Rigor Mortis

di Ortensia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***




Rigor Mortis


Capitolo I


Kuroko Tetsuya, giovane promessa del basket conosciuto come: "Il sesto uomo fantasma della Generazione dei Miracoli", trovato impiccato nel suo piccolo appartamento di periferia.”


Questa era la notizia apparsa il terzo giorno di febbraio su quotidiani come Asahi Shinbun e Tokyo Shinbun e che aveva lasciato tutti senza fiato, attoniti e inermi di fronte al peso schiacciante della realtà.
Non ci avevano messo molto, gli ex membri della Generazione dei Miracoli, per recarsi in quella tranquilla zona di periferia, come in pellegrinaggio, ancora spaesati e increduli di fronte alla notizia di una morte così prematura. Di un suicidio.
In fondo alle scale, il nastro giallo e nero della polizia e due agenti avevano ostacolato il passaggio degli ex membri della Generazione dei Miracoli e neppure le doti persuasive di Akashi erano servite per farli desistere dal loro incarico.
Kise, Midorima, Murasakibara, Akashi e Momoi erano rimasti raccolti ai piedi di quelle scale; qualcuno aveva pianto, qualcuno si era appoggiato al muro e aveva nascosto il viso fra le mani, esasperato: la presenza della polizia era una prova sufficiente per rendersi conto che non si trattava di uno scherzo, per realizzare che Kuroko era morto davvero.
Colui che li aveva guariti e riuniti era morto, e di quella giornata sarebbero rimasti solo il crepitio della carta di giornale sotto le dita e il suono sommesso della pioggia.
Momoi era scoppiata in lacrime nel momento in cui aveva scorto il nastro della polizia e sembrava incapace di smettere, continuava a chiedersi ad alta voce perché Kuroko avesse commesso un gesto simile.
Kise, dal canto suo, non riusciva neppure a muoversi, si sentiva schiacciato contro quel muro nel quale, paradossalmente, aveva sperato di trovare un sostegno.
Akashi e Midorima, invece, avevano cercato di strappare qualche informazione agli agenti, mentre Murasakibara era rimasto alle spalle del primo proprio come un bambino che, in cerca di protezione, si attacca alla sottana della madre.
Dopo trenta minuti di attesa straziante, Aomine aveva sceso le scale ed era passato sotto il nastro della polizia per raggiungerli, rimanendo in silenzio anche dopo tutte le domande che gli rivolsero.
Aomine aveva avuto sfortuna: c'erano stati tre delitti in zona, quella mattina, e a lui era stato assegnato quello di Kuroko, ragion per cui, con quell'immagine orribile marchiata a fuoco nella mente, non si sentiva ancora in grado di parlare e, pur comprendendo benissimo il perché si trovassero già tutti lì, non li voleva avere intorno, anzi se avesse potuto li avrebbe fatti scomparire con uno schiocco di dita.
Dopo un paio di minuti era riuscito a dire qualcosa, aveva boccheggiato il minimo indispensabile: aveva spiegato ai cinque che non si trattava di suicidio, che tutto era stato inscenato, perché il cellulare, il telefono e il computer di Kuroko erano scomparsi, dimostrando l'ovvio intento dell'assassino di nascondere le prove; aveva anche espresso la propria opinione, concordante con quella degli altri agenti: senza dubbio l'omicida era qualcuno che conosceva bene Tetsuya, qualcuno di cui si fidava.
Infine, Aomine li aveva informati che erano tutti sospettati. Nessuno escluso.


«Satsuki.» la voce di Aomine vibrò di nervoso.
«Rispondi alla domanda e non farmi perdere tempo.» neanche a lui piaceva l'idea di interrogarli tutti e di essere interrogato a sua volta: nessuno, dopo una simile notizia, avrebbe voluto subire un trattamento simile, essere tenuto per ore in centrale e passare da una cella all'altra a rispondere alle più disparate domande.
«Io ...» Momoi affondò le mani fra i capelli e lasciò che le dita si intrecciassero alle ciocche morbide, tirandole appena.
«Io non lo so-» le tremò la voce, le labbra fremettero in un spasmo di dolore e gli incisivi sprofondarono in quello inferiore, in una manifestazione di rabbia silenziosa.
«Come non lo sai? Satsuki, rispondi a questa cazzo di domanda!» Aomine non sospettava di Momoi, affatto, ma sentirla così esitante non gli piaceva affatto, a dare risposte così vaghe e inutili, senza concedere alla polizia neppure una piccola informazione, rischiava di cadere in una trappola penale e burocratica ben peggiore di un interrogatorio in centrale.
«Satsuki.» Aomine la chiamò di nuovo e si sporse appena verso di lei, lasciando aderire i palmi al piccolo tavolino: aveva ricominciato a piangere e si era affrettata ad afferrare un altro fazzoletto e nascondersi il viso in quel pezzo di carta bianca.
«Quando è stata l'ultima volta che l'hai visto? Non puoi non saperlo.» Satsuki era senza dubbio una delle persone che avrebbe potuto dare le risposte più accurate, per una ragione ben precisa che Aomine conosceva perfettamente.
«L'altra ... l'altra settimana.»
«Che giorno?»
«Venerdì, venerdì pomeriggio.»
«Il ventotto, quindi?»
Momoi annuì appena e si soffiò il naso, per poi sollevare gli occhi arrossati e gonfi di lacrime verso l'altro.
«Dai-chan, s-sono la principale ...» singhiozzò e cercò di immagazzinare più aria possibile nei polmoni «sospettata, vero?»
Aomine la guardò in silenzio e batté la punta della penna sul blocchetto, inspirando profondamente.
«Indubbiamente sì, sei una dei principali sospettati.» Aomine si torturò la radice del naso con le dita, poi riprese con un sospiro «stiamo analizzando le impronte digitali e i capelli, ma non c'è dubbio che quelli fossero i tuoi.»
Momoi deglutì appena e prese un'altra fazzoletto, asciugandosi gli occhi e tirando su col naso un paio di volte.
«Dai-chan, è ovvio che ci siano i miei capelli e le mie impronte digitali in casa di Tetsu-kun.» dovette fare una pausa non appena pronunciò quel nome e si lasciò sfuggire un sospiro tremante, lasciando scivolare il capo all'indietro per ricacciare le lacrime «e-eravamo fidanzati, fino ad una settimana fa.»
Ecco per quale motivo Momoi avrebbe potuto fornire risposte più precise e attente rispetto agli altri.
«Vi siete lasciati venerdì?»
«Sì.»
«Lo hai lasciato tu? O ti ha lasciato lui?»
Le dita di Momoi accartocciarono il fazzoletto inzuppato di lacrime, scavarono nella carta fino a bucarla: una risposta sincera le sarebbe costata una reclusione ancor più restrittiva e duratura nella gabbia dei sospettati.
«Mi ... mi ha lasciato lui.»
Aomine non perse tempo e appuntò immediatamente l'informazione sul blocchetto; Momoi, dal canto suo, sentì di aver firmato la sua condanna a morte.
«Ti farò ancora qualche domanda e poi ti lascerò andare.»
«Dai-chan, come avete fatto a scoprire di Tetsu-kun?»
Aomine stava per rispondere e finì per imporsi il silenzio mordendosi la lingua: non era facile interrogare la sua migliore amica d'infanzia, ovviamente c'era molta più confidenza di quanta se ne potesse avere con un altro potenziale assassino sconosciuto e non si sentiva in grado di essere severo e irremovibile come al solito.
«Le domane le faccio io.» magari glielo avrebbe detto, ma solo dopo essersi assicurato che non fosse lei la colpevole, anche se indubbiamente le prove di cui disponevano erano più a suo sfavore che a suo favore. Comunque Momoi sarebbe venuta a saperlo ugualmente, magari alla televisione, o magari dalla stessa persona che quella mattina aveva trovato il corpo di Kuroko e aveva telefonato in centrale, visto che anche lui era uno dei sospettati.
Momoi capì e non insistette: era il suo lavoro, dopotutto, e lei doveva limitarsi a rispondere alle domande, a pregare che Aomine non le chiedesse qualcosa che richiedesse l'ennesima risposta compromettente.


«Come mai avevi le chiavi dell'appartamento di Tetsu?»
Finalmente Aomine sentì di poter mettere un po' della severità che aveva risparmiato a Momoi in quell'interrogatorio, deciso ad incastrare chi gli stava di fronte in quel momento - perché sì, ne era sicuro: quello era il colpevole -.
«Saranno affari miei, Aomine.»
Aomine rimase in silenzio per qualche attimo e poi scosse la testa con un ghigno divertito.
«Vuoi che ti sbatta subito in cella, Kagami?»
Kagami ricambiò lo sguardo torvo di Aomine, poi sfiatò appena e rivolse il proprio sguardo altrove, putandolo al pavimento.
«Beh, cinque anni di amicizia non sono pochi.» Kagami cominciò a torturarsi il lobo dell'orecchio con le dita e Aomine non seppe dire se si trattava di semplice imbarazzo o di uno sciocco tentativo di mantenere la calma ed evitare di scoppiare a piangere davanti a lui come aveva fatto Momoi.
«C'era confidenza, ecco.»
«Da quanto tempo avevi le sue chiavi?»
«Più o meno ... mhn, cinque mesi, direi.»
Sorprendentemente, interrogare Kagami si stava rivelando più facile del previsto.
«Andavo abbastanza spesso a casa sua e alla fine mi ha duplicato le chiavi.»
Aomine sollevò il proprio sguardo in un moto di sincero interesse.
«Non sei stato tu a chiedergliele?»
Kagami negò appena con il capo e Aomine aggrottò leggermente la fronte, scettico.
«Siete rimasti così tanto in buoni rapporti? Insomma, non avete mai litigato?» questa volta, Aomine non poteva negare di avere anche dell'interesse personale a porre quelle domande e ad ascoltarne le risposte.
«A volte ci sono state delle incomprensioni, ma che io ricordi non ci sono mai stati litigi seri, fra me e Kuroko.» Kagami deglutì e abbassò il capo, sfregandosi gli occhi con le mani.
«Ti viene in mente qualcuno con cui Tetsu potrebbe aver avuto dei problemi? Ti ha raccontato qualcosa di particolare, negli ultimi tempi?»
Kagami ci pensò su solo per qualche attimo, poi sospirò appena e riprese con un po' di fatica.
«No, qualche settimana fa mi aveva assicurato che avrebbe lasciato Momoi, ma per il resto non—»
Aomine lo bloccò con un rapido cenno della mano, aggrottando la fronte confuso.
«Assicurato?» Kagami aveva parlato come se Kuroko glielo avesse dovuto, come se avesse finalmente acconsentito alle sue pressioni per lasciare Momoi.
Kagami, che aveva sussultato appena e aveva assunto una posizione piuttosto rigida ed innaturale, guardò nuovamente a terra, boccheggiando qualcosa di insensato.
«Kagami, che tipo di rapporto c'era, fra te e Tetsu?» Aomine non avrebbe mai voluto giungere ad una situazione del genere, mettersi a fare domande per scoprire se Kagami e Kuroko erano più che amici come aveva spesso sospettato.
Anche Kagami, dal canto suo, non aveva affatto voglia di parlare di una cosa del genere.
«Avanti.» Aomine sembrò quasi ringhiare, inforcando la penna e preparandosi a scrivere.
Kagami rimase a fissare la superficie liscia del tavolino che, vuota e fredda, pareva segnare un confine fra lui e Aomine.
«I-io e Kuroko ... beh ...» Kagami avrebbe fatto fatica a dire una cosa del genere con Kuroko ancora in vita, figuriamoci ora che era morto, ora che era consapevole quanto significato avesse perso la sua stessa vita.
Sospirò rumorosamente e protese il capo all'indietro solo per qualche attimo, chiudendo gli occhi e cercando di fare mente locale.
«Sì, avevamo una relazione.» ma la vergogna che provò in quel momento, pronunciando quelle parole, non fu niente in confronto al dolore che aveva cominciato a corrodergli il petto, alle lacrime che gli stavano bruciando gli occhi e che con tanta fatica stava cercando di contenere.
Aomine cercò, seppur con fatica, di mantenere la sfera personale separata da quella lavorativa e cominciò a scrivere, schiarendosi appena la voce.
«E da quanto tempo?»
La confessione di Kagami poteva aggravare ancor di più la posizione di Momoi, pensandoci bene: poteva trattarsi di un comunissimo delitto dettato dalla gelosia, compiuto dopo aver scoperto il tradimento di Kuroko.
«Da sei mesi.»
Aomine annuì appena e risollevò lo sguardo verso di lui non appena ebbe finito di scrivere.
«Per questo ti ha dato le chiavi.»
«Sì, diceva di essere innamorato di me e che era intenzionato a lasciare Momoi, ma non voleva farlo in modo brusco.»
«Lei lo sapeva?»
«Non credo proprio.»
«E Tetsu ti ha per caso raccontato com'era la sua relazione con lei? Sai se negli ultimi tempi avevano litigato?»
Kagami negò appena con il capo.
«No, è difficile litigare con Kuroko.» solo in quel momento Kagami si rese conto che avrebbe dovuto parlare al passato e intrecciò le dita ai capelli, socchiudendo di nuovo gli occhi.
«Abbiamo finito?»
«Hai il porto d'armi?»
Kagami sussultò nuovamente e sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso da quella domanda.
«Cosa?! E perché dovrei avere il porto d'armi?»
«Negli Stati Uniti è facilissimo ottenerlo, e visto che fino a qualche anno fa vivevi lì—»
«Secondo te mi porto un'arma sull'aereo? Così mi scambiano per terrorista?» Kagami sbuffò innervosito «non ce l'ho, comunque.»
Aomine annuì appena e diede un'occhiata al foglio: aveva raccolto abbastanza informazioni, poteva anche lasciarlo andare.
«A parer mio dovresti essere tu il primo a cui fare un interrogatorio.»
Aomine inarcò appena un sopracciglio e rimase in silenzio, incitando l'altro a continuare con la sola forza dello sguardo.
«Visto che sei un poliziotto potresti anche abusare della tua posizione, e poi sono già due anni che ti occupi di omicidi, quindi avrai una buona esperienza nel campo, no?»
«Ti rendi conto delle cazzate che dici, vero?» Aomine schioccò la lingua infastidito.
«Devo ricordarti cosa ha trovato la pattuglia in casa tua?»
«Ancora quella storia?» Kagami sembrò soffiare e tornò sulle difensive «se avessi voluto scappare avrei comprato un biglietto di sola andata, e di certo non vi avrei telefonato per dirvi di Kuroko.»
Aomine rimase in silenzio, dovendo riconoscere che sì, effettivamente c'era un'incongruenza: perquisendo la casa di Kagami, gli agenti avevano trovato un biglietto aereo di andata e ritorno per Los Angeles, dal quattro febbraio - ovvero dal giorno dopo l'uccisione di Kuroko - all'undici, ma se Kagami avesse voluto scappare ne avrebbe comprato uno di sola andata e, soprattutto, non avrebbe telefonato in centrale per segnalare la morte di Kuroko.
«È una vendetta che hai covato negli anni, vero?» quando Aomine si alzò, pronto ad informare Kagami della fine dell'interrogatorio, questo ringhiò e strinse i denti, catturando la sua attenzione.
«In tutti questi anni, tu hai ...» Kagami strinse i pugni e gli rivolse uno sguardo torvo, iniettato di rabbia «hai progettato l'omicidio di Kuroko.»
Se non avesse avuto la divisa da poliziotto indosso e non si fossero trovati in centrale, Aomine lo avrebbe tempestato volentieri di pugni.
«Kuroko sospettava che lui ti piacesse, e anche io, ed è così, no? Sei sempre stato geloso del mio rapporto con Kuroko.»
«Questa storia appartiene al passato, coglione. E poi, se fossi stato così tanto geloso di Tetsu, avrei dovuto uccidere te, non lui.» Aomine aveva già spalancato la porta ed era tornato a fissarlo, in attesa che si alzasse ed uscisse.
«Togliti dai piedi, l'interrogatorio è finito.»


Aomine non poteva stare in pace neppure durante la pausa pranzo. Non che avesse voglia di mangiare dopo aver saputo della morte di Kuroko e dopo aver visto la scena con i propri occhi, ma più semplicemente avrebbe preferito chiudere gli occhi e riposare, riordinare le idee e riprendere a respirare, tuttavia pareva che qualcuno avesse deciso di rendergli la giornata ancor più spossante.
«Si può sapere come diavolo hai fatto a trovarmi?» chiese Aomine non appena lo vide prendere posto di fronte a lui, pur essendo consapevole dell'inutilità della domanda.
«Ho i miei metodi, Daiki.» Akashi rispose con estrema calma, leggermente divertito dall'ingenuità che Aomine, anche dopo tutti quegli anni, continuava ad ostentare: era davvero convinto di potergli scappare? Ad Akashi non sfuggiva mai nulla, soprattutto se si parlava degli ex membri della Generazione dei Miracoli.
Aomine brontolò sommessamente: l'interrogatorio di Akashi non era ancora avvenuto, ma in qualche modo sentiva che si sarebbe svolto in quel momento e che sarebbe stato il sospettato a fare le domande a lui.
Akashi otteneva sempre ciò che voleva, in qualsiasi modo aveva sempre il coltello dalla parte del manico e si metteva in salvo con l'ausilio di raffinati e in apparenza inesistenti raggiri mentali.
«Non avete scoperto ancora nulla di importante, vero?»
Aomine si trattenne dallo sbuffare: era fastidioso dover scucire qualche informazione in più proprio a lui che, in corrispondenza della morte di Tetsuya, si trovava a Tokyo per partecipare ad un torneo di shogi - una coincidenza alquanto significativa, secondo il parere di Daiki -
«Per ora ci stiamo concentrando su Satsuki e Kagami, che sono i principali indiziati, ma non c'è ancora nulla di definito. I risultati delle analisi e dell'autopsia arriveranno nei prossimi giorni.»
«Capisco.»
La notizia della morte di Kuroko aveva trapassato Akashi come avrebbe potuto fare un fantasma, sembrava quasi essergli entrata da un orecchio ed uscita dall'altro, perché era imperturbabile e deciso come sempre, voleva sviscerare la faccenda e capire come si erano svolti i fatti, ma evidentemente sapeva che per farlo doveva lasciare da parte i sentimenti.
«Voglio aiutarti, Daiki.»
«Sei un indiziato, Akashi, esattamente quanto me.»
Le labbra di Akashi si incresparono in un flebile sorriso divertito.
«Sappiamo entrambi che il colpevole non è fra noi.» fece una piccola pausa, poi si alzò con calma e rimase a fissare Aomine dall'alto in basso, quasi a volergli ricordare come ai vecchi tempi che doveva stare al suo posto, che non poteva contestarlo.
«Voglio vederci più chiaro in questa faccenda, voglio scoprire chi è l'assassino di Tetsuya.» non disse altro: quelle parole bastarono per far capire ad Aomine che non solo aveva il desiderio di scoprire l'identità dell'assassino, ma che prima o poi lo avrebbe fatto per davvero e che era solo questione di tempo.


Il cellulare venne gettato a terra e raggiunse il telefono e il portatile con un capitombolo rumoroso, le dita si strinsero al manico della tanica di benzina e la sollevarono, lasciando che il liquido giallognolo fuoriuscisse dal suo contenitore e bagnasse al punto giusto le prove che dovevano essere distrutte il più presto possibile.
Fece qualche passo indietro e adagiò la tanica vuota a terra, lasciando che la mano si insinuasse rapidamente nella tasca del cappotto e ne fuoriuscisse solamente quando le dita riuscirono ad arpionare la scatoletta di fiammiferi.
La capocchia del fiammifero stridette lungo il bordo ruvido della scatola e si accese una piccola fiamma, unica fonte di luce in quel garage abbandonato da tempo.
Esitò solo per qualche attimo, stringendo il bastoncino sottile fra le dita e osservando la fiamma tremolante, poi fece ancora qualche passo indietro e gettò il fiammifero in cima alla pila di oggetti, rimanendo ad ammirare compiaciuto la fiammata che, in un crepitio rumoroso, si sollevò immediatamente in alto e gli frustò il viso con un alito di calore che lo fece retrocedere ulteriormente.
Si voltò in silenzio e, quando fu abbastanza lontano dalla pila bruciante, gettò all'indietro la scatola di fiammiferi che, in un attimo, andò ad aggiungere corposità alla fiamma troppo grande e vorace, pronta a trasformarsi in incendio.
Quando lasciò il garage ed entrò in macchina era notte fonda; il biancore lattiginoso della luna, oltre un manto scuro di nuvole turgide di pioggia, si poteva appena intravedere.
Il cellulare stava vibrando nella sua tasca da almeno un paio di minuti, ma non aveva intenzione di rispondere né di controllare chi fosse: inspirò profondamente e mise in moto, premendo immediatamente sull'acceleratore.
L'auto sgusciò silenziosamente nella notte, parve quasi scomparire nel buio, mentre la luce del fuoco, alle sue spalle, si faceva sempre più intensa e calda.


Il nodo di congiunzione che li aveva tenuti uniti si era sciolto, distrutto in una piovosa giornata di febbraio: le anime che si erano ritrovate grazie a Kuroko sarebbero ricadute molto presto nella malattia, si sarebbero allontanate e non avrebbero più avuto occasione di riavvicinarsi.
Da quel giorno in avanti, la spaccatura che Kuroko era riuscito a riparare si sarebbe tramutata in una voragine nera che li avrebbe risucchiati tutti, li avrebbe consumati e distrutti, dal primo all'ultimo.



Angolo invisibile dell'autrice:

Adoro i gialli, l'unico problema è che non so scriverli perché non mi so immedesimare abbastanza nell'assassino.
Comunque sia sappiate che farò di tutto per depistarvi, cercherò di non rendervela facile. 
Le idee ci sono, per ora sono poche, ma ho già in mente come potrebbe essersi svolto il fatto, quindi non mi rimane altro da fare se non lasciare che i personaggi agiscano, indaghino e si diano addosso da soli, perché è proprio quello che faranno.
Ho ritenuto doveroso inserire il genere "dark" perché ovviamente dopo ciò che è successo i personaggi avranno un comportamento diverso. E poi non dobbiamo dimenticarci che c'è un assassino fra loro.
Beeene, per ora non dico niente, anzi cercherò di non dire niente neppure per quanto riguarda le prossime volte, non vi farò notare particolari importanti perché dovrete cercarveli da soli (non me ne vogliate!)
E se per caso (per culo, meglio) chi mi ha mandato i prompt ultimamente e non ha ancora ricevuto la mia risposta ha letto tutto ciò: prometto che presto mi metterò a lavoro, è che martedì ho l'esame e quindi ho passato gli ultimi giorni a studiare e ora sono nell'ansia più completa, quindi è probabile che mi dedicherò ai prompt martedì sera, quando mi sarò tolta il pensiero dell'esame e sarò più tranquilla ;u;
Spero che questo primo capitolo vi incuriosisca quel tanto da farvi venire voglia di seguire la storia, alla prossima!



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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



Capitolo II


Aomine brontolò nervosamente e si rigirò fra le coperte, dando la schiena al cellulare che improvvisamente aveva cominciato a vibrare contro la superficie del comodino, disturbando il suo sonno.
Il lato negativo del lavoro di poliziotto era che, bene o male, doveva essere sempre reperibile, per cui il cellulare non poteva assolutamente trovarsi in modalità silenziosa e quando dormiva era in vibrazione. Quella notte, ad esempio, aveva vibrato almeno cinque o sei volte, lui si era svegliato, aveva dato un'occhiata allo screensaver e poi, assicuratosi che non si trattasse della centrale, era tornato a dormire; in quel momento, nonostante avesse voltato le spalle al comodino, gli occhi di Aomine vennero feriti dalla luce fioca del sole che aveva cominciato ad insinuarsi tra le fessure delle tapparelle, così, capendo che non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, si sistemò sulla schiena con un rantolio nervoso e afferrò il cellulare con ben poca delicatezza.
«Ma che vuoi?» Daiki brontolò, con la voce ancora impastata dal sonno.
«Aominecchi!» l'altro sembrò quasi sorprendersi del fatto che avesse risposto: era sicuro che il suo sarebbe stato l'ennesimo tentativo a vuoto.
«Ma non eri in servizio, ieri sera? Perché non hai risposto alle chiamate?»
Aomine alzò gli occhi al cielo e sbuffò esasperato.
«Perché ero in servizio. E poi sono andato a dormire.» in verità avrebbe potuto rispondere benissimo alle chiamate di Kise anche quando era in servizio - come era già successo, dopotutto -, ma quella notte aveva deciso di non farlo: era scontato che Ryouta volesse parlare di Kuroko, e lui non ne aveva la minima intenzione, era già abbastanza averlo visto in quello stato, essere uno dei poliziotti con il compito di far luce sul delitto e, allo stesso tempo, uno dei sospettati per il quale la polizia o gli altri potenziali assassini avrebbero fatto di tutto pur di sbattere in galera.
«Comunque ...» Kise riprese un po' titubante «hai sentito dell'incendio di stanotte?»
«Incendio?» Aomine si mise a fatica a sedere, aiutandosi con una mano e reggendo il cellulare con l'altra.
«Sì, la zona in cui è scoppiato non è tanto distante da casa mia. Al telegiornale hanno detto che era di natura dolosa, anche perché è scoppiato in un garage completamente abbandonato.»
Aomine lo lasciò parlare e si mise in cerca del telecomando, tentando di scacciare via gli ultimi residui di sonno per mettere in moto il cervello.
«Dovevo essere già a dormire quando è successo.» fece una piccola pausa e non appena ebbe recuperato il telecomando e acceso la televisione riprese «o c'è un piromane in città, o qualcuno ha tentato di nascondere qualcosa.»
Il notiziario locale del mattino parlava proprio di quell'accadimento.
Un incendio di tipo doloso in un vecchio garage abbandonato, durante la notte; un avvenimento isolato in mesi e mesi di tranquillità, avvenuto poche ore dopo la morte di Kuroko: anche un bambino avrebbe capito che non era casuale, era logico pensare che i due avvenimenti fossero collegati.
«Devo andare.» Aomine tagliò corto: voleva chiudere la chiamata e ascoltare ciò che aveva da dire il notiziario, non Kise, che si era preso la briga di chiamarlo per dirgli dell'incendio.
«Stai attento.»
Quelle parole sortirono un immediato effetto confusionale su Aomine, che cercò di rispondere qualcosa ma si ritrovò semplicemente a sputare aria, con la fronte aggrottata in un cruccio.
Kise non aveva detto altro e aveva chiuso la chiamata, ma non in modo frettoloso: gli aveva dato l'impressione che fosse rimasto con l'orecchio incollato al cellulare in attesa di qualcosa, e che poi lo avesse scostato lentamente e avesse preso una grande boccata d'aria prima di troncare il contatto.
Aomine non diede peso alla chiamata interrotta senza un vero e proprio saluto - che in sostanza non era affatto "cosa da Kise" -, ma piuttosto volle concentrarsi sul notiziario e alzò il volume, venendo a scoprire che l'incendio si era generato poco dopo l'una di notte ed era stato spento poco dopo le due.
Avrebbe voluto recarsi immediatamente in centrale e poi raggiungere la zona incriminata con alcuni colleghi, ma quello era il suo giorno libero e non avrebbe potuto fare nulla per scoprire qualche particolare in più sull'incendio, visto che, a giudicare dalle immagini proposte dalla televisione, la zona era accessibile soltanto ai giornalisti, alle troupe televisive e ai vigili del fuoco.
Quando l'immagini dei vigili del fuoco passò per l'anticamera del cervello di Daiki, questo sussultò e si mise subito in piedi, con le dita strette attorno al cellulare, in cerca del contatto di Kagami. Era buffo pensare che fosse stato proprio Kuroko ad insistere perché salvasse nella propria rubrica anche il numero di Kagami; diceva sempre: "Per qualsiasi evenienza, dovesse succedere qualcosa.", e aveva ragione, maledettamente ragione, visto che Aomine si era appena immerso nella straziante attesa di una risposta dall'altra parte dell'apparecchio telefonico.
«Cosa vuoi?» la risposta non tardò ad arrivare.
Kagami aveva la voce arrochita, il respiro pesante: Aomine non sapeva dire se avesse pianto e se, più semplicemente, fosse stanco a causa di una lotta notturna contro le fiamme.
«Sei al garage abbandonato? Dove c'è stato l'incendio?»
«Sì, perché?»
Prima ancora di cominciare ad articolare una risposta a quella domanda, Daiki aggrottò la fronte confuso e vagamente infastidito.
«Un momento, come facevi a sapere che ero io?» perché sì, era ovvio che lo sapesse: non si rispondeva in quel modo al cellulare, con voce annoiata, soprattutto se non si conosceva il numero, ma a quanto pareva Kagami aveva il suo contatto salvato in rubrica.
«Kuroko mi ha costretto a salvarlo.» Kagami si morse il labbro, quasi a volersi punire per aver parlato ancora una volta in presente «credimi, non fa piacere neppure a me avere il tuo numero in rubrica, ma Kuroko insisteva, diceva che era meglio, per qualsiasi evenienza.»
Per qualsiasi evenienza.
Aomine si sentì gelare il sangue: Kuroko si era comportato nello stesso modo sia con lui che con Kagami e aveva voluto a tutti i costi che fossero entrambi in possesso del recapito dell'altro.
«Credo che le due cose siano collegate.» Aomine decise di non dare più peso al fatto di essere venuto a conoscenza solo in quel momento del fatto che Kagami avesse il suo contatto e si decise a rispondere alla sua domanda.
«La polizia è già lì? Hanno trovato qualcosa?»
«Sì, sono qui, ma io che diavolo ne so se hanno trovato qualcosa? E poi cosa dovrebbero aver trovato?»
Era ovvio che Kagami non avesse voglia di parlarne e la pensasse diversamente da Aomine - oppure stava semplicemente cercando di sviare il discorso? -
«Chiama uno dei tuoi colleghi e chiediglielo: io sono un vigile del fuoco, non un poliziotto.»
Aomine sbuffò spazientito.
«Fra mezz'ora sono lì.» rispose piccato, chiudendo la chiamata senza concedergli neppure il tempo di ribattere.


La faccenda si sarebbe svolta in un modo ben diverso, se Aomine non fosse stato un poliziotto: nonostante fosse scontata la presenza di un assassino fra loro, il clima della centrale non era poi così rigido e freddo come era apparso ai più durante i primi interrogatori, anzi in quel momento si trovavano tutti nella stessa stanza, in attesa di aggiornamenti.
Quando entrò nella stanza, Aomine studiò con lo sguardo i volti dei vari sospettati, poi guardò oltre le proprie spalle e sbuffò sommessamente non appena registrò la presenza di altri due agenti: dopotutto anche lui era un faceva parte della cerchia dei presunti assassini e, anche se come tale si trovava in fondo alla lista, il capo della centrale aveva ordinato ad altri due poliziotti di scortarlo.
«Ho un po' di cose da dirvi.» Aomine non sapeva neppure da dove cominciare, l'unica cosa di cui era consapevole era che avrebbe dovuto cercare di rendere il più comprensibile possibile ogni informazione, perché se fra loro c'era un assassino, gli altri rimanevano comunque amici di Kuroko e volevano conoscere ogni minimo dettaglio come lui, volevano giustizia come lui.
Nessuno fiatò, il loro tacito accordo incitò Daiki a procedere.
«Tetsu è morto il due febbraio, in un orario compreso fra le quattro e le cinque del pomeriggio.» fino a quel momento si trattava di un'informazione che aveva sentito pronunciare dai suoi colleghi e che non aveva mai avuto il coraggio di ripetere, così fu molto lento ad articolare le parole, cauto verso gli altri e se stesso: la maggior parte di loro non riusciva ancora a credere all'accaduto, elaborare una perdita così prematura e inaspettata risultava difficile anche ai più forti.
«Abbiamo esaminato il corpo e potrebbe trattarsi davvero di suicidio.»
L'unico a non tradire alcuna emozione fu Akashi, che rimase a fissare Aomine in silenzio, mentre gli altri sobbalzarono e si scambiarono sguardi increduli.
«Kuroko non aveva motivo di ...»
«Ho detto: "Potrebbe", Kagami.»
Gli occhi di tutti tornarono improvvisamente puntati su Daiki.
«Il segno lasciato dalla corda sul collo di Kuroko tendeva verso l'alto, proprio come nell'impiccagione, in più non sono state rilevate abrasioni né le piccole emorragie che di solito si manifestano sul volto in caso di soffocamento, o particolari sostanze all'interno del suo organismo.» Daiki si schiarì la voce e continuò «l'unica cosa che ci ha fatto impensierire è stata la quantità di solanina, ma è una sostanza tossica che si introduce nel corpo mangiando alimenti particolari come patate e pomodori e non era presente in dose letale.»
Aomine fece una piccola pausa: a dire il vero c'era anche qualcos'altro, qualcosa di cui aveva discusso con Midorima nel suo primo interrogatorio e che l'autopsia aveva confermato.
Kuroko aveva il segno di una puntura sul braccio sinistro ed era stato Midorima stesso, ancor prima che gliene parlasse lui, a dirgli che due giorni prima aveva incontrato la vittima nel suo studio per vaccinarla: la scientifica aveva indagato e non aveva reperito alcuna anomalia, ma prima di escludere definitivamente Shintarou dalla cerchia dei sospettati voleva ascoltare e verificare il suo alibi.
«Quindi cosa vi fa escludere l'idea dell'impiccagione?» Akashi proferì le prime parole in quel momento, perché nonostante fosse da circa un quarto d'ora chiuso in una stanza con gli altri non aveva ancora aperto bocca: era lì per i risultati, aspettava solo quelli.
«Non la escludiamo: la accantoniamo.» volle precisare Aomine, braccato dagli occhi curiosi di Akashi.
«Rimane la questione del cellulare, del telefono e del computer: è evidente che l'assassino abbia paura di essere trovato, probabilmente si teneva in contatto con Tetsu e ha voluto nascondere alcune prove. Oltre a voler nascondere gli sms, vuole nasconderci le e-mail, e questo ci fa pensare che Tetsu avesse salvato la propria password proprio nel computer, oppure l'ha semplicemente preso per depistarci: anche questa è un'ipotesi.»
«Non credo proprio che Kuroko avesse scritto la propria password da qualche parte: diceva sempre di ricordarsela.» borbottò Kagami.
«Lo diceva sempre anche a me.» e anche Momoi si unì al coro, spingendolo sull'orlo di un burrone colmo di disagio, nel quale precipitò non appena Aomine gli rivolse uno sguardo eloquente: presto Satsuki sarebbe dovuta venire a conoscenza della relazione che Taiga e Tetsuya avevano consumato alle sue spalle.
«In più c'è la faccenda delle chiavi.»
«Delle chiavi?»
«È stato Kagami a trovare il corpo, e ha specificato che la porta era chiusa.»
«Quindi Kurokocchi si è ...»
«No, questo è ciò che l'assassino ci vuole far credere, o è semplicemente uno stratagemma per confonderci e farci perdere tempo. Tetsu non si è suicidato, sono sparite delle cose in casa sua.» Aomine fece una piccola pausa ed inspirò appena «escludiamo l'idea che l'assassino avesse chiuso l'appartamento dall'interno e fosse ancora nascosto lì dentro, piuttosto riteniamo che qualcuno di voi sia in possesso di una copia delle chiavi di Tetsu, qualcuno di cui lui si fidava e con cui ha mantenuto il segreto delle chiavi.»
Daiki fece vagare il proprio sguardo finché non trovò quello di Kagami «a meno che, cosa ancora più semplice, non sia stato Kagami ad inscenare il tutto.»
«Anche Momoi aveva le chiavi dell'appartamento di Kuroko!» Kagami ringhiò e si mise sulle difensive: non gli piaceva, Aomine continuava a dargli addosso come se fosse stato sicuro al cento per cento che fosse lui l'assassino.
«Un attimo, perché Kagamin aveva le chiavi di Tetsu-kun?»
Kagami sobbalzò appena e rivolse una rapida occhiata a Momoi, sentendosi sprofondare nella vergogna.
«Di questo parliamo dopo.»
Poi, quando Daiki le rispose, Taiga tornò a rivolgergli uno sguardo per niente rassicurante: voleva raccontarle della sua relazione con Kuroko nonostante non avesse ricevuto il permesso? Kagami lo avrebbe strozzato volentieri e, in effetti, ci volle davvero poco perché il suo impulso non prendesse il controllo del suo corpo.
«Inoltre abbiamo analizzato l'appartamento e abbiamo trovato alcune tracce, soprattutto capelli.» fu proprio Aomine che, raccontando degli altri particolari, scosse Kagami da quello stato di rabbia silenziosa.
«Di tutti?»
«Di tutti, ad esclusione di Akashi.»
Akashi fu soddisfatto di sentirgli pronunciare quelle parole: era ovvio che non si trovassero sue tracce nell'appartamento di Kuroko, visto che, essendosi trasferito nella prefettura di Kyoto ancor prima che lo acquistasse, non vi aveva mai messo piede: il fatto che si trovasse nella capitale giapponese proprio durante la morte di Tetsuya era solo una coincidenza fortuita.
«Io però non andavo a trovare Kuro-chin da un bel po' di tempo ...» anche Murasakibara decise di parlare.
«Sì, anche io.» Midorima intervenne e azzardò un'ipotesi: «i capelli non potrebbero rimanere attaccati ai vestiti?»
«Sicuramente-! A me è capitato più volte di trovarmi addosso qualche vostro capello!» fu Momoi a rispondere per Aomine.
«Infatti stiamo agendo con molta cautela e avevamo già preso in considerazione questo particolare.» Daiki si voltò e si incamminò verso l'uscita «comunque sia, fra poco verrete interrogati di nuovo.»
Le orecchie di Aomine furono subito sfiorate da un vociare sommesso che si occupò di troncare alzando la voce.
«Kagami, tu sei il primo.»
Taiga si zittì immediatamente e si voltò verso Aomine, dedicandogli un'occhiata aggressiva e rabbiosa che Daiki, girato di spalle, non poté vedere.
Aomine era ancora sicuro del suo obbiettivo, determinato a strappare la maschera all'assassino di Kuroko: Kagami Taiga.


Dal momento in cui Kagami lasciò la stanza, Akashi cominciò a scrutare ogni volto, soffermandosi su qualsiasi particolare che potesse suscitargli quel tanto di curiosità da arrestare la sua rapida analisi anche per un solo secondo in più.
Si soffermò innanzitutto su chi, per un puro parere personale, reputava innocente: Momoi attendeva silenziosamente il proprio turno - come tutti gli altri, d'altronde -, aveva i capelli legati in una coda bassa e disordinata ed era evidente che non avesse avuto neppure il tempo di fare una doccia, oppure, più semplicemente, non ci era riuscita perché aveva riempito il suo tempo con le lacrime, visto che gli occhi erano troppo arrossati e quindi lasciavano presupporre un pianto prolungato o per lo meno recente.
Gli occhi di Akashi balzarono via da quel volto con disinteresse e si soffermarono su chi gli sedeva accanto: Midorima era imperturbabile e silenzioso come sempre, forse vagamente infastidito da quell'attesa e ovviamente messo sotto pressione dalla situazione: glielo leggeva sulle labbra, strette, contratte, tanto da rendere impossibile l'accesso alla sua bocca anche a del comunissimo pulviscolo.
Akashi guardò oltre Midorima e si soffermò su Kise, che gli rivolse un sorriso nervoso, forse colto alla sprovvista in un momento di meditazione. Sul viso di Ryouta sembrava non esserci alcun segno di pianto, e ciò lo sorprese; in più era molto nervoso: si capiva dalla postura rigida, dalla schiena leggermente inarcata, dalle gambe tese, pronte a farlo scattare in piedi.
Seijuurou inspirò e continuò a fissarlo per qualche istante, poi si voltò alla sua destra, negandosi di fatto sia la vista di Kise che quella di Midorima e Momoi.
«Atsushi.»
Murasakibara non rispose immediatamente, ma sobbalzò poco dopo, voltandosi verso di lui con sguardo trasognato: doveva essere talmente immerso nei suoi pensieri da aver recepito dopo quel richiamo o, più semplicemente, non era riuscito a lasciarli immediatamente da parte e aveva preferito dedicare ancora qualche secondo alle sue congetture, prima di rispondergli.
«Sì, Aka-chin?»
«Hai dormito, ultimamente?»
Murasakibara rimase imbambolato per qualche attimo, quasi come se non avesse capito la domanda; gli altri, intanto, si voltarono verso coloro che avevano osato rompere quel sacrosanto silenzio.
Avendolo vicino, ad Akashi era bastata una breve occhiata per rendersi conto dei pesanti segni che aveva sotto gli occhi, della stanchezza che aveva stampata in volto.
«Non molto.»
Murasakibara fece una piccola pausa, disturbato dallo sguardo di Midorima che, nonostante lo stesse fissando nello stesso identico modo di Akashi, lo urtava profondamente.
«Penso a Kuro-chin.» si giustificò poi, tornando a guardare davanti a sé con un piccolo sbuffo.
Akashi, dal canto suo, non volle esercitare pressione ulteriore e si voltò nuovamente verso Midorima; il loro rapido scambio di sguardi fu eloquente: a nessuno dei due piacevano le occhiaie di Atsushi, ad entrambi avevano fatto sospettare qualcosa.
«Come fate?»
Questa volta fu proprio Murasakibara ad andare all'attacco, attirando nuovamente su di sé gli sguardi di Midorima e Akashi.
«A fare cosa?» lo rimbeccò Shintarou.
«Ad essere così calmi.» Murasakibara borbottò, ritrovandosi nuovamente scocciato di avere lo sguardo di Midorima addosso.
«Io e Shintarou stiamo cercando risposte.» Akashi tagliò corto e tornò a rivolgere la propria attenzione alla porta chiusa, intrecciando le mani in grembo e siglando di fatto un nuovo silenzio che si protese per diversi minuti, finché non venne il suo turno.


«Dove ti trovavi il due febbraio fra le sedici e le diciassette?»
«In albergo. Mi trovo qui solo per il torneo di shogi che inizierà domani, ma ci è stato richiesto di venire a Tokyo una settimana prima.» Akashi fece una piccola pausa e riprese non appena vide Aomine aprir bocca per dire qualcosa «ero in camera, quindi non credo che qualcuno mi abbia visto, ma puoi chiamare l'albergo, dovrebbero poter confermare quanto ti ho detto.»
Akashi gli porse un biglietto cartonato contenente il logo, l'indirizzo, il numero telefonico e il fax dell'albergo.
«Non mi piace, sembra quasi che tu ti sia preparato il discorso.»
«Mentalmente ce lo siamo preparati tutti, Daiki. Poco prima sei stato tu stesso a dirci quando è morto Tetsuya, era ovvio che ci chiedessi dove ci trovassimo quel giorno e che cosa stessimo facendo in quell'arco di tempo.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, lasciandosi scappare un flebile sospiro per cercare di tenere a bada il nervoso: Akashi era sempre così calmo e preciso da mettergli paura, aveva sempre l'impressione che più domande gli faceva meno gli era chiara la faccenda e più Seijuurou riusciva a leggergli nella mente.
«Come mai Kagami aveva le chiavi di Tetsuya?»
Eccolo che cominciava a fare domande. Detestava i sospettati che facevano domande durante l'interrogatorio e cercavano di invertire i ruoli.
«Questo non posso dirtelo.»
«Daiki, quante volte devo ripetertelo che il colpevole non è fra noi due?»
Akashi ci teneva a precisare di essere innocente ogni volta e, in effetti, considerando che era l'unico di cui non erano state trovate tracce nell'appartamento di Kuroko, poteva benissimo essere così, ma ad Aomine non piaceva ugualmente.
«Riguarda Satsuki, non te.»
Akashi rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi accennò un piccolo sorriso soddisfatto
«Ho capito.»
Aomine arricciò il naso e non riuscì a trattenere l'ennesimo sospiro spazientito: cosa aveva capito, Akashi? Che Kuroko tradiva Momoi con Kagami? Certo, Tetsuya e Taiga erano molto vicini, ma Kuroko non si poteva dire quel tipo di persona, nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo come un "adultero", probabilmente neppure Akashi che era molto più sveglio di tutti loro messi insieme.
«Avete preso in considerazione l'incendio della scorsa notte?»
«Certo.» avrebbe preferito rispondergli con qualcosa di più simile a: "Fatti gli affari tuoi, che non siamo stupidi e sappiamo fare il nostro lavoro.", ma riuscì a trattenersi: Daiki non era il tipo di persona pronta a farsi comandare a bacchetta e a farsi mettere i piedi in testa da chiunque, ma nonostante tutto aveva un grande rispetto per Akashi e non sottovalutava mai la sensazione di soggezione che gli metteva in corpo ogni volta che lo guardava negli occhi o gli parlava.
Akashi si alzò senza permesso e Daiki, dal canto suo, non fiatò finché non fu interpellato: alla fine i ruoli si erano invertiti davvero.
«Abbiamo finito, vero?»
«Sì.»
«Chiama l'albergo, Daiki.»
Le ultime parole di Akashi risuonarono come un monito, una raccomandazione costrittiva e vincolante.


«Siete sicuri?»
«Di cosa?»
«Che sia stato ucciso da qualcuno.»
«Sì.»
C'era qualcuno di peggiore da interrogare, dopo Akashi, e questo perché il tutto assumeva una piega troppo confidenziale e si trasformava in una normalissima conversazione fra amici.
«Quindi qualcuno oltre Kagamicchi e Momoicchi-chan ha le chiavi ...» Kise borbottò sovrappensiero, con gli occhi fissi sulle mani di Aomine che si apprestavano a sistemare una piccola pila di fogli.
«Personalmente non credo.»
Kise protese leggermente il viso e gli rivolse un'occhiata piena di interesse.
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che ...» Aomine esitò: ma perché ne stava parlando con Kise? Aveva continuato a respingere Akashi e poi si era gettato immediatamente a capofitto nella conversazione con Ryouta.
«Beh, credo che il colpevole sia fra loro due.» e sapeva che Kise avrebbe cominciato a tartassarlo di domande, avrebbe detto che Momoi e Kagami volevano troppo bene a Kuroko per fargli del male e tante cazzate del genere, ma forse aveva espresso il suo pensiero proprio perché voleva che gli venissero fatte quelle domande, voleva sfogare almeno in minima parte il dolore che stava racchiudendo e che si stava ostinatamente rifiutando di lasciar uscire.
«E immagino che con: "Fra loro due", tu intenda Kagamicchi.» Kise assottigliò leggermente lo sguardo, ma Aomine non riuscì a capire se si trovasse d'accordo o meno.
«Già.»
Kise gli diede la risposta non appena gonfiò le guance e sbuffò rumorosamente.
«Aominecchi, sei sempre il solito! Kagamicchi e Kurokocchi sono amici dalle superiori!»
Aomine inarcò appena il sopracciglio, ritrovandosi a pensare quanto fosse buffo che solo lui, almeno fino a quel momento, fosse a conoscenza della relazione fra Kagami e Kuroko, ma Kise sembrò non farci caso e continuò.
«Insomma, come puoi dire ch–»
«Se ragioni così, ti ricordo che noi siamo amici di Tetsu dalle medie.» fu proprio Aomine ad interromperlo: si era già stufato di sentirlo parlare e, prima che iniziasse ad intavolare cazzate irrimediabili e scatenasse le sue ire, preferì fermarlo.
«Senti, vediamo di sbrigarci.»
Kise non disse nulla e si strinse nelle spalle, con le labbra strette in una piccola smorfia, quasi si fosse offeso per essere stato zittito tanto bruscamente.
«Dove ti trovavi il due febbraio, fra le sedici e le diciassette?»
Il solo pensare che avrebbe dovuto fare quella domanda ancora tre volte, quella mattina, gli mise la nausea.
«Se vuoi l'alibi, non ce l'ho.»
Kise sembrò ancor più offeso e rimase a fissarlo con quella smorfia, le braccia conserte, il busto rigido contro lo schienale della sedia.
«Come non ce l'hai?»
«Non ce l'ho.»
«Dai Kise, non fare il coglione.»
«Non credo che le pareti di casa mia possano testimoniare in mio favore, Aominecchi.»
Aomine sospirò e si sistemò un po' meglio sulla sedia, preparandosi a scrivere.
«Quindi eri a casa?»
«Sì, avevo il pomeriggio libero.»
«Ed eri da solo?»
«Sì.»
«Sei stato in casa tutto il giorno? Nel senso, magari hai fatto qualcosa prima, o dopo ...»
«Sono stato allo studio fotografico dalle nove alle undici e poi sono tornato a casa. Sono uscito, ma alle otto di sera.»
Aomine appuntò tutto e arricciò il naso: sicuramente quella era una testimonianza da non sottovalutare, non avere un alibi in un caso come quello era grave, un punto a sfavore per Kise.
«Ricordi se ti sono arrivate delle telefonate sul fisso?»
«No, ormai uso solo il cellulare, il telefono fisso lo tengo per le chiamate dei miei genitori.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi lo congedò senza neppure staccare gli occhi dal foglio.
Kise, dal canto suo, si comportò in modo completamente inverso ad Akashi.
«È grave, vero?»
Era rimasto seduto e aveva borbottato con un fremito nella voce.
Aomine sollevò lo sguardo dalle parole di inchiostro appena tracciate sulla carta e lo guardò negli occhi per qualche istante.
«Di certo ... lo terranno in considerazione.»
Era piuttosto frustrante che le situazioni di Kise e di Momoi fossero così compromesse mentre l'alibi di Kagami, che il due febbraio aveva coperto il turno dalle quattordici alle diciotto, fosse già stato confermato.
Kise annuì appena, rassegnato all'idea.
«Puoi andare.»
Aomine lo seguì con lo sguardo e non disse altro, al contrario di Kise che, fermatosi sulla porta, tornò a parlare.

«Sta attento, Aominecchi.»

Aomine si sentì esplodere il cuore nel petto: perché continuava a dirgli di stare attento? Kise sapeva qualcosa? Kise era in qualche modo coinvolto e voleva soltanto metterlo in guardia?
Aomine fu incapace di parlare, perché in quel momento gli fu evidente il fatto che non volesse assolutamente sapere di un eventuale coinvolgimento di Kise in quella brutta storia: se era Ryouta l'assassino, o semplicemente un complice, Daiki si sarebbe spezzato e non sarebbe mai più tornato in piedi.





Angolo invisibile dell'autrice:

Saaaaalve!
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Fra sami e altre fanfiction sono un po' lenta e, oltretutto, cerco di stare molto attenta alla storia, perché la modalità con cui si è svolto l'omicidio è abbastanza complicata e devo tener conto di molte cose ... insomma, impazzirò!
Comunque non credo che questa fanfiction durerà molto, ho l'impressione che altrimenti finirei per scavarmi la fossa da sola, facendovi capire chi è l'assassino! D:
Ok, come potete notare Akashi si diverte a giocare alla bella investigatrice (?) e a rompere le scatole ad Aomine (penso che inserirò l'AoAka negli accenni, come avvertimento, perché ci saranno molte scene con questi due), Kise è ultra apprensivo (e sì, confermo: ci sarà dell'AoKise *3*) e Daiki ce l'ha a morte con Kagami.
Non credo che questo capitolo sia molto interessante, ma se l'ho scritto così significa che era necessario ;u;'' (?)
Ah, un piccolo appunto su Akashi: sono rimasta indietro col manga, diciamo ... capitolo 264, mi pare, e lo riprenderò non appena avrò finito gli esami (fra tre giorni, sì =w=), ma da quanto mi pare di capire Seijuurou non è più così inquietante ... ebbene, qui sto cercando una via di mezzo, inquietante perché è funzionale al tipo di storia, ma non così ossessionato dalla vittoria (anche se si impegnerà nella sua investigazione) come lo abbiamo conosciuto.
Vi ricordo che Akashi potrebbe darsi così tanto da fare perché, semplicemente, è lui l'assassino e cerca di nascondere le sue tracce. O forse è Murasakibara, che non ha dormito. O Midorima. O Kise. O Kagami come dice Aomine ... oppure lo stesso Aomine? Magari Momoi, che avrebbe molte più motivazioni degli altri!
Non si fosse capito, io, malefica autrice che non sono altro, cerco di mettervi i bastoni fra le ruote anche nell'angolo invisibile dell'autrice ... potrei darvi qualche dritta, o buttarvi completamente fuori strada (non è necessario dirvelo, ormai lo sapete che sono sadica, ma ... sì, mi sto divertendo~)
Per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po', spero di fare un buon lavoro e rendere la storia abbastanza intrigante.
Scusate se n ho risposto alle recensioni, ho finito per dimenticarmele ... però vi ringrazio, non pensavo che avrei ricevuto così tanta attenzione! Prometto che risponderò alle prossime recensioni! ;*;
Chu!

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III


Il viso di Momoi sprofondò al centro del cuscino e le labbra si schiusero, lasciando che un singulto flebile, soffocato dal tessuto della federa, riecheggiasse all'interno della stanza.
Ancora non riusciva a credere che Kuroko l'avesse presa in giro per tutto il tempo in cui erano stati insieme, non riusciva ad accettare l'idea che l'avesse tradita e avesse continuato a condurre una doppia vita, dividendosi fra lei e Kagami.
Oltretutto, il fatto che Kuroko l'avesse tradita con Kagami peggiorava ancora di più la situazione: era una motivazione che avrebbe potuto spingerla a commettere quell'assassinio e si andava inevitabilmente aggiungendo a tutte le altre questioni a suo sfavore.
Momoi si sentiva in trappola, soffocata da una situazione nei confronti della quale era impotente, ma soprattutto delusa da Kuroko e perseguitata da un fastidioso senso di colpa: da quando Aomine le aveva detto della relazione fra il suo ex fidanzato e Kagami, il dolore che da giorni la attanagliava, a causa della morte del primo, si era visibilmente ridotto, lasciando il posto ad una rabbia contenuta ma comunque vigorosa e inarrestabile.
Dove aveva sbagliato? Kuroko l'aveva mai amata per davvero o si era trattata di una recita crudele? Nonostante fosse scossa e, fra un singhiozzo e l'altro, riuscisse a trovare appena il tempo e la forza per respirare, Momoi pensò che quel comportamento risultava davvero strano se accostato all'immagine di Kuroko: non le era mai sembrato il tipo di persona dedita al tradimento, aveva sani principi, era leale, gentile.
Quando la federa bagnata di lacrime le diede la fastidiosa sensazione di essere incollata al suo viso, si sistemò sulla schiena e rivolse gli occhi al soffitto bianco, inspirando profondamente nella speranza di placare il pianto: e se Kuroko avesse avuto una relazione con Kagami non per sua volontà, ma per cause di forza maggiore di cui non si conosceva ancora l'entità? Forse era un modo per illudersi, per non fare la figura della ragazzina ingenua, ma ormai lo aveva capito: avrebbe dovuto cercare di indirizzare l'attenzione degli altri su Kagami, che assieme a lei era il principale sospettato, di modo che la polizia potesse allentare la pressione nei suoi confronti.
L'alibi di Kagami era stato confermato, esattamente come il suo, e Kuroko aveva una relazione con entrambi, per cui si trovavano bene o male nella stessa posizione - ovvero molto svantaggiati rispetto a tutti gli altri -, per cui aveva cominciato a pensare seriamente di affossare l'altro, di metterlo in cattiva luce, pur di scrollarsi di dosso tutte quelle indagini e uscire dal turbine di domande e lacrime che la stava tenendo incatenata ad una vita scura, desolata e sconfortante.


Nonostante la porta fosse aperta già da qualche istante, Akashi se ne stava fermo sulla soglia e non sembrava avere intenzione di accennare neppure un passo verso di lui.
«Come stai?» forse stufo di quel silenzio e di quell'immobilità, Midorima decise di intervenire e di porgli quella semplice domanda nella speranza di scuoterlo un po' e poter ascoltare la sua voce. Effettivamente, Akashi si strinse rapidamente nelle spalle e varcò la soglia, rispondendogli non appena richiuse la porta.
«Come pensi che stia?»
Midorima incrinò appena le labbra e gli rivolse un'espressione crucciata, sfiatando sommessamente dalle narici: Akashi doveva essere stanco, sicuramente aveva passato il pomeriggio ad allenarsi per l'imminente torneo di shogi e le notti a pensare a mille teorie e congetture.
«Hai qualche idea particolare?» fu Midorima a parlare, mentre gli faceva strada verso la cucina: era da tanto che non si vedevano, ma non avevano perso la vecchia abitudine per la quale l'ospitante preparava sempre il tè all'ospitato.
«Attualmente sto tenendo sotto controllo Kise, visto che non ha un alibi.» Akashi rispose con la solita calma imperturbabile e scostò una delle sedie per prendere posto al tavolo, osservando Midorima che armeggiava con la grossa teiera metallica.
«Kise?»
«La cosa non ti convince, Shintarou?»
Midorima accese il fuoco e rimase in silenzio per qualche istante.
«Beh, è vero che non ha alibi, ma credo che anche Murasakibara ne sia sprovvisto. E poi sembra così disinteressato ...»
«Quindi sospetti di Atsushi?» Akashi si sforzò di pensare all'eventualità che fosse stato Murasakibara ad uccidere Kuroko, ma fu immediatamente scettico nei confronti di quell'idea.
«Sì.»
«Però dobbiamo tenere a mente che l'assassino potrebbe aver messo in scena una farsa, per quanto ne posso sapere potresti essere anche tu, che cerchi di farmi notare il disinteresse di Atsushi nei confronti dell'assasinio di Tetsuya.»
Midorima avrebbe potuto fargli notare la stessa cosa, ovvero che anche lui, - che cercava di focalizzare l'attenzione sull'alibi mancante di Kise o sul fatto che lui gli facesse notare il disinteresse di Murasakibara, accusandolo -, poteva essere il colpevole, ma indugiò e Akashi lo precedette.
«Oppure potrebbe essere davvero Murasakibara, anche se per ora rimango dell'idea di Kise.»
Midorima rimase a fissarlo per qualche istante, in sacrosanto silenzio: era strano vedere Akashi confuso, sapere che non riusciva a sciogliere quella matassa di fili e a giungere alla soluzione del problema.
«Hai mai pensato ...» quindi Midorima, che era stato temporaneamente interrotto dal fischio della teiera, decise di illustrargli un'altra teoria «che potrebbe trattarsi di una persona esterna?»
Akashi rimase in silenzio e Midorima, dal canto suo, spense il fuoco e si occupò di versare l'acqua bollente nelle tazze, per poi mettere in infusione le bustine di tè.
«Quando abbiamo parlato delle chiavi ho pensato che potesse trattarsi di un conoscente di Kuroko non necessariamente collegato a noi, oppure ad una specie di corriere.»
«Quindi pensi che l'assassino non sia uno di noi o che abbia utilizzato un'altra persona per ottenere un doppione delle chiavi di Tetsuya?»
«Già, o che abbia addirittura un complice, magari.»
Akashi non si sentì di escludere quelle ipotesi: in particolare trovò molto interessante l'idea del "corriere" o del fatto che l'assassino potesse avere un complice e quindi non agire da solo.
«Che sia una persona interna al nostro gruppo o meno, sicuramente si tratta di qualcuno di cui Tetsuya si fidava.»
«Infatti.»
«Shintarou, cosa pensi di Momoi-san e di Kagami?» Akashi socchiuse gli occhie e avvicinò il viso alla tazza, lasciando che le volute di fumo tiepido gli carezzassero il viso.
«Non credo sia stato uno di loro.»
«Già, neppure io.» fu sollevato di scoprire che, almeno in parte, Midorima la pensava come lui, così si concesse un momento per chiudere gli occhi e sorseggiare il tè caldo, nella speranza di trarre un po' di beneficio da quell'infuso.
«Shintarou, hai delle foto del Teikou?»
Midorima aggrottò la fronte e abbandonò l'idea di sorseggiare il suo tè.
«Sì, perché?»
«Ci serve una foto con tutti noi, e dobbiamo procurarcene una di Kagami.» Akashi si interruppe per sorseggiare una seconda volta il tè, poi riprese «stavo pensando di andare a chiedere ai ferramenta dei dintorni.»
«Non credi che potrebbe averci già pensato la polizia?»
«Forse, ma non ho molta fiducia nel loro operato. E poi pare che Daiki non voglia collaborare.» Akashi si alzò con calma e incatenò i propri occhi a quelli dell'altro.
«Allora, mi aiuti o no?»
Midorima rimase in silenzio per qualche istante, poi sospirò arrendevole: aveva scelta? Certo che no.
«Prendo le foto e andiamo.»


Dopo aver girato a vuoto i piccoli quartieri periferici confinanti a quello dove viveva Kuroko, e aver ricevuto risposte negative da ogni ferramenta, Midorima pensò di gettare la spugna: anche se Akashi era scettico, probabilmente la polizia se n'era già occupata per davvero e non avevano detto nulla semplicemente perché non c'era niente da dire, non avevano ottenuto nessun risultato e nessuna informazione valida.
«Credo proprio che me ne tornerò a casa.» ovviamente non osò neppure estendere quelle parole ad Akashi: era ovvio che Seijuurou volesse continuare la ricerca e che non avesse alcuna intenzione di arrendersi, come sempre, del resto.
«Proviamo qui.» Akashi, però, non sembrava intenzionato a lasciarlo andare e gli indicò l'ennesimo ferramenta, all'angolo di un vicolo distante di qualche isolato dalla casa di Kuroko.
Midorima non protestò e seguì Akashi, che improvvisamente aveva accelerato il passo, ma decise che, almeno per lui, quel ferramenta sarebbe stato l'ultimo e che poi se ne sarebbe ritornato a casa.
«Buongiorno.» Akashi si avvicinò immediatamente al bancone e sistemò le foto dei sospettati sotto il naso del ferramenta.
«Ci scusi per il disturbo, ma vorremmo chiederle se recentemente uno di loro è venuto per doppiare una chiave.»
Il ferramenta scorse tutte le foto con una rapida occhiata e poi sollevò il proprio sguardo in direzione di Akashi e Midorima.
«Mi dispiace, ma sono stato malato e sono rientrato solo ieri; è meglio se chiedete a mio figlio.» l'uomo si scostò dal bancone e sollevò la mano in alto, quasi a voler catturare l'attenzione del figlio che molto probabilmente si trovava nella stanza adiacente.
«Yachi? Yachi, vieni qui!»
«Che c'è? È successo qualcosa?» il figlio si fece subito avanti, rivolgendo prima una rapida occhiata al padre e poi una curiosa ad Akashi e Midorima.
Il padre gli fece cenno di raggiungerli e si scostò, in modo che potesse guardare quelle foto da vicino.
«Ti ricordi per caso se uno di questi ragazzi è venuto recentemente per doppiare una chiave?»
Sia Midorima che Akashi rivolsero la propria attenzione al ragazzo, che aggrottò la fronte in un cruccio confuso, forse immerso nel tentativo di ricordare, e subito dopo, senza troppi indugi, puntò il dito su uno dei volti.
«Sì, mi ricordo di lui. È venuto due settimane fa.»
Akashi fu scosso da un fremito che normalmente sarebbe stato dettato dalla soddisfazione, ma che in quel momento fu più che altro il frutto di una cocente delusione e di una notevole incredulità.
Non disse nulla e restò a fissare quel volto per qualche istante, poi sollevò il proprio sguardo verso Midorima: entrambi facevano fatica a crederci.


Kagami e Momoi erano i principali sospettati, ma il loro alibi, come quello di Midorima, erano i colleghi di lavoro e le loro testimonianze, per cui si potevano considerare tutti e tre in una botte di ferro; per quanto riguardava Akashi, seppur con lentezza, l'albergo aveva confermato che il due febbraio, fra le sedici e le diciassette, si trovava in camera sua; Kise, invece, diceva di essere stato in casa per tutto il pomeriggio e di essere uscito solo la sera, per cui non c'era una sola nota positiva nei suoi confronti, e Murasakibara ... Murasakibara gli faceva perdere la testa: non si sapeva ancora nulla sul suo conto, e questo perché ogni volta che si ritrovavano faccia a faccia cominciava a lagnarsi per i morsi della fame e ignorava le sue domande.
Kuroko era stato trovato morto con una corda al collo, ma non era stato strozzato da nessuno ed era improbabile che si fosse impiccato di sua spontanea volontà; qualcuno aveva il doppione delle sue chiavi e restava da capire se fosse uno fra Momoi e Kagami oppure ce ne fosse un terzo.
La situazione era confusa e più complicata del previsto, si sentiva appesantito da tutto quel lavoro, stanco di pensare e ripensare senza mai trovare una via d'uscita: voleva tornare a casa e andare a dormire, sentiva di averne assoluto bisogno.
«Daiki?»
Quando la voce di Akashi proruppe proprio all'interno della piccola stanza degli interrogatori, dove Aomine pareva aver messo radici, questo alzò gli occhi al cielo e lasciò scivolare il busto lungo lo schienale della sedia, sospirando spazientito.
«Ah, avevo detto ai ragazzi di non lasciarti entrare.»
«Non è molto gentile da parte tua.» Akashi si avvicinò alla sedia opposta alla sua, ma rimase in piedi e vi si appoggiò semplicemente «come non è gentile nasconderci il fatto che tu abbia doppiato una chiave in uno dei ferramenta vicini alla casa di Tetsuya.»
Aomine non ebbe neppure il tempo di capire che era giunta l'ora dell'interrogatorio anche per lui, e quindi di insultarlo mentalmente, che i suoi pensieri furono congelati dalle parole improvvise e inaspettate di Akashi.
«Cosa?» Aomine sfiatò flebilmente, sollevando lo sguardo per incontrare quello dell'altro.
«Lo sai benissimo.» Akashi incrociò le braccia al petto ed inspirò spazientito «allora? Quale chiave hai doppiato?»
Daiki rimase in silenzio e continuò a tenere i propri occhi puntati su Akashi, sbalordito da quella domanda: con quale pretesa si era messo ad indagare? Con quale pretesa era tornato a interrogarlo? Era evidente che stesse sospettando di lui, ma era ancor più fastidioso il fatto che dopo aver insistito per prendere parte alle ricerche al suo fianco aveva deciso di agire da solo e aveva cominciato ad indagare anche sul suo conto.
Perché al posto di diventare professionista di shogi non aveva scelto di intraprendere la carriera di poliziotto? Aomine avrebbe voluto chiederglielo sedutastante, ma era talmente scosso da non riuscire a fiatare.
«Dopotutto tu meglio di chiunque altro puoi occultare le prove, visto che ti occupi del caso da vicino.»
«Anche tu te ne occupi da vicino.» sfiatò poi «troppo vicino.»
«Daiki, vorrei che mi dicessi quale chiave hai doppiato.» risoluto come al solito, Akashi gli ripeté ciò che voleva sapere e non mosse un muscolo: era determinato a sapere e non si sarebbe arreso finché Aomine non avesse parlato.
«Se sei innocente non hai ragione di preoccuparti.»
«Come fai a sapere della chiave?»
«Cominci ad agitarti, Daiki?»
«Non te lo posso dire.» Aomine si alzò velocemente in piedi e camminò a destra e a sinistra, stuzzicandosi la narice del naso con le dita. Akashi, dal canto suo, rimase in silenzio per qualche attimo e seguì i suoi movimenti con gli occhi.
«Perché no?»
«Perché no.» Aomine sbottò, poi fermò i suoi passi irrequieti, probabilmente dopo essersi reso conto che non era consigliabile alzare il tono di voce con Akashi.
«Insomma, è una cosa privata ...» Aomine borbottò e lasciò vagare il proprio sguardo lontano.
«Voglio solo vedere la chiave, di qualunque cosa si tratti, hai la mia parola che niente uscirà da questa stanza.»
Aomine sembrò ritrovare un po' di calma e lucidità e tornò a guardare Akashi; dopo qualche istante di esitazione, infine, sospirò sonoramente e lasciò agli occhi la libertà di vagare, evidentemente imbarazzato.
«L'ho doppiata due settimane fa.»
Akashi drizzò le orecchie: le due settimane corrispondevano a quanto aveva detto il figlio del ferramenta.
Aomine lo invitò ad uscire dalla stanza degli interrogatori e Akashi lo seguì senza fiatare, fino agli armadietti.
«È questa qui.»
Akashi afferrò la grande chiave metallica e se la rigirò fra le mani per analizzarla.
«Non è dell'appartamento di Tetsu, ma di quello di ... di Kise.»
L'ultimo nome pronunciato da Aomine fu ridotto ad un sussurro, ma non sfuggì ad Akashi che, sapendo dell'imminente arrivo degli altri, fece dietrofront e si diresse velocemente nella piccola saletta dove attendevano il turno del loro interrogatorio e che ormai conosceva a memoria.
«A-Akashi, dove vai?»
«Vieni con me, andiamo a verificare.»
Aomine non se lo fece ripetere due volte e si affiancò immediatamente a lui.
«Avevi detto che la cosa sarebbe rimasta fra noi!»
«Ho bisogno di una prova ulteriore.»
Aomine trattenne un insulto: avrebbe voluto strozzarlo, e quella non era la prima volta che gli passava per la testa un'idea simile: forse, un giorno, anche lui sarebbe diventato un assassino, e avrebbe scelto di uccidere non per gelosia, vendetta, soldi, sadismo o rabbia, ma per esasperazione.
Quando Akashi varcò la soglia di quella che ormai chiamavano tutti "sala d'attesa", fu soddisfatto di trovarvi proprio Kise, oltre che Midorima e Murasakiabara.
«Ryouta?»
Kise sollevò immediatamente il capo e si mise sull'attenti.
«Sì, Akashicchi?»
«Cos'è?» Akashi gli sventolò la coppia della chiave sotto al naso e Kise la fissò con aria trasognata, per poi rivolgere una rapida occhiata ad Aomine, alle sue spalle, e infine soffermandosi su di lui.
«È la chiave del mio appartamento: Aominecchi l'ha doppiata circa due settimane fa.»
Akashi rimase in silenzio per qualche attimo, cercando di cogliere in Ryouta anche il più piccolo gesto che potesse comunicargli che stava dicendo il falso.
«Potresti farmi vedere l'originale?»
Kise rimase in silenzio e frugò per qualche istante nelle tasche, finché non estrasse un mazzo di chiavi tintinnanti e gli mostrò quella del suo appartamento, che Akashi poté confrontare con quella che gli aveva dato Aomine.
Sia la tempistica assegnata dal figlio del ferramento sia quella di Aomine e Kise corrispondevano, e le chiavi erano identiche, per cui Akashi le restituì ai rispettivi proprietari.
«Visto?» Aomine gli strappò la chiave di mano «l'interrogatorio lo inizio da te, oggi.»
«Come vuoi.»
Sia Aomine che Akashi, dunque, tornarono indietro e restarono in silenzio almeno fino a metà del tragitto.
«E così, tu e Ryouta vi frequentate.»
«Cos-? E-ehi! Ti ho detto che sono cose private, queste–»


Subito dopo Akashi, Aomine decise di interrogare Murasakibara, e quando questo si sollevò dalla propria sedia per raggiungere la cella dell'interrogatorio, a Kise non sfuggì lo scambio di sguardi non esattamente docile ed idilliaco che ebbe con Midorima.
«Murasakibaracchi non ti convince?» fu questo che gli chiese non appena rimasero soli.
«No.» Midorima inforcò gli occhiali ed inspirò appena e Kise rimase a fissarlo solo per qualche attimo, per poi sospirare sconsolato.
«Neanche a me.»


«Aomine, posso chiederti una cosa?»
Aomine ebbe seriamente paura che anche Midorima avesse intenzione di chiedergli qualcosa su di lui e Kise o semplicemente stuzzicarlo.
«Che vuoi?» brontolò, battendo nervosamente l'estremità della penna sul taccuino.
«Volevo solo sapere se Murasakibara parla durante gli interrogatori.»
Aomine fu sorpreso da quella domanda e indugiò prima di rispondere, poi finì per sbuffare e si lasciò scivolare lungo lo schienale.
«Oh merda, Akashi ti ha coinvolto nelle sue indagini?»
«Diciamo di sì, anche se i nostri sospetti sono diversi.»
«E il tuo è Murasakibara.»
«Già.»
«Beh, effettivamente quell'idiota non fa altro che dire che ha fame e chiedere di uscire.» solo a pensarci gli veniva il nervoso: gli interrogatori di Murasakibara erano estenuanti, forse anche più di quelli con Akashi.
«E l'alibi?»
«L'alibi? Non ha mai detto nulla, non si sa se ce l'ha o no.»
Midorima rimase in silenzio per qualche attimo e congiunse le mani sotto al mento.
«Allora insistete, perché non sono il solo a sospettare di lui.»
Nonostante fosse rimasto in silenzio, Aomine pensò che Midorima avesse ragione: dopotutto i due di cui si sapeva meno erano proprio Murasakibara e Kise, quindi era ovvio che avrebbe cercato in tutti i modi di far parlare Atsushi, tutto a costo di proteggere Ryouta.



Angolo invisibile dell'autrice:

Questa storia mi ha illuso, e non poco.
A giudicare da tutte le recensioni che aveva ricevuto il primo capitolo pensavo avrebbe continuato ad incontrare il favore dei lettori (?), ma a quanto pare il secondo capitolo non è stato così avvincente (è che non posso uccidere un personaggio ad ogni capitolo, anche perché non è mica un horror). Comunque ringrazio sia chi ha voluto lasciarmi una recensione, sia chi si è limitato a leggere.
Sto cercando di inserire più intrecci possibili per rendere il tutto più interessante e vi do un consiglio per le vostre indagini: non considerate il fatto che io mi concentri più su un personaggio piuttosto che su un altro, semplicemente perché questi sono i primi capitoli: a poco a poco mi concentrerò su tutti loro *u*
Siccome mi diverto ad arricchire la mia pagina FB, ho deciso di scrivere una rubrica proprio su questa storia, dove raccoglierò periodicamente tutti gli indizi sui vari personaggi, quindi ecco il link della prima: # RUBRICA # Rigor Mortis

Chiedo venia per eventuali errori di battitura, ma il correttore non voleva funzionare ;-;
Alla prossima!


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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV



«Non ce la faccio più, mi stanno tutti addosso.»

Forse perché il viaggio verso casa gli sembrò più noioso del solito, forse perché l'ennesimo interrogatorio passato sotto le pressioni di un Aomine ormai al limite della nevrosi lo aveva avvilito, Murasakibara inviò quell'sms e si rifiutò di scostare i propri occhi dallo screensaver del cellulare fino a quando non ricevette risposta.

«Sta calmo, Atsushi. Vedrai che andrà tutto bene.»

Murasakibara, però, non era così sicuro, soprattutto perché, nonostante provenissero da Hinuro, quelle parole erano troppo fredde: erano semplici caratteri digitali che non avrebbe mai sentito pronunciare realmente dalla sua voce, a meno che non lo avesse chiamato.


Kise ci metteva sempre un'eternità per prepararsi ad uscire, così capitava spesso che Aomine si ritrovasse seduto sul suo divano ad osservare ogni angolo della casa nel tentativo di distrarsi ed ammazzare il tempo.
Quella sera iniziò come una delle tante, ma si concluse in un modo differente.
La morte di Kuroko aveva sortito effetti differenti su ognuno degli ex membri della Generazione dei Miracoli: c'era chi aveva risentito relativamente poco di quella notizia e chi, come lui, molto, e questo perché gli sembrava di ritrovarsi schiacciato tra due forze di egual misura ed impossibili da respingere o anche solo da ignorare.
Aomine passava le giornate a cercare di districare un intreccio troppo stretto e ingarbugliato nel quale, oltre tutto, giocava anche una buona dose di vita personale: a volte, quando si coricava a letto dopo un lungo pomeriggio passato a fare domande e pressione sui sospettati, si sentiva in colpa verso di loro, si chiedeva cosa fosse successo, ripeteva fra sé e sé che non era vero, che Kuroko non era morto.
Perché era morto? Qualcuno l'aveva ucciso? No, impossibile: nessuno avrebbe mai potuto uccidere una persona come Kuroko.
Daiki faceva ancora fatica ad accettare la realtà, come faceva fatica a convivere con l'idea che Kise non avesse un alibi e che quindi fosse uno dei più papabili al ruolo di assassino.
Nel caso Kise fosse stato il colpevole, Aomine aveva già deciso: aveva scelto lui, a discapito del lavoro, a costo di diventare un poliziotto corrotto, al servizio delle ingiustizie. Nonostante avesse già le idee chiare su come agire, Daiki non riusciva davvero ad immaginarsi mentre prendeva le parti di un assassino e voltava le spalle al posto che gli era costato così tanta fatica, e allora pensò che per capire quale sarebbe stata la vera cosa giusta da fare avrebbe dovuto trovarsi nella situazione incriminante che tanto temeva.
Daiki decise di sfruttare la sua indecisione e quei pensieri troppo intricati a suo favore, come giustificazione per cominciare un piccolo e segreto sopraluogo a casa Kise.
Non era in servizio in quel momento, dunque la cosa si sarebbe potuta risolvere fra loro o, visto che Kise era ancora chiuso in bagno - o in camera? -, non avrebbe detto nulla e si sarebbe concesso ancora un po' di tempo per ragionare sul da farsi.
Così, quella sera, Aomine si alzò dal divano e decise di ammazzare il tempo impiegando non solo gli occhi, ma anche le mani e i piedi, aggirandosi per il salotto per guardarsi meglio intorno e aprire i cassetti, frugare al loro interno nella speranza di non trovare nulla di compromettente.
Dopo aver aperto tre cassetti, Aomine si disse che forse avrebbe dovuto smettere, che era impensabile che proprio Kise potesse aver ucciso Kuroko e che, soprattutto, avrebbe dovuto fidarsi di lui, ma si sentiva così vicino dallo scoprire la verità - e qualsiasi cosa fosse successa, avesse trovato tutti i cassetti vuoti oppure colmi di prove, lo avrebbe aiutato a stare meglio - che si fece coraggio e decise di continuare quella ricerca silenziosa.
Aprì il quarto cassetto e le cose più interessanti che vi trovò furono un paio di cartoline provenienti da Londra e che quindi pensò essere dei genitori - sospetto confermato non appena diede un'occhiata al retro - ed una rubrica che, però, richiedeva tempo per essere letta e che decise di lasciare al suo posto per paura che Kise potesse accorgersi del suo sopraluogo.
Dopotutto pensò che la rubrica avrebbe potuto leggerla con calma durante la notte, sempre che Kise lo invitasse a fermarsi da lui: cosa molto probabile, visto che lo supplicava di rimanere ogni volta che poteva.
Quando le dita si strinsero attorno al pomello dell'ultimo cassetto e lo tirarono appena, aprendo uno spiraglio, un'altra mano lo richiuse subito, senza dargli il tempo di vedere oltre l'oscurità della fessura.
Quando Aomine si voltò verso di lui, rimase senza fiato: Kise non era una persona irascibile e aveva sempre dimostrato una certa dote nel lagnarsi, piuttosto che nell'arrabbiarsi, per cui, nelle rare volte in cui si adirava, riusciva sempre ad incutergli una certa soggezione.
Lo stava guardando male, malissimo, e continuò a tenere la mano salda sul cassetto anche quando Aomine ritirò la propria.
Kise era deluso e amareggiato, lo vedeva dal ripiegamento tremolante delle labbra; lo sguardo era volutamente minaccioso e quel silenzio stava cominciando a mettergli i brividi: chi reagisce così perché trova il suo ragazzo a frugare nei suoi cassetti - per una ragione più che ovvia -, non può avere la coscienza pulita.
«Sei venuto qui per stare con me o per frugare nei cassetti?»
Aomine avrebbe voluto rispondergli che era venuto per stare con lui e che, stufatosi di aspettarlo, aveva poi cambiato idea e aveva optato per i cassetti, ma il tono di voce di Kise era già abbastanza tagliente e preferì restare in silenzio.
«Tu non ti fidi di me.» finalmente la mano di Kise si scostò dal cassetto e il corpo del ragazzo si allontanò un poco da quello dell'altro.
Aomine, dal canto suo, inspirò e si decise a rispondere, preparandosi per un controattacco che sicuramente sarebbe stato respinto immediatamente.
«Non hai un alibi, quin–»
«E allora? Perché dico di essere rimasto a casa a riposare tutto il giorno e non ho nessuno che può testimoniarlo, devo essere per forza un assassino?!»
«Kise, non ho detto questo.»
«Nessuno può confermarlo, è vero, ma nessuno ha mai testimoniato il contrario.»
«Certo, ma l'alibi è–»
«L'alibi è quello che rovinerà la nostra relazione. Te lo dico io, cos'è.»
Aomine si zittì e si morse il labbro inferiore in uno spasmo di stizza: Kise era davvero arrabbiato, e dopotutto non poteva biasimarlo.
«Scusami tanto, ma non ho piacere di trovarti mentre frughi nei miei cassetti perché non ti fidi di me.»
«Sto solo cercando qualcosa che possa confermare la tua innocenza! Vuoi calmarti o no?»
«Sei sicuro?» Kise gli diede le spalle e sembrò trattenere una risata nervosa «vieni qui a frugarmi nei cassetti, proprio tu che come alibi hai uno scontrino del supermercato.»
«Si tratta pur sempre di un alibi.»
«Chissà quanti ve ne create, voi poliziotti.»
Aomine rabbrividì: Kise non aveva mai toccato quell'argomento, non aveva mai mostrato disprezzo verso il suo lavoro, e ora, spinto da chissà quale furia, iniziava ad inveire sul suo mestiere e ad alludere al fatto che essendo un poliziotto avrebbe potuto occultare prove o chissà cos'altro, un po' come avevano fatto altri.
«Non ho più voglia di uscire.»
«Bene, tolgo il disturbo.»
Fanculo la rubrica, fanculo tutto.
Fino a poco prima Aomine era riuscito a capire - e a giustificare - la rabbia di Kise, ma le sue ultime parole erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Kise dubitava di lui - o forse gli aveva detto così di proposito -, e ora capiva quanto fosse orribile quella sensazione, ma non riuscì neppure a guardarlo in faccia per quanto era deluso da quelle parole: i ruoli sembravano essersi invertiti, ora era Aomine quello arrabbiato, e Kise quello in silenzio.
Quando Aomine lasciò la casa e salì in auto decise che avrebbe lasciato il caso nelle mani di qualcun altro, che lui si sarebbe limitato a ricoprire il ruolo del sospettato come tutti gli altri, e non tanto perché volesse mostrare la sua correttezza, ma semplicemente perché era stufo di ricevere accuse infondate.
Kuroko era morto, ma se ne rese conto solo in quel preciso istante, quando una tristezza lontana cominciò a stringergli il petto e bloccargli il respiro: senza di lui, gli ex miracoli erano come bestie, pronte a sbranarsi l'una con l'altra.



Non era mai stata una di quelle persone che teneva il muso solo per attirare l'attenzione su di sé, anzi, in quelle rare occasioni in cui le capitava di litigare con qualcuno cercava di mettere sempre un po' di distanza, si ritagliava del tempo per se stessa e, principalmente, per pensare a come risolvere la situazione; in quel momento, però, nonostante dietro a quel pesante silenzio non si nascondesse un battibecco, bensì la scoperta di una crudele verità, Momoi sembrava davvero offesa, arrabbiata, delusa, pareva aspettare con impazienza che l'altro notasse il suo sconforto e le parlasse.
Bastava guardarla in faccia per un paio di secondi per capire che qualcosa non andava, e Kagami, effettivamente, aveva notato gli occhi acquosi, le palpebre abbassate, le labbra corrugate in un ghigno sconsolato, ma era rimasto in silenzio, aveva continuato a camminarle accanto senza sapere cosa dire e continuando a fissare i metri d'asfalto che divoravano con i loro passi.
Cosa sapeva, lui, di Momoi?
E lei cosa sapeva di Kagami?
Per Kagami, Momoi era la fidanzata piagnucolona di Kuroko; per Momoi, Kagami era quello con cui mi tradiva il mio fidanzato.
Quando Aomine gli aveva detto che aveva raccontato tutto a Momoi, Kagami si era arrabbiato, ma al contrario di ogni aspettativa era riuscito a frenare la sua impulsività e si era fermato a ragionare: aveva capito che era la cosa giusta da fare, nonostante fosse difficile accettare che fra loro, chi aveva agito nel modo più corretto, era stato sicuramente Daiki.
Non c'era niente che potesse dirle, Taiga lo sapeva.
Fra loro era calato il velo del disagio fin da quando si erano incontrati e si erano salutati con il più vago e silenzioso dei cenni, e lei era arrabbiata. Non era mai stato bravo a capire i sentimenti delle donne - ma anche delle persone in generale -, ma che Momoi lo odiasse non c'era dubbio: lo aveva capito dal suo sguardo, per un attimo, ma solo per un attimo, gli era sembrato di scorgere in lei gli occhi del vero assassino e aveva sentito un brivido percorrergli velocemente la spina dorsale e scuotergli le viscere.
Kagami sentiva di dover solo resistere, perché presto avrebbe svoltato l'angolo e si sarebbe diretto verso casa, allontanandosi da lei, ma la tentazione di parlare era grande, anche se non riusciva a comprenderne il motivo.
Era strano pensare ad una cosa simile, ma forse Momoi gli aveva fatto paura, e poi era pericoloso farsi dei nemici in una situazione simile - quell'idiota di Aomine era già sufficiente -.
«Mi dispiace.» senza dubbio non era la cosa più saggia da dire, sopratutto perché la sua bocca era quella dell'amante e non quella dell'amico, però, in seno alla propria coscienza, sapeva di essere sincero, gli dispiaceva davvero che lei avesse dovuto scoprire una cosa simile in un modo tanto squallido, e lui, dal canto suo, non aveva mai tratto godimento da quella condizione.
A Kagami non piaceva essere l'amante, avrebbe voluto avere Kuroko tutto per sé e per questo gli aveva messo pressione, gli aveva chiesto più volte di lasciare Momoi perché riteneva che una storia simile non potesse stare in piedi e non fosse sana.
Momoi rallentò appena e si morse il labbro inferiore, chiuse gli occhi e tornò a concentrarsi sul silenzio che li circondava, nella speranza che la voce di Kagami fosse solo frutto della sua immaginazione.
«Momoi?»
Ovviamente, però, la sua riflessione fu spezzata di nuovo da quella voce.
Il canino affondò ulteriormente nel labbro inferiore, fino a privarlo del solito colore rosato e vivo.
«Non preoccuparti, Kagamin.» ma lei era buona, e forse non avrebbe avuto la forza di affossare una persona che pensava innocente e che, alla fine, era una brava persona.
Kagami colse il tremolio nella sua voce e inspirò appena, indeciso sul da farsi.
«Kuroko ...» anche la sua voce, senza volere, tremò appena: pronunciare il suo nome gli faceva ancora male, perché ogni volta si illudeva di vederlo mentre si voltava verso di lui e gli sorrideva in silenzio, ma non era così.
«Lui non ti ha mentito, ci teneva a te.»
Momoi sollevò il proprio sguardo verso l'altro solo per un attimo, poi tornò ad osservare l'asfalto scuro, trasudante di pioggia: forse Kuroko aveva tenuto davvero a lei, ma lo aveva fatto molto tempo fa, prima che si innamorasse di Kagami.
«Tetsu-kun parlava bene di me?» le labbra di Momoi tremarono appena, boccheggiò timidamente, per poi ritrovarsi a frugare velocemente nella propria borsa.
«Certo. Non l'ho mai sentito parlare male di te.» quando Momoi estrasse l'ombrello dalla borsa, Kagami sollevò appena il viso e rivolse i propri occhi alle nuvole scure e turgide di pioggia, socchiudendoli in uno spasmo di fastidio non appena una goccia fredda gli colpì lo zigomo.
«Sai ...» le dita di Momoi arrancarono lungo il telaio colorato dell'ombrello, ancora chiuso «mi sento in colpa.»
Un momento prima voleva affossarlo, e ora aveva deciso di confessargli i suoi tormenti: Momoi era fatta così, non sarebbe riuscita a fare del male ad una persona che non lo meritava e aveva un disperato bisogno di alleggerire il carico che da giorni le pesava sul cuore.
«Per cosa?»
«Da quando l'ho scoperto, sono terribilmente arrabbiata con Tetsu-kun.» fece una piccola pausa, poi sospirò flebilmente «dovrei essere triste, non arrabbiata.»
«Anche io mi sento in colpa.» fu questo che Kagami sussurrò, attirando l'attenzione dell'altra su di sé.
«In colpa? E perché?» che anche lui fosse arrabbiato con Kuroko? Ma com'era possibile? Kagami sapeva di essere l'amante, non era lui quello che era stato tenuto all'oscuro di tutto e tradito.
«Io amavo Kuroko, non gli avrei mai fatto del male.» Taiga deglutì per l'imbarazzo, poi boccheggiò appena e riuscì a procedere anche se con un po' di fatica «ma credo di avergli messo fretta, in qualche modo ho fatto troppa pressione su di lui.»
«In che senso?»
«Beh, non mi piaceva quella situazione. Ho forzato Kuroko a scegliere, gli ho detto che lo avrei lasciato se non si fosse deciso e avesse continuato a vivere una doppia vita.»
Momoi ascoltò in silenzio e aprì l'ombrello, rimanendo ad osservare le prime goccie di pioggia precipitare davanti a loro e frantumarsi contro l'asfalto.
«Ho paura che Kuroko si sia ... suicidato davvero, e che sia stato questo a–»
«Ma lui aveva già scelto, Kagamin.» Momoi gli porse l'ombrello e gli ricordò che Kuroko, proprio prima di morire, aveva accontentato le richieste di Kagami e l'aveva lasciata.
Kagami sentì un pizzicore diffuso alle guance ed ebbe la tentazione di rifiutare l'offerta silenziosa della ragazza, ma la pioggia fredda aveva già cominciato a divorargli le spalle e i capelli e così ingorò la tradizione e afferrò l'ombrello, in modo che potesse tenerlo in alto e riparare entrambi dai capricci atmosferici del mese di febbraio.
«E poi rimane la questione del computer, del telefono e del cellulare.»
«E se li avesse fatti sparire Kuroko? È una teoria semplice, però spiegherebbe perché non ci sono segni di violenza e perché l'appartamento era chiuso, ma le chiavi si trovavano al suo interno.»
Momoi restò in silenzio, assorta nei propri pensieri: si trovava in una posizione orribile, probabilmente era la principale dei sospettati; Kuroko non aveva ragione di suicidarsi; presto lei e Kagami avrebbero preso strade diverse, ma non poteva privarlo dell'ombrello con un acquazzone simile in corso, quindi, forse, avrebbe fatto meglio ad accompagnarlo fino a casa e poi tornare indietro.
Nella sua mente si erano accavallati così tanti pensieri tutti insieme, veloci e alla rinfusa, che aveva finito per gemere sommessamente e strizzare gli occhi a causa di un bruciore diffuso alle tempie.
«Casa mia è da questa parte, ti ringrazio.» fu la voce di Kagami a interrompere momentaneamente i pensieri di Momoi.
«Non preoccuparti, ti accompagno.»
«M-ma no, davvero, faccio una corsa!» era imbarazzante: lui, l'amante, che si faceva accompagnare fino a casa propria dalla fidanzata della vittima perché aveva dimenticato l'ombrello - chissà dove, poi. Forse in caserma? -.
«Non c'è problema, non ho nulla da fare.» Momoi insistette e Kagami restò in silenzio, di fatto dandogliela vinta: dopotutto non avevano ancora finito di parlare, e fra quei pensieri ce n'era uno più vivido di altri, a cui Satsuki sentiva il bisogno di dar voce.
«Kagamin, sono più che sicura che Tetsu-kun sia stato ucciso.»
Kagami continuò a guardare davanti a sé ed inspirò appena, assaporando l'odore fresco di pioggia.
«Per quale ragione, secondo te?»
«Questo non lo so, ma ho davvero la sensazione che sia stato ucciso.» e, soprattutto, era quasi certa che l'assassino fosse fra loro.


«Porca puttana.» Aomine brontolò e spinse il cellulare al centro del tavolo, con un gesto stizzito: sembrava quasi che le situazioni si fossero invertire, perché ora era lui il fidanzatino in pensiero che chiamava in continuazione l'altro, e Kise non rispondeva, lo ignorava completamente.
Inizialmente aveva pensato di inviargli un sms, ma si era quasi subito arreso all'idea e aveva continuato a chiamarlo.
Non aveva tanta fretta di chiarire, piuttosto era preoccupato che Kise non rispondesse, perché ciò significava che stava ignorando il cellulare - il che era improbabile per un modello continuamente tempestato dall'ammirazione delle fan e dalle proposte di lavoro -. Possibile che Kise stesse fingendo? Era così tanto arrabbiato con lui?
Arrivato alla settima telefonata in poco meno di due ore, Aomine si decise a lasciargli un messagio vocale.
«Ohi, senti, se sei lì ti conviene rispondere: mi stai facendo preoccupare, idiota. Io e te dobbiamo parlare, avvisami non appena ricevi il messaggio.»
Non aveva intenzione - almeno non ancora - di dirgli che gli dispiaceva per quello che era successo, e in più gli bastava pensare all'insinuazione che Kise aveva fatto sul suo lavoro perché il nervoso tornasse integro e la voglia di vederlo o anche solo sentirlo si azzerasse.
Aomine restò in attesa, una lunga attesa nella quale la mente cominciò a divagare fino ad elaborare un pensiero che gli mise i brividi: e se fra loro ci fosse stato un pazzo? Un pazzo che pianificava di ucciderli tutti, dal primo all'ultimo? Magari Kise era il prossimo e lo aveva già ucciso, e lui, invece, se ne stava chiuso nel suo ufficio, con le mani incollate al cellulare e la testa pulsante.
Aomine diede un'occhiata all'orologio: mancava ancora un'ora alla fine del suo turno, appena uscito di lì sarebbe andato subito da Kise per controllare la situazione.
Dopotutto non chiedeva molto: voleva solo che l'innocenza di Kise fosse provata in modo da tirarlo fuori dai guai, in modo da proteggerlo.


Kagami aveva avuto appena il tempo di recuperare un grosso asciugamano e passarlo più volte fra i capelli, cercando di asciugarli il più possibile dalla pioggia, prima che il suono del campanello facesse vibrare l'aria densa e tiepida della casa.
Aperta la porta, sobbalzò appena e rimase imbambolato sulla soglia.
«Tatsuya?» che brutta coincidenza che si trovasse a Tokyo proprio in quel periodo: aveva fatto male ad abbandonare Los Angeles per .. perché si trovava lì? Kagami si augurò che non fosse solo per venirlo a trovare, perché sarebbe stata un'occasione sprecata, visto che non era al massino delle forze - soprattutto mentali - e le ore che non trascorreva in caserma le passava a subire interrogatori su interrogatori.
«Ciao, Taiga.» Himuro accennò un piccolo sorriso «posso entrare?»
«Certo, entra pure.» Kagami si fece velocemente da parte e diede ad Himuro il tempo di chiudere l'ombrello e varcare la soglia, per poi serrare la porta e impedire al freddo di entrare.
«Sei arrivato oggi?» Kagami gli diede le spalle e si diresse verso la cucina, intenzionato a offrirgli qualcosa da mangiare, ma il silenzio che seguì a quella domanda lo fece rallentare, fino a frenare completamente il suo passo.
«Taiga, c'è una cosa che devo dirti.»
C'era qualcosa di strano nella voce di Himuro.
Kagami trattenne il fiato e si voltò lentamente, e li vide di nuovo: gli occhi dell'assassino.
Le parole che Himuro pronunciò si mescolarono al suono ovattato della pioggia e parvero riecheggiare lontane, quasi fossero frutto di uno scherzo dell'immaginazione: eppure Taiga sapeva che erano state articolate per davvero da quella voce, e gli avevano fatto male, molto male.


«L'ho ucciso io.»




Angolo invisibile dell'autrice:
Questo capitolo doveva essere molto più lungo, ma alla fine ho deciso di dividerlo in due per allungare un po' e per darvi più tempo (?).
Non saltate a conclusioni affrettate, perché comununque manca ancora un po' alla vera fine della storia.
Alla fine sono riuscita a far litigare Aomine e Kise ancor prima di inserire qualsiasi bacio, questo perché ... beh, il rapporto fra loro è molto complicato in questo momento (e presto toccherà il suo apice, anzi, il fondo).
Sembra che Kagami e Momoi si siano alleati e francamente non ho idea se la cosa possa durare o meno (secondo il mio parere, però, ci sono buone probabilità, visto che hanno entrambi caratteri buoni).
Credo che prima della prossima rubrica scriverò altri due capitoli (anche se ora come ora voglio tornare a concentrarmi su Hall of Fame).
Attualmente ci sono alleanze davvero strane: Akashi ne ha create due, una con Midorima e una con Aomine, Kagami e Momoi sembrano aver trovato l'intesa e Kise e Murasakibara sono completamente isolati. E Himuro?
A presto! (sono stronza, sì, e vi lascio con la domanda: "E Himuro?")

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V



Kagami si sentì gelare il sangue, il suo cuore saltò un battito.
La sua immaginazione doveva stargli giocando brutti scherzi: non c'era nessuno di fronte a lui, quella che aveva vibrato nell'aria e ferito i suoi timpani era soltanto l'eco lontana di un tuono. O almeno cercò di convincersene.
«C-cosa?» fece qualche passo indietro, tastando il vuoto con la mano finché non trovò l'inizio del corrimano - che divenne immediatamente il suo sostegno -.
Himuro restò immobile, continuando a fissarlo in silenzio, poi ripiegò le labbra in un sorriso docile, vagamente intenerito, come se avesse appena detto la cosa più banale del mondo, come se non fosse successo niente di grave.
«T-Tatsuya ...» Kagami lo chiamò con voce leggermente arrochita a causa dello spavento e della confusione, cercando di tenere lo sguardo fisso su di lui - per quanto fosse difficile, visto che si era appena autoproclamato assassino della persona che aveva amato -.
«Sei fatto?» indugiò, ma pensò che non poteva essere altrimenti: Himuro aveva iniziato con roba leggera alle superiori e poi aveva conosciuto l'eroina. Quella non sarebbe stata la prima volta, anzi, a Kagami era capitato più volte di doverlo assistere mentre si trovava sotto l'effetto della droga, aveva avuto la sfortuna di sentirlo delirare e dire cose che non stavano né in cielo né in terra, vederlo mentre si rovinava l'intera esistenza.
«Non sono fatto.» ma il suo viso era perfettamente lucido, e il fatto che si fosse fatto improvvisamente serio era un'ulteriore conferma della sua ragionevolezza.
«Beh ...» quando Himuro si avvicinò di un paio di passi, le dita di Kagami arrancarono contro la durezza del corrimano, annaspò appena e quasi non perse l'equilibrio, rischiando di cadere rovinosamente ai piedi della scala.
«A dire il vero non sono stato proprio io.»
Kagami sgranò gli occhi, più per rabbia che per incredulità: prima entrava in casa sua confessandogli di aver ucciso Kuroko, e ora faceva dietrofront e gli diceva che non era così? Lo prendeva in giro?
«Tatsuya, piantala di dire una cosa e poi un'altra!» ringhiò, strinse i denti in una smorfia nervosa e, istintivamente, - forse perché desiderava semplicemente che fosse tutto falso -, sospettò nuovamente che l'altro fosse fatto e si convinse che doveva essere davvero così, che non era il vero Tatsuya a parlare, ma la droga.
«Diciamo che io sono la mente.» Himuro, che era rimasto paurosamente calmo e riprese a parlare come se l'altro non lo avesse mai interrotto, come se lui non lo avesse sentito.
«Sai com'è: i bambini sono facili da convincere.»
Il cuore di Kagami saltò un altro battito.
«Ba-» balbettò, le labbra gli tremarono «bambini?»
Himuro socchiuse gli occhi e ispirò appena, dondolò il capo su e giù e sorrise.
Perché parlava di bambini? Cosa c'entravano con l'assassinio di Kuroko?
Kagami capì dopo qualche istante a cosa si stesse riferendo l'altro, e con un nodo alla gola che a malapena gli permetteva di respirare sembrò intenzionato ad abbandonarsi lungo il corrimano: di bambino che poteva uccidere un adulto ne esisteva soltanto uno.
«Murasakibara?» sussurrò flebilmente, incredulo e pensando che sarebbe uscito di senno di lì a poco.
«Io gli ho promesso che gli avrei dato il mio amore se lo avesse ucciso, e lui lo ha fatto.»
«M-ma come?»
«Oh, io questo non lo so: volevo solo che lo uccidesse, non mi interessava il modo.»
Kagami scosse la testa più volte, strizzò gli occhi e schiuse le labbra in un sospiro tremante, intenzionato a zittirlo ma senza riuscirci: se non avesse temuto il venir meno dei sensi avrebbe scostato le mani dal corrimano per tapparsi le orecchie.
«M-ma che stai dicendo, Tatsuya?!»
Non voleva più sentirlo, non poteva essere stato lui.
«Mi dispiace, Taiga.» Himuro sembrò quasi sussurrare e lasciò sprofondare le mani nella tasca della giacca «ho resistito per un bel po' di anni, ma alla fine non ce l'ho fatta, mi si è presentata l'occasione e l'ho colta.»
«Perché?!» Kagami era così indeciso fra il tirargli un pugno in faccia o il piangere tutta la sua delusione che finì per optare per il restare immobile, parlare fino a che la voce non si sarebbe esaurita - presto, quindi -.
«Perché? Taiga, lo dovresti sapere.» Himuro fece una piccola pausa, le sue labbra si incresparono in un sorriso amaro «so che mi rifiuterai di nuovo, ma non ce la facevo più a vedervi così felici.»
Per qualche secondo, Kagami non riuscì neppure a respirare: l'aveva detto davvero? Pensava ancora a due anni prima, quando gli aveva detto di amarlo e lui lo aveva rifiutato? Pensava davvero che uccidendo Kuroko sarebbe cambiato qualcosa? Certo, qualcosa era cambiato, ma in peggio.
«Ma come puoi pensare ad una cosa simile, Tatsuya?! Pensi forse che adesso io sia disposto ad accoglierti a braccia aperte?!»
«Mi dispiace.»
Kagami fu pronto a ribattere ancora, ma le parole gli morirono in gola non appena seguì lo sguardo di Himuro e lo vide estrarre una pistola dalla tasca della giacca.
«Per lo meno, d'ora in poi, non sarai più di nessun altro.»
Le labbra di Kagami ebbero un fremito, il corpo fu scosso da un brivido. Si sentì scottare, come se avesse avuto la febbre, e confuso, come se stesse delirando: non riusciva davvero a credere che Himuro avesse detto quelle cose, che lo stesse minacciando con una pistola.
Bastava poco per capire che si trattava di un delitto passionale, dettato dall'irrazionalità dei sentimenti, ma Taiga non ne capiva davvero il motivo: dopotutto non aveva mai fatto nulla per illudere Tatsuya e, nella sola occasione in cui questo gli aveva confessato il suo amore, qualche anno prima, lo aveva rifiutato e gli aveva fatto capire che per lui era e sarebbe sempre stato il fratello che non aveva mai avuto - e che, di conseguenza, non avrebbe mai avuto possibilità come suo potenziale fidanzato -.
Kagami capì che non era il momento di mettersi a pensare - dopotutto lo faceva così poco che rinunciarci una volta in più non faceva differenza -, ma piuttosto si staccò dal corrimano e corse in direzione del telefono, cercando di sottrarsi dal raggio d'azione dell'altro.
Himuro, dal canto suo, continuò a tenere la pistola puntata davanti a sé anche quando Kagami non fu più visibile, senza muovere un passo.


Aomine avrebbe voluto alzarsi e bestemmiare a gran voce, interrompendo il vociare fastidioso dei colleghi intorno a lui: era ingiusto che i colpevoli saltassero fuori proprio quando lui aveva deciso di abbandonare il caso.
Comunque, da quel poco che era riuscito a capire, non c'era più bisogno di prove e tesi, perché era stato uno dei due a confessare. Due, alla fine erano due.
Aomine si diresse verso i due colleghi con cui riusciva ad andare più d'accordo, determinato a prenderli da parte e a chiedere qualche informazione sull'identità dei due, sugli ultimi accadimenti e su come fossero riusciti ad arrivare a quel risultato.
«Questa faccenda non mi convince.»
Aomine fu percosso da un brivido di freddo e si piantò in mezzo al corridoio, voltandosi immediatamente.
«E tu che ci fai qui?»
«Ho saputo dell'arresto di Atsushi.» Akashi rispose con tutta la calma del mondo, incrociando le braccia al petto.
«Ats–» Aomine, ancora un po' confuso, borbottò e si guardò i piedi, dondolando leggermente sul posto: Akashi lo sapeva? Conosceva più dettagli di lui pur non facendo parte delle forze dell'ordine?
«Murasakibara?»
Akashi rimase in silenzio per qualche istante, aggrottando la fronte e squadrando Aomine dalla testa ai piedi.
«Vuoi dirmi che non lo sapevi ancora, Daiki?»
«Mi sono … beh, mi sono tolto dal caso.»
La lingua di Akashi schioccò contro il palato, in uno spasmo di disappunto che frenò immediatamente lo sproloquio confuso e agitato dell'altro.
«Permettimi di dire che non è stato molto saggio, da parte tua.»
Aomine trattenne uno sbuffo e cercò di aggiungere qualcos'altro, ma Akashi glielo impedì.
«È per Kise, vero?»
«Cosa?»
«Ti sei tolto dal caso perché avevi paura che potesse essere lui il colpevole.»
Questa volta Daiki sbuffò sonoramente: possibile che non ci fosse nulla che non conoscesse o indovinasse?
«Comunque sia ...» Aomine riprese a denti stretti, sbuffando appena «tu che cosa sai?»
«Tutto.»
Aomine, che fino ad un attimo prima era intenzionato a raggiungere i suoi colleghi, preferì svoltare l'angolo e dirigersi verso l'uscita della centrale: aveva bisogno di un po' d'aria fresca, sedersi all'aperto gli sarebbe stato d'aiuto per incassare il colpo - in parte già subito, visto che, da quando aveva capito, Murasakibara era uno dei due colpevoli -.
«Avanti, non tenermi sulle spine.» brontolò e si sedette pesantemente sul muretto di mattoni rossi che correva attorno al perimetro della centrale; Akashi, dal canto suo, rimase in silenzio ancora per un po', sistemandosi accanto a lui.
«La notizia deve essere trapelata da uno dei vostri, è apparsa su un blog questa mattina e ho telefonato immediatamente in centrale per avere un chiarimento e per assicurarmi che non fosse falsa.»
Aomine prese una grande boccata d'aria e sembrò accartocciarsi su se stesso, i gomiti piantati sulle ginocchia, le mani congiunte davanti al viso.
«Mi hanno detto che ieri sera hanno ricevuto una telefonata da Kagami.»
«Kagami?» Aomine aggrottò la fronte e incontrò lo sguardo imperturbabile di Akashi.
«A quanto pare Himuro si è presentato a casa sua e gli ha detto di essere il mandante dell'omicidio. L'ha minacciato con una pistola.»
Aomine deglutì e rimase a fissarlo, incapace di dire qualcosa e riuscendo a malapena a respirare.
«Da quanto gli ha detto, Atsushi si è sporcato le mani al posto suo.»
«No, aspetta, perché diavolo avrebbe fatto una cosa simile?»
«Per amore.»
Aomine sbatté le palpebre un paio di volte, confuso e senza riuscire a rielaborare quello che Akashi aveva appena detto.
«Che cazzata.» sospirò spazientito e tornò a guardare davanti a sé.
«Infatti credo proprio che qualcuno abbia dichiarato il falso.» Akashi si pronunciò nuovamente e lo sguardo di Aomine tornò di nuovo rivolto a lui.
«Il problema è che sono saltate fuori delle prove.»
«Prove?»
«Hanno trovato il doppione delle chiavi dell'appartamento di Tetsuya in casa di Himuro.»
«Quel figlio di puttana ...»
«E poi ci sarebbe un'altra cosa.» Akashi fece una piccola pausa e si inumidì le labbra «una lettera.»
«Una lettera? Che tipo di lettera?»
«Era nella giacca di Atsushi, praticamente è una confessione.»
«C-cioè …? Vuoi dire che in quella lettera Murasakibara confessa di aver ucciso Tetsu?»
«Già.»
Aomine cercò di dire qualcosa, ma Akashi lo precedette.
«Un assassino non terrebbe mai una lettera simile nella tasca della giacca, a meno che non voglia essere scoperto; inoltre, da un primo esame, la calligrafia risulta solo simile alla sua, come se qualcuno l'avesse ...» Akashi indugiò per qualche istante, poi rivolse uno sguardo eloquente all'altro «imitata
Aomine ebbe un sussulto e si alzò di scatto.
«C-cosa intendi dire?»
«Intendo dire che qualcuno sta cercando di incastrare Atsushi, ed è qualcuno che, a quanto pare, possiede un buon occhio.»
«Tu–» Daiki prese un'altra grande boccata d'aria e indietreggiò appena «sospetti ancora di Kise, non è vero?»
Akashi inspirò e si alzò con tutta la calma del mondo.
«Staremo a vedere, Daiki.» lo guardò e ad Aomine sembrò che le sue labbra si fossero ripiegate in un sorriso divertito: lo stava sfidando.
«Dopotutto, lo sai, io ho sempre ragione


«Una lettera, hai detto?» Midorima replicò le parole di Akashi con la voce scossa dallo stupore.
«Sì, una lettera.»
«Destinata a chi?»
«A nessuno. Credo l'abbia scritta solo per sfogarsi.» Seijuurou fece una piccola pausa e adagiò la tazza vuota ma ancora tiepida sul tavolo «anzi, credo che lui voglia farci credere che l'abbia scritta per sfogarsi.»
Midorima aggrottò la fronte e rimase in silenzio per qualche attimo, poi sospirò flebilmente, massaggiandosi il mento pensieroso.
«Lui, chi? L'assassino? Non sei ancora convinto?»
«Se io fossi l'assassino e non mi volessi far scoprire cercherei di nascondere ogni traccia, giusto?»
Non appena Akashi lo interpellò, Midorima si guardò intorno e mormorò qualcosa di appena percettibile, come se il professore più severo del corpo insegnanti stesse interrogando un lui bambino su una materia impossibile.
«Shintarou, mi stai ascoltando?»
«Giusto ...»
«E allora perché aveva quella lettera in tasca? Credo che qualcuno voglia incastrarlo, e poi dicono che quella non corrisponde alla sua calligrafia.»
«E se fosse soltanto Himuro-san?» Midorima azzardò un'ipotesi, attirando l'attenzione di Akashi «se fosse stato Himuro-san ad uccidere Kuroko e stesse cercando di mettere in mezzo anche Murasakibara?»
«Per un'attenuazione di pena?»
«Sì, dopotutto di solito è chi si è sporcato le mani che ci rimette maggiormente.»
Akashi rilassò il busto contro lo schienale della sedia e annuì appena, senza mai scostare i propri occhi da quelli dell'altro: poteva anche avere ragione, ma nel frattempo, mentre Midorima discorreva e ragionava su come si potessero essere svolti i fatti, lui si costruiva pensieri suoi, riflessioni che avrebbe tenuto custodite nella sua mente ancora per un po' - o forse per sempre -.
«Oppure si tratta di Ryouta.»
Midorima smise improvvisamente di parlare e trattenne un sospiro rassegnato: Akashi lo aveva interrotto così bruscamente che era ovvio che non lo stesse neppure ascoltando, tanto era immerso nelle sue macchinazioni.
«Akashi, forse dovremmo lasciare che sia la polizia a risolvere la faccenda, non credo che Kise sia coinvolto.» possibile che volesse avere sempre e a tutti i costi ragione? Si ostinava ad accanirsi ancora su Kise nonostante avessero appena inchiodato Murasakibara e Himuro. In quel preciso istante, Shintarou pensò con un po' di sollievo che per fortuna Akashi era ossessionato da Kise piuttosto che da lui, altrimenti non lo avrebbe lasciato vivere.
«Shintarou.» Akashi lo chiamò, Midorima sollevò il proprio sguardo e si soffermò sugli occhi infernali dell'altro.
«Cosa c'è?»
Akashi rimase in silenzio per qualche istante, poi negò con un cenno del capo.
«Nulla, scusami.» infine si alzò con calma e lasciò che Midorima lo accompagnasse alla porta, congedandosi con poche parole di commiato.
In un primo momento aveva pensato di dirglielo, poi aveva capito che non gli sarebbe convenuto dichiarare le sue prossime mosse, neppure ad una persona riservata e matura come Midorima: dopotutto c'era un assassino fra loro, e Akashi credeva sinceramente che fosse ancora in libertà.
Appena uscito in strada inspirò profondamente, assaporando l'aria umida e fredda di febbraio; scavalcò alcune pozzanghere torbide; si fece strada fra i pedoni agitati e, infine, puntò verso il carcere: sarebbe andato a parlare di persona con Murasakibara.



Il sospiro di Aomine sembrò vibrare a causa del nervoso: Murasakibara e Himuro erano in carcere e sarebbero stati processati molto presto, le prove erano state raccolte e i colleghi si stavano assicurando che non ce ne fossero altre ispezionando le loro case, quindi che motivo aveva di essere così ansioso? Semplice: Akashi gli aveva come al solito messo la pulce nell'orecchio, lo aveva piegato con le proprie parole, era riuscito a renderlo succube e a fargli dubitare della colpevolezza di Murasakibara.
Anche in quel momento, seduto ai piedi del letto di Kise con la consapevolezza che i colpevoli erano stati arrestati e che bastava poco per rovinare la pace appena siglata, Aomine si ritrovò a sospettare del suo fidanzato. Le parole di Akashi continuavano a riecheggiare nella sua mente, quasi avrebbe voluto tapparsi le orecchie, chiudere gli occhi e cominciare ad urlare per provare a scacciarle via: “da un primo esame la calligrafia risulta simile alla sua, è come se qualcuno l'avesse imitata.”.
Come se qualcuno l'avesse imitata.”: si ripeté mentalmente, sussultando non appena la voce dell'altro riecheggiò alle sue spalle e lo colse alla sprovvista.
«Sai, oggi ho chiamato Momoicchi-chan.» la voce di Kise si fece più vicina, le molle del letto scricchiolarono appena alle sue spalle «era davvero sconvolta, ma alla fine dovevamo aspettarcelo, no?»
Aomine brontolò appena, senza riuscire a staccare gli occhi dal pavimento.
«Doveva essere uno di noi.» Kise sospirò e le molle cigolarono di nuovo, il letto tremò leggermente.
«Dovresti chiamarla.»
La voce di Kise era così vicina al suo orecchio da farlo rabbrividire, ma il peggio era che non riusciva a capire se si trattava di piacere o di terrore.
Aomine brontolò nuovamente, incapace di rispondere per paura che il suo tono di voce tradisse i suoi pensieri sospettosi: niente era ancora certo, per quanto ne poteva sapere l'assassino era proprio alle sue spalle, magari stava progettando di ucciderlo proprio in quel momento.
«Devi essere stanco, vero Aominecchi?» quando le mani di Kise si adagiarono calde e delicate sulle sue spalle, però, il corpo di Aomine sembrò diventare improvvisamente più leggero: forse erano davvero Murasakibara e Himuro gli assassini, forse la questione si era già risolta e lui si stava preoccupando per niente.
«Rilassati.»
Kise adagiò dapprima il mento sul dorso della propria mano per stampargli un bacio sulla guancia, poi si sistemò per bene dietro di lui e con movimenti lenti e delicati cominciò a massaggiargli le spalle.
In quel momento, Aomine pensò che Kise con i massaggi riusciva a renderlo ancor più succube di quanto Akashi non fosse riuscito a fare con le proprie parole: dopotutto Ryouta possedeva il talento dell'imitazione e non lo usava solo nello sport, ma anche in tante altre cose che riusciva ad imparare in fretta e molto meglio di altri.
«Sono solo un po' confuso–» faceva perfino fatica a parlare per quanto era piacevole quel massaggio.
«Immagino, dopotutto fino a questa mattina sembrava un caso senza soluzione e invece sono spuntati addirittura due colpevoli.» le dita di Kise scivolarono fra le scapole dell'altro, massaggiando con più decisione.
«Tu pensi che sia vero?»
«Beh ...» Kise indugiò per qualche attimo, concentrandosi più sul massaggio che su altro «me ne intendo meno di te, Aominecchi, ma se dici che c'era quella lettera ...»
«Già, la lettera.»
Kise tornò a massaggiargli le spalle, spingendo di tanto in tanto le dita oltre, ad accarezzare le clavicole.
«Adesso però smettila di pensare al lavoro, ok?» gonfiò appena le guance e scostò le mani dalle sue spalle.
«Ehi, perché hai smesso?»
Kise non rispose e gli cinse le spalle con le braccia, baciandogli la guancia un paio di volte, per poi lasciare che Aomine si stendesse e adagiasse la testa sulle sue gambe.
Kise rimase ad osservarlo il silenzio, con le labbra increspate in un sorriso, quasi lo stesse contemplando; Aomine sostenne il suo sguardo e gli sfiorò la guancia col dorso della mano.
In quel momento sapevano entrambi che non c'era bisogno di parole, che l'intreccio dei loro sguardi bastava per placare ogni tormento: il sorriso di Kise si ampliò e Aomine gli prese il viso fra le mani, lo guardò ancora per qualche istante, poi lo trascinò a sé e lo baciò.



Angolo invisibile dell'autrice:

Francamente pensavo che di metterci molto più tempo a scrivere questo capitolo, ma a quanto pare il mio stile sta tornando un poco più scarno e non mi sono dilungata troppo sui particolari D:
Innanzitutto ringrazio tutte quelle che hanno commentato il quarto capitolo e chiedo scusa per non aver risposto alle recensioni >w<'' (vedrò di rispondere a quelle che lascerete per questo capitolo, ecco~)
Non c'è un capitolo in cui i nostri cari ragazzi non si scannino o non si angoscino, ma penso che sia normale, no?
Innanzitutto mi auguro di avervi fatto spaventare con l'improvviso cucù-settete (?) della pistola (ormai lo sapete che sono cattiva e mi piace farvi preoccupare, ma dopotutto devo cercare di farvi immedesimare il più possibile nella storia e mi piace molto aggiungere tanti colpi di scena, quindi dovete aspettarvelo dalla mia mente malata ùwù), e Akashi … boh, Akashi è un rompi cazzo assurdo in questa fanfiction, sembra me quando mi metto in testa di voler scoprire qualcosa, ma diciamo che fra tutti i personaggi della storia lui e Momoi sono i miei preferiti, sia per le varie comparse che per il ruolo che ricoprono.
Per il resto non ho niente da dire, anche perché se mi mettessi a parlare rischierei di mandare tutto a rotoli (?).
Al prossimo capitolo!




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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI


Silenzio.
Ecco cosa era venuto dopo: solo silenzio.
Murasakibara non riusciva a staccargli gli occhi di dosso neppure per un istante, deluso com'era da quella faccenda che ormai aveva assunto una piega troppo scomoda e amara per lui.
Himuro, al contrario di lui, sembrava così convinto e soddisfatto di quella punizione che gli venne da chiedersi se non fosse davvero l'assassino di Kuroko, se non considerasse quella prigionia come una sorta di espiazione.
Sembrava trarre un certo sollievo dalle sbarre, e quel sorrisetto che gli increspava le labbra ogni volta che lo guardava gli metteva i nervi: Himuro era felice di aver trascinato con sé anche lui, era felice di non dover spartire la cella con degli sconosciuti e che presto qualcun altro avrebbe subito i suoi stessi trattamenti giudiziari e penali.
Dopo due giorni e due notti in cella, immersi e soffocati dal più lugubre dei silenzi, Murasakibara era finalmente riuscito ad elaborare il tutto e a realizzare un pensiero che mai avrebbe pensato potesse annidarsi nella sua testa - e nel suo cuore -.

In un tacito accordo, ognuno di loro possedeva una metà della cella, e da qualche ora Murasakibara era seduto a terra, sotto le inferiate, e osservava Himuro con un'espressione diversa dal solito: nei suoi occhi non c'erano né pigrizia né noia, e neppure il sincero affetto che prima provava per lui, ma solo tanta rabbia e delusione.
Schiuse le labbra, ma le parole si accartocciarono e gli diedero la sensazione di starlo soffocando: non riusciva neppure a chiamarlo Muro-chin.
Murasakibara si zittì nuovamente e per almeno un altro paio di minuti si limitò a fissarlo in silenzio: c'era qualcosa che doveva dirgli, dopotutto glielo aveva chiesto Himuro stesso di essere sempre sincero con lui.
«Ti odio ...» un sussurro, quasi uno spasmo di sofferenza, e finalmente il pensiero che aveva richiesto un'elaborazione e un'accettazione lunghe due giorni e due notti era venuto fuori.
Atsushi abbassò lo sguardo e si avvolse le ginocchia con le braccia, congiungendo le mani e osservando per qualche istante l'intreccio delle dita lunghe e robuste come radici: proprio come un bambino, si sentiva già in colpa per ciò che gli aveva detto, ma erano parole a cui sentiva di dover dar voce prima di morire chiedendosi se fosse giusto o meno provare quel sentimento e tenerglielo nascosto, ostentando una simpatia che non esisteva più.
A Himuro, che continuava a tenere gli occhi fissi oltre le sbarre, quelle parole risuonarono come un ronzio confuso e lontano, tanto che inizialmente sembrò perfino incapace di rispondergli.
Infine, dopo attimi che all'altro parvero interminabili e terribilmente snervanti, Tatsuya si voltò lentamente e forzò un sorriso.
«Scusami, Atsushi: che cosa hai detto?»
Murasakibara lo guardò in silenzio, senza che la sua espressione mutasse: ancora si azzardava a chiamarlo per nome? E gli sorrideva? Avrebbe voluto dirgli di smetterla, ma pensò fosse meglio farlo gradualmente e, pur con fatica, si trattenne e impedì all'ira di soggiogarlo - dopotutto la loro amicizia era stata lunga ed era finita appena due giorni prima -.
«Ti odio.» Murasakibara ripeté, questa volta con più decisione.
Himuro, dal canto suo, rimase a guardarlo in silenzio e ampliò a fatica il sorriso, questa volta senza mascherare il dolore ma, anzi, dimostrandolo attraverso il tremore delle labbra, il viso appena inclinato e una luce docile negli occhi.
Tatsuya non disse altro e tornò a voltarsi lentamente, rivolgendo di nuovo la propria attenzione oltre le sbarre: gli aveva chiesto scusa con gli occhi, ma quella sarebbe stata l'ultima volta, e lo sapevano entrambi.
Era troppo tardi, ormai, per chiedere scusa.


«Daiki, ascoltami.»
Aomine alzò gli occhi al cielo e schiuse le labbra in un brontolio di esasperazione: non ne poteva più di Akashi e delle sue teorie.
«Perché continui ad insistere? Hanno scoperto la loro colpevolezza e li hanno arrestati, punto.»
«Ma Atsushi non è colpevole.» pur usando un tono di voce più basso e un timbro decisamente più calmo, Akashi riuscì a frenare le continue lamentele di Aomine.
Daiki rimase in silenzio per qualche istante, vittima dello sguardo imperturbabile e tagliente di Akashi: perché continuava a parlargliene? A cosa serviva, visto che ormai era fuori dal caso? Se desiderava che le indagini prendessero un'altra piega si sarebbe dovuto rivolgere ad altri poliziotti, non certo a lui.
«Tu lo vai a trovare, lui nega di essere l'assassino, e tu gli credi?» Aomine brontolò e continuò ad avanzare, - nella speranza di mettere un po' di distanza fra lui e l'altro -, mentre le dita cominciarono ad insinuarsi fra la camicia e la cravatta per allentarne il nodo.
«Non è questione di fiducia.» Seijuurou, però, non aveva alcuna intenzione di lasciarsi scappare la sua vittima e accelerò il passo.
«Lo vedo.»
Aomine gli rivolse un'occhiata confusa e, capendo che non sarebbe riuscito a seminarlo, rallentò nuovamente, traendo un sospiro di sollievo non appena la stretta della cravatta attorno al collo si fece più blanda.
«Gliel'ho visto negli occhi: non è stato lui.»
«Beh, se non è stato Murasakibara chi altri potrebbe aver collaborato con Himuro? E come me la spieghi, quella lettera?»
Akashi rimase in silenzio per qualche istante, poi lo guardò negli occhi e gli rispose in modo del tutto inaspettato.
«Sei un cavallo a cui non è mai stato tolto il paraocchi, Daiki.»
Aomine aggrottò la fronte e arricciò il naso, rivolgendogli un'espressione piena di disappunto.
«Mi hai paragonato ad un cavallo?»
«Sei un poliziotto, dovresti capirlo prima di me.» Akashi ignorò la protesta e tornò a guardare davanti a sé, parlando con tutta la calma del mondo.
Aomine, dal canto suo, pensò che fosse impossibile capire qualcosa prima di Akashi, e non solo per lui, ma anche per tutti gli altri, per cui non rispose alla provocazione e lasciò che l'altro continuasse a discorrere da sé.
«Quella lettera è un insulso tentativo di depistaggio, di incolpare un innocente. Per quanto riguarda Himuro, non si può escludere che lui possa c'entrare qualcosa, ma in che modo? Hai pensato a tutte le possibilità esistenti?» Akashi fece una piccola pausa e, ascoltando per qualche istante il silenzio di Aomine, decise di continuare «Himuro potrebbe non essere la mente, ma l'assassino vero e proprio, ma ha accusato Murasakibara di essersi sporcato le mani per un'attenuazione della pena, anche se è strano, perché presentandosi da Kagami con una pistola è come se si fosse costituito alla polizia.»
«Quindi?»
«Quindi potrebbe essere testimone di un avvenimento che noi non conosciamo e obbligato dal vero assassino a scontare la pena carceraria al posto suo, o ancora essere il braccio destro dell'assassino, che ha deciso di usarlo come pedina e lo sta sfruttando meglio che può.»
Aomine rimase in ascolto e si limitò a prendere una grande boccata d'aria, confuso da tutte quelle teorie che Akashi aveva preso a sciorinare con fin troppa rapidità e scioltezza: probabilmente stava sveglio la notte a pensare e a fare schemi, cercando di immergersi nella mente di un assassino, e il che era piuttosto inquietante.
«Ma c'è un'altra possibilità che, fra parentesi, è quella che mi convince più di tutte: Himuro potrebbe essere innocente, ma ha accettato di scontare la pena per un delitto non commesso perché l'assassino gli ha promesso qualcosa in cambio.»
«È da stupidi.»
«Non se sei un tossicodipendente bisognoso di soldi. Guarda caso Himuro si è proclamato "mente" e ha accusato Atsushi di essere l'assassino vero e proprio, questo perché l'assassino, oltre ad averlo rassicurato promettendogli una grossa somma di denaro, gli ha ricordato che chi medita un delitto ma non si sporca le mani sconta, almeno nella maggior parte dei casi, una pena minore rispetto a chi ha commesso il crimine.»
Aomine restò in silenzio: da una parte era meglio che ci fossero Himuro e Murasakibara in carcere, perché ciò significava che l'assassino non era Kise, ma se almeno uno dei due fosse stato innocente come riteneva Akashi non c'era nulla di buono: scontare anni di carcere ingiustamente, al posto di un assassino rimasto impunito, sarebbe stato agghiacciante.
«Ok, le tue teorie stanno in piedi, ma te l'ho già detto: io non sono più assegnato a questo caso, dovresti parlarne con i miei colleghi, non con me.»
«Fai in modo che ti riassegnino il caso, Daiki.»
Le labbra di Aomine fremettero: non sapeva se trattenere un insulto o un sospiro di sollievo, perché neppure lui, in quel momento, riusciva a capire cosa voleva.
Quel caso aveva avuto un forte impatto su Aomine, lo aveva stancato, in pochi giorni gli aveva portato via ogni energia e ogni briciolo di sensatezza, e farselo riassegnare sarebbe stato un suicidio, ma allo stesso tempo si sentiva insoddisfatto, contrariato all'idea di essersi arreso prima che i presunti assassini venissero presi, e quindi sentiva l'irrefrenabile bisogno di rimettersi a lavoro, alla ricerca di indizi importanti.
«Mi servi.» Akashi continuò, senza tanti peli sulla lingua, e Aomine rispose con un sospiro sommesso, impregnato d'esasperazione, cominciando a massaggiarsi la radice del naso con le dita.
«Vedrò cosa fare, ma lasciami ancora una giornata di riposo.»
Seijuurou lo fulminò con lo sguardo.
«Non c'è tempo da perdere, Daiki: c'è un innocente in carcere.»
Aomine sospirò nuovamente: non avrebbe avuto pace finché la sete di vendetta, scoperta e vittoria di Akashi non fossero state soddisfatte.
«L'assassino non è Atsushi, non può essere come ha detto ...» Akashi si fermò ed ebbe un'esitazione che spaventò perfino Aomine.
«Akashi, va tutto bene?»
Akashi restò in silenzio per ancora pochi istanti, poi, finalmente, riprese.
«Shintarou.»


La mattina dopo, Aomine aveva fatto richiesta per essere riammesso nel caso e aveva subito una ramanzina che gli era parsa lunga una vita e che già sapeva gli avrebbero riservato - ecco perché non voleva fare richiesta per tornare ad occuparsi del delitto -: partecipare ad un caso, abbandonarlo e poi esigere di essere riammesso non era un atteggiamento professionale, e questo non piaceva per niente al suo capo.
«Ti hanno contattato?» Kise biascicò, con il viso assonnato che faceva capolino fra le coperte.
«Non ancora, probabilmente decideranno domani.»
«È che ... non capisco come mai tu voglia così tanto farti riassegnare il caso.»
Aomine rimase in silenzio e si strinse nelle spalle: non aveva voglia di dirgli che Akashi gli aveva di nuovo messo mille dubbi in testa e che ora era tornato a sospettare di tutti - e quindi anche di lui -.
Ryouta lo osservò ancora per qualche istante, poi scostò appena le coperte e si sistemò lentamente sopra di lui: da quando Kuroko era morto si erano a malapena toccati, soprattutto a causa di Aomine e dei suoi infiniti sospetti nei confronti del fidanzato, ed erano riusciti a fare l'amore soltanto quando si era saputo che Himuro e Murasakibara erano i colpevoli.
Kise, ormai convinto che nella mente di Aomine non vi fossero più dubbi, aveva l'ovvia intenzione di ripetere l'esperienza di poche notti prima e Daiki fu piacevolmente tentato dalla pelle calda contro la sua e dalle labbra del fidanzato che avevano già cominciato a stuzzicargli il collo.
La bocca di Kise scivolò lentamente lungo i muscoli del collo, fin sotto l'orecchio, e la pelle di Aomine fu piacevolmente stuzzicata da un sospiro accaldato.
«Aominecchi?» Ryouta cantilenò appena, quasi a volerlo incitare, e Aomine cominciò ad avvertire un pizzicore distinto nel basso ventre.
Le mani di Daiki corsero ai fianchi magri del compagno, le labbra andarono in cerca delle altre e le incontrarono immediatamente, legandosi a loro in un bacio passionale e ingordo.
Aomine ribaltò la situazione e le mani scivolarono rapide alle cosce calde del compagno, le bocche si staccarono e tornarono ad unirsi non appena le dita di Kise gli stuzzicarono le braccia con carezze tremanti di eccitazione.
Non appena la stretta di Ryouta si fece salda attorno alle sue spalle e l'intreccio delle loro lingue sembrò rafforzarsi, Aomine sentì che qualcosa non andava e che la sua eccitazione, per quanto fosse evidente, non sarebbe riuscita a spingersi oltre un certo limite.
Kise, dal canto suo, sembrò percepire la tensione del compagno e allentò la stretta, scostando appena il viso e rivolgendogli un'occhiata confusa.
«C'è qualcosa che non va?» Ryouta sussurrò appena e la stretta si allentò ancora, ormai sul punto di sciogliersi.
Daiki distolse lo sguardo e sospirò appena.
«Scusami.» chiuse gli occhi, quasi stesse cercando disperatamente di riacchiappare l'eccitazione ormai perduta.
Kise sciolse la stretta e le sue labbra si incrinarono in una smorfia di rammarico e insoddisfazione.
«Non ci riesco.» Aomine, dal canto suo, si scostò dal compagno e tornò al suo posto, guardando davanti a sé senza dire altro.
Ryouta rimase in silenzio per qualche istante e si mise a sedere, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
«Perché non ci riesci?»
Daiki non rispose: ripensò alla possibilità che dentro quella cella ci fossero due innocenti - o almeno uno -, che il vero assassino fosse ancora in libertà, che la calligrafia di quella lettera fosse stata imitata. Esisteva ancora la remota possibilità che Kise potesse essere l'assassino, ed era un pensiero che si sarebbe ripresentato ogni volta che si sarebbero baciati o anche solo sfiorati, era un tormento che gli impediva di lasciarsi andare al turbinio del desiderio e di farci l'amore.
Aomine inspirò profondamente e dopo qualche secondo di esitazione si decise a rispondergli.
«Esiste la possibilità che ...» biascicò e si fermò per qualche istante «che sia ancora in libertà.»
Ryouta schiuse le labbra e balbettò qualcosa di insensato, aggrottando la fronte con espressione incredula.
«No!» Ryouta protestò a voce alta, attirando l'attenzione del compagno su di sé «li ... li hanno presi, Aominecchi!»
Daiki tornò a guardare davanti a sé e cercò di parlare, ma la voce di Kise sovrastò la sua.
«Tu dubiti ancora di me, vero?» la voce di Kise tremò e sembrò spegnersi.
«Kise, io–»
«Lascia perdere.» e dopo il tremolio iniziale, la voce dell'altro parve farsi detentrice di una rabbia trattenuta a stento.
«Immagino che sia opera di Akashicchi se riesci a malapena a toccarmi.»
Aomine si sentì in trappola e serrò le labbra in una smorfia di colpevolezza: Kise aveva colto nel segno.
«Visto che per te è così tanto difficile fare l'amore con me, non dovresti neppure stare qui.» Ryouta fece una piccola pausa e Daiki cercò invano il suo sguardo «potrei ucciderti mentre dormi.»

Aomine alzò gli occhi al cielo e sospirò esasperato, arreso all'idea che dietro quell'ironia si nascondesse la richiesta di lasciarlo solo.
Daiki lo vide sprofondare fra le coperte, si soffermò per qualche istante sui ciuffi biondi e disordinati appena visibili e finalmente si decise ad alzarsi e ad indossare i suoi vestiti: a quel punto sperava davvero di ricevere buone notizie, di essere riammesso al caso per inchiodare una volta per tutte il vero assassino e poter sistemare definitivamente le cose con Kise; fino ad allora, però, avrebbe dovuto lasciarlo in pace.


La vibrazione del cellulare fece tremare la superficie del comodino, il suono riecheggiò nella stanza e gli ferì le orecchie.
Con ancora gli occhi chiusi, Daiki si mise a sedere con un rantolio sommesso e cercò il cellulare a tentoni, rispondendo con la voce arrochita dal sonno una volta che lo ebbe trovato.
Quando sentì la voce del capo che lo esortava - quasi in modo scherzoso - a non dormire perché era stato riammesso al caso, Aomine sembrò ridestarsi quasi completamente dallo stato di intorpidimento mentale e fisico che il sonno gli aveva lasciato addosso.
«Ancora una cosa, Daiki.» la voce del capo sembrò farsi seria, svincolata dall'accento scherzoso che fino a poco prima l'aveva caratterizzata. Aomine, dal canto suo, rimase in silenzio e aspettò che l'altro procedesse.
«Sono stati emessi due mandati di perquisizione, uno per la casa e l'altro per lo studio medico di Midorima Shintarou.»
Daiki rispose con una sottospecie di muggito, per fargli capire che era ancora in ascolto.
«Ti ho assegnato allo studio medico, va bene?»
«A che ora?»
«Alle sedici.»
«Va bene.» non appena Aomine rispose, il tono del capo sembrò tornare venato d'allegria e, dopo avergli augurato buona fortuna, si congedò.
Daiki diede un'occhiata allo screensaver del cellulare e sospirò sommessamente: non c'erano né messaggi né chiamate.
Pensò di fare il primo passo, chiamare Kise e dirgli che poteva tornare ad occuparsi del caso, ma era una notizia che in quel momento lo avrebbe solo infastidito; allora valutò la possibilità di chiamare Akashi, ma si ricordò che era colpa sua se lui e il suo fidanzato avevano discusso - di nuovo -, per cui decise di lasciar perdere e si limitò a risistemare il cellulare al suo posto.


Daiki conosceva piuttosto bene la zona e sapeva esattamente in quale punto dell'edificio si trovava lo studio medico di Midorima, quindi se la prese piuttosto comoda e sfiorò il ritardo - a dire il vero non se ne sarebbe neppure accorto se qualcuno di sua conoscenza non glielo avesse fatto notare -.
«Vorrei sapere che diavolo ci fai qui.» Aomine brontolò e, senza neppure degnarlo di uno sguardo, cominciò a rovistare in una delle mensole «non sei autorizzato, a meno che tu non sia un poliziotto.»
«Non sono un poliziotto, ma il tuo capo mi ha permesso di stare qui, quindi temo che dovrai sopportare la mia presenza, Daiki.»
Aomine rivolse un'occhiata nervosa ad Akashi e schioccò la lingua contro il palato, in segno di protesta, per poi tornare a frugare nella mensola con più attenzione.
«Scommetto che ci sei anche tu dietro i due mandati di perquisizione.»
Seijuurou, che osservava attentamente il contenuto della mensola, accennò un sorriso compiaciuto.
«Altrimenti non lo troveremo mai.»
«Quanta fretta e quanta foga ...» Aomine esitò e afferrò una piccola agenda che sfogliò velocemente «se non ti conoscessi bene, comincerei a sospettare anche di te.»
«Di me?» Akashi ampliò il sorriso «se fossi l'assassino avrei ucciso qualcun altro, non Tetsuya.»
Daiki si fermò per qualche istante su una pagina dell'agenda, e non perché aveva trovato qualcosa di interessante, ma perché le parole di Akashi gli avevano messo i brividi e lo avevano immobilizzato.
«Comunque cerca di controllare meglio.»
E poi si sentì scuotere da uno spasmo di nervoso: gli girava continuamente intorno e gli parlava ogni volta che ne aveva l'occasione, uscendosene con frasi inquietanti in più occasioni, e come se non bastasse pretendeva perfino che svolgesse il suo lavoro senza alcuna sbavatura, come se il suo capo lo avesse mandato lì per controllare il loro operato e, in particolare, il suo.
«Sei troppo distratto, Daiki.»
Aomine strinse i denti e si ripeté mentalmente di stare calmo, di pazientare: anche lui, nei panni dell'assassino, avrebbe ucciso qualcun altro al posto di Kuroko, e la sua scelta sarebbe ricaduta proprio su Akashi.
Spalancate le ante di un piccolo armadio, Daiki non ebbe né il tempo di rovistare al suo interno né di aguzzare la vista per catturare le forme di alcuni oggetti nascosti nella penombra, perché la sua attenzione si spostò rapidamente alla tasca dei pantaloni, dove il cellulare aveva cominciato a vibrare energicamente.
Aomine si affrettò ad estrarre il cellulare dalla tasca sotto lo sguardo vigile di Akashi e rispose senza pensarci due volte.
Seijuurou, che non osò staccare il proprio sguardo dalla figura dell'altro, lo vide prima aggrottare leggermente la fronte, in un'espressione accigliata, poi roteare gli occhi e sbuffare sonoramente: doveva trattarsi di un collega, perché Daiki aveva cominciato ad esporgli la situazione allo studio medico e Akashi, pensando a questa eventualità, si mise ancor più sull'attenti pensando che chi si trovava all'altro capo del telefono poteva essere uno di quei poliziotti che avevano il compito di perquisire la casa di Midorima.
Aomine si congedò rapidamente e una volta risistemato il cellulare in tasca cercò di ignorare Akashi e di rivolgere la propria attenzione all'interno del piccolo armadio, ma Seijuurou lo punzecchiò immediatamente.
«Era uno dei poliziotti inviati a perquisire la casa di Shintarou?»
Daiki si immobilizzò e voltò lentamente il viso verso di lui, squadrandolo con le labbra increspate in una smorfia nervosa.
«Intercetti anche le chiamate, ora?»
Akashi sorrise e negò appena con il capo.
«Semplice intuito, Daiki.»
Aomine bofonchiò e tornò ad osservare l'interno del piccolo armadio, dando ad Akashi la conferma di quella intuizione: quello con cui l'altro aveva parlato fino ad un attimo prima era proprio uno di quei poliziotti che avevano il compito di perquisire la casa di Midorima.
«Non hanno trovato nulla.» dopo qualche istante, la voce di Daiki risuonò alterata da un lieve tremore, bassa, piena di rabbia e frustrazione per essere sempre al punto di partenza, ai piedi di un muro alto e impossibile da scavalcare, di fronte ad un vicolo cieco.
«Visto che sei così intuitivo ...» Aomine sbottò e si alzò in piedi, girando intorno con un sospiro nervoso «vedi di darmi una mano e di non ostacolare il mio lavoro.»
«Lo sai che non c'è pericolo.» Akashi ribatté immediatamente, con le labbra increspate in un sorriso sornione «sono molto più bravo di te.»


Usciti dallo studio medico anche gli ultimi due colleghi, Daiki avrebbe voluto fermarsi al centro della stanza e strapparsi i capelli per l'esasperazione: erano ancora al punto di partenza, ai piedi di un muro alto e impossibile da scavalcare, di fronte a quel maledetto vicolo cieco.
Akashi si era zittito da almeno un'ora - Aomine aveva notato immediatamente l'assenza di quel costante ronzio fastidioso e umiliante attorno alle sue orecchie - e se ne stava in fondo alla stanza, rivolto alla parete, impegnato a giocherellare con quella che doveva essere la riproduzione di una protesi dell'anca - o qualcosa di simile -.
«Forse dovremmo semplicemente arrenderci all'idea che è stato uno di noi, e che quella persona è Murasakibara.» Aomine parlò dopo qualche istante di esitazione, compiendo qualche passo verso l'altro.
«Tu ti fidi di me, Daiki?»
I passi di Aomine si arrestarono immediatamente: quella domanda lo aveva sorpreso, era come se Akashi, talmente tanto impegnato a giocherellare con quella protesi, non lo avesse neppure ascoltato e si fosse foderato le orecchie con una serie di pensieri esclusivamente suoi.
«Sinceramente preferisco non fidarmi di nessuno.»
Come poteva fidarsi di Akashi, se viveva nel costante dubbio che Kise potesse essere l'assassino?
«Peccato.» Akashi si lasciò scivolare di mano la protesi che, facendo attrito contro la superficie del mobile, produsse un rumore argentino, metallico «io mi fido di te.»
Aomine rimase in silenzio per qualche istante, senza sapere cosa dire, e dopo qualche attimo di esitazione optò per un repentino cambio di discorso.
«Dobbiamo andare, ormai sono le venti e siamo rimasti solo noi.»
Akashi si voltò e si diresse verso di lui senza dire nulla, così Aomine gli voltò le spalle e uscì velocemente dallo studio, prestando più attenzione al corridoio buio e silenzioso piuttosto che a quello che ormai poteva considerare a tutti gli effetti un collega.

«Daiki?»

La voce di Akashi gli parve ancora una volta più come un ronzio fastidioso, così Aomine alzò gli occhi al cielo e si allontanò di qualche passo dall'entrata dello studio medico, cercando di ignorarlo.

«Daiki, vieni qui.»




Angolo invisibile dell'autrice:

Scusatemi per il ritardo, ma fra esami, momenti di tristezza, altre fanfiction e inizio dell'università è stato un periodo un po' così.
Per il prossimo aggiornamento vi dico subito che dovrete aspettare un po', comunque cercherò di essere il più veloce possibile.
Ringrazio ancora tutti quelli che recensiscono o che hanno inserito la storia fra i preferiti, i seguiti o le ricordate e, visto che siamo al sesto capitolo, mi sembra giusto pubblicare una seconda rubrica dove ripeterò alcune cose e riassumerò la situazione dei personaggi dal IV al VI capitolo compresi: #RUBRICA#RigorMortis


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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII


Quando Aomine fece marcia indietro e raggiunse nuovamente l'entrata dello studio medico, si sentì privare del respiro e fu inizialmente incapace di rielaborare l'immagine che gli si era presentata davanti: Akashi aveva spostato il grande zerbino rosso ed era inginocchiato di fronte a quella che pareva essere a tutti gli effetti una botola.
«Merda...» Aomine strinse i denti e scattò in avanti, chinandosi di fronte ad Akashi e affrettandosi ad estrarre i guanti dalla tasca della giacca, indossandoli con un movimento rapido e concitato.
«Una botola sotto lo zerbino di uno studio medico non è certo qualcosa che si vede tutti i giorni, dico bene, Daiki?» Seijuurou sollevò il proprio sguardo in cerca di quello dell'altro e lo trovò solo per un istante, prima che Aomine afferrasse l'imposta e sollevasse il grande e spesso blocco di legno, rivolgendo la propria attenzione alla voragine buia e cercando di capire quanto fosse profonda.
Daiki rivolse una rapida occhiata a Seijuurou e infilò nuovamente la mano nella tasca della giacca, sospirando spazientito.
«Immagino che non resterai qui a fare la guardia, vero?»
Akashi lo fulminò con lo sguardo e quella risposta fu più che sufficiente.
«Allora metti questi, non si sa mai.» borbottò ed estrasse un altro paio di guanti dalla tasca della giacca, porgendoglieli e ritirando la mano una volta che Akashi li ebbe afferrati.
«Scendo.» Aomine imboccò, seppur un po' titubante a causa del buio, le scale; tastò il primo gradino con il piede cercando di capirne la larghezza e in modo da assicurarsi che non vi fossero alcune irregolarità e cominciò a scendere.
Akashi, dal canto suo, si affrettò ad indossare i guanti e imboccò le scale con la stessa cautela - forse anche più attenta e professionale - di Aomine.
«Ce ne sono parecchie, di scale.» una volta arrivato in fondo, Daiki estrasse il cellulare dalla tasca della giacca e proiettò la brillante luce emanata dallo screensaver sulle pareti, in cerca di un interruttore.
Appena Aomine ebbe trovato l'interruttore e la luce artificiale irradiò lo spazio circostante, Akashi accelerò il passo e scese in tutta fretta l'ultima decina di scale, rivolgendo immediatamente la propria attenzione allo spazio che si delineava oltre la figura dell'ex asso della Generazione dei Miracoli.
«Daiki...» Akashi si soffermò, in particolare, sulla grande bacheca appesa alla parete opposta e transitò accanto all'altro senza degnarlo neppure di uno sguardo.
Aomine non disse nulla: in verità avrebbe fatto volentieri a meno di trovarsi lì, avrebbe voluto che qualcosa gli impedisse di voltarsi e lo costringesse a risalire le scale e tornare allo studio medico, che una forza misteriosa gli facesse dimenticare di quella botola sotto lo zerbino. Chiuse gli occhi e inspirò appena, cercando di ritrovare un po' di lucidità, poi si voltò e la grande bacheca in fondo alla stanza attirò immediatamente la sua attenzione, soprattutto perché Akashi si trovava già immobile di fronte ad essa.
Daiki prese una grande boccata d'aria e si avvicinò lentamente alla grande bacheca; Akashi, dal canto suo, restò con lo sguardo fisso su di essa e in completo silenzio almeno finché l'altro non gli fu accanto.
«Sono articoli di giornale, risalgono a poco più di un anno fa.»
Aomine pensò che Akashi avrebbe potuto anche fare a meno di fornirgli quelle informazioni: lo vedeva da solo e, soprattutto, era facile immaginare che cosa ci fosse scritto su quei pezzi di carta, di conseguenza era quasi impossibile non indovinare il periodo a cui risalivano.
«Come ho fatto...» Daiki sospirò sommessamente e sfiorò con i polpastrelli inguantati della mano destra il nome che appariva su uno degli articoli «a non pensarci prima?»
«Forse perché la persona che credevamo di conoscere così bene è, in realtà, un individuo sconosciuto.» Akashi parlò piano, seguendo il movimento lento delle dita dell'altro sulla carta di giornale, grigia e sottile.
Alla bacheca erano affissi sei articoli di giornale di varia grandezza, due erano stati tagliati con estrema precisione, gli altri avevano i bordi irregolari ed erano sgualciti, sembravano essere stati strappati con rabbia.
Quegli articoli parlavano di un incidente avvenuto nel dicembre di due anni prima e, più precisamente, di due ragazzi che viaggiavano in auto in piena notte.
Faceva davvero molto freddo, era stato un inverno piuttosto rigido e Daiki lo ricordava perfettamente.
Dopo aver passato una tranquilla serata con gli amici, il guidatore aveva offerto un passaggio all'altro e aveva deciso di percorrere una strada poco praticata in modo da giungere a destinazione il prima possibile, ma il motivo della disgrazia era stato proprio quello: essendo un tratto difficilmente battuto, il freddo aveva cominciato a proliferare e sull'asfalto si erano formati lastroni di ghiaccio più o meno sottili. L'auto aveva improvvisamente slittato su uno di quei lastroni e il guidatore aveva perso il controllo del veicolo, che si era ribaltato una, due, tre volte.
Il guidatore ne uscì illeso, mentre il passeggero riportò gravi ferite e passò circa quattro settimane in coma, che infine si tramutò in stato vegetativo. Il due febbraio dell'anno dopo, i medici - con il consenso dei famigliari - staccarono la spina e ne decretarono l'effettivo decesso.
Il guidatore era Kuroko Tetsuya, mentre il passeggero era Takao Kazunari.
«Il due febbraio...» Aomine mormorò, continuando a sfiorare la carta di giornale.
«Lo stesso giorno in cui è morto Tetsuya.» Akashi parlò a voce bassa, estremamente amareggiato da quella situazione; Aomine, dal canto suo, non voleva crederci e aveva la sensazione di essere sul punto di vomitare: se era rimasto shockato all'idea che il colpevole potesse essere Murasakibara, figurarsi ora che si ritrovava di fronte a prove inconfutabili che inchiodavano un altro dei suoi ex compagni di scuola.
Seijuurou sospirò sommessamente e si scostò, si voltò e restò ad osservare il telone bianco che lasciava intravedere appena le sbarre di alcune gabbie e le siringhe presenti su un lungo piano di marmo.
«Daiki?» comprendeva perfettamente lo stato di shock in cui si trovava l'altro e gli sfiorò la spalla con un tocco delicato della mano, cercando di richiamare la sua attenzione.
Aomine gli rivolse un'occhiata confusa, quasi spaesata, ma restò in silenzio.
«Ci servono prove, giusto?»
«Sì.»
«Allora trovale. Sei un poliziotto.»
Daiki annuì appena, poi si voltò e restò ad osservare le siringhe poste sul piano di marmo, due vuote e una riempita a metà da un liquido trasparente, si avvicinò lentamente allo spesso telone bianco e lo sollevò, e all'improvviso uno squittio sommesso riecheggiò nell'ambiente circostante.
«Topi? Che diavolo ci fa con dei topi?»
Akashi non badò al tono nervoso di Aomine, piuttosto si soffermò su due gabbie in particolare, entrambe vuote, e decise di avvicinarsi a quella che aveva di fronte e aprire lo sportellino.
«Esperimenti.» rispose senza tradire alcuna emozione nella voce e afferrò uno dei topolini bianchi, stringendolo con delicatezza fra le dita della mano «Daiki, potresti passarmi la siringa?»
Aomine aggrottò la fronte e gli rivolse un'occhiata interrogativa, ma preferì non chiedergli quali fossero le sue intenzioni e afferrò la siringa ancora piena, porgendogliela immediatamente.
Akashi la afferrò in silenzio e allentò la stretta sul topolino, impegnato ad annusargli il dito con una certa insistenza.
Dopo un istante di esitazione, Akashi rafforzò la stretta sulla siringa e penetrò la pelle sottile del topolino con l'ago, premendo delicatamente lo stantuffo fino a che tutto il liquido non fu iniettato nel corpicino dell'animale.
«A-Akashi, sei impazzito?»
Akashi gli restituì la siringa e continuò a tenere il topolino stretto fra le mani, come se volesse trasmettergli un po' di calore per tranquillizzarlo e per rendere la sua agonia meno dolorosa.
Lo sentì muoversi con una certa concitazione, i baffetti sottili gli solleticarono i palmi delle mani, poi seguì uno squittio sommesso e l'immobilità. La rigidità della morte.
Quando Akashi schiuse le dita, Aomine restò a fissare il corpo immobile del topolino e poi rivolse la propria attenzione alla siringa, dove erano rimaste alcune gocce di liquido.
«Possibile che la solanina che avete trovato nel corpo di Tetsuya fosse contenuta in questo liquido?»
«Forse, ma non era in dosi letali.» Daiki estrasse una busta trasparente dalla tasca della giacca e vi inserì la siringa «forse la solanina non c'entra nulla, forse ha combinato qualcosa...»
Aomine ripose la busta sul piano di marmo, si chinò a terra e cominciò ad aprire ogni sportello, fermandosi solamente quando trovò due bottiglie di vodka.
«L'alcol. Potrebbe aver mischiato l'alcol con l'idrato di cloralio. Se i due elementi vengono miscelati, provocano incoscienza e intossicazione, e se l'idrato di cloralio viene sovradosato provoca‒»
«Shintarou ha detto di aver vaccinato Tetsuya.» si parlava di morte e Akashi lo sapeva, quindi lo interruppe prima ancora che l'altro potesse giungere alla conclusione.
Aomine restò a guardarlo in silenzio e si sollevò nuovamente in piedi.
«Ha cercato di depistarmi.»
«Cosa?»
«Shintarou ha ipotizzato che potesse trattarsi di una persona esterna, addirittura che potesse essere stato un corriere, ma ha anche puntato il dito contro Atsushi, che poco dopo è stato accusato.»
«Pensi che sia stato Midorima a...?»
«Sì, Shintarou deve aver messo la lettera nella giacca di Atsushi.»
Aomine gli fece segno di tacere per un istante e chiuse gli occhi, cercando di riordinare le idee: quella conversazione stava divenendo decisamente troppo concitata per i suoi gusti.
«Aspetta, come me lo spieghi che Himuro si è presentato da Kagami con una pistola e che era in possesso delle chiavi dell'appartamento di Tetsu?»
«È semplice: Shintarou è un dottore affermato e per questo dispone di molti soldi, credo lo abbia corrotto.»
«Corrotto?»
«È come ho detto ieri, Daiki: Himuro è innocente, ma evidentemente l'assassino gli ha promesso qualcosa in cambio, probabilmente del denaro, per cui ha accettato di scontare la pena al posto suo, ma ha indicato Murasakibara come reale assassino e si è autoproclamato mente per avere un'attenuazione, così, una volta uscito dal carcere, avrebbe ricevuto la somma contrattata e avrebbe potuto continuare ad assecondare la sua tossicodipendenza. Ovviamente deve essersi incontrato con Shintarou, che gli ha dato le chiavi.»
Daiki era spaventato e allo stesso tempo meravigliato dalla velocità con cui Akashi riusciva ad elaborare le prove e a ipotizzare i fatti.
«In sintesi, con la scusa del vaccino, Tetsuya è stato intossicato e, forse, una volta che Shintarou si è introdotto in casa sua, avvelenato con questo liquido. Poi il cadavere è stato impiccato per inscenare un suicidio.» Akashi si schiarì appena la voce «è probabile che Shintarou abbia utilizzato il segno lasciato dalla puntura della vacinazione per inserirvi la siringa contenente il liquido letale.»
Aomine annuì appena e si sfregò il mento, vagamente pensieroso.
«Quindi la sparizione del telefono fisso, del cellulare e del computer di Tetsu è stato solo un tentativo di depistaggio.»
«Sì, resta solo l'interrogativo delle chiavi.» Akashi si morse il labbro inferiore e si voltò, guardandosi intorno «è probabile che fosse in possesso di un doppione già da tempo, è ovvio che sia tutto premeditato.»
«Certo, ma non credo che Tetsu gli abbia affidato un doppione delle chiavi.»
«Infatti.» Seijuurou si mosse nuovamente verso la bacheca, per poi soffermarsi su altre mensole e sportelli «Daiki, al secondo piano dell'edificio c'è uno studio odontotecnico, vero?»
«Sì.» Aomine aggrottò la fronte e gli rivolse un'occhiata confusa «perché me lo chiedi?»
«Gli odontotecnici cosa fanno, Daiki?»
«Gli odontotecnici...?» emise un rantolio sommesso «gli odontoiatri...»
«Gli odontoiatri sono i dentisti, Daiki. Gli odontotecnici, invece, costruiscono protesi dentali utilizzando argilla, cera e gesso.»
Aomine restò in silenzio: non riusciva a seguire il ragionamento e non poteva negare di sentirsi frustrato riguardo al fatto che un giocatore di scacchi avesse già capito tutto e lui, che era un poliziotto, non avesse ancora capito nulla.
«Shintarou ha preso dell'argilla e vi ha immerso la chiave, probabilmente legandola con uno spago per estrarla, poi ha fatto sciogliere della cera e l'ha versata nel vuoto lasciato dalla chiave.»
«Ma che stai dicendo?»
«Ascoltami.» sembrava quasi che Akashi temesse che un'interruzione potesse fargli dimenticare un passaggio importante, aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se stesse cercando di ricordare qualcosa che aveva visto - forse aveva seguito un programma alla televisione? Ma un programma di che genere? Medico? Da quando gli interessava l'odontotecnica? -
«Bisogna attaccare una specie di tubicino alla cera, in modo che, una volta seccata, possa essere estratta senza che la forma si rovini. A questo punto Shintarou deve aver ottenuto la chiave di cera, ma aveva bisogno di un materiale più solido, quindi ha utilizzato il gesso.» Akashi fece una pausa e tornò a guardarsi intorno «bisogna conficcare il tubicino in una sfera di cera sulla quale viene sistemato un cilindro, e in questo cilindro viene versato del gesso.»
«Ma la chiave?»
«La chiave di cera che ha ottenuto prima era ancora legata al tubicino, che è stato conficcato nella sfera di cera. Ha aspettato che il gesso si solidificasse e poi lo ha messo in forno per far scogliere la cera, quindi ha ottenuto la sagoma della chiave su un materiale più duro e resistente. A questo punto credo che l'abbia portata a qualche esperto nella fusione dei metalli, dopotutto per riprodurre una vera chiave servono temperature molto alte e lui non avrebbe potuto farlo.»
«E l'idiota a cui è stato portato il calco di gesso non si è fatto nessuna domanda in proposito?»
«Shintarou avrà corrotto anche lui.»
«Akashi, è assurdo.»
Seijuurou lo incenerì con lo sguardo.
«Ho mai sbagliato, Daiki? Contatta lo studio odontotecnico e chiedi se recentemente hanno prestato del materiale ad un membro dello studio medico del terzo piano.»
Aomine sospirò spazientito e si avvicinò a passi rapidi alle scale «vado a vedere se c'è il numero sull'agenda di Midorima.»
Akashi non disse nulla, piuttosto lo vide incespicare sulle scale e distolse il proprio sguardo solamente quando scomparve dalla sua vista e il rumore di passi divenne uno scalpiccio confuso e sommesso.
Seijuurou inspirò appena e chiuse gli occhi, focalizzò la propria attenzione sullo squittio sommesso proveniente dalle gabbie e sull'odore di chiuso, sull'aria densa e umida che cominciava ad usurpare i suoi polmoni: era così sicuro che si trattasse di Ryouta, che aveva finito per ignorare l'evidenza e non si era reso conto di aver scambiato diverse ipotesi sul caso proprio con l'omicida di Tetsuya.
Akashi tornò alla bacheca, e fu in quel momento che notò una busta chiusa sull'orlo del piano di marmo.
La afferrò immediatamente e lesse a voce bassa la piccola scritta in kanji che campeggiava in alto a sinistra.
«Per Aomine.»



«Daiki!» quando Akashi fece capolino dalla botola, Aomine si voltò con il respiro smorzato dalla tensione e parlò a voce bassa, con il cellulare ancora fra le mani.
«È come hai detto tu.»
Certo che era come aveva detto lui, ma Seijuurou non badò alle sue parole e gli porse la busta chiusa, scuotendola leggermente per incitarlo ad afferrarla il prima possibile.
«Cos'è?» appena notò quella piccola iscrizione in kanji, in alto a sinistra, si sentì mancare il respiro e serrò le labbra in una smorfia.
Senza esitare oltre, Daiki afferrò la busta e strappò il bordo con un gesto concitato, estraendo velocemente il contenuto - cioè un pezzo di carta consunto e dai bordi irregolari sul quale campeggiava una scritta in kanji -.
«Corri a casa.» Aomine lesse il messaggio a voce bassa, rivolgendo una rapida e confusa occhiata ad Akashi.
Che senso aveva, quel messaggio? Midorima sapeva che lo avrebbero scoperto? E poi perché doveva correre a casa, visto che non c'era nessun altro?
Fu proprio quell'ultima domanda che fece scattare qualcosa in Aomine, e gli bastò osservare più attentamente Akashi per capire che avevano avuto lo stesso identico pensiero.
Sgranò gli occhi e schiuse le labbra in un singulto tremante, che dopo un breve e sommesso rantolio assunse l'aspetto di un nome a loro ben conosciuto.
«Kise!»



«Resta in macchina, va bene? E chiama la centrale.» Aomine accostò la volante e scese immediatamente.
«Ho capito.» Akashi, dal canto suo, si limitò a rispondere a voce bassa e pur restando seduto si guardò intorno con circospezione.
Giunto di fronte al portone, Daiki citofonò ad alcuni condomini di Kise e non appena la serratura scattò, varcò la soglia e imboccò le scale, salendole di corsa e con il fiato sospeso - era una fortuna che l'altro vivesse al primo piano, altrimenti sarebbe stato costretto a prendere l'ascensore che, però, lo avrebbe certamente rallentato -.
Giunto di fronte alla porta del fidanzato, frugò nelle tasche dei pantaloni e non appena trovò le chiavi si affrettò ad aprire la porta, la spalancò ed estrasse la pistola dalla fondina.
Aomine trattenne il fiato e strinse la presa sulla pistola: c'era troppo silenzio, ed era terribilmente insolito, perché Kise, avendo l'orecchio fine, lo sentiva sempre arrivare e correva a dargli il benvenuto strepitando stupidi nomignoli o stritolandolo con abbracci soffocanti.
Aomine aveva paura ed ebbe la tentazione di chiamarlo, ma così facendo tenere la sirena della volante spenta e citofonare ad altre persone per rendere il suo arrivo il meno evidente possibile sarebbero risultate vane accortezze.
Daiki si immobilizzò e sgranò gli occhi, il suo cuore saltò un battito e il suo corpo venne scosso da un fremito di terrore: c'era una striscia di sangue ancora fresco e lucente sul parquet, e macchie tonde e grandi più o meno quanto una tazzina di caffè che conducevano al salotto.
Strinse i denti così forte che per un istante la sua bocca perse la sensibilità e pensò di non avere più le gengive, le sue dita divennero pesanti come piombo e fredde come ghiaccio.
Giunto in salotto vide Kise steso a terra e Midorima chinato al suo fianco, intento a frugare in una valigetta sottile.
«Mi hai sottovalutato, Midorima! Credevi davvero che fossi così lento?!» Aomine gli puntò la pistola addosso, ma non riuscì a realizzare che cosa l'altro avesse appena estratto dalla valigetta.
Midorima si voltò e il suono vuoto e assordante di uno sparo risuonò nell'etere circostante.
Aomine gemette e si portò una mano alla spalla, accasciandosi contro lo stipite della porta, tuttavia, nel momento in cui Midorima gli transitò di fianco, riuscì a reagire e nel breve momento di colluttazione che seguì fu in grado di disarmarlo.
Aomine sentì i passi pesanti di Midorima farsi sempre più confusi e attutiti, sempre più irregolari e lontani; si ritrovò a terra, con la mano ancora premuta sulla spalla e la divisa intrisa di sangue, infine rivolse la propria attenzione a Kise, ancora riverso sul pavimento, e chiamò il suo nome con voce tremante.



«Dove stai andando, Shintarou?» la voce e lo sguardo tagliente di Akashi furono sufficienti per immobilizzarlo di fronte al portone dell'appartamento di Kise.
«Tu hai ucciso Tetsuya.» Akashi sfiatò e sollevò la mano, affondando la canna della pistola al centro del suo petto senza mai smettere di guardarlo «non hai mai accettato l'idea di aver perso una persona a te cara e hai deciso di dare questo tipo di dispiacere anche a me, Atsushi, Daiki, Ryouta e Momoi-san.»
Midorima sostenne il suo sguardo e non mosse un muscolo neppure quando il silenzio venne squarciato dall'urlo acuto di una sirena in lontananza.
«Volevo che mi vedessi, Akashi.»
«Io?» Seijuurou chiuse gli occhi solo per un istante «attirare la mia attenzione uccidendo le persone non è un metodo consigliabile, Shintarou. Vuoi che ti dica che sei stato in gamba?»
Akashi capì dal suo sguardo rassegnato e allo stesso tempo ancora ardente di entusiasmo che era così, che Midorima desiderava ricevere la conferma che, dopotutto, aveva compiuto un omicidio quasi perfetto.
«Non posso dirti nulla, Shintarou.»
Midorima schiuse appena le labbra e sgranò gli occhi, ma non riuscì a parlare.
«Io non ti vedo più.» due volanti si accostarono a qualche metro dalle spalle di Akashi, e quando i poliziotti intimarono a Midorima di tenere le mani in alto e avvicinarsi lentamente a loro, l'ex capitano del Teikou abbassò la pistola e lo guardò negli occhi un'ultima volta, calpestandolo e distruggendolo con poche parole pronunciate con voce bassa e serpentina.


«Mi fai schifo, Shintarou.»




Angolo invisibile dell'autrice:

IO VE LO AVEVO DETTO CHE AVRESTE DOVUTO ASPETTARE UN PO'.
Scherzi a parte, vi chiedo davvero scusa-- avevo intenzione di scrivere questo capitolo il prima possibile, ma l'università mi ha tenuto molto impegnata e ho preferito dedicare il tempo a mia disposizione ad altre fanfiction! ;3;
Comunque non avevo certo intenzione di lasciare incompiuta questa fanfiction, quindi eccoci arrivati al penultimo capitolo.
Ebbene sì, il colpevole è Midorima. E io sono davvero soddisfatta di me stessa, perché sono davvero pochissimi quelli che hanno indovinato (in verità ce n'era solo una di persona sicura della sua colpevolezza, ovvero Black_phoenix95, che un bel pomeriggio mi ha mandato un MP qui su EFP e mi ha fatto perdere cento anni di vita facendomi sentire scoperta/??/ ... beh, che dire? Brava 8'' )
Ora, so che il procedimento per duplicare le chiavi potrebbe anche non sembrare credibile, ma avevo visto una cosa simile in un telefilm e in seguito ho deciso di farmi spiegare un po' di cose da mia madre sulle protesi dentali perché lei ha studiato per diventare odontotecnico e quindi sa come utilizzare argilla, cera e gesso (probabilmente mi ha odiato perché comunque non fa l'odontotecnico e l'ho costretta a sforzare le meningi per ricordare ogni singolo passaggio del procedimento).
Spero davvero che questo capitolo sia risultato "piacevole" come gli altri, che sia riuscito a sorprendervi e ad emozionarvi e che, soprattutto, Midorima come colpevole sia una scelta credibile. Dopo avervi fatto attendere così tanto, deludervi è l'ultima cosa che voglio.
Ancor prima di cominciare a scrivere la fanfiction avevo pensato che l'assassino potesse essere Kagami, ma sinceramente non me la sono sentita di infangare così tanto la KagaKuro e quindi gli ho dato il ruolo del triste amante (?); poi avevo pensato che l'assassino potesse essere Kise, ma mi son detta: "No, Kise adora Kuroko!" e allora ho scelto di utilizzare Kise come "pupazzetto" e attraverso Akashi ho fatto in modo che la maggior parte dei lettori sospettasse di lui, quindi ho cercato un personaggio "insospettabile" e dal momento in cui ho deciso per Midorima ho cominciato a scrivere. Ammetto, però, che scrivendo mi sono resa conto che Kise da assassino sarebbe stato perfetto, perché ci sarebbe stata una grave collisione con Aomine e a me piacciono da morire questi drammi, ma era già tutto calcolato e non potevo cambiare le cose! ;3;
Ovviamente qui Midorima ha qualche problema mentale (ma dai?) perché si porta dentro la sofferenza per la perdita di Takao e di conseguenza un grande rancore nei confronti di Kuroko e anche una sorta di gelosia, perché vuole che Akashi abbia di lui la stessa considerazione che aveva per Tetsuya.
Vi informo che molto tempo fa ho steso altre trame di questo genere e progetto di scrivere fanfiction sullo stesso stampo di Rigor Mortis (quindi corte e con pochi personaggi) per poi riunirle in una raccolta unica... solo che devo trovare il tempo e le idee, ugh. E soprattutto devo vedere che effetto fa Rigor Mortis adesso che si è scoperta l'identità dell'assassino!
L'epilogo verrà pubblicato... il più presto possibile, ecco!
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo


Le palpebre tremarono, stuzzicate dalla fredda luce di febbraio che, probabilmente, si era insinuata oltre le tende stropicciate, attraverso qualche spiraglio.
Quando il fremito delle palpebre divenne così vigoroso da farle sollevare, anche se solo per un istante, riuscì – seppur ancora stordito dal sonno – a comprendere che la luce all'interno di quella stanza era molto più forte e accecante di quanto si aspettasse e che tutto, intorno a lui, era bianco.
Rifletté ad occhi chiusi, cercando di scacciare via le ultime tracce di sonno e quella sensazione di pesantezza alla testa.
La testa.
Si mosse appena e percepì un bruciore lancinante alle tempie, quindi serrò le labbra e le schiuse in un gemito spaventato non appena sopravvenne il vago e vaporoso ricordo dello sguardo di Midorima oltre le spesse lenti degli occhiali.
«A‒» rantolò sommessamente e quando aprì gli occhi gli sembrò che fossero pieni di lacrime, tanto la sua vista era appannata e confusa.
Lui dov'era?
«Aomi—»
Un cigolio vicino all'orecchio e poi una mano calda sulla sua, le dita strette in un rapido intreccio.
«Kise!»
Ryouta inclinò lentamente il viso e finalmente riuscì a mettere a fuoco ciò che gli stava intorno e, in particolare, il viso di Daiki.
«Aominecchi...» lo chiamò piano, increspando le labbra in un debole sorriso, per poi ricambiare la stretta della sua mano.
«Aominecchi?» quando Kise si rese conto che il braccio dell'altro era piegato e tenuto legato al petto da una fasciatura, ricordò con più chiarezza il viso di Midorima e di aver udito uno sparo, quindi assunse un'espressione terrorizzata «cosa... cos'hai fatto al braccio? Cos'è successo?!»
«Ohi, non cominciare a strillare, idiota!» appena lo vide intento a mettersi a sedere, Aomine gli adagiò la mano destra sul petto per fare in modo che restasse coricato.
«Midorimacchi è...» Kise tornò a guardare il soffitto e increspò le labbra in una smorfia amareggiata «Midorimacchi...»
«Lo hanno arrestato.» Aomine tornò ad intrecciare le proprie dita con quelle dell'altro, che dopo qualche istante di esitazione riprese a guardarlo.
«Hai il braccio rotto?»
«No, è per tenere la spalla il più ferma possibile.» Aomine accennò un sorriso «potrò vantare di essermi beccato una pallottola in servizio.»
Kise spalancò gli occhi e boccheggiò appena.
«T-ti ha sparato?»
«Non è niente di grave.» Daiki gli accarezzò la fronte e solo allora Kise si rese conto di avere una fasciatura attorno alla testa.
«Aominecchi, ma io...» esitò, sbattendo le palpebre un paio di volte «sono stato in coma?»
«Ah?» Aomine inarcò un sopracciglio e sfiatò sonoramente «Kise, ma che cazzo dici? Hai soltanto una ferita alla testa, idiota.» ma nella valigetta che Midorima si era portato appresso erano stati rinvenuti anche una siringa e una boccetta contenente il liquido letale che lui e Akashi avevano trovato nello scantinato, e lui era infinitamente sollevato che la pelle di Kise non fosse stata neppure sfiorata dalla punta dell'ago.
«E gli altri? Gli altri come stanno?»
«Bene.» per quanto si potesse stare bene, considerando che uno di loro era un assassino «Akashi è andato a prendere Murasakibara.»
Kise annuì appena, poi, in quell'istante di silenzio che seguì, rivolse un sorriso ad Aomine, che cominciò ad accarezzargli il dorso della mano con il pollice e abbassò il capo, vagamente imbarazzato.
«Kise?»
«Che c'è?»
«Scusami...» Daiki rafforzò l'intreccio delle loro dita «scusami se ho dubitato di te.»
«È anche colpa mia, Aominecchi.» Kise sollevò la propria mano, trascinandosi dietro anche quella di Aomine, come se volesse guardare – e fargli guardare – le loro dita intrecciate.
«Avrei dovuto mostrare maggior comprensione nei tuoi confronti, e invece non ho fatto altro che renderti le cose ancora più difficili con i miei capricci.»
Aomine osservò le loro mani e le loro dita intrecciate, poi lo guardò negli occhi e ricambiò il suo sorriso.
«Sono contento che tu sia qui con me.» confessò Kise, con la voce vagamente tremante per l'imbarazzo e il grande sollievo che all'improvviso si era irradiato nel suo petto.
«Anche io.» Aomine, dal canto suo, non poté far altro che ampliare il sorriso e chinare il viso per baciarlo.



Akashi seguì il movimento lento e vagamente ondulatorio di Murasakibara, che si era diretto verso di lui subito dopo aver varcato la soglia del carcere e quindi essersi lasciato alle spalle quella grande e silenziosa struttura dall'aria sterile e tetra.
Subito dopo essere venuto a conoscenza dell'arresto di Midorima, Himuro aveva confessato il suo accordo con l'assassino e aveva sottolineato il fatto che Murasakibara fosse innocente, evidentemente pentito delle sue scelte.
«Le hai portate?» Murasakibara parlò a voce bassa e si fermò proprio di fronte a lui, all'improvviso assunse l'aspetto di un alto muro di carne che il sole era impossibilitato a scavalcare.
Akashi lo guardò e accennò un sorriso silenzioso, poi strattonò la lampo del borsone e frugò al suo interno.
«Mi dispiace che tu sia stato costretto a tutto questo.» strattonò nuovamente la lampo per chiudere il borsone e gli porse il pacchetto di caramelle, che Murasakibara gli strappò di mano e aprì con un movimento nevrotico e concitato delle dita delle mani.
«Sono felice di vederti, Aka-chin.» Murasakibara afferrò una manciata di caramelle e si riempì la bocca sotto lo sguardo attento di Akashi: molto probabilmente per lui stare lontano dai dolci – o comunque dal cibo spazzatura – equivaleva all'astinenza da droga alla quale avrebbe dovuto sottoporsi Himuro.
«Anche io, Atsushi.» Seijuurou rispose sinceramente e cominciò a camminare, immediatamente affiancato dall'altro «sono contento che tu sia stato scagionato. Ero sicuro della tua innocenza.»
Murasakibara smise di masticare e gli rivolse un'occhiata interrogativa, ma fu questione di pochi secondi prima che si infilasse un altro paio di caramelle in bocca e riprendesse a biascicare con espressione trafelata, estasiato dal sapore dolce che all'improvviso aveva preso possesso della sua bocca.
Atsushi era davvero felice che fosse finita, perché per quei pochi giorni passati in carcere aveva pensato che non sarebbe mai riuscito a reggere per più di un mese e aveva convissuto con l'odio, con la paura e con un amaro sentimento di delusione e di spaesamento.
Himuro aveva confessato di essersi incontrato con Midorima per dargli la pistola e ricevere, in cambio, il doppione delle chiavi di Kuroko, aveva detto – proprio come aveva ipotizzato Akashi – che lo aveva fatto per soldi e aveva deciso di additare Murasakibara come vero e proprio assassino in modo che la sua pena venisse attenuata, tuttavia, la sera precedente, la sua prima dichiarazione alla notizia dell'arresto del vero assassino aveva riguardato l'innocenza dell'ex asso dello Yousen.
«Aka-chin?» Atsushi era venuto a conoscenza di ogni cosa nella notte ed era rimasto sveglio fino all'alba, ad interrogarsi sui suoi sentimenti nei confronti di Tatsuya «credi che dovrei andare a trovarlo?»
«Parli di Himuro?» Akashi gli rivolse un'occhiata colma di disappunto, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione alla lunga lingua di asfalto scuro che correva di fronte a loro e sfumava all'orizzonte «dipende da te, Atsushi.»
Murasakibara rallentò leggermente e rivolse un'occhiata vagamente malinconica al più piccolo, per poi serrare le labbra e inspirare appena.
«Non credo che riuscirò a perdonarlo.» anche se aveva trascorso pochi giorni e poche notti in prigione, Murasakibara si era sentito ferito a morte dal comportamento di Himuro e aveva pensato che confessandosi avesse fatto solo il proprio dovere, probabilmente bisognoso di alleggerire la propria coscienza.
«Questo te lo saprà dire il tempo.» Akashi mormorò, stringendo fra le dita la cinghia ruvida e tesa del borsone.
«Andiamo da Se-chin?»
«Purtroppo non ne avrò il tempo.»
«Perché?»
«Fra un'ora giocherò la finale del torneo di shogi e subito dopo tornerò a Kyoto, è già tutto stabilito.»
«Oh...» Murasakibara smise di masticare e chinò il capo con fare dispiaciuto «devi tornare a casa proprio adesso, Aka-chin?»
«Sì.»
«E non ti sentirai solo?»
Akashi lo guardò e restò in silenzio per qualche istante.
«Solo? È da quando è morto Tetsuya che ci sentiamo tutti più soli, Atsushi.» parlò con calma imperturbabile, la voce bassa e ferma «potrei chiederti un favore?»
Murasakibara lo esortò a continuare con la sola forza dello sguardo.
«Potresti porgere i miei saluti a Ryouta e Daiki?» e le labbra di Akashi si incresparono in un sorriso forzato e vagamente malinconico, una smorfia di dolore trattenuto che Murasakibara contemplò con occhi bagnati, lì dove il riflesso di quel giovane viso trafitto dalla sofferenza era più nitido e profondo.



Non era stata la compassione a condurlo da lui, ma solo un vago sentimento di umanità, la ferrea volontà di seguire il buon senso pur di assicurarsi che in futuro non sarebbe stato divorato dai rimorsi.
Si trovava lì e da qualche minuto si ostinava a rimanere, anche se non avevano niente da dirsi, anche se il loro silenzio lo feriva.
Kagami cercò di guardarlo negli occhi un'altra volta, ma, nonostante Himuro lo fissasse con insistenza, lui non riusciva a sostenere il suo sguardo neppure per un secondo: percepiva un intorpidimento alla bocca dello stomaco, un dolore diffuso al ventre e un nauseabondo sentore di sangue nella bocca. Gli veniva da vomitare solo a guardarlo, perché quello che gli stava di fronte, oltre uno spesso vetro opaco, aveva speculato sulla morte del suo fidanzato nonostante in passato la loro amicizia fosse stata così forte da tramutarsi in uno stretto e viscerale rapporto fraterno.
«Volevo soltanto dirti che non tornerò a trovarti.» Taiga sfiatò a fior di labbra, il capo chino e lo sguardo basso.
A ruoli invertiti, forse Tatsuya sarebbe andato a trovarlo e avrebbe continuato a serbargli rancore, mentre lui era paradossalmente disposto a perdonarlo ma sentiva che non sarebbe mai più riuscito a guardarlo in faccia, a parlargli o, semplicemente, a condividere il suo spazio vitale e a respirare la sua stessa aria.
«Questa è l'ultima volta.» serrò le labbra, poi le schiuse in un fremito e cercò di pronunciare il suo nome, ma dalla sua bocca fuoriuscì soltanto uno sbuffo di aria calda.
Himuro, dal canto suo, era perfettamente consapevole di quanto fossero imperdonabili le decisioni che aveva preso nei riguardi dell'omicidio di Kuroko – soprattutto dal punto di vista di Kagami –, quindi, sicuro che l'altro non sarebbe riuscito a sopportare neppure la sua voce, restò in silenzio e si limitò ad annuire con un debole cenno del capo.
Kagami non disse nient'altro, piuttosto si alzò all'improvviso e, dopo qualche istante di immobilità, accennò un paio di passi titubanti e, finalmente, gli diede le spalle, per poi dirigersi in fretta verso l'uscita.
Himuro socchiuse gli occhi, cercando di ignorare lo spesso strato acquoso che pareva bruciargli le sclere come acido e pizzicargli il contorno delle pupille e delle cornee con tanti, piccoli spilli, quindi serrò le labbra nel tentativo di trattenere un singhiozzo e le increspò in una smorfia di dolore che, a poco a poco, sembrò diramarsi in fitte trame sotto la pelle pallida e sottile e deformare il suo volto.
Lo guardò andare via senza poter dire o fare nulla. Lo guardò andare via e, forse per la prima volta in tutta la sua vita, anche lui si sentì privato di qualcosa: era come se, all'improvviso, qualcuno avesse gettato via il perno che reggeva tutto il suo mondo e che, fino a quel momento, gli aveva impedito di sgretolarsi.



Chiuse gli occhi e inspirò appena, focalizzò la propria attenzione sulla superficie liscia e fredda a contatto con il palmo della sua mano e infine, sollevate le palpebre leggermente arrossate, si ritrovò a osservarne la forma morbida e sinuosa, a contemplare le sfumature del marmo grigio e a tastarne lo spessore lasciando scivolare le dita lungo i bordi.
Lesse mentalmente l'incisione in kanji, poi, dopo qualche istante di esitazione, lo fece sussurrando, come se non riuscisse ancora a crederci e avesse avuto bisogno di ripetersi più e più volte che quella davanti alla quale era inginocchiata era la lapide di Kuroko.
Momoi non era più arrabbiata con lui, sentiva soltanto un grande vuoto pesarle sul petto, avvertiva una mancanza nella sua vita e molto spesso si sorprendeva a fantasticare sui momenti passati con gli occhi bagnati di nostalgia.
Ricordava spesso il momento in cui, alle medie, aveva creduto che la spaccatura – all'epoca sottile e appena accennata – che si era imposta fra tutti loro fosse irreparabile e destinata a tramutarsi in voragine e quindi era scoppiata a piangere a dirotto, e ora si ritrovava completamente annichilita di fronte a quell'incubo che, dopo averla perseguitata per anni, era divenuto parte di una realtà dolorosa e inconfutabile.
Quello spiacevole avvenimento avrebbe contribuito, senza alcun dubbio, ad avvicinare lei, Kise, Aomine, Murasakibara, Akashi e Kagami, ma tutti e sei ne uscivano rotti e senza la possibilità di aggiustarsi.
Sua madre le diceva spesso che non importava quanta colla si usasse per riparare un piatto rotto, perché una volta spezzata la sua integrità, questo, anche se ricostruito con precisione, resta brutto e imperfetto e mai tornerà come prima.
Satsuki chiuse gli occhi, ascoltò il cinguettio lontano e scostante di un passero e il fruscio sommesso delle foglie secche che, trasportate dal vento freddo, correvano lungo i viali asfaltati del cimitero.
Pensò alle carezze gentili di Kuroko, alle loro dita intrecciate, alla sua voce imperturbabile e al profumo della sua pelle, quasi impercettibile, eppure meraviglioso.
Due lacrime calde le rigarono il viso: lei era uno dei tanti piatti rotti, e i suoi frammenti, tenuti insieme da uno strato sottile di colla, tremavano e fremevano ad ogni carezza.
Niente sarebbe tornato come prima, e Satsuki lo sapeva.




L'angolino invisibile dell'autrice:

È FINITA!
Ancora non ci credo, aiuto! *3*
Non ho niente da dire, insomma... solo grazie a tutti voi che avete seguito silenziosamente, avete recensito oppure avete invaso la chat di FB per chiedere spoiler/che non vi ho dato/e mi avete dato una spinta per andare avanti e portare a termine questa long!
Escludendo la recente long scritta per un contest, erano secoli che non concludevo una fanfiction e, anche se si tratta solamente di sette capitoli più l'epilogo sono davvero contenta.
È stata molto più impegnativa di tante altre, in verità, e la ricorderò sempre per alcune scene, soprattutto quelle fra Akashi e Aomine, che mi sono divertita un mondo a scrivere, ecco.
Comunque siete degli incoerenti (?), tutti ad additare Kise come colpevole e poi a pregarmi di non ucciderlo ùwù --- beh, alla fine vi ho accontentati, in questa fanfiction non ho mai pensato di ucciderlo, volevo dare il lieto fine all'AoKise ;u;
Giustamente, trattandosi della fine, ho deciso di ritagliare uno spazio per tutti i personaggi (tranne che per Midorima, che non se lo merita) e ho voluto chiudere con Momoi, che forse, tirando le somme, è quella che ha subito più delusioni da questa vicenda ma che, nonostante tutto, ha deciso di restare legata a Kuroko nel bene e nel male.
Come ho già detto in occasione del penultimo capitolo, forse un giorno pubblicherò altre fic come questa (anche se prima ne vorrei portare a termine altre, ugh).
Piccoli appunti sull'insieme della storia e sul rapporto fra i personaggi: non si fosse capito, Akashi è innamorato di Aomine; Himuro è “invaghito” o per lo meno esige le attenzioni di Kagami e Murasakibara è vagamente infatuato di Himuro (anche se, come viene detto qui, non è disposto a perdonarlo per quello che ha fatto).
Per il resto ne approfitto per farmi pubblicità: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl
Ancora grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questa avventura strappa feels! ;33;
Addio!

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