Il bosco di Mayland.

di michelacinitiempo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arco, frecce e faretra. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Arco, frecce e faretra. ***


PROLOGO.
Era una gelida giornata d'inverno quando decisi di voler attraversare quel bosco che tanto mi incuriosiva, quello che si trovava dietro la spiaggia dell'isola di Mayland, dove abitavo con mia nonna e mia sorella minore Juditte.
 Erano appena le sei ma, per non farmi scoprire da nonna e da Juditte, era già fin troppo tardi. Mi lavai, mi vestii e cautamente mi avvicinai alla porta. Mi sentii chiamare.
 -Alexia- era Juditte.
-Cosa c'è Juditte?-
 -Niente.-
 -E perché sei sveglia a quest'ora? È presto.-
 -Ho avuto un incubo, sono venuta in camera tua ma non c'eri, volevo solo un abbraccio.- mi sciolsi. La sua voce calda e non molto acuta mi fece addolcire il cuore. Mi avvicinai e la strinsi a me.
 -Dove stai andando?- chiese incuriosita.
 -In spiaggia, torno verso le otto, per la colazione.- dissi, mentre le stampavo un bacio sulla fronte.
 Accennò un sorriso.
 Ricambiai e chiusi la porta dietro di me.
 Erano passati dieci minuti, ma sapevo che per arrivare alla spiaggia ci voleva altrettanto tempo. Ero troppo eccitata e incuriosita, tanto che iniziai a correre rischiando di inciampare tra i sassi.
 Ero arrivata in spiaggia, avevo il fiatone. Mi distesi sulla sabbia fredda e fissai il cielo ancora scuro.
 Erano passati circa cinque minuti, penso. Mi alzai e iniziai a correre verso la fine della spiaggia. Vi era una rete metallica, molto alta ma non molto spessa.
 Provai ad arrampicarmi, ma arrivata ad una certa altezza, le mie mani stavano bruciando poiché troppo forte era la stretta che avevo utilizzato per arrampicarmi.
 Scesi giù con un salto, affondando le scarpe nella sabbia.
 La rete si estendeva per circa venti metri e ai due poli vi erano due alberi. Oltre questi ultimi e la rete metallica non vi era altro modo per raggiungere i boschi, così decisi di arrampicarmi su uno dei due alberi. Erano comunque alti, ma sicuramente erano più spessi della rete metallica e nonostante non fossi in grado di arrampicarmi riuscii ad arrivare dall'altro lato.
 Era un posto fantastico: c'erano innumerevoli e altissimi alberi.
 Camminai per una ventina o una trentina di metri e arrivai ad un laghetto, molto molto piccolo, niente in confronto al mare. Ero assetata quindi, incurante, bevvi finché la gola non si rinfrescò.
 Era un posto molto silenzioso, non come il centro urbano di Keyville, anzi era tutt'altro. Era un posto dove regnava la tranquillità.
 Mi fermai a pensare a non so cosa e a fissare il vuoto, quando mi accorsi che sulla sponda opposta del piccolo lago vi erano degli oggetti. Mi alzai e mi incamminai: erano un arco, una faretra con delle frecce, lacci per trappole e un'arma da fuoco per cacciare. Mi inginocchiai per osservarli meglio da vicino. Ero incantata da quegli oggetti che avevo visto solo nella cantina di papà. Me li fece vedere lui, quando era in vita.
 L'arco non sembrava essere fatto di un materiale prezioso, ma era ben lavorato. Lo presi in mano e impugnai una freccia. Volevo provare ad usarlo, cosa che avevo fatto solo quando ero piccola insieme a papà, ma quando stavo per posizionare la freccia sentii dei rumori.
 Mi alzai e silenziosamente mi voltai verso destra, non era nessuno, sarà stato frutto della mia fantasia. Almeno così credevo, fin quando mi sentii stringere da due possenti braccia: una mi teneva stretta il ventre, l'altra la bocca.
 Ero impaurita, urlavo, quasi inutilmente perché sapevo che nessuno poteva sentirmi.
 Iniziai ad agitare le gambe, ma colui o colei che mi stringeva era troppo forte, fin quando non decise di lasciare la presa.
 Presi aria.
-Chi sei e perché stavi rubando l'arco e le frecce?- era un ragazzo, sembrava un sedicenne, come me.
 -Non stavo rubando l'arco, lo stavo provando.- dissi.
 -Va bene, allora scusami. Sono il tipo che non sfiora le donne, neanche per scherzo, ma non voglio esser preso per ingenuo.- disse il ragazzo dagli occhi blu.
 -No, scusami tu, non dovevo prenderlo.-
 Accennò un sorriso.
 -Io sono Josh, piacere.-
 Vidi l'orologio e mi accorsi che si stava facendo tardi, iniziai a correre.
-Hey, come ti chiami? Perché scappi?- urlò mentre mi rincorreva.
 Mi raggiunse.
 -Devo tornare a casa, ciao Josh.-
 -Dimmi almeno come ti chiami.-
 -Alexia, piacere di averti conosciuto.-
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Scappai, scavalcai la rete di ferro e corsi, velocemente, come non avevo mai fatto prima. Arrivai davanti la porta di casa. Ero affaticata, il mio respiro era pesante e difficile da controllare, i battiti erano accelerati. Aprii la porta. -Juditte, nonna sono a casa, scusatemi se vi ho fatto aspettare.- Vi era un silenzio tombale intorno a me. Non sentivo nessuna voce, allucinazioni? Girovagai per casa. Controllai tutte le stanze, niente. Ero preoccupata, dov'erano? Cosa era successo? Uscii sempre di corsa e urlai i loro nomi. Niente. Corsi per le strade del paese ma niente, loro non c'erano. Mi sentii chiamare. Pensai di nuovo che fossero allucinazioni, ma ero troppo sveglia per essere così. -Juditte! Juliette!- -Alexia sono qui, sono qui!- Corsi nella direzione nella quale proveniva la voce, la vidi lì, immobile, che girava lo sguardo a destra e a sinistra chiedendosi dove fossi. La strinsi come mai, lacrimava dalla paura, vidi anche nonna poco dietro. Mi inginocchiai per poter guardare Juditte negli occhi. -Piccola mia non piangere, non serve, sono qui, con te.- Singhiozzava ancora e con tono irrequieto e irregolare disse «Ho avuto paura di perderti, sai le cose belle bisogna averle strette e al proprio fianco.» Il mio sguardo si congelò, ricordai mia madre e mio padre. Era troppo veritiero ciò che Juditte aveva detto. -Ma dove sei stata?- -Nonna scusami, non volevo farti preoccupare stavo..- Ed ora? Cosa dico? -...stavo al mare!- -Va bene, non farmi più preoccupare piccola.- -Non sono poi così tanto piccola, nonna!- Scoppiammo in una fragorosa e allegra risata. -Dai torniamo a casa!- Tornate a casa la vita era rimasta monotona: Juditte giocava con le bambole e nonna cuciva o dormiva. Ne approfittai per disegnare. Amavo disegnare. Mi venne in mente il lago nel bosco, l'arco, la faretra con le frecce, gli alberi, le trappole,gli attrezzi per la caccia, gli alberi, la natura, la spiaggia, il mare, la rete metallica. Così disegnai tutto, in un ordine un po' confuso e al centro in grassetto scrissi "Il bosco di Mayland" in caratteri gotici. Decisi di portarlo sempre con me, ma non volevo rovinarlo. Andai al mercatino di Ronnie, con l'intenzione di comprare uno zaino. Lì ce n'erano tanti: piccoli, grandi, medi, a tracolla, a cartella, con la chiusura a cerniera, o con i laccetti, di cuoio o di pelle, o in plastica. Sapevo già quale prendere, quello di cuoio. Come quello che regalai a papà per il suo 36esimo compleanno. Avevo circa nove anni, andai con mamma e mi piacque subito quello in cuoio. -Quanto ti devo Ronnie?- -12 dollari e 50- -Ecco a te, grazie mille!- -Grazie a te!- Avevo voglia di tornare in quel bosco. Non avvisai nonna, nemmeno Juditte. Spevano che quando sono da Ronnie perdo molto tempo, sarà una valida scusa. Mi incamminai verso la spiaggia è come la prima volta, mi arrampicai sull'albero gigante. Con molta calma e sicurezza continuai, fino ad arrivare al lago. Mi sedetti, tolsi le scarpe e, alzati i pantaloni della mia solita tuta, misi i piedi nell'acqua. A quanto pare non c'era nessuno. Non vi era nessun oggetto in giro. Mi tolsi lo zaino dalle spalle per poi appoggiarlo sulle ginocchia, presi il mio disegno. Lo osservai in silenzio mentre intorno cercavo le varie immagini rappresentate. -A dir poco fantastico.- Presi in fretta il coltellino dalla tasca, mi alzai e mi girai di scatto. -Hey, posalo- -Mi hai fatto spaventare, idiota, non c'è bisogno di venire alle spalle!- -Allora perdonami, ma non chiamarmi idiota, ok?- -Si ok, va bene.- -Smettila di fare smorfie, neanche mi conosci per chiamarmi idiota.- -Questo è vero.. Josh, giusto?- -Si, ma dimmi... perché sei tornata qui Alexia?- Pronunciò il mio nome con tale sicurezza, quasi da farmi capire che non si era dimenticato dimenticare me, cosa contraria per me. -Non avevo nulla da fare, pensavo di potermi rilassare per evitare di pensare.- -Ma tu sei già spensierata di tuo Ale, posso chiamarti così vero?- -Certo, e comunque no, sono afflitta da pensieri, ricordi, non mi va di parlarne, si può risolvere il tutto.- -No, quando si sta male niente si risolve.- -Ti sbagli, prova a sorridere e vedrai.- E ci provò, proprio come gli dissi. Ma non gliel'avessi mai detto. Mi fermò il mondo. Non avevo mai visto sorriso più bello. Neanche quello di Juditte quando le compro una nuova bambola è così, neanche quello del ragazzino più bello di questo mondo. Era più bello di una giornata di sole, di un cielo notturno ricco di stelle, più della notte di San Lorenzo, era più bello di un campo fiorito, o degli altissimi alberi della foresta, era più bello di un gattino di poche settimane, era più bello di qualsiasi cosa. Rimasi a fissarlo per un bel po'. -E allora? Perché continui a guardarmi come se fossi un Dio greco sceso in Terra?- -No, niente. Ero rimasta incantata perché mi hai preso alla lettera sul fatto del sorriso.- Rimanemmo in silenzio, persi entrambi nel vuoto, però in due mondi diversi. Non mi accorsi più della sua presenza, così inizia ad intonare delle note. "Believe in yourself, Believe in your dreams, 'Cause you're not alone I will help you" A metà ritornello sentii una voce di sottofondo, era Josh. -La conosci anche tu?- -Si, è una bella canzone, ma ora ti porto con me.- -Ma dove mi porti?- Mi prese il braccio e iniziò a camminare ma io mi opposi cercando di dirigermi nel lato opposto. -Allora adesso tu segui me e basta.- Mi prese in braccio,o meglio come se fossi un sacco di patate. Così gli davo pugni (che per lui erano più leggeri degli schiaffi) sulla schiena. -Josh fammi scendere, fammi scendere!- Ma lui si ostinava a camminare senza contare a ciò che dicevo. Si fermò e mi fece scendere. -Eccoci qua Ale.- -Tutto questo per portarmi di fronte ad un albero, o meglio, un mezzo tronco di albero?- -Se non ti stai zitta, ti taglio la lingua o te la mordo a pezzi. Io conosco questo posto da quando ero piccolo.Venivo spesso con i miei genitori, e loro incisero un scritta: "a chi sorride sempre". La vedi?- -Si!- -Ecco, te la dedico tutta.- -E a mia volta, te la dedico tutta anch'io.- Così quel giorno incidemmo le nostre iniziali: "J & A"

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