Bad Blood

di ronnieisnotonfire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


 


"If we’re only ever looking back
We will drive ourselves insane
As the friendship goes resentment grows
We will walk our different ways

But those are the days
That bind us together, forever
And those little things
Define us forever, forever

All this bad blood here,
Won’t you let it dry?
It’s been cold for years,
Won’t you let it lie?"

Bad Blood -Bastille

Prologue



 
Tremava. Più che un tremito sembravno essere i soliti spasmi, erano continui e non riusciva a fermarli.
Se ne stava seduta sulla sedia nera, disegnava, disegnava, disegnava, nient’altro da due anni a questa parte.
A volte i ricordi la sommergevano come mare in tempesta. Il respiro andava e tornava, quasi fosse autonomo, chiudendo i polmoni in una morsa dolorosa; assieme a esso anche la lucidità e la consapevolezza facevano andata e ritorno da chissà dove.
Tutto ciò che faceva era stare a letto o, quando era più ispirata, confezionava immagini sui fogli, intere risme. Si impegnava particolarmente a pensare ai colori giusti da usare o a quale durezza di matita fosse adatta per la sfumatura voluta, si impegnava ad eliminare i frammenti della distruzione che aveva portato con sé.
 
Come ogni giorno si era svegliata, aveva preso una delle tante maglie extralarge con i pantaloni e la felpa per nulla coordinati, ma, tanto, chi la vedeva se non il team di guardie che stava oltre quella parete a riflettente?
Non si vedeva in faccia da circa 6 mesi. Non poteva tenerli, gli specchi, o vetro in genere, se non altamente resistenti, se li avesse rotti chissà che ci avrebbe fatto; inoltre, per il suo benessere mentale, era impedito da ogni superficie opaca vedere il proprio riflesso. 
Aveva la visita psicoterapeutica almeno una volta al giorno, grande traguardo, dato che quando era entrata nell'istituo le era stata fissata di mattino, a pranzo, nel pomeriggio, a cena e prima di andare a letto.
Non poteva uscire dalla sua prigione, neanche corrompendoli con tutto l’oro del mondo, non vedeva altro che le pareti bianche riempite da alcuni segni del panico, con qualche disegno ben riuscito appeso in modo quasi sbadato alla parete. La sua stanza era insonorizzata con un’acuta scelta di suoni udibili attraverso le pareti; inoltre non era possibile usare alcun potere, qualunque mutante esterno o interno alla stanza sarebbe stato privato della possibilità di attaccare qualsiasi essere umano presente lì dentro, quelle quattro pareti erano un punto inacessibile del mondo.

Quando stava nel letto al centro della stanza di solito viaggiava con la testa e ricapitava sempre sul pensiero che non avrebbe dovuto tenere serrato in una gabbia in qualche meandro irraggiungibile, così si ritrovava in balia di un attacco di panico che la usurava, la sfiniva e la elettrificata, con fulmini e scariche elettriche che le trapassavano il sangue, arrivando agli organi fino a rovinarli; eppure lei non moriva, non sotto a quel potere.
Non appena cadeva con i muscoli che si contorcevano senza il suo permesso tutta l’equipe di psicoterapeuti entrava, cercando dapprima di calmarla naturalmente, oppure, in caso la ragazza non riuscisse a fermare la crisi in corso, sarebbero ricorsi alle siringhe di calmante.

Lei era una bomba, pronta a esplodere in faccia a qualcuno.

Le notti erano pieni di sudore, di urli graffianti, di corse statiche all’interno del letto, di mente che volava ancora a due anni prima.
Cosa la scombussolata vi chiederete? I suoi sogni o meglio, il passato. In essi (o meglio, quasi sempre lo stesso) urlava a lui di andarsene, di scappare, lo avrebbero ucciso, lo avrebbe ucciso. Non si dava pace, lo avrebbe dovuto salvare, ma, ogni volta si bloccava nel momento in cui la scarica lo oltrepassava facendolo cadere al suolo.
Poi si risvegliava, come routine prendeva il foglio e segnava a che numero di volte era arrivata a fare quell’incubo. Era un numero vicino a 640, fronte e retro di un foglio.
Era diventata una pazza, però una miniscola percentuale di lei era sana e cercva di lottare per scappare da quell'oscurità malsana; non passava nemmeno un giorno senza chiedersi il senso della sua continua residenza all’interno dell’istituto di sanità mentale, con quello che stavano facendo avrebbero potuto comunque mandarla a morire da qualche altra parte, non all’interno di quella camera che impersonale, come la sua voce, ormai apatica e senza presenza di alcun minimo segno di sentimento umano.
L'unica persona che vedeva era la psicoterapista che la seguiva, oppure qualche veloce immagine degli infermieri mentre la sedavano.

A volte, come quel giorno, dopo essersi vestita, prendeva dalla risma di fogli il disegno del suo volto, del volto dell'uomo che amava, l’unico ritratto che era riuscita a nascondere dagli psicoterapisti che altrimenti glielo avrebbero rubato per esaminare e fare teorie sulla sua mente da animale da laboratorio;stringeva al petto quel ritratto, così forte che sembrava volerlo far diventare una parte di lei, anche se lui lo era già. Ripensava a lui, così forte, ma comunque meno potenzialmente distruttivo di lei.
Si sentiva le braccia troppo vuote e pasanti, la testa troppo piena di malattia.

-Londi è ora della seduta.- la richiamò dolcemente la dottoressa Mendez, l’unica con cui parlava, l’unica di cui si fidava.
La dottoressa sorrise a quella giovane, appena 18enne, le faceva quasi pena; era stata rinchiusa in quell' istituto due anni prima, completamente sconvolta, con graffi ovunque sul viso, mezza pelle scorticata, lo sguardo di qualcuno che non dorme da 10 notti. L’aveva subito affascinata la chioma di capelli blu, blu elettrico, con sfumature azzurre e gli occhi lilla bisognosi di aiuto. Quando Londi arrivò dissero alla dottoressa che la ragazza aveva perso molto peso, che normalmente possedeva un corporatura formosa, ma dopo l’accaduto si rifiutava di mangiare, di dormire, di parlare senza emettere versi, di attaccare tutti come un animale con la rabbia.

Dopo due anni aveva recuperato tutto il peso, le guance erano rimpolpate, dando di nuovo una vita a quelle lentiggini sparse vicino al naso, cosa che la accomunava alla gemella che ormai era solo un ricordo.
-Allora, Londi, come va? Devi mostrarmi il foglio?- chiese gentilmente la donna, come se stesse parlando con una bambina. Notò il numero seicentoquarantadue .
-Un nuovo sogno, ti andrebbe di dirmi com’era stavolta?- la ragazza continuò a cercare il nulla tra le risme infinite dei fogli senza dare una risposta alla dottoressa. –Puoi parlare, sai che li caccio tutti quando c’è la seduta. Non devi avere paura, nessuno ti esami … - la ragazza la interruppe bruscamente alzandosi e smuovendo la già precaria "pettinatura" (o groviglio di capelli).
-Non sono gli altri dottori o le guardie il problema, stanotte i sogni sembravano strani, tutto era sotto una nuova prospettiva, come se la scena fosse stata manipolata.- si bloccò sospirando. -Non erano i soliti, sembrava che qualcuno ci giocasse.- la sua voce era roca, date le poche volte durante il giorno in cui parlava. Improvvisamente sembrò felice, come un fulmine a ciel sereno. Le malattie.Ma la buona notizia è che mi hanno diminuito a 5 le pastiglie da prendere durante il giorno, prima quante erano? Penso di essere partita da 10, per poco non mi si sfondava lo stomaco, almeno era inclusa quella per la protezione della ... come si chiama? Mucolica? Musona? Mucosa?- sorrise amara e poi rise senza sentimento per la propria stupidità; le ciocche sfumate di blu contrastavano con la pelle candida, gli occhi tetri, con alcune borse sotto a essi, le lentiggini da cornice a quel quadro. –Magari tornerò normale.- guardò fuori dalla piccola e indistruttibile finestra con occhi languidi.
-Londi, dobbiamo parlarne: potresti tornare operativa negli X-Men in quasi un anno o meno, lo sai? Stai facendo molti progressi, riusciresti ad andartene dato il successo del tuo percorso in questi due anni. L’unico problema sarà che tu necessiti di aiuto, non puoi andartene da qui sola, dovremo farti sudare tutto il dolore fuori dal corpo. Ricordati però che i sogni sono dei giochi con cui la mente ci intrattiene, non disperare, combattili.- per la prima volta in due anni di terapia la dottoressa Mendez permise il primo vero contatto fisico tra loro toccando il ginocchio a Londi; la ragazza si voltò verso la mano, cercando una smorfia riconoscente, ma non trovandola all’interno del proprio repertorio. –Ora devo sbrigare qualche faccenda e poi ho un paziente, torno stasera. Passa una buona giornata Londi.- la ragazza sussurrò un “anche lei” mentre la dottoressa uscì dalla porta automatica.
Londi rimase bloccata a osservare il letto sfatto, con l’unica voglia di starci dentro tutto il giorno. Si alzò e si lasciò cadere tra coperte bianche, invase da pensieri neri smossi da quelle semplici parole.
 
"Potresti tornare operativa negli X-Men..."

Passò il giorno così, rotolandosi tra le lenzuola che il sistema tecnologico della stanza rendeva buie, ma tutto era comunque meno oscuro della sua anima..
Combatteva i sogni schierata di fianco a una specie di dormiveglia.
Lo sognava, ma, stavolta, non la sua morte, vedeva lui, le sue rughette intorno agli occhi, quegli occhi in cui si era sempre abbandonata; nonostante fossero un ricordo si perdeva ancora senza dimenticarne nessun dettaglio. Sognava la mano calda che le passava sulle guance quando la baciava, sognò anche ciò che le disse prima di morire, prima di lasciarla definitivamente, privandola di ciò che la rendeva forte, lasciandola con una voragine senza speranza.

Londi cadeva e cadeva e cadeva e tornava sempre alla stessa gabbia del passato che avrebbe dovuto seppellire.


SPAZIO A RONNIE

MACCIAO BELLE LETTRICIIIIII (SE PER SBAGLIO ARRIVASTE FINO A QUI A LEGGERE lol). E' FINITA LA SCUOLA FINALMENTEEEEE!
Allora, inizio questa nuova storia senza troppe aspettative, però mi balenava nella mente da quando mi è partita 'sta fissa per gli x-men grazie al mio caro amico sky e quindi ho detto "ehi, scrivila, massimo la leggi solo tu" ed eccomi qui!
Bene, la presentazione di Londi è alquanto misteriosa sotto molti punti di vista, chi ha ucciso? Chi è lui? Qual'è il potere di Londi? Perché non si chiama Giuseppina? Perché non è una mucca che parla?
Vi ho dato un indizio mettendo in corsivo una cosa importante, da lì tutti capiranno il suo mutamento.
Diciamo che MORIVO DALLA VOGLIA di rendere i 5sos quei supereroi non quelli che la gente ama, i mutanti sono comunque maltrattati dalla gente, cioè i mutanti non sono considerati gli eroi come può essere Spider-man, ecco. 
Quindi la Ronnie prima di andare ringrazia due delle sue polentone (ne ha tante) preferite Mars (che sarà anche una delle protagoniste)mi da davvero tanto sostegno e la carissima Eva che mi aiuta dato il suo grande bagaglio culturale sulla Marvel! Grazie ragazze vvb troppo a both(?).
E niente se la storia vi ispira o volete fare qualche appunto dicendomi cose tipo "sta storia fa cagare il cazzo" o "ma anche no"; okay, seriamente, se volete dirmi quello che pensate leggo volentieri tutte le vostre dolci parole(o anche amare)!
Credo di riuscire ad aggiornare domani, spero siate impazienti(?)
Ronnie xx

 

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Capitolo 2
*** Chapter 1 ***



C'è il link della canzone sotto, aspettate che carichi :) 

 
"Step one you say we need to talk
He walks you say sit down it's just a talk
He smiles politely back at you
You stare politely right on through
Some sort of window to your right
As he goes left and you stay right
Between the lines of fear and blame
You begin to wonder why you came
 
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life"
How to save a life -The fray
 

Capitolo 1

il riscatto

 
Si svegliò al buio della sua stanza, come ogni volta, privata di una ragione per farlo, solo il suo corpo che si ribellava al sonno; così non dormiva, spegneva solo il cervello.
 
Doveva essere tardo pomeriggio quando sentì le porte della stanza aprirsi e come conseguenza l’accensione di tutte le luci. Dopo essersi svegliata aveva fissato le coperte per forse tre ore. Pensava? Nemmeno lei sapeva quel che faceva, stava solo lontana dai tentativi di oblio all'’interno della sua mente.
-Londi, non hai pranzato, ti ho portato del tè freddo e del pane alla banana, è superbo, l’ha fatto la nuova cuoca.- la dottoressa entrò con a seguito il vassoio dotato di rotelle che andava autonomamente.
-Non ho voglia.- borbottò. Si ributtò sotto alle coperte rinfrescate dal sistema al loro interno.
-Non fare così, mangi mentre parli con me, non essere indisponente.- si sistemò vicino al letto con la sedia, masticando un sandwich.
La ragazza sospirò alzandosi e permise al vassoio di sistemarsi sulle sue gambe coperte da dei pantaloncini.
-Allora, mi dicevi che i sogni sembravano comandati, riesci ad andare più a fondo?- la dottoresa accavallò le gambe snelle. Londi masticava quel pane pensando fosse il migliore mai mangiato, migliore anche di quello che preparava con Ella ancora quando stavano con mamma e papà.
-In pratica sembrava che qualcuno giocasse con Calum, capisce? Diceva cose fin troppo reali per essere un sogno, sembrava di averlo veramente lì di fianco, la parte peggiore è stata svegliarsi rendendosi conto che era tutta una balla. In pratica sembrava un percorso studiato per farmi tornare in maniera più dolorosa al pensier della sua morte.- buttò giù tutto con il tè che le lasciò un dolce fresco, scendeva amabilmente in gola.
-Non so come spiegartelo, Londi, questa stanza è impenetrabile anche per il mutante più forte, non credo che qualcuno esterno l’abbia controllato. Credo sia l’inconscio sai, ieri ci hai pensato, credo si normale, secondo me è la tua mente che elabora ciò.- scosse la testa, Londi, per nulla soddisfatta della risposta. – Mi spiace non saperti dare una risposta- ribadì la dottorssa quasi nervosa.
In questo momento la sè sana pensò che forse, in questi casi, come dottoressa, la Mendez faceva un po' pena, ma poi tornò a pensare al pane.
Dopo pochi attimi di silenzio riprese.
No, non posso continuare a non dirtelo.- si alzò dalla sedia con la mano nei capelli ondulati, la ragazza la guardava confusa. –Oggi quando sono andata via non avevo un paziente, stavo sistemando il piano per farti uscire da qui. Dovevo trovare delle persone perché tu hai delle barriere da abbattere, fa parte del tuo percorso psicologico. Li ho trovati e stasera verranno a farti visita, di sicuro sanno meglio di noi come prenderti e sono tutto quello a cui puoi aggrapparti per riuscire ad andartene.- la ragazza guardava la dottoressa con un sopracciglio alzato, sentendo pugni aizzarsi contro allo stomaco.
-Non saranno …?- la preoccupazione crebbe come le margherite a primavera.
Il panico barattò il suo respiro regolare per un dolore al petto, la gola bruciata dall’aria che pareva fuoco rovente.
-Non potevo fare altrimenti, davvero, tu ce la farai, hai affrontato di peggio e ne sei uscita vincitrice. Se non estirpi ora la radice che causa il dolore non lo farai mai. Mi sono affezionata a te e saperti qua dentro mi contraria, hai combattuto mali peggiori solo con le tue mani e non riuscirai a spazzare via i fantasmi che rovinano la tua vita se starai qua a rimuginare sul passato. Ti meriti una vendetta, dimostra che niente ti spazzerà, non buttare via tutto il nostro lavoro!- la incitò la dottoressa Mendez.
Londi era furibonda e allo stesso tempo lievemente convinta e dopo un attimo ebbe paura. Mandò giù il boccono incastratosi nella trachea e cerchò di unire consonanti e vocali prima in parole, poi in frasi cercando con fatica di dare un senso al discorso.
-Lei come ha osato tirare fuori lo scheletro dell'armadio senza prima parlarmene? Voleva che arrivassero qua all'improvviso e fossero tipo "ehi, ciao, sai ti abbiamo abbandonato due anni fa in un manicomio ma ora dobbiamo eliminare i cattivi ricordi nella tua mente e forse se sarai meno pazza potremmo tirarti fuori di qui!". Io dico, come si permette di rivangare nel mio passato per estrarne persona che mi hanno vista crollare nel vortice dell'insanità? Lei non sa che cosa serve a me per stare meglio! Lei non potrà cancellare i cadaveri che ho sulle mie spalle con l'arrivo dei miei compagni di squadra!- l'ira la portò alle lacrime, per parlare teneva i denti serrati o avrebbe ruggito, morso come l'animale che sostava in lei. -Io non farò parte di questo piano per buttarmi fuori di qui, io sono matta, io sono andata, sono destinata a essere cancellata dalla mente di tutti, ricordata come la pazza che guidò mezza squadra verso il suicidio. Potrei addormentarmi e non svegliarmi più e io ormai ci convivo con questa realtà e non mi fa paura, perchè lei non sa accettarla? Non può salvare tutti!- urlò così forte che si aspetto la caduta dei muri o una schiaffo i qualche reazione, ma la Mendez non mosse nemmeno un muscolo del viso; bensì guardandola negli occhi con il solito tono di voce le fece qualche raccomandazione, dicendo che avrebbe seguito tutto da dietro lo specchio.
Aiutata da tre ausiliari la ragazza si lavò, indossò qualcosa di “decente”, pettinò i lunghi capelli blu e cercò di infilarsi la maschera meno apatica del repertorio.
 
Si accasciò su una poltrona nell’angolo, voltò le spalle alla portapassando dalla rabbia all'agitazione e al panico.
Dal terrore risbocciò il risentimento, da questo partì il panico e infine fu un subbuglio pazzo di personalità e emozioni e di malattia.
 
(https://www.youtube.com/watch?v=DF0zefuJ4Ys)


La porta si aprì silenziosa, smuovendo leggermente l’aria. La ragazza dei capelli blu non sapeva più nemmeno quale strano ibrido fosse diventata, ma ormai avrebbero dovuto accettarla.
Attimi lunghissimi scanditi da leggeri respiri 
appena udibili.
-Londi?- riconobbe la voce leggermente roca di Michael. Si voltò con il terrore dipinto a grandi pennelle in volto. –Ciao, che piacere rivederti.- disse questo. "Balle" pensò Londi.
-Ciao Scintilla, non sei cambiata per nulla, sai?- Ashton si fece avanti con la sua solita fossetta e il soprannome che la ragazza tanto odiava, sembrava tutto troppo distante da quello che sarebbe dovuto succere dopo due anni, ci si Sembravano aspettare corse, abbracci, lacrime, ma era semplicemnte uno spettaccolino mal scritto e messo in atto a forza.
-Ciao.- fece una breve pausa Mars. –sei di nuovo tu.- Oh sì, era di nuovo sè stessa, come se fosse minimamente possibile.
-Sì, infatti, non è proprio cambiato nulla, sto una meraviglia, sì qua dentro il tempo vola, sono stati due anni stupendi grazie di avermelo chiesto.- fece una risata isterica e terrificante.
Gli altri tre si scambiarono sguardi per darsi forza l’un l’altro. La tensione era un filo che li collegava tutti.
-Sei già informata del perché noi siamo qui, vorremmo spiegarti come andranno le cose. Possiamo avvicinarci per discuterne?- Michael si fece cauto portavoce del trio, tanto giovani, quanto incapaci di avere tatto nel passaggio da argomento ad argomento; sembrava che si fossero dimenticati della persona con cui avevano a che fare. In tutta risposta Londi scosse la testa posseduta dalla paura. –Va bene, allora noi restiamo qui. In breve l’accademia ha bisogno dei tuoi poteri, si sta presentando una situazione di emergenza e senza di te perdiamo in partenza, ci serve qualcuno che incoraggi gli studenti, che ci riporti allo splendore di una volta. Dalla parte di amico devo dirti che saperti qui dentro è un grande strazio, non è più lo stesso senza di te. Ti rivogliamo indietro e sappiamo che il dolore per, beh, quello che è successo a Calum è ancora pressante, saremmo voluti essere più presenti, ma è la prima volta che ci lasciano ven...- Mars lo maledì per l’ultima frase bruciandolo con uno sguardo; se Londi avesse saputo che il centro non permetteva la loro l’entrata, nonostante le continue presenza fuori dai cancelli, avrebbe di sicuro distrutto tutto; glielo avrebbero detto a tempo debito.Sai che lui sarebbe andato avanti per te, non ti lascerebbe mai andare nel baratro, così come non lo avrebbe fatto Ella.- terminò il discorso.

La ragazza dai capelli blu iniziò a tremare dal nome del ragazzo in poi, i brividi le percossero ogni centimetro del corpo. Il suo nome era la causa maggiore del suo tilt.
-Oh, alla scuola servo, ecco perché si ripresenta dopo 2 anni. Non dite che vi manco e cose del genere che altrimenti sareste venuti a trovarmi.- sorrise amara come non mai di fronte a quell’opportunismo inappropriato. –Poi tu non sei Calum, come fai a sapere che avrebbe fatto lui se fosse ancora vivo? Non sei nemmeno Ella- sputò acida. Mantenne un’espressione tra il pazzo e il disperato. Cominciò a perdere la lucidità, dondolandosi impercettibilmente sulla poltrona, rendendosi conto della situazione, come se dentro di lei si stesse doppiando, come se si stesse suddividendo nella Londi matta e in quella lucida e consapevole.
-Londi non dir..- Tentò di risponderle Michael.
-NO, INVECE! A VOI NON IMPORTA UN CAZZO DI ME! STATE SOLO FACENDO UN GIOCHETTO DI MERDA PER FARMI IMPAZZIRE.- Lo guardò in faccia con le lacrime schierate in prima linea.

Un gesto pazzo mosse Ashton, sapeva di non doverlo fare, ma gli faceva così male che agì senza pensare alle conseguenze.
Con una falcata la avvicinò, si mise di fianco alla poltrona. Londi parve spaventata quando il ragazzo le si chinò lateralmente, 
nei suoi occhi la forza di salvarla e di tirarla fuori da quella situazione anche da solo, perché Ashton le voleva bene, cazzo se le voleva bene, era come sua sorella.
La ragazza vide la scena a rallentatore con le lacrime che si preparavano a cadere pesanti come la pioggia a ottobre. Lo sguardo di lui nel suoi occhi lilla, lei cercò di comunicargli il bisogno di essere salvata da quelle sabbie mobili distruttive che le stavano lentamente bloccando il passaggio dell’aria.
Il respiro si faceva sempre più corto. I tremolii erano sempre più fitti. I visi di Michael e Mars bloccati impassibili sulla scena.
La mano di Ashton toccò la mano di Londi.
Le loro pelli quasi si gelarono al contatto, tanta la paura quanto il rammarico presenti dentro di loro. Quella mano piccola e affusolata, si ricordava ancora con quanta grazia e determinazione comandasse l’elettricità.
Lei dentro di sé si sentì in ricostruzione, tanto che un sorrisetto misto a dolore si spaziò sul suo volto mentre le lacrime si infrangevano contro alle lentiggini e alle guance paffute.

Cominciò la scongiura. Tutto d'un colpo, nessun preavviso, poche vie d'uscita.
Gli altri due si avvicinarono a Ashton, il quale piangeva, richiamava il nome di Londi e sembrava che anche loro fossero sul punto di cadere a pezzi di fronte a quell’immagine dolorosa, ma lo presero con forza e cercarono di allontanarlo.
Londi non vide più nulla dopo che era lasciata andare a terra tenendosi la mano sul punto in cui sentiva il cuore palpitare talmente forte che avrebbe potuto forarle la cassa toracica. Vide il pavimento muoversi velocemente insieme al petto. Cominciò a non sentire più nulla al di fuori del proprio battito cardiaco e dei singhiozzi shoccati di Ash, che veniva tirato fuori da un Michael distrutto dal pianto e con la voce rotta. Perché quando affondi tu non lo sai, ma tiri sempre giù qualcuno con te.
Si raggomitolò. Fu una crisi di quelle serie, ma una voce le sussurrò che forse dopo questa utto sarebbe andato diminuendo. Si tappò le orecchie per non sentire il proprio cuore. Pensò che sarebbe morta di lì a poco. I dottori stavolta non arrivarono, sembrò quasi la sua prova da superare, doveva salvarsi da sola per uscire da lì.
Si trascinò al letto sfregando la pelle nuda contro al pavimento liscio, provando un dolore che la riportò lentamente alla realtà; salì sopra al materasso cominciando a contare i respiri come le aveva insegnato la dottoressa, poi prese il controllo del battito e si calmò pensando a cosa avrebbe dovuto fare dopo.
 
Ci impiegò una buona mezz’ora a calmarsi, nel frattempo anche gli altri dovettero tranquillizzarsi a loro volta e prepararsi al vero affronto.
Michael quasi lanciò Ashton contro al divanetto. Il riccio tremava e si teneva le mani unite dietro alla testa, come a volersi richiudere dentro a sè stesso, singhiozzando. Emise un urlo disperato. Non fu ad alta voce, ma fu pieno di vetro, irradiato contro chiunque.
-Io, io non avrei dovuto farlo, sono stato un idiota, avrei anche potuto mettere a repentaglio la sua vita, io non so che dire.- balbettava tenendosi le mani sugli occhi per togliere le lacrime ancora presenti a importunare il suo sorriso, sorriso tormentato dall’accaduto di due anni prima.
-Signor Irwin, invece ha fatto bene, dovevamo testare Londi e credo che sia stato un salto decisivo, non l’ho mai vista così determinata a voler fermare un attacco. Magari sarà parso avventato, ma ora siamo sicuri che lei sia pronta a una riabilitazione, ha capito come autogestirsi.- lo rassicurò la dottoressa.
-E' stato orribile.- sussurrò Mars infilzando le mani nei capelli, lasciandosi andare contro al muro, scivolando sul pavimento.
 
Londi si avvicinò all’interfono, il quale funzionava solamente sotto attivazione da parte sua.
-Fate entrare Michael.- disse fredda e con una punta di decisione, sistemandosi la maglietta e i pantaloncini.
Michael percepì le gambe cedere e la sicurezza del primo incontro svanire, si sentì improvvisamente vuoto e terrorizzato, però sapeva recitare e avrebbe dimostrato una falsa tranquillità. Guardò Mars per cercare supporto prima di andare e lei gli sorrise, lui la trovò radiosa nonostante tutto quel casino.
Poi entrò.
 
Con una chiusura secca si fece davanti a lei, nel centro della stanza, con tutta la sua (falsa) temerarietà.
-Michael, sei arrivato. Tu e i tuoi capelli sfarzosi non passate mai troppo inosservati.- si sentì una punta di ironia, ironia che apparve macabra data l’espressione senza minima emozione di Londi.
-Hai chiesto di me e non mi sono tirato indietro.- si leccò le labbra incrociando le braccia al petto.
-Si torna indietro alla missione, ricordi? Tu fosti l’ultimo a toccare Calum prima che sparisse il cadavere insieme a quello di mia sorella poi sparì anche Luke, ricordi? In pratica una parte di lui rimane in te. Eppure sei quello che mi provocava meno ansia, non so come mai. Ho chiamato te perché tu rispondi senza timore né ritegno, di solito.- si appoggiò al muro alle spalle di Michael.
-E' così facile dimenticare la gente? No, perché penso di essere l'unica a ricordarsi della vostra esistenza.- riprese osservandolo con più ferocia. –Come mai, mentre io impazzivo perché ho ucciso due persone che amavo … - la interruppe bruscamente l’altro.
-Non hai ucciso te Calum ed Ella, non è stata colpa tua. Loro hanno manipolato il tempo creando un temporale ad alta elettricità che ha intercettato le tue scariche e ne hanno assorbito il potere, loro hanno direzionato le tue scariche verso Calum e Ella, non-non potevi saperlo.- si voltò leggermente, perchè le rendeva tutto difficile? 
-Fatto sta che io nonostante sapessi del temporale e avessi sentito l’elettricità l'ho fatto lo stesso, ho lanciato pure la scarica più pesante convinta di non poter sbagliare, quindi è come se li avessi uccisi io.- si spostò con passo veloce, girando intorno a lui con un raggio di circa un metro. –Comunque, dicevo, perché non siete venuti prima? Voi che facevate mentre io stavo qua a disegnare facendomi venire enormi calli sulle dita per non ricordare? Dove diavolo stavate mentre cadevo dal letto con una crisi? Perché mentre io ero depressa perché sono sopravvissuta io e non loro due, voi stavate all’accademia ricostruendo la vostra vita, mentre io rimanevo qua a distruggere ancora di più la mia?- arrivò al suo petto puntandogli il dito contro, abbassando la voce fino a farla quasi tremare.

Michael dentro sè piangeva, ma esternamente apparve impassibile. Non poteva darle le risposte che cercava.
-Non lo so, Londi.- sospirò dicendo la bugia più grande mai uscita dalla sua bocca. La verità era che all’accademia non c’era giorno in cui non si pensasse a lei, la stanza di Londi non era nemmeno stata affidata, nessuno poteva dimenticare il suo sorriso o i piccoli lampi elettrici che faceva saettare quando faceva qualche scherzo.
-Ma in ogni caso, nonostante il menefreghismo io ho ancora bisogno di voi, sembra che non abbia sufficiente stabilità per fare ciò da sola. Rischierei di morirci qua dentro, diventerei un fantasma peggio di mia sorella.- Ella, quanto le mancava, la pelle sempre candida quanto la sua, le stesse lentiggini, ma i capelli color carota, ricci, completamente opposti ai suoi. Quel ricordo riemergeva dalla sua percentuale sana, infatti sentì un colpo duro nella testa, dolore.
Si avvicinò all’interfono schiacciando il bottone e chiese sicura come non mai di far entrare gli altri due. Fece accomodare Mars, Ashton e Michael sul divanetto che fece uscire dalla parete.
-Vedo che alla fine voi due state insieme, congratulazioni, avete finalmente aperto gli occhi.- indicò con un cenno della testa le mani intrecciate di Michael e Mars che si rincorrevano dal primo anno, ormai; i due arrossirono vedendo l’espressione impassibile della ragazza dai capelli blu. -Ma non siamo qui per colombe e petali di fiori, siete qui perché dovete allenarmi, dovete essere presenti almeno 1 volta al giorno alla seduta di psicoterapia, dovete aiutarmi con le pillole, dovete capire i miei punti deboli, non so quanto sarò lucida. Ora che ho bisogno di voi siate presenti, non voglio passare il resto della mia vita in questo squallido manicomio.- incrociò le braccia guardando i tre con una leggera aria di superiorità – Irwin, smettila di guardarmi come se fossi un gatto con la zampa rotta.- si voltò verso di lui alzando gli occhi al cielo.

Nessuno parlò.
-Siete disposti a fare dei sacrifici o devo uscire di qui da sola?- risvegliò gli altri dalla trance. –Sono ancora brava nel corpo a corpo, se no perché mi avrebbero tolto gli specchi?- se avesse sorriso le frasi sarebbero sembrate meno inquietanti, ma lo disse con così tanta convinzione e sfacciataggine che gli altri rimasero immobili per qualche minuto.
Come primo si alzò Ashton, si avvicinò alla ragazza la quale alzò leggermente un angolo della bocca, ma lo fulminò quando le mise la mano sulla spalla, lui le sorrise e lei capì che la mano non l’avrebbe mai tolta; ne fu quasi grata.
Ashton non aveva paura del contatto ora che sapeva gestire i suoi poteri; fuori da quella stanza, avrebbe potuto fermarti il cuore con un solo sguardo.
-Io sono sempre dalla tua parte, lo sai, Scintilla.- lo guardò senza una unica e vera emozione e tornò a osservare gli altri due.
Si alzò un sospiro dal divano, Mars avanzò, i ricci si mossero come le onde che creava sempre vicino alla fontana dell’accademia.
-Io sono dalla tua parte, Blu.- tutti le attribuivano un soprannome, se ne davano sempre tra loro. Restò solo lui e sembrò serissimo.
-Tu non ci stai?- era testardo, ma non senza cuore.
-Chi mi dice che saremo al sicuro? Che certezze abbiamo?-
 il "ragazzo dai capelli spavaldi", come erano soliti chiamarlo, intrecciò le dita di entrambe le proprie mani e se le portò davanti al viso.
-Perché siete la restante parte della mia famiglia, Michael. Non vi ucciderò, non ci saranno incidenti come con gli altri. Il rancore non è eterno quando stai in una famiglia.- e dentro di sé la voragine inghiottiva tutto, grazie alla paura nei suoi confronti da parte di un membro della sua famiglia.
Guardò gli altri due poco convinto, poi si alzò con lentezza mantenendo il contatto visivo, schierandosi di fronte alla ragazza.
-Spero che la tua lucidità non abbia la stessa indipendenza dei tuoi capelli.- dapprima apparve serio, ma quando alzò l’angolo della bocca il respiro degli altri due si lasciò andare in un sospiro scandito da un sorriso.
Londi ricambiò il mezzo sorriso, sentendosi eternamente grata dentro di sé per l’aiuto offertogli dalla famiglia, la restante che aveva. Dimostrò ai demoni nel suo cervello che nonostante tutto loro erano lì, anche dopo i due anni peggiori delle loro vite ed erano ancora una cosa sola, era come se fossero ancora tutti insieme negli X-Men.

-Una famiglia.- ripetè Michael allungando la mano nella sua direzione. La strinse forte, Londi, piena del terrore di riaffondare.


SPAZIO A RONNIE

Salve salvino, okay credo che ora metterò l'aggiornamento fisso per ora a due giorni a settimana fondamentalmente io sono fiera della mia storiella e spero piaccia anche a voi!
So che questi primi due capitoli sono stati noiosi, ma dal prossimo comincia l'allenamento e si scoprirà la storia di Londi.
Devo dire che Londi e Ash sono amorevolissimi, sarà proprio insieme a lui che scopriremo il muro dietro ai capelli blu.
Allora diciamo che in questo capitolo devo ringraziare la mia amorevolissima Giada aka Tiss, che mi ha lasciato la recensione più bella di sempre (dopo il 82794esimo tentativo lol)
Anyway forse aggiornerò il martedì e il venerdì o lunedì e venerdì, spero di leggere qualche vostra bella parola! Se siete interessati sono @dxlum su twitter. MA EHI, TANTO NON FOTTE A NESSUNO AHAHAHHAH.
A presto,
Ronnie xx

 

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Capitolo 3
*** Chapter 2 ***



I'm waking up, I feel it in my bones 
Love to make my systems go 
Welcome to the new age, to the new age 
Whoa, whoa, I'm radioactive, radioactive
Radioactive - Imagine dragons
 
Capitolo 2
 
Uscirono dallo scompartimento con coda di cavallo, canottiera, leggins a metà gamba e delle scarpe speciali. Attraversarono una porta e si trovarono all’esterno con inferriate metalliche che impedivano l’evasione.
-Sei agitata?- chiese Mars sgranchiendosi mani e braccia.
-Non troppo. Forse no. Non lo so, so che in qualche modo sono più carica del solito.- Londi saltò leggermente per riscaldarsi. Era la prima vera esercitazione da tempo, le sedute di terapia con gli altri erano utili, ma dopo un po' si rompevano le palle. Voleva prendere a pugni qualcosa dopo un mese di "ora come ti senti?", era il momento di tirare fuori il potere.
-Non agitarti o farai pasticci. Okay, ora prepariamoci che faccio partire i manichini, sono speciali perché creati prendendo in esempio le mutazioni vere e proprie, quindi saranno diversi da quelli normali, tipo quelli che usavamo a scuola agli allenamenti.- Mars fece una pausa abbassandosi e pigiando due o tre tasti. -Sei pronta? - domandò la riccia, avvicinandosi al tasto di accensione del campo di prova. Londi annuì sicura, allontanando tutto il panico accatastatosi nello stomaco. 
 
Mars si avvicinò al cerchio centrale che permetteva l’inizio dell’allenamento: spuntarono lontano su tutto il campo manichini che non manifestavano ancora la minima mutazione o somiglianza umana, ma quando le ragazze cominciarono a muoversi sputarono gambe e braccia a quell'ammasso di meccanismi non più tanto innocenti; si dimostrarono anche loro mutanti, ognuno con la propria caratteristica, ognuno con il gene X sottopelle. Londi pensava ancora a quanto fosse strano che creassero dei finti mutanti per farle allenare. Le addestravano a uccidersi tra di loro, in pratica. I "mutanti" cominciarono a direzionarsi verso di loro.

Cominciò la lotta vera, 10 insieme si spostarono verso Londi, che, con uno schiocco di dita, fece apparire la sua elettricità; tante scintille sguazzavano all’aria come rane negli stagni. 
Quella sensazione, non se ne sarebbe mai stancata. Vedere i lampi che seguivano le indicazioni delle sue dita e sentirsi dentro le scosse rigogliose e calorose la riempiva sempre di un qualcosa di indescrivibile.
Un sorriso sghembo apparve sul volto di Londi che stese circa 4 dei “mutanti” con poteri base in un solo colpo di fulmini elettrici; più avanzava stendendoli con le scariche, più i poteri da abbattere apparivano complicati, più sentiva che il tempo passato senza sfruttare i propri poteri si cancellava, riportandola a un abilissimo controllo delle sue capacità.
Si trovò faccia a faccia con un mutante ad ultrasuoni distruttivi. Non riuscì a sovrastarlo da lontano, respingeva ogni sua mossa. Venne scaraventata e costretta a terra. Dentro di sé un piano d’azione prendeva forma, soddisfacendola per la velocità con cui lo creò; lo attuò prima lanciandosi in mezzo alle gambe di questo, poi saltandogli sulle spalle, cercando di applicare uno degli attacchi su cui aveva lavorato tanto prima di entrare nella clinica, era rischioso, sarebbe dovuta essere rapida. Fece schioccare le dita costringendo il tempo a farsi lento, l’elettricità passare tra il sangue facendosi spazio con prepotenza, spuntare dai pori, violacea, mortale. Unì le mani e quando quelle scariche confluirono in un’unica e fatale posò le mani sulla testa del mutante alzandole, in seguito schiacciandole e permettendo all’elettricità di entrare dentro di esso, di bruciarlo, di fargli scoppiare la testa uccidendolo e facendolo volatilizzare come polvere. Sentii dei brividi percorrerle la schiena quando il corpo si dileguò nell'aria.
Sembrò passare una vita, ma durò tutto solo pochi secondi; si ricordò della sua capacità di manipolare la scorrevolezza del tempo, capacità aggiuntiva insieme alla precisione di lancio.
Mars aveva permesso a un mutante di attaccarla alle spalle, Londi lo attaccò con un fulmine torturatore che lo fece cadere per terra, però scomparse subito.

I mutanti singoli erano terminati, in seguito arrivarono i mutanti per l’allenamento di coppia, per le abilità di corpo a corpo e strategia; era importante saper lavorare in coppia, elaborando piani d'azione, permetteva un migliore sfruttamento dei poteri per l'attacco e per la difesa.
Si rimisero nel cerchio, schiena a schiena. I primi più deboli furono facili da stendere con solo la potenza di braccia e gambe. Quando cominciarono quelli leggermente forti le ragazze sfruttarono i poteri per rafforzare la propria protezione. Mars creò una specie di bolla riparatrice, mentre Londi riuscì a creare un campo di forza intorno alle parti vitali e stese sulle braccia una armatura elettrica che avrebbe fulminato il nemico oltre a rovinarlo con la forza di una gomitata.
Stesero i più fiacchi subito, grazie ai poteri, ma quando arrivò il mutante con il potere che permetteva di paralizzare tattilmente, le ragazze furono costrette a collaborare. Fu difficile trovare un modo per elettrificare l’acqua, il più delle volte poteva semplicemente scaldarla e farla bollire, però Londi decise di provarci.

-Lancia un getto forte in aria, voglio provare a unirli.- disse la ragazza dai capelli blu, l’altra annuì eseguendo.
Londi lanciò un fasciò di elettricità centrando l’acqua, si concentrò molto affinchè fosse un fascio elettrico abbastanza stabile; riuscì a elettrificarla in qualche modo, permettendo a Mars di comandarla, centrando il petto del mutante, trapassandolo da parte a parte a parte.

Flashback passarono davanti agli occhi di Londi, fulmini che trapassano da parte a parte, corpi che toccano terra distrutti, urla che spaccano il silenzio. Le sembrò di vederlo veramente nel campo per un solo secondo, i capelli mori, le labbra morbide e carnose.

-Ora lanciami sopra alle spalle di quello di metallo, ho una nuova mossa da mostrarti.- disse Mars. Londi si avvicinò scuotendo la testa per svegliarsi e unendo le mani le permise di appoggiare il piede, dandole una spinta che la catapultò dritta sulle spalle del bersaglio.
La riccia gli toccò la testa e cominciò a far uscire vapore acqueo, lo stava disidratando, o meglio cercava di tirar fuori dalla "pelle" e dal metallo ogni singola particella di liquido. Il manichino ricadde a terra sotto forma di sabbia e Mars, senza nemmeno essere avvertita, colpì con una gomitata un mutante alle sue spalle, questo volò due metri più in là.
-Sei davvero in forma.- osservò Londi stupita di quelle capacità.

Londi si voltò e capì di non essersi sbagliata, aveva visto Calum in mezzo a tutti, ma non era il "vero" lui. Due sul campo erano i tipici mutanti, forse i più credibili e forti, che si trasformavano in qualsiasi persona, imitandone la voce, portandoti a non dubitare nemmeno della possibile trasformazione. Questi sfruttavano le tue onde celebrali, le trasportavano e le rendevano realtà in una trasformazione totale.
Uno di questi si avviò verso Londi la quale venne attaccata dalla trasformazione più dolorosa: Ella, la sua sorella gemella, morta insieme a Calum. L'altro si lanciò in una sfida corpo a corpo con Mars. Non sapevo chi fosse il ragazzo in cui si era trasformato il mutante, ma la riccia sembrava particolarmente scossa.

Con un calcio il "suo" mutante stese Londi, la quale rimase stesa per terra basita, alzandosi con i gomiti. Le lacrime che sarebbero volute scappare e correre sulle sue guance riempite da lentiggini.
-Sei una delusione, Londi, ora non ti sai nemmeno più riparare da colpi così basici? Guardati, ero io la gemella preferita da tutti e sono quella morta, non ti senti in colpa? Si sa che i miei capelli rossi erano i più normali rispetto a quella tua chioma blu, tutti ti prendevano in giro sin da quando eravamo all’asilo. Tu eri strana io ero la normale.- parlò il mutante terminando la frase con un calcio nello stomaco di Londi, dato con una nonchalance spaventosa.
-Tu non sei la vera Ella. Ella non si vantava. Era modesta.- sussurrò Londi toccandosi il sangue uscito da una ferita sulla testa. Mars accorse in aiuto dopo aver steso l'altro, ma il mutante di Londi la rilanciò indietro. -Mars!- gridò.
-Lascia perdere quella e guarda me, sono Ella, mi sto solo vendicando per la dolorosa morte che mi hai inflitto. Fai bene a sentirti in colpa, è solo colpa tua se tutti hanno passato due anni di merda, dovevi morire tu non noi.- e in quell’istante Ella si trasformò in Calum, le loro voci sovrapposte. Il dolore accomulatosi nel corpo la faceva sentire sempre più debole e l’energia non riusciva a ricrearsi. -Oh, bene, bene, bene, guarda la donna da me tanto amata, quella che mi ha ucciso.- rise, proprio come faceva la persona che ora stava raffigurando. Si avvicinò al viso di lei, abbassandosi e prendendolo tra le mani. -Sai, non capisco perché ho scelto proprio te, sei un tale errore, mi sarei meritato di meglio dato anche come sono morto, non credi?- si alzò e con un calcio le fratturò la caviglia. -Ora è arrivata la mia vendetta, ti ucciderò e scordati il vero Calum perché non esiste più, sono pronto a farlo.- intanto Mars era ancora in uno stato di semi incoscienza, stesa sul pavimento.
-No. Calum, non sei lui.- Londi cominciò a dondolarsi con le lacrime agli occhi -Tu non sei Calum. Tu non sei Calum. Calum mi amava non voleva che morissi al suo posto, lui lo sapeva che lo amo come non ho mai amato nessun altro. - alzò sempre di più la voce alzandosi da terra con fatica, sentendo crescere l’elettricità che lentamente si irradiava dal suo petto, con la rabbia e la lucidità sempre al suo fianco ad assisterla. -Tu non sei calum! Lui mi amava e se potessi darei la mia vita pur di riportarlo indietro!- urlò così proprio mentre una palla di elettricità si scagliò contro al mutante che cadde per terra liquefatto. Lo aveva fatto una seconda volta.
Fu una palla di energia così potente che ridusse in polvere ogni singolo manichino rimasto.

L’aria fresca le accarezzò la pelle come a tentare una fredda consolazione. La polvere le girò intorno mentre accasciata a terra si sentì distrutta, senza forze e sanguinante. Sul petto c'era una parte di canottiera bruciata e al centro un enorme taglio profondo, con sangue che ancora sgorgava a fiumi.
Londi non si preoccupò più di quella sua ferita o a quella sulla nuca o allo stomaco dolorante, neppure della caviglia fratturata, tutto ciò che fece fu correre da Mars. Corse per tutto il campo con le lacrime che controvento le bruciavano gli occhi, rendendoli torce infiammate.
-Mars? Mars! Ti prego svegliati, svegliati, ti prego!- ripeté senza sosta prendendo il corpo tra le braccia. Le diede qualche schiaffetto sulla guancia. Niente. Era incosciente. Quando la lacrima di Londi toccò la pelle di Mars alcune ferite si rimarginarono, ma solo dopo altre tre o quattro lacrime sfuggite all’altra, la riccia, si riprese del tutto. Sbattè le palpebre e si alzò con lentezza, poi si scagliò contro Londi, abbracciandola, sentendo il dolore che portava sulle spalle ogni giorno. L’acqua di qualsiasi tipo poteva curare Mars, Londi se ne ricordò solo mentre staccando l’abbraccio vide la canottiera dell'amica macchiata del suo sangue.

Si alzarono dopo svariati minuti, ma sembrò la cosa peggiore da fare: il sangue di Londi non volle fermarsi, si aprì uno squarcio proprio sotto alle costole. La ragazza cominciò a vedere tutto appannato, le girava la testa e non riusciva a reggersi. Cadde a terra e la frattura alla caviglia fu visibile a causa di una enorme botta nera e gonfia che accerchiava una visibile rottura di osso.
-Ti devo portare in infermeria, stai malissimo.- ma la ragazza ferita si ribellò a Mars. Si mosse a gattoni, trascinandosi con la poca forza rimasta, doveva salvarsi da sola e Mars lo intuì. Quando arrivarono vicino alla porta aprì il generatore con una piccola scarica. Di fronte a tutta quell’energia Londi si sentì accrescere dentro la brama di tutta l’elettricità che avrebbe potuto gustare, sapeva che avrebbe sistemato fuoriuscite di sangue e alcune emorragie interne, ma per il resto sarebbe dovuta andare per forza dai medici.
-Non puoi farlo, peggiorerai le ferite.- Mars era diffidente e terrorizzata dalle possibili conseguenze, ma l’altra non la stava a sentire, ci appoggiò le mani sopra pronta a succhiare l’energia. La girò giusto prima che cominciasse. -Non farlo, peggioreresti la situazione. Ehi, non voglio dover portare anche il tuo di corpo morente.- disse per cercare di convincerla. L’immagine di tutti i corpi che aveva cercato di salvare durante la missione si fecero una repentina strada nella memoria, come se fosse accaduto poche ore prima.
Londi era diventata una preda degli attacchi di panico e di instabilità emotiva, ma sapeva ancora cosa poteva curarla e ne era sicura, lo sentiva gridare da ogni goccia di sangue che defluiva dal suo corpo, l’elettricità l’avrebbe risanata almeno quel poco. Cominciò a risucchiare quanta più energia poté. Il suo corpo stava sanguinando fin troppo, tagli su tutta la pelle si aprivano con nulla, ma dentro di sé si sentiva come un’estate calda, sana, gioiosa.
Andare e venire dell’elettricità erano visibili in tutto l’edificio.
Quando si staccò crollò a terra con ferite ovunque, sangue incrostato sui vestiti ancora intatti. Dentro di sé era diventata primavera, una primavera armoniosa, delicata, leggera, le scintille come farfalle volteggiavano nel petto, si stava sistemando tutto, anche ferite più vecchie, ferite psicologiche ancora aperte. L’elettricità si propagò su tutte le ferite mentre Mars era seduta accanto al corpo inerme. Cominciarono magicamente a richiudersi, le ferite, la pelle riprese colore e la riccia sorrise di fronte all’esperienza di Londi.
La ragazza dai capelli blu tossì.
-Che bella botta.- si riprese alzandosi con cautela. Si prese cinque minuti per riprendersi. -Andiamo da un dottore che è meglio.- Mars la aiutò ad alzarsi facendola passare dalla porta e in ascensore la fece sedere sul pavimento sfruttando la chiave d’emergenza che permetteva uno scarico diretto dal dottore.
Un conato salì in bocca a Londi quando flashback della propria infanzia cominciarono a inquinare le immagini che l’avevano portata alla pazzia. Un gemito sofferente le uscì dalla bocca quando si conficcò le unghie nella gamba per far smettere tutto, poi la situazione precipitò e da lì non si ricordò più niente. 
 
 


SPAZIO A RONNIE

SALVE EFP! GUESS CHI STA CERCANDO DI RIMETTERSI INSIEME PER ANDARE AVANTI CON LE SUE STORIE?
Okay, seriamente questo capitolo è fottutamente pronto da mesi infiniti e idk perchè non l'ho postato.
Ho tantissimi progetti in ballo e giuro che sto iniziando a rimetterli insieme perchè non ho intenzione di lasciarli tipo tutti appesi a fili.
Anyway, spero vi piaccia il capitolo, è stato difficile scriverlo, le scene di battaglia sono impossibili da descrivere e spero di essere stata abbastanza brava, lol. Se volete un bell'effetto rileggetelo con la canzone, merita.
Un'ultima cosa, vi piace il banner? L'ho fatto io e sono super happy per com'è venuto. 
In questo capitolo ringrazio la mia c
opia/clone/soulmate Meme, che è una super grande e le voglio tanto bene per il supporto che mi da nella scrittura!
Fatemi sapere in una recensione se vi è piaciuto, se fa schifo e se vi va che continui! Ah, se vi va seguitemi anche su wattpad, sono anche lì @ronnieisnotonfire, forse posterò altri progetti e anche delle traduzioni delle storie
Ronnie xx

 

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Capitolo 4
*** Chapter 3 ***


Trying to make it work,
but man, these times are hard

but we are gonna stop by drinking all cheap bottles of wine
sit talking up all night,
saying things we haven't for a while, a while yeah
you're smiling but we're close to tears,
even after all these years
we just now got the feeling that we're meeting
for the first time.

For The First Time - The Script

Capitolo 3

 
Un dolce torpore mi ricoprì come un piumone, appannandomi la vista mentre camminavo verso il bagno, impaziente della giornata che mi stava attendendo fuori da quella gabbia.
Erano passate 3 settimane dell’allenamento con Mars e per i dottori fu un gioco da ragazzi curare le ferite. Dopo l’affronto con il finto Calum sembrò come se qualcosa dentro cominciasse lentamente a ritrarsi nell’oscurità del mio cervello, infatti i sogni cominciavano a presentarsi meno spesso e gli attacchi di panico non si impadronivano di me da qualche settimana.  L’attacco di panico nell’ascensore era stato un ammasso di ricordi dovuti a tutti i flashback, mi sono ripresa in poco. Sembrò che in quel mese la mia vita non potesse andare meglio di così.

Mentre mi infilavo un maglione leggero pensavo alla sorpresa che Ashton mi teneva nascosta da una settimana, persino la dottoressa ne era partecipe; quella notte mi ero addormentata per miracolo pensando a quello che mi nascondevano. Con gesti automatici mi ritrovai a allacciarmi le scarpe, ero pronta senza essermi nemmeno resa conto di quello che avevo fatto.
Attesi l’avviso dell’infermiera per quello che sembrava un’eternità. Volevo solo uscire dalla mia stanza e correre a supplicare Ashton di raccontarmi tutto. Mi arricciai i capelli lisci con le dita, in segno di un crescente nervosismo, che però non stava annebbiando il cervello con aggressività, ma causava leggeri fastidi allo stomaco.
-Signorina Doughel?- mi voltai a un cognome che non sentivo pronunciato da tanti anni, di solito ai miei ultimi anni nelle scuole pubbliche omettevano il cognome Doughel, riportando Braston, il cognome della famiglia affidataria.
Mi alzai dalla sedia camminando lentamente verso la porta; una ragazza piccola e magrissima mi tenne la porta mentre uscivo. Aspettai che mi conducesse fino alla hall dove ci saremmo incontrati io e Ashton. Per mia scelta facemmo i due piani di scale, dato che gli ascensori a volte non “sopportavano” il mio potere.
Scesi i 35 scalini con una velocità pazzesca, dovuta all’elettricità che si scontrava con l’adrenalina. Arrivammo alla Hall e lì lo vidi, Ashton, bello come il sole in quei giorni che profumavano di sorrisi e ricordi tatuati sulla pelle. I capelli ricci di un castano chiaro tenuti da una delle tipiche bandane che componevano il suo intero vestiario. Senza pensarci due volte gli corsi in contro, più che altro mi gettai sulle sue spalle massicce, appoggiando automaticamente il viso nell’incavo del suo collo.

Un flashback luminoso mi buttò per 30 secondi sott’acqua, levandomi il respiro come se fosse un vizio privilegiato: io e Calum, era luglio, credo, una delle nostre prime uscite nei boschi intorno a casa mia, stavamo camminando tranquilli, quando ci imbattemmo in un piccolo corso d’acqua. Decidemmo di giocarci nonostante non avessimo più 10 anni. Saltammo nell’acqua, ci spruzzammo anche. Gli saltai sulle spalle e lui cominciò a girare, posai il viso nello stesso modo con cui lo feci con Ashton però sulla pelle scoperta del collo di Calum lasciai qualche semplice bacio, cose innocenti. Risate genuine abbandonarono le nostre labbra, scontrandosi a metà strada.

La sottile linea tra la realtà e ciò che non era altro che nostalgia sembrava mi si attorcigliasse intorno al collo togliendomi il passaggio dell’aria. Mi ripresi quando i risolini di Ashton mi riportarono il respiro
-Delicata però non lo diventi mai, eh?- affermò facendo ridere anche la dottoressa.
-Mi raccomando anche lei, Ashton, ha tutto e in caso dovesse succedere qualcosa di grave ha il mio numero, non esiti a chiamarmi.- si raccomandò la dottoressa Mendez gesticolando.
-Mi ha già ripetuto tutto 10 volte, me lo ricorderò. Ora dobbiamo andare o non arriveremo mai.- mi sistemò meglio sulle spalle. -A domani dottoressa!- la salutò avviandosi verso la porta.
Non salutai propriamente la dottoressa, ci scambiammo uno sguardo, che non saprei nemmeno come interpretare, fu un po’ come la pizza con l’ananas, sembrava buona, ma a volte faceva davvero schifo.
Quando uscimmo dal cancello guardai la guardia che mi osservò con sguardo duro, come se fossi una criminale. Magari lo ero, ma non capivo le sue ragioni.
Una volta nel parcheggio, mi misi a urlare dalla gioia. Ashton mi fece scendere direttamente sul sedile del passeggero di fianco al suo e mi tappò la bocca.
-Shh, Londi, non vorrai che ti rimettano subito dentro, vero?- rideva in una maniera così ipnotica che non riuscivo a non sciogliermi con lui. Feci segno di chiudermi la bocca e lui chiuse la portiera.
 
Il mio silenzio durò davvero poco: iniziai subito a riempirlo di domande a cui non rispose, poi lo circondai di parole di canzoni che ricordava tanto quanto me, poi lo accerchiai con la mia assenza dovuta a una improvvisa stanchezza.
Mi ripresi un’ora dopo, mi svegliai e la prima cosa che vidi fu il suo profilo, mi resi conto di quanto il ragazzo fragile di quattro anni prima fosse diventato un uomo. Mi persi per un po’ osservando i cenni di barbetta sul mento, gli occhiali che non erano più presenti sul suo naso, le fossette che sembravano sempre pronte a irradiare felicità.
 

Camminavo per i corridoi presa a cercare l’aula di biologia, in questo posto non si trovava mai un cazzo.  Improvvisamente il mio libro cominciò a volare. I soliti bulletti con la telecinesi. Cominciai a rincorrerlo, sicura che sarei arrivata comunque in ritardo alla lezione della professoressa Tempesta. Urlai ai ragazzi di lasciarlo andare mentre allungavo le braccia in aria per raggiungerlo.  Come mi aspettavo non potevo non fare una delle solite figuracce: quando saltai balzai troppo in avanti finendo addosso a un ragazzo, gettandolo a terra. I ragazzi ci mollanarono il libro sulla testa, facendolo cadere e correndo via sghignazzando.
-s-scusami, i-io, davvero.- alzai il busto cercando di coprirmi la faccia con i capelli
-no, no, s-scusami tu.- mi alzai e porsi la mano al ragazzo, il quale sistemò meglio gli occhiali neri sul naso. I ricci biondi e la frangetta gli coprivano un occhio; pensai che fosse carino, si aggirava intorno ai 16/17 anni. Era timido quanto me.
-i-io sono Londi.- dissi balbettando.
-Ashton.- mi strinse la mano con un leggero tremore. Non alzammo gli occhi dalle nostre mani
-sai dove sta l’aula di biologia? Io sono nuova e non mi ritrovo più in questi corridoi tutti uguali.- Ashton annuì facendomi segno di seguirlo; cercavo di fare amicizia dato che da tre settimane non avevo ancora conosciuto nessuno.
Camminammo impacciatissimi nei corridoi vuoti, in cui volavano solo gli strascichii dei banchi e delle sedie dei ritardatari.
-allora … -mi si bloccò la voce in qualche meandro oscuro. Si voltò verso di me con un po’ di timore. - tu sei qua da tanto?- gli chiesi.
-da un po’. C’era ancora il Professor Xavier *, è venuto lui a “reclutarmi”.- teneva il libro da un lato.
-che figo! Noi siamo state mandate qua a forza. Noi cioè io e la mia gemella, siamo opposte, come si può notare dai capelli, lei arancio e io blu. Ha fatto subito amicizia con tutte le ragazze.- cominciai tranquillamente finendo per guardare il vuoto con leggera invidia.
-anche io sono stato costretto, ero una specie di bomba a orologeria secondo loro.- disse tenendo una mano sul collo. -la mia famiglia non poteva permettersi i miei guai.- Annuivo continuiando a camminare in silenzio. Arrivammo a un’ala dell’immenso edificicio, la quale era fatta completamente di vetro.
-Questa è l’aula, quindi io ti lascio qui .- borbotta arrossendo - Ci-ci si vede in giro.- non feci in tempo a rispondergli che era scappato a testa bassa non so dove.
 

-Mi stai ascoltando?- Si voltò velocemente.
-No, scusa, ero assente con la testa.-
-Dicevo che il posto ti lascerà di stucco, non è cambiato, solo leggermente disabitato.- osservai fuori dal finestrino e riconobbi i quartieri circondati dai boschi, le villette grosse e pallide che portavano della firma degli anni più felici della mia vita.
-Oh, mio dio, siamo a … - lasciai in sospeso la frase mentre entrava nel vialetto.
-Siamo a casa .- confermò spegnendo la macchina. Corsi fuori spinta dal desiderio di respirare l’aria pulita che profumava di biscotti, di mamma, di papà, di vita. Sentivo ancora nell’aria la vecchia musica di papà, quel rock assordante che rimbombava dal garage dove sistemava sempre il suo vecchio pick-up.
Sì, sono a casa ”, pensai sorridendo.
 
-Allora? Non è una sorpresa con i fiocchi?- Mi voltai verso di lui, i ricordi che scivolavano felicemente sulle mie guance, gli corsi in contro e trovai il suo petto ad accogliermi, la mia seconda casa, le sue braccia intorno a me, era tutta la famiglia che mi rimaneva insieme a Mars e Michael e giuro che senza di loro niente avrebbe avuto più un senso.
Lo tirai dentro prendendolo per la mano e ci trovai tutto un po’ improvvisato, più o meno come l’avevamo lasciata, i materassi appoggiati nel vecchio salotto, le bottigliette di coca-cola ammassate fuori dalla porta finestra che dava sul giardino, però era stata sistemata per il nostro arrivo, per esempio c’erano delle coperte pulite, la polvere era pochissima e soprattutto
-Oh mio dio, Ash, hai fatto riempire la piscina?- Mi fiondai fuori notando l’acqua pulita e cristallina. Mi avvicinai e mi ci specchiai . Ne presi una manciata e la lanciai sopra di me come pioggia. Ashton mi conosceva troppo bene.
-Mentre porto dentro le borse guarda se trovi qualche candela o fiammifero, guarda cosa trovi e basta okay?- Guardai il bancone e quando toccai il granito freddo tremai, un flashback mi annebbiò.
 

-Mamma, Ella sta mangiando tutta la pasta dei biscotti!- la mia voce era tipica di una bambina di 6 anni.
-Non è vero!- disse mia sorella con la bocca piena.
-Ella se mangi tutti i biscotti poi come facciamo domani alla festa del vostro compleanno?- Dovevamo compiere 7 anni, i nostri genitori avevano organizzato una festicciola per noi, le nostre “amichette” e i nostri parenti, cose tipicamente da bambine.
Apparve la mamma dallo sgabuzzino con il viso affettuoso e sporco di farina, mi crebbee una morsa allo stomaco ricordando quanto fosse sempre dolce con noi, la sua voce che ci leggeva le storie degli eroi la sera, prima di dormire. Con passo felpato arrivò anche nostro padre, la telecamera alla mano e appesa al collo la polaroid.
-Eccole qua le nostre festeggiate di domani, allora, signorina Londi Doughel, ci vuole lasciare qualche opinione sui suoi vicinissimi 7 anni?-
-7 anni sono tanti, però quando sono grande voglio essere come mamma e papà!- delle leggere risate arrivarono dai nostri genitori mentre schiacciavamo la pasta cercando di dare una forma ai biscotti. Lo pensavo veramente quello che avevo detto.
-E lei signorina Ella Doughel?- si voltò verso la mia gemella
-Voglio diventare grande così potrò prendere a papà un pick-up nuovo, tanti cd rock e alla mamma prenderò una stanza piena di libri di cucina e di libri belli.-
-Cosa farai da grande per avere tutti questi soldi?-
-Farò la principessa eroina! Salverò la gente con il mio principe e tutti ci ameranno.-
-E tu Londi?-
Alzai gli occhi, fissai la telecamera e non ricordai più nulla.

 
Mi ritrovai ancora appoggiata al granito del bancone. Quasi 11 anni dopo, avendo perso tutte le persone che avevano popolato quella casa con la loro felicità.
-C’è una sorpresa in più.- mi voltai e teneva in mano delle bottiglie di quel vino scadente che di faceva ubriacare dopo una bottiglia e mezza ciascuno, quel vino schifoso che bevevamo a 15 anni quando ci rifugiavamo qua dentro, l’estate finita la scuola, senza posti dove andare o meglio, senza persone da cui tornare.
 

-Guardiamo le fotografie? Mi ricordo dove le ho nascoste, aspetta.- appoggio la bottiglia vicino al materasso e corro in cucina, sotto a un doppio fondo di un mobile avevo nascosto gli album e le scatole di cassette di video.
-Queste sono dell’estate prima del terzo anno, quando stavamo tutti qua.- portai la scatola, mentre Ashton prese un grande sorso dalla bottiglia. Feci lo stesso una volta sistemata meglio sul materasso contro al muro.
-Oddio guarda i miei capelli! Che avevo in testa? La piastra era un grande errore.- esclamò sogghignando.
-E guarda Michael! Aveva ancora quasi tutti i capelli, con quel colore poi sembrava quasi normale.- ridemmo e continuammo a sfogliare le pagine, fino a una foto fatta con la macchinetta subacquea di me e Calum, ci stavamo baciando e intorno a noi le bollicine fluttuavano senza paura, desiderose di sentire anche loro l’amore di qualcuno prima di scoppiare.  Come tante volte in quel giorno mi sentì privata dell'aria, senza fiato, sfiancata, soffocata. Lo sguardo di Ashton puntato sul mio viso, io fissa sulla fotografia; ci passai una mano sopra, ma poi un sorrisetto uscì naturale sulle mie labbra.
-Sai cosa faccio? Ora mi butto in acqua vestita.- mi tirai via solo il maglione e le scarpe, poi corsi fuori, mi lanciai nella piscina.
Le bolle riapparvero intorno a me, circondandomi, scoppiando a ogni mio tocco. Ero sempre stata convinta di essere nata per l’acqua, riuscivo a stare a fondo senza problemi e trattenevo il fiato per lungo tempo. Sembrò quasi irreale quanto mi ricordasse la mia vita con Ella. Eravamo opposte in qualsiasi cosa: quando io scoprii di gestire l’elettricità lei scoprì di poter far uscire spuntoni dal terreno, di dirigere le radici del sottosuolo, eravamo l’alto e il basso. Come io e l’acqua, eravamo una cosa sola, eppure stavamo a due estremi così separati, come il blu e l’arancione, come l’elettricità e il terreno.
Guardai in alto notando le gambe di Ash immerse, pensai di essere stata sotto un minuto abbondante.
-Per fortuna sei uscita, pensavo fossi svenuta sul fondale.- mi disse mentre emergevo. -Non pensavo avessi ancora il legame con l’acqua.-
-E’ una cosa che rimarrà sempre, io e l’acqua siamo amanti negati, qualcosa è andato storto e siamo innamorati clandestini.-
Mi fissò non dicendomi nulla, mi porse un telo, osservando ogni mio movimento da sotto le lenti dei suoi occhiali da sole.
 
Arrivò la sera con il suo mantello buio, pieno di incertezza e delle stelle che hanno guidato tanti fuori dalle tenebre.
Avevamo trovato delle candele e stavamo sul materasso, accerchiato da tristi bottiglie di vino, mentre sulle nostre gambe avevamo dei panini mezzi mangiati.
-Ti giuro, quel tipo aveva 10 anni, ma mi ha fatto una paura che, cazzo, stavo per rimetterci la-la vita capisci?- eravamo due sciocchi adolescenti cresciuti troppo in fretta alle prese con l'ebrezza e tempo andato perso.
-Secondo me la dottoressa non ha figli, se no mica spenderebbe la vita a correre dietro a questa impanicata.-
-Ma, ma ti immagini Logan che corre dietro a Michael in mutande per i corridoi?- lo disse fissando serio la fiammella della candela.
-Ma, non è mica già successo? O, o era tipo quel … quel ragazzo quello che era strano e aveva tutto quel “bum”?- domandai finendo la prima metà della seconda bottiglia. 
-No, no aspetta era, era Luke che.- ci fermammo a ridere come degli idioti. -Che era stato beccato a uscire dalla camera di tua sorella dopo la folle nottata di sesso.- le risate scoppiarono più fragorose di prima.
-Sì e, e poi Logan gli aveva lanciato una scarpa e gli aveva fatto lavare i piatti per, per una settimana.- ci sganasciammo. Risate tanto false a coprire di ricorda di una vita che fino ad allora non mi era stato concesso rivivere, con l’alcol a fare da barriera anti-dolore.
Ci buttammo di schiena, tenendoci la pancia, testa contro testa.
-Mi mancano, mi sei mancata, la mia vita non aveva più senso senza di te e anche senza i ragazzi, ma ora che ho di nuovo te un pezzo del mio cuore sta in pace con sé stesso o forse sta peggio conoscendo tutto quello che è successo in questi due anni da dimenticare, questa vita non ci dà tregua e non lo so. Sorrido, ma non dovrei sorridere perché tu sei qui con me e mi sento troppo bene, come se senza di te nulla fosse stato quello che era prima.- Mi girai e lo osservai, i capelli erano più lunghi, i tratti mascolini, virili, era diventato un bellissimo uomo e non avevo avuto la chance di vederlo crescere; eppure c’era quel velo di rammarico e oscurità che ai miei occhi inebriati dal dolce sapore del vino lo rendevano ancora più sexy, poi le sue parole erano state talmente reali anche dal mio punto di vista che non riuscì a ricollegare i pensieri, non pensando di fare un errore madornale.

Non fu nulla di premeditato, mi avvicinai direttamente, annullando la distanza senza timore, senza tentennare, lo baciai diritto sulle sue labbra, le intrappolai nella mia morsa del dolore, gestita dall’alcol, senza il mio permesso. Ashton rimase sorpreso all’inizio, poi si lasciò andare al bacio, nonostante lui lo facesse con più consapevolezza dell'errore. Mi sentì dentro più un subbuglio di domande che di sentimenti, eppure quelle labbra le volevo, in quel momento le desideravo. Cercai di non sembrare disperata in quel bacio, ma lui aveva già capito.
In realtà avevo sempre avuto il dubbio su Ashton, eravamo fratelli o lo amavo? Era anche il mio migliore amico, la spalla su cui piangere, l’amico di bevute, quello che volevo nel mio buio quando ero arrabbiata, il mio compagno nella tristezza di una vita da rinnegati.

Quando mi staccai notai le mie mani intrappolate trai suoi ricci.
-Ti conosco da una vita eppure mi sembra di averti appena conosciuto.- lo osservai dritto negli occhi di quel colore senza nome, ma che era ormai il suo colore.
-Anche a me.- rispose intrecciando le nostre dita.
Mi appoggiai alla sua spalla e quando mi lasciò un bacio sui capelli capì che stava cercando di salvarmi e di salvarsi dalla delusione e dall’errore di questa storia.
-Ashton..- dissi svariate decine di minuti dopo, prima di addormentarmi con la sua mano che mi accarezzava la schiena tremante con fare fraterno.
-Lo so, lo so. Tranquilla, non è cambiato niente.- stavo perdendo la scioltezza del vino e vedevo di nuovo tutto in modo razionale. -Siamo migliori amici, amici di bevute, siamo persone perse, vogliamo certezze, ma non troveremo tutto questo mescolando le carte da soli a spese del Fato.- mi sussurrava tranquillamente come se avesse capito il mio dubbio interiore; ma lui lo sapeva sempre cosa pensavo.
Alzai il mento e lui ricambiò il mio sguardo.
-Sei la mia casa.- gli dissi addormentandomi.
 

Ero me stessa, stavo infondo a un lago e camminavo senza problemi nell’acqua, sul fondale tempestato di alghe e pesci. Arrivai a una caverna, sul terreno era pieno di ossa, di attrezzi, cose di cui non conoscevo l'esistenza e camminando più avanti vidi tre cupole, dentro tre corpi circondati da tubi. Quando riconobbi le tre facce caddi urlando.
Mi avvicinai al tubo che conteneva Calum e mi ci appoggiai. Osservai tutti i particolari del suo viso dormiente, ma, all’improvviso, spalancò gli occhi puntandoli su di me. Urlai.
-No, Londi, non urlare, potrebbero sentirti, ti prego non voglio che ti facciano del male.- appoggiò la mano al vetro.
-Cosa? Calum, tu oh dio mio, che succede? Dove sono?- domandai avvicinandonandomi.
-Non è tutto come sembra, tutto è un gioco, Londi, devi solo collegare il tutto, so che tu sei più intelligente di loro, abbiamo un collegamento empatico più forte di questa dimensione in cui sono costretto, ti prego, ho bisogno di te. Non è un gioco Londi, collega tutto ti prego.- cominciò a piangere e, senza preavviso, i tubi gli inflissero una scarica elettrica. Cominciai a battere i pugni sul vetro, sempre più forte, urlando il suo nome di continuo.
Improvvisamente cominciai a sentire il peso della profondità del Lago farsi opprimente sui polmoni, sotto allo sguardo dei pesci cominciai ad annaspare per raggiungere la superficie di quel lago degli orrori.
Svenivo sul fondale mentre mi svegliai trovando Ashton sopra di me che mi teneva le braccia, aveva una guancia tagliata circondata da un livido viola e io stavo in una pozzanghera di sudore freddo.
Non sapevo cosa avevo fatto ad Ash e 
non capivo quel sogno, ma ne fui sicura, mi aggrappai a quella certezza improbabile: Calum, Ella e Luke non erano morti.


*il professor Xavier: il fondatore degli X-men; Carles Xavier è uno dei mutanti più potenti, a favore della giusta convivenza tra umani e mutanti, ma viene ucciso dall'allieva Jean Grey in una delle versioni(x-men conflitto finale).


SPAZIO A RONNIE

HELLO! Allora ecco questo capitolo che "sudo" da tre mesi, l'ho riscritto talmente tante volte che è una liberazione postarlo.
So che questa storia non è amata e seguita da una fitta fascia di amanti del fantasy, ma se quei pochi di voi leggono questo capitolo vi ringrazio, davvero.
La scrittura è una specie di mio spazio alternativo in cui posso essere tutto, posso rifugiarmi senza paura e se sono riuscita solo a trascinare uno di voi nella mia visione allora avrò compiuto il mio compito(?).
Anyway, dopo questo pointless ringraziamento vi dico con felicità che ieri sono stata al cartoomix e ho preso fumetti vintage e maglie fighe e che sto lavorando a un nuovo progetto super figo che prima devo sviluppare un po', poi lo posterò.
Eee niente, alle 4 anime che arrivano qua vorrei sapere come vi è sembrato il capitolo, cosa ne pensate del bacio e della svolta e vi sarò grata per sempre se mi lascerete una recensione.
A presto,
Ronnie xx

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Capitolo 5
*** Chapter 4 ***


 

Capitolo 4

 
Il viaggio di ritorno era silenzioso, potevo vedere il livido di Ashton dalla mia postazione, combaciava perfettamente con le mie nocche gonfie.
Non avevo parlato dopo quel sogno, mi ero rannicchiata sul mio lato del materasso singhiozzando in posizione fetale, avevo mandato ad Ashton il segnale di non avvicinarsi, lui aveva semplicemente rallentato con il pensiero il battito cardiaco; il suo sguardo apprensivo sulle mie spalle mi circondava e mi faceva crescere il rimorso.
Guidava trai fitti viali alberati, sfociando sulle autostrade vuote e infinite. Ero appoggiata alla portiera, i vestiti troppo grandi facevano entrare aria che mi creava uno spesso strato di pelle d’oca. Il silenzio rimbombava e di sottofondo qualche canzone triste sfrecciava senza lasciare troppo di sé, i miei pensieri mi soffocavano e avevo una sete tremenda.
Mi cadde l’occhio sulle borse tenui sotto agli occhi di Ash, poi guardai attentamente la sua mandibola serrata, il leggero strato di barba continuava ad aumentare, così come le grida che avevo dentro.
Si voltò verso di me giusto un secondo per osservarmi, alzò un angolo della bocca, malinconico. Presi in mano le mie abilità, fermai il tempo, lo feci scorrere così lento che potevo sentire il rumore del ticchettio leggero dell’orologio naturale.
-Ashton, mi, mi dispiace.- la mia voce rimase piatta a causa delle lacrime addossate contro la mia barriera emotiva, pronte a buttarla giù solo per riportarmi al miscuglio di pazzia che ero.
-Londi, non devi scusarti, quando te la sentirai mi racconterai quello che ti ha scombussolato, non sono qui a tirarti in situazioni di costrizione, non sarei un vero amico se lo facessi.-
Lo fissavo, mi mordevo le labbra per ricacciare indietro le lacrime, nonostante il tempo lento Ashton teneva le mani sul volante cautamente. Con la mente lo pregai di guardarmi dritto negli occhi, perché solo lui mi infondeva la cura del male; lui per me era quel tipo di amore che non capisci finché non ci sei dentro, l’amore che ti infonde forza nei momenti peggiori, ma senza bisogno di possedersi, la nostra era un’unione spirituale, eravamo più che fratelli, più che migliori amici. Eravamo due facce della stessa medaglia che quando rimanevano separate si sentivano solo metallo senza funzione.
Continuava a guardare avanti, con le mani salde sul volante, con prepotenza misi la mia mano sulla sua, le guance grondanti di lacrime. Si voltò con tanta lentezza verso me che pensai di aver rallentato anche lui.
Gli occhi nocciola si sciolsero e un sorriso malinconico baciò le sue labbra, una sua mano scivolò dietro alla mia nuca avvicinandomi alla sua fronte, mi ci appoggiai facendole combaciare. Chiusi gli occhi beandomi del contatto, dolci onde di calma si diffusero in me.
-Ti prometto che tornerà tutto normale, Londi, vinceremo la battaglia contro il mondo e torneremo a sorridere, ce la faremo, insieme.- sottolineò l’ultima parola allontanandosi, stringendo saldamente la mia mano. Feci tornare normale la scorrevolezza del tempo e il silenzio tornò tra noi, ma più leggero e respirabile.

Quando partì “Welcome to the black parade” dei My Chemical Romance, una delle nostre band preferite senza troppi problemi cominciammo il solito canto appassionato, biascicando qualche parola persa nella tortuosa strada della memoria troppo piena.

“When I was a young boy, 
My father took me into the city 
To see a marching band.

He said, "Son when you grow up, 
would you be the savior of the broken, 
the beaten and the damned?" 
He said "Will you defeat them, 
your demons, and all the non-believers, 
the plans that they have made?" 
"Because one day I'll leave you, 
A phantom to lead you in the summer, 
To join The Black Parade."”
 
Iniziammo a cantare anche la parte musicale imitando batterie, chitarre e addirittura il basso.
Un po’ ci eravamo sempre sentiti parte della Black Parade versione per mutanti. Alla fine era sempre stato così, andavamo contro i nostri demoni per gli altri, abbandonati lo eravamo stati. Forse avevano preso spunto da noi per la canzone.
Le parole scivolavano via tra gli accordi decisi, noi andavamo dietro di loro come se fossimo i protagonisti del pezzo.

“To carry on 
We'll carry on 
And though you're dead and gone believe me 
Your memory will carry on 
We'll carry on 
And though you're broken and defeated 
Your weary widow marches 

On and on we carry through the fears 
Ooh oh ohhhh 
Disappointed faces of your peers 
Ooh oh ohhhh 
Take a look at me cause I could not care at all”


Il volume era così alto che mi sentì di nuovo la teenager sola e depressa che ascoltava tutta la vasta gamma di queste band rock/punk.

“Do or die, you'll never make me (We'll carry on) 
Because the world will never take my heart (We'll carry on) 
Go and try, you'll never break me (We'll carry) 
We want it all, we wanna play this part (We'll carry on).”


Terminai tenendo la voce più bassa, Ashton cantava in modo pazzesco e me ne ricordai solo allora.
Scoppiammo a ridere più forte della musica. Eravamo tornati i Londi e Ashton di 4 anni fa.
-Te lo racconterò, il sogno, solo non ora su questa macchina.- lo dissi liberandomi di un amaro peso depositato  più che sullo stomaco sul cuore. Avrei dovuto raccontaglielo presto, era un allarme innescato, solo che avevo bisogno di un momento adatto per liberare il mostro nella gabbia. Lo avrei fatto quella mattina stessa.
Posai le gambe sul cruscotto, per stare comoda.
-Ehi, ehi! Giù quei piedi! L’ho fatta pulire, sai?- mi disse Ash ridendo, ributtandomeli giù.
-Sì, ma io ho fame!- mi lamentai sbuffando. Viaggiavamo da 2 orette e era quasi ora di pranzo.
-Appena trovo un qualsiasi posto decente scendiamo a mangiare, per ora siamo dispersi in autostrada.-
-Ah, mentre tu non c’eri i My Chemical Romance si sono pure sciolti.- mi stuzzicò lui dopo.
-Non puoi essere serio. Non. Puoi.- mi aveva rovinato la giornata. Lo osservai seria e lui si mordeva un labbro per trattenere le risate per la mia reazione. In pratica ero saltata sul sedile. Annuì e si mise a ridere di me. – Lo hanno fatto solo perché non c’ero io, chidilo a Gerard Way.- incrociai le braccia al petto come una bambina.
 

Mezz’ora più tardi trovò una specie ristorante di quelli che vendono panini, ma non Mc Donald’s, quello non c’era quando serviva.
Presi i panini li portammo all’esterno dove una piccola discesa conduceva alle rive di un fiumiciattolo. Era così forte la contrapposizione tra l’asfalto mangiato dalle feroci macchine viaggiatrici e la natura che anche nella sofferenza del cambiamento rimaneva esageratamente bella.
Silenzio e acqua che scorreva erano tutto ciò che sentivamo.

-Succede sempre quando ci penso troppo, pensavo che fosse uno dei solito sogni causati dai ricordi soppressi.- presi un pezzo del panino e subito dopo sorseggiai la coca cola gigante che avevo preso. Ashton si voltò verso di me mentre faceva lo stesso, era abituato alle situazioni così, in cui sbottavo pensieri.
-Mi sono trovata sott’acqua, respiravo e camminavo, c’era una grotta, grossa e piena di coralli, appena entrata c’era un tunnel in cui il livello di acqua era minimo ed era come stare in superficie, così sono andata fino in fondo, era pieno di scheletri, cadaveri, cavi.- Fissavo il vuoto ricreando l’immagine del sogno stranamente indelebile.
-Poi sono arrivata in fondo e c’erano tre grosse botole di vetro, a misura d’uomo, tre corpi rivestiti di fili e tute termiche ci galleggiavano, era orrendo. In un primo momento non riuscivo a mettere a fuoco i visi, ma quando ci sono riuscita … - mi bloccai, osservavo il cibo, sentendo lo stomaco dentro di me stringersi in una morsa odiosa. Sentii il suo respiro pesante, ma nulla di più.
Non riuscì a parlare per un po’, per me fu un’infinità di tempo. Ashton seriamente preoccupato mi scosse. Alzai il viso sentendo le lacrime affiorare.
Erano loro, Ash, erano loro.- il mio tono era basso e incespicavo nel dolore con le parole bagnate dalle lacrime. – E mi sono avvicinata a quella di Calum, ci ho appoggiato la mano e l’ho osservato, era così bello; poi tutto ha iniziato a farmi impazzire: s’è svegliato di colpo, fissandomi in modo spaventoso, poi senza muovere le labbra era come se parlasse nella mia mente e mi diceva che era tutta un’illusione e che dovevo essere più intelligente di loro perché abbiamo questo collegamento e per ultimo tutto ha iniziato a fischiare, lui aveva le convulsioni e io urlavo il suo nome, poi ho sentito il peso dell’acqua mentre venivo trascinata fuori da quella caverna, mi tappavo le orecchie e scalciavo per arrivare in superficie e poi mi sono svegliata.- le lacrime interminabili, la voce rotta, il discorso detto tutto senza prendere fiato, la testa che gira e il respiro affannoso: sintomi di una mente distrutta dal dolore.
Mi rintanai con la testa tra le ginocchia, guizzi di scintille si aggiravano nel corpo. La mano di Ashton si posò sulla mia schiena, accarezzandola con delicatezza, infondendomi quiete e calmando il mio respiro.
-Ti era mai successo?- gli uscì con voce roca.
-No, in clinica mai, erano tutti flashback.- fissavo i sassi con cura, analizzandoli come se fossero qualcosa di fondamentale.
-Collegamenti celebrali deviati dalla stanza a pareti speciali.- borbottò Ash. – Dobbiamo subito tornare.-
-Posso prima finire di mangiare?- lo dissi con il boccone in bocca improvvisamente affamatissima.
 
 
Un pugno.
Un altro.
Altri 10.
Arriva a 30.
Il sudore non imperlava la mia fronte solo perché mi stavo sciogliendo lentamente.
-Perché tu i pugni non li tiri mai?- domandai senza fiato.
-Perché è più facile prenderli, tu fai troppo movimento, io devo solo tenere un saccone.- rispose Michael.
-Tanto ora tocca anche a te fare gli attrezzi.-gli risposi mentre mi asciugavo la fronte.
Mi misi all’attrezzo per i dorsali e cominciai a lavorare. Michael lavava sui bicipiti.
-Quindi che ti ha detto la strizzacervelli per il sogno?- mi domandò.
-Ha detto primo: di non credere ai sogni, non sono veri la maggior parte delle volte, potrebbero essere visioni causate da qualche mutante che vuole attaccarmi. Secondo: devo imparare a gestire i miei sogni, ma tu vai a capire che intende. Terzo: che con questo incidente mi guadagno più allenamenti e nessuna uscita settimana prossima. Mi tratta come se fosse mia madre, che cosa vorrà mai da me?- mentre parlavo ero passata alla cyclette.
-Probabilmente ci tiene, non credi? Sei qua da due anni, si è affezionata al tuo caso.- lo disse con nonchalance e mi colpì in modo negativo.
-Beh, non avrebbe dovuto.- risposi secca.-Tu mi credi?-chiesi in seguito
-Sinceramente?- si fermò a guardarmi.
-No per scherzo, scemo.- sputai acida.
-Sinceramente potrebbe avere ragione la dottoressa. Nel senso nemmeno Irwin era riuscito a salvarli, i ragazzi, i loro cuori erano fermi e Luke beh è un’altra storia. Non so quanto possa essere affidabile un sogno influenzato da così tanti flashback.- mi spezzai. Non mi credeva. Mi aveva esposto tutto con razionalità, capivo le sue ragioni e mi sentivo offesa.
-No che non ha ragione, Michael, io ero lì! Tu non sai come mi sentivo, stavo soffocando davvero, scalciavo davvero e ero libera di far tutto, tu non, non lo sai!- Saltai giù dalla bici e cominciai ad avviarmi verso lo spogliatoio a passi pesanti.
-Londi, calmati, non ho detto “Ha ragione e tu sei una matta che si sta inventando tutto”.- mi voltai bruciandolo con lo sguardo. Le scintille che esplodevano da ogni parte del mio corpo.
-Michael, vaffanculo.- e nemmeno sapevo perché correvo via piangendo dalla sua voce terribilmente preoccupata e dispiaciuta che mi richiamava indietro; tutto quello che feci fu chiudere la porta dietro di me, lanciare le scarpe contro al muro e urlare.
Lancia anche i pantaloni.
Ero indifesa. In intimo appoggiata a un muro di uno spogliatoio di una clinica per matti e respiravo tanto, troppo, così velocemente da far male.

Girava tutto.
Girava tutto e la visione di Luke che combatteva con tutto sé stesso contro a degli uomini vestiti dalla testa ai piedi di grigio mi annebbiò. Sentì il suo dolore mentre gli veniva somministrata una siringa di farmaci che lo avrebbero mandato in un coma farmacologico pesante. Si abbandonò al buio e anche io.

Era troppo per una giornata, così mi cambiai in fretta mentre flash continui mi tagliavano le azioni, facendomi scoppiare la testa. Me ne andai nella stanza muovendomi a scatti e sbandando come un’ubriacona.
Gli urli divennero insopportabili e mi gettai sul muro della stanza casuale in cui mi buttai, graffiandolo e poi lanciai la prima cosa che trovai per terra contro al vetro del muro candido. Non seppi nemmeno come ero arrivata così in fretta.
Le grida non cessavano, ero in trappola. Mi gettai nel letto e sperai di svenire.
Flash veloci e continui di dolore e sofferenza; grida e pianti accatastati in mezzo a sorrisi e risate dando un’aria tetra al buio in cui stavo vivendo.
 

Ero di nuovo lì, sott’acqua.
Il percorso lo ritrovai grazie alla linearità che avevano mantenuto l’edificio, un covo malvagio ideato con furbizia, insomma. Arrivai davanti ai tubi, ma stavolta li trovai vuoti.
Mi tremarono le ginocchia.
Mi si asciugò la gola.
Li avevano uccisi per colpa del nostro collegamento empatico?
Dei passi mi risvegliarono dalla paura dell’addio che non avrei sopportato di dover fare una seconda volta. Mi nascosi dietro a una specie di congelatore per corpi. Il contatto con il metallo freddo mi risvegliò i sensi.
-Quei ragazzi ora sono stati messi in una sala di riattivazione delle funzioni vitali, poi inizieranno con il processo d’acido.- parlò una delle guardie vestite completamente di bianco. Erano bassi, ma massicci. Avevano dei tridenti in mano, tanto per stare a tema con il fondale.
-Se solo non stessero dalla parte sbagliata proverei pena per loro.-
-Ho sentito che uno di loro è riuscito ad attivare un legame empatico e per questo è stato sigillato nella stanza speciale.-
-Sì, l’ho sentito anche io, quella notte infatti c’era stato uno sproporzionato movimento celebrale che ha influito sulle funzioni della struttura, almeno così mi ha detto Jerry.-
Suonò la sirena in qualche modo e mi sentì completamente allo scoperto.
-Il prigioniero 187, lo ha fatto ancora, sta subendo ripercussioni a causa della stanza e dello sforzo eccessivo.- tutti corsero nella direzione opposta a me. Lo sentì, il dolore. Fu forte, come un buco che partiva dai meandri della mia anima.

Mi trovai a correre prima nei corridoi tempestati di neutralità e poi, come un flash mi trovai in una stanza stretta, i muri evidentemente spessi e di plastica bianca lucida.
Guardai al mio fianco, sul pavimento gocce di sangue scendevano lungo un lettino. Sembrava un film dell’orrore.
Alzai il volto con paura e persi la vita vedendo la persona che amavo immersa nel dolore, con il sangue sgorgante dal naso, le vene che avrebbero potuto tagliargli le braccia in qualsiasi momento, affilate come coltelli.
-Calum!- mi trovai ad urlare accasciata sul suo corpo stremato. Le braccia erano pieni di buchi di aghi, l’espressione una volta sorridente bloccata in una smorfia dolorosa. –Calum, ferma la connessione empatica, potresti morire.- Ero disperata. Piangevo e tremavo come una foglia ormai secca, svuotata di vita
.
Calum alzò lo sguardo su di me, come se avesse appena notato che ero davvero io nella stanza.
-L, Londi, funziona.- sorrise e il sangue per poco non gli entrò in bocca. Sentire di nuovo la sua voce senza barriere se non lo sforzo mentale eccessivo mi diede una sincera speranza. Lo pulii delicatamente con le maniche del maglione verde e lo guardai. –Il contatto funziona anche qui.- affermò afferrando con la mano la mia coscia, la cosa più vicina che aveva.
-Stai facendo tutto questo per vedermi?- gli accarezzai il volto centro volte più magro di quando lo avevo lasciato. Mi stavo mordendo a sangue il labbro interiore. Il dolore sempre lì a torturarmi le budella.
-Vale la pena soffrire per l’amore della propria vita.- sorrise sofferente guardandomi, poi cominciò a divincolarsi, come posseduto da un demone.
-Guardami, Calum, guardami. Termina il collegamento, non devi morire, non puoi morire ancora, Calum!- Mi guardò e si perse lentamente. Le braccia erano immobilizzate da elettricità. Tentai di strapparle, dovevo salvarlo. Le gambe furono solo spasmi e gli occhi erano completamente rivoltati.

-Ti, ti...- fu uno spettacolo raccapricciante. Gli si spezzò la voce e a me si spezzò il cuore, l’anima. Avrei dato la mia vita per salvarlo. Fuori le guardie cominciarono ad arrivare correndo, gli scarponi che sbattevano sulla porta che Calum bloccava con il pensiero. Tutto cominciò ad andare a interferenze, come quando la TV non funziona e escono le varie righe e i quadratini.
-Calum, stacca il contatto!- guardai la sua smorfia prima di essere trascinata indietro; guardie e medici tutti vestiti di bianco entrarono con prepotenza. Tutto si velocizzò, riuscì a vedere le uniformi sporcate del suo sangue. Urlarono “Sta zitto, bastardo!” “La pagherai cara!”.
“Ti amo” giurai di sentire urlato da lui prima di essere investita dal peso del lago che mi trascinava verso la realtà.




SPAZIO A RONNIE
Boom, la bomba è scagliata. Che dolore scrivere questo capitolo. A parte che più vado avanti e più tiro questa storia nel baratro di depressione e inquietudine, ma presto l'atmosfera si farà meno pesante, lo prometto.In questo capitolo ho fatto accenno alla bipolarità di Londi.
Beh l'estate è iniziata da una settimana e io non ho fatto un cavolaccio oltre che a finire Percy Jackson lo scontro finale (oltre che ai feels una bella dose di Percabeth che mi basta per l'eternità). 
Alloooora, voi tutto a posto? *passano le balle di fieno* Sì, anche io. Intanto parto col dire che vorrei proprio sapere la vostra opinione riguardo al capitolo, è sempre bello aspettare con ansia davanti al computer, poi nulla io ho bisogno di storie da leggere, quindi se ne avete qualcuna bella genere fantasy/ avventura/ thriller e cose del genere potete scrivermi per consigliarmene (anche di vostre se ne scrivete, faccio un giro qua e là). 
Come sempre ringrazio le buone anime che seguono la storia, che l'hanno recensita e nulla. Ah, un bacione speciale al duo Meme e July che sono sempre a sostenermi nel processo di sputacchio che è la mia scrittura, poi anche Silv che puzza, ma legge i miei sputacchi.
A presto,
Ronniexx

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