Un raggio di luce per l'umanità

di Fragolina84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Era una cosa più grande di lui ***
Capitolo 2: *** Si faccia vedere, amico di mio marito ***
Capitolo 3: *** Se non sei con noi, sei contro di noi ***
Capitolo 4: *** E dopo shawarma per tutti! ***
Capitolo 5: *** Non mi farò fermare da un paio di ossa rotte ***



Capitolo 1
*** Era una cosa più grande di lui ***


Siamo sull'Helicarrier dello S.H.I.E.L.D.
Barton ha appena attaccato l'immensa aeronave e
ha fatto fuggire Loki.
Tony è nel luogo dove l'agente Coulson è stato ucciso
ed è qui che comincia ad intuire il pianto di Loki.
Ad essere minacciata sarà la sua famiglia, sua moglie Victoria in particolare,
e Tony dovrà combattere con tutta la sua forza ed il suo ingegno
per salvarla.
Buona lettura!

 

Tony osservava la piattaforma attraverso cui era stata espulsa la capsula con Thor al suo interno. Sentì dei passi, ma non voltò la testa: sapeva chi era.
«Era sposato?» chiese Steve, riferendosi a Coulson che proprio in quella stanza era morto.
«No, frequentava… una violoncellista, credo» rispose, ricordando le parole che Victoria aveva pronunciato poche ore prima, anche se sembravano passate settimane intere.
«Mi dispiace. Sembrava una brava persona» replicò e Tony si girò a guardarlo.
«Un idiota».
«Perché? Perché credeva?»
«Per aver affrontato Loki» esclamò Tony, girandosi e percorrendo la stretta passerella. Alla sua sinistra c’era l’enorme foro attraverso cui Coulson aveva scagliato Loki, grazie ad una speciale arma dello S.H.I.E.L.D.
«Stava facendo il suo lavoro» disse Steve e Tony non poté trattenere una smorfia.
«Era una cosa più grande di lui. Doveva aspettare. Avrebbe…» disse Tony senza riuscire a terminare.
Rogers si mosse per avvicinarsi. «A volte non c’è una via d’uscita» disse, e Tony lo trovò quantomeno irritante.
«Certo! Già sentito» sbottò, e fece per andarsene.
«È la prima volta che perdi un soldato?» chiese quando gli passò vicino, e Tony si voltò di scatto.
«Noi non siamo soldati» esplose. «Non marcio al suono del piffero di Fury».
«Nemmeno io. Si è sporcato le mani di sangue, così come Loki. Ma dobbiamo guardare avanti e portare a termine la missione».
Tony girò la testa: sulla paratia di metallo c’era una striscia di sangue, lasciata da Coulson.
«A Loki occorre una fonte di energia, se riusciamo a…» ma Tony non lo lasciò finire.
«Il livello è personale» disse, fissando la macchia di sangue.
«Non è questo il punto».
«È questo il punto. È ciò che Loki vuole. Ci ha colpiti tutti proprio qui: perché?» si chiese Tony.
«Per dividerci» concluse Rogers.
«Divide et impera, sì. Certo. Ma sa che deve eliminarci per vincere, giusto? È questo che lui vuole. Vuole sconfiggerci e vuole essere visto mentre lo fa. Vuole un pubblico» rilevò Tony, muovendosi per tornare sui propri passi.
«Esatto» confermò Captain America. «Così come ha fatto a Stoccarda».
«Sì. Era la prova generale. E questa… questa è la prima. E Loki è una diva a tutti gli effetti. Vuole fiori, vuole parate. Vuole un monumento costruito in cielo col suo nome sopra» disse Tony e in un lampo capì che cosa voleva fare Loki.
«Figlio di puttana!» sbottò.
Steve lo guardò mentre gli passava accanto, chiedendosi – come del resto gli capitava spesso – cosa gli si agitasse in testa. Mentre percorrevano i corridoi di quell’immenso hovercraft, Tony estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni, digitando in fretta un numero.
«Vicky, dove sei?»
«Alla Tower». Victoria capì subito dal suo tono di voce che c’era qualcosa sotto. «Va tutto bene, Tony?» domandò.
«No. Tesoro, non ho tempo di spiegarti quello che sta succedendo ma c’è un losco personaggio che vuole attaccare New York e ha pensato di farlo dalla mia torre».
«Ancora? Ma che diavolo ha questa città?» esclamò Victoria. Oltre al terribile atto terroristico dell’Undici Settembre, qualche anno prima proprio Ironman aveva sventato un secondo attentato rischiando la propria vita per disattivare una serie di ordigni che alcuni terroristi avevano piazzato in città.
«Purtroppo sì. Victoria, ascoltami bene: te ne devi andare subito di lì. Non prendere il jet, non so se sia sicuro volare. Dì a Brian di portarti via in macchina. Il più lontano possibile, il più in fretta possibile. Però non fare come l’ultima volta».
Si riferiva a quando, disobbedendo ai suoi ordini, Victoria si era rifiutata di allontanarsi da Central Park, dove stava facendo la presentazione del suo primo libro di fronte ad un pubblico di adolescenti e dove era stata piazzata una delle bombe che lui stava cercando di disinnescare.
«Va bene, Tony». La preoccupazione era talmente evidente nel suo tono di voce che la donna non contestò. «Immagino che tu starai esattamente al centro dell’inferno, giusto?»
«È probabile» replicò. «Ma ho la pellaccia dura, tranquilla».
«Fa’ attenzione» mormorò.
Tony la salutò e chiuse la comunicazione, rimettendo via il cellulare. Poi si rivolse a Rogers: «Il punto zero è New York, di nuovo».
Gli spiegò in fretta la sua teoria: se Loki voleva dare una prova di forza, sconfiggendo i Vendicatori in maniera plateale, non c’era palcoscenico migliore della Grande Mela. Per quello aveva colpito Barton e Selvig e aveva ucciso Coulson: voleva spingere i Vendicatori ad agire accecati dalla voglia di vendetta, per difendere ciò che stava loro a cuore.
«Ma non è tutto: per aprire il portale, Selvig ha bisogno di un’immensa fonte di energia. La Stark Tower è il posto più logico. È alimentata da un reattore Arc, ce n’è a sufficienza per qualsiasi cosa stiano architettando».
«Dobbiamo avvisare Fury» rilevò Steve, ma l’altro scosse la testa.
«Non mi fido di lui: ci ha nascosto troppe cose».
«Da soli non abbiamo alcuna possibilità. Abbiamo perso Thor e il dottor Banner. La tua armatura è stata pesantemente danneggiata dalla turbina e non ho idea delle condizioni di Burton» elencò Steve. «Credi davvero che ce la faremo?»
Tony sogghignò. «Tendi sempre a dimenticare che io sono un genio, Rogers».

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Capitolo 2
*** Si faccia vedere, amico di mio marito ***


 
Tony ha avvisato Victoria di andarsene al più presto.
Il suo avvertimento sarà giunto in tempo?
Buona lettura!

 

Dopo la telefonata con Tony, Victoria rimase per un momento accanto alla vetrata, a fissare la città che si dispiegava sotto di lei.
La preoccupazione che aveva sentito nella voce di Tony le faceva intuire che molte delle persone che in quel momento camminavano sul marciapiede sotto di lei, impegnate nelle loro faccende, non sarebbero arrivate vive alla fine della giornata.
Ma lei non era in grado di fare nulla per evitarlo. L’unica possibilità era quella di obbedire a Tony e togliersi di mezzo, per permettergli di lavorare senza essere distratto dalla necessità di proteggerla.
«Jarvis, chiama Gary e dì a Brian di preparare la macchina, per favore».
«Subito, signora» rispose, mentre lei raccoglieva la borsetta e vi infilava il cellulare.
Era una fortuna che per quel viaggio non avessero portato via anche Elizabeth. La bambina era reduce da una brutta influenza e Victoria non aveva voluto rischiare, lasciandola a casa con Zoey, la sua tata. In fondo il viaggio a New York doveva durare solo un paio di giorni e grazie alla tecnologia Stark, potevano restare in contatto in ogni momento.
«Mi dica, signora».
La voce di Gary la riscosse dai suoi pensieri e lei alzò lo sguardo. L’uomo era in piedi davanti alla porta dell’ascensore ancora aperta.
«Ho appena parlato con Tony. Dobbiamo andarcene subito».
«Problemi?» chiese Gary.
«Al momento no, ma sembra che stiano arrivando» replicò la donna. «Dov’è Brian?»
«È di sotto, signora. Sta preparando la macchina. Devo avvisare Leo di preparare il jet?» chiese, ma Victoria scosse la testa.
«No, non prendiamo l’aereo. Andiamo in auto».
«Molto bene» commentò Gary.
Tony le aveva raccomandato di fare in fretta perciò non prese altro che la propria borsa, seguendo Gary all’interno dell’ascensore. Scesero direttamente al piano interrato dove Brian era ad attenderli con la limousine. Ma quando le porte si aprirono, l’enorme garage era completamente buio.
Gary estrasse immediatamente la propria pistola, spostandosi in modo da coprirla del tutto.
«Qualcosa non va» sussurrò, mentre premeva il pulsante per far richiudere le porte dell’elevatore che però rimasero immobili.
Spinse Victoria su un lato dell’ascensore, in modo che la porta di acciaio la coprisse in parte e le rimase davanti, cercando di scrutare davanti a sé alla ricerca della minaccia che sicuramente si nascondeva nel buio.
Qualcosa brillò di luce azzurra a qualche metro da loro e Gary socchiuse gli occhi: era troppo in basso per essere il minireattore del signor Stark e la luminosità era comunque diversa. Fece un mezzo passo avanti per cercare di capire di cosa si trattava.
Una potente scarica di energia lo colpì al petto, scaraventandolo indietro. Colpì la parete dell’ascensore con la schiena con tanta violenza da sentire il crac dell’osso della spalla che si spezzava. Ma non aveva molta importanza: il grido angosciato di Victoria gli trafisse i timpani e lui sapeva di essere un uomo morto. Non aveva nemmeno bisogno di abbassare la testa – non ne aveva nemmeno la forza, in verità – per osservare il buco che aveva nel petto.
Ciò che gli dispiaceva maggiormente era la certezza che chiunque fosse lì, non era certo venuto per lui. L’obiettivo era Victoria, senza dubbio. E lui non era stato in grado di proteggerla. Ma mentre formulava quel pensiero sentì la propria coscienza allontanarsi, mentre il buio si chiudeva su di lui.
Victoria distolse lo sguardo mentre gli occhi di Gary diventavano vitrei e opachi e una lacrima le scese sul viso.
«Suvvia, signora Stark. Si tratta solo di un piccolo danno collaterale. Nulla che meriti le sue lacrime» disse una voce melliflua nel buio davanti a lei.
La donna sollevò il capo e strinse i denti. Era troppo tardi: l’avvertimento di Tony non era arrivato in tempo e, ne era sicura, quei tizi erano lì per impossessarsi della Stark Tower. Si chiese dove fosse finito Brian e sperò che non avesse fatto la stessa fine di Gary.
«Lei chi è?» sbottò, caricando la voce di tutta l’autorità che poteva, stupendosi lei per prima di quanto fosse ferma e decisa.
«Un amico di suo marito» rispose la voce, mentre quella bolla di tremolante luce azzurra avanzava verso di lei, ancora dentro l’ascensore.
«Allora si faccia vedere, amico di mio marito» replicò lei.
Lo udì ridacchiare. Poi schioccò le dita e le luci si accesero all’improvviso, costringendola a socchiudere gli occhi per difenderli dall’abbagliamento. Quando le pupille si adattarono alla luce, lo vide.
Quella voce untuosa apparteneva ad un uomo alto con i capelli neri pettinati all’indietro. Aveva gli occhi chiari e le labbra sottili atteggiate in quel momento ad un ghigno. Indossava degli strani abiti di colore verde scuro e, sopra di essi, una specie di cappotto di un tessuto che lei non aveva mai visto. Nella mano destra stringeva un bastone dorato in cima al quale c’era quella sfera di palpitante luce azzurra che aveva notato prima.
«Sono sicura che mio marito non ha amici che vanno in giro vestiti in quel modo» disse Victoria, scrutando nel frattempo le altre persone che erano con lui.
Quello più lontano da lei era un uomo di mezza età. I capelli che un tempo dovevano essere stati biondi erano sbiaditi dall’età e indossava una camicia a quadri e un paio di pantaloni grigi. Aveva gli occhi più azzurri che la donna avesse mai visto, anche se sembravano falsi come se portasse una sorta di lenti a contatto.
Gli altri personaggi che gli stavano intorno erano vestiti di nero, come una squadra speciale, ma tutti avevano gli stessi occhi azzurri, cosa che incuriosì Victoria.
«Può anche uscire di lì. Mi creda, non intendiamo farle del male» la rassicurò l’uomo, anche se le sue parole suonarono più come una minaccia.
Victoria uscì dall’ascensore e quello strano uomo fece un passo verso di lei. Il suo aspetto era quello di un essere umano ma ai suoi occhi c’era qualcosa che stonava. Sembrava un personaggio di un altro tempo e di un’altra epoca o forse di un altro mondo. C’era qualcosa di alieno nel suo comportamento, nel suo modo di camminare, nel modo di guardarla con uno sguardo che la spaventava a morte.
«È ancora più bella di quanto mi avevano detto».
Quelle parole le ricordarono dolorosamente quelle che tanto tempo prima aveva pronunciato Christopher Roberts quando aveva tentato di portarla via da Tony e un brivido freddo le scivolò lungo la schiena.
«Posso sapere chi è lei?»
Ribolliva di rabbia: il cadavere di Gary giaceva dietro di lei, ma sapeva che doveva stare calma e concentrata perché si trovava in una situazione di estremo pericolo. Doveva dare l’impressione di essere fredda e calcolatrice tanto quanto quello sconosciuto.
«Mi scusi, sono proprio maleducato» si giustificò. «Il mio nome è Loki e provengo da Asgard».
Victoria non era un’esperta in materia ma sapeva che nella mitologia norrena Loki era il dio del caos, nemesi di Thor. Solo un paio di giorni prima Victoria sarebbe scoppiata a ridere di fronte ad una tale affermazione, ma dopo ciò che le aveva mostrato Tony sui Vendicatori e lei aveva visto con i suoi occhi le immagini olografiche di Thor, era quasi sicura che quell’uomo fosse chi diceva di essere.
«E cosa la porta a New York?» domandò Victoria. Sapeva di dover prendere tempo: Tony l’aveva chiamata e le aveva detto di andarsene ed era certa che si stava già precipitando lì. Se fosse riuscita a guadagnare tempo…
«Potrei restare ore qui a chiacchierare con lei, signora Stark. Tuttavia, mi trovo costretto ad affrettare un po’ i tempi. Ho grandi progetti per questo vostro insignificante pianeta, ma per portarli a termine mi serve questo edificio» spiegò, facendo un passo avanti.
La donna si parò tra lui e la porta dell’ascensore.
«La Tower è di proprietà del signor Stark. Lei non può entrare» esclamò, ricevendo in risposta un sorriso da serpente.
«Lo sa, signora Stark: voi umani siete molto interessanti» disse Loki. «Siete tra le creature più insignificanti dell’intero cosmo, eppure sembra che non possiate fare a meno di mettervi in mezzo a cose talmente più grandi di voi da rischiare di restare schiacciati come insetti. Cos’è? Propensione al masochismo?».
«Si tratta di coraggio, orgoglio, giustizia, onore: tutte parole di cui lei non conosce il significato, a quanto pare» replicò Victoria.
Loki non si era aspettato quella risposta tagliente. La guardò negli occhi: aveva appena visto la sua guardia del corpo morire davanti a sé e lui poteva quasi sentire l’odore della sua paura. Quando le aveva detto di venire da Asgard, non gli era sembrata sorpresa, come se sapesse che lui era un dio venuto da un altro pianeta. Forse Stark le aveva fornito qualche informazione. Se così era, doveva averle anche detto quanto fosse pericoloso.
Eppure era lì davanti a lui, fiera nonostante la paura, e gli sbarrava la strada ben sapendo che era una partita persa in partenza. Vuoi fare l’eroina? Vuoi essere all’altezza di Ironman e partecipare alla battaglia? Ti accontento subito, mia cara!
Non aveva bisogno di muovere un muscolo perché i suoi gli obbedissero. Strinse appena lo scettro e Brian spuntò dietro a Victoria. Lo aveva trovato lì, affaccendato intorno ad una Rolls, quando era arrivato: sapeva che era uno degli uomini di Stark e pensava che, conoscendo il palazzo, avrebbe potuto dar loro una mano. Perciò non l’aveva ucciso ma aveva usato lo scettro su di lui che ora obbediva ai suoi ordini come un cagnolino ben addestrato.
Brian afferrò la donna per le braccia, bloccandola. Lei sussultò e si divincolò anche se non aveva possibilità di liberarsi da quella stretta: Brian era un colosso d’uomo che sfiorava i due metri e non ce l’avrebbe fatta neanche se lui non avesse avuto in corpo l’energia del Tesseract.
Victoria si voltò per vedere chi l’aveva afferrata.
«Brian! Che stai facendo?»
Lui non rispose né abbassò lo sguardo, ma Victoria vide che i suoi occhi, che sapeva essere neri, erano di quell’azzurro impossibile, uguale a quello degli uomini che facevano da guardie del corpo a Loki, uguale alla luminescenza dello scettro del semidio di Asgard.
«Lasciami andare, Brian!» sbottò, cercando di liberarsi.
Loki le si avvicinò: «Brian obbedisce ai miei ordini, signora Stark. E dovrebbe farlo anche lei».
Victoria tornò a guardare davanti a sé e vide Loki a meno di un metro. Le labbra formavano una severa linea sottile e la guardava senza battere ciglio.
«Dov’è Ironman?» chiese all’improvviso ma Victoria non rispose, limitandosi a guardarlo con disprezzo e a girare la testa dall’altra parte.
La mano di Loki scattò velocissima, afferrandole il mento e obbligandola a guardarlo. Le sue mani erano gelide. «Dov’è Ironman?» scandì lentamente.
Lei tacque, sostenendo il suo sguardo senza abbassare gli occhi.
«Forse non sono stato chiaro» disse infine Loki, «tu mi dirai tutto ciò che voglio sapere, che tu lo voglia o meno. E farai tutto ciò che io ti ordinerò, così come il tuo amico Brian».
«E come intende costringermi a parlare?» chiese Victoria. «Vuole torturarmi? È così che fate su Asgard per far parlare i prigionieri?»
Loki rise con una risata finta e artificiosa. «Oh, certo che no. Sarò anche di un altro mondo, ma anche su Asgard celebriamo la bellezza. E non la sciuperei mai. Non la tua, Victoria» disse, sfiorandole la guancia e scostando i capelli dal suo viso.
«Non mi tocchi» gridò lei, cercando di allontanarsi dalla sua mano, ma non riuscendo a spostarsi perché trattenuta da Brian.
«Come ho detto, non ho bisogno di torturarti. Mi dirai tutto, bellezza. Tutto ciò che sai» ripeté Loki e alzò lo scettro.
Victoria si accorse che emetteva un leggero sibilo e la sfera luminosa sulla sommità sfavillò mentre lo avvicinava a lei. Cercò di nuovo di liberarsi dalla ferrea presa di Brian ma lui la strinse ancor di più e Loki le appoggiò delicatamente la punta acuminata dello scettro al centro del petto.
La donna rabbrividì mentre un grande gelo si diffondeva nel petto. Rimase ad occhi chiusi, finché la sensazione passò. Improvvisamente non vedeva più la necessità di dibattersi nella stretta di Brian e si rilassò; poi aprì gli occhi e fissò Loki.
«Lasciala andare, Brian» ordinò questi e Brian la lasciò. Victoria non si mosse.
«Dov’è Ironman?» chiese Loki.
«Non lo so. Mi ha chiamato prima, ma non mi ha detto dove fosse».
«Però sta venendo qui, giusto?»
La donna annuì. «E sapeva che stavi arrivando».
«Molto bene» approvò Loki. «Vedi? Non è stato poi così difficile».
Loki si voltò verso gli uomini dietro di lui e, al suo ordine, quelli scattarono e liberarono l’ascensore dal corpo di Gary, gettandolo da parte come un sacco d’immondizia. Poi salirono sull’elevatore, seguiti da Brian, Victoria e, per ultimo, Loki.
Quando le porte si chiusero, Victoria scorse il proprio riflesso sulla superficie a specchio: i suoi occhi erano diventati dello stesso azzurro cangiante degli altri occupanti dell’ascensore.

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Capitolo 3
*** Se non sei con noi, sei contro di noi ***


Ecco quella che, secondo me, è la scena più bella del film:
il dialogo tra Tony e Loki alla Stark Tower.
É da questa scena che è nata l'idea per questa piccola storia
e chi ha visto il film ne riconoscerà la descrizione
e i dialoghi.
Ma fino ad un certo punto: perchè Loki ora ha un asso nella manica...


La città scorreva sotto di lui. Lo scrittore Lawrence Block aveva detto: a New York si ha l’impressione che le cose avvengano più velocemente che altrove. Tony sperava che non fosse vero: i tempi erano già ristrettissimi.
Jarvis lo aveva già avvertito che qualcuno era riuscito a bypassare i suoi protocolli di sicurezza, escludendolo dall’attico.
«Non vedo e non sento cosa sta succedendo, signore».
«Victoria se n’è andata?» domandò con una leggera punta d’ansia.
«L’ho vista salire in ascensore con Gary, ma né lui né Brian rispondono al cellulare».
Tony rifiutava categoricamente di pensare che le fosse successo qualcosa. L’aveva avvisata e sapeva che lei gli aveva obbedito: doveva partire da quel presupposto perché le prossime ore sarebbero state decisive per il futuro del mondo e lui non poteva permettersi di deconcentrarsi.
La Stark Tower era in vista ed era un bene perché il Mark VI non avrebbe retto ancora molto. Era già un mezzo miracolo che fosse arrivato fin lì.
«Romanoff, dove siete?»
«Ancora indietro, purtroppo. Il nostro velivolo non è in grado di andare a velocità supersonica» replicò la donna nell’auricolare.
«Va bene, vedo di distrarre Loki fino al vostro arrivo. Ma datevi una mossa».
Sul tetto della Stark Tower, Tony vide il dottor Selvig impegnato a digitare comandi su una consolle collegata mediante grossi cavi neri ad uno strano macchinario.
«Signore, ho spento il reattore Arc, ma il dispositivo si sta già autoalimentando».
Era ovvio: l’Arc serviva a Selvig soltanto per dare l’impulso al Cubo. Poi il Tesseract era perfettamente in grado di alimentarsi da sé, come aveva già iniziato a fare.
Tony si fermò in volo stazionario: «Lo spenga, dottor Selvig».
Selvig si voltò di scatto.
«È troppo tardi. Non può fermarsi ora». L’uomo si avvicinò alla macchina la cui sommità ruotava lentamente. «Vuole farci vedere qualcosa. Un nuovo universo».
Quegli innaturali occhi azzurri scintillavano di eccitazione.
«Va bene» prese atto Tony. Sollevò le mani e fece partire una scarica di energia dai repulsori, diretta verso l’apparecchio. Ma prima di colpirlo, il colpo fu deviato da qualcosa.
L’onda d’urto colpì Selvig che fu sbalzato all’indietro e colpì il muretto che circondava il tetto, restando a terra, e arrivò fino a Tony che fece una capriola all’indietro prima di usare i razzi per bloccarsi in aria.
«Signore, la barriera è energia pura. È inviolabile» disse Jarvis.
«Sì, l’ho capito» commentò tranquillamente. Poi abbassò lo sguardo: Loki era sulla balconata sospesa dell’attico – del suo attico – e lo stava osservando. «Piano B» concluse, atterrando sulla pedana circolare riservata ad Ironman.
«Signore, il Mark VII non è completato».
«Lascia stare le cromature, mi serve ora».
Mentre si avviava verso il suo appartamento, i bracci robotici sorsero dai loro alloggiamenti aiutandolo a liberarsi dell’armatura. Quando fu libero dal casco, girò il capo verso Loki che lo osservava con un sorriso sornione. Imbrogliarlo non sarebbe stato per niente facile.
Finalmente libero dall’armatura, Tony entrò. Anche Loki entrò dalla vetrata gemella, dall’altra parte dell’appartamento.
«Ti prego, dimmi che farai appello alla mia umanità» mormorò Loki.
«In realtà intendo minacciarti» replicò l’altro con la massima tranquillità, le mani allacciate dietro la schiena.
«Avresti dovuto indossare l’armatura» osservò Loki.
«Sì, ha fatto qualche chilometro di troppo e tu… hai la bacchetta del destino» disse, indicando lo scettro di Loki. «Ti va un drink?»
Loki sorrise, cambiando mano allo scettro. «Prendere tempo non cambierà niente».
«No, no, minaccio» sottolineò Tony. «Niente drink? Sicuro?» chiese di nuovo, indicando il bancone del mobile bar. «Io lo prendo».
Loki si avvicinò alla finestra: la sagoma del Chrysler Building si stagliava lì davanti e, sotto di essa, erano visibili molti altri grattacieli.
«I chitauri stanno arrivando. Nulla può cambiare: cosa dovrei temere?» disse l’asgardiano, voltandosi di nuovo verso Tony che stava sistemando un bicchiere quadrato sul piano.
«I Vendicatori» rispose.
Alzò gli occhi e notò la perplessità sul volto del suo avversario.
«Ci facciamo chiamare così. Una specie di squadra: gli eroi più forti della terra, roba simile» disse, servendosi una dose di scotch dalla bottiglia di cristallo.
«Sì, li ho conosciuti». Il sorriso di Loki era irritante e Tony aveva una gran voglia di spaccargli la faccia a forza di pugni, ma sapeva di doversi trattenere.
«Già!» confermò con un ghigno. «Ci mettiamo un po’ a riscaldarci, questo te lo concedo. Ma, facciamo la conta dei presenti. Tuo fratello, il semidio» cominciò ad enumerare Tony e vide il gesto di stizza di Loki, che si girò di nuovo verso la finestra.
Tony non aveva veramente bisogno di quel drink, ma gli serviva una scusa per arrivare al mobile bar. Mentre Loki era distratto, afferrò i braccialetti che aveva lasciato lì e li infilò, seguitando a parlare per tenerlo impegnato.
«Un supersoldato, una leggenda vivente che vive nella leggenda» proseguì, indicando Captain America. «Un uomo con grossi problemi nel gestire la propria rabbia». Loki sorrise quando Tony nominò Banner. «Un paio di assassini provetti e tu, bellimbusto, sei riuscito a far incazzare tutti quanti», concluse, prendendo un sorso di liquore.
Loki sorrise di nuovo: «Era questo il piano».
«Non è un granché» constatò, spostandosi per avvicinarsi a Loki. «Quando verranno» disse lentamente «e lo faranno, verranno per te».
«Ho un esercito» replicò Loki, ergendosi in tutta la sua statura.
«Noi un Hulk».
«Il bestione non si era perso?» chiese, facendo un gesto con lo scettro. Lo sapeva benissimo, ovviamente. Era stato lui a scatenare Hulk sull’Helicarrier dello S.H.I.E.L.D.
Tony scese i tre gradini che lo dividevano dalla sala principale. «Ti sfugge il punto: non c’è nessun trono. Non esiste una versione in cui tu ne uscirai trionfante. Forse verrà il tuo esercito e forse sarà troppo forte per noi, ma ricadrà su di te». Fece una pausa, in modo che le sue parole si fissassero per bene nella testa di Loki. «Se non riusciremo a proteggere la terra, stai pur certo che la vendicheremo».
Loki rise, mentre Tony finiva lo scotch e posava il bicchiere.
«E così il grande Tony Stark è deciso a proteggere la Terra, a qualunque costo» disse Loki, osservandolo attentamente. Tony era confuso: non capiva dove volesse andare a parare. «Combatterai, vero Tony?» continuò Loki con quella voce insinuante che gli penetrava dentro come una lama. «Combatterai contro ogni cosa ti manderò davanti, non è così?»
E poi la vide. Entrò nella stanza e a lui il sangue gelò nelle vene, mentre si fermava accanto a Loki.
«Ciao Tony» mormorò.
Era in abbigliamento casual: indossava un paio di Nike nere, i jeans, un top scollato con sopra una camicia di jeans aperta. Era bellissima, come sempre, ma c’era qualcosa di diverso in lei e Tony se ne accorse quando la fissò in viso: tutto il verde dei suoi occhi era scomparso, sostituito dallo stesso strano azzurro che aveva visto nello sguardo del dottor Selvig.
«Che hai fatto a mia moglie, maledetto?» gridò Tony e si slanciò verso di lui. Non indossava l’armatura ma non esitò un istante: lo avrebbe ucciso a mani nude. Ma Victoria si spostò velocemente, interponendosi tra lui e Loki.
Tony si bloccò e Loki rise di nuovo.
«Non è meravigliosa?» gli chiese Loki. «È una regina; non merita di stare tra i mortali».
Victoria piegò appena la testa di lato e sorrise: non era il sorriso dolce e tenero che lui conosceva così bene. Quella donna che gli stava davanti era Victoria ma non lo era: la magia che Loki aveva usato su di lei l’aveva trasformata in qualcos’altro. E lui non era in grado di contrastarla perché non si sarebbe mai scagliato contro di lei: non poteva farlo. Loki lo sapeva e stava assaporando la vittoria.
«Vicky, vieni da me, tesoro». Doveva allontanarla da Loki, ma sapeva che non sarebbe stato facile. Alla stregua di Selvig e Barton, la donna obbediva ai suoi ordini. E infatti scosse la testa alla sua richiesta.
«Loki ha ragione, Tony». Anche la voce sembrava diversa, più secca e tesa. «Il Tesseract mi ha mostrato la verità». Erano parole simili a quelle che aveva usato Selvig.
«Quale verità?» chiese, ma era solo un tentativo di prendere tempo mentre la mente cercava frenetica un piano d’azione.
«Che noi siamo di un’altra razza, Tony». Una frase terribile, soprattutto perché pronunciata dalla bocca di una donna, di una moglie, di una madre. «Noi siamo diversi dagli altri» proseguì, facendo un gesto con il braccio per abbracciare il panorama della città che si vedeva fuori dalle finestre. «Noi eccelliamo e il motivo è che siamo destinati a regnare, a dominare sul resto dell’umanità».
«Non ti rendi conto di ciò che stai dicendo, Vicky. Loki ti tiene soggiogata. Devi resistere, Victoria, non devi permettergli di farti questo».
La donna socchiuse gli occhi come se non si fosse aspettata quella reazione e lui proseguì: «Non pensi ad Elizabeth?» domandò, sperando di far leva sul suo istinto materno. «È questo il mondo che vuoi per lei?»
Victoria sorrise di nuovo con il sorriso che non era il suo. «C’è posto anche per lei, Tony. E per te. Loki può mostrarti ciò che ha mostrato a me, e ti convincerai che ho ragione».
Capì che, per quante parole avesse detto, non sarebbe mai riuscito a infrangere quell’incantesimo. Già una volta si era sentito così impotente: ma quella volta era la sua vita e quella di nessun altro ad essere in pericolo. Stavolta non sapeva che fare, non sapeva cosa dire.
«Victoria…» mormorò, ma non riuscì a proseguire e chinò il capo.
«È un debole, Victoria. Non è pronto per ciò che tu hai già accettato. Tu sai cosa devi fare» affermò Loki e la donna annuì, facendo un paio di passi avanti e avvicinandosi a Tony.
«Che vuoi fare?»
«Se non sei con noi, sei contro di noi, Tony» proclamò. «Mi dispiace» aggiunse, ma il suo tono dimostrava il contrario.
Tony indietreggiò: «Non combatterò contro di te. Non posso farlo» disse, sollevando la mano sinistra per fermarla.
Lei curvò le labbra perfette in un sorriso alieno. «Oh, lo so. Credimi: lo so».
Poi tese il braccio destro con lo stesso gesto che Tony aveva visto fare a Thor quando richiamava Mjolnir, il suo martello. La lampada che stava sul mobile d’angolo fu strappata dalla presa di corrente e volò verso la mano tesa di Victoria. Quando le sue dita si chiusero sull’asta, la donna la fece roteare, colpendo Tony al fianco, sotto il braccio ancora alzato.
La forza di quel colpo era prodigiosa e Tony, un attimo prima di crollare a terra, udì distintamente il suono di una o forse due costole che si spezzavano. La forza con cui l’aveva colpito e il potere con cui aveva attirato la lampada a sé, non avevano niente di umano: di sicuro erano regali di Loki.
Tony si rannicchiò sul pavimento, stringendosi il fianco offeso. Ansimava e tentò di regolare il respiro per cercare di controllare il dolore delle costole rotte, sperando che la situazione non fosse talmente grave da arrivare a perforargli il polmone.
«Loki ha ragione» disse Victoria, girandogli lentamente attorno. «Sei un perdente, Tony. Avremmo potuto avere tutto insieme».
L’uomo si sollevò lentamente carponi, girando appena la testa per guardarla, cercando di convincersi che quella non era sua moglie.
«Se essere un perdente significa non alzare la mano contro di te» ansimò, «Loki ha pienamente ragione».
Victoria lo colpì con un calcio sull’altro fianco rispetto a dove lo aveva centrato prima. Tony gemette e rotolò supino, tossendo e trasalendo per il dolore al costato.
Loki osservava Victoria: quando aveva deciso di prenderla non aveva immaginato che ne sarebbe uscita tanta perfezione. Era spietata, terribile nella sua collera, eppure bellissima. Capiva perché Tony non stava reagendo: non era disonore morire per mano di una dea.
Decise che sarebbe stata lei ad ucciderlo, perché così doveva andare. Quando avesse sferrato il colpo fatale, le avrebbe “riattivato” la coscienza quel tanto che bastava per farle scorgere ciò che aveva fatto, che restasse come un segno indelebile di quanto fosse rimasta corrotta dalla sua magia. Poi avrebbe spento di nuovo le sue emozioni, e l’avrebbe tenuta con sé: tanta meraviglia non poteva essere sprecata.
Si avvicinò alla donna, che sovrastava Tony con il sorriso sulle labbra.
«A te, mia cara» disse, porgendole lo scettro.
Victoria lo prese con entrambe le mani e lo girò a testa in giù, in modo che la parte acuminata puntasse dritta verso il petto di Tony. Sotto la maglietta dei Black Sabbath si intravedeva il leggero bagliore del reattore Arc perciò Victoria spostò un po’ lo scettro, in modo che fosse rivolto proprio al cuore di Tony.
«Già, tu sai esattamente dove colpire, vero?» disse Tony che la osservava senza espressione. «Avanti, colpisci» la esortò. «Sono già morto senza di te, quindi uccidimi. Non ha importanza. Non più».
Il tempo rallentò, come accade solo nei sogni: Victoria sollevò lo scettro, fissandolo negli occhi, e Tony fu certo che avrebbe affondato la lama.
E così è qui che finisce la vita di Tony Stark. Certo, l’ultima cosa che avrei pensato era che sarebbe stato per tramite della donna che amo. Ma, a ben pensarci, poteva andarmi peggio: meglio morire guardando il suo viso – per quanto modificato da quegli spaventosi occhi azzurri – che per mano di qualsiasi cosa Loki abbia intenzione di scatenarci contro.
Il pensiero volò a Elizabeth.
Il fatto di sapere che non rivedrò più mia figlia, che non la stringerò più fra le braccia, è un dolore come non ne ho mai provati. Non potrò parlarle un’ultima volta, non sarò presente al suo primo giorno di scuola, non potrò arrabbiarmi quando porterà il primo ragazzo a casa, non l’accompagnerò all’altare quando si sposerà.
Una lacrima solitaria scese dall’angolo dell’occhio.
Rogers e gli altri dovranno cercare da soli di fermare l’esercito di Loki. Spero che ce la facciano, perché sarebbe un peccato che andasse tutto perduto.
Lo scettro cominciò ad abbassarsi verso il suo petto e Tony fissò gli occhi in quelli di sua moglie.
«Ti amo, Victoria» sussurrò.
Lo scettro gli punse appena il petto, ma non affondò. Tony teneva ancora gli occhi nei suoi e vide balenare per un secondo il verde delle sue iridi. Fu come una leggera interruzione di corrente ma fu sufficiente a fermarla.
«Non è possibile» disse Loki, incredulo.
Victoria scosse la testa, come per schiarirsi le idee, e allontanò di un palmo l’arma puntata su di lui. L’uomo, ignorando il dolore al petto, rotolò via e si rimise faticosamente in piedi. Quell’indecisione gli aveva salvato la vita, ma si era trattato solo di un attimo: ora Victoria brandiva ancora lo scettro di Loki ed era più che evidente che era ancora soggiogata.
«Lo so che puoi sentirmi, Vicky. Metti giù quello scettro» disse. Lei però scosse la testa e avanzò per colpirlo di nuovo. Ma non aveva fatto due passi che venne placcata e lo scettro le scivolò di mano, tintinnando sul pavimento. Si era trattato di un’azione talmente repentina che Tony sul momento non capì cosa fosse successo: poi vide un caschetto di capelli rossi rotolare insieme a Victoria e capì che Natasha, spuntata da chissà dove, era intervenuta per bloccarla.
Natasha la bloccò sul pavimento, stringendole i polsi in una morsa. Victoria sorrise: «Anche tu qui, Romanoff? Ok, più siamo e meglio è» esclamò e usò il ginocchio per spingerla via, catapultandola lontano da sé. Natasha rotolò sul fianco e si rimise in piedi mentre Victoria si diede lo slancio con le braccia e si alzò, girandosi fulminea a fronteggiarla.
Victoria si lanciò su Natasha, decisa ad affrontarla a mani nude.
«Tu pensa a Loki. Di lei mi occupo io» gridò Natasha a Tony, mentre serrava le braccia per attutire la carica dell’avversaria.
Tony avrebbe voluto dirle di andarci piano, di non fare del male a Victoria, ma si morse la lingua. Si voltò, ma Loki gli era già addosso. Lo afferrò per il collo e lo lanciò lontano da sè. Senza la sua armatura Tony non poteva sperare di contrastarlo.
Fu gettato lontano, come un giocattolo rotto, e rovinò sul pavimento, cercando di proteggere il fianco ferito. Sentiva i rumori del combattimento tra le due donne, ma non aveva tempo per alzare gli occhi e controllare la situazione.
«Jarvis, quando vuoi» disse, mentre si rialzava a fatica.
Loki gli fu nuovamente addosso. Lo afferrò di nuovo e lo sollevò da terra. «Vi piegherete tutti al mio cospetto» sibilò.
«Avvia!» gridò Tony, mentre Loki lo scagliava contro la vetrata che andò in frantumi.
Mentre precipitava di sotto, sentì il rumore dell’armatura sopra di sé ma non poteva deconcentrarsi, rischiando di perdere l’assetto di quella spaventosa caduta libera. Superò di stretta misura le gru edili piazzate alla base della Tower e finalmente vide i due braccialetti che aveva indossato illuminarsi: il Mark VII l’aveva agganciato.
L’armatura si chiuse intorno al suo corpo, stringendosi su di lui e dando un po’ di sollievo al costato dolorante. Il casco si posizionò sul suo capo e, non appena il sistema fu online, Tony tese le braccia in avanti e attivò i repulsori per fermare la caduta ed evitare di schiantarsi sui passanti che lo osservavano stupiti.
Quando tornò in cima al grattacielo, Loki era alla finestra e guardava in basso.
«C’è anche un altro che hai fatto incazzare» disse, fermandosi in volo davanti a lui. «Si chiamava Phil».
Vide Loki sollevare lo scettro ma stavolta fu più veloce e colpì per primo, con una scarica di energia repulsor. L’asgardiano fu colpito in pieno petto e, tramortito, ruzzolò sul pavimento.
Tony si fiondò all’interno. In un angolo della stanza, Victoria giaceva a terra: accanto a lei c’era Natasha che si stava rialzando in quel momento. Tony si inginocchiò accanto alla moglie che aveva un’escoriazione sulla fronte da cui colava un filo di sangue.
«Jarvis» chiamò e l’altro rispose immediatamente.
«Pressione e battito sono regolari, signore».
Tony alzò lo sguardo verso Natasha. «Era proprio necessario?» borbottò.
La donna si stava massaggiando un braccio e sanguinava leggermente dal naso: «Picchiava come una furia. Ho dovuto tramortirla» spiegò. «Quando si sveglierà, dovrebbe essere libera dalla magia di Loki. Con Clint ha funzionato».
«Che ne facciamo di lui?» chiese Tony, indicando Loki, che ancora giaceva immobile a terra, con un cenno del capo.
Natasha non fece in tempo a rispondere perché udirono una forte esplosione provenire dal tetto della torre. Tony volò fuori e guardò in alto. Dal macchinario che Selvig aveva montato lassù, era partito un raggio di energia che colpì il cielo, aprendo un varco scuro nell’azzurro. Attraverso quel varco Tony poteva vedere le stelle e capì che era troppo tardi: il portale era ormai aperto.
Mentre guardava, una moltitudine di creature su delle strane macchine volanti attraversò il varco.
«Giusto!» mormorò a se stesso. «Esercito».
Poi si rivolse alla Romanoff. «Occupati di lei, portala via prima che Loki si riprenda» disse e volò via.
La battaglia era incominciata.

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Capitolo 4
*** E dopo shawarma per tutti! ***


Dal titolo avrete certamente capito che parte di questo capitolo
viene direttamente dal film The Avengers.
E vedremo come riuscirà Tony a gestire le cose
nei confronti di Victoria.
Si è mai davvero pronti per dire addio a chi si ama?


Tony aveva l’impressione di combattere da giorni interi, ma non era passato molto da quando il portale si era aperto e i mostri erano scesi sulla terra.
Appena arrivato, Captain America aveva preso il comando della situazione.
Sul tetto di uno degli edifici più alti, Occhio di Falco continuava instancabile a far cantare il suo arco, osservando la scena e dando consigli agli altri attraverso l’auricolare.
Banner, arrivato per ultimo e trasformatosi in Hulk, sembrava divertirsi a far strage di alieni: la sua forza era impressionante.
Thor aveva dapprima usato i fulmini per cercare di restringere il portale: dalla cima del Chrysler Building – che aveva sfruttato come un’enorme antenna – aveva scagliato le sue saette dritte nel varco, seminando un’incredibile distruzione. Poi era sceso a dare una mano a Captain America e alla Vedova Nera che combattevano in strada, cercando di arginare l’ondata di nemici.
Tony sorvolava i cieli, tentando di allontanare i chitauri dalle strade per evitare che colpissero la popolazione. In quel momento stava volando parallelamente ad una di quelle enormi navi aliene. Tese il braccio, colpendola con il laser.
«Signore, perderemo potenza prima di penetrare quella corazza» lo avvisò Jarvis. Tony rinfoderò il laser e accelerò. Superò alcuni palazzi poi girò su se stesso e tornò indietro, proprio davanti al mostro volante.
«Jarvis, conosci la leggenda di Giona?» chiese.
«Non lo considererei un modello da imitare» replicò Jarvis, ma fece uscire una serie di lame montate sulle gambe dell’armatura.
Tony abbassò la testa e si infilò dritto nella bocca spalancata del mostro. Le lame lacerarono e smembrarono i tessuti di quella creatura e Tony uscì dal fianco, mentre l’astronave esplodeva.
Non aveva il controllo dei movimenti sicché sfondò una pensilina del tram e rotolò a terra, colpendo un taxi parcheggiato fra le macerie.
Sentiva dolore sopra l’occhio destro, dove probabilmente si era tagliato, per non parlare del costato che bruciava e pulsava terribilmente.
Non appena si rimise in piedi venne colpito di nuovo, finendo addosso ad un cartellone pubblicitario. Diversi nemici lo accerchiavano.
Bel posto per atterrare, Stark.
La voce di Fury lo raggiunse attraverso l’auricolare.
«Stark, mi senti? C’è un missile diretto verso la città»
«Tra quanto?» domandò, mentre quei maledetti alieni lo colpivano sul casco, impedendogli di alzarsi.
«Tre minuti, massimo» replicò Fury. «La testata annienterà Midtown».
«Jarvis, metti tutta l’energia nei razzi» ordinò.
«Già fatto» rispose Jarvis e Tony si diede lo slancio per involarsi sopra la città. Uno dei nemici gli rimase appeso alle gambe ma se lo scrollò di dosso, facendolo precipitare a terra.
Aveva un’unica possibilità e già mentre elaborava il pensiero, scosse la testa.
Non so se sei davvero il genio che dicono, Stark.
«Barton, dove sei?» chiamò.
«Sotto la Stark Tower»
Victoria si era svegliata: come aveva predetto la Romanoff non era più alla mercè di Loki e si era nascosta nei sotterranei della Stark Tower, al sicuro dalle orde nemiche. Tony chiese a Barton di raggiungerla.
«Poi ti spiego perché» mormorò, mentre volava incontro alla testata nucleare che entro pochi minuti avrebbe raso al suolo New York.
Mentre sorvolava il mare, Natasha parlò nell’auricolare: «Posso chiuderlo. Mi ricevete? Posso chiudere il portale».
«Fallo!» ordinò subito Captain America.
«No, aspetta» li fermò Tony. Evidentemente era l’unico a sapere dell’arrivo del missile.
«Stark, ce ne sono altri in arrivo».
«C’è un missile, esploderà in meno di un minuto».
Lo vide, davanti a sé, al di là del Verrazano Narrows Bridge, il ponte sospeso che collega Staten Island a Brooklyn. Sfrecciò sotto il ponte, usò gli aerofreni e si bloccò a mezz’aria. Poi salì di quota, saettando sopra al ponte e mettendosi alle calcagna del missile.
«E so anche dove metterlo» mormorò.
Raggiunse la testata e vi si aggrappò, portandola in spalla.
«Stark, è un viaggio di sola andata» sussurrò preoccupato Rogers.
«Tieni il resto per il ritorno, Jarvis» ordinò, evitando di rispondere a Captain America: se si fosse messo a pensare a cosa stava facendo, avrebbe vacillato e non poteva permetterselo.
«Barton, ci sei?» chiese.
«Sì, sono qui».
«Victoria è lì? Sta bene?»
«Sì, sta bene».
«Ok. Passale il tuo auricolare, per favore. Ho bisogno di parlarle».
Tony rimase in attesa, volando a tutta velocità con la bomba in spalla.
«Tony?»
Sentire la sua voce, la sua vera voce, non quella dell’automa controllato da Loki, gli fece dimenticare ogni cosa. Non esisteva il dolore, non esisteva più nulla: solo lei.
«Ehi, piccola: stai bene?»
«Tony, mi dispiace. Mi dispiace di averti colpito, di averti ferito».
«Non ci pensare. Non eri tu».
Si rese conto che tutta la squadra avrebbe sentito le sue parole, ma non gliene importava nulla.
«Vicky, credo che sarò un po’ in ritardo per cena stasera» disse.
«Che stai dicendo, Tony?»
Da quando aveva rischiato di morire, avvelenato dal palladio che alimentava il minireattore, aveva giurato di non mentirle mai più, di non nasconderle più nulla. E non lo fece nemmeno in quell’occasione.
«Sto volando agganciato ad una testata nucleare che esploderà tra meno di quaranta secondi».
Mentre parlava azionò i razzi sul petto, per far alzare la testa al missile. La Stark Tower, segnata dai colpi e con l’insegna con il suo nome a pezzi, si stagliava davanti a lui.
«La porterò al di là del portale, per evitare che distrugga la città. Poi Natasha lo chiuderà».
«No, Tony» singhiozzò la donna. Era uscita con Barton e lo vide volare sopra di sè.
Tony strisciò con l’armatura sulla sommità della torre e volò in alto, verso quel grande buco aperto nel cielo. Sapeva che dall’altro lato si sarebbe trovato nello spazio: non c’era ossigeno lì, quindi esaurito il poco che aveva nell’armatura, sarebbe rimasto senza aria.
Non c’era tempo per dirle tutto quello che aveva da dirle.
«Dì ad Elizabeth che l’ho amata più della mia stessa vita e che continuerò ad amarla per sempre».
La donna non rispose ma lui la sentiva piangere disperatamente. Ormai mancava pochissimo.
«Ti amo, Victoria» sussurrò con il groppo in gola. «Perdonami».
Udì il suo grido disperato, poi più nulla.
Fu inghiottito dal portale e si ritrovò nello spazio. La mancanza di ossigeno fece spegnere quasi subito i razzi. Davanti a sé vide altre navi nemiche che volavano attorno ad una gigantesca nave madre. Faceva già fatica a respirare.
La voce di Jarvis si fece cupa e il display si spense. La presa sul missile si allentò e lui iniziò a precipitare. Sentiva che stava per perdere conoscenza, e lottò contro l’oscurità che minacciava di sopraffarlo.
Il missile proseguì la sua corsa e, mentre lui osservava, colpì in pieno la nave madre che esplose in un lampo di luce azzurra. Le navi accanto ad essa si ribaltarono, annientate all’istante. Ciò che Tony non sapeva era che sulla Terra stava succedendo la stessa cosa: tutte le creature aliene che ancora volavano sui cieli di New York o combattevano per le strade, morirono all’istante.
Ci sei riuscito, Stark. Peccato che non ci fosse modo di tagliare questo filo spinato e ti ci sei dovuto stendere sopra.
Ce l’aveva fatta. La sua visione si restrinse e Tony cedette alla mancanza di aria, chiudendo gli occhi, continuando a cadere all’indietro.
Sulla Terra, Victoria gemette. Barton spalancò le braccia e lei vi si rifugiò con naturalezza, piangendo. L’uomo le accarezzava i capelli, cercando di calmarla, ma i singulti la squassavano ancora quando furono raggiunti di corsa da Captain America e Thor.
Tutti guardavano in alto finché Captain America si riscosse. «Chiudilo» ordinò all’agente Romanoff.
Victoria si scagliò contro di lui.
«Non può farlo!» gridò. «Mio marito è dall’altra parte, non può chiuderlo».
Lo colpì al petto con i pugni chiusi e Rogers spalancò le braccia e la trattenne, lasciando che si sfogasse. Quando le cedettero le gambe la sorresse e lei nascose il viso in quell’abbraccio impolverato.
Sul tetto della Stark Tower, Natasha colpì il congegno di Selvig con lo scettro di Loki e l’energia che manteneva aperto il portale si interruppe bruscamente. L’apertura nel cielo iniziò subito a restringersi.
Un istante prima che si chiudesse del tutto, Tony vi scivolò attraverso. Rogers lo vide e lo indicò: «È passato, Victoria. Incredibile» esclamò e la donna sollevò la testa di scatto.
Ma la felicità durò ben poco. Il corpo di Tony scendeva in maniera scomposta e disordinata: Tony doveva aver perso conoscenza.
«Non rallenta» constatò Thor, prendendo a far roteare il Mjolnir per alzarsi in volo ma, prima che potesse farlo, una montagna di muscoli verde apparve davanti a loro, afferrando Ironman.
Hulk si aggrappò ad uno dei grattacieli, rallentano la caduta; poi strinse le braccia attorno all’armatura e si girò sulla schiena, arrivando a terra con un tonfo che la fece tremare.
Captain America, Thor e Victoria corsero verso di loro, proprio mentre Hulk faceva rotolare a terra Ironman. Thor lo rovesciò supino.
«Respira?» chiese Rogers, mentre l’asgardiano afferrava la maschera di Ironman e la strappava via, mandandola a rotolare sull’asfalto.
Tony era immobile e Victoria si gettò su di lui. L’armatura era in pessime condizioni, ammaccata e scolorita a causa dei colpi ricevuti, e senza Jarvis non era possibile aprirla.
«Tony, ti prego» singhiozzò Victoria. «Apri gli occhi».
Gli accarezzò il viso tumefatto e sanguinante ma lui continuava a restare immobile. Le lacrime le cadevano dagli occhi direttamente sul suo viso e gli sfiorò le labbra con le proprie, continuando a piangere. Posò la testa sul freddo metallo della sua armatura: desiderava restare lì per sempre.
Poi, improvvisamente, un grido disumano squarciò il silenzio. Victoria sussultò, spaventata dal ruggito di Hulk, e alzò il capo in tempo per vedere gli occhi di Tony spalancarsi.
«Che paura!» esclamò l’uomo. Poi incrociò lo sguardo di Victoria. «Ciao, dolcezza» mormorò teneramente.
Lei sorrise e si tese per baciarlo sulle labbra.
«Cos’è successo?» chiese, quando infine si staccarono.
«Abbiamo vinto» affermò Rogers
«Oh sì, evviva. Bene. Ottimo ragazzi!» espresse Tony con sollievo. «Domani non andiamo al lavoro. Prendiamoci una giornata». Alzò leggermente il capo. «Avete mai provato lo shawarma? C’è un posto che fa lo shawarma a due isolati da qui. Non so cosa sia ma voglio provarlo».
Victoria sorrise. Quando Tony parlava a raffica in quel modo significava una sola cosa: stava bene.
Thor alzò lo sguardo verso la sommità della Stark Tower.
«Non abbiamo ancora finito» disse, e Captain America si voltò verso di lui.
Ci fu un momento di silenzio teso e fu Tony ad interromperlo: «E dopo shawarma per tutti!».

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Capitolo 5
*** Non mi farò fermare da un paio di ossa rotte ***


Dopotutto, l'addio era superfluo.
Tony è tornato sano e salvo e ora ha un solo desiderio:
stare con sua moglie.
Buona lettura!


Victoria sedeva sul divano semicircolare dell’attico della Stark Tower e osservava le luci della città. Tutte le vetrate erano andate in frantumi, che brillavano sul pavimento sotto le luci del lampadario. Il pavimento stesso era distrutto nel punto in cui Hulk ci aveva sbatacchiato Loki. Era lì che l’avevano trovato i Vendicatori quando la battaglia era terminata.
Il primo pensiero di Tony era stato di ritornare a Malibu: il desiderio di riabbracciare Elizabeth e allontanarsi da quel disastro era fortissimo, ma non poteva andare. Thor e il prigioniero Loki dovevano ritornare su Asgard e c’era bisogno anche di lui. Così aveva deciso di restare e Victoria era rimasta con lui. Si erano comunque concessi una lunghissima videochiamata con la bambina.
Tony arrivò dal bagno con la cassetta del pronto soccorso.
«Avrei dovuto portarti all’ospedale» disse, raggiungendola e sedendosi accanto a lei. Posò la cassetta sul tavolino di cristallo, miracolosamente illeso, e la aprì.
Bagnò un batuffolo di cotone con il disinfettante e le fece girare la testa verso di sé. Strofinò delicatamente il cotone sulla ferita e Victoria trasalì.
«Brucia!» esclamò, cercando di spostare la testa, ma lui la trattenne. Si chinò e la baciò sulla bocca. Fu un bacio lungo e dolcissimo, che voleva spazzare via tutto il pericolo delle ore precedenti, tutta l’ansia accumulata.
«Brucia ancora?» le chiese quando si staccò e lei scosse la testa, un sorriso beato che le curvava le labbra.
Tony tornò ad esaminare la ferita. «Non è profonda, non dovrebbe restarti la cicatrice».
«Se anche fosse» disse lei stringendosi nelle spalle «la porterò con onore: la mia prima cicatrice di guerra!»
«Sperando che resti l’unica» borbottò e la donna lo guardò sollevando un sopracciglio. «Che c’è?» chiese quando vide la sua espressione.
«Credi davvero che non ci capiterà mai più di trovarci in pericolo, Tony? Tu sei Ironman e lo sarai per sempre. Adesso fai anche parte dei Vendicatori. Penso sia inevitabile».
Gli tolse di mano il batuffolo di cotone e si alzò.
«Ora lascia fare a me» disse dolcemente.
Bagnò un secondo tampone e si dedicò alle sue ferite, ben più numerose. Disinfettò il taglio sopra l’occhio destro, applicando alcuni cerotti per suture. Aveva un’escoriazione su un lato del naso e sulla guancia sinistra, e le disinfettò entrambe.
«Tu sì che dovresti andare in ospedale. Hai due costole rotte».
«No che non ci posso andare» replicò lui. «Dovrei dire che me le ha rotte mia moglie. Che figura ci farei?»
Victoria fece una smorfia e lo aiutò a liberarsi della maglietta dei Black Sabbath. Lividi ed escoriazioni erano presenti anche sul torace e Victoria vi spalmò sopra della pomata, muovendo le dita con estrema leggerezza. Tony chiuse gli occhi e lasciò che si prendesse cura di lui.
«Lascia almeno che ti bendi. Quelle costole…» disse, ma lui la interruppe.
«Sto bene. Ora fammi vedere se hai lividi anche tu» replicò.
«Sono a posto, Tony»
«Sicura?»
Tony si alzò e lei fece un passo indietro. Le fece scivolare la camicia dalle spalle, chinando la testa per baciarle il collo, risalendo poi lungo la mascella e impossessandosi della sua bocca. Si strinse a lei, facendo scivolare le mani sotto il top e accarezzandole la schiena.
«Temo di doverla visitare più approfonditamente, signora Stark» disse infine.
Lei sorrise: «Sicuro di farcela con quelle costole rotte?» domandò.
Lui la fissò con uno scintillio malizioso negli occhi: «Tesoro, stasera nemmeno un semidio norreno e il suo esercito di orrendi alieni basterebbero a tenermi lontano da te. Non mi farò fermare da un paio di ossa rotte».
La prese per mano e la trascinò in camera da letto, ordinando a Jarvis di spegnere le luci del salotto.
 
Un capitolo finale breve, com'è stata breve tutta questa fanfiction,
nata dal vedere e rivedere il film talmente tante volte da impararlo a memoria!
Spero che vi sia piaciuta e che, pur con l'aggiunta della mia Victoria, io sia riuscita a rendere bene i vari personaggi.
Un grazie in anticipo a chi vorrà farmi sapere cosa pensa di questa mia creatura.
Fragolina84

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