Come le farfalle.

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sigarette. ***
Capitolo 2: *** Chiacchiere e partenze. ***
Capitolo 3: *** La felpa. ***



Capitolo 1
*** Sigarette. ***


Sigarette.


La stanchezza cominciava a farsi sentire. I miei occhi a malapena riuscivano a rimanere aperti. Ero stanca sia fisicamente che mentalmente, avevo fatto il triplo turno alla caffetteria e avevo dormito più o meno tre ore la sera prima. Mancavano ancora tre ore prima della chiusura del locale e non ce la facevo più a controllare il sonno. Erano le nove di sera ed era l’ora più fastidiosa dato che cominciavano ad arrivare tantissimi clienti. Faceva un caldo assurdo, non solo perché correvo avanti e dietro, ma perché era arrivato giugno e con esso il caldo. A Londra non si era mai assistito prima di allora a quel caldo torrido. Entrò un gruppetto di ragazzi, tutti miei conoscenti che non mi stavano molto simpatici dato che ogni volta che ordinavano dovevano fare qualche battutina su di me. Sperai che a servirli sarebbe stata Stive, ma come sempre toccò a me. Presi il taccuino e mi avvicinai al tavolo dove si erano accomodati i sei ragazzi e le tre ragazze. Mi preparai psicologicamente a quello che mi sarebbe aspettato. Mi passai la mano sulla fronte che gocciolava quasi dal sudore. Arrivai al tavolo e cercai di sorridere, nonostante avrei voluto volentieri sputare a tutti quanti, ma erano dei clienti e non mi era concesso.
-Buonasera- dissi cercando di sembrare più amichevole possibile-Cosa ordinate?-.
-Te arrosto- disse una delle ragazze provocando le risate di tutti i suoi amici e delle sue amiche che io chiamavo piuttosto ‘troie’.
-Sono spiacente Abby, ma è finito poco fa- risposi abituata a sentirmi dire sempre le stesse cose.
-Che peccato. Allora prenderò la solita insalata, mi raccomando con poco sale, poco olio e poco aceto- disse.
-Se vuoi te la porto direttamente senza condimento-.
fece una smorfia.
-Voi altri cosa prendete?- chiesi appena finii di scrivere ciò che aveva ordinato Abby.
-Per noi due la stessa cosa di Abby- disse Angela facendosi portavoce anche di Stella.
Scrissi tutto quanto.
-Voi?-.
-Tre hamburger con tante salse e tre hot dog, uno solo con ketchup e gli altri due con tutto-.
Annotai.
-Da bere?-.
-Sei birre grandi per noi- disse uno tra i ragazzi.
-E per noi ragazze semplicemente acqua naturale-.
Scrissi ancora.
-Perfetto- dissi dileguandomi con un finto sorriso.
mi avvicinai alla cucina e lasciai l’ordine. Poi mi avvicinai a Stive.
-Che cosa hanno detto questa volta?- mi domandò.
-Oh, si sono anche regolati. Solo Abby mi ha detto che voleva me arrosto-.
-Lasciali perdere, un giorno quando diventerai qualcuno di importante e loro finiranno al circo non avranno più il coraggi di insultarti-.
-Capirai, non mi importa niente dei loro insulti, mi scivolano addosso- dissi facendo l’occhiolino per poi avvicinarmi al bancone per preparare le sei birre. Le posai sopra ad un vassoio, su cui misi anche l’acqua e portai tutto al tavolo.
-Serve altro ragazzi?- chiesi da prassi.
-No. Desideravamo te arrosto ma dato che non c’è più ci accontentiamo di questo-.
-Se ripassate domani forse trovate ciò che desiderate- dissi sarcastica.
-Allora ripassiamo domani- disse Abby provocando la risata dei suoi amici.
io me ne tornai da Stive totalmente indifferente.
Stive aveva trent’anni. Era sposata da cinque e aveva due gemelline deliziose. Le adoravo. Suo marito era sempre in giro per lavoro. La conoscevo da quando avevo cominciato a lavorare lì, cioè da due anni. Avevo bisogno di mettere qualche soldo da parte dato che finita la scuola mi sarei trasferita in America, in California, con la mia migliore amica Margaret, per passare l’estate lì. Io avevo diciannove anni, ero più grande di lei di un anno, ma frequentavamo entrambe il penultimo anno di liceo dato che per svariati problemi ero stata rimandata. Mancava solamente una settimana e quell’inferno sarebbe finito. Non avrei dovuto sopportare più tutti quei clienti scomodi alla caffetteria, che nonostante tutto ero dispiaciuta a lasciare. Portai i piatti a diversi tavoli, incluso quello dei ragazzi e poi attesi mezzanotte, ovvero l’orario di chiusura. Era sabato e come sempre Margaret arrivò alla caffetteria qualche minuto prima della chiusura per salutare tutti e andare via insieme a me. Ormai conosceva tutti quanti i dipendenti della caffetteria, dato che passava molto del suo tempo lì dentro per me. Mi tolsi la divisa e mi rivestii dei miei panni, presi la mia giacca di pelle e uscii con Maggie (Margaret).
-Come è andata questa giornata lavorativa?- mi chiese cingendo il mio collo con il suo braccio.
-Come tutti quanti gli altri direi- risposi sorridendo.
-Cosa vuoi fare ora?- mi domandò.
-Direi dormire- dissi sbadigliando.
-Sei una vecchiaccia. Tutti i ragazzi escono a quest’ora e tu vuoi andare a dormire? Sei pessima ragazza mia-.
-Scusa se mi spacco la schiena di lavoro e a sera sono stanca- dissi sarcastica.
rise.
-Dai scherzavo. Almeno siediti con me giusto per il tempo di una sigaretta-.
-Avevi detto di aver smesso-.
-Si ma una ogni tanto non fa niente- disse prendendo una sigaretta dal pacchetto per poi rivolgerlo a me offrendomene una. Io l’accettai avevo bisogno di fumare un po’ e svagarmi.
-Allora tutto pronto per il viaggio?- mi chiese dopo aver mandato fuori il fumo.
-Si mancano poche cose. I biglietti aerei ce l’hai tu no?-.
-Si tranquilla!-.
-Ma dove alloggeremo?-.
-Te l’ho detto. Mio zio ha una casa lì e ce l’ha data per tutta l’estate. Ha detto che c’è da fare qualche lavoretto ma niente di che-.
-Ci sarà anche tuo cugino Harry?- chiesi.
-No, mi ha detto zio che è andato sulla costa con i suoi amici. Ha cominciato a fare il bagnino-.
-Wow, un bagnino davvero affidabile!- esclamai retorica.
-Lo conosci poco per dire così. È bravo quando vuole-.
-Chi sono i suoi amici?-.
-Non lo so non li conosco. Se vuoi rimorchiare gli dico di venire da noi qualche volta almeno ti presenta qualcuno-.
-Non sono alla ricerca di ragazzi per quest’estate-.
-Certo certo, ne riparleremo quando ti troverò a letto con qualcuno-.
-Maggie- dissi rivolgendole un’occhiataccia.
-E dai, scherzavo- disse ridendo.
buttai a terra la sigaretta che era finita. Ci guardammo e ci capimmo al volo: ne prendemmo un’altra entrambe.
-Che poi scusa, ora che ci penso non dovevamo andare al mare in California?- chiesi io.
-Si infatti la casa è sul mare-.
-E allora se tuo cugino non sta con noi, ma sta ugualmente sulla costa, dove diavolo alloggia. Quante case ha tuo zio?-.
-Bella domanda. Probabilmente uno dei suoi amici ha un’altra casa. E poi scusa non esiste solo il pezzo di costa dove alloggiamo noi-.
-Giusto- concordai.
La guardai e le spettinai i capelli.
-Per quale motivo mi hai spettinata ora?-.
-Mi andava di farlo- dissi sorridendole mentre si rimetteva a posto i capelli.
Poi guardai le punte dei suoi capelli tinte di rosso.
-Che poi come ti è venuta in mente l’idea di tingerti i capelli di rosso eh?- dissi.
-Sono belli vero? La prossima volta li faccio celesti-.
-Non ti azzardare a farlo-.
-Dovresti colorarli anche tu-.
-No grazie, mi tengo i miei capelli castani così come sono-.
-Dovresti vivacizzare di più la mia vita-.
-Più vivace di quello che è-.
Lei mi sorrise e mi accarezzò la testa.
-Che ore sono?- chiesi poi.
-Cazzo è passata un’ora e mezza da quanto la caffetteria ha chiuso-.
-Vuoi dire che è l’una e mezza?-.
-Brava sai fare i conti allora!- disse scherzando.
-È tardi io mi ritiro a casa- dissi alzandomi dalla panchina.
-Vuoi un passaggio?- mi chiese Maggie dato che anche se avevo una patente non potevo permettermi una macchina.
-No tranquilla, me la faccio a piedi-.
-Qualunque cosa chiama, tanto non mi addormenterò prima di tre ore- disse allontanandosi e sorridendomi.
-Va bene, sta’ tranquilla mora!- esclamai mandandole un bacio con la mano.
-Notte!-.
-Buonanotte!-.
Mi incamminai su quella strada buia e desolata verso casa mia, consapevole di quello che avrei trovato a casa. Camminai per una decina di minuti, varcai il piccolo vialetto e cercai le chiavi nella borsa. Non le trovavo. La svuotai per cercarle, ma probabilmente le avevo dimenticate in caffetteria. Solo dopo notai il post-it celeste sulla porta su cui c’era scritto ‘C’è James a casa, va’ da Maggie. Charlie è da Dotty. Buonanotte. –mamma-‘.
-Fantastico!- dissi.
Presi il telefono e chiamai Maggie. Non mi rispose.
-Menomale che non ti addormentavi prima di tre ore-.
Mi incamminai verso il tabaccaio. Comprai un pacchetto di sigarette e mi sedetti sulla prima panchina che trovai libera fumai un’altra sigaretta. Mi appisolai sulla panchina come la sera precedente e come tante altre sere prima, sperando che nessun cane randagio mi avrebbe pisciato addosso.


Spazio autrice.
Heila belle gente!
Dopo parecchio tempo di assenza sono tornata a scrivere. Avevo nostalgia di scrivere storie e di questo sito. Sto progettando una nuova storia diverse da quella che ho già scritto. Il primo capitolo non rivela un gran che, ma spero vi piaccia. Che dire, recensite se volete! Un bacio!

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Capitolo 2
*** Chiacchiere e partenze. ***


Chiacchiere e partenze.


Il tepore del sole e i rumori della città che incomincia la giornata domenicale mi svegliarono. Mi stropicciai gli occhi e realizzai di trovarmi su una panchina a dormire. Chi mi aveva vista aveva pensato che ero una barbona. Mi ricordai delle sigarette che avevo nella borsa e ne accesi subito una di prima mattina. Avevo lo stomaco vuoto, quindi fumare senza mangiare niente non era il massimo, ma lo feci lo stesso. Guardai l’ora sul telefono e erano appena le sette. La locanda avrebbe aperto alle otto, ma io dovevo andare lì per le sette e mezza. Così mi alzai, barcollai un secondo dato che mi ero alzata troppo velocemente e m girava la testa e poi mi incamminai verso il locale. Me la presi con comodo e quando arrivai Bob, il proprietario, aveva già aperto. Entrai e già si sentiva odore di zucchero per i cornetti.
-Buongiorno Bob!- disse entrando e sorridendo.
-Buongiorno anche a te Eva-.
-Sono la prima?-.
-Si come sempre! Oggi si chiude prima-.
-Come mai?-.
-Devo partire quindi pomeriggio non si lavora-.
-Se è un problema la chiusura, puoi affidarla a me!-.
-Già fai tante cose, riposati questo pomeriggio che ti vedo stanca-.
-Già- dissi sospendendo il discorso.
Andai a mettermi la divisa, poi “pronta” a cominciare la giornata cominciai a organizzare i tavoli e la cassa. Verso le otto e dieci cominciarono ad arrivare i primi clienti, ma di domenica la situazione era sempre abbastanza tranquilla. Mi ricordai che dovevo parlare con Bob, così appena trovai un minuto di tempo per parlargli in tranquillità, lo raggiunsi in ufficio. Bussai alla porta e la sua voce grave mi incitò ad entrare dentro e a sedermi sulla sedia di fronte a lui. Io presi posto comodamente e mi schiarii la voce per incominciare a parlare.
-Allora Bob, dovrei parlarti-.
-Dimmi tutto Eva, anche se immagino di cosa mi vuoi parlare-.
-Ah si?-.
-So che devi partire e ho capito quindi che quest’estate non sarai disponibile a lavorare qui-.
Io annuii con la testa facendogli capire con un’espressione che aveva centrato in pieno il punto.
-Esatto- dissi poi.
-Non ti devi preoccupare. So tutta la situazione che ti porti addosso, una vacanza ti fa bene e poi non ti preoccupare, se quando torni avrai ancora voglia di lavorare per me un posto c’è sempre!- mi disse tranquillizzandomi.
-Non so come ringraziarti Bob-.
-Non mi devi ringraziare, promettimi solo che ti divertirai-.
Gli sorrisi.
-Ci proverò- dissi con le lacrime agli occhi.
Bob mi sorrise e con quel sorriso l’aria da duro capo che aveva si sciolse in un secondo.
-Su, ora torna a lavorare!- disse.
Io gli sorrisi ancora una volta e tornai alla caffetteria, dove intanto erano entrati altri clienti, tutti conoscenti dato che erano clienti domenicali abituali. Prendevano il solito quasi tutti quanti. La giornata lavorativa passò in fretta. La domenica chiudevo sempre io e poi tornavo a casa, ma dato che quel giorno il locale chiudeva prima, a chiudere fu Bob. Salutai tutti quanti, ma prima di farlo il capo disse a tutti quanti che aveva deciso di lasciar chiuso per tre giorni il locale. Quindi avrebbe riaperto il giovedì. Poi a me mi chiamò in disparte e mi disse che dato che avrei dovuto lavorare per un giorno solo, dato che la mia partenza era fissata per sabato, ero in ferie da quel giorno stesso. Mi disse di ripassare in locanda solo per salutare e non per andare a lavorare. Io lo ringraziai e poi uscii per andare a casa. Poi mi ricordai delle chiavi che avevo dimenticato, così per mia fortuna trovai il locale ancora aperto e presi le chiavi. Mi incamminai verso casa e nel tragitto accesi un’altra sigaretta. Decisi di chiamare Dotty, l’amica di mia madre per sapere se mia sorella Charlie fosse ancora lì. Mi rispose subito e mi disse che era ancora lì e che se mi andava potevo andare a casa sua. Pensai che James era ancora a casa mia così decisi di andare da Dotty. Ad aprirmi fu proprio Charlie che appena mi vide mi saltò al collo.
-Mi sei mancata sorellona- mi disse dopo avermi stampato un bacio sulla guancia.
-Anche tu amore mio- le risposi io accarezzandole la testa- Dov’è zia Dotty?- chiesi poi.
Charlie considerava Dotty sua zia e in un certo senso era come se fosse davvero così.
-È in salotto con zio Stu- mi rispose trotterellando in direzione dei due.
Arrivai in salotto dove erano seduti a tavola a mangiare.
-Entra cara- mi disse Dotty abbracciandomi e baciandomi sulla guancia.
-Ciao zia!- dissi abbracciandola. La chiamavo anche io in quel modo. Poi mi diressi verso zio Stu e lo salutai allo stesso modo.
-Hai fame tesoro? Vuoi mangiare?- mi chiese zia.
-Nono grazie, ho già mangiato- dissi mentendo.
-Sicura?-.
-Si si-.
-Se vuoi riposarti o farti una doccia tiepida sai dove trovare il tutto-.
-Si grazie, se non ti dispiace vado sotto la doccia-.
-Certo non fare complimenti, sai dove trovare i tuoi vestiti-.
Annuii sorridendo e prima di andare in bagno, andai verso la camera che ormai era la mia e di Charlie a prendere biancheria e vestiti puliti. Poi andai a farmi una bella doccia tiepida che mi sciolse un po’ i nervi. Quella casa era come se fosse casa mia ormai. Dotty e Stu non avevano figli nonostante ci avessero provato ad averne uno per molto tempo. Finii di fare la doccia e poi mi vestii. Dovevo parlare sia con Dotty che con Stu, così scesi giù. Per mia fortuna Charlie era andata a riposare, così potevo parlare tranquillamente con i due.
Ci sedemmo tutti quanti intorno al tavolo e io incominciai a parlare.
-Allora quando parti?- mi chiese zia Dotty.
-Sabato- risposi io lasciando le parole a mezz’aria.
-Hai tutto quanto quello di cui hai bisogno?-.
-Si devo solo andare a casa a prendere gli altri vestiti. La maggior parte li ho qui ma devo prendere anche quelli che mi rimangono a casa-.
-Tua madre lo sa?-.
-No- risposi guardando in basso.
-Glie lo devi dire- mi consigliò mio zio.
-Non cambierebbe niente, tanto farei lo stesso tutto di testa mia e lei non farebbe niente impotente come sempre. Le lascio solo gli ultimi soldi che ho guadagnato-.
-E tu con quali soldi partirai?-.
-Ho altri soldi messi da parte. Basteranno-.
-Con Charlie come farai?- mi disse Stu.
-Non lo so ancora. A casa con mamma non ci può stare e non voglio nemmeno lasciarla a voi per tutto questo tempo. Credo di portarla con me-.
-Ma tu vai lì per divertirti, non per stare dietro a tua sorella-.
-Saprò fare entrambe le cose, non mi va di lasciare a voi tutto il controllo-.
-Cara, badiamo a tua sorella da molto tempo e tre mesi non ci spaventano affatto. È meglio che la lasci qui a noi, portarla lì significherebbe attraversare troppi cambiamenti-.
-Lo so, ma…-.
-Eva, tu e Charlie per me e Dotty siete come due figlie. Non puoi portarla con te e lasciarla a noi non è un problema. Anzi ci fa solo che piacere. Quest’estate andremo a trovare i miei genitori in Grecia e lei ormai conosce tutti lì, le farebbe piacere incontrare i suoi cuginetti. Le piace stare lì. Quindi la porteremo con noi. Sentirà la tua mancanza ma tu qualche volta fatti sentire e soprattutto dille appena si sveglia che partirai per un po’- disse zio Stu.
Io sorrisi ad entrambi comprendendo che fosse la scelta migliore per tutti quanti.
Abbracciai entrambi e poi andai in camera di Charlie dove era a giocare con le bambole sedute per terra.
-Amore, ti devo parlare- le dissi avvicinandomi a lei e sedendomi a terra.
-Cosa mi devi dire?- disse lei sorridendo, pettinando i capelli del suo gioco.
-Ti piacerebbe rimanere con gli zii questa estate? Ti porteranno anche in Grecia. Che ne dici?-.
Il suo viso si illuminò.
-Davvero mi portano in Grecia?-.
Io annuii.
-Si voglio andarci!- esclamò- Tu verrai con noi?- mi chiese poi.
-No, è questo che voglio dirti. Sabato partirò per tre mesi per la California-.
-E dov’è la California?- mi chiese.
-In America-.
-E quanto è lontana l’America?- chiese ancora.
-Un po’- risposi io.
-E cosa ci vai a fare?-.
-Vado con zia Maggie- anche Margaret lei chiamava zia.
-A fare cosa?-.
-A lavorare e divertirci un po’- risposi io rimanendo sul vago.
-Io non posso venire con te?- mi chiese poggiando a terra la bambola.
-Amore io ti porterei volentieri, ma non è possibile. Non saprei a chi lasciarti mentre sono a lavoro-.
-Però promettimi che tornerai- disse avvicinandosi a me.
-Certo che tornerò amore mio- dissi abbracciandola.
-Allora ti lascio andare- disse dandomi un bacio sulla guancia.
Poi corse verso Stu e Dotty e dalla cameretta la sentii urlare contenta di andare in Grecia.
Fui sollevata dal fatto che la prese abbastanza bene.
Il mio unico problema ora era non farlo scoprire a mia madre.
Mi arrivò un telefonata da Maggie.
-C’è stato un errore- mi disse appena le risposi.
-Quale errore?- chiesi io.
-La partenza è stata fissata per martedì e non per sabato-.
-Cioè dovremmo partire dopodomani?-.
-Esattamente-.
-Come hanno fatto a sbagliarsi?-.
-Ho detto io la data sbagliata-.
-E non potevi correggere?-.
-Mi vergognavo-.
Io sospirai.
-Ecco cosa significa lasciare a te un compito così-.
-Ehi, non prendermi tanto in giro. Dobbiamo per forza partire martedì-.
-Il lavoro non è un problema dato che Bob mi ha anticipato le ferie, l’unico che rimane è la scuola-.
-Salutiamo tutti prima qual è il problema?- disse lei felice di andare prima.
-Va bene, ma ora, immediatamente, devi accompagnarmi a casa a prendere i vestiti rimanenti-.
-Perfetto, ti passo a prendere, sei da Dotty?-.
-Si-.
-Dieci minuti e sono lì-.

andai in cucina dove c’erano tutti e annunciai l’anticipazione della mia partenza. Dotty mi suggerì di dormire lì fino alla mia partenza ed io accettai.
Maggie arrivò poco dopo e per mia fortuna mia madre e James non erano in casa. Presi velocemente le mie robe, lasciai sul tavolo i soldi senza nessun biglietto e tornai da Dotty.
Il lunedì andammo a scuola e dicemmo ai professori che saremmo partire. Parvero infastiditi ma non ce ne importava più di tanto. Il pomeriggio passai alla locanda a salutare tutti dicendo che sarei partita l’indomani. Stive mi diede una busta da lettera, facendosi portavoce di tutti e mi disse che erano un aiutino economico. Accettai il regalo e tornai a casa. Dotty preparò una cena immensa per salutarmi come si deve e mi sforzai di mangiare il più possibile. Poi salutai Charlie consapevole che la mattina precedente non l’avrei potuta salutare dato che sarei partita molto presto.
Poi andai a dormire anche se in realtà non chiusi occhio. Pensai molto a quella che sarebbe potuta essere la mia vacanza. Speravo solo che sarebbe andato tutto per il meglio.
La mattina mi “svegliai” presto. Dalla scrivania presi alcuni oggetti, che erano farfalle, regalatemi dai miei zii. Avevo sempre adorato le farfalle. Le misi in borsa, non feci colazione e Maggie passò a prendermi poco dopo. Salutai tutti e un po’ mi dispiacque lasciarli.
Poi andammo all’aeroporto. Ci imbarcarono quasi subito e il volo non tardò a partire.
Maggie mi strinse la mano.
-Questo è l’inizio di una nuova vita- mi disse guardandomi dolcemente.

Spazio autrice.
Eccomi qui con il secondo capitolo di questa nuova storia. Che ne pensate? I ragazzi ancora non entrano nella storia ma non temete entreranno presto. Ditemi cosa ne pensate in una piccola recensione, mi farebbe molto piacere. Un bacione e buon mercoledì a tutte! 


 

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Capitolo 3
*** La felpa. ***


La felpa.

Si quella doveva essere proprio l’inizio di una nuovo vita. La partenza anticipata mi aveva messa un po’ in ansia. Salutare così in fretta Dotty, Stu ma soprattutto Charlie non era stato molto facile per me. Avrei voluto volentieri portare Charlie con me, ma era quasi impossibile dato che non avrei avuto tempo per badare a lei, ma soprattutto non avevo abbastanza denaro per mantenerla una volta lì. Comunque sapevo che lasciavo una bambina di sei anni in buone mani, così ero in parte tranquilla. Per tre mesi non avrei dovuto pensare a niente se non a divertirmi. L’unica mia preoccupazione era mia madre. Le avevo lasciato sul tavolo l’equivalente di tre mesi di stipendio, quindi i soldi c’erano tutti, ma avevo paura che avrebbe combinato qualche macello per via della mia partenza. Non potevo sopportare l’idea che o lei, o quel lurido di James, avrebbe potuto mettere le mani addosso a mia sorella, o a Dotty, come già era successo in passato. Solo l’idea mi metteva così tanta rabbia dentro da spaccare il mondo intero. Anche io avevo spesso ricevuto qualche botta da uno dei due, ma un conto è mettere le mani addosso a una ragazza maggiorenne, un conto è picchiare una bambina che non sa nemmeno leggere e scrivere. Cercai di allentare la tensione, nonostante il volo non mi aiutasse. C’erano molte turbolenze e poi non mi piaceva volare. Maggie invece si comportava del tutto normale, come se non stesse succedendo niente.

Dopo svariate ore di volo atterrammo finalmente all’aeroporto di Los Angeles. Non avevo mai visitato quella città e solo a nominarla mi veniva l’adrenalina. L’aeroporto era immenso e pieno di gente che correva che da una parte chi dall’altra, tutta indaffarata ognuno nelle proprie faccende, nei propri problemi e nei propri casini da risolvere. Ci dirigemmo verso il nastro trasportatore con i nostri bagagli. Il bagaglio di Maggie fu uno dei primi ad arrivare. Aspettammo altro tempo per il mio, che non arrivò. Tutti i passeggeri del nostro stesso aereo avevano il proprio bagaglio. Ci dirigemmo verso gli addetti della sicurezza per chiedere informazioni e ci dissero di aspettare qualche altro minuto. Aspettammo ancora e i fatti il mio bagaglio arrivò. Forse era meglio se non fosse arrivato per niente: la fodera rossa era diventata nera e il dietro della valigia aveva un grosso buco dietro. Per fortuna non era uscito fuori nessun effetto personale. Maggie mi disse che per queste cose si veniva rimborsati ma non avevo voglia di sporgere denuncia perché ci sarebbe voluto troppo e volevo troppo che la mia vacanza cominciasse.
Ci dirigemmo fuori in cerca di un taxi che fortunatamente trovammo subito e ci portò nella nostra casa, proprio sulla spiaggia di Santa Monica. Era uno spettacolo pazzesco quella comunità di Los Angeles. La casa si vedeva già da fuori che era immensa. La pittura all’esterno era gialla, ma era visibilmente trascurata. Il vialetto per raggiungere il portone era dismesso e il cancelletto che lo sbarrava cigolava. Il bello era che fuori dal vialetto era tutta sabbia, varcato il cancelletto erano mattoni rovinati. Percorremmo quella stradina fino alla porta. Maggie prese le chiavi e le infilò nella serratura che era difettosa. Aprì la porta e ci trovammo davanti agli occhi una tale quantità di polvere che sembrava nebbia. Tossii e socchiusi gli occhi infastidita da tutto quello sporco.
-Per fortuna che c’erano pochi lavori da fare- disse Maggie ironica guardando il pavimento per terra che mancava di qualche mattonella.
-Guarda il muro- le dissi facendole notare delle grosse macchie di muffa.
-Grazie mille zio per la bellissima casa-.
Io scoppiai a ridere divertita da tutto quello che vedevo.
-E ora?- mi disse Maggie guardandomi.
-E ora visitiamo il resto della casa- dissi io buttando a terra la valigia curiosa di vedere se fosse rovinata anche il resto dell’abitazione.
Appena entravi dalla porta c’era un grande salotto, illuminato tantissimo dato che era dotat di porte finestre che prendevano tutta la parete.Il divano del salotto era intatto ma puzzava di pipi di gatto. Il bagno sembrava essere fatto da poco dato che c’era una doccia pulita, ultimo modello, con tanto di specchio dentro e vari rubinetti.
-Direi che per adesso la doccia è la cosa più bella di questa casa- scherzai.
Il resto del bagno era apposto.
La cucina mancava di un tavolo che però era fuori in veranda, sporco ovviamente. I fornelli e il frigo erano ancora nuovi dato che erano rivestiti ancora di varie pellicole. Il muro del sottoscala era tutto muffo. Salimmo le scale per raggiungere le camere, che erano tre: due matrimoniali e una singola. Quest’ultimo puzzava di chiuso e aveva un letto che si reggeva per miracolo. Era illuminata però da una grande finestra che portava ad un balcone fighissimo: oltre ad essere immenso aveva una scala a chiocciola, chiusa da un cancelletto, che portava direttamente sulla spiaggia. Era fantastico. Le altre due camere erano più o meno intatte. Il bagno di quel piano assomigliava per le sue dimensioni al salotto: era grandissimo, una sola parete era occupata dagli specchi, c’era una vasca interrata e una doccia che prendeva una parete più corta. Insomma era un bagno imperiale. Era visibilmente fatto da poco. C’era ancora un scala che portava alla terrazza sul tetto. Era accessibile solo una parte, dato che il pavimento era rovinato in una parte. Provammo comunque a salire e da quel piccolo pezzetto notammo che quel posto era immenso, che aveva una vasca idromassaggio da una parte e una piscina interrata dall’altra. Il panorama era grandioso: il sole stava tramontando e faceva un effetto grandioso.
-Dobbiamo assolutamente aggiustare questo posto- consigliai a Maggie.
-Mio zio spaccia secondo me- disse dopo essere restata in silenzio per dei secondi.
Io scoppiai a ridere mentre lei continuava a ripetere “spaccia”.
-Deve spiegarmi dove ha preso tutti i soldi per fare questa casa, ma soprattutto per fare questi bagni-.
Io continuai a ridere.


Entrambe curiose andammo verso la spiaggia, dove giravano migliaia di volantini. Prendendone uno notammo che ci sarebbe stata una festa di inizio estate quella sera. Ci guardammo e capimmo che dovevamo andarci. Sul volantino c’era scritto di indossare il costume, che a mezzanotte ci sarebbe stato il primo bagno per inaugurare l’estate. Rientrammo in casa e cominciammo a prepararci: io indossai un bikini, di cui il pezzo di sopra a fascia, azzurro e un vestito sopra dello stesso colore molto morbido. Maggie invece indosso un bikini dello stesso modello mio ma color pesca, e sopra mise un tubino nero. Entrambe indossammo delle zeppe nere.
La spiaggia era addobbata: c’erano tantissimi chioschi con i cocktail, festoni e palloncini vari. Il mare era bellissimo, luccicava e era piatto come una tavola da surf. Nonostante la brezza marina si facesse sentire, si stava bene e non ebbi bisogno di un copri spalle. L’aria era tranquilla, non era una festa chiassosa, almeno fino a quel momento. infatti dopo un po’ la gente fu sempre di più e venne messa musica da discoteca. Io e Maggie ci buttammo in mezzo alla mischia. I cellulari li avevamo lasciati a casa per non avere preoccupazioni. Ci stavamo divertendo come pazze e poi andammo a bere qualcosa. Io ordinai un Bloody Mary mentre Maggie prese un gin lemon. Quello fu il più buon Blody mary che bevvi. Avevo ancora voglia di bere qualcosa così presi un margarita, mentre Maggie si limitò a prendere un’aranciata. Lo reggevo abbastanza bene l’alcool. La gente era sempre di più e a me sembrava solamente di essere schiacciata sempre di più. Mi divertivo ugualmente ma sapevo che di lì a poco non ce l’avrei fatta. Mentre Maggie era a parlare con un gruppo di ragazzi appena conosciuti, usai la scusa del bagno per allontanarmi un momento e andare verso il bagno asciuga dove non c’era nessuno. Trovai una roccia a cui appoggiare la schiena e mi sedetti a terra. Feci dei respiri profondi mi sembrava davvero di soffocare. La testa mi girava, portai la mano all’altezza del petto e cominciai a respirare profondamente.
-Ti senti bene?- mi chiese una voce estranea.
Mi girai cercando di capire da dove proveniva quella voce ma non vedevo nessuno. Tra il buio si fece largo la figura di un ragazzo: al buio non riuscii a vedere molto ma vidi che era alto, magro e aveva i capelli neri.
-Come scusa?- chiesi io.
-Dico, ti senti bene?- chiese di nuovo.
-Ah, si, è tutto bene grazie-.
Continuai ad ansimare.
-Sei sicura? Continui a respirare profondamente-.
-Si, ho solamente…- mi girai indietro per guardare la folla- corso- continuai e deglutii- velocemente fino qui. mi sentivo schiacciata in mezzo a quella gente-.
-Capisco- disse il ragazzo- Posso?- disse poi indicando il posto a terra accanto a me.
-Certo- risposi io.
Si sedette accanto a me e con più luce potei vederlo meglio. Era un bellissimo ragazzo, con occhi e capelli scuri, labbra carnose e uno sguardo impressionante.
-Scusa non mi sono ancora presentato- disse spostandosi la sigaretta che aveva tra le dita che notai solo in quel momento nell’altra mano e porgendomi quella libera- io sono Zayn-.
Strinsi la sua mano.
-Tu come ti chiami?- mi chiese.
-Eva- risposi.
-Hai un nome bellissimo-.
-Non concordo. Sai, ho provocato tutti i peccati e i dolori del mondo mordendo una mela che non dovevo mangiare-.
-Ah, sciocchezze!- disse lui facendo un tiro alla sigaretta.
-Molti non la pensano così, infatti appena conosco nuova gente e dico il mio nome questa è la loro prima osservazione-.
-Quindi io mi sono distinto dalla massa?-.
-Direi di si- dissi sorridendo.
Prese il pacchetto di sigarette che aveva in tasca e me ne porse una, che ovviamente accettai.
-Ti piace la festa?- mi chiese.
-Si, è ben organizzata, a te?-.
-Si, anche se non è il genere di feste a cui partecipo-.
-In che senso?-.
-Vado a feste in discoteca, nelle vere discoteche, non come questa improvvisata sulla spiaggia-.
Annuii.
-Lavori lì?- chiesi.
-Diciamo di si. Non vado lì per divertirmi ma per fare delle cose-.
-Droga?- mi venne spontaneo.
Rise.
-Nono, per chi mi hai preso. Sono altre faccende-.
Non chiesi altro vedendolo in difficoltà e mi limitai ad annuire.
-Sei qui da sola?- mi chiese.
-No, sono con una mia amica tu?-.
-Con un gruppo di amici-.
Gli sorrisi. Era piacevole parlare con lui.
Rabbrividii percossa da un po’ di vento.
-Hai freddo?- mi chiese.
-Un po’- risposi io stringendomi nelle spalle.
Si tolse la sua felpa e me la porse.
-Tieni- disse.
Rimasi scioccata e a bocca aperta. Non seppi rifiutare così indossai quella felpa che odorava di profumo.
-Che ore sono?- chiesi io per rompere quel silenzio.
-Manca un minuto a mezzanotte- rispose.
-Ora quindi faranno il bagno- notai io.
-Tu non lo fai?-.
-Devo prima ritrovare la mia amica, tu?- chiesi.
-Lo faccio, anche se non mi spingo molto a largo come i miei amici-.
-Non sai nuotare?- chiesi io.
-No solo che…- fece una pausa- Non mi piace tanto il mare, ecco-.
Gli sorrisi. Spensi la sigaretta ormai finita.
-Ti conviene cercare la tua amica. I miei amici mi staranno dando del disperso-.
Risi compiaciuta.
-Si è meglio!- concordai e mi alzai.
Feci per togliermi la felpa e ridargliela.
-No, tienila!- mi disse fermandomi con un gesto della mano.
-Ma no cosa dici, è tua-.
-Se sentirai freddo poi arriverai congelata a casa, tienila-.
-Potrei dire lo stesso per te-.
-Sono convinto che serva di più a te-.
-Beh- dissi facendo una pausa-Allora grazie. Quando potrò ridartela?- chiesi io.
-Considerala come un regalo-.
-Non posso tenerla per sempre-.
-Mettiamola così … se un giorno ci rincontreremo me la restituirai, altrimenti tienila come il ricordo di un perfetto estraneo-.
Sorrisi abbassando lo sguardo.
-Hai un sorriso meraviglioso- mi disse.
Mi morsi il labbro. Quel ragazzo aveva qualche potere speciale e diceva tutto come se dovesse morire in quell’istante, come se non dovesse arrivare al giorno successivo. Era molto strano ma allo stesso tempo il suo modo di fare mi attraeva. Non seppi cosa rispondere e diventai solamente rossa.
-Beh, ora è meglio che vada- mi disse lui sorridendo.
-Già anche io-.
-Piacere di averti incontrata Eva- disse sorridendo.
-Piacere mio Zayn- risposi dolcemente.
Poi si dileguò tra il buio e io rimasi lì, mentre le urla di tutti quanti erano cominciate. Vidi passarmi davanti agli occhi una massa di gente correre verso il mare. Tutti erano felici e si divertivano, io ero scossa dalla persona con cui avevo appena finito di parlare. Ero rimasta piacevolmente sconvolta. Poteva sembrare un ossimoro pensare ciò, ma rimasi davvero sopraffatta dal comportamento di quel ragazzo. Era come se avesse intuito che avevo bisogno di aiuto. Ma io avevo veramente bisogno di aiuto?
-Ecco dov’eri- disse improvvisamente la voce di Maggie che spuntò dietro le mie spalle. Mi girai spaventata.
-Oh, si eccomi-.
-Non dovevi andare in bagno?- mi chiese.
-Si ma poi sono venuta un secondo qua a prendere aria- mentii.
-Di chi è quella felpa?- mi chiese.
La guardai, quasi mi ero dimenticata di indossarla.
-Ah beh, stava qui per terra e avevo freddo-.
-Magari è di qualcuno lasciala lì-.
-Non credo- dissi io stringendomi nelle spalle.
-Va be’, comunque io non ho tanta voglia di fare il bagno- mi disse.
-No, nemmeno io possiamo andare a casa-.
-Ottima idea, andiamo-.
Ci dirigemmo verso casa, che era a due passi. Ci mettemmo due minuti ad arrivare.
Eravamo entrambe stanche, per il viaggio e per la festa, così buttammo a terra tutti i vestiti stravolte e ci mettemmo a letto. Solo la felpa la riposai per bene su una sedia. Solo prima di addormentarmi pensai che potevo rispondere a Zayn che anche lui aveva un bel sorriso.
 A dire il vero era a dir poco meraviglioso.


Spazio autrice.
Hey, eccomi con un nuovo capitolo. È un po’ lungo e forse anche un po’ noioso nella parte precedente ma mi serviva per collegare la parte finale. Ecco a far parte della storia uno dei ragazzi. Che ne pensate? Ho molte idee per questa storia, ma mi dovete aiutare a capire se va bene oppure ha qualche pecca. Che ne dite quindi di lasciarmi una piccola recensione? Bella o brutta che sia! Accetto tutto. Detto questo vi auguro un buon proseguimento di serata! Un bacio a tutte quante.

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