All In High School

di HarleyQ_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


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Capitolo 1

 
  All In Town sorgeva isolata dalle altre città, in un’ampia valle circondata da alte montagne. Per quanto grande fosse, la gente del luogo si conosceva più o meno tutta e i luoghi di ritrovo erano sempre gli stessi, la tavola calda, la chiesa e poi c’era il posto più odiato e amato della città: il liceo.
  L’All In High School presentava una struttura imponente e all’avanguardia che pochi licei negli Stati Uniti potevano vantare. Aveva laboratori per ogni tipo di esperimento, campo da gioco per ogni tipo di sport e aule attrezzate per ogni tipo di studio. Tutti sognavano di entrare in una scuola come quella, tutti, ma non Cole Thunder.
  Il ragazzo mingherlino portava il proprio zaino in spalla con un andamento un po’ ricurvo, come se così facendo fosse potuto passare inosservato, ed entrò nell’aula magna.
  Ogni anno il primo giorno di scuola il preside faceva il suo bel discorso di fronte a tutto il corpo studenti e docenti, Cole prese un bel respiro e si sedette in fondo alla sala, immobile. Fin da piccolo ogni suo movimento era causa di danni, a casa non si contavano più gli oggetti che aveva rotto per sbaglio, se però fosse stato completamente fermo, avrebbe evitato di fare figuracce.
  “Ehi, moccioso, spostati”. Un ragazzone muscoloso con addosso una maglietta da football diede un calcio alla sua sedia, rischiando di farlo cadere. Aveva i capelli neri, leggermente allungati dietro le orecchie, e il mento pronunciato. Il suo seguito era composto da un nanetto cicciottello col naso a patata e da tre ragazze bionde che non smettevano di fissarlo. Cole inarcò le sopracciglia.
  “Mi hai sentito, scricciolo? Fammi passare”. Ribadì il bullo.
  “C-certo, ecco”. Cole si alzò dalla sedia e lasciò spazio a quel prepotente con i suoi seguaci. Come primo incontro nel suo nuovo liceo non era il massimo, ma almeno non era finito nei guai.
  Due colpetti sopra ad un microfono fecero partire un fischio dalle casse che si propagò per tutta l’aula, provocando i lamenti della maggior parte degli studenti.
  “Ehm, prova, prova”. Disse un uomo sul palco. Era alto e magro, il volto allungato colorato solo da una leggero pizzetto nero. Portava uno strano cappello, forse per nascondere il fatto che fosse calvo, ma non ci riusciva molto bene. “Ragazzi, gradirei un po’ di silenzio”. Continuò l’uomo, con tono un po’ scocciato. “Sono il vicepreside, Jeffry Vizier, e gradirei un po’ di atten…”
  Qualcosa di appiccicoso colpì l’uomo in pieno volto, interrompendolo nel suo discorso. Cole non riuscì bene a vedere chi fosse l’artefice di quel misfatto, ma sentì parecchie risatine provenire dalle prime file.
  “Tu, moccioso…” Esclamò il vicepreside. Evidentemente aveva individuato il colpevole. “Anche quest’anno cominci a dare rogne dal primo giorno, vuoi subito un reclamo disciplinare?”
  Il signor Vizier stava per scendere dal palco, quando un altro uomo gli poggiò una mano sulla spalla e gli prese il microfono dalla mano, Cole si irrigidì all’istante.
  “Jeffry, avanti, ancora l’anno scolastico non è iniziato, dai a questi ragazzi un po’ di tregua”.
  L’uomo che parlava era di una stazza imponente, la sua figura riempiva l’intero palcoscenico, come la sua barba bianca ricopriva tutta la sua mascella. Eppure, nonostante il fisico minaccioso, sfoggiava un sorriso benevolo e simpatico, un sorriso che Cole conosceva bene.
  “Bene, molti di voi già mi conoscono”. Continuò l’uomo, questa volta rivolto alla platea. “Invece, per chi è la prima volta che mette piede in questo liceo, io sono il preside Thunder, e vorrei augurare a tutti un buon inizio anno, specialmente a una persona…” Fece una pausa e allungò il collo verso l’orda di studenti, come stesse cercando qualcuno. Qualcuno che infine trovò. “Ah, eccolo lì. Cole, ti sei messo in fondo, eh?”
  Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, dopodiché provò a farsi piccolo piccolo sulla sedia, nel tentativo di nascondersi, ma era tutto inutile. Aveva sperato, aveva pregato che ciò che stava succedendo non accadesse, ma a quanto pareva chiunque abitasse lassù nei cieli non gli dava mai ascolto e faceva sempre come gli pareva.
  “Quel ragazzo che vedete lì è mio figlio”. Informò il preside. “Da quest’anno sarà un vostro compagno. È un po’ timido, perciò se magari poteste farvi avanti per diventare suoi amici…”
  Cole si sentiva ancora più umiliato. Suo padre lo stava descrivendo come uno sfigato asociale con disperato bisogno di compagnia. Non che non fosse vero, però detto davanti all’intera scuola suonava ancora più deprimente.
  “Ehi, Cole, rendi fiero il tuo vecchio, mi raccomando!” L’uomo gli sfoggiò un bel pollice all’insù, dopodiché cominciò a dedicarsi alle sue mansioni da direttore scolastico e il ragazzo poté tirare un sospiro di sollievo. Fantastico, il suo primo giorno di liceo era rovinato, anzi la sua reputazione – che ancora non aveva – era già stata distrutta in partenza.
  “Ma guarda, così sei il figlio del preside”. Il ragazzone che solo qualche minuto prima gli aveva preso a calci la sedia si rivolse a lui con tono divertito e sguardo beffardo. “Sarà bella la vita per te qua dentro, visto che hai un padre famoso”.
  Cole non era certo se quel ragazzo lo stesse prendendo in giro o parlasse sul serio. Nel dubbio preferì non rispondere e far finta di niente.
  Scelta sbagliata.
  “Ehi, che fai, mi ignori?” Tuonò il bullo, alzandosi in piedi. “Nessuno ignora Gas Stone, capito?” Con uno strattone prese Cole per il colletto della maglietta e lo portò all’altezza della sua faccia.
  “Mi… mi dispiace… io non…”
  Cole era convinto che lo avrebbe picchiato, si portò entrambe le mani davanti al volto, attendendo i colpi e il dolore che ne sarebbe seguito, ma non accadde nulla. Anzi Gas Stone lo mise giù all’istante e si risedette al suo posto.
  Che diavolo era successo? A lui andava benissimo così, ma avrebbe voluto sapere a cosa era dovuto quel cambio repentino di atteggiamento.
  “Scusami, è libero questo posto?”
  Cole si voltò all’istante e vide una ragazza chiedere della sedia accanto a lui.
  “Sì, prego, siediti”.
  La ragazza lo ringraziò sfoggiando un dolce sorriso, aveva i capelli castani, legati in una coda stretta e dei libri in mano. Non erano tomi scolastici, ma romanzi. Evidentemente amava molto leggere.
  “Sono arrivata un po’ in ritardo”. Disse poi lei, rivolgendosi ancora a Cole. “Hanno detto qualcosa di importante?”
  Il ragazzo si strinse nelle spalle e scosse la testa. Almeno una persona in quella scuola che non aveva sentito il discorso imbarazzante di suo padre c’era, forse i suoi anni di liceo non sarebbero stati così disastrosi come credeva.
  “Oh, non mi sono presentata, io sono Belle Stevenson”.
  “Cole”. Tralasciò il cognome, per evitare ogni riferimento a suo padre.
  La ragazza sorrise leggermente e fece un cenno con la testa, dopodiché aprì uno dei libri che teneva in mano e si mise a leggere. Lei e Cole non si scambiarono più una parola per il resto dell’assemblea e, anche una volta che tutti i professori ebbero parlato, Belle continuò a tenere gli occhi ben fissi sulle pagine del suo romanzo, mentre si alzava dalla sedia e si dirigeva fuori dall’aula magna.
  Era una tipa piuttosto strana, pensò Cole, ma almeno aveva saputo distrarlo un po’ da quel clima di tragedia in cui stava versando il suo primo giorno da liceale.
  Il ragazzo si ritrovò schiacciato nella calca di studenti che usciva in corridoio. Ad un certo punto pensava davvero di soffocare, se una mano grossa e muscolosa non lo avesse preso per il colletto e trascinato in un aula.
  “Stammi a sentire, pivello!” Cole sgranò gli occhi. Forse era meglio se fosse rimasto nella folla ad asfissiare, perché lo sguardo di Gas Stone e quella vena che pulsava dal suo collo non promettevano nulla di buono.
  “Non avrai messo gli occhi su quella ragazza, eh?” Continuò l’energumeno. “Belle non si innamorerebbe mai di uno come te, soprattutto se può avere uno come me”.
  Cole alzò un sopracciglio, quel ragazzo non doveva avere tutte le rotelle a posto.
  “Io non… non ho messo gli occhi su nessuno”. Si difese, sfoggiando un sorriso a trentadue denti. “Non sapevo… che quella fosse la tua ragazza”.
  Gas sembrò tranquillizzarsi e mollò la presa dal colletto di Cole, poi incrociò le braccia al petto, mettendo ben in evidenza le sue spalle possenti e i suoi bicipiti allenati.
  “Oh, tra me e Belle ancora non è ufficiale, ma è solo questione di tempo”. Disse sogghignando. Poi il suo volto tornò scuro e puntò il dito indice proprio al centro perfetto del petto del mingherlino, facendolo barcollare.
  “Perciò vedi di girare a largo”. Continuò Stone. “Se non vuoi che ti riduca in poltiglia”.
  Cole annuì meccanicamente e pensò bene di sgattaiolare su per le scale prima che quel bullo cambiasse idea e decidesse di rompergli il naso in quell’istante.
  Come inizio anno era stato un vero disastro, era stato umiliato, deriso e minacciato nel giro di mezz’ora, senza contare poi che suo padre aveva grandi aspettative su di lui, il che lo poneva ancor più sotto pressione.
  Qualcosa gli diceva che gli anni del liceo sarebbero stati i più duri della sua vita.


NOTE D'AUTORE
 

E dopo settimane di convincimento da parte dei miei amici, ecco qui che pubblico il primo capitolo della mia nuova fanfiction. Tutta targata Walt Disney (che emozione!!!xD)
Come penso si sia già capito, sono un'amante a livelli patologici della Disney (sono anche appena tornata da Disneyland Paris, perciò sono proprio carica) e deduco che, avendo scelto di leggere questa Fanfiction, anche voi lo siate!^^
Comunque spero che non troviate questa storia "blasfema", ho cercato di mantenere i caratteri dei personaggi originali e anche qualche nome (alcuni li ho dovuti cambiare per renderli più "umani").
Purtroppo il secondo capitolo riuscirò a pubblicarlo solo a fine Agosto, quando tornerò dagli Stati Uniti (naturalmente andrò anche a DisneyWorld!xD) e ammetto che non sono ancora certa di farlo. Voglio prima vedere come va col primo capitolo, per decidere se continuare la storia o meno!^^
Beh, mi pare di aver detto tutto!
Fatemi sapere le vostre impressioni.

Bye Bye,
*HQ*

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


Beh... ammetto di essermi fatta attendere parecchio e la cosa mi dispiace davvero tanto!
Purtroppo ho passato un periodo un po' brutto e tutt'ora non è che sia del tutto risolto, ma almeno mi è tornata la voglia di scrivere!^^
Buona Lettura!
 
 
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Capitolo 2


Belle varcò la soglia della sua classe e si sedette a quello che già per due anni era stato il suo banco in quella scuola, in prima fila, vicino alla finestra.
  Aprì davanti a sé il romanzo che stava leggendo e si immerse di nuovo in quel mondo fantastico e pieno di avventure in cui tante volte aveva sognato di vivere. Damigelle in pericolo, draghi che sputavano fuoco, principi misteriosi, avrebbe pagato oro pur di avere una vita emozionante come quelle che leggeva nei suoi libri.
  “Ehi, è solo il primo giorno e già ti trovo a studiare?”
  Belle alzò gli occhi al cielo. Purtroppo però la sua vita era quella di una comune liceale, senza nulla di straordinario.
  “Non sto studiando, Jas, è un romanzo”.
  Jasmine la guardò ed inarcò un sopracciglio, come per farle capire che lei non ci trovava alcuna differenza. “Comunque rimani sempre una secchiona”. Commentò, sistemandosi i lunghi capelli neri su una spalla. “Andiamo, sono la tua migliore amica. Io lo dico per te, dovresti uscire un po’, conoscere gente, trovarti un ragazzo”.
  “Non ho bisogno di un ragazzo”. Esclamò Belle, chiudendo il libro facendo però attenzione a non perdere il segno.
  Jasmine sbuffò e si sedette sulla sedia accanto a lei. “Dici così solo perché ancora non hai trovato nessuno che susciti il tuo interesse. Praticamente non esci mai di casa se non per andare il libreria, e pure quando vieni a scuola te ne stai in disparte o in biblioteca. Se continui così finirai col rimanere zitella, sai?”
  “Jas, smettila”. La zittì Belle, ridacchiando. “Ti ho già detto che a me va bene così”.
  “E che mi dici di Stone?”
  “Chi?” Belle aggrottò leggermente le sopracciglia.
  “Gas Stone, il capitano della squadra di football”. Le rammentò Jasmine. “Devi ammettere che non è niente male e sembra avere un debole per te”.
  Belle si strinse nelle spalle. “Io non me ne sono accorta”.
  Jas alzò gli occhi al cielo. “Certo che non te ne accorgi, stai sempre con gli occhi puntati sui tuoi libri”.
  “Beh, comunque è solo un pallone gonfiato. Tutto muscoli e niente cervello”.
  Dei fischi riecheggiarono nella classe ancora rumorosa e priva di insegnante.
  “Ehi Alan, che ci fai qui?” Gridò un compagno.
  Dei ragazzi si alzarono dai loro banchi e si diressero verso la porta dell’aula. Qualcuno doveva aver destato la loro attenzione, e non solo.
  Jasmine si irrigidì tutto d’un tratto e cominciò nervosamente a sistemarsi i capelli.
  “Come sto?” Chiese a Belle, sfoggiando un sorriso smagliante.
  “Benissimo, ma perché…”
  La mora non fece finire l’amica di parlare che si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta della classe. Belle si sporse leggermente sul banco per guardare meglio e, solo dopo aver avuto completa visuale, comprese ciò che stava succedendo.
  Il ragazzo portava sottobraccio uno skateboard ed era vestito piuttosto leggero nonostante fosse autunno inoltrato. I capelli un po’ scompigliati e quel sorriso sghembo gli davano un’aria da delinquente, eppure la maggior parte degli studenti lo adorava. Come d’altronde faceva Jasmine.
  I due stavano chiacchierando allegramente e sembravano anche avere molta confidenza. Belle alzò un sopracciglio, la sua amica avrebbe dovuto raccontarle parecchie cose appena fosse tornata a sedersi.
  Passato qualche minuto entrò il professore di storia, che riprese subito il ragazzo per aver portato a scuola uno skateboard e per non essere nella sua classe, dopodiché invitò Jasmine a sedersi e chiuse la porta.
  “Ma bene, che novità è questa?” Cominciò Belle. “Da quando ti interessa lo skater?”
  Jasmine sorrise imbarazzata e si attorcigliò una ciocca di capelli tra le dita.
  “Diciamo che abbiamo stretto amicizia quest’estate”. Disse rimanendo sul vago. “E’ un ragazzo davvero… gentile”.
  Belle forse non era ferrata per quanto riguardava i rapporti sentimentali con i ragazzi, ma di certo non era stupida. A colpire Jasmine era stato qualcosa di più della semplice gentilezza di Alan e, da quel poco che aveva potuto vedere, anche lui non sembrava disdegnare affatto la sua amica.
  La ragazza scosse la testa ed aprì di nuovo il suo libro. Benché fosse l’ora di storia, essendo il primo giorno, il professore si mise a parlare delle vacanze estive e non si fece lezione. Belle però preferiva addentrarsi di nuovo nei paesaggi fantastici e nelle storie straordinarie dei suoi romanzi, piuttosto che ascoltare i racconti dei suoi compagni.
  Sapeva di non essere molto socievole, ma non le importava. Lei voleva di più di semplici ore passate dietro un banco all’interno di quattro mura. Il mondo era pieno di esperienze nuove tutte da scoprire, bisognava solo mettersi a cercare.
  Istintivamente portò lo sguardo verso la finestra e guardò il cortile della scuola. Gli alberi erano dipinti dai colori dell’autunno e il prato non era altro che un manto di foglie cadute dai rami, era una visuale così rilassante, sapeva di libertà.
  Una volta diplomata se ne sarebbe andata da All In Town e avrebbe girato il mondo. L’unica cosa che la preoccupava era lasciare suo padre, ma era certa che lui non l’avrebbe in alcun modo ostacolata. Era un uomo un po’ strambo, poco considerato in città, ma non gli era mai importato della sua reputazione, l’unica cosa che desiderava davvero era la felicità di sua figlia.
  Belle sospirò ancora intenta a sognare ad occhi aperti, quando un movimento nel cortile la fece tornare alla realtà. Aggrottò leggermente le sopracciglia e aguzzò la vista, ma nulla più si mosse.
  Eppure era certa di non esserselo immaginato, aveva visto qualcuno muoversi tra gli alberi. Guardò ancora fuori dalla finestra per qualche secondo, poi il professore la chiamò e dovette girarsi.
  “Signorina Stevenson, perché non ci racconta come ha passato le sue vacanze?”
  La ragazza guardò l’uomo davanti a sé ed alzò il sopracciglio. Le avevano sempre detto che i professori erano persone strane, ma lui veniva considerato addirittura folle. Erano tre anni che Belle seguiva le sue lezioni e il signor Jester non era cambiato affatto. Avendo studiato recitazione per tanto tempo – infatti teneva anche il corso di teatro a scuola – parlava e si muoveva in modo molto scenografico, senza contare che una volta aveva inscenato un piccolo spettacolino con delle marionette per spiegare la rivoluzione francese.
  “Non ho fatto nulla, professore”. Rispose la ragazza, tagliando corto. “Sono stata tutta l’estate in città”.
  Come ogni anno, avrebbe voluto aggiungere, ma preferì tacere. Lei e suo padre non avevano abbastanza soldi per viaggiare e forse era proprio il fatto di non aver mai visto nulla al di fuori di All In Town che aveva fatto nascere in Belle questo desiderio di evadere.
  Con estrema tranquillità stette per tornare con lo sguardo sul libro, quando l’occhio le cadde fuori dalla finestra e una figura nel cortile attirò la sua attenzione.
  Questa volta non se lo stava immaginando, c’era davvero qualcuno. Stava sdraiato su una panchina, vestito di nero, col cappuccio e con una rivista che gli copriva il volto. Aveva le cuffie alle orecchie, ma forse si era appisolato.
  Belle non poté fare a meno di chiedersi perché quell’individuo fosse lì. Di certo aveva qualche lezione da seguire, altrimenti non sarebbe nemmeno venuto a scuola, eppure se ne stava beato disteso su una panchina del cortile a non fare niente.
  La curiosità della ragazza la spinse subito a voler saperne di più su quel ragazzo, così si voltò verso Jasmine per chiedere informazioni.
  “Come pretendi che ti dica chi è, se non so che faccia abbia?” Le mormorò l’amica stringendosi nelle spalle.
  “Non ti sembra strano?” Le domandò Belle. “Insomma, se non segue le lezioni, che viene a fare a scuola?”
  “Forse gli piace sdraiarsi in cortile?” Azzardò un’ipotesi Jasmine, ma Belle non la prese nemmeno in considerazione e tornò a guardare lo strano sconosciuto fuori dalla finestra.
  Prima o poi si sarebbe dovuto alzare da quella panchina e allora lo avrebbe visto in volto. Forse lo conosceva pure, però ormai si era impuntata e voleva sapere l’identità di quello strano ragazzo.
  Passarono le ore di lezione senza che lo sconosciuto si mosse, solo ogni tanto si girava d’un fianco dando le spalle alle finestre, ma per il resto non aveva mai lasciato quella panchina.
  Belle attendeva con trepidazione la fine dell’ultima ora, per tutta la mattina non aveva fatto altro che chiedersi di lui, e ora la sua curiosità era quasi diventata ossessione.
  Suonò la campanella e corse via in corridoio, senza aspettare nemmeno Jasmine. Scese le scale e uscì fuori dalla porta principale. Le finestre della sua classe davano sul cortile sul retro, così fece il giro dell’edificio e si ritrovò in quel manto di colori autunnali che nelle ore precedenti aveva visto solo dall’alto.
  Prese un bel respiro cercando di calmare il fiatone – non voleva dare al ragazzo l’idea di aver corso solo perché lo voleva incontrare – e si incamminò verso la famosa panchina che aveva ospitato i sonni dello sconosciuto.
  Con sua amara delusione però, non c’era più.
  Belle cercò lì intorno per qualche minuto, ma niente.
  Era sparito.
  “Oh, Belle!”
  La ragazza alzò subito gli occhi al cielo quando sentì quella voce che la chiamava.
  “Stai andando verso il campo di football?” Gas le mise un braccio intorno al collo senza che lei gli avesse dato il permesso. “Dì’ la verità, vieni sempre a vedermi di nascosto, eh?”
  “Stone, scusami, ma ora devo proprio andare”. La ragazza fece per liberarsi, ma lui non la lasciò.
  “In fondo non posso darti torto, sai? Anche io, se fossi in te, verrei a vedermi. D’altronde sono sempre il capitano della squadra”.
  “Certo, Stone”. Lo assecondò lei, provando ancora a sgattaiolare via dalla sua presa. “Sei molto bravo, ora però…”
  “Ehi, perché non fondi un fan club su di me?”
  “Scusami?” Belle inarcò un sopracciglio, non sapeva se essere più sorpresa o indispettita per quella domanda. Un fan club su Gas Stone? Roba da matti.
  “Ah, no, è vero”. Si riprese poi lui, parlando tra sé e sé. “Ne hanno fondato già uno quelle tre cheerleader. Beh, puoi sempre diventarne la presidentessa”.
  “Non vedo il motivo per cui dovrei farlo”. Puntualizzò lei, questa volta riuscendo finalmente a liberarsi.
  “Che domande. Ma perché sei la mia ragazza!”
  Gas Stone partì in una sana risata divertita, mentre Belle rimase quasi impietrita.
  Dopo i primi attimi di smarrimento, però, si sistemò i libri che portava in braccio, si schiarì la voce e sorrise al ragazzo di fronte a lei.
  “Oh, come sono lusingata”. Esclamò portandosi un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. “Ma sei proprio sicuro che io ti vada bene? Non abbiamo mai parlato seriamente, non sai nemmeno se abbiamo qualcosa in comune”.
  “Parlare?” Gas Stone rise ancora. “La mia ragazza non deve parlare, deve solo tifare per me alle partite”.
  Belle fece ruotare gli occhi verso l’alto e sospirò. Non le interessava diventare la ragazza di nessuno, figurarsi quella di un pomposo egocentrico come Stone.
  “Immagina la mia possente figura che corre verso la meta e fa touchdown”. Continuò il ragazzo, guardando verso l’orizzonte. “La folla in visibilio che mi acclama, tu che in prima fila urli il mio nome e quanto sono bello”.
  A Belle stava venendo da vomitare e non vedeva l’ora di sottrarsi a tutte quelle stupidaggini. Con passo felpato infatti si incamminò pian piano verso l’entrata di servizio della scuola, lasciando che Stone si dilettasse da solo con i suoi monologhi.
  Le venne da ridere al solo pensiero di poter diventare la ragazza di quel pallone gonfiato. Nemmeno se le avesse offerto un milione di dollari.
  Scosse la testa e si immise nel corridoio principale. Stava per andare ad aprire il suo armadietto, quando un ragazzo le andò addosso, facendola cadere a terra.
  “Oddio, scusami!” Esclamò lui, poggiando a terra il borsone che portava in spalla e accingendosi ad aiutarla. “Ti ho fatto male?”
  Belle scosse la testa e si alzò. “Lo sai che non si corre in corridoio?”
  Stava per fare una bella ramanzina a quel trasgressore, ma appena vide di chi si trattava inarcò le sopracciglia. “Cole!”
  “Oh, Belle, mi dispiace tanto, davvero”.
  Il ragazzo si era cambiato i vestiti da quando lo aveva visto la prima volta quella mattina in aula magna. Portava una canottiera larga arancione con dei calzoncini che gli arrivavano fino alle ginocchia e una insolita fascetta rossa a tenergli i capelli.
  “Dove te ne vai così di fretta?” Le chiese lei, mentre raccoglieva i libri da terra. Cole si mise subito a darle una mano.
  “Vado agli allenamenti di football”.
  La ragazza rimase alquanto sorpresa. Cole non aveva un fisico, diciamo, portato per gli sport. Era piuttosto esile e, da quel poco che aveva potuto vedere, nemmeno tanto sveglio.
  “Vuoi entrare nella squadra?” Chiese conferma lei, come se ancora non fosse certa di aver sentito bene.
  Cole però annuì senza esitare. “Devo entrare nella squadra”. Rispose con decisione. “Mio padre è stato un campione a livello universitario, voglio che sia fiero di me”.
  La ragazza sorrise, sistemandosi i libri tra le braccia. Si era sbagliata sul suo conto, Cole era mingherlino, ma aveva molta forza di volontà. Con la sua determinazione forse sarebbe riuscito a realizzare il suo sogno.
  “Allora credo che tu debba sbrigarti”. Gli consigliò lei. “Gli allenamenti stanno iniziando in questo momento”.
  Cole controllò l’orologio affisso nell’atrio della scuola e si accorse di quanto fosse tardi. Prese al volo il borsone da palestra e salutò Belle in fretta e furia, prima di rimettersi a correre.
  La ragazza sospirò ed aprì il suo armadietto per riporvi dentro i suoi libri.
  Quel Cole era un tipo singolare, ma era riuscito ad insegnarle qualcosa. Forse anche lei doveva metterci più determinazione in ciò che faceva, altrimenti i suoi sogni non si sarebbero mai avverati. 

 

NOTE D'AUTORE

Allora, come mi è stato fatto notare nello scorso capitolo, in effetti alcuni personaggi a cui ho cambiato il nome non si riescono ad identificare!^^'
Ho deciso allora di fare una lista dei nomi con le varie corrispondenze (naturalmente indicherò solo i nomi che "posso" scrivere)!xD

Cole Thunder: Hercules (Da Er-cole = Cole e Thunder vuol dire Fulmine, per riprendere il potere di Zeus)

Preside Thunder: Zeus

Gas Stone: Gaston (vabbè... questo non era difficile xD

Vicepreside Jeffry Vizier: Jafar (Vizier vuol dire Visir)

In questo capitolo, invece:

Alan: Aladdin

Prof Jester: Clopin (Jester vuol dire Giullare, dal giullare de Il Gobbo di Notre Dame)

 

Beh, spero di non essermi scordata nessuno e che vi sia stata d'aiuto!^^
Fatemi sapere cosa ne pensate!


Un bacio
*HQ*


 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


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All In High School

Capitolo 3

 

Ariel uscì dagli spogliatoi con il costume della scuola addosso e i capelli rossi ben nascosti dalla cuffia in lattice. La piscina si trovava proprio accanto ai campi da pallavolo coperti, mentre le vetrate esterne davano sul campo da football, in poche parole era sotto gli occhi di tutti e la cosa non le piaceva per niente.

Detestava essere guardata, soprattutto quando addosso non aveva altro che una seconda pelle attillata che serviva solo a mettere in risalto la pelle nuda.

I fischi di apprezzamento dei giocatori di football appena entrati in campo infatti non tardarono ad arrivare. Lei non ci fece caso e si tuffò in piscina, lasciando che l’acqua ovattasse tutti i rumori. Purtroppo però non poteva porre silenzio ai suoi pensieri.

Era decisa a farlo, quella sera avrebbe parlato con suo padre e gli avrebbe detto che quest’anno non aveva intenzione di segnarsi di nuovo al club di nuoto. Stava in acqua praticamente da sempre, i suoi genitori erano nuotatori olimpionici e le sue sorelle ormai erano atlete di nuoto sincronizzato. Era quasi scontato che anche lei seguisse le orme della sua famiglia, ma Ariel si era stufata.

Non voleva che qualcun altro le dicesse cosa fare. Voleva provare qualche cosa di nuovo, magari sulla terra ferma. Non era certa che sarebbe stata portata per certi sport, ma preferiva tentare e fallire, piuttosto che non tentare affatto.

Con le gambe si spinse dal bordo e partì con la prima vasca a dorso. Nuotare le piaceva, non poteva negarlo, ma aveva un disperato desiderio di provare qualcos’altro. L’acqua era il suo elemento, ma proprio per questo non le suscitava più alcuna emozione.

“Ah, maledizione!”

Ariel uscì con la testa dall’acqua quando sentì un tonfo nella piscina.

Una ragazza vestita con la divisa sportiva del liceo si trovava a bordo vasca e le faceva segno di guardare verso destra. La rossa obbedì e vide un pallone bianco a mollo a qualche metro da lei.

“Potresti riprenderlo, per favore?” Chiese la ragazza con uno strano accento dell’est.

Ariel colmò la distanza tra lei e la palla con nemmeno tre bracciate e lo lanciò alla sconosciuta, sorridendole.

“Grazie mille”. La ragazza tornò al suo campo e, dai rumori che ne seguirono, si rimise a giocare con le sue compagne.

Ariel, incuriosita da quegli schiamazzi, uscì dalla piscina e si diresse verso il confine con i campi da pallavolo. Si tolse cuffia ed occhialetti per guardare meglio quelle ragazze che saltavano in aria colpendo la palla con una forza impressionante. Sembrava assurdo, ma anche lo stridio della gomma delle scarpe sul pavimento le sembrava musica in confronto a tutti quei rumori ovattati che sentiva in acqua.

Già, la pallavolo era davvero un bello sport, le sarebbe piaciuto provarlo.

“Ehi, rossa!”

Ariel si voltò quando si sentì chiamare col soprannome che una sola persona in tutta la scuola utilizzava.

“Flan, che ci fai ancora qui?” Chiese al suo migliore amico. “Le lezioni sono finite da un pezzo”.

“Sapevo di trovarti qui”. Rispose lui. “Volevo chiederti se ti andava di fare qualche vasca insieme”.

Ariel sorrise ed annuì. Lei e Flan erano vicini di casa e amici fin dall’infanzia, benché lui fosse più piccolo di due anni, la ragazza non si era mai trovata così in sintonia con nessun altro. Praticamente era come un fratello per lei, quel fratellino a cui avrebbe volentieri fatto prendere il posto di una delle sue tre sorelle più grandi.

Partirono con una vasca in stile libero, poi rana e infine delfino, naturalmente Ariel le vinse tutte e tre. Flan allora si fermò e si andò a sedere sul bordo della piscina.

“Dì’ la verità, hai le pinne!” Commentò il ragazzo, sbuffando.

Ariel si mise a ridere. “Non dire sciocchezze e accetta la sconfitta da uomo”.

La ragazza uscì dall’acqua e si strizzò i lunghi capelli rossi, facendoli ricadere su una spalla. Stava ancora ridendo per le lamentele di Flan, quando sentì la porta d’ingresso della piscina sbattere.

Alzò di scatto lo sguardo e in un attimo trattenne il respiro.

“Scusate, sapete dov’è la squadra di pallavolo?”

Aveva gli occhi di un grigio intenso e i capelli corvini leggermente in disordine, tuttavia ciò che colpì di più Ariel fu il sorriso di quel ragazzo, irresistibile con quelle fossette ai lati.

“Guarda, è nella palestra qui accanto”. Disse Flan, indicando una porta che comunicava con i campi di pallavolo. Lo sconosciuto ringraziò con un sorriso e se ne andò, solo allora Ariel riprese regolarmente a respirare.

“Lo… lo conosci?” Chiese lei, ancora un po’ imbambolata.

Flan si strinse nelle spalle. “No, mai visto prima”.

“Credi che sia un nuovo studente?”

“Non lo so, ma perché…” Solo quando il ragazzo guardò in volto l’amica capì che cosa stesse succedendo. “Ariel, non dirmi che ti piace quel tizio?”

“Certo che no!” Negò fin troppo determinatamente lei. “Non ho la più pallida idea di chi sia, non so nemmeno il suo nome”.

Flan inarcò un sopracciglio. “Ma?”

“Ma… non si può certo dire che non sia un bel ragazzo”. Ammise lei, mentre le sue guance diventavano di un colore simile a quello dei capelli.

L’amico scosse la testa in segno di resa. “Sarà meglio andarsi ad asciugare, così bagnati ci prenderemo una polmonite”.

“Tu vai, io mi faccio qualche altra vasca”. Gli disse lei, attorcigliandosi i lunghi capelli e rimettendosi la cuffia.

Flan doveva aver intuito che Ariel desiderava restare sola, perché annuì e si diresse verso gli spogliatoi maschili senza dire una parola.

La ragazza si rituffò in piscina e questa volta rimase in apnea per parecchio. Le piaceva stare a galla a pancia in giù, con gli occhi chiusi e lasciarsi trasportare dall’acqua. Era una delle poche cose che la rilassavano.

Una volta tornata a casa avrebbe dovuto parlare con suo padre e, molto probabilmente, affrontare la sua ira, perciò le sembrava giusto godersi un po’ di tranquillità almeno finché poteva.

Di colpo poi sentì un tonfo e si ritrovò due braccia che la prendevano per la vita, facendola uscire col viso dall’acqua.

“AH!”.

L’urlo spaventato di Ariel però fu subito sostituito da dei colpi di tosse. Con lo spavento aveva bevuto un po’ e il cloro le stava facendo bruciare la gola.

“Ehi, ehi, ti senti bene?” Chiese una voce maschile, evidentemente preoccupata.

Ariel sentiva il petto dello sconosciuto schiacciarsi contro la sua schiena e due braccia che la sorreggevano come se avessero paura che lei potesse affogare.

“Lasciami andare, immediatamente”. Gridò lei, liberandosi da quell’abbraccio affatto desiderato. “Si può sapere che diav-”

La voce le morì in gola quando si voltò e guardò il volto di quel ragazzo.

Era lo stesso che poco prima aveva chiesto indicazioni per il campo da pallavolo, ma non sfoggiava nessun sorriso questa volta.

“Scusa tanto”. Disse lui, in tono un po’ acido. “Ti ho visto galleggiare a pelo dell’acqua senza muoverti e ho creduto che stessi affogando”.

Ariel alzò un sopracciglio e le scappò una risata. Quel ragazzo doveva essersi davvero preoccupato, perché si era tuffato con tutti i vestiti e le scarpe.

“Davvero gentile da parte tua”. Lo ringraziò lei, dirigendosi verso il bordo piscina. “Ma non serviva. Stavo solo cercando di rilassarmi”.

“E’ un modo un po’ pericoloso, non trovi?” Commentò lui.

Ariel sospirò, come per fargli capire che non valeva la pena nemmeno rispondergli, e si tirò su con le braccia per uscire dall’acqua.

Quando poi si voltò per tendere la mano al ragazzo e farlo uscire, lo trovò intento ad osservarle le gambe. Naturalmente lui distolse subito lo sguardo, ma Ariel l’aveva beccato ugualmente.

Era strano però, a differenza dei giocatori di football, l’apprezzamento di quello sconosciuto non le dava affatto fastidio.

“Ehm… dunque, mi sembra di capire che fai nuoto da parecchio”. Disse lui per nascondere l’imbarazzo, mentre usciva dalla piscina.

“Praticamente da tutta la vita”.

Ariel si tolse la cuffia e si strizzò i capelli rossi, dopodiché li lasciò cadere su una spalla. Il ragazzo la osservava in ogni suo movimento e lei cercava in tutti i modi di impedire alle sue guance di arrossire, purtroppo era difficile nascondere l'imbarazzo quando due grandi occhi grigi la osservavano a quel modo.

Quando nuotava niente la metteva in soggezione, era sicura di sé e dava il massimo. Fuori dall’acqua però la timidezza prendeva il sopravvento e c’erano casi – come quello che stava vivendo – in cui di punto in bianco non sapeva cosa dire e rimaneva per minuti interi incapace di spiccicare parola.

“Come ti chiami?” Chiese poi lui, dandosi una strofinata ai capelli bagnati.

Ariel gli guardò il sorriso, visto da vicino era ancora più bello, e il colore degli occhi era molto più intenso. Stava per rispondergli, quando una voce dal campo accanto la precedette.

“Eric, noi abbiamo finito, andiamo!”

Una ragazza castana con la divisa da pallavolista entrò nella sala della piscina e venne a prendere il ragazzo per mano, trascinandoselo dietro.

“Ma che hai fatto? Sei tutto zuppo!” Lo rimproverò lei, assumendo un'espressione stizzita. Ariel non l'aveva mai vista, anche perché quella sconosciuta era molto bella, se la sarebbe ricordata. Aveva gli occhi di un grigio tendente al viola, davvero molto particolare e dei lineamenti del viso delicati, che tuttavia perdevano un po' del loro fascino a causa di quelle sopracciglia che sembravano costantemente aggrottate.

“Vedi di asciugarti in fretta e vai a prendere la macchina. Devo stare a casa entro mezz'ora”. Continuò a dire la ragazza, sembrava non essersi minimamente accorta della presenza di Ariel. “Io mi faccio una doccia al volo ed esco”.

Il ragazzo, Eric, si voltò un’ultima volta verso la rossa prima di sparire dietro la porta d’uscita e la salutò con uno di quei sorrisi che Ariel già aveva scoperto di adorare, dopodiché anche lei pensò bene di andarsi a fare una doccia e tornare a casa.

Doveva mettere da parte i suoi pensieri sdolcinati per qualcosa di più serio. Suo padre si sarebbe arrabbiato, lo sapeva già, e anche le sue sorelle.

Tutta la famiglia Wave era composta da abili nuotatori, era come se nelle loro vene scorresse acqua invece che sangue, e Ariel stava per voltare le spalle a quella tradizione.

Sospirò mentre asciugava i suoi lunghi capelli rossi e se li legava con una coda alta, si infilò poi i vestiti e uscì dalle piscine con il borsone da nuoto in spalla.

Passò davanti ai campi da football, il sole stava per tramontare e credeva di non trovarci più nessuno, invece c’era ancora un giocatore in campo. Un po’ mingherlino per giocare a football, pensò, ma di certo non difettava di tenacia.

Aveva i capelli corti e ramati e una inutile fascetta rossa intorno alla testa, si stava allenando con gli scatti, ma puntualmente inciampava e cadeva.

Ariel non sarebbe voluta risultare meschina, ma le scappò una risata.

“Qui non c’è nulla da vedere, signorina!” Tuonò una voce dietro di lei.

Anche se non era solita sentirla spesso, la riconobbe all’istante. E poi il ticchettio di quel bastone era inconfondibile.

Un uomo tozzo e zoppicante le si avvicinò con un’espressione tutt’altro che cordiale, ma in fondo il professor Kraos – il coach della squadra di football – era famoso in tutta la scuola per il suo carattere grottesco.

“Vado subito via, professore”. Disse Ariel, lanciando poi un’ultima occhiata al ragazzo in campo.

Doveva aver davvero fatto arrabbiare il suo allenatore, per finire col fare così tanti allenamenti extra. Stava per entrare in macchina, quando sentì il trillo di un cellulare.

“Ariel, ma dove diavolo sei finita?” La rimproverò la sua sorella maggiore Allegra.

“Sono a scuola, stavo alle piscine e non mi sono accorta del tempo che passava, ma… stai bisbigliando?”

“Sì, perché se papà mi sente sono guai! È rientrato da dieci minuti ed è arrabbiatissimo. Ha saputo che oggi Ally ha saltato gli allenamenti di nuoto sincronizzato, mentre Ambra è stata bocciata ad un esame all’università. Ha già chiesto di te, gli ho detto che sei in camera tua a studiare e fortunatamente non ha voluto disturbarti, ma vedi di muoverti!”

Allegra attaccò troppo in fretta perché Ariel potesse dire qualcosa.

In un attimo mise in moto la macchina e si diresse verso casa.

Maledizione, questa non ci voleva proprio. Se suo padre era già così arrabbiato solo perché una sorella aveva saltato un allenamento, chissà come avrebbe reagito alla notizia di una definitiva interruzione del nuoto.

Arrivò a casa che Allegra stava mettendo in tavola la cena. Erano già tutti seduti, suo padre e le sue sorelle, e nessuno fiatava.

Lo sguardo del signor Wave era fin troppo eloquente: non voleva sentir volare una mosca.

Ariel si sedette in silenzio e mangiò allo stesso modo, guardando ogni tanto suo padre nella speranza di trovare nella sua espressione un piccolo spiraglio che le permettesse di parlare della sua decisione, ma come risposta ebbe dall’uomo solo un grugnito arrabbiato e un “Non ho fame” detto tra i denti. Dopodiché l’uomo si alzò e andò a mettersi sul divano in sala da pranzo.

Le tre sorelle più grandi sospirarono, sapendo che per quella sera suo padre non le avrebbe più sgridate, Ariel invece si irrigidì e chiuse gli occhi.

Non poteva fare altrimenti, avrebbe rimandato la sua chiacchierata al giorno seguente.

 

Quella sera Cole tornò a casa che gli doleva ogni muscolo del corpo. Sentiva le gambe molli, la testa pesante e non aveva nemmeno la forza di spogliarsi.

Non sapeva nemmeno come aveva fatto a farsi la doccia dopo gli allenamenti e ad arrivare a casa, l’unica cosa a cui pensava in quel momento era il letto, comodo e riposante letto.

“Ehi, ragazzo, hai fatto tardi, eh?”

Suo padre gli parlò dal salotto, era voltato di spalle sul divano, intendo a guardare le partite di football alla televisione, ma non tardò ad alzarsi e ad avvicinarsi a lui, piantandogli una dolorosa pacca sulla spalla.

“Fil ti ha fatto faticare, vero? Quell’uomo è un sadico”.

Cole tentò di sorridere, ma non gli riuscì molto bene. Fil Kratos e suo padre erano amici sin dai tempi dell’università, ma ciò non aveva impedito al professore di ridurlo in poltiglia con una giornata pesantissima di allenamenti.

“Allora, raccontami!” Continuò il signor Thunder. “Come ti sembra la squadra? Ti sei fatto già degli amici?”

Cole sospirò e si passò una mano tra i capelli. “Sono a pezzi, papà”. Disse, buttando la borsa del football a terra, nel bel mezzo dell’ingresso. “Ti dispiace se ne parliamo domani mattina?”

“Non vuoi nemmeno mangiare?” Eva Thunder uscì dalla cucina e andò incontro a suo figlio.

“Sono troppo stanco, mamma”. Così dicendo si diresse al piano di sopra e si chiuse in camera sua.

Il primo giorno di liceo era stato un vero inferno.

Fin da quando aveva messo piede nell’edificio si era reso ridicolo, senza contare che il bullo della scuola lo aveva già preso di mira. Come se non bastasse, quello stesso bullo era anche il capitano della squadra di football e non aveva fatto altro che prenderlo in giro per tutto il pomeriggio.

Infine ci si era messo pure il coach Kratos ad appesantire la situazione, obbligandolo a restare anche dopo gli allenamenti finché non fosse riuscito a prendere la palla in modo decente.

Naturalmente era inutile dire che Cole non riuscì a ricevere nessun lancio e che il coach lo mandò a casa per disperazione.

“Sono senza speranze!” Disse a se stesso, stendendosi sul letto e guardando il soffitto. “Chi voglio prendere in giro? Il football non fa per me!”

Avrebbe tanto desiderato diventare un campione come lo era stato suo padre ai tempi dell’università: un quarterback con la forza di un dio. Così inarrestabile che lo avevano soprannominato Zeus.

Gli sarebbe piaciuto essere come suo padre, ma dopo quanto era accaduto a scuola, non era più certo che il suo sogno si potesse realizzare. Probabilmente stava desiderando l’impossibile.


***
 

Mi rendo conto di essere una super-mega-ritardataria e purtroppo non ho scusanti... se non quella che mi era semplicemente passata la voglia di scrivere questa Fanfiction!
Ora però sembra che la voglia sia tornata... anche se ho intenzione di modificare un po' la storia, quindi dovrò rileggermi i capitoli che ho scritto e in caso modificarli!^^
Ringrazio tantissimo comunque chi ha recensito i due precedenti capitoli o anche chi li ha semplicemente letti, è sempre bello trovare fan della Disney sfegatati quanto me! XD
Che altro dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto!^^ A presto!!!

*HQ*



P.S. Flan: è Flounder, l'amico pesciolino di Ariel

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