Back to the origins

di scrittrice in canna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** he told me to follow my heart. ***
Capitolo 3: *** Back to the origins ***
Capitolo 4: *** Find him, now! ***
Capitolo 5: *** Have you ever think about soulmates? ***
Capitolo 6: *** Take this bastard. ***
Capitolo 7: *** Couldn't live whitout you... i guess ***
Capitolo 9: *** I need to find her. ***
Capitolo 10: *** Hardest 180° of my life ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dieci mesi, erano passati dieci mesi da quando era arrivata in Israele, tirava avanti con un lavoro in un supermercato di zona, ogni tanto mentre timbrava il cartellino pensava a quando glielo disse lui, sicuramente non era una cosa da prendere alla lettera ma a lei piaceva e le permetteva di avere abbastanza tempo libero per poter… be’ mangiare, correre, dormire e leggere. In verità non faceva granché, non era abituata al tempo libero, a Washington non ne aveva spesso e quando succedeva era sempre in compagnia di qualcuno: Abby, Tony, McGee… certe volte si ritrovava persino a casa di Gibbs, con un bicchiere di Bourbon in mano mentre parlava a ruota libera e lo osservava sistemare la sua barca o, recentemente, cose come sedie di legno e balocchi vari. Ma, si ripeteva, quello era un capitolo chiuso, finito, orami quella che si alzava ogni giorno non era la vecchia Ziva, ma una nuova e raggiante, una Ziva che lasciava sempre i capelli sciolti, che indossava di nuovo i vecchi vestiti da addestramento del Mossad e ciondolava per casa con un bicchiere di caffè in mano, ma tutti questo stava per cambiare grazie a una telefonata: “Pronto, Orli?”
“Cara Ziva, da quanto tempo! Come va?” rispose una voce gioiosa all’altro capo del telefono.
“Saltiamo i convenevoli, cosa vuoi?” tagliò corto l’altra.
“Avrai sicuramente sentito parlare di un terrorista chiamato Benam Parsa, vero?” Ziva accese il televisore sul telegiornale della ZNN e osservò l’intervista a un agente NCIS che lei non aveva mai visto, biondina, giovane, in sovraimpressione appariva il nome: “Ellie Bishop”, stava parlando proprio di lui.
“Sì, certo… se ne sta occupando l’NCIS, perché dovresti pensarci tu?” disse poi cercando di seguire il discorso in inglese, tutti quei mesi a parlare in Ebraico l’avevano arrugginita.
“Lo saprai, se accetti di collaborare con la squadra Kidon per catturarlo.” Aggiunse la direttrice.
“Orli, sai che non ho la più pallida intenzione di…” stava per propinarle un discorso convincente finchè l’inquadratura della TV non si allargò e mostrò la sua vecchia squadra accanto alla ragazza di prima, c’erano tutti e tre e ora stavano intervistando Tony, capì dalle sue parole che erano in pericolo e che se Parsa non fosse stato fermato ne avrebbero risentito tutti, loro compresi, guardò la data di registrazione, solo qualche giorno prima, forse c’era ancora tempo. Bastò questo a farle cambiare idea: “Quando posso venire?”.

 
Il ragazzo girò il coltello tra le mani, fece due passi a destra e poi due a sinistra, si fermò, guardò il pannello che si trovava davanti, storse un po’ il naso e lanciò il coltello contro una parete, più precisamente in una foto, proprio nel petto della sua prossima vittima.
 
Scrittrice in canna’s corner
Hola a tutti! :3
Questo è un piccolo esperimento, mooolto piccolo, chiamiamolo un prologo u.u
 ditemi se vi piace e se volete che continui, la mia fantasia a volte fa di queste cose >.<
Già ho in mente tutta la storia ma se a voi non piace la tengo nel cassettino e non la pubblico, eh...
Scrittrice in canna

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Capitolo 2
*** he told me to follow my heart. ***


Il suono insistente della penna di Tony sbattuta sulla scrivania era l’unica cosa che produceva rumore in ufficio, che era deserto, nessuno era arrivato così presto: era mattina, ma la luce della luna, che piano spariva, illuminava l’ufficio, sullo schermo la foto di Parsa, l’unica che avevano, e un dubbio scritto su un post-it da Ellie, la sera prima, che recitava: “CHI È IL PROSSIMO?”. Lui era rimasto in ufficio tutta la notte dopo l’intervista della ZNN, di tornare a casa non se ne palava, non voleva lasciarci le penne, l’avevano già colpito una volta. Mentre continuava a mettere insieme i pezzi del puzzle, il direttore Vance uscì dall’ascensore e salutò Tony con la mano libera dalla ventiquattr’ore: “Sei tornato a casa, ieri sera?” chiese vedendolo sciupato, lui rispose senza alzare lo sguardo: “No, direttore.” L’altro si avvicinò, guardò la foto sullo schermo grande e fece due più due, poi disse: “Forse dovresti sapere che la squadra Kidon, del Mossad, arriverà in giornata per collaborare al caso.” Concluse indicando l’immagine del terrorista, poi si allontanò e andò verso il suo ufficio senza aspettare reazioni.
 
Rientrare al Mossad era come riaprire vecchie ferite risanatesi da poco con una tenaglia, nonché ammettere la sconfitta: tornare lì non l’aveva fatta cambiare, anzi, l’aveva fatta tornare alle origini, ma se serviva quello per salvarli, l’avrebbe fatto.
“Bentornata! Vieni, incontrerai i ragazzi della squadra.” Orli la aspettava proprio davanti alle porte dell’agenzia, l’accompagnò fino alla zona centrale dell’edifico dove tre ragazzi stavano giochicchiando con i loro coltelli, quando le due arrivarono quasi tutti si misero a fissare la donna accanto ad Orli in maniera indiscreta, non è una cosa di tutti i giorni vedere l’unica David ancora in vita, la prima a dire qualcosa fu la direttrice del Mossad che fece le presentazioni: “Ragazzi, lei è Ziva David, ex agente del Mossad. Ziva, loro sono Karim, Christian e conosci già Liat.” Le due ragazze si avvicinarono e si strinsero le mani, Liat sorrise: “È un piacere rivederti.”
“Cos’è successo al tuo partner?” chiese Ziva, fredda. Il sorriso sulla faccia della ragazza sparì.
“Morto. Un’imboscata nel Kuwait.” L’avrebbe dovuto immaginare, lei aveva una cicatrice sulla fronte, sicuramente un proiettile preso di striscio, le sue capacità investigative erano offuscate, le lasciò la mano e salutò gli latri con un cenno della testa, Orli diede delle rapide istruzioni alla squadra: “Sappiamo che Parsa si sposta spesso, un po’ in Medio Oriente, un po’ in Europa e spesso in America. Dobbiamo prenderlo quando pensa di non essere osservato, ho più di una squadra sparpagliata in tutta l’Europa, voi dovete andare in America, dove lo dirà Ziva. Conosce l’America molto meglio di tutti noi, tieni il fascicolo, studialo. Partirete stasera stessa.” Detto questo andò via, quando si fu allontanata abbastanza, Ziva cominciò a sfogliare il fascicolo e notò che quasi tutti i fascicoli erano scritti da Ellie Bishop, la stessa persona che aveva visto nell’intervista, guardò le persone che stavano davanti a lei, non poteva fidarsi di loro, non avrebbe dato nelle mani di nessuno di loro la vita delle persone a cui teneva di più: “Karim, tu andrai a Los Angeles. Christian, Nebraska. Liat, Canada. Ho bisogno di qualcuno che mi accompagni.” Non appena Ziva finì di dire così, nel salone entrò Monique: “vengo io con te, David.” Le due ragazze si sorrisero. “Partiamo stasera, non tardare.” Aggiunse Ziva allegra.

Le due amiche si ritrovarono su un volo che partiva da Gerusalemme ed arrivava all'aeroporto La Guardia di New York, mentre Ziva osservava il via vai di gente Monique la osservava a sua volta, dopo un po' chiese curiosa: "Ziva, perché hai accettato questa missione?" L'latra sorrise e rispose: "Sto facendo quello che mi ha detto un gande uomo: seguo il mio cuore."
 
Parsa prese una foto dalla parete lasciandone un pezzo attaccato alla puntina, la guardò bene e la mise in valigia, spense tutte le luci e, preso il trolley, si diresse in macchina, qualche minuto dopo si trovava in aeroporto, si sentì la voce di un’hostess che annunciava che il volo per New York da Gerusallemme sarebbe partito a breve e pregava i passeggeri di imbarcarsi.




 
scrittrice in canna's corner
Ok, dopo che mi avete tartassata e dato che vi avevo lasciati con un piccolo prologo aggiorno già oggi,
così invece di un prologo avete un prologo e un piccolo capitoletto. Sì, so che i capitoli sono corti, ma voglio far andare questa prima parte della storia piano piano, 
prometto che già dal prossimo capitolo comincierà la parte interessante della storia! ditemi se va tutto bene o se volete che cambi qualcosa, non so... 
le parti finali in ci si vede Parsa o qualunque altra cosa voglio che questa storia venga benissimo! (per quanto io possa farla venire bene, ovvio)
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 3
*** Back to the origins ***


All’aeroporto La Guardia di New York centinaia di persone stavano aspettando per salire su un aereo o rivedere persone care che tornano da un viaggio, su una panchina un ragazzo si tormentava le mani mentre aspettava che la ragazza che amava scendesse dall’aereo, quando la vide lei lasciò la valigia ai piedi della sua amica e scappò tra le sue braccia, Ziva guardava la scena da lontano e sorrideva al pensiero che quella ragazza sarebbe potuta essere lei, ma non sarebbe stato possibile, Monique la risvegliò dai suoi pensieri con una leggera gomitata sul braccio: “Ehi, sbrigati, un’auto governativa ci sta aspettando fuori.” Aggiunse, l’altra sorrise indifferente e si mise a camminare. Due agenti piuttosto giovani aspettavano loro, erano incaricati di accompagnarle fino alla base, non sarebbe stato un viaggio breve, avrebbero preso un treno e sarebbero arrivati a Washington in quattro ore, dopodiché altri due agenti le avrebbero accompagnate in macchina fino al Navy Yard, sarebbero arrivate all’NCIS in tardo pomeriggio.
 
“Ti senti pronta?” chiese Monique quando ormai erano sul posto.
“Non lo so, ma sento che devo farlo.” Rispose l’amica.
“Scusatemi, siamo arrivati.” Le interruppe uno degli agenti aprendo lo sportello, entrambe scesero con calma dall’auto: Monique cercava di dare all’amica tutto il tempo che le serviva per assimilare il fatto che tra poco avrebbe rivisto tutti e Ziva stava cercando di fermare le idee che le passavano per la mente, i ricordi e tutto quello che portava il ritrovarsi di nuovo davanti a quell’edificio. Entrarono nell’ascensore, salutarono gli agenti e in men ché non si dica si trovavano al bull-pen, i piedi di Ziva si muovevano meccanicamente verso quella che prima era stata la sua scrivania, nell’esatto momento in cui si rese conto che era occupata si risvegliò e salutò la ragazza bionda che la stava guardando: “Piacere, Ziva David.”
“Oh, mi hanno parlato di te! Ellie Bishop, piacere.” Solo a quel punto si rese conto che non c’era nessun’altro, leggermente sollevata si sedette alla scrivania di Tony sotto lo sguardo indiscreto di Monique ed Ellie che disse: “Non vorrei sembrare inopportuna, ma… quella è la scrivania dell’agente DiNozzo.”, Ziva la guardò male, quasi a fulminarla con la sguardo, forse non le avevano parlato di lei come pensava, Monique cercò di rilassare la situazione: “Sa dirmi dove posso trovare l’agente Gibbs?”
“Gibbs è insieme all’agente DiNozzo, sono andati su una scena del crimine, dovrebbero tornare a breve.” Appena finì la frase l’ascensore, seguito dalla voce di Tony, annunciò il loro arrivo: “La prossima volta dovrebbero essere sicuri che sia morto prima di…” non appena vide chi era seduto alla sua scrivania non riuscì a proferire parola, lei sorrise e li salutò con un gesto della mano, Gibbs fece come se nulla fosse, si sedette alla sua scrivania e cominciò a compilare un rapporto, per quei due ritrovarsi faccia a faccia dopo tutto quel tempo non era facile, lei aveva visto la sua sofferenza nel servizio alla ZNN, lui non l’aveva vista passare nottate insonni pensando a quando il portellone del suo aereo si chiuse e lo vide volare via dalla sua vita, non riuscivano a proferire parola, si guardavano e basta, in fondo era sempre andata così, si erano sempre lanciati sguardi di intesa nei momenti in ci le parole erano superflue e quello era uno di quei momenti, mentre quei due erano nel loro mondo perfetto in cui nessun’altro era presente, per gli altri la tensione era tale che si poteva tagliare con un coltello, nel silenzio generale intervenne Abby urlando a tutto spiano: “Ziva! Non ci posso credere! Sei qui!” abbracciò l’amica facendola quasi cadere, dopo un paio di minuti buoni si separò da lei e cominciò a parlare a raffica: “Oh, non sai quante cose ti sei persa, mi sei mancata tantissimo! Sai, la fidanzata di McGee è davvero dolce anche se ora è stata costretta sulla sedie a rotelle da…”
“Ehi, Abby, non la asfissiare, è appena scesa da un volo di dodici ore.” Interruppe Gibbs all’improvviso.
“Ciao Gibbs.” Lo salutò Ziva sorridendo, l’altro sorrise di rimando, non disse altro, fece un cenno con la mano e poi aspettò che lo informasse su cosa era venuta a fare a Washington, dopo pochi secondi Ziva aveva in mano il telecomando e stava facendo scorrere le immagini di Parsa sullo schermo: “Sappiamo che ha varie basi in America, Israele e Europa centrale. Il Mossad ha squadre dappertutto tranne che in America, io sono stata scelta per distribuire queste squadre in quelli che potrebbero essere i punti deboli.” Annuirono tutti, era stata sintetica e chiara, proprio come le aveva insegnato Gibbs, era un altro modo per renderlo orgoglioso, Ellie era ancora seduta ala scrivania, impassibile, sembrava che l’arrivo di quella donna non le avesse fatto nessun effetto, invece era pienamente convinta che la sua felice idea di tornare sarebbe potuta costarle il posto che aveva tanto sudato, non voleva che accadesse e avrebbe chiarito la cosa il prima possibile, non appena se ne sarebbe presentata l’occasione.
 
Ziva stava finendo di asciugarsi le mani, era nel bagno delle donne da circa cinque minuti cercando di mettere in ordine le idee e capire cosa fare, intanto avrebbe cercato di non crollare fino a quella sera, poi avrebbe cercato di trovare Parsa il più presto possibile e, soprattutto, avrebbe fatto quello per cui era tornata a Washington: avrebbe chiarito la situazione con tutti dicendo che non aveva la più pallida intensione di restare, che se ne sarebbe tornata in Israele a caso chiuso e che nessuno avrebbe potuto persuaderla, proprio in quel momento la porta del bagno scattò, in cuor suo sperava fosse Tony ma si presentò Ellie Bishop, che si era piazzata accanto a lei ed era andata subito al dunque: “Perché sei tornata?” “Un po’ presto per il ‘tu’, con credi?” disse Ziva sviando la discussione.
“Rispondi.” Ellie sarebbe crollata da un momento all’altro, non poteva reggere il confronto con quella killer addestrata a non mostrare emozioni, si può dire che lei era la persona più emotiva del mondo, l’aveva dimostrato anche quando, in terza elementare, Louis Martin le aveva regalato una margherita e lei era diventata rossa come un peperone. Mentre Ziva era tranquilla e sicura di sé, appoggiata sul lavandino mentre osservava quella ragazzetta trattenersi dal mostrare l’ansia che la opprimeva.
“Sono venuta ad aiutare la mia famiglia. Tu?” domanda che Ellie non si aspettava: cosa ci faceva lei lì? Era stata letteralmente raccolta dal pavimento da Gibbs, presa e trasformata in un pivello dell’NCIS, non sapeva rispondere, aspettò qualche secondo prima di rispondere: “Sono qui per dimostrare qualcosa a me stessa.” Ziva annuì ed uscì, Ellie imprecò sotto voce: non era riuscita a piegarla nemmeno minimamente, forse non stava dimostrando proprio nulla a sé stessa.
 
“Cosa sono questi? Ehi ti avevo detto solo contanti.” Parsa buttò giù qualche documento dal tavolo di fronte a lui in un impeto di rabbia, l’uomo che gli sedeva i fronte assunse una smorfia che sarebbe dovuta somigliare ad un sorriso e cercò di calmare il terrorista: “Calmo, calmo, tra poco cambierò questi diamanti grezzi in contanti e tutto andrà come deve andare.” Parsa gli lanciò uno sguardo infuocato: “Sarà meglio per te o la tua amata CIA saprà che Trent Kort li ha traditi.”


 
scrittrice in canna's corner
Avete visto? I personaggi del passato sbucano come i funghi :3 
Chissà cosa comnìbinerà il nostro caro Trent Kort... Danno, di sicuro, voi che ne pensate? Lo levo o vi intriga?
Nel prossimo episodio vorrei affrontare la questione Liat/Monique e, solo se volete, anche la questione Tiva o Zibbs, dite voi. Scegliete u.u tanto o prima o dopo li faccio tutti
Vi dico solo che finchè non farò tutte e tre le cose l'indagine non svolterà allo step successivo, diamo il tempo alla nostra Ziva di fare tutto, giusto? :D
Ora vi lascio.
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 4
*** Find him, now! ***


Due foto, era tutto ciò che avevano: una in cui usciva dalla banca e una in cui saliva su una limousine nei pressi di Gerusalemme. Come avrebbero potuto lavorare con solamente due foto? Non avevano niente da cui partire e Ziva si stava torturando, sapeva che era da qualche parte, forse in quel momento stava tranquillamente passeggiando sulle bianche spiagge di Los Angeles o era proprio vicino al Navy Yard, seduto a prendere un thè mentre beffeggiava la polizia Americana, doveva solo capire come beccarlo in uno di quei suoi momenti di tranquillità che erano molto frequenti, come aveva detto Ducky, essendo passato più di un anno sicuramente aveva abbassato la guardia e, secondo quanto diceva Ellie, era proprio quella l’occasione perfetta per stanarlo, ma il problema rimaneva: da dove cominciare?
Erano circa le dieci di sera, Ziva era davanti allo schermo, mordicchiava il telecomando ed esaminava le foto pixel per pixel, ogni singolo dettaglio poteva essere utile all’indagine. Tony era pronto per andarsene, aveva messo a posto le ultime cose nello zaino proprio qualche minuto prima, lei era già lì, poi era andato a sciacquarsi la faccia, ora stava per mettere il cappotto, ma vederla ancora davanti a quello schermo mentre si torturava con cose che non avrebbero portato a nulla lo faceva rattristare, così si piazzò accanto a lei e accantonò l’idea di poter tornare a casa, disse un semplice: “Cosa abbiamo?” Ziva sussultò, si girò e sorrise poi mise le due foto a tutto schermo col telecomando: “Questo…” rispose lei sospirando, Tony assunse una smorfia pensierosa, non era molto, non c’era nulla su cui riflettere: avevano bisogno di trovare di più, si sarebbe messo a lavorarci anche subito, ma doveva prima fare quello per cui si era fermato lì: chiarire.
“Sei riuscita a seguire il tuo cuore?” chiese guardandola, lei però era ancora concentrata sullo schermo, non aveva il coraggio di prenderlo in giro , riusciva solo a dire la verità anche se avrebbe tanto voluto mentirgli, avrebbe reso tutto più facile: “Sì, l’ho fatto…” rispose lei girandosi, Tony alzò un sopracciglio, aspettava che continuasse, lo fece: “… Ho seguito il mio cuore e mi ha riportato qui.”
“Quindi ora resterai?”
“Non ho detto questo.” Tony se ne andò, prese lo zainetto e si diresse verso l’ascensore, non poteva reggere ancora, prima di chiamarlo urlò: “Hai bisogno di più informazioni, fa una ricerca su internet domani, a mente fresca, ora va a casa.” Solo dopo si accorse che lei non aveva una vera e propria casa dove andare, anzi non avevano nemmeno preso un hotel, era letteralmente sotto un ponte, decise di sedersi alla sua vecchia scrivania e cominciare a cercare.
Gibbs sbucò dal nulla, come sempre, si sedette alla sua postazione e scrisse qualcosa su un post-it, lo attaccò dietro il computer a cui stava lavorando Ziva e disse: “Fa la cosa giusta, io sono già fiero di te.” le diede un bacio sulla nuca e andò via. L’orologio bianco sulla scrivania della nuova pivella segnava mezzanotte passata, erano circa due ore che smanettava al computer e non aveva trovato praticamente niente, solo una piccola notizia risalente al Maggio dell’anno prima in cui si diceva che l’agente speciale Gibbs aveva sventato un attacco terroristico organizzato dal terrorista Benam Parsa e che l’FBI stava collaborando con l’NCIS per trovarlo a tutti i costi, in allegato una foto dell’agente Fornell, gravemente ferito durante una sparatoria, ma eroicamente disposto a continuare la sua battaglia contro il crimine. Nulla che potrebbe servire veramente. Così decise di andare in un hotel, magari lì avrebbe trovato un po’ di riposo.
 
Durante la notte passavano nella mente di Ziva immagini raccapriccianti di uomini che lei aveva ucciso: la Damocles, Ari, le sue missioni al Mossad e poi flashback, uno dopo l’altro.

“I have nothing but death in my heart.”
 

“Ziva this is a suicide!”
“It is what it is!... goodbye.”
 
“Why are you here?”
“Couldn’t live without you… I guess.”
“Now you will die with me.”
 
“What is real?”

tutto scorreva veloce come un filmato male organizzato, si svegliò di soprassalto gridando: “Stop!” ma quella volta non c’era nessuno con lei a consolarla, solo una stanza d’albergo buia e vuota.
 
Mentre questo accadeva, dall’altra parte della città Gibbs stava bevendo un bicchiere di Bourbon nella sua cantina in compagnia del suo agente anziano.
“Capo… ricordi quando tornammo da Berlino e tu mi chiedesti se c’era qualcosa che non ti potevo dire?” Gibbs annuì, ricordava bene quella volta in cui lo stesso ragazzo era entrato trafelato con uno sturalavandini in mano nel bel mezzo della notte per parlare di quanto fosse preoccupato delle nocche rovinate della sua collega.
“Ecco effettivamente c’era qualcosa che…”
“Non dirmelo DiNozzo, lo so.” Lo interruppe il capo, Tony restò un attimo allibito poi ricordò con chi stava parlando.
“E non hai intenzione di darmi uno scappellotto perché abbiamo infranto la regola numero dodici o qualcosa di simile?” l’altro sorrise e rispose: “No, non lo farò.”
“E posso chiederti perché?”
“Perché ho già pagato l’errore di quella regola… a mie spese.”
 
Il giorno dopo una chiamata all’MTAC vide le due agenti del Mossad impegnate in una svolta nella faccenda, Orli stava per comunicare informazioni vitali.
“Allora, come va la caccia al fantasma?” chiese la donna dallo schermo.
“Ci stiamo lavorando.” Rispose Monique.
“Molto lentamente… avete qualcosa per noi?” commentò Ziva
“Abbiamo notato attività sospette all’aeroporto di New York qualche giorno fa, date un’occhiata. Shalom.” Detto questo Orli staccò la chiamata e le ragazze si ritrovarono a parlare di piani top secret davanti ad un agente in prova che le aveva fatte entrare nella stanza: “Cos’hai intenzione di fare, capo?” disse Monique scherzosa.
“Mandare Liat a New York.”
 
Quello stesso giorno Liat era nella grande mela che si faceva passare per una turista, con tanto di macchina fotografica, la sera avrebbe dovuto fare rapporto alla base a Washington e così fece:
“Shalom Liat.”
“Shalom Monique. Ho delle notizie molto importanti. Apri le e-mail.” Con un solo gesto McGee prese le foto scattate da Liat e le posizionò in piccolo sullo schermo vicino al volto della ragazza: la banca di cambio di New York, un uomo che entrava con un sacchetto e che ne usciva qualche minuto dopo con una valigia.
“Be’? Molta gente, ogni giorno, scambia diamanti o altro lì con denaro.” Disse Monique non capendo, ma poi l’agente NCIS osservò meglio ed esclamò: “Chiama Gibbs, noi conosciamo già quest’uomo.”
 

“Maledizione Kort! Come hai fatto a farti scoprire? Non servi a nulla!” urlò Parsa
“Calmati, è tutto programmato, quella David è così prevedibile. Loro non ci scopriranno e tu hai i tuoi soldi.” Il terrorista sorrise compiaciuto, forse quegli Americani non erano così inutili infondo.


 
scrittrice in canna's corner
Shalom! :3
Quindi, capitoletto di ispirazione, nulal di che, ma piccola svolta nelle indagini nonchè un po' di Tiva qua e là, me lo avete chiesto e io obbedisco u.u
L'ultima parte può sembrare sconnessa, lo so, farò di tutto per organizzare meglio il prossimo capitolo, questo doveva essere per sistemare un po' tutto dopo l'arrivo di Ziva e Monique, tutto qua, e invece la mia fantasia ha fatto ancora danno :/
Io ora vi lascio dormire(?) e sparisco.
vostra
scrittrice in canna
P.S.: Ho messo e citazioni tanto per farvi paingere, così ma il fatto di Ziva in hotel serve, poi vedrete, per citare Michael: "Patience my little TIVA honeybear." e sono in ingelse perché... boh fa più figo u.u. No in realtà in Inglese mi piacciono di più :3
 

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Capitolo 5
*** Have you ever think about soulmates? ***


Parsa mise gli occhiali da sole, osservò la strada affollata di Washington, si introdusse nella folla e cercò di mimetizzarsi, alzò il cappuccio della felpa, benché fosse quasi estate nella capitale c’era una leggera brezza fresca che rendeva impossibile il camminare a maniche corte, soprattutto di sera, per questo era ancora più facile nascondersi, avrebbe potuto spiare gli agenti senza dare nell’occhio.
 Poco lontano Ziva si stava concedendo un caffè in un bar all’aperto analizzando le poche foto inviatele da Liat sul suo smartphone, McGee aveva affermato che quello era Kort e che c’era una prenotazione a nome “Trent Kort” in un hotel poco lontano, un piccolo motel che non da molto nell’occhio, certo, ma era stato poco prudente registrarsi con il suo vero nome, come se non sapesse che l’NCIS stava indagando e che, in particolare, loro stavano indagando. Avevano svariati precedenti con quell’uomo e lui sapeva bene quanto era meticoloso Gibbs nelle sue indagini, qualcosa non quadrava.
 Passò vicino ad un bar, famiglie felici che facevano colazione, coppiette, la tristezza prese per un attimo il sopravvento, ma poi Benam vide uno degli agenti del Mossad che lo voleva morto e la tristezza si trasformò in terrore, cominciò a correre.
Ziva lo vide, si alzò, lasciò qualche dollaro al tavolo e si mischiò alla folla, era il momento giusto, l’avrebbero preso, finalmente, sarebbe stata lei a piazzargli una pallottola nel petto e l’avrebbe fatto con molto piacere, toccò la fondina: la pistola era al suo posto, pronta a sparare.
 Parsa seguì una strada secondaria fino ad arrivare in un vicolo cieco, lontano dalla folla, pronto ad andare incontro a cosa lo aspettava, si mise faccia al muro e prese il telefono, ebbe appena il tempo di finire di digitare che Ziva gli si piazzò d’avanti con le game allargate e la pistola in mano.


“Parsa, non muoverti!” lo intimò, erano ormai lontani e nessuno li avrebbe sentiti comunque.
“Oh, tu devi essere la figlia di Eli, giusto? Ho saputo. Una tragedia!” La salutò lui a braccia aperte, girandosi. Ziva assunse un’espressione confusa: “Cosa vorresti dire?” Lui continuò: “Dico solo che è un peccato che una stirpe così prestigiosa muoia con te. Avevi un fratello maschio, giusto? Come si chiamava? Ehm… Al… A… Ari!”
“Fratellastro.” Ringhiò Ziva, sempre più adirata.
“Già, dici sempre così per giustificare il fatto che l’hai ucciso. Be’, è un peccato che tua madre non sia potuta vivere abbastanza per dare alla luce un maschio.” Era pronta, il dito sul grilletto.
“Chi ti dice che io non ti ucciderò? Tutto il mondo ti cerca e tu sprechi tempo stuzzicandomi.”
“Svicoli eh? Va bene… io sono sicuro che non mi ucciderai perché di sicuro non vuoi vedere le persone a te più care morire. Come il dottor Mallard, Monique o la signorina Sciuto, l’agente McGee…” Ziva strinse i denti ripensando all’intervista della ZNN.
“… l’agente Gibbs.” Continuò il ragazzo, poi assunse una smorfia maligna e disse, con enfasi: “Il tuo amato agente DiNozzo!”
“Adesso basta!” urlò lei, poi si sentì uno sparo.
La mano di Ziva sanguinava, la sua pistola giaceva a terra, come lei, a qualche metro di distanza, il proiettile le aveva preso di striscio l’arto e ora era accanto all’arma, insanguinato. Trent Kort abbassò la pistola, si sistemò la benda sull’occhio ed esclamò: “Peccato David. Benam, la prossima volta che mi mandi un SMS ricorda la punteggiatura, perdiana!” i due si sorrisero, prima di andare via il terrorista si avvicinò alla ragazza, le alzò il volto con le dita e disse: “Se parlerai a qualcuno di questo nostro incontro i tuoi colleghi moriranno con me.” Le lasciò il viso con disprezzo e si allontanò sghignazzando.
Quando furono abbastanza lontani Ziva si trascinò fino all’ospedale, si fece sistemare il taglio alla mano e si diresse all’NCIS, aveva bisogno di risolvere quel caso. Malauguratamente si trovò in ascensore con Ducky, che era andato a parlare con un suo amico coroner per un altro caso, che notò subito la sua fasciatura e non esitò a chiederglielo: “Cos’hai fatto alla mano?” lei finse un sorriso: “Oh! Ho rotto un bicchiere di vetro.” Potrà aver imparato molto da DiNozzo-pensò Ducky-ma non come si mente. Uscirono ai rispettivi piani, come se nulla fosse.

Tony si accorse subito della ferita della collega, le fece la stessa domanda e lei gli disse la stessa bugia, ma, al contrario del medico, lui non si arrese: “Devi dirmi la verità. Cos’è successo.”
“Nulla! Te l’ho detto, un bicchiere di vetro.” Insistette lei, lui le slacciò la fascia e capì subito che era stato un proiettile, sgranò gli occhi: “Chi è stato?” le teneva la mano piano, terrorizzato dall’idea di poterle fare male, lei si sentì in colpa: come aveva potuto solo pensare di mentigli?
“Un colpo di proiettile, mi hanno preso lì apposta, volevano togliermi la pistola dalle mani.”
“Chi?” Ziva abbassò lo sguardo senza parlare e prese il giubbotto, alzò i tacchi e sene andò verso l’ascensore, Tony la seguì, bloccò l’ascensore e allargò le braccia, Ziva si butto addosso a lui, cercando conforto, affondò il viso nel suo petto e iniziò a singhiozzare: “Non voglio perderti.”
“Non accadrà, solo dimmi chi è stato a colpirti.” Sussurrò lui sull’orlo del pianto.
“Non posso, sei già in pericolo, non voglio esporti di più, capiscimi.” La sua voce risultava ancora più flebile attenuata dal petto di Tony, restarono abbracciati finchè lei non si calmò, si alzò sulle punte e gli lasciò un bacio a fior di labbra, poi sussurrò: “Grazie di essere con me.”
“Sempre.” Riattivarono l’ascensore e ripresero a lavorare come se nulla fosse mai accaduto.




 
scrittrice in canna's corner
ECCOMI DI NUOVO QUI A UCCIDERE I VOSTRI E I MIEI FEELS! :3
in una recensione ho letto: "Perchè non si sono ancora baciati?" lo so che è poco ma almeno qualcosa ho fatto XD credo che, anche se è piccolo, 
sia un capitolo molto intenso e ne vado fiera, poi magari a voi fa schifo, ma lo ricontrollerò domani a mente lucida qunid per ora arrivederci.
vostra

scrittrice in canna

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Capitolo 6
*** Take this bastard. ***


Ducky era salito nel bull-pen con un pretesto stupido, solo per parlare con Ziva, aveva osservato bene i movimenti limitati della ragazza, non riusciva nemmeno a reggere la tazza di carta del caffè che le aveva portato McGee, appena la alzò fece una smorfia e la lasciò esordendo con: “Oh, è molto caldo!” Tony prese apposta il suo bicchiere: no, non era caldo, anzi, quasi freddo. Lanciò un’occhiataccia al dottore che annuì quasi impercettibilmente, mentre McGee continuava a tracciare segnali e piste false e Tony rispondeva a tutte le chiamate di persone che dicevano di aver avvistato Parsa, Ziva si mangiava le unghie della mano buona: lei sapeva che Kort era un suo complice e che si trovavano a Washington, ma non poteva dirlo, se l’avrebbe fatto un proiettile avrebbe colpito in pieno la testa di Tim, Gibbs, Duck o Tony e lei non voleva, così si limitò a fare una piccola ricerca sui voli della giornata: un solo aereo partiva per Tel Aviv quella sera. Ziva non esitò a prendere il cellulare e chiamare Monique: “Parla con Orli, dille di preparare delle squadre all’aeroporto di Tel Aviv, ben nascoste, chiama l’unità Kidon. Li voglio tutti a Washington entro il pomeriggio, saranno sotto copertura come semplici persone in vacanza. L’operazione Benam Parsa comincia ora.”.
 
Agenti del Mossad, dell’NCIS e qualche piccolo gruppo dell’FBI (guidato da Fornell) erano sparsi in tutto l’aeroporto con le pistole sotto il giubbotto o ben mimetizzate in un finto porta cellulari alla cinta, nessuno si sarebbe accorto che la zona pullulava di gente che lo voleva morto, c’erano anche Monique, Tony e McGee, ben nascosti dentro ad un camion fuori dall’edificio. Tutti avevano degli auricolari e ascoltavano Ziva che era rimasta all’MTAC con Gibbs e il direttore Vance accanto a lei: “Sono felice che lei sia qui, ma non mi spiego perché non è lì a prendere quel bastardo.” La ragazza non distolse lo sguardo dallo schermo nemmeno per un attimo, guardava dalle microspie negli occhiali di alcuni agenti.
“Mi creda quando le dico che mi farebbe piacere impiombarlo, ma se mi vedesse scapperebbe. Ci siamo già visti.” L’altro rigirò lo stecchino nella bocca e si concentrò anche lui sullo schermo: uno degli agenti FBI indicava verso destra: Kort stava facendo il check-in quando Liat gli si avvicinò: “Ehi salve, sa per caso dove posso vedere gli orari dei voli in arrivo?” una volta identificato Tony si fece scoprire, uscì fuori dal camion con il distintivo in aria, adirato perché sapeva che lui aveva qualcosa a che fare con Parsa e che forse era stato lui a sparare a Ziva, pronto per prendere quel verme con le mani nel sacco, con Monique e McGee al seguito che cercavano di fermarlo, in vano, tre minuti dopo era dentro all’aeroporto che gridava: “Agenti federali! Kort ti portiamo all’agenzia.” Intanto Ziva urlava dall’altra parte dell’auricolare, la stavano sentando tutti perché non aveva tirato giù le cuffie: “DiNozzo, ti avevo detto di non intervenire! Cosa stai combinando!? Lascia fare alla squadra Kidon! Ora il piano è rovinato! Cazzo Tony ora Parsa starà già scappando!” si tolse le cuffiette e uscì dall’MTAC sbattendo la porta, Gibbs la seguì a ruota, Vance tentò di riprendere in mano la situazione, mise gli auricolari: “Ottimo lavoro. I ragazzi dell’FBI possono tornare alla loro base, la squadra Kidon è libera da ogni ordine, le mie squadre devono tornare. Agente DiNozzo, agente McGee, portatelo qui. Lo interrogherà l’agente Gibbs.” Fece chiudere le comunicazioni e se ne andò.
 
Nella sala interrogatori dell’NCIS Trent Kort, FBI, stava aspettando qualcuno che lo strappasse a dovere. Dall’altra parte dello schermo Ziva e Tony stavano freddamente distanti l’uno dall’altra, Monique era tra i due cercando di alleggerire la tensione con scarso successo, aspettavano Gibbs che si presentò due secondi dopo sbattendo la porta, facendola sbattere, si sedette e posò le foto fatte da Liat sul tavolo, l’interrogato le guardo e poi disse: “E quindi…?”
“E quindi quelli sono diamanti che hai convertito in denaro per conto di Parsa.”
“Non sono prove concrete.” Il piano era di tenerlo sulle strette mentre McGee cercava altro, ma le possibilità di tenerlo in custodia si erano abbassate criticamente con la genialata di Tony, Tim avrebbe dovuto ricercare sul camion in attesa di movimento all’aeroporto. L’unica possibilità era che Ziva parlasse dell’aggressione di qualche giorno prima.
“Quel viscido figlio di…” Monique voleva saltargli addosso.
“Calmati.” Disse l’amica poggiandole una mano sulla spalla.
“Strano, l’avrei voluto dire io a te prima.” Aggiunse Tony irritato, Ziva sbuffò e decise di entrare a testimoniare.

Ziva entrò nella sala interrogatori:“Io ho una prova concreta che tu abbia qualcosa a che fare con Parsa.” Si tolse la benda dalla mano e mostrò la ferita.
“Questa.”




 
scrittrice in canna's corner

Shalom gente :3
piccolo capitolo per lasciarvi sulle spine pmentre preparo il grande finale.
spero che vi piaccia questo, ho lasciato un po' così i tiva perchè saranno il mio cliffengher per il prossimo capitol ehehe
Cliffengher positivo o negativo? E chi lo sa :3
Vado a preparare un'altra cosa. 
Bye.
Vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 7
*** Couldn't live whitout you... i guess ***


“Non avete nessuna prova, mi state tenendo in custodia, ma con quale accusa?”
Silenzio.
“Bene, allora credo di poter andare.” Kort si alzò, Ziva lo bloccò a metà tra la porta e il tavolo: “Aspetta! Ricordi il proiettile con il mio sangue che hai lasciato sulla scena del crimine?” Trent sbiancò.
“Ammettilo Kort, non te lo aspettavi. Come ben saprai io ho quel proiettile, o meglio, la signorina Sciuto ce l’ha. Sta facendo anche l’analisi del sangue, sai? Quando avrà confrontato entrambi e confermato che corrispondono perfettamente al mio sangue e alla tua pistola sarai spacciato, aggiungi anche la mia dichiarazione, le foto, il tuo passato burrascoso.” L’agente CIA si risedette infastidito, si era fatto fregare da una della Marina, cosa più grave, della squadra di Gibbs. Il suo ego era sceso ai minimi livelli. La ragazza uscì compiaciuta, seguita dal suo mentore, chiusero la porta in silenzio. Intanto, dall’altra parte del vetro, Tony stava sorridendo al pensiero di ciò che lei era riuscita a fare, a quanto pare tutti quei mesi lontani dalle scene non l’avevano affatto arrugginita. Monique notò il suo sguardo e scosse la testa, quei due non riuscivano proprio a litigare.
“Bell’lavoro, David.” Disse Gibbs scherzoso.
“Grazie, Gibbs.” Lei gli sorrise, era contenta di aver accettato l’idea di Orli di tornare in America, si sentiva bene, di nuovo con la sua squadra, con la sua famiglia, ma sapeva che non sarebbe durata: se tutto fosse andato bene entro un paio di ore avrebbero avuto una confessione nonché il luogo in cui si nascondeva Parsa ed entro uno o due giorni l’avrebbero preso e lei non aveva ancora fatto quello che si era ripromessa da tempo.
 
Tony stava cercando le chiavi giuste nel suo mazzo, era davanti alla porta di casa da ormai un paio di minuti buoni, quella era del garage, quella del portone, ma dove diavolo era finita? Da dietro una mano prese il portachiavi, si girò d’istinto: Ziva stava giocando con l’ammasso di chiavi, in pochi secondi aveva aperto la porta ed era entrata nell’appartamento.
Perché sei venuta?” chiese ancora stravolto
“Perché sapevo che avresti ordinato cinese sta sera, di nuovo, quindi volevo cucinarti qualcosa di decente. Ho portato la spesa.” Disse lei posando una busta sul tavolino da caffè.
Ziva, vuoi dirmi perché sei venuta?
Perché non posso vivere senza di te…” rispose posizionandosi di fronte a lui, mordendosi il labro, si era già pentita di averlo detto, aveva reso chiaro il fatto che sarebbe rimasta, cosa che non aveva nessuna intenzione di fare.
Tony aveva un sorriso che partiva da un orecchio e finiva nell’altro: “Déjà-vu!” aggiunse avvicinandosi per baciarla.
“Lo prendo come un ‘neanch’io’?” chiese Ziva ridendo.
“Fai come credi.” Le rispose baciandola ancora.
Nessuno sistemò quelle buste della spesa o preparò la cena, quella sera saziarono le assenze.
 
I raggi del sole filtravano dalla tenda bianca come dardi, un cinguettio indistinto in lontananza svegliò Ziva alle sette del mattino, aveva letteralmente dormito sopra Tony, letto piccolo, poco spazio, di sicuro non avrebbero potuto fare il contrario, cercò di alzarsi senza svegliarlo per… vestirsi, magari, fare colazione e aspettare che si svegliasse col suo comodo. Missione riuscita.  Dormiva come un bambino.
Andò in cucina e preparò la colazione: due tazze di latte caldo e qualche frittella. Mentre cucinava lo sentì alle sue spalle, aveva infilato il pantalone del pigiama e teneva in mano una tazza: “quella maglietta sta meglio a te che a me.” Osservò Tony sorridendo, Ziva posò le frittelle su un piatto e si preparò ad addentarle, ma quando lui disse: "Non dormivo così bene da quando mi hai ospitato a Tel Aviv.” A quel punto per poco il boccone non le cadde dalla forchetta, sapeva bene dove voleva andare a parare.
“E io che pensavo di averti fatto male!” rispose ironica.
“Quello che voglio dire è che… non ti lascerò andare sta volta, Ziva.”
“Dovrai. Appena prenderemo Parsa me ne andrò.”
“Allora ieri sera…” cominciò lui.
“…Non doveva andare in quel modo. Ero venuta per dirti proprio questo.” Finì Ziva.
“Non posso.” Continuava a ripetere.
“Non voglio litigare di nuovo con te.” ammise lei triste.
“Non abbiamo mai litigato, sono solo piccoli incidenti di percorso.” Disse Tony sorridendo, si alzò, le baciò piano le labbra e andò a vestirsi. Sarebbe stata una giornata dura in ufficio e di sicuro non volevano arrivare in ritardo, Gibbs si sarebbe arrabbiato.
 
McGee era arrivato da un po’, stava smanettando al computer. Come al solito. Il capo girava per i locali. Come al solito. Ellie finiva i rapporti, seduta alla sua scrivania. Come al solito. Solo Tony e Ziva non erano i soliti: le loro battutine erano sostituite da frasi che avrebbero dovuto far cominciare un discorso, le occhiate da sguardi confusi. Non sapevano se comportarsi normalmente, se dovevano farsi vedere distaccati come il giorno prima per via di quella sfuriata, ma una cosa la sapevano: il ricordo della notte passata insieme li avrebbe accompagnati per tutta la giornata e oltre. A Ziva era persino passato in mante di restare, farsi una famiglia, vivere il suo amore per lui, ma poi ricordava suo fratello steso nel suo stesso sangue e cambiava idea, sarebbe tornata a Tel Aviv, non appena Kort avesse detto qualcosa. Era in custodia da più di otto ore e non aveva fatto uscire un fiato, Gibbs e Ziva lo guardavano dalla sala antistante, dietro il vetro antiriflesso, a Ziva cominciò ad uscire qualche lacrima al ricordo del fratello, Gibbs se ne accorse, non disse nulla, lei si asciugò le lacrime e sussurrò: “Scusa. Regola numero sei, regola numero dieci e regola numero dodici. Ora ne ho ufficialmente infrante tre.”
“Ancora non hai battuto il mio record.” Ammise l’uomo senza girarsi.
“Gibbs, ormai forse non conta più, ma a Berlino io…”
“Lo so, Ziva.” La interruppe. Lei lo guardò sconcertata.
“Non è stato lui a dirmelo, risparmialo. Ora che non ci sei più almeno lui mi serve.” Aggiunse leggendole nella mente.
“Qual è il tuo record di regole infrante?”
“Tutte.” Ammise uscendo per prendere un altro caffè.





 
scrittrice in canna's corner
avevo voglia di un po' di Tiva e ho fatto questo. 
Effettivamente le cose sarebbero dovute andare in modo diverso.
MOOOOLTO DIVERSO.
Ringraziate, o maledicete, Shiva e Berlin per avermi fatto venire in mante questo capitolo (:
vi lascio che è tardino (?) 
Avete notato il riferimento a Truth or Conseguense, vero?


-Then why are you here?
-Because McGee Couldn't Believe you were dead.
-Tony, Why are you here?
-Couldn't live whitout you... i guess.


vostra
scritrice in canna

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Capitolo 9
*** I need to find her. ***


Ziva era ancora d’avanti al vetro, guardava Kort che fissava il suo lato dello specchio come se fosse una statua di sale. Lei sapeva che non poteva vederla ma allo stesso tempo era convinta che lui la stesse fissando, che sapesse che lei era lì.
 
In sala relax Tony stava cercando di bere il suo caffè e di riordinare le idee: chi pensava che innamorarsi di lei fosse così complicato?
Sentì una macchinetta per il caffè: Gibbs.
“Litighi ancora con la macchinetta, capo?” chiese il ragazzo scherzosamente.
“Già, non le piacciono le banconote stropicciate.” Rispose. Fece altri due tentativi, poi diede un pugno alla macchina che erogò il caffè, gratis. Si sedette di fronte al suo agente e lo fissò per qualche istante, bevve un sorso e chiese: “Come sta Ziva?” Tony per poco non s’affogò con la bevanda calda.
“Perché lo chiedi proprio a me?”
“A chi dovrei chiederlo, DiNozzo? A McGee?” disse Gibbs ironico. L’altro sospirò.
“In che senso?” domandò di rimando Tony.
“La notte, ha degli incubi?”
“No, ha dormito benissimo... a-almeno credo, non ho dormito con lei l’ho solo controllata ogni tano e…”
“Tony, a me va bene.” Lo interruppe Gibbs prima di buttare il caffè nel cestino e andare al bar per prenderne una vera tazza.
 
Abby guardava minacciosamente la barra di caricamento delle analisi del sangue sul proiettile e quelle delle impronte sulla pistola: dovevano arrivare al cento per cento così Ziva avrebbe potuto incastrare quell’essere viscido, trovare Parsa e… e poi? Se ne sarebbe andata? Forse Abby non voleva veramente che quelle analisi fossero pronte eppure il bip del computer precedette l’apertura dei risultati proprio in quel momento e la scienziata li stampò e li portò alla sua collega.
 
“Ziva, Ziva, Ziva. Grandi novità!” disse Abby entrando nella sala buia.
“Dimmi tutto.” Rispose la collega felice di vederla.
“Il sangue sulla pallottola è ovviamente tuo e il DNA sulla pistola è ovviamente di Kort.” Detto questo le porse i fogli con i risultati, Ziva si avviò nella sala interrogatori con il sorriso sulle labbra.


 
“Ho qui le prove che confermano che hai sparato ad un agente federale, Kort.” Annunciò Ziva entrando trionfante.
“Bene, ne sarai contenta, puoi sbattermi in galera.” Disse senza scomporsi minimamente.
“Sai che ti posso aiutare.” Si sedette.
“Come?”
“Dimmi dove si nasconde Parsa e tutto questo non sarà mai accaduto.” Aggiunse mostrando la mano ferita.
“E perché dovrei?”
“Perché lui non può più pagarti.” Gridò Ziva sbattendo i palmi sul tavolo, in quel momento entrò McGee: “Abbiamo trovato la sua sede. Un capannone a nord di Washington, ce l’ha detto un loro compare. Ha cantato come un canarino. Ringrazia Liat, l’ha braccato lei.” La ragazza sorrise ad entrambi e fece per uscire quando sentì Kort ridere e si fermò sulla soglia della porta, lui smise e dichiarò: “Non lo troverete mai, si trova in un capannone a sud di Washington, abbandonato in mezzo al grano, ma tu ti ricordi il caso del marine usato come spaventapasseri, vero?”
“Perché ce lo dici ora?”
“Perché sarà già scappato.” L’aveva sentito solo lei, McGee era già andato e la telecamera era spenta, non aveva tempo di aggiornare gli altri: doveva andare da sola, così prese le chiavi della sua macchina e si diresse verso l’ascensore, ma Tony la stava seguendo avendola notata agitata, la prese per un braccio e chiese: “Dove stai andando?” lei era spazientita, non aveva tempo per discutere.
“A prendere Parsa, nel campo di grano in cui è stato appeso il marine di qualche anno fa, quello senza una mano ritrovato dai bambini.” Rispose, ma lui sembrava non ricordare: “Quando ti sono salita sulle spalle.” Aggiunse.
“Oh, sì. Ho avuto mal di schiena per tutto il giorno! Chi ti ha detto che si trova lì?” chiese Tony.
“Kort.” Ammise lei.
“E tu gli credi? Ascolta, vieni con noi…”
“No, devo andare. Lui è al campo di grano.” Si liberò brutalmente dalla presa ed entrò nell’ascensore.
“DiNozzo, prendiamo le scale.” Disse Gibbs tirandogli lo zaino addosso, Tony per poco non cadde e si decise ad andare in macchina con i ragazzi.
 
Dopo circa dieci minuti di guida Ziva era arrivata a destinazione: un capanno abbandonato in un campo di grano che lei conosceva bene dato che era stata una scena del crimine e aveva raggiunto il posto senza troppi problemi anche se era passato del tempo. Soddisfatta osservò la sua pistola appena pulita e la mise nella fondina al fianco, ma aveva fatto un errore da pivella: non aveva controllato il caricatore.
Non c’erano molte persone -Forse Kort aveva ragione, forse se ne è già andato.- Pensò lei vedendo solo due ragazzi fuori dalla porta che parlavano come nulla fosse, sicuramente nessuno avrebbe pensato si trattasse di due terroristi: erano perfettamente vestiti da contadini. Abbatterli non fu difficile, bastò un colpo di pistola alla tempia ciascuno, non aveva fatto alcun rumore e poteva entrare tranquillamente e così fece.
 
“Capo, hai idea di dove stia andando Ziva?” chiese Tony preoccupato.
“No.” Ammise Gibbs.
“E non ti preoccupa?”
“Sì.”
“Allora seguiamola!”
“No Tony, Parsa è qui!” si intromise McGee indicando un punto sul suo palmare: “Ce l’ha detto un suo seguace.” Aggiunse. Così Tony si zittì, ma non voleva dire che fosse più tranquillo.
Arrivarono a una struttura abbandonata da anni in una zona isolata della città, era effettivamente un perfetto nascondiglio, lo dovevano ammettere. Presero le armi e si piazzarono d’avanti alla porta che era, stranamente, aperta, entrarono e trovarono la desolazione più totale: nessuno metteva piede in quel posto da troppo tempo e fuori non avevano trovato nemmeno tracce di macchine o scarpe sulla terra.
“Dannazione McGee! Qui non c’è nessuno!” Urlò Gibbs e la sua voce rimbombò nel vuoto mentre una sola cosa pensò il suo agente anziano: Ziva. Prese le chiavi della macchina in tutta fretta e disse a Tim: “Rintraccia il telefono di Ziva, so che puoi farlo in poco tempo, ha il GPS acceso.”
“Come lo sai?” gli chiese il compagno.
“L’ho acceso io.” Ammise.
“Cos… Quando? Perché?” balbettò McGee visibilmente stordito.
“‘sta mattina, per assicurarmi che non potesse lasciarmi di nuovo.” Sta volta ottenne solo un tacito segno di assenso.
 
Il posto sembrava tranquillo, c’era solo un tavolino con due sedie e varie carte sopra che Ziva non si premurò di leggere, ne avrebbe avuto tutto il tempo dopo, sentì un rumore alle sue spalle, si girò di scatto: Parsa.
“Sapevo che mi avresti trovato.” Disse tranquillo.
“Cosa vuoi da me?” Ziva puntò la pistola, il dito sul grilletto, pronta a sparare.
“Sono sicuro che tuo padre sappia cosa voglio da te.” Rispose sedendosi al tavolo.
“Mio padre è morto. Tu lo sai bene.” Lo corresse Ziva senza scomporsi.
“Oh già, che sbadato. A quanto pare il povero Eli ha lasciato dei conti in sospeso non solo con me.”
“Vuoi estinguere i debiti di mio padre, quindi?” il ragazzo annuì compiaciuto a quell’osservazione.
“Non ti sarà facile da morto.” Aggiunse Ziva prima di premere il grilletto, ma a vuoto, era senza munizioni.
“Oh, che peccato.” Parsa si alzò, prese la sua pistola dalla fondina, ben nascosta dalla giacca, e la puntò alla testa di Ziva, poi si sentì uno sparo.









 
scrittrice in canna's corner
LO SO CHE NON AGGIORNO DA TIPO UN MESE MA VA BENE COSì, NO?
NO?
NO.

Cliffengher (si scrive così?)! :D
Vi voglio male? Forse. Non vi dirò nulla del capitolo successivo, vi basti sapere che è l'ultimo. Sì, stiamo finendo anche questa storia e nel prossimo NdA metterò tutti i ringraziamenti a queste splendide persone che sopportano i miei scleri sul fandom (?) Quindi per ora vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo (sempre se questo non vi ha fatto cagare e siete scappati via in preda ad un attacco di diarrea [?])
Quindi. SHALOM.
Vostra
Scrittrice in canna

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Capitolo 10
*** Hardest 180° of my life ***


Il suono della pistola riecheggiò in tutta la zona circostante, finito l’eco del boato l’unico suono percepibile era quello del corpo inerme di Parsa che cadeva a terra e mostrava Tony con la pistola ancora puntata e il fiato corto. l’aveva salvata, di nuovo. Non riuscivano a pronunciare parola, le loro labbra erano ancora serrate dal terrore.
“Credevo di averti persa.” Ammise Tony stringendola, Ziva era ancora spaventata.
Qualche secondo dopo arrivarono McGee e Gibbs con Bishop in macchina che aveva guidato come un pirata della strada perché sapeva che doveva salvarla, si trattava di etica e onore non che di voglia di dormire la notte e non di farsi attanagliare dai sensi di colpa.
 
Era sera, Monique stava finendo di caricare i bagagli su un’auto federale incaricata di riportarle a casa, Ziva era ancora dentro l'edificio, aveva appena finito di salutare Abby, avevano pianto, lei le aveva chiesto di restare, Ziva le aveva risposto che era impossibile. Non era pronta per dire addio a tutti, era la prima volta che lo faceva, prima aveva dovuto affrontare solo Gibbs o solo Tony, non era stato facile ma di sicuro quello che stava provando non era minimamente comparabile. Ducky e Palmer non si erano dilungati, le avevano solo fatto gli auguri per il viaggio e, con una stretta di mano ed un sorriso, l’avevano congedata. Restava la squadra, poi sarebbe potuta andare.

“Ehi.” Disse Bishop risvegliando Ziva dai suoi pensieri.
“Ciao.” Rispose l’altra sulla difensiva.
“La tua missione è finita, vai a casa?” chiese la biondina.
“Sì, la mia amica sta caricando i bagagli.” Spiegò.
“E perché non sei con lei…?” Ziva la guardò e lei le sorrise amaramente.
“Credo che dovrei raggiungerla.”
“È stato un piacere conoscerti.” Disse Ellie allungandole la mano, Ziva gliela strinse, finse un sorriso e andò via.
 
Gibbs stava parlando con McGee, Tony e Abby e la stavano aspettando tutti. Ziva si sentì morire, fece un passo dietro l’altro e arrivò da loro, Gibbs la guardò sorridendo e disse: “Bel lavoro, Ziver.” Le lasciò un bacio sulla guancia e fece in modo che lei potesse salutare gli altri. McGee era sull’orlo delle lacrime, aveva trovato e perso quella che per lui era la sua sorella maggiore in circa una settimana, per la terza volta, la abbracciò e le sussurrò: “Prenditi cura di te, mi raccomando.”
“Lo farò.” Gli rispose. Si lasciarono. Abby stava piangendo, ma si mise comunque a parlare a ruota: “Lo so che ti ho già salutata, ma non posso farti andare via e non vederti lasciare l’edificio, insomma non sarebbe un vero addio perché… Oh, mi mancherai tantissimo.” L’abbraccio forte, sembrava non volesse lasciarla andare, ma dovette perché Tony le tamburellò su una spalla e disse con un filo di voce: “Ehi, Abbs. Ziva deve partire.” La scienziata annuì e mollò la presa, il ragazzo era a braccia aperte, pronto per il suo abbraccio, Ziva si buttò tra le sue braccia e nascose la testa nel suo petto, pianse per circa due minuti sperando che quelle braccia potessero fare da muro insonorizzato contro gli altri, perché non voleva la sentissero.
“Ziva, calmati. Ehi, ehi. Guardami.” Bisbigliò Tony alzandole il mento con un dito, lei aveva ancora gli occhi lucidi e il naso rosso eppure non l’aveva mai vista più bella.
“Sono qui, qualunque cosa tu voglia fare. Ma sappi che questa volta non vorrei lasciarti andare, ti terrei così, con me, per sempre.” La baciò a fior di labbra, per salutarla, lei sorrise, si staccò da lui e girò le spalle per avviarsi verso l’ascensore, prima di farlo ammise: “Sono i centottanta gradi più difficili della mia vita.” Quando le porte si chiusero Abby scappò verso le scale, Tim si sedette alla sua scrivania fissando quella che una volta era stata della sua amica, Gibbs era appoggiato al muro e Tony era rimasto lì, con ancora il sapore delle labbra del suo amore sulle sue, l’avrebbe accompagnato nei suoi sogni.
 
Monique era seduta nei sedili posteriori, Ziva arrivò ancora in lacrime, l’amica le chiese: “Sei pronta?”
“Devo dirti la verità?” Monique annuì.
“No.”
“Allora non farlo.” Cominciò: “Insomma, qui hai tutta la tua famiglia. Il Mossad non potrà mai darti tutto questo, loro ti vogliono bene, tutti, anche il direttore Vance ti ammira molto, magari non tornerai a lavorare qui, magari ti farai una vita con qualcuno che ti ama, magari è questo il tuo modo di ricominciare.”
“È per questo che ti voglio così bene. Shalom, stammi bene.”  Rispose Ziva scendendo dalla macchina e prendendo i suoi bagagli dal retro.
 
Tony stava tornando a casa, non aveva senso restare, Gibbs li aveva cacciati, regola undici: “Quando il lavoro è finito, tornare a casa.” Proprio in quel momento vide qualcuno che camminava verso di lui, mise a fuoco la figura nel buio e gli sembrò di riconoscere Ziva, con i suoi bagagli, sorrise realizzando che non se lo stava immaginando, che lei era davvero lì, con lui, di nuovo. La strinse come non aveva mai fatto e le chiese, sta volta tra le lacrime di commozione: “Che ci fai qui?”
“Non avevi detto che avresti voluto tenermi per sempre con te? Fallo. Non lasciarmi più.”
“Andiamo a casa allora.” Le disse Tony vedendola felice. Finalmente.


 



 
Home is the place that when you are gone you just miss it.




 


 
scrittrice in canna's corner

Ehi Ehi Ehi.
ABBIAMO FINITO! :')
ora mi dedico del tutto ad Amnesia, che vi piace tanto, intanto chiudo questa storia che è stata il mio piccolo contributo nel ritorno virutale (?) di Ziva.
Giuro che non lo faccio più! XD 

La frase finale è del finale di Once Upon A Time e boh, mi ispirava, Neal è molto saggio e, alla fine, Ziva vuole trovare una casa... no?
quindi ci sta? No, vero? va be'. A me piace lol.
vostra
scrittrce in canna che ormai confonde pure i fandoms.

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