La Verità sul Caso Crystal di Morea (/viewuser.php?uid=92264)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 1 *** Uno ***
Nuovo
Contando
quella attualmente in corso, era a quota ottocentotrentasette sfuriate,
cinquecentoventisei avvisi di licenziamento, trecentosessantuno
promesse di ferite gravi e diciotto minacce di morte.
In
realtà il conto non l'aveva tenuto lei, la matematica non
era
mai stata il suo forte e neanche la memoria aveva mai giocato
a
suo favore, ma Ami Mizuno non faceva che imbrattare di palettini
il fido quadernino azzurro che teneva sempre a portata di
mano, vicino
alla testa del suo ultimo cadavere. Nella foga di segnarsi la
diciannovesima minaccia di morte ai danni di Usagi Tsukino aveva
persino rischiato - e solo rischiato, perché Ami era
meticolosa
ed ordinata perfino nei suoi impeti di entusiasmo - di strappare una
ciocca di capelli biondi all'uomo disteso sul tavolo settorio: aveva
però inchiodato in tempo e preso la penna allungando un poco
indice e medio, evitando così di colpire in piena faccia il
suo
nuovo arrivato con un pugno che di certo non avrebbe sentito. Mentre si
destreggiava nel tenere in equilibrio la penna solo con due dita, Usagi
le lanciò un'occhiata di fuoco, alla quale lei rispose
imbarazzata.
Con
ottocentotrentasette sfuriate, cinquecentoventisei - no!,
cinquecentoventisette in quel preciso momento - avvisi di
licenziamento, trecentosessantuno promesse di ferite gravi e diciannove
minacce di morte sulle spalle, Usagi sospirò: Luna sapeva
essere
così insostenibile, a volte. A sentir lei, sembrava che il
loro
distretto di polizia fosse il peggiore dell'intera Tokyo, anzi
del'intero Giappone, macchè!, del mondo, e
sono sicura che se là fuori esistessero altri distretti di
polizia su altri pianeti o nello spazio siderale, saremmo peggiori
anche di quelli! Usagi, come ogni giorno, provava a
ricordarle
che non era colpa di nessuno se il ladro con cui avevano a che fare non
dava segni di cedimento: mai un'impronta, una sbavatura, un testimone.
Aveva sguinzagliato le sue sottoposte più fidate alla
ricerca di
ogni sorta di indizio, ma Rei Hino non faceva che incenerire i suoi
appunti al termine di ogni giornata - lei sosteneva di usare un
accendino
portato appositamente per le delusioni, un sempre più
atterrito
Yuuichirou Kumada era pronto a giurare di fronte all'imperatore che
alla sua collega bastava guardare
i foglietti che l'avevano contrariata perché questi
prendessero
inspiegabilmente fuoco da soli - e Makoto Kino prendeva semplicemente a
calci ogni cosa che si frapponesse fra lei e la strada più
corta
per tornare a casa, mentre chiunque la sfiorasse dopo l'ennesima
sequela di insuccessi saltava letteralmente dall'altra parte del
corridoio, come respinto da un campo magnetico avverso.
Ami
Mizuno, nel frattempo, sezionava placidamente cadaveri. Aveva di
nuovo rischiato di urtare malamente la sua salma dopo la
trecentosessantaduesima promessa di ferita grave di Luna,
così
per scusarsi aveva rassettato il suo povero morto bistrattato. Il
cartellino con su scritto John
Doe penzolava pigramente dal suo alluce.
«
Non capisco perché diavolo Luna mi debba torchiare
sempre in obitorio » brontolò Usagi, mentre si
impegnava
per raschiar via l'anima del morto dalla sua pelle. Ormai lavorava
all'Ufficio Investigazione da qualche anno, ma non riusciva a non
provare empatia per ogni vittima che le passava fra le mani: la doccia
subito dopo ogni sua visita all'obitorio, oppure dopo il ritrovamento
di qualche cadavere sospetto sparso per Tokyo, era obbligatoria e
salvifica, e di certo il comportamento poco naturale della sua
coinquilina in queste situazioni non la aiutava a soffrire di meno per
quella morte che incontrava così spesso.
«
Hai finitoooooooo? » sbraitò Minako Aino,
sicuramente
barricata nella stanza più lontana dal bagno comune.
« Guarda che se puzzi di morto ti sbatto fuori di casa!
»
«
Non puoi sbattermi fuori di casa, Minako, il contratto l'abbiamo
firmato insieme e paghiamo l'affitto in parti uguali! Anzi, in
realtà... »
«
Okay, okay, okay, bla, bla, bla... »
Usagi
continuò a insaponarsi, a metà fra il divertito e
il corrucciato: la sua migliore amica ultimamente non se la passava
benissimo, dal punto di vista economico. Il fatto che lavorasse proprio
nella prima gioielleria presa di mira dal misterioso ladro non aiutava:
era sparito quell'unico Red Crystal, mentre diamanti, perle e catene
d'oro erano rimasti intoccati ai loro posti, e lei era divenuta la
principale sospettata del furto, in quanto unica persona presente al
momento dei fatti. Non c'erano prove tangibili contro di lei - le
telecamere a circuito chiuso la mostravano prima intenta a vendere ad
un cliente un anello di fidanzamento, poi pigramente abbandonata su uno
sgabello in un momento di calma e infine lunga stesa a terra, come
fosse stecchita. Tutto questo senza una diamine di interruzione: la
sequenza in cui Minako si accasciava al suolo era stata studiata in
ogni dettaglio da Usagi e tutto il suo reparto, eppure l'unica cosa che
si riusciva a vedere era il cristallo scomparso che prendeva, usciva
dalla sua teca allarmata e si allontanava da solo,
fluttuando nell'aria. Tutte le volte in cui il nastro veniva mandato
indietro, rivisto e poi riavvolto, l'intero Ufficio Investigazione era
sempre più inebetito e confuso da quella scena, e tutti
finivano
per avere un fastidioso mal di testa che si estingueva da solo qualche
minuto dopo. Nessuno, però, riteneva questo fatto
particolarmente degno di nota: sicuramente rivedere quegli spezzoni
dieci volte all'ora poteva non essere esattamente piacevole per la
vista ed il cervello.
Fatto
sta che la direttrice della gioielleria - molto scettica di
fronte alla storiella di un cristallo che svolazzava fuori dal suo
negozio - aveva suggerito
a
Minako di dare le dimissioni. Usagi aveva provato invano a convincerla
a non farlo: la sua datrice di lavoro non poteva allontanarla per
qualcosa che non aveva commesso, e poteva appellarsi a qualunque
articolo e cavillo del Codice per mantenere il suo posto di lavoro
indeterminato. Minako, però, aveva accolto l'invito: non
riusciva a non sentirsi responsabile per ciò che era
accaduto, e
per non saper neanche raccontare agli inquirenti i dettagli di quel
pomeriggio, come se avesse dormito tutto il tempo. Usagi alla fine
aveva desistito, se hai
un cuore troppo grande e ami il prossimo più di
quanto ami te stessa, io non so proprio che fare, e
Minako aveva sorriso triste, rientrando seduta stante nel favoloso
mondo dei disoccupati. Adesso frugava febbrilmente la sezione delle
offerte di lavoro su ogni quotidiano: se non altro, il suo
licenziamento spontaneo le era valso delle buone referenze, che
sicuramente le avrebbero fatto comodo nella ricerca di un nuovo
impiego. Certo, questo se nessuno dei suoi potenziali nuovi datori di
lavoro avesse notato la coincidenza di date fra il furto e le
dimissioni... che lei avrebbe cercato di nascondere il meglio che
poteva.
«
Che voleva stavolta Luna? »
«
Il solito » mugugnò Usagi mentre tamponava l'acqua
che le
impregnava i capelli con un asciugamano più grande del
normale, ricamato da sua madre Ikuko. Non essendo mai riuscita a
convincerla a
tagliarli, la donna era dovuta correre ai ripari, cucendole un servizio
di asciugamani extra-large che non lasciassero sfuggire neanche una
doppia punta: quando viveva ancora a Juuban lo faceva principalmente
per non far buscare alla figlia un raffreddore e alle piastrelle del
suo pavimento un allagamento da incubo, adesso che Usagi aveva
abbandonato il nido continuava a produrre ricami a ritmi industriali
cosicchè almeno un paio di volte al mese potesse avere una
scusa
buona per visitare la sua bambina. Al momento, Usagi aveva ventinove
anni e qualcosa come centosettantadue asciugamani (e non era sposata,
che non c'entrava niente, ma sua madre glielo ricordava sempre). La
stima esatta, firmata Ami Mizuno, teneva conto anche di quelli che
avevano riportato ferite di guerra in seguito a stirature maldestre e
quelli che Usagi regalava a Natale alle sue quattro amiche
più
care. Una domenica su due un nuovo palettino si univa agli altri nel
quadernino azzurro: essendo il giorno libero della dottoressa, nessun
cadavere rischiava - e solo
rischiava! - urti o tagli postumi.
Da
qualche parte a Juuban, Mamoru Chiba si rigirava fra le dita un
solitario da 18 carati. In realtà stava ripetendo i soliti
esercizi che faceva da anni per allenare le sue mani da chirurgo, con
l'unica variante di avere qualcosa come 75000 yen sulla punta del
medio.
Dal
giorno prima fissava quel diamante, indeciso sul da farsi: l'aveva
poggiato prima sul comodino, dopo sul futon, poi sul piano cottura,
infine sul tavolo dove pernottavano le sue chiavi di casa, subito
accanto alla porta, ma era giunto alla conclusione che non stesse bene
da nessuna parte. Allora aveva cominciato a esercitarsi.
«
Mi vuoi sposare? » si chiedeva di fronte allo specchio,
inginocchiato davanti all'armadio.
L'altro
Mamoru, dentro il vetro trattato, era un po' imbarazzato e non si
decideva mai a dir di sì, così tutte le volte che
Chiba-due rifiutava, l'anello cambiava posto. Quella notte
dormì nel terriccio di un ficus, mentre Mamoru, essendo
sabato sera, pensò bene di folleggiare leggendo un articolo
recentissimo sui nuovi ritrovati chirurgici per l'asportazione della
cataratta.
Motoki
Furuhata, che col suo migliore amico condivideva solo l'età
e la passione per le moto, pensò bene di attaccarsi al
campanello per farlo scendere nel giro di cinque minuti. Era
più o meno sicuro che stesse leggendo qualcosa di
insostenibile sul trattamento delle emorroidi, e non poteva tollerare
il fatto che da qualche parte della città ci fossero delle
gnocche a piede libero senza che lui potesse rimorchiarle. Mamoru non
era interessato alla merce, ma la logica maschile prevedeva la presenza
di una spalla, di un braccio destro, o direttamente di un intero corpo
umano funzionante in ogni sua parte per sostenere un manzo nelle sue
missioni di conquista, così Chiba si poteva benissimo
attaccare al ca...sco della moto, vestirsi appena decentemente e
seguirlo, anzi accompagnarlo, dato che lui era in riserva da circa tre
settimane.
Quando
il suddetto Chiba si affacciò dal balcone con addosso una
felpa, un paio di boxer e degli zoccoli modello-nonno-di-Heidi, Motoki
si sentì male, imprecò sottovoce e
salì nell'appartamento col casco sottobraccio. Anche quella
sera le gnocche rimasero al sicuro nelle loro postazioni sparse per
Tokyo, il fascicolo sulla cataratta (già letto e
sottolineato) venne posato su un divanetto, Motoki e Mamoru si
addormentarono di fronte a un film. Quella sera avevano
tentato di guardare Iron
Man, ma avevano cominciato a russare già prima
che Tony Stark riuscisse a finire la sua armatura.
Qualche
isolato più in là, a casa Kino, cinque ragazze
dormivano pesantemente con addosso improponibili pigiami con
orsacchiotti, conigli e pecorelle. In realtà quattro stavano
dormendo, la quinta si stava scervellando in sogno: Ami Mizuno non era
il tipo che rimanesse volentieri indietro con le sue mansioni,
soprattutto perché bastava un minimo ritardo per saturarle
tutti i cassetti scorrevoli dell'obitorio, e okay che non si trovava
poi così male in mezzo a quel ghiaccio e alle bolle di
nebbia che scoppiettavano non appena scongelava momentaneamente un
cadavere, ma c'era un limite al disordine, perbacco! Così
aveva pian piano imparato ad addomesticare la sua vena onirica, in modo
che lasciasse spazio alla fase REM solo dopo aver ripercorso
rapidamente ma con abbondanza di dettagli tutti gli avvenimenti e le
analisi del giorno. Usagi aveva riassunto questo procedimento con una
parola, ouch.
E non perché avesse effettivamente senso in relazione a
tutto ciò, ma perché l'unica reazione che era
riuscita ad avere di fronte al racconto sulle abitudini dell'amica era
stata il portarsi le mani fra i capelli. In realtà prima di
questo gesto si era schiaffeggiata la fronte, scuotendo la testa, ma la
combinazione di movimenti le era uscita male e si era cacciata un dito
nell'occhio, da qui il famoso ouch.
Comunque, mentre Ami ouchava,
cacciò un'imprecazione nel dormiveglia.
Normalmente
Minako ed Usagi non si svegliavano neanche con una cannonata
precisamente indirizzata sul timpano, ma quella volta scattarono sul
futon, addirittura prima di Rei e Makoto: Ami aveva detto una
parolaccia, e questo poteva solamente significare che il mondo stava
per finire e che dovevano salutarsi con le lacrime agli occhi prima che
fosse troppo tardi.
Ami
le fissò imbarazzata, sebbene fosse ancora un po' in trance.
Poi mandò tutto al diavolo, e parlò.
«
John Doe non è morto per cause naturali. »
«
Ha avuto un infarto? » chiese la bocca impastata di qualcuna.
Ami
scosse la testa. « Non aveva malattie, alterazioni dei valori
del sangue, segni di patologie letali. Non ha avuto un ictus,
né un infarto, niente di niente. »
«
Vuoi dire che l'hanno... ammazzato? » chiese Usagi con le
mani sulla bocca. Poi si ricordò di essere responsabile
dell'Ufficio Investigazione, dunque si rese conto che non stava proprio
bene reagire come una bambina impaurita a una possibilità
del genere. Le sue amiche comunque, ormai troppo abituate, non ci
fecero troppo caso.
«
Non ci sono segni di arma da fuoco, nè di coltellate,
né tracce di veleno di alcun tipo. Non è
affogato, non è stato strangolato, non è stato
colpito, non è stato bruciato. »
«
Ma allora... deve essere morto per cause naturali! Perché
dici di no? » esclamò perplessa Makoto, che ci
teneva particolarmente a tagliar corto per dormire le tanto agognate
dodici ore della notte fra sabato e domenica.
Rei
però sapeva già cosa stesse per dire. Anzi, a
dire il vero non lo sapeva, ma se lo sentiva. In effetti aveva
percepito qualcosa di strano, quando era passata a portare dei
tramezzini alla dottoressa Mizuno...
«
È caldissimo, ragazze. »
Usagi
avrebbe avuto qualcosa da obiettare, dato che quell'anno l'inverno non
stava essendo esattamente mite, ma si autocensurò in tempo,
capendo.
«
Un morto... caldo? »
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Capitolo 2 *** Due ***
Nuovo2
Si svegliò prima Mamoru, come al solito, perché a
quell'ora una corsetta per settecento-ottocento isolati non gliela
toglieva mai nessuno. O forse perché aveva un piede di
Motoki
particolarmente vicino al naso (dovevano smetterla di crollare
addormentati sul divano ad angolo, soprattutto se dimenticavano ogni
volta di mettersi d'accordo sulle posizioni da tenere per la notte).
Erano le cinque del mattino, era appena febbraio, e quella che Mamoru
amava chiamare "brezza" aveva le fattezze di una tempesta di neve,
mentre il buio non aveva ancora lasciato spazio all'alba. Poco male,
pensò, mentre qualche minuto più tardi varcava la
soglia
del bagno, senza far rumore.
Accese la luce e vide che tutto era al suo posto, come l'aveva lasciato
la sera prima. Forse Motoki aveva imparato a non frugare in ogni angolo
come l'impiccione che era - o forse, realizzò con una punta
di
delusione, non aveva avuto il tempo materiale di visitare il bagno,
essendosi addormentato prima di poter percepire un qualsivoglia stimolo.
Mentre lo scroscio della sua pipì riecheggiava nella quiete
del
mattino, si disse che non poteva star dietro alla ficcanasaggine
dell'amico, barricandosi in casa. E comunque, Motoki non avrebbe
trovato niente, non c'era motivo di preoccuparsi. A chi sarebbe mai
venuto in mente, di domenica mattina, di infilare una mano dentro un
vaso colmo di terra? Così finì quello che stava
facendo,
si dette una rinfrescata rapida, si disfece dei boxer indossando un
paio di slip - si era scordato una sola volta in tutta la vita di
quest'operazione e aveva passato le ore successive a maledire quel
dondolio fastidiosissimo e a correre più veloce che
poteva, tornando comunque a casa con tutte le palle
indolenzite -
e uscì dal bagno in felpa e mutande. Gli bastò
aggiungere
all'insieme un paio di pantaloncini (sì, era febbraio,
sì, erano le cinque e un quarto, sì, stava
nevicando) e
delle scarpe che parevano nuove di pacca, e fu pronto per uscire. Come
al solito nascose le chiavi di casa nella cassetta delle lettere (non
aveva mai brillato per inventiva, per questo quando aveva pensato al
ficus come nascondiglio perfetto si era stupito di se stesso) e
andò incontro alla tormenta.
Il tempo di svoltare l'angolo e un gatto particolarmente nottambulo o
particolarmente mattiniero lo vide balzare su un tetto.
Qualche ora più tardi, ad Ami parve di vedere un'ombra
rapidissima passare di fronte alla finestra della cucina di Makoto.
Pensò che fosse tutta suggestione, dopotutto ripassando il
suo
tomo preferito sulle Autopsie - che portava sempre in borsa, dato che
dopo ogni pigiama party a casa Kino era comunque la prima a svegliarsi,
qualche ora prima del resto delle partecipanti - non era difficile
sentirsi gli occhi di tutti i serial killer del mondo puntati addosso,
o se non altro una semplice Morte Naturale appropinquarsi
inesorabilmente. Si controllò il polso, verificò
con il
dorso della mano la temperatura della sua fronte, e decise che non era
nè morta, nè aveva la febbre (sì, la
peggiore
ipotesi era la seconda, dato che ogni volta le impediva di concentrarsi
sul proprio lavoro o studiare). Allora era facile, aveva fame.
Tornò nell'altra stanza, dove Rei cominciava a rigirarsi nel
letto inquieta, come chi sta per dire addio al proprio sonno, e
cominciò pian piano a scuotere tutte le sue amiche, perché erano le nove.
Minako disse qualcosa di irripetibile, Usagi neanche si mosse, Rei si
arrese e si alzò davvero, Makoto tentò di
nascondersi
sotto il cuscino.
A quel punto però fu Minako a far alzare definitivamente
tutte,
con un urlo talmente penetrante che svegliò perfino Usagi.
Rei
balzò in piedi, come fosse pronta a far fuoco, Makoto
assunse
una delle sedicimila posizioni di arti marziali che conosceva, Ami
impugnò il piatto più vicino che aveva trovato,
pronta a
confondere l'intruso con una torta in faccia. Al che Minako
tirò
un altro strillo, questa volta perché quella torta era
destinata
ai loro stomaci appena svegli, e perché Makoto aveva fatto
la
sua preferita, quella con sette miliardi e mezzo di calorie.
Usagi, che con un po' di ritardo aveva capito la situazione, si
lasciò ricadere sul cuscino, portandosi le mani sulla
faccia.
«No, non può essere, di già...
»
Minako annuì con la morte nel cuore. «È quella domenica,
Usako. »
Makoto imprecò, dato che anche quella domenica le avrebbe
dovute tirar fuori dagli impicci. «Carne o pesce?
» chiese.
Usagi e Minako corsero ad abbracciarla e baciarla, prima di sequestrare
la torta per intero e promettendo a Rei - che stava per cavar loro gli
occhi - che nel pomeriggio sarebbe potuta passare assieme alle altre
per mangiarne a volontà.
Poi si rivestirono come meglio poterono e arrotolarono i loro
materassini, più o meno scaraventandoli nell'armadio.
Urlarono,
già mezze fuori dalla porta, che sarebbero ripassate a
prendere
il cibo verso le undici e mezzo, poi corsero a perdifiato nella neve,
rischiando di far fare una settantina di capriole alla torta che
portavano a turno.
Appena arrivate a casa la tirarono nel frigo e poi si divisero le
faccende da fare, impugnando scope e spazzoloni come scettri di potere.
Quel giorno sarebbe arrivata la Generalessa Ikuko, e con lei un
asciugamano nuovo. E a Ikuko non piaceva constatare che la figlia
vivesse nel disordine e non sapesse cucinare neanche un uovo sodo (chi
pensi che ti sposerà, cara, se non impari neanche a rifare i
letti con gli angoli come ho provato a insegnarti per ventinove anni di
fila?).
Mamoru su questo un'idea ce l'aveva, mentre osservava le due bionde
zampettare con scarpe decisamente inappropriate su quei 10 cm di coltre
bianca che coprivano le strade di Tokyo. Certo, ci sarebbero state
alcune differenze da
appianare. E di certo, conoscere il nome della sposa non avrebbe
guastato affatto. E dire che gli sarebbe bastato talmente poco per
scoprirlo... Così decise, la prossima volta si sarebbe
trattenuto, giusto un po'.
«Bene,
Usagi, fammi vedere i colletti delle tue camicie »
sentenziò la Generalessa, mentre spalancava di soppiatto il
ripostiglio. Minako si frappose in un istante fra Ikuko e il resto
del ripostiglio, quello che non avevano avuto il tempo di sistemare:
nel range visivo della donna rimanevano dunque solamente un'asse da
stiro profumata di fresco e una mensolina tutta precisa con delle
camicette perfettamente inamidate.
Quello che avrebbe potuto
intravedere con la coda dell'occhio, se Usagi non si fosse arrampicata
su un modesto scaleo per raggiungere la madre in altezza, l'avrebbe
gettata nel panico: un quadro penzolava sinistramente, dato che
l'ex-chiodo in alto a destra era stato adoperato per sistemare alla
bell'e meglio la situazione dell'orologio appeso al muro sopra il
tavolo da pranzo, dal ruolo molto più strategico per la pace
familiare e del Giappone intero, l'armadio delle scarpe era totalmente
a soqquadro, con cassetti semi-aperti e orli di magliette che facevano
capolino da ogni pertugio, ma soprattutto la bellissima aspirapolvere
modello Deluxe e l'asciugatrice for-mi-da-bi-le che la famiglia Tsukino aveva
donato alla causa (persa) della figlia e della coinquilina... semplicemente non c'erano. Come
amava ricordare Usagi, non era colpa di nessuno se quando le aveva rese
indietro al centro commerciale le avevano ceduto in cambio un buono
acquisto in grado di coprire le spese per quella piastra e
arricciacapelli che lei e Minako avevano adocchiato da un sacco di
tempo. E per uno schermo LED di ultima generazione. E - okay - per quel
videogioco appena uscito che rendeva così tanto bene su uno
schermo ad alta definizione ultimo modello. E - va bene, va bene! - per
due paia di scarpe che erano
troppo carine per lasciarle lì.
Comunque, anche quella domenica
andò bene. Semplicemente perchè il quadro ebbe il
buonsenso di staccarsi definitivamente dal muro nell'esatto momento in
cui Usagi si sbattè la porta alle spalle, nell'uscire. Le
guarnizioni della porta scorrevole, un po' usurate, garantirono una
copertura acustica deliziosa, complici. Minako si appuntò
mentalmente di non cambiarle per i successivi tre o quattro secoli.
«
Sentiamo questa tempura » borbottò la Generalessa,
mentre
si beava degli ultimi sentori di verdure grigliate che Mako-ehm, Usagi
aveva speziato al punto giusto.
Minako, che aveva appena finito di riscaldarla (un filino, come aveva
intimato Makoto), la portò tutta felice in tavola, dato che
era
l'ultima portata prima del dolce e prima che la famiglia Tsukino
abbandonasse il campo di battaglia.
Mentre
Kenji sgranocchiava tutto contento qualche pesciolino dorato, dietro la
porta sul retro si materializzò un uomo alto e ben
proporzionato: cercò subito qualche spiraglio che gli
permettesse di sbirciare all'interno della casa ma, non trovandone,
appiccicò il padiglione auricolare alla serratura,
inginocchiandosi per terra. Fu però l'altro padiglione
auricolare, quello non sulla via del congelamento per il contatto col
metallo, che fu particolarmente sollecitato nell'attimo successivo.
« Dottor Chiba!
»
Fu in quell'attimo che, nell'ordine, desiderò morire, si
alzò di scatto e con una capocciata urtò la
maniglia
della porta (che sì, non era chiusa a chiave, e quindi si
spalancò). La vecchietta che l'aveva salutato con tanto
entusiasmo corse immediatamente ad aiutarlo, la stessa vecchietta che
si ritrovò in breve tempo distesa a terra, con una gran
confusione in testa e con la faccia perplessa di Usagi a chiederle
perché avesse tentato di introdursi in casa sua.
La
signora Kayashi, da qualche tempo sempre più convinta di
aver
perso qualche rotella, decise seduta stante di fare testamento e
rinchiudersi in una casa di riposo, dato che non sapeva minimamente
come rispondere a quella domanda.
L'esimio chirurgo Chiba, che aveva appena tramortito la propria
paziente semplicemente prendendole la testa fra le mani,
giurò
di farle cambiare idea non appena si fosse ripresentata da lui per il
classico controllo di routine, e nel frattempo corse più
veloce
che potè sui tetti di Juuban. In fondo sarebbe dovuto
scappare
comunque, mancavano solo quindici minuti al risveglio di Motoki.
Quando Usagi ebbe rassicurato la signora Kayashi e l'ebbe
riaccompagnata a casa, Minako aveva già portato tutte le sei
tonnellate di dolce in tavola, sperando che fosse sufficiente a
distogliere l'attenzione degli Tsukino dall'attentato terroristico ai
danni della figlia. In realtà Ikuko aveva un sopracciglio
pericolosamente alzato, Kenji era a un passo dallo scattare in piedi,
Shingo giocherellava nervosamente con un bicchiere.
«
Cosa. Diamine. È. Successo. »
proferì
lentamente Ikuko, prendendo fiato fra una parola e l'altra.
Usagi sbiancò. «
Una nostra vicina di casa deve essere svenuta, ha invocato il nome di
un certo Dottor Chiba, sarà il suo medico di fam...
»
« Mamma,
papà, Usagi, mi sposo. »
Usagi risbiancò, mentre si voltava molto lentamente verso il
fratello. Shingo era in piedi, con i pugni appoggiati sul tavolo da
pranzo, le nocche pallidissime e la voce rotta.
« Devo aver capito
male. »
« Ha detto che si
sposa. »
« Non può
averlo detto veramente, Ikuko. »
« Ti dico di
sì, Kenji! Ridiglielo, Shingo, su. »
« TI SPOSI PRIMA DI ME?!
»
Negli istanti successivi Shingo pigolò qualcosa su una
ragazza tanto carina che l'aveva folgorato in un così breve
tempo...
« Grazie,
Shingo-san, continuo da sola. »
Tutti si voltarono verso colei che aveva appena parlato, e che
probabilmente era entrata dalla porta sul retro che non voleva proprio
saperne di star chiusa (in realtà Usagi era convinta di
averla chiusa a chiave dopo l'intrusione della signora Kayashi, ma...).
« Piacere
» continuò la ragazzina, per niente turbata dal
modo in cui gli occhi di Ikuko lampeggiavano e tentavano di fuggir
fuori dalle orbite.
« Il p-piacere
è mio... » azzardò Kenji, prima che la
moglie gli schiaffeggiasse con veemenza la mano che aveva allungato in
segno di saluto. Kenji capì che incontrare la futura nuora
non doveva essere un piacere, evidentemente, e montò una
sorta di grugno cattivo - anche se in realtà un angolo della
bocca non riusciva a non tremolare, incerto. Usagi, in tutto questo,
stava rapidamente facendo un conto degli spiccioli di vita fertile che
le rimanevano, delle prospettive di zitellaggine e di incontri amorosi
con altri pensionati ed ex forze dell'ordine, e dei soldi che avrebbe
dovuto investire in creme al collagene o effetto lifting. Minako era
scappata in cucina e si era accasciata in terra per il troppo ridere.
« Nome »
chiese Ikuko senza l'ombra di un punto interrogativo.
« Hotaru »
si sentì rispondere. « Hotaru Tomoe.
»
|
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Capitolo 3 *** Tre ***
Tre
L'esistenza
del lunedì mattina era qualcosa che Usagi non riusciva
ancora ad
affrontare con la dovuta calma, soprattutto quando assumeva le
sembianze di Rei Hino e della pila di documenti e fotografie che le
stava scaricando sulla scrivania. Rei aveva inoltre l'assurda
capacità di ringhiare, quando qualcosa non andava per il
verso
appropriato, e in quel momento assomigliava un po' a un drago, mentre
fiammelle vermiglie le illuminavano gli occhi indemoniati.
Quella mattina qualcuno si era alzato col piede giusto, invece. Lo
stesso qualcuno apparentemente tanto reattivo e vigile in un giorno
così infausto da essere in grado di svegliarsi
compostamente,
indossare il suo miglior passamontagna e scassinare a regola d'arte una
porta blindata sei volte. E lo stesso qualcuno che non compariva in
nessuno dei fotogrammi isolati da Hino-san; in compenso, lo Yellow
Crystal compariva eccome, nella sua teca trasparente. Almeno fino a
quando, semplicemente, non
c'era più.
Luna, a una porta di distanza, stava dando in
escandescenze. Stiamo
perdendo tempo, banda di smidollate,
ripeteva all'infinito e senza neanche un vero e proprio pubblico, dato
che Makoto si stava scroccando le dita seduta alla sua scrivania,
mentre Ami era da qualche parte nel suo Ade personale. Usagi invece
fissava quelle foto, senza capire: le pareva di vedere qualcosa, ma non
sapeva minimamente cosa.
« Chiama le altre, andiamo a fare un sopralluogo
» deliberò, impostando contemporaneamente
l'indirizzo della gioielleria rapinata sul suo navigatore.
Rei annuì con uno scatto e sparì, mentre in
lontananza Luna continuava a sbraitare iononsopiùchediaminefareconquesteragazzineaddormentate
e qualcun altro, apparentemente concorde, sospirava. Era una voce -
cioè, uno sbuffo - maschile che Usagi non aveva mai sentito
prima, perciò uscì dal suo ufficio e si
affacciò curiosa in quello della sua superiore.
Luna, che stava fissando il
monitor del computer, completamente sola, la sbattè fuori
con un etuchediaminevuoi,
sparisci!
Usagi pensò bene di eseguire gli ordini, anche
con una certa solerzia. Mentre percorreva il corridoio con lunghe
falcate, quasi si schiantò contro tre ragazze, dietro il
primo angolo: tanta fu la sua paura di uno scontro che decise di
cascare spontaneamente, ritrovandosi a gambe all'aria e con tre paia di
occhi a fissarla da diverse altezze.
« Usagi, abbiamo un
problema » sentenziò Rei, mentre strattonava Ami
per un braccio.
La dottoressa Mizuno era momentaneamente molto interessata alle
stringhe delle sue scarpe, e non si decideva a parlare.
« Forza, Ami,
diglielo. Smettila di tormentarti, non è colpa tua
» la rassicurò Makoto, materna (non abbastanza
materna da non tirarle un'"amichevole" pacca sulla spalla che
rischiò di farla cadere a sua volta sopra Usagi).
E allora Mizuno-san alzò la testa, stizzita, e fissando un
punto imprecisato sul muro di fronte, parlò.
« Ho perso un
cadavere. »
Seguì un interminabile minuto di silenzio.
« Chi? »
chiese Usagi, dopo essersi lentamente alzata dal pavimento (su cui
avrebbe preferito sostare ancora un po', in effetti).
« John Doe.
»
« Il morto caldo?
»
Ami annuì velocemente.
« È UNO
ZOMBIE?! »
Rei si portò le mani fra i capelli. « Usagi, non
esistono gli zombie... »
« E comunque se
anche esistessero non sarebbe un problema, per me » aggiunse
minacciosa Makoto, tirandosi su le maniche.
« Era vivo... deve
essere stato vivo... ma non è possibile, tutti i parametri
vitali erano assenti! Appena mi sono resa conto dell'anomalia del
calore, sabato sera - sì, voi dormivate già - ho
chiamato la mia assistente, che era di turno in obitorio... e mi ha
detto che era tutto regolare, e che il morto era ancora morto,
nonostante continuasse ad avere una temperatura corporea irregolare.
Beh, mi sono tranquillizzata, mi sono risposta che doveva esserci una
ragione, ma che, dato che era sempre morto morto, questa
cosa poteva aspettare stamani... Mai più
trascurerò il mio lavoro così, mai
più! Vado da Luna a chiederle di togliermi le ferie pagate.
»
Usagi, Rei e Makoto si affrettarono a sbarrarle il passo, afferrandola
perfino per il colletto della camicia.
« Troveremo una
soluzione, Ami-chan » la tranquillizzò Makoto.
Al che Rei aggiunse che di certo non poteva essere andato troppo
lontano, morto com'era.
E Usagi pensò bene di coronare il tutto con: « L'importante
è non farlo sapere a Luna. E poi meglio vivo che morto, no?
» e sorrise felice.
Ami, comunque sicura che non avrebbe mai più chiesto un'ora
di permesso neanche in punto di morte, annuì. « Usagi, io quel
morto l'ho tagliuzzato, aperto, frugato, richiuso... non può
essere vivo, l'ho praticamente ammazzato io! »
« Beh, l'hai
richiuso, no? Non prenderà freddo! »
scherzò Usagi, ma Ami non accennò neanche un
mezzo sorriso.
« Comunque abbiamo le telecamere
di sorveglianza, anche giù. Potremmo dividerci il lavoro.
Makoto, mi aiuti tu? »
« Non ti andrebbe
proprio, ehm » titubò Usagi « di prenderti
Rei... »
L'agente Hino la squadrò come fosse un pesce particolarmente
avariato e puzzolente. « Muoviti, Tsukino.
Andiamo a riprenderci questo cristallo. »
Usagi deglutì. Sarebbe stata una lunga giornata.
Quando arrivarono sul luogo del furto, una notevole massa di curiosi
era già assiepata di fronte alle transenne. Rei si fece
largo fra la folla col suo peggior cipiglio guerrafondaio: tutti si
affrettarono a spostarsi, scottati. Usagi la seguiva elargendo sorrisi,
per ritemprarli un po'. Mamoru, che se ne stava fra un anziano
pensionato con le mani giunte dietro alla schiena e una signora con le
borse della spesa stracolme, si sentì rinascere.
Dentro la gioielleria trovarono il proprietario disperato: era
accasciato su una sedia, con la testa fra le mani umide di lacrime.
Appena le vide si alzò in piedi e corse a stringere i lembi
del bavero della camicia di Rei, strattonandola lievemente. « Dovete ritrovarlo!
Non era neanche assicurato... »
«
Intanto mi tolga le mani di dosso, altrimenti neanche comincio a
cercare. » Il gioielliere si sedette. « Così va
meglio. Adesso ci racconti tutto. »
« Hanno preso solo
quello. Stamani, nonostante fosse il giorno di chiusura, sono venuto
nel mio negozio per fare un inventario. All'inizio neanche mi ero reso
conto dello Yellow Crystal, è un pezzo unico ma è
qui da anni, non sono mai riuscito a piazzarlo e mi è sempre
dispiaciuto tagliarlo... ero talmente abituato a vederlo nella sua teca
che non l'ho controllata fino alla fine del processo. »
« Perché
le dispiaceva
tagliarlo? Ha un valore particolare solo se integro? »
L'uomo corrucciò la fronte. « In
realtà non lo so. »
« Come non lo sa?!
»
« Me lo ha venduto
una strana donna, un sacco di anni fa. Una bella donna, fra l'altro, ma
un po' stupida, perché me l'ha venduto a un ventesimo del
suo valore effettivo. In realtà devo ammettere che
però, per ora, l'unica che ci ha guadagnato è
stata lei. Non l'ho mai tagliato perché... non lo so. Forse
lo taglierò, se lo riavrò. »
« E
perché non l'ha mai assicurato? »
Il gioiellere pareva imbambolato. « Non lo so.
»
« Non sa niente!
» sbraitò Rei, che stava perdendo la pazienza,
facendo sobbalzare l'uomo. « Ci sa almeno dire
se ha trovato segni di effrazione o stranezze di qualsiasi genere?
»
« No, nossignora,
no. Se avessi trovato la porta scardinata non sarei entrato, non sono
esattamente coraggioso... invece era tutto normale, a parte una
bruciatura sulla parete, quella » e indicò
l'impronta nera allungata che si snodava sul muro. « Ma non penso sia
collegata alla via di accesso dei ladri... non termina sul lato
esterno. All'inizio pensavo che fosse uno scarabocchio.
»
Usagi fissava placidamente il motivo della bruciatura. « È un...
boomerang? » chiese a Rei, cercando una conferma.
« Decisamente
storto, ma sì, sembra un boomerang. Che sia una sorta di
firma? »
« Una rivendicazione
di qualche ladro egocentrico? Non ne abbiamo trovate altre nella
gioielleria di Minako... e nemmeno in quella ad Osaka la polizia ha
trovato niente di strano. L'unica irregolarità era l'assenza
dell'Orange Crystal... forse il nostro ladro ha fatto il suo primo
passo falso con questa disattenzione? »
« Disegnare un
boomerang sul muro con un accendino lo chiami "disattenzione"? Se l'ha
fatto, l'ha fatto di proposito. »
« Se l'ha fatto, non
l'ha fatto con un accendino, Rei. Questo boomerang è spesso
10 centimetri. »
Hino-san sbuffò. « Sì, lo
so. La telecamera di sorveglianza non inquadra quest'angolo del
negozio, però, nei fotogrammi che abbiamo questa zona
è completamente buia. Si vede solo quella là, coi
gioielli principali. »
« Lei ha una madre,
signorina? » chiese dal nulla il gioielliere.
Usagi pensò di aver
capito male. « Io? »
« No, è
nata da un uovo. » Rei aveva alzato per la trecentesima volta
gli occhi al cielo.
« Ora che si
è levata la sciarpa, i suoi capelli... »
« Entro domani,
grazie! »
Il gioielliere era talmente atterrito da Rei che sparò tutta
la frase seguente in un batter d'occhio (rendendola, ovviamente,
incomprensibile ai più). « Stsssoicaplli.
»
« Come, mi scusi?
»
L'uomo fissò Usagi, in cerca di un filo di conforto, e
ripartì. « La donna che mi ha
venduto questo cristallo una vita fa... aveva gli stessi suoi capelli.
Simili, almeno, con delle code lunghissime. »
« Erano blu?
Comunque non credo che mia madre abbia mai portato i capelli come miei.
»
« Allora
sarà stata sicuramente una coincidenza » sorrise
l'uomo. « Lei li aveva
chiarissimi, come argentati. »
« Allora no, mi
dispiace, non la conosco » concluse Usagi, mentre scattava un
paio di foto al boomerang.
Lei e Rei avevano ormai
ultimato tutto il loro lavoro, lì, ai rilievi ci avrebbe
pensato qualcun altro. Salutarono l'uomo, promettendogli che avrebbero
fatto del loro meglio, e uscirono di nuovo fuori.
« Buongiorno,
ufficiali. » Rei alzò la testa al dolce
suono della parola "ufficiali" e gonfiò il petto.
Ciò che si ritrovò davanti fu... una visione.
Mamoru Chiba continuò. « Sono un medico, lavoro
nell'ospedale qui accanto. Vorrei sapere per quanto ancora si
prolungherà questo frastuono qui fuori, disturba un po' la
quiete del luogo. Ci sono dei pazienti che hanno bisogno di riposo e la
curiosità riesce perfino a farli alzare dai lettini. Il mio
personale non ha troppa voglia di riattaccare flebo per tutto il
giorno... posso chiedervi di allontanare questa gente? » Sì,
suonava bene come menzogna: in realtà a nessuno dei suoi
pazienti importava granché di quel furto, forse
perché nove su dieci erano ancora molto più
concentrati sull'anestesia che li aveva rincretiniti. Per quanto
riguardava i pazienti degli altri reparti... beh, affari degli altri
primari. Comunque notò con piacere che bastava ancora un
camice indossato con lo stile giusto per abbindolare qualche sciocca
agente di polizia, come quella mora. La sua detective
invece non sembrava granché interessata alla merce,
però lo fissava con uno sguardo strano.
« Un attimo solo.
» Rei prese il megafono dallo sportello interno dell'auto e
cominciò: « NON C'È
ASSOLUTAMENTE NIENTE DA VEDERE QUI INTORNO, SPARITE! »
Tempo tre secondi e solo un vecchietto particolarmente lento
perché munito di bastone arrancava ancora lungo il
marciapiede, degli altri era rimasta solo una carota evidentemente
sfuggita a qualche busta della spesa. Rei cambiò
completamente espressione, addolcendo i tratti in maniera quasi
inquietante. « Fatto. »
« Arrivederci,
dottore » fu l'unica cosa che disse Usagi prima di sedersi al
posto di guida.
« È stato
un piacere, » sviolinò Rei Hino, salendo a fianco
di Usagi e muovendosi di qualche metro mentre l'auto si avviava « dottor...
»
« Dottor Chiba.
»
Usagi spinse il piede talmente a fondo sul freno che l'inchiodata fece
sobbalzare perfino il vecchietto che ormai aveva percorso (quasi!)
dieci metri. Si tolse la cintura - mentre Rei imprecava -,
aprì lo sportello - mentre Rei la insultava -, si
fiondò fuori - mentre Rei faceva lo stesso.
E Mamoru si ritrovò l'unghia di un indice piantata nel
petto. « Cosa ci faceva
ieri a casa mia, dottore?
»
A Mamoru scoppiò il cuore. Era così intelligente,
si ricordava il suo nome e l'aveva sentito una volta sola, anzi due,
contando quella di adesso! « Perché,
dove abita, signorina? »
« Per lei sono il detective Usagi
Tsukino. »
Bingo! Ora conosceva anche il suo nome! UsagiUsagiUsagiUsagi-chanUsagi-chanUsa-chanUsa-chanUsakoUsako: okay,
aveva deciso, nell'intimità l'avrebbe sempre chiamata Usako,
era così bello.
« A Juuban,
comunque. La signora Kayashi, una donna
anziana che vive nella mia stessa via, ha urlato il suo nome prima che
la ritrovassi in stato confusionale di fronte alla mia porta sul retro.
Ha una spiegazione per questo? »
« Dovrei? Forse si
è sentita male e ha automaticamente pensato a me, dato che
l'ho seguita parecchio in questi ultimi mesi. »
« È il
suo medico di famiglia? »
Mamoru sudò freddo. « No, sono un
chirurgo. »
« Mi sarebbe
sembrato più logico invocare il proprio medico di famiglia,
non crede? O ancora più logico urlare un "aiuto!"
generico... Perché pensare a uno specialista che
avrà visto sì e no per l'operazione e per qualche
controllo di routine, un attimo prima di svenire? » lo
incalzò Usagi.
Mamoru non sapeva se montarle addosso seduta stante oppure scappare
lontano. Optò per un'altra quasi-menzogna.
« In questo modo mi
offende, detective Tsukino. Ci sono alcuni colleghi che vedono solo il
lato professionale ed economico della loro relazione coi pazienti, io
personalmente amo seguire i miei molto da vicino e tendo a sostituirmi quasi
alla figura di un amico, per loro. » Omise di dirle che per i
vicini di casa del detective faceva di norma più eccezioni
alla regola che per gli altri, non era poi così rilevante.
Usagi lo guardò di traverso. « Io la conosco e
lei sta mentendo, dottor Chiba. »
« Io non l'ho mai
vista prima, detective, come può conoscermi? » Si
ripromise di darsi ottocento frustate non appena fosse tornato a casa,
per ripulirsi l'anima da quell'orrida bugia. O forse avrebbe evitato
le frustate sostituendole con qualcosa di equivalente, tipo prestare la
sua moto a Motoki.
« So solo che la
conosco. » Perfino Usagi si stupì un po', mentre
lo diceva. « E lei non ha mai
saputo mentire. » Allungò l'indice e lo
portò sotto il mento di Mamoru Chiba, sollevandolo un po'. « Provi a guardarmi
negli occhi, la prossima volta che mente. Lei ieri era a casa mia e ha
fatto del male alla signora Kayashi, oppure ha semplicemente omesso di
soccorrerla, che per voi medici è un po' la stessa cosa, no?
»
Maledetto giuramento di
Ippocrate.
« Usagi, ma insomma,
perché lo torchi in questo modo? Abbiamo cose più
serie a cui pensare in questo momento! Hai sentito le sue spiegazioni,
e personalmente non vedo perché accanirsi su un medico che
non c'entra niente con il nostro caso. Sali in macchina e andiamocene.
»
Usagi guardò Mamoru per l'ultima volta. Mamoru
provò un bisogno irrefrenabile di baciarla. Oh, al diavolo.
« Non so chi lei sia
esattamente, dottor Chiba, ma lo scoprirò. »
Usagi si voltò lentamente e raggiunse Rei in macchina, con
uno strano peso sul petto.
Mamoru giocherellò un attimo con un solitario da 18 carati
che teneva - ormai sempre - in tasca. Forse avrebbe dovuto attendere
qualche mesetto in più del previsto, prima di darglielo, o
nella prossima radiografia gliel'avrebbero trovato incastrato
nell'esofago, per mano del detective Tsukino.
Quando Rei e Usagi arrivarono in ufficio, insieme ad Ami e Makoto
trovarono anche Minako: anche per quel giorno il suo giro di consegna
di curricula vitae doveva esser terminato.
« Usagi! Rei!
» le salutò tutta felice, mentre Ami e Makoto
continuavano a rimandare indietro la registrazione, con facce sempre
più distrutte. « Stiamo riguardando
per la centesima volta questo video di John Doe, »
sbuffò « sarebbe stato
quasi più divertente fare le pulizie a casa nostra.
»
« Minako, le abbiamo
fatte ieri, siamo a posto per le prossime due settimane. »
« Vero, ma non ho
molto altro da fare. Anche stamani ho dormito un sacco in
più di te! »
« Infatti ti odio.
Quando sono uscita alle 6.45 non ho neanche provato ad aprire la tua
porta, non volevo vederti avvolta in un baco di coperte e invidiarti
per tutto il resto della giornata. »
« Insomma, avete
scoperto qualcosa? » tagliò corto Rei. « Noi abbiamo
trovato un boomerang. »
« Un boomerang?
» Minako
scoppiò a ridere.
« In effetti,
Usagi... un boomerang? » le fece eco Makoto, distogliendo per
un secondo lo sguardo dallo schermo.
« Era impresso sulla
parete, come fosse una bruciatura... era un solco molto profondo
» chiarì Usagi pensierosa.
A quel punto Ami si alzò, con uno sguardo un po' enigmatico.
« Basta, non vedremo
mai niente. » Spense bruscamente il monitor.
« Dai, Ami-chan, non
ti abbattere... » provò a consolarla Minako, ma
venne freddata in un attimo.
« Non mi sto
scoraggiando, Minako, al contrario. » Le altre alzarono gli
occhi, curiose. « Non vedremo niente
perché abbiamo a che fare con gente invisibile. »
Makoto le tastò la fronte, aspettandosi di trovarla in
fiamme.
« Non sto delirando. Qualcuno ci sta confondendo di
proposito. Abbiamo tutti il mal di testa, dopo la visione di questi
video, e non solo noi, meno abituate a stare di fronte a un monitor.
Hanno il mal di testa tutti.
Ci sentiamo strani tutti,
confusi, inebetiti. È come se fossimo vittime di
un'allucinazione collettiva. E poi... un cadavere (perchè era un cadavere!)
con una temperatura corporea pari a quella di un gatto... che poi
sparisce apparentemente da solo dopo aver subito un'autopsia! Abbiamo a
che fare con qualcosa di strano, questa volta. Dobbiamo scoprire a che
cosa sono legati quei cristalli, e ritroveremo sicuramente anche John
Doe. Ma non sarà un'indagine normale, su questo potete
giurarci. »
Usagi si grattò la testa, perplessa, però
assentì, Rei e Makoto erano passate direttamente alla fase
di armamento, Minako era preoccupata.
« Dobbiamo
localizzare gli altri cristalli facenti parte di questa serie. Il
ladro, o quello che è, li ha sicuramente presi di mira,
magari tutti insieme potrebbero valere una fortuna. »
« Altri
cristalli...? » chiese Minako, confusa.
« Sono stati presi
un Red, un Orange e uno Yellow Crystal » chiarì
Ami. « Ce ne saranno
sicuramente altri quattro, non pensate anche voi? »
Usagi prese le redini della
situazione, e decise per tutte. « Ami, scovali. Rei
e Makoto, organizzate delle squadre di sorveglianza e speditele ovunque
si trovino questi cristalli. »
« Posso darvi una
mano anch'io, in veste non ufficiale, ovviamente. Basta chiedere
» si offrì Minako.
« Grazie, Mina-chan,
ma potrebbe essere pericoloso, per cui non ti preoccupare. Puoi dare
una mano ad Ami con la ricerca, se vuoi, però, i database
della polizia sono molto più forniti di una semplice ricerca
su Google. »
« Vedo con piacere
che vi siete svegliate, scansafatiche. » Luna era appena
entrata, come al solito senza annunciarsi. « Adesso vorrei
qualche spiegazione sul vostro John Doe, già che ci siete.
»
Si sentì un tonfo. Ami era svenuta.
John Doe, da qualche parte nei meandri della Terra,
sogghignò. Quella maledetta sadica che l'aveva squartato
come un maiale doveva aver battuto una bella testata, quando era
piombata a terra, e ciò gli procurava una certa gioia.
Ovviamente quella testata era nulla in confronto a ciò che
le avrebbe fatto lui una volta che l'avesse avuta fra le mani, ma per
il momento si poteva accontentare.
Adesso aveva però fra le mani qualcosa di molto
più prezioso, qualcosa che avrebbe fatto risparmiare qualche
agente di sorveglianza all'Ufficio di quelle oche. Il Violet Crystal e
l'Indigo Crystal gli erano costati una fortuna in termini di chilometri
(valli a trovare tu due cristalli delle dimensioni di una prugna in
Groenlandia e in Cile), ma erano stati una conquista tutto sommato
semplice. Invece, in Giappone era evidente che avrebbe faticato il
triplo, e almeno una ragione era lì in quell'Ufficio che
stava monitorando.
Si massaggiò lievemente il torso, dove un taglio drittissimo
e precisissimo distingueva ancora due metà perfette.
Chissà cosa sarebbe successo a un umano qualunque con una
ferita del genere: era deciso a scoprirlo non appena si fosse armato di
uno di quei coltellini da sadici usati da Mizuno-san, sperimentando
direttamente su di lei.
Fu in mezzo a quei pensieri che si sentì chiamare col suo
vero nome dall'altro antro, perciò mollò la
sfera, interrompendo la sorveglianza: certa gente era meglio non
lasciarla ad aspettare...
...Soprattutto se ci si era appena lasciati soffiare il Yellow Crystal
proprio sotto il naso. E nello specifico da una Senshi.
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