Amaranth di _KyRa_ (/viewuser.php?uid=79577)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduction ***
Capitolo 2: *** Good morning, LA ***
Capitolo 3: *** Almost ordinary ***
Capitolo 4: *** Unexpected ***
Capitolo 5: *** Just a coffee ***
Capitolo 6: *** 'Till death do us part ***
Capitolo 7: *** Weaknesses ***
Capitolo 1 *** Introduction ***
2
1 Introduction
L'inspiegabilità
del fatto che si fosse svegliata di soprassalto alle sette e mezza di
una domenica mattina qualunque la portò a fare una breve
riflessione che l'aiutasse ad ipotizzare la causa plausibile di tale
irrimediabile disgrazia. Per quanto si sforzasse di affibbiare la
colpa ad un accidentale – e di discutibilissimo gusto –
scherzo del destino, la sua fin troppa consapevolezza verteva
insistentemente su di un solo ed unico nome: Neal.
Quale
oltraggiosa offesa poteva avere inferto al mondo per non meritarsi
del salutare riposo?
Come
figlia non aveva mai rappresentato un problema; il lavoro, che le
aveva permesso fino ad allora di mantenersi, la rendeva quantomeno
soddisfatta; il suo bagaglio culturale le aveva sempre giovato nella
vita. Dunque perché i suoi sforzi non venivano ripagati?
Quel
lontano dodici Luglio duemilanove quando aveva gentilmente offerto a
Neal un'abitazione confortevole, che non coincidesse con la fredda ed
umida sabbia di cui erano costituite le numerose spiagge poco
distanti da casa sua, le era sembrato di essere stata piuttosto
limpida ed esauriente circa le regole per una convivenza pacifica ed
indolore, rigorosamente e professionalmente riportate su carta.
Doveva riconoscere che la Costituzione americana le faceva un baffo
in quanto a lunghezza, ma riteneva che tale sistema fosse il
migliore, se costretta a vedersela con un uomo giorno e notte.
Uno
degli innumerevoli punti stilati, forse il più importante,
esplicava chiaramente il bisogno, il diritto, il dovere di consumare
per lo meno otto, nove ore di sonno un giorno a settimana –
concesso un rincaro della dose, vietato il contrario, eccetto
richiesta validamente giustificata.
Non
era pazza. Liesel Petrova era per natura una ragazza impaziente il
cui inesistente autocontrollo aveva messo a dura prova i nervi di
molte persone.
Decise
di ignorare con estrema nonchalance il chiasso prodotto da quelli che
sembravano pezzi di vetro, frantumatisi probabilmente sul pavimento,
senza degnarsi neppure di sollevare una palpebra. Se avesse isolato
la propria mente ed accantonato l'istinto omicida che le stava
rodendo il fegato da minuti, con qualche probabilità sarebbe
tornata nel mondo dei sogni per non abbandonarlo più.
Contava
sul buon senso del suo adorabile coinquilino.
I
cori dell'alleluia risuonarono come un'eco lontana nel momento in cui
riuscì a sfiorare la soglia del Paradiso ma tale libidine fu
nuovamente e bruscamente interrotta della fine imprecazione –
degna di un vero principe – da parte del ragazzo al piano
inferiore.
Le
coperte furono gettate a terra con la grazia di un rinoceronte,
malamente scalciate dalle sue gambe, quasi in preda a convulsioni. Si
costrinse ad abbandonare il piacevole tepore che le aveva intorpidito
i muscoli con un grugnito piuttosto eloquente e raccolse tutta la
propria forza di volontà per poggiare i piedi al pavimento e
raggiungere la maledettissima porta. Questa venne spalancata in modo
tanto violento che per un momento temette di averla scardinata.
Ridusse
gli occhi a due minuscole fessure, infastidita dall'accecante luce
che oltrepassava le persiane della finestrella in corridoio e, preso
un bel respiro, cominciò a scendere i venti scalini che
l'avrebbero condotta al piano inferiore – nonché dalla
sua vittima incombente – con passo deciso e sgraziato.
Non
appena la sua vista venne violentemente a contatto con un paio di
mutande leopardate inchiodò bruscamente, perfettamente conscia
di aver raggiunto la sua meta.
Neal,
che parve non averla sentita, continuò ad imprecare e
borbottare maledizioni contro gli innumerevoli pezzi di vetro sparsi
sul pavimento della cucina tentando al contempo di toglierli alla
meglio – paletta e scopetto in mano –, elegantemente
piegato a novanta, così da offrire una visione generosa del
suo fondo-schiena maculato.
“Neal,
hai cinque secondi per trovare una valida scusa che mi spieghi cosa
tu faccia in piedi a quest'ora. E prega che mi vada a genio.”
pronunciò quelle parole con un tale autocontrollo che poté
sentire le tempie pulsare minacciosamente. Neal aveva nel frattempo
incontrato il suo sguardo. “Cinque...” prese a contare a
braccia conserte battendo un ritmo per niente musicale con il piede
sinistro.
“Oh,
buongiorno.” sorrise il ragazzo. “Metto a posto casa.”
annunciò come fosse la cosa più elementare e lodevole
del mondo.
Elementare,
sì; lodevole, senza ombra di dubbio. Se non fosse stato per un
piccolo ma rilevante dettaglio.
“È
domenica mattina.” commentò con tono incolore, ancora
non del tutto conscia di ciò che stava accadendo.
“È
il mio unico giorno libero.” si giustificò lui con una
veloce alzata di spalle.
Se
non fosse stata la sua dignità a fermarla, sarebbe
indubbiamente scoppiata in lacrime.
“E
dato che si tratta del nostro
unico giorno di riposo,
perché non porti quel tuo bellissimo culo in camera?”
I giorni di riposo
non potevano chiamarsi a quella maniera senza un valido ed ovvio
motivo.
Fremeva dalla voglia di
correre nuovamente nella sua stanza perché sentiva che il
sonno la stava lentamente abbandonando.
“La
casa era veramente uno schifo. Se non lo facciamo di domenica, quando
possiamo?”
“Di
domenica pomeriggio.”
ringhiò lei.
Neal schioccò la
lingua contro il palato, sorridendo appena.
“Ma
non fare la sciocchina. Di domenica pomeriggio si esce e si va a
prendere il sole al mare.” le disse, stuzzicandole il naso con
le dita. Lei lo arricciò infastidita.
“E
chi l'avrebbe deciso?”
“Io,
ora.” Il ragazzo riprese a raccogliere i frammenti di vetro
mentre continuava a parlare come nulla fosse. “Ho deciso che
oggi pomeriggio andremo a fare un bel picnic in spiaggia, ci
stenderemo su un asciugamano e prenderemo il sole fino ad ustionarci,
accompagnati da un sottofondo musicale che, te lo concedo, sceglierai
tu.”
Liesel lo guardava come
stesse assistendo ad un orso che ballava la Lambada americana.
Decise di reprimere il
fiume di parole che avrebbe tanto voluto fuoriuscire dalle sue labbra
rosee e carnose e sospirò, ormai decisa ad abbandonare la vana
impresa di farlo tornare a letto o la vaga speranza di poterlo fare
almeno lei. Si avvicinò alla credenza biancastra e ne tirò
fuori una tazza color lilla, gentilmente presa in prestito dal
ragazzo, per poi recuperare un po' di latte dal frigorifero. Non le
piaceva bere il latte caldo; trovava fosse troppo nauseante e quella
mattina, di nausea, già ne aveva a sufficienza.
Mentre in silenzio
sorseggiava la sua bevanda fresca – il bacino poggiato al
bancone – fece saettare lo sguardo sul pavimento ancora in
parte coperto da pezzetti di vetro che Neal stava pazientemente
facendo sparire.
“E
intanto hai distrutto il terzo bicchiere del servizio buono.”
constatò senza particolare entusiasmo.
“Io
e i tuoi servizi abbiamo un rapporto decisamente ostile.”
commentò Neal una volta chiuso lo sportello della spazzatura
dove aveva appena finito di gettare i vetri.
“Quelle
mutande mi sono nuove.” aggiunse Liesel. Conosceva fin troppo
bene la vasta collezione di intimo di Neal ma era sempre stata
convinta che il leopardato mancasse ancora all'appello.
“Acquisto
recente.”
Neal era un bel
ragazzo.
I capelli biondo
cenere, appena scompigliati, gli donavano l'aria un po' selvaggia per
cui l'intero mondo femminile – o quasi – impazziva. Le
sue iridi erano inondate di un blu marino, tendente in alcune zone al
grigio, in grado di destabilizzare le più deboli di cuore. Il
suo corpo piuttosto magro era dotato di qualche muscolo –
merito delle ore passate in palestra assieme a lei – e ben
proporzionato.
Il suo abbigliamento
poteva essere catalogato come appariscente, protagonista di
uno stile che richiamava a tratti il gotico ma con qualche tonalità
di nero in meno.
Non era un amante dei
piercing, eppure non aveva resistito alla tentazione di ornare il
sopracciglio destro con un anellino metallico e, un paio di anni
prima, riportare sulla pelle del collo la lettera iniziale del nome
di Liesel, forte simbolo della loro solida amicizia.
Liesel era tutto ciò
che Neal possedeva, o meglio, che gli era rimasto. Cresciuto in una
famiglia decisamente chiusa, per nulla elastica di fronte al mondo
che la circondava, si era visto costretto a fare le valige ed
abbandonare quella casa che ultimamente gli aveva strappato via
l'ossigeno. Sempre troppo stravagante, addirittura ridicolo per i
suoi genitori. Vi era sempre un troppo a completare i loro
aridi commenti.
Per non parlare del
giorno in cui decise di dichiarare la sua omosessualità.
Fu costretto a passare
attimi logoranti in cui i suoi pensieri avevano cominciato a vertere
pericolosamente attorno al suicidio. Sentiva di non essere più
in grado di gestire la situazione, di non averne più il
controllo e ciò aveva cominciato a fare seriamente male,
soprattutto se le poche persone che aveva attorno avevano deciso,
tutte, di voltargli le spalle.
Solamente Liesel non
aveva mosso un sopracciglio alla notizia. Tutto ciò che
era stata in grado di fare fu preoccuparsi per le gravi condizioni
del suo amico. Ricordava perfettamente il suo viso segnato dal dolore
e dalle lacrime che i suoi occhi continuavano a versare. Ricordava il
suo sguardo perso, arreso, scrutarla al di là della porta di
casa sua mentre i capelli gli cadevano scomposti sulla fronte,
fradici del temporale che aveva deciso di accompagnare il suo dolore
quella sera come in un film.
Liesel non impiegò
due secondi a decidere di prenderlo a vivere con lei. Non poteva
assolutamente permettere che il suo migliore amico perdesse ogni
speranza.
Ora, finalmente, lo
vedeva sereno: si era accettato per quello che era e si sentiva a suo
agio in mezzo alla gente. Nulla poteva renderla più felice.
“Stasera
invece vieni con me al Liquid Kitty?” le domandò
improvvisamente Neal facendole spostare di nuovo lo sguardo su di
lui.
Il Liquid Kitty era
attualmente uno dei locali più in di Los Angeles, a una
decina di minuti da Santa Monica dove Neal era solito incontrarsi con
i suoi conoscenti omosessuali. Era capitato più volte che
anche lei prendesse parte alla compagnia e non le fu difficile
trovare la presenza di quei ragazzi bizzarri particolarmente
gradevole.
“Ci
sarà anche Damian?” chiese curiosa mentre masticava
rumorosamente.
Damian: l'unico vero
motivo per cui Neal soffrisse ancora ogni giorno. Un amore non
corrisposto, un amore che nonostante tutto Neal continuava a nutrire.
“Già.”
si limitò a rispondere il ragazzo trovando un diversivo nel
panno bagnato con il quale prese a strofinare il bancone della
cucina.
“È
semplicemente pigro.”
Oh.
Avrebbe tanto voluto
tirarsi una sprangata sulle gengive per quella sua assurda uscita.
Pigro.
Non avrebbe potuto
trovare conforto peggiore.
Neal scrollò le
spalle scettico.
“Evidentemente
lo è solo con me.”
La ragazza non seppe
aggiungere altro e forse era meglio così. Era inutile
continuare a scavare nell'improbabilità. Per quanto provasse a
tirarlo su di morale con poche ed incerte speranze, tutto si rivelava
come sempre infruttuoso.
“Vado
a farmi una doccia.” tagliò quindi corto per evitare
altre frasi inutili ed imbarazzanti dopo aver carezzato la schiena
del suo migliore amico. Avrebbe capito.
“D'accordo.”
“E
vedi di non distruggere l'intera cucina.” sorrise poi, una
volta raggiunta la soglia, osservandolo con occhi furbi.
Neal aveva già
sollevato il dito medio.
Con un sorriso
impercettibile percorse nuovamente le scale – questa volta con
più grazia – fino a raggiungere la sua stanza ancora
immersa nel buio. Ormai decisa a rinunciare a qualche altro minuto di
sonno, lasciò che la luce la invadesse e che un po' dell'aria
che tanto amava respirare a Los Angeles la rinfrescasse.
Amava Los Angeles.
Amava la sua casa, amava il suo lavoro. Poteva tranquillamente
affermare di arrivare quasi ad amare la sua vita. Quel quasi
vedeva la mancanza di un uomo con il quale condividere tali gioie ma,
al contrario di ciò che la gente potesse pensare, Liesel era
felice così. La presenza di un esemplare fallo-munito,
e quindi inevitabilmente limitato, era l'ultima cosa di cui avesse
bisogno.
Era chiaro che la sua
fiducia nei confronti del genere maschile fosse alquanto assente. Che
fosse colpa del suo adorabile padre, tornato rapidamente in Bulgaria
il giorno della sua nascita senza averle mai concesso sue notizie?
Probabile. Che fosse colpa del suo ex fidanzato, scovato a letto con
un'interessante esemplare femminile che sfortunatamente non era lei?
Non era da escludere. Ad ogni modo, non si era mai posta il problema
di trovare la causa del suo essere così – come amava
definirla Neal – frigida.
Aveva imparato a non
offendersi più.
Il getto dell'acqua
calda sul viso la fece sospirare compiaciuta.
Doveva fare la spesa.
Lei e Neal non erano i campioni della cucina salutare e vedere il
frigorifero ospitare solamente la metà di una cipolla le aveva
fatto pensare che forse era giunto il momento di comprare
qualcosa. Doveva anche stirare. Ultimamente il cumulo di vestiti che
aveva preso posto sulla poltrona della sua camera aveva cominciato a
crearle qualche problema.
Non era mai stata una
persona disordinata ma il mondo avrebbe dovuto riconoscere che il suo
lavoro le portava via molto tempo prezioso che probabilmente avrebbe
potuto utilizzare per le faccende domestiche.
Fare la stilista era
ciò che aveva da sempre agognato, fin da quando era una
bambina e si divertiva a vestire in mille modi differenti le sue
bambole preferite. Lentamente la passione aveva preso il sopravvento
e, affiancata alla sua maturazione, era divenuta un obiettivo su cui
lavorare. Obiettivo raggiunto con successo, che le aveva permesso di
trovare un posto alla casa di moda Rodarte. Era forse stata la
più grande soddisfazione della sua vita; non avrebbe mai
accettato un lavoro per il quale sarebbe stata restia a svegliarsi al
mattino.
Io amerò il
mio lavoro, si ripeteva sin da adolescente, quando osservava sua
madre sbuffare all'idea di affrontare un'altra giornata in farmacia –
chiaro ripiego, poiché eredità di famiglia. Io farò
ciò che mi piace.
Ciò che la gente
conosceva di Liesel Petrova era anche la sua particolare
testardaggine. Ragazza ventitreenne di bell'aspetto ed apparentemente
di classe, nascondeva un lato di sé che molti uomini avevano
trovato terrificante. Nessuno era mai riuscito a levarle le parole di
bocca poiché sempre pronta a ribattere a provocazioni di
qualsiasi tipo. Mai nella vita aveva lasciato che qualcuno le
mettesse i piedi in testa e nonostante potesse essere annoverato fra
le qualità che un umano non doveva ignorare, il suo
caratterino focoso aveva incontrato non pochi guastafeste lungo il
suo cammino. Ormai solo Neal aveva imparato a comprendere ogni sua
sfaccettatura ma non si era mai posto il problema di insultarla
pesantemente o mandarla a quel paese quando necessario.
Quel
tuo atteggiamento distaccato e scontroso verso il prossimo ti farà
morire sola. Poi decideva di
indorare la pillola e aggiungeva: ed è ovvio che
l'unico stronzo a starti dietro sarò io.
Quelle sue affermazioni
erano sempre riuscite a strapparle un sorriso. Erano una
dimostrazione molto goffa dell'affetto che provava per lei e non
riuscivano mai ad ottenere l'effetto inizialmente desiderato.
Si avvolse un
asciugamano rosso attorno al corpo e si diresse allo specchio dove si
dedicò per qualche minuto al trucco. Far morire di infarto un
quarto della popolazione della Città degli Angeli di fronte al
suo viso distrutto non le sembrava carino.
La pelle olivastra, gli
occhi lievemente a mandorla, i lineamenti dolci erano testimonianza
delle sue origini bulgare, da parte di padre. Origini che mai nella
vita aveva esplorato. Suo padre era fuggito decisamente troppo presto
perché lei apprendesse anche solamente la lingua. D'altra
parte, le sue radici italiane materne le avevano permesso di parlarne
una seconda, oltre all'americano. Sua madre Mara si sposò con
il suo attuale marito americano Phil Lee in Italia e quando Liesel
compì tre anni, decisero di trasferirsi a Los Angeles, la sua
città. In California, Mara dette alla luce Steven Lee.
Quando il suo viso
acquisì nuovamente l'aspetto umano ricercato, decise che
poteva presentarsi al mondo esterno.
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Hello,
everybody!
Mi fa sempre un po'
strano tornare con una nuova storia eppure scrivere ed interagire con
voi mi era mancato.
Spero che possiate
apprezzare questo mio nuovo lavoro. Chi mi conosce sa quale impegno
io riponga in questa passione che mi porto dietro da anni e sa anche
quanto per me sia importante venire a conoscenza dei vostri pareri,
positivi o negativi che siano. Tutto fa crescere!
Che dire, spero
vivamente che questa storia vi possa piacere come le precedenti e che
io non abbia deluso per ora le vostre aspettative, anche se è
un po' troppo presto per dirlo. Mi piacerebbe conoscere anche nuovi
lettori, adoro leggere ciò che scrivete perché mi
sprona a proseguire.
Se avete voglia di
seguirmi in questo nuovo “percorso” sono contenta (:
Fatemi sapere che ne
pensate per ora! Un bacio.
Kyra.
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Capitolo 2 *** Good morning, LA ***
a
2
Good morning, LA
Bill Kaulitz odiava la
domenica. Se avesse avuto il potere di depennare quel dannato giorno
dal calendario, l'avrebbe fatto con piacere. Odiava la domenica
perché non faceva altro che ricordargli che se una persona così
detta normale – uno studente, un avvocato, un commesso –
vantava di un'intera giornata di riposo, per una rockstar era un
giorno come un altro. E si dava il caso che Bill Kaulitz rientrasse
in quella categoria.
Quando assieme a suo
fratello aveva deciso di firmare il contratto con l'Universal, non
aveva mai letto fra le clausole 'Dormire sarà un caro e lontano
ricordo'.
La sveglia sul comodino
accanto al letto stava scherzando con un fuoco molto, troppo ardente.
Quel fuoco era la sua pazienza. Non riteneva di dispensarne di
natura, figurarsi se stuzzicato.
Senza nemmeno
rendersene conto, sferrò un pugno deciso contro quella tortura
cinese che non appena atterrò con un forte tonfo sul chiaro parquet
smise di strillare. Voltarsi nella direzione opposta e trascinarsi il
cuscino sopra alla testa fu la semplice ed ovvia conseguenza di un
risveglio sofferto. Non aveva la forza di abbandonare quell'antro
caldo e confortevole che l'aveva cullato per tutta la notte.
Una fitta lancinante
gli attraversò il cranio ricordandogli quanto controproducente fosse
uccidersi di alcool il sabato sera. Lui e suo fratello si erano
concessi, la sera prima, un'uscita al Bootsy Bellows in West
Hollywood e qualche bicchiere di troppo. Da quando si erano
trasferiti a Los Angeles capitava di rado che partecipassero ad
enormi feste come facevano in Germania. Il motivo principale del loro
trasferimento era una legittima voglia di normalità ma, come ben
sapevano, non potevano nemmeno sottrarsi al lavoro. Appena tornati da
Cologne – dopo l'esperienza come giudici di Deutschland sucht
den Superstar – l'accoglienza dei paparazzi era stata alquanto
calorosa. Per non parlare della lunga lista di interviste e
servizi fotografici che il loro adorato manager, David Jost, aveva
stilato. E se vi era ancora spazio per lo stress, si sovrapponeva la
lavorazione al nuovo album.
Maledetto
a me, quando ho giurato ai fans che l'avremmo pubblicato entro l'anno
nuovo.
Decise che rimanere a
letto e rimuginare su tutto ciò che al momento rappresentava motivo
di ansia era del tutto inutile e sempre meno salutare. Con uno scatto
– di cui pochi secondi dopo si pentì – si sedette sul materasso.
Il violento capogiro che lo scosse gli fece venire voglia di piangere
e si chiese come avrebbe potuto affrontare un'intera giornata allo
studio di registrazione. E se il suo istinto gemellare funzionava
ancora bene, sapeva che Tom sarebbe stato alquanto irascibile.
Incalzò le pantofole e
si fece forza nel dirigersi verso la porta della sua camera
illuminata dai sottili raggi di luce che oltrepassavano le persiane.
Sin da quando era piccolo aveva la tremenda abitudine di dormire con
le persiane leggermente aperte poiché riuscire ad intravedere la sua
stanza gli infondeva sicurezza e lo aiutava a dormire bene. Al
contrario di suo fratello, il quale si rifiutava di assopirsi se non
completamente immerso nell'oscurità.
Si grattò con poca
eleganza ciò che i suoi boxer contenevano e si incamminò verso il
bagno. Lungo il tragitto, non mancò di sferrare un secco pugno
contro la porta di suo fratello. Uno solo. Avrebbe recepito il
messaggio.
***
Aveva già capito che
Bill era sveglio dal chiasso che aveva udito pochi istanti prima
quando – ne era sicuro – aveva distrutto la quinta radiosveglia
del mese. Compravano più radiosveglie che mutande e onestamente si
chiedeva per quale assurdo motivo si ostinassero a farlo, vista la
breve vita di ciascuna. Il tonfo al di là della porta gli aveva
solamente confermato quanto immaginato.
Si portò entrambe le
mani al viso e se lo strofinò con disperazione. Ormai era abituato
ai post-sbornia, nonostante non accadessero più così
frequentemente, ma ciò non lo aiutava a sentirsi meglio ogni volta.
Quando si ritrovò
miracolosamente in piedi fece qualche passo mantenendosi la fronte,
come potesse aiutarlo a non perdere l'equilibrio. Si legò i capelli
neri in una coda ed uscì dalla stanza. Il contatto con la luce fu
doloroso e destabilizzante e represse una delle tante imprecazioni
volgari facenti parte del suo forbito repertorio.
Raggiunta la
destinazione, senza nemmeno bussare, aprì la porta del bagno.
“Fuori dai coglioni.”
borbottò quando trovò suo fratello intento a lavarsi la faccia.
“Buongiorno anche a
te.” fu la neutra risposta di Bill che non si era per nulla
scomposto a tale entrata. “Immaginavo di trovarti di buonumore.”
continuò con sarcasmo senza nemmeno guardarlo.
Afferrò l'asciugamano
e vi ci affondò il viso.
“Sì, beh... Esci, ho
bisogno di una doccia.” tagliò corto il chitarrista sperando che
si limitasse a fare come gli aveva detto.
Senza proferire
ulteriore parola, Bill abbandonò il bagno. Con un immenso sospiro,
Tom si liberò dai boxer e fece il suo ingresso in doccia. Quando
l'acqua congelata lo prese alla sprovvista scattò da un lato
maledicendola.
“Una cosa veloce!”
urlò suo fratello al di là della porta.
“Vaffanculo!” fu la
sua risposta.
Doveva ammettere di non
brillare di simpatia al mattino. Se c'era una cosa di cui la gente
era perfettamente conscia riguardo Tom Kaulitz era di guardarsi bene
dal rivolgergli parola prima che le sue palpebre si sollevassero del
tutto.
Si prese il tempo
necessario per svegliarsi sotto il getto d'acqua pregando perché
quella maledetta nausea lo abbandonasse.
Quanti bicchieri aveva
bevuto la sera prima? Non lo ricordava. Era stata colpa del barista
in ogni caso, poco ma sicuro.
Si era sorpreso di
svegliarsi solo. Da quando la sua storia con Ria era giunta al
capolinea dopo quattro anni per volere di entrambi, di tanto in tanto
si era concesso qualche scappatella. Nulla di cronico, in sei mesi
era accaduto un paio di volte. Forse tre. Il punto era che Tom
Kaulitz era cambiato, aveva fatto quel salto di qualità che tutti
gli rinfacciavano dall'età di dodici anni. Doveva riconoscere che
Ria aveva giocato un ruolo fondamentale e, nonostante le cose non
avessero preso l'andamento desiderato, l'aveva aiutato ad assaporare
per la prima volta l'amore vero.
Una volta pronto e
vestito, scese le scale e raggiunse Bill in cucina.
“Ora ti posso
parlare?” gli domandò con scherno suo fratello, seduto al tavolo,
non appena lo vide entrare.
Sorseggiava
distrattamente il suo caffè-latte e nel frattempo teneva d'occhio
una rivista di Gossip.
“Dio mio, non ti
stanchi mai di leggere le cazzate che scrivono su di noi?” commentò
il chitarrista per tutta risposta mentre recuperava dalla credenza
una tazza ed un cucchiaio.
“Se non leggessi le
cazzate che scrivono su di noi, non saresti stato in grado di dare
molte smentite che ti hanno fatto comodo.” ribatté Bill senza
staccare gli occhi dall'articolo, a Tom ancora sconosciuto.
“Forse.” scrollò
le spalle il moro sedendoglisi di fronte. “Ma vivrei sicuramente
meglio.” Versò il caffè-latte nella propria tazza. “E poi non
hanno più foto da scattarmi con Ria.”
“È questo il punto.”
fece il vocalist con tono saccente. “Dato che avranno intuito che
non state più insieme, saranno sempre dietro l'angolo, pronti per
immortalarti con la tua nuova fiamma e trarne una storia la
cui concorrenza potrebbe essere retta solamente da Beautiful.”
Tom sorrise.
“Però devi ammettere
che è divertente.” considerò ironico. Bill sollevò gli occhi al
soffitto e tornò a concentrarsi sulla rivista. “Piuttosto spremiti
le meningi per nuovi testi.”
“È quello che già
faccio senza che tu me lo dica.” ribatté il vocalist senza
guardarlo.
“Pensi che
LiesAngeles potrebbe esserti d'aiuto in questo?” domandò Tom con
un lieve cenno del capo in direzione della rivista.
“Chi lo sa, potrei
dedicargli una canzone.” borbottò il biondo con altrettanta beffa.
Tom fece finta di
riflettervi.
“No, troppo
scontato.” concluse.
Ormai aveva imparato ad
affrontare quel lato della sua carriera con la giusta ironia e la
giusta leggerezza. Tutti dovevano farvi i conti prima o dopo e lui
aveva deciso di non farsi rovinare l'esistenza.
“A proposito, ha
chiamato David poco fa.” esordì nuovamente suo fratello. “Un
servizio fotografico questa settimana.”
Gli allungò sul tavolo
un foglietto sul quale aveva scribacchiato frettolosamente tutte le
coordinate necessarie. Lo afferrò e lo scrutò svogliatamente.
“Anche dalla Germania
riesce ad organizzare tutto.” commentò.
“Non per niente è il
nostro manager.” Bill si alzò dalla sedia e posò la tazza nel
lavello per riempirla d'acqua. “E vediamo di ricordarci di sentire
Georg e Gustav stasera.” Tom annuì distrattamente. Spesso si
dedicavano a lunghe video-chiamate su Skype. Da quando si erano
trasferiti, portare avanti il loro lavoro era divenuto piuttosto
difficile ma avevano comunque trovato il modo di partorire nuove idee
sempre insieme. Spesso suonavano per provare nuovi accordi, nuove
melodie, nuovi arrangiamenti. Certo, alle volte diveniva stressante e
Tom non poteva negare di provare una certa mancanza per i suoi
colleghi ma sapeva che presto si sarebbero riuniti per registrare
finalmente le tanto attese canzoni del nuovo album. “Bene, direi di
andare.”
***
Insinuare le dita fra i
granelli di sabbia morbida era sempre stato un gesto per lei
rilassante ed abbandonarsi al tepore rilasciato dai raggi solari su
ogni lembo di pelle era qualcosa di rigenerante. Uno dei tanti lati
positivi di Los Angeles era la quasi totale mancanza di inverno. La
gente si concedeva lunghe giornate in spiaggia in qualsiasi periodo
dell'anno, anche in quelle più fresche.
Sospirò ad occhi
chiusi, pronta per immergersi in uno stato di dormiveglia e
recuperare un po' di riposo.
“Cristo!” urlò
all'improvviso quando si sentì colpire sulla tempia da qualcosa di
pesante.
Si portò una mano al
viso e si sollevò immediatamente a sedere per scovare l'ennesima
causa di disturbo che non voleva farla riposare. Al suo fianco, la
risata di Neal la fece imbestialire. Quando si accorse che l'oggetto
incriminato era una palla da beach-volley vide rosso
ovunque.
“Scusi, signora!”
esclamò un bambino che doveva avere all'incirca otto anni mentre
camminava nella sua direzione.
Signora.
Si voltò
immediatamente verso Neal.
“Dice a me?”
domandò esterrefatta ed il suo amico non riuscì a fare altro che
ridere di gusto. Decise di ignorarlo ed afferrare la palla per
lanciarla di nuovo al marmocchio.
“Grazie!” esclamò
nuovamente questo per poi correre via e tornare a giocare con i suoi
amici.
“Bambini.” borbottò
tornando a stendersi accanto al biondo.
“Oh, andiamo.”
sorrise lui. “Smettila con questa storia di odiare i bambini.”
“Siamo semplicemente
due mondi paralleli. Loro non tormentano me, io non tormento loro.”
tagliò corto lei mentre si apprestava a chiudere nuovamente gli
occhi con l'intento di riprendere da dove era stata interrotta.
“E cosa farai quando
ti fidanzerai con un ragazzo che vorrà sposarti e avere figli?” la
stuzzicò Neal pur sapendo quanto inutili fossero le sue parole.
“Gli uomini non
muoiono dalla voglia di sposarsi, lo accetterà. Per quanto riguarda
i figli... Un paio di cani tengono comunque compagnia.”
Neal scosse la testa
con un lieve sorriso a increspargli le labbra perfette.
“Morirai sola.”
Ci
risiamo.
“E tu sarai l'unico
stronzo a starmi dietro. Sì, lo so.” sorrise Liesel.
Non aveva mai pensato
alla famiglia. A dire il vero, aveva sempre evitato quel pensiero
come la peste. Il problema di Liesel era un bisogno troppo insistente
della propria indipendenza. Odiava dover dipendere da qualcuno o che
qualcuno dipendesse da lei. Forse era vero, i figli erano per molti
la gioia più grande ma il solo pensiero di mettere al mondo una
creatura la cui vita sarebbe stata inevitabilmente fra le sue mani la
terrificava. Per anni si era chiesta come sua madre fosse stata in
grado di crescerla da sola. E forse era proprio quel modello
sbagliato di famiglia che aveva alle spalle a farle sviluppare tali
pensieri. Forse non voleva semplicemente ritrovarsi sola come sua
madre nonostante avesse incontrato l'amore pochi anni dopo.
Aveva bisogno di
fumare.
Prese a frugare nella
sua borsa da spiaggia alla ricerca del pacchetto di sigarette che
trovò leggermente schiacciato dall'ammasso di roba – prettamente
inutile – che si era portata dietro.
Lei e la sua maledetta
ansia di previdenza.
Sbuffò quando non
trovò l'accendino.
“Hai tu il mio
accendino?” borbottò a Neal, senza smettere di scavare nella borsa
come un cane da tartufo.
“No.” fu la
semplice risposta del ragazzo.
Troppo
secca.
Si voltò verso di lui
con sguardo accusatore.
“Neal.” lo ammonì.
“Liesel.” le
fece il verso lui.
“Dammi l'accendino.”
“Smettere di fumare
non ti farebbe male.”
“Non ho ancora fumato
oggi! Non rompere le palle.”
“Oh, i miei
complimenti allora.”
Era ovvio che si
prendeva gioco di lei ma con riluttanza glielo lanciò.
“Anche io ti faccio i
complimenti per la tua perseveranza. Ogni volta ci provi nonostante i
pessimi risultati. Bravo.” scherzò a quel punto lei mentre si
accendeva la sigaretta. Poi sventolò l'accendino. “Questo lo tengo
io.” disse prima di gettarlo in borsa.
Fumare era l'unico
vizio che poteva dire di possedere. Almeno in quello voleva essere
lasciata in pace.
Improvvisamente Liesel
riconobbe il lieve suono di una vibrazione provenire dalla sua borsa.
Ne estrasse il cellulare e sorrise non appena lesse il nome di sua
madre sullo schermo.
“Mamma.” rispose
lieta di sentirla per poi sbuffare una nuvola di fumo.
“Tesoro, come
stai?” domandò la donna dall'altro capo con quella tenera
cadenza italiana che non era riuscita a perdere. Sembrava sorridesse
anche lei.
“Bene, sono in
spiaggia con Neal.” le riferì ed il suo amico sorrise.
“Oh, salutamelo!”
Liesel si poggiò il
cellulare alla spalla e si rivolse a Neal.
“Ti saluta.”
“Passamela!”
esclamò a quel punto il biondo e senza nemmeno lasciarle il tempo di
replicare si lanciò verso di lei afferrando il telefono. “Mara!”
Liesel sollevò gli occhi al cielo limpido e scosse la testa. Non
aveva certo dimenticato le ore di telefonate fra sua madre e Neal.
Adorava il rapporto stretto e confidenziale che si era instaurato fra
loro. Laura lo considerava come un terzo figlio e per Neal non vi era
gioia più grande, visto e considerato il rifiuto da parte della sua
intera famiglia. “Sì, tutto bene. Tu come stai?” Forse aveva
imparato col tempo a celare il proprio dolore e prendere la vita con
ironia ma nulla cancellava dai suoi occhi quella sfumatura
malinconica, traccia di sofferenze ed incompletezza. Diceva sempre di
non sentire la mancanza di nulla perché Liesel era ormai divenuta
parte della sua famiglia ma era ovvio che non fosse del tutto così.
“Se fa la brava?” sorrise con malizia scrutandola di sottecchi.
Liesel dal suo canto lo osservò minacciosa. “Dici a parte rompere
le palle ventiquattro ore su ventiquattro?” la stuzzicò e lei non
perse tempo a tirargli uno schiaffo sul braccio sotto le sue risate.
“Non mi lamento.”
“Bene, ora potrei
parlare con mia madre, per favore?” intervenne a quel punto
una Liesel piuttosto spazientita.
“Ti reclama.”
continuò a parlare al telefono. “D'accordo. Ciao, Mara.”
Si riappropriò del
cellulare.
“Mamma.” borbottò.
“Tesoro.” ridacchiò
la donna. “Stavo per dire a Neal che io, Phil e Steven vi vorremmo
a cena da noi martedì sera. Se non avete altri impegni.”
Liesel fece una
smorfia. Dubitava che suo fratello Steven fosse anche solamente al
corrente di tale iniziativa. A dire il vero, lui odiava queste
stronzate di famiglia, come amava definirle, e fremeva
dalla voglia di concludere qualsiasi tipo di rimpatriata per uscire e
divertirsi con la sua discutibile compagnia.
“Non dovremmo avere
problemi.” annuì quindi. “Nel caso ci fossero, ti avviso.”
“Perfetto! Allora vi
aspettiamo martedì.”
“D'accordo, un
bacio.” Riattaccò. “Siamo da loro martedì sera.”
“Oh, finalmente un
po' di sano cibo italiano!”
“Come se morissi di
fame.”
“Sa il mondo intero
che sei un disastro in cucina.”
Liesel spalancò la
bocca esterrefatta.
Riconosceva di non
essere esattamente un genio culinario ma quella era spudorata
cattiveria.
“Vaffanculo, Neal.”
esclamò, dopo aver gettato la sigaretta consunta, buttandosi poi
sull'asciugamano a pancia in giù per prendere un po' di sole sulla
schiena.
Sentì il ragazzo
tirarle due pacche sul sedere con una lieve risata che la fece
sorridere.
“Comunque domani
mattina devo essere prima al lavoro.” lo udì parlare.
“Non c'è problema,
ti porto io.” Poiché Neal era solito svegliarsi più tardi di lei
al mattino per esigenze lavorative, si spostava con i mezzi –
benché non fossero il punto di forza di Los Angeles – mentre
Liesel utilizzava la sua preziosa auto – un'innocente Opel Astra –
che mai l'aveva abbandonata sulla strada nonostante l'età avanzata.
“Dovresti comprarti una macchina.” osservò poi.
“Stavo pensando di
andare in concessionaria uno di questi giorni, se non ho
contrattempi.” Spostarsi per Los Angeles senza un'auto era
impensabile. “Vieni con me?” le domandò poi.
“Se non lavoro sì.”
annuì lei. “Ora, bambini e telefonate permettendo, vorrei
rilassarmi un po'.”
***
Con una smorfia di
dolore cercò di allungare i muscoli della schiena tremendamente
intorpiditi. Si legò i capelli in una nuova coda per poi passarsi
stancamente le mani sul viso. La finestra al loro fianco rivelava un
cielo bluastro già cosparso di stelle.
“Per oggi ho dato.”
mormorò strofinandosi gli occhi.
Era tremendamente
stanco; il cervello sembrava volesse esplodergli nel cranio.
“Sì, anch'io.”
sospirò Bill, seduto di fronte a lui. “Credo proprio che dovremo
rimandare la video-chiamata con Georg e Gustav. Ormai è tardi.”
Tom annuì appena dopo aver scoccato una veloce occhiata all'orologio
da parete che segnava la mezzanotte. “Fumiamo una sigaretta e
andiamo?”
Senza rispondere il
chitarrista si sollevò ciondolante dalla poltrona e seguì suo
fratello in giardino.
***
Il Liquid Kitty era
letteralmente pieno. Liesel odiava i locali tremendamente affollati
ma sapeva che Neal teneva ad averla con sé. La musica a tutto volume
le faceva venire voglia di ballare nonostante non avesse ancora mosso
un muscolo e le luci psichedeliche le trasmettevano quella conosciuta
sensazione di quasi stordimento.
Poggiata al bancone,
teneva in mano un bicchiere di birra. Poiché guidava, i
superalcolici erano banditi. Neal dal suo canto le sostava affianco
intento a tenere un'allegra conversazione con i suoi amici. Non le
erano sfuggite le occhiate che di tanto in tanto lanciava a Damian,
al centro della pista. Liesel non sopportava Damian per il semplice
fatto che rappresentava fonte di insopportabile dolore per Neal e si
chiedeva come quest'ultimo potesse aver perso la testa per lui.
Modello affermato, Damian Powell nascondeva al mondo intero di essere
gay. Molte volte aveva illuso Neal, molte volte si era rotolato fra
le lenzuola assieme a lui per poi non farsi più sentire per
settimane ed impedirgli di parlare di loro in giro. Aveva una
certa reputazione, stando ai suoi discorsi. Ma ciò non fermava
Neal dall'incaponirsi sempre di più.
Damian si dimenava in
mezzo alla folla assieme a due biondine appiccicate ai suoi muscolosi
bicipiti. Ad un occhio esterno mai sarebbe passato per l'anticamera
del cervello di crederlo omosessuale.
Sollevò gli occhi al
soffitto disgustata e ripose l'attenzione su Neal.
“Ci facciamo un
ballo?” le propose lui con un sorriso.
“Dai.” annuì
Liesel per poi finire in un sorso la sua birra.
Lasciò sul bancone il
bicchiere vuoto e seguì il suo amico in mezzo alla calca. Il suo
viso si contrasse in smorfie ogni qual volta percepisse un corpo
sudato venirle addosso.
Quando Neal raggiunse
una postazione – il più lontano possibile da Damian – si fermò
e si voltò nuovamente verso di lei prendendo a muoversi
energicamente. Liesel si lasciò scappare una risata ed accompagnò
ogni sua mossa. La gente attorno a loro saltava senza controllo con
le braccia sollevate e Liesel amava la sensazione di confusione nella
testa. Sorrise e prese a muoversi con più enfasi incrociando le
proprie dita con quelle di Neal. Sentiva le mani di chiunque addosso
ma non vi dette peso; probabilmente più di metà di quella gente non
capiva nemmeno dove fosse.
Una vibrazione
improvvisa al fianco destro la fece sobbalzare. Fece segno a Neal di
attendere un momento ed estrasse il cellulare dalla borsa. Quando
lesse il nome di suo fratello sullo schermo dell'i-phone un
campanello d'allarme prese a suonare nella sua testa. Steven non la
chiamava mai per semplice piacere.
“Steven!” urlò
tappandosi un orecchio. “Sono a ballare! Aspetta che esco, non
sento nulla!” continuò prendendo a farsi largo fra la gente non
senza fatica. Non ricordava fosse così distante l'uscita, per poco
non rischiò di perdere l'equilibrio sui tacchi. “Hey.” fece una
volta raggiunta l'aria aperta.
Tirò un sospiro di
sollievo nel percepire la tiepida brezza serale californiana sulla
pelle umida.
Le sue orecchie
fischiavano.
“Senti, Liesel, ho
un problema.” borbottò Steven dall'altro capo.
Come
mai non mi sorprende?
“Che hai combinato?”
ribatté lei preparandosi al peggio.
Ormai era ben conscia
che le cazzate di suo fratello non trovavano mai limite.
“Sono in
commissariato, dovresti venire a prendermi.”
“Cosa?!” Il sangue
prese a ribollirle nelle vene. “Steven, di nuovo!”
“Senti, non ho
detto niente a mamma. Mi vieni a prendere o no?”
“Sai, Steven, farei
bene a lasciarti lì dentro. E vedi di non parlarmi con quel tono,
non impiego due secondi a chiamare la mamma o tuo padre.” Prese a
fare avanti e indietro per il marciapiede, passandosi più volte la
mano sul viso con fare nervoso. “Dove ti trovi?” sospirò poi
massaggiandosi una tempia.
“Al Parker
Center.”
Non rispose nemmeno.
Riattaccò seccata. Si affrettò a scrivere un messaggio a Neal senza
scendere nel dettaglio – avrebbe comunque immaginato, conoscendo
Steven – e si diresse alla macchina. I piedi cominciavano a far
male e l'idea di raggiungere il commissariato con quel vestitino
succinto che le scopriva metà coscia le dava alla testa. Ed il lungo
spacco sulla schiena non giocava a suo favore.
Si
chiederanno che razza di famiglia siamo.
Mise in moto l'auto ed
abbandonò il parcheggio a tutta velocità – trovato dopo una
lunga, estenuante ed invana ricerca.
L'incredibile nervoso
la faceva respirare quasi a fatica. Non capiva per quale assurdo
motivo suo fratello si lasciasse trascinare da quella dannata
compagnia. Non capiva perché si divertisse a creare scompiglio in
giro, a mettersi nei guai. Era stufa di doversi ancora occupare di
lui come fosse un adolescente nella dura fase della ribellione. Aveva
vent'anni, era ora per lui di maturare.
Il piede schiacciò
improvvisamente e con violenza il pedale del freno e la macchina,
dopo un forte stridio delle ruote, inchiodò non prima di toccare con
il muso quello di un'enorme Range Rover bianca.
“Cazzo!” esclamò
la ragazza portandosi le mani al viso. Il cuore impazzito.
Ci mancava solo una
dannata denuncia per sinistro stradale.
Quando scorse le
portiere dell'auto aprirsi roteò gli occhi chiedendosi quale razza
di scherzo divino fosse quello. Aprì la propria e, facendo ben
attenzione a non slogarsi una caviglia sui tacchi, scese dalla
macchina.
“Dico, sei idiota?!”
esclamò un ragazzo alto e moro – con un curioso accento tedesco –
camminando nella sua direzione con rabbia. Un altro ragazzo,
altrettanto alto, era sceso basito.
Liesel fremeva dalla
fretta di rimettersi alla guida e raggiungere il dannato
commissariato.
“Senti, mi dispiace.”
borbottò gesticolando eccessivamente. “Sono un attimo di fretta.”
“Non me ne frega un
cazzo. Ora vediamo di risolvere la cosa.” ribatté il moro
indicando la sua Range Rover.
“Non vedo nemmeno un
graffio.” obiettò lei inarcando un sopracciglio mentre il ragazzo
biondo controllava da vicino il fanale destro.
“Correvi come una
pazza!”
“Questo perché ho
una certa cosa urgente da fare!”
“Ti pare una
giustificazione?!”
Quel bel visino
cominciava ad irritarla.
E aveva fretta.
“Senti, facciamo
così...” borbottò prendendo a frugare nella borsa con una certa
urgenza. Ne estrasse il telefono. “Segnati il mio numero. Domani,
quando il cosmo avrà smesso di mettermi i bastoni tra le ruote, ne
riparliamo.”
“E io come so che
quando chiamerò risponderai?” la scrutò di sottecchi.
“Non c'è nessun modo
se non fidarti e fare come ti ho detto.”
Il ragazzo lanciò
un'occhiata al biondo come per cercare un'approvazione.
“Mi sembra innocua.”
scrollò le spalle questo quasi con beffa, cosa che la infastidì.
Il moro sospirò e
recuperò l'i-phone dalla tasca dei jeans. Liesel gli dettò
pazientemente il numero di telefono ed attese che il ragazzo le
facesse uno squillo.
“Come ti chiami?”
gli domandò mentre digitava sullo schermo.
“Tom.” rispose lui.
“Io gradirei sapere anche il tuo cognome.”
“Liesel Petrova.”
bofonchiò lei. “Ora, se non vi dispiace, devo andare ad infrangere
un altro po' di limiti di velocità.” fece poi con sadico sarcasmo
riaprendo la portiera della sua Opel Astra.
“A distruggere
qualche altra macchina.” sentenziò lui mentre anche loro
risalivano a bordo della vettura.
“Ma vaffanculo.”
mormorò a quel punto Liesel ripartendo a tutta birra.
Le enormi ed imponenti
palme sfrecciavano pericolosamente ai lati della strada. Ormai
conosceva a memoria il tragitto. Steven le aveva dato la meravigliosa
possibilità di farsi un giro in commissariato almeno una volta ogni
due mesi.
Giunta a destinazione,
parcheggiò con noncuranza e salì di corsa le scale.
“Sono Liesel Petrova,
la sorella di Steven Lee.” annunciò non appena un ufficiale la
fermò.
“Mi segua.” rispose
questo con una serietà che detestò.
Lo seguì lungo il
corridoio fino a che non giunsero ad una piccola stanza. Suo fratello
sedeva alla scrivania, di fronte al commissario, con il capo chino e
l'atteggiamento di chi non vedeva l'ora di togliersi dai piedi per
combinare qualche altro casino altrove.
“Salve.” mormorò
Liesel al commissario.
“Comincio ad essere
stanco di vederla, signorina Petrova.” disse con sarcasmo l'uomo.
“Anche io, se posso
essere sincera.” sibilò lei lanciando nel frattempo un'occhiata
truce a Steven.
“Questa volta abbiamo
detenzione di stupefacenti.” continuò lui sollevando una busta per
poi farla ricadere sul tavolo con fare quasi rassegnato. Liesel
percepì un brivido lungo la colonna vertebrale. “La sua fortuna è
che non ha superato la quantità massima.” Tornò a scrutare suo
fratello quasi con odio mentre la voglia di prenderlo a schiaffi era
insopportabile. La cosa che più la sconvolgeva era la sua totale
indifferenza. L'uomo si sporse sulla scrivania e vi poggiò i gomiti
incrociando le dita. “Che cosa abbiamo intenzione di fare?”
domandò sia a lei che a Steven. “Vogliamo darci un freno?”
questa volta parlò solamente con suo fratello. Steven dal suo canto
lo sfidò con lo sguardo. Non lo distolse e non proferì parola. Il
commissario annuì appena abbassando il proprio per poi lasciarsi
andare ad un lieve sospiro e tornare a poggiare la schiena alla
sedia. “Vai.” lo congedò senza guardarlo ed il ragazzo non perse
tempo ad alzarsi.
“Arrivederci.”
soffiò Liesel per poi uscire dalla stanza.
Steven aveva cominciato
a recare problemi alla famiglia all'età di sedici anni, quando le
prime compagnie sbagliate ricoprivano un ruolo troppo rilevante per
un adolescente. A vent'anni, quei problemi si erano triplicati ed
erano i principali motivi di discussione con sua sorella. Passava il
tempo a rinfacciarle il fatto di accaparrarsi dei meriti di madre che
non aveva solo perché più grande di lui. Ma Liesel non voleva
semplicemente che suo fratello si distruggesse con le sue stesse mani
e dove non poteva arrivare Mara, cercava di intervenire lei. Non
raramente aveva nascosto tanti episodi a sua madre e Phil, solamente
per salvaguardare suo fratello.
Una volta fuori, Liesel
lo strattonò per la giacca – prima che potesse svignarsela – e
fece in modo che si voltasse verso di lei.
“Hey! Lasciami
stare!” si dimenò lui.
“Io ho smesso di fare
figure di merda per pararti il culo, Steven! Vedi di aprire bene le
orecchie!” fece lei frenando l'impulso di urlare. “Cosa cerchi di
dimostrare con le tue stronzate? Cosa stai cercando di dirci? Vuoi
attenzione? Che cazzo vuoi, Steven?!”
“Voglio che mi lasci
in pace!” ribatté lui con la minaccia nello sguardo ma Liesel non
lasciò la presa sulla sua giacca, la rinforzò.
“Certo, ti lascerò
in pace! Ma non provare a telefonarmi la prossima volta che ti trovi
nei guai! Te la vedrai direttamente con tuo padre, ti piace l'idea?
Ti fa ancora venire voglia di fare il gradasso?”
“Smettila di
comportarti come fossi mia madre.”
“Io mi comporto come
una persona che non ne può più di vedere suo fratello in
commissariato, sempre appeso ad un filo. Arriverà un dannato giorno,
Steven, in cui non ti daranno più un'ennesima possibilità. Arriverà
un fottutissimo giorno in cui ti ritroverai dietro le sbarre. E tutto
perché? Perché devi fare lo spaccone con i tuoi amici. Oh,
sì, drogarsi è forte, sei proprio figo.”
“Vattene a 'fanculo,
Liesel.”
Si liberò con uno
strattone dalla sua presa e le diede le spalle incamminandosi verso
una meta a lei sconosciuta.
“Continua così, ti
ringrazierai un giorno.” gli disse ancora prima di risalire in
macchina per poi sbattere la portiera con ira.
***
Rientrò in casa che
aveva solamente una gran voglia di gettarsi fra le coperte. Il mal di
testa che le era esploso era insopportabile. Aveva sentito Neal poco
prima e le aveva riferito che era stato riportato a casa da un amico.
Si sentiva mortificata anche per lui.
Gettò le scarpe a lato
dell'ingresso, buttò le chiavi sulla ribaltina e per poco non urlò
quando il suo coinquilino comparve davanti a lei come un fantasma.
Era di nuovo in mutande.
“Cristo, Neal.”
mormorò slacciandosi la giacca che successivamente appese.
“Allora? Che ha
combinato stavolta?” le domandò consapevole a braccia conserte.
“Detenzione di
stupefacenti.” fece una smorfia. “Che novità.”
Neal era basito.
“Giuro che non lo
capisco.” commentò scuotendo la testa.
“Non lo capisco io
che sono sua sorella, direi che è legittimo.” borbottò lei
incamminandosi verso le scale con passo trascinato. Perfino la borsa
cominciava a pesarle. “Comunque non ho voglia di parlarne.
Preferisco andare a dormire visto che domani mattina devo anche
lavorare.”
L'idea di mettere piede
in azienda non era delle più emozionanti.
“D'accordo, buona
notte.” la salutò Neal prima che lei si congedasse.
Una volta in camera,
gettò vestito e reggiseno a terra per poi sprofondare fra le coperte
come non vi fosse un domani.
---------------------------
Questo capitolo in
realtà faceva parte del primo ma ho deciso di dividerli, almeno come
inizio, dato che i prossimi saranno piuttosto lunghi. Diciamo che con
questi due vi ho un po' introdotti alla storia, si è delineato il
contesto.
Fatemi sempre sapere
che ne pensate! Un bacio a tutti!
|
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Capitolo 3 *** Almost ordinary ***
aaaaaaa
3
Almost ordinary
Sfiorava la carta con
la matita tramite tratti leggeri – che di tanto in tanto si
sdoppiavano, visto l'incredibile mal di testa – con l'intento di
portare a termine quella sua ennesima creazione.
Impressa nella carta,
la sagoma di una giacca maschile – a metà tra l'elegante ed il
casual – della quale stava ultimando i dettagli. Non troppi, non le
erano mai piaciuti i fronzoli. Quel capo andava ad aggiungersi a
pantaloni, maglie, scarpe di cui si era già occupata in precedenza
con l'entusiasta consenso delle direttrici, le sorelle Kate e Laura
Mulleavy. Nel corso del tempo era riuscita a conquistarsi la loro
fiducia; tutti i lavori che aveva presentato erano frutto di
incredibile impegno, ragionamento e fantasia e mai l'aveva fatto se
non del tutto convinta. Conosceva colleghe alla Rodarte che pur di
ottenere la grazia delle sorelle sfornavano abiti ogni ora – spesso
poco curati – che venivano inevitabilmente archiviati. Liesel
conosceva la sensazione di dover disegnare qualcosa di presentabile
entro un breve lasso di tempo e nonostante tutto poteva dire – a
parte qualche ritocco – di essersela sempre cavata.
Una volta terminata la
giacca, inserì il foglio in una pellicola trasparente facente parte
di un intero book che conteneva i capi precedentemente creati.
Sperava potesse trarne una nuova linea uomo.
Si alzò dalla sedia ed
abbandonò la propria scrivania con il book sottobraccio. Attraversò
numerosi corridoi e stanze, separate da enormi vetrate che
conferivano all'azienda un aspetto fresco ed elegante. Una volta di
fronte allo studio delle sue datrici di lavoro, bussò alla porta già
aperta per segnalare gentilmente la sua presenza. Kate e Laura,
sedute ai rispettivi tavoli, sollevarono la testa per vedere chi
fosse.
“Liesel, entra.”
sorrise Laura.
Liesel obbedì con un
sorriso e si andò a sedere di fronte a lei. Nel frattempo Kate si
era avvicinata.
“Ho terminato i capi
maschili.” annunciò posando sulla scrivania il book. Le sorelle se
lo avvicinarono e presero a sfogliarlo, scambiandosi qualche mormorio
di tanto in tanto.
Liesel attese con ansia
il loro responso. Scorgeva espressioni soddisfatte sui loro volti e
ciò la incoraggiò.
“Beh, che dire...”
sospirò infine Kate. “Ancora una volta non ci hai deluso,
Petrova.” la osservò con attenzione e Liesel percepì il proprio
sorriso farsi largo sul volto più rilassato. “Potrebbe uscirvi una
buona linea maschile.” aggiunse la donna tornando nel frattempo a
scrutare i disegni.
“Davvero?” domandò
Liesel cercando di contenere l'eccitazione.
“Sì. Io e Laura
vedremo di apportare qualche piccola modifica e di aggiungere qualche
altro capo su questo stile, così da avere una vasta gamma di
modelli.”
La bruna sorrise
ancora.
“È grandioso.”
commentò.
“Ci piace questa
mescolanza di elegante e casual. È alla portata di tutti.”
intervenne Laura continuando a scrutare i suoi lavori con interesse.
“Sì.” concluse infine sollevando il busto. “Direi che vanno
più che bene.”
“Ti teniamo
aggiornata.” sorrise Kate.
“Grazie.” annuì
Liesel per poi alzarsi dalla sedia.
Si congedò gentilmente
ed uscì di tutta fretta dallo studio. Estrasse immediatamente il
cellulare dalla tasca dei jeans e scrisse un veloce messaggio a Neal
mentre il cuore ancora batteva forte per l'emozione.
Nuova
linea maschile
Avrebbe capito.
Con un sospiro
soddisfatto e liberatorio si incamminò nuovamente verso la propria
scrivania.
***
Era stato distratto
dall'improvviso messaggio di Liesel. Che la sua migliore amica fosse
riuscita a realizzarsi ancora una volta era un qualcosa che lo
riempiva a dir poco di gioia. Teneva a lei più che a chiunque altro,
era la sua unica famiglia. L'aveva osservata tante volte trascorrere
le nottate alla scrivania fino a che la testa non le crollava su di
essa, sfinita. L'aveva osservata dedicare tutta se stessa a quel
lavoro che tanto amava; era giusto che ricevesse tante
gratificazioni.
Scattò un'altra foto.
I gemelli Kaulitz
sostavano di fronte a lui con sguardo fermo e sicuro verso
l'obbiettivo. Neal percepiva sempre la differenza fra ordinari
modelli e personaggi famosi. Questi ultimi avevano una sicurezza in
più, una disinvoltura quasi tangibile e ciò gli piaceva. Anche lui
come Liesel amava il suo lavoro ed i soggetti sottoposti alle sue
attenzioni – a seconda del carisma – gli trasmettevano la giusta
ispirazione. Quel giorno ne aveva particolarmente.
I Kaulitz erano i
gemelli più belli che avesse mai avuto l'onore di fotografare. Ma
soprattutto possedevano quella grinta, quella sicurezza che ad altri
mancava.
“Bene, ora vorrei
farvi delle foto singole. Partiamo con Bill.” annunciò
improvvisamente, sbucato da dietro la fotocamera. “Siediti pure.”
gli suggerì ed il biondo prese posto sulla sedia scenografica
puntando lo sguardo all'obbiettivo con fare disinvolto e quasi
provocatorio. Neal realizzò una ventina di scatti fino a che non
chiamò Tom che prese il posto del fratello. Non sapeva dire chi dei
due preferisse. Entrambi avevano delle peculiarità rilevanti;
entrambi avevano un fascino fuori dal comune e doveva ammettere che
ciò non gli era indifferente. Erano il genere di modelli che
prediligeva per le sue foto e gli sarebbe piaciuto lavorare ancora
con loro. “Perfetto.” concluse. “Abbiamo finito.” annunciò
successivamente spegnendo la fotocamera. “Se attendete due minuti
le carico sul computer così ve le mostro.” Detto questo, si
diresse al tavolo seguito dai gemelli. Collegò la fotocamera al PC
ed attese pazientemente il trasferimento dei file. “Siete degli
ottimi soggetti. Mi piacerebbe fotografarvi di nuovo.” spiegò nel
frattempo.
Quando le foto furono
finalmente pronte i ragazzi si avvicinarono.
***
Aveva parcheggiato di
fronte allo studio fotografico. Come sempre aveva raggiunto Neal,
pronta per tornare a casa insieme, ma questa volta era troppo
entusiasta per attenderlo in macchina. Scese da essa e si affrettò a
salire le scale che l'avrebbero condotta da lui. Un sorriso ad
illuminarle il volto.
Erano rare quelle
giornate di pura spensieratezza e voleva inebriarsene.
Segnalò la sua
presenza alla segretaria – con la quale non aveva mai avuto un
rapporto idilliaco – e raggiunse lo studio dove trovò Neal davanti
al computer con due ragazzi, che dovevano essere i modelli del
giorno, intenti a scrutarne lo schermo.
Si avvicinò.
Neal non appena la vide
le sorrise caloroso.
“Hey, vieni.” le
intimò facendole segno con la mano. “Lei è la mia amica Liesel.”
I ragazzi sollevarono
lo sguardo su di lei e... Qualche divinità aveva voluto punirla, non
poteva esservi altra spiegazione. Quando credeva di essersi disfatta
della sfortuna, questa tornava a bussare imperterrita alla sua porta.
Perché
a me?
Quello sguardo
incredibilmente astuto, quegli occhi nocciola particolarmente vispi
erano puntati su di lei con scherno. Poteva sentire gli aghi nella
pelle.
“Gli strani casi
della vita.” fece il moro con palese e soddisfatto sarcasmo.
“Vi conoscete già?”
domandò Neal curioso spostando le pupille da uno all'altra.
“Abbiamo fatto un
interessante incontro ieri sera.” confermò Tom senza
staccarle gli occhi di dosso.
“Non mi hai chiamato
alla fine.” scrollò le spalle Liesel con supponenza. Se avesse
avuto qualsiasi problema con lei, avrebbe potuto benissimo alzare il
telefono.
“Come puoi vedere,
ero impegnato.”
Neal si schiarì la
voce portandosi nel frattempo una mano al collo.
“Non mi avevi detto
di esserti data alla pazza gioia.” le fece notare con un sorriso
misto fra l'imbarazzato ed il malizioso.
Un campanello d'allarme
prese a rimbombarle nelle orecchie facendole sgranare gli occhi.
“Ma che hai capito?!
Non ci ho fatto sesso!” si ribellò, indignata per il fatto che lo
avesse solamente insinuato. Tom e Bill si scambiarono un'occhiata
probabilmente disorientati. “Ho sfiorato la sua preziosa
auto con la mia.” spiegò con una smorfia.
“Quella macchina
costa più di te.” ribatté il ragazzo con estrema calma pungendola
nel vivo.
“Oh, immagino come ti
abbia fatto cadere in rovina. Ne avrai altre sei tutte uguali.”
“Okay, ora fermatevi
un momento.” intervenne Neal sollevando le mani. “Ci sono dei
danni?” domandò ai gemelli.
“No che non ce ne
sono.” rispose Liesel a braccia conserte picchiettando un piede
contro il pavimento.
“Non ho chiesto a
te.” borbottò il biondo.
“È segnata sul lato
destro. Dal fanale.” spiegò quindi Bill.
“Oh, come no.”
sospirò Liesel con sarcasmo. “Andiamo a vederla, allora.”
propose poi con sfida.
“Volentieri.
Concludiamo qui e scendiamo.” colse al volo Tom provocatorio.
Dopo un'ultima occhiata
truce Liesel uscì dalla stanza e prese ad attendere in corridoio,
poggiata al muro con le braccia ancora conserte. Quei due ricconi
avevano deciso di rovinarle la giornata, che aveva visto un esordio
coi fiocchi. Il suo umore era ormai guastato ed avrebbe volentieri
girato sui tacchi e tolto il disturbo. Fra tutti i modelli di Neal,
non poteva credere la sfiga avesse organizzato quel dannato incontro
proprio con loro. Non li aveva mai visti prima di allora e si chiese
come fosse possibile due volte in un giorno e mezzo.
La segretaria la
osservava con interesse ma aveva intelligentemente optato per il
silenzio. Non voleva essere costretta a lanciarle una scarpa.
Sbuffò sonoramente e
decise di abbandonare lo studio recuperando il suo prezioso pacchetto
di sigarette dalla borsa nera. Prevedeva una grossa quantità di
nicotina quel pomeriggio. Fumò seccata e piuttosto velocemente,
appena fuori l'entrata all'enorme palazzo, chiedendosi se i ragazzi
avessero piantato le radici. Aveva una dannata fretta di tornare a
casa con Neal ed affogare il viso in un piatto di pasta.
Quando finalmente
uscirono tutti e tre, gettò la sigaretta a terra espirando l'ultima
boccata di fumo.
“Allora? Fatemi
vedere questa enorme botta.” esordì con sana causticità
mentre Tom la superava dirigendosi probabilmente verso la sua
macchina. Bill fece una smorfia e seguì suo fratello.
“Riesci a non fare la
scontrosa per un secondo?” mormorò Neal al suo orecchio mentre la
affiancava.
“Viene piuttosto
facile quando hai a che fare con degli idioti.” ribatté lei senza
preoccuparsi di abbassare il tono.
Neal scosse la testa e
gettò lo sguardo al cielo forse per invocare qualche santo che
riuscisse a tapparle la bocca. Ma tutti sapevano che Liesel era
fornita di una lingua piuttosto tagliente e che nulla sarebbe stato
in grado di metterla a tacere.
Vide Tom piegarsi di
fronte alla sua auto e sfiorare con le dita ciò che secondo lui
poteva esserle recriminabile.
“Questo come lo
chiami?” domandò il ragazzo con sfida lanciandole un'occhiata
sardonica.
Liesel inarcò un
sopracciglio e si avvicinò per scrutare la zona incriminata.
Oh.
Un elefante sembrò
essersi impossessato del suo stomaco mentre un brivido di fastidio le
percorse la schiena.
“Ieri sera non
c'era.” borbottò scrutando quel dannato segno come avesse potuto
prendere vita da un momento all'altro ed assalirla. Sì, si stava
arrampicando sugli specchi.
“Sei seria?” le
domandò Bill esterrefatto.
Liesel inarcò un
sopracciglio nella sua direzione.
“Ho l'aria di una che
scherza?” ribatté. “Ieri sera non ho visto quel maledetto
graffio.”
“Ah, tu lo chiami
graffio.” sorrise Tom per nulla divertito. Liesel lo avrebbe
volentieri preso a schiaffi. “Io lo chiamo colorito
risarcimento.”
“Ora sei tu quello
che scherza.” annuì saccente la bruna. “Non hai bisogno di altri
bigliettoni.” lo stuzzicò successivamente con il disappunto di
Neal.
“La nostra situazione
economica non è cosa che ti riguarda.” precisò Bill del tutto
tranquillo con le mani nelle tasche dei jeans. “Possiamo stilare
una semplice constatazione amichevole.”
Per quanto la
tentazione di rispondergli con un soddisfacente vaffanculo
fosse tremendamente allettante, si prese qualche secondo di
riflessione. Alla fine, era vero, il danno c'era seppur piccolo.
Liesel odiava ammettere di sbagliare, aveva sempre guardato alle
scuse come una caduta di stile e piuttosto si sarebbe mangiata la
lingua. Lei ed il suo dannato orgoglio. Come poteva decidere di
divenire più elastica se quella parte di lei prevaleva su tutto?
“Tirala fuori, almeno
non vi sento più.” sbottò decisa a non dare loro soddisfazione.
Vide Tom scrutarla come
di fronte alla follia personificata.
“Certo che sei strana
forte.” commentò dandole le spalle per aprire la portiera.
Liesel attese
sospirando nervosamente con il naso. Lo odiava per aver cancellato
l'entusiasmo che l'aveva accompagnata fino a qualche minuto prima.
Lo osservò recuperare
dei moduli che poggiò sul cofano della macchina.
“Attento, si rovina.”
lo prese in giro lei guadagnandosi un'occhiata truce da parte di
entrambi i gemelli.
Neal le sferrò una
gomitata in una costola che la fece piegare appena su se stessa. Tom
a quel punto la invitò ad avvicinarsi.
“Hai una penna?” le
chiese.
“Ce l'ho io.”
intervenne Neal estraendola dal borsellino che portava in spalla.
Liesel lo fulminò.
“Potevi almeno
fingere di non averla.” lo rimbeccò strappandogliela di mano sotto
lo sguardo incredulo dei ragazzi.
Probabilmente si
domandavano da quale strano pianeta provenisse.
Sbuffando prese a
scribacchiare sul modulo tutte le informazioni richieste a partire
dalla data, l'ora ed il luogo del sinistro, le generalità dei
conducenti, le compagnie assicurative, per finire con una breve
descrizione dell'incidente.
“Vedi di scrivere
onestamente ovvero che correvi come una pazza.” le rammentò Tom al
suo fianco intento a controllare ogni parola che scriveva. Strinse le
dita attorno alla penna per evitare di infilargliela nel collo. “Hai
un cognome bulgaro, sei nata in Italia e vivi in America.” commentò
poi mentre scriveva.
“Ciò dovrebbe
rappresentare un problema?” domandò Liesel senza staccare gli
occhi e la penna dal modulo.
“Ciò spiegherebbe la
confusione che hai nel cervello.” la stuzzicò lui.
“Meglio che non mi
esprima sul tuo inglese, allora. Impiegherei tre giorni solo per
elencare il numero di volte in cui infili il tedesco fra una parola e
l'altra.”
Tom fu lì lì per
ribattere ma Neal lo precedette: “Fidati, è inutile.”
Liesel tentò di
incenerirlo con lo sguardo. Avrebbe dovuto prendere le sue difese
invece pareva aver stipulato un patto segreto col Diavolo. In quel
caso, con l'idiota che aveva di fronte.
Firmò.
“Fatto.” concluse
svogliata poggiando la penna sul cofano. “C'è altro?”
“Direi di no.” fece
soddisfatto il moro raggruppando ordinatamente le carte. “È stato
un piacere, Liesel.” aggiunse ironico con un sorriso che riuscì ad
irritare ogni cellula del suo corpo.
“Addio.” salutò
amorevolmente lei.
“Grazie per il
lavoro.” si rivolse poi a Neal, che sorrise annuendo.
“Grazie a voi.” Li
osservarono salire in macchina ed abbandonare il parcheggio pochi
secondi dopo. “Sei indescrivibile!” esclamò a quel punto Neal
mentre Liesel si dirigeva verso la sua amata Opel.
“Oh, andiamo, sono
due ricconi usciti dal nulla che cercavano solamente un pretesto per
accrescere la quantità di banconote che non sanno più dove
infilare.” ribatté la bruna salendo dal lato del conducente.
Neal si affrettò ad
affiancarla chiudendo la portiera con un tonfo secco.
“Non sono due ricconi
usciti dal nulla. Sono il cantante ed il chitarrista dei Tokio Hotel.
E tu sei stata una vera cafona nei loro confronti.”
Liesel spense
nuovamente il motore che aveva acceso da pochissimi secondi e si
voltò a scrutare il suo amico con sguardo interrogativo.
“Quei due?” domandò
con la fronte aggrottata. Neal annuì energicamente. “Non erano la
brutta copia di Bob Marley ed un porcospino?”
Ricordava Bill
decisamente più femminile con i capelli corvini sparati in aria ed
un pesante trucco nero a contornargli gli occhi. Inoltre si chiedeva
che fine avessero fatto i rasta di Tom.
“Sei davvero
perfida.” commentò Neal incredulo.
“Dai, sto
scherzando.” sorrise a quel punto lei rimettendo in moto la
macchina. “Dico solo che sono un tantino cambiati.” Ingranò la
prima e partì. “E comunque il fatto che facciano parte dei Tokio
Hotel rafforza la mia teoria: ricconi sfondati in cerca di altri
bigliettoni, il che è ancora più triste.”
Poté scorgere con la
coda dell'occhio Neal che scuoteva la testa con disappunto.
“Morirai sola.”
ribadì per l'ennesima volta.
Liesel sorrise.
“Dobbiamo fare la
spesa. Ho bisogno di dolce. Tanto dolce.”
***
Si portò alla bocca il
pasticcino ricoperto di Nutella che da minuti aveva catturato la sua
attenzione sul tavolo. Si leccò le labbra compiaciuta.
Liesel di norma teneva
alla propria forma fisica e trascorreva molte giornate in palestra
proprio per quel motivo. Eppure era anche una ragazza molto lunatica
e facilmente corruttibile davanti ad un dolce. Era uno dei suoi punti
deboli e non vi aveva ancora trovato rimedio. Fortuna voleva che non
prendesse chili grazie all'attività fisica che conduceva.
“Per quanto mangi,
non dovresti più passare dalle porte.” commentò Neal – di
fronte a lei – quasi rapito dal gusto con cui mangiava il suo
dessert, con la guancia schiacciata contro la mano. “Come fai a non
ingrassare di un etto?”
“Immagino sia culo.”
rispose lei con la bocca piena e masticante. “E poi il cioccolato è
sempre un ottimo terapeuta.”
“Non eri di
buonissimo umore?”
“Sì, finché un
guastafeste mangiacrauti non me l'ha rovinato.”
Il biondo sollevò gli
occhi al soffitto con fare scocciato.
“Ancora con questa
storia.” borbottò.
“Glielo paghi tu il
danno?” lo stuzzicò lei assottigliando gli occhi a due minuscole
fessure.
“L'hai fatto tu.”
sollevò le mani lui con indifferenza. “La prossima volta impari ad
emulare Schumacher.”
“Non è colpa mia se
Steven ha deciso di vivere in commissariato.” Neal scosse la testa
e bevve un bicchiere d'acqua. “A proposito, mi chiedo cosa abbia
combinato dopo che abbiamo litigato.” rimuginò poi pensierosa.
Il suo amico tornò a
scrutarla serio.
“Avete litigato?”
domandò con la fronte aggrottata.
“Dov'è la novità?”
ribatté lei sollevando le spalle mentre si puliva le mani con un
tovagliolo.
“Possibile che non
riesci ad instaurare un dialogo con lui?”
“Neal, ci ho provato
un'infinità di volte. Con lui non funziona e lo sai anche tu. Mi
vede sempre come la sorella maggiore che vuole imporsi come seconda
madre.” Si illuminò improvvisamente. “Cosa anche piuttosto
ridicola, visto che il ruolo di madre non mi s'addice e nemmeno mi
piace.” aggiunse con sarcasmo.
“Liesel, alla fine
tre anni di differenza non sono tanti. Prova a importi come sua pari,
magari funziona.”
“È colpa mia se mia
madre mi ha dato un cervello un tantino più sviluppato?” fece con
un sopracciglio inarcato e le braccia aperte. La risposta di Neal fu
una semplice occhiata di scherno e portò Liesel a sospirare arresa.
“Potrei anche provarci ma so già che è del tutto inutile.”
concluse per poi alzarsi dalla sedia e raccogliere i piatti dal
tavolo.
“Sai benissimo che
tuo fratello non è destinato a fare una buona fine se continua
così.” le ricordò lui con la preoccupazione nel tono di voce.
Liesel prese a lavare
le stoviglie nel lavandino.
“Grazie
dell'incoraggiamento, Neal.” fece sardonica mentre strofinava la
spugna insaponata contro un bicchiere.
Ne era perfettamente
conscia. Non voleva semplicemente ammetterlo a se stessa.
“Sono qui per dire le
cose come stanno.” Il ragazzo si alzò dalla sedia e si stiracchiò
appena. “Vado a fare un pisolino.” le disse quindi prima di
abbandonare la cucina.
Liesel sospirò.
Come poteva riuscire a
gestire Steven? Era un dannato ventenne nel bel mezzo di una crisi di
ribellione e lei, ventitreenne, era l'ultima persona in grado di
aiutarlo poiché in quanto a sanità mentale non era messa tanto
meglio.
Chiuse l'acqua e dopo
essersi asciugata le mani decise di recuperare il cellulare che aveva
lasciato in borsa. Passò in rassegna i nomi nella sua rubrica fino a
che non trovò quello di suo fratello. Seccata, se lo portò
all'orecchio in paziente attesa di una risposta.
“Che vuoi?”
le chiese senza nemmeno degnarla di un saluto.
“Buongiorno anche a
te.”
“Sto lavorando.”
borbottò lui di rimando.
Liesel gettò
un'occhiata all'orologio e si accorse che era l'una e mezza.
“Scusa se non ho
ancora studiato i tuoi orari a memoria.” cantilenò infastidita.
“Sì, beh, ora lo
sai. Mi devi dire qualcosa?”
Calma, Liesel,
si disse stringendo i denti. L'istinto di prendere ad urlargli
nell'orecchio era impossibile da ignorare.
“Volevo solo sentire
come stava mio fratello.” si sforzò di mantenere un tono pacato.
“Bene.”
rispose semplicemente lui.
“Bene.” ripeté lei
nervosa.
“Ho clienti.”
Liesel roteò gli
occhi.
“D'accordo.”
Riattaccarono senza
salutarsi, ormai era di routine. Abbandonò il telefono sul bancone
della cucina e sbuffò ricominciando a riordinare.
Liesel provava ad
essere una buona sorella e ci sarebbe anche riuscita se non avesse
avuto a che fare con un ragazzo dannatamente cocciuto con seri
problemi di droga e disciplina.
La cosa positiva di
tutto quel trambusto era che Steven godeva di un posto al Formosa
Cafè, in West Hollywood, come cameriere. Visto l'andamento delle
cose, aveva sempre fatto fatica a credere che potesse rimboccarsi le
maniche e lavorare. Erano quelle le contraddizioni di suo fratello ed
era ciò che più la faceva imbestialire. Steven non era stupido, al
contrario, era un ragazzo molto intelligente che imparava con una
certa rapidità. Si chiedeva se valesse la pena rovinarsi la vita a
quella maniera quando sapeva di poter puntare molto in alto.
L'improvviso vibrare
dell'i-phone la risvegliò dai propri pensieri. Mollò lo straccio e
riprese il cellulare.
Caffè?
Sorrise appena al
messaggio di Samantha, amica di infanzia e collega di lavoro.
Forse un caffè era ciò
di cui aveva bisogno.
Andata
***
Una chioma rossa e
riccia ondulava vistosamente avvicinandosi sempre di più. Samantha
camminava spedita nella sua direzione in pantaloncini strappati,
canotta dalla trama floreale e sandali. Sul viso un'espressione di
pura fretta.
Liesel sorrise: la
solita ritardataria.
“Lo so.” esordì la
rossa non appena le fu davanti con il fiatone. “Giuro che stavolta
ho provato ad essere puntuale. Non è proprio nel mio DNA.”
La mora ridacchiò e le
diede un paio di pacche sulla spalla.
“Tranquilla, ci ho
fatto il callo.” ribatté per poi sedersi al tavolino del bar
davanti al quale si erano date appuntamento. Avevano optato per un
posto ben illuminato dal sole così da potersi rilassare. “Non ci
siamo nemmeno incrociate oggi al lavoro.” notò spostandosi gli
occhiali da sole sulla testa così che anche i capelli le liberassero
il volto.
“Lascia perdere, sono
stata tutta la mattina chiusa in ufficio.” borbottò Samantha
mentre sistemava la borsa sulla sedia libera accanto a lei. “A
proposito, un uccellino mi ha detto che qualcuno sta per avere la sua
linea uomo.” fece con un sorriso malizioso piuttosto eloquente.
Liesel non poté fare a
meno di ricambiarlo.
“Questo uccellino ti
ha detto bene.” annuì.
“Sono davvero
contenta.” batté le mani la riccia con entusiasmo. “Almeno tu
qualche gratificazione ce l'hai.”
La mora inclinò la
testa da un lato.
“Non dire così.”
mormorò.
Sapeva quanto Samantha
si impegnasse giorno e notte per ricevere buoni responsi da Laura e
Kate, le quali avevano apprezzato molte sue creazioni, ma mai aveva
avuto anche lei la possibilità di creare una propria linea.
“È la verità.”
scrollò le spalle Samantha prima che il cameriere le raggiungesse
per le ordinazioni. “Due ginseng.” chiese. Ormai era abituata
alle scelte di Liesel. Il ragazzo annotò tutto e poi si congedò.
“Carino.” commentò quindi con sguardo compiaciuto.
Liesel scosse la testa
divertita.
“Sapevo l'avresti
detto.” commentò.
Samantha era
particolarmente famosa per i suoi colpi di fulmine. Se poteva, non ne
risparmiava nemmeno uno.
“Allora l'hai notato
anche tu.”
“Diciamo che ha un
posteriore niente male.” Risero appena. “Allora, che hai
combinato ieri?” cambiò quindi discorso.
“Non è ovvio? Ho
litigato con Max.”
Max era il fidanzato
storico di Samantha. Un trentenne con il cervello di un ventenne. A
Liesel non era mai andato più di tanto a genio benché con la sua
amica avesse trascinato quella complicata relazione per sette anni,
fra tanti tira e molla. Facendo un breve calcolo, si poteva affermare
che si lasciassero una volta ogni tre mesi circa, con un mesetto di
pausa fra una ripresa e l'altra. Quello, Maggio, era attualmente il
mese di pausa.
“Perché? Non stavate
riflettendo per l'ennesima volta?” chiese con ironia.
Samantha le scoccò
un'occhiataccia.
“So che non lo
sopporti ma potresti fingere di non farlo per un secondo?” le
propose.
“Tanto adesso non
state insieme, nemmeno tu lo sopporti. Quando fra qualche giorno
tornerete insieme tornerò a fingere di amarlo.”
“Chi ti dice che ci
torno fra qualche giorno?”
“Perché fate così
ogni santa volta. Credimi, per quanto all'inizio mi appassionassero
le vostre vicende, state diventando un po' monotoni.” Samantha
inarcò le sopracciglia divertita. “Che so, stavolta fate passere
due mesi e mezzo, per dire.” gesticolò come fosse cosa da nulla
così che la sua amica scoppiasse a ridere.
“Ecco i ginseng.”
Il cameriere aveva
fatto il suo ritorno con le tazzine e Liesel e Samantha si
scambiarono un'occhiata d'intesa mentre le loro labbra si curvavano
impercettibilmente verso l'alto.
“Grazie.” sorrisero
in coro prima che si congedasse di nuovo.
“Sì, decisamente
carino.” annuì la rossa prendendo a scuotere una bustina di
zucchero.
Il telefono di Liesel
cominciò a squillare.
“Neal.” rispose.
Non le sfuggì lo
sguardo scocciato della sua amica.
“Hey, mi sono
svegliato e non ti ho trovato.” le disse il biondo dall'altro
capo.
“Sono a prendere un
caffè con Samantha.” rispose lei preparandosi ad una serie di
insulti che ormai conosceva a memoria.
“Ah, la stronza.”
Per l'appunto.
“Chiedigli se mi ha
sognato stanotte.” fece con sadico sarcasmo la rossa.
Liesel sollevò gli
occhi al cielo limpido di Los Angeles.
Non l'avrebbero mai
finita. Per qualche assurdo motivo i due non riuscivano a respirare
la stessa aria senza punzecchiarsi. Non aveva ancora compreso quale
losca ragione li portasse a non sopportarsi a vicenda. Tutto ciò che
sapeva era che Samantha considerava Neal una donnina affetta da
perenne sindrome premestruale e lui considerava lei un inutile
essere non meglio identificato con seri problemi di autostima.
Non si era mai presa la briga di approfondire.
“Piuttosto che
sognarla mi ingoio un cactus.” commentò Neal con voce
sprezzante.
“Okay, hai bisogno?”
tagliò corto Liesel. Non aveva decisamente voglia di udire il solito
repertorio di botta e risposta che non aveva mai fine.
“Volevo dirti che
stasera non torno a casa a dormire.”
Una fitta di fastidio
le attraversò la schiena poiché il motivo poteva essere solo
Damian.
“Mmh.” mugugnò un
assenso girando nel frattempo il cucchiaino nella tazzina.
“Liesel,
tranquilla. So badare a me stesso.” fece lui con tono dolce.
“Se ti piace essere
preso per il culo...” borbottò lei.
“In tutti i sensi.”
intervenne Samantha prima di sorseggiare il suo caffè con
nonchalance.
Liesel la fulminò.
“La mandi a
cagare, per favore? O strappale tutti quei cespugli che, poverina, si
ritrova per capelli.”
“Ti trovo per cena?”
lo ignorò lei.
“Sì.”
“Allora ci vediamo
dopo, dai.”
“D'accordo.
Sputale nel caffè.”
“Ciao.” calcò
Liesel prima di chiudere la telefonata. Sospirò con frustrazione.
“Siete insopportabili, lo giuro.” bofonchiò per poi concentrarsi
finalmente sul suo ginseng.
“Che voleva?”
domandò Samantha poco interessata.
“Stasera non torna a
dormire.” rispose lei dopo aver ingoiato il liquido ormai tiepido.
“Uh, fuochi e
fiamme.” commentò la rossa. “Perfetto!” esclamò quindi
battendo una volta le mani. “Stasera uscita fra donne!” Liesel
inarcò un sopracciglio. “Si va al Red!”
“Dopo il Liquid Kitty
di ieri sera?” domandò la mora, scettica.
“Niente di meglio.”
annuì Samantha con convinzione.
Liesel ci rifletté
qualche attimo per poi scrollare le spalle.
“D'accordo.”
Sarebbe arrivata al
lavoro il giorno dopo come uno zombie senza identità. Che problema
c'era?
***
“Hobbit, ti
trovo ingrassato!”
Georg e Gustav
sorrisero divertiti al di là dello schermo, all'esclamazione di Tom,
non appena il video su Skype partì.
Bill, accanto al
chitarrista, scosse la testa.
“Come state,
ragazzi?” domandò.
“A parte il fatto che
mi manca l'idiozia di Tom?” fece Georg ironico. Tom sorrise. “Ce
la passiamo bene.”
“Ma questa barba?”
si informò Gustav, curioso.
I gemelli si toccarono
contemporaneamente il mento.
Entrambi avevano deciso
da qualche anno di ornare il proprio viso con della peluria e se Bill
ancora alternava il suo look fra barbuto e sbarbato, Tom poteva
ritenersi stabile da qualche tempo. Aveva semplicemente deciso che
con la barba si piaceva e l'aveva tenuta. A dire il vero, era sempre
piaciuta anche a Ria e per abitudine aveva smesso di rasarsi
frequentemente. Ma quelli erano dettagli irrilevanti.
“Ci dona, vero?”
commentò il moro, soddisfatto. “Ovviamente a me dona di più.”
aggiunse poi con gli occhi vispi che mai l'avevano abbandonato dalla
nascita.
“Sì, Tom.” lo
assecondò Gustav.
“Che combinate?”
domandò a quel punto il bassista.
“Una pazza
psicopatica mi è venuta addosso con la macchina.”
“Sul serio?”
“Di tipi così strani
non ne incontravo dai tempi dei concerti, credo.” commentò Bill.
“Tutto sommato, era divertente.”
“Divertente un cazzo,
mi ha rovinato la macchina.”
“Come sei esagerato.”
cantilenò il vocalist. “Ad ogni modo, abbiamo buttato giù qualche
parola.” si rivolse di nuovo a Georg e Gustav. “Più tardi vi
invio il documento così mi dite che ne pensate.”
I due annuirono.
Era incredibilmente
difficile riuscire a gestire e mandare avanti una band separata da
tutta quell'imponente distanza. Fortuna voleva che i ragazzi fossero
legati da una forza quasi estranea, che li affiatava e li smuoveva
dall'inerzia. Ma, prima di tutto, da un'amicizia fondata su basi più
che solide che difficilmente si sarebbero sgretolate.
“Qui David è una
piaga.” ridacchiò Georg. “Intrattabile.”
“A noi lo dici?
Riesce ad organizzarci la vita anche a quattordici ore di volo.”
disse Tom giocherellando nel frattempo con una penna.
Bill sollevò gli occhi
al soffitto.
“Credo che tu non
abbia ancora ben chiaro il concetto di manager.” gli fece
notare scrutandolo con attenzione.
“Comunque...” lo
ignorò il chitarrista poggiando le gambe sulla scrivania dove
sostava il computer. “Quando avete in programma di venire a Los
Angeles? Dobbiamo provare delle cose insieme.”
Georg si voltò verso
Gustav.
“Pensavamo di venire
per il mese di Giugno.” rispose il batterista.
“Bene. Ricordati il
costume, Hobbit.” sorrise Tom. Adorava stuzzicarlo ogni
minuto.
“Perché non prendi
in giro anche un po' Gustav, per una volta?” chiese il rosso,
interessato.
“Perché lui è
permaloso e tu ti presti bene.”
“Io non sono
permaloso.” obiettò il biondo.
“Come no.”
ridacchiò Bill. Poi sospirò malinconico. “Ci mancate proprio.”
***
“Ti ho detto di non
ricominciare.”
“Io non ricomincio,
Neal. Ti esprimo semplicemente ciò che mi disturba e mi preoccupa.”
Liesel batteva
nervosamente la forchetta nella scodella piena di insalata. I suoi
continui tentativi di rinsavire Neal si erano rivelati ancora una
volta un buco nell'acqua.
Ciò che non riusciva a
mandare giù era che il suo migliore amico accettasse di annullarsi
completamente per la persona che amava, pur essendo perfettamente
conscio di tutte le prese in giro costretto a subire.
Damian non avrebbe mai
rivelato al mondo intero di essere gay e, ancor di più, mai
l'avrebbe amato. Era un essere subdolo, opportunista e vuoto ed era
un concetto ancora ostico per Neal da accettare.
“Cosa ti preoccupa?
Che io possa soffrire ancora di più di quanto già non faccia?
Impossibile.” fece ironico il ragazzo dopo aver ingoiato un paio di
foglie di insalata.
“Neal, il problema è
che tu non stai guardando in faccia la realtà e stai perdendo il tuo
tempo con una persona che non merita nemmeno una tua unghia.”
“Una scopata ogni
tanto è una perdita di tempo?”
“Non è la scopata a
preoccuparmi. Sono i tuoi sentimenti.”
“Ho imparato a
conviverci senza alcun problema.”
“Invece sbagli!
Trovati un'altra persona, Neal. Prova ad innamorarti di nuovo, di
qualcuno che ti merita, che sappia tirare fuori il tuo meglio. Ma
soprattutto che non si vergogni di te.”
Neal irrigidì
visibilmente i muscoli della schiena.
“Damian non si
vergogna di me ma del fatto di essere gay.” precisò non del tutto
convinto.
“E ti sembra una
bella cosa?” sollevò un sopracciglio Liesel. Non poteva continuare
a giustificare tutti i suoi passi falsi. “Se davvero è sicuro di
ciò che è, dovrebbe urlarlo ai quattro venti, senza il minimo
vacillamento. E poi, andiamo, sai perfettamente che non ti ama e si
diverte a scopare in giro.”
“Grazie.”
“Dico la verità,
anche se ti fa male. Perché sono tua amica e desidero solamente il
meglio per te.”
Neal sollevò gli occhi
al soffitto e poi si alzò dalla sedia con un sospiro frustrato. Per
Liesel era tremendamente difficile approcciarsi a lui con quel tono e
quella brutalità ma sapeva anche che era il metodo migliore per
aprirgli gli occhi, nonostante lui si ostinasse a tenerli serrati.
Lo osservò posare la
scodella vuota nel lavandino ed aprire l'acqua. Restava in silenzio e
la bruna si chiedeva cosa la sua mente stesse elaborando. Dal suo
canto, aveva scelto di non aggiungere altro, almeno non finché non
si fosse deciso a parlare di nuovo.
Una volta sciacquato il
tutto, si asciugò le mani con il panno da cucina e si voltò nella
sua direzione.
“Al momento sto bene
così, Liesel.” mormorò anche se con una certa determinazione che
l'aveva spiazzata per un attimo. “Ho ventiquattro anni, sono in
grado di prendere le mie decisioni. Forse so di non meritare questa
persona ma ne sono innamorato. Vuoi condannarmi per questo?”
Le parlava con immensa
calma ed il cuore in mano e Liesel si era vista costretta ad ingoiare
il groppone che le si era formato in gola.
“È che hai già
sofferto tanto per la tua famiglia e –”
“Damian non mi farà
mai soffrire tanto quanto loro.” A quel punto non seppe cos'altro
aggiungere. Era vero, il vuoto che la famiglia di Neal aveva lasciato
in lui era incolmabile e sperava che nessuno potesse ferirlo ancora a
tal punto. “Ti fidi di me?” le domandò poi con un piccolo
sorriso. Liesel sospirò con il naso mentre lo osservava pensierosa
ed invasa dai dubbi. Non era sicura di tanta disinvoltura da parte
del ragazzo ma scelse di credervi per il bene della loro amicizia.
Annuì appena. “Bene.” concluse Neal, sollevato. “Vado a
prepararmi.”
La lasciò sola in
cucina con un fastidioso peso nello stomaco.
***
Luci psichedeliche,
folla sudata in movimento, musica a tutto volume. Solito scenario.
Cercò di tirare verso
il basso il vestito nero e attillato che minacciava di mostrare un
po' troppo del suo corpo. Le scarpe col tacco del medesimo colore le
facevano sfiorare il metro e ottantadue così che gli occhi più
affamati non la abbandonassero nemmeno per un secondo.
Liesel era una
contraddizione vivente. La fiducia negli uomini a dir poco
scarseggiava e l'idea di dare inizio ad una nuova storia non l'aveva
sfiorata nemmeno per errore, eppure non le dispiaceva dare
nell'occhio. Aveva sempre gradito le attenzioni maschili, nonostante
tutto, purché queste si limitassero al semplice diletto. Non era
votata al sesso di una notte ma non vi aveva mai visto nemmeno nulla
di male, se scelte le occasioni giuste. Non le accadeva spesso;
l'ultima volta risaliva a più di tre mesi prima e non ne sentiva
nemmeno il bisogno viscerale. Non aveva mai programmato nulla nella
sua vita, tanto meno il sesso. Le piaceva cogliere le occasioni al
volo ma mai andarsele a cercare.
Quella sera non
guidava. Lei e Samantha avevano optato per un comodo taxi, così da
risparmiare qualche piccola costrizione che non le avrebbe permesso
di lasciarsi andare come desiderava fare. Da un po' di tempo non era
riuscita a concedersi una nottata degna di quel nome e quella volta
aveva deciso di dedicarsi esclusivamente al divertimento, pregando
perché suo fratello non le telefonasse per l'ennesima bravata.
Si sedette al bancone,
in attesa del suo Rum e Cola, e di tanto in tanto lanciava occhiate
alla sua amica, impegnata in un corpo a corpo con un ragazzo
piuttosto carino.
Scosse la testa.
Samantha seguiva una
curiosa filosofia di vita che includeva uomini che non fossero Max
nei loro periodi di pausa. Al momento sono single, diceva
sempre per discolparsi e Liesel non si era mai spinta oltre con le
ramanzine. Anche la rossa era grande e vaccinata, quindi
perfettamente in grado di gestire la propria vita come meglio
credeva.
“Ecco a te.” udì
la voce del barista alla sua destra.
Si voltò verso di lui
e gli sorrise afferrando il suo cocktail.
“Grazie.” mormorò
prima di berne un sorso dalla cannuccia, senza mai staccargli gli
occhi di dosso. Spesso si era sentita dire di mostrarsi provocante
nelle movenze ma mai lo faceva per il puro intento di seduzione.
“Sei qui da sola?”
le domandò il ragazzo.
Doveva avere circa
venticinque anni e Liesel fu costretta ad ammettere a se stessa che
disponesse di un'alta carica erotica. I capelli biondo cenere,
scompigliati, gli occhi azzurri e le braccia tatuate avevano
provocato in lei un'attrazione non indifferente.
“Con un'amica.”
rispose dopo aver ingoiato la bevanda. “Ma pare sia impegnata.”
continuò.
Il ragazzo sorrise e
poi le allungò una mano.
“Morris.” si
presentò.
“Liesel.” Gliela
strinse senza mai spezzare il contatto visivo che si era venuto a
creare.
“Sei americana?” Lo
vide corrugare la fronte. Probabilmente i suoi lineamenti tipici
dell'est non erano passati inosservati.
“Italo-bulgara.”
Morris sollevò le
sopracciglia, sorpreso.
“Però.” commentò
compiaciuto. “Scusa un attimo.” le sorrise poi per dedicarsi ad
un altro cliente bisognoso di una Vodka Lemon. Liesel ricambiò il
sorriso e si voltò nuovamente verso Samantha – ora schiacciata fra
due ragazzi, a mo' di sandwich – e prese un altro sorso dal
bicchiere. Non appena i loro occhi entrarono in contatto, la rossa le
fece segno di raggiungerla ma Liesel scosse la testa facendole
intendere con uno sguardo di essere altrettanto impegnata con il
barista. “Dicevamo?” sentì di nuovo Morris alle sue spalle.
“Eri interessato alle
mie radici.”
“Non credo di averti
mai vista in questo locale.” notò lui assottigliando gli occhi a
due mezze lune.
“Non sei stato
attento.” fece lei, furba, cosa che lo portò a chinare la testa e
sorridere.
“Cosa fai dopo?” le
domandò quindi tornando a guardarla, del tutto sfacciato.
“Dipende.”
Morris si lasciò
scappare una lieve risata annuendo appena.
“Stacco alle
quattro.” le disse con una certa sicurezza.
“Bene.” sorrise la
mora prima di alzarsi dallo sgabello e congedarsi con un'occhiata
complice.
Si erano appena dati
appuntamento in camera da letto? Così sembrava.
Alle volte Liesel si
chiedeva da dove estrapolasse quel lato di sé così sfacciato e
disinibito. Ma, in tutta onestà, quella sera sentiva il bisogno di
un po' di sano sesso ed il candidato in questione poteva dirsi un
ottimo candidato. Era definibile una cattiva ragazza? No.
Aveva solo ventitré anni, il cuore spezzato ed era giusto che di
tanto in tanto anche lei si dedicasse ad un po' di divertimento. Una
scappatella non aveva mai ucciso nessuno.
“Max l'abbiamo
rimosso?” stuzzicò Samantha non appena le fu accanto, finalmente
libera dai due ragazzi che l'avevano tenuta impegnata sino a
quell'istante. I ricci scomposti ed uno sguardo piacevolmente
sconvolto.
“Sono single!”
esclamò la rossa continuando a scatenarsi senza mezze misure. Liesel
si lasciò andare ad una risata ed accompagnò l'amica in una
performance piuttosto sexy. Si lasciò travolgere e trascinare dal
ritmo spinto della musica house chiudendo gli occhi e
sollevando le braccia. Percepiva caldo attorno a lei e tanti corpi
che, ammassati, si muovevano senza mai allontanarsi l'uno dall'altro.
Scollegò la mente sorseggiando di tanto in tanto il suo cocktail,
ancora in mano. Percepiva l'alcol scaldarle il sangue portandola a
muoversi senza inibizioni. Adorava ballare, adorava lasciarsi andare
tra la folla, adorava la confusione che musica e gente creavano. “Tu,
incontro galante con il barman?” le urlò poi nell'orecchio
Samantha con uno sguardo che non lasciava alcun dubbio
sull'incredibile dose di malizia.
“Può darsi!”
sorrise Liesel, vaga, senza smettere di muoversi.
La serata proseguì fra
una capatina al bancone per un nuovo drink ed una in pista per dare
il meglio di sé in quanto a movenze. Un paio di due di picche a
destra e a manca ed una conclusione di serata ancora piena di
adrenalina.
Nel locale erano calati
il silenzio ed una luce soffusa, segno che la nottata era terminata.
L'orologio sul suo cellulare segnava le quattro del mattino e Liesel
si chiese come avrebbe fatto a raggiungere l'azienda con tutti i
neuroni funzionanti. Ancor di più per il fatto che la sua serata non
era ancora conclusa.
“Io vado a casa.”
disse Samantha non del tutto lucida. Il trucco aveva formato delle
macchie nere sotto i suoi occhi verdi ed un'aria sconvolta denunciava
un'incredibile voglia di gettarsi su un materasso e riposare un paio
d'ore prima che il dovere chiamasse di nuovo. “Ci vediamo fra
qualche ora.”
“A dopo.” ridacchiò
Liesel al di fuori del Red.
Osservando Samantha
salire su un taxi si accese una sigaretta, in attesa di Morris.
Espirò la prima boccata di fumo guardandosi attorno. Un gran numero
di auto stava abbandonando quella via ma il traffico non aveva smesso
di manifestare la propria presenza in strada.
Un altro motivo per
amare Los Angeles: l'incredibile vita che mai si fermava, nemmeno di
notte.
Fece cadere un po' di
cenere sull'asfalto e sospirò appena.
Udiva dei rumori alle
sue spalle ma non si voltò. Probabilmente i proprietari del locale
erano impegnati a chiudere, segno che Morris l'avrebbe finalmente
raggiunta. Per l'appunto, pochi minuti dopo si sentì toccare la
schiena.
“Scusami.” le disse
il ragazzo.
“Figurati.” rispose
Liesel gettando la sigaretta consunta a terra. Senza aggiungere
altro, seguì il ragazzo fino a che non si trovarono davanti ad una
macchina grigio-metallizzata. Sorrise non appena le aprì gentilmente
la portiera. “Sai, devo lavorare fra qualche ora.” esordì una
volta che l'auto fu messa in moto. “Spero ne valga la pena.” lo
stuzzicò quindi voltandosi nella sua direzione.
Morris sorrise
compiaciuto e sorpreso al tempo stesso di tanta sfacciataggine.
“Sei sempre così
schietta?” le domandò con un sopracciglio sollevato.
“Purtroppo o per
fortuna, sì.” annuì lei. “Destra.” annunciò poi ed il
biondino eseguì svoltando ad un incrocio. In pochi minuti
raggiunsero l'appartamento della bruna. Quando aprì la porta
risparmiò ogni onore di casa. Lanciò le chiavi sulla ribaltina e si
lasciò prendere in braccio dal barista che aveva già cominciato a
marchiarle il collo con baci voraci. “Scale.” sospirò sulle sue
labbra così che Morris potesse raggiungere la sua stanza seppur con
qualche fatica.
Il pavimento venne
cosparso disordinatamente di vestiti mentre l'aria si fece più
pesante e lussuriosa. Un fruscio di lenzuola annunciò la caduta dei
loro corpi sul letto matrimoniale e pochi preamboli anticiparono il
gemito di piacere che la gola di Liesel liberò alla loro unione.
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Capitolo 4 *** Unexpected ***
aaaaaaaaaaaa
4
Unexpected
Nel corso della sua
vita Liesel aveva avuto occasione di crearsi qualche nemico. Uno di
questi, l'emicrania.
Sollevò una palpebra e
la richiuse, accecata dalla violenta luce che aveva deciso di
oltrepassare le tende fino a ricordarle quanto vicino fosse l'arrivo
di quella mattina. Insopportabili fitte le attraversavano il cranio
rendendola molto più suscettibile di quanto già non fosse per
natura ed un peso allo stomaco la portò ad abbassare lo sguardo sul
suo addome.
Tatuaggi.
Sospirò e gettò
nuovamente la testa sul cuscino. Morris non aveva ancora tolto il
disturbo e come per magia gli eventi di quella nottata si rivelarono
incredibilmente nitidi nella sua memoria. Alle quattro avevano
abbandonato il Red, alle quattro e mezza avevano preso a rotolarsi
fra le sue candide lenzuola – poteva giurare di aver ripassato
tutto il manuale del Kamasutra, a giudicare anche dal dolore alla
schiena – ed avevano concluso alle sei del mattino. A quel punto
aveva deciso di concedersi un minimo di riposo pur consapevole di
dover presentarsi al lavoro di lì a tre ore, fresca come una rosa.
Aveva timore della
radiosveglia sul suo comodino. Ancor di più dei numeri lampeggianti
su di essa. Il sonno aveva preso il sopravvento e si era persino
dimenticata di attivare l'allarme.
Morris, al suo fianco,
respirava pesantemente. Odiava dover svegliare la gente e soprattutto
dover recitare la parte dell'amante dallo spirito libero che cacciava
di casa le sue conquiste.
“Hey.” borbottò
picchiettandogli con un dito il braccio pesantemente abbandonato sul
suo stomaco. Visto il fallimento di tale impresa, glielo scrollò con
decisione.
“Oh.” mugugnò il
ragazzo guardandosi attorno come disorientato. “Che c'è?” le
domandò quindi in un sussurro. La fronte aggrottata e gli occhi
piccoli.
“Ti avevo detto che
avrei dovuto lavorare stamattina.” lo rimbeccò Liesel mentre
sollevava un sopracciglio, piuttosto caustica. Odiava ripetersi. “Ti
conviene levare le tende.” continuò quindi liberandosi dalla sua
presa per sedersi sul materasso. Il lenzuolo le era caduto al bacino
ma non si premurò di ricoprirsi.
“Mi stai cacciando?”
ridacchiò il ragazzo sollevandosi sui gomiti per osservare meglio il
suo profilo. I capelli arruffati.
“Hai capito bene.”
sorrise con sarcasmo la bruna prima di alzarsi dal letto e recuperare
dei vestiti puliti. “Devo farmi la doccia alla velocità della
luce.” Solo in quel momento ebbe il coraggio di gettare un'occhiata
all'orologio. Si sentì quasi mancare nello scorgere un otto ed un
trentadue. “Forse no.” si corresse cercando di mantenere una
certa calma. Gli diede le spalle, per niente intimorita da quello
sguardo famelico sul suo corpo nudo, e prese a frugare fra i cassetti
della biancheria intima.
“Mi lasci il numero?”
lo udì parlare. Si immobilizzò per un attimo prima di voltarsi di
nuovo verso di lui, ora seduto sul materasso ed uno sguardo in
paziente attesa.
“Sei uno di quei
ragazzi che tampinano di telefonate?” chiese senza mezze misure.
Dapprima sorpreso da
tale domanda, si lasciò poi andare ad un sorriso.
“No.” rispose
tranquillo.
“Allora lasciami il
tuo sul comodino.” concluse lei prima di voltarsi di nuovo alla
ricerca degli slip.
“Paura delle
relazioni?” si informò Morris con tono chiaramente divertito
mentre lo sentiva trafficare con un pezzo di carta.
“Ho semplicemente
imparato a tenermi alla larga dagli uomini dopo una spiacevole
delusione amorosa.” ribatté lei, intenta ad indossare un paio di
jeans aderenti.
“Vuoi farcela
pagare?” sorrise di nuovo il biondo mentre posava un biglietto sul
suo comodino. Lo vide alzarsi dal letto e recuperare i boxer dal
fondo del materasso.
“No.” scrollò le
spalle Liesel. “Voglio solo dedicarmi un po' a me stessa ed evitare
qualsiasi coinvolgimento emotivo per risparmiarmi altri
inconvenienti.”
Morris si lasciò
andare ad un'espressione fintamente impressionata.
“Un po' drastico,
no?”
“Preferisco
previdente.”
Non voleva essere
costretta ad approfondire un sentimento di pura rabbia nei confronti
dell'intero genere maschile – escluso Neal – ad una persona di
cui non sapeva nulla se non che se la cavava eccellentemente a letto.
Erano cose private di cui solo Neal era a conoscenza e tali dovevano
rimanere.
Dopo essersi data una
sciacquata al viso e lavata i denti lo esortò ad abbandonare la sua
stanza.
Nel momento stesso in
cui scesero le scale udì forte e chiaro il rumore di una chiave che
ruotava all'interno della serratura. Prima ancora che Liesel potesse
chiedersi se fosse Neal – cosa inevitabile visto e considerato che
era l'unico ad avere una copia delle chiavi – il ragazzo fece il
suo ingresso in casa.
Trascorsero pochi
attimi di silenzio in cui i tre si scambiarono occhiate incuriosite
fino a che Neal non richiuse la porta alle sue spalle.
“Non dovevi essere al
lavoro?” domandò la bruna del tutto confusa.
“Ho un servizio solo
alle dieci e ho pensato di passare un momento a casa.” rispose
l'amico spostando lo sguardo da lei a Morris, il quale era ancora
immobile accanto alla ragazza.
Una delle tante fortune
del lavoro di Neal. Era lui a gestirsi orari, appuntamenti ed intere
giornate. Organizzare settimane di vacanza era sempre stato per lui
un gioco da ragazzi al contrario di Liesel che doveva sottostare a
chiari ordini e regole.
“Beh, io toglierei il
disturbo.” intervenne a quel punto Morris grattandosi con fare
impacciato la nuca. “Ci si vede.” disse poi a Liesel prima di
passare affianco a Neal con un semi-sorriso ed uscire di casa.
Neal, che aveva seguito
non con poco interesse ogni movimento del sedere del biondino, si
voltò nuovamente verso Liesel con espressione sorpresa e compiaciuta
al tempo stesso.
“I miei complimenti.”
esclamò posando le chiavi sulla ribaltina. “Niente male il tipo.”
Liesel fece un gesto
svogliato con la mano come la cosa non la toccasse.
“Sono in un ritardo
mostruoso.” borbottò affrettandosi a recuperare borsa e chiavi
della macchina.
“Lo sai che voglio i
dettagli più sconci a pranzo.” le ricordò il ragazzo con la
malizia negli occhi nonostante non la guardasse nemmeno.
“A dopo.” farfugliò
la bruna prima di chiudersi la porta alle spalle.
Corse lungo il vialetto
fino a salire a bordo della sua Opel.
Quelle nottate
riuscivano sempre a sconvolgerle i piani.
Mise in moto ed
abbandonò casa alla velocità della luce.
Per un momento si
chiese se Tom, Bob, come diavolo si chiamava, avesse agito
concretamente con la constatazione amichevole che era stata costretta
a compilare. Ormai aspettava la telefonata della sua assicurazione
che le ricordasse quanto odiava quei gemelli che nemmeno conosceva.
Abbandonò l'auto in
quello che nemmeno lontanamente poteva somigliare ad un parcheggio e
si affrettò a salire le scale dell'azienda.
“Hey.” mormorò
Samantha, immobile davanti all'ascensore con l'aria di chi aveva
appena fatto ritorno da una corrida. I capelli più scompigliati del
solito, le enormi borse sotto gli occhi a mezz'asta e la reattività
di un'ameba erano chiari indizi di una notte trascorsa in bianco.
“Ti trovo bene.”
fece ironica la bruna non appena la affiancò in paziente attesa.
“Non che tu sia messa
tanto meglio.” ribatté l'amica senza guardarla. “Almeno se la
cava?” le domandò poi senza mezzi termini tornando a gettarle gli
occhi stanchi addosso.
“Ne è valsa la
pena.” scrollò le spalle Liesel prima che entrambe finalmente
facessero il proprio ingresso in ascensore.
“Io mi sono trovata
Max ubriaco sotto casa.” parlò di nuovo Samantha quando le ante si
chiusero davanti ai loro sguardi.
Liesel non le chiese
nulla a riguardo. Sapeva che si erano rimessi insieme come da
copione.
Al din
dell'ascensore, uscirono incamminandosi lungo il corridoio.
“A dopo.” le disse
per poi sedersi alla scrivania. Samantha le fece un cenno con il capo
e sparì dietro l'angolo.
Con un gran sospiro si
apprestò a recuperare un foglio bianco dal cassetto ed una matita
ben temperata. Non era in grado di prevedere cosa la sua mente
potesse partorire quella mattina, soprattutto dopo la notte
movimentata, ma aveva scelto in ogni caso di fingere di essere ancora
provvista di buona volontà.
Abbozzò lo scheletro
di quello che avrebbe dovuto essere un abito da sposa ma – come
quello stesso disegno le avesse letto nel pensiero – vi sfregò una
gomma sopra, facendolo sparire.
Lei non credeva nel
matrimonio. Preferiva dire fosse una forma di allergia cui non poteva
porre rimedio. Odiava i matrimoni, odiava l'ipocrisia che vi si
nascondeva, odiava i motivi economici che spesso e volentieri
facevano da benzina. Lei non si sarebbe mai sposata, nemmeno avesse
trovato l'uomo della sua vita.
Fece una smorfia a tale
pensiero.
Ormai aveva talmente
tanto perso la fiducia nel genere maschile che anche solamente
ipotizzarlo era utopia.
L'unico matrimonio che
aveva visto funzionare – almeno per il momento – era stato quello
di sua madre e Phil. Dopo la fuga di suo padre e le corna che il suo
ex fidanzato aveva ben pensato di piantarle in testa dopo anni di
relazione apparentemente perfetta, Liesel aveva smesso di credere che
il principe azzurro arrivasse sul suo cavallo bianco. A dire il vero,
non vi aveva mai creduto nemmeno prima; aveva semplicemente
rafforzato la sua teoria. Ognuno a casa propria a dirigere la
propria vita, quello era il suo punto fermo da qualche tempo e
non l'avrebbe nemmeno modificato o cancellato per nessuno.
“Liesel?”
La voce della
segretaria, Jenna – una giovane ragazza di diciannove anni, ancora
alle prime armi in quell'ambiente – le giunse delicata alle
orecchie ricordandole di trovarsi in ufficio con un foglio ancora
bianco sotto il naso ed una matita in mano che attendeva di essere
finalmente utilizzata.
“Sì?” le rispose
gentilmente.
“Kate e Laura ti
vorrebbero nel loro studio.”
Come dopo un colpo in
testa, Liesel si alzò immediatamente dalla sedia, curiosa di sapere
quale fosse il motivo di quella chiamata. Che vi fosse qualche novità
sulla sua linea?
“Grazie.” le disse
prima di uscire dall'ufficio ed attraversare le enormi vetrate. Bussò
come sempre alla porta aperta.
“Eccoti.” sorrise
Laura. “Volevamo riferirti qualche novità che dovrebbe farti
particolarmente piacere.” Liesel – il cuore martellante – si
sedette di fronte a loro. “Prima di tutto, siamo fiere di
annunciarti che la linea uomo si farà.” Liesel si lasciò andare
ad un sorriso radioso, più eccitata che mai. “Siamo molto
soddisfatte dei tuoi lavori e troviamo che ne valga la pena.”
“Grazie.” annuì la
bruna.
“Seconda cosa.”
parlò Kate. “Essendo una nuova linea, verrà presentata con una
sfilata.” Liesel percepì un brivido lungo la schiena. “Tale
sfilata si terrà a New York.”
Oh
bontà divina.
“La data è ancora da
stabilire.” spiegò di nuovo Laura. “Ma, a grandi linee, sarà il
prossimo mese.”
Liesel era frastornata.
Stava accadendo tutto così velocemente.
“Infine...”
ricominciò Kate. “Come ben sai, da anni collaboriamo con Vogue.”
A quel nome, Liesel deglutì. “Ovviamente i capi saranno esposti
anche nella rivista con un servizio fotografico del quale si occuperà
la redazione.”
Servizio che, ne era
certa, avrebbe realizzato Neal. Già in precedenza si era impegnato
per Vogue.
“Il tuo compito è
quello di realizzare materialmente i capi da te disegnati non appena
si conosceranno i modelli per le misure necessarie.” Liesel si
chiese da dove giungesse tutta quell'improvvisa fortuna. Non poteva
credere alle proprie orecchie. “Con l'ausilio dei tuoi colleghi
ovviamente.”
“Siamo sicure che
farai un ottimo lavoro.”
Era convinta di dover
ancora metabolizzare tutto quanto ma annuì in ogni caso.
“Per ora è tutto.”
sorrise Laura. “Non appena sapremo qualcosa di più te lo
riferiremo.”
“Grazie.” ripeté
come il suo vocabolario disponesse solamente di quella parola.
Aveva da sempre
ritenuto che quando la fortuna manifestava la propria presenza – in
quei rari casi di benevolenza – la cosa migliore da fare era
prenderne atto e non guastare il tutto con inutili discorsi. Motivo
per cui si alzò dalla sedia con un semplice e lieve sorriso ad
illuminarle il volto, ora più rilassato.
***
Era stato convocato nel
prestigioso ufficio di Vogue per discutere sopra un presunto nuovo
progetto che lo riguardava da vicino. Da tempo la curiosità era
passata in secondo piano, visto e considerato che tutte le
soddisfazioni di cui potesse godere erano già state sperimentate.
Una chiamata da parte di Vogue – per un comune mortale motivo di
incredibile euforia – per lui rappresentava solamente una piacevole
routine.
La direttrice Anna
Wintour sedeva di fronte a lui con fare estremamente serio e
professionale, reduce da un lungo discorso che chiarisse a Neal il
motivo di tale colloquio.
“Un servizio per la
nuova linea uomo di Liesel Petrova?” fu la sua domanda retorica,
giusto per assicurarsi che avesse capito bene. Sorrise non appena
Anna annuì. La sua migliore amica stava ottenendo tante meritate
gratificazioni e non vedeva l'ora di tornare a casa e festeggiare con
lei. “Quindi ho libera scelta per quanto riguarda i modelli?”
“Se riuscissi a
contattare qualche personaggio televisivo sarebbe meglio.”
Un campanello d'allarme
prese a suonare nella sua testa. I suoi pensieri erano planati a
grande velocità sui gemelli Kaulitz. Aveva già avuto occasione di
riferire loro che li avrebbe volentieri sottoposti ad un nuovo
servizio poiché tremendamente fotogenici ed affascinanti. Sembrava
l'occasione perfetta nonostante sapesse che Liesel non avrebbe
esitato a tagliargli la testa.
“Perfetto.” annuì
convinto.
***
Era decisamente
abituato alla bizzarria che lo caratterizzava da ventiquattro anni ma
quando si rese conto di aver dormito in bagno qualcosa gli disse che
questa si era ulteriormente evoluta.
I muscoli della schiena
– poggiata da tutta la notte al freddo muro in piastrelle bianche –
gridavano aiuto indolenziti ed un mal di testa lacerante lo stava
dilaniando. Era stato il suo cellulare, ancora nella tasca dei jeans,
a svegliarlo. L'improvvisa vibrazione alla gamba l'aveva fatto
sobbalzare riportandolo alla realtà con una velocità inaudita.
Doveva ancora regolarizzare il battito accelerato del suo cuore,
vittima di uno spavento.
Con un grande sospiro
si sfregò gli occhi appesantiti dal sonno per poi recuperare
l'oggetto malefico che ancora squillava imperterrito. Aggrottò la
fronte quando lesse il nome di David sullo schermo.
“Pronto.” borbottò
sfregandosi il viso quasi con disperazione.
“Considerata la
tua bellissima voce mattutina, deduco abbiate fatto baldoria ieri
sera.”
Considerato il mio
risveglio in bagno, direi lo stesso. Fu solamente un tacito
pensiero che si guardò bene dal pronunciare. David era di larghe
vedute ma quella mattina non aveva decisamente voglia di dare
spiegazioni.
“Che cazzo di ore
sono?” mugugnò guardandosi attorno come potesse trovare un
orologio, completamente dimentico di avere il cellulare a portata di
mano.
“Da voi è
mezzogiorno.”
Tom inarcò un
sopracciglio. Credeva fosse ancora l'alba.
“Quindi lì sono
le...” fece una smorfia mentre si sforzava di mettere in moto il
cervello e aggiungere un dannato nove al dodici. In quel momento
sembrava la cosa più difficile del mondo.
“Le nove di sera,
Tom.” gli venne in contro il manager.
“Giusto.” mormorò
il chitarrista per poi aggrapparsi con una mano al lavello nella vana
impresa di alzarsi dal pavimento decisamente poco comodo per la sua
schiena.
Una volta in piedi –
non senza qualche barcollio – si diede un'occhiata allo specchio. I
capelli erano raggruppati in una coda ormai sfatta e ciocche nere gli
cadevano davanti agli occhi completamente arruffate. Il viso segnato
da profonde occhiaie bluastre fu un futile dettaglio se paragonato
all'aria sbattuta che lo avvolgeva.
“Se ti parlo di
lavoro, riesci a capire?” gli domandò con chiaro sarcasmo
David portandolo a fare un'altra smorfia.
“Ci provo.”
Poggiò il cellulare
sul ripiano accanto al lavandino ed attivò il viva-voce. Aprì il
rubinetto dell'acqua.
“Dunque, mi ha...
Stai facendo pipì?”
Tom sollevò gli occhi
al soffitto con fare disperato.
“Mi sto lavando la
faccia, David.” bofonchiò prima di rinfrescarsi finalmente il
viso.
“Dicevo...”
si schiarì la voce il manager. “Mi ha chiamato Neal Evans.”
Per quanto si sforzasse
di ricordare, quel nome proprio non voleva trovare un'identità nella
sua memoria.
“Ricordami chi è.”
disse per poi nascondere il volto bagnato in un asciugamano.
“Il fotografo.”
Il moro si illuminò, ora conscio. L'amico della teppista,
ricordò la sua mente. “Mi ha detto che gli siete piaciuti
particolarmente e vorrebbe fotografarvi di nuovo.”
“Sì, ce l'aveva già
detto.” confermò mentre spremeva un po' di dentifricio sullo
spazzolino.
“Vi ha detto anche
che vi vorrebbe per Vogue?”
Tom immobilizzò lo
spazzolino a mezz'aria, sorpreso.
“No, questo gli è
sfuggito.” fece poi prendendo a spazzolarsi i denti con vigore.
“Beh pare che
Vogue voglia lanciare la nuova linea uomo, di marchio Rodarte, di una
certa Liesel Petrova e –”
Tom sputò
immediatamente la schiuma nel lavabo.
“Di chi?” domandò
confuso. Aveva sentito bene?
“Liesel Petrova.”
ripeté il manager pazientemente.
Si lasciò scappare un
sorrisetto scuotendo appena la testa.
L'ironia della
sorte. Non immaginava che quella pazza psicopatica fosse una
stilista e anche di alto livello. L'avrebbe vista meglio come pilota
di auto da corsa o qualcosa di simile.
Si sciacquò la bocca
con il getto d'acqua e chiuse il rubinetto. Una volta che anche le
mani furono perfettamente asciutte, recuperò il telefono e disattivò
il viva-voce.
“La conosco.” si
limitò a dire. “È quella che mi ha distrutto la macchina.”
decise di enfatizzare.
“Bene.”
esclamò ironico l'uomo. “Mi sembra un ottimo inizio.” Tom
borbottò un qualcosa che nemmeno lui seppe decifrare. “Ad ogni
modo, ti lascio il numero di telefono di Neal così potete parlarne e
mettervi d'accordo. Secondo me è una bellissima occasione per
apparire di nuovo dopo DSDS, almeno in parte.” Tom annuì
pensieroso, come David lo potesse vedere. Effettivamente da quando
lui e Bill avevano deciso di trasferirsi a Los Angeles e prendersi un
periodo piuttosto lungo di pausa, la notorietà era per forza di cose
andata a calare. Nonostante tutto, l'affetto di gran parte delle loro
fiduciose fan era rimasto immutato, motivo per cui provavano un gran
sentimento di gratitudine nei loro confronti ed una voglia di non
deluderle che non erano nemmeno in grado di quantificare. Forse
apparire in un servizio fotografico – per Vogue oltretutto –
sarebbe stato un modo per dire 'Siamo ancora vivi e stiamo lavorando
per voi, abbiate fiducia'. “Comunque ora ti lascio al tuo
traumatico risveglio. Fatemi sapere tutto, d'accordo?” continuò
David.
“Sì.” confermò
lui.
“Ciao, Tom.”
Chiuse la telefonata e
fece un sospiro di circostanza. Aveva bisogno di una bella doccia
rinfrescante ma prima di soddisfare i suoi bisogni uscì dal bagno
per dirigersi verso la stanza di suo fratello. Fece il proprio
ingresso come sempre senza bussare – non che avesse mai
rappresentato un problema – e riducendo gli occhi a due mezzelune
cercò di farsi strada nell'oscurità. Riconobbe il tasto della
tapparella automatica e non esitò nel pigiarlo così che qualche
raggio di luce illuminasse la stanza a soqquadro.
Non riuscì a
trattenere una risata nel mettere a fuoco la figura del vocalist
davanti a sé. Bill dormiva di sasso, steso con la pancia sul
materasso, goffamente abbracciato ad un ammasso di morbidi cuscini ed
un rivolo di bava – ormai asciutta – a tracciare uno strano
percorso dalla bocca alla federa. Tutto nella norma se non fosse
stato completamente nudo – il suo prezioso e roseo sedere all'aria
a testimoniare.
Soffocando un attacco
di ridarella improvviso, prese a punzecchiargli l'indice contro una
natica.
“Bill.” lo chiamò.
Il fratello non reagì. “Bill?” ripeté pazientemente, ora
scuotendolo dalla spalla. Se non fosse stato per il suo pesante
respiro, si sarebbe fatto prendere dal panico credendolo morto.
“Bill!” urlò quella volta, persa la pazienza, e sorrise nel
constatare che aveva funzionato.
Il biondo sollevò di
scatto la testa prendendo a guardarsi attorno con occhi piccoli.
“Che succede?”
domandò spaurito.
“Ti hanno stuprato o
hai deciso di far prendere un po' d'aria al culo?” sollevò un
sopracciglio con sarcasmo il chitarrista godendosi quella fantastica
scena di suo fratello che cercava di ricreare un contatto con la
realtà.
“Cosa vai
blaterando?” mugugnò il vocalist mentre si stiracchiava appena con
la faccia nascosta nel cuscino. “Fammi dormire, cazzo.”
“È mezzogiorno e ha
chiamato David, direi che faresti meglio ad alzarti.”
“Che voleva David?”
si informò il gemello senza sollevare il viso e rendendo in questo
modo la sua voce ovattata.
“Te lo dico quando ti
degni di sollevare quelle tue preziosissime chiappe dal letto. Per
quanto possa eccitare molte ragazze l'idea di vederti completamente
nudo, io preferivo vivere nell'ignoranza.”
Bill finalmente sollevò
il viso dal cuscino e con la fronte aggrottata si voltò in direzione
del suo didietro.
“Dove cazzo sono le
mie mutande?” domandò esterrefatto.
“Mi aspettavo che
almeno tu lo sapessi.” commentò Tom ironico. Sbuffando sonoramente
Bill si mise a sedere, questa volta in direzione di suo fratello che
inorridì alla vista dei suoi gioielli di famiglia all'aria.
“Diamine, fratello! Copriti!”
“Come non avessimo
mai fatto docce insieme.” borbottò Bill coprendosi il bacino con
il lenzuolo.
“Avevamo cinque
anni.” ribatté il chitarrista. “Ad ogni modo, mi ha dato il
numero di Neal, il fotografo.”
“Perché?” domandò
confuso il biondo mentre si sfregava un occhio. “Avevo capito che
avesse tendenze omosessuali ma che addirittura David gli desse –”
“È per lavoro,
idiota.” lo interruppe il moro dopo aver sollevato gli occhi al
soffitto con fare sconfortato. “Ci vuole per Vogue.”
Lo sguardo di Bill si
illuminò di pura sorpresa ed eccitazione, esattamente come Tom aveva
previsto.
“Così suona già
diversamente.” commentò interessato.
“Gli serviamo come
modelli per una nuova linea uomo Rodarte.”
“Adoro Rodarte!”
esclamò Bill entusiasta.
“Sì e scommetto che
adorerai anche colei che ha ideato questa linea.” sorrise
ambiguamente il chitarrista. Allo sguardo accigliato del fratello,
decise di chiarire. “La pazza psicopatica, attentatrice di auto.”
Il biondo lo scrutò
per qualche attimo, basito.
“Sei serio?”
domandò come un pesce in un acquario.
“Come la morte.”
“E da quando fa la
stilista?”
“Pare da sempre.”
Sospirò appena. “Comunque, alzati e cerca di riprenderti, sei
orribile stamattina. Così chiamiamo questo Neal per metterci
d'accordo.”
***
“Ma che cosa ti devo
dire?! Se la cava!”
Sbuffò per l'ennesima
volta mentre si apprestava a mescolare la pasta intenta a cuocersi
nell'acqua sotto le domande del tutto indiscrete del suo migliore
amico circa le doti fisiche ed il talento sessuale di Morris.
“Tutto qui? Non vai
mai con uno che se la cava e basta.” commentò con malcelata
malizia il biondo, alle sue spalle.
“Se la cava
egregiamente, contento?”
“No.” sorrise Neal
per poi affiancarla. “Voglio i dettagli.”
“Tu stai male.”
“E dai! Io ti
racconto i miei!”
“Ma non ti ho mai
chiesto di farlo!”
“Non ti sei mai
tappata le orecchie però.” Liesel sospirò affranta. “Mi
sembrava ben messo fisicamente, no?”
“A cosa ti
riferisci?”
“Solo al fisico in
generale, porcellina.”
“Io sarei la
porcellina?!” Lei e Neal avevano sempre condiviso tutto nella loro
vita, senza alcun tipo di tabù. Eppure riteneva esistessero ancora
quelle poche cose che preferiva mantenere private poiché ormai
scarseggiavano. Neal sapeva tutto della sua esistenza – non che
questo le dispiacesse – e voleva che almeno la sua vita sessuale –
quel poco che le era rimasto di privato – rimanesse tale. Il che
era piuttosto retorico dato che, in ogni caso, il ragazzo sapeva
sempre quando e con chi faceva sesso. “Comunque sì, era ben
messo.”
“Ora tu a cosa
ti riferisci?” fece il ragazzo furbescamente.
“Neal, giuro che ti
infilo il mestolo nel culo.” lo minacciò stringendolo in mano
mentre continuava a girare la pasta.
“Adoro la tua
finezza.” la prese in giro lui. “E poi, potrebbe essere
piacevole.” aggiunse con malizia sotto il suo sguardo quasi
scioccato.
L'improvvisa suoneria
del cellulare di Neal interruppe quell'infinito botta e risposta.
“Dio ti ringrazio!”
esclamò la mora, finalmente libera dalle grinfie dell'amico.
“Non credere,
continuiamo dopo. Pronto?” rispose senza abbandonare la cucina.
“Ah, ciao, Tom!” Liesel mollò immediatamente il mestolo e si
avvicinò a Neal con aria sospettosa. “Sì, ho sentito il tuo
manager stamattina.” sorrise il ragazzo mentre la mora lo scrutava
sempre più minacciosa. Cosa diamine stava confabulando con
quell'idiota? Liesel cominciò a gesticolare e sbracciarsi con
l'intento di fargli inserire il viva-voce scatenando così l'ilarità
di Neal, cosa che la innervosì ancora di più. Solamente il fatto
che il riccone avesse il suo numero di telefono era qualcosa da
dimenticare ed anche con una certa urgenza. Da quando erano entrati
così in confidenza? Perché aveva il suo numero? Perché gli aveva
telefonato? “Ah, bene!” annuì Neal con fare inspiegabilmente
soddisfatto.
Liesel provò ad
attaccare il proprio orecchio al suo cellulare – con l'intento di
udire una semplice parola che potesse farle comprendere di cosa
stessero blaterando – ma Neal si allontanò.
“Neal, che cazzo!”
sbatté un piede per terra la ragazza, terribilmente curiosa.
“Sì.” continuò ad
ignorarla l'amico. “No, lei ancora non lo sa.” sorrise poi con
malizia nella sua direzione.
Se Liesel fosse stata
in possesso di antenne, si sarebbero drizzate immediatamente.
“Che cosa non so? Che
cazzo non so?!” esclamò velocemente questa volta ad alta voce
senza preoccuparsi del fatto che la potesse udire il chitarrista.
Cominciava seriamente a preoccuparsi. “Neal, passami l'idiota!”
“Sì, è qui.”
ridacchiò il biondo cercando di sfuggire dai suoi inutili tentativi
di afferrargli il cellulare.
“Neal, giuro sul mio
lavoro che se non mi dai immediatamente il telefono ti ritroverai le
valigie fuori di casa!”
“No, non ha il ciclo.
È così da ventitré anni.”
“Mi prendete anche
per il culo?! Vado a farti le valigie!” sbraitò infine facendo per
uscire dalla cucina. “Neal, sto andando!” lo minacciò ancora una
volta sotto le risate dell'amico.
“D'accordo, te lo
passo!” si arrese il biondo con disperazione. “Scusala.”
mormorò ancora a Tom prima che Liesel gli strappasse il telefono di
mano.
“Senti tu,
mangiacrauti che non sei altro, che diavolo state confabulando alle
mie spalle?” parlò senza nemmeno riflettere sotto lo sguardo
contrariato di Neal.
“Ti svegli sempre
così di buonumore, Bulgaria?” le domandò il ragazzo
dall'altro capo del telefono.
“Per tua sfortuna,
sì. Allora?” insistette battendo un piede a terra in un ritmo per
niente musicale e con evidente impazienza. Si sentiva particolarmente
irritata, ancor di più se presa in giro.
“Puoi fartelo
spiegare tranquillamente da Neal.” ribatté placidamente il moro.
Poteva sentire il fumo uscire dalle orecchie. “Indizio: c'entrano
le tue preziose manine.”
Liesel sgranò gli
occhi, rossa dalla rabbia. Si voltò con sguardo assassino verso Neal
– che indietreggiò spaventato – e fece qualche passo
intimidatorio nella sua direzione.
“Che gli hai
promesso, brutto stronzo pervertito?!” urlò livida sotto lo
sguardo esterrefatto del biondo.
“Eh?” sollevò un
sopracciglio questo come non avesse la minima idea di cosa stesse
parlando.
“Calma i bollori,
Italia. Non è niente di sessuale, non sono così disperato.”
sentì parlare di nuovo Tom dall'altra parte.
“Cosa vorresti
insinuare?”
“Assolutamente
nulla. Ora mi passi di nuovo il tuo amico così ci mettiamo
d'accordo sulle ultime cose?”
Liesel sbatté il
cellulare sul petto di Neal – che riuscì ad afferrarlo al volo –
e gli diede nuovamente le spalle per tornare ad occuparsi della pasta
ormai scotta. Interamente incollata, immaginava fosse immangiabile.
Era decisamente curiosa
di sapere che razza di scherzo di discutibilissimo gusto le stesse
organizzando Neal. Il fatto che non l'avesse nemmeno interpellata la
mandava in bestia.
Decise di tapparsi le
orecchie, anche se figuratamente, e smettere di ascoltare quella
conversazione poiché avrebbe solamente alimentato il suo nervosismo.
Chi si credeva di
essere quella rockstar viziata? Odiava le rockstar, odiava i ricconi
e odiava gli uomini. Ironia della sorte, Tom rientrava perfettamente
in tutte e tre le categorie, incluso suo fratello. Dopo lo scherzo
della macchina, l'ultima cosa che avrebbe voluto fare era risentire
la sua voce così dannatamente irritante. Non aveva mai incontrato
quei due prima di allora, come poteva essere possibile che in un paio
di giorni fossero entrati così prepotentemente nella sua esistenza
quasi perfetta? Meno li voleva, più questi in un modo o nell'altro
si ripresentavano.
“D'accordo. Ciao,
Tom.” Neal chiuse la telefonata. Liesel gli dava ancora le spalle.
Scolò la pasta – o meglio, l'ammasso incollato di presunto cibo –
con fare seccato. “Rompipalle.” lo sentì parlare con quella che
doveva essere un'aria divertita in volto.
“Non ti aspettare che
ti parli.” ribatté la mora continuando a trafficare sul bancone,
intenta ad impiattare quel fallimento culinario.
“L'hai appena fatto.”
le fece notare lui. Liesel tacque, nervosa. “Se ci sediamo a tavola
ti spiego tutto con calma. Sono sicuro che non ti dispiacerà, anzi.”
“Mi stai diventando
amico per la pelle dei ricconi?” sbottò acidamente la bruna
dirigendosi nel frattempo al tavolo dove posò malamente i piatti.
“Sempre a trarre
conclusioni affrettate.” sorrise il ragazzo mentre le si sedeva di
fronte. “E poi ti ho già detto che sono persone piacevoli.”
“Non ho dubbi.”
fece una smorfia scettica lei cercando di districare con la forchetta
i dannati spaghetti che non volevano saperne di staccarsi l'uno
dall'altro. “Per colpa di quell'idiota mi si è anche scotta la
pasta.” sbuffò contrariata.
“Quanto la fai nera.”
la prese in giro Neal per poi portarsi alla bocca la prima
forchettata. “Comunque...” fece masticando. Attese di ingoiare e
riprese a parlare. “Ho contattato il manager dei gemelli per te.”
“Che pensiero
carino.” fece con sadico sarcasmo Liesel senza guardarlo mentre
continuava a combattere con la pasta.
“Vogue mi ha
assegnato il servizio fotografico per la tua linea.” A ciò, la
ragazza sollevò appena lo sguardo su di lui. “Mi è stato detto di
cercare personaggi televisivi e per quanto loro ti possano
infastidire, sono i migliori che io abbia mai fotografato. Sono
perfetti per lanciare la tua linea. Vuoi che tu non ne guadagni dalla
loro notorietà? Non ci hai nemmeno pensato per un momento.” Liesel
si morse un labbro. “Sono il tuo migliore amico, ormai dovresti
sapere che non faccio nulla per darti contro ma che cerco sempre di
trovare il meglio per te. E sei incredibilmente stronza a pensare che
io l'abbia fatto per dispetto.”
Era vero, l'aveva
pensato. Ma non per mancanza di fiducia.
Era già successo che
Neal in passato la ponesse di fronte a ciò che più la infastidiva
per farla ricredere; quel giorno aveva pensato avesse tentato di fare
lo stesso. Era un ragazzo bizzarro, investito da improvvise idee
spesso discutibili. Doveva dargliene atto.
Liesel distese il volto
in un piccolo ed ironico sorriso.
“Lo sai che io e la
stronzaggine non viaggiamo mai separate.” cercò di sdrammatizzare.
Vide Neal lasciarsi
andare ad una smorfia divertita.
“Lo so, purtroppo.”
borbottò. “Ce la farai a collaborare con i ragazzi senza
ucciderli?”
Liesel sospirò appena.
“Tenterò il
mio meglio.” commentò ricevendo uno sguardo di rimprovero
dall'amico. “Lavorare con loro non significa farmeli piacere per
forza.” si giustificò con una scrollata di spalle.
“Sei prevenuta.
Nemmeno li conosci.”
“Due rockstar che si
fanno pagare per un graffietto alla macchina hanno già detto tutto.”
Neal prese a scuotere
la testa con un sospiro stremato.
“Fossilizzata sulle
sue idee.” borbottò facendola sorridere.
***
“Io continuo a
pensare che quella sia completamente pazza.” commentò Tom subito
dopo aver riattaccato.
Aveva avuto occasione
di incontrare nella sua vita gente poco normale, bizzarra, folle e
quant'altro. Eppure mai aveva rasentato livelli di nevrosi talmente
elevati. Gli sembrò di sopravvivere a quella telefonata come un
militare alla guerra. La parlantina della ragazza l'aveva non poco
sorpreso.
“Perché?” chiese
Bill senza guardarlo, troppo interessato a risolvere qualche strano
rompicapo sul suo i-phone.
“Ha cominciato a
sbraitare prima ancora di sapere di che diamine stessimo parlando io
e Neal.” gesticolò il chitarrista sedendoglisi di fronte, dalla
parte opposta del tavolo.
“Beh, per lei sei il
riccone che le ha fatto sganciare i soldi per un risarcimento.”
sollevò le spalle il vocalist con fare ovvio.
Sì, ma lei era la
psicopatica che gli aveva rovinato la macchina!
“Sì, risarcimento
che mai è avvenuto, peraltro.” commentò scettico il moro
picchiettando nel frattempo le dita sul tavolo.
“Questo lei non lo
sa.”
“Avrei potuto fare lo
stronzo e portare la constatazione amichevole all'assicurazione.
Anzi, sto cominciando a pentirmi di non averlo fatto.”
“Lascia perdere, che
ti importa?”
Sospirò pesantemente e
decise di alzarsi di nuovo.
“Vado a farmi la
doccia.” annunciò per poi salire di corsa le scale.
Al diavolo quella
pazza.
***
Cene di famiglia.
Avesse potuto depennarle dalla storia, l'avrebbe sicuramente fatto.
Non che avesse particolari problemi nel vedere sua madre o Phil o suo
fratello Steven. Il vero problema era vederli insieme, o meglio,
vedere Steven fremere per andarsene con i suoi amici, Phil
osservarlo con la delusione negli occhi e sua madre agitata per la
sua prossima mossa. Non era esattamente ciò cui più avrebbe voluto
assistere quella sera, dato che di gatte da pelare già ne aveva e
portavano il nome di Bill e Tom Kaulitz.
Due dannatissime
gatte da pelare.
Sbuffava, intenta a
frugare nel suo enorme armadio sperando di trovarvi qualcosa di
adeguato per una cena di famiglia – non che le avessero mai fatto
storie riguardo il suo vestiario – che non comprendesse minigonne o
maglie trasparenti. Alla fine optò per un vestitino dalle tinte
floreali ed un paio di sandali bianchi ai piedi. I lunghi capelli
castani furono raggruppati in una crocchia scomposta e gli occhi
colorati con dell'ombretto marroncino, una sottilissima linea
d'eye-liner e mascara.
Poteva andare.
Si affrettò a
raggiungere il bagno dove sapeva Neal si stesse preparando. Pur
essendo un uomo, impiegava il doppio del tempo che poteva impiegare
lei, il che era piuttosto inquietante.
Aprì la porta senza
troppi preamboli.
Davanti a lei il
ragazzo sobbalzò lasciando cadere a terra il rasoio con il quale era
intento a tagliarsi la barba per poi fulminarla con lo sguardo.
“Prego, entra pure.”
borbottò sarcastico mentre si piegava per recuperare ciò che aveva
involontariamente gettato con il viso per metà ancora coperto da
schiuma bianca.
“È una cosa
necessaria?” domandò Liesel picchiettando un piede contro il
pavimento.
“Sì se non voglio
dare l'impressione di un barbone.” rispose semplicemente lui senza
staccare lo sguardo dallo specchio, troppo impegnato a radersi per
prestarle reale attenzione.
“No, intendo questa
cena.”
Gli occhi dell'amico
finalmente la sfiorarono con espressione corrucciata.
Quella sera si sentiva
particolarmente in ansia. Non era la prima volta che Steven finiva in
commissariato ma non si erano mai più parlati da allora, se non
nella mezza telefonata del giorno prima durante la quale l'aveva
liquidata in nemmeno due minuti con la scusa del lavoro. Sapeva che
avrebbe regnato la tensione – come sempre – in quella tavola.
“Perché no? È la
tua famiglia.” rispose Neal con un'alzata di spalle prima di
tornare a rimirarsi allo specchio.
“Una famiglia
particolare.” commentò lei incrociando le braccia al petto.
“Solo per tuo
fratello. Tua madre e Phil sono le persone più piacevoli che io
conosca.”
“Sì, lo so.”
“E allora qual è il
problema?”
Liesel sbuffò
agitandosi appena.
“Non voglio che cali
il silenzio a tavola. È una cosa che odio.”
“Tutto qui?”
sorrise Neal. “Se è per questo, sfodererò la mia inimitabile
logorrea. Non sentirai nemmeno l'odore di punti morti. E sai che è
vero.” Sì, sapeva quanto instancabile potesse essere il biondo se
preso da uno dei suoi attacchi di logorrea acuta ma il problema era
ben diverso. Sentiva che quella serata sarebbe inevitabilmente stata
rovinata da suo fratello. “Senti, Liesel, se è Steven il problema,
cerca di non pensarci. Sappiamo tutti com'è fatto. È un ragazzo
difficile e ribelle e ormai ci si può aspettare di tutto da lui.
L'unica cosa che puoi fare è ignorare qualsiasi cosa negativa faccia
stasera. Pensa solo a passare un po' di tempo con tua mamma, ne avete
bisogno entrambe.”
Annuì.
Neal aveva ragione ma
Liesel non era per natura in grado di passare sopra alle
problematiche. Lei era quella che ribatteva, era quella che non
ingoiava le provocazioni o stava zitta di fronte a tutto ciò che non
le andasse a genio. Era un carattere esuberante, dinamico, istintivo
e fin troppo sincero. L'autocontrollo non sapeva nemmeno cosa fosse,
come aveva già avuto modo di dimostrare in non poche occasioni.
Quando finalmente Neal
si reputò presentabile, abbandonarono casa e salirono in auto.
Durante la guida,
Liesel prese a pensare alla serata che Neal aveva passato con Damian
e benché la voglia di sentir parlare dell'idiozia formato persona
fosse pari a zero, la curiosità aveva scelto come sempre di
prevalere.
“Non mi hai
raccontato com'è andata con Damian alla fine.” parlò
all'improvviso dopo aver abbassato di qualche tacca il volume della
radio precedentemente accesa.
“Ti interessa sul
serio saperlo?” le domandò Neal in tutta tranquillità ma non
abbastanza perché Liesel non se ne risentisse.
“Certo che mi
interessa, sei il mio migliore amico.”
“Non volevo
offenderti. È che so che non ti piace quindi se preferissi non
sentirne parlare non sarebbe strano, anzi.”
“Invece ne voglio
sentire parlare se riguarda te.”
“D'accordo.” Si
schiarì la voce. “Abbiamo avuto una discussione.” Liesel
aggrottò la fronte e si voltò per un secondo verso il biondo prima
di tornare a concentrarsi sulla strada. “Diciamo che il tuo
discorso sul fatto di nascondersi mi ha fatto un po' riflettere così
ho avuto la geniale idea di farglielo notare.”
“Immagino la sua
reazione.” borbottò la bruna in una smorfia.
“La solita, insomma.
Io sono un modello, sono una persona nota, ho una certa
reputazione da difendere, sai cosa la società pensi dei gay al
giorno d'oggi... Sul serio, nulla di nuovo.” concluse Neal con
un sospiro frustrato.
Liesel percepì le mani
prudere. Se solo quel ragazzo si fosse accorto di quale incredibile
opportunità si stesse lasciando sfuggire. Aveva sempre sostenuto che
chiunque si fosse lasciato scappare Neal sarebbe stato un grandissimo
idiota. Lei per prima, se non fosse stato gay, l'avrebbe tenuto
stretto a sé – motivo per cui si reputava decisamente fortunata ad
averlo come amico.
“E com'è andata a
finire?” si informò di nuovo senza guardarlo.
“Secondo te? Con il
sesso.”
Tipico.
Scosse la testa
contrariata. Non ne sarebbero mai venuti a capo.
“Non potete
continuare a soffocare tutti i problemi nel sesso. Dovete parlare,
cazzo.”
“Fosse stato per me,
li avremmo già risolti da un bel pezzo di fronte ad una tazza di
tè.”
Liesel sospirò appena.
“È ingiusto, Neal.”
mormorò dopo qualche attimo.
“Ci risiamo.”
“Sì, ci risiamo e
penso che non la smetterò fino a che non ti renderai conto
dell'enorme stronzata che stai facendo.”
“Vogliamo elencare le
tue, di stronzate?”
“No, troppo
complicato.” Calò per qualche secondo il silenzio fino a che
entrambi non si lasciarono andare ad una piccola risata. “Sei uno
stronzo.”
“Lo so.”
***
“Tesoro.” sorrise
sua madre Mara – nel suo tenero accento italiano – non appena la
porta di casa venne aperta.
“Ciao, mamma.”
ricambiò Liesel lasciandosi stringere dalla donna.
Doveva ammettere che,
da quando aveva deciso di fare le valigie e cercare una casa tutta
sua, le loro tipiche chiacchierate madre-figlia di tanto in tanto le
mancavano. Ricordava i tempi del liceo, quando tornava a casa dopo
una giornata burrascosa – la scuola non le era mai andata a genio
e, per un motivo o per un altro, la sua antipatia nei confronti dei
professori veniva spesso ricambiata – e sua madre era pronta con un
bel piatto di pasta all'italiana che sapeva l'avrebbe tirata su di
morale, seguita da una lunga chiacchierata intrisa di risate ma
soprattutto tanta comprensione.
Sua madre era l'unica
persona cui avesse mai fatto affidamento nella vita. Forse perché
l'aveva cresciuta in completa solitudine per i primi tre anni. Erano
legate da qualcosa di viscerale.
“Neal, tesoro.”
Abbracciò il ragazzo
con lo stesso calore con il quale aveva accolto lei.
Anche Phil fece la sua
comparsa con un grande sorriso. Guardandolo si poteva facilmente
intuire da chi Steven avesse preso esteticamente. Erano due gocce
d'acqua. Stessi capelli color castano chiaro, stessi occhi del
medesimo colore, un corpo snello e muscoloso ed una buona altezza. Al
contrario, la somiglianza fra Liesel e Steven pareva inesistente.
Il ragazzo fece poco
dopo il suo ingresso in cucina dove tutto era già pronto a tavola.
“Ciao, Neal.” fece
senza troppo entusiasmo per poi fare un cenno alla sorella con il
capo.
Nulla di nuovo. Con un
po' di pazienza e sangue freddo sarebbe giunta illesa alla fine di
quella serata.
Un delizioso profumo le
invase le narici quasi stordendola.
Il lato positivo di
quelle cene era la cucina italiana, nonostante Phil fosse capocuoco
del Providence specializzato in pesce. Liesel aveva appreso qualche
ricetta passatale generosamente dalla madre ma il mondo era ormai al
corrente di quanto impedita fosse dal punto di vista culinario e, per
tale ragione, mangiare qualcosa di preparato da Mara era senza dubbio
più soddisfacente dei suoi esperimenti spesso pericolosi. L'unico
munito di coraggio in grado di mangiare le sue leccornie era proprio
Neal ma per una pura questione di sopravvivenza: se Liesel non era
brava a cucinare, Neal era anche peggio, e per forza di cose avevano
finito per optare per la cucina meno assassina delle due.
“Sento odore di
lasagne!” esclamò Neal sedendosi a tavola, affianco a Liesel.
Steven di fronte a loro e Mara e Phil a capotavola.
“Hai buon fiuto.”
sorrise Mara prima di sollevare il coperchio dalla teglia che aveva
precedentemente posato al centro del tavolo. Il fumo liberatosi da
essa lasciò il posto ad un aroma inebriante.
“Beh, buon appetito.”
si sfregò le mani Phil prima di servirsi.
“Allora, come vanno
le cose, tesoro?” domandò Mara alla figlia mentre anche lei si
riempiva il piatto.
“Tutto bene. Verrà
creata una mia linea uomo.”
“Ma è fantastico!”
esclamò Phil con sguardo sorpreso.
“Non me l'avevi
detto!” sorrise emozionata la madre. “Bravissima, Liesel. Sono
davvero fiera di te.”
“Grazie, mamma.”
Fin da piccola, quella
frase aveva rappresentato per lei una sorta di via libera. L'idea di
rendere sua madre orgogliosa per ciò che faceva nella vita era
qualcosa di terribilmente appagante e la spronava a fare sempre
meglio.
“Quando avverrà?”
si informò Phil.
“Non so ancora i
dettagli ma pare abbastanza presto.”
“Bene.”
La cena proseguì nella
calma e nella totale serenità, cosa del tutto inaspettata ed
insolita. Steven non aveva ancora proferito parola se non per farsi
passare il pane o il sale. Certo era che quel suo mutismo la rendeva
non poco ansiosa, come se da un momento all'altro scoppiasse una
bomba innescata di nascosto.
“Uomini in vista?”
domandò improvvisamente Mara prendendola in contropiede.
“Per me o per lei?”
chiese Neal facendo scoppiare tutti a ridere.
“Giusto,
dimenticavo.” ridacchiò la donna. “Per tutti e due.” scrollò
le spalle infine.
“Per me il solito
stronzo.” fece quindi il biondo come fosse una cosa da poco conto.
“Ma per il momento sto bene così.”
“Un certo Damian, se
non ricordo male?”
“Proprio lui.”
“Aprirà gli occhi e
si accorgerà del tesoro che si sta facendo sfuggire. E tu?” si
rivolse poi alla figlia, la quale aveva finto indifferenza fino a
quell'istante per scampare la fatidica domanda.
“Io ho chiuso con gli
uomini per ora.” rispose decisa fissando il proprio piatto e
giocherellando con una mollica di pane.
“Non puoi ragionare
così a ventitré anni. Solo perché hai incontrato un imbecille
nella tua vita non significa che sono tutti così.”
“È quello che le
dico sempre anch'io ma non ne vuole sapere.” intervenne Neal.
Liesel gli scoccò un'occhiataccia. “Per esempio, quel Morris era
piuttosto interessante.” la stuzzicò poi.
Liesel si fermò dal
lanciargli il piatto.
“Chi è Morris?” si
informò Mara piuttosto interessata.
“Non è nessuno,
mamma.” borbottò Liesel stancamente.
“Vuol dire che ci ha
scopato.” commentò Steven senza nemmeno sollevare lo sguardo su di
loro, troppo occupato a smanettare con il suo cellulare.
“Tu sei stato zitto
fino adesso e tutto d'un tratto decidi di dar voce alle tue cazzate?”
ribatté Liesel irritata mentre percepiva la mano di Neal posarsi
leggera sul suo braccio, come per ricordarle di mantenere la calma.
“Io parlo quando e
come mi pare.” Questa volta Steven sollevò lo sguardo di sfida su
di lei. “Almeno io non vado in giro ad aprire le gambe.” la
provocò senza il minimo rispetto, cosa che le riempì lo stomaco di
incredibile ira.
“Steven!” lo
richiamò Phil nervosamente.
“Io invece non sniffo
fino a bruciarmi i neuroni.”
Il silenzio calò a
tavola. Liesel sentiva i muscoli tremare dal nervoso, persino dopo
aver pronunciato quell'ultima frase che l'aveva messo inevitabilmente
a tacere. Odiava doverlo fare davanti a sua madre, odiava dover
portare a galla ciò che con ostinazione ignoravano. Ma quella volta
suo fratello aveva superato il limite e troppe cose represse erano
dovute uscire dalle sue labbra. Lui non si doveva permettere di
giudicarla. Proprio lui.
“Sei una stronza.”
fu un sussurro.
A quel punto Steven si
alzò quasi con violenza dalla sedia per poi abbandonare con rabbia
la cucina. Tutti strinsero le palpebre al forte tonfo della porta di
casa che con forza veniva sbattuta.
Nessuno ebbe ancora il
coraggio di parlare. Solo un lieve ticchettio di posate che ormai
venivano abbandonate sui piatti fino a che sua madre non si alzò per
sparecchiare la tavola.
Liesel chiuse gli occhi
e desiderò levare le tende il prima possibile.
Quel sentore che
l'aveva perseguitata per tutta la sera ancora una volta si era
rivelato fondato ed ora si sentiva incredibilmente stremata. Non
avevano mai discusso a tavola menzionando la questione droga. Vi
avevano sempre girato attorno senza mai pronunciare quella parola che
pareva infuocata sulle loro labbra. Solo Liesel aveva sempre avuto il
coraggio di dire ciò che pensava senza farsi troppi scrupoli. Alla
fine, era un dato di fatto: Steven si drogava. Non vi era nulla di
difficile da capire, quindi perché tanto chiasso nei confronti della
semplice verità? La verità, per quanta paura potesse fare alle
volte, era inevitabile e necessaria, e questo sua madre lo doveva
capire. Immaginava quanto difficile potesse essere per lei e Phil
vedere il proprio figlio rovinarsi di giorno in giorno ma non
prenderne atto era da stupidi. Si andava solamente a mettere una
pezza laddove prima o poi tutto sarebbe esploso, esattamente come
quella sera.
Phil si schiarì
improvvisamente la voce.
“Beh, io sono un po'
stanco. È mezzanotte e oggi ho lavorato parecchio.” si arrampicò
sugli specchi con qualche difficoltà per poi alzarsi dalla sedia e
fare il giro del tavolo. “Ciao, Liesel.” le disse non appena la
raggiunse per poi stamparle un bacio sulla fronte. “Ciao, Neal.”
Gli posò una mano sulla spalla e poi sparì dalla cucina.
Liesel e Neal si
scambiarono un'occhiata veloce.
“Io vado un attimo in
bagno.” annunciò il ragazzo sotto lo sguardo grato di Liesel.
Sapeva che lo faceva per darle un po' di privacy con sua madre.
Capiva sempre tutto al volo.
Quando si ritrovarono
sole, Liesel sospirò.
“Mi dispiace, mamma.”
mormorò in colpa osservandole la schiena mentre era intenta a lavare
le stoviglie nel lavandino.
“No, non ti devi
dispiacere.” rispose la donna tentando di esternare dolcezza.
“Siamo noi che ci ostiniamo ad ignorare i fatti.” Liesel si alzò
per poi affiancarla poggiando un gomito sul bancone. “Forse non
siamo dei buoni genitori.” sussurrò mentre gli occhi cominciavano
ad inumidirsi.
Una morsa allo stomaco
per poco non fece piegare la bruna su se stessa. Odiava vedere sua
madre piangere ma soprattutto demolirsi.
“No, mamma, non siete
dei cattivi genitori.” si affrettò a consolarla. “Non è colpa
vostra. Steven ha solamente conosciuto le persone sbagliate.”
“Evidentemente perché
non siamo stati in grado di dargli un'educazione, di fargli capire
cosa sia giusto e sbagliato.”
Liesel sospirò di
nuovo e stavolta posò una mano sulla spalla di sua madre.
“Mamma.” la chiamò
facendole spostare lo sguardo su di lei. “Ti prego, non ti
incolpare di nulla. Non devi assolutamente sentirti una fallita. Tu
sei la madre che sono sicura tanti vorrebbero. Sei stata e continui
ad essere forte. Mi hai cresciuto da sola e l'hai fatto divinamente.”
Mara sorrise e una
lacrima scorse lungo la sua guancia, ma si affrettò a rimuoverla.
“Allora perché non
sono stata in grado di farlo con tuo fratello?” domandò
terribilmente indifesa.
Liesel scosse la testa.
“L'hai fatto anche
con lui ma non si può scegliere con chi farlo uscire. Se a sedici
anni non avesse preso questo giro, non avesse cominciato a
frequentare brutta gente, a quest'ora sarebbe un ventenne modello.
Perché tu e Phil gli avete trasmesso tutti i sani principi che avete
trasmesso anche a me.” Si prese una piccola pausa. “Ti prego,
mamma, non dubitare mai più di te stessa perché mi fai stare male.
Provo grande ammirazione per te e non posso accettare di vederti così
delusa.”
Era sicura di non
averle mai confessato quelle cose.
Liesel era per natura
una ragazza riservata che aveva sempre fatto troppa fatica a dar voce
ai propri sentimenti. Non era una persona dai facili abbracci, dai
facili 'ti voglio bene', dalle facili manifestazioni d'affetto, ma
vedere sua madre così in difficoltà le aveva stretto il cuore.
E quando Mara la
abbracciò non poté fare altro che ricambiare con un sorriso.
“Ti voglio bene.”
mormorò la madre poggiandole una tempia al petto, poiché più
bassa.
E anche se Liesel non
rispose, sapeva che aveva capito.
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Capitolo 5 *** Just a coffee ***
aaaaaaaaaa
5
Just a coffee
Con un gemito
affaticato ed un'aria altrettanto distrutta lasciò cadere a terra
entrambi i pesi che da qualche minuto stava sollevando. Aveva bisogno
di scaricare una massiccia dose di stress e mal di testa, e dei
semplici analgesici non sarebbero di certo bastati. Giornate come
quelle erano l'esatta testimonianza di quanto pericoloso potesse
essere starle attorno. Solamente Neal aveva avuto il fegato di
provarci un paio di volte – ora al lato opposto della palestra,
intento a cimentarsi in piccoli e rapidi addominali – ma aveva
miseramente fallito.
Quella dannata cena
l'aveva disturbata; si era rivelata un ennesimo buco nell'acqua. Per
lo meno non si era illusa che suo fratello potesse recitare la parte
del bravo bambino educato, non l'aveva fatto nemmeno per un momento.
Le aveva esplicitamente
dato della poco di buono. Lui.
Emise quello che
somigliava ad un grugnito decisamente poco elegante e riafferrò i
pesi con rabbia.
Si era sentita dare
della poco di buono da colui che da quattro anni a quella parte aveva
rappresentato solamente un problema per la famiglia, che aveva
piantato le radici in commissariato, che aveva dato modo a sua madre
di non dormire la notte.
Si tamponò
l'asciugamano sul collo e si diresse al tapis roulant.
In più – come se
tutta quella storia non fosse già un bel carico da novanta per la
sua povera schiena – la questione Kaulitz era
solamente appena iniziata.
Pigiò con violenza il
dito contro la freccia davanti a sé aumentando progressivamente la
velocità del suo passo fino a cimentarsi in una vera e propria corsa
frustrata.
C'è di peggio,
si ripeté nella mente cercando una convinzione che ancora non aveva.
Neal aveva 'tramato'
tutto alle sue spalle ponendola di fronte al fatto compiuto. Sì,
aveva agito pensando di favorirla – ed effettivamente era così –
ma più pensava di dover lavorare con i gemelli più la sudorazione
aumentava.
L'unico fatto che
ancora non le tornava in tutta quella storia era la mancata
telefonata da parte della sua assicurazione che la mettesse al
corrente dell'avvenuto risarcimento nei confronti dei mangiacrauti.
Avrebbe dovuto chiamare lei quel pomeriggio.
Sbuffò.
“Sta cominciando a
far freddo qui dentro.” Aggrottò la fronte all'improvvisa uscita
di Neal, ora al suo fianco, che aveva appena azionato un tapis
roulant accanto al suo. “Se continui a sbuffare, dovrò cominciare
ad allenarmi in giacca.”
Le palpebre di Liesel
calarono a mezz'asta con sarcasmo.
“Simpatico. Davvero.”
commentò senza entusiasmo e distogliendo lo sguardo da lui.
“Alla fine non è
andata così male.” parlò di nuovo il biondo, ora in corsa.
La bruna si voltò per
un momento verso di lui con fare scioccato per poi riportare le iridi
castane di fronte a sé.
“Scherzi?” gli
domandò sinceramente basita.
“Non mi pare siano
volati i bicchieri come l'ultima volta.” scrollò le spalle Neal
come nulla fosse.
“Ah, allora è andato
tutto divinamente. Giusto.” fece lei caustica.
Alle volte l'ottimismo
di Neal era quasi imbarazzante.
“Comunque...”
riprese il ragazzo già vittima di fiato corto. “Ritenevo giusto
informarti che oggi prenderemo un caffè con i gemelli per discutere
sul progetto.” I piedi di Liesel, come improvvisamente privi di
ossa, divennero talmente molli che si scontrarono a vicenda facendola
quasi ruzzolare a terra se non si fosse aggrappata al volo al manico.
Il tapis roulant continuava a scorrere privo di peso mentre la bruna
sostava nuovamente sul pavimento con occhi sgranati ed il cuore
impazzito per lo spavento. “Ed il fatto che tu stessi per morire
per ciò che ti ho appena detto non è di buon auspicio.” aggiunse
con incredibile calma lui, ormai troppo abituato ai colpi di testa
dell'amica.
“Una sola domanda,
Neal.” esordì Liesel con il fiato spezzato ed il petto che si
alzava ed abbassava ripetutamente. “Lo stai facendo apposta?”
Neal la scrutò
accigliato senza abbandonare la corsa.
“Liesel, vuoi
lavorare con loro senza prima prendere accordi?” le fece notare
come fosse ovvio. Liesel era perfettamente al corrente e consapevole
di dover prima affrontare un colloquio con i ragazzi ma non vedeva il
motivo di includere un dannato caffè – caffeina, un vero e
proprio killer per il suo corpo già isterico e nevrotico – come a
sottolineare una confidenza che non esisteva e non sarebbe nemmeno
mai esistita. Si stava comportando da bambina? Forse. “Io credo che
tu stia esagerando.”
Okay, lei poteva
lontanamente ipotizzarlo. Gli altri no.
“Credi quello che ti
pare.” decise di tagliare corto per poi riprendere possesso
dell'attrezzo.
Che avesse ragione? Che
fosse lei con la sua ineguagliabile testardaggine ed il suo
invidiabile orgoglio a mandarsi fuori strada? Doveva ricredersi sui
gemelli? Cosa vi vedeva Neal di così positivo che lei non riusciva a
condividere?
Non li conosci
nemmeno, sibilò la parte razionale del suo cervello che –
strano a dirsi – ricopriva ancora un ruolo più o meno rilevante.
Quel poco che so
basta e avanza, tornò all'attacco quella istintiva.
Forse era solamente
nervosa per gli accadimenti della cena. E per la fase premestruale.
Benché si ostinasse a
negarlo, Steven rappresentava un validissimo motivo di incredibile
stress nella sua vita ed automaticamente tutto ciò che la circondava
prendeva le sembianze di una valvola di sfogo o un pretesto per
scaricare le sue frustrazioni. I gemelli Kaulitz probabilmente erano
giunti inconsapevolmente a ricoprire quel ruolo.
Sapeva di non essere
stata graziata alla nascita poiché sua madre – e forse suo padre –
l'aveva provvista di un carattere che per i più deboli di cuore
rappresentava una fastidiosissima colica – lei personalmente non ne
aveva mai sofferto ma aveva sentito dire che fossero insopportabili
quasi quanto il parto, il che rendeva chiaramente l'idea – ma non
aveva nemmeno troppa fretta di migliorare.
Alle volte si chiedeva
se le insinuazioni di Neal sul fatto di morire sola si avverassero.
Poi scuoteva la testa dandosi dell'idiota per averlo solamente preso
in considerazione.
“A che ora?” si
arrese quindi, ora più pacata. Voleva porre fine a quell'inutile
discussione da cui – lo sapeva – Neal sarebbe uscito come sempre
vincitore.
“Alle quattro.”
***
Solamente quando uscì
di casa e venne così a contatto con il caldo – quel giorno quasi
asfissiante – di Los Angeles si rese conto di quanto idiota ed
improbabile fosse stata la sua scelta di indossare degli stivaletti.
Ciò che fortunatamente creava un appiglio che le dava la forza di
non puntarsi una pistola alla tempia fu il vestitino estivo, bianco,
che scendeva morbido sulle sue curve fino a pochi centimetri sopra le
ginocchia. Stivaletti di un marroncino chiaro alla caviglia e la
borsa del medesimo colore. Aveva avuto per lo meno la decenza di
legare i capelli in una crocchia molto morbida. Libera qualche ciocca
castana che, ondulata, le incorniciava il viso migliorato da un
leggero strato di fard ed una semplice passata di mascara.
Truccarsi in quelle
giornate quasi afose era per lei una vera e propria sfida cui la
maggior parte delle volte si rifiutava di prendere parte.
Odiava il caldo. Odiava
il caldo e lo soffriva tanto quanto il sonno. Era difficile che Los
Angeles subisse escursioni termiche così violente – solitamente
era definibile calda ma piacevole – eppure quel giorno avrebbe
tanto voluto fare una capatina in Alaska, giusto per rinfrescarsi un
po' il cervello.
Credeva che l'asfalto
bruciasse sotto i suoi piedi e Neal, accanto a lei, sembrava non
percepire la stessa sensazione poiché da minuti era lei quella
intenta a sbuffare e sventolarsi una mano davanti al viso in un magro
tentativo di trovare un po' di sollievo. Come se non bastasse,
soffriva di pressione bassa e la sensazione di cadere da un momento
all'altro al suolo non era delle più gradevoli. Le era persino
passata la voglia di fumare, il che era tutto dire.
Non appena raggiunsero
il bar dove Neal e i ragazzi si erano dati appuntamento, Liesel si
lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Presero posto ad un
tavolino esterno e la ragazza non si scomodò a sfilarsi gli occhiali
da sole poiché ancora accecata dai raggi che le baciavano il viso.
“Prenditi una bustina
di zucchero.” le intimò Neal accanto a lei indicando con un gesto
del capo le bustine poste in un contenitore al centro del tavolo.
Ormai era perfettamente al corrente di quanto improvvisi e subdoli
fossero i suoi cali di pressione e non era nemmeno estraneo a suoi
possibili svenimenti.
Liesel non disse nulla.
Semplicemente afferrò una bustina, la aprì e la svuotò per metà
nella sua bocca. Di lì a poco si sarebbe sentita meglio.
Pigiò l'unico tasto
del suo i-phone per controllare l'ora e constatò contrariata che
erano le quattro e cinque.
“Hai sentito i tuoi
amici? Sai quando arrivano?” domandò cercando di mantenere la
calma mentre la gamba, quella accavallata, dondolava impaziente.
“Smettila di fare la
sarcastica.” l'ammonì Neal senza scomporsi e senza nemmeno
guardarla.
“Non sto facendo la
sarcastica, ho fatto una semplice domanda.” scrollò le spalle lei
fingendo indifferenza.
“E io ti conosco
abbastanza da poter con certezza affermare che tu non fai mai
semplici domande.”
Indignata da tale
insinuazione, decise di ignorarlo ed introdurre una mano nella borsa
alla ricerca del suo pacchetto di sigarette – il disgusto per la
nicotina aveva avuto vita decisamente breve – e per poco non si
sentì seriamente male nel constatarne l'assenza. Aprì maggiormente
la borsa e scavò a fondo, ma nulla.
Ora cominciava
seriamente ad impazzire.
“Me le hai fregate di
nuovo?” gli domandò senza smettere di frugare ed omettendo
appositamente l'oggetto incriminato, sicura che lui capisse a cosa si
stesse riferendo.
“Quando lo facevo?”
borbottò Neal in risposta. Liesel sollevò gli occhi al cielo
perfettamente azzurro e privo di nuvole maledicendosi per aver
dimenticato l'unica cosa che l'aiutasse a mantenere la calma per un
paio di minuti. Proprio quando la sua già debole pazienza sembrava
sul punto di abbandonarla inesorabilmente, i suoi occhi vennero a
contatto con le figure dei Kaulitz in lontananza, che camminavano
nella loro direzione. “Comportati bene, per favore.” la implorò
il biondo in un sussurro che la disturbò.
A ventitré anni era
perfettamente in grado di badare a se stessa e decidere come
comportarsi con chi voleva. Si sarebbe attenuta ad una conversazione
puramente professionale senza cadere nell'eccessiva confidenza.
“Ciao, scusate il
ritardo.” sorrise Bill non appena li raggiunsero. “Il traffico di
Los Angeles ormai non ha più bisogno di spiegazioni.”
“Figurati, lo
sappiamo.” annuì il fotografo mentre i gemelli si sedevano di
fronte a loro.
“Senza contare i
tempi di preparazione di Bill a dir poco imbarazzanti.” commentò
Tom con un sorriso sghembo. Anche loro avevano deciso di tenere gli
occhiali da sole sul naso, nonostante le spalle ai raggi,
probabilmente per una questione di riservatezza. Los Angeles
nascondeva fotografi in ogni angolo, non era un mistero, e la beffa
voleva che ne avessero uno proprio di fronte. Non era certo un paio
di occhiali a farli passare inosservati ma forse si illudevano di
godere di una sorta di protezione, seppur labile. “Come stai,
Bulgaria?” domandò poi il chitarrista con un piccolo
sorriso di scherno in direzione di Liesel, la quale si sentì
improvvisamente trascinata al centro dell'attenzione.
“Divinamente.”
rispose. “E il caso vuole che mia madre, alla nascita, mi abbia
provvisto di nome.” aggiunse caustica. “Pensa te.”
“Non puoi proprio
vedermi.” ridacchiò Tom con un'impercettibile sfumatura di
malcelata soddisfazione nelle iridi.
A quel punto Neal si
schiarì la voce e, giusto in tempo, il cameriere fece il suo
miracoloso arrivo con il blocchetto per le ordinazioni.
“Un tè freddo alla
pesca.” chiese il biondino.
“Anche per me.”
confermò Liesel. Forse l'avrebbe salvata da quel caldo torrido.
“Due al limone.”
parlò Bill.
Annotato tutto, si
allontanò di nuovo.
“Vivete stabilmente a
Los Angeles?” si informò Neal probabilmente per attenuare la
tensione.
“Ci siamo trasferiti
qui circa tre anni fa.” rispose il vocalist mentre estraeva dalla
tasca dei jeans un pacchetto di sigarette che Liesel bramò come
fosse oro. “Volevamo cambiare aria, prenderci una pausa.” tacque
un momento per accenderne una. Ne trasse la prima boccata e quando il
fumo raggiunse le narici della ragazza questa si sforzò di non
strappargliela dalle labbra. Poggiò il pacchetto sul tavolo,
immediatamente recuperato dal gemello che compì le stesse mosse.
“Non sappiamo se sia stato più un bene o un male.” sorrise
appena Bill prima di espirare di nuovo.
“Fumate?” chiese il
chitarrista mentre liberava un po' di fumo dal lato destro della
bocca e con la mano allungava ad entrambi il pacchetto.
Liesel percepì la
pelle prudere.
“Solo lei.” rispose
Neal indicandola con il capo.
Tom a quel punto la
scrutò interrogativo senza mai abbandonare quel sorriso ironico che
– l'aveva capito – riservava solo a lei.
“Se ne prendi una, la
tua corazza di orgoglio non si sgretola.” la stuzzicò furbo.
Liesel sollevò un
sopracciglio.
“Come mi facessi
certi problemi.” commentò allungando nel frattempo una mano per
afferrarne una. Accettò di buon grado anche l'accendino e lo
restituì senza battere ciglio dopo aver tirato la prima rigenerante
boccata.
“Ad ogni modo,
abbiamo cambiato totalmente stile di vita e per il momento siamo
contenti.” continuò Bill, conclusasi quella breve parentesi.
Liesel si prese qualche
momento per osservarli. Fino a quell'istante non li aveva mai
veramente guardati. Per esempio, non ricordava il colore castano dei
loro occhi. Talmente occupata a borbottare contro di loro ogni
lamentela il suo stomaco generasse, non aveva nemmeno fatto caso ai
loro lineamenti, al loro modo di vestire, a nulla, se non quanto la
irritassero.
E solo allora si
accorse di quanto palese fosse la somiglianza fra i due. Non era una
somiglianza che saltava all'occhio; era una di quelle che andavano
ricercate. Uno biondo, l'altro moro, avevano lineamenti pressoché
identici. Lineamenti delicati, resi più mascolini dalla barba, e –
benché le costasse ammetterlo – quasi perfetti. Quanto al corpo,
Bill era senza dubbio più gracile. Una semplice canottiera metteva
in bella mostra i bicipiti meno muscolosi di quelli del fratello,
decisamente più torniti. Aveva intuito chi dei due frequentasse la
palestra e ringraziò gli dei del cielo che non fosse proprio la sua.
“Voi da quanto siete
qui?” domandò Tom mentre faceva cadere un po' di cenere.
“Io ci sono nato.”
rispose Neal, fiero.
Quando gli sguardi si
spostarono su Liesel si sentì costretta a rispondere.
“Da quando avevo tre
anni.” si limitò a spiegare. Le scocciava fornire dettagli della
sua vita a perfetti sconosciuti con i quali si era imposta fin
dall'inizio di mantenere un rapporto del tutto professionale.
“E dato che stavi in
Italia, le origini bulgare da dove arrivano?” si informò Bill. Non
si era dimenticato delle informazioni con le quali Liesel aveva
dovuto compilare la constatazione amichevole.
“Da un padre
bulgaro.” tagliò corto lei come fosse più che ovvio. Non avrebbe
parlato del suo fantastico padre davanti a loro. Quello era
poco ma sicuro. “Ad ogni modo, siamo qui per parlare di affari,
no?” cambiò immediatamente discorso mentre picchiettava la
sigaretta per far cadere un po' di cenere.
“Quanta fretta.”
notò il chitarrista per poi aspirare altra nicotina.
Liesel fece finta di
non udirlo ed estrasse dalla borsa il dannato book con la sua linea –
gentilmente recuperato da Kate e Laura –, piccolo dettaglio che le
aveva quasi distrutto una spalla, attimi prima, nel trasportarlo. Lo
poggiò con poca grazia sul tavolino e poi lanciò un'occhiata ai
gemelli.
“Questa è la linea.”
spiegò semplicemente senza nemmeno aprirlo. Nel frattempo il
cameriere li aveva cortesemente serviti.
Si portò il bicchiere
pieno di liquido fresco e dolce alle labbra godendo di quel momento
mentre i Kaulitz presero a sfogliare il book con attenzione.
“Belli.” commentò
Bill sorpreso. “È un mix di elegante e casual.”
“Il che va a tuo
favore.” intervenne Tom lanciandole un'occhiata. La bruna sollevò
un sopracciglio. “Se avessi disegnato smoking non li avrei senza
dubbio indossati.”
Liesel fece schioccare
la lingua contro il palato.
“Vedi, a saperlo
prima.” fece ironica guadagnandosi un'occhiataccia da Neal.
Quando conclusero
glielo restituirono.
“Chi l'avrebbe mai
detto.” Si stiracchiò appena Tom gettando la sigaretta consunta.
“E io che ti facevo una pilota di auto da corsa.”
Liesel – in quel
momento impegnata con il suo bicchiere – sollevò le iridi
scettiche sulla sua figura.
“Voleva essere una
battuta?” domandò seriamente curiosa.
“No.”
“A questo punto direi
di accordarci sugli appuntamenti.” intervenne Neal, visibilmente
seccato dal comportamento dell'amica.
Liesel si schiarì la
voce cercando di tornare ad adottare un tono più serio. La sigaretta
ormai terminata.
“Prima del servizio,
ovviamente, devo realizzare materialmente i capi e per farlo ho
bisogno di prendere le vostre misure.” spiegò con una pazienza che
non le apparteneva. L'unica cosa a cui pensava era che doveva andare
a fare la spesa poiché il frigo era vuoto. Di nuovo. “Pertanto
riterrei giusto che voi veniate in azienda. Che giorno vi andrebbe
bene?”
Tom e Bill si
scrutarono per un momento per accordarsi su una risposta.
“Domani andrebbe
bene.” parlò quindi Bill.
Perfetto, pensò
lei con sarcasmo. Nemmeno un giorno di tregua. Lunedì, inizio
settimana ed i gemelli in ufficio. Non poteva andarle meglio.
“Vada per domani.”
concluse arresa.
“Poi, una volta
realizzati i capi, ci accorderemo sul servizio.” prese parola il
fotografo con una gentilezza che non aveva mai riservato nemmeno a
lei.
“A che ora possiamo
venire domattina?” le domandò improvvisamente il gemello biondo.
Liesel scrollò le
spalle con indifferenza.
“Quando volete, sono
in azienda dalle nove a mezzogiorno.”
“Magari arriviamo per
le dieci.”
La bruna annuì poco
interessata. Non vedeva l'ora di porre fine a quella pessima idea di
socializzazione partorita dalla diabolica mente di Neal. Ora come
ora, cominciava a sospettare che il suo amico lo avesse fatto per una
sorta di losco interesse che infrangesse i confini della semplice
collaborazione.
Si bagnò le labbra con
un altro po' di tè.
“Siete qui da soli o
con gli altri componenti della band?” tornò ad informarsi Neal.
“Georg e Gustav sono
rimasti in Germania ma li sentiamo quasi ogni giorno.” rispose Tom
mentre giocherellava distrattamente con il suo bicchiere già vuoto.
“Stiamo comunque lavorando insieme sul nuovo album. La distanza
complica un po' le cose ma si cerca di fare il possibile.”
“Non vengono mai
qui?”
“Sono venuti una
volta e dovrebbero presto tornare.”
“E la vostra
famiglia?”
“La vediamo
raramente.” intervenne Bill. “A volte andiamo noi, a volte
vengono loro. Ma sono pur sempre tante ore di volo. Diciamo che
abbiamo più occasione di riunirci durante le festività.” Prese
l'ultimo sorso del suo tè e poggiò il bicchiere sul tavolo. “Voi
avete la famiglia qui, immagino?”
Liesel percepì la
propria schiena divenire una lastra di cemento e trovò spontaneo
voltarsi in direzione di Neal con sguardo preoccupato.
Odiava che Neal si
trovasse obbligato a dare spiegazioni sulla sua famiglia, anche
semplicemente a nominarla poiché non faceva altro che riaprire
ferite non ancora rimarginate e sapeva che mai sarebbero guarite
completamente. Pensare alla sua famiglia voleva dire ricordare ogni
giorno perché avessero deciso di non accettarlo anni prima, perché
l'avessero sbattuto fuori di casa, perché l'avessero rinnegato come
figlio. La sua non era una vita facile e dover riportare in
superficie dolori che aveva cercato fino a quell'istante di
sotterrare non era giusto.
“Sì, ce l'abbiamo a
Los Angeles.” rispose Liesel per lui.
“Eppure mi sono messo
a vivere con questa psicopatica.” sdrammatizzò l'amico battendole
amichevolmente una mano sulla spalla.
I gemelli sorrisero.
“Vivete insieme da
tanto?” domandò il chitarrista mentre sfilava una seconda
sigaretta dal pacchetto. E quando ne fece rotolare una in direzione
di Liesel senza nemmeno chiederglielo, la bruna accettò di buon
grado.
“Continui a non
piacermi.” mise in chiaro prima di accenderla.
“Non mi era nemmeno
sorto il dubbio.” sorrise lui prima di intascarsi di nuovo
pacchetto ed accendino.
“Viviamo insieme da
quattro anni.” parlò quindi Neal.
“E non sei ancora
scappato?” ridacchiò il moro fintamente sorpreso mentre espirava
il fumo, come sempre, dal lato destro della bocca.
Insolente.
“Ci sono andato
vicino.” stette al gioco il biondino ricevendo una bella gomitata
nelle costole da parte dell'amica, che lo fece piegare appena su se
stesso.
“Faccio presto a
sbatterti fuori di casa.” dichiarò come fosse la cosa più
elementare del mondo. “D'altronde, resta la mia.”
“La tua bontà mi
commuove.”
Liesel sbuffò via il
fumo e si voltò in direzione del cameriere, in quel momento intento
a servire il tavolo accanto al loro.
Era una sua impressione
o le aveva ammiccato più volte da quando si era seduta?
Gli occhi verdi del
ragazzo indugiarono nuovamente sulla sua figura – un angolo della
bocca lievemente incurvato verso l'alto – finché non rientrò con
i vassoi pieni di bicchieri vuoti.
Ulteriore motivo per
cui odiava il genere maschile. Quei poveri tentativi di
corteggiamento – un concetto di corteggiamento
indiscutibilmente diverso da quello cui lei era abituata –
decisamente poco plausibili ed altamente imbarazzanti erano un
ingrediente necessario per il malcapitato che voleva farla scappare
in un battito di ciglia.
Quanti anni poteva
avere? Venti? Diciannove? Era almeno maggiorenne?
Roteò gli occhi e
tornò a concentrarsi sulla conversazione ancora ignota che Neal e i
suoi ormai amici del cuore avevano intavolato per poi far
cadere un po' di cenere. Perché nessuno aveva ancora accennato ad
abbandonare il tavolo?
“Sì, abitiamo a
Culver City, a circa un quarto d'ora da Santa Monica.” sorrise Neal
sotto lo sguardo esterrefatto di Liesel.
Si era persa qualche
passaggio. Come erano arrivati a tali confidenze?
“E ad un quarto d'ora
anche da Beverly Hills, noi abitiamo lì.” annuì Bill con
consapevolezza.
“Non è infestata di
paparazzi?” domandò il fotografo piuttosto interessato.
Bill scrollò le spalle
con noncuranza.
“Nemmeno troppi, dopo
un po' ci fai l'abitudine. Riusciamo a condurre la nostra vita
sicuramente meglio di quando vivevamo in Germania. Ci facciamo le
nostre passeggiate con i cani, andiamo in palestra, ceniamo fuori,
usciamo senza farci più troppi problemi. So che sembra incredibile e
Los Angeles è la città dei VIP per eccellenza, ma viviamo bene qui.
Siamo riusciti a crearci una nostra dimensione.”
“Però non dev'essere
facile convivere con quest'ansia di essere fotografati di nascosto. E
parlo da fotografo.”
“A volte non lo è.
Ma, come ti ho detto, ti abitui. E poi fa parte del nostro lavoro,
non possiamo fare altro che vederla filosoficamente. Abbiamo scelto
noi questa vita, sapevamo già che ci sarebbe stato il buono e il
brutto. Non possiamo lamentarci, sono le conseguenze.” Si prese un
secondo di pausa. “Alla fine i lati positivi compensano quelli
negativi. Vedere quanta gente ti ami ancora nonostante la lunga
assenza ripaga di tutto.”
Liesel ebbe non poche
difficoltà ad ammettere silenziosamente che quel discorso non faceva
una grinza.
Lei per prima sapeva
quanti problemi aveva creato quel tipo di vita a molti VIP. Tanti
avevano ceduto alle proprie debolezze, tanti avevano addirittura ben
pensato di farla finita, altri ancora se ne lasciavano assorbire fino
a non capire più nulla ed impazzire. Per quanto potesse comprendere,
alle volte, la pesantezza di un paparazzo appostato dietro un
cespuglio ogni cento metri, si chiedeva il motivo di tante lamentele.
Non era stata una loro scelta? Era convinta che nessuno di loro
avesse dato il via al proprio lavoro senza nemmeno essere consapevole
delle ripercussioni.
Forse per la prima
volta aveva udito un discorso giusto e comprensibile fuoriuscire
dalle loro labbra.
“Quello che mi piace
di voi è che siete molto umili. Non vi ponete un gradino più in
alto quando parlate con noi.” osservò sinceramente Neal con
l'ammirazione negli occhi.
“La tua amica non la
pensa allo stesso modo.” sorrise furbo il chitarrista mentre le
lanciava un'occhiata che assomigliava ad un invito a controbattere.
La tua amica.
Gli avrebbe volentieri lanciato la borsa.
Per tutta risposta
scrollò le spalle.
“Il mio parere non ti
dovrebbe importare, no?” gli fece notare con nonchalance.
Lo vide sollevare
entrambe le sopracciglia con espressione piuttosto divertita in
volto. Ancora si domandava cosa diavolo lo divertisse.
“Ma lei non conta.”
intervenne Neal sotto lo sguardo esterrefatto della bruna. “È la
persona più strana, incomprensibile e stronza che incontrerete mai
nella vostra vita.”
La secca risposta di
Liesel – carica di incredibile sarcasmo ed un retrogusto di
cattiveria – venne tempestivamente stroncata dall'arrivo del
cameriere al suo fianco.
“Vi porto altro?”
domandò gentilmente il ragazzo fingendo indifferenza.
“No, grazie.”
risposero i gemelli in coro.
Liesel e Neal si
limitarono a scuotere la testa con un mezzo sorriso così lasciarono
che sgomberasse il tavolo dei bicchieri vuoti. Non mancò di
ammiccarle appena prima di togliere nuovamente il disturbo.
“Credo ti sia appena
fatta un ammiratore.” la stuzzicò Neal, al che la bruna roteò gli
occhi con fare scocciato.
“L'ho intuito.”
borbottò sotto lo sguardo divertito dei Kaulitz.
“Non è male.” le
fece notare ancora l'amico, decisamente troppo debole nei confronti
del sesso maschile per riuscire anche lontanamente a capire quando ne
valesse la pena o meno.
“Non sarà nemmeno
maggiorenne.” lo rimbeccò lei.
“Vanno di moda i
toy-boy.”
Liesel gli lanciò
un'occhiata che non necessitava spiegazioni.
Mai nella vita
si sarebbe abbassata ad una relazione con un ragazzo più piccolo. A
malapena straripavano maturità i suoi coetanei, figurarsi i
ragazzini.
“Io non ho mai
pensato che l'età fosse un problema.” esordì Tom con immensa
tranquillità.
“Punti di vista.”
ribatté Liesel.
“Punto di vista di
uno che è stato fidanzato per quattro anni con una ragazza di cinque
anni più grande.”
Liesel ne fu per un
momento basita.
Cinque anni di
differenza non erano un abisso ma nemmeno pochi se ad essere più
grande era la donna. Come potevano non percepirli? Che fosse
estremamente maturo lui o estremamente sciocca lei? E
se proprio doveva dirla tutta, non credeva nemmeno possibile che Tom
fosse tipo da relazione.
“Però.” commentò
Neal sorpreso. “E mai una volta hai sentito il distacco?”
“Mai.” confermò il
chitarrista.
“Perché Tom sembra
idiota ma in realtà è molto maturo per la sua età.” fu il debole
tentativo di Bill di fargli un complimento.
“Grazie.” fece il
moro con sarcasmo.
“Mi sono espresso
male.” ridacchiò il vocalist grattandosi la nuca.
“Comunque nemmeno io
ho mai pensato che sia un problema benché io non abbia mai avuto
esperienze simili. Anche se per me la questione è un po' diversa.”
Quell'ultima ammissione da parte di Neal aveva fatto ridacchiare i
presenti. “Non so se tra uomo e uomo funzioni allo stesso modo.”
scherzò, ilare.
Ciò che Liesel amava
di Neal era la sua mancanza di imbarazzo nell'ammettere le sue
preferenze. Non aveva mai più temuto il giudizio della gente da
quando la famiglia gli aveva voltato le spalle poiché era convinto
che nessuno avrebbe più potuto fargli così male nel non accettarlo.
Adorava il suo modo di voler a tutti i costi sdrammatizzare ed
invidiava la sua incredibile forza d'animo.
“Penso che funzioni
allo stesso modo.” sorrise Bill.
Per lo meno i gemelli
non sembravano nutrire problemi o astio nei confronti
dell'omosessualità. Non avevano battuto ciglio o abbandonato
l'espressione serena che li aveva caratterizzati fino a
quell'istante.
Solo allora Liesel si
rese conto di quanto confidenziale si fosse fatta quella
conversazione e la cosa prese a turbarla.
“Beh, Neal, io credo
che sia ora di andare.” annunciò dopo aver lanciato un'occhiata di
circostanza all'ora sullo schermo del cellulare.
Le cinque erano giunte
con incredibile velocità e quell'incontro era servito a tutto
fuorché al lavoro. Quell'ultimo era stato tema di conversazione per
due insulsi minuti poi le chiacchiere superficiali avevano preso il
sopravvento come succedeva agli studenti che provavano a creare
gruppi di studio. Tutti sapevano che quegli incontri divenivano
perfetti oggetti di divertimento e non di cultura.
“Perché?” domandò
l'amico con espressione confusa, cosa che le mise a dura prova ogni
intenzione.
“Dobbiamo anche fare
la spesa, ti ricordi?”
Pregò per il suo buon
senso e la sua acutezza, che riuscissero a cogliere al volo quel
pretesto per defilarsi, e fortunatamente non sembrò opporsi.
“È vero.” sbuffò
lui come si fosse ricordato solamente in quell'istante di quanto il
loro frigo piangesse da giorni. “Il nostro frigo è in condizioni
imbarazzanti.” parlò poi in direzione dei gemelli, che parvero
divertiti da tale uscita, mentre si alzava assieme a Liesel.
A quel punto i Kaulitz
li imitarono e prima che Liesel e Neal potessero rientrare, questi li
anticiparono a gran velocità, e ciò che la mora scambiò dapprima
per un gesto decisamente poco galante si rivelò successivamente un
gesto di pura cortesia.
“Non dovevate.”
mormorò Neal non appena capì che i gemelli avevano pagato per
tutti.
“Figurati.” sorrise
Tom per poi riporre il portafogli nella tasca posteriore dei suoi
jeans. Uscirono e si fermarono al centro del marciapiede. Liesel non
emise un suono, decisamente troppo sopraffatta dall'orgoglio per
poter solamente sibilare un grazie. “Allora, ci vediamo
domani mattina.” si rivolse proprio a lei.
Si limitò ad annuire.
“Grazie per la
compagnia.” sorrise Bill.
“Grazie a voi.”
rispose il fotografo prima di salutarli e prendere a camminare nella
direzione opposta assieme a Liesel.
Il silenzio calò
inesorabilmente fra i due, un silenzio pregno di parole che fremevano
dalla voglia di rivelarsi ed uscire dalla bocca di Neal. Questo
Liesel lo sapeva molto bene. Sarebbe bastato un cenno, un suono, uno
sguardo per far esplodere la bomba e la bruna decise che, o prima o
dopo, quella bomba l'avrebbe fatta esplodere subito.
“Avanti, dì quello
che hai da dire.” sospirò consapevole.
“Non mi basterebbe
una giornata intera.” ribatté lui con insolita freddezza.
“Possibile che ti
stiano così a cuore?”
“Possibile che tu
debba sempre fare la cafona priva di qualsiasi freno?”
Raggiunsero l'auto a
passo sostenuto e teso. Liesel aprì e vi salì a bordo ignorando
bellamente l'amico che si era impegnato a sbattere la portiera con
tutta la forza che aveva in corpo.
Stai calma, si
disse.
“Io non capisco
perché ti preoccupi così tanto che io faccia loro le moine.”
Inserì la chiave nel
quadrante e mise in moto.
“Non si tratta di
fare le moine ma di riuscire a sostenere una conversazione civile
senza ribadire ogni cinque secondi e mezzo – in faccia a loro
peraltro – quanto tu non li possa vedere. Ti stai comportando da
bambina immatura, te l'ho già detto.” Liesel raccolse tutta la
buona volontà per non distruggere il pedale dell'acceleratore e
mantenere una velocità legale. “E sinceramente penso che le tue
siano tutte scene. Non sai nemmeno tu perché non li puoi vedere!
Tutto per il dannato incidente con la macchina? Cristo, Liesel, non
ti hanno sterminato la famiglia! Sono dei ragazzi alla mano,
simpatici e gentili. E questo lo sai anche tu ma sei troppo
fossilizzata sulle tue idee per ammetterlo. Orgogliosa del cazzo.”
“Hey, adesso piano
con le parole!”
“Piuttosto che
ammettere di averli giudicati male, ti prenderesti a sprangate sulle
gengive.”
Liesel chiuse per un
momento gli occhi – fermi al semaforo rosso – e si massaggiò le
tempie cercando di mantenere una calma che non le apparteneva.
“Non tutte le persone
che piacciono a te devono piacere per forza anche a me.” mise in
chiaro pacata senza staccare gli occhi dalla strada.
“Voglio una lista con
tutti i motivi per cui non ti piacciono.”
“Ma che razza di
gioco è questo?!”
“Rispondimi e basta.”
Il chiasso
insopportabile dei clacson alle loro spalle le fece rendere conto di
trovarsi ancora immobile in mezzo alla strada nonostante il verde
fosse scattato da un po'. Si affrettò ad ingranare la prima con un
sospiro frustrato e pigiò con talmente tanta violenza l'acceleratore
che le ruote stridettero sull'asfalto cocente.
“Mi urtano il sistema
nervoso. Quando mi parlano, soprattutto il mangiacrauti moro,
hanno sempre quel sorrisetto ironico in faccia, come a volermi
prendere per il culo.”
“Lo fanno perché
sanno che hai sempre qualcosa da ridire su di loro.”
“Credono di sapere
tutto loro perché detentori di chissà quale grande esperienza. Ed
un secco due al loro poverissimo tentativo di lusinga pagando anche
per noi. Non siamo dei disagiati solo perché non sudiamo soldi come
loro.”
“Si chiama
gentilezza, cosa che tu ovviamente non sai nemmeno cosa sia.”
Liesel roteò gli occhi. “Sei riuscita a vedere marcio anche in un
gesto del tutto spontaneo e carino. La tua totale mancanza di fiducia
nei confronti dell'essere umano mi farà venire l'ulcera uno di
questi giorni. Se per una volta non guardi alle persone come infami
che vogliono sempre farti del male, non succede nulla. Non tutti sono
come tuo padre, Liesel.”
I muscoli della bruna
si tesero all'improvviso, impreparati a quell'ultima affermazione.
Perché diavolo aveva
tirato in ballo suo padre ora? Non aveva mai sofferto per quell'uomo,
non sapeva nemmeno che faccia avesse; come poteva provare dolore per
una persona che non conosceva nemmeno?
“Sai benissimo che
lui non c'entra nulla.” sibilò, irritata da quell'insinuazione.
“Lo credi tu. C'entra
eccome. Così come Andrew.”
Oh, ora si
passava a menzionare gli ex. Colpo basso.
“Non nominare nemmeno
quell'idiota. È uscito dalla mia vita e non intendo farcelo
rientrare.”
“Solo perché tutte
queste persone ti hanno dato un esempio sbagliato di vita, non vuol
dire che non c'è di meglio. Ti sei chiusa, hai costruito muri
impenetrabili attorno a te e ne uscirai più distrutta di chiunque
altro. Pensi di proteggerti così, invece ti fai solo del male. Ma
continua a fare quello che tu ritieni giusto, a tuo rischio e
pericolo.”
Quella frase – lo
sapevano entrambi – segnò tacitamente la fine della loro
discussione. Testimone il silenzio assordante che calò all'interno
dell'abitacolo.
***
“Quella è seriamente
pazza, te lo dico io.”
Tom non aveva potuto
fare a meno di dar voce a quel martellante pensiero che l'aveva
tormentato per tutto il tragitto non appena varcò la soglia di casa
assieme a suo fratello.
Gettò le chiavi sulla
ribaltina e si lasciò salutare dai suoi amati cani che gli corsero
incontro con incredibile gioia.
“È solamente
un'insicura.” scrollò le spalle Bill mentre si sfilava gli
occhiali da sole. “Pare che odi l'intera specie umana. È chiaro
che ha qualcosa che non va.”
Era sparito in cucina
per recuperare un bicchiere che riempì d'acqua fresca di frigo. Tom
lo imitò con calma.
“Ha sicuramente
molte cose che non vanno.” fece sarcastico.
Mai nella vita aveva
avuto modo di incontrare persone così scontrose e suscettibili.
Persone che nemmeno si sforzavano di fare la sua conoscenza, che lo
giudicavano prima ancora di conoscerne il nome. Liesel era una
ragazza decisamente strana e doveva ammettere che quel suo
atteggiamento lo irritava non poco. Nonostante si sforzasse di
approcciarsi gentilmente con lei, quei suoi fallimentari tentativi
non sembravano farle cambiare idea, anzi, parevano infastidirla
ancora di più. Ed avrebbe scommesso le sue palle che se avesse
cominciato a trattarla male la situazione non sarebbe mutata di una
virgola.
“Avrà subito qualche
torto ed ora lo fa scontare al mondo intero. Non ci vuole un genio
per dedurlo.” parlò di nuovo il cantante prima di prendere un
altro sorso d'acqua. “È troppo incazzata per essere così di
natura.”
“Neal, al contrario,
è una persona davvero carina.” parlò quindi il chitarrista con il
bacino poggiato al bancone ed il bicchiere ancora in mano. “Mi
chiedo come faccia ad addomesticarla in casa.”
“Questione di
esperienza, immagino.” rispose il fratello riponendo la bottiglia
in frigo. “E tanta, tanta pazienza.” Tom era convinto che
nemmeno la pazienza sarebbe servita con Liesel. La pazienza, per
quanto gli riguardava, aveva un limite e con una ragazza simile quel
limite non sarebbe giunto troppo tardi. Nemmeno con la persona più
coraggiosa dell'intero pianeta. “Vado a farmi una doccia.”
annunciò Bill mentre gli passava accanto.
“Io porto fuori i
cani.”
Tom era un ragazzo per
certi aspetti enigmatico. Aveva lati del suo carattere che andavano a
cozzare inevitabilmente con altri. Non aveva vie di mezzo ma solo
caratteristiche ben marcate e solide, che erano una l'opposto
dell'altra. Iroso e litigioso, si lasciava andare a momenti di
incredibile tenerezza con chiunque; puntiglioso ed esigente, spesso
lasciava la sua camera a soqquadro; apparentemente forte e nascosto
dietro una corazza talvolta strafottente, si commuoveva di fronte ad
un cartone animato. Amante della compagnia, necessitava di momenti di
completa solitudine in cui solamente i suoi cani avrebbero avuto il
privilegio di accompagnarlo nelle sue riflessioni.
Legati i due ai
guinzagli – ora saltellanti perché impazienti di passeggiare con
il loro padrone per il quartiere di Beverly Hills – indossò
nuovamente gli occhiali da sole ed uscì di casa.
Tom adorava i suoi
cani. Provava per loro un vero e proprio amore incondizionato, cosa
che aveva spesso colpito le persone, a volte negativamente. Era
capitato che qualcuno lo prendesse per ragazzo eccessivamente
affettuoso e protettivo con i suoi cuccioli. Ma lui era così, si
prendeva cura di loro per semplice piacere. Per lui erano una
presenza quasi essenziale. Dove non arrivava l'essere umano con la
propria intelligenza vi arrivava un cane. Spesso, per assurdo, si
sentiva capito da quei musi apparentemente incapaci di comprendere.
Si sentiva amato, in modo del tutto puro e disinteressato.
Li osservò correre per
i prati – ora liberi di costrizioni –, inseguirsi, marcare il
proprio territorio ovunque e saltarsi addosso con fare giocoso.
Ricordava i momenti in
cui lui e Ria si concedevano quelle uscite tranquille, persi ad
osservarli, quando le cose ancora sembravano idilliche.
A volte sentiva la
mancanza di Ria, della sua presenza. Nonostante lasciarsi fosse stata
una scelta di comune accordo, lei rimaneva l'unica ragazza che avesse
mai amato. Era colei che gli aveva aperto gli occhi, colei che gli
aveva dato uno scopo nella vita che non fosse solo il sesso, colei
che per un momento l'aveva fatto fantasticare su una famiglia da
costruire e la prima che gli avesse strappato un 'ti amo'. Ria doveva
essere la donna della sua vita, la madre dei suoi figli, e non aveva
mai avuto timore a confessarglielo. Porre fine a quella storia era
stato doloroso per entrambi ma necessario. Da tempo non si capivano
più, avevano pensieri troppo divergenti ed una tolleranza pari a
zero. Di conseguenza, l'amore era andato lentamente a scemare fino a
divenire semplice affetto che ancora nutrivano l'uno per l'altra.
Ancora si sentivano di tanto in tanto ma mai più nulla era successo.
Nessuno dei due era riuscito a tagliare i ponti definitivamente
poiché entrambi troppo importanti per l'altro. Avevano condiviso
qualcosa di bello, qualcosa che era rimasto loro nel cuore, e
mantenere un rapporto civile e pregno d'affetto era stato quasi
inevitabile.
Pensieroso, afferrò il
cellulare dalla tasca dei pantaloni. Era un po' che non la sentiva.
Scorse la rubrica fino
a che non incontrò il suo nome.
Forse sbagliava; forse
continuare a riportare in superficie una storia del passato faceva
solo male ad entrambi. Eppure aveva semplicemente voglia di chiederle
come stesse.
“Pronto?”
udì la sua voce al di là dell'apparecchio ed automaticamente
sorrise.
“Ciao.” la salutò.
“Hey.” la
immaginò sorridere allo stesso modo. “Come stai?” gli
domandò con la voce del tutto priva di rancore. Nessuno dei due ne
provava ed una cosa di cui andava estremamente fiero era il fatto di
non essersi mai fatto la guerra con lei.
“Bene, sono a spasso
con i cani.” rispose Tom lanciando un'occhiata ai suoi cuccioli che
non smettevano di correre.
“Non mi
sorprende.” fece dolcemente lei.
“Tu come stai?”
“Un po'
indaffarata in questo periodo ma bene. La prossima settimana faccio
un salto ad Amburgo da mia madre.”
“Bene, salutamela.”
“Senz'altro.”
Ad occhi esterni quella situazione e quel quasi assurdo rapporto
erano qualcosa di inimmaginabile e lui non faceva fatica a
comprenderlo. Anche lui forse avrebbe riscontrato qualche fatica nel
figurarsi qualcosa di simile.
Tom conosceva molto
bene i genitori di Ria. Li aveva conosciuti a sette mesi di
frequentazione. Ricordava ancora le gambe che tremavano, la paura di
compiere un passo decisamente troppo lungo. Abituato com'era a vivere
di scappatelle e solitudine, l'incontro ufficiale con i genitori era
sempre stato annoverato da lui fra le cose da evitare prima dei
cinquant'anni. Solo quando si era seduto al loro tavolo ed aveva
mangiato in loro compagnia – trattato come un vero e proprio figlio
da entrambi – si era reso conto di quanto piacevole potesse in
realtà rivelarsi. Ed era perfettamente al corrente di quanto
avessero sofferto per la loro rottura. “Voi state ancora
lavorando al nuovo album?”
“Sì, è un continuo
lavoro che sembra non giungere mai a termine. Poi, lo sai, con Georg
e Gustav lontani non è così semplice.”
“Non dovrebbero
venire a Los Angeles?”
“Sì ma non subito.”
Ria si prese una
piccola pausa prima di riprendere parola.
“Vedrai che andrà
tutto per il meglio. Farete sicuramente un ottimo lavoro e le vostre
fans non ne rimarranno deluse.”
“Spero che sia come
dici tu.”
“Sicuramente.
D'altronde, sei Tom Kaulitz, no?”
Sorrise a quella sua
uscita.
Ria aveva sempre
creduto in lui e nel suo gruppo. Doveva riconoscerle estremo sostegno
quando stavano ancora insieme. Spesso sedeva a tavola con lui e suo
fratello fino a tardi per aiutarli con nuovi testi o melodie. Non si
stancava mai di dare il proprio parere, di incoraggiarli in qualunque
cosa facessero e gliene era ancora grato.
“Mi mancava il tuo
ottimismo.” ammise un po' malinconico.
“Io sono sempre
qui, lo sai. Non staremo più insieme ma non ho mai smesso di amarvi
come artisti. E lo sai che ti voglio bene.”
Tom annuì sereno, come
potesse vederlo.
“Anche io te ne
voglio.” rispose. Poi scoppiò a ridere, troppo bisognoso di
sdrammatizzare. “Siamo più melensi ora che quando stavamo
insieme.”
Udì la ragazza
seguirlo in quella risata liberatoria.
“Sì, meglio
finirla qui.” scherzò divertita. “O finirò per
innamorarmi di nuovo.”
“Tutte si innamorano
del sottoscritto, prima o poi.” si diede delle arie. “È una cosa
inevitabile.”
“Già.”
ridacchiò lei. Si presero qualche attimo di silenzio. Forse entrambi
pensierosi. “Senti, ora sto facendo la spesa. Che ne dici se ci
risentiamo con calma?”
“Sì, certo.” annuì
lui senza perdere d'occhio i cani.
“Allora, buona
passeggiata.” gli augurò gentilmente.
“Grazie. Ciao, Ria.”
“Ciao, Tom.”
Riattaccò e trasse un
sospiro.
Nonostante tutto, si
sentiva meglio.
***
Fu la sessione di spesa
più pesante che avesse mai dovuto sostenere in ventitré anni di
vita. La tensione fra lei e Neal si tagliava con il coltello ed un
silenzio a dir poco agghiacciante era planato sulle loro cupe figure.
Liesel non faceva nemmeno caso a ciò che le sue mani afferravano.
Gettando un'occhiata al carrello poté notare dei cavolini di
Bruxelles, odiati da entrambi, che chissà come, quando e perché
erano stati afferrati da uno dei due probabilmente sovrappensiero.
Eppure li lasciò lì, non aveva voglia di attraversare di nuovo
l'intero supermercato.
Afferrò una confezione
di carne e la gettò in malo modo nel carrello. Vide Neal fare la
stessa cosa con una di prosciutto.
Odiava quell'atmosfera,
odiava litigare con lui e non parlarsi per delle ore. Tutto per quei
dannati Kaulitz, per di più.
“Dobbiamo continuare
ancora a lungo?” borbottò all'improvviso senza guardarlo e
concentrandosi su una scatola di biscotti. Non ricevette risposta e
nemmeno voltò il viso per capire che espressione avesse assunto o se
la stesse per lo meno guardando. Sospirò nervosamente. “Non ho
voglia di litigare per loro.”
“Tu hai sempre
voglia di litigare.” parlò finalmente il biondo.
“Frena, chi ha
cominciato?” posò finalmente la sua attenzione su di lui, ora
intento a piazzare due bottiglie di latte nel carrello. Era stato lui
ad accendere la fiamma; fosse stato per lei nemmeno avrebbero toccato
quel discorso.
“Chi ha fatto la
cafona durante tutto l'incontro?”
“Ancora.” Sbuffò e
si voltò di nuovo verso gli scaffali, indecisa se prendere i cereali
integrali o al cioccolato. Optò per il cioccolato, era più forte di
lei. Lanciò letteralmente la scatola nel carrello e posò lo sguardo
sull'amico. “Ti chiedo scusa, va bene?” si arrese contrariata.
Neal era stato l'unico
a riuscire a strapparle delle scuse negli anni. Mai nessuno aveva
auto il privilegio di raggiungere quel vero e proprio traguardo,
segnato da un orgoglio di fondo quasi impossibile da abbattere.
“Non devi chiedere
scusa a me.” ribatté lui senza lasciarsi minimamente toccare dalle
sue parole.
“Se pensi che
chiederò scusa a loro, ti sbagli di grosso.” Neal le scoccò
un'occhiata di fuoco per poi darle le spalle e passare in rassegna lo
scaffale dell'acqua. Liesel sospirò per l'ennesima volta. “Posso
piuttosto impegnarmi la prossima volta che li vedrò. Posso frenare
il mio istinto.”
“Oh, questo è molto
coraggioso da parte tua.” si prese gioco di lei con una
smorfia sardonica.
“Neal.” lo
ammonì lei. “Avanti.” cantilenò poi picchiettandogli
scherzosamente un dito sulla testa. Lui le scacciò malamente la mano
senza riuscire però a nascondere un piccolo sorriso che gli si era
formato sulle labbra contro il proprio volere. Liesel ridacchiò e lo
punzecchiò ora su una guancia. “Non sei arrabbiato.” sorrise
senza smettere di stuzzicarlo.
“Vaffanculo.” fu la
risposta poco credibile di Neal. “Stronza.” concluse poi con un
sorriso più evidente.
“Anche io ti voglio
bene.” cinguettò lei prima di stampargli un sonoro bacio sulla
guancia.
***
Attese in silenzio che
qualcuno le rispondesse. Ascoltava distrattamente il suono degli
squilli, comodamente stravaccata sul divano dopo la lunga giornata, e
si gustava un buon gelato alla nocciola – direttamente dalla
vaschetta – davanti ad un film di cui non conosceva nemmeno il
titolo. Sapeva solo che i protagonisti erano dei cani parlanti.
La casa era deserta –
Neal era ovviamente a cena con Damian – e Liesel ne aveva
approfittato per godersi un po' il suo appartamento, il suo divano ed
il suo frigorifero. Se qualcuno l'avesse vista l'avrebbe scambiata
per una zitella depressa che si sfogava sulla classica vaschetta di
gelato post-rottura.
In realtà Liesel era
solo golosa.
“Pronto?”
Quella voce femminile
la risvegliò dai propri pensieri.
“Sì, salve, sono
Liesel Petrova, volevo un'informazione. Qualche giorno fa ho
compilato una constatazione amichevole con il signor Kaulitz ma non
mi è ancora arrivato nessun avviso di pagamento.”
“Attenda in linea,
per favore. Vado a controllare.” Liesel non rispose. Non staccò
gli occhi dallo schermo del televisore benché stesse capendo poco e
niente del film ora muto e si portò alla bocca un'altra cucchiaiata
di gelato. Era proprio curiosa di sapere quanto le sarebbe venuto a
costare quel dannato risarcimento. “Eccomi.” annunciò la
donna. “Guardi, qui non risulta che sia avvenuto alcun
pagamento. E nemmeno che ci sia pervenuta la constatazione amichevole
dal signor Kaulitz.”
Liesel aggrottò la
fronte sbattendo più volte le palpebre. Com'era possibile?
“Mi sembra strano, ho
compilato la constatazione pochi giorni fa. Doveva essere già stata
inviata.” ribatté confusa.
“In questi casi,
può essere che l'altra parte scelga di non presentare nulla.”
Liesel era sempre più
basita. Ci doveva essere un errore, il mangiacrauti aveva chiaramente
espresso il proprio disappunto ed era parso fortemente convinto quel
giorno nel farle compilare la constatazione. Che dovesse ancora
presentarla?
“Può succedere che
non arrivi per errore?” domandò ancora troppo sospettosa per
arrendersi all'evidenza.
“No, guardi,
funziona tutto telematicamente e non ci sono mai stati problemi. In
questo caso, le ripeto, è la controparte che ha scelto di non
chiedere il risarcimento. A meno che non faccia richiesta più avanti
ma se mi dice che l'avete compilata giorni addietro, è più
probabile che abbia scelto di non fare nulla.”
Questa, poi.
“Va bene, grazie.”
si arrese quindi.
“Si figuri.
Arrivederci.”
Riattaccò.
Restò per qualche
attimo con lo sguardo fisso – ma del tutto vuoto – sul televisore
e la mano che reggeva ancora il cucchiaio ferma a mezz'aria.
Perché Kaulitz aveva
scelto di non presentare la constatazione? Era così convinto e
risoluto quel giorno. Che l'avesse presa solamente in giro? Che si
fosse pentito? Che si fosse reso conto che quel dannato graffietto,
per una rockstar come lui, faceva altamente ridere? O che fosse stato
uno stranissimo e losco gesto di pura gentilezza? Non era possibile,
nemmeno la conosceva.
Ripristinò il volume
del film e sotto le chiacchiere improbabili di un cucciolo di Beagle
si portò l'ennesimo cucchiaio di gelato alla bocca.
Vai
a capire gli uomini.
***
Inserì la chiave nella
toppa cercando di fare il meno rumore possibile. La girò digrignando
i denti non appena scattò producendo un rumore secco. Erano le due
di notte e non voleva che Liesel si spaventasse o lo vedesse in
quelle condizioni. L'avrebbe solamente riempito di domande e non
aveva per nulla voglia di parlare.
Il
suo viso era ancora bagnato di lacrime – reduce da una violenta
lite con Damian – e l'aria incredibilmente distrutta. La verità
era che non riusciva più a sostenere tanto dolore. Non aveva mai
creduto possibile che l'amore potesse fare così male, che potesse
strappargli anche quella poca voglia di vivere che gli era rimasta
grazie alla sua migliore amica. Si chiedeva il perché di tanto
strazio, si chiedeva se non fosse degno di amare e di essere amato.
Perché aveva l'impressione di essere respinto da tutti? Dalla sua
famiglia, dal ragazzo che amava. Forse la sua vita era stata
concepita per una continua lotta, anche interiore. E nonostante
andasse fiero della sua identità, a volte si chiedeva perché Madre
Natura non l'avesse fatto nascere eterosessuale. Forse tutti quei
problemi che lo tormentavano nella vita non avrebbero trovato terreno
fertile in quel caso. Tutto ciò che desiderava era una normale
esistenza, una pace ed una tranquillità che attualmente gli
mancavano nonostante l'incredibile amore che ogni giorno Liesel e la
sua famiglia gli mostravano. Ma a lungo andare sapeva che non gli
sarebbe bastato e sapeva anche che non vi sarebbero sempre stati per
lui. Liesel si sarebbe creata una famiglia, avrebbe messo su casa per
conto proprio con il suo uomo, a differenza di ciò che lei si
ostinava a ripetere. Che ne sarebbe stato di lui? Sarebbe stato in
grado di continuare a condurre la propria vita in completa
solitudine? Sarebbe stato fortunato nel trovare anche lui l'amore?
Quello vero, quello ricambiato, quello sereno.
Con un lieve sospiro
richiuse la porta alla sue spalle e si asciugò le lacrime salate.
Posò silenziosamente le chiavi sulla ribaltina e si voltò in
direzione del divano dove una figura dormiente catturò la sua
attenzione.
Gli venne spontaneo
sorridere ed avvicinarsi alla sua migliore amica, profondamente
addormentata e rannicchiata sul divano. Una vaschetta di gelato vuota
sul tavolino di fronte – sorrise immaginando che si sarebbe
strafogata di dolci nella sua assenza – e la televisione ancora
accesa ma priva di volume che trasmetteva una sorta di televendita su
gioielli.
Si piegò sulle
ginocchia e le poggiò leggera una mano sul viso. Le sfiorò
gentilmente la pelle liscia – tanto liscia da non averne mai
sentite altre lontanamente simili – e la osservò pensieroso.
Le palpebre calate e
rilassate, l'espressione beata ed un sorriso quasi impercettibile
sulle labbra.
Era così indifesa
quando dormiva, così dolce. I muri crollavano, la freddezza si
scioglieva e l'inconsapevolezza le permetteva di gettare per un
momento quella corazza fatta di rabbia repressa, scontrosità e
sarcasmo. Ora vi era solo Liesel, nuda e cruda. La Liesel che non
aveva vissuto l'esperienza di un padre assente, la Liesel che non era
stata tradita dal ragazzo che amava, la Liesel che non era costretta
a combattere con un fratello succube della droga. Davanti i suoi
occhi, la Liesel che tanto adorava.
Le posò un bacio lieve
sulla gota prima di rimettersi in piedi. Cercò il telecomando con il
quale pose fine a quell'inutile programma e cercò di farsi strada
nell'oscurità, fino a che non raggiunse la rampa di scale che
l'avrebbe condotto in camera.
Forse dormire gli
avrebbe fatto bene.
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Capitolo 6 *** 'Till death do us part ***
6 'Till death do us part
6
'Till death do us
part
Picchiettava le unghie
sulla scrivania producendo un ritmo per nulla musicale. Il metro ed
il blocknotes sostavano a qualche centimetro dalla sua mano, pronti
per essere utilizzati. L'orologio accanto a lei segnava le nove e
cinquantotto, il che significava che di lì a due minuti – se
puntuali – i gemelli Kaulitz avrebbero varcato la soglia del suo
ufficio.
Da lunghi istanti si
era esclusivamente concentrata su se stessa. Aveva provato a
rimuovere il viso dei ragazzi dalla mente sostituendoli con altri che
non le destassero avversione. Aveva tentato di calarsi nella parte,
di vestire i panni della professionista, di colei che non avrebbe
battuto ciglio al loro arrivo e che avrebbe portato a termine il
proprio lavoro come con chiunque altro. Non erano legati da un
rapporto personale, che andasse al di là della semplice
collaborazione. Sarebbe stata perfettamente in grado di mantenere il
giusto distacco e non cadere nel tranello della provocazione.
Raddrizzò il
blocchetto con l'indice – così, tanto per tenersi occupata – e
sospirò silenziosamente.
Il pensiero di suo
fratello Steven si trovava ancora lì nel suo cervello. Si chiedeva
cosa avesse combinato in quei giorni successivi alla cena e sperò
solamente con tutto il cuore che non avesse procurato altri problemi
a sua madre, o quella volta l'avrebbe seriamente riempito di botte.
Vi doveva pur essere un
modo per fargli nuovamente acquisire il lume della ragione che fino a
sedici anni circa aveva conservato. Non poteva essere del tutto
svanito, doveva trovarsi ancora lì, da qualche parte dentro di lui.
Il flusso dei suoi
pensieri venne improvvisamente interrotto da un lieve bussare.
Sollevò lo sguardo e trovò davanti a sé la segretaria – alle
spalle i gemelli – con una timida espressione in viso.
“Sono arrivati i
gemelli Kaulitz.” le annunciò come ve ne fosse seriamente bisogno
prima di farsi da parte e farli entrare.
“Grazie, Jenna. Mi
chiameresti le direttrici, per favore?” le chiese gentilmente –
quella ragazza doveva pur accantonare l'eccessiva timidezza ed
insicurezza, tremendamente inopportune per tale lavoro – e la
osservò togliere il disturbo dopo un cenno positivo della testa.
“Ciao.” la
salutarono in coro i ragazzi mentre facevano il proprio ingresso nel
suo ufficio.
“Ciao.” rispose lei
con il dovuto distacco.
“Bell'ufficio.”
commentò Bill guardandosi attorno.
Entrambi indossavano
magliette di cotone a mezze maniche, che fasciavano perfettamente i
fisici scolpiti e muscolosi, accompagnate da normali jeans di colore
scuro. Se non li avesse conosciuti, avrebbe ammesso a se stessa di
trovarli oggettivamente attraenti. Ricordavano vagamente lo stile di
Morris, il barista del Red con il quale aveva condiviso la notte di
fuoco ancora impressa nella sua testa.
“Grazie.” rispose
semplicemente. Nemmeno due secondi dopo, Kate e Laura annunciarono la
propria presenza così che Liesel potesse presentarli. “Loro sono
Bill e Tom Kaulitz, i modelli scelti per la linea.”
“Salve.” fece Tom
gentilmente porgendo la mano che si apprestarono a stringere ad
entrambi.
“Sì, vi conosciamo.”
sorrise Laura. “Beh, mi sembra una magnifica scelta.”
Liesel annuì appena
seppur non completamente d'accordo.
“Sono sicura
riuscirete a fare un bel lavoro.” aggiunse Kate. “Ho visto alcuni
vostri servizi fotografici e devo dire che siete molto fotogenici.
Inoltre avete un bel fisico entrambi quindi siete perfetti per
presentare la linea.”
“A tal proposito.”
rifletté Laura ad alta voce. “Noto che siete anche molto alti.”
Si voltò verso sua sorella. “Non sarebbe interessante farli anche
sfilare a New York?”
Kate parve riflettervi
su mentre i gemelli si scambiarono un'occhiata. Liesel, dal suo
canto, si era talmente arresa agli avvenimenti che non disse una
parola.
“Non so se ne siamo
in grado.” sorrise Bill, visibilmente insicuro.
“Tu avevi già
sfilato per Dsquared, giusto?” gli domandò a quel punto
Kate.
Il vocalist si portò
una mano alla nuca.
“Sì ma ho fatto
giusto l'apertura e la chiusura con i disegnatori.”
“Beh, potrebbero fare
una cosa simile, no?” propose Laura a sua sorella.
“Già, non sarebbe
una brutta idea.” mormorò Kate pensierosa. “E durante la
chiusura Liesel potrebbe sfilare con voi, immediatamente succeduti da
noi due.” continuò a riflettere. Non le andava decisamente a genio
la piega che quel discorso stava prendendo. Di male in peggio, ora si
trovava costretta a collaborare con i gemelli persino a New York, e
se gli dei avessero voluto farle un favore, anche a Milano. Possibile
che il suo parere non contasse minimamente? D'altronde la linea era
sua, era stata lei a crearla. “Può essere decisamente una buona
idea. E grazie alla loro notorietà la linea avrebbe sicuramente più
successo.”
La vera disgrazia di
tutta quella storia era che il loro ragionamento non faceva una
grinza. Era vero, i gemelli avrebbero apportato un numero
indefinibile di spettatori solamente con la loro immagine. Chiunque
ne avrebbe parlato, esattamente come era successo per la sfilata di
Dsquared. E Liesel era perfettamente consapevole del fatto che
se avesse voluto che il suo primo progetto fosse inaugurato con il
così detto botto, avrebbe dovuto adeguarsi a tali scelte.
“Studieremo per bene
la cosa e vi riferiremo tutto quanto, se per voi non ci sono
problemi.” disse Laura scrutando attentamente i gemelli, alla
ricerca di un singolo sguardo che lasciasse trapelare il minimo
disappunto.
I ragazzi si
adocchiarono per un istante prima di scuotere la testa.
“Per me sarebbe la
prima volta ma posso farlo.” spiegò Tom.
“Non è un problema
se non hai mai sfilato.” lo rassicurò Kate. “Per l'apertura e la
chiusura andreste più che bene. All'intera sfilata penseranno i
modelli professionisti.”
I gemelli annuirono.
“Studieremo la cosa
per bene e vi faremo sapere, allora.” concluse quindi Laura con la
soddisfazione nelle iridi quasi gialle. “Ora vi lasciamo al vostro
lavoro. Liesel, hai tutto sotto controllo, vero?” La bruna annuì
convinta. “Perfetto.” sorrise.
“Arrivederci.”
salutò Kate i due prima di congedarsi con la sorella.
Calato improvvisamente
il silenzio, i gemelli si voltarono in direzione di Liesel, la quale
era rimasta immobile accanto alla scrivania.
“Io non ne sapevo
nulla.” sollevò le mani prima di afferrare il metro.
“Sembrano
simpatiche.” commentò Bill.
“Sono brave persone.”
confermò semplicemente la bruna mentre si avvicinava ai due.
“Cominciamo con te?” domandò al vocalist che la osservava, quasi
timoroso che potesse strangolarlo con il metro. Si limitò ad annuire
mentre il fratello andava a sedersi sul divanetto immediatamente
accanto a loro. Liesel afferrò le mani del biondino e gliele fece
posizionare perfettamente tese lungo i fianchi. “Tieni le braccia
ferme così e stai dritto con la schiena.” gli suggerì prima di
posizionare la prima estremità del metro sul pettorale sinistro.
Mantenendosi ad
'altezza capezzolo', come aveva studiato durante i corsi, lo fece
girare attorno all'intero torace fino a che non congiunse la seconda
estremità alla prima. Bill si era irrigidito appena in quella sorta
di abbraccio – probabilmente timoroso che lo potesse seriamente
uccidere da un momento all'altro – ed attese che prendesse la prima
misura.
La bruna si voltò e
scrisse sul blocchetto la prima cifra, sotto il nome di Bill.
“Da quanto tempo fai
questo lavoro?” domandò visibilmente curioso.
“Quattro anni. Ho
iniziato a diciannove, appena finita la scuola.” parlò
distrattamente la ragazza per poi posizionarsi nuovamente di fronte a
lui. Gli occhi di Tom nel frattempo erano attentamente posizionati
addosso alle loro figure.
Questa volta fece
girare il metro attorno alla sua stretta vita.
“Hai seguito dei
corsi?” si informò il chitarrista.
“Sì, per qualche
mese.”
Segnò la seconda
misura.
“Credevo si dovesse
frequentare l'università per questo.” rifletté Bill incuriosito.
“Teoricamente sì.”
confermò Liesel posizionando questa volta il metro sulla vita.
Ignorò con classe il fatto che gli toccò letteralmente le natiche
nel farvelo girare – poteva percepire la tensione del ragazzo – e
congiunse nuovamente le due estremità. “Ma si può dire che io
abbia avuto fortuna.” concluse per poi segnare la terza misura.
“Avevo una certa propensione per il disegno.”
Tastò le spalle del
vocalist assicurandosi di posizionare la prima estremità del metro
sull'osso sinistro e lo prolungò fino alla spalla destra
attraversando lo sterno. Solo in quel momento si rese seriamente
conto di quanto fossero alti.
Fece la stessa cosa
dietro di lui.
“Che scuola hai
frequentato?” chiese Tom mentre scriveva la quarta misura.
“Il liceo artistico.”
Poi si rivolse a Bill. “Spingi il petto in fuori e metti le mani ai
fianchi cercando di avvicinare i gomiti il più possibile.”
Lui seguì le sue
indicazioni e la bruna misurò nuovamente l'ampiezza delle spalle.
“Ma poi cuci tu i
vestiti?” domandò interessato.
“Sì, con l'aiuto dei
colleghi.”
“A me è sempre
sembrata una cosa impossibile.”
“Non è semplice ma
nemmeno impossibile.”
Posizionò la prima
estremità del metro ad altezza vita e lo distese fino alla spalla,
che circondò, fino a farlo scendere lungo la schiena per congiungere
le estremità.
“Tu e Neal vi siete
conosciuti per lavoro?” domandò di nuovo il moro.
Tutte quelle domande
cominciavano a farle prudere fastidiosamente le mani. Aveva promesso
a Neal di non rispondere male ma aveva anche promesso a se stessa di
mantenere un semplice rapporto professionale con i ragazzi. Ed ora il
suo cervello sembrò sul punto di esplodere.
“A dire il vero,
abbiamo frequentato lo stesso liceo.” precisò. Misurò la
lunghezza del braccio e notò i vistosi tatuaggi; una scritta al suo
interno, seguita da un numero. Ma ciò che più catturò l'attenzione
di Liesel fu quello che copriva interamente la sua mano:
rappresentava un vero e proprio scheletro che, dovette ammettere, non
la colse del tutto indifferente. “Tatuaggio un tantino
inquietante.” non poté fare a meno di commentare.
Non vi aveva nemmeno
fatto caso il giorno prima, tanto era occupata ad ignorarli o
detestarli mentalmente. Mai nella vita avrebbe avuto il coraggio di
tatuarsi qualcosa di simile nonostante la sua pelle fosse già stata
'pitturata' più volte.
Udì la lieve risata
del biondo.
“Non sei l'unica
persona ad avermelo detto.” ammise mentre lei faceva girare il
metro attorno al suo bicipite.
“Se ti inquieta la
mano, aspetta di vedere quello sul petto.” parlò Tom sotto il suo
sguardo sospettoso.
In quale strano e
losco contesto dovrei vedere quello sul petto? Si chiese. Non era
nemmeno curiosa di saperlo.
Trascrisse l'ennesima
misura.
“Nascondi uno yeti?”
fece poi con sarcasmo, rivolta al cantante, circondandogli la spalla
col metro. Effettivamente, attraverso la non troppo marcata
scollatura della canottiera poteva intravedere quello che pareva un
tatuaggio particolarmente colorato. Il rosso era una delle tonalità
che aveva catturato la sua attenzione.
“Un cuore.” rispose
lui con un piccolo sorriso.
Liesel sollevò un
sopracciglio e gettò un'occhiata sardonica al chitarrista.
Non era decisamente ciò
che aveva notato.
“Cosa ci sarebbe di
inquietante in un cuore?” fu la sua domanda retorica e pregna di
scetticismo.
“In un cuore nulla.
In un muscolo molte cose.” fece con estrema tranquillità il moro.
Percepì un brivido
percorrerle la colonna vertebrale. Quella confessione l'aveva non
poco impressionata. Si era seriamente fatto tatuare il muscolo
del cuore sul petto? Aveva ragione da vendere nel ribadire che quei
ragazzi non fossero del tutto normali.
“Beh, così è tutta
un'altra storia.” commentò quasi con rimprovero sotto lo sguardo
divertito di Bill. Prolungò il metro dalla vita al tallone. “Hai
preso una botta in testa prima di partorire un'idea simile o ti sei
semplicemente fatto qualche bicchierino di troppo?” chiese senza
nemmeno guardarlo, troppo occupata a segnare i numeri sul blocchetto.
“Purtroppo nessuna
delle due.” rispose Tom per lui.
“Sono gusti.”
scrollò le spalle Bill in sua difesa, come se la cosa non lo
toccasse minimamente.
“Tu non hai tatuaggi
inquietanti?” indagò a quel punto il mangiacrauti moro con un
sorrisetto furbo e caustico sulle labbra. “Mi sembri il tipo che
nasconde dragoni sulla schiena.”
Tu invece mi sembri
il tipo che spara tante cazzate e farebbe meglio a tacere. Fu un
pensiero che – grazie al buon senso che le era rimasto – restò
tale.
“Non nascondo
dragoni.” si limitò a rispondere misurando la circonferenza del
collo di Bill. Nascondeva delle rondini stilizzate, quello sì.
Concluse il lavoro misurando la circonferenza del pugno, del polso e
la semplice altezza del ragazzo. “Con te ho finito.” disse quindi
per poi lanciare un'occhiata a Tom, ancora comodamente seduto sul
divanetto. “È il tuo turno.” gli annunciò così che suo
fratello prendesse il suo posto.
Lui le si posizionò di
fronte e la bruna riprese a compiere le stesse azioni di poco prima.
Cominciò con la circonferenza del torace e quella sorta di abbraccio
che aveva già inquietato Bill fu per lei persino più scomodo: Tom
era decisamente più muscoloso del fratello e di conseguenza Liesel
aveva meno spazio a disposizione.
“Visto che non mi
sopporti, farò finta che tu mi stia abbracciando con affetto.” la
prese in giro il ragazzo, a stretto contatto con il suo petto
decisamente più morbido. “Non capita tutti i giorni.”
“Il tuo senso
dell'umorismo è vecchio e monotono.” ribatté Liesel
allontanandosi da lui per trascrivere la misura. “A proposito, ho
una domanda da farti.” continuò come illuminata da un pensiero
mentre si riavvicinava per calcolare la vita. “Che fine ha fatto la
constatazione amichevole che mi hai fatto compilare, dopo un tormento
durato una buona mezzora?”
Tom non abbandonò il
suo sorriso intriso di furbizia nell'osservarla trascrivere le cifre.
“Perché questa
domanda?” le chiese troppo vago per essere lontanamente credibile.
Liesel aveva tutti i difetti del mondo ma non era stupida.
“Per caso ieri
ho chiamato la mia assicurazione e mi è stato detto che nessuno ha
ricevuto alcuna richiesta di risarcimento.”
“Ma che strano.”
ridacchiò il chitarrista prendendola chiaramente in giro.
“Vorrei sapere a che
razza di gioco state giocando tutti e due.”
Fece passare il metro
sulle sue natiche – il fatto che fossero estremamente sode, da quel
poco che poteva intuire, non la toccò minimamente – e prese la
circonferenza dei fianchi. Era incredibile come riuscisse a rientrare
nei canoni ricercati per i modelli professionisti. Le misure erano a
dir poco perfette e mai l'avrebbe reso noto a lui o alle sue
direttrici.
“Invece che
ringraziare, te ne stai lì a sospettare della mia buona azione.”
le fece notare divertito.
Liesel finì di
scrivere prima di rispondere.
“Ringraziarti di
cosa? Hai semplicemente fatto ciò che era ovvio fare. Perché
il danno era pressoché inesistente.” ribatté saccente prima di
posizionarglisi di fronte.
Ignorò il suo sguardo
insistere sul proprio viso e misurò l'ampiezza delle spalle. Quel
dannato ragazzo aveva un corpo a dir poco perfetto e proporzionato;
se non avesse avuto quell'insopportabile modo di fare, l'avrebbe
persino reputato una persona interessante.
“Tu non sei proprio
in grado di dire grazie e basta, vero?” le fece notare con
incredibile pacatezza.
Pareva non essere
minimamente toccato dalle sue provocazioni o forse era
incredibilmente bravo a fingere indifferenza, cosa che per Liesel non
poteva rappresentare altro che ulteriore terreno di sfida.
“Lo faccio solo
quando necessario.” si difese con nonchalance per poi prendere
anche la misura della schiena imponente e dai muscoli contratti.
“Inarca anche tu la schiena e metti le mani sui fianchi.” gli
ordinò poi.
Ubbidì e Liesel poté
portare avanti il suo lavoro con incredibile calma. Quando giunse a
rilevare la circonferenza del suo bicipite – decisamente muscoloso
a dispetto di ciò che aveva previsto – fu distratta da un
tatuaggio piuttosto visibile che richiamava, se non ricordava male,
quello che Bill nascondeva al centro del petto, dalla tonalità
rossa.
Tom sembrò
accorgersene.
“È lo stesso di mio
fratello.” le spiegò senza che lei glielo chiedesse. Lei si finse
disinteressata ma continuò a scrutarlo con attenzione cercando di
intuire quale strano significato vi si celasse. “È un simbolo che
rappresenta l'amicizia.” continuò gentilmente.
Liesel non rispose.
Anche per lei
l'amicizia era qualcosa di troppo importante, di vitale per quanto la
riguardava. Senza i suoi amici, ma soprattutto senza Neal, si sarebbe
sentita letteralmente persa. Non poteva pensare di svegliarsi al
mattino e non scorgerlo nelle sue mutande leopardate, i capelli
scompigliati e l'aria sbattuta. Non poteva pensare di ricevere una
bella notizia nel lavoro e non poterla condividere con lui o
Samantha. Certo, la sua famiglia era presente ma aveva già il suo
gran da fare con un figlio troppo problematico, il che toglieva tempo
per se stessa. Inoltre la comprensione di una madre alle volte non
poteva bastare. La comprensione di un amico era essenziale, era
qualcosa che poteva cogliere la minima sfumatura che si celasse nel
profondo. Un amico poteva capirla a volte meglio di chiunque altro.
Misurò la lunghezza
del braccio, il polso, la spalla. Quando gli si avvicinò di nuovo
per misurare la circonferenza del collo, gli lanciò un'occhiata
quasi truce senza un vero e proprio motivo. Sapeva solo che il
ragazzo non riusciva a cancellare quell'insopportabile sorrisino che
andava ad increspare visibilmente le sue labbra. Sembrava un voler
continuamente prendersi gioco di lei. A quale razza di scopo?
Una volta che anche la
lunghezza delle gambe e l'altezza complessiva del chitarrista furono
rilevate, gli permise di congedarsi.
“Ho preso tutte le
misure necessarie.” parlò mentre trascriveva l'ultima cifra. I
gemelli nel frattempo erano entrambi in piedi al di là della sua
scrivania. “Ovviamente per la realizzazione dei capi avrò bisogno
di qualche settimana. Probabilmente due basteranno ma non mi voglio
sbilanciare.” spiegò con fare professionale. “Prima di
realizzare il servizio fotografico sarà necessario che voi li
indossiate per assicurarci che vestano bene. Almeno ho tutto il tempo
di apportare modifiche in caso di errore.”
“Allora attendiamo
una tua telefonata?” si informò Bill.
“Sì.” rispose
Liesel seria.
L'improvviso bussare
alla porta ancora aperta del suo ufficio fece voltare tutti e tre
nella sua direzione.
“Oh, scusa, non
pensavo fossi occupata.” disse Samantha in difficoltà senza
risparmiarsi dal gettare occhiate incuriosite ai ragazzi.
“Tranquilla, abbiamo
appena finito. Loro sono Tom e Bill Kaulitz, i modelli per la mia
linea. Lei è Samantha Lewis, collega e amica.”
“Tanto piacere.”
sorrise eloquente la rossa stringendo con enfasi le mani ad entrambi.
Liesel conosceva fin troppo bene quello sguardo. “Ero venuta per
proporti una pausa caffè.” spiegò per poi rivolgersi ai gemelli.
“Potete venire anche voi.” fece con particolare interesse.
Liesel sentì l'impulso
di strangolarla.
“Saranno occupati.”
intervenne pregando perché i mangiacrauti recepissero il messaggio
volontariamente malcelato.
“Sì, abbiamo delle
cose da fare.” sorrise appena il chitarrista, rivoltosi gentilmente
alla rossa. “Ma grazie comunque.”
Samantha parve delusa.
“Sarà per un'altra
volta.”
“Beh, allora io vi
saluto.” si intromise Liesel facendo il giro della scrivania per
raggiungerli, timorosa che potessero cambiare idea. “Vi farò
sapere.”
“D'accordo. Grazie.”
annuì Bill. “Buona giornata.” augurò ad entrambe prima di
uscire dall'ufficio.
“Ciao.” salutò Tom
per poi seguire suo fratello.
Liesel scrutò con
sospetto la sua amica, che non aveva ancora staccato gli occhi dalle
due figure che si allontanavano con andatura sicura e tranquilla.
Quando posò nuovamente le iridi verdi su di lei Liesel si affrettò
a parlare.
“So a cosa stai
pensando. Toglitelo dalla testa.” la mise in guardia prima di darle
le spalle e riporre il blocchetto nel cassetto della scrivania.
Samantha era ormai per
Liesel un libro sempre e comunque aperto, dannatamente prevedibile e
scontato. Ed il bello arrivava inesorabile quando la bruna rientrava
fra i suoi strani e contorti pensieri.
“Dico solo che sono
dei gran bei ragazzi sui quali non sputerei.” sollevò le mani la
rossa con fare innocente.
“Non ti sei appena
rimessa con Max?” le fece notare mentre riordinava le carte.
“Te l'ho detto,
guardo e basta. Riconosco un bel ragazzo e stavo solamente dando un
chiaro parere su questi interessanti gemelli.”
“Interessanti quanto
idioti.”
“Non penso siano
idioti.”
“Lo dici solo perché
hanno qualche muscolo.”
Samantha la scrutò per
qualche attimo senza rispondere poi, come risvegliatasi da un breve
coma, decise di ribattere.
“Anche se fosse?”
si difese quasi offesa.
“Andiamo a prendere
questo caffè.” sospirò Liesel per poi superarla fuori
dall'ufficio.
***
Soffiò con delicatezza
sulla superficie fumante della tazzina lasciando che un po' del
vapore le scaldasse il viso. L'aroma pungente del caffè le invase le
narici rigenerandola da quella mattinata a dir poco tesa. Il grande
bar era situato all'interno dell'azienda, a qualche passo
dall'entrata, circondato da enormi vetrate che gli conferivano un
aspetto luminoso ed incredibilmente vasto, esattamente come l'intero
edificio. I numerosi dipendenti si erano concessi un momento di pausa
per sorseggiare un cappuccino, un succo d'arancia o un tè,
accompagnati da una spensierata conversazione fra colleghi. Per molti
quel momento della giornata era il vero motivo per cui trovassero la
forza di abbandonare le confortevoli lenzuola al mattino.
Samantha, seduta di
fronte a lei, sorseggiava il suo caffè con lentezza esasperante,
quasi a voler gustare ogni singola goccia di quella calda e piacevole
bevanda prima di tornare al lavoro e quindi alla serietà.
“Quindi come vi siete
rimessi insieme questa volta?” domandò Liesel come non conoscesse
già la risposta.
A dire il vero, l'aveva
fatto solamente per le esigenze della conversazione. Poteva vedere la
scena davanti ai suoi occhi: Max che, ubriaco, si faceva trovare
sotto casa sua; Samantha che, colta da un'improvvisa ed inevitabile
compassione, se lo caricava in spalla e lo faceva salire; Max che le
giurava amore eterno ed un finale con i fiocchi in cui il sesso
faceva da protagonista.
“Beh, quando l'ho
trovato ubriaco sotto casa mia, non sono riuscita a lasciarlo lì.”
raccontò la rossa con sguardo colpevole.
Samantha era
perfettamente al corrente di quanto ingenua e debole fosse alle
volte. Dacché avesse memoria, Liesel non aveva mai visto la sua
amica sputare un secco no a Max da quando l'aveva conosciuto.
Anche la rossa sapeva quanto sbagliato potesse essere continuare ad
aprirgli le braccia ogni qual volta tornasse da lei per implorare il
perdono nonostante fosse l'ultimo che vi credesse realmente.
Era un uomo con l'età
giusta per crearsi una famiglia benché il suo cervello vi si fosse
sempre ribellato desiderando di restare bambino. Samantha al
contrario era una ragazza di ventitré anni con tanta voglia e gioia
di vivere. Amava divertirsi, vivere di notte. Amava la libertà,
quella libertà che con Max non poteva avere. Se solo l'avesse
metabolizzato, avrebbe ancora avuto tutto il tempo per ricominciare
da capo ed abbandonarsi alle spalle tutti gli anni persi con lui.
“Mi spieghi cosa ti
frena dal lasciarlo perdere una volta per tutte?” chiese Liesel
basita. Domanda che in un modo o nell'altro le aveva sempre posto.
Samantha si strinse
nelle spalle.
“Lo sai, alla fine
gli voglio bene. Abbiamo passato tanti anni assieme. Mi dispiacerebbe
vederlo soffrire per causa mia.”
“Parli come una
sessantenne che si accontenta dell'uomo che ha accanto per semplice
compagnia durante la vecchiaia.” La rossa distolse lo sguardo,
consapevole. “Hai ventitré anni, vuoi stare dietro a uno del
genere per tutta la vita e chiederti come sarebbe stato vivere la tua
età? Avete una mentalità completamente differente, non c'entrate
nulla l'uno con l'altra. Lui potrebbe già essere sposato con figli,
tu hai ancora bisogno di divertirti, ti conosco.”
“Ma io mi diverto con
lui.”
Liesel calò le
palpebre a mezz'asta con espressione scettica.
“Ti diverti quando ci
fai sesso?” fece con schietto sarcasmo ma stando ben attenta a non
farsi sentire dalla gente attorno. Samantha, colpita, sembrò non
trovare il coraggio di rispondere. “Fidati, sei ancora in tempo.”
ribadì quindi tornando a poggiarsi allo schienale della sedia, ora
più rilassata.
Dopo qualche sorso di
caffè Samantha sospirò e poggiò nuovamente la tazzina sul
tavolino.
“Basta parlare sempre
di me. Hai più sentito Morris?” si informò a quel punto con la
sua solita irrefrenabile curiosità.
Liesel sollevò lo
sguardo corrucciato su di lei.
“Perché avrei dovuto
sentirlo?” fece confusa.
La rossa batté le
ciglia un paio di volte come non avesse ben compreso la domanda.
“Beh, hai passato con
lui una delle notti più focose della tua vita, mi aspettavo che lo
rivedessi.”
Liesel sollevò un
sopracciglio.
“D'accordo, fermi
tutti.” ridacchiò priva di divertimento. “Primo, come fai a dire
che sia stata la notte più focosa della mia vita? Secondo, mai
sentito parlare di botte e via?” fece caustica sapendo
perfettamente quante scappatelle si fosse concessa la sua amica nei
così detti momenti di pausa con Max.
Samantha fece
schioccare la lingua contro il palato per poi scuotere la testa
contrariata, come la sapesse lunga.
“Vedi qual è il tuo
problema? Non sai approfittare delle buone occasioni.” parlò con
tono esperto.
“Mi sembra di aver
approfittato di un'ottima occasione.” precisò la bruna. Se
la memoria non la ingannava, aveva approfittato eccome.
“Intendo mantenere i
contatti con le buone occasioni per crearne di altre.” fece
la rossa allusiva.
“Lo sai che non
voglio casini. Gliel'ho chiarito sin dall'inizio.”
“Gli hai messo
paura!”
“Gli ho fatto un
favore. Sappiamo benissimo che gli uomini sono solo contenti quando
si precisa di non volere alcun tipo di frequentazione dopo il sesso.”
Samantha scosse la
testa con desolazione.
“Quando la smetterai
con questa storia dell'eterna solitudine?”
“Finché mi starà
bene.”
Il silenzio calò per
un attimo fra loro. Probabilmente entrambe pensavano alla cosa più
giusta da dire ma nessuna delle due ebbe l'idea lampo. Almeno non
finché Samantha non decise di riprendere parola con la domanda più
stupida del secolo.
“Mai pensato di
creare una buona occasione con uno dei Kaulitz?”
L'occhiata omicida e
fulminante di Liesel bastò come risposta.
***
Liesel si era messa da
subito al lavoro. I primi giorni erano trascorsi con incredibile
velocità, viste le infinite ore che dedicava assieme ai colleghi
alla realizzazione dei capi. Era decisa a finire in tutta fretta.
Dopo aver preso le
misure di tutti i modelli professionisti per la sfilata di New York,
si era immediatamente immersa nell'alta sartoria. Si trattava della
sua prima linea, della sua prima occasione per realizzare il proprio
sogno e non voleva per nessun motivo sprecarla. Per tale ragione
avrebbe terminato il tutto il prima possibile – auspicio che
l'aveva portata a lavorare anche in casa, a volte durante la notte.
“Hey, sei ancora lì?”
udì improvvisamente la voce addormentata di Neal – reduce da una
lunga dormita sul divano – con il viso che sbucava curioso in
cucina.
Liesel sedeva al
tavolo, intenta a realizzare una delle magliette da lei disegnate.
Scoccò una rapida occhiata all'orologio e notò con sorpresa che era
quasi mezzanotte. Aveva lavorato su quei capi per ben quattro ore di
fila e non se ne era nemmeno resa conto, se non per l'incredibile
stanchezza e le palpebre dannatamente pesanti. Cercò di allungare i
muscoli della schiena – del tutto intorpiditi – e si voltò verso
l'amico.
“Non mi sono resa
conto.” mormorò posando sul tavolo la stoffa lavorata.
“Ti conviene staccare
o diventerai pazza.” le consigliò il biondo per poi recuperare una
bottiglia d'acqua dal frigo.
Liesel si strofinò la
faccia con fare esausto ed osservò il ragazzo sedersi a capotavola,
accanto a lei. Le posò un bicchiere ad un palmo e glielo riempì.
“Grazie.” sussurrò
portandoselo successivamente alla bocca. A volte anche un semplice
bicchiere d'acqua era in grado di rigenerarla. Anche Neal bevve in
silenzio senza mai toglierle gli occhi di dosso. Indossava un
semplice paio di boxer – quella volta non vi era l'ombra di
leopardato o zebrato – ed i capelli erano del tutto scompigliati.
“Anche tu sei stanco.” notò. Pareva non dormisse da secoli.
“È un periodo un po'
pesante al lavoro.” la rassicurò lui ma ciò non parve convincerla
del tutto. Avrebbe tanto voluto scavare a fondo, indagare su cosa lo
stesse tormentando da giorni – se ne era accorta, non era stupida –
ma sapeva anche che in quelle condizioni parlare era l'ultima cosa
conveniente da fare. Si strofinò la faccia anche lui. “Tanti
servizi, uno dietro l'altro.” parlò dietro le mani, così che la
voce risuonò ovattata.
“Non puoi
organizzarli meglio con gli orari?” domandò lei fingendo di
credervi.
“Sì, modificherò
qualcosa.” commentò lui, ora con lo sguardo fisso sul proprio
bicchiere. Avrebbe scommesso la casa che il motivo del suo malessere
fosse ancora una volta Damian. “Vado a dormire ora.” annunciò
poi alzandosi per posare il bicchiere nel lavabo. “Vai a letto
anche tu?” le domandò osservandola di nuovo.
Liesel scrollò la
testa.
“No, non ne ho
voglia.” rispose.
“D'accordo però
smettila di sferruzzare, per favore.”
“Sì.” ridacchiò
lei prima di ricevere un bacio sulla testa.
“Notte.” la salutò
per poi sparire su per le scale.
Di nuovo immersa nella
solitudine, Liesel rifletté per qualche secondo.
Era vero, non aveva
decisamente voglia di andare a dormire benché la stanchezza si
facesse chiaramente sentire. Il fatto era che da qualche minuto un
pensiero insistente la stava tenendo occupata, e quel pensiero non
era altri che suo fratello. Doveva vederlo, doveva sapere come stesse
e cosa stesse combinando.
Non lo vedeva e non lo
sentiva da due settimane, dall'ultima lite, ed era sicura che quella
notte non avrebbe chiuso occhio se non avesse dato retta all'istinto
di prendere la macchina e raggiungerlo al lavoro. Se non ricordava
male, staccava a mezzanotte in punto e l'orologio da parete segnava
che mancavano quindici minuti esatti. A velocità sostenuta, sarebbe
riuscita a raggiungerlo in tempo anche solamente per farsi mandare al
diavolo.
Si alzò dalla sedia e
spense la luce della cucina. Indossò il paio di scarpe che aveva
lasciato in corridoio non appena rientrata in casa e non si scomodò
nemmeno a darsi una rassettata. Neppure ai capelli disordinati, che
parevano vittime di un violento tifone. Li raccolse semplicemente in
una coda ed uscì di casa senza fare troppo rumore; Neal le avrebbe
senza dubbio chiesto dove stesse sgattaiolando e non voleva
impensierirlo più di quanto già non fosse.
Nonostante l'ora tarda,
la temperatura manteneva il solito calore pomeridiano e Liesel – in
semplice canotta dai motivi floreali – non percepì il minimo
sbalzo di temperatura.
La strada era meno
trafficata del solito e ciò agevolò il suo tentativo di arrivare
puntuale.
Poteva facilmente
prevedere la reazione di suo fratello non appena l'avrebbe vista, non
aveva bisogno di una palla di vetro per dedurlo. Steven era sempre
scontroso con lei e dopo una lite la situazione non sarebbe
certamente stata delle più idilliache. Non si sarebbe sorpresa
nemmeno se avesse fatto finta di non conoscerla.
Finalmente giunta a
destinazione – al contrario delle sue previsioni, ce l'aveva fatta
con ben cinque minuti di anticipo – spense il motore,
immediatamente di fronte al Formosa Cafè, ed attese in auto che suo
fratello facesse la sua uscita.
Forse per la prima
volta nella sua vita aveva timore di rivedere Steven. Non che non
avessero mai litigato – i litigi avevano sempre rappresentato il
loro pane quotidiano – ma quella volta era trascorso molto più
tempo del solito dall'ultimo scambio di parole e l'incognita era
enorme davanti ai suoi occhi.
Scorse i primi clienti
abbandonare il locale. Probabilmente si stavano preparando alla
chiusura.
Non sapeva nemmeno cosa
avrebbe potuto dirgli. Aveva guidato fin lì a tutta velocità senza
un'idea concreta nella testa. L'improvvisazione non era il suo forte
– la maggior parte delle volte la mandava nei casini – ed il suo
particolare talento nel provocare era lì in agguato, che minacciava
di rovinare tutto.
Un brivido le percorse
la colonna vertebrale quando lo vide varcare la soglia assieme al
capo. Li osservò chiudere la serranda e scambiarsi un gesto di
saluto, tipico dei ragazzi.
Ora
o mai più.
Si affrettò a scendere
dalla macchina.
Il proprietario del
Formosa era già lontano mentre Steven si era fermato proprio lì
davanti per accendersi una sigaretta, ancora ignaro della sua
presenza. Ma quando il tonfo della portiera che veniva chiusa giunse
alle sue orecchie, sollevò lo sguardo perplesso sulla sua figura.
Adesso urla,
pensò.
Al contrario, non
fiatò. Aveva sgranato appena gli occhi nello scorgerla ma non aveva
in ogni caso battuto ciglio. Non si era mosso, non aveva accennato ad
andarsene, il che era positivo. Era rimasto immobile con la sigaretta
fra le labbra e le mani intrufolate nelle tasche dei jeans.
“Che cosa fai qui?”
le domandò gelido senza sfilarsi la sigaretta dalla bocca.
“Sono venuta per
vedere come stavi.” rispose lei mantenendo la calma.
“Sto bene.” tagliò
corto lui per poi darle le spalle con l'intenzione di raggiungere la
sua macchina parcheggiata a pochi metri da quella di Liesel.
Questa gli afferrò un
braccio per fermarlo.
“Aspetta un momento,
per favore.” lo ammonì seccata. “Se per una volta ti fermi a
parlare con tua sorella non finisce il mondo.”
Lui si liberò
malamente dalla sua presa e si voltò nella sua direzione con rabbia.
“Di cosa dobbiamo
parlare?” ribatté nervoso.
Mantieni la calma,
continuava a ripetersi nella testa. È l'unico modo.
“Deve sempre essere
tutto studiato a tavolino? Dov'è finita la spontaneità di quando
eravamo piccoli?”
“È bruciata assieme
al tuo cervello.”
Si voltò di nuovo e
Liesel si affrettò a bloccargli la strada con decisione.
“Smettila di
comportarti così, non ne hai motivo!” esclamò decisamente urtata
da quell'ennesima uscita del tutto fuori luogo. Non avrebbe mai
imparato.
“Non ne ho motivo?
Scusami, dev'essere stata un'altra stronza quella che mi ha
sputtanato davanti a mamma e papà!”
“Hey, tu non hai
fatto nulla di diverso! Mi hai chiaramente dato della troia!”
“La prossima volta
userò un eufemismo.”
“Non è divertente.”
“Allora, levati. Sono
stanco morto e voglio andare a dormire.” Provò a sorpassarla senza
successo.
“Tu non stavi andando
a dormire in ogni caso.”
Gli si parò nuovamente
davanti.
“Questo dovrebbe
riguardarti?”
“Sì perché non fai
altro che combinare cazzate.”
“Ti ho già detto
un'infinità di volte di non vestire i panni della mamma. Tre anni in
più non te ne danno il diritto.”
“La mamma non ha
nemmeno più la forza di dirti nulla, non te ne sei accorto?”
Steven riuscì a superarla. “Come fai ad agire continuamente a
questo modo pur sapendo di farle del male?”
“Se avessi saputo che
mi sarei dovuto sorbire una predica, non sarei nemmeno venuto a
lavorare.” borbottò il ragazzo mentre apriva con stizza la
portiera della macchina.
“Vedi come fai?
Continui ad evitare le mie domande!” alzò la voce la bruna, sempre
più disperata.
“Perché sono
incredibilmente noiose!” Liesel non si dette per vinta. Quella
volta avrebbe avuto la meglio con le buone o con le cattive. Fece il
giro dell'auto e salì a lato del passeggero. “Scendi da questa
cazzo di macchina.” la minacciò lui mentre richiudeva la sua
portiera. Il finestrino aperto per fumare.
La bruna fece lo
stesso.
“No, finché non
riusciamo a conversare civilmente.” insistette.
“Ma io non ho voglia
di conversare.” marcò particolarmente quella parola per
enfatizzare quanto la trovasse inutile e stupida. “Voglio andare a
dormire.”
“Ti ho detto che non
mi freghi con la stronzata del dormire quindi ascoltami e basta.”
Lo sguardo iroso del fratello non la sconvolse. “Voglio che la
smetti con questo atteggiamento da spaccone. A lungo andare stanca,
non ti farà figo per sempre.”
“Il mio non è un
atteggiamento, è come sono fatto, che ti piaccia o no.”
“Non è vero. Questo
non sei tu. Non c'è un cazzo di te in tutto questo schifo che ti
gira attorno.”
“Questo lo dici tu.”
“Sì, lo dico io e lo
faccio con cognizione di causa. Sono tua sorella, ti conosco meglio
di chiunque altro.” Il cuore le batteva forte nel petto. “Tu ami
l'adrenalina, ami il rischio ma non è questo il modo migliore per
divertirsi. Non devi cercare di fare cose in cui non credi per essere
accettato dagli altri perché chi ti accetta solo a tali condizioni
non è un vero amico o una persona su cui fare affidamento.”
“Tu non li conosci
neanche.”
“E non ci tengo
nemmeno, se posso essere del tutto franca.” Si prese un momento
osservandolo aspirare la nicotina con apparente calma. “Cosa ti ha
portato a condividere ciò che fanno? Mamma e Phil ti hanno sempre
impartito un'educazione e dei principi, principi che hai sempre
mantenuto fino a sedici anni. Che cos'è successo, Steven?”
Il fratello roteò gli
occhi mentre faceva cadere un po' di cenere al di là del finestrino.
“Non ho voglia di
ascoltare questo tipo di discorsi.” si limitò a commentare senza
nemmeno guardarla.
“Smettila di evitare
ogni mia domanda!” sbottò la bruna. Doveva pur esistere un modo
per farlo ragionare. “E guardami quando ti parlo!” aggiunse con
rabbia afferrandogli il mento e voltandolo nella sua direzione.
“Dio, lasciami
stare!” urlò lui schiaffeggiandole la mano per togliersela di
dosso. “Faccio quello che mi pare e con chi mi pare perché mi va,
va bene? Mi va!” Liesel era basita. “E se tu hai tutta questa
smania di cambiarmi, ti dico già che stai perdendo il tuo tempo! Tu
conduci la tua vita, che io conduco liberamente la mia!”
Per un momento non
seppe cosa controbattere. Stentava a credere che quelle parole
fuoriuscissero dalle labbra di suo fratello, il bambino con cui
giocava tutto il pomeriggio davanti a macchinine o pupazzi;
l'adolescente che le confidava la sua prima esperienza amorosa. Non
poteva essere la stessa persona. Aveva davanti un ragazzo che non
conosceva, un ragazzo che apparentemente la odiava e non si spiegava
il perché.
Perché tutto
quell'odio verso il mondo? Perché demolirsi così?
“Non ti riconosco
più.” mormorò sincera.
“Ora non cominciare
con il melodramma.” sospirò lui per poi aspirare un altro po' di
fumo.
“Perché mi tratti
come fossi un'estranea? Sono tua sorella, cazzo!” Batté un pugno
sul cruscotto, senza mai distogliere le pupille dalla sua figura.
“Cos'è cambiato?! Cosa ti ha allontanato da me?!”
“Si cresce.” tagliò
corto lui e Liesel fu attraversata da una fitta allo stomaco che la
portò a scrutarlo come avesse appena udito un'assurdità.
“Crescere vuol dire
dimenticare i propri familiari? Cos'è, un'idea che ti ha messo in
testa qualche tuo caro amico? Amare la propria famiglia ora è
da perdenti?” lo chiese con disprezzo e con un sarcasmo
terribilmente cupo. “Scusa, non so come funzionino questo cose.
Sai, sono un po' fuori dal giro.”
“Smettila di fare la
spiritosa.”
“E tu smettila di
parlare come un robot senza personalità! Sembra che tu abbia dovuto
studiare un copione a memoria!”
“È il mio
fottutissimo modo di parlare, che ti stia bene o meno! Ora scendi da
questa cazzo di macchina e lasciami stare una volta per tutte!”
Liesel si sentì
incredibilmente ferita da quelle parole. Era un dolore nuovo, che
forse non aveva mai creduto di poter provare per suo fratello. Era
così abituata a ricevere insulti gratuiti, ad essere quasi
disconosciuta come sorella. Ma quella volta Liesel sentiva dolore.
Troppo dolore. Forse era la consapevolezza di aver fallito ancora una
volta, il toccare con mano quanto Steven fosse realmente cambiato e
quanto poco lucido fosse. La droga lo stava mandando in pezzi, gli
stava annientando il cervello. Non ragionava più da tempo e non
sapeva più nemmeno chi fosse e da dove arrivasse. La sua famiglia
era divenuta un parassita, un gruppo di persone che volevano
guastargli il divertimento. E sua sorella era divenuta solamente un
lontano ricordo.
Percepì per la prima
volta dopo anni un noto pizzicore agli occhi mentre un nodo era
andato a mozzarle il fiato in gola.
Era per lei giunto il
momento di andarsene.
“Bene.” concluse,
scura in volto. Aprì con rabbia la portiera e scese con incredibile
velocità. “Ti lascio in pace. Non ti tormenterò mai più, non
preoccuparti. Fai quello che ti pare della tua vita. Ucciditi se
vuoi.”
La sbatté nuovamente
per poi allontanarsi a grandi falcate senza più lanciargli nemmeno
uno sguardo. Incrociare i suoi occhi sarebbe stato troppo.
Udì alle sue spalle il
motore accendersi e le ruote scivolare sull'asfalto. Ormai era sempre
più lontano, lo sentiva, fino a che il silenzio totale non le
perforò i timpani, incessante.
Salì sulla sua Opel e
vi restò immobile per non seppe quanto tempo con i muscoli tremanti.
Lo sguardo fisso davanti a lei, intenta a contemplare il vuoto, e lo
stomaco che pareva accartocciarsi ogni secondo di più.
Nemmeno quella volta
riuscì a piangere.
***
La terra scricchiolava
sotto i piedi. Il loro fiato rapido ed irregolare faceva da
sottofondo a quel deliberato tentativo di corsa.
Percepiva i muscoli
quasi intorpiditi e terribilmente pesanti, il cuore tentare di
sfondarle la cassa toracica ed una carenza d'ossigeno che minacciava
di ucciderla.
“Un momento, frena!”
esclamò all'improvviso inchiodando sui propri piedi e poggiando le
mani alle ginocchia per ritrovare l'aria che le mancava. Cosa diavolo
le era passato per la testa quando aveva accettato di andare a
correre assieme a Neal sulle colline di Los Angeles – posto più
optato dagli sportivi per dedicarsi a del sano esercizio fisico –?
“Ringrazia le tue
sigarette.” la rimbeccò con sarcasmo l'amico, anche lui a corto
d'aria, mentre pazientemente attendeva che si riprendesse. Aveva
fastidiosamente ragione ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce
nemmeno sotto tortura. “Avanti, non ci manca molto.” la
incoraggiò successivamente.
Liesel sospirò per poi
tornare in posizione eretta.
“Togliamoci questo
dente.” borbottò prima di riprendere a correre, immediatamente
seguita dal biondino. Ce l'avrebbe fatta senza morire. Quella mattina
era uscita di casa del tutto carica ed in tenuta sportiva.
Pantaloncini e canotta aderenti, accompagnati da scarpe da jogging.
I capelli erano stati raccolti in una treccia stretta, così che
non le impedissero la completa visuale del percorso. Neal aveva
trovato la soluzione in un paio di pantaloncini della ragazza,
rigorosamente fucsia, che mettevano in risalto ogni sua fattezza.
Liesel non aveva potuto fare a meno di ridere non appena le si fu
parato davanti in tutto il suo splendore. I miei pantaloncini sono
tutti a lavare, aveva spiegato con una scrollata di spalle
nonostante nessun tipo di domanda fosse fuoriuscito dalle labbra
della bruna. Ad ogni modo, i buoni propositi con cui si era fatta
forza prima di uscire di casa avevano trovato presto una fine dopo i
primi due minuti di corsa. Liesel era un tipo da palestra, da
camminata, da esercizi statici. La corsa non rientrava assolutamente
fra le sue capacità e la colpa era interamente del fiato che non
aveva. Ed ancora una volta i suoi polmoni la stavano maledicendo per
lo sforzo cui li aveva sottoposti. “Hai deciso cosa fare per il tuo
compleanno?” gli domandò quindi con l'intenzione di ignorare la
sensazione di una morte imminente. Forse distraendosi avrebbe anche
trovato il modo di giungere viva a destinazione.
Neal avrebbe compiuto
di lì a una settimana ventiquattro anni. Un altro compleanno in cui
gli auguri della sua famiglia avrebbero rappresentato solamente una
speranza che non poteva concretizzarsi.
“Pensavo cena e Red.”
rifletté il ragazzo continuando a scrutare la strada davanti a sé.
Liesel corrugò la
fronte.
“Come mai non il
Liquid Kitty?” domandò incuriosita, al che il ragazzo scrollò
semplicemente le spalle.
“Volevo cambiare un
po'.”
La bruna restò qualche
attimo in silenzio poi decise di dar voce a ciò che pensava.
“Morris lavora al
Red.”
Neal posò le iridi
bluastre su di lei.
“L'hai conosciuto
lì?” le domandò interessato. La ragazza annuì. “Beh, non è un
problema, no?”
“No, no.” Rifletté.
“E la cena?”
“Non lo so ancora. Si
potrebbe fare una cosa tranquilla a casa o al ristorante di Phil.”
“Beh, farla al
Providence non sarebbe male.”
“Sì, si mangia
benissimo. Chiedi a Phil per una decina di persone.”
“Sai già chi
invitare?”
“Più o meno sì.”
Liesel fremeva dalla voglia di indagare sulla presenza di Damian.
L'avrebbe invitato? Non sapeva nemmeno più a che punto fossero i
loro rapporti, non ne aveva più parlato. “Dovresti avvisare Tom e
Bill.”
Liesel si irrigidì
immediatamente senza smettere di stargli dietro. Sentiva che la sua
lingua avrebbe presto toccato terra.
“Per cosa?”
borbottò sospettosa.
“Non hai terminato i
capi?” le domandò con un sopracciglio alzato.
Oh,
giusto.
Aveva quasi dimenticato
di averli cuciti anche per loro. Il suo inconscio aveva agito ancora
una volta.
Per quanto allettante
fosse l'idea di ignorare tale consapevolezza, sapeva di non poter
trasgredire la propria etica professionale.
“Li avviso quando
arriviamo a casa.” tagliò corto con il misero filo di voce che le
era rimasto in gola.
Il silenzio durò
ancora troppo poco.
“Ti ho sentito uscire
ieri sera.” Neal aveva scagliato la bomba regalando semplicemente
una conferma ai sospetti di Liesel. La bruna aveva sempre saputo che
quella domanda sottintesa prima o dopo sarebbe stata posta. Per
quanto vi tentasse, Neal era probabilmente più curioso di lei ed il
trattenersi dall'indagare era pura utopia. “E rientrare.”
aggiunse come per incoraggiarla a fornirgli delle spiegazioni che
ancora non aveva ricevuto.
Liesel era più che
consapevole del fatto che l'unica via d'uscita a quei muti
interrogativi era la pura e semplice verità.
“Sono andata da
Steven.” ammise ignorando nuovamente l'affanno che – lo sentiva –
la stava per uccidere.
Neal sospirò roteando
gli occhi.
“Liesel.” borbottò
con rimprovero.
“Senti, è mio
fratello fino a prova contraria.” obiettò lei. “Sono libera di
andare da lui tutte le volte che voglio.”
“Sì, sarà anche tuo
fratello ma un fratello non del tutto ordinario. Immagino tu non
abbia cavato un ragno dal buco.” Il silenzio di Liesel bastò come
risposta. “Quando imparerai che parlarci non serve a nulla?”
“Cosa dovrei fare?
Lasciarlo cadere nel fosso senza nemmeno provare ad impedirglielo?”
“Ci hai già provato
in tutti i modi.”
“E non intendo
arrendermi fino a quando non sarà davvero troppo tardi.”
Scrutò Neal e notò
che sorrideva con una tenerezza del tutto nuova negli occhi.
“Sai, per quanto
stronza tu sappia essere alle volte, firmerei per avere una sorella
come te.”
***
Non aveva decisamente
voglia di udire la loro voce, motivo per cui decise di inviare un
semplice e professionale messaggio.
I
capi sono pronti. Potete venire a provarli.
Il numero di telefono
del chitarrista era rimasto memorizzato nella sua rubrica dalla sera
del discutibile tamponamento.
Con un sospiro si gettò
a peso morto sul morbido ed accogliente letto che tanto amava.
Aveva un incredibile
bisogno di riposare; quella dannata corsa l'aveva a dir poco
distrutta. Neal, al contrario, era parso incredibilmente risollevato
ed aveva trovato il coraggio di dedicarsi ad una serata in discoteca
con gli amici. Le aveva proposto di aggiungersi alla compagnia
ripetute volte ma la bruna aveva fermamente declinato l'offerta.
Doveva essere del tutto pazzo.
L'improvviso vibrare
del cellulare la fece sobbalzare sul materasso ed il cuore prese a
martellarle nel petto. Probabilmente si era trovata sul punto di
addormentarsi senza nemmeno accorgersene.
Si portò il telefono
davanti agli occhi e visualizzò il messaggio appena ricevuto.
D'accordo.
Quando possiamo venire in azienda?
Liesel rifletté
qualche attimo prima di rispondere. Se avesse voluto portare a
termine il progetto in tempi brevi, avrebbe dovuto organizzare
quell'incontro il prima possibile.
Domani
mattina va bene.
Sbuffò. Pareva una
persecuzione, un dannato castigo.
Agli
ordini, Bulgaria ;)
A quell'insopportabile
nomignolo, le mani non poterono fare a meno di prudere. Odiava
quel nomignolo. Era un dettaglio della sua vita, un luogo d'origine
che ancora rifiutava.
Ti
ho già detto di non chiamarmi a quella maniera.
Bloccò l'I-Phone con
l'intenzione di poter finalmente dormire ma i suoi buoni propositi
vennero mandati a monte da un nuovo messaggio.
Mi odierai ancora
per molto? :)
Liesel sollevò un
sopracciglio. Voleva convertirla a qualche strano principio di
inquietante amicizia? La risposta, quella volta, fu piuttosto facile.
Finché
morte non ci separi.
|
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Capitolo 7 *** Weaknesses ***
aaaaaaaaaaa
7
Weaknesses
“I gemelli Kaulitz
stanno arrivando.” le annunciò Jenna, riuscita ad accalappiarla
nel bel mezzo del corridoio lungo il quale Liesel stava trottando in
direzione della cabina armadio dell'azienda, dove i modelli
normalmente indossavano i capi in prova. Una lunga giornata la
attendeva e voleva far sì che quelle ore trovassero vita facile e
possibilmente indolore.
“Falli venire qui,
per favore. Li aspetto.” Giunta a destinazione, la segretaria si
congedò con un cenno d'assenso. “Mi servirà una riabilitazione
alla fine di tutta questa storia.” borbottò gettando malamente sul
tavolo gli ultimi capi che aveva recuperato dal suo ufficio.
Erano venuti meglio di
come si aspettava. Era sinceramente orgogliosa del duro lavoro cui
aveva dato anima e corpo in numerose nottate insonni. I suoi sforzi
avevano finalmente dato i dovuti frutti.
“Quanto la fai nera.”
commentò Samantha sventolandosi un dépliant davanti al viso con
aria accaldata mentre si godeva un fresco bicchiere d'acqua. Anche
quel giorno Los Angeles aveva deciso di uccidere nel fuoco i suoi
abitanti.
“A proposito!”
esclamò all'improvviso la bruna fronteggiandola con aria minacciosa
ed un dito puntato contro. “Prova anche solo con il pensiero a
proporre ai gemelli un dannato caffè e ti disconosco come collega e
amica.” Colse la rossa a deglutire appena prima che un bussare alla
porta già aperta alle sue spalle la facesse voltare con aria
fintamente disinvolta. “Ciao.” salutò tranquilla non appena le
sue iridi si posarono sulle figure dei ragazzi.
“Ciao.” salutarono
loro in coro, seguiti da una Samantha fin troppo entusiasta.
“Samantha, giusto?”
sorrise Tom in direzione della rossa.
“Sì.”
L'espressione
compiaciuta sul volto della ragazza suggerì a Liesel l'enorme
soddisfazione nel sentir ricordare il proprio nome da una rockstar.
Poteva perfettamente immaginare quanti castelli stesse costruendo
nella sua testa, con tanto di decorazioni.
“Questi sono i capi.”
intervenne la bruna con l'intento di gettarsi subito al dunque. Posò
una mano sulla pila di tessuti che aveva poggiato sul tavolo poco
prima.
“Liesel, sono appena
entrati.” ridacchiò la rossa. “Volete un bicchiere d'acqua?”
domandò successivamente ai gemelli e Liesel strinse i pugni per non
lanciarlesi contro. Odiava essere interrotta.
“No, grazie.”
rispose gentilmente Bill.
“Bene.” fece Liesel
con sarcasmo. “Dicevo, questi sono i capi. Questi –” Posò la
mano sulla pila di sinistra. “- sono di Bill. E questi –” Posò
la mano su quella di destra. “- sono di Tom.”
“Ci cambiamo qui?”
domandò il vocalist curioso mentre si guardava per un momento
attorno.
“Non mi dite che vi
imbarazza cambiarvi davanti a due donne.” li stuzzicò con
espressione furba in viso.
“A me no.” sorrise
appena il chitarrista lanciandole un'occhiata di inequivocabile sfida
mentre la affiancava per afferrare la prima maglia. La studiò con
attenzione mentre il fratello lo seguì nelle sue stesse azioni. “Sei
brava.” commentò quasi sorpreso. Sorpresa che irritò non poco la
bruna. Dubitava della sua professionalità?
“Non faccio questo
lavoro per caso.” ribatté caustica per poi portarsi alla bocca un
bicchiere d'acqua che le aveva fatto trovare l'amica sulla scrivania.
Il chitarrista, senza
degnarla di una risposta o troppi preamboli, si sfilò la maglietta
color crema che indossava quel giorno. Le pupille di Liesel
indugiarono un secondo di troppo sui suoi addominali scolpiti, sulla
pelle glabra lievemente abbronzata e sui pettorali torniti, ed il
pensiero che le attraversò per un attimo la mente fu solo uno:
merda.
Professionalità. Era
il concetto sul quale aveva tentato di concentrarsi nel successivo
minuto – tempo che Tom impiegò per coprirsi di nuovo con il capo
cucito giorno e notte da lei – fino a che anche Bill non mise in
mostra il proprio corpo.
Le costò metà della
dignità ammettere che anche il cantante fosse dotato di un fisico
niente male seppur meno formato e muscoloso di quello del fratello.
Solo allora scorse i famosi tatuaggi che avevano stuzzicato il suo
interesse due settimane addietro. Lo stesso simbolo dell'amicizia che
riportava Tom sul bicipite, affiancato dal famoso cuore. A primo
impatto le venne piuttosto spontaneo distogliere lo sguardo,
lievemente impressionata, poi lo riportò su di esso per studiarlo
appena. Era realmente disegnato nel dettaglio, qualcosa che lei
stessa faticava ad immaginare sulla propria pelle. Si chiedeva cosa
lo avesse spinto a desiderare qualcosa di simile e ciò non faceva
altro che avvalorare la sua ipotesi: quei due erano del tutto fuori
di testa.
Con le iridi castane
catturò nuovamente l'immagine di Tom, il quale si lasciava fasciare
dalla maglietta nera aderente e se la sistemava attorno al torace.
“Mi sembra a posto.”
commentò osservandosi attentamente da ogni angolazione.
Liesel gli si fece più
vicina e prese a studiare ogni singola cucitura per poi
aggiustargliela sulle spalle. Con la coda dell'occhio notò Samantha
fare la medesima cosa con Bill.
“Sì, le misure ci
sono.” rifletté. “D'accordo, proviamo la giacca sopra.”
annunciò poi passandogliela. Anch'essa nera, era caratterizzata da
uno stile elegante ma per nulla classico. Poteva richiamarne anche
uno più sportivo se propriamente abbinata.
Scrutò il chitarrista
da cima a fondo e per un momento temette di lasciarsi eccessivamente
andare con gli apprezzamenti. Non aveva mai avuto occasione di
osservarlo in giacca e doveva ammettere che gli donasse
particolarmente. Si voltò di nuovo in direzione di Bill e notò che
anche lui aveva indossato la stessa giacca grazie all'aiuto della
rossa.
Sì, facevano
decisamente la loro figura.
Che seccatura.
***
Quando le varie prove
giunsero al loro termine Liesel tirò un sospiro di sollievo.
Ora voleva solamente
godersi la sua pausa caffè – idea che l'aveva tormentata fino a
quell'istante – e non dover fingere gentilezza.
“Sentite, dato che
l'altra volta avete declinato il mio invito, pretendo che veniate a
prendere un caffè con noi.”
Liesel, in quel momento
impegnata a riordinare la scrivania, sgranò gli occhi voltandosi
nella direzione di Samantha. Aveva sentito bene?
I gemelli si
scambiarono un'occhiata veloce per poi sorriderle.
“Va bene, stavolta
abbiamo proprio bisogno di caffè.” accettò Bill con gentilezza
sotto lo sguardo esterrefatto della bruna.
Samantha, dal suo
canto, la scrutò con sicurezza come a dirle senza timore che le sue
minacce non la intimidivano.
Questa me la paghi,
borbottò mentalmente ormai arresa ai fatti.
“Perfetto.” sorrise
la rossa sotto il suo sguardo inceneritore. “Andiamo.” la
stuzzicò.
Una cosa era certa, una
volta sole avrebbe saputo come porre fine a quel suo sorrisetto
vittorioso.
Giunti al bar
dell'azienda, presero posto ad uno dei tavolini. Samantha e Liesel da
un lato, Tom e Bill di fronte.
Per Liesel la pausa
caffè aveva da sempre rappresentato un momento di riposo, di
spensieratezza, e che quella mattina si trovasse costretta a
guastarlo con i Kaulitz la rendeva non poco nervosa.
“Come vi siete
conosciuti?” si informò all'improvviso la rossa con incredibile
interesse, così tanto che Liesel non poté fare a meno di
intervenire.
“Non siamo amici di
vecchia data.” puntualizzò. “Li ha scelti Neal per il servizio
fotografico.”
“A dire il vero
abbiamo avuto il piacere di conoscerci qualche giorno prima.”
precisò Tom con aria sardonica e disinvolta.
Ora lo stendo con
una testata, pensò la bruna. Una sola, secca.
“Sì, beh, cosa di
poco conto.” tagliò corto fulminandolo con lo sguardo per fargli
intendere che se avesse proferito una sola parola ancora sul loro
fatidico incontro, sarebbe uscito da quell'azienda con un testicolo
in meno.
“Voi invece vi
conoscete da tanto?” intervenne Bill interessato.
“Da quando sono
venuta qui. Circa due anni fa. Lei lavorava già all'epoca e mi
ricordo che mi ha colpito immediatamente la sua esuberanza.”
sorrise Samantha. “Difficile che Liesel passi inosservata.”
ridacchiò poi lanciandole un'occhiata dal retrogusto malizioso.
“Quello senza ombra
di dubbio.” sollevò un sopracciglio il chitarrista.
Liesel evitò di
lanciargli una scarpa solamente perché interrotta dall'arrivo del
cameriere.
“Ciao, Jim.” lo
salutò calorosamente Samantha. “Loro sono Tom e Bill, freschi
freschi dai Tokio Hotel.”
“Piacere!” esclamò
il moro a dir poco colpito da tale presenza. Vedevano molta gente
varcare la soglia dell'azienda ma ogni qual volta una celebrità
facesse il proprio nobile ingresso il fermento si percepiva
con forza da parte di tutto il personale e Liesel si chiedeva il
perché di tanto chiasso. Erano due ragazzini pomposi; perché farli
sentire ancora più importanti di quel che in realtà erano? “Cosa
posso portarvi?” domandò poi Jim, eccitato alla sola idea di
servirli.
“Due caffè normali.”
rispose Bill con la sua solita gentilezza. Pareva quasi intenerito da
tale reazione.
“Io uno macchiato.”
continuò Liesel.
“Anche per me.” si
aggiunse Samantha. Annotato il tutto, il ragazzo si congedò. “E
ora cosa state facendo? State lavorando ad un nuovo disco?”
continuò quindi particolarmente interessata.
“Sì, ci stiamo
lavorando da qualche anno. Ci siamo presi una pausa più lunga questa
volta. Avevamo bisogno di un po' di tregua, motivo per cui ci siamo
trasferiti a Los Angeles.” spiegò il chitarrista.
“Strano posto dove
trovare la tregua.” ridacchiò la rossa.
Tom sorrise quasi
imbarazzato ed abbassò lo sguardo per poi rialzarlo immediatamente.
“Sì, beh, so che
sembra strano. Ma ci sembrava il luogo migliore, d'altronde non
eravamo così tanto conosciuti qui come in Europa. Cosa che
ovviamente non toglie di mezzo i paparazzi ma fa parte del nostro
lavoro ed abbiamo imparato a conviverci.”
“Anche tu fai la
stilista?” chiese improvvisamente Bill a Samantha.
“Sì.” sorrise
quasi intimidita. “Ma non sono ai suoi livelli.” aggiunse
indicando la bruna con un gesto del capo.
Liesel scosse la testa
e roteò gli occhi.
“Non fare la
modesta.” la rimbeccò.
“Non faccio la
modesta, è la verità. Sei tu che stai realizzando una linea non
io.” le sorrise del tutto tranquilla.
“È solo questione di
esperienza, sei qui da meno tempo. Ma sei brava.” si impuntò
Liesel.
“È strano sentirti
fare dei complimenti a qualcuno.” commentò Tom compiaciuto e quasi
sorpreso. La ragazza si voltò minacciosa verso di lui. “Me lo
concedi?” sollevò di nuovo le sopracciglia lui con sano sarcasmo.
“Eppure vedo che
nonostante la tua consapevolezza di non piacermi, non fai nulla per
farmi cambiare idea.” lo stuzzicò.
Lui scrollò le spalle
senza abbandonare quell'espressione del tutto rilassata che a lungo
andare le dava la nausea.
“Ho qualche speranza?
Per quanto poco io ti conosca, non è difficile dedurre che non sei
una tanto facile da scollare dalle sue convinzioni.” ammise. “E,
se posso essere onesto, non sono interessato a farti cambiare idea.”
L'aveva detto con il
sorriso più sereno del suo repertorio.
Ma ecco che una nuova
sensazione di fastidio aveva stretto lo stomaco di Liesel. Cos'era?
Umiliazione? Mai un ragazzo le aveva sputato con tanta
facilità la realtà in faccia. Mai per un momento l'aveva fatta
sentire un tantino più piccola. Mai aveva sbandierato il proprio
disinteresse, davanti ad altre persone per giunta.
Le mani presero a
prudere. Tom Kaulitz non poteva averla messa a tacere. Liesel Petrova
non poteva farsi sottomettere da una mocciosa rockstar
sfacciatamente sicura di sé.
“Bene, allora siamo
d'accordo.” fece con incredibile nonchalance prima che i loro caffè
arrivassero.
Al
diavolo.
Samantha si schiarì la
voce mentre versava una bustina di zucchero nella propria tazzina.
“Comunque.”
riprese, chiaramente per spostarsi su un altro discorso. “Riuscite
ad andare in giro? Andate mai in spiaggia, per esempio?”
“Sì, ci piace molto
andare alla spiaggia El Matador di Malibù.” rispose il
vocalist prima di sorseggiare la sua calda bevanda.
Liesel percepì un
brivido alla schiena.
Non
farlo.
“Sul serio?”
esclamò la rossa colpita ed emozionata al tempo stesso. “Anche noi
ci andiamo ogni tanto!”
L'ha
fatto.
“Non vi abbiamo mai
visto però.” sorrise Bill, sorpreso.
“Non ci andiamo di
frequente.” gesticolò lei. “Ma è una spiaggia stupenda. Anzi,
potremmo incontrarci là una volta.”
Ormai Liesel aveva
persino terminato di pensare. Che bisogno c'era d'altronde? L'intero
cosmo ce l'aveva con lei. Nulla da spiegare.
“Sarebbe carino.”
annuì il biondo. “Si potrebbe dire anche a Neal.”
L'espressione euforica
di Samantha venne ben presto sostituita da una intrisa di astio.
“Sì, si potrebbe
fare.” borbottò.
I gemelli aggrottarono
le sopracciglia ed entrambi cercarono con lo sguardo una spiegazione
da parte di Liesel.
“Lei e Neal non vanno
molto d'accordo.” chiarì quasi disinteressata per poi sorseggiare
un altro po' di caffè.
“Dì pure che ci
detestiamo.” precisò la rossa.
“E non si sa ancora
bene il motivo.” continuò Liesel.
“È un insopportabile
so-tutto-io, una checca isterica dalla sindrome premestruale
cronica.” La bruna tornò ad osservare i gemelli e sorrise con
sarcasmo. “Ma mi posso adattare. Anzi, ne approfitterò per
stuzzicarlo e rendergli la vita impossibile. È piuttosto
divertente.”
***
“Una tipa strana
l'amica di Liesel.” fu il primo commento di Bill una volta solo con
suo fratello.
Tom, alla guida,
scrollò le spalle con una lieve smorfia di divertimento sulle
labbra.
“Ci sarà un motivo
se sono amiche.” fece caustico.
Aveva sviluppato
un'opinione molto chiara nei confronti di Liesel. Che fosse l'essere
umano più curioso, contorto e contraddittorio del pianeta era ormai
assodato. Ciò che non riusciva a comprendere fino in fondo era su
quali assurdi criteri si basasse la sua improbabile mentalità. E
ancora, cosa diamine la spingesse a detestarlo a quella maniera senza
una spiegazione quantomeno plausibile. Che Samantha fosse simile a
lei, di conseguenza, era più che ovvio e facile da credere.
Probabilmente era munita di qualche rotella in più ma la sostanza
era invariata.
“Però è simpatica.”
parlò ancora suo fratello. “Come Liesel, d'altronde. Per quanto
pazza ed instabile.”
Tom sollevò un
sopracciglio e si voltò per un paio di secondi nella sua direzione
per constatare effettivamente quanta verità vi fosse in quello che
aveva appena proferito con convinzione.
“È una squilibrata.”
ribatté quasi esterrefatto prima di tornare a concentrarsi sulla
strada.
Era indubbio che spesso
quel suo modo di fare così controverso lo divertisse ma non era
nemmeno da dimenticare la dura realtà dei fatti: Liesel Petrova non
era – senza alcun dubbio – sana di mente.
Bill si strinse nelle
spalle con un sorriso.
“Sì ma non riesce ad
irritarmi per quanto sia inspiegabilmente scontrosa. Mi fa sorridere.
Forse mi fa quasi tenerezza.”
Tom sgranò gli occhi
fino a farseli quasi uscire dalle orbite e per poco non inchiodò con
l'auto.
“Tenerezza
quell'insieme di scontrosità, saccenza ed assurdità? Stiamo
parlando della stessa persona?”
Liesel smuoveva in lui
emozioni che nemmeno lontanamente potevano essere accostate alla
parola tenerezza. Suo fratello aveva un modo di vedere la vita
del tutto affascinante nella sua inspiegabilità.
“Sì. Non è una
persona cattiva. Se continua ad attaccarti, lo fa solamente per
autodifesa. Ne avevamo già parlato.”
“Difendersi da cosa?
L'ultima cosa che voglio fare è stuprarla o ucciderla a mazzate,
anche se la tentazione alle volte è forte.”
“È la nostra figura
a darle fastidio, non noi come persone. Non senti che ha dei
pregiudizi? Che parla per categorie? Voi rockstar, voi
celebrità, voi ricconi...” Era vero. Tom vi aveva
fatto caso ma continuava a non spiegarsi il motivo. “Lasciamola
sfogare. Quando si renderà conto di non avere più argomenti e di
essersi sbagliata, non potrà fare altro che ricredersi e finirla
esattamente come ha iniziato.”
***
Faceva finta di non
ascoltare quella telefonata, troppo impegnata a sfogliare con falsa
attenzione il giornale sotto i suoi occhi vaghi. Le dita della mano
sinistra picchiettavano palesemente nervose sul tavolo della cucina
mentre la destra voltava pagina, a distanza di una decina di secondi
ogni volta, quando pensava che i tempi di lettura fossero credibili.
Neal, seduto a
capotavola, parlava da qualche minuto con Tom al telefono. Quello che
avrebbe dovuto essere un accordo sul servizio fotografico si era
trasformato ben presto in un'allegra conversazione cui il suo
migliore amico stava partecipando con notevole entusiasmo.
Ciò che l'aveva
inquietata fino a quell'istante stava prendendo forma e concretezza.
Neal, Tom e Bill stavano lentamente dando vita ad un rapporto che
andava ben oltre l'aspetto professionale. Il loro sentirsi spesso, le
loro chiacchierate lunghe mezzore – o a volte persino ore intere –
minacciavano la nascita di un'amicizia cui Liesel non avrebbe mai
preso parte.
Era sempre stata
inspiegabilmente gelosa di Neal ma nella maniera più sana ed
innocente. Ora percepiva nella pelle una nuova sensazione, un nuovo
bisogno; quello di proteggerlo. Così come con Damian, non voleva che
il biondino entrasse a far parte di un mondo troppo lontano dal suo,
che l'avrebbe inevitabilmente danneggiato.
“D'accordo, ci
vediamo. Ciao, Tom. Saluta Bill.” Riattaccò. Quando sollevò
finalmente lo sguardo sulla bruna, questa restò a scrutarlo per
qualche istante in silenzio. “Cosa?” domandò quindi
probabilmente a disagio.
“Niente.” borbottò
lei con una scrollata di spalle prima di alzarsi dalla sedia e
raggiungere la credenza per recuperare un bicchiere che presto riempì
d'acqua fresca. “Senti, stasera ho voglia di bere.” annunciò poi
sotto il suo sguardo basito.
“Perché questa
strana voglia improvvisa?” indagò lui con un sopracciglio
sollevato.
Effettivamente non
aveva nemmeno avuto il tempo di riflettervi. Aveva semplicemente dato
voce al primo pensiero che le aveva attraversato la mente.
“Così.” scrollò
di nuovo le spalle. “Da quando è strano?”
“Beh, non hai
esattamente detto 'stasera ho voglia di guardare un film'.” le fece
notare.
La ragazza si sentì
pervasa da un brivido di fastidio.
“Parli come non
avessi mai bevuto in vita mia. È così scioccante?”
Neal non proferì
risposta.
Senza aggiungere altro,
Liesel abbandonò la cucina.
***
Neal era perfettamente
consapevole di quanto Steven rappresentasse per Liesel un motivo di
stress. Sapeva quanto la sua migliore amica, nonostante non volesse
ammetterlo, soffrisse per suo fratello. Non era dunque difficile da
comprendere il motivo di quei suoi improvvisi atteggiamenti scontrosi
e per nulla socievoli. Si chiudeva in se stessa e non lasciava
entrare nessuno nel suo più intimo mondo, nemmeno lui. Mutava umore
nel giro di pochi secondi, senza che nessuno se ne rendesse conto, e
parlava senza riflettere. Si alzava, se ne andava, si ammutoliva.
Scosse la testa
abbandonandosi ad un debole sospiro.
Se avesse posseduto una
bacchetta magica, avrebbe senza dubbio agito a suo favore. Avrebbe
rimesso a posto suo fratello in pochissimi secondi ed avrebbe
cancellato dalla storia Andrew, il dannato motivo per cui si
rifiutava di avvicinare qualsiasi uomo per più di una notte di
sesso.
Improvvisamente il suo
cellulare prese a squillare. Gettò le pupille nella sua direzione e
percepì le vertigini nel leggere il nome di Damian. Non si erano più
sentiti dall'ultima discussione che avevano avuto.
Rispondere o
accantonarlo per sempre?
Deglutì prima di
portarsi il telefono all'orecchio.
“Pronto?” mormorò
incerto ma fingendosi il più freddo possibile.
“Ciao.” udì
dall'altro capo la sua voce calda, in quel momento tremendamente
seria.
“Ciao.” rispose lui
dopo qualche secondo.
Si domandava il motivo
di tale telefonata. Avevano litigato innumerevoli volte ma mai come
quell'ultima. E Damian era un ragazzo così orgoglioso, che stentava
a credere che fosse stato lui il primo a farsi vivo. Da una parte
aveva quasi desiderato di non sentirlo più, forse illudendosi di
dimenticarlo; dall'altra – e ciò lo faceva sentire un fallito di
proporzioni cosmiche – era sollevato nel bearsi nuovamente della
sua voce.
Passarono altri secondi
di silenzio in cui entrambi probabilmente cercavano le giuste parole
con cui spezzarlo. Fu Damian a schiarirsi poi la voce.
“Dobbiamo
parlare.” esordì nuovamente. “Possiamo vederci stasera?”
Merda.
Che doveva fare? Non
gli era ben chiaro se Liesel volesse trascorrere la serata a suon di
alcol in compagnia o nella completa solitudine. Non era nemmeno certo
che la bruna non si offendesse in caso di buca, soprattutto se la
causa ancora una volta assumeva il nome di Damian.
La domanda più giusta
era 'Lui se lo merita?'.
Sospirò.
“D'accordo.”
cedette. Non gli era costato poi molto.
“Vieni da me per
le nove. A più tardi.”
Non attese nemmeno una
sua risposta. Riattaccò facendolo sentire ancora più stupido di
quanto già non fosse.
***
“Si, domani abbiamo
il servizio fotografico.”
Georg e Gustav
sorridevano interessati al di là dello schermo del portatile.
I gemelli Kaulitz,
stravaccati sul divano, avevano fatto un breve resoconto
dell'avventura che li vedeva coinvolti con Neal e Liesel. La
seconda metà del gruppo si era mostrata entusiasta di tale progetto
riconoscendo in esso un certo vantaggio per la band stessa benché
riguardasse solamente Tom e Bill.
“Quindi immagino le
cose vadano meglio con la psicopatica.” rifletté Georg, il mento
poggiato alla mano in un'espressione di pura curiosità.
“Ci limitiamo ad un
rapporto quasi civile e professionale.” scrollò le spalle Tom
mentre posava un piede sul tavolino di fronte a sé dove il computer
si trovava.
“Quasi?” sollevò
un sopracciglio il batterista.
“Diciamo che noi
facciamo del nostro meglio ma la psicopatica non sembra dello stesso
parere.” spiegò Bill.
Ormai psicopatica
era il solo nome con cui i loro amici capissero di chi parlassero e
tale era rimasto. Effettivamente i gemelli non avevano mai pensato di
affibbiarle un'identità, in modo da chiarire maggiormente con chi
avessero a che fare. Non vi avevano semplicemente pensato.
“Il fotografo invece
è simpatico. Si sta instaurando un bel rapporto.” riprese Tom con
un lieve sorriso. “Ci ha invitato al suo compleanno, venerdì.”
“Andate?” si
informò il rosso.
“Sì.” sollevò le
spalle Bill lanciando un'occhiata a suo fratello come in cerca di
conferma. “Ci svaghiamo un po'.”
Il chitarrista annuì.
“Noi abbiamo deciso
quando venire a Los Angeles.” cambiò discorso Georg ed entrambi i
gemelli si drizzarono sul divano, improvvisamente interessati. “A
dire il vero non abbiamo ancora una data precisa ma pensavamo una
settimana prima della sfilata.”
“Bene!” esclamò
Tom con gli occhi che brillavano. “Dobbiamo recuperare il tempo
perso, Hobbit.” sorrise poi malizioso ed ammiccante.
Tutti scoppiarono a
ridere scuotendo la testa con fare rassegnato.
“Sei sempre il
solito.”
***
La video-chiamata durò
più del previsto e quando venne interrotta i gemelli distesero i
muscoli contratti ed intorpiditi. Una chiacchierata con i loro
compagni di disavventure era un toccasana, un motivo di buon umore e
serenità. Benché si guardassero bene dal manifestare le proprie
emozioni, la mancanza che provavano l'uno per l'altro era palese e
palpabile. Ricordavano le intere giornate a scrivere e comporre nuove
melodie, le chiacchierate fino a notte fonda, le maratone alla
play-station, le fide a ping-pong, le rincorse, i lanci di cibo e le
litigate. Erano ricordi felici di cui facevano tesoro. Tom, dal suo
canto, provava sempre a convincerli sul loro trasferimento nella
Città degli Angeli; sforzi che puntualmente venivano respinti poiché
giudicata troppo caotica e lontana dal loro stile di vita. Il
chitarrista comprendeva in parte. Inizialmente si era trattato di un
vero e proprio salto nel vuoto, in una cultura diversa, in una città
che non dormiva mai e straripava di fotografi e personaggi famosi.
Col tempo avevano avuto modo di conoscerla meglio, di prendervi
confidenza, di individuare i luoghi più appartati e convenienti. Si
erano creati la loro cerchia di amici a dispetto di qualsiasi
pensiero negativo. Si stavano costruendo con successo una nuova vita
dalle radici e ne andavano incredibilmente fieri poiché non tutti ne
erano in grado. Avevano visto gente rinunciarvi prima di un concreto
inizio; avevano visto gente che dopo poche settimane si era ritirata
da quel mondo, definito troppo in tutto. Tom e Bill, in
completa solitudine, avevano stretto i denti e ce l'avevano fatta.
“Li ho trovati bene.”
sorrise Bill mentre abbassava lo schermo del PC. Tom annuì con un
lieve sorriso. “Sigaretta?” propose poi il vocalist che non ebbe
bisogno di una risposta.
Entrambi si erano già
alzati dal divano, diretti al giardino. Aprirono il finestrone
scorrevole e lo richiusero alle loro spalle dopo aver fatto uscire i
cani. Trovato posto sulle poltrone in vimini, si abbandonarono alla
nicotina.
“Ho sentito Ria
qualche giorno fa.” esordì all'improvviso il chitarrista mentre
espirava la prima boccata di fumo. Aveva lanciato un veloce sguardo a
suo fratello, giusto per coglierne l'immediata reazione, poi l'aveva
nuovamente posato sui suoi cuccioli intenti a passare in rassegna
l'intero giardino. “Non è la prima volta.” aggiunse poi senza
guardarlo.
Aveva sinceramente
timore della sua risposta. Primo, perché gli aveva nascosto una
verità. Secondo, non sarebbe stato d'accordo su quello strano
rapporto che aveva creato con la sua ex.
Poiché ancora non
aveva ricevuto replica, prese coraggio e si voltò di nuovo verso di
lui. Questo lo scrutava con una sfumatura nelle iridi che per un
momento gli spezzò il cuore: delusione e timore.
“Perché non me ne
hai mai parlato?” domandò con tono incredibilmente delicato.
Tom sospirò appena
concentrandosi sull'albero di fronte a sé. La tiepida brezza serale
gli sfiorava lievemente il viso rilassandolo per quanto possibile.
“Non lo so, Bill.”
mormorò mentre il fumo creava spirali irregolari davanti a sé.
“Forse avevo paura del tuo giudizio perché la situazione è già
abbastanza strana per me.”
Era la prima volta che
dava voce a quei pensieri. Per la prima volta stava aprendo il
proprio cuore su tutta quella vicenda ed ora che stava accadendo
sentiva solamente un gran magone.
Dalla rottura con Ria
non aveva mai proferito parola a riguardo nonostante i rispettosi
tentativi di suo fratello. Aveva sempre preferito tenersi tutto
dentro, nascondere nell'antro più profondo del suo cuore ciò che
realmente provava. Non voleva che la gente lo compatisse, non voleva
provare dolore benché la separazione fosse stata consensuale. Per
quanto meditata, aveva fatto male ad entrambi perché i ricordi erano
troppo vividi nella loro memoria. Non aveva semplicemente voluto
riaprire una ferita.
“Ma, Tom.” soffiò
il biondo. “Sai perfettamente che non ti avrei mai giudicato.”
Tom chiuse per un
momento gli occhi annuendo consapevole.
“Lo so, Bill.
Scusami.” Sospirò di nuovo. “Forse non ero ancora pronto per
parlarne.”
Trascorse qualche
attimo di silenzio che venne spezzato nel momento in cui Bill posò
dolcemente la mano sul suo braccio.
“Te la senti di farlo
ora?” domandò con un sorriso comprensivo.
Il moro lo scrutò per
attimi che parvero infiniti poi scostò nuovamente le pupille
altrove.
Da dove poteva
cominciare? All'improvviso le parole si erano trasformate in macigni
e la bocca sembrava faticare ad aprirsi per emettere solamente un
flebile suono.
Era sempre stato molto
pudico nell'esprimere i propri sentimenti, nel parlare di sé.
Si schiarì la voce.
“Sai che Ria è stata
la prima ed unica ragazza di cui mi sia mai innamorato.” cominciò
con fatica. Quei pensieri, espressi ad alta voce, lo facevano
emozionare. “Insomma, è vero, abbiamo preso la decisione di
finirla insieme e continuo a pensare che sia la giusta soluzione per
entrambi.” Deglutì. “Ultimamente abbiamo ricominciato a vivere.
Avevamo passato momenti difficili, momenti in cui non sopportavamo
nemmeno più di sentire la nostra voce. Momenti in cui tutto sembrava
pesante e forzato.” Si torturò un ginocchio con la mano libera.
“Eppure, non so il motivo, entrambi non siamo riusciti a mettere un
punto finale. Non siamo riusciti a chiudere definitivamente e a volte
abbiamo ancora bisogno di sentirci.” Si strofinò momentaneamente
il volto per poi rivolgersi a Bill. “Bill, è normale che mi
manchino certe cose?”
L'aveva chiesto con la
disperazione nello sguardo. La disperazione di chi aveva bisogno di
aiuto, di chi aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a
dimenticare.
Il biondo sospirò
appena prima di rispondere.
“Sì, Tom.”
mormorò. “Vedi, tu e Ria avete vissuto una storia d'amore per più
di quattro anni. Avete vissuto assieme ogni giorno, avete condiviso
gioie e dolori, vi siete scoperti e amati per la prima volta. Lei è
la ragazza che ti ha permesso di conoscere un mondo che ti era
estraneo, è la prima cui tu ti sia dato sentimentalmente e che ti ha
fatto crescere. È normale provare questa malinconia, non riuscire a
spezzare questa sorta di cordone ombelicale che avete creato.
Ci vuole tempo, come per tutte le cose.” Tom abbassò lo sguardo e
buttò la sigaretta non ancora del tutto consunta. Con un sospiro
frustrato si prese la testa fra le mani e posò i gomiti alle
ginocchia. Che il dolore trattenuto fino a quel momento avesse deciso
di esplodere? Strinse le palpebre percependo un bruciore che da tempo
non aveva più avuto modo di affrontare. Schiacciò i palmi contro
gli occhi per impedire a quelle maledette lacrime di scivolare lungo
le sue guance e rivelarsi a suo fratello. “Hey.” mormorò proprio
il biondo carezzandogli la schiena curva. “Non sei anormale. È una
reazione del tutto ragionevole.” Si prese una piccola pausa. “Tom,
non devi vergognarti di piangere.” A quel punto il moro non poté
più trattenere le gocce salate che presero a segnargli il viso
contratto. Non aveva il coraggio di emettere un suono; pianse in
silenzio, in imbarazzo. Non capiva il perché di quell'improvvisa
reazione. Non capiva il perché di quelle lacrime quando non ne aveva
versata una dalla separazione fino a quell'istante. Sentiva la mano
di suo fratello continuare a sfiorargli con affetto la schiena per
confortarlo come poteva e lo stomaco accartocciarsi sempre di più.
“Stai sfogando tutto quello che ti sei tenuto dentro fino ad ora.
Nulla per cui imbarazzarsi.” Quelle lacrime erano l'ennesima prova
che l'aveva amata con tutto se stesso. Il suo cuore batteva
all'impazzata ma le sue labbra non avevano ancora liberato un
singhiozzo, un semplice suono. Era un pianto intimo, dignitoso, un
pianto che testimoniava una stanchezza, una presa di coscienza e
forse una liberazione. Quando sembrò essersi calmato appena, Bill
riprese: “Però, Tom, sai anche tu cos'è giusto fare, vero?” Il
chitarrista si asciugò gli occhi arrossati e tirò lievemente su con
il naso. “Devi spezzare questo cordone.” Annuì
impercettibilmente senza guardarlo. Continuava a tenere gli occhi
serrati ed il viso fra le mani. Ora che era di nuovo lucido non
voleva farsi vedere da suo fratello in quelle condizioni. “E
continuare a sentirla non ti aiuta. Non fa bene a nessuno dei due.”
Per quanto difficile da accettare, sapeva che era la verità. “Sei
d'accordo?”
“Sì.” soffiò per
la prima volta con voce spezzata.
Passò qualche attimo
prima che il vocalist si facesse prendere da uno slancio di
tenerezza.
“Vieni qui,
fratellino.” Lo tirò a sé abbracciandolo con tutta la forza che
aveva. Tom, dapprima frastornato, si lasciò andare a quella stretta.
Una di quelle che avvenivano di rado ma piene d'amore. “Ti voglio
bene.”
***
Aveva appena fatto
ritorno a casa con una pesante busta della spesa in mano. Ricordava
ancora lo sguardo sospettoso della commessa che l'aveva servita nello
scorgere tutto l'alcol acquistato. Avrebbe scommesso la casa che
fosse sul punto di chiederle la carta d'identità ma, dal suo canto,
non aveva battuto ciglio. Sentiva che quella sera avrebbe dovuto dare
sfogo alle sue frustrazioni – ne aveva molte – e nessuno sarebbe
stato in grado di distoglierla da quell'intenzione.
Era un periodo
dannatamente strano e combattuto. Da un lato, la soddisfazione nel
campo lavorativo; dall'altro, i problemi che vedevano protagonista
suo fratello. I Kaulitz facevano solamente da ciliegina ad un mix di
situazioni che la inquietavano ed avevano in quel momento assunto un
ruolo pressoché irrilevante.
No, i gemelli non
facevano più testo.
Entrò in cucina e
spalancò l'anta del frigo di nuovo vuoto. Aveva fatto rifornimento
di alcol mentre il cibo non le era passato nemmeno per l'anticamera
del cervello; quella sera non poteva definirsi una vera e propria
ragazza modello.
Posò le bottiglie di
vino negli appositi scomparti e richiuse ignorando quella sensazione
di vuoto e di imbarazzo che aveva provato per un istante verso se
stessa.
“Hey.” entrò di
soppiatto Neal facendola quasi sobbalzare. Liesel non rispose. Non
aveva molta voglia di parlare. “Hai fatto spesa?” domandò il
ragazzo con apparente entusiasmo che si spense non appena perlustrò
il frigorifero. La bruna ignorò il proprio coinquilino e gettò il
sacchetto di plastica nella pattumiera adottando un atteggiamento del
tutto disinteressato e disinvolto. Neal si schiarì la voce
passandosi una mano fra i capelli. “Beh, non è proprio quello che
avevo immaginato ma... Va bene.” Richiuse l'anta e si voltò verso
di lei che nel frattempo si era seduta sul davanzale della finestra e
si era accesa in silenzio una sigaretta. “Ascolta...” borbottò e
le orecchie della mora si tesero. Ormai conosceva fin troppo bene il
ragazzo e sapeva che avrebbe presto ricevuto una notizia che non le
sarebbe andata a genio. Tuttavia continuò ad osservare il panorama
di Los Angeles come nulla fosse. “Mi ha chiamato Damian.” lanciò
la bomba e Liesel percepì il primo brivido di fastidio. “Vorrebbe
che stasera, verso le nove, andassi da lui. Vuole parlare.” La
ragazza non mosse un muscolo e non si scomodò nemmeno per voltarsi a
guardarlo. Aveva però stretto il pugno sinistro, le nocche
biancastre a testimoniare. “Ti dispiace? Avevi intenzione di
passare la serata assieme?”
Sì, avrei voluto il
mio migliore amico al mio fianco. Lo pensò solamente.
Aveva percepito una
morsa allo stomaco. La solitudine quella sera non avrebbe giovato
alle sue paranoie. Sentiva il bisogno di condividere quel suo stato
d'animo con qualcuno e quel qualcuno avrebbe dovuto essere Neal,
l'unico in grado di comprenderla nel profondo, a dispetto di ogni
apparenza.
Racimolò ogni singolo
granello di forza di volontà per indossare una maschera; una
maschera intrisa di indifferenza.
“No, vai tranquillo.”
si limitò a rispondere con una lieve scrollata di spalle.
Sapeva che gli occhi
l'avevano tradita e che Neal era piuttosto talentuoso nello scorgere
ogni suo più impercettibile cambio d'espressione. Ma non le
importava.
***
Bill Kaulitz non era
mai stato il re del tempismo, questo lui lo sapeva bene. Al
contrario, se Los Angeles avesse inaugurato una categoria dedicata a
tutti coloro che come lui avevano reso tale grattacapo una vera e
propria patologia in stadio avanzato, si sarebbe senza ombra di
dubbio accaparrato l'Oscar. Con tutti gli onori.
Presentarsi al mondo
esterno, specialmente ad Hollywood, nella migliore delle condizioni
fisiche era il minimo che una rockstar come lui potesse fare. Era una
questione che Bill aveva preso piuttosto seriamente – una paranoia,
a detta di Tom – da cui non poteva prescindere; una sorta di Codice
da rispettare.
Dunque ciò bastava a
giustificarsi contro le urla e le minacce che suo fratello gli
lanciava da una buona mezz'ora.
“Bill!” lo sentì
sgolarsi dal piano di sotto. “Giuro sui cani che se non scendi
entro due secondi esco senza di te e ti lascio a piedi!” La
prospettiva non era delle più allettanti. Aveva non pochi problemi a
compiere lunghe distanze senza l'ausilio di una macchina e, poiché
poteva vantarsi di conoscere abbastanza bene il suo gemello,
la sua buona coscienza gli impose di abbandonare il bagno e scendere
le scale senza fiatare. Sapeva perfettamente quanta veridicità si
nascondesse in quelle parole. Come? L'aveva lasciato veramente
a piedi. “Grazie a Dio le minacce funzionano ancora con te.”
borbottò Tom già pronto, vestito e profumato sulla porta di casa.
Bill si limitò ad
indossare un giacchetto nero in pelle. Nonostante Los Angeles godesse
di una temperatura stabilmente calda voleva prevenire qualsiasi
inconveniente.
Una volta in macchina,
accese la radio.
“A che ora abbiamo il
servizio fotografico domani mattina?” domandò all'improvviso dopo
una breve riflessione. Ancora si domandava per quale razza di motivo
scegliessero di andare a ballare sempre quando la mattina seguente
avrebbero dovuto abbandonare il mondo dei sogni piuttosto presto.
“Alle dieci.”
rispose il chitarrista mentre si portava una sigaretta alla bocca.
Abbassò il finestrino e la accese senza staccare gli occhi dalla
strada.
Era sempre stato Tom il
guidatore per eccellenza fra i due. Bill guidava ma non amava farlo
quanto il fratello. Il moro vi trovava un qualcosa di rilassante, era
divenuto un fattore automatico con chiunque. Bill, al contrario,
gradiva abbandonarsi al suo fianco e godere della calma che il
viaggio gli trasmetteva. Non aveva mai fatto mistero di quanto Tom
fosse bravo a guidare e finché poteva ne approfittava.
Non trascorse molto
tempo prima che raggiungessero il Bootsy Bellows. Parcheggiarono non
molto lontano e si incamminarono verso l'entrata dove scorsero Shiro
e Shay ad attenderli. Una coppia incredibilmente affiatata con cui
avevano avuto modo di stringere una solida amicizia nel corso degli
anni, sin dal loro trasferimento nella Città degli Angeli.
“Hey!” sorrise
Shiro non appena li vide. “Ce l'avete fatta.” ridacchiò poi dopo
aver salutato entrambi.
“Ringrazia Bill, come
al solito.” ribatté Tom per poi posare affettuosamente una mano
sulla spalla di Shay.
Bill era consapevole di
quanto Shay si trovasse in mezzo a due fuochi. Cara amica di Ria, ora
era costretta a dividersi fra lei e loro senza alcuna distinzione.
Aveva sempre rivestito la parte della pura neutralità e l'aveva
fatto molto bene. Tutti sapevano che quella situazione non era delle
più semplici ma con un po' di pazienza erano giunti ad una soluzione
quantomeno indolore.
Fecero il proprio
ingresso al locale e la musica ad alto volume li accolse senza mezze
misure.
***
Il dito pigiò ancora
una volta il tasto del telecomando, insistente. Le immagini sullo
schermo del televisore si susseguivano con velocità, senza un vero e
proprio criterio, ed il suo sguardo perso ed un po' annebbiato
fingeva di trovarvi interesse.
La prima birra aveva
avuto vita breve ed era ovvio che non bastasse a negarle la lucidità.
In completa solitudine, non aveva emesso nemmeno un suono, un verso,
nulla. Amava l'indipendenza ma, abituata ad avere l'euforico Neal a
gironzolarle attorno, cominciava a sentirne la mancanza soprattutto
perché aveva aperto la seconda birra del tutto sola.
Una sottile sensazione
di vergogna si impossessò della sua coscienza per un paio di
secondi.
Tu
che ti presti a grandiose ramanzine da Oscar con tuo fratello, ora
sei stravaccata sul divano a tracannare birra dalla bottiglia.
Diede un'inutile
occhiata al cellulare – nella vana speranza di trovare qualche
messaggio o telefonata persa, così da farla sentire un po'
importante – e si sollevò dal divano. Ignorò il lieve sbandamento
che l'aveva fatta per un momento vacillare e si rifugiò in cucina.
Non aveva toccato cibo e l'alcol stava facendo il suo effetto molto
più velocemente.
I pensieri si
susseguivano senza un ordine, senza un senso logico. Pensieri
fondamentalmente vuoti cui nemmeno prestava reale attenzione. La sua
mente ospitava un ammasso di contraddizioni senza capo né coda.
Cominciava a provare il
bisogno di uscire. Voleva godersi una passeggiata per le strade di
Los Angeles, lasciarsi carezzare dalla tiepida brezza serale,
accompagnata da una sigaretta.
Indossò semplici
sandali color crema, afferrò la borsa ed uscì di casa con la vista
ormai annebbiata.
***
Scrutava distrattamente
suo fratello chiacchierare con Shiro.
Sembrava essersi
incredibilmente ripreso dal crollo emotivo di poche ore prima.
Sorrideva, parlava, gesticolava. Ria pareva solo un lontano ricordo e
Bill non poteva che esserne felice.
Conosceva fin troppo
bene l'emotività di Tom. Era un ragazzo apparentemente forte,
impenetrabile, che difficilmente si apriva o si lasciava studiare
nella sua vulnerabilità. Ma Tom era solamente fragile, sensibile e
pieno di insicurezze malcelate da una presunzione pressoché
inesistente. Bill avrebbe dato la vita per lui, si sarebbe gettato
nel fuoco. Non poteva nemmeno immaginare un'esistenza senza suo
fratello; il solo pensiero gli faceva accapponare la pelle.
Distolse lo sguardo
dalle loro figure e fece una panoramica del Bootsy Bellows. Un locale
lussuoso dove il VIP era il cliente per eccellenza; le luci soffuse,
la musica ridondante, i ballerini in fermento. Se non altro – per
quanto assurdo potesse sembrare – lo rilassava.
Posò una mano sul
ginocchio di suo fratello, il quale si voltò incuriosito.
“Vado un attimo a
fumare fuori.” gli comunicò prima di alzarsi dal divanetto e farsi
strada fra la gente fino all'uscita.
Si portò una sigaretta
alle labbra e poggiò la schiena al muro, a pochi passi dall'entrata.
Una mano in tasca, lo sguardo fisso sulla strada di fronte a sé,
sulle macchine che scorrevano tranquille, sui giovani che di tanto in
tanto passavano di lì.
Anche lui come Tom
amava Los Angeles, in tutte le sue sfumature.
I fotografi non
sembravano in vista, il che era piuttosto strano, considerato il
luogo dove si trovava. Forse avrebbero fatto il loro arrivo più
tardi.
Espirò un po' di fumo
per poi far saettare lo sguardo sul marciapiede opposto al suo,
dall'altra parte della strada. Poggiò la testa contro il muro alle
sue spalle e si portò nuovamente la sigaretta alle labbra fino a che
non si ritrovò a ridurre gli occhi a due fessure sforzandosi di
focalizzare la figura che l'aveva attratto. Per un momento si chiese
se la sua vista facesse cilecca ma quando si rese conto di quanto i
suoi sospetti fossero fondati prese a camminare in quella direzione.
Attraversò la strada fino a raggiungere il marciapiede interessato.
Liesel sedeva
rannicchiata su un muretto – una sigaretta tra le dita – con lo
sguardo languido perso nel vuoto di fronte a sé, un'espressione poco
lucida e l'aspetto decisamente più sfatto di quello con cui era
abituato a vederla. I capelli castani ricadevano sciolti e appena
scompigliati ai lati del viso, dei pantacollant neri le fasciavano le
gambe, una canotta bianca e aderente metteva in risalto seno e addome
mentre delle semplici All Star bianche andavano a completare un look
decisamente differente dalla stilista che Bill ricordava.
Nonostante tutto,
quella ragazza aveva una bellezza indiscutibile e anche quel tipo di
vestiario la rendeva in un certo senso affascinante.
Parve udire i suoi
passi perché si voltò un momento nella sua direzione. Lo sguardo
spento e vacuo lo fece per un momento rabbrividire.
“Oh, grandioso.”
borbottò la ragazza tornando a posare le pupille sulla strada.
Bill si lasciò
scappare un sorrisetto.
“Potresti almeno
fingere di avere piacere di vedermi.” le fece notare, ormai
divertito.
Aveva il forte sospetto
che quella sera Liesel fosse scossa da qualcosa di più di una
semplice rockstar. L'aveva letto nei suoi occhi durante quei pochi
secondi di contatto.
“Non mi piace
mentire.” biascicò lei, cosa che gli fece tendere le orecchie.
“Sei ubriaca?”
sollevò un sopracciglio, curioso.
“Dipende dai punti di
vista.”
Bill ridacchiò. Se non
altro aveva avuto una conferma.
Con un lieve sospiro –
la sigaretta ancora accesa fra le dita – le si sedette accanto, sul
quel muretto testimone di quello che poteva essere dolore, come
semplice tristezza o confusione. L'avrebbe in ogni caso scoperto.
Per quanto quella
ragazza urtasse il suo sistema nervoso e quello di Tom, nessuno dei
due riusciva ad odiarla. Che nascondesse altro dietro la sua facciata
di cemento armato era più che palese.
La scrutò per un
istante, indeciso sul da dirsi. Fumava come un automa, le palpebre
nemmeno sbattevano.
“Come mai qui?”
fece la prima domanda che partorì la sua fantasia. Non poteva mai
prevedere le sue reazioni.
“Potrei farti la
stessa domanda.” ribatté lei senza degnarlo ancora di uno sguardo.
Buttò via del fumo.
“Beh, io ero al
Bootsy.” rispose come fosse ovvio.
“Intendevo perché
qui, seduto su un muretto a sproloquiare con un'ubriaca.”
Il vocalist sorrise.
“Allora ammetti di
esserlo.”
Liesel si voltò
finalmente verso di lui.
“Non hai risposto.”
deviò.
Bill scrollò le
spalle.
“Sono sincero, mi fai
un po' pena qui così.” Non si era nemmeno preoccupato di indossare
guanti bianchi. Con Liesel Petrova non vi era bisogno. “Ora
rispondi tu.”
“Volevo pensare ai
miei cazzi.” Inspirò un po' di nicotina. “E smaltire la birra.”
sbuffò poi il fumo. Bill non sapeva se ridere. Non l'aveva mai vista
in quei panni e, se la sua sbornia lo avesse aiutato, sarebbe
riuscito a scoprire qualcosa in più di lei. “Che palle.”
farfugliò la mora senza guardarlo di nuovo. Aveva gettato a terra la
sigaretta consunta ed aveva incrociato le braccia sulle ginocchia.
“Cosa?” provò lui
senza mostrarsi troppo interessato. Non voleva – proprio ora che
sentiva di averla in pugno – darle motivo di ritrarsi.
“Voi VIP. Al momento
mi state al quanto sulle palle.”
Bill non si trattenne
dal sogghignare.
“Nah, non è questo
il motivo del tuo aspetto cadaverico.” la prese in giro.
“Lo prendo come un
complimento solo per non tirarti una testata.”
“Molto generoso da
parte tua.”
La vide accendersi
un'altra sigaretta.
Aveva un qualcosa di
diverso nei gesti. Sembrava molto più remissiva del solito, il che
andava a suo favore.
Bill nel frattempo
spense la sua.
“Toglimi una
curiosità.” cantilenò lei. “Tuo fratello è problematico?”
Lui aggrottò la fronte, confuso. “Non problematico nel senso di
idiota, buzzurro affetto da una concentrazione di autostima al di
sopra della norma, quale è.” Sollevò un sopracciglio, ora
divertito. “Intendo un vero coglione, una cazzo di spina nel fianco
che ti rende la vita impossibile.”
“No.” rispose
sicuro.
“Si droga o spaccia?”
Per poco non gli andò
la saliva di traverso. Per quale razza di motivo lo stava
sottoponendo a tali domande?
“No.” ripeté
stranito.
Liesel sorrise con
sarcasmo.
“Che ragazzo
fortunato.”
Sbatté le ciglia più
volte poi, quando un'illuminazione divina gli diede un improvviso ed
immaginario scossone, pensò di comprendere.
Si schiarì la voce e
si sedette più a suo agio accanto a lei.
“Tu hai un fratello
del genere?” si informò con incredibile delicatezza. Non voleva
risultare irruento nei modi, non voleva si chiudesse di nuovo a
riccio.
“Diciamo che ho il
pacchetto completo.” sdrammatizzò lei per nulla divertita mentre
buttava a terra un po' di cenere.
Bill per un momento non
seppe cosa dire. Tutto avrebbe dedotto ma non che Liesel avesse
problemi con il fratello. Doveva affrontare il discorso senza fretta,
passo per passo. Se necessario, partire dal principio.
“Non sapevo avessi un
fratello.” buttò lì.
“Non ne parlo molto
in giro. Sarei costretta a dare risposte che preferirei tenere per
me.”
Parlava ancora con
remore, con freddezza, con cupo sarcasmo. Manteneva quel distacco da
lui come per paura che potesse ferirla da un momento all'altro, o
potesse ferirsi da sola lasciandosi sfuggire qualche parola di
troppo.
“Quanti anni ha?”
“Venti ma è come ne
avesse dodici.” Sembrava così furiosa con suo fratello. Sembrava
aver bisogno di sputare tutta la sua rabbia nei suoi confronti. “Mia
madre non ha il polso necessario per gestire un teppista simile. E
Phil va a periodi.”
“Phil?”
“Suo padre.” Bill
dovette sembrare confuso perché lei gli schiarì brevemente le idee.
“Stessa madre, padri diversi.” Annuì appena mentre la vedeva
spegnere la seconda sigaretta. Avrebbe voluto chiederle qualcosa su
suo padre, quello bulgaro, ma non lo fece. Non voleva risultare
invadente. “Illuminami.” Riprese a parlare lei. “Come diamine
vai d'accordo con Tom? Dammi qualche dritta, magari sono io che non
so nulla di mio fratello. Magari sono io il problema.”
La quantità di
sarcasmo nella voce si era a dir poco triplicata.
“Non c'è un sistema.
Si va d'accordo e basta. Ci si vuole bene. Si cerca di comprendere.”
“Quindi quando vado a
recuperarlo in commissariato con una bustina di cocaina sulla
scrivania dovrei essere comprensiva e dire al commissario che non ha
capito un cazzo della vita e che tra i ragazzi ci si diverte così.
Fratellanza, insomma, così mi vorrà finalmente bene e smetterà di
trattarmi coma l'ultima merda del pianeta.”
“Non intendevo
quello.” Sospirò appena cercando di trovare le parole adatte. “Il
punto è che io e Tom non abbiamo problemi così seri. Oltre a
tirarci qualche padella addosso durante le discussioni, non dobbiamo
affrontare argomenti così delicati. È ovvio che la complicità sia
indissolubile.”
“E se io cercassi
questa complicità da anni? Dovrei cominciare a drogarmi insieme a
lui? Magari a quel punto sarò degna delle sue attenzioni.”
“Assolutamente no e
lo sai bene.” Si prese qualche attimo di riflessione. Non aveva mai
pensato ad un'eventualità simile. Come si sarebbe comportato se Tom
fosse caduto nel circolo della droga? Tanto più che l'ambiente che
li ospitava ne era pieno zeppo. Sarebbe a dir poco morto dentro.
“Avete mai provato a proporgli di andare in riabilitazione?”
Lei rise per nulla
divertita.
“Allora, partiamo dal
presupposto che Steven è una testa di cazzo. Per natura, se gli dici
di fare una cosa lui fa l'esatto contrario. Non accetta consigli
nemmeno per sbaglio. Frequenta una compagnia a dir poco discutibile
ed è del tutto deviato da loro. E, chicca di tutte le chicche, è
convinto di essere nel giusto.” Più parlava più sembrava che i
suoi occhi si annebbiassero. Probabilmente gli effetti dell'alcol
stavano lentamente prendendo piede nel suo organismo ma Bill non
poteva sapere quando e quanto avesse bevuto. “Come diavolo proponi
ad una persona simile di farsi una gita in riabilitazione?” gli
domandò guardandolo negli occhi, caustica.
Il vocalist si rese
conto che del tutto semplice non poteva essere.
Si strinse nelle spalle
in difficoltà.
“Sai, vorrei poterti
rispondere ma la verità è che nemmeno io saprei come comportarmi.”
ammise del tutto sincero. “Spesso dare un parere esterno è la cosa
più semplice che si possa fare, se dato senza cognizione di causa.
Non ho mai vissuto quello che vivi tu; non so nemmeno lontanamente
cosa voglia dire. Farei solo l'ipocrita a dirti di comportarti in un
modo piuttosto che in un altro.”
Liesel fece una lieve
smorfia.
“Non è facile
interagire con chi ha il cervello inibito dalla cocaina. E si può
dire che l'interazione tra me e Steven sia pura utopia.” Il
silenzio calò per qualche secondo. “Perché cazzo sto dicendo
queste cose a te?” domandò poi lei, come svegliatasi da uno stato
di trans, cosa che portò Bill a ridere sinceramente divertito.
Non avrebbe mai
completamente capito quella strana ragazza.
“Forse perché ti
ispiro fiducia.” provò furbescamente.
Sarebbe riuscito a
farle ammettere di non provare vero astio nei loro confronti.
Liesel sollevò un
sopracciglio scettica.
“O, più facilmente,
è la sbornia.” borbottò ormai con la testa altrove.
L'aveva persa.
***
Suo fratello non
rientrava e lui cominciava a chiedersi dove potesse essersi cacciato.
Quella serata l'aveva
senza ombra di dubbio aiutato ad impossessarsi nuovamente del suo
spirito allegro e spensierato. Il crollo emotivo per Ria era stato un
mettere un punto definitivo su quella storia, un recuperare uno sfogo
non avvenuto al momento giusto. Immediatamente dopo la rottura non
aveva pianto ed ora, a distanza di tempo, aveva come riempito quel
tassello mancante per accantonarlo definitivamente. E ancora una
volta, suo fratello sia era rivelato di vitale importanza.
Si congedò gentilmente
da Shiro, ora affiancato da Shay, e si fece strada fra la folla fino
a ritrovarsi sul marciapiede. Si guardò attorno più volte, in
ansia, alla ricerca di Bill che non pareva nei dintorni.
Dove diavolo si era
cacciato, senza dirgli niente per giunta?
Fece saettare ancora lo
sguardo a destra e a manca fino a che, con suo sollievo, non lo
riconobbe al di là della strada, seduto su un muretto con – si
sorprese – niente meno che Liesel.
Attraversò fino a
raggiungerli.
“Hey.” fece al
biondo che si voltò tranquillo nella sua direzione. Posò poi lo
sguardo sulla mora, ora intenta a studiarlo. “Che fai qui?” le
domandò curioso. Aveva uno sguardo strano, diverso, forse indifeso e
soprattutto – per la prima volta da quando l'aveva conosciuta –
disarmato.
“Mi intrattengo
inspiegabilmente con tuo fratello e cerco di smaltire qualche birra
di troppo.” farfugliò lei.
Tom sollevò un angolo
della bocca, in un piccolo sorriso.
Era sbattuta e sfatta
ma conservava nonostante tutto il suo fascino. Anche lo stile
mascolino le donava. Ne aveva sempre parlato con Bill: Liesel era di
una bellezza fuori dal comune, forse aiutata dalle radici dell'est,
ed in qualunque modo si mostrasse al mondo esterno riusciva sempre a
catturare l'attenzione.
“Da quando ti
intrattieni con uno di noi?” le domandò sinceramente curioso
mentre si accendeva una sigaretta.
“Questo succede
quanto tocchi livelli di disperazione imbarazzanti.” ribatté lei
con sarcasmo, accompagnato questa volta da una stanchezza insolita.
“Questo mi lusinga.”
scherzò Bill.
“Sei qui da sola?”
indagò ancora espirando la prima boccata di fumo.
“Vedi qualcun altro a
parte tuo fratello?”
“Dove hai lasciato
Neal?” continuò stavolta il vocalist.
“Lui ha
lasciato me stasera per stare con un idiota.” Ora capisco, pensò
Tom quasi intenerito da tale ammissione. Che si sentisse sola senza
di lui? Che non riuscisse a costruirsi rapporti che escludessero il
fotografo? Alle volte la vedeva come una bimba; una bimba che doveva
ancora imparare come stare al mondo. “Avremmo dovuto passare la
serata insieme.” borbottò infine. Né Tom né Bill risposero. Ma
il chitarrista immaginava Bill stesse formulando i medesimi pensieri.
Liesel, se indifesa, era capace di intenerire chiunque; ancor di più
perché comunemente chiusa e scontrosa. “Me ne vado a casa.”
annunciò poi proprio lei facendo per alzarsi dal muretto. Una volta
in piedi sbandò appena verso destra e Tom la afferrò delicatamente
per un braccio. “Sto perfettamente in piedi da sola.” obiettò
lei allontanandosi dalla sua presa.
Effettivamente era vero
ma il suo equilibrio sembrava piuttosto precario.
“Non puoi guidare.”
la ammonì Bill, visibilmente preoccupato.
“Chi ha detto che
avrei guidato?” fece lei ormai con le palpebre a mezz'asta.
Probabilmente aveva anche sonno.
“Come avresti
intenzione di tornare a casa?” intervenne Tom, confuso.
“A piedi, no? Non
sono ancora in grado di teletrasportarmi. Neal si è appropriato
della macchina per andare da quell'idiota.”
Il chitarrista si
scambiò un'eloquente occhiata con il cantante, tralasciando quel
particolare 'idiota' a lui del tutto sconosciuto.
“Ti accompagniamo
noi.” parlò quindi Bill per tutti e due. Liesel sollevò un
sopracciglio. “Non ti lasciamo attraversare le strade di Los
Angeles da sola e in queste condizioni.” continuò convinto.
Tom, nonostante il
silenzio, era d'accordo. Non era mai saggio lasciare che una ragazza
si avventurasse di notte e del tutto sola fra le vie della città,
grande o piccola che fosse.
“Non ho bisogno di
balie.” obiettò la mora.
“Sì, beh, ben poco
ti aiuterà a convincermi.” Ribadì Bill. Si voltò poi verso suo
fratello. “Vado a salutare Shiro e Shay.”
“Fallo anche per me.”
Lo osservò
attraversare la strada fino a rientrare nel locale.
“Non dovevate
interrompere la serata per me.” udì all'improvviso la ragazza,
ancora al suo fianco, con tono quasi glaciale seppur rotto dall'alcol
che aveva in circolo.
“Ce ne stavamo per
andare comunque.” rispose voltandosi per guardarla.
Si stringeva fra le
braccia come avesse freddo nonostante l'alta temperatura californiana
ma sapeva che lo stava facendo solamente per una sorta di protezione
da ciò che ancora gli era sconosciuto. Quella ragazza sembrava
terrorizzata dalla vita ed ora che l'aveva indifesa davanti agli
occhi capiva quanto debole in realtà fosse sotto la corazza di
cemento che immaginava avesse costruito in tanti anni.
Sorrise appena
scuotendo la testa e spostò lo sguardo sulla strada.
“Perché ridi
adesso?” domandò lei sospettosa.
“Niente.” mormorò
lui senza abbandonare quell'espressione rilassata. “Sei molto più
trasparente di quello che credi.”
La vide irrigidirsi
immediatamente sul posto, come se quella sua frase l'avesse scalfita
nel profondo.
“Non mi piace essere
psicanalizzata.” ribatté duramente.
Tom la guardò di
nuovo.
“Non ti sto
psicanalizzando.” fece con semplicità.
Liesel non proferì
altro e Tom non insistette perché lo facesse. Quella ragazza aveva
un problema col mondo; forzarla a parlare di sé, a far crollare ogni
protezione in cui si illudeva di stare bene non era giusto ed avrebbe
solamente ottenuto l'effetto contrario. Forse col tempo avrebbe
capito da sola.
Pochi minuti e Bill
fece il suo ritorno, trafelato.
“Ogni volta uscire da
quella dannata folla è impossibile.” borbottò prima di prendere a
camminare lungo il marciapiede, seguito da Tom e Liesel.
Il moro lanciava di
tanto in tanto sguardi alla ragazza, la quale minacciava di
barcollare ogni tre passi, ma mai l'aveva aiutata per non farsi
tranciare una mano. Convinta di poter camminare, avrebbe portato a
termine quell'impresa da sola.
“Mi farai sedere
sulla tua preziosa macchina? Non ti sembra azzardato?” lo
prese in giro all'improvviso ma lui non si fece toccare da tale
provocazione se non lasciandosi andare ad un lieve sorriso.
“Proverai
quest'ebbrezza.” confermò sornione e ridacchiò nell'osservare la
smorfia di disapprovazione prendere posto sulle labbra carnose della
mora.
Non passò molto prima
che si trovassero in strada, sulla sua Range Rover.
Liesel si era rifiutata
di sedere affianco al chitarrista ed aveva preso posto sui sedili
posteriori poggiando la tempia contro il finestrino. Tom l'aveva
controllata attraverso lo specchietto retrovisore fino a che non
dedusse si fosse addormentata.
“Alla fine, è
proprio una bimba.” commentò Bill intenerito subito dopo essersi
voltato per scrutarla dormire profondamente.
Tom non poteva fare a
meno di pensare la medesima cosa. Era così contraddittoria in
qualsiasi cosa facesse; persino la più semplice.
“La dobbiamo
svegliare, non so dove abita.” parlò.
“Credo non sarebbe
utile nemmeno da sveglia.” Detto questo, Bill recuperò il
cellulare dalla tasca dei jeans. “Devo disturbare Neal.” Tom,
seppur contrario, lo lasciò digitare il messaggio. Messaggio che
trovò risposta dopo pochissimi minuti. “È preoccupato per lei.”
riferì il vocalist mentre scorreva le parole sullo schermo che gli
illuminava debolmente il viso. “Ma almeno abbiamo l'indirizzo.”
“Tranquillizzalo.”
gli intimò il chitarrista.
In pochi istanti
raggiunsero l'abitazione di Liesel, una villetta indipendente ed
apparentemente ospitale che dava immediatamente sulla strada. Un
piccolissimo giardino a farle da cornice.
Bill si voltò verso i
sedili posteriori e prese a muoverla lievemente per un braccio.
“Liesel, svegliati,
siamo arrivati.” mormorò. Udirono la ragazza mugugnare appena
prima di aprire con fatica gli occhi. “Siamo arrivati.” ripeté
il biondo con delicatezza. “Ti accompagno dentro.”
“No.” negò subito
lei mentre si raddrizzava lentamente per aprire la portiera. “Ce la
faccio da sola.” aggiunse. Prima di scendere dall'auto si
immobilizzò per un istante fino a che non si voltò verso i gemelli
con viso assonnato e decisamente poco lucido. “Grazie.” soffiò
per poi sparire dalla Range Rover.
Tom era a dir poco
sorpreso. Era la prima volta che udiva una gentilezza simile
fuoriuscire dalle sue labbra e l'espressione quasi basita di suo
fratello gli suggerì che non era l'unica vittima di quella spontanea
reazione. Non mise in moto la macchina fino a che non si assicurò
che Liesel – dopo numerosi tentativi per aprire la porta di casa –
fosse solo un ricordo al di là del legno.
“Ho la sensazione che
non ci dimenticheremo di questa serata.” furono le ultime parole di
Bill prima di allontanarsi da quella via.
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