Nota importante: questa storia è ambientata nel
1996. Si
può notare da alcuni particolari (il più
importante: non
ci sono i cellulari.)
Per
lei
Autore: ellephedre
2.
La sensazione della plastica sulla guancia, dura e rigida.
L'odore
del corridoio dell'ospedale. Un ricordo: il volto freddo di Asuka
sotto la sua mano, gli occhi di lei che non si aprivano, che non si
sarebbero mai più aperti.
Tremando sotto la giacca, Shun nascose la faccia contro il
sedile, i pugni stretti.
Odio tutto.
«Signore?»
Vide due gambe. Non si muovevano, rimanevano
ferme accanto a lui.
Girò mezza testa, il collo indurito.
Gli stava davanti un uomo sulla quarantina, in completo
grigio, la mano stretta intorno a una ventiquattrore e un cappotto
piegato nell'altro braccio.
«Lei è Shun Yamato?»
Dunque erano arrivati a
cercarlo. «Sì.» Si sedette.
Provò a raccogliere saliva nella bocca impastata,
un
tentativo infruttuoso di inumidire la gola: non aveva acqua in corpo.
«Buonasera, signor Yamato. Sono Altman, dello studio
legale Cohen & Altman. Sono qui
per assisterla.»
Quell'uomo era l'avvocato mandato da suo padre.
Era bene
chiarirgli la situazione. «Io non so niente.»
«Non deve preoccuparsi di questo. Penseremo noi a
raccogliere
le informazioni sulle circostanze di Miss Yamato.»
Circostanze? La morte.
Tremò coi denti.
L'uomo lo
squadrò. «Ho bisogno di un'informazione. Lei ha
almeno
ventun anni?»
Serviva a qualcosa conoscere la sua età?
«Ho vent'anni.»
L'avvocato strinse gli occhi. «Capisco. Sistemeremo
anche questo.»
Prima di sistemare qualunque cosa, quell'uomo doveva
spiegarsi.
«Qual è il problema?»
«Nello stato del Massachussets si diventa
maggiorenni a
diciotto anni, signor Yamato. Ma per quanto riguarda la tutela di altri
minori, sono
necessari almeno ventuno anni per richiedere la custodia.»
No. «Nessuna custodia.» Stavano
parlando della figlia di Asuka.
L'avvocato non protestò. «Suo padre
è in
viaggio, a quanto ho saputo. In assenza di situazioni di rischio,
attenderemo il suo
arrivo.»
Non c'era più alcun pericolo: chi poteva morire era
già morto.
Chiuse gli occhi. «La bambina sta bene.»
L'uomo - Altman - annuì. Invece di andarsene,
rimase a osservarlo.
Shun si massaggiò la testa. «È
tutto?» Voleva rimanere da solo, per tornare a eclissarsi.
Forse dopo aver trovato un bagno.
«Si sta facendo notte, signor Yamato. Ha un posto in
cui dormire?»
... stava diventando notte? «Sono arrivato
oggi negli Stati Uniti.» All'ora di pranzo, quindi
era già passata mezza giornata senza Asuka.
Avrebbe dovuto trovarsi nell'appartamento di
lei, con
lei. O forse ci sarebbe andato da
solo, ma sapendo che in ospedale Asuka stava bene.
... aveva lasciato le valigie a casa di sua sorella. Valigie
piene di cose che Asuka gli aveva chiesto
di portare.
No.
Non voleva mettere piede in quell'appartamento.
L'avvocato non si era mosso. «Posso prendermi la
libertà di prenotarle un albergo?»
... una stanza?
Per farci cosa? Vivere?
Ancora non aveva deciso se aveva un senso trovare le energie
per svegliarsi il giorno dopo.
Anzi, aveva un senso persino trovarsi in quella
città? In
quel
paese?
... ma doveva rimanere, no?
Almeno per il funerale di Asuka.
Con una mano sugli occhi si nascose al mondo.
L'avvocato appoggiò la ventiquattrore accanto a
lui. Non parlò, ma dalla sua direzione provennero
dei
fruscii.
Shun udì una terza voce ovattata, dall'interno di
un telefono.
L'avvocato rispose. «Sono io. Prenota una
stanza singola vicino al Saint Mary, l'ospedale. Sì, per un
cliente.»
Per un cliente? Per lui?
«Fammi sapere il nome dell'albergo.»
Udì il suono della comunicazione che si
interrompeva.
L'avvocato si sedette al suo fianco.
Pensare era difficile, ma non impossibile. «A
mio padre non importerà.»
«Che cosa?»
«Non la ringrazierà per questi favori.
Non si disturbi, non gli importa di
me.»
«La mia è
carità umana.»
Gli sfuggì una risata
tremula. Guardò
l'uomo. Notando che lui scherzava volle ridere di nuovo,
o
piangere per nessuna ragione.
Si tappò la bocca, per non far uscire suono.
L'avvocato inspirò. «Signor
Yamato, Shun. Sa darmi
delle indicazioni su ciò che sua sorella vorrebbe per la
figlia?»
«No.» Lui non sapeva niente, se non il
nome
che Asuka aveva scelto.
«Mi è stato detto che il padre della
bambina non è coinvolto. Ha informazioni che ci permettano
di
rintracciarlo?»
No.
A cosa sarebbe servito d'altronde? «Mia sorella non vuole.
Quell'uomo
è uscito dalla sua vita.»
L'avvocato non accettò la spiegazione. Scuoteva
piano la testa. «Possiamo fare in modo che rimanga fuori
dalla vita della bambina.
Ma è necessario conoscere la sua
identità.»
Per quale ragione?
«Come genitore biologico, lui ha dei
diritti che
potrebbe far valere in tribunale se non agiamo secondo le
regole.»
Era assurdo. «Non vuole la bambina.»
«Meglio così. L'adozione potrà
procedere in maniera spedita.»
Adozione. Trovò
la forza di sollevare la testa.
Parlavano della figlia di Asuka. Una bambina che sua sorella
avrebbe voluto crescere e che non aveva più una madre
a parlare per lei.
«... chi l'adotterà?»
«Lei lo sa meglio di me, Shun. I vostri genitori,
presumo.»
«Sono divorziati da vent'anni.»
«Dunque, uno solo dei due. È possibile
farlo singolarmente.»
Uno dei due? Hideki Yamato o Reiko Nishigara che
accettavano di
nuovo di
prendersi cura di un bambino? Non sarebbe mai più
successo,
in alcun universo.
Non doveva succedere. «Qual è
l'alternativa?»
L'avvocato non parlò.
Shun si voltò a guardarlo. «Qual
è l'alternativa?» ripeté.
«Un'adozione esterna, se nessuno nella vostra
famiglia accetta
la responsabilità della minore. Si può
pensare a un'adozione di
tipo aperto, con contatti nel tempo.»
... contatti?
«Non sono un esperto in diritto di famiglia, signor
Yamato.
Ma
il mio studio vi assisterà, se sarà questa la
vostra
decisione.»
Avrebbero dato via la figlia di Asuka?
L'avvocato lo osservava in silenzio. «Ha modo di
aiutarci a rintracciare il padre biologico? È nel miglior
interesse di sua nipote.»
«Asuka non vuole che cresca con lui.»
«La rinuncia alla
potestà genitoriale faciliterà le cose.
Ha dei contatti tra le conoscenze di sua sorella? O sa dove lei
lavora?»
Stremato, Shun trafficò nella tasca della giacca.
Tirò fuori un cartoncino. «Questa ragazza
era
con lei questa notte. È una sua
amica.» Tenne stretto il biglietto da visita, ma
l'avvocato non
cercò di prenderlo. Copiò nome e numero di
telefono su un'agenda elettronica.
«Grazie, sarà di aiuto.»
Aiuto per cosa? Era tutto finito, tutto andato.
Asuka...
«Su. Venga con me.»
Shun non si oppose al tocco sulla spalla. Privo di
forze, rimase inerme. «... non l'hanno ancora
richiamata»
mugugnò.
«Cosa?»
«Per l'hotel.»
L'avvocato nascose un sorriso. «La mia segretaria
è efficiente. Quando saremo arrivati di sotto,
avrà già un indirizzo.»
La mano sotto il suo braccio era un invito a tirarsi su. Per
Shun fu troppo
difficile protestare.
Si sollevò incerto sui muscoli intorpiditi
delle
gambe.
«Riesce a reggersi in piedi?»
Provò ad annuire, ma uno stimolo più
forte lo colpì al basso ventre. «Devo
andare in bagno.»
Senza aiuto si trascinò verso una porta e vi si
spinse dentro.
A due metri dal gabinetto gli mancò l'energia
per un altro passo; si sorresse a un lavandino.
Immagazzinò aria nel petto, sentendo che non aveva
respirato da ore.
Spingendosi di lato, arrivò agli orinatoi.
Aprì la patta dei pantaloni e appoggiò
la
fronte contro il muro.
Voglio morire.
Emise liquido dal corpo.
Aprì gli occhi sdraiato sopra un letto, la faccia
che affondava in un cuscino.
Ovunque si trovasse, era buio.
... Asuka era morta.
Si spinse in avanti con un braccio. Cascò col torso
dal
letto, il pavimento più lontano di quello che aveva
pensato. Cadde anche con le gambe, sbattendo a terra sul fianco.
L'urto lo risvegliò. Allungando un braccio,
trovò una tenda. La
scostò, e
nello spiraglio di pochi centimetri passò un raggio di luce.
Era mattina.
Strinse i denti e si tirò su.
Girandosi, individuò una sveglia elettronica
accanto al letto della stanza d'hotel.
Le nove.
Il suo stomaco vuoto si attorcigliava per i crampi.
Siete già
arrivati, Hideki, Reiko?
Dovevano decidere cosa fare con Asuka.
Si trascinò verso il bagno, la vista annebbiata. Si
chinò a bere dal rubinetto
del lavandino e svuotò di nuovo la vescica.
Tornando in camera inquadrò un mini-bar
accantò
al letto.
Prese una bustina di caramelle e si nutrì di
bastoncini gommosi alla liquirizia.
Li odio, non mi piacciono.
Asuka lo sapeva. Da piccolo lei gli aveva preso le caramelle
colorate.
Ricadde sul letto, di schiena.
Devo chiamare l'avvocato.
Doveva sapere se i suoi genitori erano già arrivati
in America.
Chiuse gli occhi.
Ma in fondo, loro non sono
mai stati d'aiuto.
Dormì di nuovo.
A nove anni Shun era arrivato a una conclusione su Hideki
Yamato.
"Preferisce te, Asuka."
Un
eufemismo: suo padre si comportava come se Asuka fosse l'unica
figlia che aveva. Solo a lei permetteva confidenze e dimostrazioni
d'affetto che in ogni
caso non ricambiava, mentre se era Shun a provare a stabilire un
legame, Hideki
lo guardava come se si stesse comportando in maniera assurda.
Shun si era ricordato che non aveva mai chiamato
quell'uomo 'papà', ma Asuka lo aveva fatto, e ogni tanto lo
faceva ancora. Non era lei a ricevere sguardi di pietà misti
a fastidio, che la invitavano a non riprovarci.
A quel tempo vivevano con Hideki da circa sei mesi, da quando
Reiko aveva
dichiarato di non sopportare più il Giappone. Lei
aveva fatto scegliere ad Asuka.
"Shun è un bambino, tu sei quella che
farà
più storie. Non voglio problemi, capito? Dove vuoi
vivere, qui o in Francia? In ogni caso io ci torno il prossimo
mese, anche senza di voi."
L'esperimento di coabitazione in uno stesso paese - per
permettere
a Hideki di vedere Asuka - non aveva funzionato.
A Shun non era
sfuggito che, ogni volta che i suoi genitori si erano lanciati
recriminazioni su quella scelta, il nome di lui non era mai
saltato fuori.
A Hideki non importava di avere vicino suo figlio.
Asuka ne era stata cosciente. "Vivremo qui in
Giappone."
"Come preferisci." Reiko aveva sospirato
di
sollievo. "C'est
bon! Così finalmente troveremo
tutti la nostra pace!"
A Shun non era dispiaciuto vederla andare via. Come madre
Reiko si era preoccupata solo di assumere altre donne per occuparsi di
loro. Non
era riuscita bene nemmeno in quel compito: non andava
d'accordo con le sue governanti e finiva col licenziarle tutte nel giro
di sei mesi.
L'idea di allontanarsi da lei lo aveva comunque reso
dubbioso. "Hideki ci farà
vivere con lui?"
"Avremo una casa esattamente come ora." Asuka,
quindicenne,
aveva posato le mani sulle sue spalle, rassicurandolo. "Sarà
meglio così, Shun-chan. Hideki
non
è isterico come Reiko. Ci darà una persona fissa
che
farà le cose per noi e non ci disturberà. Mi
prenderò io cura di te, va bene?"
Shun le aveva creduto: non aveva mai dubitato di sua
sorella.
Purtroppo, per lei vivere con Hideki non si era rivelato
semplice.
"Sei uno stronzo!"
"Ripetilo un'altra volta e finisci in collegio!"
Asuka non aveva avuto paura di suo padre. "Ma certo! Poi
chi si prenderà cura di lui?" Aveva indicato Shun. "Io ti
servo!"
"Una ragazzina maleducata non può
crescere un
bambino! Se ci tieni a rimanere nella vita di tuo fratello, cambia tono
seduta stante."
Asuka aveva digrignato i denti, ma si era zittita.
Shun aveva osservato la scena seminascosto dietro la porta
dell'ufficio di Hideki, senza dire niente.
"Hai un unico dovere in questa casa, Asuka: comportarti da
persona per bene. Non so cosa diavolo ti abbia permesso di fare Reiko,
ma questa storia finisce qui." Hideki le aveva mostrato la
pagella. "Questi voti sono
indegni. E oggi un richiamo dal
preside!"
"Tu non mi vuoi ascoltare!"
"Non mi interessa cosa ci facevi in quello
sgabuzzino mezza
nuda. Non ti hanno costretta, a scuola hanno detto che quello
è il tuo ragazzo!"
Asuka aveva tremato per la rabbia, i pugni stretti. "Ci hanno
accusato di esibizionismo, ma ci stavamo nascondendo, okay?! E non
stavamo facendo niente di male! Almeno lui ci tiene a me! Non come te
che passi la notte fuori per stare con una delle tue- delle tue
tante- Sono sgualdrine, sempre diverse!"
Hideki si era avvicinato di scatto, la mano sollevata per uno
schiaffo.
Asuka
si era
ritratta.
Hideki si era calmato velocemente, in un modo che non lasciava
presagire nulla
di buono. "Non ho più intenzione di litigare con
te. Adesso
ti indico i termini che devi rispettare - senza eccezioni - se vuoi
continuare a vivere sotto il mio tetto." Riprese
in mano il foglio dei voti. "Non uno solo di questi deve
scendere sotto gli ottanta punti. Hai tre mesi di tempo." La
fissò dritto negli occhi. "Reiko ti ha cresciuta
nella convinzione che le regole possano essere cambiate per soddisfare
i tuoi capricci, e ti ha lasciato pensare che gli adulti non meritino
più rispetto
dei ragazzi a cui ti accompagni. Io non perderò tempo a
rieducarti, Asuka. Hai quindici anni. O ti regoli da sola nelle
prossime settimane, o lo farà un collegio femminile per
tutto il prossimo
anno.
Sta' a te decidere come andranno le cose. Ora, fuori da questa
stanza."
Asuka non si era mossa.
Hideki era stato inflessibile. "È già
iniziato il tempo in cui deve
rispettare i termini. Obbedisci o pagane le conseguenze."
Asuka aveva deglutito, lanciando un'occhiata a
Shun. Se n'era
andata senza dire
una sola parola, cercando di non correre via.
Shun non l'aveva seguita. In lui il risentimento per il modo
in cui Hideki
aveva trattato sua sorella era stato enorme.
"Noi non ti chiamiamo nemmeno
papà!" gli
aveva urlato contro.
Hideki aveva roteato gli occhi al cielo. "Con te
c'è una ragione precisa."
A Shun la frase era rimasta stampata in testa.
Tre mesi dopo, Asuka era stata mandata in collegio. Shun non
ricordava
se lei non avesse rispettato i termini, o se Hideki avesse
semplicemente deciso di sistemare a modo suo una ragazza turbolenta.
Ricordava quanto
gli era mancata sua sorella. All'inizio con lei si erano sentiti una
volta ogni
due giorni, la sera. Poi, lentamente, le chiamate di Asuka si
erano diradate. Dapprima Shun le aveva ricevute una volta ogni quattro
giorni, in seguito una volta alla
settimana. Sua sorella non aveva mai aspettato più di
così per chiamarlo, ma a dieci anni
quell'attesa gli era parsa infinita.
Alla fine, si era sentito abbandonato anche
da lei. Aveva dato la colpa a Hideki.
In quel periodo la persona più
vicina a lui era Kurumi-san, la donna di mezza età
che gestiva la sua vita e la loro casa. Shun la ricordava
come una
persona poco affettuosa, ma stabile e accomodante. Servile, soprattutto.
Non aveva avuto nessun altro a cui chiedere. "Kurumi-san. Se
un uomo dice a un bambino che c'è
una
ragione se non si fa chiamare da lui papà... cosa significa?"
Gli lasciavano guardare di tutto alla televisione, ad
eccezione dei programmi della notte. Grazie a qualche film Shun si era
fatto già un'idea della risposta.
Kurumi-san aveva smesso di pulire lo specchio
della camera. "Stai parlando di tuo padre?"
"Sì."
Lei aveva riflettuto prima di proseguire. "Dovresti domandare
a lui."
"Non voglio."
"È una risposta che può darti
solo il
signor Yamato."
Shun si era deciso durante una delle loro rare cene insieme,
mentre
Hideki guardava il telegiornale.
Era stato diretto. "Io non sono tuo
figlio?"
Parlare con Hideki lo aveva intimorito, ma aveva iniziato a
contemplare la possibilità
che ci fosse qualcuno al mondo che teneva maggiormente a lui - un
vero padre. Non era stato così ingenuo da desiderare di
vivere con quella persona sconosciuta, ma gli aveva fatto piacere
l'idea che ci fosse qualcuno al mondo che lo pensava da lontano.
Hideki aveva tolto il volume al televisore. "Chi
ti ha detto queste cose?"
Shun aveva sentito battere forte il cuore. "Tu. Hai detto che
c'è una ragione se non potevo chiamarti
papà."
Hideki aveva sorriso, come se stesse ascoltando una
sciocchezza. "Già." Aveva incrociato le dita sul
tavolo, riflettendo. Poi lo aveva guardato. "Non penso che
cambierà molto per te.
Perciò... questa è la storia: io non so se tu sei
mio figlio. Ma non ritengo che abbia importanza."
La sua confusione aveva spinto Hideki a chiedergli un
chiarimento. "Sai come
nascono i bambini?"
Shun si era accigliato. "Me lo hanno spiegato a
scuola."
"Bene."
"Come fai a non sapere se io sono nato da te?"
"Con tua madre ci stavamo separando quando lei
è
rimasta incinta. Reiko frequentava un'altra persona in
quel
periodo. Io non lo sapevo - non era questo il motivo per cui la stavo
lasciando. Me ne sono andato e non ci siamo visti per molti mesi.
Quando
Reiko mi ha
detto di aspettare te, aveva già fatto il lavaggio del
cervello ad Asuka. In fondo, non diceva falsità: tu
sei suo fratello. E con Reiko eravamo sposati quando sei stato
concepito."
Shun aveva ricostruito col tempo il senso di quel discorso, ma
in quel momento non gli era interessato sapere i
dettagli: era o non era
il figlio di Hideki?
"Contestare la paternità sarebbe stato
complicato
e dannoso per me" aveva continuato lui. "Reiko non
voleva lasciarmi portare Asuka in Giappone.
Ho accettato di riconoscerti come mio figlio, così lei si
è
trasferita qui con voi due. Poi ho saputo che aveva cercato di
rimanere in Francia col suo amante e che lui l'aveva
rifiutata. Per me
è stato meglio così."
Perché Hideki gli stava facendo quei discorsi
incomprensibili? "Sono il figlio di quell'uomo?"
"Da qualche tempo mi somigli di più e i nostri
gruppi sanguigni sono
compatibili. Potresti
essere figlio mio. Ormai è disponibile un test
genetico che può dare una risposta sicura, se un
giorno vorrai averla."
Da tempo Hideki gli parlava come un adulto, ma in quel
discorso Shun si
era sentito ancora più bambino e confuso che
mai. "A te non importa saperlo?"
Il silenzio di Hideki si era prolungato.
"Ho un fratellastro"
gli aveva detto lui alla fine. "Mio padre lo trattava come se
fosse la prova vivente del tradimento di nostra madre. Tashii
è
cresciuto come un fallito; non passa anno in cui non mi chieda soldi.
Quando per ironia la storia si è
ripetuta con me..." Il sorriso di Hideki gli era parso sporco,
disilluso. "Non ne è mai valsa la pena. Tutta quella
rabbia... Una
perdita di
tempo, concetti da cavernicoli. Come se ci fosse una
differenza tra un figlio che ha il mio sangue e uno che non ce l'ha.
Non ho passato del tempo nemmeno con Asuka. È
così che vanno le cose, Shun: mandi
i figli in buone scuole e ti assicuri che vengano su come membri
produttivi nella società. Questo significa essere genitori.
Il resto è
un'invenzione." Hideki spense la tv. "Lo capirai quando
sarai grande. Forse l'unico legame che conta al mondo è
quello
fraterno, perché cresci insieme a una persona.
Perciò non ho voluto
dividerti da Asuka, finché lei lo ha reso possibile. Ma...
oramai sei grande. Puoi iniziare a capire queste cose." Si
alzò. "Finisci di mangiare, la tua cena si
raffredda."
Shun non aveva ripetuto quella conversazione ad
Asuka, nemmeno quando lei era tornata per le vacanze
estive. La possibilità che non fossero veri
fratelli era
stata l'unica cosa che lo aveva spaventato. Almeno in quel senso il
discorso
di Hideki gli era venuto in aiuto: se era cresciuto assieme ad Asuka,
era comunque il fratello di lei. E Asuka lo amava.
Perché allora
non ti sei più presa cura di me?
Di ritorno dal collegio, un anno dopo, Asuka aveva passato
più tempo al telefono con le sue amiche. Ormai usciva
più con loro che con lui, ma pur sentendosi abbandonato,
Shun non era riuscito ad
odiarla. Le
loro serate insieme al fast-food e al cinema non erano
sparite. Asuka era tornata a comprargli i vestiti che più
gli
piacevano, e gli aveva organizzato una festa di compleanno in una sala
giochi coi suoi compagni delle elementari. Sua sorella lo
aveva amato.
Lei aveva scoperto che lui sapeva la verità solo
quando Reiko era venuta a trovarli per una settimana - una delle sue
solite toccate e fughe, per dirsi da sola che non si era
dimenticata dei suoi figli.
A dodici anni Shun non aveva resistito. "Mi piace quando ci
fai dei regali."
"A me non dispiace farveli" aveva sorriso
Reiko. "Sono vostra madre, no?"
"Ma non vivi con noi."
Asuka si era intromessa. "Stiamo bene - meglio, da
quando viviamo per conto nostro."
Reiko aveva concordato. "Caro, io ero nervosa passando tutto
il tempo con voi ragazzi. Da buona madre,
ho capito che era meglio che non viveste con me."
Lui si era interessato ai drama che avevano per protagoniste
delle
famiglie. Non faceva che guardarli, affascinato da dinamiche che gli
erano
sconosciute.
Quel giorno aveva copiato una battuta che aveva
sentito in uno dei suoi telefilm preferiti - uno scherzo nella
finzione, una vera accusa nella realtà.
"Una buona madre sa chi è il padre dei
suoi figli."
Reiko si era zittita, una tomba di indignazione e
vergogna. Poi aveva dato di matto. "Cosa stai dicendo?! Come
puoi-?!"
Shun le aveva riferito quello che aveva saputo da Hideki.
Della reazione di lei non gli era importato molto, si era
interrotto solo quando aveva visto lo sguardo sorpreso di sua sorella.
Non si era pentito, aveva continuato a parlare. Loro tre insieme, che
cenavano
fuori come una famigliola felice... be', era una
commedia insopportabile.
Reiko si era calmata a beneficio del ristorante in cui si
trovavano, per non dare altro spettacolo.
"Fils de pute"
aveva sibilato. "Hideki non sa quello che sta
dicendo! Tu sei suo figlio, hai capito? A voi non deve interessare
quanto sono stata infelice in passato!"
Si tratta sempre di te.
Shun non le aveva creduto: Reiko viveva in un mondo suo, in
cui le cose giravano come più le conveniva.
Non biasimava il tipo che aveva lasciato una
regina del dramma come lei - lo giudicava piuttosto per averci avuto a
che fare. Hideki
era un altro esempio del tipo di
persona che Reiko aveva attirato. Se l'uomo
sconosciuto era il padre di Shun, lui sapeva di non avere bisogno di un
altro adulto concentrato su se stesso, che non sapeva che farsene di un
ragazzino.
Una volta soli, Asuka glielo aveva confermato senza
volerlo. "Da quanto lo sai, Shun?"
"E tu?"
Lei non aveva risposto subito. "Non so se Hideki
sia anche tuo padre. Non importa, sono io la tua famiglia. Loro non
hanno fatto niente di buono per noi due."
Una cosa su cui era stato d'accordo. "Ma da
quanto lo sai?"
Asuka aveva sospirato. "Ero piccola, ma li ho
sentiti litigare per questo. Ho anche conosciuto... l'altro tizio. Non
mi
voleva tra i piedi, era antipatico."
Shun non aveva avuto bisogno di ascoltare oltre. "Hai
ragione. Non importa."
"Non nascondermi più cose come
questa." Asuka gli aveva stretto la mano. "Fa male
stare in silenzio. Io non voglio che tu lo faccia con me, capito? Noi
dobbiamo dirci tutto."
Negli anni Asuka lo aveva informato anche di cose che un
ragazzino non avrebbe dovuto sapere,
ma a Shun non era dispiaciuto. Si era sentito grande
nell'ascoltarla, nell'aiutarla. In fondo, Asuka aveva avuto solo lui
come famiglia. Quando lei gli parlava
della propria confusione di adolescente a volte gli trasmetteva
incertezze che lui non sapeva come gestire.
Eri solo una ragazza.
Il giorno in cui Asuka aveva comprato una casa, ottenendo da
Hideki di farlo vivere con lei, l'ammirazione di Shun non aveva
conosciuto limiti.
Finalmente siamo
liberi.
Le sue recriminazioni contro Hideki e Reiko erano morte col
tempo. Era difficile rimanere arrabbiati con persone che non
frequentava. Non per questo aveva rifiutato i regali comandati che
entrambi avevano mandato a lui e a sua sorella - ingenti somme di
denaro. Aveva imparato da Asuka l'opportunismo, la furbizia.
"Stai scherzando? Ce li devono! Ricevi tutto quello che ti
danno, okay? Secondo me, quando inizieremo a lavorare, non vedremo
più un soldo!"
Così Shun era diventato un risparmiatore. Aveva
accumulato.
Doveva tutto quello che era e che possedeva ad Asuka.
Lei gli aveva insegnato a essere autosufficiente, lo aveva spinto a
credere in se stesso.
In cambio, io ti ho
lasciato sola quando sei morta. Non ti ho raggiunto in tempo.
Si svegliò.
Quando si riprese dal dolore, chiamò l'avvocato e
andò in ospedale.
Fece il suo dovere e attese di fronte alla camera mortuaria
dove avevano trasferito Asuka.
Nel pomeriggio udì dei passi grevi lungo il
corridoio.
Hideki era arrivato.
Shun non lo incontrava di persona da due anni. Lo
trovò
stanco e vecchio, con nuove rughe profonde sulla fronte e ai lati della
bocca, tra i capelli fili ingrigiti.
Shun non si cambiava da due giorni, ma Hideki indossava un
completo stirato di fresco, con la cravatta ben annodata al collo.
Non ti vergogni?
Aveva ancora la testa per pensare alle apparenze.
Prima di accusarlo, notò che i movimenti di lui
rallentavano mentre si avvicinava. Per la prima volta in vita
sua Hideki non sapeva dove andare, anche se stava leggendo con i suoi
occhi il cartello col nome di Asuka accanto alla porta.
Era una scena patetica.
Suppongo che nemmeno tu,
Asuka, voglia vederlo così.
Shun si alzò e lo precedette accanto al letto dove
stava lei, per fargli strada.
Hideki entrò nella stanza, giacca e valigetta salde
sotto il
braccio. Si fermò ai piedi di sua figlia morta, senza osare
un
altro passo.
Vi fu silenzio.
Hideki chiuse gli occhi.
Non so dov'era
questa compassione mentre tu eri in vita, Asuka. Shun
allungò un dito, per toccare i capelli di sua sorella. Ma ecco qui. Ecco qualcosa per
te.
Smise anche lui di guardare.
«Com'è successo?»
La voce di Hideki era un singulto represso, controllato.
Shun raccontò quello che sapeva.
Nel ripetere la storia la rivisse - con Asuka morta accanto a
lui
che gli ricordava il finale - e non riuscì a sfiorarla
oltre. Si
allontanò verso una sedia appoggiata alla parete della
piccola
stanza.
Cinque minuti dopo Hideki era ancora in piedi, dritto e
immobile accanto al viso di lei.
Shun ebbe un ricordo di Asuka, che da bambina correva verso
Hideki. Lui le aveva toccato una spalla, forse aveva sorriso.
Una scena da un'altra vita.
Uscì dalla stanza, lasciandoli soli.
«Quanto rimarrai?»
Hideki si era ricomposto. Quando lo aveva sentito
singhiozzare, Shun
si era allontanato verso il fondo del corridoio. Era tornato dopo
mezz'ora.
«Due settimane.»
Bene. La precisione piaceva a entrambi. «Riuscirai a
sistemare tutto in quattordici giorni?»
Hideki alzò gli occhi. Non gli era sfuggito a cosa
si riferiva.
«Parlerò della bambina con
Reiko.»
Pessima idea. «Nel frattempo puoi firmare i
documenti.»
In attesa di sentirlo elaborare, Hideki strinse le palpebre.
Aveva capito.
«Per l'affidamento.»
«Non posso trasformarla in una soluzione
permanente.»
Shun non aveva dubbi sul fatto che Hideki non volesse
prendersi cura di una neonata. Ma si era ri-sposato da poco, forse...
«Tua
moglie ha un figlio di dieci anni.»
«Lui non sta con noi, passa più tempo con
suo padre - come dovrebbe essere.»
Comprendendo, Shun si irrigidì. «No.
Non manderai la figlia di Asuka dal bastardo che
le ha mentito. Lui sapeva che era incinta e l'ha lasciata! È
sposato!»
Hideki tornò dritto con le spalle. «Asuka
non
c'è più. Quella bambina ha bisogno di qualcuno
che si
prenda cura di lei. Ha un genitore ancora in vita.»
«Non capisci.
L'unica cosa
che Asuka vorrebbe ora è che sua figlia non finisca con
quell'uomo!»
«Non ci sono alternative.»
Hideki si voltò e Shun lo afferrò per un
braccio.
«Non ti ha raccontato come è stata
trattata. Lei lo odiava!»
Hideki strinse i denti.
Tra loro non c'era mai stato uno scontro
fisico, ma Shun aveva talmente tanta voglia di picchiare qualcuno -
qualunque cosa - che aveva solo bisogno di essere provocato.
Hideki lo
vide, forse provò un minimo di pietà. Non
reagì.
«Dobbiamo contattare quell'uomo in ogni caso. Se la
vorrà, non potremo opporci.»
Shun si tranquillizzò: aveva trovato la chiave
della sua vittoria. «Non la vorrà.»
Lasciò andare Hideki. «Se ne sbarazzerà
per la
seconda volta, come ha fatto con Asuka.»
Hideki ebbe un primo dubbio. «Le persone possono
cambiare. Quell'uomo ha delle responsabilità.»
Era un buon concetto. «Ricordatelo quando se ne
laverà le mani. E quando lo farà anche
Reiko.»
Lasciò il corridoio dell'ospedale.
Durante la mattina aveva riflettuto.
Aveva il dovere di badare
all'unica cosa che sua sorella aveva al mondo: una figlia.
Reiko era una soluzione da scartare, ma Hideki... Hideki era
una
sistemazione adeguata, alle giuste condizioni. Shun dubitava che lui
avesse preso in moglie una donna materna, che avrebbe sentito il
bisogno di fare da matrigna a una bambina sconosciuta - anche se non
era una possibilità da scartare. Di quella donna
sapeva poco, giusto ciò che gli aveva raccontato Asuka.
Lavorava anche lei come avvocato, pertanto sicuramente passava la
maggior parte del suo tempo in ufficio.
Era perfetto.
Nella casa in cui erano brevemente vissuti lui e Asuka, si
poteva
replicare la situazione in cui era cresciuto il suo amico
Alexander. Neppure
i genitori di lui erano state presenze importanti nella sua
vita quotidiana. La madre di Alex, Eve Foster, era una donna
benintenzionata ma frivola, inadatta a fare da genitore. Cosciente
della propria incapacità, la signora aveva assunto una tata
che
aveva
fatto da seconda madre al suo miglior amico, per quasi tutta
la vita. Shun aveva passato del tempo con Alexander e quella
donna, nonché col marito e i
due figli di lei. Mai come in quei momenti si era sentito vicino a un
ambiente familiare normale. Grazie a Shoko Kaiba, Alexander
era venuto su in maniera equilibrata, sentendosi come un terzo figlio
per lei.
Non c'era motivo per cui Hideki non potesse dare vita a
qualcosa di
simile. A differenza di Reiko lui non avrebbe licenziato una buona
bambinaia per
capriccio. Al contrario, Hideki bramava la stabilità: gli
dava
meno problemi. Bastava trovare un'ottima
governante - Shun poteva supervisionare la scelta - e la bambina era
sistemata a vita.
Se sua nipote fosse cresciuta a casa di Hideki, Shun poteva
tornare
in Giappone e passare occasionalmente a trovarla. Quando fosse
cresciuta, le avrebbe fatto da zio, guidandola come poteva.
Era una soluzione... adeguata. Non perfetta, ma migliore di
qualunque altra gli venisse in mente.
Hideki doveva vedere la ragione. Nessuno gli chiedeva
di fare il padre o il nonno - anzi, più
stava lontano dalla bambina, meglio era. Ma aveva i mezzi
finanziari e la possibilità di garantire a sua nipote
un'esistenza dignitosa, con una persona che si sarebbe affezionata a
lei.
In fondo, anche l'affetto
si può comprare.
Scosse la testa.
Shoko-san non amava Alexander perché c'erano di
mezzo i
soldi. Esistevano
persone buone a quel mondo, che passavano del tempo
con un bambino e iniziavano ad amarlo con tutto ciò che
erano.
Come famiglia Yamato, loro dovevano trovare una di quelle
donne
per Arimi.
È un nome troppo
femminile, sorella.
Ma, se tutto funziona come
deve, quando sarà grande le insegnerò io ad avere
un po' di carattere.
Davanti al reparto neonatale, emise il suo primo debole
sorriso.
Chiuse gli occhi e appoggiò la nuca contro il muro.
Sto facendo del mio meglio,
Asuka. Non ti deluderò anche in questo.
«Signore?»
Un'infermiera lo stava chiamando. Era la donna con cui aveva
parlato il giorno prima.
«Vuole vedere la bambina? L'abbiamo tolta
dall'incubatrice.»
«No.» Si trovava lì solo... per
esserci. Stava pensando al futuro della figlia di Asuka, ma
non era ancora pronto ad averci a che fare. Non voleva
toccarla di nuovo. «Va bene così.»
L'infermiera andò via, confusa.
Shun non voleva spiegare a nessuno che, nella sua misera
immaginazione, si figurava una copia di Asuka da bambina, nel futuro.
Nella realtà Arimi Yamato poteva
essere completamente diversa, forse più simile a suo
padre -
come tante femmine. Lui non aveva riconosciuto nessuno nell'esserino
informe che aveva incontrato. In ogni caso, lei non sarebbe
mai stata Asuka.
Tengo a lei in prospettiva,
in lontananza.
Era seduto davanti a quel reparto perché sua
sorella non poteva farlo. La stava rappresentando. Di suo, non
provava ancora niente per sua nipote.
Per questo c'è
bisogno di una persona normale che le stia intorno.
La troverò per
te, Asuka.
Dopo le cinque, la camera di sua sorella all'ospedale si era
riempita di gente sconosciuta - colleghi di lavoro di lei.
Shun li aveva ricevuti con cautela, da principio con noia.
Asuka non
gli aveva raccontato di avere tanti amici, perciò
quelli erano solo conoscenti. Tuttavia avevano pianto per lei, con
sincerità. Una ragazza gli aveva portato una
piccola lepre
di plastica, con la testolina che dondolava.
«Asuka lo teneva sulla scrivania. Dava un colpetto
alle
orecchie e diceva, 'Anche oggi corro più veloce di
te!'»
Era così da Asuka. L'agonia lo aveva travolto
daccapo.
«Per quanto starà qui?» gli
avevano chiesto.
«Fino a domattina. Poi ci sarà
un'autopsia.»
Prima di andarsene Hideki aveva chiarito il proprio piano:
voleva capire
se c'erano gli estremi per intentare una causa all'ospedale.
Shun non sapeva se era un modo produttivo di incanalare la
rabbia. Non gli importava.
Tornò all'hotel di sera, dopo aver comprato dei
vestiti. Non
voleva ancora recuperare le valigie lasciate a casa di sua sorella.
Lo choc stava sparendo, lasciando il posto a una
realtà priva di senso.
Pensare a sua nipote era solo una distrazione.
Aveva passato tutto il pomeriggio vicino ad Asuka, sdraiata
sul letto, ed era stato come averla ancora accanto.
Prima di lasciare la stanza aveva guardato nella borsa con gli
effetti personali di lei, che aveva ritirato solo quel
giorno. La
foto sulla patente di guida americana aveva sottolineato la differenza:
nell'immagine c'era una ragazza viva, sorridente, sicura - qualcuno che
se n'era andato da tempo da quelle quattro mura.
Shun si accasciò sul letto dell'hotel.
Bussarono alla porta. Raccogliendo
volontà, lui si trascinò ad aprirla.
In corridoio stava sua madre, Reiko.
Lei aveva i capelli in una crocchia, le ciocche che sfuggivano
alla
pettinatura. Il trucco era sbavato sugli occhi e Reiko stava ferma,
tremante davanti alla porta della camera.
Il suo viso si distrusse in una smorfia di
dolore. «Non ho fatto in tempo a vederla!»
Crollò contro il suo petto. Shun non si
scostò. Era troppo stremato per reagire.
«La camera mortuaria era chiusa!»
Sei la madre,
te l'avrebbero fatta vedere se avessi insistito. Come se
lei non sapesse fare scene.
Ora per cosa stava piangendo? In quarantasette anni di vita,
si stava
comportando più da madre in quel momento che in
tutto il
resto della sua esistenza. Proprio quando sua figlia ormai era morta.
Come facevi ad avere
pietà di lei, Asuka?
Sua sorella diceva che sua
madre aveva bisogno di essere compresa, anche se era molto
difficile farlo. Bisognava essere pazienti con lei, senza esagerare.
Starle lontano
era più salutare. "Però" gli aveva confessato,
"mi
piace quando mi cerca. In fondo, è mia madre."
Per Asuka, Shun mosse la mano su una spalla di lei - una
carezza misera, l'unica che Reiko si meritava.
I singhiozzi di sua madre lo fecero stare male per un altro
motivo.
"Andiamo, Reiko, piantala!" Così aveva urlato
Asuka. "Anche io ho i miei problemi, sai?"
Torna.
Piegò la testa contro la spalla di Reiko.
«Siamo soli, Shun!»
Il lamento di lei lo risvegliò dal suo dolore.
A differenza di sua madre, lui non stava pensando solo a se
stesso.
«Riprenditi. Non servi a niente ad Asuka piangendo.»
«Non essere insensibile, ho perso mia
figlia!»
Lui la tirò piano dentro la stanza, lontano dal
corridoio. «Non urlare, la gente dorme.»
Reiko obbedì. Tendeva ad adeguarsi agli ordini
finché si sentiva guidata nella direzione che desiderava.
«Domani voglio vederla»
singhiozzò.
«Ti accompagno. Hai preso una stanza?»
Reiko annuì, coprendosi il naso con una mano.
«Non in questo hotel.»
Ma certo. Pensare di stare
vicino a tuo figlio... inconcepibile.
Mandò giù la
bile. Perché si aspettava ancora qualcosa da lei?
Era uno stupido. Con Hideki si era arreso, ma Reiko era la sua
vera madre, senza
ombra di dubbio. La trovava stupida, egoista, un essere umano
indegno... ma almeno dopo la morte di sua sorella...
No, Asuka. Tu
eri l'unica che mi voleva bene.
«Domattina presto ti porterò da
Asuka.» Così si sarebbe liberato rapidamente di
lei.
Reiko stava singhiozzando contro un fazzolettino di tela,
recuperato
dalla borsa. «Eri con lei quando è
successo?»
«No.»
Reiko si disperò. «Me l'hanno
uccisa!»
Shun attese qualche momento, ma udì solo altre
lacrime e
non la domanda che si aspettava.
«Hai una nipote, sai?»
«Asuka non avrebbe dovuto farsi mettere
incinta!»
Questo
sì che risolve tutto.
«Smettila.»
«Smettila, cosa? Tu hai avuto tutto il giorno per
soffrire! Io arrivo qui e nemmeno riesco a vedere mia
figlia...»
«Hai urlato?» si alterò lui.
«Sei andata alla reception gridando di vedere
Asuka?»
«Era tutto chiuso! Mi sono persa!»
Shun non credette alle proprie orecchie. «Almeno hai
chiesto a qualcuno?
Hai provato a vederla, o hai preferito venire qui a piagnucolare per
farti consolare?!»
Lei scattò a picchiarlo su una spalla, ma lui le
prese velocemente
il braccio.
«Non sono Asuka» sibilò.
«Da adesso ti imporrò di
trattarla come avresti dovuto fare!»
Nel viso di Reiko c'era una smorfia di orrore. «Ma
come ti ho cresciuto?!»
Per la rabbia Shun chiuse gli occhi e non rispose. La battuta
di risposta era troppo facile.
«Sono sconvolta, Shun! Ho perso una figlia! Tu hai
perso una sorella-»
«Non metterci sullo stesso piano.» Lui
conosceva Asuka mille volte più di lei.
Reiko sospirò, sfatta nel bel viso che credeva di
poter usare per
suscitare pietà. Lui la trovava solo grottesca.
«... non vuoi piangerla insieme?»
No, lui non era come Reiko. Non avrebbe messo prima se stesso
e la propria ira. Quelli erano i giorni di Asuka.
«Domani alle sette torna qui e andremo da
lei.»
Reiko si coprì il volto con due mani. Riprese a
piangere.
Shun andò a sedersi sul bordo del letto. Non
litigherò con lei stasera.
Anzi, non aveva intenzione di farlo mai, per se stesso. Asuka
non avrebbe voluto, non ne valeva la pena.
Era solo una questione di pochi giorni, poi avrebbe avuto
Reiko e
Hideki fuori dalla sua vita, come sempre. Più di prima anzi,
perché non ci sarebbe più stata Asuka a...
Eri tu che li chiamavi,
quelle due volte l'anno. Ricordavi a entrambi di telefonarmi.
Non aveva mai avuto una vera famiglia, ma ora non ne aveva
più nemmeno l'ombra.
Sua sorella se n'era andata.
Si diresse alla porta della stanza e l'aprì.
«Voglio stare da solo.»
Reiko si trascinò verso il corridoio e lui la
chiuse fuori.
Non la guardò nemmeno una volta.
CONTINUA...
NdA:
La seconda parte della storia.
Nel prossimo capitolo Shun capirà che i piani che
ha fatto
per sua nipote non sono realizzabili. È possibile che
inserisca
già il personaggio di Alexander Foster, il suo migliore
amico,
poiché come raccontato in Verso l'alba - saputo della morte
di
Asuka - Alexander raggiungerà Shun in America.
Avrete potuto notare che tra i componenti della famiglia
Yamato ci
sono atteggiamenti che non sempre seguono le dichiarazioni dei tre.
È mia intenzione esplorare questa rete di dinamiche
familiari
complesse.
La morte di Asuka ha portato Shun vicino a dei genitori con
cui lui
non ha a che fare da molto tempo (e viceversa). Sarà una
situazione instabile, considerati i problemi che si ritroveranno ad
affrontare con Arimi Yamato, la figlia di Asuka.
Sono contenta di essere andata avanti di un altro capitolo nel
raccontare questa vicenda. Ho molta voglia di parlare di quello che
accadrà a Shun e Arimi :)
Grazie per aver letto fin qui!
Elle