nothing could be worse

di beencravinmore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I remember all the nightmares ***
Capitolo 2: *** the signature ***
Capitolo 3: *** how do I have to do it? ***
Capitolo 4: *** let's do it ***
Capitolo 5: *** Worth. ***



Capitolo 1
*** I remember all the nightmares ***


“Allora, dicci, chi sei? E' vero che eri una directioner?

Mi chiamo Greace, Greace Hallan. Ho 17 anni. Si, anche io ero una directioner”.

 

Rileggo quella frase spesso e ogni volta mi lascia un senso di bugia in bocca, un senso strano, difficile da assaporare. Solo le prime due frasi sono vere il resto è quello che un contratto ha deciso. E' tutta una bugia dalla parola "si"

“Come hai conosciuto Niall?”

Conoscevo il resto a memoria, lo avevo riletto così tante volte, per vedere se solo tornava ad avere un senso, se solo ci fosse un briciolo di verità; per non rendermi conto di aver davvero preso per il naso così tante persone. Eppure loro sono e saranno più brave di qualsiasi contratto, sanno riconoscere la verità, ma a me serviva firmarlo, dovevo, non potevo rifiutare. E' come quando hai la febbre e non hai alcuna intenzione di dirlo a qualcuno, ti scoccia non uscire, ti scoccia non poter far nulla, ma altrimenti la cosa peggiora. Chiusi il giornalino che tenevo fra le gambe, una copia di un giornale vecchio, quell'intervista era poi uscita in altre riveste, mi sdraiai sul letto a una piazza e mezzo, con l'odore di lavanda che mi entrava nelle narici. Ero decisa per una volta a raccontare la verità, almeno a me stessa, non avevo mai capito quanto fosse importante.

 

Mi chiamo Greace. Ho diciassette anni. Ho i capelli marroni scuro, che da lontano scambi per nero; gli occhi color miele. Sono il mio orgoglio; fin da piccola chi aveva bisogno di un nomignolo da darmi mi chiamava “occhi miele”, un soprannome che tuttora mi piace da morire. Ho qualche lentiggine sul naso: le odio; mi danno un aria da bambina e spingono le persone a chiamarmi ancora con quei nomignoli stupidi. I nomignoli come piccolina, bella bambina o simili, io invece mi sento vecchia, con anni e anni alle spalle, esperienze e tragedie che segnano un essere umano anche nella sua età mentale. Ne ho passate tante, ma le persone mi chiamano piccolina. Dicono che io abbia un bel corpo, devo, o non mi avrebbero presa come modella. A me non interessa, non mi è mai interessato, perchè doveva? Stando a casa, senza studiare e senza fare molto non importava avere un fidanzato o qualcosa di simile. Ho un fratello, si chiama Darren, vive con me in una casa a Londra, in questa casa, dove adesso mi trovo. Una casa vecchia, che appartenava a nostra nonna, lei era meravigliosa. Il colore delle pareti esterne era bianco, ma ora sono grattate e ingiallite. Fin da piccoli litigavamo con Darren, poi subito dopo ci abbracciavamo, facevamo pace. Solo una volta lui ha chiuso la porta e se ne è andato, grazie a quel contratto. Mia madre era una attrice; mio padre aveva un negozio di dischi, mia mamma li comprava sempre lì tanto che un giorno si innamorò del venditore, dell'uomo dietro il bancone. Smise di fare l'attrice quando nacque Darren e decise di aiutare papà nel negozio e fin qui tutto normale, poi dovetti nascere io: mia madre morì di parto, io ero viva. Non ho mai conosciuto il suo sguardo, i suoi capelli, il suo profumo e ne ho privato Darren; una parte della mia vita è incentrata nel sentirmi in colpa. Darren, però, sostiene che io non c'entri, per questo non potrei volergli più bene. Tre anni fa papà si ammalò di quello per cui oggi se ne ammala uno ogni giorno: cancro. Se ne andò in un anno, in un misero anno, neanche il tempo di dimostrare tutto l'amore che gli volevamo che lui se ne era andato in un giorno di marzo, seguito dalle urla di mio fratello e il mio pianto senza fine. Darren, all'età di 19 anni lasciò la scuola e cercò lavoro: ne trovò uno in un'officina di auto. Ci portarono via il negozio di papà, ma ci siamo tenuti stretti la casa; i soldi non bastavano neanche per mandare me a scuola. A sedici anni ho mollato, dovevo dare una mano a mio fratello. Ho fatto qualsiasi lavoro possibile, ma non avrei mai potuto trovarne uno che pagasse meglio di quello per così poco.

-Writer's corner:

salve bella gente, sono qui con la mia prima fanfic, sperando che vi piaccia,
l'idea mi è venuta così in pochi minuti e ho sentito il bisogno di scriverla, vabbè
apparte ciò spera vi piaccia e che abbiate voglia di recensiarla.

Adios;

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Capitolo 2
*** the signature ***


Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Dovevo fare una stupida firma eppure mi sembrava mi condannassero a morte.
La mattina trascinai i piedi sul pavimento fino all'armadio; indossai un paio di jeans e un maglione; presi il cappotto perchè era inverno e faceva freddo. Fuori pioveva. Presi l'ombrello e uscii senza svegliare mio fratello che sarebbe dovuto andare a lavoro di lì a poco.
Mi avviai verso un edificio bianco che faceva quasi paura: aveva l'aspetto di un fantasma.
Gli edifici moderni mi fanno questo effetto, mi sembrano tutti uguali e per niente belli, come se gli avessero tolto l'allegria.
Entrai attraverso una porta a vetri che contribuì a rendere il mio umore pessimo. Davanti a me c'era una scrivania enorme e nascosta dietro di essa una signora sulla trentina, con in mano delle scartoffie. La raggiunsi.
-Buongiorno, posso esserle utile?
Aveva la solita voce da segretaria, cordiale, eppure senti che farebbe di tutto per non essere lì.
-Devo vedere questo signore...- le mostrai il bigliettino che tenevo fra le mani -devo firmare un contratto.
-Signorina, la stanno aspettando al piano di sopra, terza porta a sinistra.
Salii delle scale di marmo o qualcosa di simile.
Mi sentivo una sciocca, stavo per accettare un lavoro che non stava né in cielo né in terra; era qualcosa di orrendo, ma non importava. Avrei fatto di tutto per aiutare mio fratello.
Le carte sotto il mio naso avevano un odore di appena stampate, mescolato ad un odore di carcere per due; infondo dovevo pensare anche all'altra persona.
-Signorina, questo è il suo contratto, c'è scritto tutto ciò che prevede e tutto ciò che deve fare; infondo non è niente di che: in riassunto deve far finta di essere la ragazza di Niall Horan, sa già chi è?Scossi la testa, non mi interessava. Presi la penna, senza guardare nessuno negli occhi, neanche la persona appena entrata dalla porta, e firmai.
Non potevo aspettare oltre, avevo, avevamo, bisogno di soldi.
Darren non sapeva nulla e se ci avessi pensato un altro po' probabilmente non avrei firmato; non potevo permetterlo.
-perfetto, è stata più veloce di quanto pensassi, vuol dire che ci aveva già pensato bene a casa.
Un solo particolare vorrei discutere con lei: sa già quali sono le ragioni del contratto-
non le avevo capite ma annuii mentre guardavo la persona che probabilmente sarebbe dovuta stare in cella con me
-dovrà fingere di essere una loro fan anche se non lo è: ha conosciuto il nostro ragazzo ad una festa dopo aver capito chi era ed averlo seguito, dopo che lui se ne è accorto e la ha invitata a ballare, chiaro?-
Mi misi a ridere -come se cose del genere potessero accedere tutti i giorni-
Ripeté la parola finale leggermente spazientito e io mi limitai ad annuire come prima.
Uscii dalla stanza e appena fuori mi avviai al distributore in corridoio, pensando a come lo avrei detto a Darren.
Sentii delle voci dietro di me.
-Niall, allora almeno è carina?
-Ma non mi interessa se è carina o no, ti rendi conto cosa vuol dire?
-Si credo di poter capire
-Io credo di no, Harry.
Un attimo di silenzio, non avevo preso la cioccolata che volevo, non avevo soldi, come al solito, ma rimanevo ferma rivolta alla macchinetta in ascolto: ero oggetto di conversazione.
Bisbigli, bisbigli e altri bisbigli.
“Vi decidete a parlare più forte”
-Però non è male Niall, almeno questo.
Mi sentivo osservata e altri bisbigli di cui capivo parole a caso tipo “sexy” o “non mi interessa” o “non parliamone” o i loro nomi.
-Io non capisco come si possa accettare un lavoro così … ?
-Non lo so, non lo capisco … io credo … , si … , capirei una nostra fan, … , non so che dirti-
Mi mancavano spesso parole e non riuscivo a capire tutti i loro discorsi, ma ci andavo vicina.
Mi girai di scatto, mi sentivo offesa, non lo capivano, non avrebbero voluto capirlo.
-Scusate, volete continuare a parlare di me da lì dove posso benissimo sentirvi o vi decidete a pagarmi una cioccolata dato che non ho soldi?-
Capelli ricci si avvicinò alla macchina e una volta che quella, con una lentezza primordiale ebbe finito di versare la cioccolata, me la passò.
-grazie.
Me ne andai subito, dovevo tornare da Darren. Arrivai a casa alle 8:30. Lui era già a lavoro.

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Capitolo 3
*** how do I have to do it? ***


“Ecco come Greace è diventata la ragazza del suo idolo”

Si, con un pezzo di carta e tante menzogne, mio fratello mi aveva avvertita e io non gli ho dato retta, avrei dovuto farlo.
Eppure mi chiedo: se lo avessi fatto, adesso potrei dire di essere stata felice di nuovo?

 

Dopo essere tornata a casa mi sdraiai sul divano e mi addormentai. Ero stanca non so per quale oscuro motivo dato che avevo dormito tanto la notte prima.
Probabilmente non era la stanchezza quanto la frustazione.
Quando mi risvegliai erano le una, Darren non era ancora a casa, di solito usciva da lavoro un'ora più tardi con la giacca macchiata di olio e le mani nere.
Spesso mi chiedevo perchè non avesse una ragazza. Non perchè fosse mio fratello, ma non era da buttare.
Accesi la tv, come al solito dovevi pagare oro per vedere un film decente, ma non mi importava tanto neanche l'ascoltavo. Stavo riflettendo su come lo avrei detto a mio fratello.
Si sarebbe arrabbiato, lo sapevo. Sapevo, anche, che lui voleva solo il mio bene. Non pensava mai a se stesso. Entrò in casa alle due, nessuno di noi aveva ancora mangiato, lo aspettavo sempre, ci piaceva mangiare insieme. Lo guardai, mi alzai e lo presi per un braccio.
Lo strascinai in cucina e lo feci sedere di una sedia di legno scuro, mi morsi un labbro e feci lo stesso.

-Ho accettato

-Cosa?

-Ciò che mi avevi detto di non accettare

Abbassai gli occhi, mi vergognavo di non averlo ascoltato, era la prima volta che non lo facevo. Si sbattè una mano sulla fronte e mi guardò.
I suoi occhi e il suo sguardo mi chiedevano perchè.

-Abbiamo bisogno di soldi e, voglio solo aiutarti, Darren, non puoi farcela da solo e io a 17 anni non trovo nessun altro lavoro che paga quanto questo, dovresti essere felice i nostri problemi finanziari sono praticamente finiti, magari potrai anche tornare a studiare.

-Ma sai cosa significa far finta di essere innamorati di chi non si è?

-Non farla così tragica, infondo sarà solo qualche bacio e abbraccio.

Non ne ero convinta, ma infondo anche come la metteva lui era esagerata, anche come la pensava quel ragazzo era esagerata, mi facevano passare come la troietta di turno e ciò non mi andava a genio.

-Sicura?

Annui. Si alzò, prese il pane e il salame e mi sorrise.

-prepariamo i panini?

Sorrisi anche io, fra me, lui e le nostre discussioni non c'era una conclusione immediata, dovevamo solo aspettare, arrivava da sola.
Mangiammo così fra una risata e l'altra, fra un sua battuta e una mia, come sempre.
Mi ero tolta un peso dicendogli tutto, fra me e lui non c'erano bugie e se c'erano erano a fin di bene. Lui pensava spesso solo a proteggermi.
Sono la sua sorellina, come biasimarlo.

 

****

 


Quella stessa sera mi arrivò un messaggio formale dal mio datore di lavoro, se potevo chiamarlo così.
Dovevo essere alle quattro e mezza davanti al caffè all'angolo, pronta per il mio primo finto appuntamento con il mio primo finto fidanzato, che neanche conoscevo.
Decisi che forse dovevo informarmi, almeno su come si chiamava e quando era nato.
Aprii il computer, avrei voluto farlo, ma poi mi resi conto che non solo era inutile, ma non ne avevo voglia: mi bastava il nome. Niall.
Quella sera andai a letto con uno strano scalpiccio nello stomaco, ero agitata, non sapevo cosa avrei dovuto fare, non sapevo se ne sarei stata capace.
Avevo avuto un solo ragazzo in vita mia, poi da quando avevo lasciato la scuola più niente, neanche mi ricordavo come dovevo comportarmi.
Mi girai su un fianco, ma comunque non riuscii ad addormentarmi. Quella notte andai a dormire da mio fratello, con lui è sempre tutto più semplice.
Riuscii a dormire solo quando le sue braccia forti che mi avevano sempre protetta erano allacciate intorno alla mia vita, dopo che come ultima frase avevo detto “domani inizio a lavorare”.

Mi svegliai la mattina con una gran fame, scesi in cucina, mi fratello era già in piedi, il disco dei Green Day già infilato nello stereo.
Nostro padre li adorava e anche noi. In macchina c'erano solo loro e le nostre voci sopra.

-Eila! Buongiorno principessa.

Mio nonno un giorno ci aveva raccontato una storia, quando eravamo molto piccoli, in cui un cavaliere salvava la principessa e poi la baciava.
Mio fratello aveva commentato “si può salvarla anche senza baciarla?”. Il nonno gli aveva chiesto che gusto c'era se non la baciavi.
Mio fratello avevo sorriso e aveva detto “io voglio salvare mia sorella, ma non posso baciarla”; dal quel giorno era l'unico che poteva chiamarmi principessa.
Papà non ne aveva il permesso e nemmeno gli altri parenti tutti. Mangiai un po' di marmellata, latte e pancetta, non mangiavo molto a colazione a differenza di mio fratello che se avesse potuto si sarebbe mangiato un bufalo intero.
Subito dopo colazione, dato che era sabato e mio fratello entrava più tardi a lavoro, decidemmo di salire su nella sala della musica di mio padre, dove tenevamo tutti i suoi Cd, ne aveva tantissimi. Ascoltammo un triliardo di canzoni, poi lui uscì di casa e io rimasi sola di nuovo. Verso le due ritornò e mangiammo come il giorno prima.

-Darren, come credi che dovrei comportarmi oggi?

-Per il tuo primo giorno di lavoro? Non lo so, non ho mai fatto niente del genere, ma hai solo una cosa positiva: puoi anche non vestirti elegante, è solo il primo falso appuntamento, no?

Gli tirai una pacca sulla spalla e continuai a mangiare. Le quattro e mezza non arrivavano mai, rischiai di fare tardi, per essermi quasi addormentata.
Mi misi le prime cose che mi capitavano, tanto avevo il lungo giacchetto che copriva i vestiti. Mi misi il cappello e mi avviai al posto prestabilito.

-Writer's corner:

eilà bella gente spero vi piaccia il nuovo capitolo, è un po' più lungo degli altri, spero vi divertirete a leggerlo, 
mi piacerebbe lasciaste una bella recensione (sperando che sia davvero bella), grazie di aver letto,
ciao a tutti

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Capitolo 4
*** let's do it ***


Non pioveva fortunatamente, perchè io non avevo l'ombrello. Arrivai davanti al bar all'angolo, come deciso. Puntuale, senza un minuto di ritardo; lui non c'era. Continuavo a guardarmi intorno, per vedere se arrivava, se lo vedessi apparire da qualche parte. Dopo cinque minuti che aspettavo vidi un ragazzo che girava l'angolo. Occhiali scuri, ma senza cappuccio. Avrei giurato che se lo sarebbe messo, pensavo che una star andasse in giro così, ma nessuno vorrebbe farsi notare mettendosi un cappuccio. Dovevo ricordarmi che era una recita messa in piedi dal mio datore di lavoro, dovevo ricordarmi che niente era reale e che probabilmente nessuno si sarebbe accorto di quel semplice dettaglio.

“papà non è vero che la nonna ci porterà al parco, vero?”
“chi te lo dice tesoro?”
“la sua voce: ha soffiato e poi ha risposto che lo avrebbe fatto, ma con svogliatezza”
il sorriso benevolo di mio padre
“non ti sfugge niente, piccolina”
il sorriso timido, ma triste di sua figlia

Sfortunatamente per i bugiardi io ero troppo concentrata sui dettagli che sul resto della realtà; mio padre diceva sempre che avrei potuto fare la psicologa, magari criminale, diceva che sarei stata brava negli interrogatori: capivo sempre chi mentiva. Chissà se però sapevo mentire bene come sapevo riconoscere chi lo faceva.
Si avvicinò a me in silenzio, un suo gesto brusco mi riportò alla realtà.

-siamo in due a non aver voglia, sorridi.

Forse non era un buon inizio, ma non mi venne in mente altro che non fosse una frase stizzita e arrogante; non so perché, ma lui non mi inspirava nessuna simpatia.

-dai entriamo un attimo, voglio prendermi una cioccolata.

Lo tirai per la manica fino dentro il bar; era un locale normale, il piano bar a sinistra con una distesa di bicchieri sul bancone e dietro le bottiglie sistemate dalla più alcolica alla meno alcolica; il bancone e le sedie di legno scuro, quattro piccoli lampadari che escono dal soffitto e penzolano giù. C'ero già entrata con mio padre in quel bar.

“cosa vuoi principessa?”
“papa, sai che non puoi chiamarmi così.”
“scusa, cosa vuoi cara?”
“della cioccolata si può?”
“certo che si”
“le porto subito una cioccolata per la principessa”
“non mi chiami così, perfavore”

Era un po' diverso a quei tempi, sperai che la cioccolata fosse come allora, così avrei potuto ricordarmi non solo dell'odore che proveniva dalla tazza, ma anche quello che proveniva dai vestiti di mio padre seduto davanti a me quel giorno.

-tu per caso mangi solo cioccolata?

-tu per caso hai qualcosa in contrario?

 

****

-no niente in contrario, stavo solo chiedendo, non si può?

Alzai gli occhi su di lui, il mio lavoro non mi piaceva affatto per il momento.
Mi avvicinai al bancone.

-si può avere una cioccolata, per favore?

Il barrista sorrise. Era un uomo non più giovane, con i capelli e la barba bianca. Gli occhi celesti facevano a cazzotti con tutto il resto. Dava l'impressione di essere un principe azzurro invecchiato e che aveva messo su qualche chilo. Ricordo che sorrisi al pensiero.

-e adesso che hai da sorridere?

Scossi la testa, non gli risposi, mi chiedevo perchè avrei dovuto. L'odore di cioccolata mi invase le narici.

-si sieda pure ad un tavolino, signorina, gliela porto io.

Sorrisi di nuovo e feci un mezzo inchino. Sentii una risatina. Ricordai allora perchè mi sembrava tanto un principe. Ricordai quando quel giorno nel bar mi chiamò “principessa”. Non si scordano persone che da piccoli ti hanno colpito così tanto. Si, quell'uomo un po' invecchiato, quel giorno con mio padre, aveva i capelli biondi e i modi di fare di un gentiluomo, bellissimo e con una voce profonda e sincera, ma soprattutto calda, che ti faceva sentire al sicuro.

-sediamoci qua.

Mentre mi perdevo nei miei pensieri, come al solito, sentii la mano del ragazzo che lì per lì mi ero dimenticata di avere accanto. Mi spinse verso una sedia.

-perchè quel mezzo inchino, dai, era imbarazzante.

-perchè ti interessa tanto quello che faccio, prima ti lamenti perchè bevo solo cioccolata calda e ora perchè faccio inchini, la vuoi smettere?

-ecco la cioccolata, signorina

-grazie

"ecco la cioccolata, principessa"
"papà neanche lui con quella bella voce può chiamarmi così glielo vuoi dire"

Mi misi a bere la cioccolata, mentre con gli occhi sopra il bordo della tazza osservavo la persona che mi stava di fronte. Calò il silenzio, dopo l'ultima cosa che avevo detto si era leccato le labbra e aveva semplicemente sorriso chiudendo un pugno che poggiava sopra il tavolo.
Posai la tazza ormai vuota sul tavolo.

-allora...

-non importa davvero che tu parli, basta che ci vedano insieme

Lo guardai un attimo, poi feci un mezzo sorriso. Si toccò le labbra con due dite percorrendo due volte il bordo del labbro inferiore, come a pulirle di un qualcosa che in realtà non c'era, deformandone la linea. Alzò le sopracciglia, come se fosse d'accordo.

-però, potremmo rendere questo pomeriggio un po' più piacevole non trovi?

-se lo dici tu, che bel lavoro che ho scelto.

Sbuffò.

-quello scocciato dovrei essere io, capisci?

Gli sorrisi falsamente.

-ok, facciamo come vuoi tu, rendiamo un po' più piacevole questa cosa.

-Writer's corner:
scusate la cortezza del capitolo, ma ho avuto tanto da fare
suprattutto con la scuola, non mi lasciano un momento in pace

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Capitolo 5
*** Worth. ***


Worth.

Lì seduta in quel bar, su quella sedia, davanti a lui, sentivo come se il tempo passasse troppo più lento del solito. I minuti sembravano anni, le ore millenni. Non ne avevo più la concezione. Sembrava che tutto svanisse intorno solo io e la cioccolata e, dovevo ammetterlo, i suoi occhiali di fronte a me. Cercavo di cancellarli con una gomma immaginaria nella mia testa, ma non potevo, non era così che funzionava nella realtà. Non volevo finire la mia cioccolata, senza non avrei avuto nulla da fare, nulla da dire, nulla a cui pensare; volevo solo godermi quel caldo che mi offriva per un bel po' ancora. Lo vidi scuotere la testa. Non potevo scappare ancora molto. Dovevo lavorare; era il mio lavoro.
Era finita. La cioccolata si era esaurita e con lei anche la mia piccola sicurezza di poter far qualcosa.

-Posso chiederti perchè hai accettato, se non sai neanche come dovresti comportarti e non vuoi?

Appoggiò i gomiti sul tavolino; e si sporse in avanti. Non vedevo sotto i suoi occhiali. Non sapevo se mi stesse sfidando o se semplicemente mi stava dicendo di darmi una svegliata, perchè era arrivato il momento di mettersi a lavoro. Forse tutte e due. Posai la tazza e mi laccai le labbra.

-Per ora non ce n'è bisogno, non c'è nessuno. Tranquillo ne sarò all'altezza quando verrà il momento.

Non ne ero poi così sicura. Non ero sicura di niente. Avevo bisogno di tempo per abituarmici; come quando arrivi in un posto nuovo hai bisogno di ambientarti, così dovevo fare io. L'unica cosa che sapevo è che non dovevo essere licenziata o qualsiasi altra cosa; il contratto durava un anno per adesso e un anno dovevo lavorare. Senza ma. Lo dovevo a Darren per tutto quello che aveva fatto per noi, sempre.
Lui mugugnò, si passò una mano fra i capelli e mi guardò.

-Non hai risposto.

-A cosa?

Quando qualcuno non ti risponde ad una domanda significa che non vuole e non vorrà. Non richiedergliela.

-Perchè?

Ecco. Era quello che intendevo. Non volevo rispondergli; non mi piaceva la compassione degli altri; odiavo i loro sguardi così stupidamente tristi per qualcosa che forse non capiscono. Mi morsi un labbro. Entrarono quattro o cinque persone dalla porta del locale- Erano due gruppi entrati nello stesso momento. Quei piccoli gruppi di amici che escono il sabato, quello che io non ho mai avuto, perchè non ne ho avuto il tempo. Si, non ho molti amici, in realtà non ne ho. Il mio migliore amico, però, è sempre stato mio fratello e ho sempre pensato di non avere bisogno di altri. Lui, invece, credo ne abbia, a volte esce la sera, ma, per quanto siamo uniti, non mi racconta esattamente tutto ciò che fa durante la giornata.
Feci un cenno con il mento ad indicare la gente. Lui si girò e si portò la mano agli occhiali. Li sfilò.

-E' ora di essere all'altezza.

Adesso potevo vedere i suoi occhi celesti. Degli occhi chiari, tanto da sembrare puri, tanto da far credere a chiunque che quel ragazzo era un bravo ragazzo. Feci un gran respiro cercando di non farlo notare. Non erano i suoi occhi a farmi questo effetto, ma le persone che stavano entrando. Segnavano l'inizio di orario di lavoro. Erano un orologio umano in quel momento, tutti come tante piccole lancette che segnavano un'ora immaginaria che significava qualcosa solo nella mia e nella sua mente. Posai lo sguardo sul barista per un attimo. Era intento a servire tutti con quel grande sorriso.

Signore, ma qui non viene mai nessuno?”
Beh, tesoro” e mi fece l'occhiolino “abbiamo aperto da pochissimo, è normale, ma vedrai che quando ti vedranno uscire di qui, accorreranno tutti”
Sorrisi orgogliosa e lui allargò la bocca nel più bel sorriso che una bambina avesse mai potuto vedere.

-Che si fa?

La sua voce mi riportò alla realtà.

-Dovremmo andarcene perchè sta arrivando gente.

Mi guardò con aria mista fra una finta preoccupazione e bugia. Capito, diamo il via alle danze. Nessuna frase compromettente, nessun passo falso, nessuna esitazione. Pensai a quanto fosse facile capire quando uno non è un bravo attore; pensai a mia madre sul palco scenico; mi dissi che potevo farcela, potevo, dovevo aver preso da lei. La sua naturalezza nei panni di altri era perfetta; doveva esserlo anche la mia. Magari era anche più facile visto che odiavo i miei di panni.

-Dobbiamo pagare. Vuoi che vada io?

Lui mi guardò un attimo. Poi si alzò; non rispose, sorrise e basta. Alzatosi dalla sedia era a poca distanza da me. Si sistemò un attimo. Poi fece per dirigersi alla cassa. In quel momento sentii la mia mano diventare calda, un calore umano. Abbassai gli occhi e vidi le sue dita intrecciare le mie. Era un calore strano, innaturale, per niente vero. Non c'era niente fra quelle dita intrecciate. Non c'era niente fra quelle due mani unite. Un contratto; era quello la ragione del freddo che, nonostante quella presa, si dilagava nel resto dei nostri corpi. Non un freddo come quello dell'inverno, un freddo che non fa venire la pelle d'oca, c'è e si sente e basta.

***

Lo seguii fino alla cassa. Mi lasciò andare la mano, per portarla dentro la tasca e estrarne un partafoglio, che sembrava costoso. Infondo era una star, anche se non sapevo chi fosse personalmente. La mia conoscenza di musica si fermava a quell'anno in cui dovemmo vendere il negozio di dischi. Senza più quello per me la musica aveva smesso di nascere. Forse mio padre non ne sarebbe stato fiero.

Ah, la musica amore mio, fonte di ogni grande amore, guarda me e la mamma, nessuno si amava più di noi”
E perchè se ti amava è andata via?”
Mamma non l'ha scelto, è successo e nessuno ne ha colpa. Nemmeno tu.”
Perchè io?”
Niente piccola, niente.”
La bambina che ero si era già accorta che qualcosa non andava, ma non poteva capire che sua madre se ne era andata per dare alla luce lei.

Chissà che cosa era ora quel negozio di dischi. Preferivo non saperlo. Fissai Niall che aspettava di pagare. I guardò e sorrise. I suoi occhi dicevano “menomale dovevi esserne all'altezza”. Dovevo svegliarmi. Ma lui come faceva? Che segreto aveva? Forse era abituato a mentire alle telecamere. Era un cantante infondo. Mentre pensavo sentii un gridolino alla mia sinistra. Era una ragazzina sui quattordici anni che guardava dalla nostra parte incantata. Era mora, bassina e il sorriso metallino la precedeva nella corsa verso di noi. Posai la mano sul braccio del ragazzo quasi involontariamente, per avvertirlo. Lo strinsi due volte come ero solita fare per chiamare qualcuna. Lui si girò prima di poter pagare completamente il barista. Sorrise guardando la fan che gli veniva incontro. Mentre aspettava si avvicinò a me e mi sussurrò qualcosa all'orecchio.

-La tua prima esperienza con le fan.

Sorrisi, naturalmente per la prima volta. In realtà ero solo affascinata da come quella ragazza avesse gli occhi pieni di gioia ma allo stesso tempo piccole e dolci lacrime le illuminavano le iridi. Era così felice. Lui faceva questo effetto a tutte le sue fan? Era davvero così importante? Come faceva? Perchè erano così felici? Proprio non lo capivo. Lo guardai mentre abbracciava la sua fan e le faceva un autografo e scattava una foto con lei. La ragazza lanciò un'occhiata anche a me. Provai a sorridere, ma portroppo me ne accorsi troppo tardi. Mi fissai le scarpe. Sperai di passare per la non abituata alla fama. Arrivarono altre ragazze. Tantissime. Sentii una voce che mi chiamava dietro di me. Mi voltai; il barista mi chiedeva qualcosa.

-Mi scusi quanto le dobbaimo?

Immaginai volesse questo; lui mi guardò un attimo e sorrise.

-Non si preoccupi per questo, vorrei solo sapere chi è la nostra star.

No, non doveva chiederlo. Ero nei guai. Implorai la mia memoria di funzionare. Le stavo chiedendo uno sforzo.

-Beh si, è Niall Horan- il cognome era quello, almeno quello me lo ricordavo -fa parte... beh... si... dei One direction, dovrebbero essere, cioè sono molto famosi, dischi, concerti, queste cose- ok, era andata. Meglio di quanto immaginassi.

C'era confusione tante grida e molte ragazzine, probabilmente era girata la notizia; qualcuna aveva mandato un messaggio alle amiche, qualcun'altra alle nemiche per vantarsi magari. E adesso erano tutte lì.
Il barista mi guardò stranito, non capiva perchè esitassi sul nome, sulla band; era un punto a mio sfavore, dovevo rimediare.

-Mi scusi, non sono abituata, è la prima volta che vedo così tante fan, sono un po' nel pallone.

Rise.

-Non ti preoccupare, figurati io pensavo di essere un normale barista di un normale bar, e adesso è entrata una celebrità, devo approfittarne.

Gli sorrisi, lui fece lo stesso ma rivolto verso il bancone. Io puntai il mio sguardo sul Niall, ancora ammirata dal fascino che aveva con le sue fans. Lui alzò la testa dall'abbraccio di una ragazza e mi fece segno di avvicinarmi con una mano. Non volevo avvicinarmi, non volevo intromettermi fra lui e loro. Lo fece di nuovo. Vedevo ragazzine con il telefono e capii che le loro fato sarebbero finite online. Capii che dovevo avvicinarmi.
Un passo da lui. Solo un passo, ma cosa si fa mentre il tuo finto ragazzo è circondato da fan? Non c'era una guida e non ci sarà mai. Inghiottii. Erano quasi esauriti gli abbracci. Fu lui che annullò la distanza fra noi. Mi pose un braccio intorno alla vita. E sentii il suo “andiamo” sussurrato all'orecchio. La falsità scivolava nel mezzo, fra le sue costole e le mie. Qualche fan rimasta scattava foto, altre guardavano stupite. Io annuii e ci avviammo verso la porta. Era solo passata un'ora. Usciti di lì il tempo ritornò ad essere normale, scorreva come in tutte le altre giornate della mia vita. Sospirai. Sentii il suo braccio spostarsi sulle spalle. Anche lui sospirò. Io misi il mio intorno alla sua schiena. Era un contatto estraneo, non avevo avuto il tempo di adattarmi. Non era però così male, non te ne accorgevi, non sentivi dolore, non sentivi un vuoto allo stomaco, era solo strano. In testa avevo mille pensieri ed ero come frastornata e fuori dal mondo, ma continuavo a camminare, guardando in basso e lasciando che guidasse lui. Dovunque andassimo andava bene.

*writer's corner*
Si è passato un anno da quando ho pubblicato il capitolo prima di questo.
Non ho avuto tempo e voglia di continuare, ma poi una mia amica mi ha chiesto 
di continuare e  mi sono detta ma si, tanto non la legge nessuno
come al solito. Ahahahah apparte ciò spero sia scritto bene e possa piacervi,
grazie se lo leggete e se lo recensite.

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