Fallen angel.

di everyteardropisawaterfall
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fire between ice. ***
Capitolo 2: *** Too many coincidences. ***
Capitolo 3: *** Fatal attraction. ***
Capitolo 4: *** 'He said goodbye.' ***
Capitolo 5: *** Back to school. ***



Capitolo 1
*** Fire between ice. ***


Oceano Atlantico, SeaFrance.
Ponte esterno 9, ore 21:32.
"Dai Jess! Entriamo! Muoio dal freddo qui fuori"
"Aline, è l'ultima sera..che cazzo te ne frega di un fottuto giubbotto? O di una fottuta influenza?Viaggi come questi se ne fanno una volta nella vita, specie con i propri compagni di classe!
E dai, sorridi un po'! È l'ultima sera che passiamo qui. Domani pomeriggio saremo già arrivati in Sicilia."
Odiavo Jessica quando faceva così. Lei aveva il suo bel giubbotto che la riscaldava, e io, come una cogliona, su una nave in maniche corte.
Sentivo l'influenza che mi attontiva, il mal di testa che via via si faceva largo.
"Dammi le chiavi della cabina, entro dentro." sbottai, allora.
"Io sto andando dagli altri, sono al bar. Sicura che non vuoi proprio venire?" mi chiese incerta della mia reazione.
"Si, si, tranquilla. Ci vediamo dopo."
E a quelle parole mi ritrovai le chiavi della cabina n° 1445 nelle mani.
Contemporaneamente prendemmo due strade diverse. La vidi salire le scale che portavano al ponte 10, mentre io mi incamminavo verso la porta.
La aprii e fui subito invasa dal calore che quell'ambiente emanava. Mi chiusi la porta alle spalle.
Mi sentivo da schifo. L'influenza continuava il suo corso.
Camminai tra quegli intricati corridoi per arrivare alla mia cabina, e ad un tratto non ce la feci più.
Mi appoggiai alla porta di una cabina a caso, per il mal di testa straziante.
Restai in quella posizione per diversi minuti, all'impiedi, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata alla porta.
All'improvviso la porta si aprì e per poco non vi caddi dentro.
Sentii un'imprecazione e alcune risatine soffocate.
Quattro ragazzi mi stavano fissando con uno sguardo curioso.
Un altro, alto, biondo, mi osservava con una certa rabbia tra i suoi occhi azzurri ghiaccio.
Un pensiero si fece largo nella mia mente:'fuoco tra il ghiaccio', i suoi occhi erano così in quel preciso istante.
"E tu chi cazzo saresti e perché eri appoggiata alla MIA cabina?!" esclamò il biondo con ostilità.
Ma chi cazzo si credeva? Nonostante il malessere, il timore e una certa ansia che mi bloccava le articolazioni, mi imposi di parlare il più velenosamente possibile.
"Non credo possa interessarti il mio nome, perciò adesso, ciao."
Un sorriso furbo si fece largo nel viso di lui.
Gli altri guardavano piuttosto divertiti, la scena.
"Piccola puttana dove pensi di andare?" sussurrò, alternando espressioni di divertimento e ira sul volto.
Con tutto il coraggio che avevo a disposizione, gli sputai in faccia.
Me ne pentii all'istante. Il biondo, mi prese per un braccio, mi fece voltare e mi sbatté alla parete, il suo corpo che comprimeva il mio.
"Lasciami" biascicai.
Da parte sua, soltanto un sorriso.
Continuava a premere contro me, spingendo la sua intimità verso me.
"Lasciami andare!" provai ad urlare un po' più convinta.
"Altrimenti che fai?" sbottò.
Risatine da parte degli altri.
Mi sentivo una completa e totale cogliona. Quant'ero stata stupida! 
Ma ormai la cazzata l'avevo fatta, quindi una frase in più o in meno, non credo avrebbe cambiato la situazione.
"Altrimenti ti tiro un calcio nelle palle!" affermati con tutta la convinzione che il momento potesse concedermi.
Lui rise apertamente.
"Se volessi, potrei ucciderti adesso. Tu non sai chi sono io. È solo tempo sprecato con te."
L'influenza mi attontiva, non capii subito, ma quando quel ragazzo mi lasciò via libera, scappai e con tutta la lucidità possibile cercai di ricordarmi la strada per tornare nella mia cabina.

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Capitolo 2
*** Too many coincidences. ***


Mi svegliai intorno alle due di notte a causa di un insistente bussare alla porta della stanza. Evidentemente ero proprio crollata, ricordavo ben poco della sera precedente...a parte l'incontro con quel folle di un ragazzo. Aprii e mi ritrovai Jess e Sheila. Che sbadata! Anche quella era la loro stanza, ed avendo preso le chiavi, loro erano, giustamente, rimaste fuori. Avevo dormito circa quattro ore, mi sentivo un po' meglio, il mal di testa era diminuito e l'influenza non era poi così forte. Avevo voglia di andare in giro, e magari, perché no, fumarmi qualche canna! Stavo meglio, e trovavo l'idea di Jess, quella di godere a pieno di quell'ultima notte di viaggio, un po' meno folle. "Ragazze, sto abbastanza meglio, andiamo dai ragazzi?" domandai alle mie compagne. "Noi torniamo dalla loro cabina. Abbiamo bevuto un po' ma penso che siano lucidi. Tu vai, noi ci cambiamo e arriviamo." disse Sheila. E così feci. Camminai a passi felpati per non essere beccata dalle professoresse. Erano abbastanza contrarie, circa l'idea di vagare alla cieca sulla nave, in quanto essendo un bel numero di ragazzi, potevano recare disturbo. Sgattaiolai due corridoi avanti e stavo per girare a sinistra, quando con la coda dell'occhio vidi nuovamente quel ragazzo dalla parte opposta di quella specie di corridoio/cunicolo. Credo che si fosse cambiato dalla scorsa volta. Indossava una maglietta azzurra con le maniche corte, che gli metteva in risalto gli occhi e dei jeans. Mi sorrideva beffardamente e mi fece segno di avvicinarmi. Mi faceva salire i nervi. Dava al cazzo il fatto, che quel ragazzo straordinariamente bello (anche se il mio cervello rifiutava l'idea di ammetterlo) mi attraesse. Era come se fossimo idue poli opposti di una calamita. Mi attraeva, come se usasse una sorta di energia a me sconosciuta. Mi faceva sentire... vulnerabile, come se una sua qualsiasi azione avrebbe potuto esercitare un peso su di me. Ma, se da una parte quello sconosciuto mi attraeva, dall'altra, non lo accettavo. Non riuscivo a concepire come potesse farmi quell'effetto. Inconsciamente, i miei piedi cominciarono a dirigermi, contro la mia volontà, verso di lui. Sentivo il battiti cardiaci rimbombarmi in testa. Ero completamente in preda all'ansia. Quei pochi metri sembravano chilometri. Le mani cominciarono a sudare, non sapevo cosa avrei dovuto dire o fare in presenza di quel ragazzo. Non lo sapevo proprio. Dopo attimi che sembrarono eterni, vi giunsi. Ci fissammo per un paio di secondi e poi un suo "Chi si rivede." ruppe il silenzio. "Chi sei? Perché mi importuni? E perché non riesco a starti lontana?" chiesi nervosamente. Quand'ero in preda all'ansia potevo diventare un vero fiume di parole. Davvero frustrante. Lui rise, quel sorrisetto che mi stava troppo sul cazzo. Scontato. "Piacere, Luke Branwell." Non risposi. "È da maleducati non rispondere, non credi?" mi stuzzicò. Lo ignorai nuovamente. A quell'indifferenza, il ragazzo, Luke, si avvicinò, tagliando i centimetri che ci separavano. "Allora?" "Allora cosa?" chiesi con una certa irritazione. "Ah, ma quindi parli." osservò con una punta di sarcasmo. "Allora niente. Volevo solo sapere il tuo nome." "Perché ti interessa così tanto?" "Beh, io mi sono presentato. Non è equo tenermi nascosto il tuo nome. Soprattutto dopo che..." "Dopo cosa?" chiesi, palesemente interessata. "Niente, lascia perdere." Stava quasi per andarsene quando urlai "Aline!" Lui si girò. Dio, quant'era bello..mi maledii all'istante. Non era bello, era soltanto un coglione. "Mi chiamo Aline Abedi." gli tesi la mano. Lui ricambiò. La sua stretta era fredda, tanto quanto il freddo dei suoi occhi. "Adesso dovrei proprio andare. I miei compagni mi aspettano." confessai. Lui sembrò rabbuiarsi, o forse era solo una mia speranza. Infatti, dopo pochi secondi divenne la stessa maschera di ghiaccio. "Ah..e non preferiresti stare con me?" "Neanche ti conosco!" esclamai. "Sì invece. Sai il mio nome, e poi io ti conosco almeno un po'." "Tu sei pazzo." "Può darsi, ma spiegami perché da quel 4 febbraio ti sogno tutte le sere." mi rivelò. Mi ci volle un momento per realizzare. 4 febbraio. Il giorno in cui Sebastian era morto. Mio fratello. Decisi di voler saperne di più. Tutto era troppo strano. Troppe coincidenze. Troppe stranezze. "Okay. Resto." dissi infine. "Sapevo che l'avresti fatto. Sei prevedibile." "Non sono prevedibile! Piuttosto, perché mi sogni proprio da quel 4 febbraio? Perché oggi ti sei incazzato così tanto con me? E perché... mi stavi quasi scopando alla parete?!" Solo a ripensare all'accaduto mi saliva una tale rabbia. Era veramente un coglione. "Ehi ehi! Fai tante domande, eh?" rise. "Ho il diritto di sapere, visto che mi segui ovunque. Visto che mi sogni come se fossi un maniaco." lo guardai con disprezzo. "Non sono un maniaco. Non so nemmeno io perché ti sogno, e non so nemmeno perché lo faccio esattamente da quel giorno. E riguardo a prima...mi andava di farlo." "Ovvio, chi non sbatte le persone contro al muro e poi, ci si incazza pure?" ero veramente disgustata. "Sei carina quando ti incazzi." disse ad un tratto. "Tu sei fuori di testa, soffri." Mi ha detto che ero carina. Dopo avermi detto le peggiori cose, mi diceva che ero carina. E poi, non credevo minimamente al suo,complimento, se così potesse chiamarsi. Soprattuttl, non ero niente di che. Capelli castano scuro e occhi verdi. Non ero né magra né grassa riguardo la costituzione.. Ero...me stessa. Me stessa con i relativi complessi di inferiorità per cui ogni complimento mi sembrava sempre la perenne presa per il culo. "Tutti i migliori erano pazzi" citò con l'aria di chi la sapeva lunga. "Citi Alice nel Paese delle Meraviglie? Te stai proprio fuori." Rise di gusto. "Sei uno stronzo, un completo e fottuto stronzo. Prima mi sbatti al muro, ora fai il tipo gentile, e in tutto questo nemmeno so chi sei! So il tuo nome, certo, ma chi mi dice che non menti?" "Non potrei mai mentire con te. Non potrei anche se volessi." disse quasi tristemente. "Perché?" "Quante domande! Ma parleresti così tanto anche se provassi a baciarti?" "Non ti riguarda. E poi non ci starei mai ad un tuo bacio." "Facciamo la prova?"

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Capitolo 3
*** Fatal attraction. ***


Mi ritrovai a fissare un Luke che ricambiava con un sorriso sghembo.
Lo stesso sorriso, che mi faceva pensare, di avere dei tamburi al posto del cuore.
"Non oseresti." dissi, tenendolo un po' sulla corda.
In realtà volevo. Volevo sfiorare quelle labbra così perfette, tanto che il pensiero mi spaventava.
E, ad un certo punto non mi importò più nemmeno che fosse uno sconosciuto.
L'attrazione era troppo forte. Era come se provassi a respingere una calamita da una superficie di alluminio. Improbabile che la calamita si allontanasse facilmente.
Mi sentivo esattamente così.
Sapevo che tutto era profondamente sbagliato, ma non riuscivo a scappare da quella situazione.
Per di più, avevo la sensazione, che quel ragazzo, sapesse su di me più di quanto mi facesse credere.
Non hai tutta questa insistenza con una sconosciuta.
Perciò decisi di stare al bacio.
'Un bacio non fa male a nessuno' mi dicevo.
Quanto erravo.
"Va bene, c'ho ripensato, per me è okay." affermai soltanto.
A quelle parole, il ragazzo, mi si avvicinò lentamente.
Misi una mano fra di noi.
"Però prima devi raccontarmi qualcosa di te. Un bacio in cambio di informazioni." dissi.
Lui mi guardò di traverso, e le uniche parole che gli uscirono furono:" Che stronza!"
"Allora accetti?"
"Porca tro...e va bene! Ti dirò quello che vuoi sapere."
"Tutto" risposi. "Voglio sapere chi sei, cosa fai, perché sei salito esattamente su questa nave, quanti anni hai, e di che parte dell'Inghilterra sei, perché hai quest'accento così marcato..."
Capivo abbastanza bene il suo inglese in quanto tre volte a settimana andavo ad un corso d'inglese presso il Trinity College.
"Ehi, una domanda per volta!
Ho 17 anni e sono di Sheffield.
Non vado a scuola perché... mi sono ritirato un anno fa e mi trovo in questa nave senza un motivo preciso."
"Ma tu non hai genitori?" chiesi leggermente perplessa dalla libertà che avesse.
Lui si accomodò per terra, in mancanza di sedute.
Lo imitai.
"Che cazzo te ne frega dei miei genitori? Eh? Loro non c'entrano!"
Quel ragazzo soffriva di qualche disturbo, doveva essere per forza così.
Oppure era bipolare.
"Okay." dissi la prima parola a caso.
"Adesso, invece, voglio sapere da te qualcosa. E voglio sapere perché cazzo ti sogno ogni notte, perché?!" un tremore gli attraversò il labbro inferiore e le mani.
Era sul punto di una crisi isterica.
Mi avvicinai, "questo se non faccio qualcosa, esce fuori di testa." pensai e cercai di sfiorargli il braccio.
Lui sussultò, forse per la sorpresa, ma non si sottrasse.
Gli presi la mano, era calda e soffice.
Osservai il suo palmo.
Era privo di linee, la famosa 'linea della vita' era assente.
Mi chiesi se non mi stesse venendo nuovamente la febbre.
Comunque, in ogni caso, non erano affari miei. Chi cazzo se ne fregava se non aveva quelle linee? Magari non era nemmeno una cosa bizarra, per cui lasciai perdere.
Pareva che quel tocco lo calmasse.
Sentii un rumore come di passi e sghignazzi, mi girai nella direzione da cui mi sembrava provenire il rumore.
Non vidi nulla.
"Ehi" mi chiamò Luke.
E finii per ritrovarmi le sue labbra incollate alle mie.
Non mi sottrassi, anzi ricambiai. Dio, aveva delle labbra....mi mandava completamente in tilt.
All'inizio il bacio fu dolce, quasi timoroso e goffo. Poi, dopo aver dischiuso le labbra, le nostre lingue cominciarono a rincorrersi e a fare dei giri immensi.
Baciava incredibilmente bene, e con mia sorpresa, aveva un tocco delicato sulle mie labbra.
Mi sembrava strano perché, anche se non lo conoscevo, a Luke non avrei mai affiancato il sostantivo 'delicatezza'.
Dava l'impressione di uno stronzo, un cattivo ragazzo.
Oppure, forse il suo vero io, si celava dentro una spessa corazza. Una corazza che ero sempre più decisa di rompere per scoprire qualcosa in più su di lui. Una corazza da rompere perché ero convinta che nascondesse un animo gentile.
Ero convinta che in tutti, anche nelle persone più fredde e distaccate, ci fosse del buono. Ed ero intenzionata a far venir fuori la parte buona di Luke.
Si staccò da me.
"Tu, invece, cosa ci fai su questa nave?" sbottò con fare serio.
Cercai di respirare regolarmente e tentai di rispondere alla sua domanda.
"Sono stata a Londra e dintorni come viaggio d'istruzione del terzo superiore. E domani sarò a casa, in Sicilia. Tutto finirà.. e la mia vita sarà sempre la solita palla."
Il ragazzo mi guardò con tristezza e con qualcos'altro in quell'azzurro dei suoi occhi, che non seppi decifrare.
"Sei qui da solo?" domandai, con sentita curiosità.
"No. In realtà, sono qui con i miei amici, quelli..di qualche ora fa. Loro, sono abbastanza simili a me. Sono tutto ciò che mi resta."
Qualcosa in quel discorso non mi quadrava, ma non indagai oltre. Preferii assimilarle per bene, tutte quelle nuove informazioni. E non avevo il diritto di intromettermi.
"Che ne pensi di, uhm, sì, di non scendere domani mattina? O meglio, quando la nave attraccherà, saremo i primi a scendere in modo tale che nessuno possa vederci. Scappiamo. Insieme." disse ad un tratto.
Lo guardai basita. Questo si faceva seriamente di canne. 
La prospettiva non mi allettava per niente, soprattutto se si è la figlia minore di due genitori iperprotettivi come i miei.
"Non posso." confessai, mentre il rimorso si faceva strada nel mio cuore. "Non potrei mai fare una cosa del genere ai miei. Andrebbero fuori di testa."
"Bambinetta." mi scherzì lui. Non seppi se per scherzo, o con un fondo di verità.
Luke restava un punto interrogativo, su tutto. E dire che mi piaceva provare a capire la gente, i loro pensieri, le loro emozioni più profonde..ma con lui, tutto era inutile.
Era come se attorno a sè, mettesse un muro di cemento armato, e niente e nessuno potesse romperlo.
Guardai il mio Galaxy SIII: erano le 3:16. Ancora tre ore e poi sarei arrivata. Sarei tornata a casa, alla vecchia scuoloa, alla mia solita vita.
E non avrei più rivisto Luke. Mi sembrava un pensiero contorto, quello di essere dispiaciuta perchè il giorno dopo non avrei visto quel tizio, che conoscevo da sole..mh, sei ore?
Eppure mi attraeva in una maniera assurda e non sarei mai stata in grado di capacitarmene.
"Aline, ma mi stai ascoltando?". Il biondo interruppe il mio turbine di pensieri, forse fu meglio così. Quando inizio a pensare non smetto più. E' una sorta di autolesionismo dell'anima.
"Cosa mi stavi dicendo? Ero distratta."
Con uno sbuffo, il ragazzo continuò il suo quasi monologo "Dicevo, hai intenzione di voler stare tutta la sera qui? Vieni, andiamo nella mia stanza."
Oddio. Oddio Santissimo.
La stanza di Luke.
"Mh, o-okay." dissi, imbarazzata.
Ci incamminammo, con Luke davanti. Camminava a passi svelti, e io dovevo quasi correre per stargli dietro.
La sua stanza non era molto lontana da quella mia, anche se più spaziosa e confortevole.
Entrando, potevo benissimo sentire come l'ambiente era impregnato del profumo del biondo.
Uno strano miscuglio fra sigarette, e qualcosa di dolciastro. Mi chiesi che profumo usasse, perchè era davvero buono. Sapeva di...Luke.
"Fai pure con comodo." mi incitò lui, vedendo che ero ancora sull'uscio.
Avanzai, e notai con un senso delusione, che oltre a me e il ragazzo, c'erano altri tre ragazzi.
Probabilmente gli stessi che erano presenti poche ora fa, alla nostra discussione.
Luke non mi presentò ai suoi compagni. Tipico di lui, quello di alternare atteggiamenti affettuosi, all'indifferenza più totale. Già, proprio tipico. Con non curanza, il ragazzo,  si distese scompostamente sopra un letto, probabilmente non suo perchè al 'Coglione non scombinarmi il letto! Lì, ci dormo.' rispose con un sorriso beffardo.
Mi fece segno di sedermi accanto a lui. Io, impacciata come sempre, feci come richiesto.
La luce presente nella stanza era fievole e riuscii a distinguere solo in parte i volti dei tre ragazzi: erano seduti sul letto di fronte il nostro.
Uno sembrava avere i capelli molto scuri, che successivamente, grazie ad alcune conversazioni con gli altri, capii si chiamasse Joshua. Era un tipo abbastanza serio e a cui piaceva rimanere fra le sue. Un po' come Luke.
Un altro, uno che rideva per qualsiasi cazzata, aveva un nome strano. Credo avesse origini asiatiche. Suonava tipo come 'Chun' o forse 'Sun', non ricordavo proprio.
Mi ispirava allegria quel tipo. Sembrava anche uno a posto, non nel vero senso della parola, ma rispetto agli altri mi dava l'impressione di quello più 'normale'.
L'ultimo ragazzo alla destra, era molto simile a Luke. Stesso colore di capelli, stessa postura, stesso atteggiamento. Si chiamava James. Mi chiesi se per caso non fossero fratelli, ma lo tenni, infatti, per me.
Ad un certo punto, Luke, stanco di quelle conversazioni senza senso a cui prese parte poche volte, disse che era ora di dormire.
"Non sono il tuo cagnolino, non mi comandi mica a bacchetta!" urlò Jamie facendo il finto offeso.
Luke in risposta, gli tirò un cuscino in piena faccia. Risero entrambi.
Ero in totale imbarazzo. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarli e tornare in camera mia? Stavo andando nel pallone quando il biondo mi disse "sdraiati, pensi di dormire seduta?". Mi sorrise leggermente. Cazzo, quel sorriso! Mi rincoglioniva troppo. Evitai il suo sguardo, acconsentendo.
Perciò mi sdraiai, e Luke fece lo stesso. Roba da non crederci. Dormivo con Luke, nello stesso letto, io e lui soltanto.
Da quella volta in poi preferii abbandonare il nomignolo 'sconosciuto' che gli attribuivo. Tanto non lo avrei visto più. E fanculo se potevo passare per una puttana, proprio come mi aveva chiamato lui qualche ora prima, in preda alla rabbia.
Ormai era fatta.
Mi girai verso il suo volto. Respirava regolarmente, mentre io di lì a poco avrei avuto un attacco di tachicardia.
Quant'era bello. Nonostante la poco luminiosità, avvicinandomi, potevo notare i lineamenti del suo volto.
La curva perfetta della sua bocca, gli zigomi alti, e i suoi occhi. Quei dannati occhi che mi fottevano ogni volta.
Mi sfiorò le labbra con le sue, un tocco dolce.
Mi avvinghiai a lui, sentendomi, dopo tanto tempo, al sicuro.
Dopo aver lasciato il mio ex, Jonathan, e aver capito di aver fatto la cazzata colossale dell'anno, decisi di non frequentare più nessun  ragazzo.
Credevo che così, il senso di colpa si alleviasse almeno un po.'
Era passato già un anno da quando ioe  Jonathan non stavamo più insieme, ma, fare quelle cose con Luke mi faceva sentire una puttana. Sentivo di starlo tradendo. 
Ecco cos'ero io. Mi sentivo una puttana, tra l'altro, pure una testa di cazzo.
Cercai di scacciare la tristezza. Porca troia, rovinavo sempre i momenti belli. Era come se quando mi capitasse qualcosa di bello il mio cervello mi ricordasse ininterrottamente:'Smettila, non illuderti. Tu non sarai mai felice, stupida.'
Luke, intanto, continuava a baciarmi delicatamente, stringendomi una mano attorno ai fianchi.
Mi scese una lacrima, reduce da tutta quella mia tristezza interiore, che fortunatamente Luke sembrò non notare.
Lui, nel frattempo, lui, fece scivolare la mano stretta attorno al mio fianco, più giù, sulla pancia, sotto l'ombelico, e infine, lì.
Stava quasi per entrarla nei miei jeans, ma lo spinsi.
Quello sì che era troppo.
Mi aveva preso seriamente per una puttana, o, era soltanto un suo atteggiamento normale, far sentir così, qualsiasi ragazza gli si avvicinasse.
"Scusa" mormorò.
Io ero già girata dall'altra parte, e gli davo le spalle. Non credo mi reputasse sveglia, quando un suono debole gli uscì fuori dalla bocca. "Buonanotte piccola."
E qui abbiamo il nostro bello, tanto quanto misterioso, Luke Branwell. 

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Capitolo 4
*** 'He said goodbye.' ***


Mi svegliai di soprassalto da un tocco lieve che mi scuoteva.
Stavo quasi per mandare a fanculo Jessica, e dirle di non rompere.
Invece, quando mi girai e aprii gli occhi, vidi Luke, più bello che mai, che mi osservava preoccupato.
"Vedi che sono le sei, dobbiamo scendere." affermò.
Oh cazzo. All'improvviso realizzai: avevo dormito con Luke quella sera, nello stesso letto. Ci eravamo baciati e stava quasi per....mi fermai. Non volevo pensarci. 
Non volevo che quella cosa, pur non sapendola definire, appena iniziata, quell'attrazione, finisse.
Sapevo che una volta scesi, avremmo preso due cammini diversi. 
Che tristezza.
"Uhm, credo che dovrei andare in stanza a prendere la valigia." gli dissi, di malavoglia.
"Penso che, se proprio non accetti la mia proposta di scappare insieme, ci dovremmo salutare adesso.." 
"Mh, allora vado."
"Non voglio dirti addio, preferisco un arrivederci. Perciò..arrivederci, ragazza dei miei sogni."
Luke aveva un'espressione indecifrabile. Non capivo se fosse dispiaciuto, triste, o magari, contento. Con lui niente era scontato. Lui non era un tipo prevedibile.
"Arrivederci." risposi, abbassando lo sguardo, evitando quello di lui.
I suoi amici dormivano, così non dovetti prendermi nemmeno la briga di salutarli.
Luke's pov
Salutai Aline, con la forte convinzione che l'avrei rivista.
Sì, ne ero più che sicuro.
Sapevo che non ero in possesso, dei miei vecchi 'poteri', che li avevo persi, ma avevo come una specie di sesto senso che mi guidava.
Doveva essere così per forza. Dio,me la sarei scopata a sangue quella!
Mi faceva troppo sangue.
Riflettei un secondo al pensiero appena concepito. Per fortuna avevo pensato alla parola 'Dio' soltanto nella mia testa! Se l'avessi pronunciato, non so quali conseguenze avrei subito nella mia pelle.
O meglio, lo sapevo già, cosa sarebbe successo, ma pensavo che la seconda volta, se fosse capitata, sarebbe stata molto più atroce. Mi era già capitato in passato di aver pronunciato la parola 'Dio', e la conseguenza fu devastante.
Fu come se lungo il mio petto, un ago rovente mi marchiasse la pelle.
Un dolore lancinante come quello, non credevo fosse possibile. Non fino a quel momento.
Ricordavo come l'agonia, venne lentamente sostituita da una cicatrice dai contorni neri, una specie di tatuaggio, che col tempo, scoprii ahimè essere indelebile.
'Cado Angelus' diceva.
Ebbene sì, ero un Angelo Caduto.
Un angelo decaduto dal suo stato di grazia e allontanato dal Paradiso.
Un angelo privato dei suoi poteri, delle sue ali, del suo stato primitivo e imprigionato sotto forma umana, costretto a vagare sino al Giudizio Universale, quando poi verrà esiliato all'Inferno.
E io, il motivo per essere diventato un Angelo Caduto, non lo capivo proprio.
O perlomeno, non capivo Dio. Non lo capivo, perchè, come puoi fingerti indifferente quando uno stupido, sciocco, inutile, umano cerca di romperti i coglioni ovunque tu sei?
Come puoi fingerti indifferente, se l'umano in questione è uno stregone, (del quale non seppi mai il nome) che ti evoca, perennemente per cazzate, dal Paradiso stesso?
L'unica via che mi restava era ucciderlo.
Ucciderlo avrebbe significato mettere fine a tutto quello.
Probabilmente, era abbastanza inesperto, per evocare un angelo, direttamente dal Paradiso, per questioni sciocche tipo dargli qualche strumento in aiuto per la distruzione di alcune Arpie (donne uccello che predano dall'alto), tenere a bada l'alfa di un gruppo di licantropi che da qualche mese invadeva il suo territorio. 
Insomma, questioni che per uno stregone sarebbero state più semplici di bere un biccher d'acqua.
Era evidente la sua esperienza, e sicuramente non sapeva che, come dai nostri più antichi scritti, se si evocava un angelo per questioni futili, si veniva puniti.
Dovetti sopportare quella stupida evocazione per giorni interi:
''In in nome dell'eccelso,
per i suoi tre angoli,
per la rosa di Mariam!
invoco il possente aiuto
del custode del rituale
pietosissimo levi!
tu che possiedi il libro,
tu che protendi l'oro,
incidi la mia carne!''
Così, quel due febbraio, quando mi evocò, lo uccisi, ustionandolo col mio tocco.
Lo lasciai stecchito sulla sua terrazza, non prendendomi nemmeno la briga di nascondere il cadavere. Mi evocava quasi sempre lì, in quanto nelle mie proporzioni reali, per un'evocazione avrei avuto bisogno di molto spazio. Almeno questo, lo 'stregoncello' lo sapeva.
Fu appunto questo il motivo che mi fece perdere i miei poteri.
Nessuno fu contento per il gesto che avevo compiuto. Gli scritti dicevano che coloro che evocavano futilmente potevano essere puniti, ma non s'intendeva di certo la morte.
Non mi seppi controllare quel giorno.
Così, il quattro febbraio, dopo che l'Angelo Superiore, si accertò di persona delle condizioni dello stregone, e dopo che egli stesso ebbe convocato il Consiglio Supremo, fui bandito.
L'idea di poter appartenere, in futuro, ad un luogo come l'Inferno, mi riluttava.
Non mi reputavo qualcuno di cattivo, sul serio.
Non avevo un temperamento calmo, questo lo sapevo, ma ero intenzionato a tutto pur di tornare ad essere un angelo.
Ero intenzionato ancor di più a sapere il motivo per cui sognavo quella ragazza, Aline, da due mesi o poco più. Soprattutto volevo sapere perchè proprio da quel cazzo di quattro febbraio.
E, pur non volendolo ammettere, oltre che scoparci, con quella, se avessi avuto tempo, avrei provato a parlarle, a capirla. Insomma a farmela piacere. Volevo capire cos'era il sentimento che fra gli umani veniva definito 'amore', perchè in Paradiso, lì non c'era niente come questa sorta di affetto, che potesse riguardare qualcuno al di fuori di noi angeli e Dio. Magari, niente di serio, ma avrei voluto stare assieme a quella ragazza, ad innamorarmene...forse. Mi incuriosiva troppo, e, ahimè, la curiosità, era uno dei miei punti deboli.

Questa è la nostra Aline, per darvi un'idea. c:


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Capitolo 5
*** Back to school. ***


Aline’s pov Ritornare a casa dopo una settimana è una sensazione fantastica. Fa piacere notare che la propria stanza abbia quell’odore inconfondibile. Quell’odore indelebile. Sì, di calzini sporchi. Colpa del mio gemello Kevin, con il quale, sfortunatamente, dividevo la stanza da sedici anni. Estenuata e affamata, aprii la finestra per far cambiare l’aria e mi gettai sul letto. Mia mamma, appena scesa dalla nave mi aveva fatto rincoglionire con la sua tornata di domande, alla quale però, risposi con netto distacco. Non avevo voglia di parlare. Volevo dormire, soltanto quello. Possibilmente, tutta la vita. Presi l’Ipod blu metallizzato sul comodino, misi gli auricolari e ben presto mi addormentai. “Alzati dal mio letto, cogliona!” Eh sì, Kevin sapeva essere davvero amorevole. “Lasciami in pace. Sono stanca.” biascicai, assonnata. “Sono le tre del pomeriggio, poi devo andare al calcetto e vorrei riposarmi un po’ se Sua Maestà lo permette.” disse con una punta di sarcasmo. Quel sarcasmo tipico di mio fratello. Scazzata, assonnata e con lo stomaco che mi urlava pietà, gli cedetti il letto. Salii lentamente le scalette che portavano al letto superiore e mi abbandonai lì per un altro po’. Com’era mio solito, dopo esser stata svegliata, non prendevo più sonno facilmente. Non mi rimase che pensare. Adesso che ero tornata alla normalità, anche i miei pensieri potevano essere più ‘normali’. Decisi di passare dritto riguardo Luke e concentrarmi meglio su Roberto, il mio ex migliore amico. Frequentava il liceo classico G. Meli, come me. E come me, andava nella mia stessa classe. Dopo tre anni di profonda amicizia, qualche mese fa si era deciso a fare il grande (fatale) passo. Aveva scritto una lettera, indirizzata alla sottoscritta, nella quale mi confessava che gli piacevo da un po’ e che non ce la faceva più a comportarsi da semplice amico. A quelle parole ero rimasta spiazzata. Non che non fosse bello, o che non mi attraesse fisicamente, anzi. Semplicemente, lo vedevo come compagno di risate, come quello che mi aiuta in caso di problemi con un tizio x...come un migliore amico, ecco. Se da un lato, l’attrazione fisica potesse trasformarsi in qualcosa di più grande, dall’altro, c’era la paura di poterlo far soffrire. Ne aveva passate tante, fin troppe. I suoi erano separati, la nonna paterna con la quale aveva uno stretto legame gli era venuta a mancare qualche mese fa, mettiamoci la scuola e i problemi relativi all’età adolescienziale e ne veniva fuori una specie super-bomba-stress. Tutti quelle delusioni non aveva potuto far altro che far chiudere quel ragazzo in se stesso. La sua espressione era sempre la stessa: un freddo, silenzioso controllo. Non esprimeva quasi mai emozioni, in nessuna circostanza. Tranne quando era in mia presenza. Sembrava che la mia presenza potesse fargli da antidoto, come se per qualche ora, lui potesse riprendere a vivere. Esattamente per questo motivo non volevo rifiutarlo. Non perchè mi facesse pena, ma piuttosto perchè non volevo essere la sua ennesima delusione.  Volevo che ci fosse al viaggio. Purtroppo per motivi economici, non è potuto venire. Almeno se Roberto ci fosse stato, tutto quel casino si sarebbe evitato. Soprattutto, avevo paura che se gli avessi raccontato cos’era successo al viaggio con quel ragazzo, Luke, l’avrebbe presa malissimo. Non mi spaventava la reazione di primo impatto. Mi spaventava la conseguenza del mio gesto avventato. Si sarebbe richiuso nuovamente in quel suo guscio, e questa volta, avevo paura che neanche io sarei stata in grado di riuscire ad aprirlo. La mia testa in quel momento era soltanto una caos di domande senza risposte. Pensavo a Luke, se l’avrei rivisto, e se si, chissà quando. Pensavo a Roberto, indifeso, apatico e con quel suo modo di fare che lo stava auto-distruggendo. Strano come le persone possano fidarsi subito di qualcun’altro, no? Una delle mie debolezze era proprio queste. E non a caso, ogni qual volta quella che si affezionava ero io. La cena trascorse tranquilla, tutto sommato. Papà una volta tornato dal negozio di detersivi in cui lavorava, mi chiese circa il viaggio in nave, Londra, Liverpool e delle altre città visitate. Trovavo più piacevole rispondere alle sue domande invece che quelle di mamma. Lui sapeva quand’era il punto di fermarsi. Kevin era rimasto a mangiare da un suo compagno di classe, per cui, non avendo nessuno da disturbare, andai nel salone a guardare la tv. Optai per American Horror Story, l’unica cosa passabile. Ma dopo un po’ mi annoiai, perciò dopo aver dato la buonanotte, mi rintanai nella mia stanza. Il giorno successivo era martedì. Ciò significava che sarei dovuta andare a scuola. E vedere Roberto. Decisi di distrarmi preparando i vestiti per il giorno dopo. Una canottiera, dei leggings e sopra un paio di shorts. Ma sì! A fine aprile andavano più che bene. Ascoltai la mia dose quotidiana dei Simple Plan e dopo di che mi coricai. Come previsto, non riuscivo a dormire. Mi sforzai comunque di chiudere gli occhi e dopo una mezz’ora, fra l’insonnia e il sonno ebbe la meglio il sonno. Heeey hey hey! Heey hey hey! Heey hey hey hey! 6:50. Con gli occhi ancora chiusi cercai il tasto per far smettere di suonare quel fottuto SIII Cosa n.1 da sapere per non svegliarsi isterica: mai mettere la propria canzone preferita come sveglia. Finireste soltanto per odiarla. Mi dispiaceva un po’ odiare ‘She looks so perfect’ . Sarebbe bastato cambiare suoneria per qualche mesetto. Andai in bagno, mi preparai tempo record, mi truccai e alle 7:20 ero pronta. I miei ancora dormivano, per cui salutai solo Kevin e scesi di corsa. L’autobus che passava sotto casa mia era sempre in ritardo per cui non mi preoccupai così tanto dell’orario. Infatti, come previsto, passò alle 7:40. Fortuna che l’entrata al Meli era alle 8:15. Niente traffico quel martedì, per cui mi rilassai completamente. “Dove sei?”  Era un sms da parte di Jess. “Esattamente davanti scuola e tu?” “Pure. Ci vediamo da Don Bonne” Don Bonne era il bar dove solitamente si riuniva la combriccola formata da me, Jess, Rachele, Andrew e Roberto. Trovai Jess e Roberto seduti in due sedie proprio vicino l’entrata. Salutai entrambi con un cenno della mano. Jessica sembrava raggiante, ma non potei dire lo stesso di lui, che si rabbuiò alla mia vista. Ma vaffanculo. Si prospettava una giornata di merda. Rachele ed Andrew, ritardarono, così entrarono alla seconda ora.  Per me era una cazzata. Stavano insieme, quindi l’avevano usata come scusa per fare i porci e limonare un po’. Era anche giusto tutto sommato. Non me la presi. Quanti bidoni avevo fatto io, e quante volte loro c’erano passati sopra. A prima ora avevo biologia. Non male considerando che ero la ‘favorita’ della prof. Da settembre il mio posto era accanto a Roberto, il quale quella giornata restò teso e con lo sguardo basso. Non provai a rivolgergli la parola. Sapevo com’era fatto. Voleva stare da solo, ma mi promisi che al più presto gli avrei parlato.

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