Priežastis & Gefühl - Something about them. di Lucy_lionheart (/viewuser.php?uid=134218)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Sotto il regalo...! ***
Capitolo 2: *** 2. Macchie sospette. ***
Capitolo 3: *** 3. Dietro le telecamere. ***
Capitolo 4: *** 4. Sotto la pelle. ***
Capitolo 5: *** 5. Giardini innevati. ***
Capitolo 6: *** 6. Ciò che desideri. ***
Capitolo 7: *** 7. Rockstar. ***
Capitolo 8: *** Spazi d'attesa ***
Capitolo 9: *** 9. Videogames ***
Capitolo 10: *** Google Maps ***
Capitolo 11: *** Cicatrici. ***
Capitolo 12: *** 12. Indecente. ***
Capitolo 13: *** 14. Sul Ring. ***
Capitolo 1 *** 1. Sotto il regalo...! ***
sotto il regalo..
Avvertimenti: AU!, Slice
of life, comico, Shonen-ai.
Raiting: Giallo.
Personaggi: Toris
Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt.
1. Sotto il
regalo...!
Di tutte le
cose che si era aspettato per San Valentino, un regalo da parte di
Gilbert era veramente, veramente, l’ultima.
O almeno, non
un regalo materiale, palpabile.
Non
fraintendiamo, Toris, nei suoi diciannove anni di vita, mai aveva
provato
attaccamento verso i soldi e la sua persona distava anni mille da
quella di un
uomo che si può etichettare come
“materialista”.
Solo che...
Beh, Gilbert non era il tipo.
In primis
perché svolgeva l’onorevole, ma non gratificante,
professione dello sp... operatore
ecologico a continuo rischio licenziamento a causa
dell’indole
burrascosa -e ciò era una pugnalata per le sue economie- e
poi perché…
…
Perché se la cavava meglio con altri
tipi di
regali, diciamo.
E invece, a
dispetto di ogni programma, il lituano si trovava seduto sul divano
del salotto di casa sua, con Gilbert accanto e un sacchetto ben
infioccato tra
le mani.
Un sacchetto
enorme, eppure… leggero.
Inutile dire
che questa stranezza non faceva che aumentare la sua
curiosità.
«
Non dovevi. »
Disse, con un
sorriso a dir poco trattenuto; sapeva che se si fosse mostrato
troppo felice, Gilbert avrebbe immediatamente colto
l’occasione per prenderlo
in giro.
«
Oh, no… Dovevo eccome. »
Fu la risposta
del prussiano, che intanto gli aveva passato un braccio intorno
alle spalle e avvicinato le labbra all’orecchio. Quella
sarebbe stata la volta
buona.
« Se
ti piace, puoi indossarlo, dopo.
»
…
Indossarlo?
Ah, un capo
d’abbigliamento! Allora aveva speso anche più di
quello che
pensava.
Beh, forse
avrebbe dovuto metterselo per davvero, anche se non gli fosse
piaciuto; voleva ringraziarlo.
Annuì,
quindi, e, senza più aspettare, sciolse nodi e nodini,
strappando in
fine il nastro adesivo.
La busta si
aprì e…
…
E…?
«
Ma… »
Il tono
interrogativo di Toris riempì quel monosillabo.
Magari Gilbert
si era sbagliato… Forse aveva dimenticato il resto a casa.
Quasi
gli sembrava maleducazione farglielo notare, però…
«
… Non c’è nulla. »
Disse,
osservando il fondo della busta, riempita solo dall’aria e
dal suo sguardo
interrogativo.
Sguardo che
non tardò ad alzare su Gilbert, che si era fatto ancora
più vicino
e aveva dipinto in faccia un sorriso fin troppo grande.
… Come non detto, eh,
Toris?
«
Bravo. Te
lo metti, adesso? ♥.»
Bastò
quella frase a far diventare la faccia del castano rossa come gli occhi
di Gilbert.
Ma
bastò anche a riempire di ringhi e insulti urlati
–e balbettati- in lituano le parati di quella casa.
Non si
smentivano mai.
Nemmeno a San
Valentino.
__________________________________________________________________________________________________________________________***
Umh.
Che dire a mia discolpa?
Sono la mia OTP, gente, oh.
Non so quante ne
scriverò, molto probabilmente tutte quelle che mi verranno
in testa...! I generi saranno... generali.
Non vi stupite se dopo
un capitolo del genere, AU! e comico, vi troverete un qualcosa di
storico o angst. La cosa vale anche per versioni Yuri o Het...!
Il punto è
che questi due mi piacciono in tutte le salse e che questa raccolta
altro non è che una dimostrazione di ciò!
Per chi si
azzarderà a commentare, sappiate che siete liberi di
proporre idee semplicemente sparando una parola (casa, chiesa, fiore,
cuore amore e così via) e io vedrò di
accontentarvi, ma non assicuro niente, nel caso non mi vengano idee o
già ne abbia...!
Detto questo, vi saluto,
o voi che leggete e, spero, gradiate, anche se si tratta di una
cavolata scritta in cinque minuti e... alle 23.04 di domenica notte,
circa.
Baci!
Valkyrie.
|
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Capitolo 2 *** 2. Macchie sospette. ***
Avvertimenti:
Au!, Slice
of life, comico.
Raiting:
Verde.
Personaggi:
Gilbert Beilschmidt, Toris Laurinaitis, Francis Bonnefoy, Antonio
Fernandez Carriedo.
2.
Macchie sospette.
Il boccale sbatté sul tavolo,
il vetro
pesante tremò e il liquido al suo interno, del colore
dell’oro, ondeggiò, dimezzato
in un sorso.
« Il mio ragazzo è un bastardo. »
Antonio e Francis guardarono Gilbert, seduto dietro quella pinta
decisamente
abbondante di birra, con lo sguardo di chi aveva appena sentito dire
che non
solo i maiali volavano, ma che avevano pure tirato su una compagnia di
viaggi
economici oltreoceano.
« Ma chi… Toris?
»
Chiese lo spagnolo, alzando un sopracciglio; già chiederlo
gli sembrava assurdo,
figurarsi.
Alla domanda l’albino altro non fece che sbuffare, annuire e
buttare giù un
altro sorso decisamente lungo di birra, ricordandosi dopo due o tre
minuti
della schiuma bianca che gli pizzicava il labbro superiore.
« Ce n’est pas possible. Sicuro di non star
parlando di te stesso,
Gil? »
« “Me stesso” un cazzo! E’ lui
il bastardo! »
Ringhiò, buttandosi indietro sullo schienale rosso e morbido
della panca alla
quale sedeva, di fronte al tavolo in legno e ai suoi due migliori
amici, ancora
intenti a scambiarsi occhiate a dir poco stupite.
Perché non ci credevano!?
« Scusa, Gil. »
Iniziò lo spagnolo, sorridendogli gentilmente; se lo
conosceva bene, aveva
intuito che quella sera l’amico “mordeva”.
« Toris, per quanto io lo conosca, non sembra affatto un
bastardo. Anzi, direi
che è l’antitesi del bastardo. »
« Quello non farebbe male a una mosca. »
Aggiunse Francis, mentre con una mano faceva segno di avvicinarsi ad un
cameriere.
Nel pub
più rumoroso, ma anche allegro,
di Berlino, i tre erano ormai conosciuti. Avevano iniziato ad andarci
quando
facevano il liceo e non avevano smesso nemmeno ora che erano tutti e
tre sui
venticinque.
Il biondo, date le ordinazioni, si voltò nuovamente verso
Gilbert e la sua
espressione corrucciata.
« Si può sapere che ti può mai aver
fatto? »
Gilbert sbuffò, spostando lo sguardo su una riga nel tavolo
che lui aveva fatto
anni prima.
« L’altro giorno sono andato a prenderlo a lavoro.
Ha iniziato da due giorni.
Lavora per un settimanale di
musica.
Insomma, io credevo di trovarlo a disagio e invece…
»
« E invece? ¿Qué?
»
«
Su, dicci cosa ti ha impedito di fare la figura del
fidanzato eroico. »
« State zitte. Il punto
è che lui,
invece, era circondato da colleghe! Colleghe gentili che gli volevano
offrire
un passaggio! »
« E lui l’ha accettato? » Chiese,
Antonio, inzuppando nel ketchup le patatine
di Gilbert, prima di farle sparire.
« No, ha detto a tutte di non preoccuparsi. »
« E allora qual è il problema! Si è
comportato alla perfezione, degno di lui. »
« Il problema, Fran’, è che non
gliel’ha detto. »
« Cosa? »
Le voci di Antonio e Francis risuonarono. Gilbert allontanò
da loro le sue
patatine.
« Che è fidanzato. »
Nessuno dei tre parlò per qualche secondo, fino a quando il
silenzio non fu
rotto da Antonio.
« Beh, era il suo primo giorno. Insomma, è normale
che non se ne sia uscito con
un: “Hola, mi chiamo Toris, ho 20 anni, sono lo stagista e
oggi il mio
fidanzato viene a prendermi, yu-hu!” »
« Quello non dirà che è fidanzato fin
quando quelle arpie non glielo
chiederanno. E non lo faranno.
»
« Gilbert, non ti ha mai sfiorato il pensiero che siano
gentili con lui perché
è l’unico ragazzo e ha la metà dei loro
anni? »
« Le vecchie sono le peggiori. »
La cameriera, sulla quarantina, lo guardò male e
servì l’ordinazione. Gilbert
roteò i rubini.
« Dopo questa possiamo anche chiuderla! »
Sbottò, prima che Antonio lo salvasse cambiando argomento e
indicando il
colletto di Francis: vicino al collo, la stoffa celestina
era…
« Cos’è quella macchia rossa? »
« Mh? Ah, la fonte di un bel
guaio. »
Sospirò, il francese, ma senza essere minimamente affranto.
« Una con cui sono uscito ieri l’altro ha ben visto
di sporcarmi la camicia con
il rossetto che aveva. Pensavo
di
tornare a casa e lavare tutto, ma a metà strada ho trovato
una mia collega
d’ufficio, l’inglesina, e- »
« Ok, basta, ho già capito
com’è andata a finire. E’ quella che ti
prende a
brutte parole due volte sì e la terza anche, no? »
Francis rise, posando il viso sul palmo della mano.
« Ah, tu vedessi come si è ingelosita!
… Gilbert, cos’è quella faccia? Hai la
sbornia “allegra”? »
Allegra, sì, perché il sorriso era tornato sulle
labbra di Gilbert, ed era
tornato in modo pericoloso.
*
« Buongiorno…! »
La giornata di Toris non avrebbe potuto iniziare in modo migliore.
Che Gilbert gli desse una mano nei lavori di casa era già
decisamente raro, ma
che addirittura si offrisse di fare il bucato…!
Mettersi una camicia che sapeva essere stata lavata e stirata
dall’albino era a
dir poco soddisfacente ed infatti le colleghe, sedute intorno a quella
che loro
chiamavano “la tavola rotonda”, ovvero il luogo in
cui discutevano riguardo i
temi e l’impostazione del numero della settimana, non ci
misero nulla a notare
il sorriso sulla sua faccia.
« Oh, Toris! Vuoi il caffè? »
« Beh, se ce n’è…! »
« Ce n’è, ce n’è!
Com’è che sei tutto contento, oggi, novellino?
»
Toris non rispose con nient’altro che un sorriso e un
ringraziamento, prendendo
la tazza di caffè fumante che gli veniva offerta.
Fu allora che una delle donne notò qualcos’altro
oltre al sorriso del castano.
Le dita smaltate corsero al collo della camicia del ventenne, tirandolo
e
mostrandolo alle altre.
Le cinque bocche femminili sollevarono gridolini stupiti e,
più che altro
divertiti.
« Hai capito il novellino! Ecco perché ridi, fino
a poche ore fa ti divertivi,
eh? »
« C-Come…? Io
non… »
« Non ti facevo il tipo da
mattina. »
« Da m…? N-Non capisco, scusate, che…
»
Solo allora gli occhi di Toris, colmi di un mix
d’imbarazzo, confusione e giustificatissima
ingenuità, si posarono su un
punto del colletto che riusciva a vedere.
C’era una macchia. Una macchia rossa.
… Una macchia che aveva la forma di due labbra sottili che
conosceva parecchio
bene.
« Ce lo potevi dire che eri fidanzato. …
Perché è la fidanzata, no? »
Intanto, Gilbert aveva buttato nel water l’ennesimo
fazzoletto sporco di rosso.
C’era voluta mezz’ora per togliere ogni traccia,
compreso odore e sapore, di
quel cosmetico tanto odioso, ma mettersi
una bello strato di rossetto
aveva
contribuito a lasciare la perfetta
e ben
visibile stampa di un bacio sulla camicia che si era
“offerto” di stirare al
fidanzato.
« La mattina è così assonnato che non
si è accorto di nulla. »
Ghignò; era talmente soddisfatto della riuscita del suo
piano che si sarebbe
potuto dare il cinque da solo.
Ripensò a quando i suoi due amici, alla fine della serata
passata insieme il
giorno prima, gli avevano detto di essere meno geloso.
Tsk. Geloso, lui.
Non era geloso, per carità, era solo possessivo.
____________________________________________________________________________________________________________________________***
Ecco la seconda
scemata...!
Anche questa volta AU!,
non ricordo quando e come ho avuto l'idea delle macchie-
Ringrazio tanto le due
commentatrici, Assasymphonie e BlackPhoenix, anche perché
hanno lasciato commenti positivi che spero di non far smentire con
questo capitolo..!
Come già
ripetuto, se volete propromi quelche parola-tema, fate pure!
♥
Un bacio!
_Valkyrie.
|
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Capitolo 3 *** 3. Dietro le telecamere. ***
- Avvertimenti: Au!,
Genderswap, Het.
- Personaggi: Toris
Laurinaitis, Luise Beilschmidt (Fem!Prussia.)
- Raiting: Verde.
3. Dietro le telecamere.
Lo share era alto, negli indicatori del terzo canale, quando, negli
ultimi dodici minuti della puntata della domenica, lei faceva la sua
entrata.
Toris non aveva ancora capito come diavolo Luise facesse.
A quattro anni dalla nascita del suo programma –scritto e
diretto da lui in persona- aveva intervistato scrittori famosi, registi
di serie A, musicisti che avevano fatto la storia del rock, del jazz,
del soul, altra gente che aveva fatto la storia e basta.
Ma niente, niente faceva salire gli ascolti come quando lei, alle nove
e venti circa, veniva annunciata dalla carinissima e silenziosa
presentatrice e entrava quasi correndo, dritta verso la poltrona bianca
messa di fronte a Toris e la sua scrivania.
Poltrona che, il lituano già lo sapeva, sarebbe stata
occupata per molto, molto poco.
« E allora, che bella figura ci abbiamo fatto davanti
all’attore più bello di tutta l’Europa,
eh, Toris? »
« Luise, scendi dalla scrivania. »
Ma niente, lei non l’ascoltava mai e, come se non ci fossero
una decina di telecamere e gli occhi del pubblico puntati su di loro,
la donna saltava sopra la scrivania dietro la quale Toris sedeva,
stendendo le gambe sottili su tutti i documenti usati quella
sera, che essi fossero pezzi di libri o domande da porre.
Tanto con lei tutto quello non serviva.
Luise Beilschmidt faceva la comica, l’attrice, la satirica e
la chiusura di programma preferita da Toris Laurinaitis e da ogni altro
per il suo talk-show.
Se tutto il programma filava con una tranquillità e una
perfezione impressionanti, dovute anche al comportamento educatamente
ed eticamente impeccabile di Toris anche nei riguardi degli ospiti
più discutibili, l’arrivo di Luise, della sua
lingua “taglia e cuci” e dei suoi argomenti
scottanti sconvolgeva tutto.
Anche Toris.
« Hai sentito riguardo a ciò che è
successo a Mosca? Adesso Putin, quell’ometto aff- »
« Luise, abbiamo tre minuti. »
« Eh, tanto del programma dopo non frega niente a nessuno -Scusa, Kat, vengo a salutarti,
dopo, tanto sei nello studio accanto!- .
Insomma, dicevo… »
« Luise, attenta al vestito. »
L’albina abbassò lo sguardo sulle pieghe
svolazzanti del vestito, i tacchi tra le mani: a forza di spostarsi e
dondolare, la stoffa era salita.
« Ah, fammi coprire, tanto io non ho nessuna farfallina
vicino alla Julchen.
Il fidanzato di quella secondo te cos’ha tatuato, un retino?
»
« Lascia stare certe cose, che è meglio, e vedi di
stare attenta, sennò succede di nuovo… »
« Eh, fosse mai la volta buona che ti si risveglia il Warner e si
solleva una nube di polvere. Lo sai che sono allergica agli acari,
vero? »
« LUISE. »
Niente da fare, nemmeno quella sera gli era stata risparmiata la
battutina. Che poi, fosse una soltanto…!
Lo show finì dopo poco e, come era stato predetto da Louise,
finirono nuovamente con il rubare dei minuti a Katjiuusha, la
direttrice della trasmissione seguente alla loro.
« Ho una fame! Gli ospiti si sono sbafati tutto. »
Borbottò Luise, mentre ritirava il suo giacchetto. Toris,
accanto a lei e già avvolto nel suo lungo cappotto scuro,
non le rispose.
L’albina si voltò, lanciandogli uno sguardo
beffardo, lo stesso di sempre, davanti o dietro le telecamere.
« Come mai sei così imbronciato? »
« Hai raddoppiato il numero di battutine, stasera. »
Disse solo, avviandosi con lei e trattenendo un mezzo sospiro. Luise
rise, infilandosi il giacchetto; Toris avrebbe voluto dirle di
chiuderlo, che sennò si sarebbe presa un malanno, ma, a
pensarci bene, un calo di voce nel caso di Luise non poteva essere che
una fortuna.
Ad ogni modo fu nuovamente bloccato dalla sua parlantina.
« Che permaloso! Ringrazia che sono io che ti prendo in giro,
invece. »
« Che fortuna…! »
Bisbigliò, col sarcasmo che con lei e pochi altri si
permetteva, senza però sfuggire al suo orecchio.
« Sei un ingrato. »
Le mani sottili di lei afferrarono Toris per la sciarpa, lo tirarono
alla sua altezza e lì le labbra schioccarono un bacio
sull’orecchio.
Luise ridacchiò.
« Tanto poi
io lo so, a differenza di tutti, come stanno davvero le cose.
»
Gli sussurrò, con una malizia palpabile e
condensata sulle sue labbra.
Toris rimase basito due o tre secondi, il tempo che lei ci mise per
rubargli dalla mano le chiavi della macchina e superarlo.
« Ti sbrighi? Voglio andare a casa a mangiare! »
Il moro sospirò, ma quella volta il sospiro andò
a creare un sorriso colmo di dolcezza che gli illuminava il viso un
po’ stanco.
Sperava almeno che si
ricordasse dove avevano parcheggiato.
__________________________________________________________________________________________________________***
... Vedete una somiglianza con un qualche programma in
onda su Rai3?
Se la vedete, bene, PERCHE' C'E'.
Non so, mi sapevano di loro due.
Come la volta scorsa ringrazio i recensori e lettori... commentate e
dimemi ciò che ne pensate, mi aiuta molto!
Un bacio,
_Valkyrie.
|
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Capitolo 4 *** 4. Sotto la pelle. ***
Avvertimenti:
Ambientazione storica, AU!
Raiting:
Verde.
Personaggi:
Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt.
4. Sotto la pelle.
Gilbert Beilschmidt, nell’anno 1953, era l’unico
bambino che il reparto
pediatrico dell’ospedale di Kalisz ospitava.
Fu quindi una sorpresa, in un giorno di marzo, veder entrare nella sua
piccola
e ingiallita stanza un’infermiera e, dietro di lei, una
figura che le arrivava
alla vita, maschile, e con un viso pallido dove spiccava un occhio blu.
Uno solo.
« Lui è Toris. Da oggi sarà il tuo
compagno di stanza, trattalo bene, mh? »
Lo sapeva chi era, riconosceva quel visetto angelico anche se coperto
da bende
su quasi tutto il lato sinistro. Toris veniva dal suo stesso
orfanatrofio, un
postaccio nascosto tra dei bei giardini in cui i tipi come lui erano i
primi a
venir presi di mira
dagli altri orfani,
quelli più rudi e che venivano picchiati dalle maestre.
Anche Gilbert faceva parte di quel gruppo e anche Gilbert, una volta,
se non
tre o quattro, aveva messo le mani addosso a quell’esserino
dai capelli castani
e quell’unico occhio dallo sguardo timido solo per il piacere
di farlo. Per sfogarsi di ciò che
veniva fatto a lui.
“Toris ha avuto un trauma cranico. Al momento non si ricorda
nulla, quindi non
fare l’idiota come al solito”.
Gli aveva detto l’infermiera, spingendo poi
il ragazzino- dieci anni, più o meno, come lui-
verso quell’unico grande
letto che dovevano condividere.
L’occhio destro di Toris l’aveva guardato come si
guardava uno sconosciuto e
Gilbert, dentro di sé, aveva provato vergogna.
«
Come ti chiami? »
Gli chiese, dopo tre giorni di silenzio imbarazzante e
“Buongiorno” balbettati.
Gilbert lo guardò qualche secondo, il tempo necessario a
ricordare il pugno che
gli aveva dato sullo sterno e sentire la gola seccarsi.
« Hans. Io mi chiamo
Hans. »
Mentì.
Quella fu, però, l’ultima bugia che gli
disse.
Protetto dalla totale assenza di memoria temporanea del castano, i due non tardarono
a diventare
amici.
Toris era una persona gentile, accettava di fare qualunque cosa e
reagiva
lamentandosi e, qualche volta, “picchiandolo” solo
quando gli scherzi del nuovo
amico si facevano esagerati.
Ma, cosa più importante, accettava di giocare solo e
unicamente dentro quella
stanza dalle tende sempre e costantemente chiuse.
Gilbert era nato con i capelli bianchi e gli occhi rossi, stranezze che
però
nessuno gli faceva notare, se metteva tutto bene in chiaro con un paio
di
cazzotti; il vero problema era quella pelle così
sottile da venir corrosa dal sole.
Per questo che era stato spedito dall’orfanatrofio, dove
avevano visto come
una benedizione il liberarsi da un problema simile, in
quell’ospedale scarno
che non poteva dargli altra cura oltre al buio.
Toris, in quei tre mesi in cui rimase
lì,
fu una luce. L’unica e benefica.
«
Per quanto devi rimanere qui, Hans? »
Gli aveva chiesto, una notte in cui non riuscivano a dormire, nel buio della camera.
« Per sempre, credo. Quelle acide delle infermiere non lo
dicono chiaramente.
Sono tutti degli incapaci. »
« Non dire così. »
« Tu non hai problemi, tu potrai uscire, tra poco. »
« Io non voglio uscire. Non voglio tornare lì.
»
Gilbert scattò, volgendo gli occhi rossi, nel buio, su
Toris, nascosto
completamente sotto le coperte.
« Tu…? »
« Non mi hanno picchiato gli altri bambini. Ma non dirlo, per
favore. »
L’albino rimase immobile più tempo, per poi
stendersi nuovamente, la schiena
contro quella dell’altro.
Per un’ora nessuno dei bambini parlò.
« Toris. »
« Sì? »
« Io non mi chiamo Hans. »
« Lo so, Gilbert. »
Toris fu dimesso dopo tre settimane da quel fatto, quando
l’ematoma che prima
le bende coprivano divenne solo una macchietta e entrambi i suoi occhi
blu
tornarono visibili. Che
la sua amnesia
era cessata dopo una sola settimana dentro l’ospedale,
però, solo Gilbert lo
sapeva.
Adesso che aveva ventisei anni, ricordava ancora il modo in cui Toris,
il
giorno in cui l’avevano dimesso, mentre una delle maestre
parlava con la loro
infermiera, gli aveva stretto le mani e aveva sorriso, nonostante
stesse
tremando dalla paura e ogni parte di lui gridasse di non voler andar
via.
Ricordava, soprattutto, la promessa che gli aveva fatto:
“ Tornerò, Gilbert. Ti porterò via
di qui, te lo prometto! “
Lui gli aveva detto di non preoccuparsi, anzi, di pensare prima a
uscire dall'orfanatrofio
che a lui, ma dentro di sé aveva anche accettato quella
promessa.
La speranza era salita
ancora di più
quando, a quindici anni, aveva visto sulla prima pagina di un giornale
un
articolo sulla chiusura immediata del suo vecchio orfanatrofio e
l’arresto dei
docenti, indagati sotto l’accusa di violenze ai minori.
Al centro della pagina, in grande, stava la foto del ragazzo che aveva
denunciato
il fatto: certo, il viso era più squadrato, ma gli occhi
toglievano ogni dubbio.
Teneva ancor quel giornale, invecchiato insieme a lui, che adesso
misurava un
metro e settantacinque di statura e stava stretto nel letto che prima
li
ospitava entrambi. Era magro, tanto che se si stiracchiava, ogni
costola
premeva immediatamente su quella pelle.
Il carattere, però, era rimasto lo stesso, se non
peggiorato, così come le
cicatrici.
Quel giorno gli veniva annunciato da quasi due mesi: nemmeno si
trattasse del
salvatore, un nuovo medico sarebbe arrivato a trattare il suo caso.
L’ennesimo
ciarlatano, pensava lui.
“Ed è pure in ritardo. “
Non fece in tempo a sbuffare, che la sua infermiera, la stessa di
quando era
bambino, ma con più rughe, apparve alla porta; dietro di
lei, stava un camice
bianco di un metro e ottantadue circa.
« Il medico è qui. »
Gilbert, annoiato, non notò il suo sorriso e nemmeno
ascoltò la voce dell’uomo
che ringraziava.
Si accorse che la luce era tornata nel suo studio solo quando un
sorriso e un
paio di occhi azzurri si mostrarono ai suoi.
« Ciao, Gilbert. »
Toris era alto e con i capelli un po’ lunghi, legati in un
codino. Aveva lo
stesso sorriso gentile di sempre, ma sottomano teneva una cartella
medica.
Sentendo gli occhi rossi di Gilbert fissarlo, il giovane
arrossì e, senza
chiedere nulla, forse nel panico o troppo emozionato, prese a parlare
velocemente.
« Ti ricordi…? Beh, sono passati un mucchio di
anni, ma… Sono Toris, il
ragazzino dell’orfanatrofio. Ci sono uscito di lì,
mi hanno adottato.
I miei nuovi genitori sono
di buona
famiglia, quindi ho potuto studiare e mi sono laureato. Medicina,
apparato
tegumentario, malattie della pelle e genetiche.
Ho studiato tanto l’albinismo e… Beh, credo che
riuscirò a curarti, almeno per
ciò che riguarda la tua derma. Agiremo piano piano, tramite
cortisone, e ti
riabituerò al sole… Dovremmo spostarci, partiremo
per Oslo, dove il sole
picchia poco. Vedrai che non dovrai più stare chiuso in una
stanza! »
« … Ti sei ricordato la
promessa. »
Toris arrossì ancora di più e a Gilbert
sembrò tornato il bambino impaurito che
conosceva. Il giovane medico si sedé su quel letto,
sorridendo.
« Non me ne sono mai dimenticato. »
Gilbert rise piano,
nemmeno il lituano avesse detto un
battuta, e posò sulla palma delle mani la guancia. Sentiva
il cuore battere un
poco più forte, dal polso.
Ancora non lo
sapeva bene, ma Toris non avrebbe guarito solo la sua pelle, ma
anche ciò che si trovava sotto essa.
«
Sei rimasto il solito, Toris. Anche se sei cresciuto, hai sempre la
solita
faccia da scemo! »
_______________________________________________________________________________________________________________***
... Beh, questo
è diverso dagli altri.
L'ho scritto di fretta e furia con mio padre che russa
-presente, perché sta continuando- ,
chiedo perdono!
Come
sempre ringrazio lettori e commentatori, nella speranza che ce ne siano!
Baci!
Valkyrie.
|
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Capitolo 5 *** 5. Giardini innevati. ***
Avveriimenti: Ambientazione
storica.
Personaggi:
Toris Laurinaitis, Sorpresa, Gilbert Beilscmidt.
Raiting:
Giallo.
5. Giardini innevati.
Non sapeva perché mai lo stesse facendo.
Non sapeva perché, in quella mattina più umida
che fredda, era scivolato fuori
dalle lenzuola, fuori dalle porte, immergendosi nei giardini
pressappoco labirintici
di Sanssouci.
Lì il tempo si era fermato; lo pensava ogni volta che vi
entrava o anche che vi
passava semplicemente vicino.
Tutte quelle erano piante di cristallo sulla quale la neve non si
posava, ma
scivolava attorno, sciogliendosi una volta arrivata al terreno.
Quel giardino non apparteneva all’anno corrente, il 1810.
Anzi, forse neanche Sanssouci
stessa vi apparteneva: tutto era fermo, si partiva con i domestici, con
le
vetrate. Ogni cosa era immobile, come in dipinto tremendamente
dettagliato.
Toris, invece, si muoveva; si muoveva incessantemente, spostando gli
occhi
azzurri, si muoveva per quelle stanze insieme a Gilbert, prima anche
lui
immobile.
L’aveva tirato fuori dal quadro ingenuamente, senza sapere il
perché di quella
staticità.
Poi le cose si erano evolute, poi il motivo era venuto fuori.
E ora stava lì, di fronte alla cornice del dipinto, in
divisa e con un mazzo di
fiori in mano.
Era il 24 gennaio.
« B… Buongiorno. »
Non si era mai sentito così a disagio in tutta la sua vita.
Da una parte si dava dello stupido, e poi come, ma dall’altra
avvertiva il
forte bisogno di fare quello che stava facendo e la cosa traspariva dai
suoi
occhi, divenuti chiari come il cielo invernale.
Era teso, troppo.
“ Ricominciamo da capo.”
Disse, tra sé e sé, tirando un sospiro e
sedendosi, a gambe incrociate, davanti
al suo interlocutore.
Il mantello rosso scivolò sotto di lui e il cappello cadde,
non lasciando al
lituano il tempo di toglierselo di sua spontanea volontà.
Un’altra cosa che non
comprendeva –ma sentiva comunque di dover fare- era
perché mai si fosse messo
la divisa prussiana.
Si stava sentendo ridicolo, ridicolo come la sua gola secca e arida di
parole,
o almeno, di parole intelligenti.
Le timida neve dell’alba si posava sulle sue spalle,
delicata, ma non sulla
lapide.
Forse anche l’Hohenzollern lo stava guardando negli occhi,
con lo sguardo
regale e fiero che aveva visto nei ritratti e a suo tempo, ben diverso
da
quello che attualmente aveva Toris.
Era stato intimidito da lui da quando aveva scoperto che la relazione
che
intercorreva tra Gilbert e il sovrano era molto più profonda
del previsto,
figurarsi adesso che ce l’aveva davanti.
L’unica cosa positiva era che Friedrich non poteva
rispondergli. … No, forse, a
pensarci bene, era un aspetto negativo; magari dialogando…
Oh, maledizione. Si stava rovinando
stomaco, cuore e cervello in un colpo solo.
Calma, lituano, calma. Doveva solo seguire l’idea che si era
proposto da quando
aveva avuto l’idea di andare a parlargli: essere totalmente
sincero.
Un sorriso quasi malinconico gli si dipinse in volto.
« Non è un buon inizio per un discorso da compiere
davanti ad un re, eh? Mi
presento, sono Toris Laurinaitis, prima Granducato di Lituania e ora
parte dell’Impero
Russo. Penso che lei già sappia, però, grazie ai
racconti di Gilbert. »
Pronunciò quel nome con estrema delicatezza. Il prussiano
era il motivo per cui
Toris si trovava lì e anche ciò che legava le
anime profondamente diverse di
lui e Federico II di Prussia.
Nonché la chiave di volta di quel discorso tremolante.
« E’ per questo che sono qui. Io…
»
Fece una pausa.
« La volevo ringraziare. La volevo ringraziare per aver reso
Gilbert felice per
quasi un secolo, le sono immensamente grato per ciò. Ma non
è solo questo il
motivo per cui io le parlo.
Normalmente non chiederei mai una cosa simile, forse nemmeno lo
penserei.
Però ora è diverso. »
Un’altra pausa; la neve non cadeva più sulle sue
labbra.
« Non c’è voluto molto per innamorarmi
di Gilbert. Devo ammetterlo, all’inizio
mi pareva impossibile provare qualcosa per quello che per anni era
stato il mio
nemico più agguerrito e, sinceramente, trovavo ancora
più difficile che lui
amasse anche me.
Inizialmente ho dubitato, me ne pento.
Poi, però… mi sono accorto che mi ama. Che mi ama
davvero. »
Quasi sbuffò quell’ultima parola, volgendo per un
attimo gli occhi altrove; la
serietà che voleva tenere era stata tradita dalle guance
rosse come pomi e da
un sorriso che faticava a contenere.
Si sbrigò a darsi nuovamente un’apparenza decente,
aiutato dalle parole che,
inevitabilmente, ora andavano pronunciate.
« Esattamente
come ha fatto lei… No, mi
perdoni, ma di più di
come ha fatto
lei, io ho intenzione di rendere Gilbert felice e di farlo amandolo e
per tutto
il tempo che ci sarò, che ci saremo.
Penso che ormai abbia capito.
Io però glielo chiedo lo stesso. »
Non si rese conto, Toris, di quanto la sua voce tremasse, di quanto
avesse
abbassato la testa e di come le sue mani si fossero raccolte,
stringendosi con
tutta la forza che aveva in corpo.
« Glielo chiedo umilmente, con tutto il cuore che ho.
Ci benedica. »
Il vento trasportò quell’ultima frase sulla
lastra, la fece scivolare nelle
lettere che vi erano scolpite, delineandone invisibilmente la forma.
Silenzio.
Normale che ce ne fosse, si disse il lituano, mentre alzava piano la
testa;
quel grande uomo poteva solo ascoltarlo, ora come ora.
«
… Penso di aver concluso. »
Sussurrò appena, posando le rose candide sulla pietra scura.
Ma nell’esatto momento in cui, dopo essersi tirato in piedi,
il lituano si
inchinò, una forte folata strappò dal suolo
quel mazzo, facendolo impattare sul suo petto, attorno
alla quale il
vento si dissolse.
Era caldo, come un abbraccio.
Toris sorrise timidamente e disse la sola parola che gli veniva
spontanea: “Grazie”.
Si accorse solo una volta uscito dal rompicapo di giardini
che il sole era
ormai sorto e che qualcuno, spettinato come lo si poteva vedere solo di
mattina
e con un’aria agitata, lo stava fulminando dalla cima di uno
stallone con i
suoi occhi rossi.
Con tutte le mattine in cui dormiva fino
a mezzogiorno, proprio quella doveva svegliarsi.
« Dove diavolo eri finito!?
Mi sono svegliato e non c’eri! Da nessuna parte! Che ti
costava avvertire anche
solo un domestico, eh!? »
Ed ecco che dopo il fulmine arrivava il tuono!
Toris alzò la testa verso Gilbert, a dir poco adirato,
porgendogli un sorriso
di scuse. Quella
forse era la prima
volta in cui il prussiano rimproverava lui e non viceversa.
« Scusa, non volevo farti preoccupare. »
I rubini si spostarono dal volto del lituano a ciò che
teneva in braccio e
Toris riuscì a scorgervi un luccichio conosciuto.
« Se quelle sono per me
potrei anche
perdonartela. »
Toris capì subito a cosa Gilbert si stesse riferendo; il suo
sorriso si
punteggiò di un qualcosa che il prussiano non
capì e nemmeno poté commentare,
visto che si trovò davanti alla faccia quei dodici boccioli
bianchi.
« Sì, sono per te.
»
Gilbert cambiò
volto, sorridendo in modo
soddisfatto e quasi felino, e, dopo nemmeno cinque secondi contati
sulle dita
di un bambino, fu a
terra, non sulla
sella, a stringere la vita dell’amante con la mano libera.
Non gli aveva ancora dato un bacio, quel giorno, si doveva rimediare.
Il suo sguardo tagliente scivolò lungo tutta la figura di
Toris, da capo a
piedi.
« Perché ti sei messo la mia divisa? Non che mi
spiaccia, anzi; ti sta proprio
bene. »
Toris aprì e richiuse le labbra per un attimo; fu la
parlantina del suo
aguzzino a salvarlo.
« Forse è solo un po’… Come
dire… »
« Corta? »
« Già…
Aspetta. Cosa stai insinuando, tu?!
»
Toris
rise di cuore.
Intanto le aiuola dei giardini della reggia si dipingevano del bianco
della
neve.
_______________________________________________________________________________________________________________*
Questa qui l'ho scirtta
basandomi su delle belle cose che abbiamo ruolato io e la
plé del mio Gilbert -che ci osserva e mi
odierà per questo capitolo- ♥
Se il discorso fatto d
Toris potrebbe sembrare non esattamente scritto poeticamente, beh,
è perché mi sono messa nei suoi panni; era in
imbarazzo, ma stava parlando a cuore totalmente aperto. In certi casi
non ci si mette a far metafore o roba simile, no..?
Spero che abbiate
apprezzato e di ricevere recensioni e quant'altro...!
Baci!
Valkyrie.
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Capitolo 6 *** 6. Ciò che desideri. ***
Avveriimenti: Lemon/ Lime (ma non ci capisco, io, dkfjkf),
Yaoi.
Personaggi:
Toris Laurinaitis, Gilbert Beilscmidt.
Raiting:
Rosso. ( o arancione
scuro.)
6. Ciò che desideri.
Gilbert era lento e svogliato in molte cose.
Toris vi poteva elencare:
lavorare, mangiare ( proprio come i bambini), dare un
qualsiasi aiuto in
casa.
Ma quando si trattava di spogliarlo era sempre incredibilmente veloce.
Le sue dita fredde buttavano via i bottoni dalle asole in pochi
secondi, gli
scoprivano le spalle, gli calavano i pantaloni. Si fermavano un attimo
sull’elastico dei boxer, ci giocavano e poi, dopo che Gilbert
si era lasciato
scappare un sorriso da predatore, facevano
cadere anche quelli sul pavimento freddo o ovunque
capitasse.
« Riesci ancora a essere in imbarazzo. »
« Z… Zitto, per una volta! »
« Io? Io questa volta non ho fatto nulla, sei tu
che hai detto di assecondarti, stasera. »
« Stai solo rendendo le cose più complicate!
»
« Mh, come vuoi. Io aspetto di vedere cos’hai in
mente, non scappo. »
Pronunciò quella frase con una malizia quasi palpabile,
prima di abbandonarsi
sulle lenzuola, stiracchiandosi e mettendo volutamente in bella vista
il petto
candido.
Se c’era una cosa che gli faceva fare l’amore con
Toris ancor più volentieri,
quella era prenderlo un po’ in giro prima dell’atto.
Adorava vedere il suo volto accigliarsi, sentire la voce arrabbiata che
cercava
di sgridarlo, nonostante l’imbarazzo divorasse parecchie
sillabe e,
soprattutto, gli piaceva sapere come tutto quello poteva sparire con un
bacio.
Il lituano non aveva ancora capito quanto
Gilbert lo considerasse carino quando s’innervosiva.
Toris riportò lo sguardo all’albino, osservando
quella figura nuda come la sua.
Era vero, aveva qualcosa in mente. Niente di eclatante o…
sofisticato, diciamo,
assolutamente no, era solo una cosa che Gilbert aveva fatto a lui, ma
che Toris
non aveva mai ricambiato.
Perché? Beh, perché era imbarazzante. Ma oltre a
ciò era anche un gesto d’amore
come molti ed era stato questo a spingere il lituano verso quella
decisione.
« L.. Lasciami fare. »
Sussurrò, prima di posare le mani sulle ginocchia
dell’altro, divaricandole
quando bastava per starvi in mezzo, e le labbra sul suo collo.
Baci.
Baci lenti, umidi, una serie che scivolava sempre più
attraverso il basso; le
labbra calde di Toris prima stavano sul
petto, poi sugli addominali, sulla pancia e sul basso ventre.
E fu lì che si fermò, trovando la forza di alzare
lo sguardo su Gilbert: lo
stava fissando, intensamente, quasi pareva
che non respirasse. Indubbiamente
sorpreso, ma allo stesso tempo… in attesa.
Ed era sempre meglio non farlo aspettare troppo.
La lingua rossa di Toris scivolò fuori dalle labbra, gli
occhi si socchiusero
e, prima che ne potesse rendere conto, essa scivolò sul
sesso dell’altro, su e
giù. Poi, incapace di torturarlo con l’attesa come
faceva il fidanzato, le
labbra si schiusero e l’accolsero completamente, da cima a
fondo.
«
Ah! »
Un gemito uscì senza trattenimenti dalle labbra di Gilbert,
tanto stupito
quanto felice di quella sorpresa che Toris aveva deciso di fargli senza
che lui
ce lo spingesse o cos’altro. Il prussiano avvertì
con chiarezza il respiro
appesantirsi a
causa del calore della
bocca dell’altro tutt’attorno al suo sesso e
lasciò che si trasformasse in versi
sporchi e numerosi quando Toris
iniziò a
muoversi in alto e in basso, ritmicamente.
Non ci volle molto per le mani di Gilbert a lasciare le lenzuola, alla la quale si erano
artigliate fino ad
allora, e andare a intrecciarsi ai capelli di Toris, fino alle cute,
trattenendolo lì.
Il bacino scattò una volta, una seconda, quasi come
se… oh, niente “quasi”,
stava sicuramente spingendo contro
le
labbra gentili di Toris, tanto che quest’ultimo
mugolò e strinse le mani
attorno alle sue cosce, in un gesto totalmente istintivo.
Forse non avrebbe dovuto farlo, ma Gilbert era troppo eccitato;
eccitato da
quella pressione, eccitato dalla vista di Toris chino sulla parte
più sensibile
di lui, eccitato dal pensiero di quanto il lituano avesse sfidato la
sua
vergogna pur di donargli piacere.
Il castano fu conscio di ciò quando sentì le mani
di Gilbert quasi tirargli i
capelli, tutto il suo corpo tremare e un gemito tremendamente forte, un
urlo,
risuonargli nei timpani.
Il sapore del piacere
che aveva voluto far provare a Gilbert gli bruciò nella
gola, liquido e
bollente; col cuore che gli batteva nel petto, lo ingoiò.
Era fatta, finita.
Lentamente, Toris si sollevò dalle gambe del prussiano,
concedendosi finalmente
di guardarlo: era rosso forse tanto quanto lui e ancora respirava
pesantemente,
scosso dall’orgasmo avuto pochi attimi prima.
… Era bello. Tremendamente.
« Gil… »
Disse quel nome come se non avesse potuto pronunciare nulla di
più meraviglioso,
poi posò le mani attorno alla sua testa, si chinò
e…
… No!
Toris si ritrasse di colpo, coprendosi le labbra con la mano sinistra e
puntando lo sguardo altrove; inutile dire che quello scatto
catturò l’attenzione
di Gilbert.
Cosa c’era che non andava?
« Che succede? »
« No… Nulla. S-Solo… forse è
meglio che io non.. »
Il prussiano capì cosa passasse per la testa di Toris quando
vide l’indice dell’altro
strofinarsi contro il labbro superiore.
Il
lituano, nonostante avesse dimostrato di averne una
voglia tremenda, si stava premurando di baciarlo a causa di
ciò che aveva
appena finito di fare.
Pure in un momento simile metteva
Gilbert prima di ogni altra cosa.
« Vieni qui, razza di scemo. »
Non lasciando a Toris la minima possibilità di replicare, le
mani dell’albino
lo afferrarono e in men che si dica ribaltarono le posizioni,
opprimendolo tra
il materasso e… tra le sue labbra.
La lingua di Gilbert uscì dalla bocca, piegata in un ghigno,
e violò senza
indugio quella del fidanzato, andando a giocare con la gemella senza il
minimo
ritegno.
Passò su
ogni angolo della sua bocca e, quando il lituano
mugolò, uscì a leccargli le labbra.
Ma la notte era ancora al suo inizio e al prussiano un bacio non
bastava di
certo. Contento come un bambino, afferrò la gamba sinistra
di Toris e se la
portò sulla spalla, senza mai smettere di guardarlo.
Inutile descrivere le condizioni della faccia della faccia di questo,
prossimo,
per la sua gioia, ad un’altra arrabbiatura.
« G-Gilbert! Che diavolo fai!? »
« Quello che so che tu desideri, come ogni
notte. ♥ »
Scandì
perfettamente, prima di ammonirlo con un ennesimo bacio e dare il via
alle
danze.
Gilbert voleva
ringraziare Toris per ciò che aveva compiuto e
l’avrebbe fatto nel
più efficace dei modi.
_____________________________________________________________________________________________________________________________*
... A-HEM. -Potente
colpo di tosse-
A mia discolpa: E' LA
PRIMA CHE SCRIVO.
Sul serio, che imbarazzo
dkjfdff. E pensare che nelle role ho fatto di peggio, con 'sti due-
Quindi, tralasciando
-anzi no, consideratela- la mia imbranataggina da prima lemon, spero vi
sia piaciuta!
E spero anche di
ricevere uqalche commento, lol.
Baci!
Valkyrie.
|
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Capitolo 7 *** 7. Rockstar. ***
Avvertimenti:
AU!, Song!Fic, Richiesta.
Raiting:
Giallo/Arancione
Personaggi:
Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt, Feliks Łukasiewicz, Radu
Haltricht ( AU!Romania) + Au!Nordici.
7. Rockstar! ✮ .
“ To: Toris
Text: Usciamo, stasera? ;) “
“ To: Gilbert.
Text: Mi spiace, Gilbert, non posso. Ho un impegno! Ti chiamo
dopo. “
Un veloce scambio di messaggi, uno digitato davanti ad una noiosa
telenovela e l’altro sotto il banco
dell’università.
Gilbert storse le labbra in una smorfia, buttando il
cellulare lontano da lui; non aveva voglia di sentirlo, non dopo che il
lituano gli aveva tirato l’ennesimo bidone!
“ E’ la stessa storia di ogni sabato.”
Pensò, dando un morso secco alla patatina che teneva tra le
labbra. Gilbert e Toris si conoscevano da quando erano bambini, ma
aveva iniziato a considerarsi in modo ben diverso da circa cinque mesi,
periodo nella quale il tedesco aveva prima corteggiato e poi
direttamente sedotto l’altro.
In tutti quei giorni, però, non gli era mai stato concesso
un solo sabato sera: dalle otto e mezzo all’una di notte il
lituano era irreperibile, così come il martedì,
nell’orario 16:30-18:15 e, alle volte, pure il
giovedì, sempre nella precedente fascia.
Per quei due orari pomeridiani Toris si giustificava dicendo che o
studiava o stava dando ripetizioni a qualche ragazzo del liceo, ma il
sabato sera restava avvolto nel mistero e Gilbert non poteva farci
nulla per il semplice motivo che loro due non erano fidanzati.
“Uscivano” e avrebbero continuato così
finché uno dei due non avrebbe fatto la fantomatica
proposta. Fino al momento in cui Toris non avrebbe battuto la sua
insicurezza e Gilbert il suo orgoglio da uomo “che non deve chiedere
nulla” la loro relazione sarebbe
rimasta in un chiaro-scuro che permetteva a Toris di sparire non solo
per quattro o cinque ore, ma anche per il resto dei giorni a seguire
–questo se il lituano fosse stato in grado di farlo,
s’intende.
Capiamoci bene, anche Gilbert avrebbe potuto tranquillamente prendere e
uscire senza dire nulla… se solo avesse avuto qualcuno con
cui farlo. Antonio il sabato –e il resto dei giorni- era
installato dentro casa del suo ormai storico ragazzo,
l’italiano con l’insulto facile, e Francis, invece,
vedeva bene di passare quel giorno assieme a colei o colui che avrebbe
poi occupato l’altro posto del suo letto a due
piazze.
Al decimo borbottio, lasciato uscir fuori insieme ad un adorabile
vocalizzo creato dalla lattina di birra appena svuotata, il cordless
suonò. Gli occhi rossi vorticarono: non era il
numero di Toris.
Seppur tentato di lasciar perdere, la mano libera dalla sopracitata
lattina afferrò il telefono, portandoselo
all’orecchio; la voce che sentì fu una delle
ultime che avrebbe voluto udire.
« Toris? »
« No, biondina,
sono Gilbert. Sai com’è, è il numero di
casa mia. »
Rispose acidamente; cosa volesse Feliks –alias “la
biondina”- da Toris non gli interessava. O forse
sì.
« Ma come! Non è nemmeno qui!? »
« No, non c’è. »
« Pensavo che avesse il telefono spento perché era
impegnato a far roba con te. »
« E secondo te io avrei risposto? »
La prospettiva di una mancata serata di divertimenti fece ancor
più ribollire il sangue tedesco; ma, sfortunatamente, Feliks
non aveva finito.
« Allora dev’essere già al Blue. »
Gilbert scattò seduto: dov’è che era,
Toris?!
« Il locale in periferia?! »
Il silenzio di Feliks dall’altra parte della cornetta fu
interrotto da un paio di “Emh”. Oh, a quanto pareva
aveva detto qualcosa che non doveva.
« Ma che ne so! Chi ti ha chiesto niente! Cioè,
non t’interessa! »
« Ci siamo fregati, eh? »
« Io non ho detto niente! Sai che c’è,
in qualunque posto sia, spero che ti stia mettendo delle corna grandi
come quelle di un alce! »
« Ma fottiti, Barbie!
»
« Fottiti tu, Candeggin-
»
Gilbert spense la chiamata prima che Feliks potesse concludere
l’insulto, con un sorriso dipinto sulle labbra.
“Le corna come quelle di un alce”, eh?
Se così fosse stato, quella sera Gilbert l’avrebbe
scoperto.
*
Un solo occhio rosseggiante esaminò il volto di Toris;
l’altro era coperto da un ciuffo biondo che venne rimosso con
un semplice sbuffo. Il sorriso di Radu si allargò di
due centimetri, mostrando dei canini stranamente appuntiti, pronti a
mordere .
« Avanti, Toris, non fare il timido. »
« Radu, no… Ho detto che non voglio! »
« Ma non c’è nulla di cui vergognarsi,
è una cosa naturale! Lo fanno tutti, no? »
« Allontanati, per favore… »
Un lungo sospiro uscì dalle labbra del lituano, rosso in
viso.
« … E molla quella lima! Ti ho già
ripetuto che non voglio modellarmi i canini! »
Il rumeno sbuffò, visibilmente contrariato, posando
l’oggetto da manicure sul tavolo del camerino.
« Ti dico che renderebbe l’immagine degli Iron
Wolves ancora più figa! Sai quante ragazze ci morirebbero!
Ma no, non collaborate! Né tu, né gli altri!
»
« Radu, se non vogliamo, non vogliamo. »
Disse un altro ciuffo biondo con aria distaccata, mentre premeva le
dita su un basso elettrico dal colore della notte. Il rumeno
gli si avvicinò, passandogli un braccio sulle spalle e
ottenendo, in tutta risposta, una raggelante occhiata color indaco.
« E io che speravo in te e nel tuo sangue norvegese da Black
Metal, Andreas. »
« Caschi male. »
« Uffa. E l’altro nordico metallaro che dice?
»
“L’altro nordico metallaro” era un terzo
biondo, il più basso nella stanza, con grandi occhi viola,
le guance un po’ arrossate che risaltavano sulla pelle chiara
e due bacchette tenete strette nella mano sinistra; alla domanda rise
piano, per poi scuotere la testa.
« No, no, non li voglio. E poi sono il tuo segno di
riconoscimento, ormai, Radu! »
« Mhn. A questo non avevo pensato! Forse hai ragione.
»
Occhi viola tirò un mezzo sospiro di sollievo e
ricambiò lo sguardo riconoscente di Toris, che ora lo
affiancava.
« Pensavo, » iniziò « certo
che Berwald è stato gentile a chiamarci per questa
sera! Altrimenti non avremmo avuto dove andare! »
« Se, se, gentile! ». Rise,
Radu. « Gli riempiamo il locale fino
all’orlo! E poi fin quando ci sarai tu, Tino, lui
sarà sempre gentile. A proposito, vedi di sbattere un
po’ di più quegli occhioni viola quando gli passi
vicino, sia mai che ci paghi anche più del previsto!
»
« E-Eh!? Ma io non c’entro nulla, non facciamo
storie strane! »
« Radu, smettila di prendere in giro Tino. »
Toris lo rimproverò con lo stesso tono di voce che avrebbe
potuto avere una madre; peccato che Radu fosse solo il suo compagno di
banco alla facoltà di psicologia, nonché la
persona grazie alla quale ora era dentro il camerino di uno dei locali
più affollati di tutta Berlino.
A venire in soccorso del lituano fu immediatamente Andreas, che,
facendosi notare da tutti, alzò il dito verso
l’orologio da muro.
« Manca poco. Dobbiamo cambiarci. »
« Giusto, i costumi!». Radu saltò in
piedi, nuovamente carico d’energia. « Non vi siete
dimenticati nulla, vero? »
« No, nulla. »
Rispose Toris, che prima di partire aveva controllato almeno una decina
di volte il contenuto della sacca. Il rumeno lo raggiunse in pochi
passi, girandogli le spalle e spingendolo verso il suo sacco
così velocemente che Toris barcollò e si
salvò dal pavimento solo per miracolo.
Che ci si poteva fare, Radu era un tipo impulsivo; sotto questo aspetto
somigliava un po’ a Gilbert. Già,
Gilbert…
« … vedrai! »
« E-Eh? Scusa, ero sovrappensiero, puoi ripetere? »
« Dicevo: vestito in quel modo farai morire un mucchio di
lupacchiotte, stasera! »
« Ma quale morire e morire…! »
Borbottò, aprendo la sua sacca da ginnastica e concedendosi
uno sguardo al cellulare, che avrebbe nuovamente spento, dopo: zero
chiamate, quattordici minuti all’inizio. Trattenne a malapena
un sospiro; pazienza.
« Ragazzi, dobbiamo muoverci…! Tra poco
siamo fuori! »
« Tra poco
sono dentro. »
Gilbert ghignò, lanciando un ultimo sguardo al buttafuori,
un biondo con i capelli sparati e l’aria da finto tonto che
ora gli dava le spalle.
Arrivato davanti al locale, un altro tipo –un
nanetto con i capelli bianchi- gli aveva chiesto nome e cognome, che
ovviamente non comparivano in nessuna lista; fingere di essere qualcun
altro ( “Aaha!
Scherzavo! Dai, come fai a non riconoscermi, vengo tutti i sabato!”)
non aveva fatto altro che peggiorare le cose quanto bastava per venir
preso per il cappuccio della felpa e lanciato via dal sopracitato
gigante.
Per questo adesso si trovava nel vicolo al lato del locale, nascosto
tra un sacco dell’immondizia e la porta del retro.
Tre, due, uno… via!
L’albino scattò, le mani girarono il pomello e
Gilbert richiuse la porta dietro di sé. Era dentro!
Un paio di ragazze uscite dai bagni, proprio accanto a lui, lo
guardarono stranite, mentre gongolava per la magnifica riuscita del suo
“piano”.
« Ma si è infiltrato? »
« Dev’essere proprio un fan… »
« Beh, sono una fan anch’io, ma ho pagato il
biglietto e pure il backstage! »
« Avanti, Cla, se non li avessi trovati non lo avresti fatto
pure tu! E poi vai a sapere, magari è un discografico..
»
« Dici? »
« Può essere… insomma, i discografici
sono tipi strani. Suvvia, non vorrai mica cacciarlo e rischiare di
vedere i suoi occhi blu farsi tristi! »
Chiunque in Germania poteva avere gli occhi blu –pure quelli
del buttafuori erano così-, ma bastarono quelle
due paroline a far scattare Gilbert. Aveva origliato ed era furbo
abbastanza per sapere come agire.
« Signorine. » Le interruppe, usando il tono
più affascinante che sapeva fare. « Vi va di
mantenere un segreto? ♥ »
Le due si lanciarono uno sguardo e annuirono, curiose. Gilbert
ghignò.
« Sono uno dei discografici che lavora per la nuova
Casa… è un po’ fuori Berlino.
»
« E come si chiama? »
« … “Prachtvolle”. »
« Mai sentita. »
Commentò la tipa a sinistra, in tutta franchezza. Gilbert le
sorrise con fare da donnaiolo e continuò nella sua recita.
« Oh, ne sentirai presto parlare, dolcezza. Mi hanno detto
che qui c’è qualcosa che mi potrebbe
interessare.»
Quella alla sua destra brillò.
« E’ venuto a sentire gli Iron Wolves?!
»
« … Può darsi. Ditemi un po’,
siete delle fan? »
« Eccome! Li seguiamo dal primo concerto, cinque mesi fa!
»
Cinque mesi fa. Esattamente quando Toris gli aveva negato il primo
sabato sera.
« Potete dirmi di loro? Sono bravi? »
« Cavolo se lo sono! Ogni sabato hanno un ingaggio!
»
« Non capisco perché non siano ancora sotto
contratto! »
« Sì! La mia amica ha ragione, ancora niente
contratti. Ma se lo meritano! Siamo tutte qui per vederli! »
« Sinceramente, noi siamo qui soprattutto per il
cantante…! Ha presente Jared Leto? Stessa voce! »
« Vero, vero. Infatti fanno sempre qualche cover dei 30
Seconds to Mars! »
Uno strano dubbio iniziò a far formicolare nel cervello di
Gilbert: che fosse…
Nah. Lui era troppo timido per certe cose…!
All’inizio parlava appena, figuriamoci se…
I suoi pensieri vennero interrotti da un boato: l’intera
sala, distante loro un corridoio, aveva urlato, coprendo quasi
l’attacco di una chitarra elettrica, ma non quello di una
voce.
«“
What if I wanted to break?
Laugh it all off in your
face.
What would you
do…?
What if I fell to the
floor?
Couldn’t take
all this anymore?
What would you do, do,
do?” »
« Oddio, hanno iniziato! »
Urlò una delle ragazze con la quale aveva parlato finora,
prima di scappare via insieme alla sua amica.
« Si sbrighi o se li perderà! »
Spinto da quelle parole, dalla curiosità, dalla strana
sensazione che aveva e, soprattutto, da quella voce che per quanto
simile a quella di un famosissimo cantante, gli sembrava molto
familiare, pure Gilbert scattò, entrando nella sala proprio
mentre la batteria caricava sul rullante e dava l’attacco del
ritornello.
«
“Come! Break me down!
Bury me, Bury me,
I’m finished
with you!” »
Era lì: Toris era lì.
Stava in mezzo al palco, col microfono stretto tra le due mani guantate
e il vestito elegantemente di nero e bianco –vesti che
avevano, con qualche differenza, anche il chitarrista, il bassista e il
batterista- , proprio come i 30 Seconds To Mars nel video
della canzone che cantava alla perfezione.
L’aveva osservato mentre studiava con decisione la psicologia
e divorava le pagine di libri che lui avrebbe messo anni a leggere in
un solo giorno. Ma la passione che ora, mentre cantava, lo illuminava,
gliel’aveva vista in volto sono mentre facevano
l’amore.
… E a quanto pare non era l’unico ad apprezzare la
cosa.
« Vilkaaaaaaas! ♥ »
Le ragazze che aveva accanto gli ruppero quasi un timpano;
“Vilkas”? “Lupo” in…
lituano! Abbastanza ovvio di chi fosse lo pseudonimo.
Provò più di una punta di gelosia per quella
folla quasi interamente femminile che si accalcava e tendeva le mani
verso il suo –aspetta, era un possessivo?- Toris, e
desiderò staccargli la bocca tutte le volte che la
usò per sorridere loro, dalle prime file alle ultime. Poi da
quelle labbra uscì nuovamente la sua voce e Gilbert fu
zittito dall’accartocciarsi del suo stomaco, alla quale
portò una mano.
Che… che roba era quella!? Era decisamente poco magnifico!
«“
What if I wanted to fight?
Beg for the rest of my
life?
What would you do?
You said you wanted more,
What are you waiting for,
I’m not
running from you! “»
Fu strano come quegli ultimi tre versi prima del successivo ritornello
e la piega afflitta che prese il volto di Toris (una cosa totalmente
spontanea che provocò svariati gridolini e
l’azarsi di più macchine fotografiche) si
conficcarono come una freccia nel cuore del tedesco.
Forse era solo l’ennesima pillola dell’egocentrismo
tedesco, ma gli paré bene di capire che lo “You” in
questione era lui, che, nonostante si facesse vivo ogni giorno e gli
avesse dichiarato sia verbalmente che fisicamente i suoi sentimenti per
lui, ancora non aveva chiesto nulla.
Sì, c’era proprio da domandarsi che stesse
aspettando a farlo, effettivamente.
Toris staccò il microfono, corse fino al limite del palco,
piegò la schiena come in un inchino e continuò a
cantare, portandosi una mano al cuore e lasciando fare le fan, che
cercavano di afferrarlo. In certi casi Radu gli aveva consigliato di
prendere una di quelle mani e tirare sul palco la propietaria, ma il
lituano aveva sempre lasciato tale compito a lui, che impersonava bene
il ruolo del “bello e pericoloso”.
Poi c’era Andreas, quello cupo come le note del suo basso e
misterioso, e Tino, dolce e allo stesso tempo forte, caratteristica che
era ben evidenziata dal suo colpire deciso alla batteria.
Invece per le ragazze che cercavano di catturarlo ogni qualvolta si
avviciniva, chiamatesi “lupacchiotte”, il moro era
l’incarnazione di un cavaliere moderno, del gentleman- per
questo erano impazzite al vederlo vestito di quell’eleganza
retrò.
Cantò forse il pezzo più amato di tutta “The Kill”
con la stessa passione che trasmetteva l’originale e
l’urlo finale, lanciato a occhi chiusi e mentre quasi
s’inginocchiava, lasciò tutti senza fiato.
Gilbert compreso.
Diciamocelo: non era solo che quella folla di adolescenti era nel
periodo degli ormoni alle stelle… Era proprio Toris che, con
quel fare da dominatore gentile del palcoscenico, si faceva desiderare
a controllare –o anche farsi sottomettere, nel migliore dei
casi- in ben’altri luoghi.
Ecco le ultime strofe, accompagnate dal più totale dei
silenzi: Toris le recitò mentre metteva di nuovo il
microfono sull’asta nera, facendo scivolare le mani
dolcemente attorno ad essa e dando la parvenza di star abbracciando
dolcemente e malinconicamente qualcuno, sentimenti suggeriti
anche dallo sguardo basso, sulla destra.
Sotto di lui una linea di chitarra e null’altro.
« “
What if I wanted to break?
What if I, What if
I…
Bury me, Bury me...“»
La musica si
fermò, il pubblico esplose; Gilbert esplose.
Nemmeno si rese conto di aver lanciato un urlo e alzato le mani insieme
a tutti gli altri!
Toris, invece,
si limitò a sorridere con quella dolcezza che lo faceva
morire e dire un “Grazie” con la voce che usava
tutti i giorni.
Il concerto
continuò per altre due ore, in cui gli Iron Wolves
eseguirono sia cover, sia originali e Toris fu capace di trasmettere
svariate sensazioni a Gilbert: l’euforia, mentre correva per
il palco in “Closer
to the Edge”
con un gran sorriso stampato in faccia; provocazione nel sentirlo
pronunciare, cercando di non pensare al significato, molto
probabilmente, certe strofe di “Welcome
to the Jungle”.
Gelosia di
nuovo, quando, in “
A little less conversation”, posseduto
momentaneamente da Elvis Presley, si tolse la giacca dalla lunga coda
di rondine e la lanciò al suo pubblico- la realtà
era che tutto quel muoversi gli aveva fatto venire un caldo bestiale,
ma Gilbert che ne sapeva?
Poi, negli
ultimi minuti precedenti l’una, ora in cui il locale
chiudeva, ci fu una cosa “condotta” dal chitarrista
e che chiamò “L’angolo delle
domande”.
« E
allora! Questa settimana la domanda sorteggiata verrà posta,
come sapete, al nostro Vilkas! Contente?»
Il come veniva
ignorata la parte maschile del pubblico fece intendere a Gilbert
parecchie cose.
Vide Toris
sorridere al sollevarsi delle grida d’approvazione.
Drakul, questo era il nome
usato dal ragazzo alla chitarra, tutto allegro, volse il cartellino che
gli era stato consegnato poco prima e lesse, impossessandosi del
microfono di Toris.
« “
C’è qualcuno a cui dedicheresti una canzone
d’amore? Parlacene! E-“, aspetta, ma sono due
domande! Oh, vabeh, lascerò correre… dicevo: “E
se sì, quale?”.
Vilkas, dicci
un po’! »
Il rossore che
si espanse sulle guance di Vilkas-barra-Toris fu già una
risposta. Ma Gilbert voleva sentire il resto.
«
Beh… Sì, c’è. »
“Crepate,
groupies.”
Si disse, il
tedesco, un sorriso enorme come trofeo di vittoria.
«
Anche se… Se non è tutto ufficiale,
ecco.»
“
… Crepa, me stesso.”
Fu
l’ovvio pensiero successivo partorito da quella testolina
bianca e punzecchiando dalle tipe vicino a lui che si chiedevano chi
fosse tanto stupido da farlo tormentare così.
Toris
continuò:
«
Però una canzone c’è. »
Detto
ciò si allontanò dal microfono, sparendo nelle
quinte e riapparendo con in mano una scatolina che fece saltare il
cuore di Gilbert: l’albino non l’aveva mai visto
cantare, era vero, ma da piccolo l’aveva preso in giro
milioni di volte, quando scivolava in bicicletta per le strade insieme
a quella stessa custodia.
Uno
strumento da femmine, il violino!
La voglia di
deriderlo era salita tanto da decidere di spiarlo durante una lezione,
un giorno, ridendo sguaiatamente degli errori che sicuramente avrebbe
fatto; ma il piccolo Toris, in quell’occasione, lo
ammutolì.
Non era un
difficile e intricato brano classico come quelli che era solito
procurare l’intransigente maestro di musica, bensì
una canzone moderna, famosa, dove il violino sostituitva la linea
melodica principale.
La stessa che
stava suonando in quel momento e che, dopo il secondo ritornello, fece
unire il pubblico in una sola voce.
“Lying
close to you, feeling your heart beating,
And
I'm wondering what you're dreaming,
Wondering
if it's me you're seeing,
Then
I kiss your eyes
And
thank God we're together,
I
just want to stay with you in this moment forever,
Forever
and ever,
Don't
want to close my eyes,
I
don't want to fall asleep,
Cause
I'd miss you baby,
And
I don't want to miss a thing,
Cause
even when I dream of you
The
sweetest dream will never do,
I'd
still miss you baby
And
I don't want to miss a thing! “
Nessuno
si cimentò negli urli finali di Steven Tyler e
Toris smise di suonare, beccandosi gli applausi che,
maledizione, meritava dal primo all’ultimo battere di mani.
Poi quattro si
misero in fila, si presentarono una seconda volta, ringraziarono il
pubblico urlando e le luci del palco si spensero.
«
Siamo. Stati. FIGHISSIMI! »
Radu
urlò, arrivato nei camerini, togliendosi la giacca e
sventolandola in segno di vittoria; Toris e Tino, dietro di lui,
ridevano e pure Andreas, solitamente sempre serio, aveva stampato in
faccia un sorriso soddisfatto.
«
Abbiamo spaccato! »
«
Oh, cazzo se abbiamo spaccato, Tino! Stasera con quella batteria
sembravi un leone! “Leijona”, appunto! E tu, Golem! Le ragazze ti
urlavano dall’ultima fila! … Ma tu! Tu! »
L’indice,
che ancora stringeva il plettro, si puntò versu Toris, che
intanto aveva versato per tutti e quattro un bicchiere di cola
(dovevano guidare, nessuno avrebbe toccato un goccio!)
« Boom! Ho sentito un mucchio
di ovaie che esplodevano, quando hai suonato il violino!»
«
E-E falla finita con certi commenti, Radu!»
Fece,
arrossendo, Toris, sia per l’esagerazione, sia
perché, effettivamente, la persona per la quale aveva
suonato non aveva nessun paio di ovaie da far saltare in aria. E poi
non era lì.
Quando avrebbe
trovato il coraggio di dirgli di tutto quello? Mai, se gli proponevano
di cantare la canzone che gli aveva dedicato da anche più di
cinque mesi.
…
Restava però il fatto che morisse dalla voglia di vederlo
dopo ogni sacrosanto concerto.
«
Siamo stati fenomenali, è vero. Ma adesso andiamo a casa,
per favore? Sono stanco morto! »
« E tu pensi di uscire da
qui facilmente? Io, Tino e Andreas ce la possiamo fare, ma
tu… »
«
Come sarebbe a dire, Radu? Cos’ho che non va…!
»
«
Niente, per l’appunto. Preparati a subire l’orda
delle lupacchiotte pronte e dare il “crack” ala tua
relazione non ufficiale.»
Toris
lanciò uno sguardo sconfortato al rumeno e balbetto un
qualcosa; fu allora che Tino, con un sorriso gentile e speranzoso, gli
mise la mano sulla spalla.
«
Non ti preoccupare, Toris!.» Iniziò, contento.
«Berwald ha fatto mettere delle transenne
tra noi e le fan! Non sono tanto alte, ma pazienza!»
«
… G-Grazie, Tino.»
Cercò
di usare un tono riconoscente, seppur la risposta non lo rincuorasse
molto. Ma dovevano uscire, in un modo o nell’altro!
A farsi strada
per primo fu Radu, seguito da Tino, Andreas e infine da Toris, che
neanche dopo due passi si ritrovò davanti agli occhi
più fogli e macchine fotografiche.
«
Vilkas! Vilkas, una foto!! »
«
L’autografo! »
« Lo
puoi dedicare “a Flavie”? »
«
Non ho il foglio, ma scrivi qui, sulla maglietta! »
Allarmato,
stava per dire a quest’ultima che non c’era affatto
bisogno che se la togliesse, ma una seconda voce lo sorprese:
«
Hanno scavalcato la transenna! »
Gli occhi
azzurri di Toris si spostarono, il cuore gli si fermo; non sentiva
nemmeno più le ragazze urlare, erano sparite.
L’unica cosa che visualizzava era un ghigno e uno sguardo
infuocato che conosceva bene.
«
… G-Gilbert! »
«
Una rockstar mi rivolge la parola? Oh, wow. »
Toris,
sbloccatosi dall’imbarazzo che gli aveva seccato la gola,
fece appena in tempo a far segno a Mathias, il buttafuori del locale,
di non farci caso.
«
E’-E’ con me! »
«
Per il primo sabato in cinque mesi, direi. »
Il lituano lo
guardò, anzi, tutti lo guardarono: non pareva per nulla
arrabbiato, ma il sorriso smezzato che aveva sul volto faceva capire a
Toris che qualcosa gli frullava nella mente.
Qualcosa tipo
avvicinarsi e passargli un braccio attorno alla vita, stringendoselo
addosso davanti a chiunque ne avesse visione.
Adesso non era
solo il viso di Toris a imporporarsi per la sorpresa , ma anche quello
dei fan. Radu si morse le labbra per non ridere della situazione in cui
il castano, tanto timido, si era cacciato. Oh, quello sì che
avrebbe fatto fare gossip sull’ultimo concerto!
«
Potevi dirmelo. »
«
Io… »
«
Sì, lo so, ti vergognavi.»
Conscio di
essere al centro dell’attenzione e, soprattutto, sotto gli
occhi di Toris, Gilbert gli sfilò la rosa bianca che teneva
nel taschino del costume (la giacca gli era stata ridata intorno alla
nona canzone) e se la portò alle narici, fingendo di
annusarla.
«
Posso immaginare a chi era dedicata quella canzone, vero? »
Toris non
disse nulla, ma il rossore del suo viso parlava per mille; quella era
un’ottima risposta sia per Gilbert sia per le fan, prese
dalla situazione come se fosse l’ultimo episodio di un
telefilm.
E allora
mandiamo in scena il momento clou.
« Mi
ami, Toris? »
«
… Lo sai. »
«
Quanto? »
Una parte di
Toris, imbarazzato come mai, avrebbe voluto allontanarlo con una
testata, mentre l’altra, invece, era completamente schiava
del tono melenso con la quale chiedeva quelle cose e
dell’incantesimo dei suoi occhi, tanto vicini dopo che
l’albino aveva posato la fronte sulla sua.
Maledetto.
«
“Tanto” non è ammesso. Puoi non dire un
numero. Basati pure su qualcos’altro. ♥ »
Toris prese un
lungo sospiro e lo sguardo si spostò verso il
basso; il paragone era tanto ovvio quanto imbarazzante.
«
…
Quanto la musica. »
Gilbert
avvertì in tutta chiarezza il suo ego gonfiarsi come un
palloncino; aveva sperato in qualcosa di sensazionale, ma quello era il
meglio del meglio!
Sorrise,
questa volta, senza ghignare, e fece finta di non sentire i mugolii
–commossi o disperati?- che si sollevavano intorno a loro.
«
Dopo che mi hai detto questo davanti a tutti, immagino che non avrai
problemi se il sabato sera vengo qui con te e dopo usciamo, mh?
»
«
… Ti rendi conto di che ore sono? »
« Di
notte si possono fare parecchie cose. »
Pem, colpo speciale ad
alto raggio!
Era finita
lì? No, per niente. Toris, però, lo
scoprì solo quando aprì le labbra per
controbattere e il tedesco vide bene di premervi sopra con le sue.
Quel bacio
sarebbe durato tutto il tempo che voleva.
… E
anche quello necessario perché qualcuna di quelle Echelon
facesse loro delle foto –avrebbe potuto caricarle sul suo
blog, così.
Quando le loro
bocche si separarono, Toris gli lanciò uno sguardo
contraddittorio misto di rimprovero e, allo stesso tempo,
felicità trattenuta e fiorita nel rossore del viso.
Adorava quella
faccia, perché sapeva che non l’avrebbe potuta
fare a nessun’altra di quelle fan; solo lui poteva mettere
gli ingredienti necessari e poi godere della sua vista.
«
.. Non hai niente da chiedermi, Gilbert? »
«
Sì che ce l’ho. E da cinque mesi. »
_______________________________________________________________________________________________________________***
CHIEDO
PERDONOOO, CHIEDO PERDONOOOO.
Sparisco e quando ritorno? PEM, dieci pagine di one-shot! Faccio
seriamente schifo, lol.
Questa mi era stata richiesta da YanYan, che mi ha inviato la parola
"Rockstar"... forse è un po' diversa da quello che
immaginavi...!
Nel caso le richieste siano fatte con una parola, come in questo caso,
sarà quella il titolo della canzone!
Su questo lungo capitolo ho una paio di cose da dire:
1- Dopo che ruoli da parecchio un personaggio, ti viene da dare esso
una voce: nel mio caso, Toris ha quella di Jared Leto. ♥
2- SI', OK, SONO UNA FISSATA CON I 30STM. ;V; -Infatti "The Kill" l'ho
scritta a memoria, lol
3- Le "Echelon" sono le fan di questa meravigliosa band.
4- "Prachtvolle" significa "Magnifico" in tedesco. ( "IT'S THE FANTASY"
cit.)
5- Ci sono delle scene che ho tagliato: nella prima, Gilbert
diceva a Toris che anche lui poteva cantargli qualcosa e il lituano
rifiutava. Al che, impuzzolitosi, l'albino cheideva se stesse
insinuando che era stonato e lui rispondeva: "Puoi sempre provare con
il rap...!"
Nell'altra, invece, Gilbert non si risparmiava un battutaccia
in cui insinuava che gli scream di Toris dovevano essere
più potenti e che c'avrebbe pensato lui a farlo
"esercitare", appena arrivati a casa. x°
Ripeto, le richieste sono sempre aperte! Se volete dirmi qualcosa,
sparate!
Spero che ci siano recensioni e quant'altro e di non aver partorito 'na
schifezza...!
Baci!
Valkyrie.
|
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Capitolo 8 *** Spazi d'attesa ***
Avvertimenti: Storica,
Personaggi realmente esistiti.
Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris
Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt, Sorpresa.
8. Spazi
d’attesa.
«
Allora?»
L’uomo, dal suo profilo accigliato, scrutò colui
che gli sedeva davanti: un
braccio sulle gambe accavallate, l’altro
che iniziava col gomito, ben puntellato sul tavolo in legno di
ciliegio, e
finiva con una mano non troppo grande, che copriva la bocca e parte del
naso
con le dita, e su di cui il mento posava.
Gli occhi, quasi improvvisamente, si staccarono dai fogli, una decina,
sulla
quale erano scivolati fino alle ultime righe, e andarono a cercare
quelli del
cinquantenne, rivelando un azzurro brillante come il mare che avvolgeva
quella
striscia di terra.
Il ragazzo dagli occhi marini lasciò cadere il braccio e
rivelò le labbra,
che, in modo
delicato, si allargarono in
un sorriso capace di cancellare in meno di un secondo
l’espressione seria che
fino ad allora quel volto aveva avuto.
Serafico: nessun’altro aggettivo avrebbe potuto meglio
descrivere Toris in quel
momento.
« E’ bellissimo.»
Il cinquantenne alzò entrambe le sopracciglia, fissando
ancor più gli occhi del
lituano, ora intento a stiracchiarsi, svegliando le ossa della schiena
dall’intorpidimento di quasi un’ora passata chino
su quel tavolo.
« Non hai critiche?»
« No.»
« Nemmeno una?»
La voce era un miscuglio di sarcasmo e incredulità; Toris
sorrise ancora di più
e scosse il capo in segno di diniego.
A quel punto uno sbuffo uscì dalle labbra leggermente
grinzose dell’uomo e la
sua mano prima sferzò l’aria e poi scese a battere
sulla coscia.
« Che diavolo.
Se non fosse per la tua faccia, penserei che tu stia facendo un favore
a un
vecchio.»
« Cos’avrebbe la mia faccia…?»
La voce di Toris tradì non stupore, ma sincera
curiosità; ormai aveva imparato
ad aspettarsi certe uscite dal tedesco che ancora lo guardava negli
occhi. Fu
verso di essi che punto il dito, quello ornato dalla fede nuziale.
« Gli occhi, Toris. Basta guardarci per capire se menti o no,
sei peggio di mia
moglie.»
Una risata, leggera, ma soprattutto imbarazzata, echeggiò
nelle mura di
quell’abitazione tanto peculiare, passando il soffitto e
arrivando al piano di
sopra, ove furono udite da qualcuno.
Passi piccoli e veloci come quelli di un gatto,
scivolarono per il corridoio e poi giù per ogni
gradino delle scale, e
si fermarono solo all’apparire della loro fonte nel salotto
in cui i due
sedevano.
« Guten Tag, Vati, Guten Tag, Toris.»
La voce della giovane donna era cortese quanto il suo aspetto: lunghe onde nere di capelli
le cadevano
intorno ad un viso dolce e labbra color ciliegia, vestiti estivi color
pastello.
« Buongiorno, Elizabeth!»
Toris ricambiò il saluto con la medesima cortesia, ma
l’altro si limitò a un
sorriso e un cenno con la testa.
« Hai finito di studiare, Elizabeth?»
«
Quasi, papà. »
« E allora è bene che tu lo faccia,
così dopo
potrai uscire tranquillamente, no? »
« Sì, sono passata a salutare! E’
educazione, oppure no?»
Il padre si arrese di fronte all’ironia della figlia,
riconoscendone le origini
in se stesso. Questa, tronfia di quella breve vittoria, rivolse un
altro
sorriso al moro.
«Papà ti ha offerto qualcosa?»
« Sì, ma ho rifiutato. Sono solo venuto a leggere,
ho già fatto colazione.
Grazie mille del pensiero, Elisabeth.»
« Figurarsi! Oh, ho scritto anch’io qualcosa di
nuovo, la prossima volta ti
farò leggere… penso che tu ora abbia gli occhi
già abbastanza stanchi!»
« Lo farò volentieri!»
La giovane donna sorrise quanto il sole di quella giornata estiva e,
nel vero
senso della parola, girò i tacchi, per poi salutare e
tornare agli studi, così
da far contento il padre.
Solo dopo che quei passi si fermarono nuovamente e una porta, al piano
di
sopra, si chiuse, l’uomo si lasciò sfuggire un
lunghissimo sospiro.
«
Cosa non farebbe pur di vederti per pochi minuti.»
L’imbarazzo che colpì Toris fu mille volte
più grande del precedente e lo fece
boccheggiare su una frase che non seppe iniziare. Il cinquantenne rise
di
gusto.
« Non si è ancora arresa nonostante gli abbia
detto chi è che sei in realtà!
Hai fatto piangere mia figlia, Toris, un altro padre ti avrebbe tenuto
sotto il
mirino di un fucile… e invece io ti tengo come consulente
letterario!»
« Io… mi spiace, davvero. Non
pensavo…»
« Lascia stare, suvvia. Lo so che non le hai torto un
capello. Ne ho la
certezza.»
Si passò sul volto la mano ruvida, rivolgendo
lo sguardo altrove dal
volto rossastro del lituano.
Poi, improvvisamente, sembrò ricordarsi di qualcosa.
« A
proposito. Oggi non c’è?»
« Non c’è chi..?»
« Gilbert, il prussiano.»
«
Oh… no, non c’è. Dovrebbe tornare tra
poco, però. Si è dovuto recare a Berlino
per… »
« Toris, non c’è bisogno che tu mi
racconti quel ce va a fare il tuo
fidanzato.»
Avesse avuto qualcosa in gola, Toris si sarebbe strozzato;
sfortunatamente,
aveva solo la saliva con cui farlo.
Oh, vedere la sua faccia in quelle condizioni non era altro che
ulteriore fonte
di risate!
« Pensavi che non me ne fossi accorto?
State sempre insieme, Toris, sempre dall’inizio
di maggio, quando sono
venuto qui.
Giusto chi si fodera, di sua spontanea intenzione o meno, gli occhi col
prosciutto non se
n’è reso conto. E’ per
questo che ti lascio passare tutto il tempo che vuoi con mia figlia,
che credi?»
Toris si passò la mano tra i capelli: non sapeva che dire,
che fare, era tanto
sorpreso da essere sconvolto.
Davvero lui e Gilbert erano talmente evidenti?
Forse, sì, decisamente sì.
Ma nella Nima di quegli anni non dovevano temere nulla: erano dalla stessa parte, in una
striscia di terra
mezza di Toris e mezza di Gilbert; nessuna traccia
dell’Impero Russo.
Non era la libertà, non ancora, ma le somigliava vagamente e
sapeva d’estate,
di salsedine.
« Io… »
« Non cercare giustificazioni, non ce
n’è il bisogno. Conosci la mia primogenita,
no? Ecco, allora ti basti come risposta e come consapevolezza; con me
non devi
farti i questi problemi.»
« … Grazie. »
Quello di Toris fu un ringraziamento sincero, forse quello
più vero che avesse
mai fatto. L’uomo gli rispose con un cenno di non curanza e
si alzò,
dirigendosi verso la finestra, dove si fermò per osservare
la scorrere della
vita dei passanti di Nima.
Si passò ancora una volta l mano sul volto, sui profili duri
e sul naso grande.
« Avete entrambi fegato. Sai che non potrete rimanere qui per
molto a lungo,
vero?»
Gli occhi azzurri di Toris scivolarono in basso, perdendosi nelle linee
della moquet
e anche gli angoli delle labbra si abbassarono: era un sorriso amaro,
consapevole, il sorriso di chi sa e vive nella precarietà di
una striscia di
terra in anni dove l’aria, per l’ennesima volta,
puzza di polvere da sparo.
« Lo so. Tra un mese andrò in America e quando
tornerò… »
« Hai intenzione di tornare?»
« Il contrario sarebbe impossibile. »
Lo sguardo del cinquantenne oltrepassò i passanti, l’oceano marino
e quello del tempo, osservando
non solo quel posto, ma quel che sarebbe stato il mondo da pochi anni a
quell’estate
del 1930.
« Non c’è bisogno di essere degli esseri
immortali, Toris, per capire che siamo
nuovamente sull’orlo di un qualcosa di spaventoso. E basta
avere un po’ d’idee
su come gira la Germania adesso per capirne ancor di più.
Questa volta dobbiamo
aspettarci dieci volte il peggio di quel che pensiamo.»
E mentre la previsione dell’apocalisse sibilava nel salotto
dai colori caldi,
fuori i turisti parlavano del più e del meno.
Toris immerse la mano sinistra nei suoi capelli e socchiuse gli occhi;
non
vedeva la moquet, i piedi dell’uomo q qualunque cosa fosse
nel salotto, c’era
solo il ricordo del momento in cui lui e Gilbert avevano discusso di
tutto
quello.
« Non è facile, tutt’altro: è
tremendamente difficile e ne sono fin troppo
consapevole. E so anche che ormai è inutile illudersi,
fantasticare su pieghe
diverse…
Non possiamo permetterci di fare una valigia e scappare in America, di
riprendere lì una nuova vita e scordare la passata: siamo iniziati con
l’inizio di queste terre e
con esse finiremo.
Io e Gilbert siamo…
manifestazioni incarnate di Nazioni.
E, in quanto tali, siamo sudditi di chi ci governa. Re, imperatori,
duchi,
presidenti e governatori… tiranni… »
Una pausa, usata per umettarsi le labbra e rivolgere a quel ricordo un
ennesimo
sorriso: si trattava ora di quello dei saggi e dei forti, del sorriso
dei
pazienti.
« Ma le mie mani, gli organi del mio corpo… quello
che provo e quello che penso…
Tutto questo ci rende anche uomini, umani.
E le mie decisioni
come umano sono mie e
basta.
Così… abbiamo deciso che aspetteremo; aspetteremo
finché tutto non sarà
passato, aspetteremo e lasceremo che gli eventi ci scorrano addosso,
fin quando
non si placheranno.
Aspetteremo fin quando tutti saranno così stanchi da poter
fare solo la pace… e
allora inizieremo davvero.
Potremo permetterci di vivere come Gilbert e Toris e per questo sono
disposto a
tutto ciò.
Davanti a me ho l’immortalità, per Gilbert posso
aspettare cinquant’anni o più.»
La riconoscenza che l’uomo diede a Toris in quel momento mai
fu smentita nel
resto degli anni della sua vita: il lituano che gli sedeva davanti era la persona
più coraggiosa che avesse
avuto la fortuna di udire.
Gli posò una mano sulla spalla e, dopo che il moro ebbe
alzato lo sguardo verso
di lui, gli rivolse un sorriso e
una
parola:
« Drąsa.»
Toris gli sorrise; “volontà”,
sì, gli si addiceva.
Due colpi secchi alla porta lo fecero sussultare e si
ritrovò a sbuffare in
modo affettuoso e paziente quando una voce gracchiante e alta
trapassò il
legno.
« Oh, Thomas! Toris
è qui?»
« Sì, sì, arrivo.»
Il cinquantenne si sbrigò ad andare ad aprire e Toris si
diresse con lui alla
porta: parlare di certi argomenti gli aveva fatto venire voglia di
vederlo e
incontrare i suoi occhi rossi fu come una specie di medicina.
« Ah, eccoti!»
« Gilbert, sei tornato in anticipo.»
Il prussiano sorrise in quel modo che gli era tipico e
annuì; aveva il viso
stanco per il viaggio e, molto probabilmente, per le notizie apprese,
ma agli
occhi di Toris continuava ad apparire raggiante.
« Sì, ero stanco. Motivo per cui adesso ce ne
andiamo subito in albergo!»
E, come se il concetto non fosse di per sé abbastanza
chiaro, afferrò Toris
per la manica e lo tirò fuori casa,
voltandosi giusto per sventolare la mano verso l’altro.
« Mi spiace, Thomas, ma per oggi hai smesso di
sfruttarlo!»
« Io non sfrutto proprio nessuno, è lui che
diventa troppo accondiscendente tra
quattro mura.»
Il sorriso di Gilbert salì, sghembo, e un guizzo di furbizia
scoppiettò negli
occhi.
«Ohhh, tranquillo, lo so bene! ♥»
Toris non seppe se dare o no una gomitata nello stomaco a Gilbert,
chiedendosi
se ciò non avrebbe reso tutta quella situazione ancor
più evidente, ma quando
decise già era troppo tardi, perché il padrone di
casa era scoppiato nella
grassa risata della consapevolezza.
Oh, ora voleva andarsene anche Toris, eccome! Ma
quello che si chiamava Thomas lo chiamò a
gran voce, quando già i due avevano chiuso il cancello,
facendolo voltare.
« Goditi questo spazio d’attesa!»
Gli disse e Toris ricambiò col silenzio e un sorriso che
sapeva di
ringraziamento. Poi la porta di casa si chiuse e rimasero solo loro
due, il
braccio di Gilbert che, veloce, gli scivolava attorno alla vita e le
labbra che
premevano sull’angolo delle sue.
« Di che avete parlato?»
« Mi ha fatto leggere i primi capitoli del suo nuovo
libro.»
« Figurarsi se si riposava un po’!»
Gilbert scosse la testa e, con impeto affettuoso, strinse ancor
più Toris a sé.
«Il vecchio Mann non si smentisce mai.»
Toris fece spallucce e, silenziosamente, passò anche lui il
braccio intorno al
corpo dell’altro.
« Di che avete parlato a Berlino?»
« Puoi immaginartelo.»
Toris annuì e il silenzio calò nei secondi
necessari a Gilbert per scrutarsi
intorno.
« Lascerò la nostra stanza sempre prenotata.
Potremo fuggire qui, nei prossimi
anni.»
Toris lo guardò dritto negli occhi e quei suoi due laghi
azzurri tradirono
forse troppa speranza.
« Credi… pensi che ci riusciremo?»
Gilbert, in tutta risposta, prima gli sorrise tanto da mostrare i
canini e poi
gli regalò un sonoro pizzicotto laddove c’erano le
natiche, facendolo
sussultare.
« Sì, se muovi il culo e corri veloce!»
« Gilbert!»
Il prussiano scoppiò in una risata rumorosa che fece voltare
più passanti e,
nonostante tutti i tentativi di trattenersi, non ci volle molto
perché anche
Toris, contagiato, iniziasse a ridere, coprendosi il volto con la mano.
Avrebbero aspettando tutti gli anni che gli altri avrebbero deciso per
poter
tornare a ridere insieme.
________________________________________________________________________________________________________***
No, gente,
mi spiace ma non sono ancora morta. ;w;"
Bene, ecco un capitolo di quella che è la storyline che mi
sono fatta di loro due.
Diamo informazioni storiche per meglio comprendere: a seguire della
Prima Guerra, la Lituania diventa territorio tedesco; gli
verrà concessa l'indipendenza, ma dopo poco
tornerà a far parte sempre die possedimenti tedeschi.
Sale al potere Adolf Hitler, la Lituania torna all'Impero
Russo in cambio di gran parte della Polonia, la Seconda
Guerra scoppia e poi lo sapete---
Però c'è un però.
Come ho fatto spiegare da Toris, nella mia visione sono i capi di stato
a prendere le decisioni e i rappresentanti, in quanto paese di cui il
potere è tenuto propri da tiranni, re, imperatori
e chi più ne ha più ne metta, non possono far
altro che accettare le decisioni -tralasciando colpi di stato e
rivoluzioni, ovviamente.
Indi per cui, Gilbert e Toris altro non hanno potuto fare che piegarsi,
come Nazioni, all'inevitabilità dei fatti e decidere
però di aspettarsi e continuare ad amarsi come uomini.
Altre postille per la comprensione piena: Thomas Mann passa le estati
dal 30 al 33 a Nima, prima di fuggire in Svizzera a causa di
una critica riguardo all'uso di Wagner come emblema del
nazionalsocialismo che viene, com'era da aspettarsi, poco apprezzata da
Hitler.
La primogenita, Monika -se non erro mi pare che si chiami
così, chiedo perdono ma quest'uomo di figlie ne aveva ;v;" -
fu un'omosessuale dichiarata, per questo Mann dice a Toris di non
preoccuparsi del suo giudizio.
E' risaputo che Thomas Mann avesse un ottimo rapporto con tutti i
suoi figli.
Detto tutto ciò, spero vi sia piaciuta e spero di
leggere qualche commento, magari positivo! x°
Baci!
_Valkyrie.
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Capitolo 9 *** 9. Videogames ***
Avvertimenti: Slice
of life, comico, Shonen-ai.
Raiting: Giallo.
Personaggi: Toris
Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt
9. Videogames.
«
Staccati da quel computer.»
Glielo
ripeteva ogni giorno, ultimamente. Da quando Gilbert si era comprato
quel maledetto gioco, parte della sua vita sociale era sparita in un
buco nero.
“
Ma il protagonista di somiglia!”, ecco la sua scusa.
Già, molto rincuorante sapere di essere la goccia
d’acqua di un tipo inglese mentalmente instabile intrappolato
in un castello, prussiano, per giunta, pieno di strani mostri dalla
bocca squartata e con una lanterna poco affidabile e una statuetta
d’oro che Gilbert, per ragioni non molto chiare, chiamava
“Stephano” come soli alleati.
Gli occhi altrui nemmeno si spostarono dallo schermo, unica fonte di
luce nel buio totale della stanza.
« Un altro po’!»
« Hai detto lo stesso mezz’ora fa!»
« L’ho detto prima di sbloccare il livello dei
sotterranei!»
« Gilbert!»
« Eddai! Smettila di distrarmi, devo stare attento
all’acq- AHHHHHHHH!»
Un urlo del genere, normalmente, avrebbe gelato il sangue nelle vene
del moro, ma la consapevolezza del perché Gilbert gli avesse
ucciso un timpano non fece altro che farlo innervosire ancora di
più.
« Scheiβe! Questo fottuto coso invisibile! Erano
meglio i Bro!»
« Spero che tu sia morto.»
« Non sei simpatico!»
Oh, oltretutto era lui a fare il risentito, adesso?
Il prussiano grugnì e, invece di spegnere il portatile,
cliccò con fare deciso su “nuovo gioco”.
« Bene, sappi che dato che mi hai distratto, non
uscirò di qui finché non finirò il
livello. Vai a giocare e non mi distrarre! »
Oh, questo era decisamente troppo. Toris, stizzito come non gli
capitava da quasi un mese, fece dietro front, con tanto di chiusura non
molto delicata della porta.
Voleva giocare? Bene, l’avrebbe fatto per quanto gli pareva.
Anzi! Pure Toris si sarebbe svagato!
Deciso di ciò, si diresse in salotto, ove aveva lasciato la
sua lettura; ma una volta arrivato lì, fu
qualcos’altro ad attirarlo.
Tre mesi prima, in vista di una litigata da riparare, aveva regalato a
Gilbert una Nintendo Wii. Evidentemente, mentre lui faceva le pulizie,
il prussiano aveva visto di farsi /pure/ una partitella con quella,
lasciandola accesa e, tocco di classe, mollando in mezzo al salotto la
pedana, la Wii-Fit, o come si chiamava.
Cos’è che Feliks gli aveva consigliato di fare,
nei momenti di nervosismo…?
Ah, sì. Yoga.
Era tra i giochi possibili, no?
Non cogliendo minimamente il fondo ironico dello spassionato consiglio,
Toris si tolse le scarpe, brandì il telecomando e
salì sulla Balance Board con estrema cautela.
Aveva visto Gilbert giocare, ricordava come fare.
“ Benvenuto in
Wii-Fit.”
La voce di un personal trainer senza volto lo accolse gentilmente. Poi
selezionò una posizione tra le più semplici e si
preparò seguendo le istruzioni.
Respirazione e inspirazione, movimenti lenti, musica
rilassante… doveva ammettere che funzionava davvero.
Conscio di ciò e del rilassamento immediato delle sue
spalle, il lituano, ora nuovamente in pace con se stesso, si appresto a
scegliere un’altra figura da effettuare.
“ Adesso,
abbassate le braccia. Lentamente, Lentamente…
Fatele scivolare sotto
il vostro bacino, accompagnate il movimento piegando alla schiena, fino
a raggiungere le punte dei piedi.
Stabilizzate il
baricentro… “
La voce scivolò via e a sostituirla arrivarono il rumore
delle onde del mare, quale leggera nota sintetizzata.
Toris, con le dita che sfioravano il collo del piede, chiuse gli occhi.
In quel momento c’era calma, c’era pace,
c’era armonia…
…. Ma c’era anche qualcuno dietro di lui che non
aveva visto e, soprattutto, c’erano due mani che gli
regalavano una signora strizzata sui glutei.
« C----!»
Il baricentro, segnalato sullo schermo, schizzò via con una
linea rossa, seguendo il movimento brusco di Toris, tiratosi su di
scatto e saltato fuori dalla pedana, le mani sul sedere.
La musichetta rilassante venne surclassata da una risata acuta che
conosceva fin troppo bene.
« GILBERT!»
« Hey, che pretendi! Stavi con il sedere all’aria!
Devi essere conscio dei rischi che corri, così.
♥»
« N-Non stavi giocando?!»
A Gilbert, ancora con le mani piegate esattamente come avevano aderito
al sedere altrui, manco stesse aspettando un retropassaggio, brillarono
gli occhi.
« E’ che mi piace molto più giocare con
te, che con uno che ti somiglia.
… E poi conosco giochi molto più divertenti di
Amnesia o della Wii. Capisci? »
Beh, bisognava essere scemi a non arrivarci.
Sul volto corrucciato e arrossato del moro si delineò un
sorriso che gli bucò le guance e non riuscì a
trattenere, nonostante gli sforzi.
Però era vero; c’erano
“giochi” molto più…
divertenti. E che sicuramente riuscivano meglio a entrambi.
« … Riesci a fartele perdonare troppo facilmente.
Mi chiedo come fai.»
« Basta premere i tasti giusti al momento giusto!»
_________________________________________________________________________________________________________________________________*
Saaaaalve- ♥
Qualche annotazione: il gioco a cui si riferisce Gilbert
è "Amnesia: the Dark Descent"; provate a cercare immagini
del protagonista, Daniel, e ditemi s enon vi ricorda un certo
lituano...! x°
Per quanto invece riguarda la statuetta, "Stephano", e i
così detti "Bro", vi consiglio vivamente di andare su
youtube e cercarvi "Amnesia PewDiePie" e farvi due risate!
x°°°°
Detto questo, io evaporo...!
Ci vedremo domani sera, probabilmente -w-
Spero di non aver scagazzato l'ennesima schifezza---- e spero anche che
qualcuno mi dica il suo parere a riguardo!
Baci!
_Valkyrie.
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Capitolo 10 *** Google Maps ***
Avvertimenti: AU!
Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris
Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt
10. Google Maps.
“Ma come la sopporti una relazione a distanza?”
Questa era una domanda che si ripeteva mille e mille volte
nella testa di Gilbert, ma che nessuno mai gli aveva posto. E questo
perché nessuno sapeva che il tedesco fosse fidanzato
dall’estate scorsa, quando, in un Giugno freddino passato in
Lituania, aveva trovato una persona nei cui occhi riviveva il blu del
Mar Baltico.
Gilbert era bravo a raccontare storielle sulla ragazza dl
martedì, alla quale aveva rubato il cocktail e gli slip,
sulla biondina incontrata nel corridoio, lì a scuola, e poco
dopo nello sgabuzzino, dove nessuno andava mai a guardare. Tutti erano
così impegnati a credere alla fama che l’albino si
era costruito che nessuno si accorgeva di quanti messaggi spedisse
sempre allo stesso numero.
Quel giorno, però, era diverso: Gilbert non aveva nessuna
bugia da raccontare al piccolo auditorium della sua classe riguardo al
sabato passato, ma un foglio arrotolato che spuntava dallo zaino
relativamente vuoto, maltrattato e scucito dalle partite, dai concerti
e dai viaggi, tutti riportati con una scritta frettolosa con il
pennarello indelebile. C’era
“4/2” del concerto dei Rammstein, c’erano
data e punteggio dell’ultima vittoriosa partita del
Bayern e c’era la scritta “Giugno-Settembre 2012,
Klaipeda”, affiancata da un “T” e
tracciata, forse, con maggiore attenzione.
A tutte quelle, oggi Gilbert era certo che ne avrebbe aggiunta
un’altra: 26/03, il giorno in cui avrebbe sconfitto i 1020 km che
c’erano tra Berlino e Vilnius.
Così non disse nulla e, sfoggiando il suo miglio ghigno, si
sedé al suo banco. Solo dopo, lasciandosi sfuggire un
“porca puttana” si accorse che il professore aveva
già provveduto a metterci sopra la simulazione della terza
prova d’esame.
« Antonio! Che cazzo, avevi detto che era la prossima
settimana!»
L’amico, seduto a un banco da lui –in mezzo a loro
ci doveva essere Francis, che aveva ben visto di rimanere a letto- fece
spallucce e un sorriso che doveva equivalere ad un
“Scusa, mi hanno detto una cazzata.”
Il professore richiamò l’attenzione degli
studenti battendo con le nocche sulla cattedra e dopo essersi
schiarito la voce, iniziò ad illustrare i come e i
perché di quella importante ed utilissima simulazione che
sarebbe equivalsa nel registro di classe all’ennesima
casellina riempita con un “4” nella fila del nome
“Beilschmidt”.
Ma non era tanto il voto a preoccupare Gilbert (uno prima o poi ci fa
l’abitudine, a quelli), tanto la durata di
quell’imprevisto: quattro ore, niente ricreazione.
Già, peccato che per scrivere la fantomatica data odierna
sullo zaino, Gilbert doveva entrare in azione alle ore 09:45, minuto
più, minuto meno.
Se i suoi calcoli era giusti, aveva un’ora per inventarsi
qualche malore ed uscire dalla classe…
… Peccato che Gilbert avesse 2 fisso in Matematica e che il
suo piano stesse passando davanti alla finestra esattamente nel momento
in cui lui alzò gli occhi rossi su di essa.
« MERDA!»
« Beilschmidt, che modi sono!»
L’insegnante tuonò, sconcertato, ma Gilbert non lo
ascoltò minimamente e, invece, afferrò
il tubo di carta, aprì la finestra e ringraziò
tutti i santi che non aveva mai pregato che la sua classe fosse al
piano terra.
Fu un lampo a saltare fuori, continuò ad esserlo mentre
correva a tutta velocità, oltrepassando il cancello aperto
della scuola e lasciandosi alle spalle gli occhi curiosi di tutte le
classi le cui finestre davano sull’entrata e lo sbraitare del
professore.
Gli occhi rossi erano attaccati alla sua preda, che lo precedeva
mangiando l’asfalto con le sue ruote nere.
«FERMATI! HEY!»
Capiva anche lui che urlare a quel camion bianco che stava inseguendo
come un pazzo di fermarsi era perfettamente inutile, ma la disperazione
e il poco fiato rimastogli nei polmoni lo fecero provare.
Imprecò e ansimò, sputò la troppa
saliva che gli era salita in bocca insieme alla colazione e corse
ancora più veloce.
Poi, la salvezza: un semaforo rosso.
Le gambe di Gilbert compirono lo slancio finale, la mano
toccò il muso bianco del camion e gli occhi cercarono
immediatamente l’obiettivo di una camera, mentre le mani
srotolarono il foglio.
Quando il semaforo tornò verde e l’uomo alla guida
premé insistentemente sul clacson, Gilbert alzò
il cartellone e sorrise.
Cheese.
Toris era un tipo tranquillo, esattamente come la sua città,
Vilnius.
Era così tanto tranquillo che i suoi genitori, per farlo
smuovere un po’, non avevano esitato ad approfittare di un
corso di studi musicali estivo per spedirlo a Klaipeda a fare nuove
conoscenze.
Agli inizi di Giugno Toris non sapeva quanto avessero ragione e di come
i loro pronostici si sarebbero realizzati, in un giorno un
po’ troppo freddino per essere estate e in un paio di occhi
rossi.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva visto
Gilbert? Ne avevano parlato la settimana scorsa, quando il treno
dell’albino era stato cancellato, sparendo dal tabellone, e
lui aveva bruciato il biglietto, comprato da un mese,
destinazione Vilnius.
Era marzo, a Vilnius nevicava e Toris quella mattina era rimasto a
casa, per svolgere la sovrabbondanza di compiti per i giorni a seguire;
era l’ultimo anno, avere molto lavoro era normale, ma quella
volta i professori avevano esagerato.
Che ci fosse in vista la simulazione della terza prova
d’esame? Il lituano c’aveva riflettuto e aveva ben
visto di mettersi a ripassare il più materie possibile, nel
silenzio di casa sua.
Poi, il cellulare squillò: era una suoneria diversa da
quella che aveva per tutti gli altri numeri e questo non lo fece
esitare ad accettare la chiamata dopo solo due note.
Le linee del viso si sciolsero e passarono dall’essere dure e
tese a morbide e rilassate, la bocca, finora serrata, si schiuse e i
suoi angoli salirono verso l’alto, in un sorriso.
« Hey. Sono le due, di solito non mi chiami a
quest’ora. Tutto bene, sì?»
“Sì, sì, ‘na meraviglia, ora
muoviti a fare quello che ti dico!”
La fronte di Toris tornò a corrugarsi. Che razza di risposta
era?
« Che ti succede? Di soli-»
“ Accendi il pc. “
« Cosa? Come sarebbe a dire “Accendi il
pc”? Gilbert mi vuoi dire che stai facendo?»
“ Io ho già fatto, FIDATI che ho già
fatto! “
« Spiegati, santo cielo. »
“ Accendi il pc! Non mi sono fatto quasi arrotare da un
motorino vicino a Alexanderplatz per starti a sentire mentre domandi e
domandi e domandi! “
« TU COSA?»
Gli occhi di Toris si sbarrarono, il cuore perse più
battiti. Quel… quell’imbecille! Che diavolo aveva
fatto!
« Dio! Come stai?»
“ Occristo. BENE, STO BENE, MA TU ACCENDI QUEL CAZZO DI
COMPUTER!”
« Devo trovarti dei modi per fasciare? Oddio, ma hai chiamato
l’ambulanza? Aspetta, sento mia madre, lei è un
med-»
“ TORIS, CALMATI.”
Il ruggito del tedesco, dall’altra parte della cornetta,
riuscì a far chiudere la bocca a Toris, caduto in un momento
di panico totale e già pronto a correre alla stazione e
andare a curarlo, in un qualche modo.
“ Ascoltami. Non mi sono fatto assolutamente nulla, sono
integro, se vuoi faccio un video dove ballo per mostrartelo.
Ma ora. Devi. Accendere. Quel. Cazzo. Di. Pc!”
« … M-Mh. Okay, lo accendo, ce l’ho
davanti.»
Con un mezzo sospiro, il lituano toccò il mouse del pc,
sbloccandolo. Gilbert continuò: adesso sembrava molto
più calmo e la sua voce tradiva una certa soddisfazione.
“ Vai su Google Maps, Streets. “
« Ci sono… ma che stiamo facendo, scusa?»
“Vedrai: adesso digitato questo indirizzo: Berlino,
Alexanderstraβe.
Hai fatto?”
« Quasi… Ecco, ora vedo la
strada…»
La freccia cliccò in avanti, spingendo la camera a
proseguire, passò una signora in bici, arrivò al
semaforo e…
E il cuore di Toris batté violentemente, il viso si tinse di
rosso e il lituano tacque, rimanendo con lo sguardo fisso sullo schermo
del pc.
In mezzo alla strada, sotto il semaforo e sopra la barra delle
applicazioni del suo pc, c’era Gilbert.
Il tedesco sorrideva dritto in camera e teneva tra le braccia alzate un
cartellone sulla quale era scritta una frase corta e a caratteri
cubitali.
“ TORIS, ICH
LIEBE DICH “
Dall’altra parte del telefono, Gilbert rise, ma non con aria
di scherno. Il silenzio del lituano gli aveva suggerito che il suo
piano era andato alla perfezione.
“ Visto? Sono venuto bene, vero? Mi sembra il minimo, dopo
aver rischiato di essere messo sotto dal camion di Google.”
Anche Toris rise, ma la sua era una risata sporca di commozione,
così come i suoi occhi chiari.
« Sei… Sei bellissimo, non hai da
preoccuparti…!»
“ Hey, non ti azzardare a piangere, tu! “
« Non sto piangendo!»
“ Buuh, Buuh, non gnto piagnendo! “
Lo scimmiottò, Gilbert, aggiungendo qualche fintissimo
singhiozzo e una sonora tirata di naso. Toris rise ancora,
incapace di staccare gli occhi dallo schermo del computer.
« Idiota…! »
“ Uh, sì, mi hai detto idiota anche quel giorno a
metà Giugno, peccato che tu dopo mi abbia baciato!
“
1-0 e palla al centro per Gilbert, nulla da aggiungere.
Toris sorrise e posò completamente la testa sul telefono,
come se questo fosse la spalla del fidanzato.
« … Mi manchi.»
“ Ah, stai tranquillo. Tra poco, molto poco, verrò
su a Vilnius. Oh, questa era l’altra sorpresa. “
« Cosa?! Gilbert, ma… la scuola! Non puoi!
»
“ Non è un problema, sono in… vacanza!
“
« Ma ancora non è periodo di Pasqua, le scuole non
chiudono.»
“ Chi ha parlato di Pasqua e di chiusura delle scuole. La
vacanza è mia… e credo che il prof e il preside
mi ci faranno stare un po’ più che una settimana.
“
« … TI SEI PRESO UNA SOSPENSIONE! »
“ Umh, “vacanza” suona meglio,
chiamiamola così. E non fare la voce arrabbiata con
me.”
« GILBERT!»
“ Senti, lo so che ti piace urlare il mio nome, ma non
esagerare, che altrimenti non avrai più fiato, quando
arriverò. ♥ “
La conversazione durò per altre tre ore e Toris non
poté finire di studiare Orwell.
Nel frattempo, ad una lezione di informatica tenuta
nell’istituto di Gilbert, il professore mostrava agli alunni
cosa fosse Google Maps e la faccia del tedesco e la sua dichiarazione
apparivano nella gigantesca lavagna elettronica.
___________________________________________________________________________________________________________________*
Emh, emh.
Ho incontrato il
camioncino di Google l'estate scorsa, mentre ero all'acquapark, mio
padre l'ha beccato a lavoro... insomma, mezza famiglia si è
fatta immortalare x°
Non so, ma mi
è venuta la strana idea di usarla come pretesto! Spero vi
sia piaciuta più della scorsa, visto che non ci sono stati
commenti x°
E spero di riceverne,
questa volta! x°
Baci!
_ Valkyrie
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Capitolo 11 *** Cicatrici. ***
Avvertimenti: AU!,
Ambientazione Storica, Genderswap, Het.
Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris
Laurinaitis, Marie Beilschmidt ( Fem!Prussia)
11. Cicatrici.
Nel 1991 Toris Laurinaitis aveva diciannove anni e un po’ di
pensieri per la testa, che, volendoli organizzare, si dividevano in due
grandi fette: nella prima c’era laurearsi e portare il pane a
casa; la seconda, invece, era accanto a lui, in un vestito bluette che
le arrivava poco sopra le ginocchia e con una gomma da masticare che alle
volte scoppiava troppo vicino i capelli di Toris.
« Ma non è possibile!»
Osservò la ragazza della gomma, stringendosi di più
sotto l’arco della cattedrale, la giacca di Toris sulle
spalle, a coprirla dal continuo scrosciare dell’acqua.
« Un giorno che usciamo, piove! Diluvia!»
« Dai, passerà tra poco.»
Le rispose Toris, le braccia strette intorno al petto per il
freddo.
« Aveva ragione quella vecchia zitella di arte: “
Signorina Beilschmidt, non ha nemmeno la testa per ricordarsi
dell’ombrello?”»
“Beilschmidt” non era un cognome lituano.
I Beilschmidt, infatti, avevano origine nella città di
Königsberg, diventata nel 1946 l’ennesima
proprietà dell’Unione Sovietica, cambiando nome e
cambiando anche quella famiglia.
Era accaduto che una parte di questa fosse fuggita verso Berlino,
mentre l’altra verso la Lituania. Così facendo si
erano venuti a creare due gruppi: i Beilschmidt dell’Ovest e
i Beilschmidt dell’Est.
Questi ultimi, una volta arrivati a Vilnius con molta più
sfortuna rispetto all’altra metà, erano stati
gentilmente e fraternamente accolti da una famiglia lituana: i
Laurinaitis.
Non c’era mai stata nessuna unione di sangue tra le due
famiglie, ma i Beilschmidt dell’Est, camminando passo passo
con i Laurinaitis, avevano continuato l’amicizia e il loro
nome, fino ad arrivare a quello dell’ultima generazione:
Marie Beilschmidt, coetanea di Toris Laurinaitis, nato esattamente
ventisei giorni dopo.
«Ci conviene entrare dentro e aspettare che
finisca.»
Commentò, Toris, facendo seguire ciò ad una presa di
posizione che aveva spinto Marie ad entrare e dargli retta, una buona e
rara volta. Come si poteva immaginare in virtù
dell’amicizia tra le due famiglie, Toris e Marie erano
cresciuti l’una affianco all’altro.
Abitavano anche affianco e stavano spesso affianco durante le lezioni e
affianco in biblioteca, il pomeriggio, quando Toris aiutava Marie con
lo studio.
“ Devo passare, così mio fratello non
avrà di che lamentarsi, quando andrò a Berlino.
“, diceva, con aria decisa.
Marie aveva sempre avuto fin da bambina una
curiosità intrinseca sulla famiglia dell’Ovest;
quando voleva disegnare la sua famiglia, aggiungeva una figura
totalmente inventata, divisa dalle altre da una linea. Marie lo
chiamava “fratello”.
Nel 1989 la linea, ovvero il Muro, era crollata e alcune lettere
finalmente arrivate a destinazione avevano dimostrato che quella specie
di fratello che Marie aveva sempre immaginato esisteva davvero, si
chiamava Ludwig, scriveva con una precisione quasi spaventosa, era
sposato con una giovane, stava aspettando di diventare padre ed era
esattamente come la ragazza immaginava.
Purtroppo, scappare fino a Berlino con i tempi che correvano era
qualcosa di estremamente pericoloso, che, ovviamente, nessuno le aveva
concesso. A quel punto Toris, allora diciassettenne, le aveva stretto
la mano e le aveva promesso che, non appena avrebbe avuto la patente e
i soldi per la macchina, lui stesso l’avrebbe portata a
incontrare il fratello.
Marie era rimasta tanto stupefatta dall’affermazione di Toris
che, presa dall’istinto e dalla felicità, gli
aveva buttato le braccia al collo e baciato le labbra con uno
schioccare rumoroso.
In quell’esatto momento, Toris aveva capito di essere
innamorato di lei.
Non dell’altra vicina, un “buon partito”
che non ne voleva sapere assolutamente niente di lui e preferiva un
discutibile matrimonio di sangue, no, a lui piaceva Marie.
E quel giorno aveva intenzione di dirglielo. Forse.
I loro passi echeggiavano nella chiesa, totalmente vuota.
Marie sbuffava e sbuffava, borbottava riguardo le sigarette bagnate;
Toris non la ascoltava e osservava distrattamente come il sole
filtrasse nelle vetrate e proiettasse sui capelli candidi della ragazza
mille ombre colorate.
Un’altra caratteristica dei Beilschmidt
dell’Est era l’albinismo; Marie aveva la
pelle bianca, i capelli candidi e gli occhi chiarissimi, molto
più di quelli di Toris, del colore del mare.
Questo tratto poteva averla sfavorita nell’infanzia,
rendendola la protagonista di molte beffe dei bambini, ma
all’inizio dell’adolescenza la cosa aveva preso una
piega tutta diversa.
L’albina aveva un corpo esile e slanciato, una fierezza
aquilina nello sguardo e un carattere spigliato e sicuro di
sé, tutti elementi che l’avevano resa una delle
ragazze più corteggiate della scuola.
Ma la ragazza di fidanzarsi non ne voleva sapere: “Non sono
alla mia altezza”, diceva, gonfia di una superbia che solo
Toris aveva il coraggio di criticarle apertamente.
« Tu guarda. Passeremo tutto il giorno dentro una chiesa!
Almeno hai le carte?»
« Le carte? No, no che non le ho.»
« E allora cosa c’è nella tasca di
questo giacchetto?»
Il lituano strabuzzò gli occhi e arrossì di
colpo, sentendosi come se un fulmine l’avesse trapassato.
In uno scatto che lasciò Marie a dir poco sorpresa,
afferrò la sua giacca proprio nel punto che lei, curiosa,
tastava.
Tirò, ma Marie non lasciava la presa.
« Hey! Cos’è, hanno ammazzato le buone
maniere!?»
« R… Ridammi la giacca per un momento! »
« Lasceresti una fanciulla al freddo!? Non vorrai che la mia
pelle si secchi e si rovini per colpa di questo vento!
Vorresti attentare alla mia bellezza!»
« Marie, d-devo… prendere una cosa! Poi te la
restituisco, dai!»
Oh, quello Toris non avrebbe dovuto dirlo. Gli occhi rossi di lei
brillarono di una luce che non prometteva nulla di buono e si
spostarono sul punto che le mani di Toris stringevano con violenza.
Un ghigno le si allungò sul volto.
« Cosa mi nascondi, mh? ♥»
« N-Niente! »
« Come se non ti conoscessi! Su, cosa
c’è in questa… scatolina? Oh,
sì, è una scatolina!»
« Marie, mi sto innervosendo, lascia!»
« Toris! Oh, santissima vergine! Non saranno dei
preservativi! Santo padre, avresti dovuto lasciare la tua vita sessuale
di cui non ho mai sentito parlare fuori dalla chiesa! Peccato,
Peccato!»
La ragazza rise senza minimamente trattenersi, mentre continuava a
strattonare la giacca del lituano.
La sua risata si sparse per la navata e salì come un soffio
di vento fino ai tetti, ma non fu quella a far vibrare violentemente le
vetrate.
Uno sparo.
Gli occhi azzurri di Toris scattarono verso l’alto, giusto in
tempo per vedere una crepa allargarsi ed allargarsi ancora sul volto
dell’angelo di vetro sopra di loro.
Marie non si accorse minimamente della cosa e, approfittando della
distrazione dell’altro, gli strappò la giacca.
« Ah-Ah! Vittoria!»
« MARIE, ATTENTA!»
L’ultima cosa che Marie vide, prima di stringere gli occhi
istintivamente, fu il corpo di Toris scagliarsi addosso a lei,
buttandola a terra. Subito dopo arrivarono il fragore di un
vetro che va in mille pezzi e qualcosa che le graffiava la guancia.
Si toccò laddove la pelle bruciava e socchiuse gli occhi,
osservandosi i polpastrelli: erano rossi.
« Marie… Marie, stai bene…?»
« Toris…?»
La voce del lituano arrivava al suo orecchio debole e tremante,
sofferente.
La vetrata sopra di loro si era infrante e l’angelo si era
spaccato in pezzi e pezzi, facendo cadere una pioggia di schegge di
vetro, sopra la schiena di Toris.
I frammenti avevano tagliato facilmente la stoffa leggera della camicia
e si erano conficcati lungo tutta la colonna vertebrale, dalle spalle
fino ai fianchi.
Un rantolio attraversò il volto di Toris e si
trasformò sulle labbra in un sorriso stanco.
« N-Non… Non potevo lasciare che ti si rovinasse
la pelle.»
Tutto iniziò a vacillare; poi i suoi occhi azzurri si fecero
opachi e il mondo intero, per Toris, cadde
nell’oscurità.
I medici avevano ragione.
La luce era tornata negli occhi di Toris dopo circa un giorno, quando
l’effetto di tutti gli antidolorifici e gli anestetici che
gli avevano iniettato era sparito e mentre Marie fissava le sue ciglia
scure sbattere più volte e il viso rompere la calma piatta
che aveva mantenuto fino ad allora.
Dopo che il lituano aveva perso i sensi, Marie aveva urlato ed urlato,
ma nessuno li aveva soccorsi. Allora aveva preso coraggio e si era
caricata Toris in spalla, trascinandolo fino in ospedale. Fuori di
lì aveva trovato un inferno di dimostranti e soldati russi:
ancora loro non lo sapevano, ma quel 13 Gennaio sarebbe stato presto
entrato nella lunga di lista di giorni chiamati “Domenica di
Sangue”.
Arrivata in ospedale, era stata frettolosamente accolta da un medico
che le aveva strappato Toris dalle mani, lasciandole i suoi effetti
personali: la giacca, il portafoglio e la scatolina sulla quale a lungo
avevano discusso.
Era piccola, foderata di un qualcosa molto simile al velluto e il suo
contenuto, adesso, adornava l’anulare di Marie.
Quel piccolo anello di argento non valeva molto, ma Marie era sicura
che tutti i soldi che non erano nel portafoglio di Toris se ne fossero
andati con quello e con l’incisione che c’era
all’interno: “ M.B”, Marie Beilschmidt.
« Hey, Bello Addormentato.»
Toris mugolò e spostò lo sguardo dal banco del
cuscino al bianco dei capelli di Marie. Era steso sulla pancia e non
molto sicuro che ce l’avrebbe fatta ad alzarsi, visto lo
strano intorpidimento che sentiva in ogni parte del corpo.
« Marie… siamo in Ospedale?»
« Già, su in Paradiso ancora non ne vogliono
sapere niente di te.»
Toris ride debolmente e alzò gli occhi verso il viso di
Marie. Fu allora che questi si dipinsero di una sfumatura triste.
« La tua guancia…»
L’indice indicò la linea bianca che si tracciava
lungo la guancia sinistra di Marie. La ragazza sbuffò,
infastidita, e scacciò con uno schiaffetto il dito altrui.
« Se ti preoccupa questa sciocchezza, meglio che non guardi
la tua schiena.»
« Sono tante…?»
« Settantacinque, tra grandi e piccole. Le ho contate tutte,
credo.»
« Almeno non sento dolore…»
« No, Toris. Non è che non senti dolore, tu non
senti proprio nulla.
Sono dieci minuti che sto carezzando una delle tue cicatrici e tu non
ti sei accorto minimamente di nulla.»
Toris, stupefatto, alzò il collo quel che gli bastava a
buttare un occhio sulla sua schiena e vedere la mano di Marie sparire
sotto la stoffa del pigiama e muoversi orizzontalmente; peccato che
quel contatto fosse totalmente sconosciuto al suo corpo.
« Sei insensibile. Guarda.»
Marie, sotto gli occhi ancor più sorpresi di Toris, si
chinò sulla sua schiena e lasciò un bacio
abbastanza lungo poco sotto la nuca.
I brividi, Toris, però, li senti eccome, così
come le labbra della ragazza e il rossore violento sulle sue guance.
« A-Avevi detto che non sentivo nulla!»
« Non in tutta la schiena, solo in determinati
punti. Scherzetto. ♥»
Toris sbuffò e tornò poi con lo sguardo su Marie,
che adesso aveva posato il viso proprio accanto al suo e stava piegata
sulle ginocchia.
« Mi spiace che, nonostante ciò, tu ti sia
ferita.»
Marie fece spallucce e passò le dita tra i capelli del
ragazzo: solo allora Toris notò l’anello e
boccheggiò; ma la ragazza non lo fece parlare.
« Potremmo curarci le ferite a vicenda. Non sarebbe per
niente male.»
« No… no, non lo sarebbe.»
« E poi credo che tu piaceresti a mio fratello.»
Quella frase e una risata furono le ultime cose che uscirono dalle loro
bocche, prima che si unissero.
Se Toris sarebbe veramente piaciuto a Ludwig, Marie non lo sapeva.
Per lei, però, era l’uomo perfetto, quello alla
quale avrebbe baciato le cicatrici ogni notte. Finché morte
non li avesse separati.
__________________________________________________________________________________________________________________________________*
... Geh,
un'altra delle mie cosette particolari. qwq
Mi è venuta l'idea in piena nottata, ahhaahah x°
Beh, spero vi sia piaciuta, con questa vi auguro Buon Natale e vi
lascio della PruLiet sotto l'albero!
Siate buoni e regalatemi delle recensioni, se sono stata brava!
Baci!
_Valkyrie.
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Capitolo 12 *** 12. Indecente. ***
Avvertimenti: Lime, Yaoi.
Raiting: Arancione/Rosso
Personaggi: Toris
Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt, Sorpresa ( in tutti i sensi, lol.)
12. Indecente.
« Si può sapere dove stiamo andando?»
«Immaginatelo!»
Per Toris non ci poteva essere risposta peggiore di quella. Non tanto
per la parola in sé, ma quanto per la sfumatura di
significato che essa aveva assunto, scivolata fuori da un paio di
labbra sottili piegate in un sorriso sghembo e riflettuta in due
luminosi occhi rossi.
Peccato che a brillare non fossero solo quelli, ma anche il loro
possessore: nebbie invisibili circondavano la sua testa,
ricoperta da capelli candidi che per l’occasione erano stati
tirati indietro, a lasciare la fronte scoperta.
Era normale che al rinfresco di un matrimonio si servissero svariati
drink ed era educato accettarne uno, ma dire
“sì” a tutti faceva cadere tutto nello
sconsiderato. Cosa che Gilbert, spesso e volentieri, era e
Toris lo sapeva molto bene.
Ciò che invece aveva lasciato il lituano,
l’ingenuo lituano, sbigottito era stato quando, in mezzo alla
pista da ballo, il prussiano aveva ben visto di serrare la mano intorno
al suo polso e trascinarlo via ridendo, senza dire una parola che non
fosse qualche strofa scialbamente cantata della canzone pop che
echeggiava nel salone.
La situazione era rimasta la stessa a distanza di cinque minuti:
Gilbert che lo trainava per i corridoi e Toris che cercava di imporre
una minima resistenza piantando bene i talloni a terra, finendo solo
con lo scivolare a causa del pavimento di marmo liscio che non andava
per niente d’accordo con la suola delle scarpe eleganti che
indossava.
L’unica, fondamentale, differenza stava nel fatto che ora
Toris aveva intuito ciò a cui Gilbert mirava e la cosa era
servita a scatenare un bel rossore sulle sue guance, in un perfetto
accostamento con le rose rosse che decoravano ogni angolo e con quei
gli occhi che ogni tanto cercavano i suoi solo per mostrare
l’eccitazione che li faceva fremere come fiamme appena nate.
« Gilbert, no! Non possiamo!»
Molto blanda come opposizione; ma infondo era comprensibile, visto il
semplice fatto che anche Toris, come tutti gli esseri umani, era fatto
di carne e aveva due occhi che gli permettevano benissimo di notare
quanto attraente fosse il marito, vestito, come lui, con uno
smoking e il suo solito sorrisetto pieno di sé,
croce e delizia del lituano.
L’albino non parve nemmeno sentirlo: continuò in
quella corsa, fino a raggiungere il guardaroba. Si trattava di un
armadio che occupava con la sua larghezza tutta quanta la parete,
lasciato incustodito dal personale, che ora era impegnato a preparare i
tavoli dei dessert.
« Dooov’erano?»
« Cosa? »
« “Cosa?” Le patate! I cappotti, liebe, i
cappotti. Che pensi che dovrei cercare in un guardaroba? »
« A che ti servono i cappotti. Sono nella prima
anta, comunque.»
« La prima, la prima… Oh, eccoli qui! Senti,
ricordami un po’, l’abbiamo mai fatto in
auto?»
« S-Scusa-?!»
Gilbert non badò al volto violaceo del marito:
pareva troppo impegnato a tastare la lana del suo cappotto.
Il suo volto, improvvisamente, si fece serio.
« No. Non mi va di andare fuori.»
Toris tirò un sospiro di sollievo, vedendo come
Gilbert ributtava il suo giaccone dentro l’armadio.
La pace, però, durò solo un attimo: il tempo di
abbassare gli occhi e notare la mano sinistra dell’altro
serrarsi intorno al nodo della sua cravatta e far fare a tutto se
stesso l’identica fine del giaccone.
Inutile fu cercare di trattenere un mezzo grido di sorpresa, prima di
trovarsi a sprofondare contro giacchetti, giacche, sciarpe e cappelli.
L’anta si chiuse e le labbra di Gilbert furono immediatamente
sulla sua bocca, in un bacio famelico che gli rubò svariati
battiti, mandandolo in apnea.
Che stava succedendo?
La luce era poca, filtrava da qui e da lì, ma non
c’era bisogno di averne tanta per capire che era la gamba di
Gilbert a farsi spazio tra le sue e le sue mani a sciogliere a
allentargli malamente la cravatta.
Il fuoco gli intorpidì le membra e fece frizzare il cervello.
Oh, no. Quello non era bene. Affatto.
Mugolare al prussiano di fermarsi non servì a nulla, se non
a ricevere un bacio ancor più violento.
« SSSSSh!»
Sussurrò, Gilbert, soffiando aria direttamente nella bocca
del fidanzato.
« Fai piano, che sennò ci sentono. Vuoi essere
beccato?»
« Gilbert, non- »
« Shhhhh!»
Il moro si morse le labbra e buttò gli occhi al cielo, in
uno sprazzo puramente nervoso e totalmente imbarazzato.
« Non possiamo.»
Disse, questa volta piano. Gilbert rise e si tolse la giacca, tornando
poi a sbottonare la camicia altrui.
« E chi ce lo vieta.»
« Siamo ad un matrimonio!»
« Appunto, festeggiamo l’amore.»
Le labbra baciarono lo sterno e Toris lo sentì ardere. Esse
si spostarono lungo il suo petto ed era come se dal punto sulla quale
si posavano, che lo marchiassero o meno, iniettassero sotto la pelle
del lituano una sorta di veleno che lo intorpidiva ogni secondo di
più.
Toris sapeva bene che in realtà non c’era nessuna
sostanza tossica e che a quelle due rosee gemelle peccatrici non si
poteva imputare nessuna colpa, se non quella di essere
maestre di seduzione.
Se il moro poi si trovava a sospirare sotto i tocchi della altrui
lingua intorno all’aureola, questo era un problema solo ed
unicamente suo, di cui Gilbert faceva tesoro, nonché un
ottimo motivo per perseverare.
Le mani si adoperarono a slacciare cintura e chiusura dei pantaloni nel
minor tempo possibile, abbassandoli quel poco che bastava, ovviamente
insieme all’intimo.
Toris mugolò e Gilbert rispose con l’ennesimo
ghigno. Non gli avrebbe dato ascolto, affatto.
« Non fare il contrariato, è solo colpa
tua.»
Dio, eccoci nuovamente con quella storia. Non era certo la prima volta
che il prussiano se ne usciva con un’affermazione simile;
arrivato a quel punto, avrebbe dovuto sapere che la reazione di Toris
era sempre la stessa, ovvero un fulmine scagliato
direttamente dall’azzurro dei suoi occhi.
« M… Mia?!»
« E di nessun’altro. Sei tu che ti sei vestito con
questo smoking . E’ da prima di partire che ti guardo.
»
E’ una regola ormai confermata da migliaia di esperienze che
le persone da brille tendano ad essere molto più sincere, ma
forse Gilbert se ne sarebbe uscito con una cosa del genere senza aver
toccato neanche un goccio d’alcool.
« Sono geloso. Ti sta troppo bene, gli altri ti
guardano. Non voglio.
Tu sei magnifico, ma mio. Mio e basta. »
Gli invitati potevano scrutarlo, cercare di cogliere la linea del corpo
del lituano sotto quell’abito nero che lo fasciava alla
perfezione, ma solo ed unicamente a Gilbert era concesso di conoscerla
davvero, di toccarla, baciarla.
Solo a lui, che in questo momento altro non desiderava che riaffermare
questo suo diritto.
Che passione violenta, la possessività.
Tanto quanto l’effetto che poteva fare a Toris il complimento
dell’affermazione precedente, lasciato vibrare nella
conchiglia del suo orecchio.
Ottimo, si era distratto. Meglio approfittarne e Gilbert non era certo
tipo da lasciarsi scappare l’occasione per nulla al mondo,
costringendo il lituano a girarsi, fino a quando non si
ritrovò a premere la guancia sinistra contro la lana di un
lungo cappotto.
Non ci fu tempo per replicare: la mano bianca dell’albino
già aveva stretto le dita attorno al sesso del moro,
lasciando aderire perfettamente la schiena alla sua e posando la testa
sulla spalla nuda, una rotondità perfetta da mordere.
I movimenti iniziarono, vigorosi e ritmici, trasformando ogni
disapprovazione in gemiti caldi che, invano, Toris cercava di soffocare
contro la stoffa di quel cappotto, alla quale aveva artigliato le dita.
« G-Gilbert… ! »
La voce rotta lo chiamò in una piccola supplica che non
poté che farlo sghignazzare, pieno di sé, prima
di passare la lingua dietro l’orecchio e premere il naso
contro i capelli castani, inebriandosi del loro profumo.
« Che c’è, non ti piace…?
Devo fare di più? »
Dio, se si divertiva. Soprattutto quando, senza aspettare una risposta,
incrementò la velocità della sua mano.
Non era finita lì: seguendo lo stesso ritmo, anche il bacino
del prussiano iniziò a muoversi, strusciandosi senza ritegno
contro i glutei del moro, che la mano sinistra, quella libera, mai
aveva lasciato in pace, massaggiandoli ora, pizzicandoli, dopo.
Vide le mani di Toris affondare le unghie nel giaccone e
sentì tutto il suo corpo tremare violentemente. Pochi
secondi dopo, con un gemito vibrante, il lituano raggiunse il
limite, sfogando il piacere che non poteva più trattenere
sulla sua mano e non solo.
L’orgasmo lo lasciò ansimante per più
di un minuto, che Gilbert vide bene di usare per voltarlo nuovamente,
passando lentamente le mani sull’interno delle sue cosce,
dietro di esse e su, fino a raggiungere l’elastico dei boxer,
là dove li aveva lasciati.
Toris mugolò nuovamente contro quella bocca che
l’aveva fatto sprofondare in sensazioni bollenti.
« Gilbert…! No!»
« Non ti ascolto…
Io so cosa vuoi davvero.»
Quelle parole furono tremende quanto vere: col passare del tempo
–ma già da subito, a voler essere sinceri- il
prussiano aveva imparato che se la bocca di Toris diceva una cosa,
spesso e volentieri il corpo ne professava un’altra.
La prima era ragione, il secondo istinto e in casi come quello era bene
che fosse questo a venir ascoltato. Così, se Toris non
voleva, ci pensava Gilbert a tendere le orecchie e udire i consigli che
il petto altrui gli dava, fremendo.
Ciò stava accadendo anche ora: in un contrasto feroce, Toris
si ripeteva quanto tutto quello fosse sbagliato, problematico,
pericoloso, urlava “No!”.
Poi, però, il calore delle mani e delle parole del prussiano
lo ammaliava.
Era così, sì, Gilbert sapeva cosa volesse
davvero. Gilbert poteva darglielo ora.
Le spalle si sciolsero improvvisamente, in un sospiro lungo e
nasale: nuovamente la seconda idea aveva trionfato.
E mentre la gamba di Toris si piegava, alzandosi fino ad avvolgere la
vita altrui, Gilbert gli tirava giù i boxer, lentamente,
prima un centimetro, poi un altro, un altro ancora…
« Bonsoir, amoreux.»
L’anta si spalancò tutto ad un tratto e la luce
invase il guardaroba, colpendo, appunto, i due amanti, che non solo
videro bene di lanciare entrambi un grido degno dell’ultimo
film di Dario Argento, ma, sussultando, finirono entrambi con
l’urtare contro il fondo dell’armadio , facendo
cadere un be po’ di giacche e sciarpe.
Davanti a quella scena, Françis non poté far
altro che coprirsi la bocca con la mano guantata di bianco e trattenere
a stento delle grasse risate.
« Françis! Che cazzo fai!»
Sbraitò, Gilbert, volgendo il collo e il volto, tra il
furente e il paonazzo, verso l’amico, mentre tutto il resto
del corpo cercava di coprire Toris, il quale, colto da una vergogna
profonda e bruciante come l’inferno, altro non era riuscito a
fare che tirarsi sui i boxer e i pantaloni con uno strattone violento,
rimanendo spalmato contro il fondo del guardaroba.
Non era rosso, era viola, lo era così tanto che per un
attimo sia Françis che Gilbert si chiesero se avesse smesso
di respirare ( cosa che era effettivamente successa per qualche minuto).
« Io? Io sono semplicemente venuto a cercare il testimone che
mi è sparito prima del taglio della torta.
Ho cercato e cercato, poi sono passato qui davanti e ho sentito.
Dovresti ringraziarmi che ho avuto la gentilezza di aspettare che i
rumori finissero. »
« Beh, non erano finiti!»
Se c’era una cosa che Gilbert non sopportava, quella era
venire bruscamente interrotto nel bel mezzo di un rapporto. Non lo
sopportava quando succedeva perché squillava a ripetizione
il telefono, figurarsi se il francese aveva ben visto di spalancare
senza preavviso l’anta e far prendere loro un colpo.
« Non fare lo scocciato. Io al tuo matrimonio non
l’ho fatto.»
« Tu al nostro matrimonio non l’hai fatto solo
perché non hai trovato dove infrascarti con
l’inglese!»
« Questo non è affatto vero. Se avessi
voluto…»
« Potreste farla finita!? »
La voce di Toris, roca per l’imbarazzo e lo spavento, si fece
sentire sopra le altre due. Il tempo che il marito e Francia avevano
usato per battibeccare su questioni che avrebbe preferito lasciare
nell’ombra, il lituano l’aveva usato per ricomporsi
il più velocemente possibile e ora uscire
dall’armadio.
No, non sarebbero serviti tutti i colpi di tosse del mondo
per simulare un poco di nonchalance.
Erano stati beccati.
In un guardaroba.
Da Françis.
Se gli andava bene, forse la notizietta sarebbe rimasta nella zona
centro-europea. Forse.
Dio.
Il francese tirò quello che sembrava essere un sospiro
paziente e si mise le mani sui fianchi.
« Bene. Adesso possiamo tornare a… Mon
Dieu!»
Lo sguardo di Françis si fece quasi inorridito alla vista di
Gilbert che se ne usciva dall’armadio, senza capire cosa
avesse tanto sconvolto il biondo.
Almeno fino a quando non abbassò lo sguardo sui suoi
pantaloni e un certo gonfiore fin troppo evidente.
« No, no, tu così di là non ti
presenti. Le foto ce le facciamo dopo, ora, Toris, tu vai e
finisci ciò che hai iniziato!»
Il lituano nemmeno rispose, rimase a boccheggiare come un pesce rosso
–paragone azzeccato, visto che il colore era quello-, mentre
Françis si voltava verso la bacheca appesa al muro
di fronte e prendeva una chiave, depositandola poi sul palmo
dell’albino, che si guardò bene dal toccare.
« E’ la quarta stanza a sinistra, al secondo piano.
Lasciatela libera entro un’ora, che è
prenotata.»
Gli occhi di Gilbert lessero ciò che stava scritto sul
cartoncino legato al nastro rosso che penzolava dalla chiave argentea:
due iniziali.
« “I.B.”
E’ chi penso io?»
« Può darsi.»
Nel mentre che la faccia di Toris, ben sicuro di chi si identificasse
in quelle iniziale, diventava bianca come un cencio, il ghigno di
Gilbert s’ingrandiva così tanto da apparire
deformato.
Quella era proprio una gloriosa giornata per la Prussia.
« Franz. Sei un amico, un vero, verissimo amico. E ti auguro
di fare con l’inglese del sesso magnifico quanto quello che
sto per fare io.»
Gilbert era quasi tentato di abbracciarlo, tanto era contento, ma
adesso non c’era tempo.
La mano afferrò nuovamente quella del marito e i piedi
corsero veloci come mai, trascinando senza pietà
l’altro verso l’ascensore.
Toris non sapeva più che fare, se sbiancare o arrossire. E
quelle scarpe scivolose gli impedivano nuovamente di imporsi.
« Gilbert! Gilbert! Non ci pensare nemmeno, è la
camera di Ivan!»
« Lo so, è magnifico! Prima il cappotto, ora la
camera!»
« … Il cosa!? »
« Il cappotto, quello che dovrà portare il
lavanderia per colpa di una brutta macchia! Dovresti saperne
qualcosa!»
« GILBERT!»
L’albino rise a pieni polmoni, trascinando Toris
nell’ascensore un attimo prima che le porte si chiudessero,
un attimo prima averlo tirato di nuovo contro le sue labbra, in un
bacio dove le mani s’impigliavano nei suoi capelli, li
scompigliavano. Uno di quei baci in cui Toris finiva sempre,
scioccamente, per sorridere.
Gilbert era indecente, ma lo amava anche per questo.
_____________________________________________________________________________________*
Ancora non sono morta.
Ci vado vicina, ma non lo sono. *A*/
Scusate tanto per il semi-p0rn, ma queste sono le idee che vengono il
giovedì sera con la semi-febbre.
Spero vi piaccia!
Un bacio,
_ Valkyrie.
|
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Capitolo 13 *** 14. Sul Ring. ***
Avvertimenti: Botte
da orbi
Raiting: Arancione
Personaggi: Toris
Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt
14. Sul Ring.
Il pugnò volò a pochi millimetri dalla sua
faccia; la frizione delle nocche graffiò l’aria.
« Mancato!»
« Sta’ zitto!»
Gilbert continuò a ghignare dietro la guardia alta, gli
occhi rossi puntati sul giovane lituano che ora portava due dita alla
cravatta e allargava il nodo con uno strattone, passando poi ad aprire
i primi due bottoni.
Era successo di nuovo.
Toris si era ripromesso e ripromesso che mai più e mai poi
avrebbe lasciato cedere così i suoi nervi, poiché
essi erano allenati, fortificati da giorni e giorni di duro lavoro in
una situazione sgradevole come solo quella che l’Unione
Sovietica dopo la seconda guerra offriva. Mandare tutta quella calma
ferrea a farsi benedire per colpa di qualche stupida provocazione
uscita dalla bocca di Gilbert, che spesso e volentieri parlava prima
del cervello, era inutile, controproducente, una perdita di tempo e chi
più ne ha più ne metta.
Nonostante tutto questo, tre settimane prima era comunque avvenuto il
fattaccio: all’ennesima mancanza di rispetto, le gambe di
Toris si erano mosse per lui e prima che avesse potuto rendere conto
aveva visto il suo pugno sinistro sbattere contro il naso
dell’albino. Era accaduto in un attimo e per i
minuti a seguire tutto al lituano era sembrato ovattato: il suo respiro
affannato, i muscoli del corpo ancora tesi, Gilbert che, indietreggiato
di qualche passo, teneva la testa bassa e le mani sulla faccia; il
rumore delle gocce di sangue fuggite dalle sue falangi, che
picchiettavano sul pavimento lucido. Il moro era stato incapace di
pronunciare una qualunque parola. Poi, Gilbert aveva alzato la faccia,
mostrando i denti in un sorriso eccitato e gli occhi in cui il rosso
brillava più del sangue che gli colava fino al mento, e
aveva detto con voce roca ciò che Toris, in una parte molto
nascosta di sé, sperava di sentire.
“ Vogliamo
continuare? “
Ed avevano continuato; a dividerli, quella volta, quando già
entrambi avevano la faccia e le braccia piene di ematomi, era stato
Ivan, a cui nessuno dei due aveva saputo dare una spiegazione che non
fosse un ansimare affaticato e rabbioso. La seconda, invece, Eduard era
arrivato giusto in tempo per vederli crollare, esausti. La terza,
iniziata con uno strattone da parte del tedesco, più o meno
lo stesso.
Quella volta Toris non sapeva nemmeno perché avevano
iniziato; un motivo stupido di certo… oh
sì, le ceneri delle sigarette che Gilbert lasciava
cadere a terra, giusto, il motivo era quello. Beh, non importava,
tanto, comunque andasse, non aveva importanza, così come non
aveva importanza chi dei due avrebbe vinto. In quegli scontri non
c’erano vinti o vincitori, l’unica cosa che contava
era mirare bene prima di scagliare un gancio o un destro.
Adrenalina.
Ecco chi era da farla da padrone in ognuno dei loro occasionali ring.
Non c’entrava niente dimostrare la superiorità
sull’altro, e il rispetto, oh, quello lo avevano abbandonato
nell’esatto momento in cui avevano tirato il primo colpo!
Erano l’uno il capro espiatorio dell’altro: negli
occhi rossi di Gilbert, Toris vedeva specchiarsi ogni briciolo di
rabbia repressa, ogni moto d’ira che aveva soppresso, ogni
volta in cui si era morso la lingua. E nel controllo frantumato di
Toris, Gilbert trovava altro spazio ancora per far bruciare
la fiamma dell’odio che lo logorava dentro.
Nella violenza del combattimento tutto si annullava.
Erano liberi.
« Sei lento!»
Il ginocchio di Gilbert impattò con violenza
sull’addome dell’altro e un brivido gli corse lungo
la schiena quando poté giurare di aver sentito lo stomaco
muoversi sotto il suo colpo. Ma non poté godersi per molto
l’immagine del moro che sputava sangue e saliva,
perché un dolore lancinante gli si propagò sul
polmone sinistro e con uno schianto si ritrovò intrappolato
contro il piano lavoro della cucina e contro la mano sinistra di Toris,
ora stretta sul suo colletto.
Rise, allargando lo spacco sul labbro inferiore; avrebbe dovuto
guardargli quelle maledette mani e non la faccia.
L’odore del fiato sporco di ferro del lituano gli invase le
narici e solo allora comprese quanto gli fosse effettivamente vicino.
Toris, un pugno ancora alzato e il petto malmesso
che si gonfiava e si svuotava troppo velocemente, rinchiuso nella
camicia sporca e disastrata, deglutì un paio di volte e
cercò sotto tutto il sangue che gli era salito in gola le
parole.
« E tu… tu usi la bocca a sproposito. »
Gilbert portò immediatamente lo sguardo sul suo, fissando il
punto più profondo della pupilla verdazzurra. Ci fu silenzio
per uno, due, dieci secondi. Poi gli sorrise, sgraziato, inarcando le
sopracciglia candide e mettendo in mostra i canini.
« Non sono molto d’accordo. »
La mano sinistra del tedesco, fulminea, scattò e
si chiuse attorno al pugno di Toris, che d’istinto chiuso gli
occhi, preparandosi al colpo.
Le labbra di Gilbert erano ancora più secche
dell’ultima volta.
Con un mugolio, il petto di Toris aderì perfettamente a
quello dell’albino e le spalle si curvarono, lasciando che il
braccio dell’altro le circondasse fino a conficcare le unghie
nella camicia. Al primo respiro, la lingua si fece prepotentemente
spazio nella sua bocca e Toris la sentì esplorare il profilo
dei denti, fino a intrecciarsi con la propria, a cercare di dominarla,
a lasciarsi, per pochi attimi, dominare.
La mano destra di si fece spazio dietro la schiena di Gilbert,
stringendosi malamente attorno alla vita e accentuando ancor
più il contatto trai loro corpi. Il calore che emanavano, il
loro odore aspro, gli arrivava alle naso, schiacciato contro la faccia
del tedesco, e gli intrecciava le budella.
Sentì chiaramente le sue dita strisciargli dalle spalle al
collo e un fremito percorrere tutto Gilbert quando le portò
alle radici scure e bagnate di sudore dei suoi capelli lunghi, dentro
cui s’infiltrarono, perdendosi, sciogliendo la mezza coda e
lasciando i fili marroni appicciarsi alle loro facce. Li
tirò senza indugiò e la risposta che
ricevé furono gli incisivi dell’altro che
catturavano un pezzo del suo labbro inferiore e lo strattonavano.
Gilbert si liberò da quella piccola morsa, lasciandogli un
bacio umido sotto il mento e sul collo esposto, solo e unicamente
quando sentì il torace pungere in ogni punto e implorare per
avere ossigeno.
Adesso stavano ansimando ancor più di prima. Si accorse che
sulle braccia di Toris, quella parte lasciata esposta dalla camicia
arrotolata male in pochi attimi, le vene pulsanti erano tutte
un tremore e si concesse un piccolo sorriso, giusto quello che gli
serviva per farlo ricordare:
« Mi hai morso.»
Obiettò, portando la mano libera, quella che non era intorno
al suo collo, alle labbra. Toris tornò in un secondo a
corrugare le sopracciglia e stringere le palpebre; sentì
chiaramente tutti i suoi muscoli irrigidirsi di nuovo.
« T- Sei tu ad avermi tirato i capelli. »
« Ormai ho capito che ti piace.»
« Sta’ zitto. »
Toris distolse lo sguardo, lasciando Gilbert alle sue risatine. Nemmeno
quello era la prima volta che accadeva. Era iniziato la seconda volta,
quando il prussiano lo aveva atterrato e invece che con i pugni, lo
aveva aggredito con le labbra, e lui, da prima sconvolto, si era
ritrovato a contraccambiare con una passione che avrebbe giurato di
provare per chiunque, ma non certo per lui.
Non sapeva come o quando l’adrenalina del combattimento
finisse col trasformarsi in quella.. attrazione. Non lo comprendeva e
non era neanche certo fino infondo di volerlo comprendere. Era
semplicemente successo, questo si era ripetuto la prima volta, sarebbe
stato un fatto da mettere nel dimenticatoio.
Peccato solo che la cosa si fosse ripetuta un’altra volta. E
un’altra ancora.
« .. Non capisco.» Borbottò, pulendosi
il sangue dalle labbra umide e arrossate –ma non dai pugni-
il sangue. « Perché ogni volta deve finire ch-
»
« Che ci ficchiamo la lingua in gola? Beh, fatti due domande,
Litauen. » Gilbert quella che Toris avrebbe
definito come “l’ennesima cascata di parole non
filtrate dal cervello” mentre cercava di massaggiarsi il
collo. Finito il ben poco producente massaggio, andò ad
unire la mano alla sua gemella, ancora sulle spalle di Toris, alla
quale rimase allacciato, gli occhi fissi nei suoi.
« Se vuoi io posso dirti come dovremmo continuare la cosa.
Mh?»
Volente o nolente, Toris sentì il cuore salirgli in gola e
lì rimanere, incastrato nelle corde vocali, mentre
un’ondata di un calore tanto piacevole quanto fastidioso,
perché sbagliato, gli invadeva il corpo intero e il
cervello.
Non era la prima volta che riceveva quel genere di avances.
Gilbert già aveva approfittato delle passate lotte
–e conseguenti baci- per proporgli di, testuali parole,
“continuare i giochi a letto” e la risposta di
Toris era partita con un rifiuto sbigottito e, diciamolo, praticamente
urlato, fino a divenire un’occhiataccia fulminante. Eccolo
infatti recuperare la solita serietà e non dare a Gilbert
nessuna risposta se non uno sguardo glaciale dritto nelle fiammelle
delle altrui pupille.
« Piuttosto,» iniziò, evitando
totalmente la domanda e portando lo sguardo all’addome del
tedesco. « quando ti ho colpito ho sentito un rumore strano.
Controlla di non esserti fatto niente alla costola. »
« Da solo? »
« Non ne sei capace?»
« Potresti venire in camera mia ad aiutarmi. »
Gilbert rincarò senza indugio la dose, tornando con le nei
capelli del lituano, a cui, ne era certo, le guance adesso non
s’erano arrosate per la fatica. Ma Toris, deciso a non
mollare, buttò gli occhi al cielo e si divincolò
dalla presa dell’altro, allontanandosi di qualche passo dal
suo calore.
« Gilbert. No. »
« Non ti vedo molto convinto, sai? »
« Smettila d’insinuare cosa sono e cosa non sono!
»
« Io non insinuo nulla, leggo i fatti!»
Toris sospirò, esasperato, davanti alla
tranquillità con cui il tedesco gli proponeva certe cose
dopo averlo riempito di pugni senza indugio.
« Lo capisci che non ha senso?»
« Perché, tenermi totalmente incollato a te mentre
ti bacio ne ha, quindi? »
Toris si ritrovò ad aprire la bocca e non farne uscire alcun
suono, lasciando Gilbert nella meravigliosa consapevolezza di aver
centrato il punto. Si morse nervosamente un labbro, Toris, per poi
tornare a guardarlo negli occhi.
« Non sono come gli altri. Non faccio certe cose. Mi spiace,
io non ho intenzione di diventare il tuo passatempo o
giocattolo.»
Gilbert parve oscurarsi e far sparire il sorriso con la stessa
velocità con cui aveva iniziato a ridere prima. Toris
abbassò lo sguardo.
« E io non ti ho chiesto di diventare né il primo
né il secondo. »
Fu come se quelle parole si fossero tramutate in fulmine e scaricate
con violenza addosso al lituano, elettrizzando la pelle, le ossa, il
cuore. Rialzò immediatamente gli occhi su Gilbert e
cercò nelle sue pupille non la spiegazione di quella
affermazione, la conferma che essa avesse lo stesso significato che lui
gli aveva immediatamente conferito.
Il cuore, nel petto, pulsava più delle ferite.
« S… Santo cielo! Vi siete picchiati di nuovo?!
»
La voce tremante di preoccupazione del povere Raivis, appena rientrato
in casa con le braccia ricolme di una settimana di spesa, irruppe nella
cucina e interruppe il gioco di sguardi dei due astanti.
Gilbert allungò le braccia, lasciando le costole scrocchiare.
« Normale amministrazione, nanetto. Zitto con russo e pensa a
pulire.»
Toris avrebbe voluto rispondergli di non trattare così
Raivis e portargli rispettò, ma non riuscì a
trovare le parole per rispondere, perché adesso non riusciva
a pensarne altre che non fossero quelle della frase lanciatagli
dall’albino, che ora andava abbandonando la stanza, le mani
in tasca e l’aria disinteressata.
« E comunque non ti preoccupare, » disse, ormai
alla porta, tornando a guardare indietro, ma rivolgendo le pupille
scarlatte non al lettone, ma al moro. « Io e Toris potremmo
anche smettere a breve di giocare o passare il tempo e iniziare invece
a fare le persone serie. Con un senso. »
Gilbert sorrise, sbruffone, prima di voltarsi e andarsene
definitivamente dalla cucina, lasciando dietro di sé, come
uno strascico, un’ultima frase.
« Ma questo solo se Litauen non fa il ghiacciolo e si decide
a venire a trovarmi, stasera! »
Toris avvertì con chiarezza ogni goccia di sangue
ribollirgli nelle vene e pulsargli nelle tempie quando Raivis lo
guardò con un giusto fare confuso.
« … devo portarti delle garze e del disinfettante?
»
Accennò il più giovane dei baltici, forse per
sfuggire a tutta quella strana situazione. Toris ringraziò,
dicendogli di sì, e di mettere anche su l’acqua
per il caffè a bollire. Ne aveva bisogno.
Toris si passò entrambe le mani sulla faccia e poi le
portò alla testa, lasciandosi andare in un sospiro stanco e
esasperato.
Qualcosa gli diceva che adesso da quel ring non ci sarebbe mai
più sceso.
( nota: svariati anni
dopo, durante la loro convivenza scelta e non forzata, Gilbert
proporrà a Toris una serata film, dicendo di averne trovato
uno che gli ricordava “i loro vecchi tempi”.
La pellicola in
questione sarà “Fight Club” )
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...
ciao eh
Sì sono viva.
Solo che ho la costanza
di una che non si chiama costanza.
Non mi lianciate, non mi
picchiate, si sono picchiati già abbastanza loro.
Dai che vi voglio bene.
.... Sciao.
*A*"
ah sì, ho saltato il 13 perché a me il 13 fa
schifo
<3
___ Lucy.
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