Ho'o moku

di De33y
(/viewuser.php?uid=148492)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovo caso, vecchi problemi ***
Capitolo 2: *** Il testimone ***
Capitolo 3: *** Spostamenti ***
Capitolo 4: *** Una lunga notte ***
Capitolo 5: *** I federali ***
Capitolo 6: *** L'indirizzo ***
Capitolo 7: *** Sospetto ***
Capitolo 8: *** Una via d'uscita ***
Capitolo 9: *** Il cadavere ***
Capitolo 10: *** Ha idea? ***
Capitolo 11: *** Peperoncino, maionese e ananas ***
Capitolo 12: *** Bar Kahakai ***
Capitolo 13: *** Valanga di indizi ***
Capitolo 14: *** Tu lo sapevi ***
Capitolo 15: *** Spiegazioni ***
Capitolo 16: *** Il dopo ***
Capitolo 17: *** L'autopsia ***
Capitolo 18: *** Brandon e Steve ***
Capitolo 19: *** La Rondine ***
Capitolo 20: *** La gang ***
Capitolo 21: *** Brandon Teagan ***
Capitolo 22: *** L'interrogatorio ***
Capitolo 23: *** Il Forum ***
Capitolo 24: *** First Hawaiian Center ***
Capitolo 25: *** Ora! ***
Capitolo 26: *** Irruzione ***
Capitolo 27: *** Il gatto e il topo ***



Capitolo 1
*** Nuovo caso, vecchi problemi ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright.Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.

 

A.N: Questa serie di telefilm tocca un sacco di temi a me cari e dopo aver recuperato una stagione e mezza nell'arco di due settimane ho sentito la necessità di scrivere qualcosa. Sarà una long story, che si protrarrà a lungo, soprattutto perché non so con quale regolarità riuscirò ad aggiornare.
Warning: questo capitolo contiene spoiler per la puntata 1x18

Spero di soddisfare le aspettative di chi vorrà leggerla, ma se non ci riuscissi lasciate una critica costruttiva, il capitolo successivo ne trarrà sicuramente beneficio.

 

« Abbiamo un nuovo caso» annunciò Steve dirigendosi a passi pesanti, ma rapidi, dall'ascensore verso la sala riunioni. Non ci fu bisogno di dire altro. La squadra era già in allerta completa da quella mattina, quando il governatore aveva richiesto un incontro urgente. In pochi istanti furono tutti riuniti attorno al gigantesco smart table della sala riunioni.

«Tutta questa urgenza e riservatezza per un caso?» domandò Danny che aveva temuto il peggio da quell'incontro.

Steve inserì una usb nel driver sul bordo del tavolo.

«Sì, si tratta di un caso delicato- sullo schermo iniziarono ad apparire varie foto- questa mattina è stato avvistato nel porto di Honolulo, Carlos Montoya.»

Steve mandò su uno degli schermi verticali la foto di un ispanico sulla quarantina, l'aspetto curato di un distinto uomo d'affari, capelli cortissimi, la barba perfettamente rasata ad eccezione dei baffi sottili, gli occhi neri messi leggermente in ombra da una fronte e due zigomi molto pronunciati. «L'FBI sostiene che si tratti di un pericoloso trafficante d'armi colombiano. Secondo i federali Montoya ha già stabilito diversi traffici sul continente, California, Nevada, Arizona, Texas... ma non sono riusciti a trovarne le prove.»

«E come mai qui alle Hawaii? Se sta cercando di ingrandirsi, non sarebbe più pratico continuare a farlo sul continente?» chiese Kono, mentre fissava la foto cercando di memorizzare bene la faccia del loro sospettato.

«Oppure deve concludere qualche affare e spera di farlo prima che arrivino i federali.» Ipotizzò il cugino.

McGarrett dette ragione ad entrambe «Ancora non sappiamo quali siano le sue intenzioni sull'isola, comunque quelle che avete detto sono le ipotesi più probabili ed il motivo per cui entriamo in gioco noi.»

«L'indagine va avanti da ormai cinque anni.» proseguì il comandante «Nel corso degli anni sono state raccolte solo tre testimonianze sui traffici imputati a Montoya, nessuna di queste rivolta direttamente contro di lui. Tutte puntavano il dito contro il suo braccio destro: Ricardo Hernanez»

Steve ingrandì una seconda foto su un altro schermo, un altro ispanico, capelli argentati ricci, lunghi fino alle spalle, carnagione olivastra, la faccia tagliata dai lineamenti affilati della mascella squadrata.

«I testimoni, un ex membro di una delle fabbriche di Montoya, il proprietario di un bar in Texas e un commerciante d'armi di Los Angeles, raccontavano la stessa versione. Hernanez si occupa di reclutare persone per le fabbriche e la scorta di Montoya ed accompagna personalmente Montoya negli incontri importanti come guardia del corpo.»

«Uo, uo, uo... ferma un attimo- lo interruppe Danny- i testimoni raccontavano? Perchè al passato? E perchè non è stato arrestato Hernanez?»

«I testimoni sono tutti morti prima di poter deporre davanti al giudice.»

«E dopo che si è sparsa la voce nessuno ha più voluto deporre» concluse Kono, mentre gli altri annuivano mentalmente.

«Esatto.»

«Quindi abbiamo un presunto trafficante d'armi con la sua fedele guardia del corpo, che lasciano dietro di loro una scia di cadaveri e non si riesce a trovare neanche un'accusa che regga?» Ricapitolò Danny con sarcasmo.

«Già e le buone notizie continuano. Hernanez era un ranger. Ha origini americane ed ha servito per dieci anni nell'esercito.

Tutti si ammutolirono per un secondo.

«Il terzo indagato principale è Esteban Montoya, l'erede di Carlos» Questa volta lo schermo mostrò un ragazzo sulla ventina, con gli stessi capelli e occhi neri del padre, ma con lineamenti più delicati.

«Esteban accompagna il padre nella maggior parte dei viaggi da quando è iniziata l'indagine. Si teme che nel caso si trovino prove contro Carlos Montoya, ma non contro il figlio, Esteban possa portare avanti il business di famiglia.»

«La persona che ha identificato Montoya ha riferito che è sbarcato questa mattina con una dozzina di persone da un yacht privato. Immediatamente la barca ha ripreso il largo, quindi si pensa che Montoya e la sua scorta siano ancora qui. La scorta di Montoya cambia abbastanza spesso, abbiamo una lista parziale di persone che ne fanno o ne hanno fatto parte. Domani due agenti dell' FBI ci dovrebbero raggiungere e fornire maggiori informazioni.»

«Come?!» esclamò Kono quasi indignata. «Pensavo che fossimo noi a doverci occupare del caso.»

«Steve sai anche tu che due forestieri che se ne vanno in giro a fare domande non sono ben visti sull'isola» commentò pratico Chin.

Steve si aspettava che la notizia avrebbe mandato in subbuglio la squadra e mise le mani avanti facendo cenno di calmarsi.

«Lo so e lo sa anche il governatore, per questo ha insistito con i federali che fossimo noi ad avere il comando dell'indagine fino a quando Montoya sarà sull'isola.»

«Ed i federali sono d'accordo a lasciare l'indagine in mano alla Five-0?» chiese Danny, guardandolo a braccia conserti.

«Ci è stata garantita la piena collaborazione.» Sentenziò Steve, in un tono che non ammetteva repliche. Dopo essersi assicurato che nessuno portasse avanti quell'argomento, proseguì.

«Per oggi siamo da soli su questo caso, quindi... Chin, Kono, voi andate al porto e nella zona circostante, mostrate le foto di Montoya. Come hai detto tu Chin un gruppo di stranieri non passa inosservato sull'isola. Cercate anche di capire se, negli ultimi giorni, siano arrivati altri stranieri che non siano semplicemente turisti, potrebbe trattarsi di soci in affari. Qualsiasi informazione ci potrà essere utile per capire perché è venuto alle Hawaii e per poterlo incastrare. Io e Danny andremo a parlare con il testimone, per capire con quali e quante persone abbiamo a che fare.»

 

* * *

 

«Il nostro testimone si chiama John Fry- spiegò Steve, mentre guidava -è un ex agente federale ed è stato uno dei primi ad occuparsi del caso Montoya. Fry ha portato avanti le indagini per quattro anni prima di ritirarsi. Quando ha lasciato il bureau si è trasferito alle Hawaii e due mesi dopo è stato assunto come guardia privata allo Yacht Club.»

Danny sembrava non aver sentito una parola, guardava distrattamente fuori dal finestrino.

«Hey! Ci sei?» Gli chiese Steve in parte inacidito dalla scarsa attenzione, in parte preoccupato per l'atteggiamento silenzioso del collega.

«Eh?! Sì! John Fry, ex FBI, guardia privata, porto. Ricevuto!» lo liquidò brevemente Danny, senza staccare gli occhi dal finestrino. Ora Steve era preoccupato.

«A cosa stai pensando?»

«Niente.»

«Niente? Stai fissando fuori dal finestrino senza dire una parola da quando siamo partiti ed, a meno che tu non ti sia improvvisamente innamorato del mare, ne deduco che c'è qualcosa.»

Danny si voltò a guardarlo, con l'aria spersa di chi si trova altrove con la mente.

«Chi ti dice che non mi sia innamorato del mare.» Ribadì Danny restando sulla difensiva.

«Danno, a me puoi dirlo. Problemi con la custodia di Grace? Problemi con Rachel?»

«No. Non c'è niente. Non c'è assolutamente niente!» Sbottò.

«Giusto!- esclamò Steve preso da un'illuminazione improvvisa- Stai pensando a Matt, non è così? Appena hai sentito dire federali hai pensato a Matt. Ecco perchè quella domanda al quartier generale.»

«A Matt? Ma cosa diavolo vai a pensare! Stavo pensando che forse dovremo aspettare l'FBI prima di andare ad interrogare l'unico testimone, sai per iniziare in buoni rapporti, cercare di appianare le passate divergenze.» Rispose indignato il detective.

«Appianare le divergenze? Quali divergenze?»

«Non so magari aver coperto la fuga di uno che riciclava denaro per i narcotrafficanti?» Chiese sarcastico Danny.

«Hai più avuto sue notizie?»

«No, da quando è salito sull'aereo.-ammise sconfortato- ma non cercare di cambiare discorso.»

«È tuo fratello. È naturale che tu ti sia schierato dalla sua parte.» Cercò di confortarlo l'ex SEAL.

«Sì, ma sono anche un poliziotto ed abbiamo manomesso un indagine federale per farlo scappare. Ho lasciato che tu gli raccontassi una balla.» Continuò Danny.

«Tecnicamente non ho mentito. Aveva davvero una barca, solo che non l'ha usata.»

«Già. E come hanno reagito quando hanno scoperto che mentre frugavano inutilmente il suo yacht, mio fratello stava salendo su un aereo dalla parte opposta dell'isola?»

«D'accordo, non erano entusiasti e hanno sospettato qualcosa, ma non potevano dimostrare niente e hanno lasciato cadere la cosa. Se dovessi scegliere di nuovo, mi comporterei allo stesso modo, Danny.»

Il detective nascose un grazie, mordendosi il labbro inferiore, poi riprese in tono meno aggressivo.

«E non ti viene il sospetto che dopo tutto questo possano non essere felici che noi prendiamo in mano un altro dei loro casi?»

«Era questo il problema?» Chiese ridendo Steve.

«Beh anche questo» ammise Danny quasi vergognandosene senza sapere bene il perché.

«Hai paura che quello che è successo con tuo fratello possa influire sui rapporti con l'FBI in questa indagine?» continuò a sghignazzare il comandante. Detto in quel modo sembrava ad entrambi una cosa sciocca, ma Danny si rifiutò di ammetterlo:

«Sì, è questo che mi preoccupa contento? E non capisco cosa ci trovi di tanto divertente.»

«Non c'è alcuna tensione tra l'FBI e i Five-0. In ogni caso, siamo noi ad avere l'autorità maggiore sull'isola. E giusto perché tu lo sappia, l'FBI ha già parlato con il nostro testimone. Quando Fry ha riconosciuto Montoya ha chiamato il suo vecchio ufficio. Sono stati i federali ad avvertire il governatore ed a richiedere di avviare urgentemente un'indagine.»

Sentendosi ancora più stupido Danny tornò a guardare fuori dal finestrino.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il testimone ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright. Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.

A.N: Grazie per le risposte al prologo di questa storia. Ecco a voi il secondo capitolo, aspetto con ansia i vostri commenti.

Un po' di informazioni tecniche per chi se le stesse chiedendo. I capitoli saranno di almeno mille parole e per il momento saranno aggiornati con una cadenza di circa due settimane.

Buona lettura.

 

John Fry era un uomo smilzo con l'aspetto di un cinquantenne, anche se in realtà era assai più vecchio. Il viso, scarno e diffidente, abbozzava un sorriso di cortesia, mentre gli occhi si alternavano sui due poliziotti cercando di assestare le loro intenzioni. Interrompendo ogni dubbio Steve e Danny si identificarono e spiegarono il motivo della loro visita.

«Five-0 avete detto? Si sente molto parlare di voi, com'è la storia... piena immunità e mezzi?» chiese Fry continuando a studiare i loro distintivi appesi alle cinture.

«Sì, esattamente, -confermò Steve- rispondiamo direttamente al governatore. Ci è stato chiesto di prendere in consegna l'indagine su Montoya, finché sarà sospettata la sua presenza nell'arcipelago. A breve, due agenti dell' FBI che si occupano del caso si affiancheranno a noi nell'indagine.»

«Montoya! Quell'uomo sembra perseguitarmi! È stato il mio ultimo caso, quando lavoravo ancora per il bureau. Dopo quattro anni di indagini, in cui non sono riuscito a cavare un ragno dal buco, ho mollato quella vita, per cui ero già anche troppo vecchio, e mi sono dedicato a qualcosa di più tranquillo. Quando iniziavo finalmente a dimenticare quel figlio di buona donna, me lo sono visto apparire davanti agli occhi. Proprio qui, in questo angolo sperduto di paradiso.» raccontò il vecchio agente gesticolando platealmente.

«Era proprio di questo che le volevamo parlare, ci potrebbe dire cosa ha visto esattamente ieri? Ha visto bene le altre persone sbarcate insieme a Montoya? Le saprebbe identificare? Ha visto il nome della barca? Ha visto se issava qualche bandiera?» Chiese Steve cogliendo al volo l'occasione e interrompendo bruscamente i discorsi dell'uomo, ma il vecchio sembrò non averlo nemmeno sentito. Appena Steve ebbe finito di fare le domande, Fry proseguì secondo il proprio filo logico.

«Quello lì, avrebbe bisogno di qualcuno che gli faccia abbassare la cresta. Se ne va in giro a testa alta, beato e spensierato, senza preoccuparsi della legge e sa perché? Perché non si riesce a collegare a lui nemmeno una multa per divieto di sosta. Quattro anni. Quattro anni della mia vita ho dedicato a questa indagine e con quali risultati? Io sono più vecchio e lui è ancora più organizzato. Spero che un giorno qualcuno gli dia quello che si merita...»

Danny vide Steve spazientirsi e cercò di riprendere in mano la situazione prima che l'altro facesse qualche sciocchezza.

Il loro testimone sembrava perso nei ricordi ed affogato nella frustrazione, ma da come li aveva accolti era tutt'altro che svanito. Il detective lo gli afferrò delicatamente le mani e lo richiamò usando anche il nome di battesimo, finché l'uomo non si quietò completamente e lo fissò negli occhi.

«Signor Fry?... John?... Capisco la sua frustrazione, le assicuro che faremo tutto il possibile affinché Montoya abbia quello che si merita... sia arrestato,- si corresse preferendo termini più diretti- ma in questo momento abbiamo bisogno che lei ci aiuti e risponda alle nostre domande.»

L'uomo capì alla perfezione il discorso e un istante dopo era tornato alla lucidità e all'esperienza che aveva mostrato al loro arrivo. La differenza fu talmente evidente da incoraggiare di nuovo Steve a fare domande e questa volta arrivarono anche le risposte. L'ex agente narrò gli eventi della mattina con una ricchezza di dettagli sorprendente e a dir poco incredibile, se confrontata con l'attimo di smarrimento di pochi istanti prima. Gli occhi si erano accesi mentre spiegava, mostrando la passione che doveva avere per il suo precedente lavoro.

Montoya era sbarcato attorno alle 7,30 di mattina dalla Spirit of the Sea; uno yacht bianco con vetri neri di circa trenta quaranta metri, con un profilo molto sportivo simile ad un motoscafo. La barca esponeva fieramente la bandiera colombiana sulla cima del pennone e poco più in basso quella statunitense. Al momento dell'attracco (che era durato non più di 10 minuti) Montoya si trovava già sul ponte insieme al figlio Esteban. Entrambe vestiti con eleganti completi di lino nocciola, quasi sicuramente di fattura europea. Montoya fu il primo a salire sulla passerella e a scendere, superando una guardia del corpo non troppo entusiasta, che lo seguì immediatamente. Dietro di loro, Esteban. Da lontano i Montoya si distinguevano solo perché il figlio aveva un abito di una tonalità leggermente più chiara. Fry ammise che lui stesso aveva faticato a riconoscerli finché non gli erano passati vicino, ma a breve distanza Esteban era 'la copia con gli angoli smussati e le rughe appianate' del padre. Un variegato convoglio di una dozzina di uomini li aveva seguiti sul molo. Fry fu in grado di riconoscerne alcuni come membri della scorta, che ricordava dalle sue indagini passate, ma tra di essi spiccava qualche faccia nuova, che l'agente non seppe dire se si trattasse di nuovi membri della scorta o di soci in affari di Montoya. Fry si offrì di passare agli uffici della polizia per cercare di ricostruire gli identikit delle persone che non era stato in grado di identificare.

 

* * *

 

Kono e Chin iniziarono la loro ricerca dai pressi del molo, mostrando le foto di Montoya e del suo gruppo. Come aveva predetto McGarrett, molti, soprattutto tra i nativi, avevano notato il gruppo di ispanici e haolin che aveva raggiunto la città. La maggior parte di loro fu in grado di identificare con certezza Hernanez, altrettanti parlavano di due uomini che si assomigliavano molto puntando il dito contro la foto di Montoya o del figlio. Secondo i testimoni di fronte al parcheggio del porto, il gruppo si era diviso in due parti: Montoya con circa metà della scorta era salito su una limousine diretta a ovest, sull'Ala Moana boulevard; l'altra parte del gruppo, in cui secondo alcuni si trovava Esteban aveva proseguito a piedi.

Il parcheggio a pagamento del porto era sorvegliato da telecamere e Kono si offrì di recuperare il nastro e tornare al quartier generale per scoprire se si vedeva la targa del veicolo di Montoya. Chin proseguì sulle tracce dell'altro gruppo, chiedendo in giro a commercianti, facchini degli alberghi e chiunque altro potesse trovarsi lì quella mattina. Riuscì a seguire le tracce fino al quartiere universitario, ma non riuscì ad andare oltre.

Guardando il video di sorveglianza del parcheggio Kono non poté fare a meno di pensare che Montoya non cercasse assolutamente di nascondersi. Le telecamere lo riprendevano chiaramente in volto e la targa della sua limousine era perfettamente visibile nel video. Accedendo alle registrazioni del traffico, Kono fu in grado di ricostruire il percorso della vettura per diversi chilometri prima che scomparisse in una zona residenziale, a est della Pali Highway.

La causa più probabile era che avesse alloggio in quella zona, e visto che non risultavano precedenti visite in Ohau, doveva esserselo procurato di recente; così Kono controllò i registri in cerca di case vendute o affittate negli ultimi tre mesi in quella zona, ottenendo un totale di cinque case.

Quando ricevette le novità da Chin provò a fare la stessa cosa nella zona dove si erano arenate le sue ricerche, ma con l'anno accademico appena iniziato era pieno di studenti che avevano affittato un appartamento nei dintorni per non essere vincolati ai regolamenti del campus.

 

* * *

 

La discussione con Fry aveva preso tutto il pomeriggio. Quando Steve e Danny raggiunsero il quartier generale, Kono aveva già trovato le schede dei nominativi dati da Fry che apparivano e le loro foto apparivano disposte ordinatamente su uno degli schermi. Su un altro schermo invece appariva un quartiere residenziale con cinque cerchi rossi: i possibili indirizzi di Montoya. Pochi istanti dopo li raggiunse anche Chin. Kono spiegò brevemente come aveva individuato gli indirizzi ricevendo i complimenti del loro comandante.

«Ottimo lavoro, domani arriveranno i due agenti dell' FBI e ripartiremo da qui. Controlliamo quegli indirizzi uno a uno e lo staniamo, dopodiché dovremo solo aspettare che faccia un passo falso.»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Spostamenti ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright.

Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.

 

A.N.: Ecco a voi il terzo capitolo, si cambia tono e si cambia ritmo per un po'.

Grazie a tutti quelli che leggono questa storia ed in particolare a chi lascia commenti.

 

 

Steve era inquieto da quando il governatore gli aveva affidato il caso. Per tutto il giorno aveva cercato di nasconderlo, ma quando poco dopo il tramonto era rimasto solo nel suo ufficio, l'ansia lo aveva raggiunto di nuovo. Mentre gli ultimi raggi del sole risplendevano nella stanza, controllava pensieroso la sua pistola di ordinanza, sprofondato nella sedia dietro la scrivania. Odiava dover trattare con la criminalità organizzata, bande come quella di Montoya in genere erano talmente potenti da avere gli stessi mezzi della polizia: armi, informazioni... e se non potevano arrivare a qualcosa, compravano qualcuno che lo facesse per loro. C'era pieno di gente senza scrupoli che, per un deposito a tre zeri, avrebbe rivelato qualsiasi cosa. Alzandosi in piedi ripose con cura la pistola nella fondina sul fianco. Muovendosi silenzioso tra le stanze, lanciò un'ultima occhiata in giro, come un bambino che si aspetti di veder comparire l'uomo nero da qualche angolo, e poi varcò la doppia porta a vetri con l'intenzione di andare a casa.

Appena raggiunse l'uscita dell'edificio la brezza carica di salsedine gli accarezzò il viso, soffiando via un po' della sua ansia. I lampioni del parcheggio emanavano una luce soffusa che si dissolveva contro il cielo rossastro. La sua macchina era una delle poche rimaste, le altre probabilmente appartenevano a qualcuno del turno di notte. Riconobbe la hyundai equus di Payne, parcheggiata proprio accanto alla sua auto. Payne era una tirocinante della scientifica, che lo rincorreva spesso quando passava dai laboratori. Gli chiedeva di questo o di quel caso, risolto dalla Five-0, di cui aveva letto sui giornali. Ogni volta che parlava con lui, sembrava stesse parlando con una celebrità.

Dall'altro lato invece c'era una Toyota GT86 che era abbastanza sicuro di non aver mai visto prima. Si impose di non farsi prendere dalla paranoia. Sicuramente era di qualche recluta o di qualcuno che era passato a portare la cena ad un conoscente in servizio, una macchina nuova nel parcheggio non era poi così insolita.

Estrasse le chiavi dalla tasca e le infilò nella serratura.

«Comandante McGarrett?» Steve alzò la testa per incontrare l'uomo che sembrava apparso dal nulla da dietro la macchina della Payne. Istintivamente portò la mano alla fondina.

«Comandante, ci segua per favore!» Domandò cortesemente l'uomo, aggiustandosi la cravatta. Per un attimo gli fece pensare a Danny.

«Chi è lei?» Chiese Steve, senza spostare la mano.

«Non ha importanza chi sono. Ha importanza che lei venga con noi adesso.»

«Non credo proprio. Chi è? Che cosa vuole?» rispose Steve, estraendo l'arma e puntandola verso l'uomo misterioso.

Un secondo uomo bussò al vetro della Toyota dall'interno richiamando la sua attenzione. In pochi attimi abbassò il finestrino per mostrargli che era sotto tiro.

«Comandante McGarrett, sappiamo bene che lei non è più l'uomo di una volta. Ora che lavora con la Five-0 non è più capace di uccidere a sangue freddo. Tuttavia io, non avrei problemi a spararle in un punto non letale e ad ottenere egualmente ciò che voglio. Quindi, le consiglio di abbassare quell'arma e venire con noi pacificamente.» Cantilenò l'uomo nella macchina attraverso la maschera da Topolino che gli copriva la faccia. Quello che lo aveva avvicinato invece tremava incontrollabilmente sotto il tiro di Steve.

L'ex SEAL abbassò le braccia e lasciò la mano destra con ancora la pistola in pugno lungo il fianco.

«Ora va meglio.-cantilenò nuovamente l'uomo-Lasci cadere la pistola. La calci verso il centro del parcheggio. Appoggi i palmi contro il tetto della macchina.»

Steve eseguiva gli ordini mentre gli venivano dettati.

«Il mio amico verrà a perquisirla, la prego di non fare scherzi.» Il tono lento e cantilenante lo faceva sembrare un burocrate che ripeteva quella nenia ad ogni persona che incontrava.

Sentì l'uomo dentro l'auto muoversi, ebbe il sospetto di non essere più tenuto sotto tiro, ma dalla sua posizione non riusciva a vederlo.

Steve rimase immobile, finché l'uomo con la cravatta non fece l'errore di mettersi tra lui e il finestrino della Toyota. Si voltò di scatto, prendendolo di sorpresa con un colpo allo stomaco. L'uomo si piegò in due per il colpo subito. Strattonandolo per una spalla, Steve fece girar l'uomo e usò il suo corpo come scudo. Gli passò un braccio attorno al collo, mentre con l'altra mano gli teneva ferma la testa.

«Spara e colpirai il tuo amico» Annunciò senza neanche vedere il suo interlocutore.

Steve sentì un dolore tremendo in tutto il corpo, senza capire da dove venisse.

Un secondo dopo cadde a terra privo di sensi, trascinando il suo 'scudo' sopra di lui.

 

Steve riprese conoscenza lentamente. Subito realizzò di essere su una sedia. Un silenzio innaturale lo avvolgeva, rotto solo dal ritmo regolare del suo respiro. L'odore di umido e muffa gli fece arricciare il naso per un momento.

Le spalle indolenzite erano tirate indietro al punto che rendevano difficile respirare. Le braccia bloccate dietro lo schienale, che premeva nell'incavo dei gomiti, legate fin troppo saldamente all'altezza dei polsi; riusciva a stento a controllare i movimenti delle mani intorpidite. I piedi al contrario erano legati in maniera più blanda permettendo la circolazione, anche se impedivano ogni movimento.

La testa era ancora abbassata sul petto teso, si decise a schiudere gli occhi. La piccola stanza sembrava deserta. Nel buio riuscì a distinguere il profilo della sedia a cui l'avevano legato, era una di quelle di plastica che avrebbe fatto una magnifica figura in un giardino, ma che era del tutto inadatta ad un interrogatorio.

Giocò a fare l'incosciente ancora un po' cercando di capire per quale ragione fosse lì.

Il rapimento era stato ben organizzato, ma una sedia di plastica diceva che non erano esperti. Si sarebbe potuto liberare facilmente quando lo avesse ritenuto opportuno. La domanda era chi erano i suoi nemici?

Gente di Montoya, fu il suo primo pensiero, ma Montoya era appena arrivato sull'isola e forse neanche sapeva che stessero indagando su di lui. Spinse quel pensiero in un angolo ed iniziò a vagliare altre ipotesi. Niente di quello che era successo portava la firma di Wo Fat. Niente a che vedere con le operazioni dei SEAL, sarebbero stati professionisti.

Rimanevano i casi con la Five-0.

C'erano decine di persone che potevano voler vendetta.

 

Uno spiraglio di luce apparì di fronte a lui, rivelando la presenza di una porta. Steve si sforzò di non reagire. Da quel poco che riusciva a vedere fu come se un'ombra dai contorni di un uomo risucchiasse la poca luce filtrata all'improvviso nella stanza. I passi appesantiti e il clack della serratura, sembrarono echeggiare all'infinito, quando l'uomo richiuse la porta dietro di sé cacciando fuori quel piccolo spiraglio di luce.

Non poteva essere una coincidenza che fosse accaduto lo stesso giorno in cui avevano iniziato ad indagare su un grosso gruppo di trafficanti d'armi. Le domande gli martellavano la testa al ritmo dei passi dell'uomo che si stava avvicinando. Perché rapirlo all'inizio dell'indagine? Perché dare alla sua squadra la possibilità di formalizzare qualche accusa? Volevano solo tenerlo in ostaggio per controllare gli altri? Volevano interrogarlo? All'ultima ipotesi rabbrividì internamente, più una dura consapevolezza che paura vera e propria.

Una mano lo afferrò per i capelli.

Per fortuna avevano scelto lui e non qualcuno degli altri. Un mezzo sorriso gli increspò le labbra.

«Comandante McGarrett, so che è sveglio. Le consiglio di smettere di fingere il contrario.» Steve riconobbe la stessa voce cantilenante dell'uomo nella Toyota.

Aprì gli occhi, perfettamente vigile. L'uomo indossava di nuovo la maschera di Topolino, il fatto che non si volesse far vedere in volto era sicuramente positivo, constatò Steve. L'uomo gli lasciò andare i capelli e si allontanò di un passo. Steve saggiò la consistenza della sedia: si sarebbe potuto liberare in qualsiasi momento. Il suo interlocutore sembrò non prestare attenzione al movimento

«Si ricorda come è arrivato qui?»

«Mi avete aggredito nel parcheggio fuori dal quartier generale.» Si rese conto solo in quel momento di quanto fossero confusi i suoi ricordi in merito.

«Sbagliato!» Esclamò con decisione l'uomo attraverso la maschera e Steve si preparò a ricevere un colpo, che con sua grande sorpresa non arrivò.

«Noi le avevamo chiesto gentilmente di venire, ma lei non ci ha dato ascolto. Ha aggredito la persona che la aveva invitata e mi ha costretto ad intervenire in maniera più decisa.- fece una pausa – Quindi si rilassi, non abbiamo intenzione di usare le maniere forti su di lei, almeno che non sia strettamente necessario.»

Steve non si sentì affatto rassicurato, anzi il tono cantilenante dell'uomo iniziava a dargli sui nervi.

«Tuttavia l'uomo che lei ha aggredito nel parcheggio e che io ho dovuto stordire con il taser per arrivare a lei, vorrebbe vendicarsi.»

«E allora? Perché sono qui? Devo aspettare il vostro uomo?» Chiese Steve perdendo la pazienza a quei giri di parole.

«Lei è qui perché volevamo parlarle in privato, ma non è compito mio. Il mio lavoro finisce quando mi sono accertato che lei è cosciente. Arrivederci!» L'uomo uscì di nuovo dalla stanza.

Poco dopo, un altro uomo, o forse lo stesso con una maschera diversa, varcò la porta.

Anche questa volta, la porta fu chiusa, la stanza piombò nell'ombra e la persona rimase vicina alla parete.

L'uomo accese una torcia elettrica ed illuminò il registratore che teneva in una mano, poi premette il pulsante 'play'.

«Comandante McGarrett, mi scuso per l'accoglienza che le è stata riservata.- la voce del nastro era distorta artificialmente per renderla irriconoscibile- Non vorremmo nuocere in nessun modo a lei o alla sua squadra, ma abbiamo bisogno della vostra collaborazione. Nutriamo un certo interesse, per Carlos Monotya e la sua organizzazione e vogliamo essere costantemente aggiornati sugli sviluppi dell'indagine. La natura del nostro interesse non la riguarda, ma prima che salti alle conclusioni sbagliate, ci teniamo a precisare che non siamo affiliati di Montoya e che in nessuna condizione le informazioni che ci fornirà, finiranno in mano al suo cartello. Le sarà affidato un cellulare sicuro con un numero in memoria, mandi tre SMS al giorno a quel numero e un preavviso per ogni azione sul campo. Se rispetterà queste regole non avrà niente da temere da noi. Deve capire che la nostra necessità di informazioni è reale e se lei non collaborerà spontaneamente dovremo ricorrere a tecniche alternative e, temo, spiacevoli. Senza scendere nei dettagli, dato che avrà modo in futuro di capire cosa intendo, le chiedo solo: se siamo arrivati così facilmente a lei, quanto pensa che sarebbe difficile arrivare agli altri membri della sua squadra? La ringrazio per l'attenzione e per la collaborazione. Da questo momento è libero di andarsene quando vuole. Sappiamo che è perfettamente in grado di liberarsi da solo, quindi non ci disturberemo a farlo.»

Il nastro finì, l'uomo ripose il registratore in una tasca e ne estrasse un coltello a serramanico, che fu illuminato dalla torcia. Poi ripose il coltello e la torcia vicini sul pavimento e lasciò la stanza, lasciando la porta socchiusa alle sue spalle.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una lunga notte ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright.

Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.

 

A.N. Chiedo scusa per il ritardo, prima della fine della fiction sarà una frase che sentirete spesso e di cui mi prenderò piena responsabilità, ma questa volta sono innocente. La linea ADSL di casa è crashata isolandomi dal mondo.

Per farmi perdonare questo capitolo è un po' più lungo del solito.

Voglio ringraziare tutte le persone che stanno leggendo ed in particolare chi ha voglia di lasciare un commento.

A presto!

 

Steve sapeva che doveva liberarsi in fretta se non voleva perdere le loro tracce. Appena rimasto solo a piccoli balzi avvicinò la sedia alla parete e la spaccò contro il muro. Nello stesso istante sentì lo stridere di gomme sull'asfalto, che gli segnalò che i suoi carcerieri erano già fuggiti. Rassegnato raggiunse il coltello che gli avevano lasciato. Nessuno sarebbe arrivato a disturbarlo, ma per tutto il tempo in cui cercò di liberarsi, non poté fare a meno di alternare uno sguardo alla porta e uno alla lama. La scarsa circolazione nelle sue mani rese difficile l'operazione e, nonostante tutta la cautela, aprì qualche altro taglio sui polsi. Una volta che le mani furono libere, fece altrettanto con le corde che ancora legavano gli ultimi pezzi della sedia alle sue caviglie.

La circolazione stava lentamente ritornando nelle mani che erano tutte un formicolio. Ignorando la fastidiosa sensazione, brandì il coltello di fronte a se e varcò la porta.

La luce che aveva intravisto più volte alle spalle dei suoi carcerieri, lo investì con violenza ferendogli gli occhi e accecandolo. Trattenne un gemito e si affidò completamente all'udito mentre sbatteva le palpebre cercando di abituarsi. L'edificio era talmente silenzioso da fargli dubitare di quel senso. Lo stridio di gomme di qualche istante prima era l'ultimo rumore che aveva sentito. L'odore pungente del fumo faceva da padrone.

Dopo i primi istanti i suoi occhi si erano abituati, si trovava in un corridoio largo un paio di metri ed arredato con un piccolo tavolo tondo. Un posacenere evidentemente usato, ma privo di mozziconi stava sul bordo più lontano del tavolo, mentre sul bordo vicino c'erano i suoi effetti. Erano disposti in ordine su una retta immaginaria che attraversava il tavolo, posizionati con una cura quasi maniacale. Pistola d'ordinanza e distintivo, chiavi della macchina e cellulare. Tutto quello che aveva con sé al momento del rapimento.

Al centro esatto del tavolo un altro cellulare, quello di cui parlava il nastro.

Recuperò per prima la pistola e controllò immediatamente il caricatore; il clic metallico dell'ingranaggio, ruppe il silenzio surreale. Il caricatore era ancora pieno, esattamente come lo aveva lasciato. Con le dita strette sull'impugnatura, si riappropriò di un po' di quella sicurezza che era andata perduta nelle ultime ore. In seguito prese il distintivo e lo appese con attenzione alla cintura. Infine infilò nelle tasche dei suoi pantaloni cargo cellulare e chiavi dell'auto. Esitò guardando l'altro cellulare, ma alla fine fece sprofondare anche quello in una tasca.

L'assenza di rumore lo aveva ormai convinto dell'assenza di persone, facendogli perdere ogni interesse per una fuga rapida, perciò prima di proseguire oltre si fermò a cercare tracce.

Schiacciò un po' di cenere sotto i polpastrelli per poi soffiarla sul posacenere nella speranza di trovare qualche impronta. Niente. Sembrava fossero stati particolarmente attenti a non lasciarne. Nonostante l'utilizzo abbondante che era stato fatto del posacenere non c'era nemmeno un'impronta parziale. Ridispose i suoi oggetti sul tavolo ad eccezione del suo telefono e ripeté l'operazione, scattando foto di ognuno con il cellulare, c'erano decine di impronte, complete o parziali, ma era pronto a scommettere che fossero tutte sue, o al massimo qualcuna di Danny.

Una parte di lui ammirava la loro bravura, non tutti erano in grado di affrontare un SEAL nel parcheggio di una stazione di polizia ed avere la meglio; preparare una prigione temporanea ed abbandonarla, senza lasciare tracce. Il tutto in meno di 24 ore.

Un'altra parte era spaventata, se erano stati capaci di fare tutto ciò, chissà di cos'altro sarebbero stati capaci.

Proteggendosi dietro la sua pistola, superò il corridoio e si ritrovò in un'altra stanza.

Le pareti bianche lucide erano completamente tappezzate di foto.

Steve attraversò la stanza incerto, osservando con timore le immagini. Circa la metà erano foto di sorveglianza, l'altra metà non era niente che non conoscesse, niente che non avesse già visto, ma ad ogni passo sentiva il suo stomaco rivoltarsi, mentre il suo sguardo passava dalle immagini di sorveglianza alle altre e poi di nuovo alle immagini di sorveglianza in un ciclo continuo. Il petto si alzava e si abbassava sempre più velocemente cercando di tener testa al ritmo del suo respiro. Gli occhi si muovevano freneticamente, per la stanza incontrando ovunque lo stesso alternarsi di immagini. La pistola si abbassò sempre di più, come se fosse un peso troppo grande per le sue braccia. Non era niente che non conoscesse, niente che non avesse già visto. Il cuore rimbalzava in gola, come se volesse uscire dalla sua bocca. In un momento imprecisato le orecchie avevano iniziato a fischiare. Gli occhi cercavano un punto sicuro dove guardare, ma era ovunque accolto da quelle immagini. Le gambe tremavano o forse era tutto il suo corpo. Con l' ultimo barlume di lucidità vide una porta e ignorando ogni precauzione l'attraversò di corsa.

Le gambe cedettero e cadde in ginocchio. Il suo stomaco si contrasse dolorosamente, mentre la bile risaliva e si faceva largo nella sua bocca.

Era all'esterno. Il suo corpo ancora più scosso dopo i conati di vomito. Il respiro ancora frammentato, il cuore che batteva rapido.

Si impose di controllare il suo respiro. Dentro... fuori...dentro...fuori. L'aria fresca era d'aiuto e poco a poco sembrò funzionare. Anche il cuore stava rallentando, ma non abbastanza. Usò una delle tecniche di rilassamento che aveva imparato per le immersioni in apnea e lo portò ad un ritmo più regolare.

Mano a mano che le sue funzioni vitali si ristabilivano, il fischio nelle orecchie diminuiva fino a ridursi a poco più di un sibilo.

Ora arrivava la parte più difficile: doveva tornare dentro.

Sapeva che doveva raccogliere le foto, erano l'unica traccia che si erano lasciati dietro e non voleva abbandonarla.

Rialzandosi notò il profilo della sua Silverado parcheggiata poco distante. Raggiunse l'auto e controllò l'interno, era nelle esatte condizioni in cui l'aveva lasciata e sia il cruscotto sia il bagagliaio avevano ancora tutto il loro contenuto, incluse le armi.

Si preparò mentalmente a rientrare nella stanza.

In fin dei conti non c'era niente che non avesse già visto dal vero, niente che non conoscesse ed alcune cose di cui aveva addirittura esperienza. Cercò di isolare mentalmente i due set di fotografie nella stanza, cercò di negare il messaggio che rappresentavano e si concentrò sul fare il proprio lavoro. Si infilò i guanti trovati nel cruscotto e attivò la fotocamera del cellulare.

Lentamente tornò nella stanza questa volta pronto a ciò che lo aspettava.

Scattò velocemente alcune foto, in tutte le direzioni, senza guardare direttamente a ciò che stava fotografando, ma assicurandosi di catturare nelle immagini tutta la stanza.

Poi iniziò togliendo dalle pareti le foto di sorveglianza, sforzandosi di ignorare le altre: erano foto dei Five-0 scattate durante la giornata. In alcune comparivano lui e Danny al molo, mentre parlavano con Fry, in altre Chin e Kono al molo, Kono che tornava da sola al quartier generale e altre foto di Chin nel quartiere universitario. Lui e Danny che scendevano di macchina davanti al quartier generale e all'ingresso. Poi c'erano le foto che dovevano aver scattato la sera dopo il suo rapimento. Si vedevano Danny Chin e Kono davanti ai rispettivi appartamenti, mentre scendevano dai veicoli, mentre aprivano le porte, le loro sagome dietro le finestre.

Staccò tutte le foto che li ritraevano, sgombrando una buona parte delle pareti. Una volta fatto, si ritirò al centro della stanza. Chiuse gli occhi, trasse un respiro profondo e si impose di dimenticare per un momento che quelle foto fossero mai state lì. Quando fu abbastanza soddisfatto del risultato si dedicò alle altre. Le foto rimaste ritraevano immagini di prigionia, uomini ridotti alle ossa per la fame, legati, coperti di lividi o di bruciature, strumenti di tortura, vasche piene di ghiaccio, baracche nere esposte al sole,coltelli di varie misure e persone che erano state sottoposte a tutto ciò. Erano immagini disturbanti per la maggior parte delle persone, scene che nel suo periodo con i SEAL aveva visto più spesso di quanto gli piacesse ammettere, situazioni che aveva vissuto in prima persona. Ma allontanate dalle altre foto riusciva a sopportarle. Così senza prestare troppa attenzione al loro contenuto, le staccò dalla parete.

 

Raggiunta la macchina spinse le foto sul sedile del passeggero, mentre lui sprofondava in quello del guidatore portandosi le mani al volto, pensando in quale situazione si erano cacciati.

Il messaggio era stato chiaro, tanto chiaro da indurgli il panico. Mescolare quelle foto poteva voler dire una ed una cosa soltanto: «Se non fai come diciamo noi, questo è quello che accadrà a i tuoi amici.» Una minaccia troppo grossa perché potesse lasciarla avverare. Il solo esserne a conoscenza era un peso enorme, un peso con cui non voleva caricare nessun altro. Avrebbe fatto tutto quello che poteva per tenere la sua squadra al sicuro da tutto ciò.

Abbassò gli occhi sull'orologio dell'auto per vedere che erano quasi le 5 di mattina: gli sarebbe servita almeno un'ora per arrivare a casa. Abbandonando ogni speranza di dormire (probabilmente non ne sarebbe stato capace in ogni caso), iniziò a scendere il pendio, mentre una luce soffusa si dipanava sul bordo delle colline annunciando l'alba imminente.

 

Quando raggiunse casa, il sole iniziava a sollevarsi dall'orizzonte e il mare scintillava meravigliosamente con la luce obliqua. Una nuotata era una prospettiva invitante, ma prima doveva trovare un posto sicuro dove nascondere quelle foto. Valutò tutta la casa, pentendosi di non avere ancora pensato a scomparti segreti di quelle dimensioni; alla fine optò per il classico. Racchiuse le foto in una busta e con del nastro adesivo le attaccò dietro il cassettone, nascondendole tra il mobile e la parete.

Controllò l'orologio, erano quasi le 7 e di lì a poco sarebbe passato Danny a prenderlo, per andare a ricevere i due agenti dell'FBI.

Si tolse i vestiti abbandonandoli sul pavimento del corridoio sostituendoli in fretta con un costume.

Attraversò di corsa il lanai raggiungendo la riva. L'acqua era il suo elemento naturale, l'unica cosa che potesse farlo sentire meglio dopo una notte come quella. L'acqua era la sua droga, era qualcosa di cui non poteva fare a meno dopo una notte come quella. Anche se aveva soltanto mezz'ora. Il suo corpo si contrasse leggermente al contatto con le prime onde, ma poi iniziò a nuotare e tutto sembrò cambiare prospettiva. In breve l'orrore che aveva provato nel vedere le foto, fu rimpiazzato dalla domanda di come avevano fatto a scoprire dell'indagine così tempestivamente e ad organizzare il suo rapimento. Poi di nuovo tornò a pensare cosa sarebbe successo se non fosse stato lui l'ultimo ad uscire dall'ufficio. Poi i pensieri si confusero e si dispersero con il rumore delle onde.

La sveglia dell'orologio suonò ricordandogli che gli rimanevano soltanto dieci minuti, si immerse in apnea, nuotando verso la riva. Quando riemerse senza fiato si sentiva decisamente meglio.

Due minuti di doccia e fu pronto giusto quando Danny suonò il clacson davanti casa sua. I lividi ed i tagli sui polsi nascosti da una camicia a maniche lunghe. Raccolse gli oggetti fondamentali e notò che sul telefono che gli era stato lasciato quella notte era apparso un messaggio contenente un indirizzo di Honolulo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I federali ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright.
Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show

 

A.N.:OOOPS! Tra influenza mia e di mia madre, non mi ero accorta che erano passate due settimane invece che tre. Potrete mai perdonarmi? Ecco a voi il capitolo! (Le note dell'autrice continuano a fondo pagina) P.S. Ci sono alcuni riferimenti presi dalla prima stagione.

 

Quando Steve raggiunse il veicolo vide che Danny si era già spostato nel sedile del passeggero, come ormai si era rassegnato a fare da tempo.

«Buongiorno!» il biondo salutò radioso, ostentando un buonumore che poco si addiceva all'indagine che stavano seguendo.

«Come mai così di buon umore oggi?» si voltò l'ex SEAL più bruscamente di quanto fosse nelle sue intenzioni.

«Sai di solito le persone prima salutano, e poi, se proprio lo ritengono necessario, iniziano a far domande. Non iniziano facendoti un interrogatorio appena ti vedono. Quindi riproviamo... Buongiorno! Anzi no, sai cosa ti dico, ci rinuncio. Non voglio rovinarmi questa splendida giornata cercando di insegnare l'educazione all'uomo di Neaderthal. Parliamo d'altro, come mai questa novità delle maniche lunghe? » Danny aveva iniziato inveendo e muovendo le mani nell'aria freneticamente, ma senza mai perdere il sorriso. Steve avrebbe preferito di gran lunga sorbirsi tutta la paternale piuttosto che dover rispondere a quella domanda, aveva scelto la camicia in fretta e non aveva ancora inventato una spiegazione. Di sicuro non gli avrebbe detto che era stato rapito, legato a una sedia, minacciato e ricattato e dopodiché si era pure tagliato in più punti tagliando le corde e aveva messo la camicia a maniche lunghe per coprire i segni. Non avrebbe detto che i suoi rapitori minacciavano di rapire e torturare qualcuno dei Five-0 se non avesse rispettato le loro condizioni. L'unica cosa che rimaneva da fare era guadagnare tempo.

«Non hai risposto alla mia domanda. C'entra qualcosa Grace? Ha avuto qualche premio a scuola? Cos'è Rachel va via e te la lascia per qualche giorno?» sapeva che il collega sarebbe potuto andare avanti per ore a parlare della figlia e a lui non dispiaceva.

«E tu non hai risposto al mio saluto, né alla mia domanda. Ora se si trattasse di qualsiasi altra persona della terra penserei che ci sia qualcosa che non va, che magari tu abbia del risentimento verso di me. Ma dato che ho la sfortuna di conoscerti da un po' di tempo, non mi ritengo offeso per il tuo comportamento. Al contrario, sono piuttosto preoccupato di vederti indossare una camicia a maniche lunghe, evento, che non sarebbe di nessuna rilevanza se occorresse ad un qualsiasi altro essere umano.

«Non ho capito, stai dicendo che sono strano o che non sono proprio un essere umano?» chiese il SEAL di nuovo con una traccia di nervosismo nella voce.

Danny si voltò e lo squadrò sommariamente soffermandosi sul tessuto che gli copriva interamente le braccia. Vide Steve si irrigidirsi sotto il suo sguardo, come se fosse a disagio che lo stesse studiando in quel modo.

Il moro combatté in silenzio contro l'istinto di tirare ancora più giù i polsini. Perché il suo collega non voleva capire che gli stava mentendo per il suo bene.

«Sto dicendo, caro mio amico Neanderthaliano, che sono preoccupato per te. Babe, cosa ti succede?»

Il tono preoccupato di Danny, lo fece sentire ancora più in colpa per la decisione di mantenere il suo rapimento un segreto, tanto che per un attimo si domandò se dovesse raccontargli tutto. Ricacciò in fretta quel pensiero in un angolo remoto della sua mente; non voleva spaventarlo, non voleva che vivesse nel terrore di quello che sarebbe potuto succedere o con il senso di colpa per essere un arma di ricatto. Conoscendo c'erano probabilità che si sarebbe sentito in colpa perfino per il rapimento della sera prima.

«Non ho niente. Mi andava di mettere questa camicia oggi, se avessi pensato che sarebbe diventato un caso capitale non l'avrei messa. In ogni caso, non accetto critiche sull'abbigliamento da uno che è andato in giro in cravatta alle Hawaii per più di un anno.» Rispose Steve sulla difensiva.

«Touché per la cravatta, ma non pensare che mi beva tutto il resto. Non è solo la camicia, è come ti muovi, come hai risposto...»

«Sentiamo, come avrei risposto? Danny ti rendi conto che stai facendo castelli in aria?» Steve strinse un po' più forte il volante, facendo sparire il colore dalle sue nocche. Doveva riuscire a farlo desistere in fretta e a nascondere meglio la sua ansia altrimenti sarebbero state delle lunghe giornate.

«Esattamente come hai fatto ora. Sei nervoso, hai l'aria di chi sta nascondendo qualcosa e non è solo quello è anche la tua faccia.» Ribatté Danny con tono saccente.

«Ora sarebbe la mia faccia?» Steve si sforzò di fare una risata convincente.

«Stai facendo la faccia da aneurisma e quella è una faccia che porta sempre dei guai. Di solito quando hai quella faccia entro venitquattr'ore ci arrivano proiettili addosso.»

«Io non faccio facce!» Si risentì Steve, promettendosi di trovare qualche strategia migliore per i prossimi giorni.

«Oh sì, certo che le fai. Ne stai facendo una proprio ora. E sai una cosa? Questo fine settimana devo vedermi con la mia bambina e non voglio trovarmi in ospedale perché qualcuno mi ha sparato. Quindi smettila di fare la faccia.»

Steve non sperava che Danny gli offrisse un apertura del genere per cambiare argomento, ma non esitò a sfruttarla.

«Ecco come mai sei così di buon umore stamani, Grace starà con te questo fine settimana.»

«Esatto, ma non è questo il punto. Il punto è che stai facendo la faccia da aneurisma. E se già al naturale sei un magnete per i guai, i disastri e le situazioni pericolose in genere, quando fai quella faccia i guai sono dieci, ma che dico dieci, cento volte peggiori. Sì, la faccia da aneurisma è un amplificatore per i guai che tu attiri.» Danny gesticolò sempre più freneticamente durante il suo discorso sottolineando in maniera particolarmente enfatica ''l'amplificazione'' dei guai.

«Quindi io sarei un magnete per i guai? Sei ridicolo. Cosa mai avrei combinato?»

«Cosa avresti combinato? Vediamo...tanto per cominciare con te non si può portare a termine un indagine senza che qualcuno ci spari addosso, ma non basta il lavoro, perché,udite udite, fai la stessa cosa anche per il tempo libero. C'è una lunga lista di guai.- mimò di srotolare una pergamena nell'aria.- Ad esempio, la prima volta che vi ho fatto conoscere Grace, eravamo allo stadio. Quali cose terribili possono mai succedere allo stadio? Beh se sei in compagnia di Steve McGarrett, ti trovi in mezzo a uno scontro tra bande. Andiamo a vedere un evento di surf, lo sport nazionale, non c'è una persona su quest'isola che non vada matta per il surf, chi ma potrebbe volere rovinare qualcosa? Ma dato che c'è Steve McGarrett l'ospite d'onore viene ammazzato. Andiamo a fare una tranquilla gita in montagna, per assecondare i tuoi capricci, secondo i quali io dovrei imparare a conoscere le 'bellezze dell'isola' e ci ritroviamo con un cadavere. Devo continuare? E questo solo nel primo anno che ci siamo conosciuti. Sai chi mi ricordi? Gessica Fletcher!»

«Gli uomini allo stadio sono scappati e se la stavano prendendo solo tra di loro. Alla gara di surf è stato ucciso solo Ian Adams, quindi non hai corso alcun pericolo. E un cadavere tra le montagne è completamente innocuo.»

«Disse quello che si ruppe il braccio andando a controllare il corpo. Basta, ammettilo, sei un magnete per i guai.» Il tono perentorio di Danny non lasciava scampo.

Effettivamente il loro tempo libero si trasformava fin troppo spesso in lavoro, quello della sera prima non era che l'ultimo episodio che sarebbe diventato presto un guaio se non fosse riuscito a tenere la situazione sotto controllo.

«D'accordo: sono un magnete per i guai. Contento adesso?» cedette esasperato.

«No, perché questo non cambia le cose. Tu hai sempre la faccia da aneurisma e ogni minuto che passa, aumenta la sensazione che succederà qualcosa che mi impedirà di passare il weekend con mia figlia.» Brontolò Danny. Per un attimo Steve si concesse un sorriso al continuo berciare del collega e a come il suo tono si addolcisse istantaneamente appena pensava alla figlia. Avrebbe fatto tutto il possibile perché il loro weekend non fosse rovinato.

«Quindi stiamo parlando te e di Grace, adesso?»

«No! Neanche per idea. È inutile che tu cerchi di cambiare argomento.» rispose l'altro piccato.

L'arrivo all'aeroporto salvò Steve da altre domande sulla camicia, ma anche se sperava il contrario, sapeva fin troppo bene che quella conversazione non sarebbe finita lì.

 

Steve e Danny raggiunsero la sala degli arrivi, guadagnandosi qualche occhiata spaventata da quei passanti che vedevano prima la pistola appesa alla fondina e solo qualche momento dopo il distintivo. I poliziotti aguzzarono la vista alla ricerca dei loro ospiti, la sala era affollata da persone di ogni sorta e non sapevano da che parte iniziare, turisti con il sorriso di chi pensa di essere arrivato in paradiso, locali che invece tornavano da una visita sul continente, vecchi e giovasni uomini e donne e loro non avevano altro che un minuscolo cartellino con due nomi. Tra la folla Danny pensò di riconoscere uno degli attori o dei cantanti che aveva visto tra i poster di Grace e quasi pensò di andare a chiedergli un autografo, ma il ragazzo scomparì tra la folla stretto tra due guardie del corpo.

«Uno di voi è il comandante McGarrett della Five-0, presumo.» Disse una ragazza con lisci capelli lunghi che le arrivavano a sfiorare il fondoschiena e un sorriso dolce e caloroso che le illuminava gli occhi. Una giovane coppia si era avvicinata a loro non vista.

Steve la scrutò perplesso prima di rispondere; era sicuramente un bella ragazza fasciata nei pantaloni di un tailleur grigio-verde e una camicetta color pesca. A occhio e croce avrà avuto l'età di Mary. Insieme a lei c'era un uomo di poco più grande, muscoloso e tonico.

Con la coda dell'occhio vide Danny incuriosito almeno quanto lui riversare la sua attenzione sulla ragazza.

«Sono io.» rispose Steve ancora incerto sul perché lo stesse cercando.

«Agente Janet Shelley FBI e lui è l'agente Teagan.» si presentò la ragazza con un sorriso se possibile ancora più grande, mentre porgeva la mano ai due agenti sbigottiti dalla sua giovane età e dalla sua bellezza.

«Ma potete chiamarmi, Brandon» Si introdusse il collega di lei, rivelando una voce ben impostata in accordo con il suo abbigliamento.

«Piacere di conoscervi e benvenuti sull'isola. Il mio collega: Detective Danny William» rispose Steve riprendendosi in fretta.

«Il piacere è nostro. Abbiamo sentito dire che state facendo un ottimo lavoro.»

«Grazie, ma non dovreste prestare troppa attenzione a ciò che si dice in giro. Facciamo solo il nostro lavoro.» Rispose Danny con falsa modestia, in realtà avevano una percentuale di casi risolti impressionante. Lo sguardo che gli lanciò Steve sembrò dire proprio quello.

«Si dice anche, che un po' di tempo fa, abbiate avuto un po' di problemi con dei nostri colleghi...» Aggiunse la ragazza con tono di sfida, ma il suo viso mantenne il solito sorriso ingenuo e gli occhi spalancati come quelli di una bambina. Matt Williams era ancora una ferita aperta per la divisione che si era occupata del caso e a giudicare da come il fratello sbuffò roteando gli occhi intuì che doveva esserlo anche per loro. Voleva mettere subito le cose in chiaro che non sarebbero state pedine inerti in quell'indagine. Brandon rimase silenzioso, incrociando le braccia sul petto anche lui soddisfatto da quella reazione, aveva idee assai diverse da quella della collega, ma ci teneva a capire in fretta con chi aveva a che fare.

Se fosse stata un'altra persona a dire la stessa cosa probabilmente Danny avrebbe risposto a tono, pronto a difendersi dietro una cortina di parole. Il sorriso ingenuo di quella ragazza, lo faceva sentire uno schifo al solo pensiero di iniziare a inveire contro di lei per quella affermazione. Per la seconda volta quella settimana, cadde vittima del senso di colpa, per non averlo fermato.

La ragazza lo fissò per un attimo.

«Non si preoccupi detective Williams, non siamo qui per fare accuse sul passato. Non è nel nostro interesse. Questa indagine è estremamente importante per noi e non riusciremo a fare alcun passo avanti se non facciamo funzionare questa collaborazione.»

«Sono certo che ci riusciremo.» Steve riprese il controllo, prima che Danny se ne uscisse con qualche ammissione di colpa.

A.N.: Vorrei ringraziare Celtics, che ha le idee molto chiare sui personaggi e con le sue recensioni mi ha fatto riflettere molto. In particolare ho rivisto la prima parte del capitolo, perché mi sono resa conto che stavo per mandare Danny fuori personaggio. In origine il dialogo tra Steve e Danny doveva essere un po' più vago. Un po' di malumore da parte di Steve e un Danny abbastanza distratto dal pensiero di un weekend extra con Grace per dargli troppo peso e quando iniziava a fare domande sulla camicia Steve cercava di sviarlo riportando la conversazione su Grace. Pensandoci un po', ho preferito rafforzare la reazione di Danny e la sua ostinazione sull'argomento. In fin dei conti è un detective decisamente bravo e cocciuto. Grazie Celtics;)

Spero che anche gli altri lettori e le altre lettrici siano d'accordo.

Mi fa sempre piacere sentire i vostri commenti.

A presto!

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L'indirizzo ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso alcun violamento di copyright.
Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show

A.N:Per farmi perdonare l'ultimo ritardo ho deciso di anticipare la pubblicazione del nuovo capitolo, non ne sono particolarmente soddisfatta, ma non riesco a capire cosa ci sia che non va.
Come ogni altra volta ogni suggerimento e commento è bene accetto.
A presto!




«Dovete capire che le Hawaii sono rimaste isolate per molto tempo. Quando arrivarono i primi predicatori e furono fondate le prime piantagioni e riempite di schiavi, diverse epidemie si diffusero sull'isola. Non c'è da stupirsi se in molte delle famiglie originarie delle Hawaii è ancora radicata la diffidenza verso gli stranieri.» Stava spiegando Steve quando arrivarono al quartier generale, dove Chin e Kono erano già nella sala dello smart table.

Dopo aver completato le presentazioni, aggiornarono i due agenti federali con le informazioni che avevano raccolto il giorno precedente e su come avevano individuato le possibili posizioni di Montoya. Janet si complimentò subito, per l'ottimo lavoro svolto, stupendosi degli enormi risultati che avevano raggiunto in un solo giorno. Aggiunse che non vedeva l'ora di iniziare a lavorare in un gruppo così efficiente e preparato. Teagan si limitò a concordare con lei e a riproporre i complimenti.

Dopo questa breve interruzione Kono snocciolò la lista dei possibili indirizzi di Carlos Montoya.

Steve trasalì, riconoscendo nella lista l'indirizzo che aveva trovato quella mattina sul suo cellulare: Waolani Avenue 2734.

Inconsciamente si massaggiò i polsi attraverso la maglietta, mentre la sua mente lo richiamava in una spirale infinita di domande, allontanandolo dalla stanza. Chi diavolo erano quelle persone? Come erano riusciti a sapere della loro indagine su Montoya prima ancora che iniziasse? Erano stati abbastanza coraggiosi o folli al punto di rapirlo davanti al quartier generale. E per quanto una parte di lui si rifiutasse di ammetterlo, era sicuro che a quell'indirizzo avrebbero trovato Montoya. Qualsiasi cosa fosse quella in cui si era imbattuto quella notte, era abbastanza potente ed organizzata da essere due passi avanti a loro ed era solo l'inizio. Di una cosa era sicuro: dovevano restare alla larga dal suo team, avrebbe fatto tutto il possibile.

Si passò una mano sul viso cercando di riprendere la concentrazione. Kono aveva appena finito di mostrare gli indirizzi sulla mappa e tutti stavano guardando a lui aspettando gli ordini.

«Tutto bene, brah?» gli chiese Chin non nascondendo una nota di preoccupazione e Steve rimproverò se stesso per essersi lasciato trasportare dai suoi pensieri.

«Sì, tutto ok. Allora...» si mosse a fronteggiare lo schermo leggendo velocemente gli indirizzi che si era perso, e si congratulò mentalmente con Kono per averli ordinati «Brandon verrà con te e Kono prendete gli ultimi tre indirizzi della lista. Janet, tu verrai con me e Danny prendiamo gli altri.»

I due federali iniziarono a parlottare tra loro, mentre Steve proseguiva:

«Cerchiamo di capire dove sono in maniera da poterli tenere d'occhio, poi decideremo come procedere.»

Accorgendosi che aveva perso l'attenzione di parte del suo pubblico aggiunse in tono esplicativo:

«Come vi stavo dicendo, la gente è diffidente verso gli stranieri, meglio che non andiate in giro da soli a far domande, al vostro primo giorno sull'isola. E dividervi è il modo migliore per rendervi più partecipi.»

Appena si resero conto che tutti si erano accorti del loro parlottare, i due federali, si zittirono e abbassarono leggermente la testa in segno di scusa.

Soddisfatto di aver riportato l'ordine nella sala, Steve tornò a rivolgersi a tutti:

«Mi raccomando, nessuna bravata.»

«Qualcuno l'ha registrata questa? Perché sono sicuro che sarà il primo a dimenticarselo.» Commentò Danny puntando gli indici su Steve, mentre si voltava verso i compagni, accolto da uno sorriso divertito degli altri Five-0.

In un altro giorno Steve sarebbe stato al gioco e avrebbe risposto a tono, ma quel giorno si limitò a dargli le spalle e ad avviarsi verso la doppia porta a vetri, mentre sfilava dalla tasca il cellulare. Danny lo guardò preoccupato fare segno a Janet di seguirlo e si incamminò sulla loro scia.

Doveva ammettere che non gli dispiaceva affatto che Janet fosse in squadra con loro e mentre camminava nella scia di profumo della ragazza, tenne lo sguardo sul suo corpo atletico, un po' più di quanto fosse appropriato.


Steve osservò lo schermo del suo 'nuovo' cellulare, che ora riportava a chiari caratteri: "CTRL indirizzi" sentendosi orribilmente premette il tasto invio. Se voleva tenerli lontani dalla squadra doveva stare al gioco finché non avesse scoperto cosa volessero, ma questa giustificazione non lo faceva sentire affatto meglio.

 

* * *

 

Steve accostò l'auto lungo la strada a qualche metro di distanza, cercando di non dare nell'occhio e tutti e tre iniziarono a scrutare l'edificio in cerca di segnali.

Waolani avenue era piuttosto affollata, ma non trafficata. Un gruppo di bambini, che stava giocando a lanciare bastoni di legno verso il bosco come se fossero giavellotti, si era fermato a guardarli incuriositi. Una donna prendeva il sole riparata da vistosi occhiali da sole. La sdraia, lambita fino al bordo dall'erba del giardino, era posta a poca distanza da una porta finestra opacizzata dal tempo e dallo sporco.

Sullo stesso lato della strada, tre case più avanti, un giardiniere dopo essere passato per la quarta volta sulla stessa striscia di prato, si era tolto i guanti e aveva iniziato a potare una delle due piante di mango che adornavano il giardino, coperto ora da un sottilissimo strato d'erba.

Il numero 2734 di Waolani Avenue, era una villetta isolata su un unico piano, il giardino verdeggiante e ben curato, era percorso da vialetti in ghiaia ed era circondato da un inferriata in ferro battuto e una bassa siepe di sempreverdi. Le pareti erano decorate con grosse pietre calcaree ed un portico con spesse colonne, decorate allo stesso modo, riparava la porta principale. Isolato sulla sinistra dell'edificio, un garage in stile molto semplice, ma grande abbastanza da contenere due veicoli, completava la visuale.

I tre si consultavano azzardando ipotesi, mentre Janet, seduta dal lato del passeggero scattava foto dell'edificio e dell'unica guardia posta all'ingresso. Aiutandosi con l'ingrandimento della macchina fotografica Janet individuò alcune telecamere di sorveglianza poste attorno all'edificio. Se i danni sui muri dove erano state fissate erano un indizio, l'intero impianto era stato installato di recente e abbastanza di fretta. Le tende erano perfettamente tirate in tutta la casa togliendo ogni possibilità di vedere l'interno.

«Una guardia sola?» chiese Danny, puntando l'uomo vicino all'ingresso.

«Una sola che si veda.» gli rispose Steve.

Janet si staccò dalla macchina fotografica e si voltò a fronteggiarlo.

«Cosa intende, comandante?»

Per un attimo Steve rimase stordito, come se si fosse dimenticato di averla così vicino.

«Stai pensando alla donna che prende il sole in mezzo all'erba alta? Ho il sospetto che se ci avviciniamo un po' a quella porta la troviamo coperta di ragnatele. » Ipotizzò Danny.

Steve lanciò un'occhiata attraverso lo specchietto ai bambini che si erano lasciati alle spalle. Avevano ripreso a giocare. Janet seguì il suo sguardo e si voltò per guardare attraverso il lunotto posteriore, il suo esempio seguito da Danny.

«Non starai pensando che abbia arruolato dei bambini per tenerci d'occhio! Povere creature...» sospirò la ragazza, distogliendo in fretta gli occhi da quell'immagine.

«I bambini non lo so, ma sareste stupiti di sapere quante informazioni si possono ottenere allungando un paio di banconote ad un gruppo di ragazzini che gioca per strada.- Raccontò Steve, riferendosi alle sue operazioni nei SEAL.- La donna invece sono d'accordo. In quella casa non ci sta nessuno da qualche mese. In più abbiamo il giardiniere laggiù, che sicuramente non è un giardiniere.»

«Perché è passato tre volte sulla solita striscia? Magari è solo pignolo, che ne sai. Ci sono alcune persone a cui piacciono i giardini ben curati e non tutti sono animali che amano vivere in una giungla.» Scattò il nativo del Jersey, lasciando trasparire il suo sdegno per i gusti del collega.

«No, perché si è tolto i guanti per andare a potare il mango, le foglie e il fusto del mango contengono una sostanza irritante. Si tratta di una delle principali fonti di dermatiti alle Hawaii, chiunque abiti qui, lo sa.» Spiegò Steve.

«Io abito qui, ora, e non lo sapevo. Un motivo in più per odiare quest'isola infestata d'ananas, ora che lo so.» Si difese Danny.

«Vuole dire che quasi tutte, o addirittura tutte, le persone che sono in questa strada al momento, potrebbero essere spie di Montoya?» concluse Janet dubbiosa.

«E noi ci siamo parcheggiati in mezzo.-Il comandante scosse la testa e rimise in moto il motore.-Se Montoya non abita qui, di sicuro si tratta di qualcuno con enormi paranoie.»

 

Andarono a controllare il secondo indirizzo che era sulla loro lista, uno scuolabus accostò davanti alla casa proprio in quel momento. Una giovane donna uscì di casa e andò ad accogliere un bambino che appena sceso dal veicolo, le corse incontro.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sospetto ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e  K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright.
Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.
 

A.N. Grazie a tutti quelli che stanno seguendo questa sotria, spero di sentire le vostre opinioni in merito.

Kono stava guidando verso l'ultimo edificio della loro lista. I primi due si erano rivelati un buco nell'acqua. Di fronte al primo avevano visto una coppia che faceva faticosamente il bagno al loro cane, l'altro era ancora disabitato e, come avevano verificato, deserto.
Il terzo edificio era in fase di manutenzione, un'impalcatura di legno circondava tutto il lato sud-est dell'edificio. Cinque o sei operai erano distribuiti su di essa, un altro paio faceva avanti indietro trasportando materiali. Il camion della ditta edile era parcheggiato lungo la strada, un uomo era appoggiato allo sportello con la testa nascosta dietro un progetto. Sul lato opposto della casa c'erano delle tracce recenti di un altro veicolo.
«Viste?» Chiese Kono.
«Viste.» Rispose Chin, seduto accanto a lei.
«Quelle tracce potrebbero essere di chiunque. Sarà solo un'altra perdita di tempo.» Commentò il federale, quasi sprezzante di fronte al loro entusiasmo.
«Oppure potrebbero essere stati qua ed essersi già mossi.» Affermò Chin continuando a guardare le tracce.
«Da queste parti non lasciamo nessuna traccia aperta.» Chiarì Kono, cercando l'approvazione del federale.
«Se proprio vi scappa andiamo a parlare con il tizio del furgone, scommetto dieci dollari che è il capo cantiere.» cedette con una scrollata di spalle.
 
Kono e Brandon fecero strada, mentre Chin rimaneva a pochi passi di distanza per avere una visuale più ampia sulla casa e sul cantiere. Molti degli operai si voltarono a guardarli, alcuni sembravano incuriositi, altri lanciavano espliciti fischi di apprezzamento verso la ragazza, solo il capocantiere sembrava non essersi accorto di loro finché non furono a un metro di distanza.
L'uomo abbassò il progetto visibilmente infastidito, lasciandolo penzolare da una mano.
«Cosa volete? La casa non è in vendita!» precisò, secco come se si fosse stufato di rispondere a quella domanda dopo la centesima volta che la sentiva.
«Non siamo interessati ad acquistare la casa. Agente Kono Kalakaua, Five-0.» L'uomo cambiò atteggiamento immediatamente, ma l'attenzione dei tre agenti si era spostata per un istante su qualche punto non ben precisato del suo cantiere. Uno degli operai appena aveva visto il distintivo era saltato giù dal ponteggio del primo piano ed era corso a saltare la staccionata che separava quel giardino da quello della casa adiacente. Brandon scattò subito nella sua direzione, mentre Chin partì lungo la strada tenendo d'occhio i loro movimenti.
Vide Brandon scavalcare cancelli e reti continuando a guadagnare terreno, con una rapidità ed un'agilità da far invidia a Steve.
Quando Chin ebbe guadagnato sufficiente terreno, anticipò la mossa seguente del fuggiasco, preparandosi ad aspettarlo al prossimo ostacolo: una rete metallica alta all'incirca due metri e mezzo. Si nascose sul lato della casa, per non essere visto. Senza farlo attendere, l'uomo che stavano inseguendo apparse nello stretto passaggio tra una porsche ed un piccolo garage ed iniziare ad arrampicarsi sulla rete. Mentre Chin aspettava il momento giusto per uscire allo scoperto, vide Brandon saltare prima sul cofano della vettura, poi sul tettino e da lì sul capanno. Nell'istante in cui il fuggiasco spostò il baricentro dall'altra parte della rete, Brandon gli saltò addosso cadendo a terra con lui, mentre Chin usciva allo scoperto puntandogli contro la pistola. 
Chin si rilassò quando vide l'uomo rimanere a terra senza fiato, senza dare altri segni di resistenza, e si appoggiò con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Brandon si rialzò spolverandosi la giacca, poi si abbassò ad enunciargli i suoi diritti e ad ammanettarlo. 
«Avete sabbia ovunque in quest'isola?» Scherzò, lasciando intravedere qualche minimo segno di stanchezza.
 Chin lanciò uno sguardo divertito verso di lui e rispose tra un respiro affannoso e l'altro
«Facci l'abitudine!» 
 
* * *
 
«Guarda chi si rivede! - esclamò Kono vedendo tornare Chin e Brandon con il fuggiasco- Vuoi un consiglio, Arthur? La prossima volta non scappare.» canzonò.
Arthur, il loro fuggiasco, era un uomo di colore sulla quarantina che mostrava i primi accenni di calvizia. Gli occhi circondati da piccole rughe, erano fissati sul terreno, mentre si lasciava condurre docilmente dalla presa di Chin sul suo braccio. 
«Arthy tutto ok? Lo sai che se sei in qualche guaio puoi parlarmi, vero?» Gli chiese premuroso il capo cantiere facendo un passo verso di lui, poi si voltò di nuovo verso Kono. «Agente mi dispiace molto per il suo comportamento, è sempre stato un dipendente esemplare.»
«Non si preoccupi, ci pensiamo noi ora. Grazie per la sua collaborazione.» Cercò di rassicurarlo la ragazza regalandogli un timido sorriso.
Il capo cantiere le aveva accennato la storia dell'uomo: dopo il divorzio si era trovato in guai finanziari, oltre al suo solito lavoro in cantiere, la sera aveva iniziato a lavorare a un bar per poter tirare avanti. Un paio di mesi fa aveva avuto un piccolo incidente, mentre lavoravano alla ristrutturazione di un vecchio magazzino, ma quando si presentò al bar con il livido che gli copriva mezza faccia e leggermente intontito dagli antidolorifici il proprietario lo licenziò. Arthur non era ancora riuscito a trovare un secondo lavoro e nonostante il capocantiere gli stesse facendo fare tutti gli straordinari che poteva, il lavoro era limitato. Al rientro dal weekend il capocantiere lo aveva trovato più nervoso del solito, ma aveva pensato che fosse dovuto alla situazione generale e non se ne era preoccupato troppo. 
In quanto alla casa, il cantiere stava andando avanti da mesi. Le tracce di pneumatico che avevano visto avevano la più banale delle spiegazioni, un vicino qualche giorno fa aveva dato una festa e uno degli ospiti forse già un po' alticcio, aveva parcheggiato lì. Kono non poté fare a meno di pensare a come avrebbe reagito Brandon scoprendo di avere ragione. Per il loro caso, quello era un vero buco nell'acqua.
 
* * *
 
Arthur Cain confessò non appena arrivato in centrale, confermando che in seguito al divorzio aveva navigato in cattive acque. Era in ritardo con il pagamento dell'affitto, gli avevano già sequestrato l'auto e l'ex-moglie minacciava di allontanarlo definitivamente dal bambino se non si fosse sistemato un minimo. Aveva raccontato del bar e di come fosse stato cacciato.
Tutto era cambiato due giorni prima, quando un uomo si era presentato a casa sua e gli aveva offerto 7000 dollari per nascondere una scatola per una settimana. Era una scatola piccola, delle dimensioni di un libro, interamente di mogano. L'unica regola era di non aprire la scatola.
Arthur sapeva che conteneva qualcosa di altamente illegale, ma 7000 dollari, poteva rimettersi in pari con l'appartamento, riprendersi l'auto e fare un regalo a suo figlio, il compleanno non era lontano. 
Aveva accettato.
Senza pensare troppo a quello che stava custodendo, l'aveva nascosto in un cassetto della scrivania e aveva fatto il possibile per dimenticarsene, ma il senso di colpa era troppo forte.
Appena aveva visto il distintivo era andato nel panico ed era corso via, pensando che fossero lì per lui.
 
Chin si recò immediatamente a casa dell'uomo, Kono e Brandon erano rimasti in ufficio cercando di raccogliere informazioni sull'uomo che aveva contattato Arthur.  Il loro fuggiasco aveva indicato con precisione la posizione della scatola e Chin la aveva recuperata senza problemi e con un po' di lavoro era riuscito ad aprirla, rivelando un set completo di documenti falsi. Da un controllo delle foto risultò che l'uomo misterioso dei documenti corrispondeva ad un indagine in corso della polizia di Honolulo, quindi passarono loro Arthur con la speranza che sarebbero stati clementi.
 
* * *
 
Kono stava aggiornando Danny e Steve sulla loro infruttifera giornata e Chin era rimasto solo con Brandon nell'ufficio. Chin osservò Brandon, sorreggeva la faccia su un palmo facendo leva con il gomito sul tavolo per il supporto mentre con il fianco era completamente appoggiato al bracciolo della sedia. Il federale era stato piuttosto taciturno per buona parte della giornata, e a parte il plateale intervento nella cattura di Cain, sembrava se ne volesse stare in disparte.
Chin immaginò si sentisse disorientato, l'isola poteva fare questo effetto a chi era abituato alle grandi città ed essere catapultato nel mezzo di un'indagine e prendere parte ad un rocambolesco inseguimento, di certo non aiutavano a sminuire l'effetto. 
Cercò di rompere ulteriormente il ghiaccio.
«Quindi Brandon, cosa fai di preciso all'FBI? Ti capita spesso di lavorare sul campo?» chiese Chin, mentre Kono aggiornava Steve e Danny sui loro risultati. L'agente sussultò leggermente alla domanda improvvisa.
«Io?! No! Mi piacerebbe, ma la maggior parte del tempo la passo rinchiuso in un ufficio a compilare scartoffie o a leggere le scartoffie di qualcun altro. Riesamino i fascicoli su Montoya sperando di trovare qualche nuova pista. » rispose tenendo lo sguardo a metà strada tra Chin e i fascicoli che stava esaminando.
Chin inarcò un sopracciglio evidentemente sorpreso all'argomento.
«Non l'avrei mai detto, hai fatto un bel numero oggi.» provò a sorridere incoraggiante quando Brandon sollevò gli occhi su di lui. 
Brandon per un attimo sembrò non capire, poi realizzò di cosa stessero parlando.
«Ah, l'arresto di Cain! Mi tengo in allenamento, ma per lo più è stata fortuna.» 
«Capisco. Davvero fortunato allora. Beh, chissà che qui non riusciamo a far diventare il caso Montoya un'operazione sul campo. Sarei davvero curioso di sapere cos'altro la tua fortuna riesce a fare. Andiamo a vedere quali novità ci sono!» Concluse con un sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Una via d'uscita ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and 101st Street Television poi.
Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright.
Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show

A.N.: Grazie a tutti quelli che stanno leggendo e grazie a Celtics che recensisce puntualmente ogni capitolo, capisco che questa storia stia procedendo molto a rilento e può scoraggiare, ma vi assicuro che prima o poi vedrà una fine.

Cosa ne pensate al momento della divisione in capitoli, può andar bene o sarebbero preferibili capitoli più lunghi/brevi?
Per ora è tutto.
A presto!

 

Trovato Montoya al vostro indirizzo

Il cellulare di Steve visualizzava il messaggio non ancora inviato.

Le ricerche di quella mattina avevano portato non solo all'indirizzo, ma anche alla scoperta che aveva altre persone sull'isola oltre a quelle sbarcate con lui, dato che nessuno aveva mai parlato di una donna.

Alla prima occasione McGarrett si era rintanato nel suo ufficio, e mentre gli altri erano impegnati ad elaborare le nuove informazioni aveva scritto il breve testo per i suoi ricattatori. Era il resoconto minimo della giornata, ma, come quella mattina, convincersi a scegliere tra invio ed elimina era una lotta estenuante.

Gli tornarono alla mente le foto che aveva visto nell'edificio in cui aveva passato la notte e fu come se quelle immagini allungassero una mano invisibile intorno al suo stomaco, costringendolo a contrarsi. Le immagini si accavallarono con i ricordi di quando era stato prigioniero di Wo Fat in Corea. Girò la sedia e scaricò un pugno sul muro che era alle sue spalle, nel vano tentativo di scacciare tutte quelle immagini. Non poteva correre il rischio che accadesse.

In fin dei conti se gli avevano mandato l'indirizzo, non avrebbe dato loro nessuna informazione di cui non fossero già in possesso. Non stava compromettendo l'indagine più di quanto lo fosse già.

Premette quel maledetto pulsante di invio prima di pensare a tutte le ragioni per cui era sbagliato.

Non poteva continuare così. Aveva sempre odiato i poliziotti sporchi e in quel momento non si sentiva niente di più. Sporco fino al midollo. Poco contava se invece di agire per profitto, stava agendo sotto ricatto. Continuando così, avrebbe compromesso una delle indagini più importanti che gli fossero capitate. Se avesse smesso, tuttavia, e fossero state portate a compimento le minacce, non avrebbe potuto convivere con un peso simile.

Per quanto si sentisse un verme, l'unica cosa che potesse fare era stare al gioco, almeno fino a quando non avesse trovato una via di uscita. Quel momento doveva arrivare in frettta.

Aprì il computer e per prima cosa cercò nei registri catastali il proprietario dello stabile dove era stato tenuto prigioniero; non ci volle molto prima che apparissero i risultati. Il proprietario era un certo Glenn Frisk, morto pochi giorni prima per un attacco di cuore senza lasciare testamento; nessun parente prossimo e stavano ancora cercando eventuali eredi. Sbatté il palmo sul tavolo, tanto forte da far tremare molti degli oggetti che vi erano appoggiati, nello stesso istante entrò Danny.

Il biondo sobbalzò scosso quanto gli oggetti sul tavolo per l'improvviso scatto d'ira. Senza dire altro lo fissò perplesso dalla soglia della porta, attendendo il segnale di potersi avvicinare. Passava gli occhi dall'espressione accigliata di Steve, alla mano ancora appoggiata sul tavolo. Se l'episodio a cui aveva appena assistito non fosse bastato a metterlo in allarme, i lividi che si andavano scurendo sulle nocche completavano il quadro.

«Che c'è Danny?»

«Dimmi te cosa c'è!»

«Niente lascia stare, ci sono novità?»

«Niente? Allora cosa t'avrebbe fatto quel povero tavolo?»

«Ti ho detto lascia stare.» Sembrava più una minaccia che una richiesta.

«Kono e Chin stanno passando in rassegna le foto di oggi, mentre Shelley e Teagan le confrontano con il fascicolo dei federali per vedere se riescono a trovare qualche nuovo collegamento.»

«Ottimo!» disse con poco entusiasmo.

Poi vedendo che il Danny non accennava a togliersi dalla porta, inarcò un sopracciglio e allungò una mano pronto a chiudere il portatile.

«Stai bene? A cosa stavi lavorando? Qualche idea?» Chiese avvicinandosi ancora.

«No, niente di nuovo, stavo solo cercando di tenermi impegnato.»

Chiuse il computer, consapevole che non avrebbe fatto molto altro. La manica si sollevò appena nel movimento e si affrettò a tirarla di nuovo, prima che il collega potesse scorgere i lividi intorno al polso.

Danny sembrò non fare caso al movimento, raggiunse l'altro capo della scrivania e si sedette.

«Stavo pensando... Montoya non è ricercato da nessuna agenzia governativa per quanto ne sappiamo.»

Steve annuì aspettando che proseguisse.

«Tuttavia aveva tre guardie appostate fuori dal giardino di cui una nuova. Nel video si vede chiaramente che oltre a Montoya salgono altre 6 guardie sulla limousine, al ché ci lascia con probabilmente almeno 4 guardie all'interno.»

«D'accordo Montoya ha almeno 7 persone a guardia della sua villa, ma non ha fatto niente per nascondersi, dal suo arrivo sull'isola.»

«E non lo trovi un po' strano? O abbiamo a che fare con un super-paranoico, oppure ha dei nemici sull'isola.»

«Sei arrivato a questa conclusione da solo?» Gli chiese sarcastico

«Sai? Ero un bravo detective, prima di ritrovarmi con un animale che mi trasforma in un bersaglio mobile ogni operazione.» rispose Danny con altrettanto sarcasmo, sperava che se riusciva a farlo calmare sarebbe riuscito anche a farlo parlare.

«Questo dove ci porta esattamente? Qualsiasi criminale dell'isola a questo punto saprà che si trova qui. Per quanto ne sappiamo potrebbe anche essere qui per affari ed aver paura del suo socio.»

«Ma non risultano precedenti di Montoya alle Hawaii, quindi non può avere nemici sull'isola a meno che....il suo 'nemico' sia qui per lo stesso motivo: il suo socio è sull'isola o arriverà a breve.» Annunciò con un sorriso a trentadue denti, quello che sfoggiava ogni volta che era colto da un illuminazione su un caso.

«D'accordo, dì a Kono quando ha finito con le foto, di controllare i voli delle ultime sue settimane e quelli in programma per le prossime due e di confrontarli con tutti i registri che le vengono in mente: Polizia, FBI, CIA, Interpol, Polizia Militare.» Steve tagliò corto, sperando che questo bastasse a chiudere la questione, ma vide il collega continuare a fissarlo. Era ragionevolmente più calmo di pochi minuti prima, ma la sua pazienza era agli sgoccioli.

«Cos'altro c'è?»

«Dimmelo tu cos'altro c'è?»

Steve sbuffò, Danny non avrebbe lasciato andare tanto facilmente, ma non aveva nessuna intenzione di raccontargli del ricatto e di tutto il resto. Avevano già abbastanza problemi con Montoya, senza dover aggiungere una caccia alle streghe.

«Vedi? È esattamente a questo che mi stavo riferendo.»

Steve lo guardò con aria di sfida.

Danny lanciò le mani in aria, in segno di resa. Era sinceramente preoccupato, ma non voleva causare una scenata con il quartiere generale così affollato.

«D'accordo ho capito, signor Super-SEAL, mr io-non-ho-bisogno-di-nessuno, ma ricordati che se mai tu cambiassi idea sai dove trovarmi.»

«Ti ringrazio! Ma continuo a dirti: lascia stare» Rispose secco Steve.

* * *

A fine giornata Steve, inserì i tratti somatici dell'unico uomo che aveva visto la sera precedente,

Mentre attendeva gli esiti della ricerca aveva mandato un altro messaggio, dicendo che non avevano elementi nuovi. Inutile aggiungere ipotesi e congetture finché non avevano niente di concreto; inoltre temeva che se passava quelle informazioni a chissà chi, non sarebbero mai riusciti a trovare prove a sostegno delle loro ipotesi. Si rifiutava di andare avanti così e quello era solo il primo giorno.

Il computer aveva trovato 500 risultati che corrispondevano alla sua descrizione e iniziò a sfogliare le foto alla ricerca di una faccia familiare. Quando ebbe finito di sfogliarle tutte si ritrovò al punto di partenza, solo più stanco e più frustrato di prima. Gridò nell'ufficio deserto, dove nessuno avrebbe potuto sentirlo e ancora una volta si ritrovò a prendere a pugni il muro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il cadavere ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products 101st Street Television poi. Questa storia è scirtta senza scopo di lucro e per tanto non è intesa alcuna violazione di copyright.
Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.

 

A.N: Intanto vorrei ringraziare Celtics, Babyve e Mihaela Jacobs per le recensioni che hanno lasciato.

Mi dispiace aver mandato Danny fuori personaggio nell'ultimo capitolo, in questo lo vedremo poco, ma spero che nel prossimo si farà perdonare.

Detto questo... a presto!

E buona lettura ;)


 

 

Danny era appeso per i polsi, i suoi piedi sfioravano appena il terreno. La gravità faceva tendere tutti i suoi muscoli. Intorno era tutto nero. Alla sua destra c'era Topolino, mentre a sinistra c'era Paperino. I due personaggi così innocui dovevano rendere la scena grottesca, ridicola, ma Steve era tutt'altro che divertito.

Era in piedi, davanti a Danny, lo fissava negli occhi, ma il suo sguardo era vuoto, privo di ogni speranza. Il suo corpo cambiò, il fisico massiccio ridotto alle ossa.

«Scusa, Grace. Scusami tanto scimmietta» piagnucolò.

Non era vero, non poteva essere vero.

Steve smise di controllare il suo corpo.

Piantò le proprie unghie nel palmo destro stringendo il pugno e sferrò un colpo al petto di Danny.

Sentì le ossa cedere sotto le sue nocche e il rumore secco di qualcosa che si spezzava, tanto forte da essere assordante.

«Noooo!» voleva gridare, ma non aveva più fiato.

Danny non emise un suono, si limitò a fissarlo con i soliti occhi vuoti, di chi ormai agogna la morte come liberazione.

«Muchas gracias!» Montoya era apparso alle sue spalle.

La stanza vorticò e Steve si ritrovò su una sedia, le mani legate dietro la schiena. Sentiva Grace piangere per il suo Danno.

«Grace dove sei?»

Un urlo di dolore da parte di Danny lo interruppe. Riconobbe il ronzio e l'odore di carne bruciata dell'elettro shock, ma nessuno ad infliggerlo. Topolino e Paperino erano spariti. Accanto a Danny apparve un'altra versione di se stesso, accanto a lui Wo Fat e il ricordo della sua ultima visita in Corea che tornava più vivido che mai. Ma quello era solo un ricordo, invece Danny era lì ora, doveva fare qualcosa.

«No, lasciatelo stare.»

Danny ricevette un'altra scossa. E Wo Fat che di fianco faceva la stessa cosa a lui.

«è me che volete»

Ancora un'altra scossa. Non sentiva il dolore di se stesso che veniva torturato da Wo Fat, non sentiva niente, solo le urla di Danny.

Fu allora che capì, ogni sua parola lo stava ferendo.

Topolino e Paperino riapparvero accanto alla versione di Steve seduta.

«Pensi di essere più furbo di noi?»

Accanto a Danny apparvero, Chin e Kono nelle stesse condizioni.

«Lasciateli andare»

Un'altra scossa, un altro grido di dolore. 'No, basta' pensò, non avrebbe più detto una parola.

«Zio Steve, sei tu? Aiuto, ho paura!» Dov'era Grace? Perché Danny non le diceva niente?

«Aiuto, c'è nessuno?»

«Grace!» La chiamò cercando di essere rassicurante, ma ancora una volta condannò Danny, quell'ultima era sicuro che l'amico gliela avrebbe perdonata.

Un telefono squillò da qualche parte nel buio. Sapeva che doveva rispondere, ma non poteva parlare. Dov'era il telefono? Non c'era alcun telefono nella stanza. Non poteva parlare, no, non poteva.

Eppure il telefono stava squillando ancora.

Il suo cervello impiegò un po' prima di collegare i pezzi ed accorgersi che stava sognando.

Si alzò a sedere di scatto, con il fiato corto per il terrore dell'incubo appena terminato. Il telefono continuò a squillare ricordando la propria presenza.

Si riscosse dal sonno per ritrovarsi alla sua scrivania, il cellulare squillava ancora lo prese reprimendo un lamento per il braccio intorpidito. Erano le 6,30 di mattina e la chiamata arrivava dalla polizia di Honolulo.

Un terrore innaturale lo avvolse, Danny.

Temeva che fosse stato ben più di un sogno.

Iniziò a tremare, il cellulare si era interrotto per pochi secondi e poi aveva ricominciato a squillare.

Non era possibile. Aveva fatto tutto quello che avevano chiesto. Non potevano aver fatto qualcosa. Non erano quelli i patti.

Si forzò a prendere la chiamata:

«McGarrett» disse titubante, se era quella la notizia che l'aspettava non voleva sentirla.

Il suo cuore ricominciò a battere quando gli spiegarono che avevano un cadavere anonimo a pochi passi dal quartier generale.

Staccò il cellulare. L'incubo e poi la telefonata, aveva avuto paura, paura che il suo incubo si fosse in qualche modo avverato. Quella storia doveva finire al più presto.

Cercò di togliersi dalla testa quelle immagini, Danny aveva già capito che c'era qualcosa e se gli altri non se ne erano accorti era solo questione di tempo.

Nessuno sapeva la storia del ricatto ed era meglio se avessero continuato a restarne tutti all'oscuro, era come se raccontarlo peggiorasse la situazione.

Era una sua responsabilità, lui era il capo.

 

Per quanto riguardava la telefonata si sarebbe presentato sulla scena del crimine, sarebbe stato a sentire i resoconti e poi avrebbe delegato l'indagine alla polizia. Non aveva nessuna intenzione di caricare la sua squadra con un'indagine per omicidio quando dovevano già confrontarsi con un trafficante d'armi.

Ne era così sicuro che per un istante si domandò cosa ci andasse a fare.

Era abituato a rinchiudere i suoi pensieri in un angolo remoto, quando doveva entrare in azione, così

fece.

Chiuse il computer che rimandava ancora i volti che aveva cercato la sera prima.

Si preparò con calma, da casa sua avrebbe impiegato almeno venti minuti ad arrivare, nessuno doveva sapere che non ci era tornato.

 

 

«Hey boss!- lo salutò scherzosamente Kono – Hanno buttato giù dal letto anche te?»

Steve le rispose con un sorriso timido.

La scena era affollata. Un capannello di tecnici della scientifica e agenti circondavano il cadavere, in mezzo a loro brillavano i lampi frequenti dei flash.

Cercò di avvicinarsi. Il giallo dei cartellini colorati metteva in risalto le poche macchie scure di sangue isolate dalla pozza centrale in cui doveva essere immerso il cadavere, il liquido cremisi ormai assorbito dall'asfalto era intriso nei vestiti dell'uomo. Da quello che Steve poteva vedere la vittima sembrava un uomo d'affari, una giacca ed un pantalone dal taglio raffinato accompagnati da un paio di mocassini grigi

«Ciao Steve!» Lo salutò Duke appena arrivato, facendogli dare le spalle al cadavere.

«Ciao Duke, cosa abbiamo?»

«Maschio bianco sulla quarantina, gola tagliata da orecchio a orecchio ed un coltello che ha tutta l'aria di essere l'arma del delitto e che è coperto di impronte.»

«Sembra fin tutto facile. Sarà il solito litigio finito in tragedia.» Ipotizzò Steve, ma l'agente anziano scosse la testa seria. Steve intuì cosa volesse dire.

«Non siamo qui solo perché l'hanno lasciato davanti casa nostra. C'è dell'altro non è così?»

Un debole segno d'assenso da parte del suo interlocutore glielo confermò.

«Dai un occhiata al cadavere» Il comandante si fece strada in mezzo al capannello di persone che circondavano la vittima e trovò Danny in piedi vicino a Max che stava esaminando il corpo.

«'Giorno Danny» lo salutò evitando accuratamente di guardarlo negli occhi, per lo meno ora aveva la certezza che stesse bene.

«Buongiorno Max. Allora cosa abbiamo ?»

«Lei cosa ne pensa comandante?» lo provocò il giovane medico, spostandosi leggermente per lasciargli vedere il profondo taglio alla gola.

Quando vide il volto dell'uomo fu certo che ci fosse qualcos'altro, era la faccia che aveva cercato fino a notte tarda la sera prima. Si passò una mano sul viso, cercando di allontanare l'ondata di disperazione che minacciava di annegarlo. Potevano sapere che aveva fatto ricerche su di lui? Sarebbe successo ugualmente se non lo avesse fatto?

Mosse di lato la mandibola fino a farla schioccare e poi la riporto alla sua posizione naturale, cercando di concentrarsi.

Danny lo guardò preoccupato eseguire quei gesti.

«Lo conoscevi?»

Steve sobbalzò al suono della voce dell'amico, come se si fosse dimenticato che era lì.

«Eh? No, non lo conoscevo» mentì quella menzogna fu credibile per tutti i presenti, tutti tranne uno. Evitò ancora di incrociare i suoi occhi e si chinò ad osservare più da vicino la ferita, che con tutta probabilità era la causa della morte, sperando di nascondere a sufficienza il viso. Ma sentì lo sguardo del collega fisso sulla sua schiena.

«Da orecchio a orecchio, un unico taglio. L'assassino doveva avere una mano ferma, il taglio è perfettamente dritto. Questo non è un principiante.» Disse in tono professionale guardando alterantivamente Duke e Max e continuando a ignorare Danny.

Il giovane patologo approvò in pieno la sua analisi e gli fece i complimenti.

Steve abbassò di nuovo gli occhi sul cadavere che giaceva ai suoi piedi, ricordò come solo due giorni prima lo avesse visto tremare sotto il tiro della sua pistola.

Era l'unico a faccia scoperta che aveva visto.

L'unico che ne avesse veramente bisogno per stare allo scoperto ed attirare la sua attenzione.

La sua unica traccia sulle persone che lo avevano rapito.

Ora era morto.

Chi era quell'uomo? Cosa aveva fatto per meritarsi un'esecuzione?

«Avete già identificato la vittima?» chiese e nessuno sembrò accorgersi di quanto la sua voce suonasse atona.

«No, nessun documento dobbiamo aspettare l'esito delle impronte o del DNA.» Se il cadavere era stato lasciato così in bella vista, sicuramente non avrebbe permesso nessun collegamento con le persone che lo stavano ricattando.

«D'accordo, fatemi sapere appena scoprite qualcosa.»

Steve si allontanò verso l'auto parcheggiata sulla scena del delitto, come se fosse arrivato lì da casa invece che dal quartier generale a pochi passi.

«Steve! Steve fermati!» lo chiamò Danny, ma lui lo ignorò allungando il passo.

Danny era partito al trotto per raggiungerlo e fermarlo, ma quando lo raggiunse Steve si stava rinchiudendo dentro la macchina.

«Dobbiamo parlare Steven» urlò bussando con vigore al finestrino chiuso.

L'auto si mise in moto e lo lasciò sul posto.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ha idea? ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e  K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro e non è inteso nessun violamento di copyright.
Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.
 
A.N.: Grazie a tutti quelli che stanno seguendo questa storia.
Questo capitolo riprende in gran parte, gli eventi del precedente cambiando il punto di vista.
Spero che non vi annoierete.
 
 
Danny stava tornando a casa, ma non poteva fare a meno del comportamento irrequieto del partner di quel giorno. Erano successe talmente tante cose durante la giornata, da quando quella mattina presto Rachel lo aveva chiamato per chiedergli se poteva tenere Grace per il weekend, l'arrivo dei federali, gli sviluppi del caso Montoya... 
Da quando era salito in macchina aveva dimenticato tutto quello che era successo e il suo cervello si era concentrato su Steve, sull'atteggiamento irrequieto, su come lo aveva chiuso fuori dal suo mondo, sentiva che avrebbe dovuto parlargli e si promise che lo avrebbe confrontato il giorno dopo. Finito di cenare non si era ancora tolto dalla testa quel pensiero. Salì in macchina, passò un negozio aperto 24 ore su 24, prese una confezione di birra e si diresse verso casa di Steve per cercare di rimediare. Era tardi, ma era sicuro di trovarlo sveglio, sapeva che il collega in genere non dormiva molto e quando c'erano dei casi importanti tendeva a farlo ancora di meno.
Notò subito che dalle finestre dell'abitazione non arrivava luce, ma pensò che potesse essere in una delle stanze che davano sul retro. Andò dritto verso il pomello ignorando il campanello, ma trovò la porta chiusa a chiave. Provò a bussare, poi provò a suonare il campanello ancora niente. 
Non sapeva che avesse in programma di uscire, una cosa in più da chiedergli quando si sarebbero visti, tornò in macchina e si aprì una di quelle bottiglie, prima o poi sarebbe dovuto arrivare.
 
* * *
 
Il telefono squillò e si accorse di essersi assopito, l'ultima cosa che ricordava era il cielo che iniziava a schiarire poco prima dell'alba, mentre in quel momento il sole si era già staccato dall'orizzonte. Di Steve nessuna traccia.
La polizia di Honolulo richiedeva la loro presenza su una scena del crimine nei pressi del quartier generale.
Agenti della polizia e della scientifica affollavano già la scena, Danny si fece strada fino alla vittima, Steve arrivò poco dopo. Il collega indossava ancora la camicia con le maniche lunghe del giorno prima e non lo degnò nemmeno di uno sguardo, quell'atteggiamento era veramente inusuale e incredibilimente irritante.
Quando lo vide allontanarsi lo seguì fino alla macchina, ma invece di riuscire a fermarlo per parlagli si ritrovò coperto di polvere quando il fuori strada si allontanò senza esitazione.
Ormai non aveva più dubbi: Steve lo stava evitando. 
Voleva dire che qualsiasi cosa stesse nascondendo lo stava turbando più che mai e in quel momento Danny era più motivato che mai a scoprire cosa. 
Corse alla sua auto e si lanciò all'inseguimento, deciso più che mai a raggiungerlo nel breve tratto che li separava dall'ufficio.
Trovò la Silverado ferma sul ciglio della strada, non riusciva a vedere il collega all'interno dell'abitacolo, ma doveva trovarsi alla guida perché il veicolo ripartì quasi subito.
Qualsiasi cosa avesse Steve, si pentì ancora una volta di non aver insistito la sera prima, per scoprirlo, ma non aveva alcuna intenzione di ripetere l'errore.
Steve non sarebbe riuscito a scappare per sempre.
 
* * *
 
«Steve! Steven fermati!» gridò Danny quando finalmente lo raggiunse fuori dal quartier generale aveva parcheggiato spaventosamente vicino al Silverado del collega, tanto vicino da impedirgli efficacemente di aprire lo sportello dell'auto.
«Come diavolo parcheggi? Sposta un po' l'auto e fammi scendere!» ordinò Steve attraverso i finestrini abbassati.
«Sposterò l'auto quando mi avrai detto cosa ti sta succedendo. Cosa c'è che non va babe? Chi era il cadavere che abbiamo trovato stamattina?  Dove hai passato la notte?»
Due occhi grigi si fissarono nei suoi gelidi e letali come il ghiaccio.
«Niente, non ne ho idea, a casa. Ora mi fai scendere per cortesia?» rispose secco.
«Mi stai raccontando delle balle e lo sappiamo tutti e due.» Danny non sapeva se essere offeso o preoccupato. Steve aveva fatto diverse cose riprovevoli, ma non gli aveva mai mentito.
«Hai qualche prova?» continuava a fissarlo, con la stessa ferocia di un animale.
«Ero a casa tua ad aspettarti ieri sera, non sei mai tornato.»
«Bene mi pedini anche? D'accordo mi hai scoperto, non sono tornato a casa ieri sera, contento adesso? Danny sposta quella macchina.»
«Non mi hai ancora detto cosa sta succedendo.» Ribadì risoluto Danny. Con sua grande sorpresa, Steve sganciò la cintura ed uscì dal lato opposto della macchina.
«Eh no, non pensare di potertela cavare così.» mormorò a se stesso puntando la figura nello specchietto. 
Quando entrò si rese conto che non era l'unico all'inseguimento del comandante, Janet gli stava trotterellando di fianco riempiendolo di domande che venivano puntualmente ignorate, mentre Steve si dirigeva a passo marziale verso il suo ufficio.
«Ora non ho tempo, ma il detective William sarò felicissimo di spiegarle tutto.» Rispose alla fine Steve mentre scivolava nel suo ufficio.
«No, il detective William non è felice di spiegare alcunché, Steven. Steve! Steve!» Gli urlò dietro il biondo, affrettando il passo verso di lui, ma il comandante si stava già chiudendo la porta alle spalle.
Janet si intromise tra Danny e la porta dell'ufficio di Steve.
«Detective Williams, ora mi risponderà ad alcune domande.» Disse la ragazza in tono perentorio.
«Ora non ho tempo. Mi lasci passare.»
«Ora non ha tempo?! Non ha tempo?!-inveì Janet spintonandolo leggermente-Se vi degnaste di venire al lavoro ad un ora decente forse avrebbe più tempo. Ha idea di che ore siano? Ve la prendete un po' troppo comoda da queste parti. Ha idea di quanto sia importante questo caso?» 
«Non ora!» La interruppe brusco Danny mentre si accingeva ad aprire la porta dell'ufficio di Steve.
«E invece ora mi risponderà! Perché inizio a pensare che prendere Montoya sia solo uno scherzo per la grande squadra dei Five-0.» ribadì la ragazza, con il cipiglio di un'adolescente che chiede ai genitori perché non può uscire.
Brandon le rimase accanto senza dire una parola.
Danny lanciò un'occhiata disperata all'interno dell'ufficio, ma il suo capo finse di non vederlo. 
«Il governatore ci ha assicurato la vostra piena collaborazione» Insistette Janet 
«Bene e allora faccia in fretta, cosa vuole sapere?» si arrese alla fine Danny continuando a lanciare occhiate nervose alla porta.
«Arrivate sempre a lavoro a quest'ora?»
«Se con quest'ora intende le sette di mattina quando ho raggiunto la scena del crimine che è praticamente dietro l'angolo, sì, spesso è così.»
«Quale scena del crimine perché non ne siamo a conoscenza?» Chiese ancora la ragazza.
«Non ne siete a conoscenza perché per quanto ne sappiamo l'omicidio non è collegato a Montoya»
«Vuol dire che state perdendo tempo su un caso minore?» Si inserì rapidamente Brandon.
«Per vostra informazione, il caso è stato delegato alla polizia di Honolulu, proprio per avere più energie da dedicare a Montoya. Ora per cortesia si tolga dai piedi e mi lasci parlare con il mio collega.»
«Non così in fretta, tanto a quanto pare avete tutto il tempo di parlare mentre non indagate altri casi.» Lo fermò ancora Brandon.
«Il governatore ci aveva assicurato che il caso avrebbe avuto priorità assoluta. Si rende conto di quanto sia importante questo caso?» Chiese ancora Janet.
Per un attimo Danny ebbe l'impressione di star parlando con una coppia di sordi.
«Carlos Montoya è sbarcato due giorni fa su quest'isola e pertanto si considera prossimo a stabilire qualche grosso accordo per il traffico di armi alle Hawaii o in qualche altra parte degli Stati Uniti. Si attribuisce al giro di affari di Montoya un aumento del 10% del numero delle armi illegali in California e 5% in Nevada e 8% in Texas. Si stima che oltre 500 persone siano morte per gli affari di Montoya, senza contare i testimoni e i collaboratori uccisi, 300 dei quali erano minorenni; ragazzini e bambini che per nessuna ragione si sarebbero dovuti trovare nei pressi di un'arma e tanto meno con un arma in mano. – Danny enunciò i dati tradendo un minimo di emozione –So quanto è importante questo caso.»
 
A.N.: So che qualcuno aspettava il confronto/scontro tra Danny e Steve, vi assicuro che arriverà, ma temo che abuserò della vostra pazienza ancora per un po'.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Peperoncino, maionese e ananas ***


Disclaimer: Per prima cosa vorrei precisare che in questa storia ci sono personaggi e contesti che non mi appartengono, ma che sono di diritto di Leonard Freeman e CBS production prima e di Peter M. Lenkov, Alex Kurtzman, Roberto Orci e K/O Paper Products and 101st Street Television poi. Questa storia è scritta senza scopo di lucro è non è intesa nessuna violazione di copyright.
Sono invece di mia proprietà la trama e i personaggi che non compaiono nello show.

 

A.N.: Bentornati su questa storia, mi fa davvero piacere leggere le vostre recensioni e spero di riuscire a mantenere alto il livello.
Ricordate la scena dell'inseguimento con Chin e Brandon al cantiere edile, qualche capitolo fa? E quando Brandon parla con Chin? No? Allora è il caso che torniate a dare una sbirciatina, perché in questo capitolo e nel prossimo, la trama si infittisce proprio a partire da lì.
In questo capitolo ritroviamo anche un altro dei personaggi ricorrenti dello show, che è stato abbastanza difficile da rendere.
Buona lettura e se quando arrivate alla fine avete ancora un paio di minuti, dite che cosa ne pensate.
A presto!



Chin e Kono raggiunsero il quartier generale e pochi istanti dopo Steve uscì dal suo ufficio chiamando tutti a raccolta attorno allo smart-table.

Steve cominciò a parlare con tanta autorità nel tono da scoraggiare ogni interruzione. Fece il punto della situazione e senza indugiare proseguì a dare gli ordini per la giornata.

«Facciamo il punto della situazione: abbiamo trovato una villa su Waolani Avenue che molto probabilmente ospita Carlos Montoya, ancora nessuna traccia sul figlio Esteban che pensiamo nascondersi nel quartiere universitario. L'edificio in cui presumiamo risieda Montoya è sorvegliato all'interno e all'esterno, ne segue che non è possibile effettuare una nostra sorveglianza senza che sia scoperta. Quindi dobbiamo trovare un altro modo di ottenere informazioni. La ricognizione di ieri ha mostrato che Montoya ha nella sorveglianza anche persone che non erano con lui sulla barca, Kono devi continuare a setacciare tutti i filmati di aeroporti e porti per capire se qualcuno dei noti affiliati di Montoya è arrivato nelle ultime due settimane sull'isola. Tieni anche gli occhi aperti per possibili soci in affari. Agente Teagan, agente Shelley, ho bisogno che rimaniate in ufficio e aiutiate Kono, siete maggiormente informati sul caso e potreste vedere qualche collegamento che a noi sfugge. Chin e Danny andate a parlare con Kamekona, sentite se sa niente di gente che assume sull'isola. Chiunque abbia novità aggiorna gli altri.» Chin e Danny si scambiarono uno sguardo sorpreso.

«Hei! Aspetta un attimo! Tu cosa farai?» Chiese il detective mostrando il palmo in direzione di Steve in segno di alt. Tutti si erano voltati verso il comandante, come se si stessero facendo la stessa domanda, ma lo sguardo tagliente che arrivò come risposta fece arretrare Janet di un passo e abbassare leggermente la testa a Chin e Kono. La tensione che era calata era palpabile nell'aria, ma Danny non si lasciò intimorire e resse il confronto.

«Provo a seguire un'altra pista.» rispose Steve sforzandosi di scandire le parole con la stessa sicurezza che aveva usato in precedenza, ma questo non bastò ad alleggerire l'atmosfera nella stanza.

«Che genere di pista?» provò di nuovo a chiedere il biondo, ma il comandante considerava chiusa la questione e gli stava già parlando sopra.

«Forza al lavoro!» esortò il gruppo e senza aspettare una risposta o una reazione raggiunse per primo l'ascensore e guardò soddisfatto mentre le porte di metallo si chiudevano nascondendo l'espressione furiosa di Danny che era appena arrivato alla doppia porta a vetri.

Chin raggiunse Danny e gli appoggiò una mano sulla spalla

«Vedrai che quando arriverà il momento ci spiegherà tutto – disse in tono rassicurante. – È Steve, lo sai, a volte ha bisogno dei suoi tempi.»

«No, quell'idiota di animale neandertaliano avrebbe bisogno di parlarne, se solo la sua specie conoscesse il dono della parola, prima che faccia qualcuna delle sue sciocchezze in Super-SEAL Rambo-mode credendosi invicibile.» ribadì Danny sfogando la sua frustrazione su Chin.

Kono li osservò da lontano, desiderando di poter essere a parlare con loro di quello che era appena successo, ma i due federali stavano già perdendo la pazienza e qualcuno doveva restare con loro e far capire che stavano dando il massimo per quel caso. In un giorno era nata già abbastanza tensione e con Steve così distante la collaborazione minacciava di trasformarsi in disastro da un momento all'altro. Rimase a guardarli fino a che Brandon quasi leggendola nel pensiero le chiese:

«Il vostro capo, scompare sempre per seguire piste segrete per conto proprio? O sta facendo altro e non ce lo volete dire?»

 

* * *

 

«Hei gigante!» Salutò Chin appena furono davanti al furgoncino dei gamberi.

«Guarda chi è arrivato! Cos'è successo è il giorno dello scambio di coppie al lavoro?» scherzò Kamekona da dietro il banco del furgoncino.

«Perché dici questo? Siamo una squadra, un giorno posso lavorare con Steve, un giorno con Chin...è esattamente questo il punto di essere una squadra...» iniziò a difendersi Danny, o meglio a difendere Steve. Quando realizzò questa cosa si domandò per quale ragione stesse difendendo quell'idiota.

«Nah!» esclamò Kamekona abbassando di scatto una mano come a scacciare quel discorso. «Ho capito, ho capito, voi Hauli vi piace avere segreti.»

Danny roteò gli occhi.

«Ci stavamo chiedendo cosa sai su un gruppo di forestieri arrivato da un paio di giorni sull'isola.» disse Chin.

«Oggi c'è un nuovo piatto del giorno: gamberi in salsa speciale: peperoncino, maionese e ananas. Il nativo proprietario del chiosco di gamberetti sembrava non aver sentito la domanda, ma in realtà sapeva alla perfezione di cosa stessero parlando e cercava di farsi pagare per l'informazione e i due poliziotti lo sapevano bene.

«Ma sono le 9 del mattino.» protestò Danny

«Appunto voi sarete i primi a provare il mio nuovo piatto, dovrei farvi pagare un extra per questo, ma voi siete amici.» Kamekona li fissò con aspettativa crescente, mentre i due Five-0 si scambiavano uno sguardo nauseato.

Alla fine Chin acconsentì:

«D'accordo, ma tu ci dici tutto quello che sai.»

Pochi minuti dopo Kamekona era seduto al tavolo con loro.

«Non so molto, ci sono tante voci in giro, chi parla di navi, chi di aerei, ma tutti sono d'accordo su una cosa: ci sono stranieri sull'isola e sono poco di buono.»

«Andiamo, tutto qui?» Chiese Danny, evidentemente frustrato. «Noi abbiamo mangiato questa orribile cosa che mi farà avere il voltastomaco per tutto il giorno e questo è tutto quello che sai dirci?

«Non offendere la mia ricetta, la salsa è buona, ma è solo per chi se ne intende.» si indignò Kamekona.

«Beh si vede che io non ho il palato raffinato come la gente che vive su questo scoglio infestato di ananas. Dove sono adesso tutti questi stranieri? Chi sono? Stanno prendendo qualcuno sull'isola?» Chiese Danny, tagliando corto sulla salsa.

«Nessuno dice chi sono, c'è solo un posto, ma in questi giorni la strada dice talmente tante cose diverse che non so se sia vero o meno.»

«Tu dicci il posto, lascia a noi il compito di controllare.» disse Chin incoraggiante.

Kamekona si guardò intorno a controllare che non ci fossero orecchi indiscreti.

«Bar Kahakai, sembra che qualcuno stia combinando qualcosa da quelle parti, ci sono tanti in cerca di soldi facili che vanno la.»

 

I due agenti ringraziarono prima di allontanarsi.

«Credi che il capo questa volta voglia andare di persona?» domandò Chin.

«Proviamo a chiederglielo, ammesso che il mio stomaco non si ribelli prima, quel piatto era veramente disgustoso.» rispose Danny.

«Non era così male, ho assaggiato di peggio.»

«Hai assaggiato di peggio?! Hai tutto il mio rispetto se hai trovato di peggio e sei qui a raccontarlo.»

Danny estrasse il cellulare e trovò il numero sulle chiamate rapide.

Chin sentì un solo estremo della conversazione.

«Ciao, Steve. Abbiamo novità!»

«Qualcuno sta reclutando al bar Kahakai, i miei soldi che si tratta di Montoya o del suo socio.»

«Ah capisco.» Disse rabbuiandosi.

«E ti senti in vena di condividerla con noi?» Domandò innervosito.

«Stammi bene a sentire! Qualsiasi cosa tu stia facendo ora ti degni di venire a fare il tuo lavoro e ci raggiungi a quel bar.»

«Perché? Perché?! Perché non voglio ritrovarmi a dare spiegazioni che non ho a i nostri cari amici dell'FBI. Anzi ti ringrazio per la sorpresa di questa mattina.»

«Steve, cosa c'è che non va?» Chiese di colpo serio e preoccupato.

«Non rispondere niente per favore, non sono idiota.»

Danny si voltò verso Chin con aria smarrita.

«Ha riattaccato, comunque Kono ci raggiungerà al Bar con Janet e Brandon.»

«Ha spiegato come mai?»

«Deve fare una cosa.» spiegò sarcastico gettando in aria le mani.

 

* * *

 

Danny approfittò di una delle rare volte in cui aveva la possibilità di guidare la sua auto e in breve sembrava già più rilassato.

«Ti sei già fatto un'opinione di Brandon?» Chiese all'improvviso Chin casualmente.

«Non molto, non ho avuto molte occasioni di parlarci, ma a giudicare da come sta composto direi che passa veramente poco tempo dietro a una scrivania.» ironizzò Danny.

«Non solo quello, ha un allenamento pazzesco. Ieri ha seguito un sospettato attraverso cinque giardini saltando reti e staccionate senza problemi e concludendo l'arresto con un'azione al limite del regolamento; il tutto senza dare il minimo segno di fatica.» Osservò in aggiunta Chin.

«E con questo? Se lavora molto sul campo non mi sembra così strano.»

«Lo avevo pensato anch'io, finché non gliene ho parlato e mi ha detto che fa soprattutto lavoro d'ufficio.»

Danny si voltò a guardarlo pensando che fosse uno scherzo, se non fossero stati fermi ad un semaforo avrebbe fatto sbandare l'auto per la sorpresa all'espressione seria del collega. I loro sguardi dicevano tutto, Brandon stava mentendo.

«L'hai già detto a Steve?» Chiese Danny uscendosene con la soluzione più banale.

«Non ho avuto occasione di parlare in privato con Steve da quando è successo, però ne abbiamo discusso con Kono e anche lei pensa che sia sospetto.»

«Sospetto mi sembra poco, cercherò di parlare io con Steve, è l'ora che ci dia una spiegazione. Tu e Kono intanto cercate di scoprire chi è o cosa cerca di nasconderci.» Danny considerò la questione chiusa per il momento e Chin non aggiunse altro.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Bar Kahakai ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.

Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.:Straritardo lo so, ma sono sottoesame.

Per fortuna avevo il capitolo già pronto, ho approfittato di una pausa nello studio per aggiornare.

Non ho il tempo di ricontrollare approfonditamente, spero non ci siano troppi errori.

Ancora un altro capitolo dopo questo e poi il confronto/scontro tra Danny e Steve

 

Steve gettò furiosamente il telefono sul sedile del passeggero, ormai quello che era fatto era fatto.

La pista che gli aveva fornito Kamekona poteva essere buona e aveva piena fiducia che Danny e Chin sarebbero riusciti a ricavarne il massimo. In quel momento non gli importava molto dell'indagine, quello che contava era tenere al sicuro la squadra anche se significava farli infuriare tutti comportandosi in modo infantile. Quando aveva ricevuto la telefonata era già diretto verso il complesso dove era stato abbandonato, voleva vedere se c'era qualche traccia che si era perso. Doveva esserci qualche traccia.

Era quasi arrivato.

Entro sera Max avrebbe dovuto mandargli i risultati delle impronte, che aveva raccolto dai suoi oggetti la sera che lo avevano catturato, non era esattamente il suo campo, ma aveva pieno accesso al database delle impronte. Il medico legale era eccitato all'idea di avere una missione segreta da compiere e aveva fatto riferimento a ad almeno una decina di personaggi di fantascienza che Steve non aveva mai sentito nominare.

Quando raggiunse l'edificio, si sforzò di comporre il messaggio: cosa avrebbe dovuto dire? Che avevano una pista che non avevano idea di dove portasse? Che avevano parlato con un informatore? Temeva che se avesse fatto riferimento all'informatore avrebbe messo un bersaglio su Kamekona. Se raccontava del bar invece, rischiava davvero di compromettere il caso... il suo dilemma fu risolto quando si accorse che non c'era rete.

Avrebbe scritto al suo ritorno.

Non voleva allontanarsi dall'edificio, non voleva sprecare altro tempo prezioso, si disse che non avrebbe fatto differenza un'ora in più e intanto avrebbe avuto un'altra ora per pensare a cosa dire. Magari il bar si sarebbe rivelato un altro buco nell'acqua e lo avrebbe potuto citare tranquillamente nei suoi messaggi.

Steve aveva frugato ogni stanza, ogni oggetto, aveva confrontato tutto con le foto che aveva scattato quella sera, ma non aveva trovato niente di nuovo.

Quando tornò alla macchina si accorse che erano passate più di due ore dal suo arrivo, si affrettò a scendere il pendio in cerca di un po' di segnale per il cellulare.

Appena le tacchette si riempirono il telefono squillò: Kono.

«Ciao, Kono! Novità dal bar?» salutò senza troppo entusiasmo.

«Steve dove sei? Devi venire subito.» Sembrava che avesse appena smesso di piangere e non erano molte le cose in grado di ridurre in lacrime Kono.

 

* * *

 

Quando Danny e Chin raggiunsero il bar indicato trovarono gli altri ad aspettarli e videro finire in frantumi ogni speranza di trovare un McGarrett rinsavito. Brandon appoggiato al cofano della Cruze rossa di Kono guardava torvo nella loro direzione, ma il suo volto mutò in un espressione più neutra quando li riconobbe.

«Le signore sono già dentro.» disse brevemente facendo segno verso l'ingresso del locale.

Vedendo da fuori il locale non sembrava esserci molta vita e anche all'interno la cosa non migliorò, non c'erano elementi fuori posto, non c'era niente all'interno del locale che potesse indicare entrate extra. Le lampade gialle si aggiungevano alla luce che filtrava dalle finestre illuminando praticamente tutta la stanza, un leggera brezza fresca girava grazie all'ausilio del condizionatore, il barista scherzava con quelli che dovevano essere clienti abituali, contribuendo ad alleggerire l'atmosfera.

Per quello che vedeva Danny pensò che in quel locale avrebbe potuto portarci Grace e sentirsi tranquillo, ma le informazioni che passava Kamekona non erano mai sbagliate.

Janet e Kono erano al bancone e stavano ridendo con in mano due drink, per un attimo sembravano aver dimenticato il lavoro, sembravano due liceali. Chin non poté non sentirsi contento per la cugina, che riusciva ancora a ridere e a scherzare in quella maniera dopo tutte quello che aveva passato da quando l'aveva fatta entrare nei Five-0, l'idea che potesse essere soltanto una copertura rovinò la sua contentezza.

I ragazzi si sistemarono ad uno dei pochi tavoli liberi. Era vicino alla porta e si erano distribuiti in modo da poter tenere d'occhio tutto il locale senza attirare troppo l'attenzione.

Il posto non era così idilliaco come sembrava, ma neanche malfamato o pericoloso come si aspettavano.

Da quando erano entrati avevano visto solo un ragazzo che sfilava 50 dollari da un portafoglio strapieno utilizzando qualche trucchetto di basso livello, appena fatto con non chalance aveva continuato fino ad un tavolo occupato dove mostrò con soddisfazione la banconota e offrì da bere all'altro uomo.

Una coppia che aveva iniziato a litigare e se ne era andata senza pagare.

L'uomo seduto al tavolo con il ladro se ne andò e nel frattempo un ragazzino nervoso e apparentemente fatto calpestava nervosamente davanti al locale rigirando qualcosa nella tasca. Nulla di tutto ciò sembrava avere a che vedere con le guardie del corpo addestrate di Montoya. Passarono un'ora parlando di tutto e di niente, football, surf, pizza. Danny di tanto in tanto si ritrovava a rimuginare sulle ultime conversazioni con Steve, aveva l'impressione che si stesse perdendo qualcosa di importante sul suo collega perché era troppo distratto. Alla fine si decise a fare quello che sapeva fare meglio per cercare di riportare i suoi pensieri e prendendo spunto da quello che gli aveva detto Chin in macchina decise di scoprire di più sul loro nuovo collaboratore. La conversazione era finita sul parkour:

«Chin mi ha raccontato che non te la cavi male con i salti.» Insinuò Danny

«Come ho già detto a Chin, mi piace tenermi allenato, ma per il resto è solo fortuna.» rispose il federale con noncuranza.

«Non ti lasciare ingannare è stato incredibile, una cosa del genere l'ho vista fare solo a McGarrett prima d'ora.» Commentò Chin, intuendo senza problemi quale direzione volesse prendere quella conversazione.

Brandon sembrò lievemente a disagio per quel complimento.

«Sai che ti dico? Dovremmo organizzare una gara quando tutto questo sarà finito.» propose Danny

«Una gara?» Ripeté Brandon scettico.

«Sì, una gara di parkour tra te e McGarrett. Cosa ne pensi Chin?» Spiegò il detective.

«Mi sembra una buona idea, ma pensi che sia leale? Voglio dire non puoi metterlo a gareggiare contro l'addestramento di Steve.» Obiettò Chin cercando di osservare la reazione di Brandon. Il federale non sembrò affatto disorientato da quell'informazione e anche quando Danny precisò che il loro capo era in realtà un SEAL non fece una piega.

«Tu invece Brandon? Hai un torbido passato da militare di cui non ci hai ancora detto niente?» domandò il detective, sottolineando la natura scherzosa della domanda per non metterlo in allarme.

L'aggancio che gli aveva fornito Chin era stato perfetto e pensò che non avrebbe mai dubitato della genuinità della domanda.

«Prima voi.» esigette il federale prendendo un altro sorso di acqua tonica.

«Niente da dichiarare.» Rispose Danny mostrando i palmi delle mani.

«Nemmeno io» gli fece eco Chin scuotendo la testa. L'attenzione tornò tutta sul federale.

«Esercito.»

«Per quanto tempo?» chiese il nativo.

Brandon ci pensò un attimo.

«Due anni, in pratica ho mollato appena finito l'addestramento.»

«Perché?» Inquisì Danny ridendo.

«Penso che voi due abbiate bevuto un po' troppo. La piena e immunità e mezzi vi concede anche di bere mentre siete in servizio?»

«In questo caso è un mezzo necessario...» suggerì Chin ridendo, gli altri si unirono alla sua ilarità.

«Esercito contro marina, sarebbe un bel derby! Forza Brandon che ne dici?» Danny tornò all'idea originaria, come se tutto quello che fosse stato in mezzo fosse stato soltanto un diversivo per passare il tempo.

«Ho già detto che è stata fortuna» ribadì Brandon a denti stretti stizzito.

«D'accordo come non detto, non te la prendere. Stavamo solo scherzando.»

I tre si alzarono ed andarono a pagare il conto.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Valanga di indizi ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.
Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

A.N.: In ritardo di nuovo, giovedì c'è l'esame e dopo si spera di riuscire ad accumulare un po' di capitoli, il tanto atteso confronto è già a buon punto.
Grazie a chi continua ad avere pazienza e a seguire questa storia, come al solito grazie a chi spende e spenderà tempo per lasciare un commento.
Buona estate a tutti.



«Cosa pensi? Un altro buco nell'acqua?» Chiese Danny quando erano di nuovo in macchina.

«Ho l'impressione che ci sfugga qualche pezzo.» Rispose Chin pensieroso, Montoya arriva sull'isola e inizia ad assumere gente principalmente guardie del corpo, ma al bar stavano arruolando solo criminali di basso livello, ladruncoli di strada, piccoli spacciatori, truffatori. Nessuno che abbia esperienza con armi, nessuno che sappia combattere, nessuno che abbia mai partecipato a grandi affari.»

«Perché qualcuno vuole farsi un esercito di furfantelli di poco conto?»

«Galoppini.»

Danny fece inversione ad U.

«Mi è venuta un'idea, hai ancora una foto del cadavere che abbiamo trovato questa mattina?» Chiese Danny mentre riallineava la macchina alla corsia opposta.

«Certo. Pensi che possa avere qualcosa a che fare con tutto questo?» Chiese Chin, incuriosito, riflettendo sulla possibilità.

«Non lo so, ma ci sono troppe cose che non tornano. Il mio istinto mi dice che vale la pena controllare, quantomeno se fosse legato al cartello spiegherebbe l'esecuzione in grande stile.»

Segretamente sperava che si stesse sbagliando, perché se aveva ragione Steve aveva davvero molte cose da raccontare.

 

Il barista stava scherzando con i clienti abituali, come poco prima, ma si interruppe non appena li vide; il sorriso accogliente si era tramutato in espressione preoccupata, alla vista dei due agenti Five-0. CJ conosceva bene la reputazione della squadra, quando nel pomeriggio li aveva visti entrare nel suo locale li aveva riconosciuti subito, dopo averli visti più volte sui telegiornali e giornali e si era sentito onorato come se stesse ospitando una sorta di celebrità, ma quando li vide rientrare dopo meno di un'ora, era abbastanza sveglio da capire che c'era qualcosa che non andava nel suo locale.

Appena seppe cosa era successo, fece il possibile per aiutarli.

La loro vittima era stata lì solo tre giorni prima, non era un cliente abituale e secondo CJ era arrivato da poco sull'isola, aveva ancora l'area spaesata e sognante dei turisti che cercano di dare un senso a quello che vedono. Si era trattenuta solo una decina di minuti ed aveva parlato con un altro forestiero. Sembrava stessero discutendo di affari o qualcosa del genere. Purtroppo il barista non seppe dare un nome a nessuno dei due, ma promise che li avrebbe richiamati se il forestiero fosse tornato nel locale.

Una volta fuori Chin si fermò a telefonare per riferire la notizia all'HPD, mentre Danny proseguì verso la sua Camaro. Quel puzzle stava diventando sempre più intricato e Danny aveva sempre più la certezza che Steve stesse tenendo in mano qualche pezzo cruciale. Dal modo in cui aveva reagito quella mattina era evidente che sapesse qualcosa sulla vittima, ma non riusciva ad immaginare cosa potesse essere.

Era l'ora che Steve parlasse.

 

Chin era sparito sul lato del locale. Danny si distrasse a guardare i due uomini con le maschere sorridenti di Topolino e Pippo calate sul volto, entrambe con una bottiglia di birra in mano e intenti a festeggiare. I due uomini si spostarono sul lato del locale nascosti alla vista, proprio come aveva appena fatto Chin. Il detective si ritrovò a pensare che sarebbe corso anche lui a nascondersi in qualche vicolo con una maschera del genere; a meno che la richiesta non venisse da Grace, in quel caso cambiava tutto. Dovevano risolvere il caso alla svelta, così avrebbe potuto passare un po' di tempo con lei nel weekend.

Poco dopo dal lato opposto giunse anche Paperino.

 

Chin camminava nervosamente mentre era al telefono e senza accorgersene stava girando l'angolo del locale. Lontano dalla confusione del viavai che c'era nei pressi dell'entrata era riuscito a fare rapporto ai colleghi dell'HPD. La polizia era ben felice di avere quella nuova traccia sul cadavere trovato in mattinata, ma se, come sembrava, l'omicidio era collegato a Montoya l'indagine sarebbe ritornata presto in mano ai Five-0.

Quando finì di fare rapporto alla centrale, dopo aver raccontato quel poco che sapevano ad almeno tre persone diverse, si sentì sollevato.

Nel frattempo si era creato un piccolo gruppo di persone con indosso maschere Disney, i primi erano arrivati poco dopo che gli avevano risposto dalla centrale e aveva trattenuto a stento una risata, vedendo gli uomini dai fisici massicci apparire con le maschere infantili.

Al termine della telefonata, si erano già assemblati Pippo, Topolino e Paperino e stavano facendo capannello poco distanti, nei pressi dei grossi bidoni dell'immondizia del locale.

Premette un altro pulsante tra le chiamate rapide e continuò a guardarli divertito, mentre aspettava che Kono rispondesse all'altro capo del telefono; Paperone ed Eta-Beta gli sfilarono davanti per andare ad unirsi agli altri. Non riusciva ad immaginarsi facessero così mascherati, pensò che si trattasse di uno scherzo, forse un addio al celibato o una scommessa. La voce della cugina lo costrinse a distrarsi da quel teatrino.

Dopo l'arrivo di Pluto, aveva sentito un po' di sferragliare di metallo contro metallo, qualcuno doveva aver urtato uno dei bidoni, forse dopo un sorso di birra di troppo, e poco dopo con la coda dell'occhio li vide muoversi verso la strada.

Chiese a Kono di rimanere in attesa, fino a che non lo avessero superato. Visto la delicatezza del caso non voleva parlarne vicino a degli estranei.

I primi erano già passati oltre, quando Chin si rese conto che gli ultimi del gruppetto stavano nascondendo delle mazze da Baseball dietro la schiena, mazze che era pronto a giurare non avevano quando erano passati pochi minuti prima.

Chin li osservò di nuovo in allerta, la mano libera era appoggiata sulla fondina, mentre l'altra reggeva ancora il telefono.

«Chin tutto bene?» chiese Kono dall'altro capo dell'apparecchio, senza ricevere risposta.

L'allerta si stava lentamente trasformando in panico mentre realizzava che tutti e sei lo stavano fissando, la voce al telefono aveva perso ogni importanza.

«Tenente Kelly Five-0. Fate un passo indietro.» Si identificò sperando che bastasse a spaventarli.

«Chin che sta succedendo?»

Estrasse la pistola dalla fondina per rafforzare la perentorietà dell'ordine, ma una delle mazze calò sulla sua spalla destra sbilanciandolo e costringendolo ad appoggiarsi al muro per mantenere l'equilibrio, il telefono volò a qualche metro di distanza nel movimento. La pistola cadde ai suoi piedi, ma qualcuno la calciò via.

L'ultima cosa che Kono sentì distintamente fu l'urlo di dolore del cugino che si affievolì con la rapidità con cui il telefono si stava allontanando da lui. Un rumore sordo annunciò la caduta dell'apparecchio e i suoni successivi furono confusi.

Kono appoggiò in fretta il telefono sullo smart screen, mettendo il vivavoce in tutta la stanza sperando di riuscire a capire di più di quello che stava succedendo. In mezzo al rumore di fondo, era convinta di continuare a sentire alcune grida di dolore.

Fece avviare la registrazione e strappò il telefono di Janet dalle mani della ragazza, in pochi secondi aveva composto il numero di Danny. L'attesa sembrava interminabile, mentre i suoni che ancora provenivano dal telefono di Chin inondavano tutta la stanza.

 

Due mani robuste afferrarono il braccio con cui Chin si stava sostenendo contro il muro, in equilibrio precario riuscì a voltarsi e a sferrare un pugno al proprietario delle mani colpendolo al collo, ma nel movimento dette le spalle agli altri aggressori. Uno di loro lo calciò nell'incavo del ginocchio, facendo cedere l'articolazione, proprio mentre Eta-Beta lasciava la presa sul suo braccio.

Qualcuno provò ad afferrarlo per la spalla destra, ma Chin riuscì a divincolarsi e a rialzarsi il tempo che bastava per menare un altro paio di colpi. L'altra mazza stretta da Pippo calò all'altezza del fegato facendolo piegare in due. Paperone gli dette una gomitata nel rene e per ultimo Topolino gli dette un calcio in faccia, facendolo finire a terra.

Chin sapeva che non aveva più la possibilità di rialzarsi in mezzo a sei persone e cercò di raccogliere le gambe al petto per proteggere gli organi vitali e la zona molle dell'addome. Le sue braccia si chiusero il più possibile sulla testa. I colpi stavano arrivando rapidi da ogni direzione, non distingueva più se erano calci, pugni, mazze...Sperava solo di perdere i sensi in fretta.

Quando si trovava sull'orlo della coscienza, i colpi cessarono.

 

Danny vide il nome di Kono sul cellulare appena tolto dalla tasca e si affrettò a rispondere.

«Ciao, ci sono novità?»

«Danny, dov'è Chin? Va tutto bene?» chiese la ragazza in tono concitato.

«Sta telefonando alla..» stava spiegando Danny, ma Kono lo interruppe.

«No, era al telefono con me. Sta succedendo qualcosa. L'ho sentito urlare...» questa volta fu Danny ad interromperla quando corse fuori dalla macchina chiudendo la conversazione con un «Vado a controllare.»

Togliendo la sicura alla sua Hecler & Koch, mentre si avvicinava al bar.

Appena fu vicino all'angolo dell'edificio sentì i gemiti di dolore di Chin, senza esitare si affacciò sul vicolo.

«Five-0! Fermi dove siete!», ma quando Danny si affacciò sul vicolo gli uomini mascherati erano già all'estremità opposta che correvano via, un furgoncino inchiodò e li fece salire tutti.

Chin era a terra e Danny tirò un sospiro di sollievo quando lo vide muoversi.

«Chin, amico, sono qui. Non ti muovere andrà tutto bene, ok?» si inginocchiò accanto a lui e gli appoggiò gentilmente una mano sulla spalla per impedirgli di muoversi, ripose la pistola nella fondina e prese il cellulare per chiamare i soccorsi.

Chin aveva chiuso gli occhi per pochi secondi respirando pesantemente e a fatica, quando li riaprì vide un uomo mascherato avvicinarsi alle spalle di Danny.

«Danny» il detective non capì fino a che non vide lo sguardo spaventato che puntava qualcosa alle sue spalle. Quando capì l'avvertimento, il click distinto del proiettile che entrava in canna risuonò a pochi centimetri dalla sua nuca.

Sapeva che se avesse reagito in quel momento sarebbe stata morte certa, perciò rimase immobile e attese istruzioni.

«Detective Williams, ora lei farà esattamente quello che le dico, se stasera vuol tornare a casa e poter vedere la sua bambina il prossimo fine settimana. Faccia segno di sì con la testa se ha capito, qualsiasi altra parte del corpo che muoverà, sarà farcita con il piombo.» Cantilenò l'uomo alle sue spalle che lo stava tenendo sotto tiro.

Nel momento in cui l'uomo alludette a Grace, Danny sentì aumentare l'urgenza di ucciderlo. Con uno sforzo enorme mantenne il controllo e annuì debolmente. I rinforzi e l'ambulanza sarebbero stati lì da un momento all'altro.

La voce strascicata e cantilenante ricominciò a parlare.

«Ottimo! Adesso molto gentilmente dovrebbe prendere la sua pistola e gettarla vicino a quei cassonetti laggiù. Non faccia movimenti bruschi.»

Danny eseguì l'ordine alla lettera.

«Ora faccia lo stesso con quella nella fondina al polpaccio.»

Danny esitò un attimo, pensando se era il caso di bluffare o meno, ma la canna gelida della pistola sulla nuca lo fece ricredere e obbedire.

«Immagino si stia chiedendo perché, non si preoccupi McGarrett capirà perché, vedrà che capirà, ora per cortesia non si volti fino a che non sentirà le sirene dell'ambulanza che ha chiamato, altrimenti sarò costretto a spararle.»

L'uomo si allontanò silenzioso, Danny si voltò quando udì uno stridio di gomme sulle asfalto provenire dalla strada. L'uomo si voltò a guardarlo prima di salire sul veicolo, ma Danny e Chin videro solo la maschera di Topolino che gli copriva la faccia. Il conducente del veicolo era ancora a volto coperto con la maschera di Paperone.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Tu lo sapevi ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.

Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.: Ok, l'autrice si presenta spaventata all'incontro con i lettori, presentando il tanto atteso capitolo. Il problema di questo capitolo, lo attendevate in troppi e per mere questioni di statistica qualcuno rimarrà deluso. Spero siano una minoranza.

Sì avete capito bene, finalmente l'incontro tra Steve e Danny.

Sono pronta a ricevere le vostre critiche spietate.

A presto!

 

Steve seguì le indicazioni del personale fino alla grande sala di attesa del pronto soccorso, dove trovò Danny seduto in mezzo a una fila di poltroncine in plastica.

Nascondeva il viso tra le mani e teneva i gomiti appoggiati sulle ginocchia.

Esitò un attimo, indeciso se avvicinarsi o meno, preoccupato di un ulteriore attacco come quello ricevuto in mattinata.

Danny alzò la testa fissandolo subito, come se avesse sempre saputo che si trattasse di lui e che era esattamente in quel punto.

«Steve ti sei degnato di arrivare finalmente» disse il sarcasmo annebbiato dalla voce stanca.

«Ciao Danny. Cos'è successo?» chiese ancora incerto se andare a sedere vicino a lui o meno.

«Dimmelo tu cos'è successo. Perché a tratti penso che sia tutta colpa mia, avrei dovuto coprirgli le spalle, li ho visti che si radunavano con quelle stupide maschere da cartoni animati. Sono stato un idiota, ho pensato che fossero lì per una scommessa persa, per qualche festa e mentre io me ne stavo a fantasticare sul perché fossero mascherati loro pestavano Chin.»

Danny ingoiò un po' di saliva, si sentiva uno schifo, era vera ogni singola parola, ma il suo punto era tutt'altro.

Cartoni animati...Steve ripensò agli uomini che l'avevano rapito poche sere prima, erano stati loro ad attaccare Chin

«È davvero colpa mia, Steven?»

No, è tutta colpa mia.

«Danny...» iniziò in quello che doveva essere un tono consolatorio.

Leggeva l'accusa nei suoi occhi, era evidente che il suo collega sapesse di più.

Stava cercando le parole giuste per confessare, ma come poteva dirglielo ora?

Se solo gli avesse raccontato tutto qualche ora prima, avrebbero potuto evitarlo; Danny sarebbe potuto intervenire, Chin sarebbe stato più all'erta.

«... non è colpa tua.» concluse brevemente.

«È colpa mia, ma sai qual è la cosa che proprio non mi va giù? È che dopo che hanno pestato Chin e minacciato me e mia Figlia, mi hanno detto di chiedere a te il perché.»

Steve si sentì gelare quando il collega menzionò Grace, si era aspettato che lo sapessero, ma averne la conferma era tutt'altra cosa. Non voleva nemmeno immaginare come si fosse sentito.

«Ora tu puoi dire. È colpa mia che non mi sono accorto che c'era una rissa a duecento metri da me. È colpa mia che dovevo coprire le spalle a Chin e invece è in ospedale. È colpa mia se mentre io me ne stavo tranquillo in macchina quei pazzi gli hanno fratturato due costole con una mazza da baseball, è coperto di lividi e tagli e i legamenti della mano si sono andati a farsi benedire mentre cercava di proteggersi»

Danny continuò a raccontare.

«Puoi anche dire che è colpa mia se sono fuggiti tutti tranne uno ed ho lasciato che quell'uno mi prendesse alle spalle. Quell'uomo mi ha puntato una pistola alla nuca e ha parlato di mia figlia, sai la voglia che avevo di ammazzarlo quel figlio di puttana? Ma mi sono trattenuto, perché Chin era a terra davanti a me ferito e non volevo rischiare qualche proiettile vagante. Puoi dire che tutto questo è solo colpa mia e sono pronto anche ad accettarlo, ma sai una cosa? Voglio sapere perché e quel fottutissimo Topolino ha detto che tu avresti capito perché. Quindi caro il mio super-SEAL sarebbe carino che tu illuminassi anche me.»

«Topolino» ripeté Steve assorbendo di nuovo quell'informazione.

«Sì, Topolino, di grazia vorresti dirmi perché un tizio che se ne va in giro con una maschera di Topolino dovrebbe minacciare, me, Grace e mandare un mio amico all'ospedale?»

Danny stava cercando di fare il duro e il distaccato, era furioso, ma Steve lo conosceva abbastanza bene da vedere quanto fosse spaventato al di sotto di quella corrazza. Non c'era niente peggio di sentirsi minacciati e vulnerabili, era il motivo per cui non aveva detto niente ed era giunto al risultato esattamente opposto. Sapeva che non c'era niente che rendesse Danny più disperato di quando il suo lavoro metteva a rischio la figlia.

Per colpa sua e del suo silenzio ora erano in ospedale ad aspettare notizie di Chin.

«Danny non lo sapevi. Non è colpa tua e sei bravo a fare il tuo lavoro.».

Il biondo sembrò ignorarlo

«Allora cosa mi dici? Si trattava di Montoya?».

«Non era Montoya.»

Era un affermazione, non era un'ipotesi era una cazzo di affermazione, Steve sapeva davvero qualcosa.

«Tu sapevi che sarebbe successo, non è così? Sai chi sono, sai che sarebbero venuti a cercarci e ci hai lasciato alla loro mercé.» Danny lo accusò.

«Non so chi siano.» affermò Steve.

«Cosa sai?» chiese Danny duro.

«Danny, se non vi ho detto niente ho le mie ragioni.»

A quelle parole, Danny andò su tutte le furie. Era stufo di stupidi temporeggiamenti. Stufo di essere lasciato all'oscuro. Stufo degli atteggiamenti da bambino.

«Vai a raccontare a Chin le tue ragioni. Lo sai cosa mi ha detto stamani? Mi ha detto di darti tempo, che ci avresti detto tutto. Chin si fidava di te, ed ora è su un letto di ospedale. Quegli uomini hanno minacciato me e mia figlia, quindi in questo momento non me ne frega niente delle tue ragioni. Ora mi spiegherai tutto, che tu lo voglia o meno.».

Era furioso, il suo tono aumentava con ogni parola che pronunciava e ormai tutta la sala d'aspetto del pronto soccorso li stava guardando. Ad un certo punto del suo monologo si era alzato in piedi ed ora si trovava solo a poche decine di centimetri da McGarrett.

«Ti dirò tutto, ma ora calmati. Questo non è il momento, né il luogo, Danno.»

Il biondo chiuse la distanza che li separava e gli sferrò un pugno colpendolo alla mascella abbastanza forte da farlo indietreggiare.

Con l'altra mano lo afferrò al bavero della camicia.

Steve reagì di puro istinto, afferrando il braccio e storgendolo fino a fargli mollare la presa.

«Qualsiasi casino tu abbia combinato McGarrett.» Spiegò Danny, mentre si rimetteva in sesto e si preparava a sferrare un altro colpo.

«Non avevi alcun diritto di trascinarci dentro.» Steve parò facilmente il colpo allo stomaco, ma quelle parole facevano più male di qualsiasi altra cosa e quelle che seguirono furono ancora peggio.

«Non avevi alcun diritto di mettere in pericolo Grace.» La seconda volta il colpo andò a segno.

Il suo corpo reagì automaticamente al dolore, contraccambiando il colpo e spaccando un labbro al collega.

Grace non appariva mai nelle foto che gli avevano lasciato, erano davvero così spietati da far del male ad una bambina?

«Quindi ora voglio sapere la verità. Basta rimandare!»

Danny era pronto a colpire di nuovo, ignaro del sangue che ormai aveva raggiunto il mento. Steve lo stava aspettando, la faccia leggermente gonfia in corrispondenza del colpo ricevuto.

Nessuno dei due sembrava accorgersi delle infermiere che stavano urlando loro di smettere, né degli urli un po' spaventati e un po' eccitati della folla. Nessuno dei due si accorse di Kono fino a che la collega non si frappose tra di loro.

«Cosa sta succedendo?»

«Chiedilo a lui cosa sta succedendo. Anzi chiedigli perché tuo cugino è in ospedale. Lui lo sa, vero Steven?» rispose caustico Danny, fissando con occhi infuocati il collega.

«Raccontaci qualcosa, perché non ci fai vedere cosa nascondi sotto quelle maniche lunghe.» continuò Danny, allungandosi di scatto ad aprire uno dei polsini di Steve.

Kono si tuffò in mezzo per dividerli, ma non fu abbastanza rapida da impedire l'evento.

Il bottone saltò e il polso livido di Steve rimase esposto.

Danny e Kono rimasero inermi a fissare i segni violacei incapaci di dire una parola.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Spiegazioni ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.

Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.:Con questo capitolo ritengo momentaneamente conclusa la parte dei chiarimenti tra Steve e la squadra. Mi stava causando un discreto blocco questa parte e spero di aver reso giustizia a tutti i personaggi.

 

Danny fu il primo a riprendersi dallo choc e mentre Kono muoveva silenziosamente le labbra in qualcosa che doveva significare «Oh mio Dio! Cosa ti è successo?», il detective dichiarava sprezzante:

«Bene mistero risolto, cosa hai fatto? Qualche gioco erotico di cui ti vergogni?»

«Danny» lo rimproverò la ragazza.

Danny girò di scatto la testa verso di lei: «No. Non provare a difenderlo. Ti devo ricordare che Chin è stato ferito per colpa sua?»

«Danny non lo sappiamo per certo, dagli il tempo di spiegarci.» ribadì lei.

«Certo che lo sappiamo, lo ha ammesso proprio prima che tu arrivassi, ma continua a fare il misterioso.»

Kono interruppe il loro battibecco per tornare a rivolgersi a Steve.

«È davvero così?»

Il comandante li aveva guardati per tutto il tempo, a testa alta e con la mascella serrata per trattenere la rabbia o il senso di colpa, non sapeva nemmeno lui quale fosse predominante in quel momento.

Distolse lo sguardo dai colleghi, cercando di cancellare le loro accuse dai suoi pensieri.

«Avevo ricevuto delle minacce.» confessò.

«Minacce rivolte a Chin? Chin ne era al corrente?» domandò Kono confusa.

«Rivolte a tutta la squadra...e no, nessuno lo sapeva fino a adesso.»

«Vuoi dire che eravamo tutti sotto minaccia costante e hai deliberatamente evitato di dircelo?-si infuriò di nuovo Danny.-Vuoi dire che Grace era...Grace è in pericolo e non hai messo una scorta fissa a proteggerla?» il detective era pronto ad aggredirlo di nuovo e non solo a parole.

«Danny, giuro che non sapevo di Grace. Mi dispiace, non sai quanto mi dispiace. Prometto che appena usciamo da qui, faccio una telefonata e la faccio mettere sotto scorta 24 ore su 24.»

«Fai pure con comodo, tanto che vuoi che sia ora più ora meno ormai, giusto Steve?»

«Ok, chiamiamo subito d'accordo?» Cercò

«Basta di cercare scuse per rimandare. Ci ho già pensato io. È mia figlia, è una mia responsabilità proteggerla, quindi è normale che ci pensi io. È la prima cosa che ho fatto dopo che Chin è stato portato sull'ambulanza. Ok? Ora se vuoi fare qualcosa di utile, spiegami come siamo arrivati a questo punto. Da quanto va avanti questa storia?»

«È iniziato tutto due giorni fa, quando ci è stato affidato il caso Montoya.»

«Quindi sono stati gli uomini di Montoya?» domandò Kono.

«No, è stato un altro gruppo, sono collegati a Montoya in qualche modo, ma non fanno parte del cartello di Montoya.» spiegò Steve.

«E questa certezza ti viene dal fatto che?» incalzò Danny.

«Mi hanno mandato l'indirizzo di Montoya ieri mattina. Era uno della lista che avevi ricostruito» aggiunse alla fine rivolgendosi a Kono.

«Fammi capire bene tu sei in contatto con loro?» domandò Danny indignato.

«Sì, mi hanno lasciato un cellulare.»

«Sai chi sono?» Domandò la poliziotta, interrompendo il collega che stava per fare un'altra domanda.

«No. So solo che sono bravi, hanno esperienza, contatti e sono ben organizzati. Era come se sapessero che avremmo indagato su Montoya prima di noi. Avevano foto di sorveglianza di tutti noi, nel pomeriggio al porto e davanti al quartier generale.»

«Aspetta, vuoi dire che tutto questo tempo siamo stati seguiti?» volle precisare Danny.

Steve stava per confermare le sue parole, ma Kono lo interruppe.

«Come sei entrato in contatto con loro?»

Il comandante esitò prima di rispondere a quella domanda, ma sapeva che ormai non poteva più tenere segreti.

«Mi hanno aggredito e rapito fuori dal quartier generale.»

Nessuno disse nulla, ma tutti stavano pensando la stessa cosa. Per poter aver la meglio su Steve l'unica possibilità era che fossero professionisti.

«Cosa ti hanno fatto?» Chiese di nuovo Kono, stava iniziando a mettere insieme i pezzi, ma voleva sentire il racconto originale.

«Niente, mi sono svegliato legato ad una sedia, poco dopo uno di loro è entrato e mi ha fatto ascoltare un nastro registrato. Il nastro spiegava che avrei dovuto tenerli aggiornati sull'indagine Montoya ed in particolare prima di ogni azione di rilievo. Se avessi mancato di avvisarli avrebbero cercato vendetta su uno di voi. Dovete capirmi, stavo inviando i messaggi, pensavo foste al sicuro.»

«No, se qui c'è qualcuno che deve capire una cosa sei tu. Ricapitolando sei stato aggredito, rapito, minacciato e rilasciato. Hai messo su una sceneggiata dopo l'altra per evitare di parlarci e poi?»

«Ero tornato alla casa dove mi avevano portato, cercando qualche traccia. Non c'era rete, ho saltato l'aggiornamento sul bar. Non so più in che modo dirvelo che mi dispiace.»

«Mi dispiace Steve è tutto quello che riesci a dire? Mi dispiace non è abbastanza per quello che è successo a Chin, avresti dovuto avvertirci.» lo accusò Kono.

«Cosa avreste fatto se lo aveste saputo?»

«Saremmo stati allerta.» disse Kono a denti stretti, ma poi lo sguardo le cadde sui polsi violacei del suo comandante e dentro di sé capì che essere all'erta non sarebbe mai stato abbastanza. I due rimasero in silenzio a corto di parole.

«Ha ragione, Steve, 'mi dispiace' non è abbastanza.» Disse Danny e il silenzio di poco prima diventò gelo.

I tre rimasero in silenzio per alcuni secondi, poi Danny se ne uscì fuori con la domanda che gli ronzava in testa da quella mattina:

«E il cadavere del nostro John Doe come entra in gioco in tutto questo?»

«Il cadavere di questa mattina era l'uomo che mi ha avvicinato nel parcheggio. Ieri sera avevo provato ad inserire la sua descrizione nel database per vedere se ne usciva qualche riscontro, ma niente.» spiegò Steve.

«Pensi che l'abbiano ucciso perché hai fatto ricerche su di lui?» chiese Kono, cogliendo lo spunto offert dal comandante.

Danny in quel momento si passò una mano tra i capelli.

«No, l'hanno ucciso perché non avevano più bisogno di lui.-vide i due colleghi guardarlo confusi- L'avevamo scoperto con Chin subito prima che venisse aggredito, l'uomo era stato al bar Kahakai tre giorni fa e aveva parlato con qualcuno.»

«Certo, tutto il suo lavoro era stato avvicinarmi. Se questo è il ritmo a cui procede questa gente troveremo l'isola coperta di cadaveri....» il pensiero lo fece rabbrividire tutti Steve fissò per un momento Danny e il collega confermò a voce alta i suoi pensieri: «E noi siamo proprio al centro del ciclone.»

«Senza considerare Montoya.» aggiunse Kono.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Il dopo ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.

Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.: Buongiorno! Questa storia sta riscuotendo più successo di quello che mi aspettassi, do a tutti il ben ritrovati al nuovo capitolo e ringrazio tutti quelli che fanno sentire la loro voce, adoro sentire cosa ne pensate scena dopo scena. Ora bando alle ciance e vi lascio alla lettura.

 

Poco dopo la discussione il dottore aveva concesso Kono di tornare a salutare Chin, mentre a Steve e Danny fu chiesto di lasciare l'ospedale per non turbare i pazienti. I due agenti protestarono rumorosamente, ma dopo il comportamento che avevano appena tenuto, non avevano sufficienti argomenti dalla loro parte.

Non poter vedere Chin e accertarsi che stesse bene era diventato un capo di accusa in più per Steve nella mente di Danny, idea che non mancò di esprimere in numerosi e fantasiosi termini mentre erano costretti a fare lo stesso percorso verso il parcheggio. Steve, invece, si sentiva come se stesse scappando alle sue responsabilità e passò buona parte del tempo a pensare se ci fosse qualcosa in più che potesse dire al dottore per convincerlo.

Rimasero fuori in silenzio a osservarsi in cagnesco attendendo che Kono li raggiungesse con notizie fresche.

Il Dr. Carmen pensava che Chin fosse sostanzialmente fuori pericolo e non avesse danni gravi ad eccezione di quelli alla mano, ma preferiva tenerlo in osservazione per un paio di giorni; due grossi bernoccoli, uno sulla fronte ed uno poco sopra la nuca, a detta del medico sarebbero potuti essere sintomi di un trauma cranico ancora non osservabile. Chin si era difeso bene e tutti i colpi erano arrivati sugli arti che avevano resistito bene, con l'unica eccezione della mano sinistra che avrebbe richiesto un piccolo intervento chirurgico.

Il pomeriggio stava quasi per finire e tutti e tre tornarono in ufficio, decisi a chiudere la giornata, ma appena dentro l'HQ Steve andò a nascondersi nel suo ufficio.

Janet e Brandon non aspettarono un minuto prima di andare incontro a Kono premendo per controllare nuove idee che aveva avuto nel frattempo sul caso, in risposta ricevettero solo uno sguardo omicida e un «Non ora» sibilato tra i denti. L'istante successivo Danny si frapponeva tra loro, dando modo alla collega di raggiungere il proprio ufficio.

«L'indagine...» Janet stava iniziando a dire prima che il detective la interrompesse in tono minaccioso:

«Chin è in ospedale, per oggi abbiamo chiuso »

Brandon si avvicinò pronto a difendere la collega, ma il detective lo allontanò con uno spintone.

«Il caso può aspettare.»spiegò passando lo sguardo dall'uno all'altra e viceversa per assicurarsi che stessero capendo.

«Questo è collegato al caso!» Obiettò improvvisamente Janet.

Danny si voltò a fronteggiarla, infuriato.

« Ah e lo sai per certo, giusto. Come mai? Forse sei stata tu ad avvertire Montoya che eravamo sulle sue tracce? O il tuo collega? »

I due lo osservarono indignati.

«Pensate ancora che sia collegato al caso? Toglietevi di mezzo prima che decida di portarvi a fare due chiacchiere nella sala interrogatori.»

La sua rabbia talmente imponente da farlo torreggiare anche su Brandon che era 20cm più alto di lui.

«Come ti permetti! – rispose Janet – Giocate a fare i grandi poliziotti e al primo incidente pronti a rintanarvi nei vostri belli uffici e intanto la gente la fuori muore per mano dei criminali che voi non fermate, come il caso Williams.»

«Cosa c'entra adesso? E comunque Matt non è un assassino.» Rispose Danny ancora più acceso, la sua voce abbastanza alta da raggiungere sia Kono che Steve nei rispettivi uffici.

«No ha ragione, Williams, non era un assassino, in fin dei conti stava solo ripulendo il denaro di uno spacciatore. La droga non è così male come le armi, non ha mai ucciso nessuno giusto?» Lo provocò Brandon, puntando l'accento sul cognome.

Kono tornò nello spazio comune apparendo alle spalle di Danny, aveva apprezzato che il collega si mettesse tra lei e i due federali, ma era giunto il momento di ricambiare il favore.

«Ah ecco anche la principessina della squadra – continuò Brandon – quella che è troppo impegnata ad essere in lutto per il cugino per poter lavorare. Tuo cugino non è morto e questi sono i rischi del mestiere cocca.»

Kono sferrò un pugno che impattò sul lato sinistro della mandibola del federale. L'uomo si rivoltò immediatamente, cercando di fare altrettanto ma la recluta dei Five-0 schivò il colpo ed era pronta a colpire di nuovo se Danny non si fosse messo in mezzo.

«Togliti di mezzo e fammi dare una lezione a quella puttana.» Ordinò Brandon a denti stretti.

Danny fece un passo indietro, Kono era già pronta in guardia, ma il biondo utilizzò lo spazio che aveva appena liberato per prendere lo slancio e colpire il federale al fegato appena si mosse. L'agente fu costretto a fare un passo indietro per riprendere fiato, ma in un attimo era in guardia.

«Visto proprio una principessina, lasciatelo dire potevi scegliertelo un po' meglio il cavaliere per farti difendere, invece di questa mezza tacca.» Lo stuzzicò ancora Brandon, mentre la Janet cercava di fermare l'inevitabile; il collega l'allontanò e le intimò di non intromettersi.

Kono al contrario non fece niente per far desistere Danny e rimase impassibile a guardare mentre i due si studiavano come in un incontro di box.

«Basta!» La voce di Steve tuonò imperiosa; il comandante stava osservando la scena da lontano ormai da un po' di tempo, sperando fino alla fine di non dover intervenire. Danny si fermò all'istante, come riscuotendosi da un sogno. Brandon provò a obiettare, ma Steve lo bloccò sul nascere.

«Abbiamo garantito piena disponibilità, ma finché Montoya sarà sull'isola il comando è nostro. Questa indagine va avanti da cinque anni, un giorno in più non farà differenza.»

Janet riferì che era stata Kono ad iniziare la rissa, con la sua espressione più innocente, quella che fin dal primo istante aveva conquistato l'attenzione di Steve e Danny, ma questa volta il SEAL non si lasciò convincere.

«Nessuno qui dentro è un santo, se ha iniziato la rissa avrà avuto le sue buone ragioni. E se non ve ne andate dal mio quartier generale entro cinque minuti potrei anche dar loro una mano a cacciarvi a calci.»

«Il governatore verrà a sapere di questa cosa.» Disse Janet.

«Se volete lo chiamiamo subito, abbiamo piena immunità per quello che facciamo sul lavoro e a me sembra che al momento siamo sul posto di lavoro.» Rispose Steve caustico.

Janet tenne il suo sguardo per un po' alla fine abbassò la testa e trascinò via Brandon che continuò a lanciare occhiate torve alle sue spalle fino a che non oltrepassò la doppia porta a vetri.

«Chiudete tutto andiamo a casa anche noi.» annunciò Steve ai colleghi.

Danny si era preso cinque minuti per calmarsi e ancora una volta si trovò ad attraversare il parcheggio insieme al SEAL. Steve stava già aprendo lo sportello quando il detective inaspettatamente gli rivolse la parola.

«Vieni da me, babe.»

Lo guardò sconcertato, domandandosi se stesse dicendo sul serio.

«Sì, sto parlando con te razza di animale che non sei altro, siamo nel mondo civile e qui le persone parlano. Mettiamo insieme tutti i pezzi del puzzle. Mi devi una spiegazione un po' più dettagliata, soprattutto di come un gruppo di cartoni animati sono riusciti a spaventare un SEAL super addestrato, abituato a buttar la gente nelle vasche degli squali.»

Steve rimase in silenzio

«Allora vieni o devo risolvere il caso da solo?»

«Hai della birra spero!» gli rispose infine Steve, con una smorfia che assomigliava vagamente ad un sorriso. Quello era il segnale che Danny l'avrebbe perdonato di tutto, aveva bisogno di un po' di tempo, ma l'avrebbe perdonato. Non sapeva se meritava o meno di esserlo, non sapeva se le cose sarebbero potute tornare come prima con Chin e Kono, ma quella era la prima buona notizia degli ultimi giorni.

 

Passarono un paio d'ore a ridiscutere tutto, Steve raccontò a Danny delle foto e delle immagini che erano appese al muro. Danny pretese di vedere le foto che Steve aveva scattato alla stanza con il cellulare e Steve fu costretto a osservare il malessere e il disagio crescenti farsi largo sul volto del collega mentre teneva lo sguardo fisso sul telefono sfogliando e ingrandendo le immagini con tocchi sempre più leggeri.

Alla fine concordarono di parlare con gli altri solo delle foto di sorveglianza a meno che non fossero arrivate domande specifiche che non avrebbero potuto eludere se non mentendo. La cosa più importante su cui avevano concordato e che era d'obbligo a quel punto era di non raccontare bugie era d'obbligo a quel punto.

Danny aggiornò Steve sulla scoperta che aveva fatto con Chin poco prima dell'aggressione, sapere che uno dei complici nel rapimento di Steve era stato con tutta probabilità assoldato solo pochi giorni prima era il primo indizio concreto sul gruppo che li stava ricattando. Sapere che avevano assunto una persona solo per avvicinare Steve e poi l'avevano uccisa a sangue freddo una volta finito il lavoro, gettava una luce macabra su tutta la vicenda e faceva presagire una scia di cadaveri sull'isola.

Danny aggiornò Steve anche sulle discrepanze delle parole di Brandon e il suo atteggiamento, non ultimo il linguaggio che aveva usato rivolgendosi a Kono, che sarebbe potuto andar bene per un poliziotto, ma stonava abbastanza per un agente dell'FBI. Concordarono che avrebbero dovuto tenere un occhio sul ragazzo.

Quando non c'era più niente da dire, continuarono a sfogliare gli appunti che avevano buttato giù nel corso della notte, fino a quando la stanchezza non ebbe la meglio e furono entrambe addormentati ai lati opposti del divano, esausti dalla notte insonne e tutti gli eventi del giorno.

Il mattino seguente passarono dall'ospedale prima di andare in ufficio, il dottore li riconobbe e cercò di allontanarli nuovamente, ma lo interruppero per scusarsi e furono abbastanza convincenti da riuscire a ottenere il permesso di vedere Chin.

Kono era addormentata su una sedia a fianco del letto del cugino, Chin era sveglio e fece loro segno di far piano per non svegliarla. Il braccio che aveva portato al viso era quasi completamente coperto da garze, colorate di giallo dal disinfettante. L'altro braccio era in condizioni simili, fatta eccezione per la mano che era stata ingessata per evitare complicazioni prima dell'operazione; l'intervento era stato fissato a dieci giorni di distanza, per dare al corpo il tempo di riassorbire il gonfiore.

Avvertendo la presenza dei colleghi Kono si svegliò e salutò i nuovi arrivati.

Chin raccontò nel dettaglio la sua aggressione, ma non riuscirono a trovare nessun nuovo indizio sulla banda. Quando Steve iniziò a scusarsi con Chin, Danny fece un segno a Kono ed entrambi lasciarono la stanza, per lasciare ai due la possibilità di chiarirsi. Per tutto il tempo, sentirono la voce di Steve ridotta ad un confuso bisbiglio intervallata da lunghe pause, in cui non arrivava nessuna parola da Chin.

Dopo un po' Steve uscì dalla stanza afflitto e tutti e tre si recarono al quartier generale.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** L'autopsia ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.

Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.: Al solito ben tornate e bentornati e grazie per il tempo che continuate a dedicare a questa storia, leggo con passione i commenti che lasciate come recensioni.

Purtroppo ecco un altro capitolo di transizione, mi dispiace mi è venuto così, ma i nostri eroi hanno sempre i postumi di un po' di eventi traumatici e un po' di conflitti personali da superare e non mi sembrava realistico buttarli subito nella mischia, ma non vi preoccupate al momento giusto l'azione non mancherà.

Detto questo, buona lettura a tutti.

A presto!

Deborah

 

 

Prima di raggiungere il quartier generale, Steve e ricevette un altro messaggio, da quella che durante la notte avevano soprannominato: la setta Disney.

Quello di ieri sera era soltanto un assaggio. Continua a tenerci aggiornati o ci saranno altre conseguenze.

Perciò Steve e Danny concordarono il messaggio che Steve avrebbe dovuto mandare. . Diceva semplicemente:

Confronto degli ingressi con i database, ricerca di possibili complici.

Anche se non conteneva informazioni cruciali sull'indagine, la setta Disney avrebbe potuto trarne beneficio, facendo sparire i pregiudicati del loro gruppo recentemente arrivati sull'isola e facendo arrivare clandestinamente eventuali rinforzi, speravano solo che non avrebbe comportato un'altra scia di cadaveri. Se l'informazione fosse stata passata a Montoya, il trafficante d'armi avrebbe fatto altrettanto.

 

Quando entrarono nel quartier generale Brandon e Janet erano già lì, salutarono educatamente e ridussero le chiacchiere al minimo, evitando battute e critiche per il loro ritardo. Erano ancora infastiditi per quanto era successo la sera prima e lo si poteva leggere in ogni loro gesto; nessuno cercò di consolarli. Quando furono tutti riuniti attorno allo smart table per organizzare la giornata, Steve notò che Kono e Danny erano abbastanza tesi in presenza dei federali, come se si aspettassero che la rissa riprendesse da un momento all'altro. Lui, al contrario, sembrava di nuovo sé stesso; fin troppo sicuro di sé e pronto a riprendere in mano il caso anche se non avevano niente di nuovo su Montoya.

Il bar Kahakai, teatro di ciò che era successo a Chin, non fu nemmeno menzionato e tutti si concentrarono sui possibili scopi di Montoya, nel frattempo il programma di riconoscimento facciale che Kono aveva lanciato la sera prima, iniziava a dare i suoi frutti.

Un controllo veloce mostrò conti di carte di credito con lo stesso nominativo aperti in alberghi e motel locali.

Erano in ufficio da circa un'ora e la situazione continuava ad essere piuttosto tesa, lasciare Kono da sola con i due federali sembrava come lasciare una bomba ad orologeria in ufficio, costruita con un orologio difettoso, prima o poi sarebbe esplosa, ma nessuno sapeva quando. D'altro canto se i sospetti di Danny e Chin su Brandon erano fondati, e aveva imparato a fidarsi dell'istinto dei colleghi, l'uomo sarebbe potuto essere molto pericoloso.

Danny era già pronto a passar Steve le chiavi della Camaro, ansioso di uscire dall'ufficio e dall'ansia che provava, si era ripetuto mille volte che quella era casa loro e sarebbero dovuti essere gli altri a sentirsi a disagio, alla fine aveva rinunciato a convincersene e aveva dato la colpa al poco sonno. Finalmente stavano per uscire, quando Steve fece una cosa inaspettata, chiamò Brandon e gli chiese di andare con lui a controllare i sospetti.

Il detective rimase di stucco e altrettanto fece il federale, ma nessuno dei due disse una parola e si limitarono a seguire le indicazioni del comandante.

Anche l'agente Shelley sembrava non essere particolarmente entusiasta di restare lì senza il suo partner, ma fece un gran sorriso e tornò a concentrarsi sui nomi e le immagini che apparivano in un angolo dello smart screen.

Ci vollero altri cinque minuti a Danny prima di capire la scelta di Steve e anche senza che si dicessero una parola, arrivò a capire ogni sfumatura di quella scelta.

Il detective rimase inizialmente nei paraggi dello smart screen, ma quando vide che i rapporti tra la Kono e Janet erano pacifici, seppur tesi, decise di congedarsi per andare nel suo ufficio per redigere il rapporto sugli avvenimenti della sera precedente.

In realtà quando Danny si trovò di fronte alla sua scrivania, aprì il referto di Max sul cadavere ritrovato a pochi passi dal quartier generale. Il primo pensiero fu che quella vicinanza volesse essere un altro segnale di come il gruppo potesse agire liberamente senza temere i Five-0.

La cartella ora riportava il nome di Frank Smith, un nome tanto anonimo quanto il suo proprietario. L'autopsia non aveva evidenziato novità, il taglio alla gola, inflitto con un'arma estremamente affilata, aveva reciso la giugulare e la vittima era morta per dissanguamento.

La pozza di sangue, parzialmente assorbita dal terreno, in cui era riverso l'uomo, mostrava che l'omicidio era avvenuto sul posto. L'inclinazione del taglio sembrava indicare che l'assassino si trovasse di fronte alla vittima, ciò significava che i due si conoscevano. In linea con l'ipotesi di Danny e Steve che era stata la setta Disney ad ucciderlo dopo che aveva esaurito la sua utilità, magari lo avevano adescato lì con la promessa del pagamento o di qualche altro incarico.

Un livido parzialmente formato sulla spalla destra, era secondo Max il punto in cui l'assassino aveva fatto presa per tenere ferma la sua vittima; l'assassino era probabilmente alto all'incirca quanto la vittima, forte fisicamente ed era destro.

Aveva letto e riletto l'autopsia, ma i pochi indizi sull'assassino erano talmente vaghi che avrebbero potuto fermare mezza isola, perfino Steve corrispondeva alla descrizione, il detective scartò l'ipotesi con un sorriso. La reazione del collega alla vista del cadavere era più che sufficiente a scagionarlo; neanche Al Pacino in persona avrebbe potuto recitare così bene. Tuttavia rimaneva il problema che erano fermi al punto di partenza e Steve a breve avrebbe presto dovuto mandare un altro messaggio dicendo che stavano ancora controllando cosa? Tutti i possibili criminali sbarcati alle Hawaii nell'ultimo mese? Era quello che stavano facendo, ma se l'avessero detto ad alta voce probabilmente li avrebbero rinchiusi tutti in manicomio.

Lanciò un'occhiata attraverso il vetro a Kono e Janet, da quel poco che riusciva a vedere dietro gli schermi, le due, anche se non sembravano a loro agio a stare nella stessa stanza, continuavano a lavorare assiduamente.

Dopo gli eventi della sera precedente, vedeva gli agenti Teagan e Shelley sotto una luce completamente nuova, ma non aveva ancora capito se il loro atteggiamento era una minaccia o solo un eccesso di zelo. Che Steve fosse uscito da solo con Brandon invece che con lui, evitando di lasciare Kono da sola con i due federali era la prova che il comandante sesse ancora cercando di proteggerli; questo lo fece pensare che anche lui aveva delle responsabilità.

Prese il cellulare e chiamò Rachel per assicurarsi che fosse tutto a posto: una pattuglia aveva stazionato davanti casa tutta la notte e quella mattina dopo che si erano dati il cambio avevano scortato Grace a scuola, il preside era stato comprensivo e dato che l'intero edificio scolastico era troppo grande da controllare, aveva acconsentito che i due agenti stazionassero fuori dall'aula della bambina.

Soddisfatto delle rassicurazioni della ex-moglie si mise a scrivere il rapporto sull'aggressione della sera prima. In realtà non c'era molto da dire, ma sperava che ricapitolando su carta tutto ciò che ricordava avrebbe potuto far riemergere dalla memoria qualche altro dettaglio importante.

Due ore dopo non era cambiato niente, tranne i cinque fogli spillati sulla sua scrivania contenenti il rapporto, pronto per essere archiviato. Steve si guardava bene dal leggere i rapporti e la polizia di Honolulo non ne aveva fatto richiesta. Gli uffici della HPD si erano limitati a mandare un'e-mail dichiarante la loro disponibilità a prendere in consegna il caso dell'aggressione in cui si accennava vagamente alle condizioni di Chin, tra le righe si leggeva che era pura formalità. Tutti alle Hawaii sapevano che se uno dei membri dei Five-0 era coinvolto, diventava una questione personale per tutti gli altri e con la piena immunità ricevuta dal governatore...era meglio stare alla larga dal team d'élite il più possibile.

L'unico risultato che quella email otteneva era di ricordargli che Chin era in ospedale e che lui, Danny, non era riuscito a proteggerlo. Si passò le mani sul volto cercando di scacciare quel pensiero, era troppo tardi per cambiare le cose.

Scrutò l'orologio e notò che era quasi l'ora delle visite all'ospedale, dal momento che non sapeva che pesci prendere sulla setta Disney, tanto valeva dare il cambio a Kono sul caso Montoya e lasciare che andasse dal cugino.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Brandon e Steve ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.


N.A.: Vi devo delle scuse, ci sono stati un po' di problemi familiari ultimamente, ovviamente in queste situazioni si sovrappongono gli esami, le lauree degli amici e tutto il resto e mi era passata per qualche giorno la voglia di scrivere...
Ora che è tornato tutto alla normalità (Normalità? Che vuol dire? Quale normalità?) dovrei tornare ad aggiornare più o meno (o meno o meno o meno o meno....) regolarmente.
Vorrei approfittare di questo spazio per ringraziare due persone che mi sono state particolarmente vicine e che quasi quasi eleggo a mia famiglia adottiva :), ma se metto in pubblico i loro nomi ho paura che questa storia resterà inconclusa causa mia morte prematura XD.

Per quanto riguarda questo capitolo ringrazio calorosamente il generatore di nomi casuali del sito Seventh Sanctum (per tutti quelli che non lo conoscono consiglio di andare a darci un'occhiata), gli hotel e le ambientazioni descritte sono frutto della mia fantasia e non rispecchiano veri alberghi hawaiiani.

Dopo avervi rubato più tempo del necessario vi lascio a Brandon e Steve alle prese con i vari possibili sospetti. Non vedo l'ora di leggere i vostri commenti.

A presto!

 

Deb(h)

 

 

Quando raggiunsero l'auto Steve passò la lista a Brandon che la esaminò pigramente per qualche secondo, ignorando tutti i nomi e i luoghi indicati.

«Il primo, il quarto e il quinto hotel, sono vicini, direi di iniziare da lì.» Propose il comandante.

Brandon acconsentì, con scarso entusiasmo.

Erano arrivati vicini ad un tratto di costa dominato da grattacieli, tutti alberghi, contornati da parchi e spiagge private.

Il loro primo obiettivo era un palazzo in cemento e vetro, di cui primo era colorato mogano, rendendo l'edificio particolarmente riconoscibile. Steve accostò l'auto di fronte all'ingresso e allontanò il parcheggiatore mostrando il distintivo.

La scena si ripetette identica con la guardia di sicurezza all'ingresso.

Un portico con colonne sempre di cemento color mogano e vetro conduceva fino all'ingresso.

All'interno la hall era ricoperta in marmo bianco, con l'unica eccezione del bancone di legno pregiato. L'addetto della reception li squadrò sospettoso, domandandosi perché Jorge li avesse fatti entrare. Quando passò in rassegna l'abbigliamento di Steve, fece una smorfia di leggero disgusto che nascose facendo un discreto cenno ad uno degli addetti alla sicurezza, che posava statuario all'ingresso dei due ascensori panoramici.

«Signori, come, ehm, posso esservi utili?» si sforzò di dire educatamente. Da come vestivano era chiaro che nessuno dei due potessi permettersi una stanza in quell'albergo, perciò era pronto a farli cacciare fuori al primo segno di insistenza.

Brandon esibì il tesserino del FBI, facendolo apparire da una custodia in condizioni impeccabili proprio come i completi che indossava. Steve scostò la maglietta per mostrare il distintivo.

L'addetto parve più scocciato che altro, non poteva cacciarli e non poteva tenerli in mezzo alla Hall perché rischiavano di rovinare l'immagine dell'albergo. Entrambi gli agenti se ne accorsero e d'un tratto sembravano più ansiosi di lui di finire quella conversazione.

«Stiamo cercando Charle Von Thunge- annunciò Steve- sappiamo che alloggia in questo hotel.»

«Sì, il signor Von Thunge è uno dei nostri più graditi ospiti ci fa visita regolarmente due volte l'anno. Se volete parlare con lui, posso provare ad annunciarvi, ma in genere non è molto incline alle visite. Senza un mandato non sono autorizzato a indicarvi la sua camera o i suoi orari.» Spiegò l'addetto.

«No, lasci perdere.» affermò Steve.

Brandon si voltò e si affrettò verso l'uscita, mentre il comandante si tratteneva qualche secondo in più per ringraziare e salutare.

Steve raggiunse il federale, che se ne stava già appoggiato alla macchina, aveva sempre pensato che l'educazione fosse un requisito importante per entrare al bureau, evidentemente si sbagliava e pensare che sembrava piuttosto a suo agio appena entrati.

«Uno in meno dalla lista?» domandò sbadigliando l'agente Teagan.

«Sì, se viene qua regolarmente, non è certo venuto per far un favore a Montoya.» rispose il SEAL.

 

Al secondo hotel che visitarono la scena si ripeté più o meno nello stesso modo, con l'unica differenza che Patti Whitley, aveva lasciato l'albergo il giorno precedente.

Il terzo hotel era poco distante, un altro edificio lussuoso, con una buona sicurezza, che non era entusiasta di farli entrare.

Due fontane accoglievano i visitatori di fronte all'ingresso, una su ogni lato dell'immensa porta a vetri, le loro vasche si estendevano sotto la grande vetrata e si ricongiungevano in un fiume-piscina all'interno della hall; un ponticello che sembrava uscito da un quadro di Monet, guidava ospiti e visitatori fino al bancone della reception.

L'addetto al ricevimento degli ospiti, a scapito della sua aria aristocratica, si era mostrato molto più gentile e disponibile di quanto non fossero stati i suoi colleghi: Richard Ferna era arrivato tre giorni prima e stando a quanto era stato in grado di dire l'addetto alla reception era la prima volta che l'uomo si trovava lì.

Il loro sospetto attraversò la hall, proprio mentre Steve stava discutendo animatamente con l'addetto per sapere il numero della sua stanza. Fu Brandon a notarlo per primo, che annoiato dalla conversazione stava dando le spalle al bancone e si godeva il panorama sul gruppetto di ragazze in piscina.

«Richard Ferna, fermati immediatamente» gridò attirando l'attenzione di tutti. L'uomo si fermò per un istante sorpreso, poi vedendo le armi iniziò a correre lasciando cadere il telefono al quale parlava fino ad un istante prima.

Il federale si lanciò subito all'inseguimento e Steve non fu da meno. Uno degli addetti di sicurezza dell'albergo, reagì immediatamente cercando di intercettare i tre che stavano gettando scompiglio nel salone. Brandon riuscì a evitarlo per un soffio, ma il SEAL non fu altrettanto fortunato; l'addetto di sicurezza lo bloccò.

Il federale nel frattempo raggiunse Ferna sul ponte con poche rapide falcate e nel tentativo di fermarlo, capitolarono entrambe nell'acqua, sollevando una nuvola di schizzi e una serie di gridolini acuti dalle ragazze che stavano facendo il bagno.

Quando riemersero, il federale stava tenendo ben fermo Ferna e Steve che finalmente era riuscito a liberarsi dell'addetto alla sicurezza e a mostrargli il distintivo, li aspettava a bordo piscina, pronto ad ammanettarlo. Le guardie di sicurezza dell'hotel, nel frattempo sembravano uscite da ogni dove e Steve ancora una volta dovette mostrare il distintivo, dichiarando ad alta voce di essere dei Five-0.

«Bene, ora noi tre ci faremo una bella chiacchierata.» bisbigliò Steve al sospetto appena ammanettato, la sua voce che suonava ancora più minacciosa.

Il direttore dell'hotel era sceso ad assestare la situazione e aveva acconsentito a mettere a disposizione la stanza di Ferna, per poterlo interrogare.

«Hai due possibilità» iniziò a spiegare Steve, quando erano rimasti solo lui Brandon e il sospettato nella stanza.

«La prima-proseguì- è parlare con le buone, la seconda, vedi... il bello dei Five-0 è che sono autorizzati ad utilizzare metodi 'non convenzionali' per così dire.»

«Lui non è dei Five-0, lui è un federale, deve attenersi alle regole.» affermò sicuro Ferna, richiamando le presentazioni fatte a bordo piscina dopo l'arresto.

«L'indagine è dei Five-0, dovrò adattarmi.- rispose Brandon, sentendosi preso in causa- altrimenti, mi sarà sufficiente lasciare la stanza e darvi l'opportunità di parlare in privato.» terminò con una leggera risata.

Ferna non sembrava così intimorito anche se era solo un contabile che si occupava di riciclare denaro. Un paio di spessi occhiali da vista abbandonati sul tavolino, sembravano indicare che portasse lenti a contatto, ma in passato, quegli occhiali uniti alla sua bassa statura gli dovevano aver procurato una discreta esperienza a trattare con i bulli.

Su indicazione del SEAL, Brandon utilizzò una delle lenzuola di seta per legare Ferna ai piedi del letto, sorridendo malevolmente quando cavò al sospetto un breve lamento, stringendo un po' più del dovuto. Steve appuntò mentalmente quel sorriso, dopo il tuffo in piscina che sembrava confermare i racconti di Chin e Danny del giorno precedente, aveva iniziato a essere più sospettoso del federale che del loro sospettato.

«Che legame hai con Montoya?» Chiese Steve, andando subito al dunque.

L'uomo parve rilassarsi un poco.

«So a malapena chi sia.»

«Come hai iniziato a lavorare per lui?»

«Non ho mai detto di lavorare per lui, solo perché so chi è non vuol dire che lavoro per lui. Tutti sanno della famiglia Montoya di questi tempi.» si difese Ferna.

«Perché scappavi allora?» insistette Steve.

«Affari miei!»

Brandon istintivamente fece un gesto simile a quello di uno schiaffo, passò la mando ad un soffio dalla faccia di Ferna e andò ad afferrare il lenzuolo per strattonarlo, facendo premere Ferna più forte contro i supporti del letto. Il contabile sembrò soffrirne, ma evitò di lamentarsi.

«Allora perché scappavi?» ripeté la domanda Brandon alzando la voce.

Ferna all'inizio non rispose.

«Credete di farmi paura?»

«No crediamo che a darci una mano hai tutto da guadagnarci.» affermò Steve, facendo comparire dalla sua tasca il cellulare di Ferna, che aveva raccolto nella hall.

Il criminale così sicuro di sé fino ad un momento prima, sembrò trasalire.

«Vediamo un po' le ultime chiamate effettuate.»

Steve premette alcuni pulsanti sul telefono.

«Beh vedo che non c'è Montoya tra i contatti.-affermò soddisfatto-Perché sei scappato?»

Steve avviò una chiamata.

«No, aspetta non puoi farlo.» protestò il proprietario del telefono.

«Oh, può farlo e come, sta a vedere.» gli rispose Brandon.

«Pronto signor Vernon, chiamo da parte di Richard Ferna...»

«No, aspetta, vi dirò tutto.»

«Sì, la volevo informare che...»

«Mi stanno dando la caccia, la Rondine, ha assunto dei sicari per uccidermi.»

«Scusi può rimanere un momento in attesa per cortesia?»

Steve coprì il microfono del telefono per rivolgere la sua attenzione a Ferna.

«È la verità lo giuro è la verità, ho fatto da intermediario in una transazione, quando ho scoperto con chi avevo a che fare sono scappato lasciando a metà la transazione. Il compratore, non l'ha più pagata, e ha dato la colpa a me di essermi nascosto i soldi.»

Steve tolse la mano dall'altoparlante, con grande orrore di Ferna.

«La volevo informare, che il signor Ferna è malato e non sarà disponibile per un paio di giorni, ma riprenderà regolarmente il lavoro appena sarà guarito. Lo scusi per l'inconveniente. Buona giornata.»

Ferna sembrò tirare un sospiro di sollievo.

«Chi è questa Rondine?» chiese Steve continuando a far dondolare il cellulare di Ferna davanti al volto dell'uomo.

«Oh mio dio, ma voi poliziotti non sapete mai niente? La Rondine è una delle più grandi ricettatrici di armi a livello mondiale e voi neanche sapete che esiste. Sono venuto alle Hawaii sperando di incontrarla e di chiarire la situazione.»

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** La Rondine ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.

Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.: Mie care lettrici e miei cari lettori gridate al miracolo: sono riuscita ad aggiornare quasi nei tempi annunciati! Sono particolarmente soddisfatta dato che nel weekend ero fuori nella splendida Trieste, splendida e fredda e piovosa, Trieste, forse sarebbe più appropriato. Perciò il capitolo è stato terminato oggi in pausa pranzo e revisionato un po' di fretta, spero di non essermi lasciata sfuggire niente.

Come tutti vi aspettate, in questo capitolo si scoprirà qualcosa in più sulla Rondine, il personaggio misterioso introdotto l'ultima volta. Spero che ne resterete affascinati quanto lo sono stata io a scriverla.

A presto!

De33y

 

 

«La Rondine, vero nome Christa Romanov.-stava spiegando Ferna- Non è una qualsiasi, è la migliore che si sia mai vista in circolazione. Le armi che lei acquista sembrano sparire nel niente, fino a che non riappaiono dal nulla dalla parte opposta del mondo. Nessuno sa come ci riesca. Questo è tutto quello che si sa di lei. Non conosco due persone che l'abbiano incontrata e la descrivano allo stesso modo: un giorno la Rondine è bionda con occhi chiari, parla russo e inglese con un marcato accento dell'est Europa; un altro è rossa, francese; c'è chi è pronto a giurare che l'ha vista e ha gli occhi neri come la pece e che è più americana della banconota da un dollaro. Quando l'ho vista io era rossa, aveva la faccia piena di lentiggini, ma gli occhi avevano lo stesso colore e la stessa freddezza del ghiaccio. Aveva un leggero accento britannico, niente a che vedere le altre descrizioni che ho sentito.»

«Deve esserci qualcosa in comune.» obiettò Steve.

«Età? Corporatura?» suggerì Brandon.

«Un metro e settanta, atletica, curve moderate, piuttosto anonima se non fosse per gli occhi. Sembrava su i quaranta, ma secondo molti era già attiva nel contrabbando ai tempi del muro di Berlino.»

La Rondine combaciava perfettamente con il profilo di un eventuale acquirente di Montoya,dopo tutto quella lista poteva non rivelarsi una caccia alle streghe. Steve organizzò una scorta per Ferna, per ringraziarlo della collaborazione e per tenerlo d'occhio, fino a che non fosse salito su un aereo il giorno seguente.

«Tu resta qui e aspetta la scorta, io esco ad avvisare gli altri.» ordinò Steve a Brandon.

 

Era di nuovo nella hall dell'albergo dove la situazione era stata riportata alla normalità e sembrava che l'inseguimento di prima non aveva mai avesse mai avuto luogo; l'unico che ne aveva memoria era l'addetto della reception che continuava a guardarlo sospettoso. Steve fece il possibile per ignorarlo.

«Sì, Danny, abbiamo qualcosa» Esordì, attendendo la reazione del collega.

«Devi cercare Christa Romanov e vedere cosa trovi, potrebbe essere lei l'acquirente di Montoya. Bianca, tra i quaranta e i cinquant'anni, un metro e settanta, atletica, nazionalità sconosciuta. Parla inglese francese e russo. Secondo Ferna è una trafficante d'armi internazionale. Non è molto, ma ti dovrai accontentare.»

«Ci sono altri nomi sulla lista, continuiamo a cercare.»

«No, non mi aspetto di trovare altro, ma tu e Chin avevate ragione su Brandon, è troppo in forma per fare lavoro d'ufficio. Voglio capire cosa ci nasconde, sarà più facile se non ha il tempo di pensare.»

Danny era d'accordo e promise da parte sua di cercare di capire in che rapporto stava con Janet, se aveva una doppia vita, la collega doveva sospettare qualcosa o addirittura esserne coinvolta.

 

Steve rientrò nella stanza e vide Ferna tirare un sospiro di sollievo, lo squadrò discretamente, cercando di non attirare l'attenzione di Brandon che in quel momento era tranquillamente sdraiato sul letto, ma il loro nuovo informatore non sembrava mostrare altri segni ad esclusione dei lividi che si era procurato durante il tentativo di fuga.

«Se vuoi andare ad avvertire i tuoi superiori ci penso io a lui.» disse al federale.

«No, se hai passato la notizia al quartier generale, sicuramente ci penserà la bionda.» rispose con noncuranza. Steve non poté fare a meno di inarcare un sopracciglio, all'appellativo che aveva usato per la collega.

 

«Era Steve ci sono novità!» esclamò gioviale Danny attirando l'attenzione delle due donne.

«Può darsi che abbiano trovato un potenziale acquirente.» spiegò il detective.

«Era uno di quelli sulla lista?» domandò Janet scettica.

«No. Christa Romanov, dovrebbe essere una trafficante d'armi internazionale.»

«La Rondine, ma certo! Come abbiamo fatto a non pensarci!» quasi urlò per la sorpresa Janet.

«Tu la conosci?» domandò Kono.

«Tutte le agenzie internazionali la conoscono, ma nessuno sa che faccia abbia. È una trasformista e parla alla perfezione almeno quattro lingue con vari accenti.»

Janet annunciò tutto quello che sapeva sulla Rondine, mentre Kono inviava la richiesta per avere accesso al fascicolo completo.

Janet finì di raccontare ciò che sapeva sulla trafficante d'armi anche se tutte le informazioni utili a identificarla coincidevano con quelle che aveva già ottenuto Steve, poi si allontanò per andare a fare rapporto telefonico ai suoi superiori.

«Ho provato a insistere perché facciano pressione per il fascicolo, ma sembra che non dobbiamo nutrire particolari speranze di vedere quel fascicolo a breve. Tutto quello che sono riuscita ad ottenere per ora è l'ultimo aneddoto sulle attività della Rondine, non abbiamo alcuna prova per poterlo chiamare diversamente.»

Le ultime notizie provenivano dall'Africa, sembrava che la Romanov avesse introdotto in Egitto, un carico di lanciarazzi proveniente da Kiev; le armi erano state riconosciute e sequestrate quando il compratore aveva provato ad utilizzarle, quando il nome della Rondine era apparso, di lei non c'era più nessuna traccia e nessuno aveva idea di come le armi fossero arrivate a sud del Mediterraneo.

Kono era riuscita a raccogliere un po' di informazioni e a ripescare alcuni articoli di cronaca relativi al sequestro di armi in Egitto e ad altri episodi che Janet riusciva a ricordare, le ci era voluto quasi un'ora durante la quale, Danny aveva notato che continuava a guardare l'orologio di tanto in tanto.

«Vai pure, ci pensiamo noi qua, porta i miei saluti a Chin. Ci vediamo nel pomeriggio.» la interruppe incoraggiante il detective.

«Kono sembrò scossa dai suoi pensieri.»

«Stai guardando l'orologio da almeno un'ora per paura di perderti l'orario di visita: vai e porta i miei saluti a Chin.»

Kono sorrise apertamente, per quanto la stanchezza di quei giorni glielo permettesse.

«Comunque credo che fino a che non ci inviano il fascicolo, questo è tutto quello che possiamo ottenere.» affermò aprendo la cartella dove aveva salvato tutto il materiale.

Janet non era intervenuta in quella discussione e aveva tenuto gli occhi bassi sullo smart table, segno che la rissa della sera prima aveva chiarito diverse cose. Danny guardò velocemente il materiale che Kono era riuscita ad accumulare, la cartella conteneva un discreto numero di file, soprattutto anche se erano soprattutto pagine di giornale. Era un altro lungo e noioso lavoro di ufficio che avrebbe portato a pochi risultati.

«Andiamo anche noi a mangiare qualcosa?» suggerì rivolgendosi all'agente Shelley, cercando di apparire il più cortese possibile, anche se lei sembrava pronta a muovere di nuovo guerra al primo passo falso.

Lei gli rivolse un sorriso stentato e acconsentì, sapeva di dover appianare i rapporti con la squadra se voleva proseguire il lavoro.

 

La conversazione in realtà si stava rivelando meno spiacevole del previsto per entrambe era iniziato tutto con lei che spiegava come si stava trovando alle Hawaii, difetti e pregi delle isole e si erano trovati decisamente d'accordo sulla eccessiva presenza di ananas in qualsiasi cosa fosse servita nei piatti, partendo dal più e dal meno Danny era arrivato a raccontare di qualche caso dei Five-0 e altrettanto naturalmente aveva iniziato a chiederle di lei e Brandon.

«Sono diversi anni che lavorate sul caso Montoya, giusto?»

«Tre anni.» rispose Janet che sembrava piuttosto rilassata.

«Tu e Brandon avete iniziato a lavorare insieme su questo caso o vi conoscevate già da prima?»

La ragazza guardò per un momento altrove, prima di rispondere con tono malinconico.

«No, ci eravamo già conosciuti prima.»

«Scusa, non pensavo di aver fatto una domanda delicata.»

«No, non preoccuparti non potevi saperlo, ero in una situazione difficile e... Brandon...mi ha aiutato ad uscirne incolume. Poi ci siamo persi di vista fino a che non ci siamo ritrovati a lavorare insieme su questo caso.»

«Come vi trovate a lavorare insieme, da quel poco che ho visto, sembra molto controllato, fino a che non ha qualche colpo di testa, come l'arresto dell'altro giorno e ho saputo che stamani ne ha fatto uno altrettanto rocambolesco e...» quello che è successo ieri sera avrebbe voluto aggiungere, ma lasciò la frase in sospeso, era meglio metterci una pietra sopra per il momento.

«Sì, a Brandon il rigido codice di condotta dell' FBI va un po' stretto a volte.-ammise lei ridendo- Quello che conta è che alla fine stiamo dalla stessa parte, giusto? Non è lo stesso tra te e il tuo partner?»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** La gang ***


Nel pomeriggio si trovarono a controllare alcuni indirizzi in una delle parti più povere della città.

Erano al settimo indirizzo della vista e appena misero piede nel quartiere le sentinelle di una gang locale iniziarono a lanciarsi segnali cercando di non farsi notare, ma Steve era addestrato ad individuare questi segnali. Nei SEAL aveva imparato che riconoscerli in tempo poteva fare la differenza tra vita e morte, tra successo e fallimento, sia che stessero per finire in un'imboscata, sia che indicassero che il loro obiettivo era vicino e qualcuno cercava di avvisarlo.

Steve andò in allerta riconoscendo i gesti, ma evitò di andare a cercare subito la pistola, probabilmente sarebbe bastato poco con un accoglienza del genere a finire in mezzo a una sparatoria. Il comandante si limitò a continuare ad osservare, c'era una certa tensione nell'aria, ma il quartiere sembrava tranquillo, forse la gang si occupava solo di mantenere la sicurezza nel quartiere più che di creare scompiglio e violenza ed era semplicemente diffidente di ogni faccia nuova che metteva piede nel quartiere. Se così era significava che ne i Five-0 né la polizia stavano facendo abbastanza per mantenere l'ordine sull'isola, riconobbe con rammarico e si promise di cercare una soluzione, ma ammise che il loro sistema era funzionale.

«È da un po' che ci stanno tenendo d'occhio - commentò Brandon sottovoce, – Pensi che ora arriverà anche il capo?» mentre parlava spostava lo sguardo da una sentinella all'altra fino a fermarsi su una persona che a Steve era sembrata innocua, ma che osservandola meglio si accorse che li stava definitivamente spiando.

La domanda del federale si rispose da sola, perché proprio in quel momento un uomo sulla trentina uscì da un negozio sul lato destro della strada attirando l'attenzione di tutti i passanti che si voltarono a guardarlo, chi con timore, chi con gratitudine. Le sentinelle si acquietarono immediatamente e sembrava che la strada si stesse caricando di attesa, l'uomo si sistemò la camicia lasciando spuntare una semiautomatica incastrata nei jeans. Insieme a lui, c'erano un altro uomo di poco più giovane e ben armato, e un ragazzo piuttosto muscoloso, che sembrava disarmato, ma Steve era pronto a scommettere che anche lui avesse almeno un revolver nascosto dietro la schiena.

«Benvenuti nel nostro quartiere signori, qua non creiamo guai e non amiamo gli estranei.» esordì il capo.

Steve vide Brandon guardarsi attorno e puntare un paio di cecchini sui tetti dei negozi vicini, la situazione sarebbe potuta degenerare in fretta. Con tre persone armate a distanza ravvicinata e due cecchini dubitava che sarebbero riusciti ad uscirne vivi, il fatto che non fosse nell'interesse di nessuno iniziare a sparare non servì a rassicurarlo molto.

«Nemmeno noi siamo in cerca di guai - rispose Steve, cercando di chiarire subito la loro posizione - ma pensiamo che i guai possano esser venuti a cercare voi.»

Steve fece una pausa per mostrare la foto dal cellulare.

«Abbiamo avuto notizie che quest'uomo si stia nascondendo in quell'albergo.» disse indicando l'edificio alla fine della strada.

Il capo prese il cellulare dalla mano di Steve e osservò la foto, sembrò riconoscere quella faccia, poi chiese:

«Cosa ha fatto di male?»

«Temiamo che possa lavorare con un noto trafficante d'armi.»

«Uno di quelli che non si farebbe scrupoli ad ammazzare un bambino.» aggiunse Brandon.

«Hei! Henrique vieni qui.» un bambino, di non più di 10 anni arrivò correndo e fece un gesto molto simile al saluto militare quando fu davanti al capo, strappando a tutti una risata.

L'uomo si piegò all'altezza del bambino per sussurargli qualcosa nell'orecchio e poi quest'ultimo ripartì a corsa.

Quell'immagine da sola, dimostrava che Brandon con i bambini aveva decisamente toccato un tasto delicato.

«Solo un minuto signori- annunciò l'uomo- comunque io sono Jeff, di chi ho il piacere di fare la conoscenza?»

I due agenti si presentarono e i cecchini sembrarono rilassarsi Jeff continuò a riempirli di convenevoli e spiegò come funzionavano le cose nel quartiere confermando l'impressione iniziale di Steve sullo scopo della gang. Dopo qualche minuto un gruppetto di ragazzi, in età da college, arrivò stringendo in mezzo a loro il sospettato che cercavano.

L'uomo aveva qualche livido molto recente, probabilmente conseguenza di come Brandon l'avesse presentato. Niente di allarmante, ma quando mezz'ora dopo, fuori dal quartiere, Steve si rese conto che quell'uomo non aveva niente a che vedere con Montoya, si sentì in colpa per avergli fatto avere quel trattamento. Si chiese se Brandon fosse stato così lungimirante da averlo pensato prima di tirare in mezzo i bambini o se stesse solo cercando di accattivarseli.

Dopo un altro paio di sospetti, trovati in relativa tranquillità rispetto al precedente, Brandon e Steve tornarono al quartier generale.

 

Appena usciti da lavoro lui e Danny si erano precipitati all'ospedale da Chin e avevano atteso fino a che il collega non aveva ordinato loro di portare Kono a casa. La ragazza si stava addormentando sulla sedia accanto al letto nonostante l'animato chiacchiericcio degli altri, ma si svegliò all'istante protestando veemente alla richiesta. Nessuno ammise repliche e mezz'ora dopo si trovò trascinata quasi a forza nella Camaro di Danny, con la promessa che non si sarebbe mossa di casa fino al giorno successivo.

Nel viaggio di ritorno a recuperare la propria auto, Steve raccontò a Danny della giornata.

«Fammi capire bene.- lo interruppe Danny con forza – tu razza pazzo che non sei altro, hai scelto un indirizzo in una delle parti peggiori della città, dove almeno un terzo dei poliziotti dell'idola non osa mettere piede, solo per vedere come Brandon reagiva?»

«Non la fare così tragica, in quel quartiere le cose sono stabili ed eravamo là per fare pulizia, stavamo facendo loro un favore, non avevano alcun motivo di attaccarci.» Disse in sua difesa Steve.

«Eh beh, allora va tutto bene così, con tre persone armate in mezzo alla strada, due cecchini sui tetti e chissà quanti altri pronti dietro alle finestre e tutti questi, ripeto tutti, pronti a spararti.» spiegò il biondo, che quella sera stava gesticolando più che mai.

Steve cercò di minimizzare:

«La stai facendo troppo tragica Danno, mi sembra che sono ancora qui, no?»

«Non è questo il punto!»

«Giusto hai ragione, il punto era capire chi è Brandon e credimi è molto più addestrato di quanto non sarebbe avendo passato solo due anni nell'esercito. Buon spirito di improvvisazione, reagisce in fretta, attento hai dettagli, sa come trattare con questa gente...Brandon ha decisamente accumulato esperienza sul campo.»

«Già, ma ancora continui a ignorare il mio punto, tu non puoi comportarti come se tu fossi invincibile.»

«Sono ancora qui, no?» ripeté Steve facendogli l'occhiolino.

Danny gettò le mani in aria, perdendo una volta per tutte le speranze di farlo ragionare.

«Chi diavolo abbiamo accolto in casa?» domandò Danny riferendosi al federale, ma calò il silenzio in auto, poiché nessuno dei due era ancora in grado di rispondere a quella domanda.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Brandon Teagan ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.

Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.:Ok, confesso che negli ultimi due capitoli non ho fatto i compiti: non so se in realtà ci possano essere quartieri gestiti da bande alle Hawaii e in questo capitolo ci sono situazioni mediche e documenti burocratici molto approssimativi, spero che questo non offenda la sensibilità di nessuna selle mie lettrici e nessuno dei miei lettori.

Senza aggiungere chiacchiere, vi lascio alla storia, che so che è il vero motivo per cui siete qui.

 

 

Chin era stato dimesso dall'ospedale, il terzo giorno dopo il ricovero, con la condizione di stare a riposo e di tornare per l'intervento chirurgico alla mano. Il giorno seguente si era presentato in ufficio a vedere se poteva essere comunque d'aiuto in qualche modo; aveva dovuto litigare un po' con tutti per restare lì, inclusi Janet e Brandon che pensavano che la sua presenza avrebbe indotto gli altri a preoccuparsi per lui e li avrebbe distratti dal loro lavoro. In realtà l'intervento dei due federali aveva giocato a suo favore, perché la cugina pur di dar loro contro aveva appoggiato la sua idea di rimanere in ufficio e pure Danny e Steve avevano assunto posizioni più moderate al riguardo.

In quel momento stava vagliando i dati raccolti negli ultimi giorni, era stato tenuto al passo da Kono che gli dava gli aggiornamenti tutte le volte che andava a trovarlo, ma sperava di poter trovare qualche indizio che era loro sfuggito.

 

Steve era uscito con Brandon a controllare una nuova pista fornita da Kamekona, mentre Danny Janet stavano andando a interrogare uno dei vecchi soci di Delano, sperando di ottenere qualche possibile contatto della Rondine in zona. Questa organizzazione si ripeteva da ormai qualche giorno. Dopo che i sospetti di Steve e Danny su Brandon si erano fatti sempre più pressanti, il comandante aveva deciso, che la cosa più sicura fosse di tenere Brandon lontano dalla squadra e quindi se lo portava dietro a seguire ogni piccola pista, anche la più insignificante.

Danny condivideva i suoi sospetti, ma non la sua tattica, temeva che i due sarebbero potuti arrivare allo scontro fisico e anche se Steve se la sarebbe giocata alla pari non ne sarebbe certo uscito indenne. L'aveva detto a Steve con tono polemico, mettendo su un teatrino dell'astratto con le mani e coniando qualche nuovo aggettivo per l'occasione, ma quell'animale non lo era stato a sentire. Da parte sua aveva iniziato a fare la stessa cosa con Janet, anche se sembrava molto meno pericolosa.

La fortuna sfacciata che avevano avuto nei giorni precedenti, trovando indizi utili cercando quasi a caso, era stata molto di aiuto per convincere i federali che quel girovagare era necessario e che i risultati non erano solo fortuna, ma episodi frequenti dovuti alle dimensioni ridotte dell'isola.

I due Five-0 avevano aggiornato Kono con i loro dubbi e la ragazza aveva approfittato del rientro di Chin, che sbrigava buona parte del lavoro di ufficio sul caso Montoya, per indagare sul federale. Ìla poliziotta aveva sentito separatamente le versioni di Steve e Danny, il più dettagliate possibili sull'arrivo dei due federali e sul comportamento di Brandon sul campo, in modo da avere un quadro completo su tutti gli indizi che doveva cercare.

In cuor suo Kono sperava di trovare qualcosa contro di lui, le sue continue battute e insinuazioni, come quando l'aveva paragonata a una principessina viziata la sera dell'incidente di Chin, glielo rendevano sempre più intollerabile.

Per prima cosa aveva richiamato il fascicolo dell'FBI.

 

Brandon Teagan nato il 23 Dicembre 1980. Caucasico, altezza 1,85. Nessuna foto. Originario del Nebraska, era stato nell'esercito due anni dal 1998 al 2000, partecipando ad alcune missioni umanitarie al secondo anno, ma nessun'altra esperienza sul campo. Nel 2001 si era trasferito in Virginia per frequentare l'accademia dell'FBI e al termine era stato spostato nella sede di Los Angeles, dove era rimasto fino a quando non era tornato alla sede centrale di Quantico ed era stato assegnato al caso Montoya.

Il fascicolo dell'FBI era oscurato in molte poche parti e dove era visibile confermava tutto ciò che Brandon aveva detto loro. Quelle oscurate erano la foto e alcune righe relative a incarichi svolti a Los Angeles, probabilmente aveva lavorato a qualche caso sotto copertura o delicato o ancora aperto e che pertanto sarebbe dovuto rimanere segreto.

Il fatto che non ci fosse niente fuori posto, le stava dando sui nervi, forse avevano avuto l'impressione sbagliata su di lui.

In California poteva essersi trovato spesso a confronto o a dover trattare con le bande e questo poteva spiegare il comportamento del giorno precedente, non bisognava aver per forza visto della guerriglia nel terzo mondo per imparare una cosa del genere. Il suo allenamento poteva essere davvero frutto di un'interesse personale, dopotutto bastava guardare Steve: erano quasi tre anni che aveva lasciato la marina ed era ancora in perfetta forma come il giorno in cui l'aveva conosciuto.

Rimaneva una sola cosa da fare per convincersi del tutto dell'onestà di Brandon: richiamò il fascicolo militare, sicura di trovarci qualche corso o addestramento particolare in grado di spiegare le sue tecniche.

Anche nel fascicolo militare la foto era oscurata, per quanto riguardava l'allenamento riportava buoni risultati atletici, ottimo tiratore, bravo nel corpo a corpo, niente di particolare.

Il fascicolo conteneva gli esiti di alcune missioni, nessuna di importanza primaria, tutte missioni umanitarie pienamente divulgate. L'ultima missione riportava notizie di un attacco a sorpresa ai danni delle truppe, Kono proseguì la lettura cercando di capire se Brandon poteva già dimostrare le stesse doti all'epoca, la sua attenzione fu catturata dall'esito di quella missione:

«Il soldato semplice Brandon Teagan ha riportato una grave frattura dell'Omero in servizio...» Brandon aveva un ferro nella gamba.

Cercò altre cartelle mediche, qualsiasi altra cosa legata a quella ferita cercando interventi di rimozione, ci vollero quasi tre ore per ottenere la cartella completa, ma confermava il suo dubbio, forse il loro istinto aveva ragione, di nuovo.

Corse a mostrare i suoi risultati al cugino, che confermò allarmato la sua ipotesi e insieme chiamarono McGarrett.

«Pronto Steve?»

«Hey Kono, ci sono novità? Come sta andando Chin?»

«Dobbiamo farti una domanda molto importante, puoi parlare?» disse l'ex poliziotto, ignorando la domanda.

Steve si allontanò da Brandon di qualche metro.

«Che succede?»

«Quando siete arrivati Brandon è passato sotto al metal detector?» chiese Chin

«Certo, come tutti la prima volta, è il regolamento, Danny non ha voluto sentire scuse.»

«È scattato?» chiese di nuovo l'uomo.

«No, non è scattato, gli avevamo fatto posare le pistole, perché?»

«Steve ascoltami bene,-riprese Kono- l'agente Brandon Teagan ha un ferro a sostegno dell'omero sinistro.»

Steve rimase in silenzio elaborando la notizia.

«Chiunque sia quello che è con te adesso non è chi dice di essere, non è Brandon Teagan.» precisò Kono.

Ci fu un attimo di silenzio, prima che il comandante trovasse le parole.

«Riuscite a capire a quando risale lo scambio?»

Kono cercò di formulare delle ipotesi.

«Foto e impronte sono coperte da segreto, probabilmente a causa di lavori sotto copertura non andati a buon fine o altro, sul fascicolo dell'FBI che riusciamo a vedere c'è solo la carriera e coincide con quella militare, fino a quando è stato nell'esercito, potrebbe essere avvenuto all'epoca lo scambio...»

«O potrebbe essere avvenuto ora.-concluse Steve per lei.- Avvertite Danny, se lo scambio è recente, Janet ne è a conoscenza. Controllate anche il suo fascicolo, assicuratevi che almeno lei sia chi dice di essere. Trovate un canale sicuro e inviate una richiesta per le parti di fascicolo coperte da segreto, appena posso chiamo il governatore e chiedo se può far qualcosa per accelerare i tempi. Devo andare ora, Brandon si sta insospettendo.»

«Steve...non fare altro di testa tua!» si raccomandò Chin, con qualcosa che assomigliava molto a una nota di rimprovero.

Steve staccò la chiamata e tornò da Brandon, avrebbe continuato a chiamarlo a quel modo almeno fino a che non avesse scoperto il suo vero nome.

«Tutto ok?» chiese l'impostore.

«Sì, Kono era preoccupata per Chin, sembrava sul punto di svenire, ma mentre eravamo al telefono si è ripreso.»

«Ve l'avevamo detto che tenerlo in ufficio sarebbe stata una perdita di tempo.» replicò acido e il comandante strinse i denti trattenendo insulti e pugni aspettava con ansia il momento in cui l'avrebbero smascherato una volta per tutte.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** L'interrogatorio ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.
Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.: Ciao al solito sono in ritardo sugli aggiornamenti,spero che ormai mi perdoniate.

Volevo ringraziare tutti quelli che leggono questa storia e un saluto particolare a chi lascia recensioni, spero di continuare a sentire le vostre voci.

Ci sono riferimenti alla trama dell'episodio 13 della terza stagione (già andato in onda anche nella versione italiana), se qualcuno ancora non l'avesse visto rischia di rovinarsi un po' la trama.

Buona lettura, a presto!

Deborah

 

«Danny, ci sono novità.» esordì Chin in tono grave al telefono, dopo essersi accertato che il collega non avesse il vivavoce attivo.

«Kono ha scoperto qualcosa?» chiese immediatamente, come se avesse letto loro nel pensiero.

«Sì, quello che noi conosciamo come Brandon Teagan, non è il vero Brandon Teagan.»

Allora chi diavolo è? Si domandò il detective, fermandosi un attimo a pensare se potesse essere sicuro fare una domanda del genere, con la federale seduta nell'abitacolo accanto a lui.

«Non siamo ancora riusciti a capire chi sia, ma ci stiamo lavorando, e non sappiamo quando può essere avvenuto lo scambio...Janet potrebbe essere coinvolta.» Aggiunse Chin, senza aspettare la sua domanda.

Danny involontariamente si girò a osservare la federale, lei lo guardò perplessa,

Merda. Doveva stare più attento.

«È lì accanto a te?»

«Sì, stiamo andando all'Halawi, vediamo se Paul sa darci qualche informazione sul nostro volatile preferito.»

«Stasera ci troviamo da Steve, per decidere come procedere. Nel frattempo, fai attenzione, Danny.»

 

«Ci sono novità?» chiese la federale sorridendo, non appena Danny ebbe chiuso la telefonata.

«Niente di che, Kono ha ripescato un altro articolo che potrebbe parlare della Rondine, mentre Steve e Brandon hanno fatto un altro buco nell'acqua.» Rispose prontamente il detective, ma le scuse banali stavano mandando in allarme la federale, per tanto aggiunse: «Ah... dimenticavo... Chin ha detto di portare i suoi saluti a Paul Delano.» sperando di alleggerire un po' l'ambiente.

«Mi sembra di capire che ci sia una storia tra voi e questo Delano.» osservò Janet.

«Beh, modestie a parte, si può dire che la Five-0 ha una storia con tutti i maggiori criminali arrestati nell'arcipelago, da quando è stata fondata.»

«Tutto qui? Niente di speciale in questo caso?» domandò incredula.

«Secondo lei qual è questa storia?» la provocò, curioso di sapere quanto era informata su di loro e al contempo lieto che si fosse distratta da altre domande.

«Ho dato un'occhiata ai vostri fascicoli in questi giorni.» iniziò lei.

«Pensavo che ogni energia non dedicata al caso Montoya fosse energia sprecata.» la rimbeccò subito Danny, ma Janet ignorò il commento.

«Non mi ricordo di Paul Delano, ma c'era un altro Delano, Frank Delano, incastrato da un indagine sotto copertura di Kono. Liberato da Chin sotto ricatto, Delano uccide la moglie di Chin e muore il giorno successivo in uno scontro a fuoco proprio con Chin. Giusto?» Danny non avrebbe definito esattamente uno scontro a fuoco quello che aveva avuto luogo tra Chin e Delano, ma si attenne alla versione ufficiale, dopotutto anche lui era stato più volte nei suoi panni e se non avesse avuto nessuno qualche buona ragione o qualcuno a fermarlo avrebbe fatto la stessa cosa.

«Complimenti, hai proprio fatto i compiti. Paul Delano è il fratello di Frank. Pochi mesi dopo la morte del fratello, Paul ha rapito Chin, Chin era stordito e quando si è risvegliato era in una cella all'interno dell'Halawi Correctional Facility.»

«L'ha fatto rinchiudere in prigione? Come diavolo ha fatto? Perché?» Domandò Janet incredula.

«Il perché è ovvio: metà della gente che stava là dentro aveva un conto in sospeso con la Five-0; trovarsi davanti un membro della squadra, era come se Paul avesse fatto loro un regalo di Natale anticipato. Delano lo dava già per spacciato.» Spiegò Danny senza scendere troppo nei dettagli.

«Wow, storia interessante.» concluse la ragazza, facendo ondeggiare i capelli. «Davvero pensate che un tipo come questo possa collaborare?»

«Possiamo provarci, se la Rondine è un pezzo grosso come dice Ferna, può darsi che l'abbia sentita nominare.»

«Perché dovrebbe parlare? Cosa abbiamo da offrirgli?» domandò incuriosita.

Era una domanda più che legittima, nessuno aveva la minima voglia di offrire un patto a Delano per farlo uscire prima dopo quello che aveva fatto a Chin, c'aveva pensato anche lui fin da quando avevano deciso di percorrere quella pista. Le minacce erano l'unica soluzione a cui riusciva a pensare, c'erano infiniti modi per peggiorare la sua vita in carcere dopotutto.

«Nessuna idea?-chiese Janet- Lascia fare a me.» si offrì.

Danny le rivolse un sorriso di approvazione. Quell'interrogatorio sarebbe stato decisamente interessante, per più di una ragione.

 

Le guardie carcerarie portarono Delano in una delle stanze per gli interrogatori del carcere. Quando il detenuto fu messo in sicurezza lasciarono entrare Danny e Janet.

«Detective Williams, a cosa devo il piacere?» chiese Paul Delano riconoscendolo appena mise piede nella stanza. «Altri omicidi a sangue freddo da perpetrare in questi giorni?» chiese ironico.

Poi vide Janet entrare e si zittì, come ammaliato dal fascino della ragazza.

«Paul lascia che ti presenti l'agente Shelley. E per favore chiudi quella bocca, sei patetico, sembra tu non abbia mai visto una donna in vita tua.»

Il criminale si ricompose.

«Mi perdoni agente Shelley, la presenza femminile da queste parti scarseggia e di sicuro nessuna creatura bella come lei. Ha anche un nome?» chiese con tono lusinghiero.

«Per te solo agente Shelley.» tagliò corto Danny, ma Janet stava già parlando sopra di lui.

«Mi chiamo Janet.» aveva detto la ragazza, il detective si voltò ad osservarla con stupore e si rese conto che stava facendo gli occhi dolci a Delano, uniti al sorriso che aveva incantato sia lui che Steve.

«Sì, immagino che la compagnia femminile da queste parti non sia facile da trovare...» aggiunse Janet, mentre parlava aveva spostato la sedia sul lato del tavolo per mettersi vicino Paul.

«Mi hanno detto che tu sei Paul, giusto?»

Danny era sopreso, quasi sotto choc a vederla flirtare in maniera così disinvolta, ma gli aveva chiesto di lasciarla fare e quindi se ne rimase in un angolo in disparte ad osservare la scena.

Vide Paul annusare l'aria e gustarsi il suo profumo.

«Mi hanno raccontato la tua storia, mi dispiace davvero per tuo fratello, ma tu devi essere un tipo sveglio. Non tutti sono capaci di far finire un poliziotto in carcere, senza che questo neanche sappi come c'è finito.» Continuò Janet facendogli l'occhiolino.

«Quel bastardo aveva ammazzato mio fratello a sangue freddo, peccato che poi sia finita male.» disse con tono di spregio.

«Non siamo qui per rinvangare il passato Paul, siamo qui per il futuro.» Janet stava giocherellando con i capelli tutto il tempo, portandoli sulla spalla più vicina a Delano e lisciando distrattamente con la mano.

«Io non aiuto i Five-0.» affermò sprezzante.

Janet lanciò un'occhiata a Danny, che colse il suo segnale e uscì dalla stanza, correndo nella stanza a fianco a controllare i monitor di sicurezza.

«Ora siamo soli, nessun Five-0, solo io e te.» disse Janet avvicinandosi un po' di più

Delano allungò una mano verso i suoi capelli, come per assicurarsi che lei fosse reale, ma lei si ritrasse.

«Prima abbiamo bisogno del tuo aiuto Paul. Io ho bisogno del tuo aiuto.» ripeté mettendo in enfasi che fosse una cosa personale.

«Che cosa ci facevi con Williams allora?»

«Perché sono una ragazza che sa cosa vuole.-rispose maliziosa- Avevo bisogno di un mezzo per arrivare al mio fine.»

«I Five-0?» domandò perplesso.

Lei fece spallucce.

«Sono arrivata qui, giusto?» gli rimandò la domanda.

«Se ti aiuto cosa ottengo?»

Janet allungò le mani a prenderne una delle sue e l'attirò fino alla propria guancia guidandolo in una carezza.

Continuando a sorridere maliziosa.

Danny guardava la scena nello schermo, in parte disgustato, anche se sapeva che in quel modo avrebbero ottenuto le loro informazioni. Non poteva fare a meno di domandarsi quanto in la si sarebbe spinta se non fossero stati nell'ambiente controllato della prigione.

«Di cosa hai bisogno, mia cara Janet?»

«Ho un conto in sospeso con la Rondine, ma non so come trovarla.» disse lei.

«La Rondine? Se lei ha un conto in sospeso con te saprà come trovarti non temere.» disse ridendo Paul.

«E se fossi solo io a voler trovare lei? So che deve far tappa alle Hawaii in questi giorni.»

«Buona fortuna!» esclamò scarcastico.

«Tutto qui? Mi aspettavo un po' di più Paul.» chiese lei imbronciandosi, riappoggiando le proprie mani sulle sue.

«Sei matta da legare, lo sai?»

Lei rise e lo invitò a proseguire.

«C'è un sito, un forum, dove a volte vengono lasciati annunci in codice per la Rondine, ma deve essere lei a decidere di contattarti, nessuno è mai riuscito a trovarla altrimenti.»

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Il Forum ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta. Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.: Grazie a tutti quelli che stanno leggendo e per le parole di incoraggiamento che puntualmente ricevo ad ogni capitolo, siete fantastiche.

Ecco l'esito dell'interrogatorio di Janet e gli sviluppi della storia. Le note d'autore continuano alla fine del capitolo. Spero di riaggiornare prima di Natale, ma non faccio nessuna promessa.

 

«Indirizzo web e credenziali d'accesso dei Delano. Altri codici usati sul sito... abbiamo tutto quello che ci serve!» Esclamò trionfante Janet uscendo dalla stanza degli interrogatori.

«Hai fatto un ottimo lavoro» convenne Danny che aveva visto tutto sul video, ricambiando il sorriso. La federale aveva continuato a provocare e stuzzicare Paul, movimenti sensuali, doppi sensi, ma alla fine non gli aveva concesso niente più di qualche carezza. Le informazioni che aveva ottenuto, se si fossero rivelate esatte, invece potevano essere una svolta sulla Rondine e presumibilmente sul caso Montoya.

La ragazza sospirò stancamente, disse di aver bisogno di un po' d'aria e si congedò da Danny, lasciandolo a finire tutta la burocrazia del caso con le guardie della prigione e limitandosi a firmare la propria uscita.

Il detective guardò la ragazza allontanarsi, Kono non aveva ancora richiamato per confermare o negare l'identità della ragazza, ma quell'allontanamento repentino aveva messo in allarme il suo istinto da poliziotto. Forse era solo particolarmente sospettoso dopo quello che avevano scoperto su Brandon ed era sicuro che quell'interrogatorio particolare doveva aver richiesto davvero molte energie da lei, ma non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che ci fosse di più sotto.

Colse l'occasione quando una giovane guardia che aveva conosciuto poco prima, passò lì vicino. Mike, questo era il nome del ragazzo, non raggiungeva i trentanni, carnagione chiara, tutto pelle e ossa; era con lui a vedere il video e quasi aveva sbavato sullo schermo alla vista di Janet, ma quando la federale li aveva raggiunti si era ritirato nell'angolo più lontano della stanza intimorito.

Danny era sicuro che non si sarebbe lasciato scappare l'occasione di guardarla a distanza ancora per un po'.

«Hey Mike, ho bisogno di un favore. Ho avuto l'impressione che la mia collega non si sentisse molto bene. È andata fuori a prendere una boccata d'aria, potresti andare a controllare come sta? Non occorre che tu la disturbi, solo vai a darle un'occhiata da parte mia e poi vieni a riferirmi, ok?»

Come previsto il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e congedandosi con un «sissignore» corse nella direzione in cui era sparita Janet.

Danny nel frattempo si mise a firmare e completare tutti i documenti, questionari sullo stato del detenuto, sui motivi e gli orari della visita e firmare varie dichiarazioni. L'impiegato che glieli stava porgendo quel giorno era piuttosto disorganizzato e ci vollero quasi dieci minuti prima di finire. Mike era tornato a due fogli dalla fine:

«La sua collega sembra stare bene signore. Parlava al telefono e sembrava abbastanza energica da come si muoveva e gesticolava. Anche il tono sembrava piuttosto deciso, ma non ne sono sicuro, per paura disturbarla, come ha detto lei signore, sono rimasto a distanza in modo che non mi vedesse, e non riuscivo a sentire quello che diceva.»

Danny aveva ringraziato il ragazzo, rassicurandolo che aveva svolto il suo compito alla lettera.

 

 

«Ah eccoti! Giuro che non solleverò un'altra penna fino a domani.» disse con tono enfatico il detective non appena ebbe raggiunto la collega.

Lei gli rispose con un sorriso, non stava più parlando al cellulare e aveva già avuto il tempo di riporre l'apparecchio fuori vista: «Se sei così esausto guido io...» si offrì.

«Pure tu? No, grazie credo che sopravvivrò il tempo necessario per guidare fino all'ufficio, almeno fino a che avrò la possibilità di guidare la mia macchina.»

Janet rimase perplessa.

«Lascia perdere è una lunga storia, parla di un animale preistorico con manie di controllo.»

Janet lo guardò ancora più confusa, perciò decise di cambiare argomento.

«Quindi quella tecnica di interrogatorio ve la insegnano all'FBI?»

«Beh... più o meno. Abbiamo ottenuto le informazioni che volevamo o no?»

Questa volta fu Danny a ridere e poi suggerì di chiamare al quartier generale per dar loro la possibilità di sfruttare subito quelle informazioni.

Janet da parte sua disse di dover riferire anche ai suoi superiori e si ritrovarono entrambi al telefono.

 

* * *

 

Kono e Chin si erano messi subito al lavoro sulle nuove informazioni passate da Danny: il forum esisteva davvero e le credenziali d'accesso erano ancora valide. Non speravano di aver così tanta fortuna; dato che uno dei Delano era morto e l'altro in prigione si aspettavano che l'account fosse stato bloccato o sospeso in qualche modo.

La pagina ''La Rondine: Family helper'' sembrava quella di un normale forum di consulenza familiare.

La presentazione spiegava che il sito era nato per dare la possibilità a tutti di parlare dei propri problemi quotidiani e familiari, in un ambiente informale e amichevole.

Kono passò a leggere il primo annuncio:

''Mia moglie si lamenta sempre perché sono ingrassato, mi ci vorrebbero 10 giorni di dieta stretta, ma il medico ha chiesto ben 50 dollari per ogni giorno. E poi vorrebbe anche che fossero ricette veloci e originali di quelle che si preparano da sole, senza far tanta confusione.''

''Per quella cifra ti passo le mie ricette, ti assicuro che sono sempre originali e proprio come servono a tua moglie. Mi faccio sentire prima di prendere il volo, così ci accordiamo.''

Kono lesse l'annuncio più volte, se non fosse stato per le informazioni raccolte da Danny e Janet, non avrebbe pensato che potesse essere un sito di vendita di armi e invece era tutto lì alla luce del giorno. 'Ingrassato' per dire che comprava le armi al chilo, il primo numero andava moltiplicato per 10 e dava in questo caso il numero di chili, il secondo numero andava moltiplicato per mille ed era il prezzo. Poi tutte le caratteristiche: non tracciabili, automatiche e con silenziatore.

''Aiuto! Questa notte non ho chiuso occhio, mio figlio si è svegliato cinque volte e ancora non so cosa voglia, però è davvero pesante. Darei qualunque cosa per poter rimediare...''

''Prova con un libro di ninnananne, se vuoi ti posso procurare dei tomi che sono dei veri mattoni. Se sei interessato mi devi un appuntamento, stesso posto stessa ora dell'ultima volta?''

«Guarda questo!-esclamò Chin divertito, dopo aver letto l'annuncio- Dovrebbe trattare di artiglieria pesante. Cinque pezzi, non importa il prezzo.»

«Il compratore ideale» scherzò Kono.

«Sì, infatti ha accettato e non doveva essere la prima volta che i due facevano affari insieme.» osservò Chin.

«Sembra stiano parlando di un bambino, non c'è nessuna parola che possa far scattare un allarme. Se questa Rondine tratta gli affari con la stessa cautela con cui tratta questo forum, sarà dura incastrarla.» rifletté a voce alta la giovane poliziotta.

Chin annuì leggermente con la testa e i due si rimisero a leggere, si erano divisi il compito a Kono le pagine pari a Chin quelle dispari.

«Eccolo qua!» esclamò Kono dopo una mezz'ora di lavoro in silenzio, poi lesse a voce alta.

«È un utente che si firma: 'lo Spadaccino Spagnolo'. 'Aiuto! Con questo caldo il giardino sta diventando un deserto e i ragazzi non hanno più un posto dove giocare, se penso a quanto ha piovuto quest'invero... stavo pensando di aggiungere una cisterna, e di lasciare che si riempia goccia a goccia. 5000 litri direi che potrebbero bastare per far passare l'estate a circa 25 alberelli. Poi ci metto un piccolo sistema di irrigazione semi-automatico. Cosa ne pensa la mia Bottondoro?'»

 

A.N.: Giochino per le vacanze: chi di voi riesce a decifrare l'ultimo messaggio? E perché ha attirato l'attenzione di Kono?
Spero di riaggiornare prima, ma nel caso non ci riuscissi:
Buon Natale!

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** First Hawaiian Center ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta. Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa storia.

 

A.N.: Eccomi di ritorno! Come è andato il Natale? Qualcuno era finito sulla lista dei cattivi di Babbo Natale?

Io, ho ricevuto il regalo, ma con la minaccia che se non aggiornavo la storia entro la fine dell'anno sarebbe tornato a riprenderselo, quindi eccoci qui un altro capitolo, un altro pezzettino in più.

Tanto lo sappiamo il regalo più bello siete voi che leggete queste storie e dedicate loro un po' del vostro tempo, ma nessuno lo dica a Babbo Natale perché è permaloso e ci potrebbe rimanere male ;).

Buona lettura!

P.S.:Speravo in un po' più di partecipazione nel gioco :(, per fortuna Chin e Kono l'hanno risolto da soli!

 

«Aiuto! Con questo caldo il giardino sta diventando un deserto e i ragazzi non hanno più un posto dove giocare, se penso a quanto ha piovuto quest'invero... stavo pensando di aggiungere una cisterna, e di lasciare che si riempia goccia a goccia. 5000 litri direi che potrebbero bastare per far passare l'estate a circa 25 alberelli. Poi ci metto un piccolo sistema di irrigazione semi-automatico. Cosa ne pensa la mia Bottondoro?- Chin rilesse tutto il messaggio e lo decifrò automaticamente-È un ordine per 50000 semi-automatiche di piccolo calibro.»

«Sì, uno scambio da 25000 dollari.» precisò Kono.

«Perché pensi che sia il nostro uomo?» chiese Chin.

«Forse è un po' forzato, ma Bottondoro è la protagonista del film 'La storia fantastica' e, indovina un po', nella storia c'è uno spadaccino di nome Inigo Montoya.»

«Non sapevo che guardassi questo genere di film.» disse il cugino

«Non li guardavo,-iniziò a spiegare la poliziotta sulla difensiva, - era la mia amica Amy che li guardava e poi passava le giornate a raccontarmeli. Questo è uno dei pochi che abbiamo visto insieme ed era meno peggio degli altri...almeno era divertente.»

«Sì, uno dei pochi...» commentò ridendo Chin guadagnandosi un'occhiataccia, poi tornò seriamente a parlare del caso: «Comunque no, non è affatto forzato. Anche la richiesta corrisponde con il tipo di affari di Montoya un grande carico da ridistribuire nelle strade.»

«Avvertiamo Steve.» rispose entusiasta Kono.

«No! Aspettiamo stasera. Finché Steve non lo sa, non può dirlo alla banda Disney e non ci possono essere ritorsioni.» rispose Chin pratico.

Kono, posò il telefono colta di sorpresa a quella spiegazione, poi abbassò gli occhi sulla mano ancora fasciata del cugino : «D'accordo.». Chiunque fosse quella gente non scherzava e tutti si rendevano conto che quello che era successo a Chin sarebbe stato soltanto l'inizio, se non avessero trovato in fretta un modo per liberarsi di loro.

«Ha accettato?» domandò il poliziotto cercando di cambiare argomento. Kono lesse ad alta voce il messaggio di risposta.

«Sì, penso che tu abbia proprio bisogno di una mano. Il tuo problema mi sta molto a cuore, che ne dici se ne discutiamo in un clima pacifico, dopotutto non c'è posto migliore che in mezzo al mare per parlare di acqua. C'è un posto che rimpiango dal cinquanta, che ne dici se ci incontriamo li? Ci sentiamo quando arrivi nella capitale.»

«Un po' più criptico degli altri, ma ci sono tutti gli indizi per pensare che stia parlando delle Hawaii. In mezzo al mare, clima pacifico per riferirsi all'oceano, il cinquanta per il cinquantesimo stato degli U.S.A.» commentò Chin.

«C'è anche un'altra risposta dello spadaccino spagnolo, risale proprio al giorno in cui Montoya è sbarcato sull'isola.»

Chin iniziò a leggere ad alta voce:

«Sono nella capitale, capisco perché la rimpiangi da così tanto tempo, ho trovato un museo fantastico, da lì si arriva sopra tutta la città, penso che andrò a pranzo in quel palazzo tutta la settimana. Spero di incontrarti.»

«Museo sopra tutta la città?» Chin elaborò per un po' le nuove informazioni, poi mise insieme i pezzi: «Il First Hawaiian Center è l'edificio più alto della città e c'è un distaccamento del Museum of Art of Honolulu....» disse Kono.

Chin alzò gli occhi all'orologio era quasi l'ora di pranzo:

«Andiamo!»

«Tu in quelle condizioni non vai da nessuna parte.» obiettò la cugina.

«E tu non vai da sola.» replicò Chin.

«Bene, allora tu distrai Janet e io vado con Danny.» Il poliziotto lo ritenne un compromesso valido.

Come previsto il detective e la federale rientrarono circa dieci minuti dopo e Kono non aspettò un secondo prima portare il collega fuori con una scusa.

 

«Ok, si può sapere dove stiamo andando? Hai trovato qualcosa su Janet?» chiese Danny appena furono sull'auto di Kono.

La poliziotta spiegò che non aveva ancora trovato nulla sull'agente Shelley, ma che aveva sospeso l'indagine per concentrarsi sul forum e gli spiegò tutto quello che avevano scoperto.

Danny era d'accordo con lei e Chin sull'interpretazione dei messaggi lasciati dallo Spadaccino Spagnolo e dalla Rondine. Con grande sorpresa di Kono, Danny fu completamente d'accordo con i due cugini anche sul tenere all'oscuro Steve.
«Ci sto pensando molto in questi giorni. Credo che dovremmo estrometterlo dall'indagine.» commentò il detective.

«Non puoi pensarlo seriamente, è Steve non lo accetterebbe mai. Se gli dici che è fuori dall'indagine, finirebbe con l'indagare per i fatti propri e cacciarsi in qualche guaio.» rispose Kono.

«Lo so ed è per questo che non gli ho detto nulla, ma guardiamo in faccia la realtà: è compromesso, Kono. Se lui viene a sapere qualcosa di importante sull'indagine e lo dice alla banda Disney mandiamo a puttane l'indagine e Montoya se ne andrà libero; se non lo dice noi dovremo passare metà del tempo a guardarci le spalle e non riusciremo a stare concentrati sull'indagine.» L'analisi di Danny era fredda e lucida, le stesse conclusioni a cui erano giunti tutti, ma il tono con cui la esprimeva era tutt'altro che freddo. Kono azzardò uno sguardo nella sua direzione, rughe di espressione profonde gli solcavano la fronte.

«Hai ragione, ma credo che restare uniti sia la soluzione migliore. Ogni volta che qualcuno di noi è andato per la sua strada, non è mai finita bene. Aspettiamo stasera e quando saremo tutti insieme, gli spiegheremo del forum e di quello che troviamo ora al museo e decidiamo cosa è meglio fare, così poi discuteremo anche del falso Brandon e di Janet, anche se non sono riuscita a trovare niente su di lei, a questo punto non mi fido.» Disse la ragazza.

 

 

L'atmosfera del museo era chiassosa con molte scolaresche in visita e flash che lampeggiavano in continuazione, anche dove non ce n'era alcun bisogno; infatti l'ingresso del museo era estremamente luminoso grazie soprattutto al pavimento in marmo bianco e i colori chiari delle pareti e delle rifiniture. Pannelli di legno color miele, disposti a intervalli regolari, formavano corsie leggermente ombreggiate per evitare danni alle opere dovuti all'esposizione troppo diretta alla luce.

Danny e Kono si fermarono alla reception a prendere una brochure con la mappa e i punti salienti dell'esposizione in corso, non sapevano bene cosa cercare, né cosa aspettarsi da quella visita, ma il museo rimaneva l'unico indizio concreto in loro possesso.

I due agenti si guardarono in giro cercando di non dare troppo nell'occhio, la Rondine poteva aver usato uno dei suoi molteplici travestimenti, mentre dal lato Montoya non sapevano se il trafficante di armi si sarebbe presentato personalmente, avrebbe mandato qualche suo noto associato o addirittura qualche nuova recluta assunta apposta per quell'occasione. Senza considerare che per quanto ne sapevano, lo scambio poteva essere già avvenuto.

Dopo aver esplorato la parte del museo situata nella lobby della First Hawaiian Bank salirono al piano superiore attraverso una scalinata in cemento, la scena si ripeteva uguale con grandi pannelli e tantissime persone, troppe perché potessero controllarle tutte. Ripeterono il giro più e più volte per vedere se qualcuno si stesse fermando più del previsto o se avesse qualche comportamento insolito, ma tra studenti di arte intenti a riprodurre le opere, turisti con una smodata passione per le fotografie e bambini urlanti era un impresa impossibile. A metà pomeriggio avevano individuato quattro cinque volti familiari che avevano incrociato più volte e con la scusa di fotografare quadri e sculture, avevano catturato un'immagine di ognuno da confrontare con i loro database.

Proprio quando stavano per venire via, videro scendere dall'ascensore Esteban Montoya, il figlio del trafficante di armi di cui avevano perso le tracce il giorno stesso che era arrivato.

Era accompagnato da due guardie del corpo, che a giudicare dall'auricolare avevano diversi colleghi appostati fuori dall'edificio. Montoya ci teneva alla sicurezza del figlio. Seguirono il ragazzo a distanza, fino a una limousine a noleggio. Kono provò a seguirli per un po', ma i colori sgargianti della sua auto non passarono inosservati, la limousine fece un giro completo attorno ad un'isolato e Kono a metà del giro fu costretta a lasciarli andare, per non farsi scoprire del tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Ora! ***


Disclaimer: Molti dei personaggi e delle ambientazioni presentate in questa storia non sono di mia proprietà e sono tratte dalla serie TV Hawaii Five-0. Il racconto è scritto per l'intrattenimento dell'autore e dei lettori e senza alcun scopo di lucro. La storia sarà cancellata qualora i detentori dei diritti ne faranno richiesta.
Sono di mia proprietà i i personaggi di Brandon e Janet e la trama di questa

A.N: Allora è più di un anno che questa storia va avanti e volevo cogliere l'occasione per ringraziare tutti quelli che l'hanno seguita in questo tempo. Penso di essermi meritata una pausa.
Questo capitolo l'ho riscritto tre volte, ogni volta facendolo concludere con un episodio diverso ed è arrivato come al solito in ritardo, questo mi fa pensare di avere le idee un po' confuse. Penso lo specchio della mia confusione si veda anche nell'interesse calante, per cui ho deciso che salterò uno o due aggiornamenti, per poter ritrovare la musa e proseguire con più tranquillità. Questa è solo una pausa temporanea: la storia sarà conclusa.

Ci risentiamo tra un mese o poco più!

 

Il telefono squillò tre volte prima che la chiamata venisse accettata:

«Cosa vuoi?»

«Dobbiamo incontrarci» rispose senza esitazione.

«D'accordo, passo a prenderti tra mezz'ora.» disse il capo.

 

«Credo che ci sia qualcosa che non va.» esordì titubante non appena salì sull'auto «Non ha ricevuto chiamate e ci sono novità.»

«Ne hai la certezza?» chiese l'uomo all'altro capo

«Sì, ho parlato con il tuo uomo, nessuna chiamata, ma i suoi amici oggi sono andati a seguire una pista. Qualsiasi cosa fosse, forse gliela diranno fuori dall'ufficio. Credo sospettino qualcosa.»

«Non è possibile»

«Certo che è possibile, soprattutto se mandi un gorilla a spacciarsi per federale in una squadra di poliziotti. Il tuo uomo ha fatto più stunt di McGarret stesso in due giorni.» rispose lei sarcastica.

«Quell'idiota! Credi che rischiamo di perdere la presa?»

«Può darsi, erano nervosi stasera, devono aver scoperto qualcosa di importante, su quel forum. Solo non sono sicura che lo diranno a McGarrett.»

«Pensano che sia compromesso. Su quel forum c'era la chiave per trovare Montoya, i miei esperti ci hanno messo un po' ma hanno trovato il messaggio. Per quanto riguarda i Five-0, hai fatto bene a venire di persona. Da qui in poi ci penso io.»

 

* * *

 

«Allora che novità ci sono sul caso Montoya?» domandò Steve addentando un pezzo di pizza.

Kono strinse le labbra nervosa lanciando un'occhiata di sbieco a Danny, Chin fece qualcosa di simile. Steve notò facilmente la fonte del loro disagio.

«Allora Danno, avete scoperto qualcosa?» insistette e il detective sembrò soppesare la risposta.

«Ascolta Steve, la tua posizione...» iniziò a spiegare, chiaramente a disagio.

«La mia posizione cosa?» ribadì Steve irato, mantenne il contatto visivo con Danny, ma sentiva gli occhi degli altri su di sé. Era la sua la reazione a cui erano interessati, segno che sapevano già dove il biondo volesse andare a parare con quell'uscita.

Danny abbassò lo sguardo e senza volerlo i suoi occhi si fermarono sulla mano bendata di Chin, seduto di fronte a lui. Steve seguì il suo sguardo e capì qual'era il problema. La rabbia di poco prima lo lasciò in un baleno, lasciando spazio ai sensi di colpa che stava disperatamente cercando di mettere a tacere in quei giorni.

«Pensate che sia compromesso, non è così?- chiese sospirando - Ho fatto tutto il possibile per proteggervi.»

«Steve, lo sappiamo, ma quanti giorni sono passati? Ancora non abbiamo tracce su chi sia questa banda. Se per ipotesi noi avessimo trovato un indizio importante per l'indagine, cosa faresti?» gli domandò Danny.

«L'avete trovato dunque.»

«È un'ipotesi» ribadì l'altro, ma era chiaro che stava sottintendendo tutt'altro.

«Cosa faresti Steve? Lo metteresti nel messaggio o lo terresti per te?»

Il SEAL rimase senza parole, dopo qualche istante cercò inutilmente di formulare una frase, si era posto migliaia di volte quella stessa domanda, senza mai trovare una risposta soddisfacente.

«Non puoi dire loro ciò che non sai...» spiegò Danny.

«C'eravamo tutti su quelle foto, pensate davvero che se io vengo estromesso non verranno a cercare uno di voi?» chiese Steve, riaccendendosi di nuovo, doveva esserci una soluzione, di qualsiasi tipo, ma una soluzione.

«In ogni caso devi sbrigarti a mandare il prossimo messaggio, non vogliamo altri incidenti per questa sera.» aggiunse Danny, ignorando la domanda.

Ci fu una conversazione silenziosa tra i quattro, che domandava cosa volessero scrivere.

Kono ruppe il silenzio, interpretando il desiderio degli altri.

«Stiamo seguendo piste alternative che potrebbero ricondurre agli scopi di Montoya sull'isola.

Più strade aperte.»

Tutti la guardarono, sorpresi, ma lei fece spallucce:

«Non vorrete dir loro della Rondine e tutto il resto?»

Ci fu silenzio, mentre tutti attendevano la risposta di Chin e Danny che erano testimoni diretti della furia della banda.

«No, va bene così» acconsentì Chin.

Danny si aggregò al suo assenso, non potevano compromettere l'indagine.

Steve esitò, con il dito sul pulsante. Sapeva che se avesse mandato quel messaggio avrebbero potuto essere tutti in pericolo. L'aria si stava caricando di attesa, aveva tutti gli occhi puntati addosso e alla fine si decise ad inviare il messaggio, per un attimo rimase a osservare lo schermo, come se si aspettasse che l'apparecchio esplodesse tra le sue mani da un momento all'altro.

«Spero ne valga la pena.» pensò a voce alta.

Danny che era il più vicino gli appoggiò, una mano sulla spalla di conforto, sapeva quanto era difficile in quel momento rimanere all'oscuro e fidarsi di loro, ma erano una squadra. Quando fu certo che non ci sarebbe stata alcuna reazione immediata al messaggio, cambiò argomento.

«Di Brandon e Janet invece cosa sapete dirmi?»

Kono iniziò a riepilogare quello che aveva trovato durante il giorno.

Danny raccontò della telefonata che aveva fatto dal carcere e Chin aggiunse che aveva recuperato il registro delle telefonate della donna e non c'era traccia della chiamata che aveva fatto dal carcere.

Tutti sapevano già di quello che Janet aveva detto al detective a proposito del suo collega: ''L'importante è sapere di stare dalla stessa parte.'', solo che quella frase alla luce di ciò che avevano scoperto assumeva un nuovo significato. Chin aveva continuato a cercare qualcosa sulla donna, aveva trovato il fascicolo dell'accademia e la documentazione dell'FBI, a differenza di quelli di Brandon i suoi contenevano le foto ed era lei senza ombra di dubbio. Però ormai era ovvio che i conti non tornassero.

«State pensando quello che penso io?» domandò Danny.

Kono annuì, Chin la imitò e per sicurezza dichiarò la sua ipotesi a voce alta, avevano un gruppo che sembrava sempre un passo avanti a loro sull'indagine e due aggiunte alla squadra sempre meno affidabili. Se le due cose combaciavano come credevano potevano liberarsi di due problemi in un colpo solo.

«Li portiamo dentro e li interroghiamo.» dichiarò Steve con freddezza. Se era colpa loro ciò che era successo a Chin non voleva lasciarli liberi un secondo di più. Un silenzioso assenso da parte degli altri accompagnò la sua dichiarazione.

«Quando?» domandò Kono, ma lo sguardo di Steve non lasciava dubbi.

«Ora.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Irruzione ***


Disclaimer: No, non ho ancora acquisito i diritti di Hawaii Five-0, purtroppo, questa storia è scritta senza alcun scopo di lucro e se i legittimi proprietari decidessero che non possiamo più divertirci in questo modo, se ne tornerà in un angolino del mio computer dove troverà degna conclusione entro qualche decina d'anni.

 

A.N.: No, non mi sono dimenticata di voi, sono solo sommersa di cose da fare. E con la stanchezza e il poco tempo arriva anche la crisi da pagina bianca purtroppo.

Per chi fosse interessato a fondo pagina i dettagli.

Questo è il nuovo capitolo, i prossimi aggiornamenti seguiranno a distanza di un mese o due uno dall'altro.

 

 

Steve non aveva dubbi, voleva chiudere quel circolo vizioso una volta per tutte e voleva farlo in fretta.

Due ore dopo erano attrezzati per l'assalto e fuori dall'albergo dove alloggiavano Janet e Brandon.

Scoprire il numero delle loro stanze non era stato un problema.

La pianificazione aveva richiesto quasi mezz'ora, ma alla fine Steve aveva imposto la sua posizione: Danny e Kono avrebbero fatto irruzione nella stanza di Janet, contemporaneamente lui avrebbe fatto irruzione nella stanza di Brandon, mentre Chin sarebbe rimasto nell'ufficio della sicurezza dell'hotel, pronto a coordinare gli inseguimenti in caso di fuga. La soluzione aveva lasciato tutti scontenti, ma il comandante aveva respinto le obiezioni.

 

«Sono nelle rispettive camere- aveva confermato Chin via radio -Janet si trova sul terrazzo, da le spalle alla porta. Brandon è sul pavimento accanto al lato del letto più vicino alla porta si sta allenando.»

«Non vale capo, il tuo è già a terra!» aveva scherzato Kono per smorzare un po' la tensione.

Steve aveva sorriso silenziosamente, sapevano tutti che Brandon era di gran lunga più pericoloso:

«D'accordo al mio tre. Uno...Due...TRE!»

Le due porte si aprirono in contemporanea: «Five-0! Non ti muovere!»

«Ha una pistola! Ha una pistola!» Le grida di Chin nell'auricolare si sovrapposero ai loro ordini.

Danny e Kono irrigidirono la presa sulle loro armi pronti a fare fuoco.

Janet alzò le mani evidentemente libere e si voltò. Contemporaneamente due colpi di arma da fuoco echeggiarono nell'auricolare e dalla stanza accanto, scuotendo tutti.

«Danny, Kono. Cosa sta succedendo?» domandò la federale sorpresa e preoccupata, domandandosi se quella non fosse un'esecuzione.

Danny lanciò un'occhiata disperata a Kono, la giovane poliziotta si avvicinò in fretta alla loro sospettata e l'ammanettò.

«Va ci penso io!» ordinò a Danny, poi rivolgendosi alla donna che aveva appena preso in custodia spiegò: «Abbiamo un bel po' di domande da farti.»

Un istante dopo dalla stessa porta da dove era uscito il detective entrò Chin.

 

«...TRE!»

Steve spalancò la porta.

Il battente gli copriva la visuale su Brandon. L'adrenalina a mille sembrava rallentare tutto.

Vide l'ombra agitarsi, ma aveva bisogno di un altro passo per riuscire a vederlo.

«Ha una pistola! Ha una pistola!» le urla frenetiche di Chin nell'auricolare, ma era troppo tardi. Appena Steve ebbe la visuale libera, Brandon lo batté sul tempo.

Due colpi in pieno petto e Steve cadde a terra.

Il giubbotto fermò i colpi, ma non era abbastanza, il comandante finì a terra senza fiato e il federale gli fu addosso.

Un calcio al polso e la pistola di Steve volò chissà dove nella stanza. Due calci alla testa per stordirlo e poi se ne andò in direzione del balcone.

Danny arrivò nella stanza in quel momento, vide Brandon calarsi dal terrazzo, e il corpo del collega a terra con un rivolo di sangue all'altezza della tempia.

Steve gli fece segno di seguirlo e Danny si precipitò a sua volta sul terrazzo, pronto a gettarsi dal quinto piano nella piscina sottostante per inseguire il sospetto. Nonostante l'ora tarda il bordo piscina era animato e popolato, ma quando si affacciò si rese conto che tutto era tranquillo, non lo scompiglio che si sarebbe creato se qualcuno fosse appena precipitato dal quinto piano. Brandon sembrava essere svanito nel nulla.

«Si è volatilizzato. Stai bene?» chiese vedendo il collega che cercava di rialzarsi e porgendogli la mano per aiutarlo.

«Ce la faccio da solo grazie, perché te lo sei lasciato scappare?»

«Qual è la parte di volatilizzato che non hai ben chiara? Si è calato giù dal balcone del quinto piano ed è sparito.»

Steve andò di persona fino al balcone per affacciarsi a sua volta.

«Chiama il direttore, fai chiudere tutte le entrate e le uscite.» Ordinò il moro mentre partiva a corsa verso le scale, come se non fosse stato a terra stordito solo pochi istanti prima. Danny dovette corrergli dietro per ascoltare il resto: «È entrato dal piano di sotto se siamo fortunati non ha ancora fatto in tempo ad uscire.»

Danny chiamò il direttore e chiamò l'HPD a dar loro man forte. In pochi minuti si creò un cordone di polizia attorno all'hotel di media categoria. Il direttore acconsentì alle loro richieste, ma domandò che non andassero camera per camera disturbando e spaventando tutti i clienti. I quattro si ritrovarono a esaminare i filmati della sicurezza disponibili, finché non videro Brandon con addosso la divisa della sicurezza privata dell'albergo, l'uomo dava il cambio a uno dei veri addetti e usciva con nonchalance dall'uscita d'emergenza delle cucine.

Vista l'inutilità di rimanere all'albergo, Steve dette l'ordine di andare tutti a riposare e lasciare Janet ad attenderli nella stanza degli interrogatori fino all'indomani. L'ordine fu accettato di buon grado con la sola condizione che prima il comandante si facesse visitare.

Cinque punti sulla tempia e un bendaggio per le costole contuse più tardi, tutti andarono a dormire.

Il mattino seguente il SEAL fu svegliato da una telefonata del governatore, che affermava a sua volta di essere stato 'buttato giù dal letto', da una telefonata da Quantico:

«A quanto pare la mia squadra d'élite durante la notte avrebbe preso in custodia un federale e aggredito un secondo senza che io ne sapessi niente.» spiegò infuriato nell'apparecchio.

«Sì, signore è così in parte. Abbiamo motivo di credere che l'agente Teagan non sia chi dice di essere, visto che sembrano essere abbastanza legati abbiamo estesi i nostri sospetti all'agente Shellye.»

«Quindi è Teagan quello che avete in custodia ora?»

«No, Shelley signore, l'agente Teagan ha evaso l'arresto, signore.»

Il governatore si infuriò sia per la mancata cattura di Teagan, sia per essere dovuto venire a conoscenza dell'accaduto da una telefonata del bureau, invece che dai propri agenti.

Steve rispose a tutte le domande dirette e spiegò che avrebbero fatto tutto il possibile per trovare Brandon, ma che non avevano indizi su dove fosse al momento. Si scusò per non aver avvertito il governatore prima dell'accaduto e che sarebbe stata sua intenzione fare rapporto in mattinata vista l'ora tarda dell'intervento.

A conclusione della telefonata aggiunse, come ormai il governatore si era stufato di sentir ripetere, che si assumeva la piena responsabilità dell'operato della sua squadra e che gli altri stavano solo eseguendo i suoi ordini.
 

A.N.2: 15 Febbraio, capitolo pronto, esame in corso, corso di laboratorio super-impegnativo alle porte... Arriva mia mamma e annuncia di aver finalmente trovato lo stabile per aprire un doposcuola.
Entriamo dentro... scenario post-apocalittico... giochi abbandonati sul pavimento coperto di tappeti, documenti e materiale sparsi ovunque, librerie, cassetti, pavimento; avanzi di cibo che spuntano da mobili mezzi aperti... e un anno di polvere a coprire tutto.

Le pareti di un accesissimo rosso-arancione, soffitti giallo ocra e l'annuncio:

«Il 15 Marzo facciamo l'inaugurazione!»

C'era un sacco di lavoro da fare e poco tempo, per cui non che avessi molta scelta su cosa fare nel mio tempo libero.

Devo essere onesta ci sono un sacco di persone a cui dobbiamo dire grazie, perché al 13 Marzo nell'incredulità generale quel posto era tornato bianco, pulito e ordinato a livello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare vedendolo nei primi giorni.

...

Bene è tutto pronto, due giorni all'inaugurazione, quando una mattina si entra e sorpresa delle sorprese, finestra aperta a forza e tutta la spesa per il buffet inaugurale sparita insieme a qualche attrezzo, detersivi vari e la carta igienica.

Un po' come nei film dopotutto o no?

 

Comunque alla fine è andato tutto bene e ora continuiamo a lavorare ininterrottamente per approntare l'esterno per l'estate, quindi le energie per scrivere rimangono molto, ma molto limitate.

 

A presto!
 

Deborah

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Il gatto e il topo ***



Disclaimer: No, non ho ancora acquisito i diritti di Hawaii Five-0, purtroppo, questa storia è scritta senza alcun scopo di lucro e se i legittimi proprietari decidessero che non possiamo più divertirci in questo modo, se ne tornerà in un angolino del mio computer dove troverà degna conclusione entro qualche decina d'anni.

A.N.: Vorrei ringraziare nuovamente tutti per l'attenzione che continuate a dare a questa storia, spero di continuare ad essere all'altezza.

Lasciare Janet tutta la notte in cella non era servito a farle abbassare le difese.

Steve entrò nella stanza per primo, Danny era subito dietro di lui.

«Oh finalmente, abbiamo finito di perdere tempo con questa buffonata? Toglietemi le manette e spiegatemi cosa sta succedendo.» disse Janet con una vena autoritaria fissando i due per niente intimorita.

Entrambe ressero il confronto.

«Le manette restano dove sono. Chi sei?» chiese il SEAL.

«Sapete bene chi sono, abbiamo già fatto le presentazioni. O forse state solo cercando di dare del tempo a Montoya per scappare? Non sarebbe la prima volta che fate fuggire un criminale, o sbaglio?»

«A me non risulta niente del genere.» ribatté Danny pronto a quell'attacco. «Anch'io ho preferirei essere da un'altra parte, quindi cerchiamo di venirci incontro e perdere meno tempo possibile. Per come la vedo io, noi abbiamo molte domande e tu hai molte risposte. Il modo più veloce di procedere a questo punto è quello di dirci quello che vogliamo senza tergiversare.»

«Wow detective, sono impressionata, prende mai fiato quando parla?»

«Fai la finita e rispondi.» si intromise secco Steve.

«Guardalo, il figlio di una spia di dubbia fedeltà, che difende il fratello di un contabile della droga. Fate proprio una bella coppia.»

L'interrogatorio era andato avanti così per quasi due ore, poco cambiava ciò che Danny e Steve dicevano loro. Aveva continuato dichiarandosi vittima innocente, quando credendo a ciò che dicevano su Brandon e mostrandosi disgustata, quando rifiutando qualsiasi parola a favore della teoria che fosse tutta una messinscena dei Five-0. Li accusava di ritenersi superiori alla legge, Matt, Doris erano stati l'inizio e la fine di ogni attacco, ma non si fermò lì. Rimise in discussione tutte le loro azioni passate, sembrava fosse informata su ogni singola volta che la squadra aveva aggirato la legge...quando avevano negoziato con i criminali per salvare uno dei loro, quando avevano picchiato i testimoni per farli confessare. Janet aveva usato tutto quello che poteva contro di loro e per quanto fossero preparati i due agenti a una mossa del genere, le parole di Janet davano i loro frutti e più di una volta sia Danny che Steve avevano perso la pazienza, perché dopotutto non c'è niente di più tagliente e più efficace della verità. Tutti quei gesti che non facevano altro che sottolineare che loro erano i primi a violare ciò che difendevano ed era difficile, se non impossibile, tra le parole della ragazza tenere a mente il nobile scopo che li aveva spinti a questo o quel gesto disperato. Ciononostante, la goccia che fece traboccare il vaso, non aveva niente a che vedere con tutto ciò.

«Vedo che qua non si va da nessuna parte. Invece Montoya magari starà già prendendo il largo. Scommetto che non avete neanche controllato il sito della Rondine.»

Steve rimase senza parole a quella informazione, sapeva che c'era qualcosa che la sua squadra non gli aveva detto, ma non sapeva se potesse essere quello o se stava solo bluffando.

Danny accanto a lui era altrettanto incerto su come reagire. A Janet non sfuggirono i due comportamenti.

«Cosa c'è Steve non sapevi della Rondine? A quanto pare comandante McGarrett, la tua squadra ti sta nascondendo qualcosa. Cos'altro non sai? Ti hanno detto che ho parlato con Delano? Ti hanno detto che ci ha dato un modo di contattare la Rondine?»

Steve fissò il detective che annuì lievemente.

«Magari hanno pure controllato tu ancora non ne sapevi nulla.»

Non aveva bisogno di controllare di nuovo il collega per sapere quella risposta, non aveva dubbi che la sua squadra avesse controllato e se non gliene avevano parlato c'era qualche informazione importante che veniva da lì.

«Cosa succede comandante? La sua squadra non si fida di te, per tenerti all'oscuro di informazioni così importanti sul caso?... E tu invece ti fidi di loro? Se questo non fosse l'unico argomento su cui ti stanno tenendo all'oscuro?» Aveva detto la federale con il suo solito tono suadente. Steve aveva dato un calcio alla sedia e l'aveva fatta ribaltare all'indietro e poi se ne era andato sbattendosi la porta alle spalle. Danny aveva tirato su la sedia prima di seguire il collega fuori dalla stanza. Janet non emise neanche un suono in tutto questo, ma mantenne il suo sorriso beffardo, certa di aver colto nel segno.

«Di che cosa diavolo stava parlando?» gridò Steve, mentre continuava a passeggiare in direzione dell'ascensore, giusto per avere qualcosa da fare.

«Calmati, sapevi che c'erano cose che non ti avevamo detto. Ti sei fidato, per una volta nella tua vita ti sei fidato e non c'è niente di male. Conosci il pericolo che stiamo correndo tutti, sei stato compromesso. Odio usare questa parola, ma è così. Abbiamo controllato?Sì. Abbiamo ottenuto informazioni importanti?Sì. »

Steve si voltò di scatto per guardare il collega.

«Avete trovato il posto dove avverrà lo scambio tra Montoya e questa Rondine?» domandò Steve.

«Vuoi davvero saperlo?»

Steve annuì con convinzione.

«Il merito è di Kono. I potenziali clienti contattano pubblicamente la Rondine su un forum attraverso messaggi in codice. Delano ci ha dato pure la chiave di lettura dei vari codici che sono utilizzati. Lei è riuscita a identificare quello di Montoya e a capire il luogo dove avverrà il contatto, ma non c'è una data o un'ora.»

Le domande di Steve si succedettero a raffica: dove, avete già controllato, cosa avete trovato... e Danny si affannò a tenere il passo per rispondere. Quando la conversazione fu finita, sembrava che finalmente fosse crollato il muro che si era alzato attorno a Steve da quando l'avevano rapito la sera che aveva preso in incarico il caso. Non ci fu bisogno di parole o gesti plateali, alla fine di quella conversazione era palese che quel pomeriggio sarebbe andato anche il comandante al museo.

 

Il piano terra del grattacielo era più affollato del giorno precedente, ma Danny non ebbe problemi ad orientarsi e riuscirono a trovare facilmente Esteban, circondato dalle sue guardie del corpo. Cercando di non farsi notare, il ragazzo gironzolava in circolo per il piano. Dopo una quarantina di minuti Esteban Montoya si trovò immerso in un gruppo di turisti europei, che ignorando la loro guida si disperdeva per la stanza. Danny e Steve faticarono a tenerlo d'occhio, per alcuni attimi sembrava essere addirittura sparito, finché non lo videro vicino a alla porta, in compagnia di una donna. Altezza media, capelli rossi, poteva essere una dei turisti, oppure essere entrata poco dopo di loro ed essersi mescolata alla folla. Danny e Steve riuscivano a pensare una sola cosa: potrebbe essere lei.

La folla li fece sparire di nuovo per un po', poi Steve li scorse mentre si dirigevano verso l'uscita.

«Sono loro!»

Danny seguì la direzione indicata dal collega, ancora incapace di vederli; non per la prima volta in vita sua desiderò essere dieci centimetri più alto. Poco dopo Danny aveva di nuovo contatto visivo, ma Montoya e la donna erano già sulle scale di servizio, completamente deserte se non si consideravano i due e le guardie di Esteban:

«Non posso avvicinarmi o li fermiamo, o le guardie del corpo mi vedono e mandiamo tutto a monte.»

«Cerca di tenerli d'occhio a distanza.» Danny seguì l'ordine, riferendo i loro movimenti al compagno, fino a che Esteban e la Rondine non salirono su un SUV nero. Subito dopo che la macchina partì, la camarro accostò davanti al l'ingresso del museo.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1542652