La Verità sul Caso Crystal

di Morea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Nuovo

Contando quella attualmente in corso, era a quota ottocentotrentasette sfuriate, cinquecentoventisei avvisi di licenziamento, trecentosessantuno promesse di ferite gravi e diciotto minacce di morte.
In realtà il conto non l'aveva tenuto lei, la matematica non era mai stata il suo forte e neanche la memoria aveva mai giocato a suo favore, ma Ami Mizuno non faceva che imbrattare di palettini il fido quadernino azzurro che teneva sempre a portata di mano, vicino alla testa del suo ultimo cadavere. Nella foga di segnarsi la diciannovesima minaccia di morte ai danni di Usagi Tsukino aveva persino rischiato - e solo rischiato, perché Ami era meticolosa ed ordinata perfino nei suoi impeti di entusiasmo - di strappare una ciocca di capelli biondi all'uomo disteso sul tavolo settorio: aveva però inchiodato in tempo e preso la penna allungando un poco indice e medio, evitando così di colpire in piena faccia il suo nuovo arrivato con un pugno che di certo non avrebbe sentito. Mentre si destreggiava nel tenere in equilibrio la penna solo con due dita, Usagi le lanciò un'occhiata di fuoco, alla quale lei rispose imbarazzata.
Con ottocentotrentasette sfuriate, cinquecentoventisei - no!, cinquecentoventisette in quel preciso momento - avvisi di licenziamento, trecentosessantuno promesse di ferite gravi e diciannove minacce di morte sulle spalle, Usagi sospirò: Luna sapeva essere così insostenibile, a volte. A sentir lei, sembrava che il loro distretto di polizia fosse il peggiore dell'intera Tokyo, anzi del'intero Giappone, macchè!, del mondo, e sono sicura che se là fuori esistessero altri distretti di polizia su altri pianeti o nello spazio siderale, saremmo peggiori anche di quelli! Usagi, come ogni giorno, provava a ricordarle che non era colpa di nessuno se il ladro con cui avevano a che fare non dava segni di cedimento: mai un'impronta, una sbavatura, un testimone. Aveva sguinzagliato le sue sottoposte più fidate alla ricerca di ogni sorta di indizio, ma Rei Hino non faceva che incenerire i suoi appunti al termine di ogni giornata - lei sosteneva di usare un accendino portato appositamente per le delusioni, un sempre più atterrito Yuuichirou Kumada era pronto a giurare di fronte all'imperatore che alla sua collega bastava guardare i foglietti che l'avevano contrariata perché questi prendessero inspiegabilmente fuoco da soli - e Makoto Kino prendeva semplicemente a calci ogni cosa che si frapponesse fra lei e la strada più corta per tornare a casa, mentre chiunque la sfiorasse dopo l'ennesima sequela di insuccessi saltava letteralmente dall'altra parte del corridoio, come respinto da un campo magnetico avverso.
Ami Mizuno, nel frattempo, sezionava placidamente cadaveri. Aveva di nuovo rischiato di urtare malamente la sua salma dopo la trecentosessantaduesima promessa di ferita grave di Luna, così per scusarsi aveva rassettato il suo povero morto bistrattato. Il cartellino con su scritto John Doe penzolava pigramente dal suo alluce.

« Non capisco perché diavolo Luna mi debba torchiare sempre in obitorio » brontolò Usagi, mentre si impegnava per raschiar via l'anima del morto dalla sua pelle. Ormai lavorava all'Ufficio Investigazione da qualche anno, ma non riusciva a non provare empatia per ogni vittima che le passava fra le mani: la doccia subito dopo ogni sua visita all'obitorio, oppure dopo il ritrovamento di qualche cadavere sospetto sparso per Tokyo, era obbligatoria e salvifica, e di certo il comportamento poco naturale della sua coinquilina in queste situazioni non la aiutava a soffrire di meno per quella morte che incontrava così spesso.
« Hai finitoooooooo? » sbraitò Minako Aino, sicuramente barricata nella stanza più lontana dal bagno comune. « Guarda che se puzzi di morto ti sbatto fuori di casa! »
« Non puoi sbattermi fuori di casa, Minako, il contratto l'abbiamo firmato insieme e paghiamo l'affitto in parti uguali! Anzi, in realtà... »
« Okay, okay, okay, bla, bla, bla...  »
Usagi continuò a insaponarsi, a metà fra il divertito e il corrucciato: la sua migliore amica ultimamente non se la passava benissimo, dal punto di vista economico. Il fatto che lavorasse proprio nella prima gioielleria presa di mira dal misterioso ladro non aiutava: era sparito quell'unico Red Crystal, mentre diamanti, perle e catene d'oro erano rimasti intoccati ai loro posti, e lei era divenuta la principale sospettata del furto, in quanto unica persona presente al momento dei fatti. Non c'erano prove tangibili contro di lei - le telecamere a circuito chiuso la mostravano prima intenta a vendere ad un cliente un anello di fidanzamento, poi pigramente abbandonata su uno sgabello in un momento di calma e infine lunga stesa a terra, come fosse stecchita. Tutto questo senza una diamine di interruzione: la sequenza in cui Minako si accasciava al suolo era stata studiata in ogni dettaglio da Usagi e tutto il suo reparto, eppure l'unica cosa che si riusciva a vedere era il cristallo scomparso che prendeva, usciva dalla sua teca allarmata e si allontanava da solo, fluttuando nell'aria. Tutte le volte in cui il nastro veniva mandato indietro, rivisto e poi riavvolto, l'intero Ufficio Investigazione era sempre più inebetito e confuso da quella scena, e tutti finivano per avere un fastidioso mal di testa che si estingueva da solo qualche minuto dopo. Nessuno, però, riteneva questo fatto particolarmente degno di nota: sicuramente rivedere quegli spezzoni dieci volte all'ora poteva non essere esattamente piacevole per la vista ed il cervello.
Fatto sta che la direttrice della gioielleria - molto scettica di fronte alla storiella di un cristallo che svolazzava fuori dal suo negozio - aveva suggerito a Minako di dare le dimissioni. Usagi aveva provato invano a convincerla a non farlo: la sua datrice di lavoro non poteva allontanarla per qualcosa che non aveva commesso, e poteva appellarsi a qualunque articolo e cavillo del Codice per mantenere il suo posto di lavoro indeterminato. Minako, però, aveva accolto l'invito: non riusciva a non sentirsi responsabile per ciò che era accaduto, e per non saper neanche raccontare agli inquirenti i dettagli di quel pomeriggio, come se avesse dormito tutto il tempo. Usagi alla fine aveva desistito, se hai un cuore troppo grande e ami il prossimo più di quanto ami te stessa, io non so proprio che fare, e Minako aveva sorriso triste, rientrando seduta stante nel favoloso mondo dei disoccupati. Adesso frugava febbrilmente la sezione delle offerte di lavoro su ogni quotidiano: se non altro, il suo licenziamento spontaneo le era valso delle buone referenze, che sicuramente le avrebbero fatto comodo nella ricerca di un nuovo impiego. Certo, questo se nessuno dei suoi potenziali nuovi datori di lavoro avesse notato la coincidenza di date fra il furto e le dimissioni... che lei avrebbe cercato di nascondere il meglio che poteva.
« Che voleva stavolta Luna? »
« Il solito » mugugnò Usagi mentre tamponava l'acqua che le impregnava i capelli con un asciugamano più grande del normale, ricamato da sua madre Ikuko. Non essendo mai riuscita a convincerla a tagliarli, la donna era dovuta correre ai ripari, cucendole un servizio di asciugamani extra-large che non lasciassero sfuggire neanche una doppia punta: quando viveva ancora a Juuban lo faceva principalmente per non far buscare alla figlia un raffreddore e alle piastrelle del suo pavimento un allagamento da incubo, adesso che Usagi aveva abbandonato il nido continuava a produrre ricami a ritmi industriali cosicchè almeno un paio di volte al mese potesse avere una scusa buona per visitare la sua bambina. Al momento, Usagi aveva ventinove anni e qualcosa come centosettantadue asciugamani (e non era sposata, che non c'entrava niente, ma sua madre glielo ricordava sempre). La stima esatta, firmata Ami Mizuno, teneva conto anche di quelli che avevano riportato ferite di guerra in seguito a stirature maldestre e quelli che Usagi regalava a Natale alle sue quattro amiche più care. Una domenica su due un nuovo palettino si univa agli altri nel quadernino azzurro: essendo il giorno libero della dottoressa, nessun cadavere rischiava - e solo rischiava! - urti o tagli postumi.

Da qualche parte a Juuban, Mamoru Chiba si rigirava fra le dita un solitario da 18 carati. In realtà stava ripetendo i soliti esercizi che faceva da anni per allenare le sue mani da chirurgo, con l'unica variante di avere qualcosa come 75000 yen sulla punta del medio.
Dal giorno prima fissava quel diamante, indeciso sul da farsi: l'aveva poggiato prima sul comodino, dopo sul futon, poi sul piano cottura, infine sul tavolo dove pernottavano le sue chiavi di casa, subito accanto alla porta, ma era giunto alla conclusione che non stesse bene da nessuna parte. Allora aveva cominciato a esercitarsi.
« Mi vuoi sposare? » si chiedeva di fronte allo specchio, inginocchiato davanti all'armadio.
L'altro Mamoru, dentro il vetro trattato, era un po' imbarazzato e non si decideva mai a dir di sì, così tutte le volte che Chiba-due rifiutava, l'anello cambiava posto. Quella notte dormì nel terriccio di un ficus, mentre Mamoru, essendo sabato sera, pensò bene di folleggiare leggendo un articolo recentissimo sui nuovi ritrovati chirurgici per l'asportazione della cataratta.
Motoki Furuhata, che col suo migliore amico condivideva solo l'età e la passione per le moto, pensò bene di attaccarsi al campanello per farlo scendere nel giro di cinque minuti. Era più o meno sicuro che stesse leggendo qualcosa di insostenibile sul trattamento delle emorroidi, e non poteva tollerare il fatto che da qualche parte della città ci fossero delle gnocche a piede libero senza che lui potesse rimorchiarle. Mamoru non era interessato alla merce, ma la logica maschile prevedeva la presenza di una spalla, di un braccio destro, o direttamente di un intero corpo umano funzionante in ogni sua parte per sostenere un manzo nelle sue missioni di conquista, così Chiba si poteva benissimo attaccare al ca...sco della moto, vestirsi appena decentemente e seguirlo, anzi accompagnarlo, dato che lui era in riserva da circa tre settimane.
Quando il suddetto Chiba si affacciò dal balcone con addosso una felpa, un paio di boxer e degli zoccoli modello-nonno-di-Heidi, Motoki si sentì male, imprecò sottovoce e salì nell'appartamento col casco sottobraccio. Anche quella sera le gnocche rimasero al sicuro nelle loro postazioni sparse per Tokyo, il fascicolo sulla cataratta (già letto e sottolineato) venne posato su un divanetto, Motoki e Mamoru si addormentarono di fronte a un film. Quella sera avevano tentato di guardare Iron Man, ma avevano cominciato a russare già prima che Tony Stark riuscisse a finire la sua armatura.

Qualche isolato più in là, a casa Kino, cinque ragazze dormivano pesantemente con addosso improponibili pigiami con orsacchiotti, conigli e pecorelle. In realtà quattro stavano dormendo, la quinta si stava scervellando in sogno: Ami Mizuno non era il tipo che rimanesse volentieri indietro con le sue mansioni, soprattutto perché bastava un minimo ritardo per saturarle tutti i cassetti scorrevoli dell'obitorio, e okay che non si trovava poi così male in mezzo a quel ghiaccio e alle bolle di nebbia che scoppiettavano non appena scongelava momentaneamente un cadavere, ma c'era un limite al disordine, perbacco! Così aveva pian piano imparato ad addomesticare la sua vena onirica, in modo che lasciasse spazio alla fase REM solo dopo aver ripercorso rapidamente ma con abbondanza di dettagli tutti gli avvenimenti e le analisi del giorno. Usagi aveva riassunto questo procedimento con una parola, ouch. E non perché avesse effettivamente senso in relazione a tutto ciò, ma perché l'unica reazione che era riuscita ad avere di fronte al racconto sulle abitudini dell'amica era stata il portarsi le mani fra i capelli. In realtà prima di questo gesto si era schiaffeggiata la fronte, scuotendo la testa, ma la combinazione di movimenti le era uscita male e si era cacciata un dito nell'occhio, da qui il famoso ouch. Comunque, mentre Ami ouchava, cacciò un'imprecazione nel dormiveglia.
Normalmente Minako ed Usagi non si svegliavano neanche con una cannonata precisamente indirizzata sul timpano, ma quella volta scattarono sul futon, addirittura prima di Rei e Makoto: Ami aveva detto una parolaccia, e questo poteva solamente significare che il mondo stava per finire e che dovevano salutarsi con le lacrime agli occhi prima che fosse troppo tardi.
Ami le fissò imbarazzata, sebbene fosse ancora un po' in trance. Poi mandò tutto al diavolo, e parlò.
« John Doe non è morto per cause naturali. »
« Ha avuto un infarto? » chiese la bocca impastata di qualcuna.
Ami scosse la testa. « Non aveva malattie, alterazioni dei valori del sangue, segni di patologie letali. Non ha avuto un ictus, né un infarto, niente di niente. »
« Vuoi dire che l'hanno... ammazzato? » chiese Usagi con le mani sulla bocca. Poi si ricordò di essere responsabile dell'Ufficio Investigazione, dunque si rese conto che non stava proprio bene reagire come una bambina impaurita a una possibilità del genere. Le sue amiche comunque, ormai troppo abituate, non ci fecero troppo caso.
« Non ci sono segni di arma da fuoco, nè di coltellate, né tracce di veleno di alcun tipo. Non è affogato, non è stato strangolato, non è stato colpito, non è stato bruciato. »
« Ma allora... deve essere morto per cause naturali! Perché dici di no? » esclamò perplessa Makoto, che ci teneva particolarmente a tagliar corto per dormire le tanto agognate dodici ore della notte fra sabato e domenica.
Rei però sapeva già cosa stesse per dire. Anzi, a dire il vero non lo sapeva, ma se lo sentiva. In effetti aveva percepito qualcosa di strano, quando era passata a portare dei tramezzini alla dottoressa Mizuno...
« È caldissimo, ragazze. »
Usagi avrebbe avuto qualcosa da obiettare, dato che quell'anno l'inverno non stava essendo esattamente mite, ma si autocensurò in tempo, capendo.
« Un morto... caldo? »

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Capitolo 2
*** Due ***


Nuovo2


Si svegliò prima Mamoru, come al solito, perché a quell'ora una corsetta per settecento-ottocento isolati non gliela toglieva mai nessuno. O forse perché aveva un piede di Motoki particolarmente vicino al naso (dovevano smetterla di crollare addormentati sul divano ad angolo, soprattutto se dimenticavano ogni volta di mettersi d'accordo sulle posizioni da tenere per la notte). Erano le cinque del mattino, era appena febbraio, e quella che Mamoru amava chiamare "brezza" aveva le fattezze di una tempesta di neve, mentre il buio non aveva ancora lasciato spazio all'alba. Poco male, pensò, mentre qualche minuto più tardi varcava la soglia del bagno, senza far rumore.
Accese la luce e vide che tutto era al suo posto, come l'aveva lasciato la sera prima. Forse Motoki aveva imparato a non frugare in ogni angolo come l'impiccione che era - o forse, realizzò con una punta di delusione, non aveva avuto il tempo materiale di visitare il bagno, essendosi addormentato prima di poter percepire un qualsivoglia stimolo.
Mentre lo scroscio della sua pipì riecheggiava nella quiete del mattino, si disse che non poteva star dietro alla ficcanasaggine dell'amico, barricandosi in casa. E comunque, Motoki non avrebbe trovato niente, non c'era motivo di preoccuparsi. A chi sarebbe mai venuto in mente, di domenica mattina, di infilare una mano dentro un vaso colmo di terra? Così finì quello che stava facendo, si dette una rinfrescata rapida, si disfece dei boxer indossando un paio di slip - si era scordato una sola volta in tutta la vita di quest'operazione e aveva passato le ore successive a maledire quel dondolio fastidiosissimo e a correre più veloce che poteva, tornando comunque a casa con tutte le palle indolenzite - e uscì dal bagno in felpa e mutande. Gli bastò aggiungere all'insieme un paio di pantaloncini (sì, era febbraio, sì, erano le cinque e un quarto, sì, stava nevicando) e delle scarpe che parevano nuove di pacca, e fu pronto per uscire. Come al solito nascose le chiavi di casa nella cassetta delle lettere (non aveva mai brillato per inventiva, per questo quando aveva pensato al ficus come nascondiglio perfetto si era stupito di se stesso) e andò incontro alla tormenta.
Il tempo di svoltare l'angolo e un gatto particolarmente nottambulo o particolarmente mattiniero lo vide balzare su un tetto.

Qualche ora più tardi, ad Ami parve di vedere un'ombra rapidissima passare di fronte alla finestra della cucina di Makoto. Pensò che fosse tutta suggestione, dopotutto ripassando il suo tomo preferito sulle Autopsie - che portava sempre in borsa, dato che dopo ogni pigiama party a casa Kino era comunque la prima a svegliarsi, qualche ora prima del resto delle partecipanti - non era difficile sentirsi gli occhi di tutti i serial killer del mondo puntati addosso, o se non altro una semplice Morte Naturale appropinquarsi inesorabilmente. Si controllò il polso, verificò con il dorso della mano la temperatura della sua fronte, e decise che non era nè morta, nè aveva la febbre (sì, la peggiore ipotesi era la seconda, dato che ogni volta le impediva di concentrarsi sul proprio lavoro o studiare). Allora era facile, aveva fame.
Tornò nell'altra stanza, dove Rei cominciava a rigirarsi nel letto inquieta, come chi sta per dire addio al proprio sonno, e cominciò pian piano a scuotere tutte le sue amiche, perché erano le nove. Minako disse qualcosa di irripetibile, Usagi neanche si mosse, Rei si arrese e si alzò davvero, Makoto tentò di nascondersi sotto il cuscino.
A quel punto però fu Minako a far alzare definitivamente tutte, con un urlo talmente penetrante che svegliò perfino Usagi. Rei balzò in piedi, come fosse pronta a far fuoco, Makoto assunse una delle sedicimila posizioni di arti marziali che conosceva, Ami impugnò il piatto più vicino che aveva trovato, pronta a confondere l'intruso con una torta in faccia. Al che Minako tirò un altro strillo, questa volta perché quella torta era destinata ai loro stomaci appena svegli, e perché Makoto aveva fatto la sua preferita, quella con sette miliardi e mezzo di calorie.
Usagi, che con un po' di ritardo aveva capito la situazione, si lasciò ricadere sul cuscino, portandosi le mani sulla faccia. «No, non può essere, di già... »
Minako annuì con la morte nel cuore.
«È quella domenica, Usako. »
Makoto imprecò, dato che anche quella domenica le avrebbe dovute tirar fuori dagli impicci.
«Carne o pesce? » chiese.
Usagi e Minako corsero ad abbracciarla e baciarla, prima di sequestrare la torta per intero e promettendo a Rei - che stava per cavar loro gli occhi - che nel pomeriggio sarebbe potuta passare assieme alle altre per mangiarne a volontà.
Poi si rivestirono come meglio poterono e arrotolarono i loro materassini, più o meno scaraventandoli nell'armadio. Urlarono, già mezze fuori dalla porta, che sarebbero ripassate a prendere il cibo verso le undici e mezzo, poi corsero a perdifiato nella neve, rischiando di far fare una settantina di capriole alla torta che portavano a turno.
Appena arrivate a casa la tirarono nel frigo e poi si divisero le faccende da fare, impugnando scope e spazzoloni come scettri di potere.
Quel giorno sarebbe arrivata la Generalessa Ikuko, e con lei un asciugamano nuovo. E a Ikuko non piaceva constatare che la figlia vivesse nel disordine e non sapesse cucinare neanche un uovo sodo (chi pensi che ti sposerà, cara, se non impari neanche a rifare i letti con gli angoli come ho provato a insegnarti per ventinove anni di fila?).
Mamoru su questo un'idea ce l'aveva, mentre osservava le due bionde zampettare con scarpe decisamente inappropriate su quei 10 cm di coltre bianca che coprivano le strade di Tokyo. Certo, ci sarebbero state alcune differenze da appianare. E di certo, conoscere il nome della sposa non avrebbe guastato affatto. E dire che gli sarebbe bastato talmente poco per scoprirlo... Così decise, la prossima volta si sarebbe trattenuto, giusto un po'.

«Bene, Usagi, fammi vedere i colletti delle tue camicie » sentenziò la Generalessa, mentre spalancava di soppiatto il ripostiglio. Minako si frappose in un istante fra Ikuko e il resto del ripostiglio, quello che non avevano avuto il tempo di sistemare: nel range visivo della donna rimanevano dunque solamente un'asse da stiro profumata di fresco e una mensolina tutta precisa con delle camicette perfettamente inamidate.
Quello che avrebbe potuto intravedere con la coda dell'occhio, se Usagi non si fosse arrampicata su un modesto scaleo per raggiungere la madre in altezza, l'avrebbe gettata nel panico: un quadro penzolava sinistramente, dato che l'ex-chiodo in alto a destra era stato adoperato per sistemare alla bell'e meglio la situazione dell'orologio appeso al muro sopra il tavolo da pranzo, dal ruolo molto più strategico per la pace familiare e del Giappone intero, l'armadio delle scarpe era totalmente a soqquadro, con cassetti semi-aperti e orli di magliette che facevano capolino da ogni pertugio, ma soprattutto la bellissima aspirapolvere modello Deluxe e l'asciugatrice for-mi-da-bi-le
che la famiglia Tsukino aveva donato alla causa (persa) della figlia e della coinquilina... semplicemente non c'erano. Come amava ricordare Usagi, non era colpa di nessuno se quando le aveva rese indietro al centro commerciale le avevano ceduto in cambio un buono acquisto in grado di coprire le spese per quella piastra e arricciacapelli che lei e Minako avevano adocchiato da un sacco di tempo. E per uno schermo LED di ultima generazione. E - okay - per quel videogioco appena uscito che rendeva così tanto bene su uno schermo ad alta definizione ultimo modello. E - va bene, va bene! - per due paia di scarpe che erano troppo carine per lasciarle lì. 
Comunque, anche quella domenica andò bene. Semplicemente perchè il quadro ebbe il buonsenso di staccarsi definitivamente dal muro nell'esatto momento in cui Usagi si sbattè la porta alle spalle, nell'uscire. Le guarnizioni della porta scorrevole, un po' usurate, garantirono una copertura acustica deliziosa, complici. Minako si appuntò mentalmente di non cambiarle per i successivi tre o quattro secoli.

« Sentiamo questa tempura » borbottò la Generalessa, mentre si beava degli ultimi sentori di verdure grigliate che Mako-ehm, Usagi aveva speziato al punto giusto.
Minako, che aveva appena finito di riscaldarla (un filino, come aveva intimato Makoto), la portò tutta felice in tavola, dato che era l'ultima portata prima del dolce e prima che la famiglia Tsukino abbandonasse il campo di battaglia.
Mentre Kenji sgranocchiava tutto contento qualche pesciolino dorato, dietro la porta sul retro si materializzò un uomo alto e ben proporzionato: cercò subito qualche spiraglio che gli permettesse di sbirciare all'interno della casa ma, non trovandone, appiccicò il padiglione auricolare alla serratura, inginocchiandosi per terra. Fu però l'altro padiglione auricolare, quello non sulla via del congelamento per il contatto col metallo, che fu particolarmente sollecitato nell'attimo successivo.
« Dottor Chiba! »
Fu in quell'attimo che, nell'ordine, desiderò morire, si alzò di scatto e con una capocciata urtò la maniglia della porta (che sì, non era chiusa a chiave, e quindi si spalancò). La vecchietta che l'aveva salutato con tanto entusiasmo corse immediatamente ad aiutarlo, la stessa vecchietta che si ritrovò in breve tempo distesa a terra, con una gran confusione in testa e con la faccia perplessa di Usagi a chiederle perché avesse tentato di introdursi in casa sua.  La signora Kayashi, da qualche tempo sempre più convinta di aver perso qualche rotella, decise seduta stante di fare testamento e rinchiudersi in una casa di riposo, dato che non sapeva minimamente come rispondere a quella domanda.
L'esimio chirurgo Chiba, che aveva appena tramortito la propria paziente semplicemente prendendole la testa fra le mani, giurò di farle cambiare idea non appena si fosse ripresentata da lui per il classico controllo di routine, e nel frattempo corse più veloce che potè sui tetti di Juuban. In fondo sarebbe dovuto scappare comunque, mancavano solo quindici minuti al risveglio di Motoki.

Quando Usagi ebbe rassicurato la signora Kayashi e l'ebbe riaccompagnata a casa, Minako aveva già portato tutte le sei tonnellate di dolce in tavola, sperando che fosse sufficiente a distogliere l'attenzione degli Tsukino dall'attentato terroristico ai danni della figlia. In realtà Ikuko aveva un sopracciglio pericolosamente alzato, Kenji era a un passo dallo scattare in piedi, Shingo giocherellava nervosamente con un bicchiere.
« Cosa. Diamine. È. Successo. »  proferì lentamente Ikuko, prendendo fiato fra una parola e l'altra.
Usagi sbiancò.
« Una nostra vicina di casa deve essere svenuta, ha invocato il nome di un certo Dottor Chiba, sarà il suo medico di fam... »
« Mamma, papà, Usagi, mi sposo. »
Usagi risbiancò, mentre si voltava molto lentamente verso il fratello. Shingo era in piedi, con i pugni appoggiati sul tavolo da pranzo, le nocche pallidissime e la voce rotta.
« Devo aver capito male. »
« Ha detto che si sposa. »
« Non può averlo detto veramente, Ikuko. »
« Ti dico di sì, Kenji! Ridiglielo, Shingo, su. »
« TI SPOSI PRIMA DI ME?! »
Negli istanti successivi Shingo pigolò qualcosa su una ragazza tanto carina che l'aveva folgorato in un così breve tempo...
« Grazie, Shingo-san, continuo da sola. »
Tutti si voltarono verso colei che aveva appena parlato, e che probabilmente era entrata dalla porta sul retro che non voleva proprio saperne di star chiusa (in realtà Usagi era convinta di averla chiusa a chiave dopo l'intrusione della signora Kayashi, ma...).
« Piacere » continuò la ragazzina, per niente turbata dal modo in cui gli occhi di Ikuko lampeggiavano e tentavano di fuggir fuori dalle orbite.
« Il p-piacere è mio... » azzardò Kenji, prima che la moglie gli schiaffeggiasse con veemenza la mano che aveva allungato in segno di saluto. Kenji capì che incontrare la futura nuora non doveva essere un piacere, evidentemente, e montò una sorta di grugno cattivo - anche se in realtà un angolo della bocca non riusciva a non tremolare, incerto. Usagi, in tutto questo, stava rapidamente facendo un conto degli spiccioli di vita fertile che le rimanevano, delle prospettive di zitellaggine e di incontri amorosi con altri pensionati ed ex forze dell'ordine, e dei soldi che avrebbe dovuto investire in creme al collagene o effetto lifting. Minako era scappata in cucina e si era accasciata in terra per il troppo ridere.
« Nome » chiese Ikuko senza l'ombra di un punto interrogativo.
« Hotaru » si sentì rispondere. « Hotaru Tomoe. »


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Capitolo 3
*** Tre ***


Tre

L'esistenza del lunedì mattina era qualcosa che Usagi non riusciva ancora ad affrontare con la dovuta calma, soprattutto quando assumeva le sembianze di Rei Hino e della pila di documenti e fotografie che le stava scaricando sulla scrivania. Rei aveva inoltre l'assurda capacità di ringhiare, quando qualcosa non andava per il verso appropriato, e in quel momento assomigliava un po' a un drago, mentre fiammelle vermiglie le illuminavano gli occhi indemoniati.
Quella mattina qualcuno si era alzato col piede giusto, invece. Lo stesso qualcuno apparentemente tanto reattivo e vigile in un giorno così infausto da essere in grado di svegliarsi compostamente, indossare il suo miglior passamontagna e scassinare a regola d'arte una porta blindata sei volte. E lo stesso qualcuno che non compariva in nessuno dei fotogrammi isolati da Hino-san; in compenso, lo Yellow Crystal compariva eccome, nella sua teca trasparente. Almeno fino a quando, semplicemente, non c'era più.
Luna, a una porta di distanza, stava dando in escandescenze. Stiamo perdendo tempo, banda di smidollate, ripeteva all'infinito e senza neanche un vero e proprio pubblico, dato che Makoto si stava scroccando le dita seduta alla sua scrivania, mentre Ami era da qualche parte nel suo Ade personale. Usagi invece fissava quelle foto, senza capire: le pareva di vedere qualcosa, ma non sapeva minimamente cosa.
« Chiama le altre, andiamo a fare un sopralluogo » deliberò, impostando contemporaneamente l'indirizzo della gioielleria rapinata sul suo navigatore.
Rei annuì con uno scatto e sparì, mentre in lontananza Luna continuava a sbraitare iononsopiùchediaminefareconquesteragazzineaddormentate e qualcun altro, apparentemente concorde, sospirava. Era una voce - cioè, uno sbuffo - maschile che Usagi non aveva mai sentito prima, perciò uscì dal suo ufficio e si affacciò curiosa in quello della sua superiore.
Luna, che stava fissando il monitor del computer, completamente sola, la sbattè fuori con un etuchediaminevuoi, sparisci!
Usagi pensò bene di eseguire gli ordini, anche con una certa solerzia. Mentre percorreva il corridoio con lunghe falcate, quasi si schiantò contro tre ragazze, dietro il primo angolo: tanta fu la sua paura di uno scontro che decise di cascare spontaneamente, ritrovandosi a gambe all'aria e con tre paia di occhi a fissarla da diverse altezze.
« Usagi, abbiamo un problema » sentenziò Rei, mentre strattonava Ami per un braccio.
La dottoressa Mizuno era momentaneamente molto interessata alle stringhe delle sue scarpe, e non si decideva a parlare.
« Forza, Ami, diglielo. Smettila di tormentarti, non è colpa tua » la rassicurò Makoto, materna (non abbastanza materna da non tirarle un'"amichevole" pacca sulla spalla che rischiò di farla cadere a sua volta sopra Usagi).
E allora Mizuno-san alzò la testa, stizzita, e fissando un punto imprecisato sul muro di fronte, parlò.
« Ho perso un cadavere. »
Seguì un interminabile minuto di silenzio.
« Chi? » chiese Usagi, dopo essersi lentamente alzata dal pavimento (su cui avrebbe preferito sostare ancora un po', in effetti).
« John Doe. »
« Il morto caldo? »
Ami annuì velocemente.
« È UNO ZOMBIE?! »
Rei si portò le mani fra i capelli.
« Usagi, non esistono gli zombie... »
« E comunque se anche esistessero non sarebbe un problema, per me » aggiunse minacciosa Makoto, tirandosi su le maniche.
« Era vivo... deve essere stato vivo... ma non è possibile, tutti i parametri vitali erano assenti! Appena mi sono resa conto dell'anomalia del calore, sabato sera - sì, voi dormivate già - ho chiamato la mia assistente, che era di turno in obitorio... e mi ha detto che era tutto regolare, e che il morto era ancora morto, nonostante continuasse ad avere una temperatura corporea irregolare. Beh, mi sono tranquillizzata, mi sono risposta che doveva esserci una ragione, ma che, dato che era sempre morto morto, questa cosa poteva aspettare stamani... Mai più trascurerò il mio lavoro così, mai più! Vado da Luna a chiederle di togliermi le ferie pagate. »
Usagi, Rei e Makoto si affrettarono a sbarrarle il passo, afferrandola perfino per il colletto della camicia.
« Troveremo una soluzione, Ami-chan » la tranquillizzò Makoto.
Al che Rei aggiunse che di certo non poteva essere andato troppo lontano, morto com'era.
E Usagi pensò bene di coronare il tutto con:
« L'importante è non farlo sapere a Luna. E poi meglio vivo che morto, no? » e sorrise felice.
Ami, comunque sicura che non avrebbe mai più chiesto un'ora di permesso neanche in punto di morte, annuì.
« Usagi, io quel morto l'ho tagliuzzato, aperto, frugato, richiuso... non può essere vivo, l'ho praticamente ammazzato io! »
« Beh, l'hai richiuso, no? Non prenderà freddo! » scherzò Usagi, ma Ami non accennò neanche un mezzo sorriso.
« Comunque abbiamo le telecamere di sorveglianza, anche giù. Potremmo dividerci il lavoro. Makoto, mi aiuti tu? »
« Non ti andrebbe proprio, ehm » titubò Usagi « di prenderti Rei... »
L'agente Hino la squadrò come fosse un pesce particolarmente avariato e puzzolente.
« Muoviti, Tsukino. Andiamo a riprenderci questo cristallo. »
Usagi deglutì. Sarebbe stata una lunga giornata.

Quando arrivarono sul luogo del furto, una notevole massa di curiosi era già assiepata di fronte alle transenne. Rei si fece largo fra la folla col suo peggior cipiglio guerrafondaio: tutti si affrettarono a spostarsi, scottati. Usagi la seguiva elargendo sorrisi, per ritemprarli un po'. Mamoru, che se ne stava fra un anziano pensionato con le mani giunte dietro alla schiena e una signora con le borse della spesa stracolme, si sentì rinascere.
Dentro la gioielleria trovarono il proprietario disperato: era accasciato su una sedia, con la testa fra le mani umide di lacrime. Appena le vide si alzò in piedi e corse a stringere i lembi del bavero della camicia di Rei, strattonandola lievemente.
« Dovete ritrovarlo! Non era neanche assicurato... »
« Intanto mi tolga le mani di dosso, altrimenti neanche comincio a cercare. » Il gioielliere si sedette. « Così va meglio. Adesso ci racconti tutto. »
« Hanno preso solo quello. Stamani, nonostante fosse il giorno di chiusura, sono venuto nel mio negozio per fare un inventario. All'inizio neanche mi ero reso conto dello Yellow Crystal, è un pezzo unico ma è qui da anni, non sono mai riuscito a piazzarlo e mi è sempre dispiaciuto tagliarlo... ero talmente abituato a vederlo nella sua teca che non l'ho controllata fino alla fine del processo. »
« Perché le dispiaceva tagliarlo? Ha un valore particolare solo se integro? »
L'uomo corrucciò la fronte.
« In realtà non lo so. »
« Come non lo sa?! »
« Me lo ha venduto una strana donna, un sacco di anni fa. Una bella donna, fra l'altro, ma un po' stupida, perché me l'ha venduto a un ventesimo del suo valore effettivo. In realtà devo ammettere che però, per ora, l'unica che ci ha guadagnato è stata lei. Non l'ho mai tagliato perché... non lo so. Forse lo taglierò, se lo riavrò. »
« E perché non l'ha mai assicurato? »
Il gioiellere pareva imbambolato.
« Non lo so. »
« Non sa niente! » sbraitò Rei, che stava perdendo la pazienza, facendo sobbalzare l'uomo. « Ci sa almeno dire se ha trovato segni di effrazione o stranezze di qualsiasi genere? »
« No, nossignora, no. Se avessi trovato la porta scardinata non sarei entrato, non sono esattamente coraggioso... invece era tutto normale, a parte una bruciatura sulla parete, quella » e indicò l'impronta nera allungata che si snodava sul muro. « Ma non penso sia collegata alla via di accesso dei ladri... non termina sul lato esterno. All'inizio pensavo che fosse uno scarabocchio.  »
Usagi fissava placidamente il motivo della bruciatura.
« È un... boomerang? » chiese a Rei, cercando una conferma.
« Decisamente storto, ma sì, sembra un boomerang. Che sia una sorta di firma? »
« Una rivendicazione di qualche ladro egocentrico? Non ne abbiamo trovate altre nella gioielleria di Minako... e nemmeno in quella ad Osaka la polizia ha trovato niente di strano. L'unica irregolarità era l'assenza dell'Orange Crystal... forse il nostro ladro ha fatto il suo primo passo falso con questa disattenzione? »
« Disegnare un boomerang sul muro con un accendino lo chiami "disattenzione"? Se l'ha fatto, l'ha fatto di proposito. »
« Se l'ha fatto, non l'ha fatto con un accendino, Rei. Questo boomerang è spesso 10 centimetri. »
Hino-san sbuffò.
« Sì, lo so. La telecamera di sorveglianza non inquadra quest'angolo del negozio, però, nei fotogrammi che abbiamo questa zona è completamente buia. Si vede solo quella là, coi gioielli principali. »
« Lei ha una madre, signorina? » chiese dal nulla il gioielliere.
Usagi pensò di aver capito male. « Io? »
« No, è nata da un uovo. » Rei aveva alzato per la trecentesima volta gli occhi al cielo.
« Ora che si è levata la sciarpa, i suoi capelli... »
« Entro domani, grazie! »
Il gioielliere era talmente atterrito da Rei che sparò tutta la frase seguente in un batter d'occhio (rendendola, ovviamente, incomprensibile ai più).
« Stsssoicaplli. »
« Come, mi scusi? »
L'uomo fissò Usagi, in cerca di un filo di conforto, e ripartì.
« La donna che mi ha venduto questo cristallo una vita fa... aveva gli stessi suoi capelli. Simili, almeno, con delle code lunghissime. »
« Erano blu? Comunque non credo che mia madre abbia mai portato i capelli come miei. »
« Allora sarà stata sicuramente una coincidenza » sorrise l'uomo. « Lei li aveva chiarissimi, come argentati. »
« Allora no, mi dispiace, non la conosco » concluse Usagi, mentre scattava un paio di foto al boomerang.
Lei e Rei avevano ormai ultimato tutto il loro lavoro, lì, ai rilievi ci avrebbe pensato qualcun altro. Salutarono l'uomo, promettendogli che avrebbero fatto del loro meglio, e uscirono di nuovo fuori.
« Buongiorno, ufficiali. » Rei alzò la testa al dolce suono della parola "ufficiali" e gonfiò il petto. Ciò che si ritrovò davanti fu... una visione.
Mamoru Chiba continuò. 
« Sono un medico, lavoro nell'ospedale qui accanto. Vorrei sapere per quanto ancora si prolungherà questo frastuono qui fuori, disturba un po' la quiete del luogo. Ci sono dei pazienti che hanno bisogno di riposo e la curiosità riesce perfino a farli alzare dai lettini. Il mio personale non ha troppa voglia di riattaccare flebo per tutto il giorno... posso chiedervi di allontanare questa gente? » Sì, suonava bene come menzogna: in realtà a nessuno dei suoi pazienti importava granché di quel furto, forse perché nove su dieci erano ancora molto più concentrati sull'anestesia che li aveva rincretiniti. Per quanto riguardava i pazienti degli altri reparti... beh, affari degli altri primari. Comunque notò con piacere che bastava ancora un camice indossato con lo stile giusto per abbindolare qualche sciocca agente di polizia, come quella mora. La sua detective invece non sembrava granché interessata alla merce, però lo fissava con uno sguardo strano.
« Un attimo solo. » Rei prese il megafono dallo sportello interno dell'auto e cominciò: « NON C'È ASSOLUTAMENTE NIENTE DA VEDERE QUI INTORNO, SPARITE! »
Tempo tre secondi e solo un vecchietto particolarmente lento perché munito di bastone arrancava ancora lungo il marciapiede, degli altri era rimasta solo una carota evidentemente sfuggita a qualche busta della spesa. Rei cambiò completamente espressione, addolcendo i tratti in maniera quasi inquietante.
« Fatto. »
« Arrivederci, dottore » fu l'unica cosa che disse Usagi prima di sedersi al posto di guida.
« È stato un piacere, » sviolinò Rei Hino, salendo a fianco di Usagi e muovendosi di qualche metro mentre l'auto si avviava « dottor... »
« Dottor Chiba. »
Usagi spinse il piede talmente a fondo sul freno che l'inchiodata fece sobbalzare perfino il vecchietto che ormai aveva percorso (quasi!) dieci metri. Si tolse la cintura - mentre Rei imprecava -, aprì lo sportello - mentre Rei la insultava -, si fiondò fuori - mentre Rei faceva lo stesso.
E Mamoru si ritrovò l'unghia di un indice piantata nel petto.
« Cosa ci faceva ieri a casa mia, dottore? »
A Mamoru scoppiò il cuore. Era così intelligente, si ricordava il suo nome e l'aveva sentito una volta sola, anzi due, contando quella di adesso
! « Perché, dove abita, signorina? »
« Per lei sono il detective Usagi Tsukino. »
Bingo! Ora conosceva anche il suo nome! UsagiUsagiUsagiUsagi-chan
Usagi-chanUsa-chanUsa-chanUsakoUsako: okay, aveva deciso, nell'intimità l'avrebbe sempre chiamata Usako, era così bello.
« A Juuban, comunque. La signora Kayashi, una donna anziana che vive nella mia stessa via, ha urlato il suo nome prima che la ritrovassi in stato confusionale di fronte alla mia porta sul retro. Ha una spiegazione per questo? »
« Dovrei? Forse si è sentita male e ha automaticamente pensato a me, dato che l'ho seguita parecchio in questi ultimi mesi. »
« È il suo medico di famiglia? »
Mamoru sudò freddo.
« No, sono un chirurgo. »
« Mi sarebbe sembrato più logico invocare il proprio medico di famiglia, non crede? O ancora più logico urlare un "aiuto!" generico... Perché pensare a uno specialista che avrà visto sì e no per l'operazione e per qualche controllo di routine, un attimo prima di svenire? » lo incalzò Usagi.
Mamoru non sapeva se montarle addosso seduta stante oppure scappare lontano. Optò per un'altra quasi-menzogna.
« In questo modo mi offende, detective Tsukino. Ci sono alcuni colleghi che vedono solo il lato professionale ed economico della loro relazione coi pazienti, io personalmente amo seguire i miei molto da vicino e tendo a sostituirmi quasi alla figura di un amico, per loro. » Omise di dirle che per i vicini di casa del detective faceva di norma più eccezioni alla regola che per gli altri, non era poi così rilevante.
Usagi lo guardò di traverso. 
« Io la conosco e lei sta mentendo, dottor Chiba. »
« Io non l'ho mai vista prima, detective, come può conoscermi? » Si ripromise di darsi ottocento frustate non appena fosse tornato a casa, per ripulirsi l'anima da quell'orrida bugia. O forse avrebbe evitato le frustate sostituendole con qualcosa di equivalente, tipo prestare la sua moto a Motoki.
« So solo che la conosco. » Perfino Usagi si stupì un po', mentre lo diceva. « E lei non ha mai saputo mentire. » Allungò l'indice e lo portò sotto il mento di Mamoru Chiba, sollevandolo un po'. « Provi a guardarmi negli occhi, la prossima volta che mente. Lei ieri era a casa mia e ha fatto del male alla signora Kayashi, oppure ha semplicemente omesso di soccorrerla, che per voi medici è un po' la stessa cosa, no? »
Maledetto giuramento di Ippocrate.
« Usagi, ma insomma, perché lo torchi in questo modo? Abbiamo cose più serie a cui pensare in questo momento! Hai sentito le sue spiegazioni, e personalmente non vedo perché accanirsi su un medico che non c'entra niente con il nostro caso. Sali in macchina e andiamocene. »
Usagi guardò Mamoru per l'ultima volta. Mamoru provò un bisogno irrefrenabile di baciarla. Oh, al diavolo.
« Non so chi lei sia esattamente, dottor Chiba, ma lo scoprirò. »
Usagi si voltò lentamente e raggiunse Rei in macchina, con uno strano peso sul petto.
Mamoru giocherellò un attimo con un solitario da 18 carati che teneva - ormai sempre - in tasca. Forse avrebbe dovuto attendere qualche mesetto in più del previsto, prima di darglielo, o nella prossima radiografia gliel'avrebbero trovato incastrato nell'esofago, per mano del detective Tsukino.

Quando Rei e Usagi arrivarono in ufficio, insieme ad Ami e Makoto trovarono anche Minako: anche per quel giorno il suo giro di consegna di curricula vitae doveva esser terminato.
« Usagi! Rei! » le salutò tutta felice, mentre Ami e Makoto continuavano a rimandare indietro la registrazione, con facce sempre più distrutte. « Stiamo riguardando per la centesima volta questo video di John Doe, » sbuffò « sarebbe stato quasi più divertente fare le pulizie a casa nostra. »
« Minako, le abbiamo fatte ieri, siamo a posto per le prossime due settimane. »
« Vero, ma non ho molto altro da fare. Anche stamani ho dormito un sacco in più di te! »
« Infatti ti odio. Quando sono uscita alle 6.45 non ho neanche provato ad aprire la tua porta, non volevo vederti avvolta in un baco di coperte e invidiarti per tutto il resto della giornata. »
« Insomma, avete scoperto qualcosa? » tagliò corto Rei. « Noi abbiamo trovato un boomerang. »
« Un boomerang? » Minako scoppiò a ridere.
« In effetti, Usagi... un boomerang? » le fece eco Makoto, distogliendo per un secondo lo sguardo dallo schermo.
« Era impresso sulla parete, come fosse una bruciatura... era un solco molto profondo » chiarì Usagi pensierosa.
A quel punto Ami si alzò, con uno sguardo un po' enigmatico.
« Basta, non vedremo mai niente. » Spense bruscamente il monitor.
« Dai, Ami-chan, non ti abbattere... » provò a consolarla Minako, ma venne freddata in un attimo.
« Non mi sto scoraggiando, Minako, al contrario. » Le altre alzarono gli occhi, curiose. « Non vedremo niente perché abbiamo a che fare con gente invisibile. »
Makoto le tastò la fronte, aspettandosi di trovarla in fiamme.

« Non sto delirando. Qualcuno ci sta confondendo di proposito. Abbiamo tutti il mal di testa, dopo la visione di questi video, e non solo noi, meno abituate a stare di fronte a un monitor. Hanno il mal di testa tutti. Ci sentiamo strani tutti, confusi, inebetiti. È come se fossimo vittime di un'allucinazione collettiva. E poi... un cadavere (perchè era un cadavere!) con una temperatura corporea pari a quella di un gatto... che poi sparisce apparentemente da solo dopo aver subito un'autopsia! Abbiamo a che fare con qualcosa di strano, questa volta. Dobbiamo scoprire a che cosa sono legati quei cristalli, e ritroveremo sicuramente anche John Doe. Ma non sarà un'indagine normale, su questo potete giurarci. »
Usagi si grattò la testa, perplessa, però assentì, Rei e Makoto erano passate direttamente alla fase di armamento, Minako era preoccupata.
« Dobbiamo localizzare gli altri cristalli facenti parte di questa serie. Il ladro, o quello che è, li ha sicuramente presi di mira, magari tutti insieme potrebbero valere una fortuna. »
« Altri cristalli...? » chiese Minako, confusa.
« Sono stati presi un Red, un Orange e uno Yellow Crystal » chiarì Ami. « Ce ne saranno sicuramente altri quattro, non pensate anche voi? »
Usagi prese le redini della situazione, e decise per tutte. « Ami, scovali. Rei e Makoto, organizzate delle squadre di sorveglianza e speditele ovunque si trovino questi cristalli. »
« Posso darvi una mano anch'io, in veste non ufficiale, ovviamente. Basta chiedere » si offrì Minako.
« Grazie, Mina-chan, ma potrebbe essere pericoloso, per cui non ti preoccupare. Puoi dare una mano ad Ami con la ricerca, se vuoi, però, i database della polizia sono molto più forniti di una semplice ricerca su Google. »
« Vedo con piacere che vi siete svegliate, scansafatiche. » Luna era appena entrata, come al solito senza annunciarsi. « Adesso vorrei qualche spiegazione sul vostro John Doe, già che ci siete. »
Si sentì un tonfo. Ami era svenuta.

John Doe, da qualche parte nei meandri della Terra, sogghignò. Quella maledetta sadica che l'aveva squartato come un maiale doveva aver battuto una bella testata, quando era piombata a terra, e ciò gli procurava una certa gioia. Ovviamente quella testata era nulla in confronto a ciò che le avrebbe fatto lui una volta che l'avesse avuta fra le mani, ma per il momento si poteva accontentare.
Adesso aveva però fra le mani qualcosa di molto più prezioso, qualcosa che avrebbe fatto risparmiare qualche agente di sorveglianza all'Ufficio di quelle oche. Il Violet Crystal e l'Indigo Crystal gli erano costati una fortuna in termini di chilometri (valli a trovare tu due cristalli delle dimensioni di una prugna in Groenlandia e in Cile), ma erano stati una conquista tutto sommato semplice. Invece, in Giappone era evidente che avrebbe faticato il triplo, e almeno una ragione era lì in quell'Ufficio che stava monitorando.
Si massaggiò lievemente il torso, dove un taglio drittissimo e precisissimo distingueva ancora due metà perfette. Chissà cosa sarebbe successo a un umano qualunque con una ferita del genere: era deciso a scoprirlo non appena si fosse armato di uno di quei coltellini da sadici usati da Mizuno-san, sperimentando direttamente su di lei.
Fu in mezzo a quei pensieri che si sentì chiamare col suo vero nome dall'altro antro, perciò mollò la sfera, interrompendo la sorveglianza: certa gente era meglio non lasciarla ad aspettare...
...Soprattutto se ci si era appena lasciati soffiare il Yellow Crystal proprio sotto il naso. E nello specifico da una Senshi.








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