Lo spirito delle parole di Sabriel Schermann (/viewuser.php?uid=411782)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Il
言霊kotodama
è la forza spirituale misteriosa contenuta nella parola.
In
Giappone anticamente si credeva che le cose che si dicevano, un
giorno si realizzassero.
Per
questo, ad esempio ad una cerimonia come un matrimonio si fa
attenzione a non utilizzare parole come
wakareru
(separarsi) o kireru
(rompersi).
Musa
sapeva che
non sarebbe dovuta andare a quella festa, gliel'avevano detto anche
le sue amiche.
Non
ne sapeva
esattamente il motivo, ma gliel'avevano suggerito più volte,
e lei
non le aveva ascoltate.
Era
la prima volta che
suo padre organizzava una festa.
Forse
avrebbe dovuto
capirlo già da quello: quell'uomo non aveva mai organizzato
una
festa in vita sua, almeno a quanto si ricordava.
E
aveva invitato solo
lei.
Strano,
pensò,
eppure conosce anche le mie amiche...
Ma
lui non ne aveva
accennato, così ci andò da sola.
Quando
arrivò al
party, diede uno sguardo alla folla: c'erano soltanto uomini.
Ragazzi
giovani con
genitori o parenti, probabilmente amici di suo padre.
Ma
non c'era una
ragazza.
Pensò
che anche questo
fosse molto strano, ma non ci fece caso più di tanto.
O
meglio, lasciò
perdere la faccenda, in fondo era una festa, e lei voleva soltanto
divertirsi e non pensare a nulla.
Suo
padre la raggiunse
quasi subito.
Lei
provò a chiedere
il perché di quell'invito unico, senza neanche il suo
ragazzo e le
sue amiche più strette, ma suo padre sviò subito
il discorso:
cominciò a presentarle ragazzi su ragazzi, ma nessuno era
particolarmente interessante per Musa.
Così,
dopo qualche
minuto cercò di svincolarsi, andò sul balcone del
locale e guardò
il paesaggio che le si presentava davanti.
L'aria
era fresca, ma
si stava bene, in fondo era estate.
Guardando
le stelle
luminose splendere nel cielo, il suo pensiero andò proprio
alla sua
amica Stella.
Ma
una voce la
interruppe dai suoi pensieri: suo padre si avvicinò
lentamente,
chiedendole curioso se stesse bene.
Tra
loro non c'erano
mai stati segreti, così Musa decise di
confidargli i suoi
dubbi:”Papà...perché hai organizzato
questa festa? Volevi
presentarmi un ragazzo?”.
L'uomo
sorrise
timidamente, punto sul vivo.
Avrebbe
dovuto saperlo
che questa domanda prima o poi sarebbe arrivata, sua figlia era
sempre stata una ragazzina sveglia e intelligente, e sicuramente non
si sarebbe fatta molti problemi a dirgli le cose come stavano.
Così
decise di dirle
la verità.
“Sì,
Musa”,
disse deciso.
“Non
te l'avevo già
presentato il mio fidanzato?”
“Musa,
cerca
di capire...”
“Cosa?
Cosa devo
capire papà? Cos'ha quell'uomo di sbagliato?”
Questa
volta il tono
della ragazza era aspro, sottile, decisamente irritato.
“Quel
ragazzo non mi
piace, Musa, e tu lo sai. Una ragazza brillante
come te
dovrebbe stare con qualcuno di più furbo”
Musa
restò
colpita da quelle parole. Certo, sapeva che suo padre non accettava
Riven, ma non credeva pensasse addirittura che fosse
un
perdente.
“Riven
non è
un idiota, papà. Ha il suo carattere, ma in fondo
è una persona
buona e affettuosa”
“Ma
dove, Musa?”
Il
tono dell'uomo era
decisamente alto, troppo alto.
“Dove
la vedi tutta
questa bontà? E' un buono a nulla! Ti rovinerà
soltanto!”,
sbraitò ancora, prima di scomparire in mezzo alla folla.
La
fata volse di nuovo
lo sguardo verso il cielo. Non c'era luna, ma era pieno di stelle.
Ripensò
alle parole
del padre.
Lei
non aveva mai
creduto che Riven fosse un buono a nulla.
Aveva
un carattere
difficile, ma era davvero una persona buona.
Spesso
questo lo
frenava nel dimostrare i propri sentimenti e per questo poteva
risultare burbero e arrogante.
Ma
la sua natura non
era quella, e lei lo sapeva bene.
Decise
di entrare per
prendere da bere. Fuori cominciava ad avere freddo e anche se non
aveva voglia di stare in mezzo a tutte quelle persone, si
buttò
anche lei in mezzo alla folla.
Improvvisamente,
un
ragazzo cominciò a parlarle senza tregua.
Si
presentò, le fece
qualche domanda sulla scuola e sulla sua vita, poi cominciò
a
parlare a ruota libera, senza fermarsi.
Lei
smise di ascoltarlo
quasi subito e cominciò a studiarlo partendo dal viso.
L'inesperienza
che
avvertiva nella sua voce le fece venire in mente Timmy.
Quei
tipi di persone le
stavano simpatiche, ma non erano fatte per lei.
Fece
un mezzo sorriso e
con una scusa si dileguò, senza sapere che quel ragazzo
l'aveva
seguita con lo sguardo.
Incontrò
di nuovo il
padre e lo prese da parte in una stanza del locale.
“Papà,
dove hai
trovato tutti questi soldi?”, disse a bassa voce.
“Quali
soldi?”,
chiese lui confuso.
“I
soldi per pagare
questo locale, e per organizzare questa festa”
L'uomo
fece ancora un
mezzo sorriso, poi le diede le spalle.
“Stai
diventando una
donna molto sveglia e attenta, bambina mia”, disse.
“Decisamente
sprecata
per un uomo come Riven”, aggiunse
guardandola dritta negli
occhi.
Lei,
stufa ed
infastidita, se ne andò a passo svelto.
Aveva
intenzione di
lasciare quella festa, tornare ad Alfea e andare a
dormire per
finire al più presto quell'orrenda serata.
Ma
quando aprì il
portone dell'uscita, trovò Riven seduto
sulla sua moto.
Sembrava
che la stesse
aspettando. Sorpresa, si avvicinò a lui.
“Riven...che
ci fai qui?”
Improvvisamente,
alle
sue spalle comparve l'uomo con cui aveva parlato poco prima, con in
viso un sorriso maligno. Sembrava aver bevuto.
Poi
dal portone
sbucarono altri ragazzi. Li aveva visti tutti quanti, ma non li
conosceva affatto.
Lei
li guardò stupita,
poi si diresse veloce verso il suo ragazzo.
“Riven...”,
sussurrò prima di vederlo sparire a bordo della sua moto,
furioso
come immaginava.
Questa
fanfiction è ambientata dopo la quarta serie, che
è anche l'ultima
che ho seguito interamente.
E'
come se avessi eliminato i fatti creati da Iginio Straffi nella
quinta (e nella sesta) stagione, ideandone di nuovi.
Potrebbe
risultare OOC, perché so che tendo sempre a modificare un
po' il
carattere di Riven...a
proposito, la storia sarà incentrata principalmente sulla
vita di
questa coppia, quindi se non siete appassionati, non proseguite.
Ho
anche creato un'immagine –->
http://s1366.photobucket.com/editor?image=http%3A//i1366.photobucket.com/albums/r779/Sabriel97/Damakoto_zpsedc98289.jpg%3Ft%3D1391100825&detailUrl=http://s1366.photobucket.com/user/Sabriel97/media/Damakoto_zpsedc98289.jpg.html?filters[media%5Ftype]=image&sort=2&o=1
Grazie
per aver letto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
La
mattina dopo a
scuola non riuscì a seguire una parola.
Quella
notte non aveva
dormito per niente, aveva continuato a pensare al comportamento di
Riven, e soprattutto a quello di suo padre.
Perché
si era
comportato così? E soprattutto, cosa ci faceva lì
Riven?
Quando
stava quasi per
addormentarsi, Tecna la scosse dolcemente per una
spalla:”E'
ora di alzarsi!”.
Riuscì
a farsi
richiamare tre volte dai professori, sotto gli sguardi stupiti delle
Winx.
Lei,
insieme a Flora
e Aisha era sempre stata la più attenta
e la più studiosa,
era normale che fossero sorprese.
Appena
la campanella
suonò, prese le sue cose e se ne andò nella sua
camera.
Dopo
qualche minuto
entrarono anche le altre, curiose di sapere tutto l'accaduto della
sera prima.
Si
sedettero sul suo
letto e la osservarono mettere a posto i propri libri e i pochissimi
appunti presi durante le lezioni.
“Cosa
avete da
guardare?”, mormorò la fata cercando di mantenere
l'espressione
più neutra possibile.
“Lo
sai benissimo”,
disse Stella incrociando le braccia al petto.
“Cosa
è successo
ieri sera?”, aggiunse Aisha, andando
dritta al punto.
Così
Musa,
stanca di fingere che non fosse successo niente, si lasciò
andare
sulla sedia e cominciò a raccontare.
“Non
so perché fosse
lì”, disse al termine del discorso, “ma
c'era. E ha visto questi
idioti sbucare dal portone”
“Beh,
in fondo è per
questo che tuo padre ha organizzato quella festa”, disse Bloom,
“altrimenti non si spiegherebbe un solo invito”.
“Sì,
ma a me non
interessa nessuno! Ho sempre cercato di svincolarmi da tutti, non
sono andata lì per questo! Non ne sapevo nulla!”,
disse la ragazza
disperata.
Era
veramente confusa
dal comportamento del padre.
Non
era l'uomo dolce e
affettuoso che l'aveva cresciuta e accudita.
E
poi voleva fare pace
con Riven al più presto, le mancava
così tanto!
“Senti,
domani è
domenica e abbiamo deciso di uscire insieme agli
specialisti”,
disse Bloom.
“Una
giornata al
parco di Magix, così, per stare un po'
insieme”, aggiunse
Stella.
“Potrebbe
essere
un'occasione per chiarire”, terminò Flora.
Musa
guardò le
sue amiche sconsolata.
Sapeva
che non sarebbe
stata un'impresa facile.
Riven
non era il
tipo da perdonare così facilmente.
Però
almeno sarebbe
stata un'occasione per spiegare ciò che era veramente
accaduto.
Musa
chiuse gli
occhi per un tempo a lei ignoto, e quando li riaprì, vide
soltanto
un sacco di libri davanti a sé.
L'avrebbe
attesa un
pomeriggio denso di studio, in compagnia di quel senso di vuoto che
non provava da mesi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
La
mattina seguente le
fate e gli specialisti si ritrovarono all'esterno della scuola di
Fonterossa.
Il
sole splendeva nel
cielo e sembrava pronto a scaldare tutti i cuori.
Spesso
gli sguardi di
Musa e Riven si incrociavano,
freddi e indifferenti.
La
tensione tra loro
era palpabile.
Proprio
quando stavano
per oltrepassare la barriera della scuola, il professor Codatorta
li fermò.
“Ragazzi,
dove state
andando?”, domandò sorpreso.
Fu Sky
a
prendere parola per primo:“Ecco, stavamo andando a fare un
pic-nic,
una passeggiata...le ho chiesto il permesso l'altro giorno
professore!”, disse deciso il ragazzo.
Ma
l'uomo sembrava non
ricordare.
Stettero
quasi cinque
minuti a discutere su quello che aveva veramente detto lo specialista
e quello che le regole della scuola permettevano, fino a quando una
mano non artigliò Musa per un polso e le
fece fare un lungo
giro nella scuola, fino ad arrivare in una stanza e chiudere la porta
dietro di sé.
“Riven...”,
sospirò la ragazza, riconoscendo il possessore di quella
mano
misteriosa.
Lui
non disse una
parola, ma le veniva incontro in quei pochi metri liberi nella
stanza, fino a quando Musa non si
ritrovò con la schiena al
muro e il viso del ragazzo a pochi centimetri dal suo.
Tuttavia,
non era
spaventata.
Sapeva
che Riven
era molto geloso e possessivo e aveva intenzione di chiarire quanto
lei.
Non
importava a nessuno
dei due se qualcuno li avesse visti, così abbassò
lo sguardo e
cominciò a parlare.
“Io
non so chi ti
abbia chiamato Riven...io non ti avevo nemmeno
parlato di
quella festa...sapevo che avresti voluto che non ci andassi senza di
te, ma l'ha organizzata mio padre e non potevo mancare”.
Stranamente
al suo
carattere, il ragazzo non l'aveva interrotta e Musa
alzò lo
sguardo stupita.
Il
suo viso era
arrossato e si mordeva ininterrottamente il labbro inferiore,
nervoso.
Lo
osservò negli occhi
prima di continuare, percependo chiaramente la sua crescente voglia
di sapere.
“Mi
ha ingannato: a
quella festa c'erano soltanto ragazzi della nostra età.
Voleva che
mi trovassi qualcun altro, capisci? Poi abbiamo discusso e io avevo
intenzione di andarmene quando quei ragazzi con cui avevo parlato
solo per poco cominciarono a uscire, uno dopo l'altro.
Ma
io ti giuro che non
li conosco, e che non me ne importa niente di loro!”
Seguì
qualche minuto
di silenzio, quando Riven le dette le spalle
pensieroso.
Lo
vide alzare un
braccio e capì che si stava sfregando il viso: era confuso
quanto
lei dal comportamento del padre della sera precedente.
Poi
si rivolse di nuovo
verso Musa e finalmente parlò.
“Era
un numero
sconosciuto”, disse soltanto.
Così
la ragazza
collegò gli avvenimenti accaduti: il padre aveva avuto
numerose
occasioni per copiare il numero del ragazzo dal suo cellulare, e
quella sera, mentre lei era fuori sulla balconata, lui era andato in
un'altra stanza a chiamare Riven.
Altrimenti
la sua
apparizione improvvisa non si sarebbe assolutamente spiegata.
Stava
quasi per dirlo
al ragazzo, quando un pugno pieno di rabbia colpì il muro a
pochi
centimetri da lei.
Musa
chiuse gli
occhi, cercando di rilassarsi e soprattutto di rilassare l'autore del
pugno.
Si
aspettava una
reazione del genere dall'inizio della conversazione.
Ormai
lo conosceva
troppo bene.
“Tuo
padre non mi
accetta”, sussurrò Riven a
pochi centimetri dal suo
orecchio.
“Come
credi che
potremmo stare insieme in questo modo? Continuando a mentirci
reciprocamente?”, aggiunse il ragazzo.
Musa
spalancò
improvvisamente gli occhi. Lei non voleva assolutamente lasciarlo!
E se
suo padre non lo
accettava, lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per convincerlo, ma
lasciare Riven non era una soluzione. In fondo
spettava a lei
decidere quale ragazzo amare.
Ma
solo in quel momento
si rese conto che in realtà non era lei a lasciarlo, ma
esattamente
il contrario.
E
mentre questi
pensieri confusi si affollavano nella sua mente, il ragazzo le
baciò
leggermente il lobo dell'orecchio, sussurrando
soltanto:”Forse è
meglio se ci lasciamo”.
Poi
scomparve,
lasciando la fata triste e in lacrime nella sua stanza.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Quando
Riven se
ne fu andato, Musa si sedette sul letto e
restò qualche
minuto come in catalessi: sentiva scendere le lacrime sul viso, ma
non faceva nulla per asciugarle e attenuare un minimo quel terribile
dolore al petto.
Non
capiva bene nemmeno
lei ciò che sentiva: un senso di vuoto e tristezza, eppure
nessun
dolore così forte come le altre volte.
Delusione,
forse. Da
parte del padre, soprattutto.
Poi,
la sua mano si
mosse da sola: asciugò le lacrime e si guardò
intorno.
Non
era mai stata nella
stanza di Riven prima di allora.
Così
la curiosità di
sapere in quale ambiente vivesse il suo ragazzo prese il sopravvento
e si alzò per osservare tutto più da vicino.
Poi
si ricordò
improvvisamente la discussione avvenuta qualche minuto prima, e
modificò la parola “ragazzo” con
“ex-ragazzo”.
Ma
non aveva tempo di
pensare a quello: mossa da una forza superiore alla sua
volontà,
cominciò ad aprire tutti i cassetti della piccola scrivania
della
stanza, cercando qualcosa di non chiaro nemmeno a lei.
Improvvisamente,
spostò
lo sguardo su una foto di Flora ed Helia
appesa al
muro: la cornice era finemente decorata e sulla parte superiore c'era
incisa una data.
Probabilmente
era la
data del loro fidanzamento.
Intuì
quale doveva
essere il letto di Riven da una loro foto in primo
piano sul
comodino scattata qualche mese prima: si ricordava bene quella
serata.
Erano
successe molte
cose, forse le più emozionanti in tutta la sua vita.
Per
la prima volta,
aveva provato un insieme di sensazioni sconosciute, e l'autore di
tutto ciò, era naturalmente lui, il suo ex-ragazzo.
Non
le piaceva
chiamarlo così, ma era la verità.
Cercò
di scacciare
questi pensieri, quando la forza magica che nutriva la sua
curiosità
la spinse ad aprire il cassetto del comodino di Riven.
Dentro
ci trovò
fazzoletti, una penna e vari foglietti strappati.
Sembravano
frasi prese
da testi poetici, o citazioni.
Non
sapeva
assolutamente che Riven collezionasse tutto questo.
Ne
prese uno a caso, e
riconobbe la scrittura del ragazzo:
Il
sole notturno
sussurra
lo
spirito delle
parole
Musa
rifletté
sul significato di quelle parole.
Ma
era lungo e
complesso identificarlo, così continuò a cercare,
fino a quando non
trovò un piccolo diario.
Rimase
stupita da
quella scoperta.
Riven
che
scriveva un diario? Proprio lui? Ma com'era possibile?
Ma
proprio mentre stava
per aprirlo, il suo cellulare si mise a squillare.
Rispose
senza guardare
il display, e riconobbe subito la voce preoccupata di Bloom.
“Musa,
dove
sei finita? Ti abbiamo cercato dappertutto, possiamo andare adesso,
abbiamo ottenuto il permesso da Codatorta”,
disse la fata
tutto d'un fiato.
Musa
riuscì a
biascicare un “arrivo” e si affrettò a
chiudere la telefonata.
Si
mise a studiare
ancora attentamente il diario, ma non aveva tempo di aprirlo,
così
se lo mise in tasca.
Per
fortuna aveva
sempre portato pantaloni abbastanza larghi e il diario non era
grande.
Poi
infilò il
biglietto dentro l'altra tasca, chiuse il cassetto e uscì
dalla
stanza.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Quando
Musa
arrivò nell'atrio della scuola, tutti gli sguardi erano
puntati su
di lei.
Non
si era mai sentita
più in imbarazzo con le sue amiche.
Non
si immaginava tutto
questo stupore e preoccupazione.
“Ma
dove eri finita?
Eravamo così preoccupate!”, disse Stella
mettendosi le mani
sui fianchi.
“Sei
sparita e ad un
certo punto ci siamo accorti che non c'eri più”,
continuò Tecna.
Poi
si avvicino a lei e
sussurrò:”Dì un po', dov'eri
finita?”.
Così
vicina e con
quell'espressione sul viso, sembrava quasi minacciosa.
Guardò
Riven
per qualche secondo, poi si
giustificò:”Ero...ehm...in bagno!”,
disse con l'aria più convinta che poté.
Poi
cominciarono ad
incamminarsi e Musa sperò con tutto il
suo cuore che il
discorso fosse finito lì.
Fu
attenta a tenersi a
debita distanza dal suo ex-ragazzo per tutta la
durata della
passeggiata, quando, dopo circa un quarto d'ora, Aisha
si
avvicinò a lei: la osservò per qualche minuto, ma
vedendo che la
fata non si curava della sua presenza, cominciò a parlare.
“Musa...”,
sussurrò, mettendole una mano su una spalla.
“Avete
chiarito?”,
aggiunse.
La
ragazza rimase in
silenzio, guardando a terra con aria indifferente.
“Ok,
non avete
chiarito”, terminò Aisha convinta.
“Mi
ha lasciato”,
mormorò Musa con un fil di voce.
Con
la coda degli
occhi, la fata vide la ragazza fermarsi per qualche minuto, per poi
riprendere velocità e raggiungerla nuovamente.
“Ti
ha lasciato?”,
disse Aisha sottovoce.
“Ti
ha lasciato?”,
ripeté incredula.
Poi,
vedendo che Musa
continuava a camminare incurante di lei, si zittì e
camminò al suo
fianco in silenzio.
Dopo
circa un'ora di
cammino, si fermarono in un vasto prato verde illuminato dalla luce
del sole.
Tutti
si sedettero uno
accanto all'altro, quasi in cerchio, tranne Musa e Riven,
che andarono agli estremi.
Musa
vide il
ragazzo stendersi sull'erba fresca, poi si sedette a sua volta
all'ombra di un albero e osservò gli altri.
I
loro occhi
traboccavano d'amore.
Le
faceva piacere
vedere tutti così felici. Ma, a causa di questo, non poteva
fare
altro che sentirsi ancora più vuota per ciò che
era accaduto.
Poi
osservò Aisha,
e capì come poteva sentirsi.
Ogni
tanto i loro
sguardi si incrociavano complici, ma non accadde nient'altro.
Poi
la ragazza si
ricordò improvvisamente del diario, e toccò la
tasca per sentire se
ci fosse ancora.
Per
fortuna non l'aveva
perso, ma avrebbe atteso la sera per leggerlo.
Non
era il caso di
aprirlo davanti a tutti, e soprattutto non davanti a lui.
Appoggiò
la testa alla
corteccia dell'albero e chiuse gli occhi.
Sentiva
quella
sensazione di vuoto allo stomaco diradarsi sempre di più.
Ora
quel che provava
non era più tristezza. Ma non era nemmeno sollievo.
Semplicemente,
non
sentiva nulla.
Era
vuota. La sua mente
era vuota, la sua testa era vuota.
Si
era svuotata nel
giro di qualche giorno, per spegnersi completamente in quella stanza.
Prese
in mano il
piccolo biglietto e rilesse attentamente le sue parole.
Ma
invece di cercare di
comprenderne il significato, esaminò attentamente la grafia
di
Riven.
Era
tremolante in
alcuni tratti, e sicuramente non molto elegante.
Ma
aveva qualcosa che
l'affascinava moltissimo.
Forse
era soltanto il
fatto che appartenesse a lui. Non lo sapeva.
L'arrivo
di un
messaggio la risvegliò dai suoi pensieri.
Mise
via in fretta il
piccolo biglietto, prese il cellulare e lo lesse avidamente.
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Perché
prima non
arrivavi? Dov'eri finita?
Lo
osservò per qualche
secondo: vide che si era spostato, ed ora era seduto sotto l'ombra di
un albero, proprio come lei. Poi scelse l'opzione
“rispondi” e
cominciò a scrivere.
From:
Musa
To:Riven
[No
subject]
Ero
in bagno, l'ho
già detto.
E
poi non mi pare
che siano più affari tuoi.
Premette
“invia” e
il suo sguardo cadde dritto su di lui, ancora.
Notò
che stavolta la
stava guardando.
Poi
l'arrivo di un
messaggio la obbligò a distogliere lo sguardo.
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Anche
se non sei più
la mia fidanzata non significa che io non debba sapere dove fossi.
E
poi non
raccontarmi balle, lo so che non eri in bagno.
Lo
osservò di nuovo
con aria di sfida e ricominciò a scrivere.
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
Se
lo sai allora
perché me lo chiedi?
Premette
“invia” e
lo osservò con espressione soddisfatta: stava diventando una
vera e
propria competizione.
Poi
distolse lo sguardo
quando la risposta arrivò.
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Perché
eri nella
mia stanza. Cosa hai fatto nella mia
stanza?
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
Chi
ti ha detto che
sono rimasta lì? E poi non è solo la tua stanza!
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Musa,
non fare
l'ingenua, non sei mai stata nella mia stanza e non dirmi che la
tentazione di curiosare non ti è venuta!
Lo
osservò nuovamente con irritazione. Adesso si stava
veramente
arrabbiando.
Non
erano affari suoi! Non più!
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
Tu
se fossi nella
mia stanza non guarderesti in giro?
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Io
non ho avuto
neanche il tempo di guardare la tua stanza la prima ed unica volta
che ci sono entrato.
E
poi non è solo la
tua stanza!
Musa
lo osservò
ancora, con uno sguardo di fuoco.
Poi
si apprestò a
rispondere.
From:
Musa
A:
Riven
[No
subject]
Ti
ho fatto una
domanda, nel caso non te ne fossi accorto. E tu non mi hai risposto.
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Ti
ho risposto, nel
caso non te ne fossi accorta, ragazzina.
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
Perché
stiamo
messaggiando se mi hai lasciato, ragazzino?
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Perché
voglio
sapere dov'eri quando ti stavamo cercando.
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
Stavamo?
Tu eri con
me!
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Io
me ne sono andato
prima di te, te ne sei già dimenticata?
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
No,
mi ricordo! Mi
ricordo tutto perfettamente! E mi ricordo anche come ho guardato bene
la nostra foto sul tuo comodino!
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
La
nostra foto?
Allora avevo ragione, sei rimasta lì! Sono venuto bene,
vero? ;)
Il
suo sarcasmo non
lo abbandona mai, pensò Musa.
Avrebbe
voluto
rispondergli che non era il caso di fare il simpatico, non adesso.
Pure
la faccina!,
pensò irritata.
Avrebbe
veramente
voluto scrivergli che doveva smetterla, che lo odiava, per tutto
quanto.
Anche
per il fatto che
le stava mandato dei messaggi idioti.
Ma
ciò che venne fuori
dal suo cuore, fu tutt'altro.
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
Tu
sei
bellissimo...è per questo che ho fatto l'amore con te.
Perché
ti amo e tu
non lo capisci.
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Certo
che lo capisco
invece...ma forse siamo troppo diversi.
Una
storia non può
durare a lungo in questo modo...per questo ti ho lasciata.
From:
Musa
To:
Riven
[No
subject]
In
questo modo?
Quale modo? Io non ti ho mentito, Riven!
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Forse
non questa
volta.
Ma
le persone non si
amano a metà, Musa.
Musa
rilesse più
volte quella frase, inizialmente per capire cosa c'entrasse con il
discorso, poi per capire se l'avesse veramente scritta lui.
Lo
guardò, stanca ed
esasperata, poi si alzò e si allontanò sotto lo
sguardo attonito di
tutti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
16
dicembre – sei
mesi prima
Quando
Riven la vide
rimase a bocca aperta.
In
effetti, era raro
vederla vestita così elegantemente.
Lei
era un
maschiaccio, e soprattutto una ragazza molto semplice, indossava
spesso pantaloni larghi e maglie scure, non fu facile per lui
abituarsi a quella vista.
Quando
camminava o
si allontanava dalle ragazze per prendersi un drink, Musa sentiva
troppi sguardi su di sé: capiva che il suo vestito attirava
evidentemente l'attenzione di molti.
Sentiva
gli sguardi
pungenti delle ragazze e i gridolini di stupore delle invidiose,
insieme agli sguardi ammirati e spesso irritanti dei ragazzi.
Ciò
che aveva
sempre odiato di più degli uomini era il fatto che la
squadrassero
da testa a piedi, nemmeno fossero dei radiologi.
Ma
quella sera Musa
decise di sopportare, in fondo non sarebbe accaduto molto presto un
altro party elegante come quello.
A
volte osservava
Riven e sorrideva: il suo viso era un misto di gelosia e ammirazione,
un insieme di emozioni che probabilmente non sapeva nemmeno lui come
gestire.
La
serata trascorse
tranquillamente tra chiacchiere e risate per circa un'ora, quando la
fata andò a prendere da bere per l'ennesima volta.
Sentiva
la testa
pesante, ma sapeva di poter reggere ancora per un po'.
In
fondo, sul suo
pianeta era quella la tradizione.
Ubriacarsi
tanto per
poi vomitare altrettanto era segno di sacrificio.
Sai
di non reggere
l'alcol, ma bevi ugualmente per fare compagnia ai tuoi amici.*
Lei
aveva condiviso
sempre passivamente quest'idea, ma in fondo un'altra serata
così
quando le capitava più?
Pensò
che non
sarebbe stato un male esagerare una volta nella vita.
Così
bevve di nuovo
tutto d'un fiato, quando vide Riven avvicinarsi a lei.
“Ehi,
basta!”,
le sussurrò divertito.
Musa
non capì, lui
aveva bevuto quanto lei se non di più, e adesso le diceva di
smettere?
Lo
guardò
contrariata, riempiendosi di nuovo il bicchiere.
“Quel
ragazzo mi
sta irritando moltissimo”, sussurrò
improvvisamente Riven.
“Quale
ragazzo?”,
chiese la fata di rimando.
“Quello
che sta
fissando le tue gambe da mezz'ora”
Musa
guardò nella
direzione in cui guardava il ragazzo, e notò effettivamente
uno
specialista che la osservava affascinato.
Lei
gli sorrise
apertamente e lui si girò imbarazzato.
“Ci
sono un sacco
di ragazze qui che si vestono sempre come delle prostitute e questo
deve guardare proprio te?”, disse Riven con tono aspro.
Musa
scorse una
punta di invidia nella sua voce, ma dopo averci riflettuto qualche
minuto, decise di ignorarlo e continuare a godersi la serata.
“Sei
geloso, per
caso, Riven?”, gli chiese quando notò che il
ragazzo aveva
ricominciato ad osservarla maliziosamente.
“Posso
togliergli
ogni speranza, se lo desideri”, gli disse con un sorriso
sulle
labbra.
Lui
si girò
confuso: “E come?”
“Così”
E
dopo aver detto
questo, si lasciò andare ad un lungo bacio appassionato.
Strinse
i suoi
capelli, accarezzò il suo viso, mentre le loro lingue
ballavano una
nuova danza.
A
pensarci bene, non
si erano mai baciati così.
E
soprattutto non in
pubblico, perché lei non aveva mai voluto.
Quando
si
staccarono, Riven pensò che la fata avesse evidentemente
bevuto
troppo.
Musa
si girò e
osservò il ragazzo, che li guardava allibito.
“Pensavi
che fossi
single, eh?”, gli disse ridendo.
Riven
la prese per
un braccio, tirandola indietro.
Se
prima pensava che
Musa avesse bevuto troppo, in quel momento ne aveva avuto la
conferma.
“Musa,
sei
ubriaca, non ascoltare quello che ti viene in mente”
Ma
lei, in tutta
risposta, cominciò a ridere e a baciarlo alternativamente,
così lui
la prese tra le braccia e la portò, con il permesso della
preside,
nella sua camera.
Lei
continuava a
ridere come un'ubriaca persa, e quando Riven la stese sul letto,
cominciò a guardarla mentre rideva senza fermarsi.
Pensò
alla ragazza
tanto seria e determinata che era, assolutamente diversa da quella
che aveva davanti in quel momento.
Pensò
che raramente
l'avrebbe rivista in quello stato.
Osservò
ammirato i
suoi occhi neri lucenti, attorniati da un ombretto rosa pallido che
le donava meravigliosamente.
Sembrava
veramente
una fata bellissima, come quelle delle favole.
Il
suo vestito color
pesca risaliva sempre più, lasciando spazio alla fantasia
dei
ragazzi che la guardavano.
La
osservava
contorcersi dalle risate su quel letto, sembrava proprio una pazza,
non era da lei.
Trasportato
da
quelle risate, cominciò a sorridere anche lui, osservando
sempre più
avidamente la sua bellezza.
Poi,
improvvisamente, lei gli prese una mano, portandosela al collo, sulle
braccia, sui seni, facendogli toccare lentamente tutto ciò
che le
apparteneva e che non gli aveva mai permesso di toccare in questo
modo.
Sorridente,
Musa
prese l'altra mano e se la mise su una gamba, sulla coscia,
facendogli esplorare l'interno del vestito sempre più.
Lei,
eccitata da
questo gioco erotico quanto lui, cominciò di nuovo a
baciarlo
avidamente, mordendogli le labbra, succhiandole e leccandole come se
fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto nella vita.
Così
quel gioco
erotico li travolse improvvisamente, li fece stendere su quel letto e
li portò ad amarsi
per la prima volta come mai era successo prima.
*
In Giappone è tradizione: chi non regge l'alcol beve
comunque e di
conseguenza vomita.
Ma
vomitare è segno di bontà e sacrificio,
perché significa che ci si
è sacrificati per i propri amici pur sapendo di non reggere
l'alcol.
Scusate
se paragono la cultura giapponese a quella della fata, ma Musa
ha tratti orientali, così mi sembra interessante modificare
i fatti
in questo modo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Da
quando se ne andò da quella radura, Musa
era talmente
immersa nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno di aver
camminato tanto.
Continuava
a ripensare
al comportamento di Riven, a ciò che le
aveva scritto.
Non
si era mai sentita
così ferita da lui.
“Le
persone non si
amano a metà, Musa”
Ma
che significava? Che
cosa voleva intendere con ciò?
Lei
lo amava tanto,
perché non lo capiva?
Cercò
di distrarsi
guardando gli alberi immensi sopra la sua testa, ma quelle parole
maledette le risuonavano nella testa come un'eco.
“Le
persone non si
amano a metà”
Diede
un calcio furioso
ad un sasso che, sfortunatamente, si trovava sul suo cammino.
Perché
mi ha fatto
del male? Perché l'ha fatto?, continuava a pensare.
Poi
nella sua mente
cominciò a risuonare una risposta: una risposta che le
metteva i
brividi, una risposta che non avrebbe mai voluto pensare, ma che
arrivò, puntuale e devastante: forse
perché non mi ama più...
Improvvisamente,
un
rumore sconosciuto la distrasse da quel pensiero che tanto
l'addolorava.
Un
fruscio di foglie ed
un rumore di passi dietro di lei la costrinsero a fermarsi e a
voltarsi lentamente.
Tutto
ciò che vide fu
una donna.
Una
donna di statura
media, i capelli neri e gli occhi a mandorla, proprio come i suoi.
Indossava
un vestito
azzurro e leggero, lungo fino ai piedi.
Era
davvero una donna
bellissima, se non fosse stato per la mascherina igienica che portava
sulla bocca.
All'inizio
fu
spaventoso, poi Musa cercò di calmarsi e
di prenderla con
simpatia: conosceva bene quella donna misteriosa, ne aveva sentito
parlare molto spesso fin da bambina.
Ma
nonostante questo,
non credette mai a quella che fino a quel momento considerava una
stupida leggenda.
La
donna la guardava
con occhi vuoti, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Poi,
con voce sottile e
tremante, sussurrò:”Pensi che io sia
bella?”
Musa
udì appena
le sue parole, poi, cercando di apparire il più rilassata
possibile,
rispose:”Certo”.
A
quel punto la donna
si tolse la mascherina dalla bocca e mormorò
ancora:”Ed ora, sono
ancora bella?”
Pur
aspettandosi quella mossa, Musa non
poté fare a meno
di spalancare la bocca, sorpresa da quella vista: la mascherina aveva
rivelato un enorme squarcio, da un orecchio all'altro, della bocca
della donna.*
Lei
sapeva, lo sapeva
bene, ma non pensava fosse così terribile.
Si
mise una mano sulla
bocca, mentre, spaventata, vide la donna avvicinarsi a lei sempre
più.
“Sei...sei
sempre
bellissima”, sussurrò in preda al panico.
“Tutte
le donne sono
bellissime così come sono”, continuò,
piegandosi a terra dalla
paura.
Poi,
coprendosi il capo
con le mani, gridò:“Ti prego, ti prego, non farmi
del male! Io ti
aiuterò!”
Poi
la donna le alzò
il viso e le mise una mano sulla bocca, stringendola forte, e Musa
fece appena in tempo a tirare un forte urlo che avrebbe svegliato
anche un morto.
Poi,
il buio.
*Si
tratta di una leggenda metropolitana giapponese, che narra appunto di
una donna, un tempo moglie e concubina di un samurai, che in preda
alla gelosia (si diceva che lei lo tradisse), le squarciò la
bocca
da una parte all'altra del viso con la sua spada.
Da
quel giorno, 口裂け-女Kuchisake
– onna (appunto, la donna dalla bocca
squarciata) si
aggira per le strade scegliendo principalmente bambini e ragazzini
come sue vittime, facendo esattamente ciò che è
narrato nel testo.
Secondo
varie versioni
di diverse epoche, se si risponde “sei bella”, ti
ridurrà come
lei, se si risponde “sei così –
così” ti risparmierà, mentre
se risponderai di no ti porterà nella casa in cui lei stessa
è
stata ferita e farà lo stesso con te.
Varie
voci inoltre
ribadiscono la sua esistenza avendola vista aggirarsi per strada per
poi essere investita da un'auto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Quando
Musa aprì
gli occhi, l'unica cosa che vide fu una grande barriera.
All'inizio
non capì,
poi ricordò l'accaduto, e comprese di essere rinchiusa in
una specie
di gabbia, di nascondiglio.
Si
alzò lentamente,
timorosa di poter disturbare quell'orribile donna, poi si mise
entrambe le mani sulla bocca per non urlare dalla paura: attorno a
sé
vide degli scheletri appesi a dei pali, come impiccati, qualche osso
sparso qua e là, poi si voltò verso
le sbarre e cercò di
allontanarsi da quelle il più possibile.
Terrorizzata,
si tolse
le mani dalla bocca, capendo improvvisamente che anche se avesse
voluto urlare, non avrebbe più potuto farlo.
Provò
a parlare, a
dire qualche parola, ma si accorse che dalle sue labbra non usciva
nessun suono.
Non
più.
Poi
si piegò su se
stessa come colpita da un pugno nello stomaco.
Cominciò
ad invocare
mentalmente le sue amiche, Riven, suo padre.
Presa
da un moto di
rabbia provò a colpire con tutte le sue forze quelle
barriere,
sperando di romperle, di spezzarle, almeno di piegarle per poter
uscire.
Ma
presto si accorse
che quella donna, oltre alla sua voce, aveva rubato anche i suoi
poteri.
Così,
in ginocchio
davanti a quella gabbia maledetta, cominciò a piangere
disperatamente, e continuò fino a che gli occhi non le
bruciarono
terribilmente.
~
Quando
le Winx e
gli specialisti sentirono quell'urlo terribile, corsero di fretta
nella direzione in cui si era incamminata Musa.
Non
avevano dubbi:
doveva per forza essere lei.
Quel
parco raramente
l'attraversava qualcuno, e poi quell'acuto così forte lo
possedeva
soltanto lei.
Cominciarono
tutti a
correre a perdifiato, fino a che non arrivarono esattamente al centro
del parco.
Il
tempo di guardarsi
intorno e caddero in una specie di botola nascosta, che evidentemente
portava ad un nascondiglio segreto.
Atterrarono
su della
terra mista a sabbia, che ricopriva il pavimento di una galleria
all'apparenza molto lunga.
“Ma
guarda cosa ci
tocca fare per quella ragazza!”, disse Riven
irritato
pulendosi dalla sabbia.
Tutti
lo guardarono con
aria di rimprovero, poi cominciarono a camminare per la via tracciata
da quel tunnel misterioso.
In
pochi minuti si
trovarono davanti ad un magazzino di scatole di legno enormi: poi
dietro, nascosto dalle scatole, la galleria continuava tra gabbie
molto grandi.
Stranamente,
però,
all'interno non c'era nessuno.
Così
continuarono a
camminare, oltrepassando quelle barriere, fino a che non si trovarono
davanti ad una donna.
Ma
quella donna aveva
qualcosa di strano: la sua bocca era...enorme.
Era
davvero immensa,
innaturale.
Poi,
improvvisamente
capirono:”E' squarciata!”, gridò Stella
spaventata.
Le
Winx si misero una mano sugli occhi,
inorridite da
quella vista.
La
bocca era chiusa, ma
era chiaramente più grande rispetto ad una bocca normale.
Così,
dopo qualche
secondo di interdizione, cominciarono a colpirla con i loro poteri,
con le loro magie invincibili, ma si accorsero ben presto che non le
avevano procurato nemmeno un graffio.
Assorbiva
tutto, senza
colpirle a sua volta, semplicemente rimanendo immobile davanti a
loro.
Poi,
in un attimo, si
impossessò delle spade dei ragazzi e rinchiuse ognuno in un
nascondiglio buio e oscuro che avrebbe fatto paura anche alla morte.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Quando
le Winx
capirono di essere in trappola, riconobbero la loro
compagna
guardarle spaventata, rannicchiata in un angolo buio della grande
gabbia.
Dopo
aver studiato
l'ambiente ed essersi accorta di dover convivere con degli scheletri
di chissà chi, Bloom si
avvicinò a Musa e le si
sedette accanto.
“Musa...ti
andrebbe di raccontarci quello che è successo?”
La
fata la guardò con sguardo vago e perso, poi
nascose il viso
tra le ginocchia.
Bloom
stava per
ripetere la domanda, quando la ragazza si volse verso di lei
facendogli segno di no con la testa.
La
ragazza non capiva,
non capiva perché non parlava, perché non
rispondeva alla sua
domanda.
Poi,
improvvisamente si
illuminò:”Tu...tu non puoi parlare!”,
disse stupita.
“Ma...cosa
ti ha
fatto?”, sussurrò incredula.
Poi
le venne un'idea:
quella donna era immune ai loro poteri, ma non glieli aveva rubati.
Così
fece comparire un
grande foglio bianco con una penna, in modo che la ragazza potesse
comunicare con loro e raccontargli l'accaduto.
Musa
rimase
immobile qualche secondo, poi cominciò a scrivere.
Cosa
vi ha chiesto?,
scrisse con grafia grande e un po' storta.
Bloom
non
capiva: cosa avrebbe dovuto chiedergli?
Non
vi ha fatto
nessuna domanda?, scrisse ancora la ragazza.
Bloom
rispose di
no, poi la vide sfregarsi la fronte confusa.
Io
conosco quella
donna.
Quando
videro quella
frase, tutti rimasero attoniti.
Musa
conosceva
quella donna? E che rapporto aveva con lei? C'era un collegamento con
l'accaduto e la loro conoscenza?
Poi
la videro
aggiungere:”Non in quel modo”.
Ma
nessuno capiva:”In
quale modo?”, sussurrò Aisha.
Lei
viene da una
leggenda, scrisse ancora la fata.
Era
soltanto un
mito, almeno fino a quando non la incontrai, aggiunse.
Le
fate e gli
specialisti erano sempre più confusi.
Quando
vi chiederà
se è bella o no, voi dovete rispondere che è
bella comunque, sempre
e comunque.
Anche
se non lo è
veramente, non fateci caso. Lei è bella, ricordatevelo,
scrisse.
Poi
poggiò il foglio a
terra e si portò di nuovo le gambe al petto.
Appoggiò
la testa al
muro freddo, chiuse gli occhi e improvvisamente si
addormentò.
Quando
si svegliò era
notte fonda.
Uno
spiraglio di luce
notturna filtrava dal corridoio fuori dalla gabbia e illuminava
lievemente gli altri, addormentati come lei fino a poco fa, esausti.
Dopo
aver osservato un
po' ognuno immerso nel sonno, si alzò e si
avvicinò lentamente a
Riven.
Poi
si accovacciò
accanto a lui e lo osservò dormire: sembrava così
indifeso, così
innocente, così...bello. Era immensamente bello.
Osservò
attentamente il suo viso, quelle labbra rosa carnose, sicuramente
soffici e morbide come se le ricordava.
Dopo
averlo osservato
per qualche minuto, appoggiò la testa alla sua spalla,
sperando che
non si svegliasse.
Sentiva
il suo respiro
regolare, il suo cuore, proprio come lo aveva sentito quella
sera.
Lo
sentiva di nuovo
suo, lo sentiva vicino come non mai.
Sentiva
che in quel
modo, gli apparteneva nuovamente.
Ma
sapeva anche che,
purtroppo, appena si sarebbe svegliato la magia di quello splendido
sogno si sarebbe spezzata.
Così
si strinse a lui,
piangendo silenziosamente, ascoltando il suo cuore battere come se
fosse il proprio, fino ad addormentarsi abbracciata a lui come
soltanto quella notte aveva fatto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Quando
Musa si
svegliò era già mattina.
Vide
che erano tutti
già in piedi, ma la cosa che la stupì di
più fu sentire la sua
mano accarezzarle lentamente i capelli.
Poi
ricordò: realizzò
di essere distesa sulle sue gambe e di essere
accarezzata
proprio da lui.
Non
poteva dire che se
lo aspettasse.
Così
come non si era
aspettata quella frase.
“Le
persone non si
amano a metà, Musa”
Il
solo pensiero le
faceva venire i brividi.
Ma
stentava a credere
che quella frase fosse uscita dalla mente dell'uomo che in quel
momento le stava accarezzando la testa dolcemente.
Quando
lui si accorse
che era sveglia, spalancò gli occhi dalla sorpresa, poi
smise.
Musa
si alzò
lentamente, guardando le altre imbarazzata.
Stava
per dire
qualcosa, ma improvvisamente si ricordò che non poteva
parlare.
Ma,
da quando si era
addormentata accanto a Riven, si sentiva diversa.
Si
sentiva più forte.
Come se avesse riacquistato i propri poteri.
Ma
pensò che,
naturalmente, questo non fosse possibile.
Si
alzò lentamente,
come se fosse in un universo parallelo, in un mondo tutto suo, dove
esistevano soltanto lei e l'immensa forza che si sentiva indosso.
Probabilmente
dormire
le aveva fatto molto bene.
Vedeva
gli altri
guardarla come se non fosse lei, con occhi sorpresi e impauriti allo
stesso tempo.
Poi
sentì Bloom
sussurrare:”Musa...hai di nuovo i tuoi
poteri”.
La
sua voce fu soltanto
un mormorio, ma la ragazza aveva compreso perfettamente.
Ed
era vero, perché un
sospiro di stupore la raggiunse, e si accorse di aver recuperato
anche la voce.
Era...felice.
E
sorpresa.
Poteva
di nuovo
cantare, parlare, comunicare.
Sorrise
più che altro
a se stessa, quando si accorse che era davvero la verità.
Poi
si girò e il
sorriso le sparì immediatamente dalle labbra.
Vide
quella donna,
proprio a pochi centimetri da lei, che la guardava con occhi maligni.
Questa
volta non erano
vuoti, ma pieni di ogni cattiveria.
Continuò
ad osservare
quegli occhi che le mettevano tanta paura.
Poi
fece qualche passo
indietro e andò a sbattere contro qualcosa, ma non aveva
importanza.
Continuò
a guardare
quegli occhi: era sicura che questa volta, quella donna voleva fare
qualcosa.
Qualcosa
con loro.
Qualcosa di grande e pericoloso.
Poi
vide la sua bocca
orrenda aprirsi in un sussurro:”E così siete
fidanzati”.
Poteva
giurare che
stesse sorridendo. Ovviamente non era comprensibile, ma Musa
ne era sicura.
Un
sorriso maligno e
crudele era proprio sul viso di quella donna.
Poi Musa
non ci
vide più: sapeva di aver riacquistato i suoi poteri, e nulla
le
faceva più paura.
Era
stufa di tutta
quella faccenda, voleva riprendere la sua vita.
Voleva
che le cose
tornassero come prima con Riven, con suo padre e
poter tornare
alla propria tranquillità.
Così,
tutta la rabbia
e la confusione che provava in quel momento, la urlò in
faccia a
quella donna, senza paura:”Senti, noi non stiamo insieme. Non
più!
Che cosa vuoi da me?”, disse tutto d'un fiato.
Poi,
puntando il dito
verso di lei, continuò.
“Noi
non stiamo
insieme! E' chiaro?”
Poi
indicò tutti gli
altri, raggomitolati in un angolo buio della grande
gabbia:”Li
vedi? Loro stanno insieme! Tutti loro stanno insieme! Perché
ce
l'hai con me?”, gridò.
“Perché
ce l'hai con
me?”, ripeté.
“Che
cosa ti ho
fatto? Che cosa diavolo ti ho fatto??”
“Avevo
la mia vita, i
miei problemi, e tu sei venuta qui a sconvolgerla!
Perché?”, le
gridò ancora a pochi centimetri dal viso.
Era
evidentemente
esasperata da tutto quello, ma nessuno cercò di fermarla.
Vedeva
quella donna
starsene lì, immobile a fissarla con quegli occhi paurosi e
terribili e con quella bocca orrenda squarciata da una parte
all'altra del viso.
Poi,
sempre più
arrabbiata, Musa le tirò uno schiaffo in
pieno viso, o almeno
quella era l'intenzione.
Ma
quel che fece fu
sbatterla a terra e colpirla senza sosta, gridando:”Tu non
sei
bella! Sei orrenda! E lo sai anche tu! L'hai sempre saputo! Sei la
donna più brutta che ogni uomo abbia mai visto!!”
Poi,
improvvisamente,
dopo queste parole taglienti, dall'enorme bocca della donna uscirono
degli spiriti, delle anime, dei fantasmi che si disintegrarono
immediatamente alla luce del giorno.
Poi,
tutto si fermò.
Tutto
diventò
improvvisamente, tristemente immobile e silenzioso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Tutti
restarono per
qualche minuto immersi in quel silenzio spaventoso.
Nessuno
riusciva a
capacitarsi del fatto che quella creatura innaturale era...morta.
Sì,
era morta, era
finita, era stata spazzata via.
E
come?
Musa
continuava
a chiederselo, immobile in piedi davanti a quel corpo ormai spezzato
dalla morte.
Non
capiva. Non capiva
perché, improvvisamente, quella donna era...morta.
E
perché quegli
spiriti sconosciuti uscirono dalla sua bocca, dal suo interno, dalla
sua anima.
Quegli
spiriti avevano
riportato in vita il corpo di quella donna, e poi improvvisamente,
senza un apparente motivo, l'avevano abbandonato.
Ma
proprio mentre Musa
elaborava queste informazioni immobile davanti a quel corpo, si
sentì
un gemito.
Sembravano
singhiozzi
trattenuti di una triste ragazza.
Poi
tutti si alzarono e
si diressero verso le sbarre.
Erano
aperte. Quella
donna, quando era entrata, le aveva spalancate, e nessuno aveva
cercato di scappare.
Forse
perché avevano
troppa paura.
Ma
solo in quel
momento, Musa si rese conto che probabilmente, lei
era molto
più debole di quanto sembrasse.
Sicuramente
il suo
aspetto la rendeva molto più pericolosa di quanto fosse in
realtà.
Poi
uscì insieme alle
altre, abbandonando quel corpo squarciato sul pavimento freddo.
Si
diressero in
silenzio verso quel pianto trattenuto, trovando poco lontano una
ragazza e un ragazzo dentro una gabbia simile alla loro, accovacciati
sul pavimento.
“Galatea!”
esclamò Musa sorpresa.*
Cosa
ci faceva lei lì?
“Musa!”,
la
chiamò lei di rimando, altrettanto sorpresa.
Poi
si trasformarono e
li liberarono.
“Grazie”,
sussurrò
il ragazzo, confuso e riconoscente.
Musa
lo osservò
attentamente.
Era
un bel ragazzo, e
assomigliava leggermente a Galatea.
Aveva
i capelli
castani, al contrario di lei, ma era alto e muscoloso, la pelle
più
scura della ragazza e i tratti somatici molto simili.
Mentre
si incamminarono
verso un luogo non ben definito, la fata si avvicinò a Musa,
sussurrandole qualcosa nell'orecchio.
“Come
sei finita
qui?”
Musa
la guardò
in viso e la trovò molto stanca e un po' sciupata.
Probabilmente
loro
erano stati catturati da quella donna molto prima di lei.
Improvvisamente
si
trovarono in una cucina, e il discorso tra le due fate finì
lì.
Tecna
riuscì a
localizzare il luogo in cui si trovavano, mentre Stella
si
abbuffava di tutto ciò che c'era nel piccolo frigo.
Sembrava
proprio un
luogo abitato fino a quel momento.
Secondo
le indicazioni
degli aggeggi elettronici della fata, che avevano ripreso a
funzionare solo in quel momento, erano proprio sopra il luogo in cui
si erano fermati il giorno prima per fare un pic-nic.
Musa
ci ripensò
attentamente: le venne in mente il discorso nella camera di Riven,
i loro messaggi.
Quel
messaggio.
Poi
prese il cellulare
tra le mani e vide che era spento.
Lei
non l'aveva spento,
e quella donna non gliel'aveva perquisito.
Probabilmente
si era
spento perché da lì sotto, non era possibile
comunicare con nessuno
o forse perché la batteria si era scaricata.
Non
lo sapeva, e non le
interessava.
Lo
rimise in una tasca,
la stessa che conteneva il biglietto strappato scritto da Riven.
Ricordandosi
di quel
piccolo biglietto, tastò l'altra tasca in cerca di quel
misterioso
diario.
Ma
non lo trovò.
Cominciò
a frugare
nell'altra tasca, sudando freddo.
Non
voleva rubarlo, ma
non aveva resistito alla tentazione di sapere ciò che il suo
ex-ragazzo scriveva.
Ma
se non lo ritrovava
al più presto, come avrebbe potuto giustificarsi se lui se
ne fosse
accorto?
Lei
era l'unica ad
essere entrata in quella stanza,e sicuramente Helia
non era un
ladro.
Si
accorse che le altre
la fissavano incuriosite.
“Musa...che
stai facendo?”, sussurrò Aisha.
La
fata si mise le mani
intorno ai fianchi, chiudendo e riaprendo qualche volta gli occhi.
L'aveva
perso.
Sì,
l'aveva perso, e
non era neanche suo.
Per
quanto odiasse
Riven per tutto ciò che le aveva fatto,
non voleva fargli
questo.
Poi
un portale si aprì,
scoprendo il viso di Faragonda e Codatorta
che li
presero per un braccio e li trascinarono dall'altra parte.
*
Per chi non lo sapesse, Galatea
è la principessa di Melody che Musa
salva acquisendo l'Enchantix nel decimo episodio della
terza
serie.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Quando
Musa
stava tornando in camera, sentì una mano appoggiarsi ad una
spalla.
Era
passata quasi una
settimana da quel giorno.
La
preside Faragonda
si era molto arrabbiata, ma per fortuna le aveva perdonate, capendo
che effettivamente non era stata colpa loro.
Poi,
il giorno dopo le
prese da parte e cominciò a raccontare la storia di quella
donna.
Musa
non sapeva
che lei sapesse.
Pensava
fosse solo una
leggenda. Ma non era del tutto corretto.
“Kuchisake
–
onna
è soltanto una leggenda.
O
meglio, è esistita davvero, ma questo non c'entra nulla.
Degli
spiriti maligni, molto probabilmente alleati con le antenate, si
divertono a fare dispetti e a terrorizzare le fate.
Infatti
gli specialisti non c'entrano nulla, in entrambi i casi i ragazzi
sono arrivati dopo.
Loro
ce l'hanno solamente con le fate, con tutte noi.
Non
sappiamo perché, probabilmente rancori del passato.
Ma
comunque dobbiamo stare attente e tenere sempre gli occhi aperti.
Ricordatevi
che una fata è costantemente in pericolo”.
Dopo
quelle parole, Musa
andò a coricarsi nella sua stanza, facendo un sonno turbato
ma senza
sogni.
Poi
Tecna la svegliò,
dicendole che c'era un ragazzo che voleva parlarle.
Il
suo pensiero andò subito a Riven,
così, speranzosa in una riappacificazione, corse nel cortile
di
Alfea.
Ma
non trovò chi sperava: il ragazzo che quel giorno era
insieme a
Galatea era proprio
lì, davanti a lei, ad osservarla con occhi curiosi.
“Ciao”,
disse timidamente.
“Non
ci conosciamo, ma...ecco, io mi chiamo Daisuke”*
Musa
lo guardò chiedendosi cosa volesse da lei quel ragazzo.
“Volevo
solo darti questo”, continuò.
Poi
estrasse dalla tasca un piccolo diario, lo stesso che la ragazza
aveva preso nella camera di Riven.
Lo
guardò con immensa sorpresa e lo ringrazio infinitamente.
L'aveva
ritrovato!
“Ti
è caduto quando ci avete liberato”,
sussurrò ancora l'uomo.
Musa
lo ringrazio nuovamente, lo salutò e se ne andò.
Quell'uomo
poteva averlo letto, ma non sarebbe stato un grande problema: in
fondo non era neanche suo.
Si
mise il diario in tasca assicurandosi che nessuno lo vedesse.
Ma
quando, in camera, si accorse che Tecna
non c'era, si sedette sul letto e lo riprese tra le mani.
La
copertina era semplice: bianca e un po' ingiallita dal tempo, in alto
a sinistra c'era un nome scritto elegantemente in corsivo: Lorelei.**
Doveva
essere il nome del proprietario.
Allora
questo diario
non appartiene a Riven!,
pensò
la fata.
Rifletté
qualche secondo come in trance: non ricordava di conoscere nessuno
con quel nome.
Chi
poteva essere?
Allora,
sempre più incuriosita, decise di aprirlo.
La
prima pagina aveva un disegno bellissimo, di una donna con capelli
molto lunghi e le braccia conserte.
Si
vedeva soltanto la parte superiore del corpo, ma si capiva
chiaramente che aveva un vestito molto leggero indosso.
I
suoi occhi erano allungati e leggermente truccati.
Tutto
era chiaramente rifinito, perfetto, nonostante fosse in bianco e
nero.
Poi
girò la pagina, e, leggendo le prime righe, capì
che non era un
diario come tutti gli altri.
Era
il diario di una madre.
Era
il diario di una donna che scriveva i propri sentimenti e le proprie
emozioni dal momento in cui si accorse di essere incinta al momento
del parto.
Così
Musa
cominciò a
leggere, scoprendo una realtà che non poteva nemmeno
immaginare.
*
大
輔
Daisuke
è un nome di origine giapponese: 大
Dai
significa "grande"
mentre 輔
Suke
significa "aiuto"
quindi il significato di questo nome è traducibile con
"grande
aiuto".
Avrei
preferito 未
来
Miku,
perché significa “il futuro che deve ancora
venire”, ma è un
nome femminile, quindi non potevo utilizzarlo.
**
Lorelei
è una figura mitologica tedesca, una sorta di sirena, una
fata
acquatica che attirava i pescatori e gli uomini con il suo canto e la
sua bellezza e poi li uccideva.
In
realtà ho scelto questo nome perché lei
è l'anagramma di lie,
che in inglese significa bugia.
Il
significato si chiarirà con lo sviluppo e la scrittura della
storia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
14
aprile 1988
2°
mese
Ore
20:43
Sai
Mark,*
penso spesso a te quando sono sola.
Mi
mancano tanto le
tue carezze, i tuoi baci, il tuo immenso amore.
Sei
stato la mia
salvezza.
Hai
portato la pace
nel mio cuore, la serenità.
Ma
ora che è tutto
finito, sento un'enorme tristezza dentro di me.
Come
un vuoto che
lentamente mi divora, stringendomi sempre di più nella sua
presa,
risucchiandomi nel suo vortice, imprigionandomi.
E
so di non avere
alcuna via d'uscita.
Spesso
mi chiedo
come hai fatto ad amarmi per tutto questo tempo.
Sono
una creatura
così imperfetta, so di avere un carattere terribile...come
hai fatto
a starmi accanto così tanto?
Come
hai fatto a
seguirmi anche dopo che mi sposai con un altro uomo?
Ricordo
quando
scappavo di casa per venire a trovarti, per stare insieme a te.
Ora
che non sei più
qui con me, a volte mi sale una rabbia profonda che desidero soltanto
picchiarti a sangue.
Ma
mi manchi tanto.
Le
persone non si
amano a metà, mi dissi quando te ne andasti.
Io
non ho mai smesso
di amarti.
Ma
ora non mi resta
nulla di te, se non questa piccola creatura.
Tu
non sai nemmeno
della sua esistenza.
Sai,
Peter pensa che
sia suo. Lui non sa di te. Lui non sa niente di me.
Come
posso amare
qualcuno che non conosco?
Come
posso voler
bene ad un intruso che mi ha soltanto strappato da ciò che
amavo di
più al mondo?
Tu
mi hai cancellato
dalla tua memoria.
O
forse quando ti
svegli, un mio pensiero ti raggiunge ancora?
Le
mie lettere non
sono servite a nulla, forse come la mia intera vita.
A
volte mi sento
così inutile, senza di te.
È
molto triste
comprendere che con te non abbia altro da condividere, se non ricordi
e malinconia.
Non
posso
dimenticare il tempo che abbiamo passato insieme, nonostante questa
tristezza mi divori, non posso allontanarmi dai miei ricordi.
Gli
anni passano
soltanto in apparenza. I momenti più semplici restano
radicati in
noi per sempre.
Spesso
mi sento
un'estranea nella mia stessa vita.
Ho
ancora bisogno di
un tua parola, amore mio. Di un tuo sguardo, di un tuo gesto.
Tutti
quelli che se
ne vanno, ti lasciano sempre addosso un po' di sé.
E'
questo il segreto
della memoria?
Spero che
accanto a te ora ci sia una persona che ti ami profondamente, e che
ti dedichi tutto ciò che meriti.
Spero di
rivederti, quando entrambi non ci riconosceremo più, e di
fantasticare su di te e sulle emozioni di un tempo.
O forse
non arriverò mai a questo futuro?
Spero che
tu e la persona dei tuoi sogni viviate insieme cent'anni.
Ma ti
prego, prenditi cura di lei.
*
Ho scelto il
nome Mark
perché in inglese il verbo to mark
significa segnare,
quindi è sottinteso che quest'uomo abbia segnato
profondamente la
vita di questa donna.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Quando
Musa
arrivò alla festa era molto turbata.
Non
riusciva nemmeno ad
ascoltare le sue amiche per più di tre minuti di seguito,
sovrappensiero.
Si
sentiva molto stanca
e confusa, quel che aveva letto l'aveva disturbata molto.
E in
più non perdeva
mai di vista una ragazzina che girava intorno a Riven.
Non
si aspettava che si
fosse dato da fare così presto.
Prese
un bicchiere e si
versò qualcosa di forte.
Poi
ne bevve un po'. Il
sapore era orrendo, ma aveva bisogno di distrarsi.
Osservava
le altre
stare ognuna con i propri ragazzi, persino Flora
stava continuamente appiccicata ad
Helia come un koala ad
un albero. Non aveva mai visto la sua amica abbracciata a lui in
questo modo.
Buttò
uno sguardo veloce alla folla: vide Bloom
e Sky baciarsi
ripetutamente in un angolo, per poi abbracciarsi. Vide Aisha
ridere come una ragazzina mentre parlava con uno specialista.
Alla
festa c'erano
proprio tante persone. Non si aspettava che la fata conoscesse
così
tanta gente.
Mandò
giù un altro
sorso, continuando a guardare quella bambina
parlare con
Riven.
Lui
era sempre stato
una persona piuttosto silenziosa, pensò che fosse strano che
parlasse così tanto con quella ragazza.
“Stai
per fulminarla,
vero?”, sentì dire una voce.
Poi
si girò e vide
Aisha proprio accanto a lei.
“Chi
era quel ragazzo
con cui stavi parlando prima?”, le chiese istintivamente Musa.
“Ah,
nessuno, un
vecchio conoscente di Andros”, disse la fata ridendo.
Poi Musa
si girò
verso Riven e vide i loro volti decisamente troppo
vicini.
Così,
prima che Aisha
potesse fermarla e prima che lei stessa potesse accorgersi di
ciò
che stava facendo, andò incontro al ragazzo e gli
sbatté un pugno
sul petto, allontanandoli.
“E
dopo tutto quello
che fai, io non posso passare una serata con dei ragazzi?”,
disse
col tono più aspro che poté.
“Noi
non stiamo più
insieme, Musa. Non mi parlare
più”
Ma
proprio mentre
faceva per andarsene, Musa prese
la ragazza per una spalla, tirandole uno schiaffo in pieno
viso.
“Cosa
pensi di fare
con lui, eh? Non lo sai che ha una ragazza che lo ama? Non lo sai
questo?”, le gridò in faccia.
Continuò
a gridare
anche quando Riven la portò
lontano dalla festa, dentro la scuola, e continuò a
dimenarsi,
quando lui per fermarla l'abbracciò, bloccandola
completamente tra
le sue braccia.
Allora
le grida di Musa
si trasformarono in un pianto, esasperata da quella confusione, da
quella situazione, dal diario, dal suo rapporto con Riven,
dalla fine della scuola.
“Mi
manchi tanto”,
sussurrò tra i singhiozzi, e quando sentì il
ragazzo accarezzarle
dolcemente la testa, si accasciò a terra e pianse ancora
più forte,
e nonostante la tristezza che provava, sperò che quel
momento non
finisse mai.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
10
ottobre 1988
8°
mese
Ore
17:12
Sai,
quando scrivo
penso molto a te.
A
te e a me,
insieme. Penso a tutto ciò che abbiamo passato.
E
nonostante io
cerchi di ricordarmi ogni particolare, ho sempre la sensazione di
dimenticare qualcosa.
La
vita è come un
foglio bianco.
La
mia è un foglio
strappato dalla solitudine.
Qualcosa
di
importante o no, questo non lo so, ma sento un buco dentro la
memoria, qualcosa che è successo, a me, a te o a noi due
insieme, ma
non riesco proprio a ricordarla.
Ci
sono abissi che
l'amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali.
Forse
sono una
persona maledetta. Ripudiata da Dio dalla nascita, priva di fede e
umanità.
Forse
sono nata
soltanto per vivere quel momento, progettato ormai in ogni minimo
dettaglio.
Il
giorno della
nascita e della morte si avvicina sempre più.
La
mia mano si sta
lentamente fermando, non riesco più a scrivere molto.
Per
questo, quando
lo faccio, penso a te.
Ci
imponiamo di non
aspettarci niente, ma nel cuore in realtà la speranza non si
spegne
mai.
Le
mie forze mi
stanno abbandonando.
Sento
il mio corpo
spezzarsi, piegarsi lentamente verso qualcosa di indefinito.
So
che non vivrò
ancora a lungo.
Ma
nessuno saprà
nulla. Non adesso.
Non
saprà mai
nessuno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Quando
Musa si
svegliò capì di essere in infermeria, stesa sul
piccolo lettino.
Fuori
era buio, ma capì
che doveva essere mattino presto.
La
luce era accesa, e
sul comodino accanto al letto vide dei fiori freschi immersi in un
po' d'acqua.
Con
quei fiori rosa
pallido, l'infermeria sembrava davvero una stanza come tutte le
altre, se non fosse stato per quel vuoto così malinconico:
non c'era
un mobile, era tutto completamente vuoto, a eccezione della sedia di
legno nell'angolo vicino alla finestra.
Guardando
quei fiori,
Musa si ricordò improvvisamente della
stanza di Riven.
Si
ricordò del
biglietto, della loro foto, del diario.
E
quando questi
pensieri la raggiunsero, cominciò a tremare.
Aveva
paura, ma voleva
andare in fondo a quel mistero.
Chi
era la donna
misteriosa incinta che scriveva su quel diario?
Era
forse lei Lorelei?
E perché Riven aveva questo diario? Che
legame aveva lui con
questa donna?
Rifugiandosi
sotto le
coperte calde, Musa pensò che doveva
trovare una risposta a
queste domande.
Ma
qualcosa, una paura
sconosciuta e terrificante, glielo stava impedendo.
Era
un'ansia feroce,
che le prendeva lo stomaco e lo stritolava forte.
Era
come un
presentimento che se avesse scovato più a fondo, qualcosa
sarebbe
andato storto.
Ma
cosa? Sapeva che le
fate fossero costantemente in pericolo, ma non poteva rischiare la
propria vita per qualcosa che non le apparteneva nemmeno.
In
fondo non era
neanche più un affar suo. Riven
stesso non era più un affar suo.
Ma
mentre questi
pensieri le affollavano la mente, vide un'ombra alla luce della
porta.
Poi
alzò lo sguardo
timorosa, e vide la figura di Flora sorriderle
tranquillamente, per poi andarsi a sedere accanto a lei.
Appena
la vide, Musa abbassò lo
sguardo dispiaciuta,
mormorando con un fil di voce:”Dì ad Aisha
che mi dispiace
per la sua festa...quando quella ragazza gli si è avvicinata
non ci
ho visto più”.
La
fata sorrise, poi le
accarezzò dolcemente il viso.
“Non
preoccuparti,
Musa. Capisco cosa significa perdere qualcuno che si
ama. E'
stata comunque una bella festa”.
Musa
chiuse gli
occhi, stanca di tutta quella faccenda. Non voleva rovinare la festa
di compleanno della sua amica, ma non l'aveva fatto apposta.
Si
sentiva come se
fosse stata manipolata dalla stessa forza che quella mattina la
spinse ad aprire il cassetto del comodino di Riven.
Poi
riaprì gli occhi e
osservò Flora.
Indossava
ancora
l'abito da sera, probabilmente Musa doveva essersi
persa buona
parte della festa.
“Non
vedo l'ora di
andarmene da qui”, disse con una sincerità
sconcertante anche per
se stessa.
“Vorrei
potermi
allontanare al più presto da questo posto in cui ho vissuto
le più
belle e le più brutte esperienze”.
Era
la prima volta che
apriva il suo cuore in questo modo con la ragazza.
“Non
vedo l'ora che
tutto finisca, esattamente come è cominciato”,
sussurrò ancora.
Poi Flora
le
sorrise, e alzandosi, le disse di riposare.
Probabilmente
aveva
inteso le sue parole come un segno di esasperazione momentanea, come
qualcosa dettato dalla rabbia e dal rancore della serata appena
passata.
Vide
l'ombra della fata
scomparire lentamente alla luce della stanza, lasciandola sola.
Poi Musa
chiuse
gli occhi, restando così per molto tempo.
Sentiva
il silenzio
attorno a sé entrarle nelle orecchie e sembrarle
così assordante e
insopportabile.
Poi
un suono la destò
dal suo coma.
“...posso?”,
mormorò una voce.
Lei
la riconobbe
subito, pur non essendole ancora molto familiare.
“Ciao,
Daisuke”,
disse mettendosi a sedere.
“Ciao”,
la salutò
timidamente lui, sedendosi esattamente dove si era seduta prima la
sua amica.
“Volevo
solo sapere
come stavi. Sai, ho assistito a tutta la scena, e allora...”
“Sì,
grazie”,
sussurrò Musa di rimando.
Poi
incrociò le mani,
riflettendo su ciò che poteva dire in quel momento.
“Io
e quel ragazzo
stavamo insieme fino a poco tempo fa. Poi mi ha lasciato”,
mormorò
lentamente.
Il
ragazzo asserì con
la testa.
“Mi
ha vista con
altri. Ma è una storia lunga, forse non ti
interessa”, disse la
fata alzando lo sguardo.
“Ma
no, figurati...mi
interessa conoscerti meglio”, disse sorridendo il ragazzo.
Musa
sorrise,
intuendo cosa effettivamente si celava dietro quelle parole.
“Senti,
io non vorrei
aver frainteso, ma...ecco, io lo amo ancora”,
sussurrò Musa
guardandosi le mani.
Il
ragazzo sorrise:”No,
scusami, forse mi sono spiegato male”, disse
imbarazzato,”non
intendevo dirti questo. E' che mi sembri una persona interessante. Mi
piace il tuo carattere, il tuo modo di fare. Per questo vorrei
conoscerti meglio...un uomo e una donna non possono essere
amici?”.
Musa
sorrise
timidamente, poi distolse lo sguardo.
Restarono
in silenzio
qualche minuto, quando lei lo ruppe.
Quella
sera, o forse
era meglio dire ormai quella mattina, Musa voleva
essere più
sincera che mai.
Avrebbe
voluto urlare
al mondo la sua tristezza, per poi magari risvegliarsi di nuovo tra
le braccia di Riven.
Le
persone non si
amano a metà, Musa.
Perché
non capisci che
ti amo, Riven? Perché non lo capisci?
Poi
aprì la bocca,
insieme al suo cuore lacerato.
“A
volte, guardando
il cielo infinito, provo un enorme senso di tristezza.
Il
mio passato pesa
sulle mie spalle più di quanto pensassi. Ogni volta che
ripenso a
lui, mi sento così debole e fragile. Un senso di vuoto e
malinconia
mi avvolge, e non riesco più a liberarmene.
Mi
sento così stupida.
Adesso che è tutto finito, non c'è più
nessuno su cui io possa
contare.
Sono
sola come una
foglia nel vento d'estate”.
Un
silenzio irreale li
avvolse.
Nell'aria
si sentivano
soltanto i respiri profondi e la tensione scaturita dalla
sincerità
della fata.
Musa
non
riusciva quasi a credere di aver detto esattamente ciò che
pensava.
Per
la prima volta,
aveva espresso i suoi pensieri in un modo così chiaro da
stupire
anche se stessa.
Non
passò molto tempo
perché si vergognasse delle sue parole.
Ma
il ragazzo la
rassicurò:“Chi vola alto è sempre
solo”.
Poi
le poggiò una mano
su una spalla. Rimasero così per molto tempo, ognuno
ipnotizzato
nello sguardo dell'altro, cercando una risposta nei loro occhi
sinceri.
Ma
la mattina passò,
insieme al pomeriggio e alla sera, ed entrambi non trovarono nessuna
risposta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
30
maggio – 17
giorni prima
Quando
Musa arrivò
al ristorante trovò Riven già seduto al loro
tavolo, bevendo un
aperitivo.
Indossava
una maglia
leggera blu e dei pantaloni neri molto eleganti.
Non
si aspettava di
trovarlo così.
Per
una volta, aveva
deciso di festeggiare il proprio compleanno su Melody senza le sue
amiche, soltanto con lui e con suo padre.
Quando
si sedette,
Riven cominciò a parlare: gli raccontò di lui,
del padre
alcolizzato, del viaggio su Melody, delle proprie passioni.
E
Musa si accorse,
con sua grande sorpresa, di quanto poco lo conoscesse: pensava di
sapere molte cose su di lui, sicuramente molte più degli
altri, ma
in realtà erano molte anche le cose che non conosceva.
Poi,
quasi per caso,
per curiosità, si lasciò sfuggire una
domanda:”Riven, perché mi
stai raccontando tutte queste cose adesso?”
Lui
sbatté qualche
volta le palpebre, per poi rispondere con voce roca:”Voglio
che tu
sappia ogni cosa di me”.
Poi
gli prese la
mano, e carezzandole lentamente le unghie,
sussurrò:”Ti amo”.
I
loro sguardi si
incontrarono, e rimasero così fino a quando il cameriere non
li
interruppe con l'ultima portata.
Era
un dolce tipico
di Melody, fatto con frutta e cioccolato.
Musa
lo adorava, e
lo divorò in un attimo.
“Ci
imponiamo di
non aspettarci niente, ma nel cuore in realtà la speranza
non si
spegne mai”.
Musa
lo sentì
soltanto come un mormorio sussurrato.
Lo
vide giocare con
il dolce, per poi poggiare la forchetta e incrociare le braccia sul
tavolo.
“Riven,
perché mi
stai dicendo tutto questo?”
Musa
proprio non
capiva. Cosa c'entrava questo con lei e con il suo compleanno?
“Stavo
pensando a
mia madre. Io non so nulla di lei”
Riven
abbassò lo
sguardo, poi si alzò e prese la propria giacca.
“Andiamo?”,
sorrise.
Musa
gli sorrise di
rimando, poi si alzò e uscirono dal locale.
Pur
essendo quasi
giugno, il clima era fresco lì la sera.
Camminarono
fianco a
fianco in silenzio per circa mezz'ora, poi si sedettero su una
panchina davanti alla spiaggia.
Dopo
un po', Riven
si alzò, la prese per mano e la portò proprio
davanti al mare.
Poi,
senza dire una
parola, cominciò a spogliarsi.
“Riven,
sei pazzo,
fa un freddo cane!”, disse la fata stupita dal suo
comportamento.
Poi
spogliò
lentamente anche lei, e in pochi minuti entrambi rimasero soltanto
con gli abiti da sera.
Il
ragazzo prese la
fata per mano e, correndo, la buttò nell'acqua.
Musa
assisté a
tutto questo senza dire una parola, né facendo qualcosa per
fermarlo.
Osservò
con sua
grande sorpresa che l'acqua era calda.
Contrariamente
a
quanto aveva pensato, era piacevole stare lì dentro a
quell'ora.
Poi
Riven le
circondò il collo, baciandola appassionatamente.
Rimasero
così per
molto tempo, fino a quando le campane non suonarono la mezzanotte, a
baciarsi sotto la luna piena come se fosse l'ultima volta nella loro
vita.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Quando
Musa
arrivò a Melody, si sentì
immediatamente a casa.
Fece
il giro della
propria città, respirando il suo profumo e osservando la sua
gente.
Sentì
la musica dei
locali risuonarle nelle orecchie, vide le mamme giocare con i bambini
al parco vicino alla sua vecchia scuola.
Poi
decise di passare
la notte in un albergo. Non sapeva quanto ci sarebbe rimasta, ma
sapeva che quel giorno non avrebbe avuto la forza di vedere e
affrontare suo padre.
Voleva
parlare, voleva
chiarire, voleva sapere il motivo di quel gesto estremo che non aveva
dimenticato.
Non
si sentivano da due
settimane, lui aveva provato molte volte a chiamarla, ma lei non ne
voleva sapere.
Era
ancora molto
arrabbiata con lui, perché sapeva che era da lì
che erano partiti
tutti i problemi, uno dopo l'altro, ininterrottamente.
Aveva
bisogno di una
pausa, erano successe troppe cose insieme, si sentiva persa, si
sentiva un'estranea persino nella sua vita.
Come
Lorelei.
Quella
donna la stava
influenzando più di quanto potesse immaginare.
Non
sapeva cosa avrebbe
fatto adesso che la scuola era finita.
Le
sue amiche erano
tornate a casa, dalla loro famiglia, e presto i loro fidanzati le
avrebbero seguite e insieme avrebbero cominciato una nuova vita.
Aisha
sarebbe
diventata presto regina, ed era molto positiva sul proprio futuro.
Soltanto
lei vedeva
davanti a sé un enorme buco nero, in cui si stava
addentrando
volontariamente sempre di più.
Quando
si lasciarono,
si promisero di rivedersi presto e di non dimenticarsi.
Musa
sapeva che
loro ci sarebbero sempre state.
Quello
che la
preoccupava e che le occupava costantemente i pensieri era Riven.
Quando
si erano
salutati, lui le aveva rivolto soltanto una gelida occhiata,
parlandole freddamente.
Le
persone non si
amano a metà, Musa.
E
soltanto in quel momento, in quella stanza d'hotel, coi ricordi tra
le mani, Musa capì
che aveva ragione.
Riven
aveva ragione, le persone non si amano a metà.
La
loro relazione non poteva continuare tra bugie e menzogne.
E
lei lo sapeva bene, ma aveva continuato ad arrampicarsi sugli
specchi, a cercare una soluzione a qualcosa che soluzione non aveva.
Si
sentiva così inutile, così fuori strada.
Poi,
nel buio freddo della stanza, la fata si addormentò, cullata
soltanto dalla paura di non essere più nel posto giusto.
~
Quando
si svegliò era mattino presto.
Fuori
era ancora buio, ma Musa
si alzò e si preparò meccanicamente per
affrontare la giornata.
Era
la prima volta che quella sveglia terribile di Tecna
non la svegliava.
E,
con sua grande sorpresa, sentiva la sua mancanza.
Non
pensava di aver mai provato tanta nostalgia di quella scuola.
Ma
le mancava ogni angolo, le mancava la sua stanza, la sua scrivania,
le chiacchierate con Tecna
e i loro silenzi.
La
verità era che quelle cinque ragazze erano diventate la sua
vita, e
non riusciva più a distaccarsene.
Fin
da quando se n'era andata, pensò che sarebbe stata dura.
Ma
non pensava così tanto.
Ma
quel che le mancava di più era Riven.
Istintivamente,
pensando a lui pensò al diario che aveva preso nella sua
stanza.
Non
aveva avuto il coraggio di ridarglielo, e forse lo avrebbe tenuto per
sempre.
Sarebbe
stato sempre suo, in fondo lui non gliel'aveva neanche chiesto.
O
meglio, sembrava non si fosse nemmeno accorto della sua sparizione.
Così
lo prese dalla valigia, aprendolo con cura.
Ma
il diario si aprì all'ultima pagina, dove Musa
scoprì un altro disegno.
Era
una ragazza coi capelli lunghi, molto magra, che sembrava specchiarsi
nella sua camera.
Vicino
si poteva intravedere una parte del letto, e sullo specchio c'era il
riflesso del viso e dell'intero corpo.
Assomigliava
moltissimo alla donna della prima pagina.
Ma
a differenza di quest'ultima, la ragazza sembrava togliersi una
maglia, rivelando la pancia piatta e le costole appena accennate.
Musa
osservò il disegno con grande ammirazione, esaminando quei
meravigliosi dettagli con attenzione.
Poi
girò la pagina precedente, e si stupì a trovarla
vuota.
In
effetti il diario era scritto solo per metà.
Lo
aveva letto e riletto tante volte, ma non erano molte le pagine
scritte.
Poi
girò ancora la pagina, e ciò che trovò
fu soltanto una piccola
scritta.
15
ottobre 1988
Le
persone non si amano a metà.
Ti
prego, non ti dimenticare mai di me.
Ricordati
sempre che sono esistita.
Poi,
sotto, più in basso, c'era un'altra scritta in corsivo molto
più
piccola, tanto che Musa
fece fatica a leggere.
Puoi
andare ovunque
nel mondo,
ma
senza radici,
affondi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Il
dolore muto
sussurra
al cuore
un
peso che lo rompe.
Quel
giorno Musa
finalmente decise di parlare con il padre.
Era
mattina presto, ma
lei si diresse dritta verso la sua vecchia casa senza fermarsi.
Suonò
il campanello,
ma nessuno rispose.
Aspettò
qualche
minuto, poi suonò di nuovo, più volte.
Poi
decise di entrare
da sola, con le chiavi che le aveva lasciato il padre, aprendo la
porta senza fatica ed entrando nel piccolo ingresso.
Ciò
che la stupì di
più di quella casa fu il perfetto ordine che in quei tre
anni
quell'uomo era riuscito a mantenere, a quanto ne sapeva, da solo.
Intravide
la cucina
pulita e ordinata, la piccola scala senza un granello di polvere.
Poi
salì nella sua
stanza, ritrovandola esattamente come allora.
C'erano
persino le sue
scarpe rosse ancora nuove, nascoste sotto il piccolo letto.
Le
aveva comprate tempo
prima con i soldi che il padre le aveva dato per la spesa: si
arrabbiò molto quando tornò a casa dicendogli che
li aveva persi,
sapendo che non avrebbe mai accettato il suo gesto.
Era
l'unico segreto che
c'era sempre stato tra loro.
Eppure
lui sembrava non
essersene accorto, perché erano ancora lì, nel
posto in cui le
aveva lasciate prima di partire per la scuola di Alfea.
Avrebbe
voluto portarle
con sé, ma suo padre l'aiutò a fare la valigia e
non ebbe occasione
di prenderle.
Col
tempo, durante il
suo soggiorno nella scuola, le aveva dimenticate.
Ma
adesso che le
rivedeva, capì che erano molto importanti per lei.
In
qualche modo le
ricordavano sua madre.
Non
sapeva perché, ma
quelle scarpe avevano qualcosa di suo, qualcosa che le faceva pensare
che lei, in questo modo, le sarebbe stata sempre accanto.
Tornò
in cucina,
osservando la perfezione dei pensili e delle stoviglie ordinate sullo
sgocciolatoio.
Il
suo stomaco vuoto le
ricordò che non aveva fatto colazione quella mattina,
così aprì il
frigo e prese della frutta, mangiandola senza tagliarla, pensando
alla monotonia che, da quando Riven
l'aveva lasciata, stava costellando la sua vita.
~
Quando
suo padre
rientrò a casa la trovò addormentata sul divano,
abbracciata
all'unico grande e morbido cuscino nero. Così prese una
coperta e
gliela mise sopra dolcemente.
Poi
la lasciò sola.
Quando
Musa si
svegliò lui era lì ad osservarla, mangiando una
piccola fetta di
carne seduto al tavolo.
Lei
lo guardò
smarrita, realizzando poi che, in sua attesa, si era addormentata.
Intuì
che doveva
essere sera.
Per
la prima volta dopo
tanto tempo, aveva avuto un sonno piuttosto sereno rispetto alle
altre volte.
Erano
settimane che non
sognava più nulla, e questa volta non era stato diverso, ma
in
qualche modo era stato più sereno.
“Ma
dove sei stato?”,
sussurrò la fata con voce assonnata, mettendosi a sedere.
“Sono
andato a
trovare tua madre”, sussurrò l'uomo.
Musa
abbassò lo
sguardo, lasciando cadere nel vuoto il discorso appena iniziato.
“Mi
dispiace”,
mormorò dopo qualche minuto di silenzio.
Poi
lo guardò negli
occhi, e lo trovò a fissarla.
Stettero
così qualche
secondo, poi il padre parlò.
”So
tutto”
Musa
abbassò di
nuovo lo sguardo.
Si
ritrovò con gli
occhi lucidi nel giro di qualche secondo, senza saperne nemmeno il
motivo.
Non
era triste, non era
malinconia quella che provava.
Ma
gli occhi le si
riempirono di lacrime, e il padre sembrò accorgersene.
“Non
era questo il
mio obiettivo”, aggiunse l'uomo.
Il
suo tono di voce
sembrava dispiaciuto.
Ma Musa
non la
prese come lui credette.
Si
alzò in piedi in un
moto di rabbia, gli occhi furiosi anche se lucidissimi.
“Non
è vero”,
sibilò.
“Era
proprio questo
il tuo obiettivo. Era questo che volevi!”
Il
suo tono cominciò
ad alzarsi.
“Smettila
papà! Non
fare finta di dispiacerti! Non raccontarmi bugie!”,
gridò.
“Tu
non l'hai mai
accettato...sai cosa significa questo per me? Perché non
capisci che
lo amo? Perché non lo capisci?”
Poi Musa
si
accasciò a terra, travolta da un pianto improvviso, fatto di
malinconia, tristezza, nostalgia.
Emozioni
che lei
credeva, nel tempo, di aver eliminato, ma che erano sempre rimaste
nel fondo del suo cuore.
Il
padre le si avvicinò
lentamente, inginocchiandosi come lei sul pavimento.
“Passiamo
tutta la
vita ad illuderci di aver fatto la scelta giusta, quella possibile,
per poi scoprire che non è così quando
è troppo tardi”, sussurrò
la fata tra le lacrime.
“Tu
sapevi che mamma
era malata e l'hai sposata lo stesso”, aggiunse.
“E
adesso guardati!
Sei solo! Non hai nessuno, e stai perdendo anche tua
figlia!”, gli
gridò in faccia.
Uno
schiaffo violento
la colpì in pieno viso, aumentando il suo pianto di
intensità.
“Mi
manca tanto,
papà”, sussurrò.
“Mi
manchi tanto”
“Ti
prego, aiutami a
lasciarlo andare”
Poi
il padre
l'abbracciò, piangendo insieme a lei, per quelle che
sembrarono ore.
E
rimasero così, nella
speranza che il tempo avrebbe guarito le ferite.
Ma i
giorni passarono,
le settimane, ma entrambi si accorsero che il tempo non
guarì
proprio nulla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Quando
Musa si
svegliò quasi si stupì di trovarlo ancora accanto
a lei.
Era
notte fonda, ma
le sembrava di aver dormito un'eternità.
Alzò
piano la testa
dal cuscino, osservando il suo viso addormentato.
Era
ancora più
bello mentre dormiva. Si stava stretti in due in un letto singolo, ma
lui sembrava un angelo perso nel paradiso, al cospetto di Dio.
Gli
mise una mano
sul petto quasi senza accorgersene, poggiandola delicatamente sui
suoi addominali scolpiti dai duri allenamenti di Fonterossa.
Osservando
il suo
viso sereno, Musa non poté fare a meno di pensare che presto
tutto
quello sarebbe finito, lasciando spazio ad un futuro che nessuno
conosceva.
Poi
si addormentò
di nuovo, cullata dal suono del suo respiro.
E
quando si svegliò
per la seconda volta, accanto a lei non c'era più nessuno.
~
Erano
passate quasi tre
settimane dal giorno in cui Musa era tornata a
Melody.
Il
tempo passava, e lei
continuava a vivere in un mondo alternativo, un mondo diverso da
quello comune, nella speranza che qualcosa, nella sua vita, potesse
improvvisamente prendere una piega diversa.
Jason
continuava
a ripeterle che la vita privata non doveva influenzare il lavoro,
altrimenti emergere nel mondo della musica sarebbe stato ancora
più
complicato.
Ma
nonostante si
sforzasse, Musa non riusciva a dargli ascolto.
Anzi,
la sua opinione
era del tutto contraria: prima veniva la sua vita privata, poi il
proprio lavoro.
Eppure
ce la metteva
tutta per impegnarsi, ma i risultati erano sempre gli stessi.
“Tuo
padre ha
ragione”, diceva Jason,
“quell'uomo ha compromesso anche
la tua più grande capacità”.
Quando
tornava a casa,
lei e suo padre quasi non si scambiavano una parola.
Lui
tentava di iniziare
una conversazione, ma lei rispondeva a monosillabi, chiaramente
distratta.
Poi
un giorno il suo
cellulare trillò.
From:
Riven
To:
Musa
[No
subject]
Devo
vederti.
Incontriamoci al bar vicino a casa tua, quello dove siamo andati la
prima volta che sono venuto su Melody.
Ci
vediamo alle
16:30.
Quando
lo lesse, Musa non
riuscì a credere a quel messaggio.
Spalancò
gli occhi e
quasi le mancò il respiro.
Una
piccola speranza si
accese dentro il suo cuore.
Forse
Riven
voleva chiarire, aveva capito di avere sbagliato...e per la prima
volta dopo quasi un mese, le labbra di Musa si
aprirono in un
piccolo sorriso.
Era
sicura che le cose
si sarebbero messe a posto, così tornò a casa e
si preparò.
Quando
vide il diario
sul suo letto, lo prese istintivamente.
Aveva
intenzione di
restituirglielo, in fondo era sempre stato suo.
Quando
Musa
arrivò lo trovò già lì:
indossava abiti semplici e leggeri, e non
era cambiato per nulla.
La
fata pensò che in
fondo erano passate solo tre settimane.
Quando
si sedette di
fronte a lui, gli sorrise leggermente, speranzosa in una
riappacificazione.
Poi
ordinarono un
cocktail fresco e si guardarono intensamente negli occhi.
“Pensavo
avessi
cancellato il mio numero”, disse ad un tratto la fata.
“Volevo
vederti
un'ultima volta”, le rispose il ragazzo.
Il
viso di Musa
si rabbuiò improvvisamente, e il suo cuore perse un battito.
Senza
accorgersene,
aprì leggermente la bocca sorpresa.
Pensava
che volesse
vederla per fare pace.
Invece
era esattamente
il contrario.
Musa
fissò il
suo bicchiere per qualche minuto, per poi sussurrare
irritata:”Mi
vuoi lasciare di nuovo?”
Riven
la guardò
per qualche secondo.
“Io
ti ho già
lasciato”, mormorò.
“Volevo
solo dirti
una cosa”, aggiunse.
Lei
lo guardò con
sguardo vuoto. Ormai si aspettava soltanto un'ultima pugnalata al
cuore.
“Lo
so che hai preso
tu il mio diario”, disse il ragazzo.
“Puoi
tenertelo se
vuoi”
La
fata lo guardò
spalancando gli occhi quasi come aveva fatto quando aveva letto il
suo messaggio.
Allora
se n'era
accorto! Ma perché non le aveva detto niente?
“I-io...ce
l'ho qui”,
mormorò, per poi tirarlo fuori dalla piccola borsa,
poggiandolo sul
tavolino nella sua direzione.
Lui
lo guardò, poi
spostò lo sguardo su di lei.
Lei
lo abbassò, e per
caso cadde esattamente sul piccolo nome stampato sulla copertina.
Poi
lo osservò ancora.
“Chi
è Lorelei?”,
sussurrò.
Si
guardarono negli
occhi qualche minuto, esaminandosi come se non si vedessero da anni.
“E'
mia madre”,
rispose il ragazzo.
“Era
mia madre”, si
corresse.
“Io
non l'ho mai
conosciuta. Mio padre ha perso la testa quando se n'è
andata. Ed è
diventato ciò che è adesso”
Poi
spostò lo sguardo
sul tavolo.
“A
me non serve.
Ormai ho letto e riletto tutto ciò che c'è
scritto. Puoi tenerlo”
Lei
lo guardò
sorpresa.
Poi
si ricordò dei
bellissimi disegni che c'erano alla prima e all'ultima pagina del
diario.
“La
donna nei
disegni...è lei?”, chiese in un sussurro.
Lui
incrociò il suo
sguardo per l'ennesima volta.
Poi
avvicinò il viso
al suo, incrociando le braccia al tavolo.
“Sei
tu”, mormorò.
Lei
si avvicinò
impercettibilmente verso quel viso stupendo, ma la suoneria del suo
cellulare la interruppe.
Lo
prese senza staccare
lo sguardo dagli occhi del ragazzo.
Voleva
dirgli qualcosa,
ma lui la anticipò.
“Vedo
che hai
compagnia. Buona fortuna, ragazzina”
Poi
si alzò,
lasciandola lì, col cellulare in mano a fissare il vuoto.
Lei
lentamente rispose.
“Ciao
Musa,
sono Daisuke, volevo solo sapere come
stavi!”, disse una
voce.
Ma
lei non parlò,
continuando a fissare il vuoto davanti a sé.
Il
vuoto della sua
vita, il vuoto dello spirito delle parole, il vuoto di quello che
sarebbe dovuto essere il proprio futuro.
Senza
di lui.
Continua...
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2431428
|