Priežastis & Gefühl - Something about them.

di Lucy_lionheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Sotto il regalo...! ***
Capitolo 2: *** 2. Macchie sospette. ***
Capitolo 3: *** 3. Dietro le telecamere. ***
Capitolo 4: *** 4. Sotto la pelle. ***
Capitolo 5: *** 5. Giardini innevati. ***
Capitolo 6: *** 6. Ciò che desideri. ***
Capitolo 7: *** 7. Rockstar. ***
Capitolo 8: *** Spazi d'attesa ***
Capitolo 9: *** 9. Videogames ***
Capitolo 10: *** Google Maps ***
Capitolo 11: *** Cicatrici. ***
Capitolo 12: *** 12. Indecente. ***
Capitolo 13: *** 14. Sul Ring. ***



Capitolo 1
*** 1. Sotto il regalo...! ***


sotto il regalo..

Avvertimenti: AU!, Slice of life, comico, Shonen-ai.
Raiting: Giallo.

Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt.







1. Sotto il regalo...!











Di tutte le cose che si era aspettato per San Valentino, un regalo da parte di Gilbert era veramente, veramente, l’ultima.
O almeno, non un regalo materiale, palpabile.
Non fraintendiamo, Toris, nei suoi diciannove anni di vita, mai aveva provato attaccamento verso i soldi e la sua persona distava anni mille da quella di un uomo che si può etichettare come “materialista”.
Solo che... Beh, Gilbert non era il tipo.
In primis perché svolgeva l’onorevole, ma non gratificante, professione dello sp... operatore ecologico a continuo rischio licenziamento a causa dell’indole burrascosa -e ciò era una pugnalata per le sue economie- e poi perché…
… Perché se la cavava meglio con altri tipi di regali, diciamo.

E invece, a dispetto di ogni programma, il lituano si trovava seduto sul divano del salotto di casa sua, con Gilbert accanto e un sacchetto ben infioccato tra le mani.
Un sacchetto enorme, eppure… leggero.
Inutile dire che questa stranezza non faceva che aumentare la sua curiosità.

« Non dovevi. »

Disse, con un sorriso a dir poco trattenuto; sapeva che se si fosse mostrato troppo felice, Gilbert avrebbe immediatamente colto l’occasione per prenderlo in giro.

« Oh, no… Dovevo eccome. »

Fu la risposta del prussiano, che intanto gli aveva passato un braccio intorno alle spalle e avvicinato le labbra all’orecchio. Quella sarebbe stata la volta buona.

« Se ti piace, puoi indossarlo, dopo. »

… Indossarlo?
Ah, un capo d’abbigliamento! Allora aveva speso anche più di quello che pensava.
Beh, forse avrebbe dovuto metterselo per davvero, anche se non gli fosse piaciuto; voleva ringraziarlo.
Annuì, quindi, e, senza più aspettare, sciolse nodi e nodini, strappando in fine il nastro adesivo.
La busta si aprì e…
… E…?

« Ma… »

Il tono interrogativo di Toris riempì quel monosillabo.
Magari Gilbert si era sbagliato… Forse aveva dimenticato il resto a casa. Quasi gli sembrava maleducazione farglielo notare, però…

« … Non c’è nulla. »

Disse, osservando il fondo della busta, riempita solo dall’aria e dal suo sguardo interrogativo.
Sguardo che non tardò ad alzare su Gilbert, che si era fatto ancora più vicino e aveva dipinto in faccia un sorriso fin troppo grande.
Come non detto, eh, Toris?

« Bravo. Te lo metti, adesso? ♥.»


Bastò quella frase a far diventare la faccia del castano rossa come gli occhi di Gilbert.
Ma bastò anche a riempire di ringhi e insulti urlati –e balbettati-  in lituano le parati di quella casa.
Non si smentivano mai.
Nemmeno a San Valentino.






__________________________________________________________________________________________________________________________***

Umh.
Che dire a mia discolpa?  Sono la mia OTP, gente, oh.
Non so quante ne scriverò, molto probabilmente tutte quelle che mi verranno in testa...! I generi saranno... generali.
Non vi stupite se dopo un capitolo del genere, AU! e comico, vi troverete un qualcosa di storico o angst. La cosa vale anche per versioni Yuri o Het...!
Il punto è che questi due mi piacciono in tutte le salse e che questa raccolta altro non è che una dimostrazione di ciò!
Per chi si azzarderà a commentare, sappiate che siete liberi di proporre idee semplicemente sparando una parola (casa, chiesa, fiore, cuore amore e così via) e io vedrò di accontentarvi, ma non assicuro niente, nel caso non mi vengano idee o già ne abbia...!
Detto questo, vi saluto, o voi che leggete e, spero, gradiate, anche se si tratta di una cavolata scritta in cinque minuti e... alle 23.04 di domenica notte, circa.

Baci!

Valkyrie.



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Capitolo 2
*** 2. Macchie sospette. ***


Avvertimenti: Au!, Slice of life, comico.
Raiting: Verde.
Personaggi: Gilbert Beilschmidt, Toris Laurinaitis, Francis Bonnefoy, Antonio Fernandez Carriedo.

2.  Macchie sospette.


Il boccale sbatté sul tavolo,  il vetro pesante tremò e il liquido al suo interno, del colore dell’oro, ondeggiò, dimezzato in un sorso.

« Il mio ragazzo è un bastardo. »

Antonio e Francis guardarono Gilbert, seduto dietro quella pinta decisamente abbondante di birra, con lo sguardo di chi aveva appena sentito dire che non solo i maiali volavano, ma che avevano pure tirato su una compagnia di viaggi economici oltreoceano.

« Ma chi… Toris? »

Chiese lo spagnolo, alzando un sopracciglio; già chiederlo gli sembrava assurdo, figurarsi.
Alla domanda l’albino altro non fece che sbuffare, annuire e buttare giù un altro sorso decisamente lungo di birra, ricordandosi dopo due o tre minuti della schiuma bianca che gli pizzicava il labbro superiore.

« Ce n’est pas possible.  Sicuro di non star parlando di te stesso, Gil? »
« “Me stesso” un cazzo! E’ lui il bastardo! »

Ringhiò, buttandosi indietro sullo schienale rosso e morbido della panca alla quale sedeva, di fronte al tavolo in legno e ai suoi due migliori amici, ancora intenti a scambiarsi occhiate a dir poco stupite.
Perché non ci credevano!?

« Scusa, Gil. »

Iniziò lo spagnolo, sorridendogli gentilmente; se lo conosceva bene, aveva intuito che quella sera l’amico “mordeva”.

« Toris, per quanto io lo conosca, non sembra affatto un bastardo. Anzi, direi che è l’antitesi del bastardo. »
« Quello non farebbe male a una mosca. »

Aggiunse Francis, mentre con una mano faceva segno di avvicinarsi ad un cameriere.
 Nel pub più rumoroso, ma anche allegro, di Berlino, i tre erano ormai conosciuti. Avevano iniziato ad andarci quando facevano il liceo e non avevano smesso nemmeno ora che erano tutti e tre sui venticinque.
Il biondo, date le ordinazioni, si voltò nuovamente verso Gilbert e la sua espressione corrucciata.

« Si può sapere che ti può mai aver fatto? »

Gilbert sbuffò, spostando lo sguardo su una riga nel tavolo che lui aveva fatto anni prima.

« L’altro giorno sono andato a prenderlo a lavoro. Ha iniziato da due giorni. Lavora per un settimanale  di musica. Insomma, io credevo di trovarlo a disagio e invece… »
« E invece? ¿Qué? »

« Su, dicci cosa ti ha impedito di fare la figura del fidanzato eroico. »
« State zitte. Il punto è che lui, invece, era circondato da colleghe! Colleghe gentili che gli volevano offrire un passaggio! »
« E lui l’ha accettato? » Chiese, Antonio, inzuppando nel ketchup le patatine di Gilbert, prima di farle sparire.
« No, ha detto a tutte di non preoccuparsi. »
« E allora qual è il problema! Si è comportato alla perfezione, degno di lui. »
« Il problema, Fran’, è che non gliel’ha detto. »
« Cosa? »

Le voci di Antonio e Francis risuonarono. Gilbert allontanò da loro le sue patatine.

« Che è fidanzato. »

Nessuno dei tre parlò per qualche secondo, fino a quando il silenzio non fu rotto da Antonio.

« Beh, era il suo primo giorno. Insomma, è normale che non se ne sia uscito con un: “Hola, mi chiamo Toris, ho 20 anni, sono lo stagista e oggi il mio fidanzato viene a prendermi, yu-hu!” »
« Quello non dirà che è fidanzato fin quando quelle arpie non glielo chiederanno. E non lo faranno. »
« Gilbert, non ti ha mai sfiorato il pensiero che siano gentili con lui perché è l’unico ragazzo e ha la metà dei loro anni? »
« Le vecchie sono le peggiori. »

La cameriera, sulla quarantina, lo guardò male e servì l’ordinazione. Gilbert roteò i rubini.

« Dopo questa possiamo anche chiuderla! »

Sbottò, prima che Antonio lo salvasse cambiando argomento e indicando il colletto di Francis: vicino al collo, la stoffa celestina era…

« Cos’è quella macchia rossa? »
« Mh? Ah, la fonte di un bel  guaio. »

Sospirò, il francese, ma senza essere minimamente affranto.

« Una con cui sono uscito ieri l’altro ha ben visto di sporcarmi la camicia con il rossetto che aveva.  Pensavo di tornare a casa e lavare tutto, ma a metà strada ho trovato una mia collega d’ufficio, l’inglesina, e- »
« Ok, basta, ho già capito com’è andata a finire. E’ quella che ti prende a brutte parole due volte sì e la terza anche, no? »

Francis rise, posando il viso sul palmo della mano.

« Ah, tu vedessi come si è ingelosita! … Gilbert, cos’è quella faccia? Hai la sbornia “allegra”? »

Allegra, sì, perché il sorriso era tornato sulle labbra di Gilbert, ed era tornato in modo pericoloso.


*

 


« Buongiorno…! »

La giornata di Toris non avrebbe potuto iniziare in modo migliore.
Che Gilbert gli desse una mano nei lavori di casa era già decisamente raro, ma che addirittura si offrisse di fare il bucato…!
Mettersi una camicia che sapeva essere stata lavata e stirata dall’albino era a dir poco soddisfacente ed infatti le colleghe, sedute intorno a quella che loro chiamavano “la tavola rotonda”, ovvero il luogo in cui discutevano riguardo i temi e l’impostazione del numero della settimana, non ci misero nulla a notare il sorriso sulla sua faccia.

« Oh, Toris! Vuoi il caffè? »
« Beh, se ce n’è…! »
« Ce n’è, ce n’è! Com’è che sei tutto contento, oggi, novellino? »

Toris non rispose con nient’altro che un sorriso e un ringraziamento, prendendo la tazza di caffè fumante che gli veniva offerta.
Fu allora che una delle donne notò qualcos’altro oltre al sorriso del castano. Le dita smaltate corsero al collo della camicia del ventenne, tirandolo e mostrandolo alle altre.
Le cinque bocche femminili sollevarono gridolini stupiti e, più che altro divertiti.

« Hai capito il novellino! Ecco perché ridi, fino a poche ore fa ti divertivi, eh? »
« C-Come…? Io non… »
« Non ti facevo il tipo da mattina. »
« Da m…? N-Non capisco, scusate, che… »

Solo allora gli occhi di Toris, colmi di un mix  d’imbarazzo, confusione e giustificatissima ingenuità, si posarono su un punto del colletto che riusciva a vedere.
C’era una macchia. Una macchia rossa.
… Una macchia che aveva la forma di due labbra sottili che conosceva parecchio bene.

« Ce lo potevi dire che eri fidanzato. … Perché è la fidanzata, no? »


Intanto, Gilbert aveva buttato nel water l’ennesimo fazzoletto sporco di rosso.
C’era voluta mezz’ora per togliere ogni traccia, compreso odore e sapore, di quel cosmetico tanto odioso, ma mettersi  una bello strato di rossetto aveva contribuito a lasciare la  perfetta e ben visibile stampa di un bacio sulla camicia che si era “offerto” di stirare al fidanzato.

« La mattina è così assonnato che non si è accorto di nulla. »

Ghignò; era talmente soddisfatto della riuscita del suo piano che si sarebbe potuto dare il cinque da solo.
Ripensò a quando i suoi due amici, alla fine della serata passata insieme il giorno prima, gli avevano detto di essere meno geloso.
Tsk. Geloso, lui.
Non era geloso, per carità, era solo  possessivo.


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Ecco la seconda scemata...!
Anche questa volta AU!, non ricordo quando e come ho avuto l'idea delle macchie-
Ringrazio tanto le due commentatrici, Assasymphonie e BlackPhoenix, anche perché hanno lasciato commenti positivi che spero di non far smentire con questo capitolo..!
Come già ripetuto, se volete propromi quelche parola-tema, fate pure! ♥

Un bacio!


_Valkyrie.

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Capitolo 3
*** 3. Dietro le telecamere. ***


Avvertimenti: Au!, Genderswap, Het.
Personaggi: Toris Laurinaitis, Luise Beilschmidt (Fem!Prussia.)
Raiting: Verde.







3.
Dietro le telecamere.






Lo share era alto, negli indicatori del terzo canale, quando, negli ultimi dodici minuti della puntata della domenica, lei faceva la sua entrata.
Toris non aveva ancora capito come diavolo Luise facesse.
A quattro anni dalla nascita del suo programma –scritto e diretto da lui in persona- aveva intervistato scrittori famosi, registi di serie A, musicisti che avevano fatto la storia del rock, del jazz, del soul, altra gente che aveva fatto la storia e basta.
Ma niente, niente faceva salire gli ascolti come quando lei, alle nove e venti circa, veniva annunciata dalla carinissima e silenziosa presentatrice e entrava quasi correndo, dritta verso la poltrona bianca messa di fronte a Toris e la sua scrivania.
Poltrona che, il lituano già lo sapeva, sarebbe stata occupata per molto, molto poco.

« E allora, che bella figura ci abbiamo fatto davanti all’attore più bello di tutta l’Europa, eh, Toris? »
« Luise, scendi dalla scrivania. »

Ma niente, lei non l’ascoltava mai e, come se non ci fossero una decina di telecamere e gli occhi del pubblico puntati su di loro, la donna saltava sopra la scrivania dietro la quale Toris sedeva, stendendo le gambe sottili su tutti i documenti  usati quella sera, che essi fossero pezzi di libri o domande da porre.
Tanto con lei tutto quello non serviva.
Luise Beilschmidt faceva la comica, l’attrice, la satirica e la chiusura di programma preferita da Toris Laurinaitis e da ogni altro per il suo talk-show.
Se tutto il programma filava con una tranquillità e una perfezione impressionanti, dovute anche al comportamento educatamente ed eticamente impeccabile di Toris anche nei riguardi degli ospiti più discutibili, l’arrivo di Luise, della sua lingua “taglia e cuci” e dei suoi argomenti scottanti sconvolgeva tutto.
Anche Toris.

« Hai sentito riguardo a ciò che è successo a Mosca? Adesso Putin, quell’ometto aff- »
« Luise, abbiamo tre minuti. »
« Eh, tanto del programma dopo non frega niente a nessuno -Scusa, Kat, vengo a salutarti, dopo, tanto sei nello studio accanto!- .  Insomma, dicevo… »
« Luise, attenta al vestito. »

L’albina abbassò lo sguardo sulle pieghe svolazzanti del vestito, i tacchi tra le mani: a forza di spostarsi e dondolare, la stoffa era salita.

« Ah, fammi coprire, tanto io non ho nessuna farfallina vicino alla Julchen.  Il fidanzato di quella secondo te cos’ha tatuato, un retino? »
« Lascia stare certe cose, che è meglio, e vedi di stare attenta, sennò succede di nuovo… »
« Eh, fosse mai la volta buona che ti si risveglia il Warner e si solleva una nube di polvere. Lo sai che sono allergica agli acari, vero? »
« LUISE.  »

Niente da fare, nemmeno quella sera gli era stata risparmiata la battutina. Che poi, fosse una soltanto…!
Lo show finì dopo poco e, come era stato predetto da Louise, finirono nuovamente con il rubare dei minuti a Katjiuusha, la direttrice della trasmissione seguente alla loro.

« Ho una fame! Gli ospiti si sono sbafati tutto. »

Borbottò Luise, mentre ritirava il suo giacchetto. Toris, accanto a lei e già avvolto nel suo lungo cappotto scuro, non le rispose.
L’albina si voltò, lanciandogli uno sguardo beffardo, lo stesso di sempre, davanti o dietro le telecamere.

« Come mai sei così imbronciato? »
« Hai raddoppiato il numero di battutine, stasera. »

Disse solo, avviandosi con lei e trattenendo un mezzo sospiro. Luise rise, infilandosi il giacchetto; Toris avrebbe voluto dirle di chiuderlo, che sennò si sarebbe presa un malanno, ma, a pensarci bene, un calo di voce nel caso di Luise non poteva essere che una fortuna.
Ad ogni modo fu nuovamente bloccato dalla sua parlantina.

« Che permaloso! Ringrazia che sono io che ti prendo in giro, invece. »
« Che fortuna…! »

Bisbigliò, col sarcasmo che con lei e pochi altri si permetteva, senza però sfuggire al suo orecchio.

« Sei un ingrato. »

Le mani sottili di lei afferrarono Toris per la sciarpa, lo tirarono alla sua altezza e lì le labbra schioccarono un bacio sull’orecchio.
Luise ridacchiò.

« Tanto poi io lo so, a differenza di tutti, come stanno davvero le cose. »

Gli sussurrò, con una malizia palpabile  e condensata sulle sue labbra.
Toris rimase basito due o tre secondi, il tempo che lei ci mise per rubargli dalla mano le chiavi della macchina e superarlo.

« Ti sbrighi? Voglio andare a casa a mangiare! »

Il moro sospirò, ma quella volta il sospiro andò a creare un sorriso colmo di dolcezza che gli illuminava il viso un po’ stanco.
Sperava almeno che si ricordasse dove avevano parcheggiato.





__________________________________________________________________________________________________________***


... Vedete una somiglianza con un qualche programma in onda su Rai3?
Se la vedete, bene, PERCHE' C'E'.
Non so, mi sapevano di loro due.
Come la volta scorsa ringrazio i recensori e lettori... commentate e dimemi ciò che ne pensate, mi aiuta molto!



Un bacio,


_Valkyrie.

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Capitolo 4
*** 4. Sotto la pelle. ***


Avvertimenti: Ambientazione storica, AU!
Raiting: Verde.
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt.

4. Sotto la pelle.



Gilbert Beilschmidt, nell’anno 1953, era l’unico bambino che il reparto pediatrico dell’ospedale di Kalisz ospitava.
Fu quindi una sorpresa, in un giorno di marzo, veder entrare nella sua piccola e ingiallita stanza un’infermiera e, dietro di lei, una figura che le arrivava alla vita, maschile, e con un viso pallido dove spiccava un occhio blu.
Uno solo.

« Lui è Toris. Da oggi sarà il tuo compagno di stanza, trattalo bene, mh? »

Lo sapeva chi era, riconosceva quel visetto angelico anche se coperto da bende su quasi tutto il lato sinistro. Toris veniva dal suo stesso orfanatrofio, un postaccio nascosto tra dei bei giardini in cui i tipi come lui erano i primi a venir  presi di mira dagli altri orfani, quelli più rudi e che venivano picchiati dalle maestre.
Anche Gilbert faceva parte di quel gruppo e anche Gilbert, una volta, se non tre o quattro, aveva messo le mani addosso a quell’esserino dai capelli castani e quell’unico occhio dallo sguardo timido solo per il piacere di farlo. Per sfogarsi di ciò che veniva fatto a lui.


“Toris ha avuto un trauma cranico. Al momento non si ricorda nulla, quindi non fare l’idiota come al solito”.


Gli aveva detto l’infermiera, spingendo poi  il ragazzino- dieci anni, più o meno, come lui- verso quell’unico grande letto che dovevano condividere.
L’occhio destro di Toris l’aveva guardato come si guardava uno sconosciuto e Gilbert, dentro di sé, aveva provato vergogna.

« Come ti chiami? »

Gli chiese, dopo tre giorni di silenzio imbarazzante e “Buongiorno” balbettati. Gilbert lo guardò qualche secondo, il tempo necessario a ricordare il pugno che gli aveva dato sullo sterno e sentire la gola seccarsi.

« Hans. Io mi chiamo Hans. »

Mentì.
Quella fu, però, l’ultima bugia che  gli disse.
Protetto dalla totale assenza di memoria temporanea del  castano, i due non tardarono a diventare amici.
Toris era una persona gentile, accettava di fare qualunque cosa e reagiva lamentandosi e, qualche volta, “picchiandolo” solo quando gli scherzi del nuovo amico si facevano esagerati.
Ma, cosa più importante, accettava di giocare solo e unicamente dentro quella stanza dalle tende sempre e costantemente chiuse.
Gilbert era nato con i capelli bianchi e gli occhi rossi, stranezze che però nessuno gli faceva notare, se metteva tutto bene in chiaro con un paio di cazzotti; il vero problema era quella pelle  così sottile da venir corrosa dal sole.
Per questo che era stato spedito dall’orfanatrofio, dove avevano visto come una benedizione il liberarsi da un problema simile, in quell’ospedale scarno che non poteva dargli altra cura oltre al buio.
Toris, in quei tre mesi in cui rimase lì, fu una luce. L’unica e benefica.

« Per quanto devi rimanere qui, Hans? »


Gli aveva chiesto, una notte in cui non riuscivano a dormire, nel  buio della camera.

« Per sempre, credo. Quelle acide delle infermiere non lo dicono chiaramente. Sono tutti degli incapaci. »
« Non dire così. »
« Tu non hai problemi, tu potrai uscire, tra poco. »
« Io non voglio uscire. Non voglio tornare lì. »

Gilbert scattò, volgendo gli occhi rossi, nel buio, su Toris, nascosto completamente sotto le coperte.

« Tu…? »
« Non mi hanno picchiato gli altri bambini. Ma non dirlo, per favore. »

L’albino rimase immobile più tempo, per poi stendersi nuovamente, la schiena contro quella dell’altro.
Per un’ora nessuno dei bambini parlò.

« Toris. »
« Sì? »
« Io non mi chiamo Hans. »
« Lo so, Gilbert. »

Toris fu dimesso dopo tre settimane da quel fatto, quando l’ematoma che prima le bende coprivano divenne solo una macchietta e entrambi i suoi occhi blu tornarono visibili.  Che la sua amnesia era cessata dopo una sola settimana dentro l’ospedale, però, solo Gilbert lo sapeva.

Adesso che aveva ventisei anni, ricordava ancora il modo in cui Toris, il giorno in cui l’avevano dimesso, mentre una delle maestre parlava con la loro infermiera, gli aveva stretto le mani e aveva sorriso, nonostante stesse tremando dalla paura e ogni parte di lui gridasse di non voler andar via.
Ricordava, soprattutto, la promessa che gli aveva fatto:

“ Tornerò, Gilbert.  Ti porterò via di qui, te lo prometto! “

Lui gli aveva detto di non preoccuparsi, anzi, di pensare prima a uscire dall'orfanatrofio che a lui, ma dentro di sé aveva anche accettato quella promessa.
La speranza era  salita ancora di più quando, a quindici anni, aveva visto sulla prima pagina di un giornale un articolo sulla chiusura immediata del suo vecchio orfanatrofio e l’arresto dei docenti, indagati sotto l’accusa di violenze ai minori.
Al centro della pagina, in grande, stava la foto del ragazzo che aveva denunciato il fatto: certo, il viso era più squadrato, ma gli occhi toglievano ogni dubbio.
Teneva ancor quel giornale, invecchiato insieme a lui, che adesso misurava un metro e settantacinque di statura e stava stretto nel letto che prima li ospitava entrambi. Era magro, tanto che se si stiracchiava, ogni costola premeva immediatamente su quella pelle.
Il carattere, però, era rimasto lo stesso, se non peggiorato, così come le cicatrici.

Quel giorno gli veniva annunciato da quasi due mesi: nemmeno si trattasse del salvatore, un nuovo medico sarebbe arrivato a trattare il suo caso. L’ennesimo ciarlatano, pensava lui.

“Ed è pure in ritardo. “

Non fece in tempo a sbuffare, che la sua infermiera, la stessa di quando era bambino, ma con più rughe, apparve alla porta; dietro di lei, stava un camice bianco di un metro e ottantadue circa.

« Il medico è qui. »

Gilbert, annoiato, non notò il suo sorriso e nemmeno ascoltò la voce dell’uomo che ringraziava.
Si accorse che la luce era tornata nel suo studio solo quando un sorriso e un paio di occhi azzurri si mostrarono ai suoi.

« Ciao, Gilbert. »

Toris era alto e con i capelli un po’ lunghi, legati in un codino. Aveva lo stesso sorriso gentile di sempre, ma sottomano teneva una cartella medica.
Sentendo gli occhi rossi di Gilbert fissarlo, il giovane arrossì e, senza chiedere nulla, forse nel panico o troppo emozionato, prese a parlare velocemente.

« Ti ricordi…? Beh, sono passati un mucchio di anni, ma… Sono Toris, il ragazzino dell’orfanatrofio. Ci sono uscito di lì, mi hanno adottato.
I miei nuovi genitori  sono di buona famiglia, quindi ho potuto studiare e mi sono laureato. Medicina, apparato tegumentario, malattie della pelle e genetiche.
Ho studiato tanto l’albinismo e… Beh, credo che riuscirò a curarti, almeno per ciò che riguarda la tua derma. Agiremo piano piano, tramite cortisone, e ti riabituerò al sole… Dovremmo spostarci, partiremo per Oslo, dove il sole picchia poco. Vedrai che non dovrai più stare chiuso in una stanza! »
« … Ti sei ricordato la promessa. »

Toris arrossì ancora di più e a Gilbert sembrò tornato il bambino impaurito che conosceva. Il giovane medico si sedé su quel letto, sorridendo.

« Non me ne sono mai dimenticato. »

 

Gilbert rise piano, nemmeno il lituano avesse detto un battuta, e posò sulla palma delle mani la guancia. Sentiva il cuore battere un poco più forte, dal polso.
Ancora non lo sapeva bene, ma Toris non avrebbe guarito solo la sua pelle, ma anche ciò che si trovava sotto essa.

« Sei rimasto il solito, Toris. Anche se sei cresciuto, hai sempre la solita faccia da scemo! »









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... Beh, questo è diverso dagli altri.
L'ho scritto di fretta e furia con mio padre che russa  -presente, perché sta continuando-  , chiedo perdono!

Come sempre ringrazio lettori e commentatori, nella speranza che ce ne siano!
Baci!

Valkyrie.

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Capitolo 5
*** 5. Giardini innevati. ***


Avveriimenti: Ambientazione storica.
Personaggi: Toris Laurinaitis, Sorpresa, Gilbert Beilscmidt.
Raiting: Giallo.





5.
Giardini innevati.


Non sapeva perché mai lo stesse facendo.
Non sapeva perché, in quella mattina più umida che fredda, era scivolato fuori dalle lenzuola, fuori dalle porte, immergendosi nei giardini pressappoco labirintici di Sanssouci.
Lì il tempo si era fermato; lo pensava ogni volta che vi entrava o anche che vi passava semplicemente vicino.
Tutte quelle erano piante di cristallo sulla quale la neve non si posava, ma scivolava attorno, sciogliendosi una volta arrivata al terreno.
Quel giardino non apparteneva all’anno corrente, il 1810. Anzi, forse neanche Sanssouci stessa vi apparteneva: tutto era fermo, si partiva con i domestici, con le vetrate. Ogni cosa era immobile, come in dipinto tremendamente dettagliato.
Toris, invece, si muoveva; si muoveva incessantemente, spostando gli occhi azzurri, si muoveva per quelle stanze insieme a Gilbert, prima anche lui immobile.
L’aveva tirato fuori dal quadro ingenuamente, senza sapere il perché di quella staticità.
Poi le cose si erano evolute, poi il motivo era venuto fuori.
E ora stava lì, di fronte alla cornice del dipinto, in divisa e con un mazzo di fiori in mano.
Era il 24 gennaio.

«
B… Buongiorno. »

Non si era mai sentito così a disagio in tutta la sua vita.
Da una parte si dava dello stupido, e poi come, ma dall’altra avvertiva il forte bisogno di fare quello che stava facendo e la cosa traspariva dai suoi occhi, divenuti chiari come il cielo invernale.
Era teso, troppo.
“ Ricominciamo da capo.”
Disse, tra sé e sé, tirando un sospiro e sedendosi, a gambe incrociate, davanti al suo interlocutore.
Il mantello rosso scivolò sotto di lui e il cappello cadde, non lasciando al lituano il tempo di toglierselo di sua spontanea volontà. Un’altra cosa che non comprendeva –ma sentiva comunque di dover fare- era perché mai si fosse messo la divisa prussiana.
Si stava sentendo ridicolo, ridicolo come la sua gola secca e arida di parole, o almeno, di parole intelligenti.
Le timida neve dell’alba si posava sulle sue spalle, delicata, ma non sulla lapide.
Forse anche l’Hohenzollern lo stava guardando negli occhi, con lo sguardo regale e fiero che aveva visto nei ritratti e a suo tempo, ben diverso da quello che attualmente aveva Toris.
Era stato intimidito da lui da quando aveva scoperto che la relazione che intercorreva tra Gilbert e il sovrano era molto più profonda del previsto, figurarsi adesso che ce l’aveva davanti.
L’unica cosa positiva era che Friedrich non poteva rispondergli. … No, forse, a pensarci bene, era un aspetto negativo; magari dialogando…
Oh, maledizione. Si stava rovinando stomaco, cuore e cervello in un colpo solo.
Calma, lituano, calma. Doveva solo seguire l’idea che si era proposto da quando aveva avuto l’idea di andare a parlargli: essere totalmente sincero.
Un sorriso quasi malinconico gli si dipinse in volto.

« Non è un buon inizio per un discorso da compiere davanti ad un re, eh? Mi presento, sono Toris Laurinaitis, prima Granducato di Lituania e ora parte dell’Impero Russo. Penso che lei già sappia, però, grazie ai racconti di Gilbert. »

Pronunciò quel nome con estrema delicatezza. Il prussiano era il motivo per cui Toris si trovava lì e anche ciò che legava le anime profondamente diverse di lui e Federico II di Prussia.
Nonché la chiave di volta di quel discorso tremolante.

« E’ per questo che sono qui. Io… »

Fece una pausa.

« La volevo ringraziare. La volevo ringraziare per aver reso Gilbert felice per quasi un secolo, le sono immensamente grato per ciò. Ma non è solo questo il motivo per cui io le parlo.
Normalmente non chiederei mai una cosa simile, forse nemmeno lo penserei.
Però ora è diverso. »

Un’altra pausa; la neve non cadeva più sulle sue labbra.

« Non c’è voluto molto per innamorarmi di Gilbert. Devo ammetterlo, all’inizio mi pareva impossibile provare qualcosa per quello che per anni era stato il mio nemico più agguerrito e, sinceramente, trovavo ancora più difficile che lui amasse anche me.
Inizialmente ho dubitato, me ne pento.
Poi, però… mi sono accorto che mi ama. Che mi ama davvero. »

Quasi sbuffò quell’ultima parola, volgendo per un attimo gli occhi altrove; la serietà che voleva tenere era stata tradita dalle guance rosse come pomi e da un sorriso che faticava a contenere.
Si sbrigò a darsi nuovamente un’apparenza decente, aiutato dalle parole che, inevitabilmente, ora andavano pronunciate.

«  Esattamente come ha fatto lei… No, mi perdoni, ma di più di come ha fatto lei, io ho intenzione di rendere Gilbert felice e di farlo amandolo e per tutto il tempo che ci sarò, che ci saremo.
Penso che ormai abbia capito.
Io però glielo chiedo lo stesso. »

Non si rese conto, Toris, di quanto la sua voce tremasse, di quanto avesse abbassato la testa e di come le sue mani si fossero raccolte, stringendosi con tutta la forza che aveva in corpo.

« Glielo chiedo umilmente, con tutto il cuore che ho.
Ci benedica. »

Il vento trasportò quell’ultima frase sulla lastra, la fece scivolare nelle lettere che vi erano scolpite, delineandone invisibilmente la forma.
Silenzio.
Normale che ce ne fosse, si disse il lituano, mentre alzava piano la testa; quel grande uomo poteva solo ascoltarlo, ora come ora.

« … Penso di aver concluso. »

Sussurrò appena, posando le rose candide sulla pietra scura.
Ma nell’esatto momento in cui, dopo essersi tirato in piedi, il lituano si inchinò, una forte folata strappò dal suolo  quel mazzo, facendolo impattare sul suo petto, attorno alla quale il vento si dissolse.
Era caldo, come un abbraccio.
Toris sorrise timidamente e disse la sola parola che gli veniva spontanea: “Grazie”.


Si accorse solo una volta uscito dal rompicapo di giardini che il sole era ormai sorto e che qualcuno, spettinato come lo si poteva vedere solo di mattina e con un’aria agitata, lo stava fulminando dalla cima di uno stallone con i suoi occhi rossi.
Con tutte le mattine in cui dormiva fino a mezzogiorno, proprio quella doveva svegliarsi.

« Dove diavolo eri finito!?
Mi sono svegliato e non c’eri! Da nessuna parte! Che ti costava avvertire anche solo un domestico, eh!? »

Ed ecco che dopo il fulmine arrivava il tuono!
Toris alzò la testa verso Gilbert, a dir poco adirato, porgendogli un sorriso di scuse.  Quella forse era la prima volta in cui il prussiano rimproverava lui e non viceversa.

« Scusa, non volevo farti preoccupare. »

I rubini si spostarono dal volto del lituano a ciò che teneva in braccio e Toris riuscì a scorgervi un luccichio conosciuto.

« Se quelle sono per me potrei anche perdonartela. »

Toris capì subito a cosa Gilbert si stesse riferendo; il suo sorriso si punteggiò di un qualcosa che il prussiano non capì e nemmeno poté commentare, visto che si trovò davanti alla faccia quei dodici boccioli bianchi.

« Sì, sono per te. »

Gilbert  cambiò volto, sorridendo in modo soddisfatto e quasi felino, e, dopo nemmeno cinque secondi contati sulle dita di un bambino,  fu a terra, non sulla sella, a stringere la vita dell’amante con la mano libera.
Non gli aveva ancora dato un bacio, quel giorno, si doveva rimediare.
Il suo sguardo tagliente scivolò lungo tutta la figura di Toris, da capo a piedi.

« Perché ti sei messo la mia divisa? Non che mi spiaccia, anzi; ti sta proprio bene. »

Toris aprì e richiuse le labbra per un attimo; fu la parlantina del suo aguzzino a salvarlo.

« Forse è solo un po’… Come dire… »
« Corta? »
«  Già…
Aspetta. Cosa stai insinuando, tu?! »

Toris rise di cuore.
Intanto le aiuola dei giardini della reggia si dipingevano del bianco della neve.



_______________________________________________________________________________________________________________*


Questa qui l'ho scirtta basandomi su delle belle cose che abbiamo ruolato io e la plé  del mio Gilbert -che ci osserva e mi odierà per questo capitolo- ♥
Se il discorso fatto d Toris potrebbe sembrare non esattamente scritto poeticamente, beh, è perché mi sono messa nei suoi panni; era in imbarazzo, ma stava parlando a cuore totalmente aperto. In certi casi non ci si mette a far metafore o roba simile, no..?
Spero che abbiate apprezzato  e di ricevere recensioni e quant'altro...!
Baci!


Valkyrie.

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Capitolo 6
*** 6. Ciò che desideri. ***


Avveriimenti:  Lemon/ Lime (ma non ci capisco, io, dkfjkf), Yaoi.
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilscmidt.
Raiting: Rosso. ( o arancione scuro.)





6.
Ciò che desideri.




Gilbert era lento e svogliato in molte cose.  Toris vi poteva elencare:  lavorare, mangiare ( proprio come i bambini), dare un qualsiasi aiuto in casa.
Ma quando si trattava di spogliarlo era sempre incredibilmente veloce.
Le sue dita fredde buttavano via i bottoni dalle asole in pochi secondi, gli scoprivano le spalle, gli calavano i pantaloni. Si fermavano un attimo sull’elastico dei boxer, ci giocavano e poi, dopo che Gilbert si era lasciato scappare un sorriso da predatore, facevano  cadere anche quelli sul pavimento freddo o ovunque capitasse.

« Riesci ancora a essere in imbarazzo. »
« Z… Zitto, per una volta! »
« Io? Io questa volta non ho fatto nulla, sei tu che hai detto di assecondarti, stasera. »
« Stai solo rendendo le cose più complicate! »
« Mh, come vuoi. Io aspetto di vedere cos’hai in mente, non scappo. »

Pronunciò quella frase con una malizia quasi palpabile, prima di abbandonarsi sulle lenzuola, stiracchiandosi e mettendo volutamente in bella vista il petto candido.
Se c’era una cosa che gli faceva fare l’amore con Toris ancor più volentieri, quella era prenderlo un po’ in giro prima dell’atto.
Adorava vedere il suo volto accigliarsi, sentire la voce arrabbiata che cercava di sgridarlo, nonostante l’imbarazzo divorasse parecchie sillabe e, soprattutto, gli piaceva sapere come tutto quello poteva sparire con un bacio.
Il lituano non aveva ancora capito quanto Gilbert lo considerasse carino quando s’innervosiva.
Toris riportò lo sguardo all’albino, osservando quella figura nuda come la sua.
Era vero, aveva qualcosa in mente. Niente di eclatante o… sofisticato, diciamo, assolutamente no, era solo una cosa che Gilbert aveva fatto a lui, ma che Toris non aveva mai ricambiato.
Perché? Beh, perché era imbarazzante. Ma oltre a ciò era anche un gesto d’amore come molti ed era stato questo a spingere il lituano verso quella decisione.

« L.. Lasciami fare. »

Sussurrò, prima di posare le mani sulle ginocchia dell’altro, divaricandole quando bastava per starvi in mezzo, e le labbra sul suo collo.
Baci.
Baci lenti, umidi, una serie che scivolava sempre più attraverso il basso;  le labbra calde di Toris prima stavano sul petto, poi sugli addominali, sulla pancia e sul basso ventre.
E fu lì che si fermò, trovando la forza di alzare lo sguardo su Gilbert: lo stava fissando, intensamente, quasi  pareva che non respirasse. Indubbiamente sorpreso, ma allo stesso tempo… in attesa.
Ed era sempre meglio non farlo aspettare troppo.
La lingua rossa di Toris scivolò fuori dalle labbra, gli occhi si socchiusero e, prima che ne potesse rendere conto, essa scivolò sul sesso dell’altro, su e giù. Poi, incapace di torturarlo con l’attesa come faceva il fidanzato, le labbra si schiusero e l’accolsero completamente, da cima a fondo.

« Ah! »

Un gemito uscì senza trattenimenti dalle labbra di Gilbert, tanto stupito quanto felice di quella sorpresa che Toris aveva deciso di fargli senza che lui ce lo spingesse o cos’altro. Il prussiano avvertì con chiarezza il respiro appesantirsi  a causa del calore della bocca dell’altro tutt’attorno al suo sesso e lasciò che si trasformasse in versi sporchi e numerosi quando  Toris iniziò a muoversi in alto e in basso, ritmicamente.
Non ci volle molto per le mani di Gilbert a lasciare le lenzuola,  alla la quale si erano artigliate fino ad allora, e andare a intrecciarsi ai capelli di Toris, fino alle cute, trattenendolo lì.
Il bacino scattò una volta, una seconda, quasi come se… oh, niente “quasi”, stava sicuramente spingendo contro le labbra gentili di Toris, tanto che quest’ultimo mugolò e strinse le mani attorno alle sue cosce, in un gesto totalmente istintivo.
Forse non avrebbe dovuto farlo, ma Gilbert era troppo eccitato; eccitato da quella pressione, eccitato dalla vista di Toris chino sulla parte più sensibile di lui, eccitato dal pensiero di quanto il lituano avesse sfidato la sua vergogna pur di donargli piacere.
Il castano fu conscio di ciò quando sentì le mani di Gilbert quasi tirargli i capelli, tutto il suo corpo tremare e un gemito tremendamente forte, un urlo, risuonargli nei timpani.

 Il sapore del piacere che aveva voluto far provare a Gilbert gli bruciò nella gola, liquido e bollente; col cuore che gli batteva nel petto, lo ingoiò.
Era fatta, finita.
Lentamente, Toris si sollevò dalle gambe del prussiano, concedendosi finalmente di guardarlo: era rosso forse tanto quanto lui e ancora respirava pesantemente, scosso dall’orgasmo avuto pochi attimi prima.
… Era bello. Tremendamente.


« Gil… »

Disse quel nome come se non avesse potuto pronunciare nulla di più meraviglioso, poi posò le mani attorno alla sua testa, si chinò e…
… No!
Toris si ritrasse di colpo, coprendosi le labbra con la mano sinistra e puntando lo sguardo altrove; inutile dire che quello scatto catturò l’attenzione di Gilbert.
Cosa c’era che non andava?

« Che succede? »
« No… Nulla. S-Solo… forse è meglio che io non.. »

Il prussiano capì cosa passasse per la testa di Toris quando vide l’indice dell’altro strofinarsi contro il labbro superiore. 

Il lituano, nonostante avesse dimostrato di averne una voglia tremenda, si stava premurando di baciarlo a causa di ciò che aveva appena finito di fare.
Pure in un momento simile  metteva Gilbert prima di ogni altra cosa.

« Vieni qui, razza di scemo. »

Non lasciando a Toris la minima possibilità di replicare, le mani dell’albino lo afferrarono e in men che si dica ribaltarono le posizioni, opprimendolo tra il materasso e… tra le sue labbra.
La lingua di Gilbert uscì dalla bocca, piegata in un ghigno, e violò senza indugio quella del fidanzato, andando a giocare con la gemella senza il minimo ritegno.

Passò su ogni angolo della sua bocca e, quando il lituano mugolò, uscì a leccargli le labbra.
Ma la notte era ancora al suo inizio e al prussiano un bacio non bastava di certo. Contento come un bambino, afferrò la gamba sinistra di Toris e se la portò sulla spalla, senza mai smettere di guardarlo.
Inutile descrivere le condizioni della faccia della faccia di questo, prossimo, per la sua gioia, ad un’altra arrabbiatura.

« G-Gilbert! Che diavolo fai!? »
« Quello che so che tu desideri, come ogni notte. ♥ »

Scandì perfettamente, prima di ammonirlo con un ennesimo bacio e dare il via alle danze.
Gilbert voleva ringraziare Toris per ciò che aveva compiuto e l’avrebbe fatto nel più efficace dei modi.

_____________________________________________________________________________________________________________________________*

... A-HEM. -Potente colpo di tosse-
A mia discolpa: E' LA PRIMA CHE SCRIVO.
Sul serio, che imbarazzo dkjfdff. E pensare che nelle role ho fatto di peggio, con 'sti due-
Quindi, tralasciando -anzi no, consideratela- la mia imbranataggina da prima lemon, spero vi sia piaciuta!
E spero anche di ricevere uqalche commento, lol.

Baci!

Valkyrie.

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Capitolo 7
*** 7. Rockstar. ***


Avvertimenti: AU!, Song!Fic,  Richiesta.
Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt, Feliks Łukasiewicz, Radu Haltricht ( AU!Romania) + Au!Nordici.




7. Rockstar!
.







“ To: Toris
Text:  Usciamo, stasera?  ;) “

“ To: Gilbert.
Text:  Mi spiace, Gilbert, non posso. Ho un impegno! Ti chiamo dopo. “



Un veloce scambio di messaggi, uno digitato davanti ad una noiosa telenovela e l’altro sotto il banco dell’università.
 Gilbert storse le labbra in una smorfia, buttando il cellulare lontano da lui; non aveva voglia di sentirlo, non dopo che il lituano gli aveva tirato l’ennesimo bidone!
“ E’ la stessa storia di ogni sabato.”
Pensò, dando un morso secco alla patatina che teneva tra le labbra. Gilbert e Toris si conoscevano da quando erano bambini, ma aveva iniziato a considerarsi in modo ben diverso da circa cinque mesi, periodo nella quale il tedesco aveva prima corteggiato e poi direttamente sedotto l’altro.  
In tutti quei giorni, però, non gli era mai stato concesso un solo sabato sera: dalle otto e mezzo all’una di notte il lituano era irreperibile, così come il martedì, nell’orario 16:30-18:15 e, alle volte, pure il giovedì, sempre nella precedente fascia.
Per quei due orari pomeridiani Toris si giustificava dicendo che o studiava o stava dando ripetizioni a qualche ragazzo del liceo, ma il sabato sera restava avvolto nel mistero e Gilbert non poteva farci nulla per il semplice motivo che loro due non erano fidanzati.
“Uscivano” e avrebbero continuato così finché uno dei due non avrebbe fatto la fantomatica proposta. Fino al momento in cui Toris non avrebbe battuto la sua insicurezza e Gilbert il suo orgoglio da uomo “che non deve chiedere nulla”  la loro relazione sarebbe rimasta in un chiaro-scuro che permetteva a Toris di sparire non solo per quattro o cinque ore, ma anche per il resto dei giorni a seguire –questo se il lituano fosse stato in grado di farlo, s’intende.
Capiamoci bene, anche Gilbert avrebbe potuto tranquillamente prendere e uscire senza dire nulla… se solo avesse avuto qualcuno con cui farlo. Antonio il sabato –e il resto dei giorni- era installato dentro casa del suo ormai storico ragazzo, l’italiano con l’insulto facile, e Francis, invece, vedeva bene di passare quel giorno assieme a colei o colui che avrebbe poi occupato l’altro posto del suo  letto a due piazze.
Al decimo borbottio, lasciato uscir fuori insieme ad un adorabile vocalizzo creato dalla lattina di birra appena svuotata, il cordless suonò.  Gli occhi rossi vorticarono: non era il numero di Toris.
Seppur tentato di lasciar perdere, la mano libera dalla sopracitata lattina afferrò il telefono, portandoselo all’orecchio; la voce che sentì fu una delle ultime che avrebbe voluto udire.

« Toris? »
« No, biondina, sono Gilbert. Sai com’è, è il numero di casa mia. »

Rispose acidamente; cosa volesse Feliks –alias “la biondina”- da Toris non gli interessava. O forse sì.

« Ma come! Non è nemmeno qui!? »
« No, non c’è. »
« Pensavo che avesse il telefono spento perché era impegnato a far roba con te. »
« E secondo te io avrei risposto? »

La prospettiva di una mancata serata di divertimenti fece ancor più ribollire il sangue tedesco; ma, sfortunatamente, Feliks non aveva finito.

« Allora dev’essere già al Blue. »

Gilbert scattò seduto: dov’è che era, Toris?!

« Il locale in periferia?! »

Il silenzio di Feliks dall’altra parte della cornetta fu interrotto da un paio di “Emh”. Oh, a quanto pareva aveva detto qualcosa che non doveva.

« Ma che ne so! Chi ti ha chiesto niente! Cioè, non t’interessa! »
« Ci siamo fregati, eh?  »
« Io non ho detto niente! Sai che c’è, in qualunque posto sia, spero che ti stia mettendo delle corna grandi come quelle di un alce! »
« Ma fottiti, Barbie! »
« Fottiti tu, Candeggin- »

Gilbert spense la chiamata prima che Feliks potesse concludere l’insulto, con un sorriso dipinto sulle labbra.
“Le corna come quelle di un alce”, eh?
Se così fosse stato, quella sera Gilbert l’avrebbe scoperto.









                                                                                                *

Un solo occhio rosseggiante esaminò il volto di Toris; l’altro era coperto da un ciuffo biondo che venne rimosso con un semplice sbuffo. Il sorriso di Radu si allargò di due centimetri, mostrando dei canini stranamente appuntiti, pronti a mordere .

« Avanti, Toris, non fare il timido. »
« Radu, no… Ho detto che non voglio! »
« Ma non c’è nulla di cui vergognarsi, è una cosa naturale! Lo fanno tutti, no? »
« Allontanati, per favore… »

Un lungo sospiro uscì dalle labbra del lituano, rosso in viso.

« … E molla quella lima! Ti ho già ripetuto che non voglio modellarmi i canini! »

Il rumeno sbuffò, visibilmente contrariato, posando l’oggetto da manicure sul tavolo del camerino.

« Ti dico che renderebbe l’immagine degli Iron Wolves ancora più figa! Sai quante ragazze ci morirebbero! Ma no, non collaborate! Né tu, né gli altri! »
« Radu, se non vogliamo, non vogliamo. »

Disse un altro ciuffo biondo con aria distaccata, mentre premeva le dita su un  basso elettrico dal colore della notte. Il rumeno gli si avvicinò, passandogli un braccio sulle spalle e ottenendo, in tutta risposta, una raggelante occhiata color indaco.

« E io che speravo in te e nel tuo sangue norvegese da Black Metal, Andreas.  »
« Caschi male. »
« Uffa. E l’altro nordico metallaro che dice? »

“L’altro nordico metallaro” era un terzo biondo, il più basso nella stanza, con grandi occhi viola, le guance un po’ arrossate che risaltavano sulla pelle chiara e due bacchette tenete strette nella mano sinistra; alla domanda rise piano, per poi scuotere la testa.

« No, no, non li voglio. E poi sono il tuo segno di riconoscimento, ormai, Radu! »
« Mhn. A questo non avevo pensato! Forse hai ragione. »

Occhi viola tirò un mezzo sospiro di sollievo e ricambiò lo sguardo riconoscente di Toris, che ora lo affiancava.

« Pensavo, » iniziò « certo che Berwald  è stato gentile a chiamarci per questa sera! Altrimenti non avremmo avuto dove andare! »
« Se, se,  gentile! ». Rise, Radu.  « Gli riempiamo il locale fino all’orlo! E poi fin quando ci sarai tu, Tino, lui sarà sempre gentile. A proposito, vedi di sbattere un po’ di più quegli occhioni viola quando gli passi vicino, sia mai che ci paghi anche più del previsto! »
« E-Eh!? Ma io non c’entro nulla, non facciamo storie strane! »
« Radu, smettila di prendere in giro Tino. »

Toris lo rimproverò con lo stesso tono di voce che avrebbe potuto avere una madre; peccato che Radu fosse solo il suo compagno di banco alla facoltà di psicologia, nonché la persona grazie alla quale ora era dentro il camerino di uno dei locali più affollati di tutta Berlino.
A venire in soccorso del lituano fu immediatamente Andreas, che, facendosi notare da tutti, alzò il dito  verso l’orologio da muro.

« Manca poco. Dobbiamo cambiarci. »
« Giusto, i costumi!». Radu saltò in piedi, nuovamente carico d’energia. « Non vi siete dimenticati nulla, vero? »
« No, nulla. »

Rispose Toris, che prima di partire aveva controllato almeno una decina di volte il contenuto della sacca. Il rumeno lo raggiunse in pochi passi, girandogli le spalle e spingendolo verso il suo sacco così velocemente che Toris barcollò e si salvò dal pavimento solo per miracolo.  
Che ci si poteva fare, Radu era un tipo impulsivo; sotto questo aspetto somigliava un po’ a Gilbert.  Già, Gilbert…

« … vedrai! »
« E-Eh? Scusa, ero sovrappensiero, puoi ripetere? »
« Dicevo: vestito in quel modo farai morire un mucchio di lupacchiotte, stasera! »
« Ma quale morire e morire…! »

Borbottò, aprendo la sua sacca da ginnastica e concedendosi uno sguardo al cellulare, che avrebbe nuovamente spento, dopo: zero chiamate, quattordici minuti all’inizio. Trattenne a malapena un sospiro; pazienza.

« Ragazzi, dobbiamo muoverci…!  Tra poco siamo fuori! »









« Tra poco sono dentro. »

Gilbert ghignò, lanciando un ultimo sguardo al buttafuori, un biondo con i capelli sparati e l’aria da finto tonto che ora gli dava le spalle.
 Arrivato davanti al locale, un altro tipo –un nanetto con i capelli bianchi- gli aveva chiesto nome e cognome, che ovviamente non comparivano in nessuna lista; fingere di essere qualcun altro ( “Aaha! Scherzavo! Dai, come fai a non riconoscermi, vengo tutti i sabato!”) non aveva fatto altro che peggiorare le cose quanto bastava per venir preso per il cappuccio della felpa e lanciato via dal sopracitato gigante.
Per questo adesso si trovava nel vicolo al lato del locale, nascosto tra un sacco dell’immondizia e la porta del retro.
Tre, due, uno… via!
L’albino scattò, le mani girarono il pomello e Gilbert richiuse la porta dietro di sé. Era dentro!
Un paio di ragazze uscite dai bagni, proprio accanto a lui, lo guardarono stranite, mentre gongolava per la magnifica riuscita del suo “piano”.

« Ma si è infiltrato? »
« Dev’essere proprio un fan… »
« Beh, sono una fan anch’io, ma ho pagato il biglietto e pure il backstage! »
« Avanti, Cla, se non li avessi trovati non lo avresti fatto pure tu! E poi vai a sapere, magari è un discografico.. »
« Dici? »
« Può essere… insomma, i discografici sono tipi strani. Suvvia, non vorrai mica cacciarlo e rischiare di vedere i suoi occhi blu farsi tristi! »

Chiunque in Germania poteva avere gli occhi blu –pure quelli del buttafuori  erano così-, ma bastarono quelle due paroline a far scattare Gilbert. Aveva origliato ed era furbo abbastanza per sapere come agire.

« Signorine. » Le interruppe, usando il tono più affascinante che sapeva fare. « Vi va di mantenere un segreto? ♥ »

Le due si lanciarono uno sguardo e annuirono, curiose. Gilbert ghignò.

« Sono uno dei discografici che lavora per la nuova Casa… è un po’ fuori Berlino. »
« E come si chiama? »
« … “Prachtvolle”. »
« Mai sentita. »

Commentò la tipa a sinistra, in tutta franchezza. Gilbert le sorrise con fare da donnaiolo e continuò nella sua recita.

« Oh, ne sentirai presto parlare, dolcezza. Mi hanno detto che qui c’è qualcosa che mi potrebbe interessare.»

Quella alla sua destra brillò.

« E’ venuto a sentire gli Iron Wolves?! »
« … Può darsi. Ditemi un po’, siete delle fan? »
« Eccome! Li seguiamo dal primo concerto, cinque mesi fa! »

Cinque mesi fa. Esattamente quando Toris gli aveva negato il primo sabato sera.

« Potete dirmi di loro? Sono bravi? »
« Cavolo se lo sono! Ogni sabato hanno un ingaggio! »
« Non capisco perché non siano ancora sotto contratto! »
« Sì! La mia amica ha ragione, ancora niente contratti. Ma se lo meritano! Siamo tutte qui per vederli! »
« Sinceramente, noi siamo qui soprattutto per il cantante…! Ha presente Jared Leto? Stessa voce! »
« Vero, vero. Infatti fanno sempre qualche cover dei 30 Seconds to Mars! »

Uno strano dubbio iniziò a far formicolare nel cervello di Gilbert: che fosse…
Nah. Lui era troppo timido per certe cose…! All’inizio parlava appena, figuriamoci se…
I suoi pensieri vennero interrotti da un boato: l’intera sala, distante loro un corridoio, aveva urlato, coprendo quasi l’attacco di una chitarra elettrica, ma non quello di una voce.


«“ What if I wanted to break?
Laugh it all off in your face.
What would you do…?
What if I fell to the floor?
Couldn’t take all this anymore?
What would you do, do, do?” »

« Oddio, hanno iniziato! »

Urlò una delle ragazze con la quale aveva parlato finora, prima di scappare via insieme alla sua amica.

« Si sbrighi o se li perderà! »

Spinto da quelle parole, dalla curiosità, dalla strana sensazione che aveva e, soprattutto, da quella voce che per quanto simile a quella di un famosissimo cantante, gli sembrava molto familiare, pure Gilbert scattò, entrando nella sala proprio mentre la batteria caricava sul rullante e dava l’attacco del ritornello.

« “Come! Break me down!
Bury me, Bury me,
I’m finished with you!” »

Era lì: Toris era lì.
Stava in mezzo al palco, col microfono stretto tra le due mani guantate e il vestito elegantemente di nero e bianco –vesti che avevano, con qualche differenza, anche il chitarrista, il bassista e il batterista- , proprio come i 30 Seconds To Mars  nel video della canzone che cantava alla perfezione.
L’aveva osservato mentre studiava con decisione la psicologia e divorava le pagine di libri che lui avrebbe messo anni a leggere in un solo giorno. Ma la passione che ora, mentre cantava, lo illuminava, gliel’aveva vista in volto sono mentre facevano l’amore.
… E a quanto pare non era l’unico ad apprezzare la cosa.

« Vilkaaaaaaas! ♥ »

Le ragazze che aveva accanto gli ruppero quasi un timpano; “Vilkas”? “Lupo” in… lituano! Abbastanza ovvio di chi fosse lo pseudonimo.
Provò più di una punta di gelosia per quella folla quasi interamente femminile che si accalcava e tendeva le mani verso il suo –aspetta, era un possessivo?- Toris, e desiderò staccargli la bocca tutte le volte che la usò per sorridere loro, dalle prime file alle ultime. Poi da quelle labbra uscì nuovamente la sua voce e Gilbert fu zittito dall’accartocciarsi del suo stomaco, alla quale portò una mano.
Che… che roba era quella!? Era decisamente poco magnifico!

«“ What if I wanted to fight?
Beg for the rest of my life?
What would you do?

You said you wanted more,
What are you waiting for,
I’m not running from you! “»

Fu strano come quegli ultimi tre versi prima del successivo ritornello e la piega afflitta che prese il volto di Toris (una cosa totalmente spontanea che provocò svariati gridolini e l’azarsi di più macchine fotografiche) si conficcarono come una freccia nel cuore del tedesco.
Forse era solo l’ennesima pillola dell’egocentrismo tedesco, ma gli paré bene di capire che lo “You” in questione era lui, che, nonostante si facesse vivo ogni giorno e gli avesse dichiarato sia verbalmente che fisicamente i suoi sentimenti per lui, ancora non aveva chiesto nulla.
Sì, c’era proprio da domandarsi che stesse aspettando a farlo, effettivamente.
Toris staccò il microfono, corse fino al limite del palco, piegò la schiena come in un inchino e continuò a cantare, portandosi una mano al cuore e lasciando fare le fan, che cercavano di afferrarlo. In certi casi Radu gli aveva consigliato di prendere una di quelle mani e tirare sul palco la propietaria, ma il lituano aveva sempre lasciato tale compito a lui, che impersonava bene il ruolo del “bello e pericoloso”.
Poi c’era Andreas, quello cupo come le note del suo basso e misterioso, e Tino, dolce e allo stesso tempo forte, caratteristica che era ben evidenziata dal suo colpire deciso alla batteria.
Invece per le ragazze che cercavano di catturarlo ogni qualvolta si avviciniva, chiamatesi “lupacchiotte”, il moro era l’incarnazione di un cavaliere moderno, del gentleman- per questo erano impazzite al vederlo vestito di quell’eleganza retrò.
Cantò forse il pezzo più amato di tutta “The Kill” con la stessa passione che trasmetteva l’originale e l’urlo finale, lanciato a occhi chiusi e mentre quasi s’inginocchiava, lasciò tutti senza fiato.
Gilbert compreso.
Diciamocelo: non era solo che quella folla di adolescenti era nel periodo degli ormoni alle stelle… Era proprio Toris che, con quel fare da dominatore gentile del palcoscenico, si faceva desiderare a controllare –o anche farsi sottomettere, nel migliore dei casi- in ben’altri luoghi.
Ecco le ultime strofe, accompagnate dal più totale dei silenzi: Toris le recitò mentre metteva di nuovo il microfono sull’asta nera, facendo scivolare le mani dolcemente attorno ad essa e dando la parvenza di star abbracciando dolcemente  e malinconicamente qualcuno, sentimenti suggeriti anche dallo sguardo basso, sulla destra.
Sotto di lui una linea di chitarra e null’altro.

« “ What if  I wanted to break?
What if I, What if I…
Bury me, Bury me...“
»


La musica si fermò, il pubblico esplose; Gilbert esplose.  Nemmeno si rese conto di aver lanciato un urlo e alzato le mani insieme a tutti gli altri!
Toris, invece, si limitò a sorridere con quella dolcezza che lo faceva morire e dire un “Grazie” con la voce che usava tutti i giorni.
Il concerto continuò per altre due ore, in cui gli Iron Wolves eseguirono sia cover, sia originali e Toris fu capace di trasmettere svariate sensazioni a Gilbert: l’euforia, mentre correva per il palco in “Closer to the Edge” con un gran sorriso stampato in faccia; provocazione nel sentirlo pronunciare, cercando di non pensare al significato, molto probabilmente, certe strofe di “Welcome to the Jungle”.
Gelosia di nuovo, quando, in “ A little less conversation”, posseduto momentaneamente da Elvis Presley, si tolse la giacca dalla lunga coda di rondine e la lanciò al suo pubblico- la realtà era che tutto quel muoversi gli aveva fatto venire un caldo bestiale, ma Gilbert che ne sapeva?
Poi, negli ultimi minuti precedenti l’una, ora in cui il locale chiudeva, ci fu una cosa “condotta” dal chitarrista e che chiamò “L’angolo delle domande”.

« E allora! Questa settimana la domanda sorteggiata verrà posta, come sapete, al nostro Vilkas! Contente?»

Il come veniva ignorata la parte maschile del pubblico fece intendere a Gilbert parecchie cose.
Vide Toris sorridere al sollevarsi delle grida d’approvazione.
Drakul, questo era il nome usato dal ragazzo alla chitarra, tutto allegro, volse il cartellino che gli era stato consegnato poco prima e lesse, impossessandosi del microfono di Toris.

« “ C’è qualcuno a cui dedicheresti una canzone d’amore? Parlacene! E-“, aspetta, ma sono due domande! Oh, vabeh, lascerò correre… dicevo: “E se sì, quale?”.
Vilkas, dicci un po’! »

Il rossore che si espanse sulle guance di Vilkas-barra-Toris fu già una risposta. Ma Gilbert voleva sentire il resto.

« Beh… Sì, c’è. »

“Crepate, groupies.”
Si disse, il tedesco, un sorriso enorme come trofeo di vittoria.

« Anche se… Se non è tutto ufficiale, ecco.»

“ … Crepa, me stesso.”
Fu l’ovvio pensiero successivo partorito da quella testolina bianca e punzecchiando dalle tipe vicino a lui che si chiedevano chi fosse tanto stupido da farlo tormentare così.
Toris continuò:

« Però una canzone c’è. »

Detto ciò si allontanò dal microfono, sparendo nelle quinte e riapparendo con in mano una scatolina che fece saltare il cuore di Gilbert: l’albino non l’aveva mai visto cantare, era vero, ma da piccolo l’aveva preso in giro milioni di volte, quando scivolava in bicicletta per le strade insieme a quella stessa custodia.
 Uno strumento da femmine, il violino!
La voglia di deriderlo era salita tanto da decidere di spiarlo durante una lezione, un giorno, ridendo sguaiatamente degli errori che sicuramente avrebbe fatto; ma il piccolo Toris, in quell’occasione, lo ammutolì.
Non era un difficile e intricato brano classico come quelli che era solito procurare l’intransigente maestro di musica, bensì una canzone moderna, famosa, dove il violino sostituitva la linea melodica principale.
La stessa che stava suonando in quel momento e che, dopo il secondo ritornello, fece unire il pubblico in una sola voce.


“Lying close to you, feeling your heart beating,
And I'm wondering what you're dreaming,
Wondering if it's me you're seeing,
Then I kiss your eyes
And thank God we're together,
I just want to stay with you in this moment forever,
Forever and ever,
 
Don't want to close my eyes,
I don't want to fall asleep,
Cause I'd miss you baby,
And I don't want to miss a thing,
Cause even when I dream of you
The sweetest dream will never do,
I'd still miss you baby
And I don't want to miss a thing! “


Nessuno si  cimentò negli urli finali di Steven Tyler e Toris smise di suonare, beccandosi  gli applausi che, maledizione, meritava dal primo all’ultimo battere di mani.
Poi quattro si misero in fila, si presentarono una seconda volta, ringraziarono il pubblico urlando e le luci del palco si spensero.








« Siamo. Stati. FIGHISSIMI! »

Radu urlò, arrivato nei camerini, togliendosi la giacca e sventolandola in segno di vittoria; Toris e Tino, dietro di lui, ridevano e pure Andreas, solitamente sempre serio, aveva stampato in faccia un sorriso soddisfatto.

« Abbiamo spaccato! »
« Oh, cazzo se abbiamo spaccato, Tino! Stasera con quella batteria sembravi un leone! “Leijona”, appunto! E tu, Golem! Le ragazze ti urlavano dall’ultima fila! … Ma tu! Tu! »

L’indice, che ancora stringeva il plettro, si puntò versu Toris, che intanto aveva versato per tutti e quattro un bicchiere di cola (dovevano guidare, nessuno avrebbe toccato un goccio!)

« Boom! Ho sentito un mucchio di ovaie che esplodevano, quando hai suonato il violino!»
« E-E falla finita con certi commenti, Radu!»

Fece, arrossendo, Toris, sia per l’esagerazione, sia perché, effettivamente, la persona per la quale aveva suonato non aveva nessun paio di ovaie da far saltare in aria. E poi non era lì.
Quando avrebbe trovato il coraggio di dirgli di tutto quello? Mai, se gli proponevano di cantare la canzone che gli aveva dedicato da anche più di cinque mesi.
… Restava però il fatto che morisse dalla voglia di vederlo dopo ogni sacrosanto concerto.

« Siamo stati fenomenali, è vero. Ma adesso andiamo a casa, per favore? Sono stanco morto! »
« E tu pensi di uscire da qui facilmente? Io, Tino e Andreas ce la possiamo fare, ma tu… »
« Come sarebbe a dire, Radu? Cos’ho che non va…! »
« Niente, per l’appunto. Preparati a subire l’orda delle lupacchiotte pronte e dare il “crack” ala tua relazione non ufficiale.»

Toris lanciò uno sguardo sconfortato al rumeno e balbetto un qualcosa; fu allora che Tino, con un sorriso gentile e speranzoso, gli mise la mano sulla spalla.

« Non ti preoccupare, Toris!.» Iniziò, contento. «Berwald ha fatto mettere delle transenne tra noi e le fan! Non sono tanto alte, ma pazienza!»
« … G-Grazie, Tino.»

Cercò di usare un tono riconoscente, seppur la risposta non lo rincuorasse molto. Ma dovevano uscire, in un modo o nell’altro!
A farsi strada per primo fu Radu, seguito da Tino, Andreas e infine da Toris, che neanche dopo due passi si ritrovò davanti agli occhi più fogli e macchine fotografiche.

« Vilkas! Vilkas, una foto!! »
« L’autografo! »
« Lo puoi dedicare “a Flavie”? »
« Non ho il foglio, ma scrivi qui, sulla maglietta! »

Allarmato, stava per dire a quest’ultima che non c’era affatto bisogno che se la togliesse, ma una seconda voce lo sorprese:

« Hanno scavalcato la transenna! »

Gli occhi azzurri di Toris si spostarono, il cuore gli si fermo; non sentiva nemmeno più le ragazze urlare, erano sparite. L’unica cosa che visualizzava era un ghigno e uno sguardo infuocato che conosceva bene.

« … G-Gilbert! »
« Una rockstar mi rivolge la parola? Oh, wow. »

Toris, sbloccatosi dall’imbarazzo che gli aveva seccato la gola, fece appena in tempo a far segno a Mathias, il buttafuori del locale, di non farci caso.

« E’-E’ con me! »
« Per il primo sabato in cinque mesi, direi. »

Il lituano lo guardò, anzi, tutti lo guardarono: non pareva per nulla arrabbiato, ma il sorriso smezzato che aveva sul volto faceva capire a Toris che qualcosa gli frullava nella mente.
Qualcosa tipo avvicinarsi e passargli un braccio attorno alla vita, stringendoselo addosso davanti a chiunque ne avesse visione.
Adesso non era solo il viso di Toris a imporporarsi per la sorpresa , ma anche quello dei fan. Radu si morse le labbra per non ridere della situazione in cui il castano, tanto timido, si era cacciato. Oh, quello sì che avrebbe fatto fare gossip sull’ultimo concerto!

« Potevi dirmelo. »
« Io… »
« Sì, lo so, ti vergognavi.»

Conscio di essere al centro dell’attenzione e, soprattutto, sotto gli occhi di Toris, Gilbert gli sfilò la rosa bianca che teneva nel taschino del costume (la giacca gli era stata ridata intorno alla nona canzone) e se la portò alle narici, fingendo di annusarla.

« Posso immaginare a chi era dedicata quella canzone, vero? »

Toris non disse nulla, ma il rossore del suo viso parlava per mille; quella era un’ottima risposta sia per Gilbert sia per le fan, prese dalla situazione come se fosse l’ultimo episodio di un telefilm.
E allora mandiamo in scena il momento clou.

« Mi ami, Toris? »
« … Lo sai. »
« Quanto? »

Una parte di Toris, imbarazzato come mai, avrebbe voluto allontanarlo con una testata, mentre l’altra, invece, era completamente schiava del tono melenso con la quale chiedeva quelle cose e dell’incantesimo dei suoi occhi, tanto vicini dopo che l’albino aveva posato la fronte sulla sua.
Maledetto.

« “Tanto” non è ammesso. Puoi non dire un numero. Basati pure su qualcos’altro. ♥ »

Toris prese un lungo sospiro e lo sguardo si  spostò verso il basso; il paragone  era tanto ovvio quanto imbarazzante.

« … Quanto la musica. »

Gilbert avvertì in tutta chiarezza il suo ego gonfiarsi come un palloncino; aveva sperato in qualcosa di sensazionale, ma quello era il meglio del meglio!
Sorrise, questa volta, senza ghignare, e fece finta di non sentire i mugolii –commossi o disperati?- che si sollevavano intorno a loro.

« Dopo che mi hai detto questo davanti a tutti, immagino che non avrai problemi se il sabato sera vengo qui con te e dopo usciamo, mh? »
« … Ti rendi conto di che ore sono? »
« Di notte si possono fare parecchie cose. »

Pem, colpo speciale ad alto raggio!
Era finita lì? No, per niente.  Toris, però, lo scoprì solo quando aprì le labbra per controbattere e il tedesco vide bene di premervi sopra con le sue.
Quel bacio sarebbe durato tutto il tempo che voleva.
… E anche quello necessario perché qualcuna di quelle Echelon facesse loro delle foto –avrebbe potuto caricarle sul suo blog, così.
Quando le loro bocche si separarono, Toris gli lanciò uno sguardo contraddittorio misto di rimprovero e, allo stesso tempo, felicità trattenuta e fiorita nel rossore del viso.
Adorava quella faccia, perché sapeva che non l’avrebbe potuta fare a nessun’altra di quelle fan; solo lui poteva mettere gli ingredienti necessari e poi godere della sua vista.

« .. Non hai niente da chiedermi, Gilbert? »
« Sì che ce l’ho. E da cinque mesi. »


















_______________________________________________________________________________________________________________***


CHIEDO PERDONOOO, CHIEDO PERDONOOOO.
Sparisco e quando ritorno? PEM, dieci pagine di one-shot! Faccio seriamente schifo, lol.
Questa mi era stata richiesta da YanYan, che mi ha inviato la parola "Rockstar"... forse è un po' diversa da quello che immaginavi...!
Nel caso le richieste siano fatte con una parola, come in questo caso, sarà quella il titolo della canzone!
Su questo lungo capitolo ho una paio di cose da dire:

1- Dopo che ruoli da parecchio un personaggio, ti viene da dare esso una voce: nel mio caso, Toris ha quella di Jared Leto. ♥
2- SI', OK, SONO UNA FISSATA CON I 30STM. ;V; -Infatti "The Kill" l'ho scritta a memoria, lol
3- Le "Echelon" sono le fan di questa meravigliosa band.
4- "Prachtvolle" significa "Magnifico" in tedesco. ( "IT'S THE FANTASY" cit.)
5-  Ci sono delle scene che ho tagliato: nella prima, Gilbert diceva a Toris che anche lui poteva cantargli qualcosa e il lituano rifiutava. Al che, impuzzolitosi, l'albino cheideva se stesse insinuando che era stonato e lui rispondeva: "Puoi sempre provare con il rap...!"
Nell'altra, invece, Gilbert non si risparmiava un battutaccia  in cui insinuava che gli scream di Toris dovevano essere più potenti e che c'avrebbe pensato lui a farlo "esercitare", appena arrivati a casa. x°

Ripeto, le richieste sono sempre aperte! Se volete dirmi qualcosa, sparate!
Spero che ci siano recensioni e quant'altro e di non aver partorito 'na schifezza...!

Baci!

Valkyrie.


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Capitolo 8
*** Spazi d'attesa ***


Avvertimenti: Storica, Personaggi realmente esistiti.
Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt, Sorpresa.


8. Spazi d’attesa.



« Allora?»

L’uomo, dal suo profilo accigliato, scrutò colui che gli sedeva davanti:  un braccio sulle gambe accavallate, l’altro che iniziava col gomito, ben puntellato sul tavolo in legno di ciliegio, e finiva con una mano non troppo grande, che copriva la bocca e parte del naso con le dita, e su di cui il mento posava.
Gli occhi, quasi improvvisamente, si staccarono dai fogli, una decina, sulla quale erano scivolati fino alle ultime righe, e andarono a cercare quelli del cinquantenne, rivelando un azzurro brillante come il mare che avvolgeva quella striscia di terra.
Il ragazzo dagli occhi marini lasciò cadere il braccio e rivelò le labbra, che,  in modo delicato, si allargarono in un sorriso capace di cancellare in meno di un secondo l’espressione seria che fino ad allora quel volto aveva avuto.
Serafico: nessun’altro aggettivo avrebbe potuto meglio descrivere Toris in quel momento.

« E’ bellissimo.»

Il cinquantenne alzò entrambe le sopracciglia, fissando ancor più gli occhi del lituano, ora intento a stiracchiarsi, svegliando le ossa della schiena dall’intorpidimento di quasi un’ora passata chino su quel tavolo.

« Non hai critiche?»
« No.»
« Nemmeno una?»

La voce era un miscuglio di sarcasmo e incredulità; Toris sorrise ancora di più e scosse il capo in segno di diniego.
A quel punto uno sbuffo uscì dalle labbra leggermente grinzose dell’uomo e la sua mano prima sferzò l’aria e poi scese a battere sulla coscia.

« Che diavolo.
Se non fosse per la tua faccia, penserei che tu stia facendo un favore a un vecchio.»
« Cos’avrebbe la mia faccia…?»

La voce di Toris tradì non stupore, ma sincera curiosità; ormai aveva imparato ad aspettarsi certe uscite dal tedesco che ancora lo guardava negli occhi. Fu verso di essi che punto il dito, quello ornato dalla fede nuziale.

« Gli occhi, Toris. Basta guardarci per capire se menti o no, sei peggio di mia moglie.»

Una risata, leggera, ma soprattutto imbarazzata, echeggiò nelle mura di quell’abitazione tanto peculiare, passando il soffitto e arrivando al piano di sopra, ove furono udite da qualcuno.
Passi piccoli e veloci come quelli di un gatto,  scivolarono per il corridoio e poi giù per ogni gradino delle scale, e si fermarono solo all’apparire della loro fonte nel salotto in cui i due sedevano.

« Guten Tag, Vati, Guten Tag, Toris

La voce della giovane donna era cortese quanto il suo aspetto:  lunghe onde nere di capelli le cadevano intorno ad un viso dolce e labbra color ciliegia, vestiti estivi color pastello.

« Buongiorno, Elizabeth!»

Toris ricambiò il saluto con la medesima cortesia, ma l’altro si limitò a un sorriso e un cenno con la testa.

« Hai finito di studiare, Elizabeth?»
« Quasi, papà. »
« E allora è bene che tu lo faccia, così dopo  potrai uscire tranquillamente, no? »
« Sì, sono passata a salutare! E’ educazione, oppure no?»

Il padre si arrese di fronte all’ironia della figlia, riconoscendone le origini in se stesso. Questa, tronfia di quella breve vittoria, rivolse un altro sorriso al moro.

«Papà ti ha offerto qualcosa?»
« Sì, ma ho rifiutato. Sono solo venuto a leggere, ho già fatto colazione. Grazie mille del pensiero, Elisabeth.»
« Figurarsi! Oh, ho scritto anch’io qualcosa di nuovo, la prossima volta ti farò leggere… penso che tu ora abbia gli occhi già abbastanza stanchi!»
« Lo farò volentieri!»

La giovane donna sorrise quanto il sole di quella giornata estiva e, nel vero senso della parola, girò i tacchi, per poi salutare e tornare agli studi, così da far contento il padre.
Solo dopo che quei passi si fermarono nuovamente e una porta, al piano di sopra, si chiuse, l’uomo si lasciò sfuggire un lunghissimo sospiro.

« Cosa non farebbe pur di vederti per pochi minuti.»

L’imbarazzo che colpì Toris fu mille volte più grande del precedente e lo fece boccheggiare su una frase che non seppe iniziare. Il cinquantenne rise di gusto.

« Non si è ancora arresa nonostante gli abbia detto chi è che sei in realtà! Hai fatto piangere mia figlia, Toris, un altro padre ti avrebbe tenuto sotto il mirino di un fucile… e invece io ti tengo come consulente letterario!»
« Io… mi spiace, davvero. Non pensavo…»
« Lascia stare, suvvia. Lo so che non le hai torto un capello. Ne ho la certezza.»

Si passò sul volto la mano ruvida, rivolgendo lo sguardo altrove dal volto rossastro del lituano.
Poi, improvvisamente, sembrò ricordarsi di qualcosa.

« A proposito. Oggi non c’è?»
« Non c’è chi..?»
« Gilbert, il prussiano.»
« Oh… no, non c’è. Dovrebbe tornare tra poco, però. Si è dovuto recare a Berlino per… »
« Toris, non c’è bisogno che tu mi racconti quel ce va a fare il tuo fidanzato.»

Avesse avuto qualcosa in gola, Toris si sarebbe strozzato; sfortunatamente, aveva solo la saliva con cui farlo.
Oh, vedere la sua faccia in quelle condizioni non era altro che ulteriore fonte di risate!

« Pensavi che non me ne fossi accorto?  State sempre insieme, Toris, sempre dall’inizio di maggio, quando sono venuto qui.
Giusto chi si fodera, di sua spontanea intenzione o meno, gli occhi col prosciutto  non se n’è reso conto. E’ per questo che ti lascio passare tutto il tempo che vuoi con mia figlia, che credi?»

Toris si passò la mano tra i capelli: non sapeva che dire, che fare,  era tanto sorpreso da essere sconvolto. Davvero lui e Gilbert erano talmente evidenti?
Forse, sì, decisamente sì.
Ma nella Nima di quegli anni non dovevano temere nulla: erano  dalla stessa parte, in una striscia di terra mezza di Toris e mezza di Gilbert; nessuna traccia dell’Impero Russo.
Non era la libertà, non ancora, ma le somigliava vagamente e sapeva d’estate, di  salsedine.

« Io… »
« Non cercare giustificazioni, non ce n’è il bisogno. Conosci la mia primogenita, no? Ecco, allora ti basti come risposta e come consapevolezza; con me non devi farti i questi problemi.»
« … Grazie. »

Quello di Toris fu un ringraziamento sincero, forse quello più vero che avesse mai fatto. L’uomo gli rispose con un cenno di non curanza e si alzò, dirigendosi verso la finestra, dove si fermò per osservare la scorrere della vita dei passanti di Nima.
Si passò ancora una volta l mano sul volto, sui profili duri e sul naso grande.

« Avete entrambi fegato. Sai che non potrete rimanere qui per molto a lungo, vero?»

Gli occhi azzurri di Toris scivolarono in basso, perdendosi nelle linee della moquet e anche gli angoli delle labbra si abbassarono: era un sorriso amaro, consapevole, il sorriso di chi sa e vive nella precarietà di una striscia di terra in anni dove l’aria, per l’ennesima volta, puzza di polvere da sparo.

« Lo so. Tra un mese andrò in America e quando tornerò… »
« Hai intenzione di tornare?»
« Il contrario sarebbe impossibile. »

Lo sguardo del cinquantenne oltrepassò i passanti,  l’oceano marino e quello del tempo, osservando non solo quel posto, ma quel che sarebbe stato il mondo da pochi anni a quell’estate del 1930.

« Non c’è bisogno di essere degli esseri immortali, Toris, per capire che siamo nuovamente sull’orlo di un qualcosa di spaventoso. E basta avere un po’ d’idee su come gira la Germania adesso per capirne ancor di più. Questa volta dobbiamo aspettarci dieci volte il peggio di quel che pensiamo.»

E mentre la previsione dell’apocalisse sibilava nel salotto dai colori caldi, fuori i turisti parlavano del più e del meno.
Toris immerse la mano sinistra nei suoi capelli e socchiuse gli occhi; non vedeva la moquet, i piedi dell’uomo q qualunque cosa fosse nel salotto, c’era solo il ricordo del momento in cui lui e Gilbert avevano discusso di tutto quello.

« Non è facile, tutt’altro: è tremendamente difficile e ne sono fin troppo consapevole. E so anche che ormai è inutile illudersi, fantasticare su pieghe diverse…

Non possiamo permetterci di fare una valigia e scappare in America, di riprendere lì una nuova vita e scordare la passata:  siamo iniziati con l’inizio di queste terre e con esse finiremo.
 Io e Gilbert  siamo… manifestazioni incarnate di Nazioni.
E, in quanto tali, siamo sudditi di chi ci governa. Re, imperatori, duchi, presidenti e governatori… tiranni… »

Una pausa, usata per umettarsi le labbra e rivolgere a quel ricordo un ennesimo sorriso: si trattava ora di quello dei saggi e dei forti, del sorriso dei pazienti.

« Ma le mie mani, gli organi del mio corpo… quello che provo e quello che penso… Tutto questo ci rende anche uomini, umani.
E  le mie decisioni come umano sono mie e basta.
Così… abbiamo deciso che aspetteremo; aspetteremo finché tutto non sarà passato, aspetteremo e lasceremo che gli eventi ci scorrano addosso, fin quando non si placheranno.
Aspetteremo fin quando tutti saranno così stanchi da poter fare solo la pace… e allora inizieremo davvero.
Potremo permetterci di vivere come Gilbert e Toris e per questo sono disposto a tutto ciò.
Davanti a me ho l’immortalità, per Gilbert posso aspettare cinquant’anni o più.»

La riconoscenza che l’uomo diede a Toris in quel momento mai fu smentita nel resto degli anni della sua vita: il lituano che gli sedeva  davanti era la persona più coraggiosa che avesse avuto la fortuna di udire.
Gli posò una mano sulla spalla e, dopo che il moro ebbe alzato lo sguardo verso di lui, gli rivolse un sorriso  e una parola:

« Drąsa.»

Toris gli sorrise; “volontà”, sì, gli si addiceva.
Due colpi secchi alla porta lo fecero sussultare e si ritrovò a sbuffare in modo affettuoso e paziente quando una voce gracchiante e alta trapassò il legno.

« Oh, Thomas!  Toris è qui?»
« Sì, sì, arrivo.»
Il cinquantenne si sbrigò ad andare ad aprire e Toris si diresse con lui alla porta: parlare di certi argomenti gli aveva fatto venire voglia di vederlo e incontrare i suoi occhi rossi fu come una specie di medicina.

« Ah, eccoti!»
« Gilbert, sei tornato in anticipo.»

Il prussiano sorrise in quel modo che gli era tipico e annuì; aveva il viso stanco per il viaggio e, molto probabilmente, per le notizie apprese, ma agli occhi di Toris continuava ad apparire raggiante.

« Sì, ero stanco. Motivo per cui adesso ce ne andiamo subito in albergo!»

E, come se il concetto non fosse di per sé abbastanza chiaro, afferrò  Toris per la manica e lo tirò fuori casa, voltandosi giusto per sventolare la mano verso l’altro.

« Mi spiace, Thomas, ma per oggi hai smesso di sfruttarlo!»
« Io non sfrutto proprio nessuno, è lui che diventa troppo accondiscendente tra quattro mura.»

Il sorriso di Gilbert salì, sghembo, e un guizzo di furbizia scoppiettò negli occhi.

«Ohhh, tranquillo, lo so bene!
»

Toris non seppe se dare o no una gomitata nello stomaco a Gilbert, chiedendosi se ciò non avrebbe reso tutta quella situazione ancor più evidente, ma quando decise già era troppo tardi, perché il padrone di casa era scoppiato nella grassa risata della consapevolezza.
Oh, ora voleva andarsene anche Toris, eccome! Ma  quello che si chiamava Thomas lo chiamò a gran voce, quando già i due avevano chiuso il cancello, facendolo voltare.

« Goditi questo spazio d’attesa!»

Gli disse e Toris ricambiò col silenzio e un sorriso che sapeva di ringraziamento. Poi la porta di casa si chiuse e rimasero solo loro due, il braccio di Gilbert che, veloce, gli scivolava attorno alla vita e le labbra che premevano sull’angolo delle sue.

« Di che avete parlato?»
« Mi ha fatto leggere i primi capitoli del suo nuovo libro.»
« Figurarsi se si riposava un po’!»

Gilbert scosse la testa e, con impeto affettuoso, strinse ancor più Toris a sé.

«Il vecchio Mann non si smentisce mai.»

Toris fece spallucce e, silenziosamente, passò anche lui il braccio intorno al corpo dell’altro.

« Di che avete parlato a Berlino?»
« Puoi immaginartelo.»

Toris annuì e il silenzio calò nei secondi necessari a Gilbert per scrutarsi intorno.

« Lascerò la nostra stanza sempre prenotata. Potremo fuggire qui, nei prossimi anni.»

Toris lo guardò dritto negli occhi e quei suoi due laghi azzurri tradirono forse troppa speranza.

« Credi… pensi che ci riusciremo?»

Gilbert, in tutta risposta, prima gli sorrise tanto da mostrare i canini e poi gli regalò un sonoro pizzicotto laddove c’erano le natiche, facendolo sussultare.

« Sì, se muovi il culo e corri veloce!»
« Gilbert!»

Il prussiano scoppiò in una risata rumorosa che fece voltare più passanti e, nonostante tutti i tentativi di trattenersi, non ci volle molto perché anche Toris, contagiato, iniziasse a ridere, coprendosi il volto con la mano.
Avrebbero aspettando tutti gli anni che gli altri avrebbero deciso per poter tornare a ridere insieme.
















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No, gente, mi spiace ma non sono ancora morta. ;w;"
Bene, ecco un capitolo di quella che è la storyline che mi sono fatta di loro due. 
Diamo informazioni storiche per meglio comprendere: a seguire della Prima Guerra, la Lituania diventa territorio tedesco; gli verrà concessa l'indipendenza, ma dopo poco tornerà a far parte sempre die possedimenti tedeschi.
Sale al potere Adolf  Hitler, la Lituania torna all'Impero Russo in cambio di gran parte della Polonia, la  Seconda Guerra scoppia e poi lo sapete---
Però c'è un però.
Come ho fatto spiegare da Toris, nella mia visione sono i capi di stato a prendere le decisioni e i rappresentanti, in quanto paese di cui il potere è tenuto propri  da tiranni, re, imperatori e chi più ne ha più ne metta, non possono far altro che accettare le decisioni -tralasciando colpi di stato e rivoluzioni, ovviamente.
Indi per cui, Gilbert e Toris altro non hanno potuto fare che piegarsi, come Nazioni, all'inevitabilità dei fatti e decidere però di aspettarsi e continuare ad amarsi come uomini.
Altre postille per la comprensione piena: Thomas Mann passa le estati dal 30 al 33 a  Nima, prima di fuggire in Svizzera a causa di una critica riguardo all'uso di Wagner come emblema del nazionalsocialismo che viene, com'era da aspettarsi, poco apprezzata da Hitler.
La primogenita, Monika -se non erro mi pare che si chiami così, chiedo perdono ma quest'uomo di figlie ne aveva ;v;" - fu un'omosessuale dichiarata, per questo Mann dice a Toris di non preoccuparsi del suo giudizio.
E' risaputo che Thomas Mann avesse un ottimo rapporto con tutti i  suoi figli.

Detto tutto ciò, spero vi sia piaciuta  e spero di leggere qualche commento, magari positivo! x°

Baci!

_Valkyrie.




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Capitolo 9
*** 9. Videogames ***



Avvertimenti:  Slice of life, comico, Shonen-ai.
Raiting: Giallo.

Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt



9. Videogames.




« Staccati da quel computer.»


Glielo ripeteva ogni giorno, ultimamente. Da quando Gilbert si era comprato quel maledetto gioco, parte della sua vita sociale era sparita in un buco nero.
“ Ma il protagonista di somiglia!”, ecco la sua scusa. Già, molto rincuorante sapere di essere la goccia d’acqua di un tipo inglese mentalmente instabile intrappolato in un castello, prussiano, per giunta, pieno di strani mostri dalla bocca squartata e con una lanterna poco affidabile e una statuetta d’oro che Gilbert, per ragioni non molto chiare, chiamava “Stephano” come soli alleati.
Gli occhi altrui nemmeno si spostarono dallo schermo, unica fonte di luce nel buio totale della stanza.

« Un altro po’!»
« Hai detto lo stesso mezz’ora fa!»
« L’ho detto prima di sbloccare il livello dei sotterranei!»
« Gilbert!»
« Eddai! Smettila di distrarmi, devo stare attento all’acq- AHHHHHHHH!»

Un urlo del genere, normalmente, avrebbe gelato il sangue nelle vene del moro, ma la consapevolezza del perché Gilbert gli avesse ucciso un timpano non fece altro che farlo innervosire ancora di più.

« Scheiβe! Questo fottuto coso invisibile! Erano meglio i Bro!»
« Spero che tu sia morto.»
« Non sei simpatico!»

Oh, oltretutto era lui a fare il risentito, adesso?
Il prussiano grugnì e, invece di spegnere il portatile, cliccò con fare deciso su “nuovo gioco”.

« Bene, sappi che dato che mi hai distratto, non uscirò di qui finché non finirò il livello. Vai a giocare e non mi distrarre! »

Oh, questo era decisamente troppo. Toris, stizzito come non gli capitava da quasi un mese, fece dietro front, con tanto di chiusura non molto delicata della porta.
Voleva giocare? Bene, l’avrebbe fatto per quanto gli pareva.
Anzi! Pure Toris si sarebbe svagato!
Deciso di ciò, si diresse in salotto, ove aveva lasciato la sua lettura; ma una volta arrivato lì, fu qualcos’altro ad attirarlo.
Tre mesi prima, in vista di una litigata da riparare, aveva regalato a Gilbert una Nintendo Wii. Evidentemente, mentre lui faceva le pulizie, il prussiano aveva visto di farsi /pure/ una partitella con quella, lasciandola accesa e, tocco di classe, mollando in mezzo al salotto la pedana, la Wii-Fit, o come si chiamava.
Cos’è che Feliks gli aveva consigliato di fare, nei momenti di nervosismo…?
Ah, sì. Yoga.
Era tra i giochi possibili, no?
Non cogliendo minimamente il fondo ironico dello spassionato consiglio, Toris si tolse le scarpe, brandì il telecomando e salì sulla Balance Board con estrema cautela.
Aveva visto Gilbert giocare, ricordava come fare.

“ Benvenuto in Wii-Fit.”

La voce di un personal trainer senza volto lo accolse gentilmente. Poi selezionò una posizione tra le più semplici e si preparò seguendo le istruzioni.
Respirazione e inspirazione, movimenti lenti, musica rilassante… doveva ammettere che funzionava davvero.
Conscio di ciò e del rilassamento immediato delle sue spalle, il lituano, ora nuovamente in pace con se stesso, si appresto a scegliere un’altra figura da effettuare.

“ Adesso, abbassate le braccia. Lentamente, Lentamente… 
Fatele scivolare sotto il vostro bacino, accompagnate il movimento piegando alla schiena, fino a raggiungere le punte dei piedi.
Stabilizzate il baricentro… “

La voce scivolò via e a sostituirla arrivarono il rumore delle onde del mare, quale leggera nota sintetizzata. 
Toris, con le dita che sfioravano il collo del piede, chiuse gli occhi.
In quel momento c’era calma, c’era pace, c’era armonia…

…. Ma c’era anche qualcuno dietro di lui che non aveva visto e, soprattutto, c’erano due mani che gli regalavano una signora strizzata sui glutei.

« C----!»

Il baricentro, segnalato sullo schermo, schizzò via con una linea rossa, seguendo il movimento brusco di Toris, tiratosi su di scatto e saltato fuori dalla pedana, le mani sul sedere.
La musichetta rilassante venne surclassata da una risata acuta che conosceva fin troppo bene.

« GILBERT!»
« Hey, che pretendi! Stavi con il sedere all’aria! Devi essere conscio dei rischi che corri, così. ♥»
« N-Non stavi giocando?!»

A Gilbert, ancora con le mani piegate esattamente come avevano aderito al sedere altrui, manco stesse aspettando un retropassaggio, brillarono gli occhi.

« E’ che mi piace molto più giocare con te, che con uno che ti somiglia.
… E poi conosco giochi molto più divertenti di Amnesia o della Wii. Capisci? »

Beh, bisognava essere scemi a non arrivarci. 
Sul volto corrucciato e arrossato del moro si delineò un sorriso che gli bucò le guance e non riuscì a trattenere, nonostante gli sforzi.
Però era vero; c’erano “giochi” molto più… divertenti. E che sicuramente riuscivano meglio a entrambi.

« … Riesci a fartele perdonare troppo facilmente. Mi chiedo come fai.»
« Basta premere i tasti giusti al momento giusto!»



_________________________________________________________________________________________________________________________________*

Saaaaalve- ♥
Qualche annotazione:  il gioco a cui si riferisce Gilbert è "Amnesia: the Dark Descent"; provate a cercare immagini del protagonista, Daniel, e ditemi s enon vi ricorda un certo lituano...!  x°
Per quanto invece riguarda la statuetta, "Stephano", e i così detti "Bro", vi consiglio vivamente di andare su youtube e cercarvi "Amnesia PewDiePie" e farvi due risate! x°°°°
Detto questo, io evaporo...!
Ci vedremo domani sera, probabilmente -w-
Spero di non aver scagazzato l'ennesima schifezza---- e spero anche che qualcuno mi dica il suo parere a riguardo!

Baci!

_Valkyrie.

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Capitolo 10
*** Google Maps ***


Avvertimenti: AU!
Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt




10. Google Maps.






“Ma come la sopporti una relazione a distanza?”

Questa era una domanda  che si ripeteva mille e mille volte nella testa di Gilbert, ma che nessuno mai gli aveva posto. E questo perché nessuno sapeva che il tedesco fosse fidanzato dall’estate scorsa, quando, in un Giugno freddino passato in Lituania, aveva trovato una persona nei cui occhi riviveva il blu del Mar Baltico.
Gilbert era bravo a raccontare storielle sulla ragazza dl martedì, alla quale aveva rubato il cocktail e gli slip, sulla biondina incontrata nel corridoio, lì a scuola, e poco dopo nello sgabuzzino, dove nessuno andava mai a guardare. Tutti erano così impegnati a credere alla fama che l’albino si era costruito che nessuno si accorgeva di quanti messaggi spedisse sempre allo stesso numero.
Quel giorno, però, era diverso: Gilbert non aveva nessuna bugia da raccontare al piccolo auditorium della sua classe riguardo al sabato passato, ma un foglio arrotolato che spuntava dallo zaino relativamente vuoto, maltrattato e scucito dalle partite, dai concerti e dai viaggi, tutti riportati con una scritta frettolosa con il pennarello indelebile. C’era  “4/2” del concerto dei Rammstein, c’erano data e punteggio dell’ultima vittoriosa partita del  Bayern e c’era la scritta “Giugno-Settembre 2012, Klaipeda”, affiancata da un “T” e tracciata, forse, con maggiore attenzione.
A tutte quelle, oggi Gilbert era certo che ne avrebbe aggiunta un’altra: 26/03, il giorno in cui avrebbe sconfitto i 1020 km che c’erano tra Berlino e Vilnius.
Così non disse nulla e, sfoggiando il suo miglio ghigno, si sedé al suo banco. Solo dopo, lasciandosi sfuggire un “porca puttana” si accorse che il professore aveva già provveduto a metterci sopra la simulazione della terza prova d’esame.

« Antonio! Che cazzo, avevi detto che era la prossima settimana!»

L’amico, seduto a un banco da lui –in mezzo a loro ci doveva essere Francis, che aveva ben visto di rimanere a letto- fece spallucce e un sorriso che doveva equivalere ad un  “Scusa, mi hanno detto una cazzata.”
Il professore richiamò l’attenzione degli studenti  battendo con le nocche sulla cattedra e dopo essersi schiarito la voce, iniziò ad illustrare i come e i perché di quella importante ed utilissima simulazione che sarebbe equivalsa nel registro di classe all’ennesima casellina riempita con un “4” nella fila del nome “Beilschmidt”.
Ma non era tanto il voto a preoccupare Gilbert (uno prima o poi ci fa l’abitudine, a quelli), tanto la durata di quell’imprevisto: quattro ore, niente ricreazione.
Già, peccato che per scrivere la fantomatica data odierna sullo zaino, Gilbert doveva entrare in azione alle ore 09:45, minuto più, minuto meno.
Se i suoi calcoli era giusti, aveva un’ora per inventarsi qualche malore ed uscire dalla classe…
… Peccato che Gilbert avesse 2 fisso in Matematica e che il suo piano stesse passando davanti alla finestra esattamente nel momento in cui lui alzò gli occhi rossi su di essa.

« MERDA!»
« Beilschmidt, che modi sono!»

L’insegnante tuonò, sconcertato, ma Gilbert non lo ascoltò minimamente e, invece,  afferrò il tubo di carta, aprì la finestra e ringraziò tutti i santi che non aveva mai pregato che la sua classe fosse al piano terra.
Fu un lampo a saltare fuori, continuò ad esserlo mentre correva a tutta velocità, oltrepassando il cancello aperto della scuola e lasciandosi alle spalle gli occhi curiosi di tutte le classi le cui finestre davano sull’entrata e lo sbraitare del professore.
Gli occhi rossi erano attaccati alla sua preda, che lo precedeva mangiando l’asfalto con le sue ruote nere.

«FERMATI! HEY!»

Capiva anche lui che urlare a quel camion bianco che stava inseguendo come un pazzo di fermarsi era perfettamente inutile, ma la disperazione e  il poco fiato rimastogli nei polmoni lo fecero provare.
Imprecò e ansimò, sputò la troppa saliva che gli era salita in bocca insieme alla colazione e corse ancora più veloce.
Poi, la salvezza:  un semaforo rosso.
Le gambe di Gilbert compirono lo slancio finale, la mano toccò il muso bianco del camion e gli occhi cercarono immediatamente l’obiettivo di una camera, mentre le mani srotolarono il foglio.
Quando il semaforo tornò verde e l’uomo alla guida premé insistentemente sul clacson, Gilbert alzò il cartellone e sorrise.
Cheese.









Toris era un tipo tranquillo, esattamente come la sua città, Vilnius.
Era così tanto tranquillo che i suoi genitori, per farlo smuovere un po’, non avevano esitato ad approfittare di un corso di studi musicali estivo per spedirlo a Klaipeda a fare nuove conoscenze.
Agli inizi di Giugno Toris non sapeva quanto avessero ragione e di come i loro pronostici si sarebbero realizzati, in un giorno un po’ troppo freddino per essere estate e in un paio di occhi rossi.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva visto Gilbert? Ne avevano parlato la settimana scorsa, quando il treno dell’albino era stato cancellato, sparendo dal tabellone, e lui  aveva bruciato il biglietto, comprato da un mese, destinazione Vilnius.
Era marzo, a Vilnius nevicava e Toris quella mattina era rimasto a casa, per svolgere la sovrabbondanza di compiti per i giorni a seguire; era l’ultimo anno, avere molto lavoro era normale, ma quella volta i professori avevano esagerato.
Che ci fosse in vista la simulazione della terza prova d’esame? Il lituano c’aveva riflettuto e aveva ben visto di mettersi a ripassare il più materie possibile, nel silenzio di casa sua.
Poi, il cellulare squillò: era una suoneria diversa da quella che aveva per tutti gli altri numeri e questo non lo fece esitare ad accettare la chiamata dopo solo due note.
Le linee del viso si sciolsero e passarono dall’essere dure e tese a morbide e rilassate, la bocca, finora serrata, si schiuse e i suoi angoli salirono verso l’alto, in un sorriso.

« Hey. Sono le due, di solito non mi chiami a quest’ora. Tutto bene, sì?»
“Sì, sì, ‘na meraviglia, ora muoviti a fare quello che ti dico!”

La fronte di Toris tornò a corrugarsi. Che razza di risposta era?
« Che ti succede? Di soli-»
“ Accendi il pc. “
« Cosa? Come sarebbe a dire “Accendi il pc”? Gilbert mi vuoi dire che stai facendo?»
“ Io ho già fatto, FIDATI che ho già fatto! “
« Spiegati, santo cielo. »
“ Accendi il pc! Non mi sono fatto quasi arrotare da un motorino vicino a Alexanderplatz per starti a sentire mentre domandi e domandi e domandi! “
« TU COSA?»

Gli occhi di Toris si sbarrarono, il cuore perse più battiti. Quel… quell’imbecille! Che diavolo aveva fatto!

« Dio! Come stai?»
“ Occristo. BENE, STO BENE, MA TU ACCENDI QUEL CAZZO DI COMPUTER!”
« Devo trovarti dei modi per fasciare? Oddio, ma hai chiamato l’ambulanza? Aspetta, sento mia madre, lei è un med-»
“ TORIS, CALMATI.”

Il ruggito del tedesco, dall’altra parte della cornetta, riuscì a far chiudere la bocca a Toris, caduto in un momento di panico totale e già pronto a correre alla stazione e andare a curarlo, in un qualche modo.

“ Ascoltami. Non mi sono fatto assolutamente nulla, sono integro, se vuoi faccio un video dove ballo per mostrartelo.
Ma ora. Devi. Accendere. Quel. Cazzo. Di. Pc!”
« … M-Mh. Okay, lo accendo, ce l’ho davanti.»

Con un mezzo sospiro, il lituano toccò il mouse del pc, sbloccandolo. Gilbert continuò: adesso sembrava molto più calmo e la sua voce tradiva una certa soddisfazione.

“ Vai su Google Maps, Streets. “
« Ci sono… ma che stiamo facendo, scusa?»
“Vedrai: adesso digitato questo indirizzo: Berlino, Alexanderstraβe.
Hai fatto?”
« Quasi… Ecco, ora vedo la strada…»

La freccia cliccò in avanti, spingendo la camera a proseguire, passò una signora in bici, arrivò al semaforo e…
E il cuore di Toris batté violentemente, il viso si tinse di rosso e il lituano tacque, rimanendo con lo sguardo fisso sullo schermo del pc.
In mezzo alla strada, sotto il semaforo e sopra la barra delle applicazioni del suo pc, c’era Gilbert.
Il tedesco sorrideva dritto in camera e teneva tra le braccia alzate un cartellone sulla quale era scritta una frase corta e a caratteri cubitali.
“ TORIS, ICH LIEBE DICH “

Dall’altra parte del telefono, Gilbert rise, ma non con aria di scherno. Il silenzio del lituano gli aveva suggerito che il suo piano era andato alla perfezione.

“ Visto? Sono venuto bene, vero? Mi sembra il minimo, dopo aver rischiato di essere messo sotto dal camion di Google.”

Anche Toris rise, ma la sua era una risata sporca di commozione, così come i suoi occhi chiari.

« Sei… Sei bellissimo, non hai da preoccuparti…!»
“ Hey, non ti azzardare a piangere, tu! “
« Non sto piangendo!»
“ Buuh, Buuh, non gnto piagnendo! “

Lo scimmiottò, Gilbert, aggiungendo qualche fintissimo singhiozzo e una sonora tirata di naso.  Toris rise ancora, incapace di staccare gli occhi dallo schermo del computer.

« Idiota…! »
“ Uh, sì, mi hai detto idiota anche quel giorno a metà Giugno, peccato che tu dopo mi abbia baciato! “

1-0 e palla al centro per Gilbert, nulla da aggiungere.
Toris sorrise e posò completamente la testa sul telefono, come se questo fosse la spalla del fidanzato.

« … Mi manchi.»
“ Ah, stai tranquillo. Tra poco, molto poco, verrò su a Vilnius. Oh, questa era l’altra sorpresa. “
« Cosa?! Gilbert, ma… la scuola! Non puoi! »
“ Non è un problema, sono in… vacanza! “
« Ma ancora non è periodo di Pasqua, le scuole non chiudono.»
“ Chi ha parlato di Pasqua e di chiusura delle scuole. La vacanza è mia… e credo che il prof e il preside mi ci faranno stare un po’ più che una settimana. “
« … TI SEI PRESO UNA SOSPENSIONE! »
“ Umh, “vacanza” suona meglio, chiamiamola così. E non fare la voce arrabbiata con me.”
« GILBERT!»
“ Senti, lo so che ti piace urlare il mio nome, ma non esagerare, che altrimenti non avrai più fiato, quando arriverò. ♥ “

La conversazione durò per altre tre ore e Toris non poté finire di studiare Orwell.
Nel frattempo, ad una lezione di informatica tenuta nell’istituto di Gilbert, il professore mostrava agli alunni cosa fosse Google Maps e la faccia del tedesco e la sua dichiarazione apparivano nella gigantesca lavagna elettronica.






















___________________________________________________________________________________________________________________*


Emh, emh.

Ho incontrato il camioncino di Google l'estate scorsa, mentre ero all'acquapark, mio padre l'ha beccato a lavoro... insomma, mezza famiglia si è fatta immortalare x°
Non so, ma mi è venuta la strana idea di usarla come pretesto! Spero vi sia piaciuta più della scorsa, visto che non ci sono stati commenti x°
E spero di riceverne, questa volta! x°

Baci!

_ Valkyrie




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Capitolo 11
*** Cicatrici. ***


Avvertimenti: AU!,  Ambientazione Storica, Genderswap, Het.
Raiting: Giallo/Arancione
Personaggi: Toris Laurinaitis, Marie Beilschmidt ( Fem!Prussia)











11. Cicatrici.




Nel 1991 Toris Laurinaitis aveva diciannove anni e un po’ di pensieri per la testa, che, volendoli organizzare, si dividevano in due grandi fette: nella prima c’era laurearsi e portare il pane a casa; la seconda, invece, era accanto a lui, in un vestito bluette che le arrivava poco sopra le ginocchia e con una gomma da masticare che alle volte scoppiava troppo vicino i capelli di Toris.

« Ma non è possibile!»

Osservò la ragazza della gomma, stringendosi di più sotto l’arco della cattedrale, la giacca di Toris sulle spalle, a coprirla dal continuo scrosciare dell’acqua.

« Un giorno che usciamo, piove! Diluvia!»
« Dai, passerà tra poco.»

Le rispose Toris, le braccia strette intorno al petto per il freddo.

« Aveva ragione quella vecchia zitella di arte: “ Signorina Beilschmidt, non ha nemmeno la testa per ricordarsi dell’ombrello?”»

“Beilschmidt”  non era un cognome lituano. I Beilschmidt, infatti, avevano origine nella città di Königsberg, diventata nel 1946 l’ennesima proprietà dell’Unione Sovietica, cambiando nome e cambiando anche quella famiglia.
Era accaduto che una parte di questa fosse fuggita verso Berlino, mentre l’altra verso la Lituania. Così facendo si erano venuti a creare due gruppi: i Beilschmidt dell’Ovest e i Beilschmidt dell’Est.
Questi ultimi, una volta arrivati a Vilnius con molta più sfortuna rispetto all’altra metà, erano stati gentilmente e fraternamente accolti da una famiglia lituana: i Laurinaitis.
Non c’era mai stata nessuna unione di sangue tra le due famiglie, ma i Beilschmidt dell’Est, camminando passo passo con i Laurinaitis, avevano continuato l’amicizia e il loro nome, fino ad arrivare a quello dell’ultima generazione: Marie Beilschmidt, coetanea di Toris Laurinaitis, nato esattamente ventisei giorni dopo.

«Ci conviene entrare dentro e aspettare che finisca.»

Commentò, Toris, facendo seguire ciò ad una presa di posizione che aveva spinto Marie ad entrare e dargli retta, una buona e rara volta. Come si poteva immaginare in virtù dell’amicizia tra le due famiglie, Toris e Marie erano cresciuti l’una affianco all’altro.
Abitavano anche affianco e stavano spesso affianco durante le lezioni e affianco in biblioteca, il pomeriggio, quando Toris aiutava Marie con lo studio.
“ Devo passare, così mio fratello non avrà di che lamentarsi, quando andrò a Berlino. “, diceva, con aria decisa.
Marie  aveva sempre avuto fin da bambina una curiosità intrinseca sulla famiglia dell’Ovest; quando voleva disegnare la sua famiglia, aggiungeva una figura totalmente inventata, divisa dalle altre da una linea. Marie lo chiamava “fratello”.
Nel 1989 la linea, ovvero il Muro, era crollata e alcune lettere finalmente arrivate a destinazione avevano dimostrato che quella specie di fratello che Marie aveva sempre immaginato esisteva davvero, si chiamava Ludwig, scriveva con una precisione quasi spaventosa, era sposato con una giovane, stava aspettando di diventare padre ed era esattamente come la ragazza immaginava.
Purtroppo, scappare fino a Berlino con i tempi che correvano era qualcosa di estremamente pericoloso, che, ovviamente, nessuno le aveva concesso. A quel punto Toris, allora diciassettenne, le aveva stretto la mano e le aveva promesso che, non appena avrebbe avuto la patente e i soldi per la macchina, lui stesso l’avrebbe portata a incontrare il fratello.
Marie era rimasta tanto stupefatta dall’affermazione di Toris che, presa dall’istinto e dalla felicità, gli aveva buttato le braccia al collo e baciato le labbra con uno schioccare rumoroso.
In quell’esatto momento, Toris aveva capito di essere innamorato di lei.
Non dell’altra vicina, un “buon partito” che non ne voleva sapere assolutamente niente di lui e preferiva un discutibile matrimonio di sangue, no, a lui piaceva Marie.
E quel giorno aveva intenzione di dirglielo. Forse.
I loro passi echeggiavano nella chiesa, totalmente vuota.
Marie sbuffava e sbuffava, borbottava riguardo le sigarette bagnate; Toris non la ascoltava e osservava distrattamente come il sole filtrasse nelle vetrate e proiettasse sui capelli candidi della ragazza mille ombre colorate.
Un’altra caratteristica dei Beilschmidt dell’Est  era l’albinismo; Marie aveva la pelle bianca, i capelli candidi e gli occhi chiarissimi, molto più di quelli di Toris, del colore del mare.
Questo tratto poteva averla sfavorita nell’infanzia, rendendola  la protagonista di molte beffe dei bambini, ma all’inizio dell’adolescenza la cosa aveva preso una piega tutta diversa.
L’albina aveva un corpo esile e slanciato, una fierezza aquilina nello sguardo e un carattere spigliato e sicuro di sé, tutti elementi che l’avevano resa una delle ragazze più corteggiate della scuola.
Ma la ragazza di fidanzarsi non ne voleva sapere: “Non sono alla mia altezza”, diceva, gonfia di una superbia che solo Toris aveva il coraggio di criticarle apertamente.

« Tu guarda. Passeremo tutto il giorno dentro una chiesa! Almeno hai le carte?»
« Le carte? No, no che non le ho.»
« E allora cosa c’è nella tasca di questo giacchetto?»

Il lituano strabuzzò gli occhi e arrossì di colpo, sentendosi come se un fulmine l’avesse trapassato.
In uno scatto che lasciò Marie a dir poco sorpresa, afferrò la sua giacca proprio nel punto che lei, curiosa, tastava.
Tirò, ma Marie non lasciava la presa.

« Hey! Cos’è, hanno ammazzato le buone maniere!?»
« R… Ridammi la giacca per un momento! »
« Lasceresti una fanciulla al freddo!? Non vorrai che la mia pelle si secchi  e si rovini per colpa di questo vento!
Vorresti  attentare alla mia bellezza!»
« Marie, d-devo… prendere una cosa! Poi te la restituisco, dai!»

Oh, quello Toris non avrebbe dovuto dirlo. Gli occhi rossi di lei brillarono di una luce che non prometteva nulla di buono e si spostarono sul punto che le mani di Toris stringevano con violenza.
Un ghigno le si allungò sul volto.

« Cosa mi nascondi, mh? ♥»
« N-Niente! »
« Come se non ti conoscessi! Su, cosa c’è in questa… scatolina? Oh, sì, è una scatolina!»
« Marie, mi sto innervosendo, lascia!»
« Toris! Oh, santissima vergine! Non saranno dei preservativi! Santo padre, avresti dovuto lasciare la tua vita sessuale di cui non ho mai sentito parlare fuori dalla chiesa! Peccato, Peccato!»

La ragazza rise senza minimamente trattenersi, mentre continuava a strattonare la giacca del lituano.
La sua risata si sparse per la navata e salì come un soffio di vento fino ai tetti, ma non fu quella a far vibrare violentemente le vetrate.
Uno sparo.
Gli occhi azzurri di Toris scattarono verso l’alto, giusto in tempo per vedere una crepa allargarsi ed allargarsi ancora sul volto dell’angelo di vetro sopra di loro.
Marie non si accorse minimamente della cosa e, approfittando della distrazione dell’altro, gli strappò la giacca.

« Ah-Ah! Vittoria!»
« MARIE, ATTENTA!»

L’ultima cosa che Marie vide, prima di stringere gli occhi istintivamente, fu il corpo di Toris scagliarsi addosso a lei, buttandola a terra.  Subito dopo arrivarono il fragore di un vetro che va in mille pezzi e qualcosa che le graffiava la guancia.
Si toccò laddove la pelle bruciava e socchiuse gli occhi, osservandosi i polpastrelli: erano rossi.

« Marie… Marie, stai bene…?»
« Toris…?»

La voce del lituano arrivava al suo orecchio debole e tremante, sofferente.
La vetrata sopra di loro si era infrante e l’angelo si era spaccato in pezzi e pezzi, facendo cadere una pioggia di schegge di vetro, sopra la schiena di Toris.
I frammenti avevano tagliato facilmente la stoffa leggera della camicia e si erano conficcati lungo tutta la colonna vertebrale, dalle spalle fino ai fianchi.
Un rantolio attraversò il volto di Toris e si trasformò sulle labbra in un sorriso stanco.

« N-Non… Non potevo lasciare che ti si rovinasse la pelle.»

Tutto iniziò a vacillare; poi i suoi occhi azzurri si fecero opachi e il mondo intero, per Toris, cadde nell’oscurità.





                                                                                   








I medici avevano ragione.
La luce era tornata negli occhi di Toris dopo circa un giorno, quando l’effetto di tutti gli antidolorifici e gli anestetici che gli avevano iniettato era sparito e mentre Marie fissava le sue ciglia scure sbattere più volte e il viso rompere la calma piatta che aveva mantenuto fino ad allora.
Dopo che il lituano aveva perso i sensi, Marie aveva urlato ed urlato, ma nessuno li aveva soccorsi. Allora aveva preso coraggio e si era caricata Toris in spalla, trascinandolo fino in ospedale. Fuori di lì aveva trovato un inferno di dimostranti e soldati russi: ancora loro non lo sapevano, ma quel 13 Gennaio sarebbe stato presto entrato nella lunga di lista di giorni chiamati “Domenica di Sangue”.
Arrivata in ospedale, era stata frettolosamente accolta da un medico che le aveva strappato Toris dalle mani, lasciandole i suoi effetti personali: la giacca, il portafoglio e la scatolina sulla quale a lungo avevano discusso.
Era piccola, foderata di un qualcosa molto simile al velluto e il suo contenuto, adesso, adornava l’anulare di Marie.
Quel piccolo anello di argento non valeva molto, ma Marie era sicura che tutti i soldi che non erano nel portafoglio di Toris se ne fossero andati con quello e con l’incisione che c’era all’interno: “ M.B”, Marie Beilschmidt.

« Hey, Bello Addormentato.»

Toris mugolò e spostò lo sguardo dal banco del cuscino al bianco dei capelli di Marie. Era steso sulla pancia e non molto sicuro che ce l’avrebbe fatta ad alzarsi, visto lo strano intorpidimento che sentiva in ogni parte del corpo.

« Marie… siamo in Ospedale?»
« Già, su in Paradiso ancora non ne vogliono sapere niente di te.»

Toris ride debolmente e alzò gli occhi verso il viso di Marie. Fu allora che questi si dipinsero di una sfumatura triste.

« La tua guancia…»

L’indice indicò la linea bianca che si tracciava lungo la guancia sinistra di Marie. La ragazza sbuffò, infastidita, e scacciò con uno schiaffetto il dito altrui.

« Se ti preoccupa questa sciocchezza, meglio che non guardi la tua schiena.»
« Sono tante…?»
« Settantacinque, tra grandi e piccole. Le ho contate tutte, credo.»
« Almeno non sento dolore…»
« No, Toris. Non è che non senti dolore, tu non senti proprio nulla.
Sono dieci minuti che sto carezzando una delle tue cicatrici e tu non ti sei accorto minimamente di nulla.»

Toris, stupefatto, alzò il collo quel che gli bastava a buttare un occhio sulla sua schiena e vedere la mano di Marie sparire sotto la stoffa del pigiama e muoversi orizzontalmente; peccato che quel contatto fosse totalmente sconosciuto al suo corpo.

« Sei insensibile. Guarda.»

Marie, sotto gli occhi ancor più sorpresi di Toris, si chinò sulla sua schiena e lasciò un bacio abbastanza lungo poco sotto la nuca.
I brividi, Toris, però, li senti eccome, così come le labbra della ragazza e il rossore violento sulle sue guance.

« A-Avevi detto che non sentivo nulla!»
« Non  in tutta la schiena, solo in determinati punti. Scherzetto. ♥»

Toris sbuffò e tornò poi con lo sguardo su Marie, che adesso aveva posato il viso proprio accanto al suo e stava piegata sulle ginocchia.

« Mi spiace che, nonostante ciò, tu ti sia ferita.»

Marie fece spallucce e passò le dita tra i capelli del ragazzo: solo allora Toris notò l’anello e boccheggiò; ma la ragazza non lo fece parlare.

« Potremmo curarci le ferite a vicenda. Non sarebbe per niente male.»
« No… no, non lo sarebbe.»
« E poi credo che tu piaceresti a mio fratello.»

Quella frase e una risata furono le ultime cose che uscirono dalle loro bocche, prima che si unissero.
Se Toris sarebbe veramente piaciuto a Ludwig, Marie non lo sapeva.
Per lei, però, era l’uomo perfetto, quello alla quale avrebbe baciato le cicatrici ogni notte. Finché morte non li avesse separati.























__________________________________________________________________________________________________________________________________*


... Geh, un'altra delle mie cosette particolari. qwq

Mi è venuta l'idea in piena nottata, ahhaahah x° Beh, spero vi sia piaciuta, con questa vi auguro Buon Natale e vi lascio della PruLiet sotto l'albero!
Siate buoni e regalatemi delle recensioni, se sono stata brava!

Baci!


_Valkyrie.

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Capitolo 12
*** 12. Indecente. ***


Avvertimenti: Lime, Yaoi.
Raiting: Arancione/Rosso
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt, Sorpresa ( in tutti i sensi, lol.)





12. Indecente.



« Si può sapere dove stiamo andando?»
«Immaginatelo!»

Per Toris non ci poteva essere risposta peggiore di quella. Non tanto per la parola in sé, ma quanto per la sfumatura di significato che essa aveva assunto, scivolata fuori da un paio di labbra sottili piegate in un sorriso sghembo e riflettuta in due luminosi occhi rossi.
Peccato che a brillare non fossero solo quelli, ma anche il loro possessore:  nebbie invisibili circondavano la sua testa, ricoperta da capelli candidi che per l’occasione erano stati tirati indietro, a lasciare la fronte scoperta.
Era normale che al rinfresco di un matrimonio si servissero svariati drink ed era educato accettarne uno, ma dire “sì” a tutti faceva cadere tutto nello sconsiderato.  Cosa che Gilbert, spesso e volentieri, era e Toris lo sapeva molto bene.
Ciò che invece aveva lasciato il lituano, l’ingenuo lituano, sbigottito era stato quando, in mezzo alla pista da ballo, il prussiano aveva ben visto di serrare la mano intorno al suo polso e trascinarlo via ridendo, senza dire una parola che non fosse qualche strofa scialbamente cantata della canzone pop che echeggiava nel salone.
La situazione era rimasta la stessa a distanza di cinque minuti: Gilbert che lo trainava per i corridoi e Toris che cercava di imporre una minima resistenza piantando bene i talloni a terra, finendo solo con lo scivolare a causa del pavimento di marmo liscio che non andava per niente d’accordo con la suola delle scarpe eleganti che indossava.
L’unica, fondamentale, differenza stava nel fatto che ora Toris aveva intuito ciò a cui Gilbert mirava e la cosa era servita a scatenare un bel rossore sulle sue guance, in un perfetto accostamento con le rose rosse che decoravano ogni angolo e con quei gli occhi che ogni tanto cercavano i suoi solo per mostrare l’eccitazione che li faceva fremere come fiamme appena nate.

« Gilbert, no! Non possiamo!»

Molto blanda come opposizione; ma infondo era comprensibile, visto il semplice fatto che anche Toris, come tutti gli esseri umani, era fatto di carne e aveva due occhi che gli permettevano benissimo di notare quanto attraente fosse il marito, vestito, come lui, con uno smoking  e il suo solito sorrisetto pieno di sé, croce e delizia del lituano.
L’albino non parve nemmeno sentirlo: continuò in quella corsa, fino a raggiungere il guardaroba. Si trattava di un armadio che occupava con la sua larghezza tutta quanta la parete, lasciato incustodito dal personale, che ora era impegnato a preparare i tavoli dei dessert.

« Dooov’erano?»
« Cosa? »
« “Cosa?” Le patate! I cappotti, liebe, i cappotti. Che pensi che dovrei cercare in un guardaroba? »
« A che ti servono i cappotti.  Sono nella prima anta, comunque.»
« La prima, la prima… Oh, eccoli qui! Senti, ricordami un po’, l’abbiamo mai fatto in auto?»
« S-Scusa-?!»

Gilbert  non badò al volto violaceo del marito: pareva troppo impegnato a tastare la lana del suo cappotto.
Il suo volto, improvvisamente, si fece serio.

« No. Non mi va di andare fuori.»

Toris tirò un sospiro di sollievo, vedendo come Gilbert  ributtava il suo giaccone dentro l’armadio.
La pace, però, durò solo un attimo: il tempo di abbassare gli occhi e notare la mano sinistra dell’altro serrarsi intorno al nodo della sua cravatta e far fare a tutto se stesso l’identica fine del giaccone.
Inutile fu cercare di trattenere un mezzo grido di sorpresa, prima di trovarsi a sprofondare contro giacchetti, giacche, sciarpe e cappelli.
L’anta si chiuse e le labbra di Gilbert furono immediatamente sulla sua bocca, in un bacio famelico che gli rubò svariati battiti, mandandolo in apnea.
Che stava succedendo?
La luce era poca, filtrava da qui e da lì, ma non c’era bisogno di averne tanta per capire che era la gamba di Gilbert a farsi spazio tra le sue e le sue mani a sciogliere a allentargli malamente la cravatta.
Il fuoco gli intorpidì le membra e fece frizzare il cervello.
Oh, no. Quello non era bene. Affatto.
Mugolare al prussiano di fermarsi non servì a nulla, se non a ricevere un bacio ancor più violento.

« SSSSSh!»

Sussurrò, Gilbert, soffiando aria direttamente nella bocca del fidanzato.

« Fai piano, che sennò ci sentono. Vuoi essere beccato?»
« Gilbert, non- »
« Shhhhh!»

Il moro si morse le labbra e buttò gli occhi al cielo, in uno sprazzo puramente nervoso e totalmente imbarazzato.

« Non possiamo.»

Disse, questa volta piano. Gilbert rise e si tolse la giacca, tornando poi a sbottonare la camicia altrui.

« E chi ce lo vieta.»
« Siamo ad un matrimonio!»
« Appunto, festeggiamo l’amore.»

Le labbra baciarono lo sterno e Toris lo sentì ardere. Esse si spostarono lungo il suo petto ed era come se dal punto sulla quale si posavano, che lo marchiassero o meno, iniettassero sotto la pelle del lituano una sorta di veleno che lo intorpidiva ogni secondo di più.
Toris sapeva bene che in realtà non c’era nessuna sostanza tossica e che a quelle due rosee gemelle peccatrici non si poteva imputare nessuna colpa,  se non quella di essere maestre di seduzione.
Se il moro poi si trovava a sospirare sotto i tocchi della altrui lingua intorno all’aureola, questo era un problema solo ed unicamente suo, di cui Gilbert faceva tesoro, nonché un ottimo motivo per perseverare.
Le mani si adoperarono a slacciare cintura e chiusura dei pantaloni nel minor tempo possibile, abbassandoli quel poco che bastava, ovviamente insieme all’intimo.
Toris mugolò e Gilbert rispose con l’ennesimo ghigno. Non gli avrebbe dato ascolto, affatto.

« Non fare il contrariato, è solo colpa tua.»

Dio, eccoci nuovamente con quella storia. Non era certo la prima volta che il prussiano se ne usciva con un’affermazione simile; arrivato a quel punto, avrebbe dovuto sapere che la reazione di Toris era sempre la stessa, ovvero  un fulmine scagliato direttamente dall’azzurro dei suoi occhi.

« M… Mia?!»
« E di nessun’altro. Sei tu che ti sei vestito con questo smoking . E’ da prima di partire che ti guardo. »

E’ una regola ormai confermata da migliaia di esperienze che le persone da brille tendano ad essere molto più sincere, ma forse Gilbert se ne sarebbe uscito con una cosa del genere senza aver toccato neanche un goccio d’alcool.

« Sono geloso. Ti sta troppo bene, gli altri ti guardano.  Non voglio.
Tu sei magnifico, ma mio. Mio e basta. »

Gli invitati potevano scrutarlo, cercare di cogliere la linea del corpo del lituano sotto quell’abito nero che lo fasciava alla perfezione, ma solo ed unicamente a Gilbert era concesso di conoscerla davvero, di toccarla, baciarla.
Solo a lui, che in questo momento altro non desiderava che riaffermare questo suo diritto.
Che passione violenta, la possessività.
Tanto quanto l’effetto che poteva fare a Toris il complimento dell’affermazione precedente, lasciato vibrare nella conchiglia del suo orecchio.
Ottimo, si era distratto. Meglio approfittarne e Gilbert non era certo tipo da lasciarsi scappare l’occasione per nulla al mondo, costringendo il lituano a girarsi, fino a quando non si ritrovò a premere la guancia sinistra contro la lana di un lungo cappotto.
Non ci fu tempo per replicare: la mano bianca dell’albino già aveva stretto le dita attorno al sesso del moro, lasciando aderire perfettamente la schiena alla sua e posando la testa sulla spalla nuda, una rotondità perfetta da mordere.
I movimenti iniziarono, vigorosi e ritmici, trasformando ogni disapprovazione in gemiti caldi che, invano, Toris cercava di soffocare contro la stoffa di quel cappotto, alla quale aveva artigliato le dita.

« G-Gilbert… ! »

La voce rotta lo chiamò in una piccola supplica che non poté che farlo sghignazzare, pieno di sé, prima di passare la lingua dietro l’orecchio e premere il naso contro i capelli castani, inebriandosi del loro profumo.

« Che c’è, non ti piace…?
Devo fare di più? »

Dio, se si divertiva. Soprattutto quando, senza aspettare una risposta, incrementò la velocità della sua mano.
Non era finita lì: seguendo lo stesso ritmo, anche il bacino del prussiano iniziò a muoversi, strusciandosi senza ritegno contro i glutei del moro, che la mano sinistra, quella libera, mai aveva lasciato in pace, massaggiandoli ora, pizzicandoli, dopo.
Vide le mani di Toris affondare le unghie nel giaccone e sentì tutto il suo corpo tremare violentemente. Pochi secondi dopo, con un gemito vibrante,  il lituano raggiunse il limite, sfogando il piacere che non poteva più trattenere sulla sua mano e non solo.
L’orgasmo lo lasciò ansimante per più di un minuto, che Gilbert vide bene di usare per voltarlo nuovamente, passando lentamente le mani sull’interno delle sue cosce, dietro di esse e su, fino a raggiungere l’elastico dei boxer, là dove li aveva lasciati.
Toris mugolò nuovamente contro quella bocca che l’aveva fatto sprofondare in sensazioni bollenti.

« Gilbert…! No!»
« Non ti ascolto…
Io so cosa vuoi davvero.»

Quelle parole furono tremende quanto vere: col passare del tempo –ma già da subito, a voler essere sinceri- il prussiano aveva imparato che se la bocca di Toris diceva una cosa, spesso e volentieri il corpo ne professava un’altra.
La prima era ragione, il secondo istinto e in casi come quello era bene che fosse questo a venir ascoltato. Così, se Toris non voleva, ci pensava Gilbert a tendere le orecchie e udire i consigli che il petto altrui gli dava, fremendo.
Ciò stava accadendo anche ora: in un contrasto feroce, Toris si ripeteva quanto tutto quello fosse sbagliato, problematico, pericoloso, urlava “No!”.
Poi, però, il calore delle mani e delle parole del prussiano lo ammaliava.
Era così, sì, Gilbert sapeva cosa volesse davvero. Gilbert poteva darglielo ora.
Le spalle si sciolsero improvvisamente,  in un sospiro lungo e nasale: nuovamente la seconda idea aveva trionfato.
E mentre la gamba di Toris si piegava, alzandosi fino ad avvolgere la vita altrui, Gilbert gli tirava giù i boxer, lentamente, prima un centimetro, poi un altro, un altro ancora…



« Bonsoir, amoreux.»

L’anta si spalancò tutto ad un tratto e la luce invase il guardaroba, colpendo, appunto, i due amanti, che non solo videro bene di lanciare entrambi un grido degno dell’ultimo film di Dario Argento, ma, sussultando, finirono entrambi con l’urtare contro il fondo dell’armadio , facendo cadere un be po’ di giacche e sciarpe.
Davanti a quella scena, Françis non poté far altro che coprirsi la bocca con la mano guantata di bianco e trattenere a stento delle grasse risate.

« Françis! Che cazzo fai!»

Sbraitò, Gilbert, volgendo il collo e il volto, tra il furente e il paonazzo, verso l’amico, mentre tutto il resto del corpo cercava di coprire Toris, il quale, colto da una vergogna profonda e bruciante come l’inferno, altro non era riuscito a fare che tirarsi sui i boxer e i pantaloni con uno strattone violento, rimanendo spalmato contro il fondo del guardaroba.
Non era rosso, era viola, lo era così tanto che per un attimo sia Françis che Gilbert si chiesero se avesse smesso di respirare ( cosa che era effettivamente successa per qualche minuto).

« Io? Io sono semplicemente venuto a cercare il testimone che mi è sparito prima del taglio della torta.
Ho cercato e cercato, poi sono passato qui davanti e ho sentito. Dovresti ringraziarmi che ho avuto la gentilezza di aspettare che i rumori finissero. »
« Beh, non erano finiti!»

Se c’era una cosa che Gilbert non sopportava, quella era venire bruscamente interrotto nel bel mezzo di un rapporto. Non lo sopportava quando succedeva perché squillava a ripetizione il telefono, figurarsi se il francese aveva ben visto di spalancare senza preavviso l’anta e far prendere loro un colpo.

« Non fare lo scocciato. Io al tuo matrimonio non l’ho fatto.»
« Tu al nostro matrimonio non l’hai fatto solo perché non hai trovato dove infrascarti con l’inglese!»
« Questo non è affatto vero. Se avessi voluto…»
« Potreste farla finita!? »

La voce di Toris, roca per l’imbarazzo e lo spavento, si fece sentire sopra le altre due. Il tempo che il marito e Francia avevano usato per battibeccare su questioni che avrebbe preferito lasciare nell’ombra, il lituano l’aveva usato per ricomporsi il più velocemente possibile e ora uscire dall’armadio.
No, non sarebbero serviti tutti i colpi di tosse del mondo per  simulare un poco di nonchalance.
Erano stati beccati.
In un guardaroba.
Da Françis.
Se gli andava bene, forse la notizietta sarebbe rimasta nella zona centro-europea. Forse.
Dio.
Il francese tirò quello che sembrava essere un sospiro paziente e si mise le mani sui fianchi.

« Bene. Adesso possiamo tornare a… Mon Dieu!»

Lo sguardo di Françis si fece quasi inorridito alla vista di Gilbert che se ne usciva dall’armadio, senza capire cosa avesse tanto sconvolto il biondo.
Almeno fino a quando non abbassò lo sguardo sui suoi pantaloni e un certo gonfiore fin troppo evidente.

« No, no, tu così di là non ti presenti.  Le foto ce le facciamo dopo, ora, Toris, tu vai e finisci ciò che hai iniziato!»

Il lituano nemmeno rispose, rimase a boccheggiare come un pesce rosso –paragone azzeccato, visto che il colore era quello-, mentre Françis si voltava verso la bacheca appesa  al muro di fronte e prendeva una chiave, depositandola poi sul palmo dell’albino, che si guardò bene dal toccare.

« E’ la quarta stanza a sinistra, al secondo piano. Lasciatela libera entro un’ora, che è prenotata.»

Gli occhi di Gilbert lessero ciò che stava scritto sul cartoncino legato al nastro rosso che penzolava dalla chiave argentea: due iniziali.

« “I.B.”
E’ chi penso io?»
« Può darsi.»

Nel mentre che la faccia di Toris, ben sicuro di chi si identificasse in quelle iniziale, diventava bianca come un cencio, il ghigno di Gilbert s’ingrandiva così tanto da apparire deformato.
Quella era proprio una gloriosa giornata per la Prussia.

« Franz. Sei un amico, un vero, verissimo amico. E ti auguro di fare con l’inglese del sesso magnifico quanto quello che sto per fare io.»

Gilbert era quasi tentato di abbracciarlo, tanto era contento, ma adesso non c’era tempo. 
La mano afferrò nuovamente quella del marito e i piedi corsero veloci come mai, trascinando senza pietà l’altro verso l’ascensore.
Toris non sapeva più che fare, se sbiancare o arrossire. E quelle scarpe scivolose gli impedivano nuovamente di imporsi.

« Gilbert! Gilbert! Non ci pensare nemmeno, è la camera di Ivan!»
« Lo so, è magnifico! Prima il cappotto, ora la camera!»
« …  Il  cosa!? »
« Il cappotto, quello che dovrà portare il lavanderia per colpa di una brutta macchia! Dovresti saperne qualcosa!»
« GILBERT!»

L’albino rise a pieni polmoni, trascinando Toris nell’ascensore un attimo prima che le porte si chiudessero, un attimo prima averlo tirato di nuovo contro le sue labbra, in un bacio dove le mani s’impigliavano nei suoi capelli, li scompigliavano. Uno di quei baci in cui Toris finiva sempre, scioccamente, per sorridere.
Gilbert era indecente, ma lo amava anche per questo.

















_____________________________________________________________________________________*

Ancora non sono morta.
Ci vado vicina, ma non lo sono. *A*/
Scusate tanto per il semi-p0rn, ma queste sono le idee che vengono il giovedì sera con la semi-febbre.
Spero vi piaccia!
Un bacio,

_ Valkyrie.

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Capitolo 13
*** 14. Sul Ring. ***


Avvertimenti: Botte da orbi
Raiting: Arancione
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt



14.  Sul Ring.





Il pugnò volò a pochi millimetri dalla sua faccia; la frizione delle nocche graffiò l’aria.
« Mancato!»
« Sta’ zitto!»
Gilbert continuò a ghignare dietro la guardia alta, gli occhi rossi puntati sul giovane lituano che ora portava due dita alla cravatta e allargava il nodo con uno strattone, passando poi ad aprire i primi due bottoni.
Era successo di nuovo.
Toris si era ripromesso e ripromesso che mai più e mai poi avrebbe lasciato cedere così i suoi nervi, poiché essi erano allenati, fortificati da giorni e giorni di duro lavoro in una situazione sgradevole come solo quella che l’Unione Sovietica dopo la seconda guerra offriva. Mandare tutta quella calma ferrea a farsi benedire per colpa di qualche stupida provocazione uscita dalla bocca di Gilbert, che spesso e volentieri parlava prima del cervello, era inutile, controproducente, una perdita di tempo e chi più ne ha più ne metta.
Nonostante tutto questo, tre settimane prima era comunque avvenuto il fattaccio: all’ennesima mancanza di rispetto, le gambe di Toris si erano mosse per lui e prima che avesse potuto rendere conto aveva visto il suo pugno sinistro sbattere contro il naso dell’albino.  Era accaduto in un attimo e per i minuti a seguire tutto al lituano era sembrato ovattato: il suo respiro affannato, i muscoli del corpo ancora tesi, Gilbert che, indietreggiato di qualche passo, teneva la testa bassa e le mani sulla faccia; il rumore delle gocce di sangue fuggite dalle sue falangi, che picchiettavano sul pavimento lucido. Il moro era stato incapace di pronunciare una qualunque parola. Poi, Gilbert aveva alzato la faccia, mostrando i denti in un sorriso eccitato e gli occhi in cui il rosso brillava più del sangue che gli colava fino al mento, e aveva detto con voce roca ciò che Toris, in una parte molto nascosta di sé, sperava di sentire.
“ Vogliamo continuare? “
Ed avevano continuato; a dividerli, quella volta, quando già entrambi avevano la faccia e le braccia piene di ematomi, era stato Ivan, a cui nessuno dei due aveva saputo dare una spiegazione che non fosse un ansimare affaticato e rabbioso. La seconda, invece, Eduard era arrivato giusto in tempo per vederli crollare, esausti. La terza, iniziata con uno strattone da parte del tedesco, più o meno lo stesso.
Quella volta Toris non sapeva nemmeno perché avevano iniziato; un motivo stupido di certo… oh sì,  le ceneri delle sigarette che Gilbert lasciava cadere a terra, giusto, il motivo era quello. Beh, non importava, tanto, comunque andasse, non aveva importanza, così come non aveva importanza chi dei due avrebbe vinto. In quegli scontri non c’erano vinti o vincitori, l’unica cosa che contava era mirare bene prima di scagliare un gancio o un destro.
Adrenalina.
Ecco chi era da farla da padrone in ognuno dei loro occasionali ring. Non c’entrava niente dimostrare la superiorità sull’altro, e il rispetto, oh, quello lo avevano abbandonato nell’esatto momento in cui avevano tirato il primo colpo!
Erano l’uno il capro espiatorio dell’altro: negli occhi rossi di Gilbert, Toris vedeva specchiarsi ogni briciolo di rabbia repressa, ogni moto d’ira che aveva soppresso, ogni volta in cui si era morso la lingua. E nel controllo frantumato di Toris, Gilbert trovava altro spazio ancora per far bruciare la  fiamma dell’odio che lo logorava dentro.
Nella violenza del combattimento tutto si annullava.
Erano liberi.

« Sei lento!»
Il ginocchio di Gilbert impattò con violenza sull’addome dell’altro e un brivido gli corse lungo la schiena quando poté giurare di aver sentito lo stomaco muoversi sotto il suo colpo. Ma non poté godersi per molto l’immagine del moro che sputava sangue e saliva, perché un dolore lancinante gli si propagò sul polmone sinistro e con uno schianto si ritrovò intrappolato contro il piano lavoro della cucina e contro la mano sinistra di Toris, ora stretta sul suo colletto.
Rise, allargando lo spacco sul labbro inferiore; avrebbe dovuto guardargli quelle maledette mani e non la faccia.
L’odore del fiato sporco di ferro del lituano gli invase le narici e solo allora comprese quanto gli fosse effettivamente vicino. Toris, un pugno ancora alzato  e il petto  malmesso che si gonfiava e si svuotava troppo velocemente, rinchiuso nella camicia sporca e disastrata, deglutì un paio di volte e cercò sotto tutto il sangue che gli era salito in gola le parole.
« E tu… tu usi la bocca a sproposito. »
Gilbert portò immediatamente lo sguardo sul suo, fissando il punto più profondo della pupilla verdazzurra. Ci fu silenzio per uno, due, dieci secondi. Poi gli sorrise, sgraziato, inarcando le sopracciglia candide e mettendo in mostra i canini.
« Non sono molto d’accordo. »
La mano sinistra del tedesco, fulminea, scattò  e si chiuse attorno al pugno di Toris, che d’istinto chiuso gli occhi, preparandosi al colpo.

Le labbra di Gilbert erano ancora più secche dell’ultima volta.
Con un mugolio, il petto di Toris aderì perfettamente a quello dell’albino e le spalle si curvarono, lasciando che il braccio dell’altro le circondasse fino a conficcare le unghie nella camicia. Al primo respiro, la lingua si fece prepotentemente spazio nella sua bocca e Toris la sentì esplorare il profilo dei denti, fino a intrecciarsi con la propria, a cercare di dominarla, a lasciarsi, per pochi attimi, dominare.
La mano destra di si fece spazio dietro la schiena di Gilbert, stringendosi malamente attorno alla vita e accentuando ancor più il contatto trai loro corpi. Il calore che emanavano, il loro odore aspro, gli arrivava alle naso, schiacciato contro la faccia del tedesco, e gli intrecciava le budella.
Sentì chiaramente le sue dita strisciargli dalle spalle al collo e un fremito percorrere tutto Gilbert quando le portò alle radici scure e bagnate di sudore dei suoi capelli lunghi, dentro cui s’infiltrarono, perdendosi, sciogliendo la mezza coda e lasciando i fili marroni appicciarsi alle loro facce. Li tirò senza indugiò e la risposta che ricevé furono gli incisivi dell’altro che catturavano un pezzo del suo labbro inferiore e lo strattonavano.
Gilbert si liberò da quella piccola morsa, lasciandogli un bacio umido sotto il mento e sul collo esposto, solo e unicamente quando sentì il torace pungere in ogni punto e implorare per avere ossigeno.
Adesso stavano ansimando ancor più di prima. Si accorse che sulle braccia di Toris, quella parte lasciata esposta dalla camicia arrotolata  male in pochi attimi, le vene pulsanti erano tutte un tremore e si concesse un piccolo sorriso, giusto quello che gli serviva per farlo ricordare:
« Mi hai morso.»
Obiettò, portando la mano libera, quella che non era intorno al suo collo, alle labbra. Toris tornò in un secondo a corrugare le sopracciglia e stringere le palpebre; sentì chiaramente tutti i suoi muscoli irrigidirsi di nuovo.
« T- Sei tu ad avermi tirato i capelli. »
« Ormai ho capito che ti piace.»
« Sta’ zitto. »
Toris distolse lo sguardo, lasciando Gilbert alle sue risatine. Nemmeno quello era la prima volta che accadeva. Era iniziato la seconda volta, quando il prussiano lo aveva atterrato e invece che con i pugni, lo aveva aggredito con le labbra, e lui, da prima sconvolto, si era ritrovato a contraccambiare con una passione che avrebbe giurato di provare per chiunque, ma non certo per lui.
Non sapeva come o quando l’adrenalina del combattimento finisse col trasformarsi in quella.. attrazione. Non lo comprendeva e non era neanche certo fino infondo di volerlo comprendere. Era semplicemente successo, questo si era ripetuto la prima volta, sarebbe stato un fatto da mettere nel dimenticatoio.
Peccato solo che la cosa si fosse ripetuta un’altra volta. E un’altra ancora.
« .. Non capisco.» Borbottò, pulendosi il sangue dalle labbra umide e arrossate –ma non dai pugni- il sangue. « Perché ogni volta deve finire ch- »
« Che ci ficchiamo la lingua in gola? Beh, fatti due domande, Litauen. »  Gilbert quella che Toris avrebbe definito come “l’ennesima cascata di parole non filtrate dal cervello” mentre cercava di massaggiarsi il collo. Finito il ben poco producente massaggio, andò ad unire la mano alla sua gemella, ancora sulle spalle di Toris, alla quale rimase allacciato, gli occhi fissi nei suoi.
« Se vuoi io posso dirti come dovremmo continuare la cosa. Mh?»
Volente o nolente, Toris sentì il cuore salirgli in gola e lì rimanere, incastrato nelle corde vocali, mentre un’ondata di un calore tanto piacevole quanto fastidioso, perché sbagliato, gli invadeva il corpo intero e il cervello.
Non era la prima volta che riceveva quel genere di avances.
Gilbert già aveva approfittato delle passate lotte –e conseguenti baci- per proporgli di, testuali parole, “continuare i giochi a letto” e la risposta di Toris era partita con un rifiuto sbigottito e, diciamolo, praticamente urlato, fino a divenire un’occhiataccia fulminante. Eccolo infatti recuperare la solita serietà e non dare a Gilbert nessuna risposta se non uno sguardo glaciale dritto nelle fiammelle delle altrui pupille.
« Piuttosto,» iniziò, evitando totalmente la domanda e portando lo sguardo all’addome del tedesco. « quando ti ho colpito ho sentito un rumore strano. Controlla di non esserti fatto niente alla costola. »
« Da solo? »
« Non ne sei capace?»
« Potresti venire in camera mia ad aiutarmi. »
Gilbert rincarò senza indugio la dose, tornando con le nei capelli del lituano, a cui, ne era certo, le guance adesso non s’erano arrosate per la fatica. Ma Toris, deciso a non mollare, buttò gli occhi al cielo e si divincolò dalla presa dell’altro, allontanandosi di qualche passo dal suo calore.
« Gilbert. No. »
« Non ti vedo molto convinto, sai? »
« Smettila d’insinuare cosa sono e cosa non sono! »
« Io non insinuo nulla, leggo i fatti!»
Toris sospirò, esasperato, davanti alla tranquillità con cui il tedesco gli proponeva certe cose dopo averlo riempito di pugni senza indugio.
« Lo capisci che non ha senso?»
« Perché, tenermi totalmente incollato a te mentre ti bacio ne ha, quindi? »
Toris si ritrovò ad aprire la bocca e non farne uscire alcun suono, lasciando Gilbert nella meravigliosa consapevolezza di aver centrato il punto. Si morse nervosamente un labbro, Toris, per poi tornare a guardarlo negli occhi.
« Non sono come gli altri. Non faccio certe cose. Mi spiace, io non ho intenzione di diventare il tuo passatempo o giocattolo.»
Gilbert parve oscurarsi e far sparire il sorriso con la stessa velocità con cui aveva iniziato a ridere prima. Toris abbassò lo sguardo.

« E io non ti ho chiesto di diventare né il primo né il secondo. »
Fu come se quelle parole si fossero tramutate in fulmine e scaricate con violenza addosso al lituano, elettrizzando la pelle, le ossa, il cuore. Rialzò immediatamente gli occhi su Gilbert e cercò nelle sue pupille non la spiegazione di quella affermazione, la conferma che essa avesse lo stesso significato che lui gli aveva immediatamente conferito.
Il cuore, nel petto, pulsava più delle ferite.
« S… Santo cielo! Vi siete picchiati di nuovo?! »
La voce tremante di preoccupazione del povere Raivis, appena rientrato in casa con le braccia ricolme di una settimana di spesa, irruppe nella cucina e interruppe il gioco di sguardi dei due astanti.
Gilbert allungò le braccia, lasciando le costole scrocchiare.
« Normale amministrazione, nanetto. Zitto con russo e pensa a pulire.»
Toris avrebbe voluto rispondergli di non trattare così Raivis e portargli rispettò, ma non riuscì a trovare le parole per rispondere, perché adesso non riusciva a pensarne altre che non fossero quelle della frase lanciatagli dall’albino, che ora andava abbandonando la stanza, le mani in tasca e l’aria disinteressata.
« E comunque non ti preoccupare, » disse, ormai alla porta, tornando a guardare indietro, ma rivolgendo le pupille scarlatte non al lettone, ma al moro. « Io e Toris potremmo anche smettere a breve di giocare o passare il tempo e iniziare invece a fare le persone serie. Con un senso. »
Gilbert sorrise, sbruffone, prima di voltarsi e andarsene definitivamente dalla cucina, lasciando dietro di sé, come uno strascico, un’ultima frase.
« Ma questo solo se Litauen non fa il ghiacciolo e si decide a venire a trovarmi, stasera! »
Toris avvertì con chiarezza ogni goccia di sangue ribollirgli nelle vene e pulsargli nelle tempie quando Raivis lo guardò con un giusto fare confuso.
« … devo portarti delle garze e del disinfettante? »
Accennò il più giovane dei baltici, forse per sfuggire a tutta quella strana situazione. Toris ringraziò, dicendogli di sì, e di mettere anche su l’acqua per il caffè a bollire. Ne aveva bisogno.
Toris si passò entrambe le mani sulla faccia e poi le portò alla testa, lasciandosi andare in un sospiro stanco e esasperato.
Qualcosa gli diceva che adesso da quel ring non ci sarebbe mai più sceso.





























( nota: svariati anni dopo, durante la loro convivenza scelta e non forzata, Gilbert proporrà a Toris una serata film, dicendo di averne trovato uno che gli ricordava “i loro vecchi tempi”.
La pellicola in questione sarà “Fight Club” )




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... ciao eh
Sì sono viva.
Solo che ho la costanza di una che non si chiama costanza.
Non mi lianciate, non mi picchiate, si sono picchiati già abbastanza loro.
Dai che vi voglio bene.
.... Sciao. *A*" 

ah sì, ho saltato il 13 perché a me il 13 fa schifo 

<3


___ Lucy.

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