OCCHIO PER OCCHIO

di Abby_da_Edoras
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo e ultimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Era pomeriggio inoltrato e diluviava mentre Ali e Hassan attendevano l’autobus che li avrebbe condotti a casa di un loro paren

Era pomeriggio inoltrato e stava diluviando mentre Ali e Hassan attendevano l’autobus che li avrebbe condotti a casa di un loro parente in Hazarajat. I due cercavano di ripararsi alla meglio dalla pioggia scrosciante che li aveva infradiciati da capo a piedi, mentre tentavano inutilmente di proteggere le loro povere cose. Nessuno dei due parlava.

L’autobus era in ritardo come sempre. Ad un certo punto i due si accorsero di non essere più soli: una terza figura si era come materializzata dalla pioggia e si stava dirigendo verso di loro. Ali trasalì leggermente e Hassan chinò ancora di più il capo nel momento in cui entrambi riconobbero Assef, ben riparato sotto un grande ombrello e con indosso un lungo impermeabile. Lui di certo non si sarebbe infradiciato fino alle ossa.

“Guarda che strani incontri si possono fare in un pomeriggio piovoso. Cosa ci fanno i due Nasipiatti di Amir sotto questo diluvio?” chiese, ostentando interesse.

“Aspettiamo l’autobus, se ti compiace, agha.” rispose Ali in fretta, sperando che il veicolo arrivasse al più presto e li salvasse da quella situazione incresciosa. Lui sapeva che quel giovane era sadico e crudele, sapeva quello che aveva fatto a suo figlio e desiderava solo non doverlo rivedere mai più.

Assef rise.

“Questo lo avevo immaginato, visto che siamo alla stazione degli autobus. Quello che volevo sapere era: perché due inutili hazara come voi dovrebbero prendere l’autobus? E dove sono i vostri affezionati padroni? Vi hanno concesso una vacanza?”

L’accenno a Baba ed Amir colpì dolorosamente Ali e suo figlio. Era passato così poco tempo dalla loro forzata separazione… Ali non avrebbe mai voluto raccontare i fatti suoi al suo peggior nemico, ma se non lo avesse accontentato Assef avrebbe potuto far loro del male e comunque l’autobus sarebbe presto arrivato.

“Non lavoriamo più per agha sahib. Abbiamo deciso di trasferirci da mio cugino in Hazarajat. È… la decisione migliore per tutti.” disse a bassa voce. L’ingiusta umiliazione che lui, e soprattutto Hassan, avevano dovuto subire di fronte a Baba gli bruciava ancora dentro come un acido.     

La novità inaspettata ebbe il potere di ammutolire Assef, ma solo per pochi istanti. Si riprese immediatamente, intuendo come poteva sfruttare la nuova situazione a proprio vantaggio.

“In effetti quello è l’unico posto dove gli hazara meritano di stare.” replicò.

Fece una pausa e Ali sperò con tutto il cuore che la risposta lo avesse soddisfatto e che Assef se ne sarebbe finalmente andato. In fondo non era lui che proclamava che l’Afghanistan doveva liberarsi dei parassiti ed appartenere solo ai pashtun? A ben vedere, gli stavano addirittura facendo un favore. 

“Riflettendoci, però, mi sembra uno spreco di risorse. Non sto parlando di te, sei solo uno storpio e non puoi servire più a niente. Ma Hassan è giovane e, mi dicono, molto abile nello svolgere i suoi compiti.” Il tono era cattivo e suggeriva molto più di quanto non potessero fare le parole.

Il ritardo dell’autobus era preoccupante: forse aveva avuto un guasto o si era bucata una gomma. In tal caso sarebbero dovuti rimanere lì per ore. Cosa avrebbero potuto fare?

“A casa mia avremmo bisogno di un servitore svelto e capace. La maggior parte dei nostri sono ormai anziani e proprio ieri mia madre se ne lamentava. Credo che le farei molto piacere se le portassi il piccolo Hassan.” concluse con noncuranza.

“Mio cugino ci aspetta…” provò a dire Ali, ma sapeva che era perfettamente inutile. Se Assef aveva deciso di portarsi a casa il ragazzo lo avrebbe fatto; in caso contrario li avrebbe probabilmente massacrati entrambi di botte prima dell’arrivo dell’autobus.

“Tuo cugino sarà ben felice di ritrovarsi una bocca in meno da sfamare. E tu sei così ansioso di portare il tuo prezioso figlioletto a marcire in Hazarajat? Non è che un letamaio. In casa mia sarebbe un servitore, certo, ma almeno avrebbe da mangiare e un tetto sopra la testa.” insisté il giovane in tono quasi oltraggiato perché la sua generosa offerta non era stata accolta con l’entusiasmo che avrebbe meritato.

La situazione stava peggiorando di momento in momento e l’autobus non accennava ad arrivare. Fu allora che Hassan aprì bocca per la prima volta da diverse ore.

“Se è questo che agha sahib desidera… forse è davvero meglio così. Agha sahib è veramente molto gentile ed io non voglio offenderlo ancora con un rifiuto.”

“Vuoi davvero andare a lavorare per lui?” esclamò Ali, incredulo e sconvolto.

Agha sahib mi ha generosamente offerto un lavoro ed io non sono nelle condizioni di poterlo rifiutare. Non abbiamo niente e non sappiamo cosa ci aspetta in Hazarajat.” In compenso, Hassan sapeva benissimo cosa aspettarsi se fosse davvero diventato servitore di Assef, ma era talmente terrorizzato al pensiero che il giovane potesse arrabbiarsi e fare del male a suo padre da decidere di sacrificarsi ancora una volta.

“La pioggia deve avere schiarito le idee al piccolo hazara: è diventato molto più saggio dall’ultima volta che l’ho incontrato.” ribatté soddisfatto Assef. Evidentemente la lezione che gli aveva impartito era stata salutare. Non avrebbe alzato più la cresta, ci avrebbe potuto scommettere.

“Bene, allora siamo d’accordo.” concluse “Prendi le tue cose e seguimi.”

Hassan obbedì. Il volto di Ali era una maschera di dolore e preoccupazione e il ragazzo non ebbe cuore di guardarlo.

“Andrà tutto bene. Stai tranquillo e abbi cura di te, io me la caverò.” gli sussurrò prima di allontanarsi.

Ali lo fissò mentre camminava lentamente sotto la pioggia dietro al suo nuovo padrone, cercando di imprimersi nella mente ogni particolare della sua figura, consapevole che non lo avrebbe rivisto mai più. 

L’autobus arrivò pochi minuti dopo, ma per Hassan era già troppo tardi.  

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


La convivenza forzata tra Assef ed Hassan non iniziò sotto i migliori auspici

Ma nemmeno Ali salì sull’autobus. L’automezzo si fermò davanti a lui e ripartì, mentre l’uomo continuava a fissare l’angolo dietro al quale aveva visto scomparire il suo adorato figlio. Quanod Hassan si era allontanato, seguendo malinconicamente Assef, Ali aveva avuto una sorta di premonizione, un brivido gelido lungo la schiena che gli aveva fatto pensare che non avrebbe mai più rivisto il suo bambino.

Improvvisamente prese una decisione: sarebbe tornato indietro, non importava quanto tempo e quanta fatica ci sarebbero voluti. Avrebbe fatto ritorno a casa di Baba e gli avrebbe spiegato come stavano le cose, supplicandolo di intervenire in qualche modo, di andare a riprendere Hassan e di non lasciarlo nelle grinfie di quel ragazzo malvagio e perverso. Sapeva che non avrebbe mai potuto rivelare a Baba tutta la verità, Hassan glielo aveva fatto promettere fra le lacrime durante quella notte terribile di pochi mesi prima, ma avrebbe comunque potuto raccontare che Assef non faceva che perseguitare suo figlio ed Amir ovunque andassero, che aveva cercato più volte di far loro del male e che, se aveva preso Hassan in casa sua, certo era per qualche scopo crudele.

 

Amir era chiuso nella sua stanza, seduto alla scrivania e sfogliava un libro senza riuscire a concentrarsi sulle parole. Continuava a rileggere la stessa frase senza capirne il significato. In realtà davanti agli occhi non aveva la pagina del libro, bensì la macchina di Baba che si allontanava sotto la pioggia, portando via per sempre Hassan dalla sua vita.

Si ripeteva che aveva fatto bene, che in quel modo Assef non avrebbe mai più potuto avvicinarsi ad Hassan per fargli del male e che aveva agito nel modo più giusto. Ma una vocina irritante gli rimbombava in testa ogni volta che tentava di trovare qualche scusa plausibile.

“Meglio per chi? Meglio per Baba, che da quando è tornato si è rinchiuso nello studio, schiantato dalla perdita dell’amico più caro? Meglio per Ali, umiliato e costretto a cercare rifugio da dei parenti che forse non lo accoglieranno con piacere? Meglio per Hassan, mortificato e tradito da quello che credeva il suo amico? Meglio per chi? Meglio solo per te, che hai allontanato chi poteva dire la verità, meglio per il tuo senso di colpa. Meglio per te, meglio solo per te, per quel piccolo egoista viziato che sei. Ti credi poi così migliore di Assef?” gli ripeteva la vocina.

Amir si tappava le orecchie, ma non poteva farla tacere, perché la voce non proveniva da fuori, bensì dalla propria coscienza.

Quanto tempo era trascorso da quando Baba era ritornato dopo aver accompagnato Ali ed Hassan alla fermata dell’autobus? Due ore? Forse tre? Ad un tratto Amir udì bussare alla porta.

Il suo primo impulso fu quello di lasciar perdere, tanto ci avrebbe pensato qualcun altro ad aprire; poi, con raggelante certezza, si rese conto che nessuno avrebbe aperto la porta perché non c’erano più Ali o Hassan a poterlo fare. Quello fu il primo momento in cui il ragazzino avvertì davvero il vuoto della perdita: niente passettini affrettati, niente vocetta gioiosa ad avvertire dell’arrivo di un visitatore. Niente, mai più. 

Strofinandosi bruscamente gli occhi per nascondere le lacrime, Amir si alzò dalla scrivania e corse di sotto ad aprire all’importuno che continuava a bussare con insistenza. Grande fu la sua sorpresa quando si trovò di fronte Ali, bagnato fradicio e tremante, sfinito dalla fatica e con le sue povere cose ancora strette al petto. Solo gli occhi sembravano mantenere una scintilla di vitalità e lo fissavano con qualcosa di molto simile all’odio.

“Tuo padre è in casa, Amir agha? Devo parlargli immediatamente.” disse subito, senza fingere deferenza verso Amir. Lo riteneva il primo responsabile di ciò che era accaduto al suo povero bambino.

Amir era talmente sbalordito da non riuscire né a muoversi, né a parlare. Sarebbero rimasti lì per il resto della serata se Baba, che aveva udito bussare e poi la voce, non si fosse precipitato giù a ricevere l’amico.

“Ali!” esclamò con gioia “Sei ritornato! Sono felicissimo che tu abbia cambiato idea, ma come hai fatto a fare tutta quella strada a piedi? La tua gamba… sei tutto bagnato, entra, presto, prima di ammalarti. Ma… perché Hassan non è con te?”

Baba parve capire in quell’istante che era avvenuto qualcosa di molto grave. Il volto di Ali si rabbuiò e l’uomo si fece condurre in salotto quasi senza accorgersene.

“Non c’è tempo, agha sahib, sono tornato per chiedere il tuo aiuto. So di non meritare niente dopo quanto è successo, ma ora… si tratta di Hassan e tu devi aiutarmi.”

I due uomini non si erano accorti che Amir li aveva seguiti ed ora li ascoltava sempre più pallido. Cosa era successo ad Hassan? Qualunque cosa fosse accaduta sarebbe stata colpa sua, non poteva fingere di non saperlo. Forse era finito sotto l’autobus o magari dei soldati lo avevano aggredito? La stanza cominciò a girargli attorno vorticosamente.  

“Stavamo aspettando l’autobus quando è arrivato Assef agha e ci ha chiesto cosa facevamo lì. Quando è venuto a sapere che io e mio figlio eravamo diretti in Hazarajat si è offerto di prendere Hassan in casa sua, come suo servitore personale.”

“Mi sembra un bel gesto da parte sua.” commentò Baba che non poteva comprendere la reale portata della notizia “La famiglia di Assef è molto ricca e immagino che Hassan starà meglio con loro che in Hazarajat. Ti avevo già detto che non ero affatto d’accordo con la vostra decisione.”

Amir pensò che sarebbe svenuto o che avrebbe vomitato sul tappeto. Chi poteva prevedere una simile mossa da parte di Assef? Era assurdo, grottesco… era come se glielo avesse consegnato lui personalmente. Cosa aveva fatto? E Baba sarebbe riuscito a rimediare?

“No, agha sahib, tu non sai la verità!” insisté Ali, raggelando il sangue di Amir che si vide smascherato “Assef si comporta sempre gentilmente davanti a te e alle persone di riguardo, ma è un prepotente ed un arrogante con i più piccoli e più deboli di lui. Molte volte, incontrandomi per strada, mi ha deriso ed offeso per via della mia gamba, mi ha tirato contro dei sassi e sono anni che perseguita Hassan e tuo figlio Amir. Li spaventa, li minaccia ed è giunto fino al punto di picchiare Hassan perché aveva difeso Amir.”

Baba non sembrò particolarmente colpito da queste parole.

“Assef è un ragazzo, Ali, non dimenticarlo. Ha solo un anno o due più di Amir e può sbagliare e comportarsi male come tutti i ragazzi.” rispose, minimizzando l’intera faccenda “Certo non mi fa piacere sentire che ti ha offeso o che ha picchiato Hassan, ma non è la prima volta che tuo figlio torna a casa pesto, graffiato e sanguinante per aver difeso Amir, visto che lui non sa farlo da solo. Non sono cose edificanti, questo è vero, ma anch’io ai miei tempi avevo un brutto carattere e ho fatto spesso a pugni con altri ragazzi. Assef ha personalità, cosa che ad Amir manca totalmente. Indubbiamente certe volte avrà esagerato, ma crescendo maturerà. Non penso affatto che abbia preso in casa Hassan per continuare a perseguitarlo o a fargli del male, è più probabile che abbia semplicemente voluto fare uno sgarbo ad Amir.” 

Sembrò accorgersi solo in quel momento della presenza del figlio nel salotto.

“Ah, sei qui? Tu cosa ne pensi, Amir? Non hai mai dimostrato grande simpatia per Assef e forse ora ne capisco la ragione, ma non vorrai davvero farmi credere che Hassan corra dei pericoli in casa sua?”

Sotto lo sguardo duro di Baba e quello intenso di Ali, Amir non poté fare altro che continuare a mentire.

“No, io… non lo credo. Però forse dovresti andare a parlarci tu, così vedresti se Hassan sta bene oppure…”

“Hai una bella faccia tosta a preoccuparti di Hassan dopo aver fatto tutto ciò che potevi per mandarlo via. Io sono certo che si troverà molto meglio a casa di Assef che qui con te in balia dei tuoi capricci. Ad ogni modo andrò a parlare con Assef per tranquillizzare Ali, ma ad una condizione.” concluse Baba “Tu, Ali, dovrai tornare a lavorare per me e non voglio mai più sentirti parlare dell’Hazarajat! Se Hassan è a servire in casa di Assef non c’è più motivo che anche tu debba andartene, in fondo il vero problema era lo strano atteggiamento di Amir nei confronti di tuo figlio, non è forse così?”

“Farò quello che vuoi, agha sahib, ma ti supplico, pensa tu al benessere di Hassan.” rispose Ali, ben poco tranquillizzato.

 

Amir ritornò in camera sua e si buttò sul letto sentendosi soffocare. Aveva sbagliato tutto, aveva buttato Hassan nelle grinfie di Assef e adesso chissà cosa gli sarebbe accaduto? Dopo quello che era successo quell’inverno potevano aspettarsi di tutto da Assef. Perché lo aveva mandato via? Perché aveva voluto credere che fosse la scelta migliore per tutti, quando invece lo era solo per lui e per i suoi rimorsi?

Rivedeva attorno a sé Hassan sorridente, Hassan premuroso che si occupava di lui, che si batteva per lui, che gli chiedeva una nuova storia, che si allontanava addolorato ogni volta che lo trattava con freddezza… Era il suo amico, sì, il suo amico, non solo il suo servo… e lui lo aveva tradito in tutti i modi peggiori che si potessero immaginare.

       

Nel frattempo Assef aveva portato Hassan in casa sua e, dopo aver chiarito che il piccolo servo sarebbe stato di sua esclusiva proprietà e che avrebbe dovuto rispondere solo a lui, lo aveva condotto nella sua stanza. Aveva fatto sistemare il materasso e le povere cose di Hassan nel ripostiglio attiguo alla sua camera, uno stanzino lungo e stretto con solo una piccola finestrella in fondo. Assef vi teneva gli abiti e adesso ci sarebbe stato anche il suo servo. Lo voleva a disposizione in qualsiasi momento e per qualsiasi cosa gli fosse venuta in mente di fargli fare.

“Adesso tu appartieni solo a me e dovrai obbedirmi in tutto.” gli disse, fissandolo con uno sguardo glaciale “Se ti comporterai bene anch’io ti tratterò bene, ma vedi di non farmi arrabbiare, ci siamo capiti? Altrimenti sarò costretto a punirti.”

Hassan, terrorizzato, fece segno di sì col capo. Sperava ancora che fosse tutto un incubo e che presto si sarebbe risvegliato nella sua casupola, al fianco di suo padre. Non poteva essere finito davvero nelle mani di Assef.

“Mangerai in cucina con gli altri servitori, ma non dare confidenza a nessuno e appena hai finito torna subito nella mia stanza. Anche quando io non ci sarò voglio che tu lavori qui e solamente qui. Non provare a fare il furbo approfittando della mia assenza, perché lo verrei a sapere e te ne farei pentire. Sono stato chiaro?”

Il bambino annuì di nuovo.

“Molto bene.” concluse Assef “Puoi cominciare subito il tuo lavoro. Come vedi ci sono le scarpe da lucidare e tutta la libreria da spolverare e mettere in ordine. Se farai bene il tuo dovere sarai ricompensato. Io sono una persona giusta, anche se non lo credi ancora.”

Con quelle parole il ragazzo uscì dalla stanza lasciando solo un Hassan in preda al panico. Non riusciva a credere che Assef avesse davvero bisogno di un altro servitore e si chiedeva quali fossero in realtà i suoi veri obiettivi.

Ma lo sapeva Assef: era riuscito a strappare all’odiato Amir il suo servetto e ora li avrebbe avuti entrambi in pugno. Già pregustava quanto si sarebbe divertito nei giorni a venire, tormentando in un modo del tutto nuovo quei due piccoli screanzati!     

 

 

          

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Hassan dovette racogliere ogni briciola del suo coraggio per riprendere l’argomento, la mattina seguente, mentre lucidava le s

Baba aveva deciso di andare a parlare con Assef per accontentare Ali, ma dentro di sé riteneva che il servetto si sarebbe trovato benissimo in casa del giovane, di cui conosceva la famiglia da anni. Per questo motivo non ebbe alcuna fretta e si limitò a telefonare a casa di Assef il giorno dopo per fissare un appuntamento con il ragazzo: si sarebbero incontrati quel pomeriggio e l’uomo aveva già deciso di portare il figlio Amir con sé. Continuava a trovare maleducata e inopportuna l’ostilità del bambino verso Assef e sperava che, parlando civilmente con lui, le cose si sarebbero normalizzate.

 

Intanto, però, la situazione di Hassan non era delle più invidiabili: strappato a forza dal padre, lontano da tutte le persone a cui voleva bene e rinchiuso nella stanza del giovane che lo aveva perseguitato fino a traumatizzarlo e fargli tanto male, si sentiva terribilmente solo, spaventato e triste. Non mancava a nessuno dei suoi doveri, ma la sua vivacità e la sua allegria sembravano scomparse. Fortunatamente Assef passava poco tempo a casa, impegnato com’era fra gli allenamenti di calcio e la persecuzione dei ragazzini più piccoli di Kabul insieme ai fidi Wali e Kamal. Il piccolo, così, aveva modo di compiere tutto il lavoro al meglio, sempre temendo che il nuovo padrone potesse arrabbiarsi con lui per qualche inezia.

Hassan era abituato ad avere del tempo libero dopo lo svolgimento delle proprie mansioni: quando aveva terminato, generalmente aveva il permesso di andare a giocare con Amir oppure si metteva a disegnare nel cortile della casa padronale. Se Amir era a scuola, a volte Hassan saliva fino al loro luogo segreto, si sedeva sotto l’albero di melograno dove solitamente ascoltava le storie dell’amico e passava il tempo in vari modi.

A casa di Assef, ovviamente, una volta finiti i lavori assegnatigli non aveva più nulla da fare; allora sentiva più forte la solitudine e la nostalgia. Il secondo giorno, dopo aver stirato gli abiti del padrone e lucidato tutte le sue scarpe, pensò che non sarebbe successo nulla se avesse fatto una corsa fino all’albero di melograno e fosse rimasto lì per un po’. Era ancora presto e non avrebbe incontrato nessuno: Amir era a scuola e Assef probabilmente in giro a tormentare qualcuno. 

Dal balcone della camera di Assef scendeva una piccola scaletta che conduceva nel giardino. Hassan decise di passare di lì per non farsi vedere da nessuno; ricordava bene, infatti, che il giovane gli aveva intimato di non parlare con gli altri domestici e di rendersi praticamente invisibile. Attraversò il cancello del giardino ed uscì in strada. Si mise a correre. Il fatto stesso di potersi muovere, di percorrere di corsa le strade di Kabul come un tempo, lo faceva sentire vivo e sembrava addolcire un po’ la pena che si portava dentro.

Raggiunse in fretta l’albero di melograno e si sedette, guardandosi intorno. Era sorprendente che lì tutto fosse rimasto identico quando la sua vita era cambiata in modo così drastico e decisivo. Vide la scritta che Amir aveva inciso sul legno un’eternità prima; pur non sapendo leggere ricordava benissimo che cosa c’era scritto, “Amir e Hassan: i sultani di Kabul”. I ricordi lo assalirono, così numerosi e dolorosi che il suo piccolo cuore non poté resistere alla nostalgia. Chinò il viso sulle ginocchia e scoppiò a piangere, sfogando tutta l’amarezza, la paura e la malinconia che non poteva manifestare in nessun altro momento. 

Dopo si sentì effettivamente un po’ meglio, si fece coraggio e si rialzò in piedi per tornare alla villa di Assef. Non era trascorso poi molto tempo da quando era uscito e non aveva nulla da rimproverarsi, tuttavia restò impietrito quando, rientrando nella stanza del padrone dalla porta-finestra, lo trovò seduto sul letto che lo fissava con un’espressione che non prometteva nulla di buono.

“Si può sapere dove ti eri cacciato?” gli chiese il ragazzo. Non sembrava realmente arrabbiato, ma il suo tono era gelido.

“Io… ti chiedo perdono, agha sahib. Avevo finito di fare i servizi e pensavo fosse ancora presto. Sono uscito per fare una passeggiata, non ho parlato con nessuno, te lo assicuro.” rispose il bambino, paralizzato dal terrore.

“Mi avevi forse chiesto il permesso di uscire?”

“No… io… tu non eri in casa, agha sahib, non sapevo quando saresti tornato e pensavo che…”

“Io non ti pago per pensare, ti pago per obbedirmi! Sei un servo, hazara, te lo sei forse dimenticato? Hai bisogno che ti rinfreschi la memoria?” ribatté allora Assef in tono tagliente, alzandosi di scatto dal letto.

Tutto questo fu troppo per Hassan. Indietreggiò fino ad appoggiarsi al muro e si rese conto di essere in trappola. Assef gli si avvicinava lentamente. Il suo visetto colorito divenne improvvisamente grigio e, scosso da un lieve tremito, Hassan cominciò a scivolare, perdendo i sensi. Sarebbe caduto, ma il giovane fu più veloce e lo riprese prima che rovinasse a terra. Se lo sistemò in braccio come un bambino. Era piuttosto stupito: non pensava di farlo svenire dalla paura.

“Dimmi la verità, hazara. Da quando sei qui sei mai sceso in cucina a mangiare con i servitori?” domandò, sempre tenendolo in braccio, quando si accorse che il ragazzino stava riaprendo gli occhi.

“No…” mormorò lui debolmente.

“Lo immaginavo. Dunque sono due giorni che non mangi niente. Sei proprio un hazara sciocco. Dovrò chiamare un domestico perché ti porti qualcosa. Nel pomeriggio verranno qui il tuo amichetto Amir e il suo grande Baba e non voglio che pensino che ti maltratto o che ti faccio soffrire la fame. Dovranno rendersi conto che stare qui con me è stata la tua fortuna e che tu sei felice di essere al mio servizio. Sono stato chiaro?”

Hassan era tanto stanco e debole che riuscì solo ad annuire. Si chiedeva come avrebbe fatto a dominarsi rivedendo Amir e Baba dopo tutto quello che era successo. Si chiedeva anche come mai Assef continuasse a tenerlo in braccio anche adesso che si era ripreso.

“Molto bene. Allora siamo intesi.” concluse Assef. Portò Hassan nel ripostiglio e lo depose sul suo materasso prima di chiamare qualcuno affinché gli portasse da mangiare. L’ultima cosa che voleva era fare una brutta figura di fronte a Baba e Amir. Anzi, voleva che Amir si rodesse dall’invidia vedendo che il suo ex-servitore si trovava meglio con un altro padrone.

 

Baba ed Amir giunsero a casa di Assef quel pomeriggio verso le quattro ed il maggiordomo li fece accomodare in salotto andando poi a chiamare il giovane padrone. Assef, infatti, aveva scelto di incontrare i due proprio quel giorno perché i suoi genitori sarebbero stati fuori casa e lui avrebbe potuto parlare liberamente.

Il ragazzo scese in salotto in compagnia di Hassan, che nel frattempo si era un po’ ristabilito, ma che si sentiva molto turbato all’idea di rivedere Amir. La scena terribile che si era svolta due giorni prima e che aveva portato all’allontanamento suo e di suo padre era ancora troppo vivida nella sua mente. Non sapeva come avrebbe reagito di fronte all’amico di un tempo, temeva che si sarebbe tradito in qualche modo e a quel punto Assef lo avrebbe fatto a pezzi.

Kaka jan, Amir jan, siete i benvenuti.” li salutò cortesemente Assef, andando incontro agli ospiti e stringendo loro calorosamente le mani “Sono contento di vedervi. Posso offrirvi qualcosa?”

Hassan era rimasto fermo sulla soglia del salotto e gli occhi di Amir erano fissi su di lui.

“No, ti ringrazio molto, Assef jan.” rispose il padre di Amir. Cercava di sembrare controllato, ma la sua voce vibrava dall’emozione. Aveva creduto di aver perso Hassan per sempre e invece adesso lo vedeva lì, piccolo, indifeso e molto intimidito.

“Non credo di aver capito bene il motivo della vostra visita, anche se non nego che mi faccia molto piacere. Voleva assicurarsi del fatto che avessi veramente preso Hassan al mio servizio?” chiese allora Assef.

“È così. Ieri mattina sono successe delle cose molto spiacevoli nella mia casa” iniziò a spiegare l’uomo, lanciando al figlio un’occhiata severa “e a causa di ciò Ali ed Hassan hanno deciso di andarsene. Volevano recarsi in Hazarajat, ma poi, quella stessa sera, Ali è tornato a bussare alla mia porta, sconvolto e in preda all’angoscia. Mi ha raccontato del vostro incontro e del fatto che tu avevi portato Hassan a casa tua. Avrebbe voluto che venissi subito qui a controllare che suo figlio stesse bene, ma mi è sembrata un’assurdità: ovviamente tu sarai un ottimo padrone per lui. Però immagino di capire le paure di Ali: per la prima volta si è trovato separato dal figlio e probabilmente ha temuto che Hassan, solo in un ambiente sconosciuto, potesse spaventarsi.”  

Nel frattempo il bambino si era lentamente avvicinato al divano sul quale sedeva Assef, senza mai alzare lo sguardo da terra. Sentiva gli occhi di Amir fissi su di lui e non osava incontrare il suo sguardo.

“Allora è stato questo. Sì, in fondo Hassan è ancora un bambino e deve essersi spaventato. Pensate che ho scoperto solo stamani che non aveva ancora mangiato niente da quando si trova qui!” replicò Assef “E non me lo avrebbe mica detto: me ne sono accorto solo perché mi è praticamente svenuto tra le braccia. Ma non preoccupatevi, ora sta bene. Anzi, diglielo tu stesso, Hassan, spiegagli come sono andate le cose.” lo incoraggiò, facendolo sedere accanto a sé.

“Sei svenuto? Ed ora stai bene? Ma perché non volevi mangiare, Hassan?” lo incalzò subito Baba, agitatissimo. Amir invece aveva abbassato lo sguardo sulle proprie scarpe: lui sapeva benissimo perché Hassan rifiutava di mangiare. Come poteva resistere dopo la vergognosa figura che gli aveva fatto fare e dopo che lo aveva praticamente gettato tra le braccia della persona che più lo terrorizzava al mondo?

“Mi vergognavo a chiedere…” cominciò timidamente il piccolo hazara. Ma si rese subito conto che non avrebbe mai potuto parlare di fronte ad Amir e a suo padre. La voce gli si spezzò ed il poverino scoppiò in singhiozzi davanti a tutti, consapevole del fatto che Assef si sarebbe arrabbiato e piangendo ancora di più per la paura delle conseguenze.

Vedendolo così disperato, Amir sentì ancora più pungente il senso di colpa. Spostò lo sguardo su Assef e vide che il ragazzo era impallidito per la rabbia e che un lampo gli era passato negli occhi. Evidentemente non aveva previsto questo sfogo ed ora si sarebbe vendicato sul bambino?

La rabbia di Assef, però, sbollì subito. Il giovane capì che poteva approfittare di questo inaspettato scoppio di pianto e volgere la situazione a suo vantaggio. Circondò le spalle del piccolo hazara con un braccio e lo strinse a sé per mostrare a Baba che padrone buono e affettuoso fosse.

“Hassan, che ti prende?” gli chiese “Non c’è bisogno di fare così. Cosa penseranno Amir e suo padre che sono venuti a trovarti? Li farai solo preoccupare, no?”

“Adesso lo chiami Hassan, eh?” avrebbe voluto gridargli Amir “Ora ti ricordi che ha un nome, ipocrita bugiardo! Quando lo tormentavi lo chiamavi soltanto hazara, come una bestia!”

Ma naturalmente non aprì bocca. Dire questo avrebbe significato dover spiegare anche molte altre cose delle quali Amir non voleva assolutamente parlare. Non poteva fare altro che tacere e guardare nauseato Assef che confortava Hassan con una tenerezza tutta studiata. Assef aveva vinto su tutta la linea e lui non poteva più farci nulla.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Era passata una settimana dal giorno del torneo di aquiloni ed Assef giudicò che era arrivato il momento di fare una bella vis

Hassan riuscì in qualche modo a dominare la crisi di pianto e a rispondere, fra un singhiozzo e l’altro, mentre Baba e Amir lo fissavano sconvolti e Assef continuava a tenerselo stretto.

“Mi dispiace… Agha sahib è stato buono e gentile con me. È soltanto colpa mia. Io… io… mi manca tanto Amir agha! Qui ho tutto quello che posso desiderare, ma lui mi manca, mi manca tanto!

Ecco. Quelle parole sancivano il completo trionfo di Assef e il ragazzo, che se ne rendeva perfettamente conto, dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere. Davanti a lui Amir era diventato pallido come un morto e sembrava sul punto di sentirsi male, mentre Baba spostava lo sguardo dal piccolo servetto in lacrime al figlio, diventando sempre più scuro in volto.

“È una cosa normalissima, Hassan, non c’è bisogno di piangere. Mi stupirei del contrario. Lo so quanto bene hai sempre voluto ad Amir” gli disse Assef ostentando pazienza e dolcezza. “Forse hai pensato che io ti avrei tenuto lontano da lui? Ma dai, sei proprio uno sciocchino, allora!”

“Non credo sia questo il problema, Assef jan” intervenne con durezza il padre di Amir, continuando a squadrare il figlio con occhi lampeggianti di collera. “Hassan piange perché è stato Amir ad allontanarlo sempre di più. In questi ultimi mesi non ha fatto che trattarlo bruscamente o evitarlo. Una mattina mi ha perfino chiesto perché non potevamo mandare via lui e Ali e prendere altri domestici. Mi ha fatto vergognare moltissimo e anche adesso mi sento mortificato di fronte a te perché sembra che non abbia saputo insegnare nulla a mio figlio. Sono desolato, ma è necessario che tu sappia la verità, visto che adesso Hassan è al tuo servizio.”

Si interruppe sentendo una specie di lamento soffocato provenire da Amir.

Cosa vuoi dire, Baba?” riuscì a chiedere il bambino, con voce strozzata. La nausea lo invadeva sempre più e si domandò come avrebbe reagito Assef se gli avesse vomitato sulla elegantissima poltrona del suo salotto.

Assef si fece attentissimo, intuendo che la faccenda diventava ancor più interessante. Nessuno, infatti, gli aveva spiegato il motivo dell’improvvisa partenza di Ali ed Hassan dalla casa di Amir.

“Sai benissimo di cosa sto parlando. Tu mi fai vergognare, Amir. Mi stai facendo fare una figura meschina di fronte ad Assef jan ” rispose l’uomo, molto irritato ed amareggiato.

Amir avrebbe voluto sprofondare, gridare, prendere a pugni il padre, ma non riusciva a proferire parola né a muovere un solo muscolo.

“Ieri mattina Amir è venuto a dirmi che non trovava più l’orologio che gli avevo regalato per il suo compleanno e dopo un altro po’ di tempo è ricomparso rivelandomi di averlo trovato nascosto sotto il materasso di Hassan” riprese a spiegare Baba. “Io non volevo crederci, ma quando gliel’ho chiesto personalmente Hassan ha ammesso di averlo preso lui. È stato per questo che lui ed Ali hanno deciso di andarsene, nonostante io abbia cercato di oppormi in tutti i modi possibili. Ma ora devo dirti una cosa, Assef jan: conosco troppo bene Hassan e so che non potrebbe mai fare una cosa simile. Io credo, anzi, ne sono certo, che non ce l’abbia più fatta a sopportare l’ostilità di colui che credeva un amico e un fratello e che abbia nascosto l’orologio esclusivamente per farsi cacciare via. Non è forse così, Hassan?”

Il ragazzino non rispose, continuando a singhiozzare silenziosamente. Baba interpretò il suo silenzio come un’ammissione. Assef pareva affascinato da questa storia. Quante cose interessanti ed utili veniva a scoprire! Aveva fatto proprio bene ad accettare di parlare con Baba quel pomeriggio. Si stava divertendo un sacco.

“Non sapevo nulla di questa storia, ma anch’io sono propenso a pensarla così” replicò il ragazzo. “Hassan è sempre stato talmente leale ed affezionato ad Amir che non avrebbe mai potuto fargli un dispetto. Non riesco a capire perché si sia giunti a questo punto, ma in effetti era molto tempo che non li vedevo più giocare e scorrazzare insieme per le strade di Kabul come facevano prima. Ed ora capisco perché Hassan è sempre così triste e malinconico. Ma, visto che adesso sono io il suo padrone, voglio aiutarlo.”

“Davvero, Assef jan? Questo è molto nobile e generoso da parte tua, tuttavia non riesco a immaginare cosa potresti fare per cambiare le cose” esclamò l’uomo, guardando il giovane con occhi colmi di ammirazione.

“È molto semplice. Amir sa che ha un invito permanente a casa mia, benché non abbia mai voluto approfittarne. Adesso, però, mi permetterò di insistere e chiederò espressamente che venga qui tutte le volte che gli è possibile” spiegò Assef, cercando di mantenersi calmo. La gioia per il vantaggio che aveva accumulato minacciava di soffocarlo. “Hassan è il mio servo personale, perciò deve occuparsi soltanto di tenermi in ordine i vestiti e la stanza. Di conseguenza ha molto tempo libero e so che era abituato a trascorrere i momenti di libertà in compagnia di Amir. D’ora in poi voglio che Amir venga qui a tenergli compagnia e a giocare con lui come faceva prima. Io stesso mi organizzerò per passare con loro più tempo possibile, li porterò a passeggio, al cinema, leggerò loro dei libri… Insomma, mi impegnerò affinché rinasca l’amicizia fra Amir ed Hassan e per restituire al mio piccolo servo il sorriso e l’allegria che lo contraddistinguevano.”

A queste parole Baba non poté più resistere. Si alzò di scatto dalla poltrona e abbracciò Assef con le lacrime agli occhi.

“Sei veramente un ragazzo ammirevole, Assef jan. Il mio amico è davvero fortunato ad avere un figlio come te. Non potrò mai sdebitarmi per tutto ciò che fai per noi” mormorò commosso.

Amir era pietrificato. Non riusciva ancora a credere che Assef avesse potuto stravolgere tanto le cose da apparire un santo agli occhi di Baba e, soprattutto, lo atterriva la prospettiva di dover passare tutti i pomeriggi e i giorni liberi in compagnia del ragazzo che lo aveva perseguitato per anni. Gli pareva di vivere in un incubo, solo che non poteva svegliarsi.

Nemmeno Hassan era molto soddisfatto all’idea di trascorrere tutto quel tempo con Assef; inoltre si chiedeva come facesse il giovane a conoscere tutto quello che facevano lui ed Amir. Come sapeva, ad esempio, che a lui piaceva ascoltare storie? Li aveva forse spiati?

 

 

 

Era ora di andare. La giornata era stata proficua quasi per tutti: Assef era colmo di soddisfazione per ciò che aveva scoperto e che già meditava di usare a suo vantaggio; Baba ed Hassan avevano entrambi l’aria di chi si è scrollato un grosso peso di dosso.

Al contrario Amir avrebbe ricordato a lungo quel giorno come uno dei suoi peggiori incubi.  

 

       

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Assef non vedeva l’ora di poter usare contro Amir tutte le cose che aveva scoperto

Assef non vedeva l’ora di poter usare contro Amir tutte le cose che aveva scoperto. Baba si era rivelato una miniera di informazioni utilissime e, ad ogni modo, era convinto di poter trarre ancora qualcosa da Hassan. Gli era parso che il piccolo hazara non avesse del tutto condiviso la versione che Baba aveva dato della storia del furto dell’orologio e immaginava ci potesse essere dell’altro. Sarebbe venuto a saperlo, prima o poi.

L’informazione che aspettava gli giunse due sere dopo e, come aveva immaginato, proprio da Hassan. Il servitore aveva terminato di fare il bucato e stendere i panni ed era tornato nella stanza di Assef, non immaginandosi di trovarci il padrone.

“Sei qui, agha sahib… Perdonami, non intendevo disturbarti” mormorò, preso alla sprovvista. Nonostante i rapporti fossero molto migliorati fra loro, il ragazzino era ancora piuttosto turbato in presenza del suo giovane padrone.

Non mi disturbi affatto. Anzi, volevo giusto farti una domanda. È vero quello che mi ha raccontato Baba l’altro giorno, quando eravamo a casa sua? Hai nascosto l’orologio e i soldi di Amir per avere la scusa di andartene da un luogo che ti era diventato ostile?

Hassan apparve terribilmente mortificato. Arrossì violentemente e mille emozioni contrastanti apparvero sul suo faccino da bambino.

“Non è andata proprio così. Agha sahib, io non sono un ladro e non prenderei mai qualcosa che non è mio, nemmeno per nasconderlo” rispose con un filo di voce. “Anche se Amir agha mi trattava con cattiveria io non avrei mai fatto nulla contro di lui. Non posso esserne sicuro, ma… penso che sia stato proprio lui a nascondere le sue cose sotto il mio materasso. Erano sue, nessun altro avrebbe potuto farlo se non io ed io non sono stato.”

“Mi stai dicendo la verità?” insisté Assef. Non che dubitasse della parola di Hassan, che era sempre tanto sincero e leale da apparire patetico, ma voleva essere sicuro di quello che aveva sentito. Gli sembrava troppo bello per essere vero. Amir aveva inanellato una serie di idiozie così lampanti che sarebbe stato un gioco da ragazzi rivoltargliele tutte contro!

Agha sahib, io non ho mai toccato quegli oggetti, davvero. Non prendo la roba degli altri. Io credo che… sia il contrario di quello che ha detto Baba agha: è stato Amir a prendere i suoi soldi e il suo orologio e metterli fra le mie cose perché voleva che… che io e mio padre fossimo cacciati. Lui sapeva quanto Baba agha disprezzi chi ruba e gli sarà sembrato il modo migliore per liberarsi di me. Non mi poteva più sopportare da mesi, ormai, me lo aveva fatto capire in tutti i modi.

Mentre parlava, lacrime silenziose cominciarono a scorrere sul visino rotondo di Hassan. Quello che Amir gli aveva fatto lo faceva ancora soffrire moltissimo, anche perché in realtà lui avrebbe tanto desiderato che tutto potesse tornare come una volta. Amir gli mancava, gli mancava la sua vita di prima, quando era ancora un bambino innocente che credeva nell’amicizia e nella lealtà della gente; aveva nostalgia delle giornate passate a correre, giocare e leggere storie e del tempo in cui credeva che Amir e lui fossero amici.

“Molto bene, adesso è tutto chiaro” replicò Assef, lievemente innervosito dal fatto che il piccolo hazara piangesse. “Amir è veramente una persona molto malvagia e mi sembra assurdo che tu continui a prendertela tanto per lui. Cosa c’è da piangere, adesso? Non ti trovi forse meglio qui con me? Non ti tratto bene, per caso?”

Ma sì, agha sahib, tu mi tratti benissimo e sei sempre gentile con me. È una cosa diversa” Hassan non sapeva se sarebbe riuscito a spiegare quello che provava. “Non potrei desiderare un padrone migliore di te, agha sahib, veramente. Ma io credevo che… ho sempre pensato che Amir ed io fossimo amici, quasi fratelli. Quando ero con lui dimenticavo di essere il suo servo e lo trattavo come un compagno di giochi. Gli volevo bene e pensavo che lui volesse bene a me. Siamo cresciuti insieme e abbiamo vissuto tante avventure, tanti giochi, tanti momenti felici e io non li posso scordare, non ce la faccio! Per quanto tu sia buono con me io non ce la faccio.”

Per qualche istante Assef sembrò indeciso se arrabbiarsi o meno per le parole del ragazzino, poi però gli venne in mente che avrebbe potuto volgere a suo favore anche questa situazione. Allungò un braccio per afferrare Hassan, lo fece sedere sul letto accanto a sé e per la prima volta lo abbracciò. Il bambino sulle prime si irrigidì, spaventato da un contatto simile con la persona che gli aveva fatto tanto male: del resto dopo quell’episodio non aveva più avuto un vero contatto fisico con Assef. Ma poi, accorgendosi che il giovane si limitava a tenerlo stretto, si abbandonò a quell’abbraccio inaspettato.

“È giusto che tu ti renda conto dell’abissale differenza che c’è tra Amir e me” gli disse, continuando a tenerlo stretto. “Hai ragione quando dici che le cose sono cambiate e che da me non puoi certo aspettarti l’atteggiamento cameratesco e la fratellanza che avevi con Amir. Ma vedi, la sua era solo una finzione. Te l’ho ripetuto un sacco di volte, ormai. Lui stava con te solo quando non aveva nessun altro con cui giocare, ma se c’erano altri bambini si vergognava di te e ti allontanava. Ti leggeva le storie, ma se tu le capivi meglio o più velocemente di lui si innervosiva. Era invidioso di te perché tu, pur essendo solo un hazara analfabeta, sei sempre stato più sveglio, coraggioso e leale di lui. Amir è un vigliacco che ha paura persino della sua ombra e, a quanto pare, non ha nemmeno un briciolo di dignità, perché io al suo posto mi sarei vergognato a morte di farmi difendere da un bambino più piccolo di me!

Hassan non aveva tanto piacere di sentirsi ricordare la disavventura avuta con Assef e la fionda, soprattutto in quel momento, ma il ragazzo non sembrava arrabbiato nel rievocare l’episodio.

“E, anche se non vogliamo contare tutte le angherie che ti ha fatto, basta ricordare una cosa sola” continuò soddisfatto Assef.  “Sosteniamo pure, per amor di pace, che Amir non abbia assistito a quel che è successo nel vicolo; ti avrà pur visto quando sei ritornato verso casa. Non ha notato com’eri ridotto? Non ti ha chiesto se eri caduto, se qualcuno ti aveva picchiato? Cos’è, cieco?”

“Non mi ha chiesto niente, agha sahib, eppure lo vedeva benissimo che… Ha solo controllato che l’aquilone non si fosse rovinato. È stato per questo che ho capito che aveva visto tutto, perché sennò mi avrebbe sicuramente chiesto cosa mi era successo. Ma lo sapeva già” Hassan si rese conto con stupore che parlare di quella cosa cominciava a diventare più facile. Era come quando lo aveva raccontato a suo padre o a Rahim Khan. Stranamente sentiva che quello che aveva davanti era un Assef diverso da quello che gli aveva fatto del male.

“Ha controllato l’aquilone, ma non come stavi tu! Davvero un bell’amico!” esclamò il giovane. “Ma lo sai perché si è comportato così? Riesci solo ad immaginarlo? Ha ignorato il fatto che tu fossi pesto e ferito perché gli avrebbe rovinato la festa. Se ti avesse visto così, Baba si sarebbe preoccupato per te e la vittoria di Amir al torneo degli aquiloni sarebbe passata in secondo piano. Hai capito chi è la persona per la quale piangi ancora?

Ovviamente Hassan aveva capito tutte queste cose già da molto tempo prima che gliele dicesse Assef, ma aveva sempre cercato di non pensarci e di non ammetterle nemmeno con se stesso. Ora non poteva più nascondersi.

“Io lo so che cosa ha fatto Amir agha e perché, ma… gli voglio bene lo stesso, non riesco a smettere, sono fatto così!” rispose il ragazzino, piangendo ancora più forte.

“Questo è perché sei buono. Sei anche troppo buono per uno come lui. Ma vedi, questo da me non dovrai mai aspettartelo. Io non fingo di essere quello che non sono, non ti mentirò dicendo che ti considero un amico o un fratello o che so io. Per me sei un hazara, un ragazzino di etnìa inferiore che mi fa da servo e che però è talmente premuroso, dolce e obbediente da farmi affezionare a lui. Tutto qui, non c’è altro. Questa specie di affetto che ho per te è lo stesso che potrei avere per un bravo cane, lo ammetto, ma è anche un affetto che non ti verrà mai a mancare, a meno che non sia tu a comportarti male” concluse Assef, orgoglioso e fiero del suo bel discorso leale e sincero.

Hassan lo guardò un po’ confuso.

Ma a me è permesso volerti bene, agha sahib?” gli chiese timidamente.

“Certamente. Hai il permesso di volermi bene, adorarmi e venerare la terra su cui cammino!” replicò Assef, scherzando ma solo fino ad un certo punto. A lui piaceva veramente tanto essere ammirato e venerato e l’affetto spontaneo di Hassan era una novità particolarmente gradevole.

 

La mattina dopo, verso le dieci, un servitore della casa di Assef si presentò a Baba con un invito per Amir in cui gli veniva richiesto di partecipare ad un rinfresco nel parco della villa di Assef il pomeriggio del giorno seguente ed era caldamente incoraggiato a portare con sé i racconti che aveva scritto per farli leggere agli invitati.

Assef aveva in mente di usare le informazioni che aveva ottenuto e di vendicarsi finalmente di Amir. Immaginava che Amir si sarebbe rifiutato di andare a casa sua e per questo motivo aveva mandato un servo con un invito scritto: in questo modo era sicurissimo che Baba avrebbe costretto il figlio ad accettarlo, con le buone o con le cattive.  

 

                

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Quel pomeriggio, alle tre in punto, Amir si trovava davanti al cancello della villa di Assef, dove era stato invitato per un n

Quel pomeriggio, alle tre in punto, Amir si trovava davanti al cancello della villa di Assef, dove era stato invitato per un non meglio precisato rinfresco. Aveva tentato tutte le scuse di questo mondo per non essere costretto ad accettare quell’invito, ma suo padre l’aveva rimproverato aspramente per la sua maleducazione e per quell’ostinazione nel rifiutare di stringere amicizia con il giovane figlio del suo amico. Tra l’altro, ora che Hassan era servitore in quella casa, l’uomo sperava anche che il legame fra Amir ed il piccolo hazara potesse ricostruirsi. Per questo adesso il ragazzino era lì, anche se avrebbe preferito trovarsi sulla Luna. Si sentiva lo stomaco chiuso in una morsa e stringeva convulsamente fra le mani sudate il quaderno con i racconti scritti da lui che Assef aveva tanto insistito per vedere.

Suonò il campanello e un servitore anziano venne ad aprirgli. Lo salutò con deferenza e lo condusse nel parco sul retro della villa, dove si trovava Assef in compagnia dei fidati Wali e Kamal. Erano seduti su sedie di vimini e davanti a loro si stendeva un tavolo ricco di prelibatezze. Sembrava davvero una festa in grande stile, anche se gli invitati erano soltanto tre. Poco più indietro, in piedi, stava Hassan.

“Eccoti, finalmente, Amir jan” esclamò con calore il padrone di casa, alzandosi dalla sedia e affrettandosi a stringere la mano al nuovo arrivato, quasi fosse veramente felice di vederlo. “Ti aspettavamo con ansia. Benissimo, vedo che hai portato il quaderno con i tuoi racconti. Wali e Kamal, ma soprattutto io, non vediamo l’ora di poterli ascoltare. Devono essere davvero dei capolavori a giudicare dalle lodi sperticate che ne fa il piccolo hazara.

Wali e Kamal soffocarono una risatina e Amir si sentì morire. Sapeva benissimo che lo scopo di Assef era umiliarlo davanti agli altri ragazzi costringendolo a leggere a voce alta le proprie storie, ma come avrebbe potuto fare? Certo, se quello stupido di Hassan non avesse chiacchierato tanto… Si pentì subito di quel pensiero: come poteva dare la colpa ad Hassan? Era davvero possibile che il bambino si fosse preso la libertà di lodare i racconti scritti da Amir davanti al suo nuovo padrone e ai suoi amici?

Lanciò una veloce occhiata al piccolo hazara che sembrava stupito quanto lui. No, ora ne era sicuro, Hassan non aveva mai parlato a nessuno delle storie che Amir gli leggeva. Ma allora come faceva a saperlo Assef?   

“Accomodati, Amir jan, prendi qualcosa da bere. Posso offrirti tè alla menta, aranciata, acqua minerale, perfino Coca-Cola se lo preferisci. O magari un succo di frutta? Hassan può andare in cucina a prendertene uno, se vuoi.

“L’acqua andrà benissimo, grazie” riuscì a mormorare Amir. Come in un incubo si ritrovò a farsi guidare da Assef verso il suo posto a sedere. Si strinse al petto il quaderno dei racconti come per proteggersi.

Buongiorno, Amir agha” lo salutò timidamente Hassan, avvicinandosi per porgergli un bicchiere d’acqua. Amir però era talmente confuso e a disagio che non se ne accorse e non gli rispose, limitandosi a prendere il bicchiere con un gesto istintivo.

Assef, a cui non sfuggiva nulla, sorrise e si voltò verso i due compagni, che annuirono. Anche loro avevano notato il gesto sgarbato di Amir nei confronti di Hassan e la conseguente delusione che si era dipinta sul volto del bambino.

“Se vuoi dei pasticcini, frutta o qualsiasi altra cosa non fare complimenti, Hassan è qui proprio per servirci. Ha sistemato tutto lui, qui fuori. Ha fatto un bel lavoro, non credi? Sono davvero soddisfatto di lui e penso sempre che non avrei potuto trovare un servitore più abile, solerte e coscienzioso” continuò il ragazzo. “Allora, non vuoi qualcosa da mangiare? Voglio che tu ti senta perfettamente a tuo agio prima di cominciare a deliziarci con le tue storie straordinarie, Amir jan.

Il ragazzino faceva già fatica ad inghiottire quei pochi sorsi d’acqua. Scosse il capo.

“Come vuoi, mangeremo più tardi. Abbiamo tutto il pomeriggio da passare insieme, non è vero, ragazzi?

“Certo, Assef” rispose Wali.

“Spero che Amir abbia tante storie da leggerci” aggiunse Kamal. “Sono davvero ansioso di ascoltarle.”

“Hassan, naturalmente tu puoi restare con noi. So quanto ti fa piacere ascoltare i racconti di Amir. Se vuoi puoi prenderti una sedia, non vergognarti. Hai già fatto il tuo dovere di servitore e adesso ti puoi riposare e rilassare insieme a noi” disse poi Assef, rivolgendosi al bambino con il tono di un re che fa una concessione importante ad un suddito fedele. Il picolo servitore lo ricompensò con un sorriso luminoso e prese una sedia per sé, disponendosi finalmente a sentire le storie di Amir che da tanto tempo agognava.

“Grazie, agha sahib, anch’io avevo tanta voglia di ascoltare i racconti, ma pensavo che non avrei dovuto, in fondo questa è la tua festa e…

“Ormai dovresti sapere come mi comporto con i miei servitori” ribatté sorridendo Assef. Lanciò un’occhiata a Wali e Kamal che annuirono di nuovo. “Se un servo mi obbedisce e fa il suo dovere io so ricompensarlo molto bene e poi, sai, io non mi vergogno di lui davanti ai miei amici, come invece fanno altri.”

La frecciata rivolta ad Amir raggiunse il bersaglio e le guance del ragazzino divennero di fuoco. Si agitò sulla sedia. La mortificazione era iniziata ancor prima che cominciasse a leggere le storie: Assef si stava servendo di Hassan per umiliarlo e per mostrare a tutti quanto fosse più gentile e più generoso di lui. Il peggio era che presto anche Hassan stesso sarebbe stato indotto a crederci!

“Amir, stiamo aspettando te. Non lasciarci ancora sulle spine, ti prego. Non vuoi cominciare a leggere per noi?” lo incitò Assef con un sorriso sornione. Wali e Kamal trattenevano a stento le risatine. Hassan, al contrario, seduto sulla sedia, fissava Amir con un’espressione di assoluta estasi sul faccino. Era l’unico sinceramente felice di riascoltare finalmente le storie del suo ex-padroncino.

Il ragazzino si schiarì la voce tre o quattro volte: sentiva un nodo in gola che minacciava di soffocarlo; forse, se fosse morto, non sarebbe stato costretto a umiliarsi così. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di quello. Ma non poteva più rimandare. Aprì il quaderno, inghiottì a vuoto una decina di volte e cominciò a leggere. La tortura era iniziata.

Il primo racconto era, per sua fortuna, piuttosto breve. I ragazzi non aprirono bocca mentre Amir leggeva, ostentando una sincera partecipazione e un vivo interesse. Poi fu Assef a commentare per primo.

“Direi che hai veramente del talento. Certo sei ancora immaturo, ma questa storia è interessante e ci sono senz’altro diverse chiavi di lettura. Io ne ho individuate almeno cinque. Voi, ragazzi?”

“Io tre” rispose a stento Kamal, semisoffocato nel tentativo di nascondere le risate, “e poi mi piace molto la figura del protagonista. Immagino sia un racconto autobiografico, no?

“La parte che preferisco è quella che si può leggere come una metafora filosofica e allegorica della realtà contemporanea” dichiarò Wali in tono compunto, mentre dentro di sé si contorceva dal ridere.

Amir era paonazzo in viso e aveva le lacrime agli occhi. Lo stavano prendendo in giro apertamente e lui non poteva dire niente, perché aveva paura e perché in fondo apparentemente lo stavano lodando.

“Devi assolutamente leggercene un’altra, Amir jan” insisté Assef. “Non ho mai trovato tanta profondità, in un autore così giovane ed inesperto, poi. Sono certo che tu abbia davanti a te un grande futuro come scrittore!

Amir riprese a leggere una storia, poi un’altra ed un’altra ancora. Ad ogni racconto che esponeva i tre ragazzi si profondevano in lodi sempre più sperticate ed assurde. Le lettere sembravano ballargli davanti agli occhi, la voce gli tremava, si sforzava solo di non scoppiare a piangere. Non si rendeva conto più di niente se non delle tre voci beffarde che lo schernivano, e quella di Assef più di tutte.

Il martirio durò poco più di due ore e Amir si maledisse in cuor suo almeno mille volte per aver scritto così tante storie. Prima Wali poi Kamal, ad un certo punto, avevano dovuto fingere di correre in bagno per sfogarsi ridendo a crepapelle; solo Assef aveva mantenuto un’apparente calma ed un assoluta concentrazione durante l’ascolto.

“Molto bene” disse alla fine. “Ringrazio di cuore Amir jan per averci fatto passare un pomeriggio tanto piacevole. Ora immagino vorrai ristorarti un po’. Prendi pure quello che vuoi da bere e da mangiare, poi magari potremmo andare a giocare a tennis nel campo privato che ho qui dietro.

“Grazie, ma non ho bisogno di niente, Assef” rispose Amir, alzandosi in piedi. Gli tremavano le gambe. Voleva solo andarsene da lì. “Adesso devo tornare a casa, ti chiedo scusa. Comunque non so giocare a tennis.”

“Ah, dimenticavo che tu sei uno scrittore e di solito gli artisti non sono degli sportivi. Come vuoi. Mi ha fatto piacere che tu sia venuto e spero che tornerai presto” replicò cortesemente il giovane, alzandosi in piedi e accompagnando Amir al cancello. Era soddisfatto e trionfante. Aveva mortificato il suo nemico su tutta la linea.

A quel punto Hassan si avvicinò, un po’ esitante, per salutare il suo vecchio amico e ringraziarlo di avergli fatto sentire quelle storie di cui aveva patito tanto la mancanza.

“Amir agha, è stato bellissimo poter riascoltare le tue storie e sono contento che anche ad agha sahib e ai suoi amici siano piaciute. Io te lo dicevo quanto eri bravo, ma non sono intelligente e istruito come loro. Adesso invece…”

Non poté finire la frase. Amir lo respinse con violenza colpendolo in faccia col quaderno. Il piccolo hazara, allibito, indietreggiò e gli occhi gli si riempirono di lacrime.

“Stai zitto, piccolo stupido ignorante! È stata tutta colpa tua, ti odio, vorrei che tu fossi morto!” gridò Amir. Ferito e umiliato, non poteva fare altro che sfogare la sua rabbia sull’unico che aveva apprezzato davvero la sua lettura.

Assef aspettava proprio quel momento per intervenire. Assaporando il suo totale trionfo come fosse un miele dolcissimo si avvicinò al piccolo servitore che tratteneva a stento le lacrime e si massaggiava la guancia colpita, guardando con stupito dolore l’amico di un tempo.

“Questo non avresti dovuto farlo, Amir” lo rimproverò in tono improvvisamente gelido, attirando a sé il desolato Hassan. “Non so cosa ti sia preso, visto che Hassan voleva solo essere gentile con te, ma non ha importanza. Trattare così il mio servitore in mia presenza equivale a mancare di rispetto a me, cerca di mettertelo bene in testa. Forse dimentichi che lui non è più il tuo servo ma il mio? Oppure volevi offendere me attraverso lui?

Queste parole atterrirono Amir, che avrebbe voluto fuggire subito a casa; le gambe, però, sembravano non reggerlo. Cosa gli avrebbe fatto adesso Assef? Forse aveva in tasca il pugno di ferro e allora…

“Sei pregato di andartene immediatamente da casa mia. Non ti ho invitato per farmi offendere né perché tu ti prenda certe libertà sui miei servitori. Vattene. Naturalmente stasera dovrò telefonare a tuo padre e parlargli del tuo inqualificabile comportamento. Forse lui saprà metterti in riga; ovviamente, questo non spetta a me” concluse il ragazzo, stringendo a sé con un braccio Hassan, che adesso piangeva sconsolato.

Non appena Assef aprì il cancello, Amir indietreggiò e se la diede a gambe lungo la strada, come se fosse inseguito da un’orda di lupi affamati. Assef non lo aveva picchiato, ma avrebbe raccontato tutto a Baba e allora lui… Quel diabolico ragazzo era riuscito a farlo passare dalla parte del torto. Era lui che lo aveva preso in giro con i suoi amici, aveva organizzato tutto fin dal principio e adesso sarebbe stato Amir a pagarne le conseguenze. Il ragazzino correva all’impazzata per le strade di Kabul, lasciando finalmente scorrere le lacrime. Era caduto nella trappola di Assef, gli aveva offerto la sua vendetta su un piatto d’argento, era stato uno stupido ingenuo e adesso Baba lo avrebbe punito e, peggio ancora, lo avrebbe obbligato ad umiliarsi di nuovo, andando a chiedere scusa al giovane. Non era giusto, non era affatto giusto!

Amir non lo avrebbe ammesso mai, nemmeno sotto tortura, ma una delle cose che gli erano bruciate di più era vedere come Assef era riuscito a metterlo contro Hassan, spingendolo a trattarlo male e intervenendo per difenderlo. Adesso sembrava che fosse lui il suo amico… Ma quello stupido hazara aveva già dimenticato quello che gli aveva fatto Assef in quel vicolo? Stupido, stupido, stupido hazara!

Quella sera Amir rientrò a casa tardi e si chiuse subito in camera, temendo da un momento all’altro di sentire sulle scale i passi di Baba che veniva a rimproverarlo per la sua condotta a casa di Assef. Non cenò nemmeno: i fatti della giornata gli avevano lasciato addosso una nausea insopprimibile.

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Amir passò una notte molto agitata e al mattino era ancora più stanco e confuso della sera precedente

Amir passò una notte molto agitata e al mattino era ancora più stanco e confuso della sera precedente. Si recò svogliatamente a fare colazione. Ricordava ancora quando la colazione era uno dei momenti più allegri della sua giornata: mentre lui mangiava, Hassan gli frullava intorno servendolo, mettendo a posto le cose che non servivano, preparandogli libri e quaderni nella cartella, appuntandogli le matite e chiacchierando e ridendo con lui. Adesso invece le sue colazioni erano tristi e solitarie. Ali si limitava a servirlo e poi se ne andava senza una parola; suo padre era solito fare colazione prima di lui e a quell’ora era già uscito o chiuso nel suo studio.

Quella mattina, però, le abitudini del padre avevano subito un brusco cambiamento: infatti Amir se lo ritrovò seduto al tavolo della colazione, di fronte a lui, che lo aspettava. Il suo sguardo torvo non prometteva nulla di buono. Ali servì la colazione ad entrambi e poi si affrettò a lasciarli soli.

“Ieri sera mi è giunta una telefonata che mi ha causato moltissima vergogna, Amir. Immagino che tu sappia benissimo di che cosa si tratta” esordì l’uomo in tono glaciale.

Il ragazzino annuì, tenendo gli occhi fissi sul piatto.

“Assef mi ha raccontato come ti sei comportato a casa sua e si è dimostrato molto stupito non solo per la tua maleducazione, ma anche per il fatto che sei stato profondamente sgarbato con Hassan” continuò. “Io non so davvero più che cosa fare con te.”

Amir continuò a non rispondere. Sbocconcellò svogliatamente la colazione e bevve un sorso di tè senza mai alzare lo sguardo.

“Spero che anche tu ti renda conto della vergogna che ho dovuto subire per colpa tua. Non sarebbe male se provassi almeno un po’ di rimorso.

Il bambino annuì, poco convinto.

“Ero davvero felice che tu fossi andato a casa di Assef, non solo perché da anni spero in una tua amicizia con lui, ma soprattutto perché mi auguravo che tu ed Hassan finalmente vi chiariste. Ed invece…”

Farò tardi a scuola” mormorò Amir, facendo per alzarsi da tavola. Ma il padre si infuriò ancora di più.

“La scuola può attendere. Non morirà nessuno se perdi un giorno, mentre è molto più importante che tu impari a capire come funzionano le cose della vita” esclamò, sbattendo il pugno sul tavolo. Mortificato, Amir si sedette di nuovo.

Scusami, Baba…”

“Non è a me che devi chiedere scusa, bensì ad Assef e ad Hassan. Sì, anche ad Hassan, perché per me non è un semplice hazara, un servo, come forse lo consideri tu, ma è il figlio del mio migliore amico, dell’uomo con cui sono cresciuto!” sbottò Baba. “Mi sono accordato con Assef e lui ed Hassan verranno qui oggi pomeriggio alle cinque. Tu sarai presente e ti scuserai espressamente con loro.

“Lo farò, Baba” rispose Amir, più per terminare quella conversazione che per reale convinzione. Prese la cartella. Andare a scuola per lui era sempre stata una fatica immensa, ma in quel momento anche quel luogo odioso e tetro gli sembrava un paradiso rispetto a quel colloquio con il padre.

Amir stava per uscire dalla sala da pranzo quando un ultimo discorso di Baba lo raggelò.

“So che in passato hai avuto diversi contrasti con Assef, che è stato un ragazzino prepotente e così via. Adesso però è cambiato e vorrei che anche tu lo riconoscessi. Ma non è tanto questo che mi addolora, quanto il tuo improvviso astio per Hassan, che è cresciuto con te e che credevo tu considerassi un fratello” disse l’uomo. “Mi viene da pensare che tu in realtà sia invidioso di lui perché è tanto superiore a te in tutto: è più leale, coraggioso, generoso, buono e obbediente. Ho notato che i problemi fra voi sono venuti fuori dopo la tua vittoria al torneo degli aquiloni. Non sarà per caso che ti sei reso conto che, senza il suo aiuto, tu non avresti mai conquistato quella vittoria? Questo è un sentimento molto meschino, vorrei che tu ci riflettessi bene.

Amir uscì di casa diretto verso la scuola. Quella conversazione mattutina aveva finito per sfibrarlo ancora di più e le ultime parole di Baba gli bruciavano dentro. Era vero, aveva vinto il torneo solo perché Hassan si era sacrificato per riportargli l’aquilone azzurro e lui, invece, non aveva saputo fare altro che trattarlo male. Non voleva ammettere che Hassan era stato migliore di lui, che un semplice servo hazara… Sì, Baba cominciava a capirlo e si vergognava di lui per questo. Non poteva continuare così. Quel pomeriggio avrebbe fatto ciò che il padre gli chiedeva e poi sperava che quell’agonia avrebbe avuto fine. Forse dopo quell’ennesima umiliazione Assef si sarebbe ritenuto finalmente soddisfatto. 

 

Amir non riuscì a seguire nemmeno un secondo delle ore di lezione, il suo pensiero restava fisso al tremendo pomeriggio che lo attendeva: avrebbe dovuto scusarsi con Assef, con Assef, figurarsi! Come se la colpa di tutto non fosse stata di quel ragazzo malvagio e perverso. Tornò a casa più lentamente che poté, trascinando i piedi nella polvere delle strade di Kabul e cercando così di ritardare almeno un po’ il confronto angoscioso e mortificante che lo attendeva al suo arrivo.

Si chiuse in camera e rimase lì a tormentarsi fino a quando, poco prima delle cinque, sentì suonare alla porta e udì il passo lento e strascicato di Ali che andava ad aprire. Si premette le mani contro le orecchie, illudendosi che in quel modo avrebbe potuto cancellare la realtà della presenza di Assef ed Hassan in casa sua. Ma fu tutto inutile: poco dopo Ali bussò alla sua porta e gli disse che suo padre lo aspettava in salotto. Il ragazzino uscì dalla stanza scansandolo bruscamente. Era ingiusto e lo sapeva, ma in quel momento era infuriato anche con lui perché lo vedeva sorridere per la gioia di aver appena incontrato suo figlio e di essersi accertato che stava bene.

“Eccoti qua, Amir” lo accolse freddamente Baba non appena fece il suo ingresso in salotto. Era già seduto in poltrona e aveva fatto accomodare Assef ed Hassan sul divano.

“Buongiorno, Amir jan” lo salutò il giovane con falsa cortesia, mentre il piccolo hazara gli rivolse un sorriso luminoso che Amir ignorò completamente. Si sedette sull’altra poltrona lentamente e a disagio, come se fosse irta di spine.

“Cominci subito male, Amir. Questa tua maleducazione mi fa sfigurare. Perché non hai salutato Assef e Hassan? È questo il modo in cui ti ho insegnato a trattare gli ospiti?” lo rimproverò il padre.

Arrossendo fino alla radice dei capelli, Amir borbottò un saluto rivolgendosi principalmente al tappeto, poiché era lì che teneva fisso lo sguardo.   

“Adesso vorrei che qualcuno di voi mi raccontasse cos’è successo esattamente ieri pomeriggio a casa di Assef. Magari puoi cominciare tu, Hassan. So che non sei capace di mentire e che tutto ciò che sentirò da te sarà la verità. Assef jan, naturalmente tu potrai intervenire in qualunque momento lo riterrai necessario.

Ma ad Assef andava benissimo che fosse il servetto a descrivere la vicenda del giorno precedente e la sfuriata di Amir. Sarebbe sembrato ancor più verosimile raccontato nel tono candido ed innocente di Hassan.

“Certo, agha sahib. Ieri ero tanto contento perché finalmente avrei rivisto Amir agha e ancora di più perché avrebbe letto le sue storie davanti a tutti. Io gli ho sempre detto che diventerà un grande scrittore, ma il mio parere conta poco visto che sono solo un servo. Invece ieri agha sahib e i suoi amici hanno ascoltato volentieri i racconti e anche loro hanno detto che Amir agha è molto bravo e gli hanno fatto i complimenti usando dei paroloni difficili che non ho capito molto bene. Ero davvero fiero di lui e pensavo che ne sarebbe stato felice” cominciò a spiegare il bambino con entusiasmo. Assef lo guardava compiaciuto, Baba annuiva lentamente col capo e Amir continuava a fissare il tappeto sentendosi morire. Si rendeva perfettamente conto che, vista così, la storia gli si sarebbe ritorta contro. Quello stupido hazara non capiva che lo stava rovinando?

“Prima che se ne andasse mi sono avvicinato ad Amir agha per salutarlo e ringraziarlo perché ero tanto contento di aver finalmente riascoltato le sue storie. Forse però…” Hassan esitò un attimo, ancora incredulo e addolorato per quello che l’amico gli aveva fatto, “ecco, credo di aver detto qualcosa di sbagliato senza accorgermene, perché lui si è arrabbiato con me e mi ha trattato male. Agha sahib è dovuto venire a difendermi e io…”

“Hassan, sai bene che non devi nascondere nulla, non è vero? Hai dimenticato di specificare che Amir ti ha anche schiaffeggiato” precisò malignamente Assef, sapendo benissimo che il bambino aveva omesso volontariamente quel particolare.  

“Bene, questo mi basta” tuonò Baba. Si rivolse ad Amir con uno sguardo infuocato. “Ora tu ti scuserai con Assef per esserti comportato così maleducatamente in casa sua, ma soprattutto con Hassan il cui solo errore è quello di volerti bene!”

Il piccolo hazara si mosse a disagio accanto ad Assef. Avrebbe voluto dire che non era necessario, che non voleva che Amir agha subisse quell’umiliazione per colpa sua, ma sapeva che un semplice servitore non poteva certo intervenire senza permesso.

“Mi… mi dispiace per come mi sono comportato ieri a casa tua, Assef. Ti chiedo… scusa” riuscì a dire il ragazzino con un notevole sforzo. “E mi scuso anche con te, Hassan. Tu volevi solo essere gentile, sono io che…

Assef era soddisfatto. Circondò con un braccio le spalle di Hassan e lo attirò a sé, perché si era accorto di quanto il bambino fosse agitato: sembrava soffrire ancor più di Amir per quella situazione. Ma ora toccava a lui fare la prossima mossa.

“Sei perdonato, Amir jan, non è necessario che tu dica altro. Quando ero venuto qui la volta scorsa mi ero impegnato a fare il possibile per favorire gli incontri tra te ed Hassan, avevo detto che io stesso avrei utilizzato il mio tempo libero per portarvi fuori e farvi stare insieme. Il primo tentativo, purtroppo, è stato un fallimento, anche se non per colpa mia. Ma non intendo arrendermi e continuerò ad occuparmi di voi e ad accompagnarvi al cinema, a giocare a pallavolo, a passeggio e a fare qualunque altra cosa foste abituati a fare insieme. Sono sicuro che presto tornerete gli amici fraterni che eravate prima. Lei cosa ne pensa, Kaka jan?”

Il padre di Amir era entusiasta.

“Sei un ragazzo molto generoso e altruista se davvero hai intenzione di sacrificare il tuo tempo libero per aiutare Amir ed Hassan. Non tutti lo farebbero, specie dopo che mio figlio è stato tanto scortese con te. I tuoi genitori devono essere orgogliosissimi di te e di come ti hanno educato” esclamò felice.

“Le assicuro che lo faccio volentieri e che non mi costa nessun sacrificio. Anzi, visto che è ancora presto potremmo proprio andare al cinema, che ne dici, Amir jan? Il film puoi sceglierlo tu” propose Assef, soddisfatto di essersi conquistato non solo la fiducia di Baba, ma anche quella di Hassan. Infatti il bambino sembrava felice all’idea di andare al cinema con lui ed Amir. 

“Ma certo. Amir, tu hai già terminato i tuoi compiti e puoi uscire con Assef ed Hassan, non è vero?” rispose subito il padre al posto del figlio.

Il ragazzino cercò in fretta una scusa per liberarsi, ma non trovò nulla di abbastanza valido per opporsi alla decisione di Baba. Gli pareva di soffocare, come se le mura del salotto si stessero richiudendo su di lui.

“Sì, Baba” rispose con voce fioca.

Quella giornata era iniziata malissimo e sarebbe proseguita in modo ancora più orribile. Uscire con Assef? Era ancor peggio di un incubo, era una vera e propria tortura. E quell’idiota di un hazara non aveva capito un bel niente e se ne stava lì felice e beato! Era proprio uno sciocco, si era meritato tutte le cose brutte che gli erano accadute, pensò con rabbia Amir, senza accorgersi di quanto fossero ingiuste le sue accuse.

Ma, come al solito, era più facile prendersela con l’innocuo Hassan che mettersi contro Assef o Baba.             

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo e ultimo ***


Amir non si rese neppure conto di che film fossero andati a vedere, di che cosa parlasse o di chi fossero i protagonisti: per tutta la durata della proiezione non fece che pensare a come era caduto in trappola, al modo in cui Assef era riuscito a circuir

Amir non si rese neppure conto di che film fossero andati a vedere, di che cosa parlasse o di chi fossero i protagonisti: per tutta la durata della proiezione non fece che pensare a com’era caduto in trappola, al modo in cui Assef era riuscito a circuire Baba e al fatto orribile e insopportabile che, da quel giorno in poi, avrebbe dovuto vederlo di continuo con la scusa di riallacciare i rapporti con Hassan! Assef era stato veramente diabolico e lui, che ne era sempre più terrorizzato, non riusciva a immaginare il motivo per cui avesse voluto fare una cosa simile. Divertirsi a tormentarlo era un conto, ma in questo modo anche il ragazzo sarebbe stato costretto a trascorrere la maggior parte del suo tempo libero con lui e Hassan invece che con i suoi amici. Chi glielo faceva fare?

Quello che Amir non poteva capire era che, per Assef, la sensazione di potere che provava trascorrendo il tempo con i due bambini era tanto piacevole da fargli sacrificare volentieri il tempo libero con Wali e Kamal. Del resto, anche quei due non erano dei veri amici e li frequentava solo perché erano dei deboli, disposti a fare tutto ciò che lui voleva anche quando non erano d’accordo. Stare con Amir e Hassan, però, era ancor più appagante: il piccolo hazara, nonostante il terrore iniziale, stava cominciando ad affezionarsi a lui e poi, ingenuo com’era, si dimostrava profondamente grato per avergli dato l’occasione di riallacciare la sua amicizia con Amir; per quanto riguardava quell’insolente e presuntuoso ragazzino, era un vero godimento stargli sempre tra i piedi e, fingendo di avere le migliori intenzioni di questo mondo, spaventarlo a morte con la sua semplice presenza. Il fatto che il padre di Amir fosse tanto sciocco da ammirarlo e portarlo ad esempio presso tutti i suoi amici, poi, non faceva che aumentare la sua soddisfazione.

Il primo cinema insieme segnò dunque l’inizio di un periodo di grande appagamento per l’ego di Assef, di gioia per Hassan che poteva di nuovo trascorrere tanto tempo con il suo amico e di terrori e incubi notturni per Amir, completamente terrorizzato dal ragazzo ma anche impossibilitato a rifiutarsi di frequentarlo, dato che era stato suo padre a ordinarglielo.

 

Mesi dopo, quando cominciò l’invasione dell’Afghanistan da parte dei russi, Assef ebbe di nuovo modo di apparire straordinariamente generoso ed eroico agli occhi del padre di Amir.

Quel giorno il ragazzo aveva portato i due bambini in piscina, ma non aveva partecipato molto ai loro giochi; si era limitato a guardarli di sfuggita, distratto da altri pensieri e preoccupazioni più importanti. Quando era giunto il momento di riaccompagnare Amir a casa, Assef aveva preso una decisione fondamentale e voleva parlarne con il padre del ragazzino.

“Bentornato, Assef” lo accolse con grande calore l’uomo. “Davvero non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che stai facendo per mio figlio e per Hassan! In questi ultimi tempi mi è sembrato di veder rinascere la loro bella amicizia e il merito è tutto tuo. Non immagini neanche quanto questo sia importante per me… specialmente adesso…”

“Volevo parlarle proprio di questo, kaka jan” replicò Assef, che aveva pensato al discorso da fare per tutto il pomeriggio. “Da certe frasi che ho sentito in casa, dai miei genitori, sono venuto a sapere che lei è intenzionato a partire per l’America con suo figlio e il suo servitore Ali. Come aveva intenzione di comportarsi nei confronti di Hassan, se posso chiederglielo?”

Il padre di Amir apparve confuso e disorientato. Non pensava che i suoi progetti di fuga di fronte all’invasione russa fossero di pubblico dominio e, soprattutto, era molto tormentato al pensiero di partire senza portare anche il piccolo servitore. Hassan, però, non abitava più nella sua casa ed era di proprietà di Assef…

“Io… ecco, questo non è un argomento del quale desidero parlare apertamente…”.

“Non si preoccupi, non ho nessuna intenzione di svelare i suoi piani. Ne ho sentito parlare in casa solo perché mio padre è suo amico e, in ogni modo, anche la mia famiglia sta progettando di lasciare l’Afghanistan per recarsi in Australia. Là possediamo degli alberghi o qualcosa del genere” lo rassicurò Assef.

“Ah… andrete in Australia, dunque?” mormorò l’uomo, sentendo un gran peso agitarglisi nel cuore. Da un lato era contento che anche Hassan fosse portato al sicuro, lontano da una guerra che si annunciava sanguinosa e interminabile; dall’altro, però, era lacerato al pensiero che non lo avrebbe rivisto mai più. L’Australia sembrava un luogo così remoto e selvaggio…

“I miei genitori ci andranno, ma io no” rispose deciso il giovane. “Non sono più un bambino e non ho intenzione di fuggire davanti a chi vuole distruggere la mia terra e la mia libertà: ho quasi l’età per combattere e lotterò in ogni modo contro gli invasori del mio Paese!”

“Questo ti fa onore, Assef, ma allora…”

“E’ proprio per questo motivo che oggi sono venuto a parlarle” continuò il giovane. I suoi occhi brillavano di orgoglio al pensiero di mostrare ancora una volta la propria superiorità al padre di Amir, che più volte si era rammaricato di non avere un figlio come lui. “Quando mi arruolerò per combattere contro i russi non potrò certo portarmi dietro Hassan: un soldato non ha bisogno di un servitore. Potrei affidarlo ai miei genitori, è vero, ma perché strappare quel povero bambino al suo Paese per mandarlo lontano con gente che conosce a malapena?”

Assef fece una pausa a effetto, godendosi fino in fondo il piacere del totale trionfo: adesso agli occhi del padre di Amir sarebbe apparso non solo come un eroe che si sacrifica per la patria, ma anche come un giovane altruista e generoso. Amir e Hassan, che erano rimasti ad ascoltare la conversazione, non sembravano averci capito un granché, ma non erano loro quelli che il ragazzo voleva impressionare.

“Hassan tornerà da lei, kaka jan, al servizio suo e di Amir. Per adesso continuerà a essere il mio servitore personale, ma lei mi avvertirà quando sarete pronti a partire ed io ve lo manderò, in modo che potrete portarlo con voi. Così il povero Hassan non dovrà separarsi dal suo caro amico Amir e da suo padre Ali” concluse Assef con il tono di un antico imperatore romano che concede la grazia ad un condannato a morte.

“Assef… io… cosa posso dirti? Sei troppo buono… non so se devo accettare” balbettò l’uomo, incredulo di fronte a tanta felicità.

“Che cosa vuol dire, Baba?” chiese Amir. Non aveva mai visto suo padre così sconvolto e il fatto che Assef avesse potere anche su di lui non gli piaceva affatto.

“Semplicemente che, tra qualche giorno, il tuo piccolo amico Hassan tornerà a casa tua e resterete per sempre insieme” gli rispose Assef con un sorriso mellifluo. Poi si rivolse nuovamente a Baba “Certo che deve accettare, kaka jan. Come le ho già spiegato, io non avrò più bisogno di un servitore e sarò contento di sapere che Hassan è al sicuro con persone che gli vogliono bene.”

Commosso e pieno di gioia e gratitudine, l’uomo gli gettò le braccia al collo.

“Non ho parole per esprimerti quanto ti sono grato e quanto ti stimo, Assef” gli disse. “Ho sempre invidiato tuo padre, avrei voluto avere anch’io un figlio come te, un figlio bravo a scuola, negli sport e in società, un figlio di cui poter essere orgogliosi. Ma ora la mia ammirazione per te va oltre: tu non sei solo questo, sei anche un vero eroe per il nostro Paese e un ragazzo buono e generoso che si preoccupa perfino del benessere di un piccolo servitore!”

Non è così, non è così, sta solo fingendo, a lui non importa un bel niente di Hassan, anzi lo disprezza e vuole solo farsi bello ai tuoi occhi! avrebbe voluto urlare Amir, disgustato e inorridito di fronte alla faccia tosta di Assef. Naturalmente, però, non aprì bocca e rimase a guardare Baba che si sdilinquiva davanti al giovane.

Kaka jan, le assicuro che per me non è nulla di straordinario” si schermì Assef, ostentando modestia. “Non potrei mai andarmene sapendo che il mio amato Paese è in pericolo e che io sono giovane e forte e posso difenderlo. Allo stesso tempo, però, mi sembra logico che Hassan torni da suo padre e da una famiglia che gli vuole bene, poiché io non potrò più tenerlo al mio servizio. Cosa c’è di tanto generoso in questo?”

Sei talmente falso e untuoso da farmi venire voglia di vomitare! pensò Amir. Possibile che Baba fosse così ingenuo da credere a dei discorsi che parevano tratti da un libro stampato?

Purtroppo, però, era proprio così. Baba ricolmò Assef di ringraziamenti e complimenti per un tempo che ad Amir parve infinito e poi, finalmente, il ragazzo si accomiatò.

“Per stasera e fino alla vostra partenza Hassan resterà con me” concluse prima di andarsene. “Ma mi faccia sapere per tempo quando ha intenzione di partire, kaka jan, e io lo porterò subito qui.   

Assef salutò cordialmente Amir e suo padre e se ne andò con Hassan. Quando il giovane fu uscito, Amir notò con raccapriccio che Baba aveva gli occhi umidi per la commozione, sebbene si fosse controllato finché Assef era presente.

Ma come fa a farsi abbindolare così da quel ragazzo cattivo e bugiardo?

Amir era veramente sconvolto e rimase ancora peggio accorgendosi che, per il resto della serata, suo padre lo ignorò come se nemmeno si rendesse conto della sua presenza. I suoi pensieri erano tutti concentrati su Assef, il figlio perfetto, il coraggioso patriota che restava a combattere i russi, e, naturalmente, sulla gioia e il sollievo provati alla notizia che avrebbe potuto portare Hassan in America. Ciò che lo aveva lacerato e tormentato per tanti giorni era finalmente svanito ed era tutto merito di Assef.

In quanto al ragazzo, era tornato a casa in uno stato di assoluta beatitudine. Non si sarebbe mai aspettato di ottenere un trionfo e una vendetta così completi su Amir! Per mesi lo aveva torturato e perseguitato con la sua continua presenza, lo aveva messo in cattiva luce con Baba e con lo stesso Hassan che, per quanto fosse scioccamente leale, non poteva non rendersi conto di quanto Assef fosse stato generoso con lui e di quanto invece Amir lo avesse fatto soffrire. Infine, come per una solenne apoteosi, aveva eclissato totalmente il ragazzino agli occhi del padre apparendo come un eroe della patria e un generoso difensore dei più deboli e indifesi. Una volta partiti per l’America, Baba e Hassan avrebbero ricordato lui, Assef, come l’artefice della loro felicità e salvezza e, chissà, magari si sarebbero anche preoccupati per lui sapendolo in pericolo; Amir sarebbe uscito sempre perdente dal confronto e suo padre non avrebbe fatto altro che rammaricarsi per non aver avuto un figlio come lui invece che un incapace come Amir. Che soddisfazione! E pensare che non aveva dovuto nemmeno fare tanta fatica per raggiungere questi meravigliosi risultati, anzi, a dire la verità ci si era pure divertito!

Con un sorriso trionfante Assef ripercorse mentalmente tutte le fasi della sua vittoria schiacciante e concluse compiaciuto che chiunque ci avrebbe dovuto pensare su molto bene prima di permettersi di sfidarlo in qualsiasi modo. Lui era troppo superiore e nessuno, tanto meno un inetto codardo come Amir, poteva avere la minima speranza. E Hassan? Beh, il piccolo hazara gli era stato utile in molti modi, oltre che per portare a termine la sua rivalsa; alla fine si era abituato al suo affetto e alla sua devozione che, doveva ammetterlo, erano piuttosto piacevoli. Insomma, in conclusione aveva ottenuto tutto ciò che voleva nel modo più facile e gradevole possibile.

Doveva ammetterlo, era veramente un genio!

 

 

FINE

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