I tredici passi

di Mrs_Safw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo & Cap. 1: Le priorità ***
Capitolo 2: *** Cap. 2: Liberazione o Morte? ***
Capitolo 3: *** Cap. 3: Sottopressione ***



Capitolo 1
*** Prologo & Cap. 1: Le priorità ***


Angolo dell'autrice: E' la prima volta che mi cimento in una fanfiction sul mondo di Supernatural che personalmente amo alla follia, quindi spero prima di tutto di rendere bene l'idea che mi vortica in testa da un po' di tempo senza ricadere in incoerenze di fondo.
Questa fic nasce come un seguito dalla morte di Abaddon senza tenere conto del finale della stagione - che ammetto ancora mi lascia troppo shoccata e credo di non riuscire mai a metabolizzarla completamente, anche se... LO SAPEVO CHE FINIVA COSI' *delira* - fungendo da intramezzo prima della resa dei conti con Metatron. La mia sarà una storia nella storia in sostanza,  o come mi piace dire: un allungamento della storia originale.
Seppur lo aggiungerò anche nei crediti finali, il titolo così come alcuniecitazioni che segnalerò usando una * sono un Omaggio al libro di E.E. Richardson "The Devil's Footsteps" conosciuto in Italia come "Tredici passi alla porta del Diavolo" che mi ha ispirata nella stesura di questa fic.
Oltre a scrivere fanfiction, per quanto non sono solita a pubblicarle perchè non mi sento proprio all'altezza, mi diletto a giocare ai gdr by chat che trattano appunto le tematiche del soprannaturale come il nostro Supernatural e mi piaceva pensare come un mio personaggio - quindi originale - potesse muoversi all'interno di questo mondo.
Non mi dilungo troppo, la descrizione del mio personaggio arriverà piano piano con la storia perchè già ho fatto troppi spoiler e vorrei evitare il linciaggio (?), quindi vi auguro solo una buona lettura e se vi va commentate - che siano critiche costruttive o meno - che a me fa piacere *-* 
Ovviamente tutti questi personaggi non mi appartengono, ad eccezion fatta del nuovo personaggio; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
I Tredici Passi


Prologo
E dopo aver ucciso Abaddon, Dean sapeva di non poter più tornare indietro. 
Il Marchio di Caino bruciava la sua pelle, la sua sete si era finalmente risvegliata. 
Doveva uccidere, bramava il sangue. 
Lo voleva. 
Lo desiderava. 
Nessun rimorso ad averlo, nessun pensiero a distrarlo, niente sembrava riuscire a placarlo.
Solo una cosa poteva... la morte.
Ma Dean non voleva morire e lo sapeva che se non avesse ucciso sarebbe morto. 
E lui non voleva.
Voleva continuare a vivere, voleva continuare a combattere al fianco di Sam, voleva riportare l'ordine e spazzare via dal creato qualunque figlio di puttana, che essi fossero Demoni, Cavalieri, Angeli o pseudo Dei come quel Metatron buoni solo a raccontare le storie ai bambini prima di mandarli a letto.
Era un cacciatore e lo sarebbe rimasto per sempre.
Ne l'Inferno, ne il Purgatorio sono riusciti a cambiarlo.
Non ci riuscirà nemmeno la Prima Lama.
Doveva liberarsene.
Ormai era questa la priorità... prima che fosse troppo tardi.



Capitolo 1: Le priorità
Non riusciva più a dormire. 
Per quanto il problema "Cavaliere Infernale" fosse stato risolto, non passava notte senza sogni raffiguranti uccisioni a cui la sua sete di sangue gioiva e, non meno importante, aveva sempre una voce in testa. Una donna che gli sussurrava cose per niente piacevoli. Una voce tanto antica quanto inquietante, difficile dire se appartenesse ad un adulto o a un bambino. Infantile ma al tempo stesso troppo seria, di chi fosse consapevole di quel che stava dicendo. Bisbigli, incitamenti a uccidere, a prendere di sorpresa tutte le persone che amava per porre fine a questa agonia. Lo stava mandando alla pazzia. Per quanto fosse stato già all'inferno, quello che stava vivendo ora era addirittura peggio.
Il volto mandido di sudore, visibilmente stanco. Occhi che si aprirono di scatto a porre fine all'ennesimo incubo. Respiri accelerati, tachicardia. Si alzò dal proprio letto convinto che due passi potessero solo fargli bene, magari a dimenticare quella voce che ormai accompagnava il suo sonno; passi che lo condussero nella sala del bunker dove si era rifugiato assieme a Sam e che, a discapito dell'ora pessima, continuava a cercare tra i vari libri soluzioni al suo problema.
<< Ehi. >> Una voce bassa la sua e di chi sembra essere ancora nel mondo dei sogni. Si avvicinò pigramente al tavolo non dopo aver recuperato una birra, occhieggiando il fratello impegnato a consultare l'ennesimo libro.
<< Altri incubi? >> Domandò non ricevendo risposta se non un semplice mugugno. Con Dean alla fine era sempre così, mai che riuscisse ad esprimere quello che provava ma ormai anche Sam si era abituato al suo carattere per quanto non lo condividesse per niente. Dean al tempo stesso, per quanto Sam conoscesse i suoi incubi, aveva sempre occultato il dettaglio della voce. Per non preoccuparlo, per non dargli troppi pensieri.

Passarono minuti in silenzio e da minuti divennero ore e ormai l'alba era prossima a spuntare per quanto nel bunker era difficile dirlo vista l'assenza delle finestre ma, a discapito di tutto, l'ambiente sembrava piacevole almeno fino a quando qualcosa lasciò presagire ai due che non fossero davvero da soli.
Il freddo invase la sala, aderendo come una piccola morsa all'altezza delle caviglie per poi risalire piano lungo le gambe dei due. Le luci della sala vennero smosse, sembravano bisbigliare cose. Accese. Spente. Accese. Spente. 
Un ritmo abbastanza scandito, un suono di passi. Difficile dire da dove provenisse, ma Sam e Dean subito recuperarono le loro armi. Tutta la stanchezza scemò, ora non potevano mostrarsi deboli, c'era qualcosa. O Qualcuno.
Qualche gesto tra i due, intesa consolidata da anni, prima di dividersi e setacciare il bunker.

<< DEAN! >> La voce di Sam risuonò dopo diversi minuti, si trovava negli archivi a pochi metri di distanza da quella prigione dove Crowley finiva sempre incatenato. Il freddo era pungente lì, libri e fogli sparsi ovunque, scatole aperte e lanciate alla rinfusa come se un piccolo tornado fosse passato da quelle parti, ma i passi... quelli non si sentivano più.
Dean fu rapido a raggiungere il fratello e non appena riusciì a scorgere il casino, un brivido non indifferente gli passò lungo la schiena. Non era solo il casino a preoccuparlo, ma il marchio sul suo braccio iniziò a bruciare per la quantità di sangue sparso sul pavimento.
Nel centro, infatti, schizzi di sangue ancora fresco si espandevano sul cemento. Una Trappola del Diavolo fatta col sangue e al suo centro una donna dai tratti afroamericani dalla pelle segnata da grandi simboli bianchi e ustionata in più punti, dai lunghi capelli scuri ormai pregni di quella sostanza rossa e di un taglio assimetrico da cui proveniva un forte odore di bruciato. Il lungo collo segnato da uno squarcio da cui quel liquido ematico continuava a sgorgare; una veste cerimoniale dai colori sgargianti strappato e bruciato su più punti e completamente scalza. Riversa sul pavimento, la schiena completamente scoperta e una scritta incisa su quella pelle: "Per primo viene il fuoco, il sangue per secondo...* Sono solo tredici passi, Winchester, e poi Dean morirà. Voglio la Prima Lama." Nessuna firma. Nessun segno di riconoscimento.
<< Oh bene! Ci mancava l'ennesima minaccia di morte a mio nome. >> Sbuffò sonoramente, levando le mani verso l'alto prima di compiere qualche passo.
<< Dean... > lo richiamò suo fratello, distogliendo lo sguardo dal corpo e osservarlo con un cipiglio preoccupato in volto.
<< Dean cosa, Sam? Non mi dire che ancora ti sconvolgi, andiamo non penser- >> Non concluse, l'ennesimo brivido si espanse lungo la schiena in cocomitanza con quel freddo che per un istante si fece ancora più pungente.
< - Coloro che vivono per la morte moriranno di propria mano, Dean - >
Quella stessa voce, quella che accompagnava i suoi incubi di notte da due settimane, tornò a farsi sentire riecheggiando in quell'abitacolo. Un tono leggermente acuto, pregno di un inquietante divertimento. Per quanto non si potesse vedere la fonte, Dean immaginò benissimo un sorriso ad accompagnare quelle parole. Inchiodò di colpo lui, sentendo quella voce accarezzargli l'udito, provocandogli brividi lungo il corpo, lasciandolo lì col volto teso e il sudore freddo ad inumidirli la fronte. << La voce... ancora. >> Un bisbiglio il suo e quel freddo ancora tangibile nell'aria, tanto da rendere rarefatto anche il solo semplice fiato.
<< Ancora? L'hai già sentita prima? >> Non riuscì a trattenersi Sam, aggrottando visibilmente la fronte cercando di avvicinarsi a suo fratello.

<< Le danze sono state già aperte, noto. >> Una figura comparve alle loro spalle, vestita con quel solito completo nero e quel sorriso beffardo a piegargli le labbra. << Vi consiglierei di accedere il riscaldamento, sapete... fa un po' freddino qui. >> e mimò anche un brivido per rendere più veritiero e canzonatorio al tempo stesso quelle parole.
<< Crowley è opera tua? >>
<< Oh Moose... pensi davvero che tirerei su questo teatrino? >> Sorrise lanciandogli anche un'occhiata abbastanza eloquente. << Dov'è la Prima Lama? >>
<< La Prima Lama non è affare tuo. >> Grugnì Dean, lanciandogli un'occhiataccia.
<< Vero, ma è affare tuo... se non vuoi morire e lo sai che succederà molto presto. >> Non seppero perchè, ma quelle parole furono come una pugnalata in pieno petto per entrambi. << Il Marchio sta pulsando, vero? E siamo solo all'inizio. >>
<< Di che stai parlando?! >>
<< Sto parlando del famoso detto: "Morta una stronza, se ne fa un'altra", Moose. Davvero pensavate che con Abaddon sarebbe finito tutto? Mi deludete. >> scosse il capo in un cenno di finta delusione. Volse lo sguardo scuro poi in direzione del corpo ormai privo di vita, avanzando di qualche passo facendo ben attenzione a non sporcarsi le suole delle scarpe firmate. << Oh... Francine, davvero una morte degna del tuo bambolotto. >> Mormorò arricciando le labbra in una smorfia.
<< E' una dei tuoi? >>
<< Era di Abaddon. >> Nemmeno un barlume di dispiacere in quella voce.
<< E adesso chi c'è? Cosa vuol dire che morta una stronza, se ne fa un'altra? >>
<< Dean Dean Dean... >> Non continuò, limitandosi ad osservarlo.
<< ... Un cavaliere? Di nuovo?! >>
<< Moose mi rende sempre soddisfatto, dovresti prendere lezioni da tuo fratello, sai? >>
<< Può tornare anche Lucifero, non ho paura ad affrontarlo. >> Tronfio, uno sguardo carico di sfida alla volta del Re dell'Inferno.
<< E tu pensi davvero che si faccia ammazzare come un maiale da quell'arma? Sono già iniziati gli incubi? La stai già sentendo nella tua mente? >> 
Più sentiva quelle domande e più Dean si sentiva mano a mano più vulnerabile, ma non lo diede a vedere continuando ad osservare l'altro con una smorfia a piegargli le labbra.
<< Per questo l'hai riconosciuta? Perché non me lo hai detto? >>
Ma le domande di Sam non ebbero risposta, perchè Dean era troppo concentrato su Crowley con quella voglia di rivalsa a ribollire nelle vene, con quel Marchio a pulsare sul braccio.
<< Chi è. >> Un sibilo. Solo questo.
<< Conosci il suo comandante. Gli hai mozzato quasi una mano per avere un suo anello. Cercate nei vostri stupidi archivi, perchè la sua conta è già iniziata. >> Uno sguardo a Dean. << La liberazione o la morte? Vincere o perdere contro Metatron? >> Un sorriso, l'ultimo, prima di sparire senza attendere risposta lasciando i due con uno sguardo sconvolto e una rabbia che mano a mano cresceva in loro.

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* = "Per primo viene il fuoco, il sangue per secondo..." è l'intro di una filastrocca contenente nell'opera di E.E. Richardson - The Devil's Footsteps/Tredici passi alla porta del Diavolo. Il seguito verrà mano a mano rivelato durante la fic.  

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Capitolo 2
*** Cap. 2: Liberazione o Morte? ***


Angolo dell'autrice: Eccoci qui con la seconda parte de "I Tredici Passi". Ringrazio calorosamente i lettori silenziosi che si sono buttati per caso o meno a leggere la prima parte così come ringrazio le recensioni ricevute che mi hanno commosso * e quelle persone che hanno aggiunto la storia tra le "seguite" o "ricordate" *ç*
Seppur lo aggiungerò anche nei crediti finali, il titolo così come alcune citazioni che segnalerò usando una * sono un Omaggio al libro di E.E. Richardson "The Devil's Footsteps" conosciuto in Italia come "Tredici passi alla porta del Diavolo" che mi ha ispirata nella stesura di questa fic.
Questo capitolo avrò come protagonista Dean e uno dei suoi incubi. Cercherò di fare del mio meglio per rendere le descrizioni come le ho immaginate e riviste più di una volta nella mia mente, vi auguro una buona lettura e se vi va commentate - che siano critiche costruttive o meno - che a me fa piacere *-* 
Ovviamente tutti questi personaggi non mi appartengono, ad eccezion fatta del nuovo personaggio; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
I Tredici Passi


Capitolo 2: Liberazione o Morte?
Seppur Crowley sparì da svariati minuti lasciando soli i due fratelli all'interno del bunker, Dean non riuscì a togliersi dalla mente quelle parole. 
Più ci pensava e meno riusciva a capire. 
Più cercava di trovare un significato intrinso in esse e più quel marchio pulsava sulla sua pelle.
Più se le ripeteva in testa e meno sentiva l'aria arrivare ai polmoni.

La liberazione o la morte? Vincere o perdere contro Metatron? 
 
Un principio di soffocamento in pieno stile lo colse, per quanto l'aria attorno fosse presente. Il freddo mano a mano scemava facendo tornare l'abitacolo a una temperatura ottimale ma lui non sentiva più freddo. 
Bruciava.
Il sangue nelle sue vene ribolliva, il calore si propagava dal marchio per espandersi in tutto il corpo. L'ossigeno diminuiva drasticamente e, per quanto cercasse di prendere aria, nessun respiro riusciva a soddisfarlo.
E Sam inveiva contro di lui, lo sentiva seppur lontano, ovattato. Ne percepiva l'irritazione per non avergli rivelato quel piccolo dettaglio, per non essere stato sincero fino in fondo con lui e subito dopo di non essere sorpreso da questo suo comportamento del cazzo.

Parole. Parole. Parole.
E Dean non le sentiva. 

Non le percepiva a fondo, ma gli scivolavano addosso come un velo di seta bianco. 
Il Marchio di Caino bruciava insistentemente, debilitando le percezioni, facendolo distanziare dalla realtà mano a mano.

Sono già iniziati gli incubi? La stai già sentendo nella tua mente? 

Forse sì, forse no avrebbe tanto voluto rispondere ma non aveva più voce.
La sua mente vorticava furiosamente, la sua vista iniziò ad annebbiarsi. I contorni divennero sfocati. Sam stesso divenne sfuocato.
I suoni sempre più lontani sino a ridursi a un bisbiglio incomprensibile di sottofondo.
Le luci nella sua testa ripresero a lampeggiare seguendo un ritmo fin troppo calzante.
Accese. Spente. Accese. Spente.
E non si fermavano. 
Niente si fermava. 
Stava perdendo il senso dell'equilibrio, stava perdendo tutto se stesso. Solo una cosa ben tangibile: il calore.
Un calore soffocante. Niente più aria. Niente più vista. Niente più udito.
Era questo a cui si riferiva Crowley? Era forse arrivata la sua ora? Il Marchio lo avrebbe portato con sè così presto? Cosa avrebbe fatto Sam senza di lui? Come avrebbe eliminato del tutto Metatron? Lui e Castiel da soli non potevano farcela. Avevano bisogno di lui.

Accese. Tic. Spente. Tac. Accese. Tic. Spente. Tac.

Un ticchettio. 
Un orologio che conta il tempo, un orologio presente solo nella sua mente. Quelle lancette che scoccano creando un rimbombo deciso. Un colpo. E poi un altro ancora. 

La sua conta è già iniziata.

La conta... si riferiva a questo quello stupido demone? Sta succedendo davvero? Sta davvero morendo?

Tic. Tac. Tic. Tac. 

Un soffio gelido sulla nuca che lo destabilizzò completamente facendogli compiere un paio di passi indietro. Le ginocchia cedevano ad ogni passo, le mani che si allungavano alla ricerca di un sostegno che trovò dopo qualche attimo contro una delle librerie.
Gelo e Calore.
Due opposti.
Due lati della stessa medaglia.
Un connubbio letale.
Sudore freddo e sudore caldo.

Coloro che vivono per la morte moriranno di propria mano, Dean. Tic. Tac.

Ancora lei. Ancora quella voce.
Un secondo soffio sul collo. Diverso. Non più gelido, ma bollente. Sembrò qualcuno intento a respirare direttamente sulla sua pelle. Respiri accelerati, di chi sembrava trattenersi da un impeto di rabbia. Affanno.

< E' solo una questione di tic e di tac. Tra non molto le campane dell'Inferno suoneranno. > Un bisbiglio direttamente sul suo orecchio. Un altro soffio bollente contro la pelle che lo fece rabbirividire e tutto si fece nero.
Un solo tentativo, l'ultimo, di riprendere aria e poi il nulla.
Dean reclinò il capo all'indietro, abbandonando la presa dalla libreria, lasciandosi andare al suo destino.
Niente più Sam. Niente più bunker. Niente più luce. 

Solo il Vuoto.

...

Non seppe dire quanto tempo passò, ma lentamente riprese a respirare. L'aria finalmente riuscì a raggiungere i polmoni dandogli una parvenza di pace e le palpebre si mossero permettendo alla vista di tornare a vedere un'altra volta.
Un bagliore lo portò subito a serrare lo sguardo, accompagnando la mancina a celarne il volto.
Palpebre che tornarono a battere per mettere a fuoco e l'udito lentamente riuscì a percepire i suoni.

Tum. Tum. Tum. Tum.
Un basso. Una tromba. Lentamente alle sue orecchie arrivò una musica in chiaro stile Jazz in sottofondo e lo sguardo si alzò.
Era in uno Stripclub. 
Luci soffuse dai colori del rosso e dell'arancione, alte pareti bordeaux e pavimentazioni di marmo nero e lucido. Lui seduto proprio dinanzi al palco rosso scuro dove due donne bellissime e in abiti a dir poco succinti si esibivano attorno al palo a ritmo di musica. C'erano persone e c'erano dollari. Uomini che sbandieravano i loro portafogli da donare placidamente alle ballerine e a quelle cameriere intente a servire i tavoli.
Sbattè un paio di volte le palpebre mettendo finalmente a fuoco il tutto. Era così dannatamente reale, ma al tempo stesso riusciva a percepire una nota molesta in tutto questo. Il Marchio di Caino continuava a bruciare. Era LUI la nota molesta.
Una cameriera gli si avvicinò servendogli una birra, una giovane donna dai lunghi capelli scuri e la pelle chiara, due grandi occhi azzurri e un sorrisetto furbo messo in risalto da un rossetto rosso. Si dristicava tra i vari clienti e tavoli in maniera sinuosa reggendo il vassoio con una sola mano alzato vicino al capo. Notò che una volta passata lei, tutti si giravano a guardarla. Il suo corpo si muoveva come un serpente incantato da un flauto. Ipnotizzante. Più ipnotizzante delle ballerine attorno al palo.
Sorrisi. Occhiolini. Sussurri. Battute che al suo orecchio non arrivarono. Con poche e semplici mosse riusciva a conquistare tutti, lui compreso. Gli parve per un istante che uno di quei sorrisi fosse rivolto a lui, ma non ne era certo. Ma era sicuro che il cenno successivo lo era, gli indicava il palco.
Sbattè le palpebre tornando ad osservare le ballerine, dove una di queste si avvicinò a lui. Scese dal palco. Gli girò attorno posando le mani lunghe e affusolate sulle sue spalle, laccate di nero. Una donna dai lunghi capelli rossi e occhi verdi, col corpo cosparso di lentiggini e piccoli tatuaggi.
< Rilassati. > Un sussurro diretto al suo orecchio, qualcosa di soave e tremendamente eccitante e non potè fare altro che starla a sentire. Per quanto il Marchio continuasse a bruciare, lentamente iniziò a rilassarsi, lasciandosi avvolgere da quella musica e da quelle carezze che la ballerina gli donava. Un Paradiso nell'Inferno in quel luogo di perdizione ma non gli importava.
Un sorso di birra e poi chiuse gli occhi, reclinò il capo all'indietro mentre quelle carezze lo stavano rendendo piano piano incapace di intendere e di volere.
< Ahio! > Sbottò ad un certo punto, sentendosi bruciare all'altezza della guancia destra dove un piccolo rivolo di sangue iniziò a scendere sino a raggiungere il mento. Gli occhi tornarono a spalancarsi, la fronte aggrottata e un'occhiataccia pronta, ma quando si voltò rimase completamente gelato da quello che vide.
La ballerina non c'era più, ma al suo posto c'era una bambina. Lunghi capelli biondi, un volto dai tratti dolci, un vestito della domenica bianco con i fiorellini azzurri. La cosa che lo fece gelare sul posto però erano gli occhi: completamente bianchi. 
< ... Lilith? > Gli uscì solamente un sussurro, ma quella bambina era lei. Lo sapeva. Se la ricordava.
La bambina rise, una risata cristallina e sinceramente divertita, mostrando la candida dentatura. La musica cessò, niente più Jazz, solo lei e la sua voce:
< And out of the darkness the Mad Rage did call
True pain and suffering she brought to them all
Away ran the children to hide in their beds
For fear that the Devil would chop of their heads.**>
Quella voce non era quella di Lilith. 
Era la voce che lo accompagnava nei suoi sogni, troppo adulta per quanto evesse dei picchi di infantilismo. Troppo consapevole nel pronunciare quella filastrocca, faceva ben attenzione a dove mettere gli accenti. Troppo divertita.
< Chi cazzo sei. > Sibilò, cercando di trovare la forza dentro di sè per riuscire ad alzarsi, ma qualunque tentativo facesse risultò vano. Non riusciva a muoversi.
La bambina sorrise ancora in maniera fin troppo esagerata, arricciando il piccolo nasino e se non fosse per gli occhi bianchi sembrerebbe pure buffa. Ma non lo è. Proprio per niente.
Uno scoppio lo fece volare. Una lampada fulminata cadde dal soffitto infrangendosi direttamente sul palco dove le ballerine smisero di ballare, rimanendo ferme e immobili come statue a guardarlo. Senza nemmeno badare a quel piccolo incidente.
La pioggia si scontrava contro le finestre, lasciando piccole goccie sul vetro come traccia. Tuoni all'orizzonte e il vento a infrangersi contro alcune persiane. Con quel silenzio tutto era udibile alle sue orecchie.
< Allora?! > Tuonò Dean tornando a volarsi, ma della bambina nessuna traccia. Sparita. Aggrottò visibilmente la fronte lui, trovando solo adesso la forza per rialzarsi, abbandonando quella sedia e riportando lo sguardo sulla gente lì presente che, come le ballerine, rimasero in piedi e immobili a fissarlo.
< Che avete da guardare, eh?! >
Il Marchio nuovamente tornò a farsi sentire, bisbigliando cose. Incitandolo. La rabbia mano a mano saliva, ne ribolliva il sangue. Le mani si chiusero a pugno, facendo sbiancare le nocche, trattenendo quell'impeto mentre osservava tutta quella gente.

Un sussulto. Un altro. Tosse. 

Ogni persona all'interno di quello Stripclub iniziò ad annaspare cercando di trovare un po' d'aria, agitandosi per voler cercare aiuto. Niente più musica, ma il vociare di qualcuno in difficoltà. Espressioni terrorizzate, sguardi sgranati, bocca spalancata, mani a tenersi la gola e che ricadevano in ginocchio sul pavimento di marmo scuro.
L'acqua uscì dalle loro bocche che finì a terra rendendo le mattonelle ancora più lucide.
Stavano soffocando. Stavano annegando.
Non riuscì a capacitarsene lui, visto che non c'era acqua in giro.
Si mosse per cercare di salvare qualcuno, almeno uno, ma non riuscì a muovere un passo, rimanendo bloccato ad osservare quella gente morire.

Acqua e sangue. Tuono. Sussulti. Fulmine. Annaspi. Vento. Morte.

Quella ventina di persone riverse sul pavimento con l'espressione terrorizzata in volto e questo macchiato da acqua e da sangue. Immobili. 
Lentamente la loro energia vitale venne spazzata via, al tempo stesso il temporale cessò, lasciando solamente per ultimo il vento. Quello stesso vento che dall'esterno raggiunse quella scia di cadaveri e lui stesso. Lo accarezzava, un vento gelido che lo fece rabbrividire.

Ce ne sono così tanti di noi. Ce ne sono così tanti di noi.

Il vento bisbigliava come una litania, un centinaio di voci di diverse tonalità riempivano quel silenzio insolito dello Stripclub e, come le carezze della spogliarellista, lentamente lo rintontivano facendogli perdere la percezione delle cose. Si mosse cercando di appoggiarsi al palco, finendo rovinosamente a terra accanto a un cadavere che lo fissava. Tutti, seppur morti, continuavano a fissarlo. Non si preoccupò del sangue che gli macchiava i vestiti, ma cercò di rimettersi in piedi e allontanarsi da loro più rapido possibile.

< Non ti stai divertendo, Dean? > 
Quella voce di donna fece scemare la litania, rialzò lo sguardo incrociando la figura di quella cameriera che ora lo osservava con un sorriso inumano a piegargli le labbra carnose sporche di rossetto e gli occhi completamente bianchi.  
< ... chi cazzo sei. >
< No no no. Non si parla così a una signora. > Si imbronciò, facendo sparire quel sorriso a favore di una smorfia infantile, agitando la mancina. < Siediti. > Quella stessa mancina si mosse indicando prima il cacciatore e poi la sedia dove finì inconsapevolmente seduto. Avanzava lei, lasciando risuonare i tacchi vertiginosi sul palco, avvicinandosi a lui per poi inginocchiarsi.
< Non sei curioso di sapere come continua la conta? > Chiese con esigenza, con un leggero affanno nella voce e quel sorriso tornò a far capolino sul volto. < No? E io te la dico lo stesso. > Un respiro, scenico. < Terza è la tempesta, che al quattro annega il mondo...*> Arricciò il naso, trattenendo a stento una risata. Gli occhi bianchi a scrutarlo a fondo, la mancina si levò ad indicare la finestra - che ancora manteneva i segni lasciati dalla pioggia - e poi i cadaveri a terra. < Tempesta. Annega. Eh? L'hai capita? > Eloquente il suo tono e una risata tanto divertita quanto inquietante come la sua voce. Qualcosa di stonato.
Dean rimase basito, forse per la prima volta in vita sua fu senza parole. Il respiro accelerato, la voglia di scappare, il marchio che bruciava certo ma quella lì davanti... gli sembrò solamente un'idiota.
E' questo il Cavaliere che dovrebbe ucciderlo? Sul serio? Non se ne capacitava.

< Hai finito? >
< Oh come on, Dean! Sorridi un po'. Era divertente. > Si imbronciò nuovamente, lasciando uscire quella voce che risultò essere un semplice pigolio. Era come se dentro quel corpo convivessero due entità a se stanti. Un po' come dr. Jekyll e mr. Hyde.
< Cosa. Vuoi. > Sibilò lui, scandendo perfettamente.
< Il messaggio su Francine non era chiaro? > Chiese facendosi pensierosa per qualche istante. < Forse mi sono lasciata troppo andare... Voglio la Prima Lama, honey. Quindi... dove sta? >
< Ovunque e in nessun posto per te. > 
< Uhm. > Un altro broncio infantile. < Non mi piace quello che hai detto. > Mormorò prima di andare ad abbassare lo sguardo in direzione del braccio destro del cacciatore. 
Fiamme. Dolore atroce.
Si contorse, Dean, non appena sentì il Marchio vibrare. Gli aghi conficcati nella pelle sarebbero stati meno dolorosi in confronto, ma lui non emise un suono, stringendo i denti per resistere a quella tortura. < Voglio la Prima Lama. > Ripetè lei.
< Non... sarà... mai... tua, puttana. > 
Il bronciò scemò in favore di una risata cristallina che lo fece rabbirividire, rialzò appena le palpebre per osservare come il sorriso sghembo tornò a piegare le labbra del demone. < Sei spiritoso... mi piace! > Inziò lei, scendendo poi con un piccolo salto dal palco per portarsi proprio di fronte al cacciatore incrociando le braccia dietro la schiena. < Lascia che ti rinfreschi le idee. > Sussurrò, avvicinandosi all'orecchio altrui. < Chi pensi che abbia dato l'idea a Caino di crearla? > Un soffio bollente. Fastidio. Il suo fiato bruciava e si contorse maggiormente.
< Chi. Sei. > 
< Sono la tua liberazione e la tua morte. > Un altro sussurro al suo orecchio. Altro bruciore. < Ho in mente un luna park pieno di atroci divertimenti per te e sai perchè? > Si scostò da lui, gli occhi bianchi sparirono lasciando spazio a quelle iridi azzurrine della cameriera. Le mani che si scontrarono un paio di volte, frenetiche. Applaudì. < Perchè hai ucciso Abaddon, Dean! > Il tono si fece incredibilmente più acuto. Uno squittio. < Quindi quindi quindi... voglio essere gentile con te. > 
< Non voglio la tua gentilezza! > Sbottò lui, lanciandole un'occhiataccia non appena ebbe modo di vederla spostarsi.
< Ma ancora non sai cosa ho pensato per te. > Si imbronciò di nuovo. < Vuoi davvero tenere quel Marchio a vita? Io posso togliertelo, sai? E' mio. >
< Non è tuo. >
< Ah no? E dimmi... > La voce si abbassò e al tempo stesso il Marchio riprese a bruciare sottopelle. < com'è che reagisce alla mia vicinanza? > Incrociò le braccia sotto al seno, andando a sedersi sul palco, di fronte a lui. Il sorriso di nuovo su quelle labbra rosse.
Dean non rispose, rimase in silenzio per lunghi istanti preferendo pensare. Più ci pensava e più quello che l'altra diceva aveva un senso, mai il Marchio si era comportato così prima.
< Dimmi chi sei. >
< Oh e rovinare tutto il divertimento? > Scosse il capo un paio di volte in cenno di diniego.
< CHI SEI. > Tuonò lui.
< Ti do un indizio, piiiiccolo piccolo: > La mancina si levò ad indicare una piccola porzione con indice e pollice. < Cavallo rosso. Spada. > Recitò con fermezza nella voce senza mai staccare gli occhi dall'altro.
< Io non sono Abaddon, Dean. La rossa era stupida e ancora mi chiedo come sia riuscita a fare un puttanaio come quello che ha fatto. > Borbottò non trattenendo uno sbuffo. < Ci sono ancora nove passi prima che la conta finisca e allora suoneranno le campane. > Scese dal palco, tornando a troneggiare su di lui. < Riportami la Lama in tempo o l'inferno al fianco di Alastair non sarà niente in confronto a quello che passerai con me. > Un sussurrò che si concluse con un soffio. Un soffio dalla colorazione grigia che investì completamente il cacciatore come una folata di vento, facendolo cadere dalla sedia.

Un tonfo. Una luce accecante.
Un respiro. Le palpebre che pigramente si rialzarono mettendo a fuoco la propria stanza.
Un colpo di tosse e la figura di Sam a comparire nel suo campo visivo.
< Dean finalmente! > Riuscì a percepire nella voce di suo fratello una preoccupazione pura. Si sentiva indolenzito, la testa gli faceva male, tutto il corpo dolorante, ma il Marchio non bruciava.
< Dean? Mi senti? >
< ... non c'è bisogno di essere così apprensivo. Credo di essere solo svenuto. > La voce usciva piano, affaticata e incredibilmente roca. Del sudore freddo gli imperlava la fronte.
< Svenuto? Dean sei stato privo di sensi per quattro giorni. > 

Cosa?

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* = "Terza è la tempesta, che al quattro annega il mondo..." è la seconda parte di una filastrocca contenente nell'opera di E.E. Richardson - The Devil's Footsteps/Tredici passi alla porta del Diavolo.   
** = La filastrocca pronunciata dalla bambina (?) deriva dalla canzone di Rob Zombie intitolata "Call Of The Zombie" e rieditata per esigenze di trama.

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Capitolo 3
*** Cap. 3: Sottopressione ***


Angolo dell'autrice: Eccoci qui con la terza parte de "I Tredici Passi". Ringrazio calorosamente i lettori silenziosi che si sono buttati per caso o meno a leggere la prima parte così come ringrazio le recensioni ricevute che mi hanno commosso * e quelle persone che hanno aggiunto la storia tra le "seguite" o "ricordate" *ç*

Ci tengo fin da subito a INGINOCCHIARMI e chiedere scusa a tutti voi per aver postato questo capitolo dopo mesi e mesi di ritardo ma, come ho detto ad alcuni di voi tramite mp, ho avuto svariati problemi che mi hanno tenuta lontana dal pc e quindi per forza di cose non sono riuscita a proseguire con le mie storie. Ma le continuo ecco, non ho alcuna intenzione di lasciarle morire nel dimenticatoio ma sicuramente dato che devo riprendere i ritmi tutto avverrà con molta calma e questo capitolo lascia intendere questo.

Come al solito, seppur lo aggiungerò anche nei crediti finali, il titolo così come alcune citazioni che segnalerò usando una * sono un Omaggio al libro di E.E. Richardson "The Devil's Footsteps" conosciuto in Italia come "Tredici passi alla porta del Diavolo" che mi ha ispirata nella stesura di questa fic.

A differenza dei capitoli precedenti non vi spoilero sul contenuto di questo lasciando a voi tutto il tempo e modo di poter fare congetture e azzardare cosa effettivamente voglia dire – LOL sono una persona sadica – questo anche perchè, col passare del tempo, mi sono venute in mente idee su questa storia che hanno fatto sì di mutarla un minimo per renderla – si spera – più interessante e coinvolgente. E niente spero che la lettura vi piaccia e cercherò di fare del mio meglio per rendere le descrizioni come le ho immaginate e riviste più di una volta nella mia mente!

Buona lettura!

 

I Tredici Passi

 

Capitolo 3: Sottopressione

Erano ormai dieci minuti buoni che nella mente di Dean si formò solo ed un unico pensiero: quattro giorni? Come è possibile?

Eppure Sam fu chiaro, non dava minimamente l'aria di una persona che stesse scherzando. Era troppo serio, troppo preoccupato per la sua vita per riuscire a scherzare in un momento come quello.

Gli lasciò qualche minuto per riprendersi, per farsi una doccia, per riordinare le idee o qualunque altra cosa avesse in mente di fare prima di aspettarlo in sala. Sam lo aspettava lì e lui in cuor suo aveva il terrore di andarci perché tutto sarebbe stato reale. Fottutamente r e a l e.

 

Non lo voleva.

 

Ma si prese coraggio, l'acqua fredda lo aiutò a dargli quella spinta, il marchio nemmeno bruciava limitandosi a segnare la sua pelle in quella presenza costante, ma era placido, dormiente. Non seppe neppure lui quanto tempo passo ma si vestì con abiti più comodi, muovendosi poi per raggiungere la sala del bunker. Suo fratello era lì, lo stava aspettando seduto al tavolo con un'espressione sconvolta in volto e un grande tomo dall'aspetto tanto antico quanto fragile tra le mani.

Lo sfogliava con una certa tensione, con rabbia, rischiando lui stesso di strappare quelle pagine ingiallite, lo vedeva dalla sua posizione.

< Cosa stai cercando? > non seppe nemmeno lui quanto tempo passò prima di domandarglielo e a stenti riconobbe la propria voce.

 

Lugubre, così diversa senza quella solita ironia e strafottenza di fondo.

Una voce tornata da molto lontano, che cerca con tutte le sue forze di risalire la superficie, nuovamente v i v a.

 

Anche Sam se ne accorse, tanto da abbandonare le proprie ricerche per rivolgere al fratello un'occhiata perplessa. E lo studiava con minuziosa attenzione dalla testa ai piedi senza nemmeno badare al fatto di essere notato da lui, non gli importava.

Non ora.

< Ora tu ti siedi qui e mi racconti tutto. > Una voce ferma la sua, determinata e lo sguardo castano puntato in quello altrui. < E inizierai partendo da quella voce. > Era un tono che non ammetteva repliche, lo sapeva, niente sarebbe servito a fargli cambiare idea e fu per quello che non disse nulla, limitandosi ad avanzare e accomodarsi al suo fianco, lasciando cigolare lievemente la seggiola non appena il peso del corpo si lasciò cadere su di essa.

 

Stanco.

Provato.

 

Rimasero in silenzio per svariati secondi, minuti forse, guardandosi occhi negli occhi, l'uno con la determinazione e la voglia di sapere fino in fondo, l'altro con una certa inquietudine, un senso di pressione da non riuscir a nasconderla in alcun modo.

< La sento da quando ho ucciso Abaddon. > La voce uscì a fatica nel raccontare, nel rendere partecipe il fratello forse per la prima vera volta nella sua vita l'angoscia di quei giorni. < Mi bisbiglia cose, non mi lascia un secondo in pace. Credevo di riuscire a gestirla, ma più la sento e più il marchio pulsa e più il marchio pulsa e più ho voglia di uccidere e da allora che sono iniziati gli incubi. > Distolse lo sguardo quasi gli provasse fatica ricordare. La stessa respirazione divenne più pesante, come se un peso gli comprimesse lo sterno. < Ho… ho anche delle allucinazioni, ormai ho perso il conto di quante volte ti ho ucciso, Sammy. > E le labbra si piegarono in un sorriso amaro.

< Quando abbiamo trovato il demone squartato... > Iniziò, il moro, con un tono basso. < era la prima volta che la sentivi da sveglio? >

Dean si limitò ad annuire con un gesto leggero del mento, non continuò preferendo alzarsi per andare a recuperare una birra in cucina. Un'assenza che durò davvero pochi minuti prima di tornare ad occupare quella sedia e lasciarsi cadere nuovamente su di essa con una stanchezza che non aveva eguali. Mai provata nemmeno quando era in Purgatorio..

< Che cosa è successo poi? >

< Non lo so > si bloccò piegando le labbra in una smorfia. < quando ho aperto gli occhi ero in uno Strip Club. Era così reale, Sammy, e credo di averla vista o almeno lei ha fatto in modo di mostrarsi in chissà quale forma. > si concesse una pausa, prendendo un sorso di birra e vedendo che Sam non lo interrompeva, continuò. < E' comparsa sottoforma di Lilith, sai... la bambina. Occhi bianchi e un sorriso terrificante, poi è diventata una cameriera. > e Sam non disse nulla, limitandosi solo a fare un cenno del mento, ad invitarlo a continuare. < Sono morti tutti affogati, era un incubo quindi alla fine non mi sembrava così strano, non era reale. Non c'era acqua ma tutti sono morti affogati. >

 

Altra pausa.

Altro sorso di birra.

Altro silenzio.

 

< Mi ha detto che vuole la Prima Lama. Che è sua. Che gli appartiene. Ha iniziato a straparlare sul fatto che l'abbia consegnata lei a Caino, che sia stata lei a ordinargli di uccidere Abele. È pazza. > Sbuffò sonoramente, socchiudendo gli occhi per un istante. Volutamente omise l'ultimo scambio di battuta, non era importante che Sam sapesse delle costanti minacce sul tornare all'inferno. Non sarebbe servito a nulla.

In compenso il minore si alzò andando a recuperare un giornale, che strinse nella mancina tornando poi a sedersi. Sbuffò anche lui, non lo guardava, lo sguardo castano si portò alla volta del libro che stava consultando.

< Io non credo fosse un incubo. >

Quelle semplice parole provocarono in Dean un insolito brivido lungo la schiena. Lasciò perdere la birra facendosi se possibile più attento nell'ascoltarlo. < Che intendi dire? >

Senza rispondere, gli consegnò il giornale aprendolo sulla seconda pagina, indicandogli un paragrafo di cronaca. < Ieri è venuto Castiel per consegnarci un lavoro. > Picchiettò due volte l'indice contro l'articolo. < Strage in uno Strip Club di Austin, Texas. Ventidue morti... tutti per affogamento. La polizia non è riuscita a spiegarsi come fosse possibile visto che è un periodo di secca e non ci sono segni di manomissione delle tubature dell'acqua del locale ma le analisi delle autopsie parlano chiaro: sono morti tutti affogati. >

 

Sono morti tutti affogati.

 

Nemmeno si rese conto di deglutire un boccone inesistente, lo sguardo si fece vuoto mentre del sudore freddo iniziò ad imperlare la sua fronte.

 

Sono morti tutti affogati.

 

E se lo ripeteva in testa in loop, stringendo gli occhi con disperazione, sperando in cuor suo che fosse il retroscena dell'ennesimo incubo.

 

Un incubo nell'incubo.

 

Tutto pur di non renderlo reale.

Forse per la prima volta in vita sua iniziò a pregare Dio, prostrandosi ai suoi piedi per chiedere l'assoluzione, per chiedergli di mettere fine alla sua sofferenza, di guarirlo, di far tornare tutto come un tempo quando lui, Sam e suo padre viaggiavano a cavallo dell'Impala in cerca di qualche Wendigo, Vetala o un Mutaforma da uccidere.

I bei vecchi tempi.

Quei momenti indimenticabili fatti di battute, punzecchiamenti e litigate che servivano unicamente a consolidare ancora di più quel rapporto dettato dal sangue, dalla famiglia e dall'amore.

 

Felicità.

 

La cercò per così tanto tempo e poi smise di farlo reputandola superflua e ora, invece, quella felicità avrebbe voluto continuare a cercarla perché il sentirsi incompleto fu probabilmente la peggiore delle torture.

Peggiore della morte.

Peggiore del bilico in cui si trovava.

Peggiore di t u t t o.

 

< Dean! >

La voce di Sam lo ridestò dai suoi pensieri, ritornando finalmente con i piedi per terra rendendosi conto a cosa tutte quelle elucubrazioni lo stavano portando: la mancina era ferma sul Marchio di Caino con le unghie a graffiare la pelle rendendola non solo arrossata ma permettendo ad alcune gocce di sangue di far capolino e mostrarsi in tutto il loro colore cremisi.

 

Il braccio.

Si stava scarnificando il braccio.

 

Appena se ne rese conto il respirò gli si mozzò in gola. Smise immediatamente di compiere quel gesto e si alzò in piedi compiendo uno scatto repentino che portò alla caduta della sedia ove era accomodato.

Il sangue scendeva con lentezza a macchiargli la pelle arrivando a sfiorargli in poco tempo il polso e più guardava quelle ferite auto-inferte e più un'espressione sconcertante gli deturpò il viso. E deglutì l'ennesimo boccone inesistente ricercando lo sguardo del fratello poco dopo.

< Ma sei impazzito?! > Sbottò il minore abbandonando tutte le sue faccende per recuperare il kit del pronto soccorso già prossimo a voler evitare al fratello anche un'infezione vista già il ben palese stato confusionale in cui riversava l'altro.

Dean nel frattempo continuò ad osservare Sam mentre le dita della mancina si sfiorarono tra di loro a voler percepire in maniera più concreta la consistenza del proprio sangue. Movimenti lenti, calibrati e fatti in maniera del tutto inconscia ed è lì che lo notò: il sangue sulle sue dita non era più rosso bensì nero.

 

Nero come la pece.

Nero come la morte.

 

< Sam. > E di nuovo non riconobbe la propria voce, così flebile, così vulnerabile. Deglutì di nuovo e facendosi forza osservò il suo braccio martoriato e vide lo stesso: seppur la ferita era sporca del colore tipico del sangue, questo nel suo scivolare si scuriva sino a diventare nero e di una consistenza più lattiginosa quasi. Come inchiostro.

< Levalo Sam. Levalo. > Una preghiera uscì dalle sue labbra e la mancina tornò a martoriarsi ora con evidente coscienza la pelle.

Graffiò in profondità, non percependo il benché minimo dolore ma affondò le unghie sulla pelle facendo uscire altro sangue mentre la respirazione abbandonò il suo classico ritmo regolare a favore di qualcosa di più accelerato in pieno stile attacco di panico.

< E' nero, Sam, levalo! TOGLIMELO DI DOSSO. > Iniziò ad urlare, in preda ad un evidente agitazione, senza fermare un solo attimo la mano che - feroce - si insinuava sotto l’epidermide a voler estirpare una volta per tutte la radice marcia, per togliere tutto quel nero.

< Cosa è nero? Stai fermo, Dean! > E ci provò davvero Sam a convincerlo a smettere, ci mise tutta la determinazione che lo contraddistingueva per far entrare un po’ di sale in zucca a suo fratello maggiore.

< NON VA VIA. NON VA VIA. >

 

Altre urla.

Altra disperazione.

Il sangue che si mischiava al sudore.

Il sudore che diventava nero anch’esso.

Tutto nero.

 

< Non è reale, Dean! Smettila! >

Il kit del pronto soccorso passò in secondo piano, Sam si lanciò contro Dean per fermarlo. Le sue mani si arpionarono attorno ai polsi del maggiore per fargli staccare la presa, per farlo smettere di scarnificarsi il braccio.

Ne fu una colluttazione.

Dean stesso provò con tutte le sue forze di spingere via il fratello, macchiandolo con quel colore nero che usciva direttamente dalle sue vene e più lo spingeva via e più Sam si riavvicinava.

Spinte, prese, se bisognava sedare Dean in qualche modo esisteva solo un metodo… e Sam lo eseguì.

La mancina si alzò di scatto, ne caricò il colpo piegando il gomito prima di impattare le nocche contro la mandibola del fratello.

Un suono secco che portò il cacciatore a indietreggiare.

< Riprenditi ora. > Avevano il fiatone entrambi, ma Sam evità di accanirsi ulteriormente contro di lui, limitandosi invece ad osservarlo riprendere la sua lucidità.

Dean era effettivamente fermo, smise di rovinarsi il braccio e le stesse ricadevano a peso morto lungo i fianchi. Il capo chino e le labbra schiuse a prendere respiro e il marchio che tornò a bruciare, ma non lo toccò.

< Dean stai meglio? > Provò ad incalzarlo ma nessuna risposta si udì nell’aria. Solo i suoi respiri.

Respiri che non si regolarizzavano, ma anzi aumentarono di velocità, come se l’ennesimo attacco di panico fosse dietro l’angolo. Pronto a manifestarsi da un momento all’altro.

< Dean… respira. Va tutto bene. > E si avvicinò lui, sollevando la mano destra per posarla sulla spalla altrui.

Un sussulto, come quello di un animale selvaggio, un semplice e solo sussulto che portò il volto di Dean lentamente ad alzarsi, per incrociare il proprio sguardo con quello del fratello.

Le labbra si sollevarono in un sorriso che nella situazione attuale in cui i due fratelli si trovarono risultò essere un poco incoerente.

< Sto bene, Sam. > La voce uscì bassa, smossa da un insolito fremito di natura sconosciuta. < Io sto benissimo. > Aggiunge ancora, stendendo maggiormente quel sorriso mentre la mancina si poso sulla mano del fratello all’altezza della propria spalla.

< Sto davvero bene. > Ripetè ancora, sbuffando una risata dal naso.

 

La mano destra si mosse rapida alla cinta, a recuperare la Prima Lama con decisione e infilzarla nell’addome di Sam.

Un colpo secco, pulito, silenzioso.

Un affondo feroce accompagnato ancora da quel sorriso sulle labbra.

 

< D-Dean… > Boccheggiò Sam con gli occhi sgranati, pietrificato sul posto, con quella lama conficcata dentro di sè.

E urlò non appena quella stessa Lama venne girata e un secondo sbuffo divertito lo portò a rialzare lo sguardo su suo fratello che con un calma apparente continuava a inferire su di lui.

< E al cinque c’è la rabbia*. > Un unico sussurro da parte di Dean, prima di sfilare la lama con un colpo secco dall’addome del fratello, spingendolo senza alcuna cura a terra.

Lo guardò con un ghigno feroce a deturpargli il volto, con la lama grondante di sangue lungo il fianco.

Il sangue di Dean mischiato a quello di Sam ancora una volta.

Lo osservò per qualche minuto, con una certa godimento nello sguardo prima di scavalcarlo per oltrepassarlo.

Lasciandolo al suo destino.

 

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* = "Al cinque c’è la rabbia." è la terza parte di una filastrocca contenente nell'opera di E.E. Richardson - The Devil's Footsteps/Tredici passi alla porta del Diavolo.

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