Outside Broadcast

di nainai
(/viewuser.php?uid=11830)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione: il presente scritto ha per protagonisti persone reali e personaggi di pura fantasia. Le vicende narrate sono frutto della fantasia dell'autrice e non c'è alcun intento di verità nè di verosimiglianza. Non s'intende offendere nessuno, i diritti legalmente tutelati spettano ai rispettivi titolari e nessun diritto s'intende leso.

Fissava il mazzo di rose con sospetto. Appoggiato all’indietro contro il bancone ingombro di trucchi e spazzole sbuffava il fumo, studiando il proliferare di petali rossi di sottecchi, come non fosse cosa sua.

In realtà lo era eccome.
Appena entrato in camerino uno Stefan alquanto infastidito gli aveva additato l’elegante – inappropriato – bouquet sul tavolino al centro della stanza, accompagnando il gesto con un sibilo incattivito con cui gli notificava la sua destinazione – a lui – ma non la provenienza. Quella se ne stava chiusa e custodita nel bigliettino cartonato che pendeva da un lato della raffinata confezione in carta di riso color carta di zucchero - un’assonanza accattivante. Doveva ammettere che lo svolazzare delle lettere sulla busta lo aveva incuriosito, ma non abbastanza da abbandonare la prima reazione che i fiori gli avevano suscitato: una risatina divertita ed irriverente ed una battuta volgare su quanto inopportuno fosse regalare dei fiori ad un uomo. La seconda reazione, poi, era stata un misto di sospetto e disagio che gli prudeva dietro la nuca e lo teneva con il sedere incollato al bancone del camerino e con le dita ad una sigaretta che si consumava ignorata, mentre lui mordicchiava nervoso lo smalto nero che le corde della chitarra avevano già scrostato.
Stefan non aveva detto altro, si era seduto sul divano che dominava il tavolino, aveva afferrato una rivista ed aveva ostentato tutta la propria indifferenza nell’ignorare caparbiamente il mazzo di rose ed il suo destinatario. Steve non c’era nemmeno, da qualche parte a “reidratarsi” senza aspettare che i due compagni andassero a tenergli compagnia.
Brian era formalmente solo con le proprie domande, il disagio ed un mazzo di rose rosse confezionato elegantemente in carta di riso color carta di zucchero. Un’assonanza accattivante…
Buttò la sigaretta a terra spegnendola rumorosamente con un colpo del tacco della scarpa.
-Ci sono i posacenere.- provò a fargli notare il suo bassista sollevando per un attimo lo sguardo.
Nemmeno lo ascoltò. Si mosse con una risolutezza ingiustificata verso il divano, ci si lasciò cadere con ben poca grazia scomodando l’altro occupante e maneggiò le rose in punta di dita per sfilare esclusivamente il bigliettino appuntato di lato.
-Che cosa idiota!- ribadì intanto in un borbottio scocciato. Stefan mise via la rivista e lo osservò sbrindellare la bustina di carta per tirare fuori il cartoncino.- Cosa sono? una soubrette da operetta?! Pensavo fosse ormai démodé regalare fiori ad una donna, figuriamoci ad un maschio!- si lamentò.
-Magari chi te li manda non lo sa. Che sei maschio, intendo.- lo prese in giro Stefan, venendo fulminato da un’occhiataccia.
Brian non perse comunque tempo a rispondergli. Venne a capo del cartoncino e lo lesse, mettendoci qualche momento a decifrare le righe stringate che componevano il messaggio all’interno. Poi la firma informale più sotto.
Un’espressione genuinamente stupita gli si dipinse in viso, cancellando in meno di un istante tutto l’astio di pochi momenti prima. Stefan non poté impedirsi di provare un moto di curiosità autentica che mise a freno velocemente, mordendosi la lingua.
-Merda!- fu il commento inelegante con cui esordì il cantante, abbassando il biglietto per fissarlo ad occhi spalancati e bocca aperta.- Lo sai chi mi manda questi cosi?!
La risposta era implicita nello sguardo interrogativo di Stefan, ma Brian non glielo disse comunque. Si alzò in piedi con una velocità nervosa che sfoggiava sempre quando qualcosa lo colpiva – e a lui non piaceva che qualcosa lo colpisse – e rigirò su se stesso come una trottola impazzita.
-Brian…tutto ok?- si ritrovò a chiedere lo svedese, pur sapendo che non era una buona idea. Siccome, però, l’altro continuava a non rispondergli, Stef cominciò a preoccuparsi davvero.- Andiamo! Chi accidenti ti manda quei fiori?! Qualche fan fuori di testa? se devo essere onesto li attiri tutti tu i maniaci di questo Stato…
-David Bowie.
-Ad esempio quel servizio fotografico che hai fatto, l’ultimo...se continui ad atteggiarti a quel modo farai una brutta fine, credi a me!
-I fiori li manda David Bowie.- specificò Brian all’ottusità dell’altro.
-Certo.- annuì Stefan senza soluzione di continuità.- O lui o la Regina Elisabetta.
Brian sollevò un sopracciglio, posò una mano sul fianco con aria di sfida e gli allungò il biglietto con l’altra.


Nota di fine capitolo della Nai:

Progetto nuovo.
Sono mancata per un casino di tempo (con tutto quel che ne consegue) e, allo stato, la  mia vita è incasinata di brutto e comprende un numero spropositato di progetti da portare a termine.
Quindi! non garantisco nulla sui tempi di aggiornamento nè sugli esiti di questa storia, che "macera" già da un pò e alla fine vuol vedere la luce.
Una piccola "dedica" mi sento di farla a Stregatta, perchè lei è la prima ad aver scritto di certe coppiette...
See you, space cowboys!
MEM

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. ***


Outside Broadcast
 
Vorrei avere il senso delle parole abbastanza a fondo
da rendere tutta la poesia del suono e delle immagini.
E, invece, sono solo una puttana dello scrivere.
 
Si erano ritrovati nella merda senza nemmeno accorgersi che stesse succedendo. Un paio di giorni prima avevano un’agenda fitta di impegni ben collaudati. Un paio di giorni dopo il tour manager li guardava con aria afflitta, le lacrime agli occhi e l’espressione di un uomo infelicemente sull’orlo di una crisi isterica.
David Robert Jones – conosciuto al secolo come David Bowie - odiava le crisi isteriche. Sarà stata la sua origine inglese.
Il tour manager, comunque, ci aveva tenuto a rassicurarli che avrebbe pensato a tutto lui e che, tempo poche ore, avrebbe trovato una valida alternativa.
David Bowie aveva inarcato un sopracciglio, si era voltato sulla poltrona fino ad incontrare lo sguardo altrettanto perplesso di Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno – per ovvie ragioni, meglio noto come Brian Eno – ed aveva sospirato in modo speculare all’amico. Grazie a Dio, anche Brian Eno era inglese.
E grazie a Dio, la loro sintonia era sempre stata perfetta.
O quasi.
 
Ad esempio, lui – David – li aveva amati fin dal primo momento in cui li aveva ascoltati. E sì, sapeva che tanto doveva dipendere dal fatto che quel ragazzino – si chiese distrattamente che età potesse avere, ma ogni risposta che si dava lo qualificava invariabilmente come pedofilo e non gli piaceva granché – fosse non solo bello in un modo doloroso, ma anche ammiccante, volgare, intrigante come la peggiore battona di strada che Londra potesse offrire. Ma sapeva anche che non tutto dipendeva da questo.
Brian no. Brian continuava a parlargli in un orecchio, elencando nomi che lui ascoltava solo in parte e date che ricordava a memoria e non era importante, quindi, ascoltasse.
-Mi piacciono.- provò a notificare sperando di arginare il fiume in piena che gli sedeva accanto nella luce soffusa del locale.
In parte ci riuscì. L’amico e produttore storse il naso e sollevò il viso.
-Beh, sì, eravamo qui per loro, ma secondo me hai preso un granchio.- commentò stringato e palesemente infastidito.
David gli ricambiò lo sguardo con aria di sfida: lui prendere un granchio? Se diceva che gli piacevano – e no, non parlava solo della gambe magre del ragazzino da sotto il vestitino da donna – era perché gli piacevano e tanto voleva dire che erano bravi.
-Mi ricorda me.- ribatté.
-No, tu avevi talento.- scoccò impietoso Brian, riabbassando gli occhi sul proprio cocktail.
-Ce l’ha anche lui…
-Sì, ma di un genere soltanto, Dave. E non capisco, sinceramente, perché tu ti stia ostinando tanto! I gruppi che abbiamo contattato sono sufficienti.
David si voltò. Brian Eno sfoggiava un atteggiamento di chiusura che lo rendeva detestabile, braccia conserte, viso imbruttito da una smorfia sarcastica ed aria di aperta sfida. Gettò un’occhiata ancora, in tralice, al moccioso sul palco, allo spilungone che suonava il basso e al tizio corpulento che li accompagnava alla batteria. Soppesò se valevano la pena di uno scontro al vertice di quella portata, ma non era più abituato a sentirsi dire di “no” e non avrebbe fatto eccezione per un amico.
-Li voglio in tour.
-Lo vuoi nel letto.- lo corresse l’amico, implacabile e rabbioso.- Vai di là, nel camerino, scopatelo contro un muro e facciamola finita.- gli ringhiò contro.
David non si arrabbiò – intanto, era parzialmente vero - in compenso, però, rise e si alzò. Quando Brian Eno lo vide imboccare l’uscita del locale invece che la porta del backstage, capì che quei tre sarebbero irrimediabilmente finiti nel baraccone assieme a loro. E si diede dello stupido per averlo permesso.
 
L’idea era venuta ad entrambi quasi simultaneamente, non c’era Morrisey che tenesse: l’Outside Tour aveva preso la propria strada e, che quel pagliaccio volesse o meno percorrerla con loro, né David Bowie né Brian Eno intendevano dargliela vinta ed arrendersi davanti ai suoi “impegni più pressanti che un tour in Europa”. Così, quando il cantante degli “Smith” li aveva lasciati in tredici senza fornire alcuna spiegazione plausibile – e davanti al rischio concreto di una crisi isterica del proprio tour manager – i due colleghi ed amici avevano rispolverato quel po’ di pazienza e voglia di fare che ancora avevano e trovato una soluzione rapida e indolore.
Niente Morrisey? Avrebbero dato la possibilità a qualche talentuosa e giovane band locale di promuoversi un po’ appiccicando il proprio nome accanto a quello di qualche pezzo grosso della musica pop-rock dell’ultimo ventennio. Sapevano entrambi che non avrebbero fatto grossi sforzi per trovare dei rimpiazzi validi e, quindi, non si erano lasciati scoraggiare nemmeno dalla prospettiva un po’ noiosa di girare in lungo e in largo concerti e locali in cerca di giovani emergenti.
I “Placebo” a stretto rigore non rientravano nemmeno nella categoria. Giovani erano giovani, ma con un album già all’attivo, non erano esattamente gli esordienti completi che erano, invece, parsi a Brian Eno a sentirli dal vivo. Niente di che, li aveva liquidati con una scrollata di spalle ed un verso annoiato, mentre l’amico Dave si fissava negli occhi il viso del cantante e nelle orecchie il timbro impossibile della sua voce.
Lui si chiamava Brian Molko. Aveva 26 anni, due occhi grigi che cambiavano colore con la luce o con l’umore, i capelli scuri e disordinati, la voce altissima e nasale. Era troppo magro, decisamente strafottente, per lo più ubriaco o fatto anche sul palco e durante gli show, irriverente, arrabbiato, volutamente maleducato, sciatto e spudoratamente volgare ed allusivo. Era la negazione di ogni classe e savoir fair, non sapeva comportarsi con il pubblico, non era presentabile ad un party, era ingiustificatamente crudele con i giornalisti, riusciva a farsi odiare nel giro di pochissimi istanti ed era intollerabile anche – soprattutto – per chi lavorava con lui. Aveva già fatto fuori il proprio batterista per sostituirlo con un altro, un gigante tutto muscoli che accanto a lui, nanetto e magrolino, ed a quello spilungone senza spessore del suo bassista sembrava ancora più grosso e minaccioso.
Era odioso.
E bellissimo.
Magari qualche sbattimento di ciglia c’entrava pure, si confessò David portando alle labbra un flute pieno di bollicine dorate.
Dall’altro lato della sala, impacciato come una ragazzina, un improvvisamente ammansito Brian Molko girava attorno gli occhi, spalancati ed attenti in maniera quasi ridicola, presumibilmente cercando proprio lui. Non sapeva cosa avrebbe suscitato nel mandargli quei fiori in camerino; David lo aveva studiato per un po’, seguito, osservato, interrogato discretamente le persone che lo frequentavano più da vicino, ma nonostante questo la decisione di mandargli le rose era stata istintiva e non ponderata. Dopo giorni sapeva di volerlo conoscere, di volerci parlare direttamente, ma non sapeva ancora che per farlo avrebbe usato un trucco di altri tempi, dal sapore retrò, che avrebbe dovuto stonare con gli atteggiamenti incivili della sua controparte e che, invece, gli era parso così perfetto a fronte di quegli occhi come gemme, di quella bocca da baciare e di quegli accenni di eleganza aristocratica che, con tutta la propria buona volontà, il ragazzetto non riusciva a mascherare del tutto.
Non si era stupito particolarmente nello scoprire che no, non aveva a che fare con un più o meno innovativo giovanotto sbucato dalla periferia industriale d’Inghilterra per dire loro cosa fosse giusto pensare. Del resto, le canzoni di Brian non parlavano affatto di disagi sociali e grandi stravolgimenti politici, le canzoni di Brian parlavano di Brian e basta e che le rivoluzioni le facessero gli altri, i morti di fame e non gli eroi.
Sorrise nel bicchiere. Il ragazzo si era ripulito per fargli una buona impressione – certo, entro dei limiti invalicabili che gli permettessero di far credere che non gli interessasse “fare buona impressione” – si era cambiato pur senza abbandonare le associazioni discutibili di capi di abbigliamento e colori, si era truccato di nuovo, con gli occhi cerchiati in modo da essere due fanali brillanti su un viso troppo pallido e smunto ed il rossetto acceso a disegnare la bocca in modo netto e preciso. Teneva le mani in tasca ed aveva l’atteggiamento imbronciato di chi stia cercando di allontanare il mondo da sé pur desiderando disperatamente che il mondo, invece, lo abbracci per dimostrargli che è importante. Piccoli tocchi di fragilità che difficilmente gli altri captavano appieno, interessarsi ad una creatura come quella significava comunque farsi carico di un bagaglio emozionale dalla complessità eccessiva, la maggior parte delle persone tirava dritto dando una pedata al randagio che gli intralciava la strada.
Posò il bicchiere sul tavolo dietro di sé, si sistemò la giacca e si fece avanti, deciso a sottrarre il ragazzino alla difficoltà in cui annaspava spaurito.
-Brian Molko?- lo chiamò per primo.
Lo vide voltarsi di scatto, riconoscendolo già solo dalla voce. Ne fu compiaciuto, così come si compiacque non poco del suo momentaneo boccheggiare: una genuina reazione da ventiseienne davanti al proprio idolo che – ne era sicuro – non si sarebbe ripetuta.
Brian, infatti, raccolse a due mani il coraggio, richiuse la bocca e, non certo della propria voce, si limitò ad annuire spiccio, prima di schiarirsela per tirare fuori un tono convinto da “uomo di mondo”.
-David Bowie.- asserì, mani ancora nelle tasche, sfidandolo apertamente con gli occhi.- Devo ringraziarti per i fiori.- aggiunse subito dopo, senza nascondere affatto il disappunto per quel regalo insolito.
David rise, captando il suo fastidio e trovandolo divertente.
-Non hai idea del perché te li abbia mandati, vero?
-Umorismo di dubbio gusto.- ritorse pronto Brian.
L’altro apprezzò tanta iniziativa.
-No…è qualcosa in te.- confessò senza sapere bene come spiegarsi.- Ma in fondo credo di non sapere nemmeno io cosa.- aggiunse subito dopo.
Brian sorrise ironico, inclinando la testa di lato in una posa che David gli aveva visto assumere spesso e che lo rendeva incredibilmente accattivante.
-Umorismo di dubbio gusto.- ripeté più lentamente.
Gliela concesse con una risatina sinceramente divertita e commentò solo che “aveva comunque avuto l’effetto sperato”. Brian stette zitto e David pensò che sapeva comportarsi, quando voleva. Gli indicò con un cenno un separé ed il più giovane gli andò dietro senza commentare.
-Così potremo parlare senza il baccano del locale.- si giustificò David quando approdarono ad un ambiente decisamente più piccolo, in cui due divani di pelle bianca, enormi e identici, facevano sfoggio di sé attorno ad un tavolo basso in cristallo.
Brian si lasciò cadere per primo su uno dei due sedili e David, sempre sorridente, si accomodò dal lato opposto del tavolo, ricevendo in cambio un’occhiata scettica.
– Sei una persona interessante, Brian Molko.- iniziò ignorando l’espressione sul viso del ragazzo.
-Non è il complimento che ricevo più spesso.- derise lui.
-Parlami di te.
La richiesta cadde nel vuoto. Complice anche l’arrivo pronto di un cameriere, che raccolse le loro ordinazioni con composta eleganza. David chiese dell’altro champagne, Brian ordinò il cocktail più forte di cui riuscì a ricordare il nome e poi si diede mentalmente dello stupido per questo.
-Allora parlerò io.- riprese Bowie quando rimasero nuovamente da soli.- Ma poi non lamentarti dei vaneggiamenti di questo vecchietto!- lo redarguì affabile.
-Tu non sei vecchio!- sbottò Brian raccapricciato da quell’affermazione. Arrossì fino alla punta dei capelli, rendendosi conto di aver parlato senza pensarci.
David rise ancora.
-Ho il doppio dei tuoi anni, ragazzino, direi che posso anche arrendermi all’idea di esserlo.
-Non lo sei per me.- rispose Brian con una sincerità meno impulsiva.- …ero…sono un tuo fan…praticamente da sempre.- biascicò a disagio.
-Beh, questo mi lusinga. Io temo di essere diventato un fan dei Placebo piuttosto di recente, invece.- asserì David.
-…un nostro fan?- ripeté Brian poco convinto.
-Un tuo fan, per maggior precisione, e no, non è come pensi.- lo prevenne David.- Mi piace quello che dici e come lo dici.
-…neanche questo è il genere di complimento che ricevo più spesso.- affermò Brian dopo qualche attimo in cui ponderò le parole dell’altro.
-Sbagli già nel dare per scontato che lo sia.- ritorse David.- Ma sono certo che determinati difetti svaniranno con l’età: l’entusiasmo tende a bruciarsi in fretta, quello che resta è di solito una maggiore concretezza. O il niente.
-Parli per esperienza personale?- chiese Brian con un sorriso sghembo, molto più rilassato.
-Oh, no. Io sono ancora qui.- fece notare cortesemente il suo interlocutore.
-E allora quale sarebbe l’atteggiamento giusto?- continuò imperterrito il ragazzino, spingendosi in avanti sulle ginocchia per avvicinarsi a lui.
David realizzò il sottile cambiamento nell’atteggiamento del più giovane, si accorse con facilità di come, con la dimestichezza, Brian stesse riacquistando anche i propri modi da puttanella ammiccante. Valutò la cosa. E poi decise che andava bene così; il suo era tutto meno che un interesse prettamente artistico, tanto valeva non trincerarsi dietro finzioni inopportune.
-Devi credere solo a quello che pensi tu, di te stesso.- gli rispose.
Lo sentì ridere in un modo cattivo che lo sorprese. Brian si lasciò cadere all’indietro contro lo schienale del divano, sprofondando fino ad assumere una posa sbracata e vagamente oscena, oltre che maleducata; intrecciò le dita ai capelli neri, spettinandoli, ridiventando in un momento l’esatta creatura beffarda che aveva studiato in quei giorni.
-Mio padre diceva la stessa cosa.- notificò provocatorio.
Ma David non si lasciò spiazzare ed allargò il sorriso, paziente.
-Beh, ti avevo detto che non ti saresti dovuto lamentare se avessi lasciato a me la parola.- lo rimproverò pacato.
Il cameriere intervenne, stavolta a salvare il più giovane, riapparendo sulla soglia con una bottiglia costosa e due bicchieri per David e con un cocktail dall’aria scura e densa che Brian accolse con una smorfia. David lasciò che l’uomo posasse tutto sul tavolo e lo fermò un istante prima che iniziasse a versare lo champagne nei flute, congedandolo con un cenno. Il cameriere posò la bottiglia nel cestello del ghiaccio e sparì sempre nello stesso silenzio discreto.
-Quella roba ti rovina il fegato e la capacità di giudizio.- notò David prontamente, additando il bicchiere di Brian mentre armeggiava personalmente con lo champagne per riempire entrambi i flute.
-Il che potrebbe avere dei risvolti positivi, per te.- accennò allusivo il ragazzo.
David storse il viso in una smorfia, lasciandosi poi andare ad un sorriso sincero.
-Non stasera.- concesse blando. Sollevò nuovamente lo sguardo nel suo, sostenendo l’intensità di quegli occhi cangianti e trovandoli piacevoli nonostante tutta la diffidenza e il sarcasmo che ci leggeva dentro. No, decisamente l’idea di avere davanti un “idolo” non riusciva a creare soggezione alcuna in quel ragazzetto.- Ti ho invitato qui con uno scopo, Brian.- gli disse allungandogli il flute. Prima di cedergli la battuta, proseguì con tranquillità studiata.- In realtà, volevo farti una proposta di lavoro.
Brian ristette, colpito, mettendo da parte per un istante sia diffidenza che sarcasmo – nonché il superalcolico nel proprio bicchiere – per sporgersi verso di lui con interesse genuino. David, però, si prese tempo.
-Hai mai bevuto champagne?- interrogò con il solo scopo di provocarlo.
Lo vide arricciare le labbra, sdegnato, e ridacchiò aspettando tranquillamente la risposta velenosa del ragazzo.
-Certo.- scandì brusco e secco.
Piccoli accenni di eleganza aristocratica, quella voglia di rimarcare la distinzione sociale rispetto ai propri interlocutori. Brian era il prodotto raffinato di una cultura eccellente, nascosto abilmente sotto le paillette di una drag-queen sgualdrina in un bordello di periferia. Un bel contrasto.
-Si tratta di questo.- riprese Bowie, archiviando la questione “bere” con la stessa indifferenza con cui l’aveva tirata in mezzo.- Saremo in tour in Europa per tutto questo mese ed il prossimo ed abbiamo bisogno di giovani band da utilizzare come apripista negli show. Così ho pensato a voi.- affermò stringato, prima di bere un lungo sorso al solo scopo di dare modo a Brian di rielaborare quei concetti e farli propri.
E la testolina mora davanti a lui doveva starsi dando un gran daffare, considerò osservando il muso del ragazzo chiuso in un mutismo assorto e indecifrabile. Brian non lo guardava, il suo nervosismo era evidente nel modo in cui stringeva il flute, possessivo, rischiando quasi di spezzare il sottile gambo di cristallo tra le dita.
David schioccò la lingua sul palato, assaporando il retrogusto aromatico della bevanda e richiamando allo stesso tempo l’attenzione del suo interlocutore su di sé.
-Ho sentito qualche canzone del vostro vecchio album.- ricominciò ad illustrare.- Quella… “Nancy Boy”? – domandò educatamente.- ha un suo “perché”.- Brian rise e David lo guardò di sottecchi, interpretando quella risata.- Sminuisci il tuo lavoro.- constatò.
-No, cerco di prendere le cose con il giusto realismo.- lo sconfessò candidamente Brian.- Ma continua, ti prego, essere adulati da David Bowie è apprezzabile anche quando sta mentendo.
Fu il turno del più anziano di ridere, ma con sincerità autentica nel constatare come l’intelligenza di quel ragazzetto riuscisse a stuzzicare le sue voglie perfino più del suo aspetto androgino e bellissimo. Non era una bambola da liquidare con una scopata e un’alzata di spalle, e lui era sempre più convinto della propria scelta nell’imporsi su Eno e sulla produzione del tour.
-So che adesso state per uscire con un nuovo lavoro e sono certo che non ti sfuggirà l’utilità di una promozione come questa: associare il nome dei Placebo a quello di David Bowie significa fare “il salto di qualità”.
-Dovrei comunque parlarne con gli altri…
-Non prendermi in giro.- ritorse educatamente David.- Tu non sei quel genere di leader. Ti ho osservato, Brian, e credo di poter dire con certezza che mi sono rivisto in te, in certi tuoi atteggiamenti. Credimi, io non avrei mai accettato di doverne “parlare con gli altri”, mi sarei limitato a prendere le mie decisioni e comunicarle.- spiegò pazientemente.- Ed è pur vero che questa è una delle ragioni per cui non lavoro con una band, - concesse ancora, con un’alzata di spalle sbrigativa – ma sono sicuro che un loro “no” non cambierebbe le tue decisioni in merito. Così come sono sicuro che non glielo chiederai neppure.
Brian lo osservò. Di nuovo chiuso in un silenzio carico di sottintesi e domande non espresse. David non lo invidiava, doveva essere estremamente complesso per lui scegliere in che modo percorrere la linea sottile che divideva i suoi sogni di quando ragazzino lo era davvero, dalla realtà più complicata e meno piacevole che gli stava mettendo di fronte. Lo vide mandare giù d’un fiato tutto il contenuto del proprio flute, sorrise nell’osservarlo, posò una guancia contro la mano e continuò a scrutarlo aspettando e godendosi lo spettacolo del suo viso leggermente arrossato dall’alcool trangugiato di fretta e dall’imbarazzo dei suoi occhi sulla pelle.
-Sei molto generoso- cominciò a dire, calcando bene quella parola perché il senso non sfuggisse a nessuno dei due.- nell’offrirci il tuo sostegno, David. Non posso che dirmene onorato e, chiaramente, assicurarti…la mia disponibilità, in cambio.
 
David Bowie lo aveva riaccompagnato a casa in macchina.
Aveva una Mercedes enorme con autista, ovviamente, una macchinona nera che gli ricordava un po’ quelle con cui girava suo padre quando venivano a prenderlo dalla Banca. Era stato delizioso per tutto il tempo – Brian si sentiva un po’ alticcio, aveva bevuto troppo champagne ed aveva comunque finito il proprio cocktail ed ordinatone un altro – aveva parlato praticamente da solo, accontentandosi delle sue risatine stupide e di qualche battuta a mezza voce, tenendo banco con una grazia e un’eleganza così invidiabili e perfette da farlo regredire d’un colpo ad almeno dieci anni prima, quando quell’uomo era il suo mito vivente e lui restava affascinato davanti alla radio o alla tv ad ascoltarlo parlare in un’intervista o cantare in un live. David era perfino arrivato a chiedergli se volesse che Jeff, il suddetto autista, lo accompagnasse fino a sopra quando si erano fermati davanti al portoncino del palazzo dove abitava. Aveva scosso la testa e si era morso la lingua di domandargli per quale motivo non fossero da tutt’altra parte – tipo a casa sua, di David, e non stessero discutendo dell’opportunità che Jeff lo accompagnasse fino al suo letto… - ancora una volta impareggiabilmente signore David lo aveva preceduto, stringendolo in un abbraccio che per la prima volta aveva annullato la distanza fisica tra loro e scoccandogli un bacio rovente sulla fronte.
Brian avrebbe voluto morire.
-Aspetto una tua chiamata, dunque.- lo aveva salutato il più vecchio da dietro il finestrino dell’auto, mentre lui sostava con le chiavi in mano fuori del portone, senza decidersi ad aprirlo e prendere la scala fino al terzo piano.
-Mh.- aveva ribattuto lui.
Jeff aveva messo in moto, David aveva chiuso il finestrino scuro e Brian non gli aveva voluto lasciare la soddisfazione di mollarlo lì, sul marciapiede, da solo, e si era finalmente voltato a cercare la serratura.
-Stefan!- chiamò bruscamente entrando nella camera ed accendendo la luce in un unico gesto.
Dal letto in cui stava dormendo, l’altro gli rispose con un verso a metà tra il risentito e il sofferente, rivoltandosi tra le lenzuola per tirare su le coperte fino in cima alla testa in un vano tentativo di rifuggire la luce.
Brian non si lasciò impietosire. Tolse il giubbino leggero che indossava lasciandolo su una poltrona, scalciò via gli stivaletti che portava ai piedi e si arrampicò indifferente al lato del corpo arrotolato nel letto, battendogli ritmicamente contro un fianco per indurlo a spostarsi e fargli spazio con una serie concitata di grugniti e sbuffi.
-…bbbriaaan!- biascicò alla fine il ragazzo, emergendo nuovamente dalle lenzuola in uno sbuffo disordinato di arti e coperte.
Il soggetto chiamato in causa non se ne diede preoccupazione, si accomodò alla meglio contro il muro alle proprie spalle e lo guardò finché gli occhi assonnati dell’altro non si aprirono lentamente, sbattendo ripetutamente le ciglia al chiarore eccessivo della luce artificiale.
-Che cazzo di ora è?- s’informò aspro il bassista.
-Le cinque e mezza. E credo di essere ubriaco.- lo informò Brian diligentemente.
-Non me ne fotte un accidenti! Vai nel tuo letto!- gli ringhiò contro, provando a girarsi di nuovo per rimettersi a dormire.
Implacabile, Brian gli tirò una manata nello stomaco.
-Ho da dirti una cosa importante.- riferì secco. Stefan sbuffò, saltellando fino ad arrotolarsi in una palla nel tentativo di sottrarsi alle angherie dell’altro.- Lo sai che voleva David Bowie?- gli chiese.
-Fare sesso con te.- lo sentì biascicare Brian.
A questo non rispose.
Stefan sospirò profondamente, prendendo atto nel silenzio della risposta implicita; si srotolò come la coperta in cui era avvolto e tornò a stendersi sulla schiena, fissando il soffitto a dita incrociate sulla pancia.
-Ti ascolto.- annunciò piatto.
-Ci offre di partecipare ad alcune date dell’Outside Tour in Europa.- comunicò il cantante, più o meno nello stesso tono.
-In cambio…?- suggerì ancora Stefan, fastidiosamente insistente.
Brian sbuffò, schioccando la lingua contro il palato e mugugnando qualcosa all’indirizzo dell’altro che suonò molto come una critica affatto velata dei suoi “stupidi pregiudizi”.
-Intanto sono qui!- esclamò poi, spiccio, saltando giù dal letto con la stessa velocità con cui ci era salito.
Stefan ne approfittò per sistemarsi su un fianco, la testa appoggiata alla mano e il gomito piantato nel cuscino, sfoggiando un’espressione sinceramente stupita nel guardarlo, ritto in piedi al centro della camera con le mani ai fianchi.
-Già.- convenne.- Non ti ha fatto neanche dormire con lui?- indagò vagamente seccato.
Brian scosse la testa, sospirando in direzione del lampadario.
-Dio, dammi la forza!- invocò in un eco sarcastica dei suoi trascorsi da bravo cristiano. Stef rideva e a Brian venne seriamente la tentazione di prenderlo a schiaffi.- Cretino! E no, non ci ho fatto sesso!- informò stringato e arrabbiatissimo.
-O.k., o.k.! Non fare la vergine offesa, Brian, sei pessimo in quel ruolo.- lo rintuzzò l’altro.
-E tu sei pessimo nel ruolo di migliore amico.- accusò gratuitamente il brunetto, voltandogli le spalle in tempo per non cogliere la sua espressione ferita e dirigendosi brusco alla poltrona.
Mentre lui si sistemava tra i cuscini dopo aver “sfrattato” il proprio giubbotto, Stefan ingoiava amaro e riacquistava una parvenza di compostezza nel fronteggiare il suo sguardo con un sorrisino debole e scialbo.
Brian ci pensò su. Arrotolato sulla seduta della poltrona, con una mano reggeva le ginocchia ossute e con l’altra arrotolava una ciocca scurissima di capelli ribelli attorno alle dita. Nell’osservarlo Stefan vide che il trucco era in disordine ma solo perché era passato un sacco di tempo da quando lo aveva applicato, nessuna sbavatura che potesse smentire le parole di Brian circa il modo in cui aveva passato la serata. Fu una consolazione magrissima, ma pur sempre una consolazione – sebbene pensare che Brian non sentisse nemmeno la necessità di mentirgli, non potesse essere certo il balsamo più indicato per le ferite che gli infliggeva ogni volta…
Chiuse gli occhi, quando li aprì Brian ricominciò a parlare.
-…dice che gli piacciono le mie canzoni.- sussurrò in tono flebilissimo. Stefan fu costretto a sporgersi in avanti per afferrare il resto, Brian non lo guardava nel parlare, fissava un punto a terra e continuava ad arrotolare ciocche istericamente, come un Linus macabro – Che gli piaccio per quello che dico e per come lo dico. Che ha ascoltato “Nancy Boy” e che non dovrei…sminuire il mio lavoro.- citò, lasciandosi scappare allo stesso tempo una risatina di scherno che gli restituì parte della propria sfrontatezza.
Raddrizzò la schiena e tornò a puntargli addosso gli occhi, isterico e cattivo come sempre. Stefan si disse che avrebbe preferito mille volte quel Brian a qualunque versione di lui fragile e insicuro gli avessero messo davanti.
Anche se significava meno abbracci e meno baci.
-Ma questo non ci interessa, no?- cercò il suo sostegno in tono di sfida.- Tutto quello che vogliamo- e quel plurale pesò sulla coscienza di Stefan come un macigno, tanto da costringerlo a chiudere gli occhi.- è che David Bowie sdogani definitivamente i Placebo.- scandì Brian con la sicurezza arrogante di sempre.- E al diavolo tutto il resto!
Avrebbe voluto rispondere che non voleva affatto mandare “al diavolo” niente di tutto il resto. Soprattutto visto che il resto erano loro – loro due – e lui alla pelle, al cuore, ai muscoli ed ai polmoni teneva ancora.
Però non lo disse.
 
Sussurra. Sussurra sulla mia pelle.
Insegnami ad ascoltare il vento ascoltandone il riflesso nelle tue parole
 
Brian Eno li tollerava a stento.
Brian Molko ne fu consapevole il secondo successivo a quello in cui misero piede all’interno dell’elegante sala dove si sarebbe tenuto il briefing per definire gli ultimi accordi prima della partenza.
Era tutto fissato a due giorni dopo, l’Italia li aspettava, loro erano impazienti e lui, nello specifico, terrorizzato a morte. Tanto che Stefan aveva avuto il suo bel da fare nel tenerlo lontano da alcool e droga la sera prima; se fosse stato per Brian, si sarebbe presentato a quell’incontro stravolto dopo una notte di scaramantici eccessi a cancellargli di dosso la tensione che avvertiva a fior di pelle.
Non era bravo in quel genere di situazioni. Non come lo era stato nel “tête-à-tête” con Bowie, la loro…piccola…“trattativa privata” aveva degli schemi in cui si muoveva con agilità. Perfino nel ruolo scomodo di giovane star emergente con una passioncella nemmeno troppo segreta per il suo idolo incarnato. Sapeva che gli accordi che avevano preso in separata sede mettevano lui e la band al sicuro dallo sguardo minaccioso di Eno, ma quello che avvertiva a livello emozionale era più forte e lo spingeva ad agitarsi nervosamente sulla sedia, assumendo pose sempre più scomposte con il progredire noioso di una riunione priva di qualsiasi sostanza.
Se non fosse stato proprio per lo sguardo di disapprovazione del produttore, lui avrebbe ritenuto interamente spazzatura la propria presenza a quell’incontro: c’erano dei manager, c’erano persone appositamente pagate per dirgli dove stare, per mettergli in mano gli strumenti musicali e per ordinargli di suonare. Punto.
Invece, lui ed il suo omonimo finirono per trasformare quell’ora e mezza in un serrato e silenzioso scontro, volutamente ignorato da chi stava loro intorno se si faceva eccezione per lo sguardo disperato di Stefan che, ogni tanto, tentava di richiamare all’ordine il proprio cantante.
Brian uscì da lì quasi di corsa, precedendo maleducatamente ogni altra persona nella stanza. Mise una sigaretta in bocca prima ancora di essere completamente nel corridoio, accendendola subito dopo in barba ai cartelli di vietato fumare. Steve lo afferrò per il gomito, trascinandolo via dalla soglia e, rapidamente, verso la porta a vetri che dava ad un terrazzo esterno.
La risata di David Bowie li fermò a metà del tragitto.
Brian si voltò. Quasi inconsapevole del sorriso divertito che gli aveva già tirato le labbra. Al centro del corridoio Bowie rideva ancora, la testa rovesciata all’indietro, le mani in tasca, complice di quell’atto di ribellione infantile.
Steve rinunciò a proseguire verso l’uscita e si fece da parte quando il cantante tornò sui propri passi per raggiungere il collega più anziano.
Brian Eno uscì veloce dalla sala e si fiondò agli ascensori senza degnare nessuno di loro di una seconda occhiata.
-Nervosetto, il tuo amico.- commentò Brian a voce abbastanza alta da essere sentito da tutti, interessato compreso.
David seguì il suo sguardo, puntando gli occhi sulla schiena rigida del produttore, ma non commentò in nessun modo.
-Hai impegni a pranzo?- chiese, invece.
Brian sorrise, ammiccante.
-Niente che non possa essere rimandato…se ne vale la pena.- aggiunse maliziosamente.
Anche il sorriso sul volto di David si allargò, rimanendo tuttavia gentile ed affabile.
-Reputi che io possa valerne la pena?- insistette.
Una risatina, uno sguardo obliquo, sorriso sghembo.
-Potresti.
-Allora, se mi permetti, mi piacerebbe invitarti a pranzo.- concluse galantemente Bowie.
Brian scoccò un’occhiata distratta al di sopra della propria spalla, fingendo un’indifferenza ammirevole mentre cercava con gli occhi la figura alta e allampanata del proprio bassista, individuandolo in silenziosa attesa al fianco di Steve. Riportò gli occhi su David in pochi momenti.
-Volentieri.- accettò elegantemente.
 
Stefan Olsdal lo aspettava alzato nonostante fossero quasi le due di notte.
Brian si accorse della luce nella sua stanza quando entrò. Posò le chiavi sul mobile all’ingresso e camminò in punta di piedi fino alla soglia della camera dell’altro, giusto per evitare di svegliarlo qualora si fosse comunque addormentato.
I loro occhi s’incrociarono a metà del tragitto, come in un tacito accordo. Quello di Stefan era già pregno di una domanda che non formulò a voce alta, quello di Brian un po’ colpevole, nonostante non ci fossero motivi per sentirsi in colpa.
-Ciao. Non dormi? Domani abbiamo un mucchio di cose da fare.- Una smorfia infastidita a colorare la frase, si sfilò la giacca di dosso.
-Pranzo lungo.- osservò a mezza voce Stefan.
-Cosa vuoi sapere?- scoccò implacabile Brian, brusco e stizzoso come sempre.
-Nulla.- mentì il bassista, spalle strette in un gesto di noncuranza fasulla.- Divertito?
-Sì, certo. Se no, tornavo prima.
Brian chiuse la discussione a quel modo, lasciando la stanza senza degnarlo di un’ulteriore occhiata e dirigendosi alla porta di fianco, quella della propria camera, che si richiuse alle spalle giusto per fargli capire che non gradiva compagnia.
Stefan non lo stava giudicando. Era solo…curioso? Boh.
Brian buttò il giubbotto sulla sedia della scrivania; la mancò, ma prese in pieno la scrivania stessa, un mucchio di fogli e penne rotolò a terra.
Ma poi non c’era nulla che dovesse raccontargli. Avevano chiacchierato, lui e Bowie. Avevano chiacchierato un sacco, di un mucchio di cose.
Quando, dopo pranzo, verso le quattro e mezza, il proprietario del ristorante aveva cortesemente fatto notare che dovevano proprio chiudere, si erano alzati ed erano usciti a passeggiare per le strade di Londra. Erano rimasti uno accanto all’altro, ad una distanza…confacente. Non si erano toccati neppure per sbaglio, non si erano sfiorati nemmeno quando si erano salutati ore dopo, dopo aver cenato qualcosa di veloce in un piccolo caffè che Brian non conosceva ma di cui David doveva essere un frequentatore abituale.
Ad un certo punto gli aveva chiesto se davvero uno come lui riusciva a ritagliarsi un intero pomeriggio da trascorrere a zonzo. Voleva sentirsi lusingato, sentirlo dire che aveva messo da parte i propri impegni per lui. David aveva riso, facendogli capire che era stato facilmente smascherato; Brian si era chiesto se lo avrebbe assecondato comunque ma la risposta era stata sincera.
-Quando sei David Bowie, sei tu che stabilisci “quando” e “dove”.
Brian aveva stretto forte le labbra e mandato giù un groppo. Un desiderio bruciante di fare a cambio di vita con l’altro gli aveva fatto stringere lo stomaco in una morsa d’invidia. Era stato volutamente cattivo, dopo. Offensivo fino all’inverosimile. Aveva volutamente tirato in ballo la loro differenza di età, stuzzicandolo su quell’aspetto, stuzzicandolo sull’ambiguità di un’eventuale approccio tra di loro. David aveva fatto cadere tutte le sue allusioni, ma non senza coglierle, non senza fargli intendere velatamente la correttezza delle stesse.
Eppure non si muoveva. Lo lasciava giocare a quel modo senza andargli dietro, Brian poteva offrirgli “il pagamento” del loro accordo, ma lui non sembrava intenzionato a prenderselo.
Non lo capiva.
Alla fine aveva ceduto. Mentre l’altro gli raccontava aneddoti più o meno divertenti della propria vita, infilandoci in mezzo consigli e suggerimenti dati con la maestria di un attore navigato, Brian si era riscoperto incapace di proseguire oltre in quella specie di provocazione a metà. Aveva messo da parte sia i modi da puttanella che l’astio rancoroso del ragazzino cattivo e si era limitato ad ascoltare, a fare le domande che gli venivano in mente, a ridere quando qualcosa lo divertiva.
Non si era nemmeno accorto di quanto tardi si fosse fatto.
Si erano lasciati dalle parti di una stazione della metro. Un saluto cordiale. Brian si era infilato sotto terra sforzandosi di non voltarsi a guardare cosa l’altro stesse facendo.
Nel treno si era appeso ad uno dei sostegni laterali, sfiatando aria come se avesse nuotato trattenendo il respiro.
…che schifo di situazione era, quella?!
Un bussare leggero alla porta richiamò la sua attenzione al presente.
-Entra, Stef.- sbrigativo.
Si tolse la maglietta, rimanendoci incastrato dentro mentre la porta veniva aperta e richiusa delicatamente. Nessun passo. Quando riemerse dalla stoffa, vide Stefan, impacciato, evitare il suo sguardo sulla soglia della stanza.
-Scusa. Non voglio farmi i fatti tuoi.- esordì spiccio il bassista.
-Mh.- si avvicinò alla scrivania e sistemò giubbotto e maglietta sulla sedia. Sul letto ne prese una pulita che usava in casa, per dormire, e la infilò dalla testa. Era enorme ma era di suo fratello.- Comunque, non è successo niente.- precisò a quel punto.
-Non te l’ho chiesto.
-Non a voce alta, questo è sicuro!- lo derise Brian.- Senti, qual è il tuo problema?- attaccò subito dopo, spiccio- Cioè, parliamone adesso e mettiamolo da parte, perché dopodomani partiamo in tour con quel tizio e, se hai un problema con lui…o con questa cosa, meglio saperlo adesso, ok?
-Quale cosa?
-Non il fatto che io possa scopare con lui, Stefan!- sfiatò Brian, stancamente.- O è questo?- indagò.
-Ho paura che possa approfittarsene e basta.
-C’è il rischio.- convenne brevemente l’altro. Si arrabattò nella stanza, mettendo in ulteriore disordine cose che non erano in ordine da un pezzo, gettando alla rinfusa nell’armadio vestiti sgualciti. Stefan seguiva distrattamente i suoi movimenti, solo per leggerci dentro con facilità il nervosismo strisciante della sera prima.- E’ ovvio che non è quello il mio obiettivo.- scrollò le spalle.
Stefan annuì breve. All’improvviso condivideva con Brian l’irrefrenabile bisogno di rompere degli schemi monotoni. Era tardi, a quell’ora era tardi per qualsiasi cosa, ma non potevano semplicemente rimanere in casa, andare a dormire e fare finta di niente.
-C’era una festa da Andy.- buttò lì con casualità.
Brian si voltò di scatto, il viso illuminato da una luce nuova, quasi spiritata. Sorrise in un modo che Stefan giudicò spaventoso, ma poi si lasciò contagiare dal suo entusiasmo.
-E noi che ci facciamo ancora qui?!- esclamò il cantante, afferrando dall’armadio ancora aperto il primo paio di pantaloni e la prima maglietta che riuscì a raggiungere.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2 ***


Sussurra nello specchio
riflesso di città incantate.
Sospeso nel tempo. Sospeso.
 
8 Febbraio 1996
Milano (Italia) – Palatrussardi
 
L’Italia.
Non ricordava nemmeno un motivo valido per volerci essere. Nemmeno uno.
L’Italia non gli piaceva. Non gli era mai piaciuta. Non gli sarebbe piaciuta fino alla fine dei suoi giorni. La gente faceva casino – feeesta! – era invadente, impicciona, chiacchierava troppo e lui si sentiva…aggredito. Come se da un momento all’altro dovessero saltargli addosso, spogliarlo, violentarlo nel corpo, oltre che nell’anima.
Sotto il palco dei loro concerti c’era sempre qualcuno che pensava a lui come ad una puttana. Ne era consapevole. Non è che non si rendesse conto dei rischi che assumeva su di sé nel presentarsi in un “certo modo”. Nell’ultimo anno la sua vita era stata talmente condizionata da quella semplice verità, che anche a volerla ignorare gli si sarebbe incollata addosso come le gocce di sudore che gli impregnavano i vestiti.
Eppure c’era una logica anche in quel gioco sporco, delle regole da seguire e che le persone attorno a lui conoscevano bene tanto quanto lui stesso. Finché giocavano secondo le regole era ok. Fastidioso ma ok.
Ma gli italiani…quelli non avevano idea di quando piantarla, di dove fermarsi!
La folla oceanica all’interno del palazzetto aveva riscaldato l’aria fino a renderla incandescente. I Placebo si erano trovati davanti un popolo curioso e attento, che aveva sollevato in su sguardi carichi di aspettative. Qualcuno li conosceva e aveva accennato il ritornello delle canzoni, strappando a Brian e Stefan un sorriso compiaciuto. Qualcuno li scopriva quella sera per la prima volta, gli sguardi si allargavano, brillanti, le bocche si aprivano su “o” stupite ma già stregate. Brian, sudato e soddisfatto, allungava verso di loro braccia magre, promettendo abbracci che non avrebbe mai concesso ma che facevano fremere comunque il corpo di chi, naso all’insù, osservava la sua figura minuta saettare impazzita da un angolo all’altro del palco. Parole avvelenate sulla bocca di una bambolina di porcellana delicata, un azzardato mix che poteva ugualmente far rabbrividire animi conformisti o suscitare sussurri lascivi nei più audaci.
Dietro le quinte David sollevò il mento, fieramente, e si voltò verso Eno per incrociarne lo sguardo corrucciato alla vista dello spettacolo che il brunetto stava dando di sé sul palcoscenico. Silenziosamente, il cantante cercò il suo assenso, una muta ammissione di sconfitta davanti alla capacità eccezionale di quella band di ragazzini di attirare l’attenzione su di sé in modo complesso. Il produttore non gliela concesse; braccia strette in una posa rigida, gli girò le spalle per tornare all’interno del backstage.
David ridacchiò e tornò a guardare lo show.
 
Eric Carlsen era un gigante biondo di circa novanta chili. Alto quasi due metri. Largo dai cinque ai sei.
…Brian valutò meglio quell’ultima misura, inclinando il capino di lato in quella posa ambigua e sfrontata che strappava consensi con la facilità con cui avrebbe strappato ceffoni ad un genitore arrabbiato.
Eric, però, rise.
Nella traiettoria dello sguardo del cantante, il bestione biondo occupava buona parte della visuale, impedendogli di cercare con gli occhi Stefan e Steve che lo avevano preceduto all’after show e dovevano essersi già imboscati da qualche parte in compagnia di alcool e cosce nude in egual misura.
-Sei una forza della natura, ragazzino!- affermò Eric baldanzoso.
Quando gli si fece ulteriormente addosso, Brian realizzò che la larghezza doveva essere più sui due metri e mezzo.
-Una vera forza della natura!- ribadì l’altro.
Un braccio attorno alle spalle esili di Brian, il peso di quei muscoli tatuati lo schiacciò a terra molto più di quanto avrebbe gradito. Eric puzzava di birra e di fumo.
…l’odore del fumo convinse Brian che poteva tollerarlo.
E poi, l’ampiezza della cassa toracica dell’altro si era ridotta ad un metro e settanta.
-Uno come te farà strada! Per Dio! non mi è capitato spesso di vedere troiette altrettanto brave a muovere il culo sul palco!
Brian tirò la bocca in un sorriso cattivo, incassando male il commento e desiderando ferocemente liberarsi dal peso opprimente del braccio dell’uomo. Resistette a quell’impulso solo perché non era il caso di litigare con uno così grosso quando non c’era Steve a coprirgli la ritirata.
-Immagino che sia un modo contorto per farmi un complimento.- miagolò stizzito.
Eric rise, battendo con il palmo aperto contro le sue scapole. Lasciò lì la mano, spingendolo leggermente – a Brian sembrò di essere investito da una carica di rinoceronti incazzati – e direzionandolo verso l’interno della sala, la musica, il bar e mucchi di corpi accaldati e scalmanati.
-Ti meriti una bella bevuta, ragazzino! E ti meriteresti anche una bella scopata.- ci aggiunse dopo un istante.
Brian valutò se la sua fosse una proposta, rabbrividendo di orrore all’idea, ma Eric non lo guardava nemmeno e sembrava solo sinceramente divertito da tutta quella situazione. Quando poi approdarono al banco del bar e il bestione ebbe catturato una bionda tutta curve che presentò come “una sua carissima amica di cui non ricordava il nome”, Brian si rilassò. La groupie – perché tale era e c’erano pochi cazzi al riguardo – gli sorrise ammiccante e lui la valutò con un’occhiata d’insieme, giudicando che fosse forse un po’ troppo finta, ma decisamente passabile per la serata. Intravide i movimenti di Eric come in un flash, la bustina trasparente che lui ficcò in mano a lei prima che si arrampicasse agilmente sullo sgabello di fianco a quello occupato dal cantante. Le gambe sinuose della ragazza invasero per intero il suo sguardo e Brian si ricordò della bustina solo un’oretta più tardi, quando ricomparve magicamente dal reggiseno di lei mentre erano chiusi nella sua stanza in albergo.
Brian osservò la tipa preparare con cura le strisce bianche sul ripiano del comodino accanto al letto e si disse che Eric era proprio un bravo ragazzo.
 
9 Febbraio 1996
Bologna (Italia) – Palasport
 
Eno li raggiunse prima del sound check. Con lui c’era un uomo che Brian, Stefan e Steve avevano intravisto il giorno prima dietro le quinte e che, adesso, scherzava e rideva con il produttore con una familiarità che strappò al cantante un moto di stizza. Cercò di farsela passare prima che i due li raggiungessero ma, per sicurezza, si allontanò al loro arrivo con la scusa di andare a cercarsi una bottiglietta d’acqua.
Quando tornò, il tizio stava chiacchierando con Stefan e Steve, e tutti e tre sorridevano, tanto.
-Brian.- lo apostrofò Eno come se, davvero, lo avesse visto in quel momento per la prima volta.- Lui è Levi.- presentò.
Tizio gli allungò la mano e Brian fece tanto da stringerne la punta delle dita con la propria, come se un contatto maggiore non fosse pensabile.
Tizio fece finta di non accorgersene – un punto per lui – Eno storse il naso ed ingollò un commento (meno trecento punti per lui, ma Brian sospettava che il proprio posto nella classifica personale del produttore stesse rapidamente peggiorando).
-Vi ho visti, ieri sera. Grande show!- si complimentò Levi, ignorando la reazione del produttore.
Brian scoccò ad Eno un’occhiata trasversale, soddisfatta, e poi sorrise amabilmente all’uomo.
-Sì. Grazie.- fece le fusa, con il medesimo tono che avrebbe usato per dire “ahah, niente che non sapessi”. E in effetti, fu chiaro a tutti che era esattamente il significato che attribuiva a quel ringraziamento.
Brian Eno scalpitò, strisciando la suola delle costose scarpe italiane a terra e richiamando così la loro attenzione.
-Beh, Levi è il vostro tecnico.- scoccò brusco.
Brian lo fissò interrogativamente, ma fu Stefan a chiedere di che “tecnico” stessero parlando.
-Dave vuole che abbiate un tecnico del suono per voi. Uno che vi segua in via esclusiva.- spiegò rapido l’uomo. Levi sorrise di rimando a Brian quando lui si voltò a fissarlo, ancora perplesso.- Levi è quello che ha più esperienza e Dave…noi – corresse a malincuore, confessando di aver comunque preso parte a quella scelta.- pensiamo che potrebbe aiutarvi a sistemare le cose in modo che funzionino.
-Sarà un vero piacere lavorare con voi.- si affrettò a rassicurarli Levi.
Brian annuì; all’improvviso l’astio di Eno non era più così importante e il sorriso nuovo che rivolse al tecnico era sincero in modo disarmante, tanto che l’uomo tentennò nel ricambiare la stretta di mano autentica che lui gli offrì.
-Grazie fin d’ora, Levi. Siamo felici di poter contare sulla tua esperienza.- ammise caldamente.
 
Brian aspettò che David e la sua band finissero di esibirsi.
Dalla platea salivano le urla isteriche dei fan e una cascata di flash accompagnò il saluto teatrale con cui il “Duca Bianco” si accomiatò dal pubblico. Il suo sorriso aveva un ché di magnetico, considerò Brian affascinato: quando David Bowie si voltò verso il backstage i loro sguardi s’incrociarono a metà strada, in uno spazio trasparente fatto di irrealtà che avvolse i sensi di Brian ottenebrandoli parzialmente. Per un secondo o due fu certo in modo istintivo che quello scintillio soddisfatto e accogliente negli occhi dell’uomo fosse per lui. Fu una sensazione tanto improvvisa quanto fugace. L’attimo dopo i passi di David avevano raggiunto il primo dei pochi gradini che portavano giù dal palco e, ai piedi di quella corta scalinata, Eno lo aspettava a braccia spalancate.
Avrebbe voluto ringraziarlo personalmente.
Brian lo pensò.
Levi si era rivelato un aiuto prezioso e per loro era stato un piacere collaborare con una persona tanto competente ed accorta. Era stato immergersi in un mondo completamente diverso, fatto di una professionalità autentica che un po’ gli mancava, ancora...
Guardò il produttore e il cantante mentre si avviavano assieme verso i camerini. Il ristretto gruppo di musicisti che suonavano con Bowie li seguiva da presso, con loro c’era un giornalista e il tour manager. Quando sparirono nel corridoio, Brian si staccò dal muro che lo sorreggeva, sciolse le braccia e cercò Stefan.
 
Era al sesto o settimo giro quando Eric comparve nella sua visuale.
Brian incespicò sui proprio piedi, non troppo stabile né sufficientemente sobrio, e sollevò la testa a rallentatore, percependo quel movimento con precisione: le ossa e i muscoli del collo e delle spalle che si tendevano dolorosamente per accompagnarlo, la nuca, umida di sudore, che urtava contro la pelle nuda intorno alla maglietta scollata… Scostò un ciuffo di capelli dagli occhi per assicurarsi che il sorriso dentato fosse proprio quello che ricordava e si tolse ogni dubbio quando la mano dell’altro gli si abbatté rumorosa e pesante contro la schiena.
-Ragazzino!- lo apostrofò con la solita malagrazia il gigante biondo.
Brian storse il naso. Forse doveva comunicargli quanto fastidio gli desse essere chiamato “ragazzino”. Si astenne quando lui gli fece scivolare in mano un sacchettino pieno di pillole colorate.
-Fatti un giro e divertiti.- gli strinse l’occhio il bestione.
Brian tentennò. Poi ricambiò il suo sorriso.
 
Corri.
Corri.
…corri, corri, corri!
 
A Lione arrivarono con un giorno d’anticipo.
Anche se era Febbraio li accolse un sole talmente intenso che venne loro voglia di sostare nel piazzale dell’albergo.
Eric e gli altri della crew erano con loro, qualcuno mise in mezzo l’idea di andare a fare un giro e gli altri la recepirono con entusiasmo. Mentre camminavano in cerca di un posto dove sbronzarsi alle quattro del pomeriggio, si resero conto che Lione era un posto di merda e che nessuno di loro ci teneva davvero a fare il turista.
Videro la limousine di Bowie ed Eno passare sulla strada principale. Stefan diede un colpetto alla spalla di Brian perché si voltasse, lui lasciò perdere la vetrina del negozio in cui si stava specchiando e girò lo sguardo verso l’auto nera che sfilava lenta ed elegante. La trovò pacchiana, ma poi qualificò il nodo nel proprio stomaco come sana gelosia e la cosa lo mise in allarme molto più di quanto si sentisse pronto ad ammettere.
Da quando erano partiti non c’era stata occasione di incrociare David se non per sbaglio e nessuna di parlargli da solo.
…per la verità, nessuna di parlargli e basta.
A Brian stava cominciando a dare noia.
In fondo avevano un patto, loro due, e il non sapere che gioco stesse giocando l’altro cominciava a disorientarlo. Se, poi, c’era qualcosa che non tollerava bene, era il sentirsi spiazzato a quel modo.
-Eric.- chiamò mentre il gruppo riprendeva a muoversi pesante, vagabondando sbandato senza una meta precisa.
Il bestione si girò e con lui Stefan. Brian si sforzò d’ignorare gli occhi del proprio bassista e si concentrò sullo sguardo azzurro e acquoso del gigante biondo.
-Tu sai perché David e gli altri non si fanno mai vedere?- chiese, accostandosi all’altro in modo da poter tenere un tono abbastanza basso da non essere udito dagli altri.
La mandria procedeva a passi strascicati e tra risate sguaiate. Steve afferrò Stefan per il polso e, gridando qualcosa di volgare, lo trascinò in mezzo al gruppo. Lo svedese fece finta di prendere parte al loro gioco e Brian se ne disinteressò.
-Ah, ma loro fanno sempre così!- esclamò Eric, senza mostrare altrettanta discrezione ma alzando il tono un po’ troppo.- Mica ci stanno, con noi altri! Siamo feccia per quelli… L’hai visto che muso del cazzo ha Eno?! Un testa di cazzo simile difficilmente la si becca in giro!- gli toccò una spalla. Brian si scostò malamente, ma lui non ci fece caso.- Dai retta a me, Brian, tu sei meglio di quelli.
Pensò che aveva ragione, anche se lui glielo diceva per i motivi sbagliati. L’orgoglio gli pungolò la pancia alla stessa altezza della gelosia. Intascò le mani nei jeans e allungò il passo per raggiungere il gruppo.
 
-Pensavamo di scendere in centro per andare a farci un hamburger e una birra tutti assieme. Charles ha detto che c’è un posto dove andare a ballare, più tardi.
Brian annuì senza ascoltarlo davvero. Stefan se ne accorse e sbuffò, richiamando la sua attenzione su di sé.
-Che c’è?!- sbottò il cantante stizzito, allargando gli occhi.
-C’è che faccio prima a scriverti una cartolina se voglio parlarti!- ritorse nervosamente il bassista.
-Non dire stronzate…
-Non dico stronzate, Brian! E’ da stamattina che praticamente non caghi né me né Steve e passi tutto il tempo con quella testa di cazzo di Eric!- replicò Stefan, seccamente.
Brian si innervosì.
-Sei geloso, Olsdal? Non mi parevi particolarmente dispiaciuto mentre facevi la checca in calore con Tecofski.- lo aggredì prontamente.
Stefan si fermò al centro del corridoio. Brian due metri più avanti. Si voltò. Lo sguardo del bassista era sinceramente ferito. Sinceramente era un avverbio che su Stefan stava drammaticamente bene e questa era una cosa che mandava Brian in bestia in modi paurosi. Odiava il fatto che Stefan fosse sempre sinceramente qualcosa; avrebbe preferito averlo decisamente più stronzo e meno sensibile alle sue parole.
-Adesso non cominciare!- provò a scuoterlo, sollevando gli occhi al soffitto in modo teatrale.
-…sei proprio una merda.- chiosò Stefan freddamente.
In due passi lo aveva superato. Brian sospirò pesantemente osservando la sua schiena allontanarsi lungo il corridoio.
-Stef. Piantala di fare la femmina mestruata!- lo richiamò svogliato.
Quando non ottenne alcuna risposta, si strinse nelle spalle. ‘Fanculo! se la sarebbe fatta passare o al diavolo!
Afferrò la maniglia della porta della propria camera tirando con forza mentre ancora la chiave era nella toppa. Per poco non la spezzò all’interno della serratura. Si lasciò scappare una bestemmia, poi sbatté violentemente il battente alle proprie spalle e scalciò via le scarpe, camminando a piedi nudi sulla moquette rossa. Stava ancora sbuffando stizza e cercando di stabilire se volesse o meno concedersi una doccia quando sentì bussare delicatamente. Convinto fosse Stefan in preda al pentimento spalancò la porta con un sorriso enorme e vittorioso sul volto.
Lo sguardo profondo e calmo di David lo inchiodò sull’uscio, raggelandogli il sangue come una doccia fredda.
Era troppo che non si trovavano così vicini. Brian avvertì il profumo costoso dell’altro investirlo e si sentì improvvisamente inadeguato nei propri jeans neri e maglietta corredata da una scritta stupida e infantilmente provocatoria. Cercò in fondo al proprio stomaco un po’ di coraggio e fece sparire il sorriso, per rivestirsi di una strafottenza ostentata che, in parte, rifletteva la delusione che realmente provava in quell’istante.
-Ah.- scoccò blando.- Sei tu.
La constatazione asettica fu accompagnata dallo scivolare delle dita lungo la maniglia. Brian si fece indietro con indifferenza studiata, lasciando la porta aperta e camminando all’interno della camera ignorando volutamente l’altro. Gli occhi di David gli bruciavano la schiena ad ogni passo, ma resistette all’impulso di voltarsi, accontentandosi di avvertire “a pelle” che lui era ancora lì.
Quando il battente si richiuse con un click soffocato ne fu certo e si girò.
-Brian.- lo salutò David accondiscendente ai suoi modi capricciosi.
-Dave.- soffiò lui, accomodandosi sul piano della scrivania accostata al muro opposto.
Aspettò, senza desiderare rendergli in alcun modo il compito più facile.
La sua unica mancanza, si disse, fu il lasciarsi sfuggire un’inappropriata occhiata al letto a due piazze che troneggiava di fianco a loro: David seguì il suo sguardo e Brian ebbe il sospetto che la sua espressione assumesse una sfumatura divertita che non gli piacque affatto.
Fu solo un istante, comunque. Quello successivo i loro sguardi si sostenevano con una tranquillità meramente apparente.
-Solo Brian…intendo Eno, mi chiama “Dave”- osservò Bowie pigramente.
Un sorriso a mezzo incattivì l’espressione del più giovane. David lo ignorò e ignorò anche la circostanza che la propria notazione fosse caduta nel vuoto.
-Come vi trovate?
-Benissimo, grazie.- ribatté Brian, pronto ed impeccabile.
-Ne sono felice.
-E’ reciproco.
Silenzio.
David Bowie si spostò nella camera, raggiunse il salottino in un angolo, scostò la poltrona e si accomodò. Brian gli ruotò addosso lo sguardo senza perderlo di vista un solo istante.
-Mi ha detto Levi che state lavorando molto bene assieme.
-Molto.
-Trovo che siate stati incredibili in Italia.
-Troppo buono.
-Intendi continuare a lungo?
-A fare cosa?
L’ingenuità perfetta nel porre quell’ultima domanda strappò a Bowie una risata istintiva e genuina. Il modo di Brian di scivolare tra le espressioni con naturalezza ma, allo stesso tempo, con tanto esibizionismo era sconvolgente, incredibile. Lo trovava una delle cose più affascinanti con cui avesse mai avuto modo di interagire.
-Ero venuto ad invitarti a cena.
-A cena…- ripeté Brian senza fare alcunché per incoraggiarlo neppure stavolta.
-Sì. Solo noi due, s’intende.
-Oh!- Una “o” meravigliosamente tonda atteggiò quella boccuccia pronunciata che, perfino senza rossetto, manteneva intatta la propria carica di malizia sfrontata. Gli occhioni sbatterono le ciglia lunghe e nere un paio di volte, poi Brian sorrise.- Quel tipo di cena.- considerò.
Cercò in tasca le sigarette, lasciando a David il tempo di soppesarlo con lo sguardo, libero dall’essere a sua volta sottoposto allo stesso esame: in qualche modo, questo costituiva un punto per Brian e Bowie lo sapeva.
-Se dicessi di no?
-Allora non saprei davvero cosa dovremmo fare a cena da soli, io e te.- rispose seccamente lui, sollevando la testa troppo rapidamente per essere davvero indifferente alla cosa come tentava di mostrarsi.
Ogni tanto dimostrava ancora la propria inesperienza.
-Parlare.- ribatté David scrollando le spalle.
-Parlare!- ripeté Brian ironico.- Non hai avuto molto da dirmi da quando siamo partiti.
-No, infatti.- assentì quietamente l’altro.
Brian avvampò. Non voleva farlo, ma all’improvviso la gelosia e l’orgoglio ci si erano messi di mezzo in modo non previsto.
-Bene. Felice di sentirtelo dire!- sibilò rabbioso.
David non si lasciò impressionare, affrontando con tranquillità il suo sguardo.
-C’è qualcosa che non va, Brian?- lo interrogò.
L’autorità nel suo tono, sebbene pacato, era tale che Brian si sentì nuovamente un moccioso inadeguato. Quella sensazione bastò a strozzargli in gola le parole velenose che un attimo prima stava pensando e che, invece, si trasformarono in un nervoso mordicchiare di labbra ed un biascichio stizzoso ma ammansito.
-No. Niente.- Si prese qualche momento prima di capitolare, ma lo fece perché, in realtà, non desiderava altro.
David Bowie lo tirò d’impaccio intervenendo prima che si dovesse arrendere esplicitamente.
-Quindi…mi permetterai di invitarti a cena?- insistette galantemente.
 
-Quel ragazzino va addomesticato.
-Non è un gatto randagio!
David considerò seriamente l’osservazione di Eno prima di rispondere. Osservò l’altro versarsi da bere da una bottiglia sfaccettata, accomodato tronfio dietro il bancone del mobile bar che troneggiava nel salotto della suite.
La stanza di Bowie aveva le dimensioni di un appartamento e lo sfarzo di una reggia, ma la cosa più incredibile di tutte era l’assoluta mancanza di interesse che l’occupante di quella camera mostrava per tutto questo. Se fosse stato per David avrebbe scelto una camera molto più modesta.
-In un certo qual senso…- ridacchiò alla fine.
Eno gli scoccò uno sguardo da sopra l’orlo del bicchiere. Il whisky scivolò rapido giù per la gola, bruciando la lingua e il palato; riscaldò la pancia ma provocò anche una fitta bruciante, rammentandogli che l’ora di cena si avvicinava e che lui non mangiava da troppo per potersi concedere di bere.
-Perché sei così ostile verso di lui?- indagò David pacatamente.
-Perché non ha alcun talento.- fu la risposta pronta del produttore.
-Io penso che tu lo stia valutando superficialmente, che ti stia facendo condizionare da quello che vedi senza capire che ha un significato più profondo di quanto appare…
-Dave!- soffiò affranto Eno. Posò il bicchiere prima di finirne il contenuto, l’acidità di stomaco era veramente troppa per voler tentare la sorte.- Parliamoci chiaramente.- invitò, mani aperte contro il piano di radica del mobile bar.- E’ un tuo clone mal riuscito. Ci sono centinaia di mocciosi come lui pronti a vestirsi di strafottenza e tutine con le paillettes. Non ci vuole molto a cantare quanto si è trasgressivi quando sei certo che questo ti farà guadagnare rapidamente un posto nel cuore di tanti ragazzini insicuri.
-Non mi imita affatto!- osservò David sinceramente stupito, sollevando le sopracciglia su un’espressione perplessa che strappò una risata all’altro.
-Ti prego!- ironizzò Eno.
-Non mi credi?
-Guardalo, Santo Cielo! Posso capire che i tuoi sensi siano…confusi, ma Dio, Dave!
-Non tutto ciò che è ambiguo è riconducibile a me.- osservò Bowie con una punta di stizza autentica nel tono.
Eno si chiese pigramente se non avesse esagerato, finendo per offendere l’amico. Valutò la cosa mentre si spostava verso il salottino, in mano un portasigarette d’argento da cui estrasse una sigaretta preparata a mano, la posò tra le labbra ma si prese tempo prima di accenderla. Trovò posto tra i cuscini multicolore di un divano foderato di seta verde e sollevò gli occhi sull’altro, che sostava pigramente di fianco ad una finestra ampia, braccia al petto, attendendo di capire come si sarebbe ulteriormente evoluta la discussione.
-Che cos’è che ti affascina tanto di lui?- decise di ritorcergli contro il produttore.
Bowie sollevò le sopracciglia, stupito dalla domanda ma anche dal non saper fornire una reale risposta. Su questo Eno aveva ragione, in qualunque altra circostanza l’accordo tra lui e il ragazzino sarebbe già stato saldato mentre con Brian Molko David non provava alcuna fretta di riscuotere la sua parte. Ed effettivamente, ci teneva che i Placebo facessero la loro figura sul palco e che riuscissero a strappare l’ombra di un consenso anche all’ottuso amico che sedeva nel suo salotto.
-Cosa c’entra questo, adesso?!- borbottò contrariato, senza rispondere.
-Vorrei capire quanto sei condizionato nel valutare questa situazione…- fu la quieta ammissione di Brian Eno.
-Oh, Santo Cielo!- sfiatò Bowie.
-Dave. Non ti sto impedendo niente, ho accettato che li portassi con noi anche se mi è sembrato eccessivo, ma non capisco davvero cosa tu riesca a vedere in loro.
-In lui.- corresse David spiccio.
-…in lui.- gli concesse l’altro.- Cerco solo di capire se davvero mi sto sbagliando.
-Temo sia troppo complicato.
-Quello che è complicato si vende molto male!- ironizzò Eno ridacchiando e rilassandosi all’indietro contro lo schienale del divano.- Dovresti rifletterci.
David Bowie annuì. Ciondolò fino al centro della stanza e da lì al mobile bar, dove indugiò davanti alla bottiglia di whiskey ancora aperta. Stabilì che poteva aspettare che si facesse più tardi e tornò a guardare l’altro.
-E’…un controsenso. E’ tutto un controsenso, in lui. E’ come se nascondesse in bella vista tutto quello che vorrebbe che gli altri non trovassero mai e poi mai, il suo io più vero.- mormorò con difficoltà evidente.- Sto ipotizzando!- esclamò subito dopo, quasi a ritrattare la profondità della sua prima analisi. Gesticolò nel farlo, giocando distrattamente con il tappo a diamante della bottiglia sfaccettata: era brutto.- Ne so quanto ne sai tu o chiunque altro, su di lui, e posso assicurarti che non è facile superare quella barriera di…come l’hai definito?- sghignazzò divertito, ritrovando in un momento la complicità e l’intesa con la sua controparte razionale; anche Eno si concesse una risatina.- “un ragazzino vestito di strafottenza e paillettes”! Beh,- riprese muovendosi anche lui verso il salottino per accomodarsi a sua volta- sono convinto che ci sia altro oltre le paillettes e sono curioso di vedere cos’è.
Brian Eno accese la sigaretta e fece il primo tiro, godendosi il voluttuoso piacere del fumo caldo che scendeva lungo la gola. Lo fissò di sbieco, sornione, deciso a non lasciargli il campo senza averlo preso in giro – e in contropiede – almeno un po’.
-Ammetti che quello che vuoi…scoprire si trova sotto il vestitino nero che gli hai visto addosso la prima sera.- pretese.
David rise. Ma non rispose affatto.
 
Come per il loro primo incontro, la soluzione che David Bowie aveva adottato implicava il giusto grado di riservatezza. Il ristorante era lussuoso quanto basta ma non troppo famoso e, comunque, frequentato da una clientela che non aveva alcuna attitudine al jet-set. Il locale era dotato di un grazioso giardino d’inverno, nascosto nella parte più interna della sala, che era stato interamente riservato all’illustre ospite e la cui unica porta di accesso era rigorosamente sorvegliata da un omone in abito scuro che Brian riconobbe all’istante: Jeff, il corpulento autista di Londra. Evidentemente, anche in tour Bowie preferiva non rinunciare alla discrezione di un personale rigidamente selezionato e, quindi, fidatissimo.
Il bestione lo accolse con un cenno del capo a mo’ di saluto. Brian fu indeciso se rispondergli, per mera cortesia, ma mancò i tempi quando l’altro si affrettò ad aprirgli la porta per farlo passare. Così rinunciò a sembrare meno scortese e s’infilò attraverso il battente.
Il giardino d’inverno era completamente chiuso; su tre lati era circondato da serre trasparenti, strette, in cui fiorivano orchidee fuori stagione e banani di dimensioni ridottissime. Un unico tavolo apparecchiato era appoggiato contro una delle serre; le porcellane, i cristalli, le posate, la biancheria…tutto aveva la stessa compostezza, elegante e sobria. David Bowie era in piedi e gli dava le spalle, sostando vicino ad una colonna che reggeva un unico vaso in cui un ciliegio bonsai sfoggiava fiori rosa decisamente in anticipo sui tempi. Le mani dell’uomo erano intrecciate dietro la schiena, arricciando sui muscoli tesi, leggermente piegati in avanti per permettergli di annusare il ciliegio, le code di una giacca dal taglio formale ma realizzata in un tessuto di un grigio cangiante. Se si era accorto dell’arrivo di Brian, David lo mascherò bene, rimanendo in quella studiata posa per il tempo sufficiente al più giovane a riempirsi gli occhi di lui e sentire il proprio corpo prendere dolorosamente coscienza dell’attrazione che esercitava.
Brian si obbligò a riprendere in fretta il controllo di nervi e sensi e, quando David Bowie si voltò, il suo viso era una maschera impassibile ed indecifrabile come sempre.
L’uomo più anziano sorrise.
Brian si accorse che era stato attento a curare tutti i particolari del proprio aspetto. Appariva riposato, in forma, rilassato e, in accordo a quanto li circondava, sufficientemente elegante pur nell’estrosità dell’abbigliamento. Sciolse le mani ed allargò un braccio, cedendogli con un gesto galante il passo per prendere posto al tavolo.
-Sono felice che tu abbia accettato di cenare con me,- esordì banalmente il suo ospite quando si furono entrambi seduti.- anche se sospetto di averti contrariato in qualche modo…- suggerì dopo con casualità studiata.
Brian valutò la possibilità di rispondergli sinceramente e dirgli quanto fastidio provava nell’essere trascurato e lasciato da solo in mezzo “alla marmaglia”. Poi giudicò che sarebbe stato troppo infantile perfino per lui e non voleva, comunque, dargli la soddisfazione di sapere quanto poco gli ci volesse per ferirlo. Quindi non rispose affatto.
David, chiaramente, non insistette. Il resto della loro conversazione si svolse in piacevoli facezie e disquisizioni superficiali riguardo il lavoro, il tour, i colleghi…
La cena fu servita senza che nessuno venisse a prendere le loro ordinazioni. Brian immaginò che l’altro avesse dato disposizioni su ciò che avrebbero mangiato quando aveva prenotato la sala e si limitò a gustare le portate che gli venivano servite da silenziosi camerieri in livrea. Ogni piatto, squisito esempio della migliore cucina francese, era accompagnato da un vino adeguato e Brian fece il tragico errore di non prendere esempio dal proprio ospite e di dedicarsi con maggiore devozione al vino di quanto non fece con il cibo.
Per la fine della serata era drammaticamente brillo, ma, insolitamente per i suoi standard, l’alcool aveva avuto lo spiacevole effetto di intontirlo senza trasmettergli neppure un po’ della solita euforia malsana che accompagnava le sue sbronze.
David lo guardò mentre finiva in pochi sorsi una coppa di champagne che aveva accompagnato fragole provenienti da chissà quale clima più mite di quello nord europeo. Il viso arrossato e accaldato, gli occhi liquidi e brillanti…si rese conto di quanto Brian apparisse più giovane perfino della propria età e di quanto potesse risultare visivamente fragile, in un eco sincera di un Io che aveva crepe enormi a renderne instabile la superficie.
Per un attimo quella sera era stato tentato di reclamare il proprio pagamento. Era certo che non avrebbe incontrato alcuna ritrosia, aveva fatto in modo che Brian si sentisse corteggiato, lusingato e coccolato come era giusto che fosse. Era certo, anche, che il più giovane fosse sinceramente attratto da lui. In questo momento, tuttavia, David non provava che un ricordo sbiadito del desiderio con cui lo aveva accolto ore prima al suo arrivo a quella cena.
Sapeva che il mutare dei propri sentimenti non dipendeva dal fatto che lo trovasse meno desiderabile o bello. Né da un improvviso scrupolo di coscienza ad approfittarsi di lui in un momento in cui non fosse stato completamente padrone di sé: Brian non era così ubriaco da non essere in grado di decidere se volere o meno qualcosa.
…per cui…la sua decisione doveva dipendere da altro. Ma cosa? Questo non era completamente capace di stabilirlo.
Sapeva anche che avere Brian davanti a sé che rispondeva svogliatamente alle sue domande e appariva assente, frastornato, malinconico gli pungeva fastidiosamente la bocca dello stomaco. Avrebbe voluto vederlo sorridere. Sorridere davvero. Era curioso di scoprire che colore prendessero quegli occhi cangianti quando li rischiarava una luce autentica, spontanea. Inoltre si sentiva stupidamente protettivo.
E’ la vecchiaia, mio caro”, si prese in giro mentalmente, terminando anche lui lo champagne nel proprio bicchiere.
-Hai mangiato pochissimo.- osservò d’impulso dopo aver posato rumorosamente la coppa sul tavolo. Brian si voltò sorpreso a ricambiare il suo sguardo; David per primo fu stupito di come il proprio tono fosse risultato fastidiosamente giudicante. Smorzò la cosa assumendo i modi affabili e lusinghieri di sempre e, sorridendogli, aggiunse quietamente – Devo dedurre che tu non abbia gradito…
-Era tutto squisito.- ammise Brian, invece.
David aspettò per capire se avrebbe giustificato in qualche modo il proprio comportamento, allora. Ma il ragazzo non aggiunse una parola di più.
Evidentemente, quando si addentrava su sentieri che avvertiva scoscesi, stava anche attento a non esporsi troppo. Si chiese di quanti strati potesse essere costituita la corazza che Brian indossava per tenere lontano il mondo e si disse anche che, per quanti strati fossero, doveva essere abbastanza facile arrivare a ferirlo lo stesso. Solo che poi, quando sanguinava, non ti dava modo di accorgertene e non ti dava modo di medicarlo…
-…cos’è che ti disorienta?- provò a chiedere. Lo fece in modo incerto, la sua voce si mantenne incredibilmente bassa, quasi avesse paura che anche solo la domanda bastasse a far scappare la creatura che aveva davanti a sé.
Ma Brian non scappò.
Rimase seduto composto al proprio posto, lo sguardo basso sulle bollicine rimaste incastrate sul fondo del bicchiere e le dita che giocherellavano distratte con lo stelo sottilissimo.
-Perché dovrei risponderti?- ritorse velenosamente, all’improvviso. Gli alzò gli occhi addosso, incattivito.- Si può sapere cosa vuoi da me?- sbottò allo stesso modo.- Perché siamo qui?! Che diavolo stiamo facendo?
David aprì al bocca per rispondergli ma il suono sferzante della risata sarcastica di Brian gli fece morire quella risposta sulle labbra.
-Oh sì, certo!- lo prevenne ironicamente.- Stiamo cenando.- motteggiò.- E parlando, anche!
Bowie gli ricambiò lo sguardo, glaciale. Non ribatté subito. Aspettò che Brian si calmasse, che ritornasse in sé e si rendesse conto che, probabilmente, aveva appena varcato una sottile linea di confine che non gli era permesso superare.
Brian dovette capirlo. Lasciò perdere il bicchiere e smise di inveirgli contro, ma non chiese scusa. Chiedere scusa sarebbe stato troppo per lui.
-Direi che siamo entrambi molto stanchi.- chiuse la serata David Bowie. Posò il tovagliolo appallottolato sulla tavola.- Jeff ti accompagnerà in hotel. Io preferisco rientrare a piedi e approfittarne per fare una passeggiata e schiarirmi le idee. Immagino di aver bevuto troppo.
Non aspettò la sua replica. Si stava alzando già mentre lo informava degli immediati programmi. Brian lo seguì con lo sguardo quando, senza voltarsi, lasciò la sala sfilando a passo svelto e composto di fianco al tavolo.
Bene, era appena riuscito a tirare un poderoso calcio a quella che presumibilmente sarebbe stata la più grande botta di fortuna della sua vita.
Sospirò. Ora doveva trovare la voglia di alzarsi anche lui e tornare in albergo.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3 ***


Sei come porcellana.
Fragile e bianca.
 
14 Febbraio 1996
Zurigo (Svizzera) – Hallenstadion
 
I fan sembravano impazziti. Avevano ricoperto il palco di stupidi pupazzetti di peluche. Erano dappertutto!
Brian guardava David mentre salutava e ringraziava il proprio pubblico: sorriso smagliante, inchino profondo, quell’attimo di commozione che appariva quasi sincero. Fece perfino lo sforzo di raccogliere un paio di quei giocattoli inutili da terra, ignorando elegantemente i molto più appetibili reggiseni in pizzo che spuntavano qua e là. Un altro inchino, si voltò dopo aver presentato la band con un ampio gesto delle braccia e lasciò rapidamente la scena a loro e ai tecnici venuti a smontare l’attrezzatura.
Brian lo vide sfilare in direzione dei camerini.
Si lasciò scappare una smorfia. Dalla cena a Lione, quattro giorni prima, loro due non si erano più visti o parlati. L’unico dato positivo era stato che anche Eno sembrava aver perso interesse in Brian e la sua band e li lasciava lavorare in pace. Con l’aiuto di Levi, il terzetto dei Placebo aveva raggiunto un ottimo livello di esibizione e la risposta del pubblico era andata migliorando di spettacolo in spettacolo. Lione, Ginevra e, quella sera, Zurigo… Stefan aveva superato la ritrosia iniziale per quel tour e si era lanciato a capofitto nel lavoro, impegnandosi con un entusiasmo che aveva travolto in fretta anche Steve.
Brian rispondeva con più svogliatezza; ai concerti continuava a preferire gli after show e la compagnia di Eric e delle sue “scorte personali”, elargite sempre con una certa generosità, e in un paio di occasioni si era ritrovato chiuso in bagno, prima o subito dopo l’esibizione, a vomitare per il nervosismo che gli attanagliava lo stomaco.
Adesso stabilì di potersi concedere una sigaretta prima di raggiungere gli altri alla discoteca dove si sarebbe tenuta la festa di quella sera. Uscì indisturbato sul retro del palazzetto e si appoggiò ad uno dei camion del tour, al riparo dagli occhi della piccola folla di curiosi che, lì fuori, attendeva l’uscita del proprio idolo. Brian sapeva che Jeff avrebbe portato via David utilizzando una strada alternativa, la sicurezza che sorvegliava quell’ingresso era uno specchietto per le allodole; gli venne l’infantile desiderio di andare da quei ragazzi e spiegare loro come raggiungere Bowie. Sorrise.
-Cosa c’è da ridere?
Brian si voltò.
Poco più a sinistra, vicino a lui, un’ombra filiforme e più scura si nascondeva, accucciata al suolo, nell’ombra tozza del rimorchio.
Qualcosa si allungò nella sua direzione, la pelle pallida di un polso balenò nello spazio illuminato di fianco al camion, una cicatrice quasi trasparente segnava il punto in cui quel polso si congiungeva ad una mano lunga, che si aprì con il palmo rivolto nella sua direzione.
-Offrimi una sigaretta.- ordinò la stessa voce di prima.
Brian rimase interdetto.
Era una ragazza. Doveva essere anche abbastanza giovane, perché la sua voce era fresca e pulita. Ma c’erano nel suo tono una perentorietà ed una sicurezza che lasciavano poco spazio ad esitazioni. Si ritrovò a mettere mano alla tasca dei jeans ed al pacchetto quasi senza rendersene conto.
-C’è da ridere- rispose avvicinandosi a lei per offrirle quanto richiesto.- che resteranno a prendersi freddo lì fuori per niente.
-Oh, lo sanno.- ritorse lei quietamente. Le dita spettrali afferrarono con delicatezza il filtro, sfilando la sigaretta dal pacchetto con grazia. Poi la mano tornò a sparire nel buio fitto.- Non è importante.- aggiunse.
Brian fece scattare l’accendino. Quando lo avvicinò a lei, intravide un volto allungato, capelli nerissimi e lisci, occhi di un colore indecifrabile che lei socchiuse rapidamente impedendogli di leggere la sua espressione. Avvicinò le labbra dal rossetto nero, già ornate dalla sigaretta, alla fiammella tremolante, accese e spirò il primo tiro quasi nello stesso momento.
Lui spense l’accendino e lei scomparve di nuovo.
-Sei una groupie?- chiese sfrontatamente.
-Che cos’è? un club segreto per adepte del cazzo e della chitarra?- ribatté lei. Il tono asettico svuotava le sue parole di qualsiasi volgarità.
Poi, lui non era certo il tipo che si scandalizzasse per così poco! Si appoggiò con la spalla al rimorchio del camion e appuntò lo sguardo nella sua direzione.
-No, era solo un modo per capire se sarei riuscito a scoparti.- confessò in tono piano.
-Per una sigaretta, mi pare un po’ eccessiva come richiesta.
Non sembrava offesa.
Brian finì di fumare e schiacciò il mozzicone sotto la suola degli anfibi.
-Comunque, sembri più te il tipo che preferisce cazzo e chitarra.- commentò lei blanda.
Lui rise ma non la smentì.
 
David Bowie fumava seduto in un angolo del privè che gli era stato riservato. Dalla sua posizione poteva sorvegliare quasi per intero la sala davanti a sé e sicuramente aveva libera visuale sull’ingresso e sulla pista da ballo. Aveva già individuato da un po’ il batterista dei Placebo che si scatenava in pista con un paio di ragazzine di almeno dieci anni più giovani di lui e, dopo qualche minuto, aveva intercettato anche il bassista, seduto come lui in un angolo del locale, beveva nervosamente e fissava con ansia evidente il lungo corridoio che portava alla hall all’ingresso della discoteca.
Evidentemente non era l’unico a stare aspettando…
Sbuffò il fumo. Fece girare la sigaretta accesa sull’orlo del bicchiere, la cenere cadde nei resti del suo mojito. La rossa che gli sedeva affianco disse qualcosa di spiritoso che sentì solo in parte, rise piano per educazione, socchiudendo gli occhi. Quando tornò ad aprirli sulla sala, era tutto uguale a prima; la rossa parlava con Eno e lui incrociò di nuovo nel proprio campo visivo la figura lunga e magra del bassista dei Placebo.
Era stato sinceramente indeciso su come comportarsi con Brian Molko per giorni.
La loro ultima conversazione gli aveva fornito elementi in più su di lui, ma gli aveva anche detto molto su di sé e sull’interesse che provava. Con quel ragazzino era fin troppo facile perdere il controllo. Quando lo aveva visto la prima volta e, cautamente, gli si era avvicinato in una progressione lenta, David era convinto che Brian Molko sarebbe stato il gioco stuzzicante di qualche settimana, forse un paio di mesi. Il fascino che l’altro esercitava – innegabile – lo rendeva una preda appetibile e, senza dubbio, da non poter liquidare con una scopata veloce come avrebbe voluto Eno. Ma sicuramente, quando aveva iniziato a corteggiarlo, la sua attenzione per l’altro non si spingeva oltre una sana curiosità ed un indiscusso desiderio.
Dopo quell’ultima cena “di coppia”, invece, si sentiva molto più che curioso. Provava l’impulso fastidioso di conoscere qualcosa in più della vita dell’altro. Quell’istinto di protezione che aveva avvertito la sera della cena e qualificato come un seccante strascico dell’età non era sparito come avrebbe voluto. Se si era tenuto a distanza di sicurezza da Brian, del resto, era stato soprattutto per fare chiarezza con se stesso; temeva un po’ che cercare di schiarirsi le idee sarebbe stato impossibile con quegli occhi cangianti fissi nei suoi e pronti a giudicarlo ad ogni minimo errore…
La rossa si stava alzando e con lei la buona parte dei suoi “invitati”. David rivolse loro brevi cenni di saluto e sorrisi vuoti, di circostanza, tornando subito a scrutare con avidità la figura magra e nervosa di Stefan Olsdal in lontananza. In pochi minuti lui e Brian Eno rimasero soli, con la compagnia esclusiva l’uno dell’altro e di una bottiglia di brandy semivuota.
-Che succede?- lo interrogò immediatamente il produttore, intuitivo come sempre.
David storse il naso, stizzito. Per una volta avrebbe preferito non avere con lui tanta familiarità. Si voltò a guardarlo per scoprirlo impegnato a versare da bere ad entrambi.
-La tua preda è scappata?- ridacchiò ancora Eno. Gli porse il bicchiere pieno con un’occhiata di paziente attesa, accettando implicitamente che lui non rispondesse alla sua domanda.
E questo lo convinse che non c’era nulla di male ad essere sincero.
-Non ne ho idea!- sbuffò senza celare affatto il proprio malcontento.- Non l’ho visto da quando è finito lo show…
-Pare che sia uscito a fumare. Un paio di ragazzi lo hanno visto andare via con Emily.- lo informò l’altro.
David non fece nulla per mascherare la sorpresa.
-Con Emily?- ripetè, sillabando quel nome come se avesse difficoltà a pronunciarlo.- E chi gli ha presentato Emily?
-Non c’è stata alcuna necessità di presentarli. Il tuo ragazzetto è perfettamente in grado di rimorchiare da sé una groupie, non ha bisogno di assistenza al riguardo.- Eno finì in un sorso solo il proprio brandy, facendo poi roteare nel bicchiere i resti di un paio di cubetti di ghiaccio mentre studiava attento le reazioni sul viso dell’amico.- Peraltro, se ce ne fosse stata necessità, immagino che Eric avrebbe provveduto a fare le dovute presentazioni.- aggiunse.
Lo stupore di David si trasformò in qualcosa di molto simile a rabbia trattenuta.
-…Eric.- sfiatò basso.
-I vizi del ragazzino sono del tipo che Eric ama.- spiegò Eno.
-Come mai sei così informato?- scoccò gelido Bowie.
-Perché, a differenza tua, tengo occhi e orecchie aperti riguardo Molko.
David si raddrizzò sulla poltrona, così da fronteggiare lo sguardo dell’altro.
-E perché non hai ritenuto di dirmi prima queste stesse cose?
-Perché non sembravi interessato a conoscerle e perché, comunque, non ritengo utile per te curarti troppo di quel ragazzino.
-Questo dovresti lasciarlo decidere a me.
-Che è il motivo per cui mi sono deciso a dirtele.
Un silenzio pesante e rancoroso scese tra i due a quell’ultima affermazione. David spostava lo sguardo da Eno ad Olsdal, indeciso su come comportarsi. Capiva fin troppo bene che l’amico si era mosso nel suo esclusivo interesse e che non sbagliava nel dirgli di non stare troppo vicino a Brian ed alla fonte inesauribile di guai che sembrava rappresentare.
Ma forse era un po’ troppo tardi per porsi il problema.
Posò il bicchiere di brandy senza averlo toccato e si alzò in piedi, battendo rumorosamente le mani contro le cosce fasciate dai jeans chiari e sdruciti. Eno lo osservò attraversare a grandi passi la sala da ballo, fendendo una folla che, adorante, gli si stringeva addosso ma non osava nemmeno sfiorarlo. Lui sorrideva a tutti, vuoto e falso ma apparentemente così partecipe da lasciarli incantati, ed il produttore si ritrovò ad ammirarlo per l’ennesima volta. Era un’incredibile bestia da palcoscenico, quell’uomo!
David Bowie approdò incolume di fianco al separé che ospitava parte dei musicisti del suo show e vide gli occhi enormi e stupiti di Stefan sollevarsi ad incrociare i suoi.
-Stef, giusto?- chiese educatamente.- Ti va di fare due chiacchiere?
 
-E così sei una groupie.
A differenza di qualche ora prima, stavolta non era una domanda.
Lei rise.
Brian aveva scoperto, con la luce dei lampioni per strada, che aveva capelli nerissimi, che era magra, alta e spigolosa – più alta e più spigolosa di lui – che aveva poche tette, che vestiva di jeans, che lo smalto sulle unghie era screpolato come il suo dopo un concerto, che il rossetto nero aveva un sapore orrendo, che il suo corpo era sempre teso, come se dovesse spiccare un salto, anche quando lo accarezzavi, che le sue gambe ti si attorcigliavano attorno ai fianchi e sembravano volerti stritolare. Ma queste ultime cose le aveva scoperte in ascensore mentre salivano nella sua camera. E poi le aveva confermate a letto.
Non aveva scoperto come si chiamava.
-E tu sei un musicista.- ritorse lei.
-Non ero un adepto di cazzo e chitarra anche io?- sorrise Brian, cattivo.
La cosa che più gli piaceva era che lei riusciva a sostenere il suo sguardo senza esserne minimamente impressionata. Negli occhi azzurrissimi che lo affrontavano non c’era niente. Non c’era ammirazione, né soggezione, né curiosità. Erano disinteressati. Lo guardava come avrebbe guardato un programma noioso alla televisione, senza prestargli alcuna attenzione.
Si chiese perché fosse andata a letto con lui, ma non fece lo sforzo di domandarlo a lei perché era certo che non avrebbe ottenuto risposta.
-Le due cose non si escludono. E tu lo sai bene.- disse lei.- Offrimi un’altra sigaretta.- ordinò poi.
Brian ubbidì silenziosamente, esattamente come aveva fatto solo qualche ora prima. Si allungò oltre il bordo del letto e cercò tra i propri vestiti fino a trovare i pantaloni e, nella tasca, il pacchetto e l’accendino. Le porse entrambi.
Lei si rigirò tra le coperte, assestandosi con la schiena contro la spalliera del letto. I capelli, leggermente arruffati, umidi, ricaddero a ciocche sul suo petto nascondendo i capezzoli scuri. Posò il filtro tra le labbra, accese e fece un tiro, passandogli poi la sigaretta che Brian accettò. Poi accese per sé. Il pacchetto e l’accendino furono posati sul comodino di fianco al letto, lei guardò la punta della sigaretta bruciare e fece il secondo tiro.
-Come mai eri nel backstage?
-Che cazzo di domanda è?- piatta.
Brian si corresse.
-Chi ti ha fatto entrare?
-Mi fanno entrare tutti. David ha detto loro che io posso andare dove voglio.
Silenzio.
Lei si voltò verso di lui.
-Sei stupito?
-…un po’.
-Non sei l’unico ad avere qualcosa che gli interessa.
-Non ho mai pensato di esserlo.
Lui aveva di nuovo perso interesse agli occhi di lei. La osservò sbuffare una nuvola densa con voluttà, assaporava il fumo come non aveva assaporato i suoi baci mentre scopavano. C’era qualcosa di incredibilmente attraente in lei…
-Come hai fatto?
-A fare che?
-A farti desiderare da lui.
Per la prima volta gli occhi di lei lo videro davvero. Lo fissò con un misto di curiosità autentica e di derisione bruciante, ma lo vide. Brian la osservava da sotto in su, steso su un fianco, la mano a sorreggere la testolina bruna e la sigaretta abbandonata lungo il fianco coperto dal lenzuolo.
-Che vuoi dire?
-Che non lo capisco.- ammise Brian piano, a voce bassa.- Che non so cosa voglia.
-Perché te lo chiedi?- ritorse lei.- Non dovrebbe interessarti.
Brian non ribatté. Effettivamente, si disse, non avrebbe dovuto interessarlo. Quello che voleva, lo aveva ottenuto: lui li aveva presi con sé in tour, i Placebo stavano facendo faville e la gente lo guardava ad ogni show con lo stesso sguardo stupito e adorante. La risposta del pubblico era l’unica cosa che avrebbe dovuto risvegliare il suo interesse, in quel momento, e quella della critica, che pure li stava accogliendo positivamente a giudicare dalle recensioni che circolavano già sui giornali musicali.
Eppure continuava a volergli…piacere. Sì, voleva che fosse lui a guardarlo con ammirazione e desiderio e si riscopriva disposto a mettersi in gioco una volta di più pur di ottenere il proprio risultato. A mutare nuovamente pelle al solo scopo di apparire anche per lui qualcosa che potesse volere per sé.
Lei dovette intuire i suoi pensieri nonostante non li avesse espressi ad alta voce. La semplice domanda che le aveva posto l’aveva già allertata. Nel suo sguardo lesse una punta di compassione che la vide soffocare in fretta ma che, comunque, risvegliò in lui l’orgoglio. Si scostò bruscamente da lei, scalciando via le coperte e tirandosi in piedi con gesti nervosi.
-Comunque che diavolo lo chiedo a fare, a te?!- sbottò aspro, raccogliendo dal pavimento i propri vestiti.- Non è che ci voglia molto a capire perché tu possa averlo interessato.
Le scoccò un’occhiata veloce da sopra la spalla mentre tirava su ed agganciava il bottone dei jeans. Lei aveva nuovamente quell’espressione disinteressata e piatta con cui lo aveva affrontato per tutta la sera.
-Sei uno svuota-coglioni come un altro.- affermò a quel punto, volutamente cattivo. Infilò la maglietta e si diresse a passi veloci verso la porta della stanza.- Vedi di non farti trovare per quando sarò tornato.- ordinò uscendo.
 
-Sei innamorato di lui.
Non era una domanda. Non avrebbe dovuto rispondere. Però si voltò a guardarlo, smarrito, lo stesso.
David gli offrì una delle sigarette nel pacchetto che aveva con sé, Stefan l’accettò dopo un momento di esitazione e lasciò che lui gliela accendesse.
-Del resto…innamorarsi di lui non deve essere poi troppo complicato.
-Lo è enormemente, invece.- borbottò Stefan, senza guardarlo.
David si spostò nuovamente verso il locale, accomodandosi su uno dei pochi gradini che congiungevano la porta di servizio, utilizzata da lui e Stefan per uscire, con l’interno di un corridoio buio e rumoroso. Stefan gli andò dietro e si sedette un gradino più in basso, fumando in silenzio e fissando davanti a sé la strada immersa nella notte.
-Brian è incredibilmente complicato.- spiegò breve.
-Sì, lo avevo intuito.
-Averci a che fare può essere devastante. Insomma…lui non è come appare…non è… Lui è molto più fragile di come sembri.
-Sembra fragile.
Stefan si voltò. Bowie era la prima persona, a parte lui e Steve, a rendersi conto a pelle di come dietro la maschera “Brian Molko” ci fosse, in realtà, un’anima incredibilmente delicata e che rischiava, da un momento all’altro, di spaccarsi in mille pezzi. La maggior parte delle persone credeva che anche quello facesse parte del personaggio, che quando Brian cantava il proprio dolore stesse semplicemente recitando la parte che aveva scritto per sé.
-Non dovrei dirti queste cose.- considerò lo svedese a voce bassa.
David rise sommessamente.
-Non stai svelando nessun trucco, tranquillo. E comunque, non pensavo di dirgli di questa nostra chiacchierata. Sono quasi certo che ne sarebbe geloso e tu ne pagheresti il prezzo.
Strappò al ragazzo più giovane un sorriso sincero, anche se incerto.
-In ogni caso, volevo parlarti di una cosa.
-Riguarda Brian?
-Riguarda Brian.- annuì Bowie- O meglio…riguarda alcune frequentazioni di Brian, di cui sono stato informato stasera.
-Eric?- chiese Stefan con intuito ammirevole.
David lo soppesò con lo sguardo, poi assentì con un cenno silenzioso del capo.
-Non è colpa di Eric se Brian è com’è o fa le cose che fa.- lo giustificò Stefan, stringendosi nelle spalle.
-Non sto dicendo questo. Ma sicuramente non avere Eric attorno farebbe a Brian un gran bene. Il resto della crew è più o meno pulito,- spiegò David pazientemente.- trovarsi in un ambiente abbastanza sano potrebbe essere positivo per lui.
-Se vuoi tenerlo lontano da Eric, devi pensarci tu.- ritorse Stefan spiccio.- A me non da ascolto, non ho nessun ascendente su di lui.
-…perché pensi che io lo abbia?
-Perché sei la ragione per cui siamo qui.- si strinse nelle spalle Stefan, semplicemente.
 
Ed io sono pazzo di te.
Giuramelo.
Sono pazzo di te.
 
Stefan camminava nel corridoio facendo attenzione a non fare rumore. Gli sembrava che i propri passi, sebbene attutiti dalla moquette, dovessero rimbombare contro le pareti e trovava quegli spazi troppo angusti, soffocanti. Si ripeteva meccanicamente che l’intero piano dell’hotel era stato riservato allo staff dell’Outside e, quindi, non c’era davvero il rischio di svegliare qualcuno: chi non era ancora al party after-show, era comunque troppo ubriaco o fatto per rendersi davvero conto di qualsiasi cosa.
Lui stesso non si sentiva troppo in sé.
Dopo che David Bowie era tornato a rifugiarsi nel proprio angolo privato, lui era andato nuovamente a sedersi, aspettando inutilmente la comparsa di Brian. Per ingannare il tempo aveva trangugiato senza troppe domande ogni bicchiere che, solerte, gli era stato messo davanti. Adesso sentiva la testa leggera, un vago senso di nausea che non sapeva se ricondurre al dispiacere o alla sbronza e la voglia infinita di infilarsi sotto una doccia per lavare via il senso di disgusto che provava per se stesso.
Inserì a tentoni la chiave nella serratura, sbagliando almeno un paio di volte prima di riuscire nell’intento. La porta cigolò sinistramente ruotando sui propri cardini, si chiese, ozioso, se lo avesse fatto anche quel pomeriggio ma non riusciva a ricordare niente delle ultime ventiquattro ore se non il senso di vuoto che gli sembrava di provare da sempre. Non accese la luce. Avanzò nella stanza utilizzando come unica indicazione la sottile lama che l’illuminazione del corridoio produceva, rischiarando le assi del parquet fino al letto. Ignorando il fatto di stare lasciando la camera aperta, si spostò lungo il muro per raggiungere la porta del bagno e lì, finalmente, si decise ad accendere la luce.
Lo specchio gli rimandò un’immagine di sé che trovò più spettrale del solito: magro, pallido e sfatto. Distolse lo sguardo immediatamente.
Si spogliò accatastando i vestiti per terra di fianco alla doccia, aprì l’acqua ruotando il rubinetto fino ad ottenere un getto gelato e ci si infilò sotto con una risoluzione cocciuta ed ostinata. Il freddo lo scosse fin dentro le ossa. Era una sensazione dannatamente positiva, lo svegliò di colpo, cancellando con un gesto deciso ogni residuo di quel torpore velenoso che strisciava nelle vene con l’alcool.
Quando fu certo di aver riacquistato completamente il controllo di sé e delle proprie emozioni, Stefan tirò su il viso, regolò la temperatura e cercò il bagnoschiuma che aveva lasciato sul piatto della doccia prima di uscire per il sound check. Si concesse perfino il lusso di canticchiare tra sé e sé il ritornello del loro ultimo singolo, sorridendo perché eguagliare la voce di Brian era impossibile.
Quando si rese conto di essere riuscito a pensare all’altro senza che questo gli provocasse una fitta dolorosa allo stomaco, capì di potersi permettere anche una dormita decente. Chiuse l’acqua ed uscì dalla doccia, avvolgendosi nell’accappatoio e tornando in camera da letto. Lasciò aperta la porta del bagno perché fosse la luce in quella stanza a dirigerlo. Chiuse il battente che dava sul corridoio, facendo scattare la serratura, e frizionò i capelli con un asciugamano mentre si avviava a piedi nudi verso il letto.
Fu alzando gli occhi sul materasso che la sensazione di piacevole rilassatezza lasciatagli dalla doccia svanì con la stessa rapidità con cui era arrivata.
Brian dormiva raggomitolato tra le sue coperte.
Stefan immaginò che fosse entrato mentre era in bagno, approfittando della porta aperta.
Il suo primo ed immediato istinto fu quello di cacciarlo fuori di peso: afferrarlo per il collo della maglietta, tirarlo in piedi e lanciarlo in corridoio per chiudergli la porta in faccia e non occuparsene più fino al giorno dopo. Si disse che questo sarebbe stato giusto e corretto nei propri confronti. Brian non poteva semplicemente rubargli ogni singolo istante di serenità che lui riusciva a ritagliarsi.
Chiaramente, quel primo istinto non arrivò mai a prendere la consistenza di un’azione concreta.
Stefan sospirò pazientemente. Lasciò cadere l’asciugamano umida sul comodino e, con ancora l’accappatoio addosso, si ritagliò un minuscolo spazio a sedere sul materasso, proprio di fianco al cuscino ed al volto addormentato dell’altro.
Brian mormorò qualcosa nel sonno, rannicchiandosi più strettamente attorno al guanciale.
-…Bri.- lo chiamò Stefan a mezza voce.
Non ottenne risposta se non un sospiro profondo, mentre il corpo magro del cantante si rilassava progressivamente sotto i suoi occhi.
Stefan allungò una mano a sfiorargli la spalla.
-Brian.- ripeté con maggiore decisione, scuotendolo appena.
Questa volta gli occhi grigi si aprirono su di lui, socchiusi e acquosi, e lo misero a fuoco con difficoltà.
-…’ef.- mormorò Brian riconoscendolo. Si premette una mano sulla tempia, mugolando nel rigirarsi tra le coperte per voltarsi sulla schiena.- Malditesta.- borbottò soffocato con una smorfia di dolore.
-Hai preso qualcosa?- lo interrogò Stefan, osservandolo criticamente.
Brian soppesò la domanda prima di rispondere. Lasciò ricadere la mano sullo stomaco con un tonfo leggero, spalancando, poi, gli occhi sul soffitto. Il suo sguardo brillava nel buio, il riflesso della luce che scivolava attraverso la soglia del bagno si rifletteva pigramente nelle iridi chiare, le pupille dilatate. Stefan non ebbe davvero bisogno di una risposta.
-Eric.- annuì Brian, comunque.
Il bassista sospirò.
-Bri…- esitò. Si morse le labbra, contando mentalmente fino a dieci.- Quel tizio non mi piace.- si decise ad ammettere.
Brian lo scrutò in silenzio.
-E’ a posto.- ritorse spiccio, senza nessuna inflessione. Di Eric non gliene fotteva un cazzo, ma della roba che gli passava sotto banco sì e non intendeva farne a meno.
-Non hai bisogno di quella merda…- mormorò Stefan senza troppa convinzione.
Lo sguardo dell’altro si allargò a dismisura, rendendo la sua espressione grottesca e ridicola perfino nella semioscurità della stanza, e Brian scoppiò a ridere istericamente, rotolandosi tra le coperte in modo scoordinato.
-Che cos’è?!- sbottò all’improvviso riportando su di lui uno sguardo acceso e folle.- Ti sei bevuto il cervello tutto in una volta, Olsdal?! Certo che non abbiamo bisogno di quella merda,- ribatté divertito, tirando volutamente in mezzo Stefan. Lui si ritrasse d’istinto, colpevole, ma Brian finse di non accorgersene e proseguì nello stesso modo – possiamo smettere quando vogliamo!- sogghignò- Se prendiamo quella roba, è solo perché ne abbiamo voglia. Ed Eric è a posto.- ribadì con più forza.
Stefan annuì meccanicamente, sconfitto. Non che si aspettasse qualcosa di diverso, era più o meno consapevole della propria sudditanza psicologica nei confronti di Brian e, se aveva detto a Bowie che era meglio che ci pensasse da sé a tirare fuori l’altro da un certo giro di frequentazioni, era in virtù di quella consapevolezza.
Brian gli sorrideva, adesso. Il suo sorriso aveva una sfumatura lasciva che gli fece accapponare la pelle sotto l’accappatoio umido. Vide come a rallentatore la mano dell’altro risalire lenta lungo la sua gamba, accarezzandolo da sopra la stoffa.
-Perché, invece di dire stronzate e pensare ad Eric, non ti togli questa roba di dosso?- mormorò il cantante rocamente.- Non vorrai prendere un brutto raffreddore?!
Stefan deglutì a vuoto.
-…non avevi malditesta…?- replicò a mezza voce.
Il sorriso di Brian divenne più ampio, tanto ampio che sembrò divorare per intero il suo volto nascosto tra le ombre della camera.
-Dicono che le endorfine fanno benissimo al malditesta.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4 ***


Afferrerò la tua mano e non la lascerò andare mai più.
Non desidero perderti.
Ti terrò stretto a me finché avrò respiro.


I bagagli di tutta la crew e degli artisti aspettavano di essere caricati sui bus ed erano accatastati sul piazzale del parcheggio dell’albergo. La maggior parte dei pullman era arrivata e qualcuno aveva già cominciato a portare via qualche valigia, alla spicciolata, mentre voci ed ordini si rincorrevano disordinatamente tra le persone che si affaccendavano per la partenza.
Brian sedeva svogliato sul proprio trolley, un paio di occhiali neri giganteschi a coprirgli gli occhi e, quasi per intero, il viso. Nonostante quelli, i suoi tratti scavati ed il pallore cadaverico della pelle risultavano esaustivi del suo stato fisico e mentale dopo il trip della notte prima.
Si era addormentato tra le braccia di Stefan subito dopo aver finito di scopare. Non aveva veramente voglia, all’inizio, ma aveva pensato che l’altro lo avrebbe mandato via, altrimenti, e aveva ancora meno voglia di tornare a dormire nella propria stanza, tra lenzuola che avrebbero puzzato del sesso consumato con una groupie senza nome.
Quel mattino, svegliato dal senso di nausea, era corso in bagno a vomitare. Stefan lo aveva seguito più lentamente, scrutandolo dalla soglia del bagno, e il suo atteggiamento compassionevole aveva urtato i nervi di Brian molto più della pessima nottata. Così gli aveva urlato contro per tutto il tempo che ci aveva messo a recuperare i propri vestiti ed a rimetterseli addosso – adesso non avrebbe neanche saputo dire di cosa, esattamente, lo avesse accusato – e poi si era precipitato nella propria stanza per afferrare gli oggetti e gli abiti sparpagliati in giro e lanciarli nelle valigie.
Stefan gli si teneva prudentemente a distanza. Brian aveva spiato di sottecchi il bassista un paio di volte. Steve aveva provato inutilmente a strappare ad entrambi una spiegazione su quanto fosse accaduto e sul perché quel mattino non si parlassero neppure. Alla fine era stato Levi a trovare un modo per ridurre la tensione che avvertiva nell’aria, coinvolgendo il bassista ed il batterista in un’animata discussione a tre che portava fino a Brian l’eco delle loro risate.
Si strinse arrabbiato nel proprio giubbotto.
Non si accorse neppure di David Bowie quando gli si avvicinò. L’uomo gli arrivò alle spalle silenziosamente, ma lì si fermò e tossicchiò discreto per richiamare la sua attenzione. Brian sollevò il volto per vedere il viso dell’altro incombere su di sé; quindi, si voltò di scatto.
-Buongiorno.- salutò con un sorriso il più anziano. Se si era accorto delle condizioni fisiche di Brian, fu bravo a mascherarlo.
Brian annuì, perplesso, in risposta. Credeva che Bowie fosse ancora arrabbiato con lui dopo la cena a Lione, ma sul viso dell’uomo non c’era ombra di rancore, solo la quieta accoglienza che Brian aveva imparato a conoscere bene.
-Volevo chiederti se ti andava, invece di viaggiare con gli altri sul tourbus, di accompagnare me ed Eno.- continuò Bowie fingendo di non essersi accorto del mancato saluto dell'altro.
Brian sforzò un sorriso che apparve più come una smorfia.
-Mi va di dividere lo spazio con Eno, quanto può andarmi una seduta dal dentista senza anestesia.- scoccò lapidario, stringendosi ancora di più nel giubbotto come a voler ribadire la propria intransigente presa di posizione.
Si pentì dopo dieci secondi di averlo detto ad alta voce. Nell’esatto momento in cui si ricordò che questo era il primo scambio di battute che aveva con David Bowie dopo la frettolosa chiusura della loro serata a due. Sperò, quindi, di non aver aggravato troppo la propria posizione visto che, ancora una volta, il più anziano si stava mostrando anche il più maturo tra loro, offrendogli una rapida conciliazione che gli permettesse di mantenere intatto il suo orgoglio viziato. Invece di apprezzare i gesti di Bowie, Brian finiva per passarci su con un’arroganza che, presto o tardi, gli sarebbe costata carissima.
Lesse le medesime considerazioni nell’indurirsi dello sguardo dell’uomo. Per un minuto o due si aspettò che lui gli voltasse semplicemente le spalle e tornasse da dove era venuto, senza neppure degnarlo di una risposta. Se lo sarebbe meritato. Invece, non successe, anche se la voce di Bowie, quando parlò di nuovo, suonò molto più impostata, fredda e metallica di quanto l’avesse mai sentita.
-Possiamo rimediare a questo.- concesse. Gli costò un po’ farlo, Brian lo capì dalla difficoltà con cui pronunciò quelle semplici parole.- Manderò Jeff a chiamarti quando saremo pronti a partire. Porta con te lo stretto indispensabile, il resto potrà arrivare con gli altri bagagli.- lo istruì.
Non gli chiese di nuovo se avesse intenzione di viaggiare con lui. Brian intuì che lo desse per scontato, dopo che aveva acconsentito al suo capriccio di lasciare “a piedi” Brian Eno. Per cui s’impose di starsene zitto per evitare di tirare troppo una corda che sembrava, comunque, sull’orlo della rottura.
Jeff venne a chiamarlo poco prima che Stefan, Steve e Levi si imbarcassero su uno dei tourbus. Il bassista gli lanciò un’occhiata da lontano mentre Brian si alzava e recuperava il manico del trolley, la domanda muta nei suoi occhi era sufficiente ma il cantante fece finta di non vederla e voltò loro le spalle, seguendo a passi svelti l’autista di Bowie verso la limousine nera parcheggiata davanti l’uscita dell’Hotel.
Quando entrò nello spazio confortevole dell’abitacolo, scrutò con apprensione intorno a sé per assicurarsi che, effettivamente, Eno fosse stato lasciato indietro.
David Bowie, seduto sul sedile di fronte al suo, se ne accorse e rise piano.
-Possiamo permetterci una seconda limousine.- annunciò divertito.- Anche se, sicuramente, non stai facendo nulla per risultare simpatico ai miei amici.- lo redarguì.
-Neanche loro per stare simpatici a me.- ritorse Brian spiccio, rilassandosi contro il sedile.
Si sfilò di dosso il giubbotto con gesti accorti. Nonostante l’auto fosse enorme, trovava comunque scomodo operare quei movimenti all’interno dell’abitacolo. Quando si voltò, dopo aver sgraziatamente appallottolato l’indumento in un angolo del sedile, sorprese David Bowie con gli occhi ancora fissi su di lui ed un’espressione intensa che non tardò troppo a classificare.
L’uomo più anziano lo desiderava.
Brian comprese in un flash come tutte le proprie preoccupazioni al riguardo fossero state inutili; l’altro lo trovava sufficientemente attraente da studiare con attenzione ed ingordigia anche i suoi gesti più ordinari e privi di implicazioni. Semplicemente, il controllo che Bowie esercitava su di sé andava ben oltre quello di chiunque altro Brian avesse cercato di sedurre.
ma c’era da dire che con lui non si era neanche impegnato troppo, considerò con un sorrisetto soddisfatto.
Quella scoperta cancellò in fretta il disagio che l’incontro con la groupie di Bowie della notte prima e il litigio con Stef di quel mattino avevano creato. Si sentì improvvisamente e nuovamente sicuro di sé e, in qualche modo, padrone della situazione. Il gioco tornava nei suoi schemi.
Nel rilassarsi nuovamente contro il sedile, Brian assunse volutamente una posa molto più sfacciata, allungando il corpo magro contro la pelle morbida dello schienale e della seduta e quasi stendendosi nel poggiare la schiena contro la fiancata dell’auto.
Gli occhi dell’altro non lo lasciarono un secondo.
-Perché mi hai chiesto di accompagnarti?- mormorò Brian, allargando il proprio sorriso, in tono basso e morbido.
David focalizzò la propria attenzione su di lui, traendosi da quella sorta di stordita trance in cui l’idea di lui lo aveva improvvisamente fatto scivolare. Si diede mentalmente dello sciocco, perché era chiaro dal cambio di atteggiamento del più giovane che Brian era perfettamente consapevole di ciò: stava letteralmente “facendo le fusa”, adesso. E solo fino ad un momento prima, sembrava più pronto a sfoderare artigli e graffiare come era già accaduto alla loro cena. Si voltò ad armeggiare con il mobile bar nascosto all’interno dell’auto. Allargò un tavolino nascosto che si frappose tra i due sedili contrapposti e vi posò sopra i flute di cristallo in cui versò generosamente un vino bianco italiano che Brian non aveva mai sentito nominare prima.
-Assaggia. E’ un regalo di un mio ammiratore, me lo hanno consegnato quando siamo stati a Bologna.- invitò porgendogli uno dei bicchieri.
Brian, sinceramente incuriosito, dimenticò per un attimo la propria recita e si sollevò a sedere composto, allungando le dita a catturare il flute. Prima di bere inspirò a fondo l’aroma raffinato del vino, avvertendolo pungente e forte già a quel primo “assaggio”. Il vino si rivelò molto più intenso di quanto Brian avesse percepito, con un gusto deciso anche se fine e dissimile da qualunque altro bianco avesse mai assaggiato prima.
-Falanghina.- lo presentò David, accostando poi il calice alle proprie labbra.- Una meraviglia.- aggiunse, contemplando soddisfatto il bicchiere dopo aver sorseggiato il vino a propria volta.
-Non è originario del bolognese…
-No.- annuì Bowie riportando su di lui la propri attenzione.- E’ un vino della Campania, sud dell’Italia. Il mio ammiratore viene da lì; è lui a produrre il vino.
Brian sorrise, divertito.
-Hai ammiratori molto interessanti!- fece notare.
Bowie ricambiò il suo sorriso. Appariva leggermente più rilassato di quanto non fosse sembrato quando aveva rivolto a Brian il proprio invito ad accompagnarlo. A quella considerazione, il più giovane si sentì istintivamente sollevato – dispiacendosi un po’ per la facilità con cui si lasciava condizionare dall’umore dell’altro.
-L’adorazione delle folle è qualcosa di inebriante, te ne accorgerai in fretta,- iniziò pacatamente David, catturando in meno di un istante l’attenzione di Brian.- ma è quando arrivi ad interessare persone raffinate, colte e che possano tranquillamente tenerti testa, che ti senti davvero realizzato. La consapevolezza di suscitare l’ammirazione di uomini straordinari, ti fa sentire a tua volta fuori dal comune.
-Non sono neanche sicuro che riuscirò mai a provare una simile sensazione.- ritorse Brian con pacatezza.
Non c’era risentimento nella sua voce ed anche la quieta malinconia che la colorava era, in fondo, troppo stemperata per allarmare davvero Bowie. Si disse che stava semplicemente aggiungendo un tassello in più ad un puzzle complesso: la fragilità emotiva e l’insicurezza di fondo, che aveva avvertito nel ragazzo la prima volta che si erano incontrati e parlati e che, da allora, era stata una piccola costante di sottofondo nella sua percezione dell’altro, non era fittizia.
-Ti ho osservato in questi giorni.- ribatté David senza enfasi. Si allungò a riempire nuovamente il bicchiere di Brian e lui ringraziò con un cenno del capo.- Vi ho osservati.- corresse con un breve sorrisetto che fece ridacchiare anche il ragazzo.- Siete una formula complessa e per questo non attirate la simpatia di tutti, ma siete una formula che funziona.
Brian osservò il proprio vino ruotare delicatamente nel flute, oscillando, poi, al movimento morbido dell’auto sull’asfalto. Considerò che Jeff era un ottimo autista.
-Questo può voler dire sia che pensi che avremo un grande successo, sia che pensi che accadrà l’esatto opposto.- affermò quietamente, sollevando di nuovo gli occhi sul proprio interlocutore.
David scosse la testa.
-No. Questo vuol dire che penso che avrete una carriera tutt’altro che…semplice o lineare, ma sicuramente avrete qualcosa da dire e avrete più di una persona disposta ad ascoltarvi.
-Eno non la pensa come te.
-Eno vi sottovaluta.- ammise David tranquillamente.- Ed io credo che si sbagli.- aggiunse, sorseggiando poi quanto restava del vino nel proprio bicchiere.
Brian sorrise scettico, ma non ribatté ed accettò il sottile complimento insito in quel commento con un grazioso cenno del capo, che strappò al più anziano uno sbuffo divertito.




E’ quando susciterai l’ammirazione di uomini straordinari, che ti sentirai davvero realizzato”.
La sua camera di albergo ad Amnéville era di fianco a quella di David Bowie.
Brian lo seppe nel momento in cui, scortati da Jeff e da un valletto in livrea blu, arrivarono all’ultimo piano dell’hotel e lui fu salutato da un sorridente Bowie che si fermò davanti la porta esattamente quattro passi dopo quella che il valletto in livrea aveva cerimoniosamente aperto per Brian stesso.
-Cenerai con me, questa sera?- chiese il più anziano.
Era una domanda solo fino ad un certo punto. Brian intuì che il cambiamento percepito nei modi dell’altro era più…stabile di quanto avesse ritenuto sulle prime. Evidentemente, nel chiedere che Eno fosse allontanato aveva esaurito del tutto la riserva di pazienza di David Bowie. Ne prese mentalmente nota.
-Certo.- acconsentì docile, prima di spingere il battente della propria camera e scomparirvi all’interno.
La sua camera di albergo ad Amnéville, oltretutto, era una suite.
Non lussuosa come avrebbe potuto desiderare, ma decisamente più di quanto lo fossero state le precedenti stanze di cui aveva usufruito nel corso di quel pezzo dell’Outside Tour.
La porta d’ingresso dava su un salottino le cui vetrate affacciavano direttamente sul giardino e sul parco termale di cui l’hotel era fornito. Fuori c’era la neve e questo rendeva il paesaggio meno interessante di quanto Brian avrebbe gradito, per cui si stancò in fretta di contemplare gli alberi innevati e si limitò a chiudere le tende per evitare che il sole inondasse la stanza. Passò, quindi, ad ispezionare la camera da letto, che era ampia, leggermente spoglia e dotata, tuttavia, di un bagno con vasca idromassaggio di marmo bianco abbastanza ampia da contenere facilmente due persone. Quando rientrò nella stanza da letto per sistemare i bagagli, Brian scoprì l’esistenza di un’altra porta, chiusa a chiave. Valutò la collocazione del battente per concludere che si trattava quasi certamente di una porta comunicante con la camera di David Bowie.
Registrò anche quella informazione, accantonandola subito dopo insieme con il brivido che aveva avvertito percorrergli la schiena a quella consapevolezza.
Peraltro, non aveva ancora stabilito esattamente come comportarsi arrivati a questo punto.
La discussione avuta la sera prima con la groupie di Bowie gli aveva lasciato un gusto amaro attaccato al palato. Da una parte, sentiva forte l’impulso di ribellarsi al suo primo istinto ed a quello che aveva implicitamente ammesso con lei: ossia di essere disposto a qualsiasi compromesso pur di compiacere il suo…patrono? Dall’altra parte, il suo “io” più genuino gli confidava, dolcemente, che la propria attrazione per l’uomo era più sincera di quanto non volesse lui stesso ammettere.
Sbuffò la propria insoddisfazione. Ritto al centro della camera da letto, spostò nervosamente lo sguardo dalla valigia abbandonata sul materasso alla porta aperta del bagno.
Mancavano circa tre ore per la cena, giudicò con un’occhiata all’orologio al proprio polso. Non aveva modo di sapere dove fossero Stefan, Steve e gli altri, arrivando non aveva neanche visto i bus del tour e potevano tranquillamente trovarsi in un diverso albergo. Lui aveva ben poco da fare se non riposarsi e, poi, prepararsi per scendere a cena con Bowie.
Stabilì che, per prima cosa, aveva bisogno di un bagno.
Sulla vasca erano sistemati tre diversi flaconcini. Uno conteneva sali da bagno delicatamente profumati, il secondo ed il terzo saponi con base termale ed essenza di talco. Gli ricordarono sua madre. Sparse il contenuto della boccetta con i sali sul fondo della vasca di marmo, aprendo, poi, l’acqua e regolandone la temperatura. Mentre aspettava che il livello si alzasse, tornò in camera e si mise a rovistare nella propria valigia, indeciso su cosa indossare. Tornò in bagno senza aver preso nessuna decisione, ma con un’angoscia latente e fastidiosa localizzata al livello dello stomaco. La carezza morbida dell’acqua attorno al suo corpo lenì in parte quelle sensazioni spiacevoli.
Brian si lasciò sprofondare nel profumo dei sali, distendendo il corpo nello spazio ampio della vasca e scoprendo con piacere che il bordo inclinato della stessa gli permetteva di reclinare completamente la testa e chiudere gli occhi, lasciandosi cullare dal tepore del bagno.
Quando susciterai l’ammirazione di uomini straordinari…”
Bowie lo ammirava?
Glielo aveva detto fin dal loro primo incontro. Brian, allora, aveva creduto che fosse un modo come un altro per lusingare la sua vanità e farlo cedere più facilmente alle avances dell’uomo. Ma poi non c’erano state vere avances a cui cedere.
Il comportamento del più anziano lo disorientava. Come si era accorto già in macchina, David Bowie lo voleva con la stessa – e forse maggiore – forza e determinazione con cui Brian desiderava lui, ma non faceva assolutamente niente per dare seguito al proprio desiderio ed, anzi, sembrava tenerlo a distanza proprio per impedire a se stesso di cedervi. Brian dubitava che la ragione fosse da ricollegare ad una qualche forma di…rispetto per lui. C’era qualcos’altro. Qualcosa che, cominciava a credere, sfuggiva anche all’altro.
E lui? Lui aveva creduto che il loro fosse un semplice “accordo commerciale”. Un accordo che trovava vantaggioso sotto innumerevoli punti di vista e senza che la sensazione di essere trattato come una puttana qualunque intaccasse più di tanto i vantaggi che quella transazione presentava. Ma poi c’era stata il distacco che David aveva preso da loro…da lui. E c’era stato lo spazio che aveva dato loro durante il tour e la decisione di mandare Levi ad aiutarli. C’erano i complimenti che gli aveva ribadito in auto quel giorno… C’era perfino il modo in cui gli somministrava consigli, abilmente mascherati sotto forma di aneddoti sulla propria vita giusto per essere certi che Brian non reagisse arroccandosi su posizioni intransigenti ed infantili.
Ah sì. C’era, anche, quella pazienza nel maneggiare i suoi scatti d’ira.
Prese fiato profondamente.
Quando, la notte prima, la ragazza gli aveva detto di essere l’amante di Bowie era stato geloso.
Non era un discorso prettamente romantico, non si aspettava di essere “l’unico”, tanto più che l’altro era sposato da tempo con una donna di cui era pazzamente innamorato.
La sua gelosia era stata esclusivamente per le attenzioni che lei poteva aver ricevuto, per quel suo “David ha detto loro che io posso andare dove voglio” che implicava la posizione di preminenza che lei aveva solo per il fatto che lui la degnava della propria attenzione.
Brian cos’era? Bowie lo aveva imposto ad Eno e lui ed i Placebo erano nel baraccone dell’Outside. Ma altri gruppi erano lì, altri artisti seguivano Bowie e per ragioni esclusivamente connesse alle proprie abilità. Brian no. Nel modo in cui Eno lo guardava, ogni volta che faceva tanto da avvicinarglisi, era chiaramente scritto che la ragione per cui si trovava lì non aveva niente a che vedere con il suo talento, vero o presunto che potesse essere. Il produttore li trattava…lo trattava esattamente come la puttana che Brian sapeva di essere ritenuto, da lui e, probabilmente, da tutti gli altri.
In tutto questo, non essere neanche presi in considerazione da Bowie aveva un che di esilarante e ridicolo!
Si alzò a sedere di scatto. Nuovamente innervosito. L’acqua era diventata quasi fredda e Brian si lavò in fretta, con gesti nervosi, desiderando uscire da lì il più in fretta possibile. Tornò in stanza avvolto nell’accappatoio. Non ci pensò troppo, stavolta, afferrò dalla valigia jeans neri ed una maglietta attillata dello stesso colore, li indossò rapidamente e passò nuovamente nel bagno portando con sé la trousse di trucchi da cui non si separava mai.
Nel fissare la propria immagine riflessa allo specchio, non si piacque. Aveva sul viso i segni evidenti della notte prima, dell’ansia nervosa che lo pungolava adesso e dell’indecisione in cui quello stato di cose lo gettava. Incanalò l’astio che provava per sé e per il proprio riflesso fino a sostituirvi completamente i pensieri nei confronti di David Bowie. Con cura studiò il proprio makeup, applicandosi alla sua realizzazione con accortezza fino a raggiungere esattamente il risultato che aveva stabilito.
Quando tornò a guardarsi, sorrise. Chi lo fissava attraverso il vetro era il suo “Io” migliore, un essere creato ad arte per essere adorato.


E scivolerò lungo superfici riflettenti,
che tu avrai creato solo per nasconderti a me.
Non riuscirò a trovarti. Vederti sarà come cercare di vedere attraverso il sole.


Jeff venne a chiamarlo per accompagnarlo al ristorante.
Brian ebbe modo di testare su di lui l’effetto che suscitava il suo aspetto: quando aprì la porta, l’espressione di quieta efficienza, che l’uomo sfoggiava sempre, sparì per un tempo sufficientemente lungo da dare modo a Brian di ridere di lui.
Jeff incassò, a disagio, e si schiarì la voce forzatamente.
-Il Sig. Bowie mi ha mandato a prenderla.- informò.
Il suo nervosismo nel pronunciare quella semplice frase lusingò l’ego di Brian e contribuì a migliorarne notevolmente l’umore. Recuperò da una poltrona del salotto il proprio giubbotto e sfilò davanti a Jeff, ondeggiando ammiccante i fianchi magri nei jeans neri. Fu certo, anche senza voltarsi, che lui avesse seguito tutti i suoi movimenti.
Questa volta - si rese conto quando arrivò al locale - David Bowie aveva operato una scelta molto diversa e Brian non fu accolto in un lussuoso ristorante, ma in una graziosa locanda, piuttosto rustica e spartana. Jeff ebbe un atteggiamento molto più amicale nell’accompagnarlo all’interno del locale, ma Brian immaginò che fosse dovuto al bisogno di non farsi notare troppo, visto che la sala principale della locanda era gremita di avventori. La saletta che Bowie aveva scelto, invece, era riservata solo a loro due. Jeff salutò educatamente e tornò sui propri passi.
Bowie aveva adottato un look estremamente informale, con pantaloni di velluto a coste e maglione a collo alto che si sposavano benissimo all’ambiente altrettanto informale che li ospitava. Il tavolo della cena era apparecchiato in un angolo; la saletta era piccola, riscaldata da un camino di pietra davanti a cui era sistemato un microscopico salotto formato da due poltrone ed un tavolino da tè. Il suo ospite lo aspettava accomodato in una delle due poltrone e sorseggiando un vino da aperitivo. Brian richiamò la sua attenzione schiarendosi la gola e rimase fermo per poter studiare a fondo la reazione dell’altro quando si voltò a guardarlo.
Se era impressionato da ciò che vedeva, Bowie era anche troppo abituato a mascherare i propri pensieri.
Non batté ciglio. Tutta la sicurezza di cui Brian si era rivestito andò in frantumi davanti all’atteggiamento cortesemente distaccato con cui lui lo accolse.
-Prego.- lo invitò con un gesto, indicando la poltrona davanti a sé.- Fuori fa freddo?- s’informò, poi, con disinteresse evidente.
Brian si tolse il giubbotto e lo appese ad un sostegno di ferro battuto che affiancava l’arco di accesso alla saletta.
-Non più di questo pomeriggio.- rispose nello stesso e identico tono piatto dell’altro.
Ubbidì comunque alla sua richiesta e si sedette di fronte a lui, accettando il bicchiere di bianco che gli veniva offerto.
-Sarà l’unico vino che berremo stasera.- ci tenne ad informarlo.
Brian si accigliò. Cos’era? Un rimprovero per il comportamento che aveva avuto la sera della loro ultima cena a due? Non gli piaceva essere rimproverato.
Mandò giù un commento velenoso insieme con il vino.
-Essere in Francia e fare gli astemi…- scoccò, tuttavia, quando abbassò il bicchiere, accompagnando la battuta con un sorriso accattivante.
Non ci teneva, in ogni caso, a contrariarlo di nuovo.
David Bowie lo osservò in silenzio. Sotto il suo sguardo attento Brian si sentì improvvisamente esposto. Si rifugiò nel bicchiere, terminandone troppo in fretta il contenuto.
-Ti piace la Francia?
-Sono in parte francese.- ribatté Brian senza rispondere.
L’altro rise.
-Non è quello che ho chiesto.- osservò, appunto, seccamente.
Spalle al muro.
Sì, i modi di Bowie erano completamente mutati.
-La conosco poco.- provò ancora Brian. Lo guardò di sottecchi e si accorse che non aveva intenzione di riprendere a parlare finché lui non si fosse arreso e gli avesse risposto.- Mi piace la Francia.- concesse a quel punto.- Molto.
-Cosa ti piace?- insistette Bowie.
Brian si agitò a disagio nella poltrona. Quel gioco non gli piaceva neanche un po’. Evitò il suo sguardo.
-L’idea.- mormorò alla fine. Guardò il fondo del proprio bicchiere nel rispondere, cercando inutilmente qualcosa che potesse distrarlo.
La sua “buona volontà” fu ricompensata: Bowie versò altro vino per entrambi, ma attese che lui continuasse, esplicitando il proprio pensiero.
Brian prese un respiro profondo.
-Ho un’idea precisa della Francia. L’idea di una…donna che da giovane è stata incredibilmente bella. L’idea di qualcosa di nostalgico e profondamente malinconico, nascosto sotto la cipria, i profumi, i pizzi. Di qualcosa che abbia il suono delle canzoni francesi degli anni ’30, il colore delle pellicole di film muti ed il profumo di una giornata di pioggia.
-E in tutto questo, tu che ruolo hai?
L’interesse autentico che adesso colorava il tono di David Bowie, così come la delicatezza di quello stesso tono, erano sufficienti, in parte, a quietare il suo disagio nell’esprimere a voce alta i propri pensieri. Brian si rese conto di quanto più vulnerabile si sentisse quando non poteva, semplicemente, vomitarli da sopra un palco su una folla di sconosciuti che, per quanto si allungassero verso di lui, non avrebbero mai potuto sfiorarlo.
Sollevò gli occhi in quelli dell’altro uomo, affrontandoli con orgoglio ritrovato ma senza arroganza.
-Di spettatore, immagino. – ipotizzò.
Bowie soppesò quella risposta, facendo oscillare il vino nel bicchiere ed osservando nel frattempo le fiamme nel camino davanti a sé.
-No, non credo. – negò con un cenno assorto del capo.- No. Hai un ruolo ben definito, invece.
Il suo sguardo rimase fisso sul fuoco, mentre inseguiva un’immagine che si formava lenta e piacevole nella sua mente.
-Sei come l’amante troppo giovane di quella donna che una volta è stata bella e di cui tu riesci…riusciresti a vedere ancora la bellezza ed a farla rifiorire.- sussurrò più a se stesso che a lui.
Brian strinse le labbra. Le parole dell’altro avevano accarezzato per un istante la sua anima, trasmettendole un brivido dolce, indefinito, che si sposava esattamente con la malinconia assorta del concetto che aveva espresso lui stesso poco prima.
Lo sguardo di Bowie si sollevò nel suo quasi di scatto, incatenandolo e strappandogli il respiro con la propria intensità. Il modo in cui lo guardò fece sentire Brian come il centro dell’Universo ed era molto meglio e molto di più di qualsiasi sguardo di cieca e lasciava adorazione avesse mai ricevuto prima.
-Sarebbe così facile per la Francia arrivare ad adorarti.- sorrise David con dolcezza.- Dovresti costringerla a farlo,- aggiunse divertito, strappando anche a Brian un sorriso incerto- costringerla a renderti un po’ di quella poesia che suscita in te.
-…trovi davvero che quello che ho detto sia… “poetico”?- mormorò il più giovane.
Il sorriso di David non vacillò.
-Tutto quello che dici è poetico. Alcune cose lo sono nel modo cattivo degli adolescenti, lo stesso modo cattivo che permette loro di vedere il mondo con una crudezza che gli adulti non avranno mai; altre cose lo sono con la delicatezza di un uomo innamorato,- aggiunse piano – la stessa delicatezza con cui guardi la Francia.- precisò, allargando il sorriso.
Mentre cenavano, quella sera, Brian non sentì neppure una volta il bisogno di essere…perfetto. David era sinceramente interessato a quello che lui gli diceva, lo ascoltava come non accadeva quasi mai che qualcuno facesse, senza rivestirlo di aspettative ed, insieme, senza trascurare o sottovalutare nulla delle sue parole. Annuiva fissandolo intensamente quando era d’accordo ed interveniva con educazione quando voleva dissentire o precisare qualcosa o anche solo rappresentare il proprio punto di vista. Gli raccontò ancora aneddoti sulla propria vita e ci mascherò ancora dentro i propri consigli, ma spesso si limitò solo a dirgli qualcosa che gli faceva piacere condividere con lui, come se fossero amici e basta.
Brian rideva delle sue battute e non poteva neppure immaginare quanto il suo viso in quel momento splendesse, privato com’era di ogni malizia e costruzione. David lo trovava molto più bello di quanto una persona potesse tollerare, molto più bello di chiunque altro avesse mai incontrato sulla propria strada. Voleva dirglielo, ma allo stesso tempo aveva paura di infrangere quel momento di autenticità riportando l’attenzione di Brian su di sé, facendogli capire che si era esposto molto oltre il proprio personaggio. Aveva paura che quel personaggio tornasse e non perché non lo trovasse attraente – era la bambola Lolita che prometteva il Paradiso ad averlo stregato – ma perché trovava ciò che aveva davanti bellissimo.
Alla fine la sensazione di stupore prese comunque il sopravvento.
-Mi piacerebbe mostrarti Parigi.- mormorò subito dopo che la voce di Brian si fu spenta sull’eco leggera di una risata.
Gli occhi grigi ed enormi di lui si spalancarono ad inghiottirlo, brillanti. Bowie rimpianse di aver optato per una cena “astemia”, in quel momento – pensò – il vino sarebbe stata una rapida soluzione per spegnere la voglia che aveva di baciarlo. Si accontentò dell’acqua, nascondendosi nel bicchiere.
-Conosco Parigi.- rispose Brian – A volte ci andavo con mio padre quando viaggiava per lavoro.
-Intendevo dire che mi piacerebbe mostrarti la mia Parigi. Credimi, non ha nulla a che vedere con quella che puoi aver visto con tuo padre.- Sorrise, posando il bicchiere sul tavolo.- Ma in fondo, suoneremo anche lì.- rifletté a voce alta.
Fu il turno di Brian di sentirsi a disagio. Non era tanto per ciò che David gli diceva, ma per la circostanza che nuovamente, dopo una cena in cui si era sentito inaspettatamente “al sicuro”, percepì come un soffio che l’offerta dell’altro aveva implicazioni molto più profonde di quanto stesse dicendo. Non implicazioni del tipo che Brian si sarebbe aspettato, ma comunque sufficienti a fargli avvertire ancora una volta la sensazione di essere vulnerabilmente esposto sotto lo sguardo attento di Bowie.
Mentre abbassava gli occhi su ciò che restava della propria cena, riprendendo a mangiare in silenzio, si chiese seriamente quanto la consapevolezza di quella che, in fondo, appariva come una propria debolezza gli rendesse spiacevole accettare la compagnia dell’altro, ma scoprì in fretta che, invece, si sentiva, se possibile, quasi felice di non dover sollevare con David schermi che lo proteggessero dalle proprie emozioni più autentiche. Si abbandonò a quella consapevolezza e sollevò nuovamente gli occhi a sostenere quelli azzurrissimi che lo fronteggiavano, ricambiando con il proprio sorriso quello che lo attendeva pazientemente.
***
David Bowie salutò Brian Molko nel corridoio dell’albergo, mentre entrambi sostavano sulla soglia delle rispettive camere. Lesse una punta di delusione nello sguardo dell’altro, ma la ignorò - sebbene dovette farsi forza per farlo - ed aprì il battente rifugiandosi all’interno della suite.
Ristette sulla porta, stupito, nel realizzare che la luce all’interno del soggiorno era accesa, così come anche la camera da letto era illuminata e socchiusa ad attenderlo e, quando entrò, avvertì distintamente una voce femminile, sommessa, accennare le parole di “Changes” oltre il battente del bagno.
Le labbra sottili di lei, prive di trucco, lo accolsero con un sorriso pieno e malizioso, spezzando a metà la strofa allo schiudersi della porta. David Bowie si appoggiò allo stipite, spiando con soddisfazione ed altrettanta malizia il corpo lungo, snello e spigoloso nell’acqua, sotto un velo impalpabile di schiuma rosata. La vide sporgere verso di lui il flute pieno di champagne, in un brindisi silenzioso, e poi riprendere la canzone da dove si era interrotta, soffusa e morbida, mormorando le parole con un suono gutturale che rimaneva incastrato a fior di labbra.
-Buonasera, Emily.- la salutò. Non le chiese come fosse entrata, immaginò che lei avesse chiesto semplicemente alla reception di aprirle la porta.
La vide prendere un sorso lungo dal bicchiere e poi posarlo accanto a sé sulla vasca.
-Buonasera a te, David.- Una gamba si sollevò, lasciando scivolare rivoli di acqua chiara e limpida sulla pelle bianchissima.- Credevo non saresti arrivato più.- Il tallone ad agganciare il bordo della vasca, un piedino sottile che roteò leggero nell'aria, invitandolo ad avvicinarsi.
David sedette sullo stesso bordo, prendendo in grembo quel piedino delicato per massaggiarlo gentilmente tra le mani. Emily sospirò di soddisfazione, scivolando all'indietro, gli occhi chiusi ed un'espressione estatica sul volto.
Nuda e struccata, quella figura longilinea godeva di un'eleganza e di una grazia che, durante il giorno, nascondeva con accortezza. David si prese tutto il tempo per rimirarla.
-Mia cara,- sussurrò poi per richiamare la sua attenzione. Gli occhi blu si puntarono su di lui, accesi e divertiti.- so che hai conosciuto Brian.
Il sorriso si accentuò.
-Carino.- ammise lei.
-Ah, direi qualcosa in più!- la corresse David.
Ed Emily non lo smentì. Sfilò con delicatezza il piede ancora tra le mani dell'uomo e si mosse lentamente nell'acqua per raggiungerlo e posare il viso sul bordo accanto alle gambe di lui.
-Perché non ti spogli e mi raggiungi?- invitò maliziosamente.- Avrai accumulato così tanta tensione a gestire quel ragazzino,- cinguettò premurosamente – meriti che qualcuno si prenda cura di te...
David si piegò a baciare quella bocca sottile, che gli venne prontamente offerta. Sorrise nel tornare a guardarla.
-Ma certo, mia cara.- acconsentì.- Non vorrei mai essere così scortese da lasciarti tutta sola in quella vasca!- esclamò, strappandole una risata.
Più tardi, lei se ne stava in piedi, fumando, appoggiata al vetro della finestra della sua stanza da letto, ancora completamente nuda.
Faceva un piacevole contrasto contro lo sfondo innevato che scorgeva fuori.
David, steso tra le lenzuola nell'enorme letto, pensò che era una creatura incredibile nel suo essere così ordinaria e così speciale ad un tempo. Le forme acerbe di Emily, quel seno quasi piatto, i fianchi stretti, le avrebbero dovuto conferire un aspetto androgino che, tuttavia, il suo viso, la morbidezza delle sue gambe tornite, finivano per smentire. E lui adorava i suoi colori.
E poi, lei non aveva nessun pudore.
Emily si sentì il suo sguardo addosso, tanto da voltarsi a cercarlo attraverso lo spazio vuoto della camera; la sigaretta abbandonata contro il fianco, il suo corpo disegnò un arco color cipria che si allungava dal vetro, reso opaco dal fiato nel punto dove aveva respirato fino ad un istante prima.
-Credo si stia innamorando di te.- annunciò all'improvviso lei, dopo averlo valutato in silenzio per qualche istante, immersa in quel pensiero.
-Che idea sciocca!- si rifiutò di accettare David, distogliendo lo sguardo, lievemente a disagio.
Emily lo soppesò con gli occhi. Tornò verso il letto, arrampicandosi agilmente ed in modo vagamente osceno ai piedi del materasso e gattonando fino a lui solo per lasciarsi cadere, pancia all'aria, sul copriletto, proprio al suo fianco.
-Non capisco cosa tu ci possa trovare di sciocco. O di strano.- precisò, fissandolo dritto negli occhi.
-Brian potrebbe avere chiunque.
-Ma vuole te.
-...questa è una tua illazione.
-Certo!- sbuffò lei divertita, sollevando gli occhi al soffitto. Prese un tiro dalla sigaretta e tornò a guardarlo.- E ti segue perché ha del tempo libero da dedicare ad un nuovo tipo di ricerca spirituale.- lo prese in giro.
-Mi segue perché abbiamo un accordo. Lui vuole che io promuova la sua band.- ammise David semplicemente.
Emily non insistette. Lo squadrò con attenzione, facendolo nuovamente sentire fuori luogo. E sì che credeva di essere ormai in grado di gestire la ragazza...
-Sai...- mormorò lei, senza distogliere gli occhi.- io credo anche che sia il tipo che tu potresti amare.
Fu il turno di David di deriderla. Inarcò un sopracciglio e le rivolse un'occhiata superba: Ci sei stata a letto una volta e pensi già di conoscerlo?!
Emily non si lasciò intimidire. Sorriso enorme e sguardo sornione sibilò compiaciuta: Oh, tu meglio di me sai quante cose si scoprono tra le lenzuola.













Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5 ***


Eccomi
Incarnerò tutti i tuoi sogni,
come la più dolce delle amanti.

-Brian!
L'esclamazione di Stefan suonò molto come un sospiro di sollievo. Così come lo sguardo dello svedese su di lui, quando apparve nella sala dove avrebbero suonato quella sera, sembrò a Brian terribilmente simile a quello che gli avrebbe rivolto sua madre nel vederlo tornare da una di quelle “festicciole” che amava frequentare da ragazzino.
Tutto perfettamente normale.
Ma Brian era quasi certo che Bowie si fosse preoccupato di far avere notizia ai suoi amici di dove lui fosse e con chi, per cui Stef avrebbe anche potuto farla più semplice!
Stava anche per dirlo ad alta voce, quando si rese improvvisamente conto di non averne nessuna voglia. Si sentiva stranamente sereno e poco incline alla provocazione, per la verità. Si ritrovò a sorridere al bassista molto prima di rendersene conto, facendo spallucce davanti alla sua preoccupazione eccessiva.
-Ehi, guarda che Dave non mi mangia mica!- esclamò con leggerezza.
Se in altri momenti quell'affermazione – ne era sicuro – avrebbe suscitato battutacce oscene, adesso cadde in un silenzio inspiegabile.
Brian girò lo sguardo da Stefan a Steve, che fissava con apprensione il bassista, ed infine a Levi, che era l'unico a ricambiare con altrettanta tranquillità il suo sorriso.
-E' successo qualcosa mentre ero via?- chiese a questo punto.
Steve scosse la testa, dedicandogli solo una brevissima occhiata, e Stefan si sforzò di sorridere a sua volta.
-No. Figurati.- mormorò.- Stai bene?
Brian annuì soltanto, stabilì che fosse abbastanza inutile continuare a cercare di capire cosa fosse successo a quei due in sua assenza e si concentrò sul lavoro in programma per quel giorno.
-Allora!- esordì spiccio, facendo per arrampicarsi per primo sul palco enorme che torreggiava alle loro spalle.- Ci diamo da fare?
Le prove andarono meglio del solito. Il buon umore evidente di Brian non poté che influenzare positivamente il resto del gruppo e Levi si sperticò in lodi riguardo l'energia travolgente che il cantante riusciva a tirare fuori “quando era in buona”. Brian rise, batté una pacca sulla spalla del tecnico e si allontanò in cerca di una bottiglia di acqua.
Quando tornò, Levi era scomparso e Steve e Stef erano da soli, seduti dietro la batteria, e parlavano fitto tra loro, premurandosi di mantenere un tono basso.
A Brian sembrò che si stessero nascondendo da lui.
Rimase in disparte, valutando se fosse il caso di raggiungerli e, addirittura, di cercare di avvicinarsi senza farsi sentire per ascoltare cosa stessero dicendo. Non gli era mai piaciuto essere oggetto delle chiacchiere degli altri, nonostante ci avesse fatto il callo secoli prima, meno che meno se si trattava dei suoi migliori amici. Qualcosa, però, glielo impedì.
La faccia di Stef, per la precisione.
Non ricordava di aver mai visto il batterista così affranto. Per qualche assurda ragione, Brian si convinse che Steve stesse cercando di...consolarlo o rassicurarlo e sentì che sarebbe stato cattivo ed inopportuno intromettersi.
...lui non era mai stato bravo ad offrire a Stef lo stesso sostegno che l'altro dava a lui ogni volta che si sentiva semplicemente incapace di andare avanti.
Era un pensiero abbastanza triste, ma realistico. Difficilmente Brian faceva sconti a sé stesso se doveva considerare i propri limiti e non aveva difficoltà a riconoscere di essere un pessimo amico per Stefan. O anche per Steve. La maggior parte delle volte aveva rappresentato solo un grosso guaio da gestire.
Tornò sui propri passi assicurandosi che loro non lo vedessero. Le prove erano andate abbastanza bene da potergli concedere ancora qualche minuto.
Mentre vagava con un caffè recuperato da una delle macchinette posizionate lungo i corridoi interni, Brian fu intercettato da un ragazzo dello staff ristretto di Bowie ed avvisato che lui lo cercava; così buttò il caffè e cambiò strada e, invece di tornare dai propri compagni di band, si avviò ai camerini. Bussò discretamente per annunciarsi, ma non aspettò la risposta ed entrò immediatamente dopo nella stanza riservata alla star.
Sentì, quindi, le ultime battute di quella che appariva come una lite furibonda tra lui ed Eno.
-Mi sembra la più grande stronzata che tu abbia mai pensato, Dave! E ne hai pensate tante nella tua carriera!- stava affermando con veemenza il produttore.
-Sai perfettamente che questo non cambierà di una virgola le mie decisioni.- ascoltò rispondere ad un Bowie pacato ma inflessibile.
-Oooh! Se avessi anche solo sperato di farti cambiare decisione, col cazzo che quel moccioso sarebbe qui adesso!
Quando si voltò per imboccare la porta, lo sguardo del produttore si incastrò perfettamente in due occhi grigi, enormi, che lo fissavano con un'espressione tanto innocua ed ingenua quanto fasulla. Brian Eno provò l'impulso fortissimo di tirargli un ceffone.
-Mi chiedo davvero come i tuoi genitori siano riusciti a non strangolarti nella culla.- sfiatò, esausto.
Brian sbatté gli occhioni, inclinando il capino di lato.
-La mia mamma mi adorava.- affermò leziosamente.
Il produttore lo superò di slancio, si gettò a capofitto nel corridoio e si chiuse la porta alle spalle con un tonfo tanto violento che il vetro della toilette oscillò rumorosamente.
David Bowie e Brian Molko si guardarono attraverso la stanza. Il più anziano con le mani sui fianchi ed un'espressione stanca sul viso tirato. Il più giovane mantenendo la posa composta assunta a beneficio del terzo attore appena uscito di scena: braccia dietro la schiena, visino pulito e sorrisetto innocente.
Poi scoppiarono a ridere all'unisono.
-Tu sarai la mia rovina!- esclamò David riprendendosi per primo e camminando velocemente in direzione del tavolo da toilette.
Si versò da bere da una bottiglia di champagne che qualcuno gli aveva consegnato prima e che era già per buona parte vuota, notò Brian. Si chiese se fosse lui la ragione di quel bisogno di tranquillità alcolica. In ogni caso, nonostante le parole appena dette, l'altro non sembrava davvero preoccupato.
-Sì, ne sembra convinto anche Eno.- considerò ironicamente il ragazzo.
-E forse dovrei seriamente ascoltarlo.- insinuò Bowie, osservando attentamente la sua reazione.
-Dovresti.- acconsentì Brian senza alcuna difficoltà – Sono davvero un'inesauribile fonte di problemi, io!- riconobbe lamentevole.
-Piantala di recitare questa parte!- lo rimproverò il più anziano.
E Brian si rese conto che scherzava solo a metà; ma era vero che l'incontro con Eno era riuscito a riportare a galla il suo bisogno di nascondersi dietro maschere più familiari e confortevoli.
David dovette seguire in qualche modo il filo dei suoi pensieri perché gli sorrise con affetto e versò da bere anche per lui. Brian accettò con un ringraziamento a fior di labbra, ma si limitò a bere un sorso e mise via il flute quasi intonso.
Stava bene, lì.
Vedere David litigare con Eno e scherzare con lui restituiva anche all'uomo un po' di umanità più autentica, privandolo per un istante di quell'alone di perfezione e superiorità che, comunque, aveva sempre mantenuto nel loro rapporto. Effettivamente, gli sembrava di vedere per la prima volta un Bowie meno plastificato, ingessato e irraggiungibile. E non era male. Non era per niente male. La stanchezza sul viso dell'altro, mentre raggiungeva il divano al centro della stanza e ci si lasciava cadere con un sospiro pesante, le braccia sullo schienale imbottito ed il capo reclinato all'indietro, lo rendeva più...bello. Brian si concesse il lusso di guardarlo mentre David se ne stava immobile ad occhi chiusi, canticchiando a labbra serrate qualcosa che lui non riconobbe se non dopo un po', rimanendone stupito.
-...è “I Know”!
Lui lo guardò con un sorrisetto divertito che spense quasi del tutto l'entusiasmo di Brian nell'aver riconosciuto la propria canzone.
-Credo sia la mia preferita.- spiegò David, terminando in un sorso lo champagne e posando il bicchiere sul bracciolo accanto a sé.- Dai, vieni qui.- lo invitò poi, battendo una mano sul posto vuoto accanto a sé.
La semplicità di quell'invito colse del tutto impreparati entrambi.
Brian rimase esattamente dove si trovava, fissandolo stupito, e David stesso sollevò lo sguardo di scatto subito dopo averlo detto, come non credesse lui per primo al modo in cui si stava comportando quel mattino.
Brian considerò le proprie opzioni.
Pensò che doveva inventarsi una scusa e uscire da lì immediatamente.
“Ho da finire le prove”. “I ragazzi mi aspettano”...
… “stai diventando sentimentale, Dave?!”.
Un po' di sano sarcasmo avrebbe rimesso le cose nella giusta prospettiva. Distacco, controllo...
Quando si accoccolò sul divano, sfilando le scarpe e ritirando le gambe sotto il sedere, David gli passò un braccio attorno alle spalle e Brian pensò che non era l'unico a starsi arrendendo al corso imprevedibile degli eventi. Respirò piano l'odore dell'uomo affianco a sé e si sentì incredibilmente bene. Sicuro, come non si sentiva da tempo.
-Fai un buon profumo.- riconobbe Brian a voce bassa, senza guardarlo.
Dave gli scoccò un'occhiata divertita che lui non vide e, poi, tornò a chiudere gli occhi, sospirando soddisfatto.
-E tu sei morbido.- ridacchiò stupidamente.
-...che cosa idiota!- esclamò Brian sollevando gli occhi al cielo e fingendosi esasperato.
David non gli credette e continuò a ridere.
-Sul serio! Fai e dici solo cose idiote!- insistette Brian proseguendo nello stesso tono eccessivo - Come quei dannati fiori la prima sera! Come accidenti puoi aver pensato di regalarmi dei fiori?!
-Sai che non lo so ancora...- mentì David.
-Perché sei idiota.- confermò il più giovane, cattedratico.
-Ma voi “Brian” dovete per forza essere stronzi?

Dopo il concerto, Brian vide David Bowie puntare dritto nella sua direzione, ignorando palesemente la piccola folla di tecnici, musicisti, giornalisti e fan che lo aspettava giù dal palco.
Pensò che aveva voglia di scomparire sotto terra.
Solo che non fece a tempo a scavare una buca abbastanza profonda.
-Bri.- lo chiamò Bowie, utilizzando con facilità un diminuitivo che lui non lo aveva mai autorizzato nemmeno a pensare.- Ti unisci a noi stasera?- lo invitò fermandosi giusto davanti a lui.
Brian boccheggiò. Dietro di sé aveva Steve e Stefan in attesa della sua risposta. Alle spalle di Bowie c'era un'intera folla di curiosi che allungava il collo nella loro direzione.
“Ok, adesso lo ammazzo”, pensò serenamente la parte del suo cervello ancora in grado di razionalizzare la situazione.
Eno, in mezzo alla folla dei curiosi, stava letteralmente diventando paonazzo. La parte razionale di Brian cambiò direzione ai propri pensieri.
-Certo.- rispose con una spavalderia che non credeva di avere.
“Wow! Certo che sei figa, Parte Razionale!”. Poi, considerò che, tanto, non veniva in suo soccorso troppo spesso. Quindi, meglio non farci affidamento.
-Stupendo!- stava commentando Bowie allegramente, già voltandosi in direzione della propria corte in attesa.- Faccio una doccia e ci vediamo alla macchina.- lo istruì andando via.
Brian si voltò in tempo per vedere la delusione sul viso di Stef prima che lo svedese la sostituisse con un sorriso incerto e spento.
Lungo la strada per raggiungere la location dell'after show Brian si rese conto di una cosa che gli era sfuggita fino a quel momento.
Fissò l'uomo seduto sul sedile di fronte al suo e che non lo guardava, gli occhi puntati sulla strada che scorreva fuori dai finestrini oscurati.
Erano soli. Questa volta David non gli aveva nemmeno chiesto se volesse o meno la presenza di altri con loro, si era limitato a prenotare una seconda ed una terza limousine che portassero alla festa Eno ed il resto della crew più ristretta. Poi, lui e Brian erano saliti sull'auto guidata da Jeff.
-Lo hai fatto apposta, vero?
David si voltò verso di lui, fissandolo interrogativo.
-Ho fatto apposta cosa?- chiese tranquillamente quando Brian, sorridendo sornione, continuò a fissarlo senza parlare.
-Stamattina. Mi hai fatto cercare perché ti raggiungessi nel tuo camerino quando c'era Eno.
David non rispose subito.
-Sì.
-Vuoi che lui mi odi o c'è altro?- ridacchiò Brian, senza apparire eccessivamente preoccupato.
-No, non voglio che lui ti odi.- scosse la testa David, prendendo la cosa più seriamente di quanto l'altro avrebbe pensato.- Vorrei che lui ti vedesse come ti vedo io.- ammise, invece. Per poi aggiungere in tono più leggero- Anche se diventerei estremamente geloso.
-E se mi fossi arrabbiato? Se mi avesse dato fastidio che tu e lui stesse lì a parlare di me a mia insaputa?!
-Non era a tua insaputa, ti ho fatto chiamare perché lo sapessi!- osservò Bowie, divertito.
-Oooh! Piantala!- sbuffò Brian, infantilmente.
-Non lo so perché ti ho fatto chiamare, ma so che volevo che fossi lì mentre gli dicevo che non l'avrebbe spuntata.- ammise David con più sincerità.
Brian rimase in silenzio. David ricominciò a guardare la strada fuori dal finestrino, considerando tra sé e sé che stava decisamente esagerando. Non sapeva come riuscisse quel ragazzino a fargli ammettere con tanta semplicità debolezze che nemmeno sospettava di poter avere.
Eno, quel mattino, lo aveva raggiunto per sapere come fossero andate le cose il giorno prima. Era sinceramente preoccupato per lui e David si era sentito un po' in colpa. Gli aveva raccontato brevemente della cena, ma non aveva fornito dettagli. La sua evasività, il fatto che sembrasse molto contrariato all'idea di parlare di Brian con lui, avevano allarmato ancora di più l'amico. Aveva insistito nel dire che avrebbe fatto bene a portarselo a letto, togliersi lo sfizio e rispedirlo a casa quanto prima, perché stava diventando una fissazione senza senso.
A David, questa volta, aveva dato molto fastidio sentirlo parlare in quei termini del più giovane ed aveva reagito malissimo, informandolo stringatamente che, al momento, non solo non era sua intenzione rispedire Brian dove lo aveva trovato, ma intendeva passarci molto più tempo assieme.
Da qui il litigio.
-Grazie.
David non fu certo, all'inizio, di averlo davvero sentito dire quella parola. Lo guardò e l'espressione tranquilla ma intensa di Brian lo rassicurò che sì, lui lo aveva davvero ringraziato. E che mai come in quell'istante, probabilmente, era stato onesto nel dirgli qualcosa.
Così lo ripagò allo stesso modo.
-Non mi devi nulla, Brian. Non vi sto regalando niente. È la vostra musica quella che portate sul palco tutte le sere e quella musica mi piace davvero.
Quando arrivarono al locale, Brian non ebbe nessuna esitazione nel seguire David all'interno del privé che gli era stato riservato, né nell'affrontare il fuoco incrociato degli sguardi e dei sorrisini della crew. Sedette affianco al più anziano senza che lui facesse alcunché per metterlo in imbarazzo, limitandosi a trattarlo allo stesso identico modo in cui trattava tutti gli altri, con rispetto e cortesia impeccabili. David mandò a chiamare anche Stefan e Steve perché si unissero a loro e si accorse che la cosa fece a Brian molto piacere, perché assunse immediatamente un tono allegro e disinvolto e, quando i due amici arrivarono, si buttò loro addosso con una felicità infantile e spensierata che lo fece sorridere di nascosto.
Se Stef era ancora deluso o arrabbiato, Brian non se ne accorse neppure. Gli rimase appiccicato tutta la sera, scherzando con lui e obbligandolo ad andare in pista a ballare ogni volta che mettevano su una canzone che gli piacesse o che piacesse al bassista. Dopo un paio di ore, il clima teso di quel mattino era solo un brutto ricordo.

-E' davvero bello.
David spostò lo sguardo da Brian, che ballava al centro della pista appeso al corpo magro e sudato di Stefan, ad Eno, seduto accanto a lui nel privè ormai vuoto. Qualcosa nel tono dell'altro gli fece capire che quella era un'offerta di pace, per cui decise di lasciare da parte le loro divergenze ancora una volta.
-Non è una grande osservazione!- lo prese in giro, rilassandosi contro lo schienale del divano mentre il produttore versava da bere per entrambi.
Eno gli scoccò un'occhiataccia e Bowie rise.
-Emily dice che finirai per innamorarti di lui.
-Temo che Emily sia in ritardo sui tempi, con le sue previsioni.- ammise ingenuamente il cantante.
-...non hai nemmeno idea di chi sia davvero.
David annuì, sospirando faticosamente mentre si faceva avanti. Prese il bicchiere che gli veniva passato dall'amico e bevve.
-Non è solo perché è bello.- considerò Eno a voce alta.- Hai avuto di meglio...puoi avere qualsiasi donna...o uomo tu voglia...!
-Quindi, non è perché è bello.- convenne David pianamente.- Lo hai detto tu.
-Non è...stabile! Gli manca qualche venerdì o... E' fuori di testa!
-E' solo molto fragile.
-Non hai già abbastanza problemi?!
-Non vorresti impedire che qualcosa di bellissimo vada distrutto?
Lo zittì.
-Sì.- rispose dopo qualche momento Eno.- Quindi, vedi di non farti male.
***

-Buonanotte, Brian.
Si sentì afferrare per il bavero della camicia e riportare indietro di peso.
Si ritrovò a meno di mezzo metro da due occhi brillanti, che, nella luce tenue del corridoio dell'hotel, apparivano blu e profondi come un cielo d'estate. Lo inchiodarono lì nonostante tutti i propri buoni propositi.
Brian gli sorrise. Le sue labbra, umide e gonfie, si tesero in quel sorriso perfetto, ammiccante, allusivo, che avrebbe fatto impazzire l'uomo più inflessibile del mondo.
E lui era tutto meno che inflessibile.
-No, stanotte niente “buonanotte”, Dave.- sussurrò il suo aguzzino, continuando a tenerlo per la camicia nonostante lui non accennasse affatto ad andarsene.
Appoggiato contro il battente della propria stanza, Brian occupava lo spazio stretto del vano della porta, protendendosi verso di lui in modo fin troppo esplicito.
-Sei ubriaco.- provò David senza nessuna convinzione.
-Non ho toccato un goccio di alcol e tu lo sai!- lo rintuzzò Brian, ridendo divertito.- Non provarci.- intimò subito dopo.
-...sono ubriaco io.
-Meglio. Mi renderà tutto più facile.- sussurrò suadente l'altro, senza farsi scoraggiare.
Poi lo guardò con una serietà ed un'intensità che resero nuovamente luminosi i suoi occhi, quasi intollerabili da sostenere...o impossibili da eludere.
-Sono stanco di rincorrerti.- ammise con una dolcezza improbabile nella voce.
David sentì il terreno mancargli sotto i piedi. Scosse la testa, provando, senza intenzione reale, a farsi indietro. Si ritrovò ancora più vicino a quel corpo magro di quanto non fosse prima e non seppe nemmeno come fosse successo.
-Non sei obbligato.- ci tenne a precisare.
Brian stabilì che fosse il caso di smorzare il tono serioso dell'altro e osservò divertito: Certo che no! Abbiamo firmato un contratto con il tour manager!
Mentre Brian apriva la porta, David stava già assaggiando il sapore intenso di quella bocca carnosa per scoprirlo molto più dolce di quanto avesse immaginato.
Era così facile arrendersi ai propri desideri!
Brian non faceva altro che assecondarlo. Lo guidò al buio verso la camera da letto, abbandonando la presa sui suoi vestiti e le sue labbra solo quando ne ebbero raggiunto la soglia. David avvertì quasi dolorosamente la sua assenza quando Brian si scostò per raggiungere il letto ed accendere una delle abat-jour sui comodini. La luce fioca gli sembrò impossibile da sostenere, in quella luminosità aranciata Brian gli apparve come uno spettro pallido, che si arrampicò, lento ed invitante, sul materasso enorme.
In ginocchio al centro del letto, Brian lo chiamò perché lo raggiungesse.
David ciondolò fino a lui, prendendosi tutto il tempo di cui aveva bisogno per osservare i contorni sfuggenti di quella figura farsi più nitidi nella sua mente ancor prima che nel suo sguardo.
-Sei così bello.- sfiatò quando fu arrivato ai piedi del letto.
Brian sorrise. Non c'era alcuna malizia in quel sorriso, era la cosa più autentica ed innocente che David ricordasse di avergli visto fare.
-Io?- si schernì divertito. Si sollevò per arrivare nuovamente al colletto della camicia dell'uomo ed al suo viso – Tu sei David Bowie.- gli ricordò, come se fosse sufficiente a racchiudere qualsiasi altro complimento.
Quando si baciarono di nuovo, David seppe che era davvero sufficiente. L'adorazione di Brian era evidente nella devozione con cui gli si offriva, arrendevole eppure affamato. Lo trascinò con sé, su di sé, abbandonandosi morbidamente sotto il suo corpo. Gli lasciò tutto il tempo del mondo perché potesse scoprire lentamente e assaporare in punta di polpastrelli e sulla bocca le forme allungate, magrissime di quel fisico minuto; e si prese a sua volta tutto il tempo che gli serviva per accarezzare il corpo snello e tonico dell'uomo.
David pensò, qualche ora dopo, che c'era qualcosa di magico nel modo in cui Brian poteva incastrarsi alla perfezione nella sua vita, nei suoi pensieri ed ora anche nel suo letto. Avvolto in un profumo completamente estraneo che scoprì assolutamente inebriante, ripensò ai suoi sospiri profondi, alla sua voce che sussurrava parole oscene con la grazia di un adolescente mentre si inarcava per assecondare le sue spinte, e capì che no, non sarebbe stato affatto facile lasciarlo andare.

Ma tu, in cambio, sarai in grado di tenere la mia mano?
Non ti chiedo che questo,
non lasciare le mie dita

-E sarà tutto come prima?
-...tu come vorresti che fosse?
Silenzio.
Dalle finestre entrava l'alba. Aveva un colore opaco. Come la neve nel giardino.
-...non lo so...
Silenzio ancora.
Fruscio di lenzuola. Faceva freddo e le coperte furono tirate su, fin sotto il mento. Due occhi brillanti, verdissimi, si fissarono in alto, contro il soffitto, e poi tornarono giù, dentro ai suoi.
C'era qualcosa di troppo giovane in quel viso.
Non sapeva se erano gli occhi. Se era la bocca. Se era il colorito pallidissimo o forse quei capelli neri, che, disordinati, sfuggivano dentro e fuori le coperte.
-Hai paura?
-Non credi che sia quel genere di domanda che non si dovrebbe fare?!
-Ho difficoltà a capirti.- Pausa.- Per la verità, ho difficoltà enormi a gestirti.- Una risatina leggera in risposta, soffocata dalla stoffa.- Immagino che tu ti sia reso conto di riuscire piuttosto facilmente a disorientarmi.
-“Facilmente”...no.
-Non ti sto lusingando a caso.
-Ah, erano lusinghe?!
Stavolta fu lui a ridere, di gusto. Gli piaceva un sacco quando metteva su quell'atteggiamento vezzoso, da Lolita impudente.
-Sarai la mia rovina!- sfiatò, continuando a ricambiare senza alcuna esitazione lo sguardo vivace che lui gli rivolgeva.
-Questo lo hai già detto ieri...
Si voltò a baciarlo in mezzo alle coperte, scomparendo con lui in quel mare soffice e caldo che cacciava via ogni voglia di alzarsi dal letto ed uscire a ritrovare un mondo in cui, nonostante i buoni propositi, sarebbero stati necessariamente più lontani di così.
E non solo in senso fisico.
-E, dunque, di cosa dovresti avere paura?- gli chiese a fior di labbra quando si separarono.
Il sorriso che ricambiò il suo era ancora incredibilmente autentico ed innocente.


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6 ***


Saremo gli acrobati del nostro circo
e volteggeremo fino a schiantarci al suolo

-Stef.
Il bassista si voltò in direzione della voce che lo chiamava.
-Ciao, Steve.- rispose svogliatamente.
L'altro gli fu accanto in poco più di due passi. Stefan si accorse che aveva una sigaretta spenta tra le dita, ma fu l'espressione vigile e preoccupata che catturò davvero la sua attenzione.
Steve lo scrutò qualche momento in un silenzio denso di parole inespresse. Stefan cercò inutilmente rifugio nell'occupazione che lo aveva impegnato fino all'arrivo dell'amico, ma sospettava che entrambi fossero consapevoli che stava fissando, senza vederla, la stessa tab da almeno dieci minuti.
-Come va?- si decise a chiedere il batterista.
Stef sospirò, mise definitivamente via gli spartiti scarabocchiati e sollevò gli occhi a ricambiare quella domanda.
-Bene.- mentì stringendosi nelle spalle.- Come sempre.- aggiunse. E suonò molto come una correzione della sua prima risposta.
Steve sbuffò un sorriso sarcastico: Non prendiamoci per il culo!- sbottò tra i denti.
Stefan provò ad interromperlo prima che continuasse, ma venne malamente zittito da un gesto brusco dell'altro.
-No! Ora mi ascolti.- lo rintuzzò Steve.- Ti ho mollato ieri sera con Brian ed eri al settimo cielo; ti ritrovo oggi di umore anche peggiore di quello che avevi ieri mattina...! Quanto ancora pensi di andare avanti?
A Stefan venne voglia di rispondergli sinceramente, ma sospettava che Steve non avrebbe preso troppo bene un “finché avrò respiro” che, pur suonando adeguatamente drammatico, era certo non avrebbe incontrato il favore di un tipo pragmatico ed affatto romantico come l'amico.
E da lì si aprivano interessanti prospettive. La migliore delle quali, lo vedeva incassare un calcio nel sedere che avrebbe ricordato per il resto della propria esistenza.
-Steve, senti...- provò con un approccio più dialogante. L'espressione scettica che ottenne in cambio era quantomai esaustiva dell'opinione che il batterista avrebbe avuto delle ennesime scuse che Stef sarebbe riuscito a tirare fuori dal cappello.- Ok.- cambiò tattica.- Ok, lo so. Tu hai ragione. Contento?- provò a quel punto, tentando subito dopo di portarsi fisicamente fuori portata dell'altro, ma fallendo miseramente quando fu trattenuto al proprio posto dalla presa ferrea dell'amico.
-Stefan, sai che accidenti me ne faccio della ragione degli stronzi?!
-Non ti sto dicendo che devi fartene qualcosa...
-No, mi stai dicendo che devo educatamente girarmi dall'altro lato. E la cosa mi fa incazzare anche di più.
-Senti...
-Non sento un cazzo, Stef. Ne ho sentite abbastanza. Da te e pure da quell'altro.
Silenzio.
Stefan si appoggiò alla cassa su cui aveva abbandonato le tab. Steve giocherellò con il filtro della sigaretta, schiacciandolo e chiedendosi, poi, se sarebbe stata ancora buona una volta che si fosse deciso a prendersi la pausa che si meritava e ad uscire a fumare in grazia di Dio.
-Non pensi che sarebbe il caso di parlargli?- chiese quando si rese conto che Stefan non avrebbe aggiunto altro.
Stef scattò nervosamente. La sua prima tentazione fu di urlargli contro tutta la propria frustrazione, sfogandosi con l'unica persona che sembrava in grado di accorgersi realmente di quanto stesse male. Ma stabilì subito che, oltre che ingiusto, sarebbe stato sufficientemente inutile.
-Credo di avere paura della sua reazione.- ammise, a quel punto. Lo fece in un tono neutro e piano che stupì lui per primo e gli fece comprendere fino in fondo il livello di rassegnazione a cui era arrivato.
Ne ebbe paura.
-Andiamo!- stava protestando, intanto, Steve- Voi due state insieme...da quanto, ormai?! Due anni?!
-Due anni, tre mesi e diciannove giorni.- confermò Stefan con precisione, sorridendo amaramente e sentendosi ridicolo come non mai.
-...ma, dico, ti senti?- sussurrò Steve, continuando a fissarlo con la stessa intensità con cui avrebbe studiato le crepe che si allargavano sulla superficie di un oggetto particolarmente fragile.
Oh, sì. Si era sentito eccome!
Si accomodò meglio sulla cassa, decidendosi per la prima volta dall'inizio di quella conversazione ad affrontare davvero il suo interlocutore.
-Se ti dicessi che la nostra relazione si basa su degli accordi precisi presi fin dall'inizio?- ritorse fingendo una sicurezza che non sentiva affatto.
-Ti risponderei che gli accordi si prendono in due, non si subiscono passivamente.- rispose Steve immediatamente.- E sono quantomai sicuro che tu li stia solo subendo.
Stefan non negò.
-Ascolta, Stef.- ricominciò Steve, dopo aver tirato un respiro profondo.- Tu sai bene che io non sono un...moralista e che, tendenzialmente, preferisco farmi i cazzi miei piuttosto che impicciarmi di cose che non mi riguardano direttamente.
Era vero, per cui il bassista non pensò che fosse necessario per lui confermarlo.
-Il punto qui, però, è duplice. Anzitutto, non sopporto più di vederti in queste condizioni. E se devo essere sincero, - aggiunse dopo un istante di riflessione – non sopporto più nemmeno tanto di vedere Brian trattarti a questo modo. Ma, poi, questa cosa mi tocca direttamente. Perché, te lo dico onestamente, Stef, se voi due non trovate un equilibrio di qualche tipo, io dubito che i Placebo sopravviveranno alla vostra storia.

18 Febbraio 1996
Rennes (Francia) – Salle Expos-Aeroport

Nonostante le fosche previsioni di Steve, quella sera lo spettacolo fu semplicemente travolgente.
Brian si era presentato alle prove in preda all'euforia, aveva spinto al massimo fino a quando tutto non era stato perfetto e, salito sul palco, era stato frizzante ed energico come non mai. Aveva finito per trascinare l'intera band in quel mood, tanto che perfino Stefan sembrava aver dimenticato qualunque problema tra loro e rispondeva, complice, agli scherzi ed alle improvvisazioni dell'altro sul palco. La loro sintonia era evidente a chiunque li guardasse.
Poi, nella pausa tra una canzone e la successiva, Brian si avvicinò ridendo al microfono. Il suo sguardo brillava vivido di malizia e cattiveria sottile. Steve e Stefan lo guardavano senza sapere cosa aspettarsi, ma lui li ignorò. Spinse indietro con grazia una ciocca di capelli scura e accostò le labbra fin quasi a sfiorare la superficie del microfono.
-La prossima canzone ha una dedica speciale, stasera.- lo sentirono dire. Il pubblico, sotto il palco, smise immediatamente di rumoreggiare, in attesa. Il sorriso di Brian si allargò- Voglio, infatti, dedicarla ad una persona, se fosse dipeso dalla quale non saremmo qui oggi.
Steve trattenne il fiato. Stef si voltò di scatto a cercarlo con uno sguardo terrorizzato.
A nessuno dei due venne in mente di fermare il cantante prima che aggiungesse altro.
-E' tutta tua, Brian!- esclamò gioiosamente quest'ultimo.- Vedi se ho riassunto abbastanza bene il tuo pensiero, oltre al mio.
Quando la chitarra attaccò “Nancy Boy” era troppo tardi per cercare di riparare e Steve e Stefan si limitarono ad andare dietro alla più effervescente, ambigua e sensuale esibizione che Brian regalò al proprio pubblico quella sera.
Dietro le quinte, David Bowie sorrise mentre, accanto a lui, Brian Eno fremeva d'indignazione trattenuta a stento.
-...stavolta ha davvero superato il limite!- ringhiò tra i denti il produttore.
Bowie si schiacciò una mano sulla bocca per impedirsi di ridere, gli occhi incollati su Brian, che piroettava sul palco vomitando oscenità con l'elegante grazia di sempre.
Davanti al suo silenzio, Eno insistette.
-Dave.- richiamò brusco. Lui si voltò a guardarlo, recuperando al meglio il proprio contegno.- Non posso pensare che a te stia bene che mi tratti a questo modo davanti a tutta la crew. Chi accidenti crede di essere?!
-Brian, ...ammetterai che l'hai provocato più di una volta...- provò a fargli notare Bowie conciliante.
-No, Dave.- lo fermò subito il produttore, con una perentorietà che mise in allarme l'amico.- O gli dici di stare al suo posto o questa non l'accetto.- scandì allo stesso modo.- Adesso abbiamo superato il limite.- ribadì un istante prima di girare sui tacchi senza lasciare modo a Bowie di replicare.
L'uomo sospirò e tornò a fissare Brian e gli altri Placebo sul palco.
Beh. Forse era meglio mettere davvero un punto a quella storia, prima che il ragazzino si bruciasse la carriera per aver pestato i piedi alla persona sbagliata.
Quando scesero dal palco, David Bowie li stava aspettando per complimentarsi con loro. Steve e Stefan sorrisero e ringraziarono, imbarazzati, correndo via non appena ne ebbero l'occasione e lasciando con il collega più anziano solo Brian.
-Piaciuto?- s'informò il ragazzo, sorridendo maliziosamente ma solo per scoppiare in una risatina sottile ed insinuante un secondo dopo.
David pensò che sapeva esattamente a cosa si riferisse la domanda di Brian. Cercò di assumere la propria aria più severa. Da lontano, vide Eno spiare la loro conversazione.
-Brian,- esordì, attingendo ad un tono molto serio.- spero che tu ti renda conto che quello che hai fatto va ben oltre l'accettabile.
-...quando vuoi fare la paternale a qualcuno, cerca di non ridere.
-Sono serio.
-...no...- osservò Brian.
David scosse la testa, sospirando.
-Come faccio a farti capire che sei stato veramente inopportuno?!- soffiò fuori sconsolato.
-Inopportuno io?!- sbottò Brian sorpreso.
-Ok.- cambiò tattica Bowie, tornando a puntare gli occhi in quelli verdissimi del ragazzo davanti a sè.- Fammi un favore, cerca di non dare ulteriori ragioni a Brian per volerti fuori da questo tour.
-E' lui che mi odia senza ragione! - scattò l'altro arrabbiato, indicando l'uomo in piedi a qualche metro da loro. David non si voltò.- Non gli ho fatto niente! Come accidenti posso non dare ragioni ulteriori perché mi odi?! Riesce benissimo a trovarle da sé!
-Brian. Te l'ho chiesto come favore.- insistette David in modo categorico.
Brian rimase in silenzio per un istante, scrutando con attenzione la sua espressione.
-Come favore?- ripeté poco convinto.
-Sì. Come favore.- annuì David Bowie, cercando di suonare più accondiscendente.
-D'accordo.- fu l'assenso spiccio che ricevette in cambio.
Brian sorrise nuovamente e in un modo che a David non piacque affatto. Il ragazzo si sporse verso di lui nel passargli rapido di fianco e Bowie lo sentì sussurrare direttamente al suo orecchio.
–Sta a guardare, perché sarà una performance da oscar.
In pochi passi veloci aveva già raggiunto Eno che, rocambolescamente, si era affrettato ad iniziare una conversazione con alcuni dei tecnici del suono lì di fianco. Brian aveva ignorato la cosa e gli si era piazzato davanti. David non poteva vedere la sua espressione e Brian non poteva vedere lui, ma era sicuro che lo stesse fissando e che fosse anche sufficientemente in apprensione per l'esito di qualunque cosa avesse in mente.
-Brian, posso parlarti?- chiese educatamente, rivolgendosi al produttore.
Lui si voltò, squadrandolo con aperta ostilità ma senza rispondere né in un senso né in un altro.
Brian prese fiato vistosamente e, imbarazzato, ammise mestamente: Devo scusarmi con te.- Vide lo sguardo dell'uomo farsi più attento e vagamente stupito, tuttavia era ancora piuttosto guardingo.- David mi ha fatto notare quanto io sia stato inopportuno e, mi rendo conto adesso, che effettivamente non avrei mai dovuto fare un'uscita così davanti a tutti...
-No. Non avresti dovuto.- scandì lento il produttore, assottigliando lo sguardo.
-Sono davvero mortificato... E' che mi piacerebbe moltissimo che noi due riuscissimo a collaborare!- esclamò accoratamente.- Insomma, chi non vorrebbe poter dire di aver lavorato con Brian Eno?! Se tu potessi mettere da parte le nostre divergenze e la mia stupidità...- suggerì subito dopo – mi farebbe davvero piacere ricominciare da capo.
Eno annuì. Brian rimase remissivamente in silenzio mentre lui portava a termine un esame silenzioso delle sue parole e di quel nuovo atteggiamento. Alla fine il produttore sembrò rilassarsi appena.
-Ok.- annuì.- Sono disponibile a darti una seconda possibilità, ma vedi di non sprecarla.
-Sarò la persona più educata, professionale e morigerata che tu abbia mai conosciuto.- promise solennemente Brian.
Il produttore annuì di nuovo. Appariva ancora un po' perplesso da quel cambio di rotta, ma anche visibilmente compiaciuto.
-Bel concerto, comunque.- disse indicando il palco alle spalle di Brian
Lui sorrise entusiasta: Grazie!
Eno e i tecnici del suono si allontanarono riprendendo la chiacchierata.
Brian sentì i passi di Bowie alle proprie spalle e si voltò con un sorriso ironico sulle labbra.
-Se avessi saputo che bastavano due moine per metterlo a tacere, avrei provveduto dall'inizio!- sghignazzò.
-...tu sei una piccola peste.- lo rimproverò David senza suonare affatto minaccioso. Intascò le mani e gli si affiancò.- Vedi di non farlo arrabbiare di nuovo.
Brian lo fissò scandalizzato.
-Ho promesso di essere la bimba più brava di tutto il collegio!- affermò offeso, portandosi una mano al cuore.
Bowie scoppiò a ridere nonostante tutti i propri buoni propositi e Brian si addolcì ma senza mettere da parte quella malizia che gli faceva brillare deliziosamente gli occhi truccati di nero. David pensò che era davvero bellissimo.
-Devo salire sul palco. Augurami “buona fortuna”.- esigette.
Il sorriso del ragazzo si allargò. Sporse le braccia verso di lui, intrecciandole dietro la sua testa. Un secondo dopo lo stava baciando con una passione che gli fece tremare le gambe.
Dimenticava di dire che era anche “suo”.
E questo lo inorgogliva parecchio.
Ricambiò la stretta, afferrandolo per la vita sottilissima e stringendoselo addosso. Brian scivolò con le labbra fino al suo orecchio.
-Farò di meglio.- sussurrò suadente.- Ti aspetterò nel tuo camerino.


Il mio è l'equilibrio della follia.
Tu lo hai creato e tu lo puoi distruggere.

Tuttavia, quando David arrivò in camerino, ciò che lo aspettava era un po' diverso da ciò che avrebbe immaginato.
Brian era effettivamente lì. Sedeva sul tavolo del trucco, in mezzo ad una confusione disordinata di accessori, e fumava nervosamente, mordicchiando con insistenza lo smalto, già rovinato, sulle unghie.
Bowie si chiuse la porta alle spalle per essere certo che nessuno venisse a disturbarli e attese sulla soglia che il ragazzo più giovane desse segno di essersi accorto della sua presenza.
Davanti al mutismo pensieroso di Brian, però, fu costretto a prendere l'iniziativa.
-Bri?- lo chiamò in tono leggero. Lui si voltò come un automa, mostrandogli un viso inespressivo su cui si spalancavano occhi enormi, in grado di inghiottire l'Universo e divorarlo in un solo sguardo.- ...è tutto a posto?- s'informò gentilmente.
-Sì.- risposta istintiva, quasi evasiva. Brian si corresse l'istante successivo - ...no.- Prese un respiro profondo, fece un tiro dalla sigaretta e schiacciò il mozzicone assieme ad altri simili sul fondo di un astuccio da cipria vuoto.- Dave...ti...spiacerebbe troppo se stasera non venissi con te all'after?- chiese esitante.
Il suo primissimo istinto fu essere molto sincero e molto più egoista e rispondere che “sì, gli sarebbe spiaciuto abbastanza da non volergli permettere di scaricarlo a quel modo”. Ma qualcosa nel tono di voce di Brian lo fermò. David venne avanti nella stanza, raggiungendolo al tavolo e servendosi da bere da una bottiglia d'acqua di fianco al ragazzo.
-Ovviamente puoi fare ciò che vuoi.- rispose con accortezza.- Ma è tutto ok?- insistette.
Brian gli ricambiò lo sguardo e sembrò considerare l'opzione di rispondergli sinceramente o rifilargli una storiella comoda, di circostanza. David sperò che scegliesse la prima opzione, perché non era certo di essere in grado di mandare giù la seconda.
...rendersi conto di quanto fastidio potesse dargli la decisione di Brian di allontanarsi, anche solo per poche ore, lo spaventò a morte.
-Onestamente...- iniziò Brian in tono flebile – ho avuto l'impressione che ci sia qualche problema...nella band.- spiegò con una certa dose di ansia.
-Nella band?
Brian sospirò e voltò il viso per portare lo sguardo lontano da lui, fissandolo sul muro vuoto che lo fronteggiava.
-Lo sai che puoi parlarmi liberamente, piccolo.- sorrise David, dolcemente. Decise in quel preciso istante di cambiare tattica e mettere, ancora una volta, da parte i propri istinti primari.
Brian annuì. Si grattò la testa, agitandosi a disagio.
-Stamattina mi è sembrato che Stef non fosse troppo in forma.- cominciò a raccontare spiccio.- Ho provato a chiedere a Steve, stasera, dopo che sei entrato in scena, e mi ha risposto, piuttosto...scocciato!- ironizzò con uno sbuffo affatto divertito.- che se davvero me ne fregava qualcosa, era meglio che gli parlassi.
-Capisco.
-Solo che Stefan mi ha evitato per tutto il tempo ed io ho pensato che, magari, se andassi alla festa con loro...
“Con lui”, pensò David mentre una fitta di gelosia gli colpiva lo stomaco con forza.
-Riuscirei a capirci qualcosa, a parlargli...e a sistemare le cose.- continuò Brian senza accorgersi di nulla.
-Certo.- convenne piatto Bowie.
Non disse altro.
-...sei arrabbiato?
David misurò le parole. Prese spazio e tempo, allontanandosi fisicamente da lui per trovare posto sul divano al centro della stanza. Da lì, tornò a ricambiare il suo sguardo per trovarlo insicuro, in attesa di una sua risposta.
-No.- mentì, pazientemente.- Certo che no. Sono un po'...deluso.- ammise, invece, cercando di non caricare troppo quell'affermazione.- Speravo avremmo passato del tempo insieme, stasera.
Brian si morse le labbra. Scivolò giù dal tavolo, raggiungendolo in pochi passi morbidi e lenti. La sua grazia felina era qualcosa che riusciva ad incantare Bowie ed a fargli dimenticare completamente qualunque stizza avessero potuto risvegliare le sue parole. Quando Brian gli si sedette in braccio, passandogli le gambe attorno alla vita e spingendo il bacino verso il suo, David annegò piacevolmente in quello sguardo cangiante, che gli sorrideva a pochi centimetri dal suo volto.
-Prometto che mi farò perdonare.- sussurrò dolcemente Brian, soffiando quelle parole sulla sua pelle, sulla bocca e sul collo quando si piegò a baciarlo.
Eccolo lì!- rise Bowie, mentre si abbandonava al tocco delicato delle labbra che lo esploravano – “Due moine”, si prese in giro da solo facendo eco a Brian stesso, ed il ragazzino la spuntava con facilità!
Sollevò di scatto le braccia a circondare la vita sottile di Brian per rovesciarlo sul divano, sotto di sé. Lui si lasciò maneggiare, arrendevole ed accondiscendente come sempre, sorridendogli ancora quando Bowie gli si scivolò addosso raggiungendo il suo volto con il proprio.
-Dovrai farti perdonare, adesso.- pretese. Salvo addolcire il tono ed i modi subito dopo, baciandolo con delicatezza per sentirlo rispondere con passione.- Mi mancherai infinitamente, ragazzino.- gli garantì a fior di labbra.
Brian ridacchiò, appena appena inorgoglito: Farò in modo che sembri che io non me ne sia mai andato.- ricambiò

***
Brian trovò il camerino, che era stato riservato ai gruppi di supporto, completamente vuoto. Rimase interdetto sulla soglia, fissando la stanza quasi a volersi sincerare di non essersi sbagliato.
In realtà, era davvero stupito: aveva espressamente chiesto a Stefan e Steve di aspettarlo finché non li avesse raggiunti per andare insieme al party after show.
Il rumore di passi nel corridoio silenzioso lo riscosse. Si voltò e riconobbe Levi venirgli incontro, mani nelle tasche, fischiettando un motivetto orecchiabile che faticava a ricondurre ad una canzone in particolare.
-Levi.- chiamò.
-Ciao, Brian.- salutò lui, dirottando i propri passi nella sua direzione.
-Dove sono tutti?
-Ah. Sono andati via con il pullman.- spiegò Levi, con semplicità.- Andavano al locale tutti assieme.
-...e tu?
-Io sono in auto.- Lo guardò ed indicò la porta del salone dietro di sé.- Vuoi un passaggio? Stavo andando anche io, ma devo tornare un attimo in albergo prima.
-Sì. Sì, grazie.- ribadì Brian, respirando profondamente. Aveva una sensazione spiacevole che gli tormentava lo stomaco, adesso, e sperava che restare in compagnia di qualcuno lo avrebbe aiutato a non lasciarsi sopraffare.- Credevo che Steve e Stef mi avrebbero aspettato.- sbuffò ad alta voce, con molta più acredine di quella che avrebbe voluto.
Levi finse di non accorgersene e ricominciò a spostarsi verso l'uscita, seguito da Brian.
-Avranno pensato che li raggiungessi con Bowie.- provò a giustificarli.
Brian si morse le labbra per evitarsi di rispondere.
Qualche minuto più tardi, seduto nell'auto a noleggio parcheggiata sotto l'hotel mentre aspettava che Levi scendesse, fumò nervosamente l'ultima sigaretta del pacchetto e ne aprì uno nuovo senza soluzione di continuità. Ripeteva gesti meccanici per ovviare all'impressione di soffocare, mentre nella sua testa si dava mentalmente dell'idiota per non aver affrontato Stefan immediatamente.
Levi entrò in macchina, sorridendogli con entusiasmo appena i loro sguardi s'incontrarono, e Brian si sentì istintivamente sollevato. Ricambiò il sorriso, Levi gli piaceva ogni giorno di più.
-Senti...- esordì, mentre l'altro metteva in moto e usciva dal parcheggio dell'albergo.- Ti dispiace se fumo?- s'informò subito dopo, cambiando rapidamente rotta ai propri pensieri.
-Aehm...no, ma la macchina è noleggiata...
-Giusto.- Brian spense la sigaretta e buttò fuori dal finestrino quanto ne restava. Si sentì un po' in colpa al pensiero delle altre due che aveva fumato nell'attesa.- Comunque, volevo chiederti una cosa.
-Certo.
-Stavo pensando che, a parte una data, ormai il tour è concluso.
Levi lo guardò sorpreso. Evidentemente non ci stava pensando.
-Davvero!
-Sì. Va bene, comunque.- annuì Brian.- Insomma, dobbiamo anche metterci a lavorare per l'uscita del nuovo album.
In realtà, si disse Brian, non andava bene affatto. Nel pronunciare ad alta voce quella semplice verità, ne aveva preso atto lui stesso per la prima volta e il senso di fastidiosa inquietudine era tornato. Non era sicuro di voler tornare alla propria vita...non era sicuro di voler tornare ad una vita senza Bowie.
Scacciò a forza quel pensiero e prese un respiro profondo, tornando a guardare Levi, ancora in attesa della sua domanda.
-Mi piacerebbe molto che valutassi, una volta finito questo lavoro, la possibilità di un contratto con noi.- propose discorsivo.
Il sorriso di Levi si allargò.
-Ne sarei felicissimo!- esclamò.- Mi piace molto la vostra musica.
-...lo dici per lusingarmi?- insinuò Brian sospettoso.
Levi rise: Non hai bisogno di lusinghe!- lo prese in giro allegramente. Gli scoccò un'occhiata divertita di traverso e continuò con tranquilla sfacciataggine – Direi che il tuo ego sta benissimo anche senza.
Brian s'indispettì. E, poi, subito dopo, scoprì che, invece di rispondergli a tono, aveva una gran voglia di ridere. Così lo fece.
Levi gli andò dietro quasi subito e Brian si ritrovò a considerare che sì, aveva ottimi motivi per pensare che lui gli piaceva. E lo voleva in squadra!
-Allora, ci penserai?- insistette quando furono tornati seri entrambi.
-Scherzi?! Contami pure tra i vostri.- garantì Levi.
Brian si rilassò contro il sedile, pensando vagamente che “quella” era andata meglio di quanto si aspettasse.
Ora doveva solo arrivare al locale, parlare con Stef e scoprire se, dopo quel tour, ci sarebbe stata ancora una band con cui promuovere il nuovo album...
Si accese la quarta sigaretta di quel breve viaggio praticamente senza neanche accorgersi di averlo fatto.


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7 ***


Siamo fiori al termine della primavera.
Siamo esposti ad un vento implacabile

La risata di Stefan fu come uno schiaffo in pieno viso.
Brian rimase immobile, congelato, senza sapere esattamente come reagire.
...non era qualcosa che gli succedesse spesso. Steve considerò la sua espressione con preoccupazione autentica, perché Brian appariva semplicemente incapace di razionalizzare quanto stava accadendo.
Il bassista, intanto, non pago, stava proseguendo in un personalissimo show di dubbio gusto.
-Togliti quell'aria schifata dalla faccia, Brian!- esclamò con un misto di insensata euforia e più reale fastidio.- Marcian potrebbe pensare di starti poco simpatico.
Afferrò per un braccio la persona che aveva presentato come “Marcian” meno di due minuti prima e che, ora, cercava inutilmente di nascondersi dietro un sorrisino timido, di circostanza, davanti allo sguardo feroce di Brian Molko. Stefan, insensibile a quel tentativo, lo tirò su di peso e se lo strinse addosso con una bramosia fin troppo esplicita.
-Non ti piace Marcian, Brian?- insistette.- E' così...autentico!- calcò entusiasta, un momento prima di gettarsi sulle labbra del ragazzo.
Lui rispose al bacio con la medesima passione disperata che Stefan sembrava metterci e Brian, nella propria testa, riavvolse rapido il nastro dei pochissimi minuti trascorsi dal proprio arrivo al locale.
Stef era già ubriaco. Brian lo aveva capito nell'istante esatto in cui aveva messo un piede nel privè e l'altro gli aveva alzato addosso due occhi acquosi, appannati da qualcosa di indecifrabile ma che, alla vista del ragazzo biondo che gli si stendeva praticamente addosso, Brian temeva di poter etichettare facilmente come lussuria. Aveva deglutito un nodo stretto di bile e ansia, cercando di capire come comportarsi, ma Stefan non appariva affatto intenzionato a dargliene il tempo e, sotto lo sguardo vigile di Steve, si era sollevato di scatto per acclamare il suo ingresso e fare, con le dovute cerimonie, le presentazioni ufficiali tra il cantante e il ragazzo biondo di nome “Marcian”.
Adesso, Levi superò Brian. Il cantante sentì la mano dell'altro toccargli piano il polso, quasi a volergli consigliare di riprendere in fretta il controllo di sé.
Brian si rese conto di quanto poco sicuro si sentisse in quel momento anche solo all'idea di aprire la bocca e rispondere qualcosa al proprio bassista. Ma lui, tanto, non sembrava particolarmente interessato a ricevere una replica. Gli diede le spalle senza aggiungere un'altra parola e, senza degnarlo di uno sguardo ulteriore, si lasciò cadere a sedere sul divanetto nel punto esatto che aveva occupato fino al suo arrivo e si tirò nuovamente dietro Marcian, che sembrava una graziosa bambola di pezza nelle sue mani e si lasciava maneggiare con l'arrendevolezza di un cagnolino ben addestrato.
A Brian salì un conato di vomito.
-Scusate.- sillabò, a voce così bassa che lui stesso fece fatica a sentirsi.
Nessuno, comunque, si preoccupò di lui, quando girò sui tacchi senza aggiungere altro e uscì dal privè. Gli unici occhi che seguirono quelle rapide manovre furono quelli di Steve, ma - considerò il batterista - Brian un po' se lo meritava.
***
Quella sera David Bowie non era particolarmente bendisposto verso la propria crew. La maggioranza di loro capì in fretta l'antifona e, altrettanto rapidamente, si dileguò per lasciargli la sua privacy. Il cantante si ritrovò, così, a dividere con una bottiglia di bourbon lo spazio enorme riservatogli in fondo al locale, la musica che arrivava attutita dalle pareti di vetro satinato che lo circondavano.
Non era un brutto locale, considerò oziosamente mentre si versava da bere, il management aveva scelto un posto di classe, una volta tanto. Certo...nei limiti in cui una stupida discoteca potesse essere un posto di classe!
Quella considerazione lo indispettì. Valutò la possibilità, per la data di Parigi, di scegliere una location meno frivola per il party di chiusura, poi ricordò che Eno aveva già riservato il salone di un hotel in centro e si rilassò nella certezza che l'amico avesse fatto esattamente la stessa scelta che avrebbe operato lui stesso.
-Non pensavo che quel ragazzino riuscisse a ridurti in questo stato tanto rapidamente, comunque.
Lei aveva la capacità tutta personale di piombare nel mezzo di un pensiero con la scioltezza di un discorso ben avviato.
David rise nonostante tutto, senza riuscire a provare autentico fastidio per quell'intrusione. Quando si voltò verso di lei, Emily si era già accomodata scompostamente su una delle poltrone dorate che circondavano il divano che lui stesso occupava, le gambe lunghe, nude, abbarbicate su un bracciolo, la gonna leggera del vestito a balze – nero, chiaramente – che scivolava languidamente sulle cosce ed un bicchiere da cocktail appoggiato tra le dita smaltate con cura. Considerò che quella sera lei era più “femminile” di quanto le fosse usuale, truccata con più grazia e abbigliata in modo che appariva maggiormente ricercato. Non gli dispiacque.
-Emily, cara...perché salti tanto facilmente a conclusioni?- la interrogò, tentando di mantenere un tono neutro, ma fallendo quando si rese conto che, comunque, una punta di astio sincero era serpeggiata sul fondo di quella domanda.
-Perché dubito che la sua assenza dipenda dalla tua noia e dubito anche che la tua solitudine dipenda da esigenze di riflessione sui grandi misteri della vita.- ritorse lei in modo piano.
Lui la squadrò attentamente, insensibile all'idea di poter risultare offensivo. Ma lei, del resto, non batté ciglio.
-Ti ha già scaricato?- chiese, invece.
David valutò la possibilità di arrabbiarsi e cacciarla. Alle sue parole un moto d'orgoglio gli aveva solleticato l'animo, portandolo a raddrizzarsi istintivamente sul divano quasi avesse bisogno di riaffermare fisicamente la propria supremazia. Poi parve vederla di nuovo, per la prima volta, e capì che non gli serviva affatto mentire a lei, che era solo il prolungamento troppo saggio del suo ego.
-Esattamente.- affermò, quindi.
Emily rise. Non davvero, no. La sua risata era come tutto in lei, piatta e vuota e senza sentimento se non quella durezza spigolosa con cui fare i conti. Si alzò agilmente dalla poltrona e gli si affiancò sul divano, la coscia nuda ora a contatto con la sua, gli occhi dipinti di nero puntati sul bicchiere di bourbon nuovamente vuoto. Fu lei a rempirglielo.
David si ritrovò a guardare la sommità di quella testolina su cui i capelli, rovinati dalle troppe tinte, si ribellavano malamente all'acconciatura accurata che lei aveva realizzato. Pensò che aveva voglia di chiederle se quella “nuova” immagine fosse opera sua o se fosse passata dal backstage, a farsi dare una mano da qualcuna delle costumiste o delle truccatrici. Poi decise che non gli andava di rovinare il piccolo incantesimo che, con tanta cura, lei aveva intessuto: mancavano pochissimi giorni alla fine del tour, Emily – come tutto il baraccone – sarebbe sparita fino al prossimo disco, lui sarebbe tornato alla splendida routine di una vita perfetta, lei sarebbe stata il ricordo piacevole di qualche notte solitaria... Era quasi...corretto che la ragazza si fosse impegnata tanto per lui.
-Mi sei mancata.- confessò a quel punto.
Lei alzò il viso verso il suo. Nella sua espressione, Bowie lesse chiaramente lo scetticismo con cui aveva accolto quelle poche parole. Non che pensasse che lui le stesse mentendo, piuttosto Emily sapeva esattamente cosa lui stesse dicendo.
Mi sei mancata” come può mancarmi un giocattolo dimenticato sul fondo di un cassetto, quando, all'improvviso, lo ritrovi e ricordi quanto ti sei divertito a giocarci. Non importa in che stato sia quello stesso giocattolo, importa solo che è di nuovo tuo.
Lui sapeva che la vita di lei sarebbe sempre scorsa indipendentemente dalla sua presenza. Forse Emily era innamorata di David Bowie, ma entrambi sapevano bene che differenza correva tra David Bowie e l'uomo che in quel momento le sedeva accanto. E lei e quell'uomo non avevano assolutamente nulla in comune. Era il motivo per cui non aveva mai paura di ferirla. L'esatto opposto di Brian, lei era così radicalmente consapevole di sé da essere totalmente indifferente agli altri. Cosa l'avesse forgiata a quel modo era un segreto che David non le aveva mai chiesto, se non di rado, e che lei non gli aveva mai rivelato, se non in parte. Le cicatrici bianche sui suoi polsi parlavano molto più di quanto fosse disposta a fare lei stessa.
-Beh,- mormorò adesso. David la vide sollevarsi in un movimento fluido e aggraziato, le sue gambe lo circondarono e lui se la ritrovò seduta in grembo, a cavalcioni, le braccia ricoperte di bracciali che tintinnavano ai lati della sua testa e quegli occhi magnetici puntati dritti nei suoi.- non è bene che tu rimanga da solo, stanotte.- terminò ad un passo dalle sue labbra.- Non sarò la tua bambolina maledetta, ma confido di poterlo sostituire abbastanza bene!- rise leggera, un istante prima di annullare anche quella distanza.
***
Alla fine non era riuscito ad ignorare la cosa come avrebbe voluto.
Brian sedeva da solo al bancone del bar, quando Steve lo raggiunse. Fumava, un bicchiere alto pieno di un qualche cocktail dall'aria non identificabile davanti a lui sul piano lucente. Il batterista aveva visto un paio di persone provare ad avvicinarlo solo per essere ricacciate in malo modo e questo gli era stato sufficiente per capire che l'umore dell'altro era, a dir poco, funereo.
Prese posto al suo fianco senza chiedergliene il permesso. Brian si voltò come una serpe, poi lo riconobbe e si sgonfiò come un palloncino, afflosciandosi su sé stesso.
Steve si accese una sigaretta anche lui.
-Posso farti una domanda?- chiese dopo qualche minuto di silenzio totale.
Prima che Brian gli rispondesse, una delle ragazze al banco venne a prendere la sua ordinazione. Steve chiese una bionda qualsiasi, la ragazza si prese qualche istante per descrivergli le qualità della birra che gli aprì davanti, lui non la ascoltò affatto e, quando lei si allontanò con un sorriso compiaciuto, tornò a girarsi verso il proprio cantante.
Brian non aveva cambiato posizione di un centimetro e non aveva dato segno alcuno di aver anche solo fatto caso a quanto accaduto o alla sua domanda.
-Bri.- lo chiamò Steve per essere certo di avere i suoi occhi puntati su di sé. A quel punto, tornò ad incalzarlo.- Posso chiederti una cosa?- ribadì.
-Certo.- fu la risposta piatta che ne ottenne in cambio.
-E' una questione di mero orgoglio o c'è altro?
Lo spiazzò. Brian non lo diede a vedere apertamente, si ostinò ad adottare quell'aria apatica, assente, ricambiandogli uno sguardo spento. Ma sobbalzò impercettibilmente sul proprio posto, arricciandosi ancora più in se stesso.
Steve sospirò.
-Parliamoci chiaramente, Brian.- ricominciò, sforzandosi di non suonare troppo giudicante per paura che l'altro si limitasse ad alzarsi e andarsene come aveva già fatto nel privè.- Sei tu che hai spinto Stef a comportarsi così con te. Lui è...pazzo di te!- soffiò con enfasi, schiacciando con violenza il mozzicone della sigaretta nel posacenere davanti a loro.- Si getterebbe nel fuoco, se glielo chiedessi. Ma tu?
-Io cosa?
-Ti importa qualcosa di Stefan?- scoccò Steve lapidario.
Vide Brian deglutire a vuoto, con fatica. Fu l'unico segno di debolezza che gli mostrò; il suo viso rimase impassibile, freddo e inespressivo.
In ogni caso, non gli rispose e per Steve era già una conferma sufficiente.
-E' terrorizzato dall'idea di perderti. - confessò il batterista, ignorando volutamente la circostanza di stare fornendo all'altro informazioni ricevute nell'ambito di confidenze riservate.- Ti ha visto con quello.- Un cenno rapido in direzione dell'area riservata in fondo al locale, dietro pareti di vetro opaco.- Non è stupido, sa riconoscere la tua adorazione per un altro. Qualcuno che non è lui.
-Io non...!- iniziò Brian rocambolescamente.
Steve si lasciò scappare uno sbuffo di amaro divertimento: l'orgoglio sembrava risvegliare i sentimenti di Brian Molko molto più dell'idea che la persona a cui era più legato potesse prendere definitivamente le distanze da lui.
-E' geloso di Bowie.- proseguì spiccio il batterista.- Semplicemente. Follemente geloso di lui, della possibilità che tu possa perdere la testa e seguirlo in capo al mondo, lasciarci indietro pur di farlo...
-Siete la mia unica famiglia.- lo interruppe bruscamente Brian.
Lo fece con una forza ed una convinzione così evidenti che Steve fu tentato di credere che fosse sincero.
Lo guardò.
-Se è davvero così, dimentica quello che hai visto stasera e torna da lui.- suggerì. Scivolò giù dallo sgabello e recuperò la bottiglia di birra da sopra il bancone- Potrebbe non essere facile come ogni altra volta, Brian. Ma devi decidere tu se ne vale la pena.
Quando Steve fu scomparso nuovamente nella confusione rumorosa del locale, Brian tornò a voltarsi verso il proprio bicchiere e si accese un'altra sigaretta.
Doveva fare come gli aveva suggerito l'amico? Tornare da Stefan, tapparsi naso e bocca e aspettare pazientemente che il bassista si stancasse di quella patetica scenata di gelosia?
...sì. Doveva.
…aveva voglia di farlo? No.
No, più onestamente non aveva le forze per farlo. Non pensava davvero di provare così tanta paura nel vedere Stef tra le braccia di qualcun altro.
Intendiamoci! Non aveva mai preteso la fedeltà del bassista a fronte della propria infedeltà totale e lampante. E Stef, infatti, non si era mai fatto mancare occasioni per cercare altrove compagnia, quando lui aveva di meglio con cui intrattenersi. Ma non glielo aveva mai sbattuto in faccia a quel modo e, sopra ogni cosa, tutte le volte in cui Brian aveva cercato lui, tutte le volte in cui gli aveva fatto intendere che aveva bisogno di lui, Stef era lì. Non importava chi stesse occupando il posto di Brian in quel momento, doveva alzarsi e sparire senza una parola, perché lui veniva prima di chiunque altro.
Quindi, cosa stava andando storto quella sera? Stefan lo aveva evitato tutto il giorno, se si faceva eccezione per la brevissima parentesi sul palco in cui, più che altro, aveva la sensazione che lui si fosse lasciato trasportare dall'energia indiscutibile della loro esibizione. Dopo lo show, quando aveva provato ad avvicinarlo per capire cosa non andasse, Brian era stato malamente allontanato senza nessuna spiegazione reale: o Stefan lo ignorava apertamente o gli rispondeva in modo brusco, ironico ed offensivo. Aveva chiesto espressamente a lui e Steve di aspettarlo per andare a quel dannato party! E per tutta risposta era stato mollato da solo, ad arrangiarsi per raggiungerli al locale. E poi... “Marcian”. Il più insulso, inutile e scialbo ragazzetto che Stefan avrebbe potuto raccattare in giro e con il quale si atteggiava come se fosse il centro intero dell'Universo.
Era geloso di Bowie?! Almeno era David Bowie e non...marcian!
Ingollò rabbiosamente l'intero contenuto del bicchiere, bevendolo tutto d'un fiato fino a quando non rimasero solo i cubetti di ghiaccio sul fondo, scuriti dalla liquirizia contenuta nel cocktail. Posò secco il contenitore vuoto e saltò giù dallo sgabello, la sigaretta che pendeva tra le labbra su cui il rossetto era ormai una traccia sbiadita. Prima di allontanarsi ordinò un secondo giro, poi si voltò con il bicchiere in mano, prendendo il coraggio a due mani, e fece a ritroso la strada verso il privè.

La brina del mattino congela sui nostri petali,
spezza il nostro respiro

Brian sedette tra Levi e Steve, proprio di fronte a Stefan ed al suo giocattolo di quella sera.
Marcian impallidì leggermente. Brian si lasciò scappare un sorrisetto cattivo e si rilassò contro lo schienale del divanetto, allargando le gambe ed assumendo volutamente una posa sciatta e volgare. Stefan gli scoccò un'occhiata in tralice e non riuscì a reprimere una smorfia disgustata.
-Certo che stasera avete fatto furore!- stava, intanto, affermando con enfasi uno dei presenti.
Brian spostò l'attenzione su di lui per rendersi conto, solo in quel momento, di come la maggior parte delle persone al tavolo fossero membri della band di Bowie. Ad aver parlato, per la precisione, era il suo chitarrista, che ora lo fissava con autentico interesse, aspettando la sua risposta.
Brian si inorgoglì.
-Grazie, Reeves.- sussurrò, assumendo istintivamente un atteggiamento molto più civettuolo e suadente.- E' sempre un piacere ricevere dei complimenti da una persona di talento ed esperienza come te.
Stefan fremette visibilmente per quei modi da gattino. Brian lo vide finire in un sorso unico il contenuto del proprio bicchiere e voltarsi istintivamente verso Marcian, che si prodigava generosamente per richiamare la sua attenzione.
-Sul serio...riesci ad essere...- cercò di argomentare il chitarrista, fallendo miseramente nel tentativo di definire l'altro.
Brian rise.
Gail, la bassista, prese la palla al balzo per terminare la frase: Conturbante ed offensivo allo stesso tempo.- classificò in tono piano.
Il cantante si accigliò. Non tanto per quanto l'altra aveva appena detto – in realtà, era esattamente il genere di reazione che sperava di suscitare – quanto per la circostanza che non ne sembrasse affatto impressionata.
Valutò la risposta migliore da darle, ma la sua concentrazione fu dissipata in meno di un istante quando sentì la risatina sottile di Stef insinuarsi nel mezzo dei suoi pensieri. Ruotò appena la testa, pensando che l'altro volesse fare dell'ironia spicciola sulle parole della donna, ma si accorse in fretta di non essere affatto tra gli interessi del proprio compagno di band, impegnato in più piacevoli passatempi con un Marcian che tentava, nemmeno troppo discretamente, di infilargli una mano nei pantaloni.
Brian sentì un conato di vomito risalirgli lo stomaco.
-...immagino sarebbe meglio essere insignificanti, ordinari e scontati come qualsiasi moccioso che si possa incontrare in un locale qualunque!- sibilò in risposta a Gail, ma tenendo lo sguardo fisso sul proprio bassista e sul suo accompagnatore.
Stef alzò la testa di scatto e si voltò verso di lui. Marcian stesso capì come le parole di Brian non si riferissero certo ad un'esibizione musicale e si raddrizzò con un'esclamazione di protesta.
-...certo che no.- affermò lentamente Gail, senza capire del tutto quanto stava succedendo.- Ma ammetterai che anche il tuo atteggiamento alla lunga rischia di diventare un cliché.
Brian le scoccò uno sguardo furente.
-Non si tratta di una maschera!- sfiatò velenosamente.- Questo sono io! È quello che penso!
Marcian, stupidamente, intervenne: Di essere una troia a buon mercato.- commentò acido.
-Marcian...- lo richiamò a voce bassa Stefan, allarmato.
-Sai, non sono poi così stupito che tu possa aver completamente frainteso il messaggio delle mie canzoni.- ritorse Brian, tranquillamente.- Non credo che Stefan ti abbia scelto perché ha voglia di intrattenere una conversazione di qualche tipo con te.
-Oh, invece con te chissà quali discussioni filosofiche intrattiene!- ironizzò Marcian.
Brian si voltò verso Stefan, sfoggiando l'espressione più dolce che riuscì a fingere: Ma quant'è tenero, Stef!- commentò divertito.- Il mio esatto opposto!
-...magari, con tutto il veleno che ho già ingoiato con te, ormai sono assuefatto agli stronzi.- sfiatò rocamente il bassista, prendendo fisicamente le distanze da Marcian tanto quanto da Brian.
-Con una differenza fondamentale, - sottolineò quest'ultimo - io non fingo per farmi portare a letto.
-E perché dovresti?! Portarti a letto è praticamente l'unica cosa che chiunque vorrebbe fare con uno come te!
Brian sentì distintamente Steve uscirsene con un “oh, cazzo!” che riassunse in pieno la situazione. Eppure, un secondo prima di poter rispondere a Marcian e finirlo deliberatamente con la battuta più crudele che fosse riuscito ad escogitare, si rese conto di una cosa che congelò definitivamente ogni sua capacità di reazione.
Stefan se ne restava in disparte. Adesso sedeva lontano da lui e dall'altro ragazzo, ma era solo a lui che rivolgeva uno sguardo spento, gravido di una rassegnazione ubriaca. Stef non era mai stato uno “combattivo” nel senso più basso del termine, ma vederlo svuotato anche dell'orgoglio che lo aveva spinto alla stupida ribellione di quella sera...
Si sentì sinceramente in colpa e sinceramente spaventato dal male che sembrava in grado di fargli.
Quando guardò nuovamente Marcian lo vide ricambiare il suo sguardo con un misto di rabbia e insicurezza. Si aspettava di farsi male in quello scontro, ma non voleva accettare passivamente i suoi insulti e non era una cosa così strana. Strano era l'atteggiamento di chi, come Stefan, abbassasse la testa sempre e comunque davanti alla sua cattiveria.
...il conato di vomito tornò prepotente. Brian lo soffocò spingendo il dorso della mano contro la bocca, ma quando provò a deglutire si rese conto del nodo alla gola ed allo stomaco. Si alzò di scatto, senza aggiungere altro, e corse fuori dal privè per la seconda volta in quella serata.





Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8 ***


E' come se i nostri mondi collidessero.
Il mio sta implodendo
e tu resti a guardare.

Vomitò tutto quello che aveva bevuto nelle ultime due ore.
Vomitò anche tutto quello che aveva masticato, ingoiato e non digerito. La bile, la rabbia, la paura...Vomitò quel senso di inadeguatezza che gli aveva serrato lo stomaco davanti allo sguardo di Stefan, al coraggio stupido di Marcian Lo Sconosciuto, all'indifferenza di Gail per quel messaggio che lui si ostinava a portare in scena ogni sera.
Si chiese cosa ci fosse di sbagliato in lui. Cosa impedisse alla gente di capire davvero. Quello che provava, quello che cercava di dire loro in ogni modo, in ogni singolo gesto, parola, grido disperato da quel maledetto palco!
Si accasciò a terra, le braccia sorrette solo dalla ceramica sudicia del cesso davanti a lui. In quel momento si faceva talmente schifo da non trovare nemmeno così orrendo starsene lì sul pavimento, in mezzo al lerciume, ad aspettare che il cuore smettesse di correre come un pazzo nel suo petto, la testa di pulsare e quel dannato sapore di ristagnargli in bocca con tanta ostinazione.
Spinse indietro i capelli, sperando che non si fossero macchiati ma senza forze per sincerarsene davvero; li avvertiva umidi e appiccicosi, ma non gli importava, a condizione che non gli ricadessero sulla fronte sudata.
L'idea di uscire da quel cubicolo e tornare nella confusione del locale lo terrorizzava a morte. Sentiva la musica rimbombare ossessivamente perfino da lì. Non c'era nessun posto in cui nascondersi, in mezzo a quella confusione: inevitabilmente lo avrebbero cercato, lo avrebbero visto e lo avrebbero giudicato. Non importava chi fossero “loro”. Non avevano un nome o una faccia, erano le centinaia di persone senza nome e volto che si erano girate nella sua direzione quando avevano incrociato la sua strada, nel corso lunghissimo di quella vita di merda che continuava a sfuggirgli dalle dita. Doveva pur esserci un senso da qualche parte! Perché solo lui sembrava incapace di vederlo?
La porta di legno, a cui era appoggiato con la schiena, venne spalancata di colpo. Brian si considerò fortunato ad essere ancora accasciato contro il water o niente lo avrebbe salvato dal ritrovarsi steso a terra a fissare dal basso il volto arrossato del gigante biondo che occupava adesso la soglia. Senza muovere un muscolo, gli rivolse un'occhiata stanca.
-...non si bussa, Eric?- borbottò piatto, svogliato.
Lui non gli prestò attenzione. Il suo sguardo vigile lo studiava analiticamente e lo fece sentire incredibilmente nudo ed esposto.
Brian si alzò di scatto, scavando dal fondo del proprio ego quanto restava del proprio coraggio e orgoglio. Spinse di lato Eric, che lo lasciò fare, e passò oltre, uscendo nel bagno e raggiungendo il lavandino. L'immagine spettrale allo specchio lo salutò con un paio di occhiaie verdi e labbra così livide da sembrare appena scappate all'inferno. Nonostante il trucco! Brian aprì l'acqua e la raccolse sui palmi a coppa, poi infilò il viso tra le mani e grattò via ciò che restava del make up, strofinando con ostinazione la pelle fino a renderla rossa e dolorante. La faccia che lo accolse, quando raddrizzò la schiena, non era migliore di quella di pochi istanti prima. Adesso, al posto delle occhiaie verdi, c'erano le scie scure di mascara, matita ed ombretto, che segnavano con prepotenza il solco profondo sotto i suoi occhi, rendendoli più brillanti, vividi e irreali del solito. Sembrava una maschera su cui qualcuno avesse praticato dei fori in corrispondenza di pupille di vetro colorato.
Vide Eric alle proprie spalle. Lo vide sempre nel riflesso, non appena scelse di distogliere l'attenzione da se stesso e puntarla su quella figura enorme che sorrideva ironicamente dietro di lui.
-Che diavolo vuoi?!- lo apostrofò, cercando di suonare minaccioso ma risultando soltanto sfinito.
Lui sbuffò una risatina e gli andò incontro. Istintivamente Brian si ritrasse contro il lavandino, voltandosi nello stesso momento, sulla difensiva. Mai come in quell'istante Eric gli era sembrato minaccioso, ma sospettava fosse solo lui a sentirsi particolarmente fragile.
Il gigante lo ignorò. Aprì il rubinetto e c'infilò sotto le mani per sciacquarle.
-Brutta serata, ragazzino?- s'informò in modo quasi gentile.
Brian capì a quel punto che lui lo doveva aver sentito mentre rimetteva anche l'anima in quel cesso di merda. Si morse le labbra fino a farle sanguinare, cercando di calmare il dannato battito impazzito all'altezza dello stomaco.
-Senti, chiariamo una cosa.- sbottò aspro.- Noi due non siamo amici...
-Ah, questo lo so!- rise Eric, apertamente.
Brian si perse a metà del proprio discorso, spiazzato da quella reazione tanto neutrale alle sue parole. Lasciò ricadere “l'intimidatorio” dito che aveva sollevato verso di lui e si rilassò contro il sostegno di porcellana alle proprie spalle.
-...ma mi dici che diavolo vuoi da me?- sussurrò in tono appena udibile, senza preoccuparsi, stavolta, di suonare meno stanco e debole di quanto si sentisse davvero.
Eric chiuse l'acqua, si voltò verso di lui e sollevò un sopracciglio.
-Perché pensi che voglia qualcosa da te?- ritorse spiccio. Strappò dal rotolo lì di fianco alcuni tovaglioli e si asciugò le mani, per poi gettarli nel cestino vicino al muro. Quando tornò a guardarlo, Brian era ancora in attesa di una spiegazione.- Ragazzino, te l'ho detto la prima sera: mi piaci.
-La gente che dice questo, poi cerca di infilarmi le mani nei pantaloni.- affermò pianamente Brian.
Eric rise di nuovo. Scavò nella tasca dei jeans e tirò fuori una bustina trasparente simile alle altre svariate bustine trasparenti che, in quel tour, erano passate dalla sua mano a quella di Brian.
Lui, però, sentì che avrebbe fatto bene a voltarsi ed andarsene.
-Vuoi che ti infili le mani nei pantaloni?- ironizzò Eric.
...piuttosto preferirei la castrazione chimica...”
Non ebbe la prontezza di spirito di rispondere, comunque. E questo era abbastanza insolito da aumentare fortemente quel senso di straniamento e disagio che avvertiva. Adesso come adesso, voleva solo uscire da lì e tornare in Hotel per rinchiudersi in camera fino alla fine dei giorni.
Eric avanzò verso di lui, colmando la distanza di sicurezza – già breve – che Brian aveva mantenuto fino a quel momento. Fortunatamente si limitò a posare sul piano in ceramica il sacchetto e a farsi indietro con la stessa ironia beffarda ancora dipinta in viso.
-Sai ragazzino...non posso dire che l'idea non mi intrighi,- ammise semplicemente.- ma continuo a pensare che resterei molto deluso di scoprire cosa c'è lì sotto!- esclamò accennando un gesto tanto eloquente quanto volgare.- Quindi, non seccarti, ma mi limito a dirti che mi piaci e che mi piace fare regali agli amici.
Evidentemente aveva del tutto ignorato il fatto che Brian ci avesse tenuto a specificare che loro due non era affatto amici.
-E poi, questo tour è una tale rottura! Tu sei una delle poche cose interessanti che sia successa da quando è iniziato.- confessò candidamente, reinfilando le mani in tasca per lasciarcele, stavolta. - Mi piace l'idea di movimentarti un po' una serata, che sembra proprio ti stia andando di merda!
-Non sai quanto.- concordò Brian brevemente, evitando il suo sguardo. Finì per incocciare di nuovo nella propria immagine riflessa ed ebbe serie difficoltà a riconoscersi.-Cristo!- sfiatò stravolto.
Eric, intanto, sembrava essersi stancato di lui e stava già tornando verso la porta del bagno.
-Se vuoi un consiglio, ragazzino,- annunciò la voce roboante del gigante, senza attendere che lui chiedesse effettivamente che gli fosse dato qualche discutibile consiglio - lascia perdere tutti quelli che non sono abbastanza furbi da capire quanto vali e cerca altrove.
Eric scomparve dietro il battente, che si richiuse da sé, e Brian si ritrovò solo in compagnia di un sacchettino di pillole di LSD.
...beh...prenderne una, dimenticarsi in fretta di quanto successo ed uscire a cercare compagnia non sembrava affatto un brutto programma.
Le sue dita saettarono istintivamente verso il sacchetto, afferrandolo con forza. Brian si tirò dritto, rassettò i vestiti sgualciti e, infilate in tasca le pillole, uscì rapidamente dal bagno.

-Brian!- Alzò ulteriormente il tono quando l'uomo si voltò verso di lui, per essere certo che lo sentisse, nonostante la musica e nonostante a separarli ci fosse quasi per intero il bancone del bar.- Dov'è David?!
Eno si strinse nelle spalle. A Brian fu chiaro che era molto più interessato alle tette della tizia con cui stava chiacchierando al suo arrivo, che a dargli indicazioni su dove avrebbe potuto trovare il cantante.
Sbuffò infastidito.
Il sacchetto trasparente nella sua tasca posteriore pesava come un macigno. Brian fissò intensamente il bicchiere alto che era appena stato servito alla donna accanto a lui e si chiese se fosse il caso di ordinare da bere o se fosse meglio uscire da lì prima di ritrovarsi a soffocare per la voglia di farsi e quella di sparire in un buco profondo chilometri. Si accorse solo quando lei parlò, che la donna era di nuovo Gail.
-Guarda che David è appena uscito.- gli disse. Brian sollevò lo sguardo verso di lei, una luce bramosa negli occhi.- Se ti sbrighi, lo trovi sul retro. Jeff stava andando a prendere la macchina.
-Grazie.
Quasi corse via. Sentendosi un po' stupido nel farlo e non sapendo nemmeno bene per quale ragione, invece di cercare un facile rifugio nella droga, stava preferendo cercarlo tra le braccia di Bowie. La cosa lo spaventava a morte, in realtà. Mentre usciva dalla sala da ballo, lasciandosi alle spalle la confusione e il rumore, sentiva nuovamente il cuore prendere a rimbalzare impazzito nella cassa toracica, spingendo giù, giù sullo stomaco!
Nel giro di pochi giorni, Bowie sarebbe scomparso completamente dalla sua esistenza.
...o forse sarebbe stato Brian a scomparire dall'esistenza di David Bowie. Non aveva ben chiaro se l'essere una star e un'icona decennale comportasse di ridurre tutti gli altri a comparse anche nella propria vita, quando avevano la sorte di incontrarti sul loro cammino.
In ogni caso, lui sarebbe stato un punto passato su una linea retta verso un futuro incerto. Aggrapparsi a quel punto poteva significare cambiare totalmente il corso della propria vita: Steve gli aveva detto chiaramente che Stefan era geloso di Bowie, che temeva le scelte di Brian, che Brian avrebbe fatto fatica a riguadagnare la sua fiducia...cosa sarebbe stato di tutti loro una volta che il Duca Bianco fosse sparito e loro tre si fossero trovati a dover fare i conti con i Placebo e nient'altro?
No, rifugiarsi tra le braccia di Bowie non sembrava affatto la scelta saggia. E, per assurdo, appariva più saggio tornare indietro, ordinare qualcosa al bar e mandare giù una o due di quelle pillole magiche che Eric aveva dispensato con tanta generosità.
Ma, poi, Brian uscì all'aria aperta. Un vento gelido gli rimbalzò addosso, cercando inutilmente di ricacciarlo dentro il locale, fece sbattere la porta alle sue spalle, Brian la guardò e poi si girò ad allargare lo sguardo all'intero spazio del parcheggio sul retro. Riconobbe David immediatamente. Era una macchia chiarissima in un cielo nero, punteggiato di lampioni. Sorrideva. Il suo viso appariva disteso e sereno e Brian poteva sentire un eco lontana delle sue parole, dolci, morbide come sempre, scivolare fino a lui sulle tracce di quel vento.
Lo calmò in un momento. Brian provò la stessa sensazione di tranquillità e sicurezza che aveva avvertito quando, quel mattino, si era svegliato accanto a lui. Fino a quel momento, era sembrata passata un'eternità da allora, ma adesso si rese conto che erano solo poche ore che lui e David si erano separati e che tutto quello che voleva in quell'istante era tornare con lui in Hotel e chiudersi con lui nella propria camera, fino alla fine dei giorni.
Brian iniziò a camminare in direzione dell'uomo. Lo spirito decisamente più leggero ed i passi più sicuri e meno affrettati. E poi la vide.
Emily era un'elegante curva nera e bianca sullo spaccato monocromatico della notte.
Lei e Bowie non si sfioravano nemmeno. In piedi uno davanti all'altra. Lui un punto di luce nel cappotto bianco, lei un angelo nero con il vestito a balze che scivolava sul vento, da sotto il giubbino di pelle troppo corto.
Brian s'immobilizzò. Nessuno dei due sembrava essersi accorto di lui, Bowie parlava ancora, con quella sua voce calda e rasserenante, lei oscillava leggermente, come fosse incorporea, un'apparizione spettrale. La limousine dell'uomo arrivò in silenzio dal fondo del parcheggio e fermò davanti a loro. Jeff scese ad aprire la portiera, il braccio di Bowie si sollevò a circondare le spalle magre di Emily, la strinse a sé con affetto e senso di protezione evidenti perfino a quella distanza, le sussurrò qualcosa all'orecchio o forse le diede un bacio in quello spazio piccolo, intimo, tra il lobo ed il collo. Sparirono nell'auto ancora abbracciati.
Brian sentì distintamente il suono della crepa che si era appena allargata, perfetta e precisa, nel suo piccolo mondo disastrato.

Perché non mi hai detto quello che sentivi?
Perché hai voluto che scoprissi da solo quanto a fondo eri spezzato?

Stefan si era annoiato in fretta di Marcian tanto quanto della propria personalissima ribellione senza senso.
Vedere uscire Brian a quel modo, per non vederlo più tornare, gli aveva lasciato un senso di vuoto così persistente che non era bastato tutto l'alcool che era riuscito ad ingoiare per sedarlo.
Marcian era stato congedato in malo modo, dopo che aveva tentato inutilmente di farsi portare in albergo dal bassista. Stef era uscito dal privé dichiarando che andava a prendere una boccata d'aria e, invece, si era diretto al bar a caccia del proprio cantante, ma senza avere fortuna.
Appoggiato di spalle al bancone, tentava adesso di capire se sarebbe stato in grado di individuare Brian nella piccola folla che ancora occupava il locale. Nonostante l'ora tarda, la maggior parte degli invitati alla festa era ancora lì, complici i pochi giorni di pausa che li separavano dalla data successiva e la voglia di far festa a ridosso della conclusione del tour.
Stefan riconobbe un paio di figure familiari che bevevano sedute a pochi passi da lui. Si voltò da quella parte.
-Revees!- gridò attraverso il rumore. Il musicista si voltò insieme con Gail.- Avete visto Brian?
Revees scosse la testa. Gail, al suo fianco, si sporse sul bancone e gli rispose: Credo sia andato via con David!- urlò.- Lo stava cercando prima! Penso siano tornati in albergo assieme!
Stefan soffocò bruscamente il senso di abbandono che gli risalì addosso con ferocia. Annuì senza aprire bocca. Si staccò dal bancone con un gesto rapido e scoordinato, sentiva solo il bisogno urgente di uscire davvero da lì, allontanarsi da quella sensazione spiacevole di aver perso qualcosa di troppo importante.
Steve lo intercettò sulla soglia del corridoio che portava all'esterno. Si accorse facilmente del suo stato d'animo, ma, del resto, lo aveva seguito apposta per assicurarsi che fosse tutto a posto.
-Stef!- lo chiamò inutilmente.
Lui si voltò, lo vide e poi lo ignorò e corse fuori, inseguito dai passi del batterista. Steve lo raggiunse all'uscita posteriore del locale; sbucarono entrambi nel parcheggio silenzioso, la porta che sbatteva con violenza alle loro spalle.
-Che succede?- chiese immediatamente Steve, piazzandoglisi di fronte.
Stefan non rispose. Cercò di calmare i nervi e riprendere il controllo, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo dell'amico. Cavò di tasca le sigarette, se ne accese una e, poi, si lasciò cadere a sedere per terra, spalle al muro del locale dietro di sé. Da lì gli alzò in faccia gli occhi, con una rassegnazione evidente perfino nella semioscurità che li circondava.
-Non avrei dovuto comportarmi come ho fatto.- mormorò angosciato.
Steve sospirò. Con fatica si sistemò al suo fianco, appoggiando anche lui la schiena al muro umido e bestemmiando mentalmente contro quegli idioti dei suoi migliori amici che lo obbligavano a simili sciocchezze nel cuore della notte e nel mezzo di una festa.
Non disse niente del genere.
-Se vuoi la mia opinione spassionata, per quanto tu sia stato orrendo e vagamente ridicolo, Brian se l'è meritata tutta.
-Certo!- sbuffò Stefan, amaramente.- E cosa ci ho guadagnato?! Che lui è tornato esattamente dove non volevo che fosse: con Bowie!
Steve sospirò di nuovo. Tirò su le ginocchia, ci appoggiò un gomito, s'inclinò in avanti e si grattò pensieroso la testa, studiando da sotto in su l'espressione di pura disperazione che Stefan rivolgeva adesso al parcheggio vuoto.
-Non credo che essere gentile e carino con lui ti avrebbe portato vantaggi, sotto questo profilo.- considerò pianamente.- Al massimo, Brian avrebbe passato la notte con te e domattina sarebbe tornato da Bowie.
Stefan non disse nulla. Tanto, sapevano entrambi che sarebbe sarebbe andata esattamente così e non avevano davvero bisogno di dirselo ad alta voce. Il punto, molto più banalmente, era che a Stefan sarebbe anche stato bene: non voleva perdere Brian e, se questo significava continuare ad essere una seconda scelta, lo svedese stava scoprendo tristemente in fretta quanto fosse disponibile ad esserlo.
Steve lo sapeva anche senza che Stef glielo dicesse. Era tragicamente consapevole delle dinamiche sbagliate che animavano la coppia che lui e Brian formavano, tragicamente consapevole di come quest'ultimo ci riversasse dentro buona parte del veleno che lo alimentava. Stefan era un'ancora di salvezza? Brian poteva insistentemente rosicchiare la corda che li univa nonostante sapesse che sarebbe andato alla deriva senza possibilità di recupero.
-...Stef...- Lui lo guardò.- Lascialo andare quanto prima.- consigliò a voce bassissima. Faceva fatica a dirlo, aveva paura quanto Stefan che, il giorno in cui si fosse trovato davvero da solo, Brian avrebbe finito per autodistruggersi. Era come una stella pericolosamente vicina al termine del proprio ciclo vitale – Lascialo. Almeno uno di voi due deve uscire da questa storia ancora vivo.
***
Gail rideva ad una sua battuta. Brian Eno pensava che sarebbe stato il caso di chiederle, una volta in Hotel, se avesse voglia di fermarsi a bere un “bicchiere della staffa” da lui. Gli altri intorno a loro non sembravano nemmeno essersi accorti del clima di complicità che intercorreva con la donna.
La limousine nera si fermò silenziosamente a pochi passi dal punto cui approdarono. Eno, cavallerescamente, aprì la portiera per far salire la bassista bruna; l'autista, sceso dalla macchina per aprire anche l'altro sportello, si voltò, invece, verso di loro.
-Mr. Eno!- lo chiamò con urgenza.
Brian Eno si voltò senza capire cosa potesse esserci di tanto pressante: l'uomo aveva un'espressione preoccupata che era decisamente fuori luogo come finale di una serata tanto piacevole e divertente.
-C'è un cadavere all'ingresso del parcheggio!- esclamò l'autista.
Il tempo si fermò. Diverse paia di occhi attoniti si girarono in direzione dell'uomo. Brian Eno, sfoggiando un autocontrollo impeccabile, chiuse educatamente la portiera, nonostante Gail fosse ancora in piedi di fianco a lui, e si voltò nella direzione dell'autista.
-Spiegati.- ordinò in tono fermo e pacato.

-Puoi andare ad aprire tu, tesoro?
Emily non gli rispose. Mise da parte il libro che stava leggendo e, in mutande e con solo una maglietta di Bowie a coprirle il seno e la pancia, saltò agilmente giù dal letto e puntò alla porta della suite. Nel bagno della camera, Bowie fischiettava allegro uno dei propri singoli più vecchi.
Emily ricambiò l'espressione preoccupata di Eno, fuori della stanza, con la propria curiosità più ingenua e sfrontata. Il produttore la ignorò.
-David?
-In bagno.
Eno annuì.
-Abbiamo un problema.- annunciò subito dopo.
Quando Bowie uscì dal bagno, la sua camera da letto era decisamente più affollata di quando l'aveva lasciata.
Il cantante girò lo sguardo da Eno ad Emily a Revees e ritornò a puntarlo su Eno. Poi si accorse, senza bisogno che l'altro aprisse la bocca, della figura bruna, pallida e sfatta che occupava il suo letto.
Si accigliò.
-Brian!- sfiatò incredulo.
Si precipitò da quella parte, scostando di peso Eno per poter raggiungere il letto.
-Che diavolo succede?!- ringhiò, facendosi spazio accanto al ragazzo, sul materasso, e posandogli affannosamente una mano sulla fronte.
Brian era gelido. Un sudore ghiacciato appiccicò i polpastrelli della mano di Bowie alla sua pelle pallida. Il respiro del ragazzo era talmente flebile che David dovette spostare la mano sul petto per assicurarsi che fosse presente.
Per assurdo, quelle constatazioni lo calmarono, ridandogli in un secondo la lucidità necessaria per agire. Si voltò verso Emily.
-Chiama la hall, dì che mandino immediatamente il medico dell'Hotel.- ordinò.
La ragazza scattò verso il telefono, lo afferrò e camminò lontano da loro per poter chiamare senza essere disturbata.
Eno si affiancò a Bowie.
-Era nel parcheggio della discoteca.- cavò di tasca una bustina trasparente che conteneva ancora un paio di pillole colorate. Bowie le guardò senza vederle.- Non penso sia niente di serio,- cercò di rassicurarlo l'amico.- ha bevuto un po' troppo e l'alcool e queste non vanno d'accordo, lo sai.
Lo sguardo di David era tagliente come una lama, il suo viso era totalmente inespressivo ma Brian Eno avvertì distintamente la rabbia serpeggiare sotto quella calma apparente.
-Voglio che licenzi Eric.- affermò Bowie con fermezza, ma senza che il suo tono assumesse alcuna inflessione particolare.- E quando dico che voglio che sia licenziato,- aggiunse allo stesso modo – intendo dire che, da domani, il suo unico modo per entrare ad un concerto dovrà essere pagando un biglietto.
Eno prese mentalmente nota di quella disposizione, annuendo senza ribattere. David perse interesse; tornò a concentrarsi su Brian, per rendersi conto di non essere stato neppure capace di allontanare da quel corpo sottile la mano che ancora premeva contro il suo petto...aveva quasi paura che, facendolo, Brian avrebbe semplicemente smesso di respirare.
-Il medico sta arrivando.- annunciò Emily, riapparendo accanto a loro.
David sollevò gli occhi su di lei. Appariva preoccupata almeno quanto lui ed era così strano vederla alterata per qualcosa che avvertì immediata l'empatia che li legava in quell'istante. Annuì silenziosamente, a mo' di ringraziamento, e tornò a guardare Brian. Cauto e lento, spostò la mano, raddrizzando la schiena e cercando di riacquistare completamente il controllo di sé e delle emozioni che lo attraversavano in quel momento come una tempesta.
Brian respirava piano, ma respirava. Al caldo della camera stava lentamente riacquistando un colorito più salutare, la sua espressione sembrava distendersi lentamente, come se fosse immerso in un sonno appena più profondo di quanto usuale.
David si voltò verso Eno.
-I suoi amici erano ancora alla festa?
-Credo fossero rientrati anche loro, perché non lo ho visti...
-Ok.- Bowie si voltò verso Reeves.- Ti spiace andare a chiamare Stefan Olsdal e Steve Hewitt?
Reeves si limitò ad assentire brevemente ed uscì rapido dalla suite.
-David.- chiamò Eno, approfittando di un momentaneo allontanamento di Emily, a caccia delle proprie sigarette.- Starà bene.- promise quietamente, quando gli occhi dell'amico furono nei suoi.- E' un ragazzino, è forte...e se avessi pensato che era qualcosa di grave, lo avrei portato di filato in ospedale, lo sai.- Sorrise.- Ne abbiamo viste di peggio, noi due!- esclamò con finta allegria, cercando di smorzare la tensione almeno un po'.
Bowie annuì con un sorriso incerto.
-...mi sento responsabile.- ammise a voce bassissima.
Eno sbuffò, infastidito.
-Non sei suo padre! E' comunque un adulto.- osservò brusco.
David si chiese come fare per spiegargli esattamente il senso delle proprie parole. Si sentiva responsabile di Brian, aveva la sensazione di avergli fatto un qualche tipo di promessa, quel mattino, e di averla appena infranta, lasciandolo solo con dei demoni che lui faceva fatica anche a scorgere davvero. Non capiva ancora del tutto quali fossero le ombre nelle quali Brian si dibatteva, cosa lo spaventasse da renderlo tanto insicuro di sé. Lui...chiunque vedeva solo un essere divino, una creatura perfetta nelle sue imperfezioni, bella come poche cose al mondo e pronta a conquistare l'anima di chiunque con un sorriso, una parola, un semplice cenno. Brian no. Brian allo specchio vedeva qualcos'altro. Vedeva qualcun altro. Qualcuno che, David aveva appena scoperto, era pronto a saltare fuori e divorare il suo ragazzino tutto in una volta.

Nota di fine capitolo della Nai:
Buongiorno a tutti!
Penso si sia intuito ma, come l'Outside Tour vole alla sua conclusione, anche la storia sta per finire. Penso manchino pochi capitoli, di fatto, e, purtroppo, al momento un po' di impegni pressanti, un po' di confusione mentale, un po' di bisogno di prendere una pausa da questa storia hanno fatto mancare l'ispirazione per completarla.
Non vuol dire che l'abbandonerò! Ma sappiate che riprenderò la pubblicazione solo dopo aver scritto tutti i capitoli che ne compongono il finale.
Vi ringrazio per essere stati presenti fino a qui e vi do appuntamento a prestissimo.
MEM

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2641460