibite sul piccolo palco posto all’interno della struttura, la maggior parte delle quali indaffarate, in quel momento, a ballare con il proprio partner mentre il resto degli invitati gustava le prelibatezze cucinate per la serata, il cui aroma si diffondeva in tutta la sala.
Quando l’orchestra terminò musica gli invitati applaudirono alla bravura dei musicisti che si erano esibiti con i loro fidi strumenti, inchinandosi orgogliosi davanti al pubblico.
Durante il break il brusio delle chiacchierate tra gli ospiti aumentò e per parlarsi era quasi necessario gridare.
Lì in mezzo c’erano anche alcuni fotografi e giornalisti, tra quelli anche un tipo di nome Emile, un repoter di modesto e timido carattere, statura bassa e leggermente calvo, nonché amico di lunga data di Raoul. Era tranquillo e rilassato, l’atmosfera allegra della festa era contagiosa e i sorrisi si notavano sul volto di ogni persona.
Tranne su Raoul.
<< Suvvia, sei l’unico con il broncio. >>
<< Odio questo lavoro. >>
La mansione di quella sera per l’inventore era di fare il cameriere: si sentiva ridicolo con quella divisa così seria oltreché scomodo, sistemandosi continuamente il colletto che lo soffocava.
<< Odi il lavoro oppure il fatto che non puoi essere con loro? >>
<< Ma non dire sciocchezze, questa è tutta gente che sa solo cantare, ballare e recitare, roba che si vede continuamente in giro. Preferirei essere ad un convegno di scienziati, lì si che trovi persone con un minimo di cervello. >>
<< Anche Lucille è da considerarsi senza interesse? >>
Raoul tacque, alzando gli occhi al cielo.
<< A proposito, dovè? >>
 
Lucille era ancora chiusa nel suo camerino, che tamburellava nervosamente le dita sul tavolino affollato di trucchi, pettini, ornamento per capelli e gioielli.
Era in ansia, lo stomaco sottosopra, la paura di poter compiere qualche brutta di figura agli occhi di quelle persone che considerava degli idoli fin da bambina era un incubo insopportabile, se avesse sbagliato qualcosa pensava che avrebbero cominciato a considerarla una sciocca o un’incapace, cose che avrebbero minato, insomma, per sempre la sua carriera da cantante. Sudava così  tanto che più volte dovette sistemare il trucco che si scioglieva, Carlotta entrò in quel momento, elegante quanto la nipote, che le chiese cosa la trattenesse ancora in stanza.
<< Che succede se mi considerano una stupida? Oppure se mi dicono che non so cantare? Forse diranno che non dovrei nemmeno far carriera nello spettacolo! >> 
<< Tesoro, ascoltami, queste cose non accadranno, non devi essere negativa. Oggi è un giorno speciale, quelle persone sono qui per celebrare alcuni dei momenti più belli della loro vita e stasera anche per te lo sarà. >>
<< Ma io sono solo agli inizi della mia carriera… >>
<< Ma puoi vantare quanto loro un’esperienza che ti rimarrà nel cuore per sempre. >>
Erano rari ormai i momenti in cui Lucille appariva così indifesa, Carlotta si inteneriva, immaginandola ancora nel suo aspetto di bambina ormai passato; era una donna adulta dal carattere forte, ma nemmeno lei poteva rinunciare alla materna consolazione di una persona a cui era affezionata.
<< Giusto! Hai ragione! Non mi farò mettere i piedi in testa da nessuno! Andiamo! Devo entrare in scena! >> esordì all’improvviso, uscendo dal camerino.
La zia fu contenta di rivederla esuberante, ora si doveva solo preoccupare che il resto della serata proseguisse allegra
 
                                                                                  ****
 
§ La fame costrinse il vagabondo a interrompere il ritorno alla tana, i crampi della fame erano divenuti più forti, le poche briciole non erano bastate a saziarlo.
Si sentiva debole, troppo per riuscire persino a pensare.
Aveva bisogno di cibo o sarebbe morto di fame molto presto.
 
L’odore delizioso di carne  e di dolci lo ridestò dallo stato di malessere, era vicino… talmente chiaro che poteva darsi l’illusione che fosse proprio davanti a lui.
Seguì la scia fino a quando, finalmente, non trovò l’origine della traccia a lungo bramata: L’Oiseau Rare; la meta agognata era dentro l’edificio, sprizzante di luci e vitalità anche a quella tarda ora. Sospirò tristemente, tutta quella gente lo metteva in soggezione, mentre se ne stava seduto tra le travi di una casa in costruzione lì vicina, che quasi svettava in mezzo alla metropoli per la sua forma incompiuta, ammirò il mondo sottostante assopito nel sonno ristoratore o, come in quel caso, a gozzovigliare, indeciso se rischiare la sorta o tenersi la fame.
Si era abituato a non mangiare per tanti giorni; però quella rimaneva sempre una necessità irrinunciabile, chiuse per un attimo gli occhi tentando di capire quali incredibili pietanze stessero mangiando lì dentro, magari per distrarsi; ma nulla di tutto ciò che sperò accadde.
Non c’è la fece più.
Con un salto si infilò nel vicolo del club e si addentrò all’interno. §
 
Lucille si era ripresa e in tutta la sua spavalderia aveva “affrontato” gli ospiti.
La zia le presentò alcuni personaggi dello spettacolo assai famosi, lei con falsa modestia li ringraziò tutti e fece bella mostra di sé stessa, la gente si rivolgeva a lei per farle i complimenti su ogni cosa: aspetto e qualità canore.
Lucille era davvero felice, ogni cosa perfetta, non avrebbe mai potuto chiedere di meglio per un giorno talmente importante.
Di certo ignorava che qualcuno senza invito si era intrufolato all’interno e di nascosto, nella cucina semi vuota, rubacchiava alcuni dei cibi cucinati al momento.
Non faceva caso al chiacchiericcio della gente, il suo stomaco “parlava” più forte di ogni voce, mangiava quasi ad ingozzarsi pur di sentirsi meglio, solo quando calò il silenzio… e si susseguì un crescente tono armonioso, interruppe il pasto: camerieri e cuochi gli davano le spalle, in quel modo potè raggiungere i pressi della sala principale, ipnotizzato da quel richiamo che lo costrinse a rischiare di svelare la sua presenza al mondo intero, e vedere Lucille sul palco mentre cantava. Con insistenza gli ospiti avevano chiesto una performance, solo dopo un lungo pregare decise di salire sul palco ed esibire un breve pezzo del suo repertorio, tutti erano incantati, persino l’ospite indesiderato che sorrise ammaliato, sentendosi riempire di una felicità per lungo tempo privata.
Applaudì debolmente a fine esibizione quasi con vergogna, gli altri invece non esitarono a manifestare la loro approvazione.
Era un delirio di gioia.
Bouquet di fiori le vennero lanciati addosso, la cantante cercò di prenderli tutti ma la zia la portò via, eccitata quanto la ragazza.
<< C’è una persona che vorrebbe incontrarti! >> disse estasiata, spingendo la nipote in una determinata direzione.
<< Incontrare… me? >> ripetè lei senza capire.
<<  è un ospite fisso del nostro locale, un uomo molto importante per tutta Parigi che mai ha rinunciato ad una tua serata. A approfittato di questo evento speciale, rivolgendosi a me, per avere finalmente l’occasione di conoscerti di persona. E ti posso assicurare che non vedeva l’ora. Oh, eccolo lì! Yuuhhuuuu! Monsieur Maynott! >>
A rispondere al richiamo della donna fu un uomo di 40 anni circa, alto e dai capelli scuri completamente appiattiti e pettinati con cura in testa, mento spesso e pronunciato con un paio di baffi folti, vestito con uno smoking color panna. In quel momento teneva una mano dietro la schiena e l’altra che reggeva un bicchiere colmo di champagne, ricambiò il saluto della donna e le fece un cavalleresco bacia mano.
<< Monsieur Maynott, spero che la nostra festa sia di suo gradimento. >>
<< Le posso assicurare che non ho mai visto un così fantastico evento come il suo. Ha un talento particolare per organizzare le feste, dovrei ingaggiarla per qualche serata, una donna con un gusto come il suo riscuoterebbe successo. >> le rispose l’uomo.
<< Lei riesce sempre a mettermi in imbarazzo! Ah, mi permetta di presentarle la famosa star del nostro locale: la nostra cantante Lucille. >>
<< Quale onore! Ho assistito a parecchie sue esibizioni madame, ma non credevo che un giorno avrei avuto il privilegio di potervi parlare. >>
L’americano ripetè il bacia-mano con la cantante, gesto che la fece alquanto imbarazzare.
Maynott era un famoso politico di Parigi, il suo lavoro era spesso positivamente commentato sul giornale locale e grandi lavori aveva realizzato grazie al suo operato, le voci erano sempre accurate e giuste sul suo conto, mai una singola lamentela, tanto che alcuni lo volevano come prefetto.
<< Mia zia mi ha detto che è un mio ammiratore. >>
<< Carlotta vi ha già parlato di me? Perbacco, mi ha rovinato la sorpresa. E io che speravo di potervi un poco sorprendere. >>
<< Ci ha solo detto che voleva parlare con me, nulla di molto importante. >>
L’uomo sorseggiò la sua bevanda per qualche secondo e continuò a parlare, sistemandosi la cravatta nera e il fiore all’occhiello.
<< Bè, le confesso che mi sento un poco in soggezione. Lei è praticamente una stella e io sono solo un uomo di politica, la sua fama è giunta anche oltre i confini di Parigi e vorrei trovare parole più adatte per poter descrivere quanto lei sia splendida. >>
<< Monsieur, lei mi mette in imbarazzo, non può dirmi che sono migliore di lei. >>
<< Invece lo faccio, soprattutto perché lei merita tutti i complimenti del mondo. >>
Raoul era vicino, ma nessuno notò le sue espressioni nauseate, anche perché uno dei camerieri gli diede una gomitata per farlo smettere. Lucille e Maynott parlarono a lungo, era un discorso fatto soprattutto di complimenti su di lei, ognuno sempre più migliore del precedente, tutto ciò perché era chiaro che l’uomo era davvero interessato a lei.
<< Signorina Lucille, lei diverrà qualcuno, ne sono certo. >>
<< Ho ancora molto da imparare. >>
<< Davvero? Bè, se il problema è tutto questo, forse posso darle l’occasione di ottenere quella “lacuna”. >>
<< Cosa intende dire? >>
<< Che voglio aiutarla nella sua scalata al successo. >>
Lucille non seppe cosa dire…
 
…e le parole le mancarono del tutto quando un mostro l’aggredì.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Caccia aperta ***


 Capitolo 3: Caccia aperta.
 
La figura enorme e deforme balzò su Lucille come un lampo.
Era alta, il giaccone nero strappato e sporco non era abbastanza largo per nascondere le quattro sottili braccia scheletriche, il corpo bluastro con acuminate punte sul dorso e le zampe animalesche, era tutto in bella mostra, solo il suo volto era nascosto, coperto da un cappello a larghe tese e una sciarpa rosso sangue.
Quasi la gente non si rese conto di cosa aveva di fronte, solo il panico, ironicamente, riuscì a far aprire loro gli occhi.
 
Avvenne una confusione indescrivibile, urla e spintoni erano i gesti ripetuti tra gli invitanti che cercarono di allontanarsi da quella “cosa”, solo Lucille non potè mettersi al sicuro, imprigionata tra le sue braccia. Venne sollevata di peso con estrema facilità, sebbene colpì con schiaffi e pugni quell’ospite indesiderato non fu in grado di far lui del male e finì solo per essere portata via, davanti gli occhi angosciati della Zia Carlotta che svenne per shock.
Raoul non rimase a guardare.
Si fece largo dalla folla e uscì dal locale, saltò in macchina e inseguì il mostro, Emile era con lui, stordito dal rapido avvenimento.
<< Cosa diavolo era?! >> urlò il proiezionista.
<< Lo scopriremo dopo che lo ammazzeranno! >> disse l’altro.
L’inventore, con il naso all’insù, inseguì la bestia e la sua preda per tutta Parigi, era pericoloso tra l’altro perché doveva tenere d’occhio anche la strada donde evitare di investire macchine, pedoni o animali. Le gomme stridevano sull’asfalto, il furgone nello svoltare nelle vie finiva spesso in bilico su due sole vuote rischiando di cappottare, Emile si tenne più stretto che poteva al sedile per non cadere fuori, urlando a Raoul di rallentare.
La richiesta venne presto esaudita, ma solo perché avevano imboccato un vicolo cieco.
La frenata risuonò talmente acuta che i timpani quasi si spaccavano, il mezzo si fermò, appena in tempo, a pochi centimetri dal muro, toccandolo con il paraurti frontale, i due uomini erano in procinto di beccarsi un infarto, pallidi come lenzuoli. Alcuni piccioni si appollaiarono sopra, Raoul cercò di scacciarli via con il clacson, allergico al loro piumaggio, ma la grossa piuma bianca che dondolò a terra non apparteneva a nessuno di quegli uccelli.
<< è una piuma del costume di Lucille…. >>
Nel vicolo c’era una scala, rapido l’uomo la salì per raggiungere il tetto e curiosarci sopra, trovando una scia di altre finte piume.
<< Raoul! Hai trovato qualcosa?! >> gli urlò Emile.
<< Il costume di Lucille perde pezzi! Forse abbiamo ancora una speranza per trovarla! >> gli rispose.
<< Dobbiamo chiamare la polizia! >>
<< Non c’è tempo! Quel mostro potrebbe farla a pezzi! Dobbiamo trovarla ora! Sali in macchina! >>
 
                                                                                  ****
Lucille era ancora intera.
E viva soprattutto.
Aveva urlato per tutto il tempo, cercando di liberarsi dal suo rapitore.
La stringeva talmente forte al suo petto che non poteva nemmeno girarsi per vedere dove stessero andando, sentiva solo che saltava in un modo che le stringeva lo stomaco, scendendo ad una velocità che dava l’impressione che precipitassero.
Non aveva ancora messo a fuoco il fatto che era un mostro chi l’aveva portata via con la forza dal suo regno, solo all’arrivo nel suo nascondiglio, un parco vicino a Place de la Bastille, luogo in cui un tempo si ergeva la Bastiglia, che celava nel suo fitto fogliame un apparente cumulo di rocce che servivano a mimetizzare una solida porta di legno, potè vedere il suo volto: entrato nell’ambiente segreto e richiuso l’unico ingresso, l’ombra.. o il mostro… lasciò andare la ragazza che si allontanò sconcertata da quella figura umanoide deforme.
Da sotto il cappello riuscì a intravedere un paio di occhi luminosi di un innaturale arancio-rosso, si strinse la sciarpa al viso affinchè non scivolasse via, accendendo le candele disseminate nella prigione segreta.
<< Tu…! Lasciami subito andare! Te lo ordino! >> disse Lucille, cercando di mostrarsi coraggiosa.
<< Se sono i soldi che cerchi, da me non avrai nulla! I pezzenti come te otterranno solo la prigione! Hai capito?! >>
Nonostante le parole forti, il rapitore non parve colpito.
Rimase silente… e anche tranquillo, continuando ad accendere più cera possibile.
Finito di far luce si avviò all’interno di una delle celle muovendo degli oggetti posti all’interno, facendo poco dopo segno alla cantante di entrarci dentro.
Non era cambiato nulla, aveva solo spostato le cose per nascondere le tracce di prigionia di quella testimonianza della prigione più terribile della Francia.
<< Non entrerò mai in questa lurida stanza! >> disse Lucille disgustata.
L’individuo continuò a tacere, si allontanò e si sedette sulle scale, cominciando a giocare con un puzzle.
 
                                                                                  ****

All’Oiseau Rare polizia e giornalisti avevano fatto in fretta a precipitarsi sul luogo del “delitto”.
Non c’era più voglia di festeggiare, tanto meno per la padrone che se ne stava in un angolo a piangere disperata, accudita da vecchi amici e dallo staff che cercavano in qualche modo di calmarla e di darle speranza di riabbracciare la nipote.
Maynott le si avvicinò in quel momento dopo aver risposto alle innumerevoli domande dei giornalisti, promettendo alla donna che avrebbe fatto qualsiasi cosa per ritrovare sana e salva la ragazza, parole di conforto che leggermente riuscirono a calmare il tormento della povera donna. Il politico uscì dal locale, dando precisi ordini ai poliziotti rivelando così la sua passata esperienza nel campo poliziesco, lui decise di seguire da solo l’indagine… per motivi suoi.
 
Si allontanò a piedi dalla zona incriminata, il caos proveniente dalla gente al locale scemava a mano a mano che si allontanava, fino a quando il silenzio della notte non fu totale. Non c’era nessuno per strada a parte i vagabondi, l’ora delle passeggiate notturne era passata da un pezzo e adesso la gente era in casa a dormire.
Ad un certo punto una automobile nera si fermò accanto a lui, il finestrino del passeggero si abbassò di poco, mostrando solo di poco il viso di chi stava a bordo.
<< Potresti fare l’attore. >> disse lo sconosciuto.
Maynott ridacchiò, sistemandosi  i capelli all’indietro.
<< Non è così difficile ingannare qualcuno. >> gli rispose con un beffardo sorriso.
<< Pensi che andrà tutto come hai promesso? >>
<< Assolutamente. D’altronde, si è tradito da solo il nostro vecchio amico. >>
<< Lo spero per te. Anche perché non ti darò una mano. >>
<< Cosa? Ma avevi detto che… >>
<< Lo so cosa ho detto, ma ho degli affari di cui occuparmi. >>
Calò il silenzio, quella frase fece rabbrividire l’uomo perché ben conscio del significato che ci stava dietro.
<< Posso aiutarti in qualche modo? >> chiese esitante.
<< Oh no, non preoccuparti, è un lavoretto facile. Tu pensa solo a far fuori quel fastidioso insetto. >>
 
                                                                                  ****
 
Lucille era stufa, non ne poteva più di stare chiusa dentro quel lugubre luogo asfissiante, voleva uscire e tornare a casa sua.
Non smise di protestare sulla sua condizione, ripentendo al carceriere quanto nei guai fosse, dicendogli che sarebbe stata più che felice di vederlo in prigione, si massaggiò la testa delicatamente per il mal di testa che lei stessa si era causata.
E ancora lui continuava ad ignorarla tranquillamente.
Si era preparato con un fornello a spirito assai vecchio del tè,  annusando gli effluvi della bevanda e bevendola poco alla volta sollevando leggermente la sciarpa, assaporandone il particolare retrogusto dolciastro. Aveva offerto una tazza alla ragazza, ma lei sdegnata aveva rifiutato, disgustata persino dalla tazzina rotta che non era abbastanza “elegante”.
Si guardò intorno per trovare un modo di trascorrere il tempo, annoiata da quello stato forzato, senza nemmeno curarsi dei particolari dettagli della “camera” del mostro, adornata con oggetti che, nella loro varietà, avevano un ordine preciso, vedendo solo lo sporco che li ricopriva e che poteva rovinare il suo bel vestito e il suo aspetto tanto truccato.
 
Stava  ricominciare a lamentarsi quando sentì bussare alla porta.
 
Sia lei che il mostro rimasero perplessi da quel suono inaspettato, costringendo quest’ultimo ad alzarsi per andare a controllare chi avesse scoperto il suo nascondiglio.
Sparì sulla cima delle scale, si udì il cigolare dei cardini e poi all’improvviso un botto sordo.
Il mostro rotolò giù dalla rampa, Raoul apparve poco dopo brandendo un martello da cui spuntava una molla munita di guantone da boxe, voltandosi in direzione della cantante:
<< Posso esserle d’aiuto madame? >>
<< Raoul! Va tutto bene?! >>
Emile comparve subito dopo, la macchina fotografica in mano insieme alle piume usate come traccia.
<< Tu qui? >> disse scioccata la ragazza.
<< Fortuna che il tuo bel costumino perdeva le penne, altrimenti non avremmo potuto salvarti. >> disse fiero di sé l’inventore.
<< Tu salvare…. Io non voglio essere salvata da voi! Chi vi ha detto di venire?! >>
<< Eh? Cosa? No scusa… sei seria?! >>
<< Sei il solito ficcanaso buono a nulla! Ci pensi cosa dirà la stampa adesso?! Che sono stata aiutata da un patetico idiota senza fisso lavoro! Sarò mortificata a vita da questo! >>
<< Mi prendi in giro?! Pensi alla pubblicità in un momento come questo?! Tu sei pazza! Pazza ed egoista! Io e il mio amico ci siamo fatti in quattro per trovarti e salvare le tue chiappe canterine! >>
<< Come osi parlarmi in questo modo?! Sei licenziato! >>
<< Bene! Meglio essere senza lavoro che rischiare la pelle per una persona senza cuore come te! >>
La discussione non poteva che iniziare in un momento peggiore.
Emile tentò inutilmente di fare da paciere, nella confusione il mostro riprese conoscenza e si avvicinò al duo, fissando confuso quell’atteggiamento: il giornalista fu l’unico a rendersene conto, avrebbe voluto urlare ma gli rimase tutto bloccato in gola, soprattutto alla vista del volto dell’essere, rimasto scoperto per la mancanza della sciarpa. Il suo era un volto semplice in tutta sincerità, niente zanne appuntite o strane protuberanze, era liscio, privo di naso, di un blu più chiaro come sulla pancia e gli occhi che, a quel punto, erano vispi e molto innocenti.
Nel panico lasciò cadere il suo strumento, la creatura lo fissò per qualche secondo e poi lo prese, lo pulì con il suo giaccone e lo porse all’ometto con un sorriso.
<< Grazie…? >>
Le favole avevano insegnato che i mostri non avevano un cuore, eppure quel gesto… fu capace di manifestare un sentimento di gentilezza sincero che solo una persona un vero cuore come quello di un essere umano poteva trasmettere. Emile si sentiva male e sarebbero potuto crollare da un momento all’altro, eppure non potè fare a meno di avere la voglia di sapere qualcosa di più su quel misterioso personaggio. Notò la prigione sua tana, rendendosi conto del legame che li univa: strumenti musicali, cartoline illustrate che rappresentavano persone felici su sfondi di luoghi famosi, giocattoli e oggetti dalla foggia non parigina, diverse ma al contempo somiglianti, probabilmente perché provenivano dallo stesso paese.
 
Improvvisamente uno sparo rimbombò.
Il mostro saltò all’interno del suo nascondiglio “gridando”, un verso che ricordava il frinire degli insetti nelle calde giornate estive ma alterato da una nota che pareva lo stridere delle ruote di un treno sulle rotaie.
Maynott scese in fretta le scale, la pistola in mano dalla cui canna fuoriusciva fumo di polvere da sparo puntata nel punto in cui la creatura si era nascosta.
<< State bene? Siete feriti? >> chiese preoccupato.
Lucille gli si gettò letteralmente tra le sue braccia implorandolo di portarla via da lì, narrando quel tempo di prigionia arricchendolo di dettagli esagerati e di come Raoul avesse messo a “repentaglio” la sua vita con una azione di sconsiderata stoltezza, parole contestate dall’accusato incredulo a quel racconto senza capo né collo.
<< Calmate i vostri animi signori, questo non è il luogo e il tempo per discutere, siamo ancora in pericolo. >>
Dalla cella il mostro stava tentando di fuggire scavando nella solida parete, le mattonelle di roccia erano state rimosse e quelle in alto ancora attaccate gli crollavano addosso spaccandosi sulla sua dura corazza, la terra che smuoveva via rapida grazie a quelle quattro braccia di cui era dotato. Due colpi di pistola interruppero l’operato, i proiettili rimbalzarono sul suo corpo senza trapassarlo, facendolo rannicchiare a terra tremante, i suoi occhi ora erano solo arancioni, le pupille ridotte a puntini neri.
<< Questa bestia è pericolosa, è un miracolo che siate vivi, soprattutto lei madame. Uscite da qui prima che tenti di aggredirvi di nuovo. >>
I tre uscirono in fretta dal sottosuolo, Emile però fu l’unico a guardarsi indietro cercando di vedere un ultima volta quel mostro… se davvero lo era.
Non si sentiva bene con sé stesso con quell’atto, era come se stesse abbandonando qualcuno che aveva bisogno di aiuto, l’impressione provata su di lui non era svanita, non era stato solo un pensiero avuto per un attimo, continuava a ronzare nella sua mente e nella sua coscienza. Si fermò non appena varcata la soglia dell’uscita, Raoul gli diceva di muoversi ma lui non c’è la faceva ad andar via, per questo fece dietro-front e tornò giù, ignorando l’amico che lo inseguì.
Riuscì ad acchiapparlo a metà scalinata, confuso sul suo atteggiamento, stava per chiedergli una spiegazione quando la voce di Maynott riecheggiò poco dopo, costringendo i due uomini ad ascoltare… poiché il discorso che stava facendo era strano.
<< Te l’ho detto che non sei abbastanza furbo. Potevi restare nascosto e invece hai voluto fare l’eroe. Meglio per me comunque, finalmente sei uscito fuori dal tuo buco e adesso, da bravi galantuomini, mettiamo fine alla tua stupida fuga. >>
Si sentì il verso del mostro, acuto a tal punto che le orecchie fecero male, il tono sembrava arrabbiato e Maynott, dal canto suo, ridacchiò solamente. Si affacciarono per poter spiare la scena, l’uomo era di spalle e in mano teneva ancora la pistola, davanti a lui l’essere che muoveva la bocca in modo assai strano, come se tentasse di parlare.
<< Avanti, sei ancora arrabbiato con noi? Abbiamo solo cercato di farti capire che la tua vita era inutile, ti abbiamo fatto un favore togliendoti la tua ragione per esistere. >>
Raoul ed Emile si guardarono confusi da quel discorso per loro senza senso, eppure era chiaro che il Prefetto conosceva la creatura… rivolgendosi a lui come ad una persona normale.
<< Immagino che tu sia stanco di condurre questa esistenza nascosta, quindi rilassati che finisce tutto adesso. >>
<< Aspetti! >>
Emile uscì dallo scoperto fermando l’uomo prima che agisse, vedendolo arrivare ci accigliò, puntandogli contro l’arma.
<< Che diavolo ci fate qui?! Vi avevo detto di levarvi dai piedi! >> disse con voce furiosa, l’atteggiamento completamente differente da quello con cui si era presentato.
<< Io credo… credo che lei stai commettendo un errore! Questa creatura non è… pericolosa come sembra… >> disse tentennante il giornalista, esponendo la sua teoria. Raoul cercò di zittirlo ma lui non voleva smettere di parlare, voleva dire cosa ne pensava e sperare che fosse un’azione giusta. Non parve sorpreso Maynott, sbuffò semplicemente e poi sparò un colpo, Emile cadde a all’indietro a terra con la spalla che zampillava sangue.
<< Ma è impazzito?! >> gridò Raoul.
<< Solo previdente. >> si limitò a dire Maynott.
Raoul si vide la canna dell’arma proprio davanti alla faccia, quel millesimo di secondo in cui si rese conto che stava per essere freddato riuscì a spostarsi in tempo, il proiettile sfiorò il lato destro della testa di strisciò ma il dolore fu comunque tremendo, il calore del metallo misto a polvere da sparo formava un connubio ardente.
<< Sarà una storia coraggiosa quella che farò ricordare per voi: ero in difficoltà e siete tornati indietro per aiutarmi, sfortunatamente il mostro era troppo forte e non siete sopravvissuti. L’incendio scatenato da una perdita di gas nasconderà le prove del vostro ficcanasare. >>
La testa dell’inventore pulsava, avrebbe voluto averla completamente funzionante pur di capire il perché di quel gesto insano con annessa una storia falsa solo perché Emile aveva esposto una teoria che ora non pareva più tanto ridicola. Stava per sparare di nuovo l’uomo, ma distratto da quel compito non si accorse che la creatura si era ripresa e di soppiatto si era avvicinata alle sue spalle, il balzo fu rapido e il peso del corpo schiacciò a terra il Prefetto che perse l’arma. Fu in quella occasione che Raoul prese Emile, caricandolo sulla propria schiena e scappò, uscendo andò incontro a Lucille che trascinò via per un braccio, non rispondendo ad alcuna delle sue innumerevoli domande.
 
Voleva solo fuggire.
Correre da qualsiasi parte ci fosse un posto sicuro.
 
Quando le gambe cedettero per la stanchezza erano da qualche parte nella periferia di Parigi, una di quelle zone dove non c’era lo stesso splendore del centro ma solo case popolari, gente povera e loschi affari nei vicoli ciechi.
Cercava di pensare, il battito del cuore accelerato quasi lo soffocava, il sangue dell’amico gli imbrattava i vestiti e Lucille isterica non aiutava a calmarlo.
Gli sarebbe bastato un minuto, un solo dannatissimo minuto di tranquillità per poter escogitare qualcosa, se solo non fosse stato così dannatamente spaventato e incasinato!
 
Un rumore sopra di lui lo fece sussultare, gli occhi del mostro lo fissavano quasi socchiusi.
 
                                                                                  ****
Era davvero furioso Maynott.
Non riusciva a credere che aveva fallito il suo piano per colpa “sua”!
Come aveva osato?!
Nessuno poteva metterlo in ridicolo in quel modo!
E quei due idioti amici della cantante avevano pure provato ad intromettersi!
Il graffio profondo che “lui” gli aveva dato in faccia bruciava quanto l’umiliazione, nemmeno scolarsi un’intera bottiglia di vino italiano lo avrebbe calmato.
 
Lo sconosciuto ridacchiò divertito.
Il suo collega non aveva ottenuto niente di tutto ciò che desiderava, è questo suo inutile lavoro era divertente da guardare.
<< Sto cominciando a pensare che ti stai rammollendo. Ti ho viziato fin troppo. >> gli disse.
<< Taci. Non sono in vena di ascoltare il tuo stupido sarcasmo. >> replicò Maynott.
<< E sei caduto così in basso solo perché non riesci a soddisfare un ridicolo desiderio sessuale. >> gli disse l’altro maliziosamente.
L’uomo si allontanò dal suo “amico”, sedendosi sui sedili posteriori dell’auto con cui lo sconosciuto era venuto.
Da lontano vide la Torre Eiffel, stupenda per chi giungesse lì per la prima volta, ma tale bellezza non poteva essere paragonabile, a parer suo, con quella della cantante francese: il Prefetto ne era rimasto davvero colpito… in ogni senso… non riusciva a non smettere di pensare a lei.
Per questo aveva accettato quel particolare patto.
<< Ma non cadrà mai nelle tue braccia se continui a comportarti da idiota. >>
<< Se non fossero venuti quelle due mezze tacche ora sarebbe mia. >>
<< Non preoccuparti per questo, la tua bella ha notato che ci tieni a lei, ben presto sarà lei a venire a te… e ovviamente la nostra vecchia conoscenza non esiterà a fermarla pur di salvarla da me. >>
<< Non le farai del male, ricordalo. Lei non è nei nostri accordi. >>
<< Ho promesso e manterrò la parola, non temere. Mi interessa solo il caro fuggitivo. >>

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Nascosti ***


capitolo 4: Nascosti
 
Una settimana dopo.
Dalla festa al L’Oiseau Rare nessuno si era più esibito.
La padrona, Carlotta, era a pezzi: il rapimento della nipote non aveva avuto effetti positivi sulla sua salute che l’aveva costretta a rimanere a letto per riprendere le forze.
Pareva invecchiata di colpo, tutto quel fascino particolare con cui si presentava sempre alla clientela era stato sostituito da una massa di capelli disordinati, rughe e occhiaie profonde, uno stato d’animo costantemente triste.
Ad occuparsi di lei, improvvisandosi infermieri, c’erano degli amici di vecchia data, ma nonostante la buona volontà, non c’era modo di poter migliorare la sua salute… così come per il suo cuore in frantumi. Accanto al letto si era messa tutte le foto di Lucille, le fissava costantemente anche mentre mangiava, sperando che si animassero come per magia per dirle che stava bene e che sarebbe tornata presto da lei.
Una delle poche cose che l’aiutava ad andare avanti erano le lettere che Maynott le inviava: aveva promesso il Prefetto che ogni passo avanti sull’indagine di trovare la cantante scomparsa sarebbe passato anche a lei, in modo tale che potesse sapere quali sforzi stava compiendo la polizia nella caccia al mostro, aggiungendo mielosi auguri di guarigione. Carlotta si accasciò sul letto sorseggiando del tè caldo, il crocifisso appeso lì vicino le ricordò la giornaliera preghiera: per ben 7 giorni aveva pregato il Signore di proteggere Lucille, ovunque ella fosse, e le anime del povero Raoul e del suo amico giornalista rimasti vittima della crudeltà del mostro.
Pregava perché ci fosse giustizia.
 
                                                                                  ****
<< Ehi amico, te la senti di camminare? >>
<< Sono stanco di stare sdraiato… >>
<< Ok, ma non azzardarti a svenire. >>
In città la confusione dilagava da ogni parte, solo nella dimenticata Parigi sotterranea, una zona situata niente meno che proprio sotto l’odierna metropoli divisa dal cemento e gallerie sotterranee formatesi durante la rivoluzione industriale del paese, regnava la tranquillità.
In una delle poche case rimaste in piedi, in modo da poterle sfruttare come solide fondamenta, Emile finalmente si rimetteva in piedi dopo la lunga convalescenza: solo per miracolo non era morto dissanguato, il mostro si era rivelato un ottimo medico ed erano bastate poche cose per salvare la vita al giornalista, tutto sotto lo sguardo incredulo di Raoul e Lucille.
Quando era comparso quel bestione, tutti avevano pensato di essere spacciati, invece… aveva dimostrato un’umanità che nell’essere umano non si era mai vista prima.
Chiamarlo mostro ora suonava come un brutto insulto: lui era intelligente, aveva un cuore per provare emozioni e sentimenti, era gentile e aveva rischiato la propria vita per aiutarli; se fosse davvero una bestia feroce tutto ciò non l’avrebbe mai dimostrato o fatto.
 
Lucille, nonostante tutto ciò, era l’unica a lamentarsi.
Il suo comportamento da mocciosa viziata mise a dura prova i nervi di Raoul che non concepiva la sua “cecità” sulle buone azioni della creatura: lo trattava male, lo insultava, quando aveva bisogno di qualcosa lo sfruttava come un cameriere senza nemmeno chiedergli grazie. Lui sarebbe già esploso di rabbia davanti a tanta sgarbataggine, il loro nuovo amico invece mostrò una calma e una compostezza a dir poco straordinaria, sorridendo addirittura, Raoul si sentì in colpa pensando che non capiva la situazione della piccola strega.
I due litigarono per l’ennesima volta, Lucille nel bel mezzo della discussione se ne andò per non dover ascoltare i giusti rimproveri del rimprovero, prendendo una delle qualsiasi strade abbandonate per poter restare da sola e non ascoltare quelle cose che riteneva sciocchezze. Lei era convinta che tutte quelle storie le facevano solo perché credevano che lei fosse stupida, una montatura per rovinarle la vita; potevano dirle tutto ciò che volevano, lei non avrebbe mai cambiato idea.
Il vestito si impigliò facendola così cadere, ringhiò come un gatto, seccata di vedere il suo bell’aspetto rovinato dalla sporcizia, si sentiva una barbona e l’idea la umiliava, avrebbe dato qualsiasi cosa per un bagno caldo e un set completo di trucchi.
Un mazzo di fiori quasi appassiti le sfiorò il viso, il mostro glieli stava porgendo sorridendo come al solito, il gentil pensiero però venne ricambiato con uno schiaffo.
<< Smettila di apparire all’improvviso brutta bestiaccia! >> urlò lei.
Lucille non riusciva proprio a vedere le sue preziose virtù, più gli stava lontano e meglio era per lei.
Tornò da Raoul ed Emile borbottando, esponendo il suo disappunto di quella sua situazione.
<< Spero che vi siate resi conto che è il momento di tornare alla civiltà. >>
<< Con quel pazzoide in giro ci rendiamo solo conto che possiamo morire. >>
<< Ancora con questa storia? La vostra folle idea che l’onorevole Prefetto sia un assassino non mi convince affatto, non insistete più con questa sciocchezza. >>
<< Dici così solo perché non c’eri. >>
<< E tu dici così solo perché sei geloso della sua fama. >>
Raoul si trattenne, non aveva voglia di litigare, era Emile la sua sola priorità al momento.
<< Però in parte ha ragione: i nostri cari saranno in pensiero per noi. Nasconderci per sempre non è un’idea assai geniali. >>
<< Lo so. Ma ho paura che quel Maynott possa combinare qualcosa di tremendo. >>
Raoul era sempre stato un gran testardo.
Quando si metteva in testa una cosa la doveva portare a termine a tutti i costi.
Emile ci era abituato oramai, soprattutto alle conseguenze che le sue azioni portavano; ma quella volta aveva ben ragione di perseguire il suo pensiero.
Non volevano pensare all’eventualità che potessero sparargli di nuovo.
Intuendo il problema delle persone, l’enorme insetto si avvicinò con un pezzo di carbone in mano e tracciò dei disegni per terra, immagini che rappresentavano montagne, castelli e angeli circondati da onde; ci provava a parlare ma uscivano solo versi dalla sua bocca, scrivere parole era un tentativo enorme che gli faceva male alle zampe.
<< Credo che stia provando a dirci qualcosa. >>
<< A me sembravano solo scarabocchi. >>
<< Zitti, io sono bravo con gli indovinelli. Vediamo… una montagna, dell’acqua… un angelo… Ehi! Credo che si stia riferendo a Mont San Michel! >>
Il Mont Saint-Michel è un isolotto situato presso la costa settentrionale della Francia, dove sfocia il fiume Couesnon: sull'isolotto venne costruito un santuario in onore di San Michele Arcangelo, circondato da una cittadella abbandonata, si trovava al di fuori di una baia, collegata da una sottile striscia di terra che le maree in alcuni periodi dell’anno spariva sott’acqua e da invisibili sabbie mobili descritte come una tremenda trappola mortale da chi ne era scampato.
<< Cosa c’entra quel posto con noi? >>
Disegnò ancora il mostro, rappresentando un abbozzo di Maynott e di un serpente, li cerchiò e poi li tagliò con una grande X.
<< Cerchi di dirci che in questo posto il pallone gonfiato non ci troverà? >>
Scosse la testa, non era quello il significato inteso.
Rifece gli stessi disegni, aggiungendo stavolta un suo autoritratto e delle catene che lo univano al serpente, poi tante persone che altri serpenti stavano mangiando, poi una croce che cancellava la scena raccapricciante.
Il senso che immaginarono era spaventoso, se era una soluzione che voleva dare non era molto rassicurante, ma dal modo in cui aveva disegnato tutto ciò sembrava a quel punto davvero importante.
<< C’è un monastero lì, non penso che ci sia nulla di male andarci. >>
<< Io non ho intenzione di andare da nessuna parte! Fate buon viaggio signori, io me ne torno a casa. >>
Le quattro braccia della creatura costrinsero la cantante a tornare indietro, scuotendo la testa per dirle di no.
<< Sono d’accordo con il nostro nuovo amico: esci da qui e quello pseudo-poliziotto ti concerà per le feste. >>
<< Non vorrete davvero fare questa sciocchezza di seguire l’idea di uno scherzo della natura. >>
<< Sarà anche diverso, ma con quello che è successo preferisco restare dalla sua parte. >>
<< Non avete prove che Maynott sia pazzo. >>
 
L’improvvisa caduta di schegge di legno mise in allarme tutti quanti, il frastuono dell’esplosione non avrebbe potuto far altro.
Mancò poco che una trave del soffitto li schiacciasse quando precipitò d’improvviso, urla di uomini sovrastarono il silenzio, i loro passi frettolosi che calpestavano i detriti e le pozze d’acqua sul pavimento.
Si nascosero mentre luci di torce illuminavano l’oscurità, dei poliziotti si avvicinarono con le pistole puntate in avanti, le mantelle sporche di fango e i movimenti lenti che allertavano i topi nascosti. Lucille voleva andare incontro a loro, Raoul le tappò la bocca a forza per non farle commettere impudenti sciocchezze, incrociando le dita perché non venissero scoperti.
<< Alcuni barboni schifosi hanno detto che hanno visto qualcuno che si era nascosto in questo buco. >>
<< Sarebbe la prima volta che quegli ubriaconi dicono qualcosa di sensato. >>
Non erano poliziotti, il loro modo di parlare e l’atteggiamento non era quello di una persona addestrata seriamente.
<< Spiegami perché stiamo perdendo tempo in questo buco. >>
<< Quel pezzo grosso di Maynott ci paga una fortuna se gli togliamo di mezzo due tizi e gli portiamo una pupa a cui è interessato. >>
Il panico fu generale, in fretta e furia il gruppo cercò di abbandonare quel luogo.
Per fortuna era buio e i posti in cui nascondersi tanti, dovettero muoversi rapidamente per passare inosservati nell’intricato labirinto che pullulava di falsi poliziotti anche nelle zone più disagiate, l’uscita lontana illuminata solo da qualche lampada, segno che erano entrati da lì.
Era quasi in salvo quando l’improvvisa apparizione di un grosso omaccione tra le macerie non li costrinse a fermarsi: rispetto agli altri era più muscoloso, alto e visibilmente più aggressivo, se ne stava lì a guardia del posto fissando con un ghigno seccato, stringendo in mano la pistola.
Non disse nulla, non fece nulla, lasciò il grosso del lavoro agli altri.
<< Ehi, dove sta andando? >>
Il mostro stava scivolando di soppiatto nell’ombra, con il suo corpo scuro gli fu facile non farsi notare dal bestione, riuscendo ad avvicinarsi quanto bastava per averlo come facile bersaglio: fece un debole rumore, quel tanto che bastò per incuriosire l’uomo e farlo avvicinare alla fonte del rumore.
In un attimo la creatura lo mise KO con una legnata, liberando la strada.
La libertà parve assicurata, ma il canto della vittoria fu fin troppo affrettato: la distrazione costò quasi cara quando gli spari rimbombarono addosso a lui, una trave lo sfiorò bruscamente nella caduta, ferendolo al volto.
<< Il mostro! Il mostro! >> urlò qualcuno degli uomini indicandolo, attirando con le sue urla il resto della banda. I falsi poliziotti accorsero insieme, il gruppo non potè far altro che correre prima che accadesse il peggio.
Una volta all’esterno non poterono godere con calma della freschezza dell’aria pura e dello spazio aperto, si lanciarono su uno dei furgoni dei tizi e vi saltarono a bordo, sfrecciando sulla strada a tutto gas, destinazione Mont Saint Michel.
<< Ora sei convinta che il Prefetto è pazzo? >>
Il vetro dei finestrini esplosero, lo sgommare delle ruote gli fece accorgere che erano inseguiti.
Erano stati veloci a salire in auto, alcuni si sporgevano pericolosamente dalle portiere per poter avere la visuale libera e sparare con i fucili.
A bordo del loro mezzo invece avevano solo una minuscola pistola, qualche corda e…. candelotti di dinamite legati insieme.
A Raoul venne un’idea assurda: si fece avvicinare da uno degli inseguitori, prima che potessero sparare mostrò loro i tubi rossi con un ghigno divertito, sbiancando gli uomini armati che urlarono a tutti gli altri di non fare cavolate, avvertimento che non si fermò di certo in quel modo… accese la miccia che scoppiettò animatamente, fece uscire il braccio dal finestrino e lo lanciò all’indietro, ridendo divertito alle frenate disperate per evitare l’esplosione.
 
                                                                                  ****
 
Maynott non aveva povuto partecipare al blitz a causa di certi affari da concludere per conto del suo collega in affari.
Aveva sperato di poter trovare ai suoi piedi i cadaveri di chi gli interessava, altrimenti avrebbe dovuto continuare a pregar Dio affinchè il socio non si vendicasse.
Si era dimostrato troppo sicuro di sé e ne stava pagando le conseguenze, eppure continuava ad aspettarsi un finale positivo, la riuscita della sua follia.
<< Che cosa è successo?! >> chiese agli uomini assoldati.
<< Ci sono sfuggiti… >> rispose uno di loro.
Era furibondo il Prefetto, incavolato per aver perso tempo e denaro con loro, la mano tentatrice vicina alla pistola per usarla nel peggior modo possibile.
Cercò di riflettere con freddezza, di capire quali intenzioni avesse quella dannata bestiaccia, cominciando a pensare che non era solo una questione di bontà per salvare quei due rompiscatole ma ben altro che forse, e sperava solo forse, avrebbe potuto mettere in pericolo il lavoro di una vita intera.
<< Credo di sapere dove stanno andando. >> disse a sé stesso.
                                                                                  ****
 
Guidarono senza sosta fino ai confini della città.
La vastità della campagna francese pareva un mondo alieno in confronto all’urbanizzato agglomerato cittadino raccolto in un unico grande spazio, nient’altro che natura incontaminata e nulla più. Faceva freddo, non c’era alcuna fonte di calore a riscaldarli, il vuoto faceva da padrone in quella zona disabitata dove la natura non era ancora stata toccata da mano umana.
Stare così lontani dalla civiltà faceva paura.
Si fermarono solo quando si sentirono al sicuro.
Erano sfiniti, come se avessero corso a perdifiato, ansimavano pesantemente tentando invano di calmarsi, le gambe che gli tremavano ad ogni minimo movimento, il cuore sembrava sul punto di esplodere per quanto batteva forte.
<< State tutti bene? >> chiese Raoul, massaggiandosi la schiena.
Lucille era seria, Emile abbozzò un sorriso, il mostro si sfiorava appena un taglio provocato dal passaggio di un proiettile.
<< Amico,  tu però sei a pezzi. >> gli disse il giornalista.
<< Ma no. Sto una meraviglia. Dovrei fare tutti i giorni una bella fuga in macchina. >>
<< E ora? Sei ancora convinto di voler andare su quel monte? >>
<< Certamente madame, ma prima sarebbe una buona idea poter “ricivilizzare”. Non mi piace la sensazione molliccia che mi danno i miei vestiti. >>
<< Una volta tanto dici una cosa sensata. Ma qui intorno ci sono solo sterpaglie. >>
<< Se sua maestà ha ancora un poco di pazienza, la porterò in un posto con sterpaglie e un bagno. >>
 
Il furgoncino impiegò un bel po’ con la strada male asfaltata, ma alla fine la destinazione viene raggiunta: una splendida e grande serra si ergeva nel mezzo della campagna, una cupola sferica affiancata ad una casa attraverso cui si vedevano le forme verdi delle piante dall’interno brillava di una luce azzurrina, alcuni piccioni volavano nei dintorni pigramente, attratti dalle sementi sparse a terra, lasciate cadere forse da qualche carico speciale.
<< Speriamo che il professore sia in casa e che possa darci una risposta. >>
Raoul, per diventare l’inventore che aveva sempre sognato di essere, seguiva delle lezioni con un famoso scienziato – botanico assai famoso a Parigi, un certo Professor Amber, i cui studi erano spesso incentrati sulle piante e le loro proprietà speciali, idee che avevano riscosso successo. Spalancò l’ingresso della serra ed entrò dentro, chiamandolo a gran voce, ben sicuro di trovarlo al lavoro.
<< Sembra che ci sia qualcosa di anomalo qui dentro… >> disse Emile, soffermandosi ad esaminare l’interno che gli appariva quasi magico.
<< Anche a me pareva strano la prima volta che ci sono venuto, ma ti assicuro che è meraviglioso. >> rispose Raoul senza farci caso.
Il silenzio che vi albergava metteva davvero i brividi, nessuno avrebbe osato rubare qualcosa là dentro senza finire terrorizzato dall’aria spettrale che vi regnava. Un improvviso rumore di rami spezzati li costrinse a fermarsi.
Tra le piante qualcosa si mosse, avanzando verso di lui, uscendo poco dopo allo scoperto.
<< Charles? >>
Una scimmia dal pelo bianco, con gilet rosso e berretto verde si avvicinò incuriosita agli ospiti, salutando con una zampa: tirò fuori un biglietto con scritto “Salve” e gli fece segno di seguirlo, portandoli verso un piccolo laboratorio dove  il Professor Amber stava svolgendo i suoi esperimenti, rimasero in disparte fino a quando non concluse ciò che stava facendo.
Quando si rese conto di avere compagnia si voltò e ricambiò lo sguardo sorpreso.
 
                                                                                  ****
 
Qualche ora dopo Lucille potè crogiolarsi nell’acqua calda del bagno.
Finalmente poteva ripulire la sua bellezza, indossare abiti puliti (seppur non vistosi) e stare lontana da quella creatura bestiale. Gli altri si stavano prendendo cura di quella bestiaccia che aveva riportato solo una minuscola ferita, trovava inconcepibile che gli dessero aiuto, non lo meritava di certo, così come non voleva che lo “accompagnassero” in quello stupido posto.
Lei non ci voleva andare, se doveva partire lo voleva fare per tornare a casa.
Doveva farsi trovare, da sola, le doleva ammetterlo, non sarebbe stata capace di farcela.
Doveva aiutare i valorosi agenti a riportarla nel posto in cui era destinata a stare: sul palco, nell’olimpo delle stelle.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: in cerca di verità ***


capitolo 5: In cerca di verità
 
Il lato segreto di me, non ho mai lasciato che vedi….
Lo tengo in gabbia ma non posso controllarlo,
Quindi, stai lontano da me, la bestia è brutta….

è sveglio e non riesco a controllarlo,
Tento di nasconderlo sotto il letto, nel mio corpo, nella mia testa….
Perché qualcuno non viene a salvarmi da questo, per farlo finire?

Me lo sento, è profondo, è appena sotto la pelle…
Devo confessare che mi sento come un mostro,
Odio quello che sono diventato, l'incubo è appena iniziato...
Devo confessare che mi sento come un mostro.

Io, mi sento come un mostro.

Il mio lato segreto lo tengo nascosto sotto chiave,
Lo tengo in gabbia ma non posso controllarlo…
Perche 'se lo lascio fuori lui mi farà a pezzi, mi abbatterà…
Perché qualcuno non viene a salvarmi da questo, per farlo finire?
 
Lucille si svegliò quasi di soprassalto.
La sveglia… era stato un canto.
 
Si alzò dal letto e spalancò la porta della stanza, fissando il corridoio davanti a sé, cercando di identificare l’origine della canzone udita prima creduta un sogno.
Aveva sognato una persona seduta di spalle sulla riva di una spiaggia, il mare cristallino davanti a sé illuminato da una grande luna bianca, in mano una chitarra dal suono distorto che faceva da sottofondo musicale alla canzone triste le cui parole Lucilla riusciva ben a ricordare anche ora che era sveglia. La musica e il canto, stupende da ascoltare nelle loro note perfette che riuscivano ad incantarla come una magica favola, nel sogno la facevano piangere, era come se stessero raccontando una storia vera, provò ad avvicinarsi per poter vedere il viso di chi la stava rattristando ma la distanza cresceva impedendole di avvicinarsi…. avvertendo di conseguenza una sensazione di repulsione nei suoi confronti.
 
Poi, ad un certo punto, si era svegliata, rendendosi conto che non era frutto dell’immaginazione.
Il canto proseguiva interrotto, non c’era la musica in sottofondo ma qualcuno cantava eccome.
Così come aveva avuto origine si spense di colpo, senza lasciar prove concrete della sua esistenza.
 
Non sentiva più nulla ora.
Non c’era più armonia, udiva solo le voci indistinte delle persone dentro la casa.
Era sveglia adesso, libera da quel sogno, eppure non riusciva a toglierselo dalla testa.
 
                                                                                  ****
Il Professor Amber era pur sempre un essere umano, eppure come riuscì a non spaventarsi dell’insetto.
Si, era questo il cosiddetto mostro: un insetto, più precisamente una pulce.
Con il permesso di quest’ultimo aveva prelevato una minuscola goccia per analizzarla con i suoi strumenti, lasciandolo basito una volta ottenuti i risultati che non si sbagliavano affatto.
Sia lui che Raoul erano affascinati da quella sorpresa scientifica.
Certe cose non potevano essere vere, per questo rimase alzato tutta la notte insieme a Raoul per ascoltare senza spaventarsi l’incredibile storia di cui era stato protagonista; forse era merito della sua curiosità scientifica, forse la fiducia nei confronti del ragazzo… poco importava di chi fosse il merito, fu grato alla pazienza di avergli permesso di essere comprensivo e credere al racconto. Altri al suo posto, molto probabilmente, vedendolo entrare insieme ai suoi amici e alla creatura, avrebbero reagito in maniera differente, cacciandoli e negandogli qualsiasi genere di aiuto, lui invece gli aveva ospitato e aveva persino curato la ferita che lo “sconosciuto” aveva sul volto.
Che cosa incredibile.
 
Il vecchio pendolo scoccò le ore 8, il ragazzo si era addormentato da appena una mezz’ora, l’amico e la fanciulla erano crollati ieri sera, l’insetto era sdraiato a terra in un angolo del salotto della modesta abitazione. Charles lo stava aiutando a preparare colazione e medicine: non avrebbe potuto chiedere assistente migliore, aveva preparato con cura ogni elemento in modo tale che non si creasse disordine, per le medicine addirittura le aveva sistemate in fila in ordine alfabetico. Alcuni colleghi trovavano eccentrica una simile scelta, a lui però non importava.
In quel momento la signorina Lucille scese la rampa di scale, aveva due scure occhiaie sotto gli occhi verdi, avvolgendosi tutt’intorno una coperta azzurra con ricami romboidali neri.
<< Bonjour madame. Dormito bene? >> le disse.
<< Bonjour… >> si limitò a rispondere lei leggermente disorientata.
<< Charles e io abbiamo preparato un’ottima colazione. Spero che lei gradisca. >>
Fece una smorfia la ragazza vedendo la scimmia, volgendo lo sguardo altrove.
Poco dopo sopraggiunse anche Emile, poi fu il turno di Raoul e infine l’insetto.
Seduti a tavola, mentre gustavano le delizie come pane imburrato e croissant ripieni di marmellata, Raoul fece un breve riassunto della conversazione avuta con il Professor Amber, rivelando non solo la reale natura della creature (che fece disgustare Lucille) ma un’idea che entrambi avevano progettato per raggiungere Mont San Michel.
Il Professore stava spesso via per compiere lunghi viaggi di studio, negli ultimi tempi però aveva rinunciato a questa sua prerogativa per riposarsi e condurre esperimenti di proprio conto come una specie di svago. Ultimamente gli avevano chiesto di partecipare ad un’incontro speciale che si sarebbe tenuto in una città poco vicina a San Michele, con quella scusa avrebbe messo a disposizione posti sicuri per portare con sé tutti quanti fino a destinazione.
<< Raoul, non mi avevi detto che “lui” sapeva comunicare con dei disegni? >>
<< O sì, certo. Abbiamo provato a farci dire altre cose, ad esempio…. “chi è”, “da dove viene”, “come sapeva che Maynott fosse pericoloso”… ma sembra che non ci riesca. >>
<< Questo è assai spiacevole. Forse non sa come esprimersi… >>
<< …O magari è semplicemente stupido. >>
<< Di sicuro ha più cervello di te, Miss Acidume. >>
<< Per non essere in grado di parlare, dimostra molta intelligenza. Mi sorprende soprattutto il suo atteggiamento molto umano, probabilmente deve avere un cervello molto sviluppato come quello di Charles. >>
<< è per questo che mi fido cecamente di lui “prof”; un vero mostro non avrebbe salvato la vita al mio migliore amico. Perciò farò di tutto per ricambiare tale gesto.  >>
<< C’è solo un problema: lui come lo nascondiamo? Non è un tipo che passa inosservato. >> fece notare Emile, preoccupato dal nascondere l’insetto.
<< Oh, che cosa ridicola. >> sbottò Lucille alzandosi da tavola.
Raccolse alcune cose sparse per casa, le gettò letteralmente addosso alla creatura e gliele sistemò in fretta e furia, fino a quando non ottenne un risultato inaspettato: con abiti molto larghi, un cappello e una maschera, l’insetto poteva essere scambiato per un essere umano.
<< Vuoi uomini vi create sempre sciocchi problemi. >> disse seria.
Ridacchiò l’inventore, la cantante gli fece segno con il dito poggiato sulle labbra di star zitto.
Il professor Amber riprese la parola, soprattutto per impedire che nascesse una lite.
<< Bè, allora il problema è risolto. Signori e Signora, possiamo preparare le valigie fin da ora. >> esordì il professore contento.
<< Signore, non so come ringraziarla per tutta questa disponibilità. Mi dispiace che lei debba correre questo rischio per noi. >>
<< Non lo dica neppure Emile. >>
 
Nei successivi giorni tutti quanti si prepararono per intraprendere un lungo viaggio.
L’accademia delle Scienza di Parigi fu entusiasta di vedere Amber nuovamente in “azione”, ben lieti di partecipare al nuovo studio in corso, un po’ sorpresi dalla sua richiesta di voler andare nei pressi del Monte San Michele.
Ma questo importava poco e niente.
Non si perse tempo, misero in agitazione l’intero staff per soddisfare le sue richieste, preparando ogni cosa per la “ricerca” che avrebbe dovuto svolgere insieme ai suoi cosiddetti assistenti: per sicurezza Raoul ed Emile avevano cambiato identità con documenti falsi, di nuovi gliene avevano fornito all’insetto che adesso avrebbero chiamato Francoeur, nome che stranamente era stato proposto dalla stessa Lucille. Non aveva cambiato idea la cantante su di lui, eppure l’atteggiamento si vedeva che era diverso, si era data da fare quanto gli altri per contribuire alla causa, accettando persino di sporcarsi le mani, cosa che mai aveva osato fare.
Lei si sarebbe fatta passare come la figlia del professore, doveva fingere di interessarsi alle sue stesse cose e trattenersi nel cantare o ballare, tentazione difficile a cui resistere quando sentiva musica oppure vedeva qualcuno ballare.
Per distrarsi insegnava a Francoeur a superare i suoi svantaggi da insetto, e fu così fin dal giorno della partenza.
 
Allontanarsi da casa fu una dura prova.
L’ambiente familiare in cui avevano vissuto per tanti anni scomparve poco alla volta all’orizzonte, il treno, il primo mezzo usato per raggiungere la tappa, ne oscurava la vista con le quasi impercettibili svolte per inoltrarsi nell’entroterra francese.
Parigi era davvero strana vista da così lontano, la conoscevano a mena dito, ma nel vederla quasi completamente nella sua immensità sembrava essere cambiata, come se in quei giorni di assenza l’avessero mutata in una versione futuristica spesso narrata in quegli strani libri di fantascienza. Chissà se al loro ritorno, quando quella strana storia  sarebbe finita, l’avrebbero ritrovata perfettamente normale.
 
                                                                                  ****
Lo Sconosciuto era di nuovo a passeggiare per Parigi, da solo.
Il suo umore non era cambiato, era ancora arrabbiato con Maynott per essersi comportato da incapace, aumentata a tal punto che gli animali l’avvertivano scappando via terrorizzati, la natura che marciva al suo passaggio.
Champ-de-Mars era quieto, stava cominciando a far freddo e poca gente passeggiava ormai da quelle parti, la Torre Eiffel sembrava sbiadita mentre si stagliava nel cielo che, del suo bell’azzurro, poco si riusciva a scorgere attraverso il banco di nubi grigie che persisteva sopra la città intera.
I piccioni tubavano intorno a lui ignari di cosa egli provasse, la mente persa in pensieri che annullavano ogni percezione del mondo. Una colomba si posò sul suo ginocchio, il candore del suo piumaggio avrebbe sensibilizzato l’animo di altre persone, ma non il suo.
La colomba cadde a terra morta poco dopo, le piume che si tinsero di grigio e nero.
L’eco delle sirene della polizia ruppero la monotona quiete, segno che il suo collega stava muovendo le chiappe per lo meno, fu quasi una sorpresa sentirle, ci voleva però ben altro per trovare quei maledetti.
 
Aveva molteplici motivi per trovare il “mostro di Parigi”, nessuno che avesse un lieto fine.
 
Chissà che fine aveva fatto il suo amico in tutto quel tempo, erano anni che non lo vedeva.
Quella tenera pulce gigante aveva davvero mantenuto il suo speciale “cuore d’oro”?
Oppure sotto-sotto si era trasformato in un demone come lui?
Quest’ultima opzione riusciva a farlo sorridere un poco, e ci sperava davvero, così che potesse umiliarlo sui sogni infantili in cui aveva sempre creduto.
Ma ora dove diavolo era?
Si guardò in giro assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paragi, era solo ma non si fidava comunque della zona; si trasferì in una zona poco frequentata di Parigi, conosciuta per essere abbastanza malfamata: brutti incontri si potevano fare in quelle porche strette strade, per chi aveva le tasche piene di soldi il pericolo era maggiore. L’individuo avanzò tranquillo in quel “lato oscuro” del luogo più romantico del mondo come molti definivano ormai la metropoli, non aveva nulla di prezioso con sé e anche se avesse avuto qualcosa non avrebbe avuto comunque bisogno di stare attento.
Allo svoltare di un angolo si scontrò contro una massiccia schiena, rimbalzando all’indietro, un gigantesco cinese dalla pelle gialla si voltò verso di lui, i sottili occhi a mandorla che provarono a fulminarono, i muscoli delle possenti braccia che si contraevano mentre stringeva i pugni.
<< Attento a dove metti i piedi idiota. >> gli disse, avvicinandosi minaccioso, ringhiando a denti stretti.
 
In un attimo l’umore aggressivo del cinese mutò: cominciò a trattenere il respiro, arretrando spaventato, tremava convulsamente e i suoi occhi divennero completamente bianchi… una pattuglia della polizia si trovò a passeggiare da quelle parti, sentì rumori sospetti e accorse nel punto d’origine, trovando il cinese in stato comatoso, il colpevole era già scappato via.
 
                                                                                  ****
<< Non ti impegni abbastanza! Vuoi sembrare una persona normale o no!? >>
Durante il viaggio gli insegnamenti di Francoeur proseguirono, Lucille era una severa insegnante, gli altri erano dispiaciuti di vederlo trattato in quel modo, eppure non mostrava risentimento la pulce che eseguiva ogni ordine con molta sicurezza, chiaramente visibile il suo desiderio di sembrare normale.
<< Bè, direi che per oggi possa bastare, ho bisogno di un po’ di riposo. >> disse la ragazza, sedendosi esausta sui sedili del suo vagone.
L’insetto le sorrise tutto contento, lei ricambiò con una smorfia seccata.
La fanciulla non aveva mai avuto in simpatia quelle creature, tutto ciò che li riguardava la impauriva, scattava ad ogni suono o movimento prodotto da quelle bestiacce, gran parte del merito andava a Raoul quando, da bambini, la inseguiva per mostrarle le sue scoperte del mondo animale. Si strinse nell’angolo più che poteva, non voleva stargli così vicino, si sentiva costantemente minacciata, il mostro riusciva a percepire la sua tensione e provò a calmarla provando a disegnare qualcosa di simpatico.
<< Potresti lasciarmi in pace adesso? >> disse lei.
Quando non doveva far nulla la cantante si fermava a pensare a quello strano sogno avuto.
Persisteva ancora nella sua mente come un parassita, non la considerava una cosa cattiva, ma voleva che la smettesse di farla sentire a disagio.
Francoeur uscì dalla cabina, a farle compagnia ora c’era solo il rumore del treno che sfrecciava sulle rotaie; aveva lasciato il taccuino che il professore gli aveva regalato come mezzo di comunicazione per quel poco che poteva esprimere con i disegni, incuriosita lo prese e cominciò a sfogliare le pagine. I disegni non parevano avere una vera logicità, erano infantili e confusi, rappresentati la maggior parte insetti, note musicali e facce dalle varie espressioni.
 
In quel momento fece ritorno la creatura, con sé portò un sparuto mazzo di fiori che le offrì con molta galanteria.
<< Ti ho detto di levarti dai piedi! >> gli urlò la cantante.
In quel momento Raoul entrò nella cabina, attirato dalle urla isteriche.
Non chiese nemmeno cosa stava succedendo, l’aveva già capito da sé, fece uscire Francoeur dalla cabina affinchè potesse parlare da solo con Lucille, deciso a mettere in chiaro alcune cose.
<< Quel coso è terribile! Una vera palla al piede! >>
<< Terribile? Mi sembra un tantino esagerato, è solo un poco impacciato. >>
Non era dello stesso parere lei, lanciò contro l’inventore l’album che aveva raccolto per dargli poi le spalle.
<< Ragazza mia, tu hai davvero grossi problemi nel gestire la rabbia. >>
<< Sto solo cercando di resistere fino a quando questo ridicolo viaggio non avrà fine! >>
<< Ma perché sei così irrequieta? Cosa ti fa rabbia di lui? Hai visto con i tuoi occhi quanto si rende utile. >>
<< è solo una bestia. >>
<< No Lucille, non è una bestia. >>
<< Perché ci tieni tanto a lui? Solo perché lo hai visto salvare Emile, non giustifica la tua “gentilezza” di volerlo portare in quella città. >>
<< Io so per certo che è buono e che ha bisogno di aiuto. Non so spiegarlo, lo ammetto, è una sensazione che mi sento qui dentro nel cuore, una coscienza che mi assicura che sto agendo bene. >>
<< Che sciocchezza. >>
<< Per te, ma non per me. Sarà quasi una missione impossibile questa, ma andrò avanti fino a quando avrò fiato nei polmoni e forza nel mio corpo. Dovresti “aprirti” un po’ di più mia cara, vedere tutto nero non serve a nulla. >>
La cantante rimase in silenzio, non aveva più voglia di discutere.
Ma la cattiveria parlò per lei, gesto che l’avrebbe fatta pentire amaramente in seguito.
<< Strano come un individuo come te voglia aiutare qualcuno dopo che ha lasciato morire i suoi genitori. >>
 
Calò un pesante silenzio.
L’entusiasmo di Raoul si tramutò in shock… e poi in rabbia.
Scrutò scuro la fanciulla con un occhi furenti da farla spaventare, uscì violento dalla carrozza sbattendo la porta alle sue spalle, le guancie rosse come fuoco.
Rendendosi conto di quanto detto Lucille si sentì prendere dal senso di colpa, mai era arrivata a dire qualcosa di orribile nei confronti di una persona nonostante i difetti, Raoul compreso.
Questa volta aveva davvero esagerato, non avrebbe dovuto usare i suoi genitori come scusa per cercare a tutti i costi di avere vendetta della ramanzina.
Corse dietro a Raoul, voleva sistemare quella cosa, ma quando provò a parlargli questo si voltò male:
<< Stammi lontana! Non voglio avere niente a che fare con le arpie come te! >> le disse, cacciandola via.
Non lo aveva mai visto così arrabbiato… e ne aveva tutto il diritto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Brutti ricordi. ***


Capitolo 6: Brutti ricordi
 
Una delle tante fermate fu a Laval.
Rimettere i piedi a terra, senza scossoni a far venire la nausea, era una vera e propria gioia.
Il comune non era allo stesso livello di Parigi, era semplice e modesta, niente di frivolo per adornare le strade, le case ben poco eleganti rispetto a quelle della capitale.
Era tranquilla la città, molta della gente viveva lì perché amante della quiete che, in altri luoghi, non sarebbe stato possibile avere, Raoul approfittò di ciò per poter usufruire di quell’elemento come calmante per i nervi.
Era ancora arrabbiato con Lucille, meglio che gli restasse lontano, quello che gli aveva detto non era cosa da dimenticare facilmente, il sangue continuava a bruciare in corpo, le vene in testa pulsavano. Cercava la ragione di trovare uno spiraglio nella sua coscienza, troppo potente era però l’ira che impediva a qualsiasi pensiero giusto di farsi strada, suggerendogli di non giungere mai al perdono.
E come poteva, del resto, dopo quella crudele offesa?
 
Ti voglio bene...
Erano queste le parole che tormentavano Raoul.
Parole che nonostante fossero intrise di felice sentimento, infondevano un immenso dolore.
L’inventore aveva visto i propri genitori andare via, uccisi dopo un brutale incidente d’auto, era solo un bambino all’epoca del fatto ma ricordava, purtroppo, fin troppo bene ogni dettaglio di quel maledetto giorno. Ricordava soprattutto quanto aveva urlato il nome della madre per non farla addormentare nel sonno senza risveglio, per impedire quella cosa avrebbe dovuto cercare e chiedere aiuto, sul luogo c’era molta gente a cui avrebbe potuto implorare di dargli una mano… ma lui non riuscì a farlo, non riuscì a reagire…
Aveva provato ma non si era mosso.
Era un bambino, ed era spaventato.
 
L’incidente aveva coinvolto tanta gente, accorgersi di tutti coloro rimasti feriti fu grave.
I miracolati che erano stati soccorsi in tempo dovevano ringraziare solo il tempestivo intervento di chi si era accorto di loro, ma Raoul non poteva sentirsi parte di quella categoria di salvatori, nonostante molte persone, tra sconosciuti e familiari, gli dissero che non doveva darsi colpa per quella cosa, lui non avrebbe mai potuto perdonarsi per aver privato la salvezza a chi voleva più bene al mondo.
La gente che lo conosceva per la prima volta pensava fosse un tipo sempre allegro, di certo non immaginavano quale profonda tristezza si nascondeva dietro la sua faccia tanto frizzante. Per questo aveva deciso di diventare un inventore, per creare qualcosa che non dovesse più far soffrire la gente, ma nessuna delle sue invenzioni poteva riportare indietro ciò che aveva perduto.

Per questo si era ripromesso di aiutare Francoeur, stavolta non voleva fallire....
 
                                                                                  ****
Francoeur aveva ascoltato senza volerlo la discussione fra la cantante e l’inventore.
Erano giorni che teneva d’occhio entrambi, sperando che le cose si aggiustassero, ma poiché le cose non si mettevano bene, decise quel giorno di intervenire.
Anche se non scorreva buon sangue, sapeva che potevano essere buoni amici, se solo si decidessero a  mettere da parte i loro rancori, ma essendo entrambi testardi non sarebbe stato per niente facile. Progettò insieme ad Emile quel che aveva in mente, anche il giornalista era furbo e non esitò a suggerire qualche idea particolare che rese a dir poco perfetto il “diabolico” piano, ammettendo di avere un poco di paura per le reazioni che entrambe le “vittime” avrebbe avuto una volta scoperta la verità.
A parte i dubbi, diedero inizio all’impresa.
 
Emile, con tutta l’innocenza che poteva mostrare, si recò dall’amico che si era rintanato in un bar per bere qualcosa, l’unico ad essere imbronciato tra la clientela che, al contrario, era allegra e spensierata, riunita in gruppi chiassosi.
Chiacchierarono un poco prima di passare all’azione, soprattutto per saggiare il suo livello di nervosismo, quando fu sicuro che poteva ingannarlo senza destar sospetti lo portò via, togliendogli di mano l’ennesimo boccale.
Francoeur stava svolgendo la medesima azione con Lucille; la ragazza era chiusa in albergo, pretendendo di riacquistare un poco della normalità della sua vecchia vita da “vip”, trascorrendo tutto il tempo davanti allo specchio. Era uscita poco, solo per comprare qualcosa di decente, secondo i suoi gusti, per il suo nuovo vestiario assai modesto; non rivolgeva la parola a nessuno se non per chiedere quando sarebbero ripartiti.
Vedendo l’insetto il suo grigio entusiasmo non mutò, ma nemmeno lo trattò male come al solito, limitandosi a dirgli di lasciarla in pace; dovette faticare per convincerla ad uscire e seguirlo, le dovette promettere che non l’avrebbe più annoiata con il pretesto di fargli da insegnante se l’avesse accontentato solo per quella occasione.
 
A quel punto entrambe le coppie erano in movimento.
La destinazione, il Giardino de la Perrine, non lontano dal centro, situato su un promontorio di roccia.
 
L’appezzamento di terra era una zona privata in realtà, appartenente a chissà quale ricca famiglia del luogo, quel giorno però molta gente stava varcando l’ingresso senza incorrere in alcun richiamo da parte dei custodi, appostati vicino al cancello. Arrivarono nello stesso momento, quando i due litiganti si incrociarono differenti emozioni i loro cuori scatenarono: era rancore quello che Raoul dimostrava con il suo “ringhio”, tristezza invece accompagnava Lucille che distolse lo sguardo intimorita. Prima che uno dei due chiedesse spiegazioni a proposito, Francoeur spinse entrambi all’interno della proprietà privata, conducendoli nella zona più interna dove, nei pressi di una piccola serra, era stato allestito un palco con orchestra posizionato di fronte ad una serie di sedie di vimini imbottite.
<< Signor Emile, spero che lei abbia un valido motivo per avermi trascinato qui. Non gradisco la “compagnia” di questo posto. >> disse Raoul all’amico, sistemandosi nervosamente il folto ciuffo di capelli.
<< Ti posso assicurare che c’è una ragione… ma tu resta calmo, ti posso spiegare tutto. >> rispose questo agitato.
Francoeur prese il suo block notes e lo mostrò con fierezza, sfogliando le pagine su cui aveva realizzato il complesso piano di riavvicinare Raoul e Lucille, Emile che faceva da interprete per lui, fissando nel frattempo i due ragazzi per scappare ad eventuali reazioni nei suoi confronti.
<< Fantastico…. sto facendo salti di gioia! Ma, mi dispiace, io qui non ci resto! >> si limitò a dire Raoul alla fine, girando i tacchi per andarsene. Francoeur lo afferrò per le spalle e, con forza, lo costrinse a prendere posto in uno dei sedili, insieme a Lucille. Altra gente stava prendendo posto nel frattempo dopo che un distinto signore aveva annunciato l’imminente inizio del concerto, l’orchestra stava accordando gli strumenti per l’ultima volta, i cantanti che si sarebbero esibiti stavano lentamente avvicinandosi.
<< Temo che dovremo assistere allo spettacolo, che ci piaccia o meno. >> commentò Lucille con voce bassa.
<< Spero che finisca il più presto possibile. >> fu la risposta dell’inventore.
Francoeur, per quanto fiducioso della sua idea, sperò che quella riunione di pace non finisse per peggiorare la situazione, riponeva ogni speranza nello spettacolo e nella canzone che, con poca educazione, aveva sbirciato tra gli effetti personali dei cantanti. Ci fu una breve introduzione, la presentazione di chi avrebbe eseguito la performance e infine l’ingresso del maestro d’orchestra… scese il silenzio tra gli spettatori, lievemente le voci dei cantanti cominciarono ad intonare le parole del testo imparato a memoria:
“Chi può trovarmi qualcuno da amare? 
Ogni mattina mia alzo e mi sento morire un po' 
Riesco a malapena a stare in piedi 
Guardo lo specchio e piango 
Signore cosa mi stai facendo? 
Ho passato tutta la mia vita a credere in te 
Ma non riesco a riceverne conforto, Signore! 
Chi può trovarmi qualcuno da amare?” 

Era una vecchia canzone quella che stavano eseguendo, il modo di eseguirla però era diverso. Molte cose, per chi conosceva quella melodia, erano state modificate dall’originale, eppur il risultato non era affatto sgradevole; al contrario, aggiungeva qualcosa in più che la rendeva a dir poco perfetta, enfatizzando meglio il significato delle parole.
“Lavoro duro ogni giorno della mia vita 
Lavoro fino a rompermi le ossa 
Alla fine porto a casa la mia paga guadagnata duramente 
tutto solo 
Mi inginocchio 
E inizio a pregare 
Finchè le lacrime non mi sgorgano dagli occhi 
Signore…
Chi può trovarmi qualcuno da amare?”

Non era nemmeno iniziata la canzone che già, tra le signore, era spuntata qualche lacrima di commozione. L’autore del testo era riuscito, in qualche modo, a racchiudere in quelle parole un tripudio di sentimenti che raccontavano, forse, un’esperienza di vita da lui vissuta, trasformata in preghiera.
“Ogni giorno - cerco e cerco e cerco - 
Ma sembra che tutti vogliano umiliarmi 
Dicono che sto impazzendo 
Dicono che ho il cervello pieno d'acqua 
Dicono che non ho buon senso 
Non mi è rimasto nessuno in cui credere 
Oh Signore 
Chi può trovarmi qualcuno da amare? 
Non ho più sensibilità, non ho ritmo 
Continuo a perdere colpi” 

I cantanti sorridevano durante l’esecuzione, eppure non c’era nulla nel testo che facesse sorridere, pareva che non si rendessero conto di quanta tristezza era descritta. Stranamente però, non si poteva fare a meno che considerarla come uno speciale coro alla lotta per la ricerca della felicità nella propria vita… un incoraggiamento a non arrendersi mai.
“Tutto bene, sono a posto 
Non subirò più sconfitte 
Devo solo uscire da questa cella 
Un giorno sarò libero, Signore!”

 
L’assolo di piano concluse il pezzo, spegnendosi delicatamente.
Quando il silenzio scese fu un fragoroso applauso a scuotere l’aria del giardino, la gente era entusiasta dello spettacolo e cercò di manifestarlo come meglio poteva. Quasi imbarazzati i cantanti accolsero i complimenti, musicisti compresi che si inchinavano all’unisono brandendo i fidi strumenti musicali. Gli unici a non applaudire furono Lucille e Raoul; Emile temette il peggio… ma Francoeur gli rivolse un raggiante sorriso di sicurezza, emettendo un verso che pareva voler dire “va tutto bene”.
L’insetto si alzò e portò via con sé il giornalista, lasciando così da soli i due giovani.
Ora toccava a loro.
 
                                                                                  ****
Poco alla volta la gente cominciò ad allontanarsi, disperdendosi nel giardino a chiacchierare o per semplicemente ammirare i fiori, alcuni camerieri nel frattempo allestivano un piccolo rinfresco con stuzzichini di ogni genere. Qualcuno, prima di andare, aveva richiesto il “bis”, purtroppo c’era un programma da rispettare e i cantanti, nonostante la gentilezza, non poterono acconsentire.
Vicino al palco Lucille in silenzio osservava la piattaforma di legno tanto familiare.
Provava nostalgia in quel momento, ma non per la mancanza di ciò che con la musica o il canto aveva a che fare, bensì per altro: un amore che non c’era.
Ricordi sfumati di abbracci, giochi e felicità si dipinsero nella sua mente con tinte di emozioni a lungo dimenticate, album fotografici scattati dall’anima vennero leggermente rispolverati dopo essere stati abbandonati per anni e anni, stanchi di trattenere nell’oblio importanti momenti.
<< Di solito non mi piace chi reinterpreta vecchie strofe; però questa è stata eseguita perfettamente. >>
Raoul le si avvicinò in quel momento, apparentemente più tranquillo rispetto a prima.
<< è una canzone facile da eseguire. >> si limitò a dire lei.
Tra i due c’era ancora difficile comunicazione, però, al posto del nervosismo, si avvertiva un chiaro… imbarazzo, se tale si poteva definire.
<< Mia madre mi cantava sempre questa canzone quando ero piccola. >>
 
L’inventore sgranò gli occhi di sorpresa: quella era la prima volta che Lucille menzionava sua madre.
 
Solitamente la fanciulla, quando si toccava l’argomento genitori, andava via o rispondeva semplicemente che non era un argomento abbastanza interessante su cui perdere tempo, persino la stessa zia evitava l’argomento. Cominciarono a camminare, inoltrandosi nel fastoso giardino, il profumo dei fiori intenso che creava, nell’insieme, un aroma dolciastro che ricordava lo zucchero filato; Lucille raccontò di come da piccola aveva adorato la sua famiglia, la madre in particolare da cui aveva ereditato la passione per il canto. Non era stata una persona famosa, gli disse che aveva svolto il semplice mestiere di maestra, ma aveva questo particolare dono che condivideva solo con lei in qualunque momento ella aveva bisogno di sentirsi amata.
Lucille adorava sua madre, fin dal primo giorno che era nata aveva sempre nutrito un affetto speciale, non solo perché si trattava di sua madre, bensì perché era stata l’unica a farla sentire protetta… amata… felice.
Di suo padre non aveva alcun ricordo se non quello che era sempre a lavoro, assetandosi a volte per giorni, e dire questo costava molta fatica alla ragazza.
Un atteggiamento che probabilmente qualunque fidanzato avrebbe avuto nei confronti della sua ragazza.
Raoul rimase stupito dalla gioia che Lucille manifestava mentre parlava di sua madre; era di sicuro la prima volta in assoluto che si mostrava così felice. Si era sempre chiesto che cosa le impedisse di essere in quel modo quando si rivolgeva a lui o al resto della gente, l’arroganza con la quale la conosceva ora appariva fuori luogo: capì che era qualcosa di grosso dietro che aveva quasi paura a scoprire.
Smise di parlare, le mani le stavano tremando, in viso era divenuta pallida come un fantasma.
Le porse un fazzoletto per asciugarsi, preoccupato da quello stato, lei delicatamente discostò la sua mano forzando un sorriso che non le riusciva. Era così strano non vederla sicura di sé stessa, appariva incredibilmente impacciata, solitamente incoraggiava a non farsi abbattere alla minima difficoltà.
<< Ho sempre cercato di essere una vincente, quella canzone ha uno strano effetto incoraggiante a mio parere. La mamma l’adorava proprio per questo… >>
<< Tua madre sembra una tipa in gamba. >>
<< O sì, lo era eccome. >>
Uno stormo di rondini fece voltare i due in direzione di una delle magnifiche vedute del promontorio; grazie alla bella giornata, la città francese era visibile in tutto il suo splendore: si scorgevano le abitazioni un po’ più moderne, le ville antiche, le sacre chiese. Gli uccelli che vi volavano sopra trasportando con i loro fluenti voli i delicati petali variopinti che, invece di cadere al suolo, dopo essersi staccati dai boccioli, venivano trascinati alti nel cielo, come a volerlo decorare; altri invece li portarono con il becco nei nidi celati sotto le grondaie delle case, facendo attenzione a non farli cadere nel vuoto.
Un singhiozzo ruppe l’eleganza del momento: dagli occhi verdi della ragazza copiose lacrime scendevano, le labbra strette sotto i denti per essere morse.
<< Tu pensi che io sia una squaldrina…! >>
<< Cosa?! No! Ma che dici?! >>
<< Non mentire! Tutti lo pensano di me! Li vedo che parlano alle mie spalle e dicono a bassa voce quello che pensano di me! >>
<< Bontà divina…! Lucille! Che razza di pensieri ti fai?! Nessuno si è mai permesso di dire cose così volgari sul tuo conto! >>
Quella esplosione di emozioni mise in seria difficoltà Raoul, non sapeva come comportarsi e soprattutto calmare la disperata che cominciò a sfogarsi su dubbi esistenziali, paure e paranoie; non lo faceva nemmeno parlare e temette che potesse svenire da un momento all’altro.
<< E che mi manca mia madre… >> disse infine, dopo un difficile respiro.
 
Con quella confidenza capì tutto, finalmente molte cose erano chiare.
Era quello che aveva reso Lucille la persona che la gente, al locale, conosceva.
 
<< Non ho mai avuto amici perché quando mia madre è scomparsa avevo… avevo paura di venire abbandonata di nuovo… è una sensazione orribile… ti fa vivere l’inferno sulla terra…. >>
Durante la confessione Lucille fu costretta a rivivere il ricordo più traumatico della sua vita, sentiva che era necessario farlo per poter trovare pace con sé stessa e con l’inventore vittima del suo pessimo carattere. Ricordava ancora quante volte si affacciò dalla finestra di casa nella speranza di vedere sua madre tornare a casa, ogni volta però era un giorno in più lontana da lei, rinchiusa in ospedale per una malattia sconosciuta che non si riusciva a guarire. Ogni volta che andava a trovarla vedeva la stanchezza della malattia, durante le visite di sforzava di sorridere per non mostrare il vero volto della situazione, dandole speranza di tornare alla normalità…. e ogni sera, quando era costretta a lasciare l'ospedale senza lei, si sentiva sconfitta.
Pretendeva sua madre di comportarsi normalmente quando erano insieme: le acconciava i capelli, l’aiutava a fare i compiti, a comportarsi come una signorina per bene… tutto con gioia, l’unica cosa che voleva condividere.
Pregò spesso per restare oltre l’orario di visita, ma i dottori erano severi, doveva lasciare l’ospedale secondo le regole.
Sospirava tristemente ogni volta, riluttante uscva dalla stanza, non prima di aver dato un delicato bacio sulla fronte alla mamma, sperando di poterla presto sentir nuovamente cantare.
A causa della malattia Lucille si era trovata solo con la zia, la quale spesso si attardava fino a notte pur di assistere la donna, il padre, nonostante tutto, pretendeva ancora di dar maggiore importanza al lavoro, le uniche volte si era visto era stato solo per accompagnare la moglie in ospedale, e niente più.
Un giorno non riuscì a resistere; di nascosto uscì di casa e andò a trovarla, ormai stanca di vivere senza di lei.
Ma non la trovò.
Non c’era più.
L’incubo era diventato realtà.
Lucille non riusciva a credere che la sua vita fosse oscurata così drasticamente.
La loro felicità era andata perduta.
Lo ricordava bene il momento in cui aveva scoperto l’amara verità, in quella serata maledetta.
Da lì tutto era cambiato, il dolore l’aveva costretta a trasformarsi.
 
Sussultò quando  Raoul le toccò una spalla, il suo sguardo era colmo di pietà e compassione. Non disse nulla, la strinse a sé in un abbraccio, lasciandola sfogare quanto voleva. Da lontano, Emile e Francoeur li osservavano, quest’ultima era in particolar modo fiero di sé stesso per aver raggiunto il suo scopo.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Barlume di speranza ***


Capitolo 7: Barlume di speranza
 
Era un miracolo che Maynott fosse ancora vivo quando, telefonato il collega, non gli raccontò le deduzioni e le prove acquisite.
Era furioso come una bestia lo sconosciuto, la cornetta del telefono vibrava a causa della potente voce che sputava veleno a raffica, l’ultima persona che lo aveva “innervosito” non aveva lasciato nessuna traccia.
<< Non c’era poliziotto che non si è occupato del caso, gli elementi coincidono ad un unico risultato: il Mostro di Parigi sta andando a San Michel. >>
<< QUESTO L’HO CAPITO! ANCORA NON MI È CHIARO PERCHÉ NON TI SEI MOSSO PER FERMARLO! >>
Se il collega la finisse di chiedere costantemente informazioni, volendo sapere ogni cosa, avrebbe potuto spiegarli che stava dietro al mostro e che, sebbene avesse molto vantaggio, lo aveva quasi raggiunto. Tentò più volte di calmarlo, stare lì a discutere non avrebbe accelerato le operazioni, continuava a rinnovare la promessa che lo avrebbe catturato presto e che glielo avrebbe consegnato.
<< Se riesce a mettere piede in quella dannata montagna, io non potrò vendicarmi… E SARAI TU A PAGARNE LE CONSEGUENZE! RICORDATELO MAYNOTT! >>
Maynott sospirò impaurito, comprendeva le ragioni dell’amico, ma non poteva accontentarlo schioccandolo solamente le dita.
<< Sto facendo tutto il possibile, aspetta ancora qualche giorno e questa storia sarà finita. >>
<< LA MIA PAZIENZA HA UN LIMITE!>>
 
Lo sconosciuto chiuse la chiamata sbattendo la cornetta.
Urlava, non riusciva a calmarsi, aveva sperato fino all’ultimo di ricevere buone notizie e invece tutto stava andando a rotoli; aveva commesso un grosso errore sottovalutando quel maledetto, se riusciva a toccare anche solo una briciola di quella terra santa, per lui era finita. Gli venne una folle idea, l’unica che riuscì ad elaborare in quello stato: doveva intervenire lui stesso! Doveva costringere quel dannato a porre fine a quel conflitto!
Gli rodeva troppo, adesso si era davvero stancato.  
Abbandonò i suoi affari, non poteva correre il rischio che qualcos’altro potesse accadere; in quel modo perse lentamente la ragione, calmarlo ora sarebbe stato inutile, una reazione che metteva in pericolo chiunque gli stesse attorno. Nel silenzio della notte parigina, oltre ai i rintocchi di una campana lontana, si udì un suono animalesco che solo i vagabondi senza fissa dimora o i poliziotti di pattuglia ebbero la sfortuna di sentire, raccapricciante come il peggiore dei romanzi horror…., fissavano le ombre chi si allarmava di quel verso, aspettando con timore che comparisse qualcosa.


E intanto l’individuo proseguiva il suo viaggio, ardente di furia
 
                                                                                  ****
Il sonno di Francoeur fu agitato, al risveglio si rese conto di tremare.
Aveva avuto un sacco di incubi, era stanco e triste, tutto il corpo gli faceva male come se avesse compiuto chissà qualche immenso sforzo. La locomotiva del treno fischiò, il movimento era più lento, provò a sbirciare all’esterno ma era troppo buio per avere una vaga idea di dove si trovassero; viaggiare di notte confondeva le idee.
Con cautela scese dal letto troppo piccolo per lui, stiracchiandosi per sgranchirsi le zampe; erano anni che non si coricava in un morbido materasso di piume, staccarsi da esso, nonostante le dimensioni, fu davvero difficile…. il timore di rivivere gli incubi, però, lo desistette dalla tentazione: quando ci pensava il suo cuore subiva una specie fitta.
Non c’era nulla lì, eppure avvertiva una gelida presenza… come se una vecchia conoscenza fosse costantemente nei paragi per tormentarlo… si strinse la coperta addosso per riscaldarsi un poco, ma soprattutto per proteggersi dal pericolo che non vedeva.
Il treno ad un certo punto si fermò, probabilmente dovevano fare rifornimento o qualcosa di simile, ora che il frastuono delle ruote era cessato poteva sentire russare dalle stanze accanto gli altri occupanti: stavano dormendo tranquillamente a differenza di lui, pensò a Lucille e Raoul, chiedendosi come stavano, ormai se ne stavano per i fatti loro da qualche tempo, più di quanto avesse progettato per lasciarli da soli a perdonarsi a vicenda dei propri errori.
La sera precedente, prima di andare a dormire, li aveva sentiti chiacchierare nella stanza di lei con molta tranquillità e soprattutto allegria,.
Francoeur non potè non emozionarsi a quello che era successo tra i due, non aveva avuto dubbi quando aveva pensato che insieme formassero una bella coppia, c’era stato solo bisogno di un piccolo aiuto per far nascere quel sentimento che così bello e innocente, e lui era fiero di aver potuto contribuire alla causa.
 
Il treno riprese a muoversi, dall’esterno si udirono delle voci. La luce di una delle lanterne dei ferrovieri si riflettè sul finestrino, permettendo così alla sua immagine di riflettersi sul vetro sbiadito.
Quando si vide fece ritorno frettolosamente ritorno nella sua cabina, chiudendo a chiave la porta, a volte dimenticava come era fatto e finiva per spaventarsi da solo, tremando come una foglia.
Sospirò, era stanco di nascondersi, troppi erano gli anni passati a celarsi dal mondo intero, costretto da quell’apparenza mostruosa che gli era stata data con la forza da chi aveva considerato una volta un amico. Gli mancava la sua vecchia vita, anche se i suoi nuovi amici sarebbero riusciti a portarlo a casa, sarebbe stato impossibile recuperare gli anni persi…
Casa.
Quanto suonava splendida quella parola.
Incantevole quanto una canzone intera.
 
In quel momento dalla finestra entrò una piccola farfalla, l’insetto si adagiò stanco muovendo debolmente le ali che parevano vibrar per lo sforzo compiuto dopo essere riuscito ad entrare nella cabina del treno che adesso andava veloce.
Sorrise Francoeur, ammirando la forza che una creatura così piccola poteva sprigionare, la prese nelle sue zampe per poi adagiarla sul cuscino, lui si accoccolò come un cucciolo lì di lato tentato a riaddormentarsi. Il semplice movimento della farfalla era rilassante, tutti i dubbi e le incertezze che aveva parvero scomparire, scacciati via dal bianco neve delle ali. Diede un’ultima fugace occhiata dal finestrino, poi, con il sorriso sulle labbra, si riaddormentò, pensando all’imminente arrivo a casa.
                                                                                  ****
<< Signori, oltrepassata questa città, saremo finalmente giunti a Mont Saint Michel. >>
L’annuncio del Professor Amber sprigionò una gioia indescrivibile, in particolar modo per Francoeur.
Dopo un lungo viaggio in treno, varie soste, e alcuni spostamenti in carrozza, Beauvoir era l’ultimo borgo che precedeva l’arrivo alla meta tanto agognata, distava alcuni chilometri oramai, si doveva procedere sempre dritto verso l’orizzonte che al mare aperto conduceva. Si provò a scorgerla anche se era ovviamente impossibile, l’annuncio aveva scatenato una sorta di incontrollabile entusiasmo, significava il compimento di un’importante missione… ma soprattutto la fine di una lunga storia.
Era strano ora che ci pensavano, avevano fatto tutto per una creatura che la gente considerava un mostro.
<< Pronto a tornare a casa amico? >> chiese Emile all’insetto.
Lui rispose con un sorriso molto allegro, stringendosi le mani per controllare la propria felicità, si sentiva con una voglia irrefrenabile di saltare sotto e sopra per poter meglio manifestare quanto la notizia era importante per lui.
<< Dalla faccia si direbbe di si. >> commentò Raoul.
<< Mi fa piacere apprende che ci libereremo presto di questa grossa seccatura. >> disse Lucille con serietà.
Francoeur si sentiva un poco in colpa, arrivati a quel punto si sentiva come costretto a dover abbandonare suoi amici e non voleva questo di certo, il cuore si spezzò pensando a quando il momento della separazione sarebbe giunto. Finalmente era riuscito a ritrovare la felicità, e non aveva intenzione di perderla di nuovo…. c’era la paura costante che questo potesse accadere, il timore che rischiasse di tornare preda di colui che nemmeno voleva nominare lo agitava.
Se “lui” non fosse mai apparso, quell’angoscia non sarebbe mai nata.
Francoeur scosse forte la testa, non doveva permettergli di prevalere su di lui.
<< Domani? Perché non oggi? >>
La sorpresa nella voce del giornalista distolse l’insetto da quei pensieri.
<< Il Monte Saint Michel è a ridosso del mare, in certi periodi l’unica strada per accedervi viene sommersa dalla marea. Proprio adesso è inaccessibile, perciò sarebbe inutile recarci lì adesso, troveremo solo acqua ad accoglierci. >>
Sussultò la pulce, aveva dimenticato quel dettaglio, come molte cose della sua vita passata, la solitudine aveva minato oltre allo spirito anche i suoi ricordi. Timidamente Lucille afferrò la sua mano, era la prima volta che la fanciulla entrava in contatto con lui, fino a quel momento non aveva nemmeno provato poiché il fatto che fosse un insetto la disgustava.
<< Dovresti riposare, domani ci sarà un gran lavoro da fare e tu più di tutti dovrai rimboccarti le maniche. >> disse lei con un’espressione più gentile del solito.
La voglia di vivere di Francoeur tornò a galla, scoppiettante come un petardo di capodanno.
Tutti erano felici di rivederlo così positivo, il sorriso che mostrò in quel momento cancellò l’oscurità che li aveva oppressi all’inizio di quella storia iniziata all’improvviso, dissolvendosi grazie al buon umore ritrovato. Francoeur, per poter manifestare la sua felicità, costrinse Lucille a danzare con lui a lungo ignorando le proteste di questa che diceva di voler essere lasciata in pace.
 
Per festeggiare si organizzò una specie di festa all’ultimo alloggio del viaggio.
Cibo, bevande e musica si susseguirono tutta la sera, non c’era voglia di riposare prima dell’ultimo viaggio, si doveva manifestare fino all’ultima briciola la contentezza, altrimenti non sarebbe stato giusto dopo tutto ciò che avevano fatto.  
<< un - deux – troi… un - deux – troi... Forza Francois, non essere così rigido! Sei un ballerino, non un manico di scopa! >>
<< Piantala sciocco, lo sai che non può ballare! >>
Lucille rimase in disparte ad ammirare gli amici che festeggiavano con scherzi vari l’insetto, divertita soprattutto da quanto impegno Raoul ci metteva per mantenere un costante sorriso su quella creatura. Solo quando la coppia di ballerini fece un caschè si resero conto che lei lo stava osservando, diventando rosso per l’imbarazzo: nessuno dei due riusciva ancora a credere al genere di differenti sentimenti che avevano iniziato a provare l’uno per l’altro, non si vedevano più come prima, si erano trasformati, non erano gli stessi individui che si conoscevano da quando erano bambini.
<< Complimenti messieurs, le vostri doti mi hanno lasciata davvero senza parole. >> disse la ragazza sorridendo.
<< Che c’è di strano? Te l’avevo detto che oltre a essere un brillante inventore, sono anche un bravissimo ballerino. >> disse spavaldo Raoul.
<< Ora capisco il perché dell’ispirazione di quella macchina per la danza, ma non potevi dire semplicemente che eri capace di ballare? >>
<< Ecco… diciamo che tra gli uomini al club non c’è l’abitudine di vantarsi delle proprie abilità di ballerini. Temevo di apparire ridicolo. >>
Lucille si avvicinò a Raoul con un atteggiamento particolare, gli prese entrambe le mani stringendole delicatamente per posarle una sulla spalla e l’altra sul fianco, facendo sì che lui diventasse ancora più rosso.
<< Allora controlliamo se davvero sei così bravo. >>
Il grammofono lì accanto fece ripartire la musica, la coppia cominciò a ballare subito dalle prime note, lui senza distogliere lo sguardo dai suoi piedi per paura di inciampare o di calpestare quelli della ragazza, lei invece tranquilla e divertita perché di esperienza e sicurezza ne aveva molta in quel campo. Tra un passo e l’altro quei passi inizialmente meccanici acquistarono eleganza, tenendo il ritmo in perfetta sincronia: i ballerini avevano trovato l’equilibrio perfetto, iniziando a divertirsi.
Erano felici, è quella felicità per loro era più preziosa di tutto l’oro del mondo.
Senza che se ne rendessero conto vennero lasciati soli, poco alla volta gli altri approfittarono della distrazione della danza per lasciarli in reciproca compagnia.
Non fu un dispiacere per loro, ne approfittarono per poter restare per conto proprio, uscendo dalla taverna.
Passeggiarono spensierati nel piccolo borgo, circondati dal verde degli alberi e dei prati che di notte poco si notava; a Raoul piaceva stare in un luogo come quello insieme a colei che stava cominciando a voler bene in un modo che andava oltre l’amicizia, si sentiva davvero bene. 
<< Mi piace questo posto, mi ci potrei trasferire. >>
<< E lasceresti il caos di Parigi? Non ti ci vedo in un luogo così noioso.>>
<< Mio nonno abitava in un posto ancora più tranquillo di questo, e non era affatto male. Aveva un bel panorama che oserei definire perfetto... Come te. >>
Lucille arrossì al complimento, stringendosi forte al braccio del suo accompagnatore che, come per magia, fece apparire una piccola rosa che le offrì come gentile omaggio. Lei lo accettò con piacere, annusandone il delicato profumo che proveniva dai petali rosso cremisi.
<< Monsieur, lei mi mette in imbarazzo con tutte queste attenzioni. >>
<< Nessuna attenzione è mai troppa per lei madame. Le offrirei anche il mondo se potessi, con tutte le meraviglie che esso può offrire e che solo in pochi possono godere. >>
<< Che sorpresa, non sapevo che fosse anche un poeta. Dovrò farmi scrivere qualche cosa. >>
<< Le prometto che non appena avrò carta e penna realizzerò solo per lei tutte le rime che desidera. >>
<< Tutte quelle che voglio? >>
<< Tutte quelle che vuole. >>
Raoul fece per avvicinarsi al viso di Lucille, accarezzandole delicatamente le guancie e ammirando il luccichio dei suoi occhi smeraldini; intuendo le sue intenzioni lei lo spinse via e ridacchiò imbarazzata, arricciandosi alcune ciocche di capelli. Nonostante si fosse molto avvicinata al ragazzo, Lucille era confusa: si era resa conto che lui non era strampalato e stupido come sempre aveva creduto, si era rivelato sensibile e colto, divertente e responsabile al tempo stesso, elementi che lo rendevano interessante. Era proprio quello il problema: non sapeva fino a che punto era “interessante”.
Gli voleva bene, di questo era certa… e proprio quel volere bene la spaventava oltre che renderla felice; temeva di poter rimanere delusa se quella cosa fosse proseguita in un modo che poi le avrebbe potuto spezzare il cuore, aveva bisogno di altro tempo per capire cosa il suo cuore provava davvero.
<< Ehm… direi che è ora di tornare indietro. Si è fatto davvero tardi. >> disse Raoul, rendendosi conto di essere andato troppo veloce.
La cantate annuì in silenzio, avviandosi in sua compagnia alla locanda.
 
In cuor suo sperava di poter sciogliere il gelo, che lei stessa si era formata in tanti anni, in modo tale che potesse provare serenità.
Qualcuno però era deliziato dalle sue incertezze e sarebbe stato ben contento di confonderle ulteriormente le idee.
 
                                                                                  ****
Un tiepido raggio di sole svegliò Lucille.
La ragazza si stiracchiò nel letto morbido come una piuma, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.
Il gran giorno era arrivato finalmente, poche ore e Mont Saint Michele sarebbe comparso, Francoeur avrebbe dato l’opportunità a loro di dar spiegazione del perché del suo desiderio di voler raggiungere un posto tanto remoto. A volte credeva di aver capito la ragione, le contraddizioni però annullavano queste idee e l’ignoranza riprendeva foga, l’immaginazione che tornava a lavorare freneticamente.
Si pettinò, si vestì e si truccò, nello specchio vedeva un riflesso diverso dal solito a cui era abituata, non seppe dire perché, ma non era una cosa da intendersi negativamente, al contrario, apprezzava quei dettagli che non riusciva a cogliere. Pensò che fosse merito del parlare con Raoul, si sentiva molto rilassata nel poter condividere con lui dubbi e pensieri celati per tanto tempo; si era resa conto che non l’aveva ringraziato per questa sua disponibilità e voleva assolutamente rimediarvi. Bussando alla porta della sua stanza non ottenne risposta, aprendola con richiami senza risposta la trovò vuota: ordinata, pulita di recente, i bagagli riposti con cura in un angolo e alcuni appunti delle sue invenzioni sull’unico tavolino.
Fu sorpresa della sua mancanza, dalla loro vicinanza non aveva mai mancato ad avvisarle un qualsiasi allontanamento, ipotizzò che la sua tipica distrazione fosse il vero colpevole…. ma non potè fare a meno di guardarsi intorno per cercarlo e domandarsi tante cose: Dov’era finito? Perché non l’aveva svegliata?
Uscì dalla stanza chiamandolo a gran voce, chiese ai proprietari se lo avevano visto e anche al Professor Amber in persona, ottenne solo informazioni frammentarie che vedevano l’inventore impegnato in diverse attività o insieme a diverse persone. A dargli una concreta indicazione fu un bambino: disse di averlo visto in compagnia di un signore alto, ovviamente Francoeur, che insieme si dirigevano verso la campagna.
 
Non c’era motivo quindi di preoccuparsi, una sensazione strana, però, costrinse la ragazza a ripercorrere i passi dei due.
 
La ricerca la portò lontano dalla cittadina, la giornata era leggermente nuvolosa e vento caldo spirava quel giorno; anatre selvatiche formavano grandi stormi nel cielo mentre si dirigevano in lidi migliori, qualche abbaiare di cani poteva essere udito in mezzo al coro di grilli e altri insetti. Apparentemente non pareva esserci nulla nel paesaggio che potesse motivare l’allontanamento, se non per una semplice passeggiata; fu allora che apparve in lontananza una casa abbandonata… anzi, una villa per le dimensioni e i tratti preziosi che si scorgevano in quel poco di struttura rimasto in piedi, forse appartenuta a qualche ricca famiglia ormai decaduta.
Il cancello che doveva tener fuori gli intrusi era aperto, impronte di piedi erano impresse per terra, dirette verso l’ingresso anch’esso aperto.
<< Accidenti a quello stupido, con la sua curiosità finirà per farsi male. >> disse sbuffando la cantante.
All’interno del rudere non c’era nulla se non polvere, mobili marci, ragni e parassiti di ogni sorta. anche se spoglio il salone d’ingresso colpiva per la sua maestosità: il soffitto a cassettoni attraverso il quale, nei punti in cui era crollato, il sole sbiadito entrava; il pavimento di marmo era rimasto integro con le sue piastrelle nere e grigie; davanti all’ingresso una rampa di scale malandata collegava il piano terra con quello superiore.
Non c’erano impronte lì, Lucille si dovette affidare all’istinto per trovare Raoul e Francoeur.
Li chiamò insistentemente, esplorando prima le due sole sale lì vicine; con molto coraggio poi si avviò al primo piano, risalendo con cautela gli scalini che cigolavano rumorosamente, a parte le camere da letto ancora intatte e alcune stanze vuote l’unica cosa che trovò fu una nidiata di topi grossi quanto i suoi piedi.
<< Argh! Ok! Ne ho abbastanza! Me ne vado! >> disse nauseata.
Si ripulì i vestiti e sbuffando si diresse verso l’uscita, la veste leggermente sollevata per non inciamparvi. Quando giunse alla scalinata però si fermò, udendo delle voci: si affacciò dalla balaustra per curiosare di sotto, c’erano delle ombre che la luce di una finestra proiettava, un eco di passi veloci che accompagnarono la comparsa di Raoul.
Stava per chiamarlo Lucille quando una sedia gli venne catapultata addosso.
Fu colpito in piena schiena, per il dolore non fu in grado di alzarsi, costretto a restarsene sdraiato sul pavimento digrignando i denti con imprecazioni; il rumore di passi non era cessato, qualcun altro si stava avvicinando ma con più calma, l’ombra distorta che lo copriva.
<< Sei più furbo di quanto pensassi, non dovevo sottovalutarti. >>
La voce parlante non diede familiarità, la cantante non riusciva ad immaginare a chi potesse appartenere… perciò fu traumatica la scoperta del suo “possessore”.
<< Perché fai questo?! >> urlò Raoul, tentando di allontanarsi strisciando nientemeno che da Francoeur.
<< Perché ho degli affari personali da condurre, e tu mi sei d’intralcio. >> disse l’insetto con freddezza.
Era diverso in tutto: il suo modo di camminare, di muoversi, di interagire… se non lo stesse vedendo con i propri occhi non ci avrebbe mai creduto, eppure era lì, ad atteggiarsi come una specie di boss mafioso… ben differente dalla mite apparenza che avevano fino ad allora mostrato.
Si era trattata di una finta… aveva ingannato tutti quanti con perfetta teatralità.
Raoul stava per dirgli qualcosa ma non fece in tempo perché Francoeur lo prese per il bavero della giacca e lo trascinò dall’altro capo della stanza, dove il soffitto era leggermente in pendenza verso il basso; lo buttò la sotto bloccandogli le gambe con una corda assai robusta che “ancorò” ad un mobile semirotto… poi si avviò all’unica trave che sorreggeva la parte cadente… prese una mazza nascosta lì vicino e la sollevò con poca fatica fino al petto.
<< è stato breve ma intenso, ti auguro un buon viaggio all’altro mondo. Oh, e non ti preoccupare per i tuoi degni compari, gli farò fare la stessa fine. >>
 
Bastò un colpo per far cedere il sostegno.
Il tetto crollò rovinosamente su Raoul, schiacciandolo.
Il rombo del legno fu assordante, il corpo dell’inventore sparì in un attimo, Lucille si premette la bocca per non urlare disperata.
Fu assurdo e incredulo, il suo cuore andò in pezzi allo stesso modo in cui la struttura era caduta, e faceva male… terribilmente.
 
Sentendosi osservato l’insetto si guardò intorno prima di andar via, a fatica si trattenne la giovane per non emettere alcun suono ed essere scoperta, i suoi occhi bruciavano per le lacrime che non poteva frenare così come il tremar convulso del proprio corpo. Ancora non capiva cosa era accaduto e se davvero aveva assistito all’omicidio, era confusa e spaventata, tutto il mondo avverso nei suoi confronti.
Ebbe l’impressione di poter sentire la voce di Raoul… ma era solo un’illusione… lui era morto proprio davanti a lei… la sua voce che le diceva “Ti voglio bene”. 
Solo quando l’assassino andò via potè sfogare il proprio male di vivere, disperata di aver perduto una persona che aveva capito di amare sul serio.
Di nuovo era sola… aveva perso di nuovo una persona a lei cara… ma stavolta avrebbe reagito e avrebbe fatto pagare a quel mostro tutto il tradimento fatto.
 
                                                                                  ****
Il Professore Amber erano impensieriti dall’assenza di Raoul, Lucille e Francoeur.
Poca della calma tornò quando il grosso insetto apparve con il suo solito mite sorriso, per Lucille sarebbe stata un quasi completo rilassamento se non fosse stata in compagnia del Prefetto Maynott. Voleva il caso che l’uomo fosse da quelle parti per questioni di lavoro, la cantante non appena l’aveva visto aveva raccontato l’intera esperienza vissuta e della fine che aveva fatto fare a Raoul, senza tralasciare nemmeno il minimo particolare.
Insieme ai suoi uomini catturarono Francoeur prima che potesse scappare, la gente intorno che osservava la scena a debita distanza, Amber che cercava di impedire l’atto.
<< Professore, capisco la vostra confusione, ma mi creda, questo criminale è pericoloso. La signorina Lucille può confermare. >>
<< Ma non è possibile. Io sono stato assicurato che era…! >>
<< Anche la signorina pensava la stessa cosa, e mi creda quando le dico che è più rammaricata di lei. >>
<< Io… non so cosa dire. >>
Se il professore era confuso, Emile addirittura era scioccato.
Di nascosto stava osservando lo svolgersi degli eventi: aveva fatto in tempo a fermarsi quando aveva visto comparire Maynott, incrociando il suo sguardo la ferita provocatagli con un proiettile riprese a bruciare, ti strinse il petto per sforzarsi di non svenire dalla paura che quell’individuo gli infondeva dopo aver provato ad ucciderlo.
Ma Lucille?
Perché li aveva traditi?
Non poteva crederci, parevano quasi un insulto, una vera e propria offesa.
Da lontano la osservo stare in disparte, rassicurata da una equipe medica, nei suoi occhi poteva scorgere il fuoco di una smisurata collera, il suo sorriso luminoso era spento, si era trasformata in una persona… disperata, e Francoeur che cercava aiuto con lo sguardo mentre veniva caricato sul cellulare della polizia.
Si sentiva davvero male per lui, ma non poteva far niente per aiutarlo; gli diceva l’istinto di aspettare che le acque si calmassero prima di far qualcosa.
Ma dov’era finito Raoul?
C’era bisogno di lui!
<< Madame, le prometto che quel mostro avrà il castigo che si merita. Le chiedo però di aiutarmi un’ultima per aiutarmi a far luce su questa vicenda, così saprò come dar giustizia all’amico che ha perso. >> La voce di Maynott era profonda e sdolcinata, la ragazza gli sorrideva, dimostrando di sentirsi sicura con quelle sue parole.
<< Ha bisogno di qualche cosa in particolare? >>
<< Ho solo bisogno di superare la cosa, tutto qui. >>
<< Vederla così mi sconvolge, perché il suo splendido volto è offuscato dalla tristezza e non voglio che questo accada. Quindi d’ora in avanti mi impegno solennemente a proteggerla a costo della mia vita. Voglio renderla felice mon cher, farò qualsiasi cosa per riuscirci >>
Lucille non riuscì a rispondere a quella promessa, annuì solamente, lasciandosi convincere da parole che avevano in sé tutt’altro che amore e devozione.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Miraggi ***


Capitolo 8: Miraggi
 
Lucille era chiusa nel proprio dolore.
Nonostante Maynotte le offrisse ogni cosa di pregiata fattura, lei non si lasciava tranquillizzare da nulla.
Fiori, gioielli, vestiti costosi… non badò a spese l’uomo per ingraziarsi la bella fanciulla, aveva addirittura affittato una casa intera dove avrebbe potuto soggiornare finchè non si fosse ripresa, rifornendola di ogni sorta di comodità e una servitù eccellente che acconsentiva ad ogni desiderio. Ma lei non sapeva che farsene.
L’unica cosa che le teneva compagnia era un grammofono datato, il disco che girava era rovinato e ogni tanto la punta saltava, distorcendo le canzoni incise sopra graffianti come il soffiare di un gatto alterato. Maynott entrò nella stanza tenendo in mano un mazzo di fiori di campo che offrì alla fanciulla in cambio di notizie sul suo stato, notando la stanchezza del visto scavato e le occhiaie scure si sedette accanto a lei, tutto in un falso atteggiamento di compassione. Lucille gli diede retta solo quando si rese conto che la musica era finita, aprì e chiuse gli occhi per focalizzare bene, salutando con voce rauca.
<< Madame, lei si sta distruggendo. >>
<< Lo so… ma è così difficile… il senso di colpa mi uccide… avrei potuto impedire la morte di Raoul… >>
<< L’unico che dovrebbe provar colpa è quel mostro. Lei è una vittima innocente, come tutti coloro che si sono lasciati incantare dalla sua falsa bontà. >>
<< Io lo sapevo questo… lo sentivo che non c’era fidarsi… ma non sono stata abbastanza testarda da perseguire la mia idea… >>
Maynott prese delicatamente le mani della ragazza e gliele accarezzò, usò molte parole gentili e confortanti in modo da poter apparire come una persona dal cuore d’oro, la ragazza ovviamente lo ascoltò senza dubitare che dietro ci fosse qualcosa. Ormai tutta la sua fiducia era riversa sull’uomo, negli altri non vedeva che tradimento e abbandono….
 
Ho aspettato tutta la vita 
Che tu portassi una favola sul mio cammino 
Ho vissuto in una fantasia senza senso 
Non va bene, non mi sento sicuro 
Ho bisogno di pregare.
 
Si alzò di scatto quando udì la voce misteriosa.
Non osava giurarci… ma era sicura che fosse il canto fosse stato generato da qualcun altro che si trovava accanto a lei nella stanza. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva udito quel canto, la prima e apparentemente unica volta era stato solo in un sogno… ma in quel momento era sveglia, lucida nonostante la tragedia vissuta. Guardandosi intorno con incredulità si massaggiò le tempie cercando di focalizzare la cosa, incapace di capire se fosse stata solo un’impressione.
<< Madame, sta bene? >> le chiese Maynott perplesso.
<< Io… credo di aver sentito qualcosa… >> rispose lei insicura.
<< Non ho udito nulla. >>
Lucille non seppe cosa dire, si rimise a sedere e si coprì il volto, la testa che diventava pesante per lo stress che stava tornando a galla prepotentemente… tremava, aveva il cuore il gola e si sentiva persino svenire…. Maynott la convinse a sdraiarsi sul letto e a chiamare un dottore per visitarla.
<< Le chiedo scusa, non voglio rubarle tempo prezioso >>
<< Mai tempo fu speso bene con lei. >>
Uscì dalla stanza l’uomo e chiuse la porta alle sue spalle, la sua espressione era seccata, molto… aveva sentito chiaramente quel che la ragazza aveva udito e la cosa non gli era piaciuta.
Si impose di non correre alla stazione di polizia e picchiare a sangue il mostro per sapere che razza di trucco aveva usato, non doveva farsi prendere dal nervoso, tutto stava andando secondo i piani e ormai la sua vittoria finale era vicina, doveva solo aspettare un giorno, niente di più, e poi avrebbe potuto considerare la sua vita perfetta definitamente. Si sistemò i baffi e i capelli, si sforzò di sorridere e andò a chiamare il medico, convincendosi che non aveva nulla da temere… e si augurava proprio che fosse così.
 
                                                                                  ****
Il pomeriggio il Prefetto fu capace di trascinar fuori casa la cantante, era bravo quando si trattava di convincere la gente a far quel che lui voleva.
E con Lucille era solo all’inizio di quello che lui voleva che si facesse.
La teneva al suo braccio come un cavaliere di altri tempi, lei si lasciava guidare perché avvertiva una gran sicurezza in lui, ogni suo particolare la lasciava incantata al suo cospetto e ormai non vedeva nient’altro. Lo ringraziò per averla aiutata ad uscire, ormai agire da sola era un privilegio che sentiva non appartenerle più, si guardava intorno temendo di venire aggredita… e al tempo stesso speranzosa per vedere un volto che le mancava tanto.  
Le gentilezze di Maynott confondevano Lucille, la sua disponibilità era davvero grande e lei quasi si vergognava ad approfittarne così tanto, avevo però bisogno di tante attenzioni dopo quello che era successo. Arrivò a proporle iniziative variopinte, ogni genere di interessante attività che andava dall’arte alla moda, tutte presenti in quella piccola città appositamente per lei.
<< è molto cortese da parte sua, ma non so se adesso ci sia qualcosa di cui abbia bisogno. >>
<< Esprima un desiderio. >>
Ci pensò su la ragazza, di cose che voleva avere e fare c’è n’erano tante, si guardò intorno e i suoi occhi furono catalizzati da un elemento che mai l’avrebbe stancata: un negozio di vestiti. Timidamente entrò nella struttura e subito fu accolta da signore agghindate con merletti e seta, senza chiedere subito misero in mostra i loro pezzi più pregiati insistendo di provarli in quanto ben abbinati al suo bel viso, colori e tessuti perfetti in ogni dettaglio.
<<  Io non credo di meritare tutto questo. >> disse lei confusa.
<< Invece si, più di quanto immagina, e questo perché ho una sorpresa per lei. >>
Dal retrobottega una folla di persone fece irruzione: tutti i conoscenti di Lucille erano lì… parenti e colleghi di lavoro… insieme per ridarle il benvenuto dopo la lontananza forzata. Fu soprattutto la zia Carlotta il viso più bello da vedere, la voce da ascoltare e il corpo da abbracciare, era bella allo stesso modo in cui l’aveva vista l’ultima volta prima di sparire da Parigi, la collana di perle e i capelli biondo luminosi.
 
Stava tornando tutto.
La gioia della vita che era stata costretta ad abbandonare.
Tutto quello che amava era lì davanti a lei, lo stava riottenendo finalmente com’era giusto che fosse.
Non avrebbe dovuto più fingere, non avrebbe dovuto più fare cose che non le piacevano, non avrebbe dovuto privarsi di quello che la rendeva viva.
Tutti erano lì per servirla, lei chiedeva e gli altri gliela fornivano all’istante, e Maynott l’aiutava ad ottenere tutto ciò che voleva: nessuno gli mise limiti, nessuno provò a dirle che qualcosa non si doveva fare, era di nuovo la regina del mondo.
<< Prefetto! Tutto ciò è meraviglioso! Non avrei mai potuto desiderare qualcosa di meglio! >> disse la ragazza entusiasta.
<< Mi chiami solo Maynott, mia cara. E questo è solo l’inizio per farla tornare alla sua vecchia vita. >>
Ci credeva davvero Lucille, l’idea di riprendere le vecchie abitudini la facevano sorridere.
 
Lasciato spezzato, vuoto, disperato 
Vorrei respirare ma non trovo l'aria 
Pensavo tu fossi mandata dal cielo 
ma tra noi non c'è mai stato amore 
Avrei molto di più da dire 
Aiutami a trovare il modo….

 
Il mondo per un attimo sfumò.
Si dovette sorreggere alla zia per non rischiare di cadere, ebbe l’impressione di dissolversi come neve in primavera, la musica del suo cuore che rallentava… la felicità del momento che scemava brutalmente come un ricordo lontano.
Si preoccuparono gli altri vedendola, lei si giustificò dicendo che era solo la troppa felicità e che poteva comunque continuarla a provarla senza esagerare.
Come avrebbe potuto dopotutto?
La normalità stava tornando, non poteva fermarsi proprio ora.
E così fece; per tutto il giorno non fece altro che godersi le gioie private, cominciando a dimenticare i momenti brutti trascorsi: andò in giro per negozi, frequentò la gente di alto rango del luogo, si fece coccolare e viziare nei circoli privati… se capitava che apparisse qualcosa che le ricordava il lungo viaggio lei subito voltava lo sguardo da un’altra parte, in modo tale da ignorarlo e prepotentemente cacciar via i pensieri negativi legati con esso.
Il suo scopo era andar avanti, ritornare alla vecchia vita a qualunque costo!
Ma, inconsapevolmente, più insisteva ad andare avanti così e più continuava a cadere nell’oscurità… le lacrime che versava, credendo fossero colme di gioia, erano in realtà un segnale di disperazione non ascoltato.
Come quella canzone che nonostante il continuo cantare si ostinò ad ignorare.
 
                                                                                  ****
E la sera giunse alfine, il bagliore del sole si fece sempre più opaco, al contrario, nella villa di Maynott era un tripudio di luci.
Con sorprendente velocità aveva organizzato una lussuosa festa dedicata alla cantante, in ogni angolo della casa risuonava musica pregiata e cibi fatti di costosi ingredienti deliziavano il palato dei numerosi ospiti invitati per l’occasione; c’era persino la stampa a documentare il momento.
Lucille stava dando sfoggio della sua bellezza: le era stato donato un elegantissimo vestito di raso rosso con frange e merletti, perle e oro sui gioielli che catalizzavano l’attenzione di tutti, in particolar modo degli uomini… soprattutto di Maynott. Il Prefetto si era guadagnato totalmente la fiducia della ragazza, fu suo cavaliere per tutta la sera e in particolar modo principale interlocutore delle conversazioni; Lucille non ebbe noia delle sue maniere o della sua parlata, era totalmente ipnotizzata da lui, e non vedeva l’ora di tornare a Parigi al suo fianco.
<< Madame Lucille, con quale rapidità lei sia riuscita a riprendersi mi lascia senza parole. è una vera forza della natura. >>
<< La smetta di adularmi così tanto, le altre signore potrebbero ingelosirsi. >>
<< Si ingelosiscano pure, perché ho intenzione di continuare in questo modo per tutta la sera. >>
Era chiaro ormai che Maynott aveva interessi particolari nei confronti della cantate a cui, notata la cosa, non dispiaceva affatto: era l’uomo più importante di Parigi, comandava il dipartimento di polizia e aveva il controllo della politica cittadina, farselo sfuggire sarebbe stato un errore assai grave.
Quando uscirono dalla villa in festa, in disparte dagli altri invitanti, il suo cuore si fece prendere dall’emozione.
<< Stasera è radiosa. Con lei pare che il sole non sia mai tramontato. >>
<< Come potrei non esserlo con tutta la felicità che mi circonda? è poi… è solo merito suo se sono così adesso. >>
<< Il cuore mi si riempie di contentezza mia cara, un simile sentimento non lo avevo mai provato, nemmeno con le soddisfazioni che spesso il mio lavoro mi da. Quindi per tale ragione… speravo che lei potesse rimanere sempre al mio fianco per continuare a darmi questa emozione. >>
<< La devo considerare una proposta? >>
<< Se mi risponde di sì lo saprà. >>
Non riusciva a crederci Lucille, pareva il lieto fine di quelle tante favole che la zia le aveva raccontato quando era bambina, si sentiva proprio una principessa e presto sarebbe diventata addirittura una specie di regina.
 
Stava per dare il suo consenso…
…Ma non appena toccò le mani del Prefetto si rese conto che erano gelide.
 
Una cosa così banale non doveva avere importanza… ma potè non preoccuparsi: la mancanza di calore nelle mani dell’uomo che si stava dichiarando di fronte a lei le faceva pensare che esso era legato a quel che davvero provava.
Ossia freddezza.
Fu allora che pensò a qualcuno dalle calde mani che quando le aveva accarezzato il viso l’aveva fatta sentire al settimo cielo, una persona che le aveva fatto desiderare di non perderla e da cui si era lasciata coccolare.
Qualcuno che le voleva davvero bene, un uomo su dubbi e pregiudizi erano scomparsi grazie alla sua forte volontà, e per il quale avrebbe fatto qualsiasi cosa senza chiedere nulla in cambio.
 
Perchè hai giocato con me come fossi un gioco? 
C'era sempre qualcun'altro da incolpare 
Piccolo uomo negligente e impotente 
Un giorno forse capirai 
Non c'è molto altro da dire 
Ma spero troverai un modo.
Di nuovo la canzone.
Stavolta le diede ascolto e si accorse che cercava di dire qualcosa.
Si congedò frettolosamente da Maynott e vagò per la casa cercando la fonte di quella anomalia di cui non aveva più paura, sentiva di doverlo fare al più presto e con fretta necessaria.
Chi provava a fermarla lo mandava via, non aveva voglia di parlare con nessuno e soprattutto di perdere tempo in futili discorsi; Maynott la raggiunse e le si parò davanti provando a recuperare l’attenzione su di sé, arrivando a proporle nuove cose.
<< Lei ritiene poco importante la possibilità di diventare una celebrità della musica? Vede mia cara, io ho un amico che è sempre in cerca di nuovi talenti da far esibire nei migliori teatri del mondo. >>
<< Tutto ciò è interessante, ma al momento non ha alcuna importanza. >>
<< Suvvia madame, è ciò che ha sempre sognato. >>
<< Le prometto che ci penserò, ma solo dopo che avrò sbrigato una questione. >>
<< Oh signorina, qui mi ha frainteso: questa proposta la deve accettare adesso o se ne pentirà. Se non lo fa, potrei ritirare la precedente proposta che le ho offerto. >>
Lucille non riusciva a credere alle proprie orecchie: quell’uomo si stava comportando come un bambino.
Cosa diavolo gli stava prendendo?
Si rese conto che di colpo tutti si erano ammutoliti e li stavano fissando, attonita si sentì  pervadere da una sensazione di angoscia.
<< Si vede che è ancora un po’ sottopressione, sarà meglio che vada a riposare. Ci rifaremo domani con nuove interessanti sorprese per lei. >>
<< Io sto bene. Vorrei solo essere lasciata un attimo in pace. >>
<< Ma deve vedere quanto ho lavorato duro per lei, sarebbe un gesto ingrato il suo se andasse via così. >>
<< Non sono ingrata, sto solo chiedendo di avere un poco di privacy. >>
No, la cosa non stava quadrando proprio, la normalità che aveva creduto la circondasse di era dissipata in un attimo.
<< Suvvia Lucille, venga con me. Mi porga la sua mano e… >>
<< Mi stia lontano! Non osi toccarmi! >>
La reazione della ragazza scatenò qualcosa: per un attimo ogni cosa fu distorta da sottili crepe uguali a quelle di un vetro che veniva spezzato.
Era la conferma dei suoi dubbi… la verità della paura che si era insinuata nella sua testa per farle scoprire la verità.
Allora scappò, corse via da ciò che non era realtà, inseguita dal Prefetto che con un anormale sorriso sereno la fissava e la chiamava. Era più veloce di lei, l’avrebbe raggiunta da un momento all’altro, perciò lei continuò a correre senza voltarsi indietro, fissando la strada davanti a sé che pareva spegnersi per colpa di una magia.
 
Ad un tratto una massa buia cancellò letteralmente parte del mondo a cui stava andando incontro, era inquietante ma mai quando l’uomo che stava per saltarle addosso.
Salta! Fidati! Da qui in poi sarai salva!
Con riluttanza prese una decisione Lucille e si gettò a capofitto nel nero senza fine.
Quel che venne in seguito pose fine alla falsità, distrutta dalle sue grida rabbiose.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Fuga ***


 Capitolo 9: Fuga
 
Nella stanza in cui Lucille aveva giaciuto addormentata, un carillon smise di colpo di suonare.
Nella foga del risveglio la ragazza aveva dato un pugno all’oggetto che, cadendo a terra, si rupe in molti pezzi… e costringendo la persona che vegliava sul suo sonno ad arretrare e sparire.
Lucille strabuzzò gli occhi: la festa e Maynott erano scomparsi… il sole brillava all’esterno delle finestre e l’orologio indicava che erano ancora le 10:20… lo stesso orario con cui aveva concluso la conversazione con Maynott quando era venuta a trovarla.
 
L’intera giornata non era mai trascorsa.
Com’era possibile?
 
L’unica diversità era cosa si trovava intorno a lei: vecchi giochi di quando era bambina, oggetti personali dell’età della maturità e piccoli tesori che rappresentavano ricordi importanti. Quanti ricordi le raccontavano, ma non dovevano essere lì, il loro posto era all’interno di un baule dove nessuno poteva prenderli e rovinarli… a Parigi.
Fu allora che si sentì rabbrividire: non era sola in camera.
Per quanta luce ci fosse e lo spazio fosse limitato, era sicura che si nascondesse una presenza di cattiva finalità. D’istinto prese una bambola di porcellana che sollevò come una mazza, con cautela si indirizzò verso l’uscita tentando di individuare qualcuno appostato nei posti più strani della stanza. Fu allora che la porta si aprì, subito lei gettò il suo giocattolo in testa al Prefetto, spaccando la delicata superficie di rosa pittura che le dava forma.
<< Madame Lucille?! Si può sapere cosa le è preso?! >> le disse dolorante.
La cantante non era convinta di cosa voler dire, ma non si sentiva in colpa per l’errore commesso.
<< Non ne ho la più pallida idea! Ma di certo lei è l’ultima persona a cui darò spiegazioni! >> disse energica, uscendo definitamente.
L’uomo tentò di fermarla chiedendo insistentemente delle spiegazioni, inseguendola per tutto il paese barcollando e tenendosi la testa che stava diventando violacea nel punto d’impatto; lei però non si voltò, continuando a camminare: la sua destinazione la prigione.
<< Questo comportamento è inadeguato! Pretendo una spiegazione! >> disse il Prefetto, riuscendo ad afferrarla per un braccio.
<< Non voglio parlare con lei, razza di pervertito! Ho capito che non è un gentil’uomo come mi ha fatto credere! è solo un maniaco che mi ha blandito con regali e complimenti! >> replicò lei, cercando di liberarsi.
<< Sta dicendo solo follie! Le ordino di piantarla o dovrò prendere seri provvedimenti! >>
Maynott stava mostrando finalmente il suo vero volto, Lucille si sentiva sempre più arrabbiata alla consapevolezza di essere stata presa in giro. Se fosse stata più forte avrebbe preso a calci quell’uomo, purtroppo lui era più muscolo e non era difficile usare una mano sola per farle male; trascinandola via come un qualunque criminale mentre le stilava tutta una lista di ordini che lui pretendeva che venissero rispettati con ferrea severità. La sua voce era molto minacciosa, non c’era più cordialità nei suoi gesti e parole e forse sarebbe passato a fatti più bruschi se…
…se ad un tratto non apparve Raoul ferito e sanguinante.
 
Lo stupore della sua apparizione permise a Raoul di colpire con una mazza Maynott e metterlo KO mentre lo fissava scioccato.
Messo al tappeto, l’inventore potè lasciar l’arma e tirare un sospiro di sollievo, massaggiandosi la schiena che pareva scricchiolare.
Si rese conto solo dopo un po’ di Lucille, gli occhi talmente sgranati da far sparire il verde delle iridi; abbozzò un sorriso e tentò di darsi una sistemata pettinandosi i capelli e pulendosi quanto più possibile dalle tracce di sangue. La cantate gli saltò letteralmente addosso, abbracciandolo forte e baciandolo appassionatamente, incredula alla meravigliosa visione che aveva di fronte.
<< Credevo che fossi morto! >>
<< Lo pensavo anche io, ma ti spiegherò tutto dopo! Dobbiamo andare via da qui! Siamo in pericolo! >>
<< Pericolo? Ma sei hai messo il Prefetto fuori gioco! Sei stato fantastico! >>
<< Grazie per il complimento, ma io mi riferisco a qualcosa di peggio, e cioè a chi mi ha tentato di farmi la pelle! Andiamo! Emile ci aspetta! >>
 
                                                                                  ****
Francoeur si sentiva esiliato dal mondo intero.
Si trovava nell’ultima cella, incatenato come una bestia.
Starsene chiuso in quel minuscolo spazio che era la sua cella, ricoperta di polvere e segni di precedenti incarcerati, quel che ben poco era rimasto della sua vita stava fluendo via.
Il tempo veniva scandito solo dagli insulti delle guardie, la maggior parte con lanci di oggetti da cui non si poteva evitare a causa delle pesanti catene che lo bloccavano.
Per consolarsi cantava sottovoce, stringendo tra le zampe i lembi dei vestiti, sbirciando dall’uscio della cella temendo l’arrivo di Maynott.
Non poteva fare a meno di pensarci, quell’uomo trasudava pericolo e gli aveva promesso, quando l’aveva arrestato, che avrebbe fatto tante cose tremende nei suoi riguardi.
Anche Lucille era in pericolo, ne era certo, se avesse potuto si sarebbe precipitato fuori da lì per andare a salvarla, ma era prigioniero e non poteva far nulla. Trattenne il fiato quando si sentì chiamare, temeva che quell’uomo tanto terribile fosse appena entrato per torturarlo per lunghe ore, i lividi da lui provocati erano un ricordo ancora vivido.
La faccia di Emile apparve dal bordo della finestrella, l’insetto si irrigidì nel suo angolo per la sorpresa.
Gli parve di sentire una musica di vittoria, l’atmosfera si sentiva più leggera, quell’uomo era una speranza di salvezza.
Quando i due si incrociarono l’insetto dovette trattenersi per non attirare l’attenzione dei suoi carcerieri.
 
Emile riuscì ad avvicinarsi alla prigione locale senza destare sospetti.
Gli uomini di Maynott erano all’interno che perdevano tempo giocando a carte, ben lontani dall’essere ligi nel loro lavoro.
Fece il giro largo il giornalista, raggiungendo la parte posteriore dell’edificio da cui le finestre delle celle si affacciavano, il professore Amber all’interno di un furgone che faceva da palo nella zona frontale.
La struttura era piccola, assomigliava ad un magazzino e contava almeno 5 celle, solo una era occupata e proprio lì Francoeur era rinchiuso.
Si scatenò una breve una discussione tra le guardie, allarmato Emile si appoggiò alla parete che appariva come un nascondiglio sicuro;  ascoltando attentamente le parole si rassicurò quando di rese conto che gli uomini stavano solo discutendo sulle carte vincenti di un collega che pareva essere stato troppo fortunato, secondo le accuse degli altri.
Recuperata la calma il giornalista riprese il lavoro, rivolgendo ogni tanto una preghiera al signore: l’ometto gli passò un mazzo di chiavi che servirono ad aprire le sue manette, assicurando che in pochi minuti lo avrebbero fatto uscire da quel posto orribile. Non diede altre istruzioni, sparì di nuovo per ricomparire poco dopo all’interno della prigione, salutando cordialmente il gruppo di poliziotti che lo accolsero con un grave silenzio.
Riuscì a strappargli un sorriso quando offrì da bere: le bottiglie di vino che gli regalò si svuotarono velocemente, brilli gli uomini parlarono e si comportarono in modo idiota, distratti dall’ubriachezza non notarono Emile che prendeva il mazzo di chiavi e si allontanava di soppiatto, cominciando a contare il tempo che rimaneva prima che crollassero per il sonno.
Uno dopo l’altro i carcerieri caddero in un sonno profondo.
Senza occhi a fissarlo sfruttò le chiavi per aprire la cella di Francoeur, liberandolo finalmente.
Quando uscirono dalla prigione il Professor Amber avviò l’auto e caricò a bordo i fuggitivi, guidò a tutta velocità zigzagando tra le vie della città fino a quando non si fermò di nuovo per caricare, stavolta, Lucille e Raoul.
 
Riuniti, il gruppo non potè che gioire.
Erano come amici di vecchia data che si rincontravano dopo tanti anni di lontananza.
 
<< Spero che adesso mi concediate una spiegazione. Io non ci sto capendo più nulla. >> disse Lucille.
<< Nemmeno noi sappiamo spiegare perfettamente quello che è successo, ma su una cosa siamo tutti certi: Maynott è un bastardo, è lui che voleva la mia morte. >> le rispose Raoul.
<< è questo perchè? Solo per catturare il “mostro”? >>
<< No Lucille, non è solo una questione di mostri. In mezzo c’è dell’altro che definire assurdo è dir poco… il pericolo di cui il nostro amico insetto ha provato ad avvisarci. >>
Mentre il camioncino procedeva veloce e traballante, l’inventore e il giornalista raccontarono una storia incredibile che la cantante ascoltò senza farsi venire ombra di dubbio.
Tutto cominciò nel momento del presunto omicidio di Raoul.
Emile era certo che si era trattato di una montatura, il suo migliore amico non poteva essere davvero morto e probabilmente non poteva trattarsi di Francoeur “l’omicida” perché in quell’insetto c’era tutto tranne che male.
Lucille era stata l’unica a vedere qualcosa, avrebbe voluto parlargli e avere una spiegazione dal suo punto di vista, avvicinarsi però era stato impossibile, il Prefetto le stato perennemente accanto e proprio lui che gli aveva sparato… bè… gli aveva fatto passare ogni briciola di coraggio.
Qualunque piano stesse macchinando non presagiva nulla di buono.
Doveva scoprire che cosa stava accadendo dietro quella faccenda, prima che le cose peggiorassero.
<< Io e il Professore ci siamo nascosti subito dopo il fatto. Alcune guardie stavano venendo a prenderci con l’accusa di essere complici dell’omicidio, eravamo pronti a difenderci ma abbiamo sentito che eravamo anche accusati di traffici e complotti assurdi… a quel punto era chiaro che nulla quadrava. >>
<< Dovevamo assolutamente far qualcosa, quell’uomo era corrotto e non avevamo dubbi! Ma dovevamo agire in modo da non essere controproducenti, prima era necessario capire che cosa sta realmente accadendo. >>
<< E ci siete riusciti? >>
<< Si… ma sarà meglio che te lo spieghi Raoul. è grazie a lui che siamo giunti alla verità. >>
L’inventore si fece serio, il suo sguardo fino a quel momento sempre rivolto all’amata si spostò verso un taglio profondo che aveva ad entrambe mani, chiudendole lentamente per non rischiare di farsi male.
Prese un respiro profondo e raccontò la sua esperienza.
Il giorno in cui si era attentato alla sua morte, Francoeur era venuto da lui per confessargli una cosa che non aveva mai rivelato per paura di subire del male. Non si era reso conto che c’era stato uno scambio di persona: quel Francoeur non era chi voleva far credere di essere; in realtà era un individuo molto pericoloso che confrontato con Maynott, e i suoi seri problemi mentali, era il diavolo in persona.
<< Mi ha aggredito alle spalle, solo allora ha gettato la maschera: quando mi sono reso conto di chi si trattasse davvero… bè… avrebbe preferito svenire del tutto piuttosto che essere alla sua mercè. Mi sono reso conto che voleva farmi davvero male. >> disse con repressa paura l’inventore.
<< Ho provato a difendermi, ma non sono stato in grado di tenere testa alla sua furia. Ha fatto di tutto per ferirmi, sia fisicamente che psicologicamente… mi ha detto che anche tu Lucille, avresti avuto una sua visita…. o mio dio… quanto sono stato male in quel momento. >>
Lucille lo abbracciò, poggiando le sue labbra sulla sua fronte come un modo per guarire dallo stress. Lui ricambiò il gesto, accarezzandole le guancie per cercare di ottenere il sollievo del tiepido calore che emanavano, recuperando il controllo delle proprie emozioni e riuscendo così a proseguire la sua parte di racconto.
<< Ha detto che ci aveva inseguito… che ci voleva far quel male… perché voleva uccidere Francoeur, era quella sua la sua ossessione. Lo ripetè all’infinito, suonava ormai come l’unica ragione di vita che gli restava. >>
<< Cioè era tutto premeditato fin dall’inizio solo per lui? >>
<< Questo è quello che ha detto. Ma il perchè sia fissato con lui non l’ha detto. >>
Raoul prese fiato, quasi come se avesse appena compiuto uno sforzo enorme.
Ora tante cose erano chiare, altri dubbi però persistevano, come il fatto che Lucille avesse vissuto una illusione realistica di una giornata fatta di vizi e ricchezze… e poi perché Francoeur era al centro di quella storia incasinata? A quel punto era chiaro che non si basasse più sul suo aspetto fisico…
 
<< Grande Giove! >>
Frenò così bruscamente il Professor Amber che i viaggiatori si trovarono quasi catapultati sul parabrezza.
Davanti a loro, a 100 metri, Maynott bloccava la strada insieme ad un folto gruppo di poliziotti armati di fucili: Maynott si arricciò i sottili baffi con un beffardo sorriso, la testa fasciata dopo che la ragazza lo aveva colpito con il suo giocattolo, fece un passo in avanti per staccarsi dai suoi uomini e si rivolse ai fuggiaschi.
<< Professor Amber! Emile de Lagazette! Siete in arresto per aver liberato un pericolo soggetto e complici aver attentato alla vita della cantante Lucille Paradise! Scendete dal veicolo con le mani bene in vista o apriremo il fuoco! >>
<< Cosa?! Ma quello è davvero un bastardo! >> disse furioso Raoul.
<< Che facciamo adesso? Come ci comportiamo? >> disse lo scienziato agitato.
<< Non fate niente, ci spareranno comunque. >> disse Lucille ben convinta della cosa.
<< O cielo… siamo in trappola. Cosa facciamo ora? >>
<< Non ne ho la più pallida idea Professore. >>
Proprio in quel momento Francoeur scese dal camioncino e si mise davanti ad esso.
Spaventati gli amici tentarono di riportarlo dentro mentre la polizia sollevava le armi intimorita dalla sua improvvisa apparizione. Nemmeno il Prefetto si aspettò un gesto simile, si trattenne dall’esternare sorpresa e si armò anche lui, minacciando l’insetto di sparargli alla testa se non avesse seguito i suoi ordini.
La creatura però aveva tutt’altro che intenzione di ascoltare quell’uomo, i suoi grandi occhi quasi scintillavano e i vibravano i lunghi peli sul dorso della sua schiena come quelli di un gatto minacciato da qualcosa.
Fu allora che si voltò per un attimo verso gli umani, facendo loro l’occhiolino.
Senza preavviso Francoeur lanciò un urlo stridulo che quasi spaccò i timpani, corse incontro ai poliziotti con le braccia alzate i quali cominciarono a sparare come forsennati fino all’ultimo proiettile, realizzando solo all’ultimo che questi non gli avevano fatto un graffio: erano tutti ribalzati sulla sua pelle.
Scapparono le guardie, i ritardatari furono travolti dalla sua furia senza pietà, ricavando ossa rotte e contusioni, Francoeur non fece nemmeno caso alle sue azioni quando si avventò contro i poliziotti, il desiderio di vendicare chi l’aveva aiuto era troppo grande.
Con quella confusione il gruppo non potè che approfittarne per scappare, Maynott che sparò contro di loro cercando di fermarli.
<< VI AMMAZZERÒ TUTTI! >> urlò
<< E NOI TI RINCHIUDEREMO IN MANICOMIO! >> gli rispose Raoul, lanciandogli addosso una provetta di vetro contenente un liquido che esplose non appena si ruppe.
<< Salta a bordo Francoeur! >> urlò Emile.
Con un balzo l’insetto riuscì a tornare a bordo del veicolo in movimento, accolto dalle braccia degli amici che gli ripetevano quanto fosse stato coraggioso quel suo gesto e pregandolo di non farlo mai più; l’insetto aveva recuperato la ragione e fece capire che avrebbe fatto come richiesto. D’altra parte, anche se avesse voluto ripetere quella cosa non avrebbe potuto: stava perdendo troppo sangue.
 
                                                                                  ****
Maynott non riusciva a credere ai suoi occhi, come poteva essere caduto così in basso da non riuscire ad uccidere un insetto?
Il suo collega gli aveva assicurato che tutto sarebbe andato bene per lui come previsto.
Perché allora non gli aveva facilitato la strada?
A niente erano serviti gli interventi effettuati come togliere di mezzo l’inventore fallito o i suoi amici, nemmeno corrompere Lucille e riportarla dalla sua parte era servito.
Ma perché?!
<< Sono contrariato. >> tuonò la voce familiare del suo collega.
Lo fissava gelido, questo significava gran brutte cose, le peggiori che potesse immaginare
<< Siamo sinceri, hai perso il tuo talento. >>
<< Non è vero! Io stavo…. !>>
La rabbia esplose in un attimo, l’individuo trafisse al cuore il Prefetto senza esitazione.
<< La nostra collaborazione finisce qui Maynott.>>

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Verità infine ***


Capitolo 10: Verità infine
 
Il motore del furgone era assordante, ma nel momento in cui la gente si rese conto della sua ferita, calò un ansioso silenzio.
Come aveva osato il Prefetto fare del male a quell’angelo nascosto sotto una maschera mostruosa?
Il Professore tentò con improvvisazione di medicare il foro del proiettile augurandosi che non accadesse il peggio; Emile guidò al suo posto cercando di evitare buche e dossi che complicassero l’operazione, Raoul che strinse al suo petto una traumatizzata Lucille.
Monte San Michele era ancora lontana, il giorno lentamente mutava e il calar del sole quasi ignorato pareva un orologio che scandiva lo scadere del tempo verso un finale che doveva essere evitato a tutti i costi, il sangue che Francoeur perse pareva la sabbia di una clessidra che si esauriva.
Era tanto frustrante, che cosa ci guadagnava la gente cattiva come Maynott con la sua morte?
<< Francoeur? >>
L’insetto aveva gli occhi socchiusi, non si capiva se fosse cosciente o meno.
<< Siamo quasi arrivati a casa tua… mancano pochi chilometri. Finalmente sarai al sicuro.>>
L’insetto non rispose, inclinò da un lato la testa, il respiro affaticato.
Lucille lo adagiò delicatamente sul suo petto, cominciando a cantare una ninnananna.
Lui le strinse la mano, dimostrando che stava ascoltando la dolce melodia.
 
                                                                                  ****
La notte era buia e fredda, neanche la luna riusciva ad illuminare con i suoi fasci argentati il mondo sotto di sé; coperta da uno spesso velo di nuvole nere come fuliggine, mentre una gelida corrente proveniente da Nord ricopriva con un sottile strato di ghiaccio la landa francese.
Francoeur aveva cominciato a reagire dallo stato letargico della perdita di sangue, avvertiva una familiare sensazione che s’intensificava sempre di più.
<< Ehi amico, stai bene? >>
Finalmente sorrise, in quel momento non avrebbe potuto sentirsi più felice.
Era arrivato a casa.
Il Mont Saint-Michel è un isolotto tidale situato presso la costa settentrionale della Francia, dove sfocia il fiume Couesnon. Sull'isolotto venne costruito un santuario in onore di San Michele Arcangelo, il cui nome originario era  Mont Saint-Michel au péril de la mer ("Monte San Michele al pericolo del mare").
Del mare si udiva solo l’eco delle onde, l’acqua a malapena si scorgeva nel pesante buio che dava l’illusione che l’isola fosse sospesa nel vuoto, le lontane fiaccole dell’abbazia parevano fuochi fatui.
<< Non ci posso credere!  Ci siamo riusciti davvero! >>
<< Questo è un vero miracolo! >>
<< Gente, quando tutto sarà finito dobbiamo festeggiare a dovere! Offro da bere a tutti! >>
Non sembrava vera la cosa, era troppo bello per essere vero.
Per fortuna l’unica strada che collegava Saint-Michel con la terra ferma era libera, la marea era bassa e lo strato di pietra perfettamente asciutto, scansando così la possibilità di scivolare.
 
Ma a dar il benvenuto ai viaggiatori non fu un prete o un paesano.
 
In piedi proprio davanti all’ingresso dell’isola c’era un individuo mai visto prima: aveva lunghi capelli argentati raccolti in una coda di cavallo, la pelle ricoperta da rughe di un pallido grigio, folte sopraciglia e un paio di occhiali dalle spessi lenti scure che nascondevano gli occhi. Indossava un mantello di pelle marrone scuro, il resto del corpo era celato sotto di esso e non se ne vedeva nemmeno un pezzo, solo una mano usciva fuori da una sottile fessura stringendo un bastone da passeggio su cui si trovava attorcigliato un serpente d’argento con la testa appoggiata e la bocca spalancata sulla sommità.
Era un vecchio, ma il suo aspetto non gli infondeva sicurezza, una sensazione di disagio cominciò a far star male il gruppo che non riusciva a toglierli gli occhi di dosso.
<< Dov’è Francoeur? >> chiese lo sconosciuto, senza preoccuparsi di giustificare la sua bizzarra apparizione.
<< Chi è lei? >> domandò Raoul, affacciandosi dal veicolo con cautela.
Francoeur si stava agitando, Lucille e il Professore dovettero bloccarlo con la forza per impedirgli di aggravare la ferita, la ragazza gli accarezzò il volto pregandolo di star calmo, lui di conseguenza le strinse leggermente i capelli rossi morbidi come seta.
<< Voi dovevate starne fuori. >> disse l’uomo seccato, cominciando a muoversi verso la loro direzione.
<< Cosa vuole esattamente? >> gli urlò l’inventore.
<< Voglio Francoeur. >> rispose l’altro.
Chiunque egli fosse non avevano intenzione di scoprirlo: Emile istintivamente cominciò a far retromarcia in modo da tenersi a distanza, di evitare qualsiasi contatto con lui.
Sentiva il male scaturire da quel corpo.
<< IO VOGLIO DISTRUGGERE QUELL’INSETTO! >>
 
Una forza al di sopra della natura si scatenò brutalmente.
Il mondo parve crollare addosso al gruppo, il cielo che si tingeva di rosso e il mare che si innalzava come un muro di spropositata altezza; l’isola che si faceva piccola e lontana.
Come un giocattolo sbandava il furgone da una parte all’altra, gli occupanti rapide prede della paura sempre più crescente, increduli a quell’avvenimento che non poteva esistere in natura. L’unico a non farsi prendere dal panico fu Francoeur il quale si alzò e uscì dal veicolo; il volto dipinto di una emozione che sapeva sia di rabbia che di coraggio… subito si placò il caos e una luce rossastra prese ad illuminare l’ambiente, lo sconosciuto si fermò e un sorriso a mezzaluna comparse nella ragnatela di rughe.
Lentamente cominciò a togliersi i componenti del suo vestiario, gesti banali che cambiarono il suo aspetto radicalmente: la pelle divenne più liscia e tirata, i capelli si ritirarono completamente rivelando un paio di corna ricurve, il mantello si aprì formando una specie di paio di ali da pipistrello, e la mano con il bastone si trasformò in una grande serpe che stava attaccata al corpo magro di quell’essere non più umano in una sorta di coda.   
<< E tanto tempo che non ci vediamo, amico mio. >>
Quando si tolse gli occhiali la creatura rivelò di non avere occhi, solo due fessure vuote che si aprivano e chiudevano appena.
<< Come stai? Ti trovo in gran forma. Sembra proprio che la tua nuova identità ti abbia giovato. >>
<< Hai sempre un ridicolo senso dell’umorismo. >> gli rispose Francoeur gelido.
<< Come scusa? Hai detto qualcosa? La tua voce è fievole quanto quella di una pulce. >>
<< Visto che sei duro di orecchi, ti dirò forte e chiaro cosa penso di te: sei un bastardo. >>
Francoeur era in grado di parlare nonostante le apparenze, ma nelle sue attuali sembianze le parole si trasformavano in versi acuti e bassi… solo colui che l’aveva mutato in quel modo orrendo era capace di comprenderlo.
 
Lui, il demone.
 
<< Mio Dio… è il diavolo in persona… >>
Dopo essersi ripresi dal violento attacco, gli altri erano subito usciti dal furgone e avevano cercato di mettersi al riparo.
Notate le nuove vestigia di colui che aveva sbarrato la strada non poterono che rivolgere i propri pensieri al Signore, terrorizzati da ogni inquietante dettaglio di quella apparizione oscura.
<< Mi dispiace contraddirvi signori e signora, ma siete in errore: io non sono il Diavolo, sebbene io abbia molto più charme di lui. Io sono solo un “Incubo”. >>
<< Che… che assurdità è mai questa? >>
<< Assurdità? Io sono reale, signore. >>
Improvvisamente Francoeur tentò di saltare alle spalle di quell’Incubo che, dissolvendosi in una macchia liquida, lo scansò e lo fece crollare a terra, ricomponendosi al suo fianco e premendo con un piede la ferita da foro da proiettile fino a far schizzar fuori il sangue. Il sadico gesto impressionò gli amici dell’insetto, subito accorsero per aiutarlo ma vennero fermati da un nugolo di scorpioni che uscirono dalla bocca della coda di serpente del demone, schivando per un soffio i pungiglioni grondanti di veleno.
<< Non dovevate affezionarvi a lui. Mi avete intralciato e vi giuro che tutti ne pagherete le conseguenze, non dubitate. >> disse l’Incubo minaccioso.
<< Brutto mostro! Lascialo in pace! Cosa ha fatto Francoeur per meritarsi questo?! >> urlò Lucille fuori di sé.
La sua voce parve una sorta di richiamo speciale: L’Incubo si materializzò alle sue spalle mettendosi a sorridere in modo fin troppo “contento”, affondò il volto sul suo collo e lo strofinò imitando le fusa di un gatto, le mani che le accarezzavano i fianchi. Disgustata, la cantante lo cacciò via, mettendosi al riparo tra le braccia di Raoul.
<< Lucille, mia cara. Che peccato non aver avuto occasione di conoscerci meglio. Hai delle ambizioni così grandi che gustarle fino all’ultima briciola sarebbe stato un delizioso piacere. Peccato che a quello stolto di Maynott interessasse solo il tuo aspetto. >>
<< Co-cosa? Io non capisco… >>
<< Non l’hai ancora capito? Io e il Prefetto eravamo soci in affari: e grazie a me se lui ha ottenuto il potere per cui è conosciuto. Ma non farti strane idee, se abbiamo lavorato insieme è stato solo perché avevo bisogno di qualcuno per trovare il mio “caro amico” Francoeur; e quando finalmente c’è riuscito mi ha chiesto di aiutarlo a conquistarti… io però non avevo intenzione di lasciarmi sfuggire un bocconcino così appetitoso e sognatore. >>
<< Cosa?! >>
<< Io sono “un’ombra” assai particolare madame; divoro i sogni della gente fino a prosciugarli. Le vostre aspirazioni, gli ideali, i progetti futuri… per me non sono altro che cibo con cui banchettare, è più grandi son questi sogni e più la mia fame si fa insaziabile. >>
<< E… il senso di tutto questo? >>
<< Ma è ovvio. Rovinare la vita altrui. >>
Era disgustosa la felicità sprigionata insieme a quelle parole crudeli.
Era davvero quello il motivo dell’esistenza di quel mostro?
Si trattava sul serio di una tale crudeltà?
L’incubo fece una piroetta su sé stesso con un movimento tale che il mantello lo avvolse da capo a piedi, per un attimo solamente, quanto bastava per trasformarsi e assumere le perfette sembianze del Prefetto Maynott: ripetè più volte quel trucco, trasformandosi persino in Lucille e gli altri, imitando perfettamente voce e copiando minuscoli dettagli che andavano dalle voglie ai riflessi dei capelli.
Tutto senza smettere di vantarsi.
Gesto che fece irritare pesantemente Francoeur che tentò di interrompere quello show, provando a strappargli letteralmente la faccia.
<< Perbacco! Puoi cercare di star tranquillo?! Le tue maniere sono a dir poco fastidiose! >>
<< Sono stufo di ascoltare la tua voce e assistere alle stregonerie della tua mente perversa! Sei qui per me! Quindi facciamola finita ora! >>
<< Oh, ma guarda tu che sorpresa. Il latitante sfortunato s’è finalmente deciso di affrontare le sue paure. Star di nuovo a contatto con la gente ti ha ridato un poco di fegato. >>
<< E ti giuro che stavolta ti finirò definitamente! >>
<< Non indugiamo oltre allora, apriamo le danze. >>
 
                                                                                  ****
Non era una lotta quella che si scatenò tra il mostro e Francoeur, bensì una vera e propria guerra.
 
Era così violenta che assistervi non era una cosa possibile, faceva troppo male… era un’agonia per l’anima.
Gli amici dell’insetto non volevano restare a guardare mentre veniva martoriato a morte, anche se avevano uno sbarramento assai pericoloso dovevano intervenire subito, fermare la follia prima che andasse troppo oltre.
Raoul prese svariata roba caricata sul furgone e la trasformò in oggetti d’attacco, sperando che qualcosa eliminasse gli scorpioni che, come soldati impassibili, restavano compatti per ostruire la strada. Lucille, al contrario, era rimasta turbata dalle intenzioni disgustose che erano serpeggiate alle sue spalle, impallidita pesantemente a tal punto da sembrare malata di qualche grave infenzione senza cura.
<< Ora capisco! Adesso è tutto chiaro! Era lui il bastardo che si è spacciato per Francoeur e ha tentato di uccidermi! >>
<< …questo perché volevano me… per usarmi come se fossi… un giocattolo… >>
<< No! Non pensare a quello che ha detto! Non dargli questa soddisfazione! Ti giuro che gli farò rimangiare quelle sporche parole! Tu non sei un giocattolo! >>
<< Ma lui è un demone… lui può fare tutto… >>
L’angoscia, la paura, il dolore… ogni sorta di negatività si stava raccogliendo al richiamo del demone che non voleva far altro che spargere male. Il mondo non sembrava più lo stesso sotto la cappa scura che aveva preso forma, sembrava di essere in un limbo prossimo a crollare all’inferno, senza salvezza all’orizzonte per chi sperava di uscirne fuori.
<< Non possiamo permettere che le cose continuino in questo modo: noi dobbiamo salvarci e salvare Francoeur! >>
<< Raoul, come fai ad avere tutta questa speranza? >>
<< Perché mi hanno insegnato ad averla. I miei genitori erano dei poveracci, a malapena tiravano avanti con il lavoro e hanno sacrificato tutto pur di restare uniti! E lo sai perché? Perché sapevano che un giorno le cose sarebbero andate meglio!
Questo bastava a renderli felici e a sistemare le cose quando andavano storte!
La speranza è l’ultima a morire!
Dopo che sono morti mi sono aggrappato a questo ideale per poter andare avanti… e lo ammetto… è stato difficile… ma ha funzionato: io sono ancora qui, che lotto per i miei ideali e per le persone che amo. Te lo posso assicurare Emile, sono così ostinato a perseguire questa aspirazione che non permetterò a questo dannato demone di distruggere ciò in cui credo. >>
Raoul stava per attaccare ancora quando Lucille gli si gettò addosso, fermandolo.
Tremava mentre lo abbracciava, affondava più che poteva il viso nel suo petto e in silenzio piangeva.
<< Ti invidio… l’ho sempre fatto… >> gli disse ad un certo punto.
<< …Tu sei sempre stato così testardo e sicuro di ciò che volevi. La sicurezza di come perseguivi i tuoi sogni, senza quelle assurde difficoltà che dovevo affrontare io, non poteva che scatenarmi ammirazione e gelosia. >>
<< Geloso di me? Ma cosa dici sciocchina, sei sempre stata tua la star. >>
<< Era solo un modo per riempire il vuoto nella mia vita… quello che ho sempre davvero voluto è qualcuno da amare e che mi amasse… come te… >>
Raoul era stupito ma non lo mostrò, si curò principalmente di rincuorare la sua amata con un bacio, sussurrandole all’orecchio quanto ci tenesse a lei.
 
Per un attimo i due innamorati poterono sentirsi al sicuro.
Essere solo loro, circondati dal loro grande amore.
Non importava quanto potesse essere terrificante la loro situazione, se fossero rimasti uniti niente gli avrebbe fatto del male.
Il buio si dissolveva intorno a loro, l’intimità del loro abbraccio pareva scaturire luce, un’impressione che bruciava come il sentimento che provavano.
<< Ti farò uscire da questo incubo, te lo prometto. >>
 
<< Giù! >>
Il Professore fece appena in tempo a spingere a terra la coppia.
La testa di serpente fece una sorta di schioppo con la bocca, mancando di poco le loro teste.
L’Ombra aveva interrotto il suo operato e li stava fissando incredibilmente irato,  piccole scintille di fuoco riempirono i suoi occhi vuoti che davano più carattere alla sua espressione, la coda di serpente che si dimenava con furia.
<< Non mi piace quello che voi state facendo. >> La voce dell’Ombra era diventata più profonda, come se non bastasse  tratteneva una smorfia inquietante che gli deformava il volto.
<< In mia presenza non tollero simili atteggiamenti, mi danno decisamente il voltastomaco. >>
<< Senti chi parla! Tu, con la tua mente perversa, sei più disgustoso di ogni altro essere al mondo! >>
<< Dovreste preoccuparvi di come troncherò le vostre patetiche vite, invece di trascorrere questi ultimi momenti con inutili effusioni. >>
<< Devi prima provarci sottospecie di mostro! >>
L’Ombra non se lo fece ripetere due volte: si trasformò in una specie di chimera e lanciò addosso al gruppo, azzannandolo e graffiandolo.
Non risparmiò nessuno il demone, tutti subirono la violenza della sua incontrollabile furia animalesca, Francoeur, moribondo, assistette sconvolto all’azione: disperato nel vedere le uniche persone che avevano visto il bene in lui subire tanto male si trascinò con l’obiettivo di porre fine a quella crudeltà. Sanguinava, aveva parecchie ossa rotte e ogni respiro provocava terribili dolori al petto; eppure, nonostante le gravi condizioni, non voleva arrendersi… non voleva permettere a colui che aveva rovinato la sua vita di averla vinta ancora, non dopo tutta la fatica per poter raggiungere la sua casa… il solo posto dove tutto poteva finire.
Un’idea balzò in testa, l’unica che avrebbe fermato il vero mostro della storia.
La sola che poteva attuare seppur a caro prezzo.
<< Ombra! >> urlò Francoeur, richiamando l’attenzione del demone.
<< Fatti sotto e finisci quello che hai iniziato! Il nostro discorso non è ancora chiuso! Perché ora mi ignori? Non ti interesso più per caso? Oppure è tutta scena perché  non hai il coraggio di affrontarmi apertamente? Perché è questo che sei: un codardo che usa trucchi da illusionista! >>
In silenzio i due si fissarono per alcuni minuti, trattenendo persino il fiato per evitare di trapelare qualcosa.
Poi cominciò a ridacchiare L’Ombra, un accennato sorriso che nel suo volto bestiale si notava appena… subito dopo esplose letteralmente dal ridere,  costringendosi a fermarsi e riassumere le fattezze umanoidi solo per afferrarsi lo stomaco.
<< Codardo hai detto? Ti sbagli, amico mio: io posso rimandare la tua morte quando voglio perché me lo posso permettere. Tu non sei nient’altro che una nullità, la tua vita non è altro che creta che posso spezzare con un dito solo. >>
<< Uao, sei davvero forte. Allora perché hai impiegato 10 anni per uccidermi? Avrai anche il controllo della mia vita, ma mi sembra che tu abbia esagerato un poco con l’attesa. >>
La provocazione fece si che L’Ombra allungasse il proprio braccio ed infilzasse Francoeur al petto, assalendolo con un atroce dolore; il sangue fluì lungo il suo corpo e ardeva come il fuoco e un fischio assai fastidioso gli rompeva i timpani delle orecchie.
<< Non provare a fare lo spiritoso, in punto di morte ti rende solo più ridicolo. >>
<< Invece tu ti rendi solo più stupido. >>
Francoeur cominciò a tirare il demone verso di sé, afferrandogli l’arto con tutte e quattro le zampe.
Fece passi piccoli e traballanti, spesso cadde e l’urto faceva schizzare fuori il sangue dalla ferita, ma non demordeva, proseguendo il suo lavoro. L’Ombra gli diede corda facendosi strattonare senza lamentarsi o ridicolizzarlo… almeno fino a quando non si rese conto fin dove lo stava portando: solo allora cominciò a protestare, puntando i piedi a terra per tornare indietro e cercando inoltre di “riportare” il braccio a sé.
<< Tu non vai da nessuna parte! >> gli urlò Francoeur.
Sempre più forte lo costringeva a seguirlo verso Mont Saint-Michel che nel buio stava cominciando a stagliarsi come un faro nella tempesta.
<< No! Non ci provare! Ho capito tutto! La tua idea non funzionerà! >> gli disse L’Ombra.
<< Io penso il contrario! Quindi forza! Vieni pure! >>
<< Sei solo un’idiota che tenta disperatamente di non morire! Non avrai la meglio su di me! >>
<< Vediamo se noi possiamo far cambiar le sorti allora! >>
Raoul con un grido si fiondò alle spalle del demone, subito dopo vennero Lucille, Amber e Emile, e tutti insieme cominciarono a spingerlo, permettendo all’insetto di accelerare il proprio lavoro.
 
Stavano solo impiegando la proprio forza, eppure nell’insieme essa divenne potente a tal punto da non permettere al mostro di usare le sue capacità sovrannaturali per difendersi o dileguarsi.
Una sorta di magia stava scaturendo da quel lavoro di squadra.
Nelle tenebre Mont Saint-Michel ricomparve, normalmente agli occhi dei mortali era solo un centro abitato che sorgeva a ridosso del mare, ma per quella notte e solo per quella si trasformò in un faro di luce, la terra sacra che reagiva al gesto di coraggio in corso.
<< NO! NON PUÒ FINIRE COSÌ! IO SONO IMMORTALE! SONO PIÙ POTENTE DI OGNUNO DI VOI!>>
<< Allora fatti un bel paio di occhiali perché ormai sei finito! >>
Quando Francoeur toccò il confine dell’isola, il suo corpo sprigionò luce bianca che fluì attraverso il braccio del demone contagiandolo. L’effetto che gli sortì fu devastante: prese fuoco e si dissolse in polvere, ogni cosa di lui sparì e con esso l’emanazione di male che aveva liberato nel mondo.
Non ne rimase niente.
Fu letteralmente cancellato.
Ciò che rimase fu solo un paesaggio francese al chiaro di nulla.
 
<< Ci siamo riusciti? >> chiese Emile.
<< Siamo vivi… si… >> rispose Raoul stanco.
<< Oddio, Francoeur! >>
L’insetto era riverso al suolo che debolmente luccicava.
Lucille lo poggiò al suo capezzale scuotendolo vigorosamente per fargli aprire gli occhi.
Fu in quel modo che la sua faccia si staccò, … rivelando un perfetto e splendido volto di uomo.
Il torace, le braccia, le gambe… tutto divenne umano, la maschera che nascondeva la sua reale identità era stata finalmente rimossa.
Francoeur aprì gli occhi, azzurri come il cielo d’estate, nel vedere i suoi amici sorrise subito, apparendo quasi un bambino con alcuni dei denti leggermente accavallati, spostandosi la frangia di capelli neri per non essere infastidito.
<< State tutti bene? >> gli chiese.
Aveva una voce davvero stupenda, sentirlo parlare fu una sorpresa allegra.
<< Mi sento molto stanco… >>
<< è normale… è stato tutto davvero molto movimentato. Vedrai, non appena torniamo a casa ci sentiremo meglio… >>
<< Io vi devo ringraziare… avete rotto la mia maledizione. Quando L’Ombra mise gli occhi su di me ero pieno di sogni da realizzare… gli fu facile ingannarmi… e fu ancora più facile farlo arrabbiare quando riuscì a sfuggigli.  >>
<< Lui ti ha trasformato? >>
<< Ero l’unico che sapeva chi era e cosa faceva. Non voleva rischiare che io trovassi un modo per annientarlo… diceva di essere forte… ma il coraggio e la bontà sono sempre stati i suoi punti deboli. >>
<< E Saint-Michel? >>
<< Io mi trovavo qui quando sono diventato un mostro… la mia famiglia e i miei amici ogni anno si sono raccolti qui per pregare per me… riversando la loro speranza di riavermi tra le loro braccia. >>
<< Ho capito: un altro modo per poterlo distruggere. Ora si capisce tutto, sei davvero un genio amico! >>
Essere di nuovo umano era il sogno più grande che Francoeur avesse mai voluto realizzare, ma in quel momento c’è n’era un secondo che avrebbe voluto compiersi…
…E purtroppo questo non era possibile.
Ad un certo punto cominciò a sentire molto sonno, gli occhi gli si chiudevano e gli altri lo attribuirono alla tremenda sfida sostenuta, quando però si accorsero che stava svanendo si allarmarono, non capendo il perchè.
<< Vorrei poter stare con voi ed imparare a conoscervi meglio, purtroppo non posso… devo accontentarmi di andarmene da qui con serenità, sapendo di aver finalmente liberato il mondo da un mostro. >>
Le parole pronunciate furono fin troppo chiare: stava morendo.
Cominciarono a protestare, nessuno voleva che lui morisse proprio ora che tutto si era risolto bene, purtroppo non c’era modo di fermare quella cosa ed era straziante oltre che ingiusta.
<< Amici miei… voi avete già fatto tanto per me. Dovreste essere felici invece… perché adesso tornerete alla normalità… >>
<< Ma come puoi pretendere una cosa da noi?! Non possiamo lasciarti andare! >>
<< Non c’è soluzione… la maledizione non mi avrà reso crudele, ma era comunque abbastanza forte da farmi allontanare da qualsiasi cosa fosse sacra come l’amicizia e l’amore… questo era l’unico modo per eliminare L’ombra… sacrificare me stesso. >>
<< Non è giusto questo…. >>
<< Ascoltatemi… anche se da adesso non ci vedremo più, voglio che sappiate che veglierò per sempre su ognuno di voi. Avete salvato la mia anima ed eliminato un grande pericolo per quelli colmi di speranze… siatene fieri e promettetemi che inseguirete i vostri sogni. >>
<< Noi… lo faremo… >>
<< Voglio bene a tutti quanti… grazie ancora. >>
 
Furono queste le sue ultime parole.
Poco dopo divenne polvere di stelle, sollevandosi in cielo dove il paradiso lo attendeva.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Mai più soli ***


Capitolo 11: Mai più soli
 
Un’altra serata era finita all'Oiseau Rare.
 
Riluttanti i clienti cominciarono a svuotare la sala dopo l’esibizione di Lucille.
Libera da ogni impegno si accomodò in uno dei tavoli, sorseggiando una camomilla prima di andare via anche lei.
Era molto stanca, negli ultimi tempi cantare le toglieva le energie, non era più tanto facile come una volta.
<< Mi posso accomodare madame? >>
Sorrise quando Raoul si sedette al suo fianco, era uno di quei piccoli piaceri di fine lavoro che le davano gratificazione.
Forse l’unica cosa visto che si trattava della persona che amava.
<< Credo proprio che mi prenderò una vacanza. >> disse assonnata Lucille.
<< Davvero? è quell’incontro con i talent-scout che ti vogliono scritturare? >>
<< Sono un essere umano anche io, avrò diritto anche io ad un po’ di riposo. Sempre se sei ancora disposto a tenermi con te. >>
Raoul non potè trattenersi: la baciò sprizzando di felicità, accarezzandole le spalle morbide.
<< Credevo che non sarei più riuscito a convincerti a venire con me. >>
<< Ammetto che non resisterei un mese senza di te, mi viene una fitta al cuore solo a pensarci. >>
<< Non ti abbandonerò mai, dovresti saperlo ormai. >>
<< Si, lo so. >>
Raoul aveva ricevuto una interessante proposta di lavoro da parte del Professor Amber: prima di prendere una qualsiasi decisione aveva scelto di andarsene in un certo posto sulla costa francese per riflettere con calma e continuare dei suoi progetti a cui alcuni azionisti erano interessanti.
E soprattutto per dedicare più tempo alla sua amata.
<< Stasera le stelle si vedono magnificamente. Sono più luminose del solito. >>
<< Questo significa una cosa sola: quel lavoro ti andrà bene. >>
<< Ormai consideri le stelle come un buon auspicio. >>
<< Quando brillano come stasera significa una cosa sola: andrà tutto bene. >>
Il cielo in effetti brillava strepitoso quella notte, era raro vedere una cosa simile da una metropoli come Parigi che badava ormai più alle meraviglie del progresso che della natura.
<< Al nostro amico piace far brillare la notte. Da una stella come lui non ci si poteva aspettare altro. >>
<< è il suo modo di incoraggiarci… >>
<< Già… grazie mille Francoeur. >>

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