little talks 3
Ora
che ho riletto la storia credo che Atem sia uscito fuori un po' OOC,
chiedo perdono: a mia discolpa posso dire che è una comica
^^' (nelle introspettive sono sempre molto più attenta alla
caretterizzazione, nelle comiche invece mi faccio prendere la mano...).
Sono in anticipo di un giorno ma domani molto probabilmente non
avrò tempo di pubblicare (e anche i giorni seguenti) quindi
faccio oggi.
Buonissima
lettura e spero che questa ultima parte vi piaccia ;)
"Deve
sapere infatti che la gelosia di Atem è
piuttosto diversa da quella normale” rimbeccò
Yugi. La
donna annuiva piano, decisamente curiosa, pronta ad annotare altre
stramberie.
“Gli
altri fidanzati infatti sono gelosi perché hanno paura di
venire traditi. Con
Atem non funziona così, insomma: sa che non potrei mai
tradirlo, e per quanto
riguarda lui sarà meglio che non ci provi neanche a tradire me” fece
lanciandogli una stilettata.
“Vorrai
scherzare, vero aibo? Come potrei mai anche solo pensare-“
“Sì,
sì, lo so, era per dire: repetita
iuvant,
no? Comunque dicevo: lui non vuole proprio che io mi avvicini agli
altri! Non
è protettivo, è ossessivo!”
Atem
sbuffò.
“Può
farmi qualche esempio?” chiese la dottoressa.
“Ma
certamente, quanti ne vuole. Giusto il mese scorso un turista olandese
mi aveva
gentilmente chiesto indicazioni su quale fosse la fermata
dell’autobus più
vicina per arrivare in centro. E sa che ha fatto questo tomo
qui?” disse
indicando il faraone al suo fianco con sguardo accusatorio,
“Lo ha mindcrushato!
Un povero turista del nord Europa! Che non aveva fatto assolutamente
niente di
male per-”
A
quel punto il faraone in questione, che durante tutto il dialogo fra la
psicologa e Yugi aveva tamburellato le dita sul bracciolo della sedia
con
fare disinteressato e seccato, sbottò
all’improvviso. “Come sarebbe a dire
‘niente
di male’???” urlò “Tu, mio
caro aibo, hai taciuto un particolare
importantissimo: quel tipo ha osato toccarti! Ti ha toccato
capisci?”
“Mi
ha sfiorato la spalla con l’indice per richiamare la mia
attenzione! Dov’è il
tuo problema??” rispose Yugi esasperato.
“Il
mio problema è che quell’essere, le cui mani erano
probabilmente lerce e sudice
e portatrici di chissà quali terribili malattie, non mi ha
neanche chiesto il
permesso prima di rivolgerti la parola, e soprattutto di
toccarti!” E detto
questo si accoccolò sulla sedia con il broncio e le braccia
conserte.
“Come
sarebbe non ti ha chiesto il
permesso? Non era a me che avrebbe dovuto chiederlo semmai?”
Ma Atem non
sembrava più interessato ad approfondire la questione. Per
lui la faccenda era
conclusa, e ovviamente la ragione era dalla sua parte:
quell’uomo aveva
soltanto ricevuto la giusta punizione per il suo misfatto.
Visto
quanto si era animata la discussione in così poco tempo, la
psicologa preferì
non fare domande su cosa fosse un mindcrush, ma dal nome non prometteva
niente
di buono. Quell’Atem non solo era pazzo, era pure pericoloso!
Mentre si
chiedeva cosa avesse fatto di male nella vita per dover assistere a
certe
scene, la donna rivolse di nuovo la parola a Yugi, il faraone non
sembrava più
disponibile a collaborare.
“E
saprebbe
farmi altri esempi, magari riguardanti la vostra vita quotidiana e non
un
singolo episodio...” chiese timidamente, il volto
seminascosto dal taccuino.
“Certamente”
rispose quello tirando un profondo respiro e riguadagnando la sua
compostezza.
“Per esempio: io non posso mai prendere i mezzi pubblici. Ho
dovuto farmi la
patente e comprare la macchina perché secondo Atem gli
autobus sono un posto
troppo pericoloso e affollato-“
“Non
lo dico solo io, lo dicono tutti quanti. Potresti venir derubato,
sommerso
dalla folla, pestato, investito, arrestato per non aver pagato il
biglietto,
taglieggiato, spintonato, soffocato, a-“
“Sì,
certo, rapito dagli alieni e portato su Marte”.
“Adesso
non veniamo a ipotesi improbabili: io nominavo solo
eventualità plausibili”.
“Infatti
erano tutte molto plausibili, certo. Ma non è tutto
dottoressa, si figuri che
non mi lascia nemmeno andare al
bagno da solo! Sempre perché ha paura che mi
succeda qualcosa! E non le nascondo quanto la cosa sia imbarazzante,
insomma:
sarà pure il mio mou hitori no boku, sarà pure il
mio ragazzo, e non è che non
mi abbia mai visto, come si dice, in maniche di camicia. Ma santo
cielo! È il
bagno!”
“Ma
io mica ti guardo: ti accompagno e basta, e poi solo a scuola e nei
luoghi
pubblici, a casa è abbastanza sicuro per lasciarti andare da
solo”.
“Abbastanza
sicuro per- Oh!” esclamò Yugi facepalmando.
“Ma lo sente quello che dice? Dove
ti credi che viviamo: in Palestina? Che ci sono i terroristi che si
fanno
saltare in aria per strada o che piazzano bombe nei bagni??”
“La
prudenza non è mai troppa”.
“O
per l’amor di Ra-“
“Scusate”
interruppe un attimo la psicologa mentre controllava gli appunti presi
sul suo
taccuino. “Ho notato che vi riferite spesso l’un
l’altro con nomignoli e
soprannomi come aibo e mou hitori no boku: cos’è,
una specie di vezzeggiativo?”
“Vorrà
scherzare! È roba seria!” intervenne Atem.
“Lascia,
spiego io: tu sei troppo agitato” fece Yugi trattenendo
l’altro per il braccio.
“Cercherò di spiegarglielo brevemente
perché è una faccenda piuttosto complicata. Il
fatto che lui mi chiami aibo, cioè partner, infatti non
c’entra niente con
l’aspetto erotico o amoroso del rapporto-“.
“Beh,
aspetta-“ lo interruppe Atem ghignando. Yugi gli
mollò uno schiaffo in testa.
“All’inizio almeno non
c’entrava niente.
Insomma, io ero il suo partner nel suo viaggio alla ricerca del suo
passato,
ero io il suo compagno di avventura, colui che percorreva la strada
insieme a
lui, pronto ad aiutarlo a ogni ostacolo e a lottare al suo fianco verso
un
obbiettivo che in realtà era comune, perché io
volevo vederlo felice e se
vederlo felice voleva dire che doveva riavere i suoi ricordi allora
questi
erano ciò che cercavo anche io”. Fece una pausa.
“Poi” riprese “non potrei che
chiamarlo mou hitori no boku perché io non avevo idea che
lui non fosse me: i
primi tempi credevo di soffrire di un qualche sdoppiamento di
personalità e poi
si scopre che invece a possedere il mio corpo era proprio
un’altra persona.
Comunque essendo convinto che lui fosse me era naturale che lo
chiamassi ‘altro
me’, come altri avrei dovuto chiamare me stesso?
Chiaro?”.
‘Come
una notte buia’ avrebbe voluto rispondere la donna, ma si
limitò ad annuire
piano.
Voleva,
o meglio, doveva fare almeno un’altra domanda, ne andava
della sua etica
professionale, anche se in quanto a materiale per iniziare una
’terapia di
coppia’ ne aveva fin troppo!
Diede
un’occhiata al suo taccuino: era pieno di appunti e
scarabocchi
vari, uno più
privo di senso dell’altro. ‘Crede di essere un ex
fantasma’, ‘Ragazzo abusato’,
‘Puzzle d’oro’,
‘Bisessualità’,
‘Disturbo di personalità e/o
schizofrenia’,
‘Ra’, ‘Violenze’,
‘Mindcrush’...
Non sapeva da che parte cominciare: era sicuramente
il caso di coppia più malata che avesse mai incontrato!
Deglutì.
Non voleva sapere che risposta avrebbero potuto dare a un‘
altra domanda. Come
fare?
“Beh,
signori” in un disperato tentativo di salvezza
lanciò un’occhiata all’orologio,
magari se era sufficientemente tardi se la sarebbe cavata con una
battutina e
un arrivederci. Le lancette parlavano chiaro: il cielo non
l’aveva abbandonata,
in soli cinque minuti l’orario della visita sarebbe finito.
Tirò mentalmente un
sospiro di sollievo.
“Oh,
santo cielo com’è tardi! Dovrei farvi qualche
altra domanda prima di analizzare
nel concreto i vostri problemi come coppia, ma purtroppo sono costretta
a
pregarvi di andarvene: come sapete ho la pasta che mi aspetta di sotto
e-“
“E
non vuole che si incolli, capisco” terminò Atem.
“Comunque mi dispiace di
averla giudicata male, in fondo quello che abbiamo fatto è
stato semplicemente
chiacchierare un pochino, e mi ha fatto davvero piacere ricordare
alcuni
momenti passati accanto ad aibo” poi si rivolse al diretto
interessato: “non so
se è possibile, ma credo di volerti ancora più
bene”. L’altro sorrise, gli
occhi color mora che scintillavano.
“E
da
quando saresti diventato così smielato?”.
“Bada
a come parli davanti a un faraone” lo ammonì il
ragazzo dagli occhi rubino,
sfoggiando uno dei suoi sorrisetti.
‘Bene,
anche le manie di grandezza adesso’ mormorò fra
sé e sé la donna: sul suo
taccuino ce n'era abbastanza per scrivere un intero libro di
psicanalisi... si
alzò tremolante e si avviò verso la porta.
“Ma,
dottoressa”
la chiamò Yugi. “Non ci dice nulla?
Com’è andato l’appuntamento, dobbiamo
tornare, ha qualche consiglio? Non parlava di altre domande
prima?”.
“S-sì,
ecco... probabilmente... devo rivedere i miei appunti. Così
alla luce di quanto
ho scritto ascoltando la bellissima
storia del vostro rapporto potrò rendermi conto se avete
bisogno del mio aiuto.
Vi contatterò io, non preoccupatevi, il mio segretario ha il
suo numero signor
Muto, no? Le prometto che non mi farò scrupoli a
chiamarla” disse colmando a
falcate furtive la distanza fra lei e l’uscio.
“E
non sa dirci niente prima? Siamo piuttosto occupati di solito, io ho
l’università e i miei tornei di carte, beh, in
realtà anche Atem li ha, solo
che preferisce stare a battibeccare con Kaiba tutto il tempo invece che
focalizzarsi sul gioco-“.
“Ehi!”
fece il diretto interessato. Yugi lo ignorò.
“Quindi,
ecco... non saprei se riusciremo a trovare un pomeriggio o una mattina
per un
altro appuntamento in tempi brevi. Perciò se vuole dirci
qualcosa credo sia meglio
lo faccia adesso” terminò sorridendo.
La
psicologa sbiancò. Ma poi, pensando che con buona grazia del
cielo non li
avrebbe mai più rivisti, riacquistò di colpo il
colorito. Sfogliò le sue pagine
di appunti facendo finta di leggerli con aria professionale.
“In
realtà credo sia tutto a posto, se posso essere sincera
siete una delle coppie
più affiatate con cui abbia mai avuto il piacere di parlare.
Vi consiglierei semplicemente
di cercare di rispettare un po’ di più gli spazi
l’uno dell’altro, ecco tutto.
Ora scusate ma ho un pranzo che mi aspetta, devo portare a spasso il
cane,
andare a prendere il nipotino a scuola, ritirare le elemosine in
parrocchia,
guardare Uomini e Donne in tv... un mucchio di roba!
Èstatounpiacereconoscerviapresto!”
disse con sorprendente rapidità, schizzando fuori dalla
porta.
I
due
ragazzi si guardarono l’un l’altro confusi. Poi
Yugi si schiarì la voce. Atem
colse l’allusione e impallidì.
“Questo
vuol dire che dovrei lasciare che tu prenda
l’autobus?”
“E
che la gente possa chiedermi informazioni senza rischiare di morire,
che
possa scaldarmi un bicchiere di latte nel microonde da solo,
allacciarmi le
scarpe, rammendarmi le magliette e buttare finalmente tutte quelle
odiose
forbici dalla punta arrotondata!”
“No,
quelle no!!”
“Oh
sì, comincerò oggi stesso a esercitare i miei
diritti” disse deciso.
“Ma
ti farai male, perché devi farmi soffrire in questo modo? Io
penso solo alla
tua sicurezza non-“
“Altolà,
questo discorso è vecchio: l’hai sentita la
psicologa, ho bisogno dei miei
spazi. Da oggi si cambia vita”.
Sembrava
davvero risoluto con quelle braccia incrociate al petto, il mento
levato in
alto, la postura eretta e tutto. Se aveva intenzione di non dargliela
vinta, il
faraone sapeva che sarebbe dovuto ricorrere al piano B.
Atem
si avvicinò di più al ragazzo dagli occhi viola,
poi un altro po’ e un altro
po’ ancora, finché non colmò quasi del
tutto la distanza fra di loro e
soprattutto fra i loro volti.
“Però,”
cominciò a mormorare “Non mi sembra che tu ti sia
mai lamentato quando
invado così i tuoi
spazi...” disse
prendendogli una ciocca tra i capelli e iniziando a giocherellarci.
Yugi
deglutì.
“Q-questo
è diverso, sai cosa intendevo prima”.
“Ah
sì?” soffiò l’antico sovrano
sulle sue labbra, prima di avvolgere le braccia
intorno alla vita dell’altro.
“Spiegamelo”.
Owari
|