Le ultime parole

di allison742
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stava morendo? ***
Capitolo 2: *** Obitorio ***
Capitolo 3: *** Questo cambia tutto ***
Capitolo 4: *** Ipoteticamente parlando ***
Capitolo 5: *** Lo prenderemo, come sempre ***
Capitolo 6: *** E se... ***
Capitolo 7: *** Tre anni fa... ***
Capitolo 8: *** Qualcosa che dovevano chiarire ***
Capitolo 9: *** Siamo tutti in pericolo ***
Capitolo 10: *** Che il gioco abbia inizio! ***
Capitolo 11: *** Molto più di quello che credi ***
Capitolo 12: *** Potevano morire tutti ***
Capitolo 13: *** Chi sarà il prossimo? ***
Capitolo 14: *** Senza parole ***
Capitolo 15: *** Dubbio o felicità? ***
Capitolo 16: *** Abbiamo fatto un patto... una promessa, ricordi? ***
Capitolo 17: *** Trova ciò che ami e lascia che ti uccida ***
Capitolo 18: *** Antrace? ***
Capitolo 19: *** La soluzione di tutto ***
Capitolo 20: *** Un bellissima donna ***
Capitolo 21: *** A qualsiasi costo ***
Capitolo 22: *** Un patto con il diavolo ***
Capitolo 23: *** Sorridi, come se ci credessi davvero ***
Capitolo 24: *** Dulcis in fundo ***
Capitolo 25: *** Abbiamo fatto il possibile per salvarla ***
Capitolo 26: *** Be careful Honey, always ***
Capitolo 27: *** L'ultima chiave del mazzo ***



Capitolo 1
*** Stava morendo? ***





                                                                                            A Cristina,
                                                                                                                infinite volte l’infinito.
 
 
 
 
 
 
 
“C'è una storia dietro ogni persona.
C'è una ragione per cui loro sono quel che sono.
Loro non sono così solo perchè lo vogliono: qualcosa nel passato li ha resi tali,
e alcune volte è impossibile cambiarli.”
- Grey’s Anatomy
 



Prologo

 
Stava morendo?
 
 


Il freddo e la desolazione dell’obitorio le facevano sempre un certo effetto.
Non si era ancora abituata a quella strana sensazione che provava nel varcare la porta del seminterrato.
Ma in fondo, di cosa si lamentava?
Era stata una sua scelta diventare medico legale, nessuno l’aveva costretta.
Non sapeva neanche lei esattamente il perché, semplicemente – e inspiegabilmente – le piaceva l’idea di essere l’ultima ad avere a che fare con le persone.
Avrebbe potuto sembrare una cosa da pazzi, ma per lei non era così.
Anni prima, mentre studiava medicina ad Harvard, un professore l’aveva messa davanti ad una scelta chiedendole quale specializzazione le sarebbe piaciuto fare.
Allora non ci aveva ancora pensato, continuava a ripetersi che avrebbe rimandato fino all’ultimo momento quella decisione; ma quando glielo avevano chiesto così esplicitamente qualcosa era scattato dentro di lei, e improvvisamente aveva capito.
Avrebbe fatto il medico legale.
Perché? Per giustizia?
Può darsi. Oppure semplicemente perché suo fratello era stato ucciso quando lei aveva quattordici anni, e l’unica cosa che stava aspettando di sapere era se aveva sofferto o meno.
Dunque sì, aveva fatto quella scelta anche per dare una risposta alle famiglie delle vittime. E ne era fiera.
Quella mattina, come d’abitudine, si svegliò presto ed arrivò all’obitorio per le otto.
Salutò l’inserviente delle pulizie, andò a mettersi il camice e ritirò la cartelletta della sua vittima. Prese l’ascensore che portava nel seminterrato, dove si trovavano le sale autopsia.
Durante il tragitto cominciò a leggere i documenti.
Donna, 49 anni.
Apparente causa della morte: colpo d’ arma da fuoco alla testa.
Segni particolari rilevati: nessuno.
Perfetto, sembrava un caso facile: probabilmente il colpo alla testa era davvero la causa della morte, non ci avrebbe messo molto tempo.
Uscì dall’ascensore e si diresse verso la sala 2, il rumore dei tacchi riecheggiava per tutto il corridoio.
C’era troppo silenzio; qualcosa di strano aleggiava nell’aria, ma probabilmente era solo una sensazione.
Entrò nella sala, poggiò la cartelletta sul tavolo e andò a prendere il corpo nella cella frigorifera, per poi sistemarlo sul lettino.
Scostò il lenzuolo e si sorprese vedendo la bellezza di quella donna: la dolcezza segnava i lineamenti del viso, nonostante l’orrendo squarcio vicino all’orecchio.
Sembrava quasi sorridesse.
La fissò per un attimo poi accese il registratore: doveva cominciare l’autopsia. Prima iniziava, prima finiva, e meno tempo c’era per affezionarsi alla vittima.
L’esperienza le aveva insegnato che quello era l’errore più grande che un medico legale potesse fare.
Cominciò con l’esaminare la pelle bianca e pallida; usò la lente di ingrandimento e il luminol, comunicando ad alta voce ciò che riscontrava.
Finita l’operazione, prese il bisturi e iniziò a inciderle il torace. Sentì un improvviso mancamento, come se stesse per svenire. Si appoggiò al lettino con le mani e chiuse gli occhi.
Cercò una causa a quello che le stava succedendo, ma poi diede la colpa alla sera prima: probabilmente aveva esagerato con i cocktail.
Prese un bel respiro e continuò l’incisione. Riuscì a fare dieci centimetri, poi di nuovo quella sensazione di cadere nel vuoto. Più forte di prima, più insistente e invogliante a lasciarsi andare.
Tentò di camminare verso la sedia, ma non sentiva più le gambe. Il respiro cominciava a mancare.
Provò a gridare per chiedere aiuto, ma la voce le morì in gola. Contemporaneamente anche la vista si offuscò.
Cosa diavolo mi sta succedendo?
Nonostante fosse medico era troppo agitata per provare a motivare lo strano comportamento del suo corpo.
Stava morendo?
Ecco un’altra domanda a cui non riusciva a dare risposta.
Si aggrappò con tutte le forze al bordo del lettino, invano. I muscoli delle gambe cedettero e cadde a terra.
L’ultima cosa che sentì fu il rumore del bisturi che toccava il pavimento.
 
 

 
_____________________________________


Note dell'autrice

Ciao a tutti e grazie di avermi dato fiducia cominciando questa storia.
Io spero con tutto il cuore che vi piaccia e che riesca ad intrattenervi come ha fatto con me mentre la scrivevo.
Ci sentiamo presto.
Un bacio, Giulia

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Capitolo 2
*** Obitorio ***





Capitolo 1
 

Obitorio


 
 
Una cosa che non era mai piaciuta alla Detective Aria Miller era dormire in un letto matrimoniale da sola. Le dava una sensazione di tristezza indescrivibile.
Ma d’altronde, cos’altro poteva fare? Dormire sul divano?
Finché non avesse trovato qualcuno per il quale sarebbe valsa la pena di dividere quel letto, sarebbe stata condannata a svegliarsi da sola. Forse qualcuno c’era… ma era una faccenda complicata.
Mentre la miglior Detective della omicidi di Los Angeles faceva queste assurde riflessioni, squillò il cellulare.
Nel momento in cui si alzò dal letto, cominciò a girarle la testa; colpa dei troppi drink bevuti la sera prima con la sua migliore amica -  nonché miglior medico legale della città – Vanessa Pearson.
Chiuse gli occhi per alcuni secondi, scostandosi i lunghi capelli biondi dal viso.
Quando li riaprì si sentì meglio e riuscì ad arrivare al telefono.
«Miller!»
«Detective, c’è stato un omicidio.»
«Dove si trova la vittima?»
«In obitorio.»
«COME IN OBITORIO? Quante volte devo ripetervelo che prima di spostare qualsiasi cosa io devo aver visto la scena del crimine?! E per “qualsiasi cosa” intendo anche il corpo!»
«No, no, mi scusi, forse mi sono spiegato male io; la scena del crimine è in obitorio.»
 
 
«Detective! Finalmente è arrivata! L’aspettavamo da tempo…» l’accolse un agente.
«C’era traffico.» Si limitò a rispondere lei.
«In ogni caso… venga, dobbiamo scendere nelle sale autopsia.»
«Chi è la vittima?»
«Il medico legale. La dottoressa è arrivata stamattina alle otto…»
All’udire quelle parole Aria si sentì mancare… dottoressa… medico legale… Vanessa!
«Chi è la vittima?» ripeté trattenendo il fiato.
«Gliel’ho già detto, il medico legale.»
«VOGLIO IL NOME!» urlò brusca.
«Ok, ok. Si calmi.» disse lui facendo un passo indietro e aprendo la cartelletta «Una certa dottoressa… Thompson. Elisabeth Thompson.»
Aria trasse un respiro di sollievo. Certo, conosceva la Thompson e le dispiaceva, ma Vanessa era Vanessa. La sua migliore amica; non c’era paragone.
«D’accordo, prosegua.»
«Dicevo: la dottoressa è arrivata in obitorio alle otto, come affermano gli inservienti; ha preso la cartelletta della sua vittima ed è scesa nel seminterrato. Verso le otto e mezza la tirocinante analista, mentre portava un liquido tossico nel reagentario, ha sentito un tonfo provenire dalla sala due. È corsa a vedere e ha trovato Elisabeth per terra. Si è avvicinata e ha sentito che respirava ancora. Ha chiamato aiuto, ma la dottoressa le è morta tra le braccia… non c’e stato niente da fare.»
«Chi c’è di sotto?»
«La Detective Renard e il Detective Evans, più gli uomini della Scientifica.»
«E la dottoressa Pearson?»
«Abbiamo cercato di contattarla in tutti i modi, ma non c’è stato verso.»
Strano, pensò Aria. Di solito era la prima ad arrivare.
«Va bene, non toccate il corpo finché non arriverà la dottoressa. Al resto ci penso io, grazie.» concluse, dirigendosi verso l’ascensore.
«Detective?»
«Sì?»
«Indossi questa.» disse porgendole una tuta bianca, con lo stemma LAPD stampato a grandi caratteri sulla schiena. «Dal momento che non c’è stata fuoriuscita di sangue dalla vittima, per quanto ne sappiamo potrebbe essere stata avvelenata.»
«La ragazza delle sostanze chimiche è ancora viva, giusto?»
«Sì, ma lei indossava la mascherina; stava trasportando un liquido tossico, ricorda?»
«Sì, sì. Grazie» rispose prima di voltarsi e sparire nel corridoio.
 
«Mi mostra il tesserino per favore?» le chiese l’agente davanti alla sala 2. «Grazie.» rispose dopo averlo esaminato «Mi scusi, ma con queste maschere non riconosco nessuno.»
«Non c’è problema, la capisco.» annuì, regalandogli un sorriso.
Si diresse verso i due Detective notando subito la vittima accasciata a terra.
Le faceva uno strano effetto vedere Elisabeth, la giovane, simpatica e allegra ragazza, morta sul pavimento della sala autopsie.
«Miller, eccoti qui. Ti stavamo aspettando.»
«Lo so, scusate ragazzi, ma c’era molto traffico e Adams mi ha trattenuta all’entrata. Se così si può dire…» Disse alzando gli occhi al cielo, nei quali traspariva un’ ombra di sarcasmo.
«Dai Aria, capiscilo, è appena arrivato; un novellino. Non vuole sfigurare davanti alle alte sfere della omicidi.» Cercò di giustificarlo Evans.
«E da quando noi saremmo le alte sfere?»
«Da quando sono arrivato io!» esclamò un uomo affascinante entrando nella stanza.
«Buongiorno Collins, mancavi proprio tu. Ora la scena del crimine è completa.» Disse Aria prendendolo in giro.
Mason Collins, famoso critico di filmografia.
Figlio di due attori che vivono a Beverly Hills, si è specializzato nel genere thriller.
Lavora con la squadra omicidi di Los Angeles proprio grazie all’influenza della madre che, con generose donazioni al distretto, ha convinto il capitano dell’indispensabile consulenza di un esperto per gli omicidi di un certo spessore.
Segue la Detective Miller nei suoi casi da otto anni, giorno per giorno.
Il loro rapporto è… complicato. C’è un’attrazione reciproca, o forse qualcosa di più.
Ma la questione non è mai stata presa in considerazione.
«Allora, chi abbiamo l’onore di sezionare oggi?» chiese tutto eccitato cercando Vanessa con lo sguardo. «Ma dov’è finita la tua migliore amica?» aggiunse poi rivolto ad Aria.
«Non ne ho idea, abbiamo provato a chiamarla, ma non risponde.» Rispose lei. «Voi ragazzi? Ne sapete qualcosa?»
«No, non la sento da un paio di giorni.» Disse Renard.
Tutti si voltarono verso Evans.
Lui alzò gli occhi al cielo: «Vi prego, non toccate questo tasto.» Commentò per poi dirigersi verso un ragazzo della Scientifica.
Tutti sorrisero, consapevoli della loro situazione sentimentale.
«Ok, provo a chiamarla di nuovo… intanto aggiornate il critico sulla vittima.» Disse Aria allontanandosi.
Prese il cellulare e la chiamò al suo numero privato.
Lei rispose al terzo squillo.
«Vanessa?»
«Ciao tesoro… è successo qualcosa?»
«C’è stato un omicidio, abbiamo bisogno di te.»
«Scusa, ho preso alcuni giorni di ferie. Ti mando un messaggio con il numero della dottoressa Thompson, chiamala pure.»
«Vanessa…»
«Sì?»
«La vittima, ecco… non so come dirtelo.»
«Forza Aria, sono un medico legale! Non mi impressiona più niente ormai.»
«La vittima è la dottoressa Thompson.»
Dall’altro capo del telefono arrivò solo un terribile silenzio.
«Vanessa, sei ancora lì? Vanessa?»
Nessuna risposa.
«Ti prego, di qualcosa.»
«Arrivo.» E chiuse la chiamata.
Aria guardò il telefono stranita e lo rimise in tasca. Tornò dalla sua squadra, comunicando che Vanessa stava per arrivare.
«Dov’era?» chiese Evans falsamente disinteressato.
«Aspetta, aspetta… cosa hai detto qualche minuto fa? “Vi prego, non toccate questo tasto!”» lo presero in giro Collins e la Detective Renard.
«Va beh, non è che mi importi più di tanto…» biascicò prima di sparire.
Matthew Evans, Detective della omicidi.
Fa parte della squadra di Miller da diversi anni; esperto in arti marziali e lotta a corpo libero.
È uno dei migliori: spietato negli interrogatori e ottimo nel lavoro. Non si da mai per vinto.
Una specie di supereroe, ma quando si tratta di sentimenti cambia personalità.
Ha un bellissimo rapporto di amicizia con la Detective Charlotte Renard e con Collins.
Ma soprattutto con Aria; le è stato vicino nei momenti peggiori.
Ha avuto una relazione con la dottoressa Pearson, apparentemente finita al solo sentir nominare la parola “matrimonio”.
Mentre Collins e Renard ridevano, Aria osservò la vittima.
Aveva il viso contorto, come se fosse morta durante una crisi epilettica.
Per quanto si poteva intuire dalla scena del crimine, probabilmente era successo mentre stava facendo l’autopsia alla donna sul tavolo.
A parte il bisturi accanto alla dottoressa Thompson, non c’era niente fuori posto nella sala.
Strano. Era tutto parecchio strano.
Magari era morta per cause naturali, e a quel punto il suo lavoro lì sarebbe finito. Per saperlo però aveva bisogno del medico legale.
Ma dove diavolo si era cacciata?!
 «Ragazzi, la nostra salvatrice è qui!» esclamò Mason non appena Vanessa varcò la porta dell’obitorio.
«Taci, Collins.» Rispose fredda.
Questo non era decisamente da lei. Va bene, poteva essere sconvolta, ma Vanessa era una vera forza della natura… niente riusciva ad smorzarle lo spirito, neanche i cadaveri.
Forse questa volta era diverso; forse c’era qualcosa in più che la squadra non sapeva.
«Ok gente, ora potete andare. Esaminerò il corpo e vi farò sapere.» Urlò a tutte le persone presenti nella sala.
«Vanessa…» provò a dire Aria.
«Ti chiamo quando so qualcosa.» Rispose brusca, per poi spingerla fuori e sbatterle la porta in faccia.
Si tolsero tutti la maschera e si guardarono stupefatti. Non era affatto un comportamento da lei.
Era successo qualcosa esattamente nel momento in cui Aria le aveva riferito che la vittima era Elisabeth Thompson.
D’accordo che erano colleghe, ma la Detective non aveva mai notato un legame particolarmente affiatato tra di loro.
Doveva per forza esserci qualcos’altro sotto.
E, presto o tardi, l’avrebbero scoperto.





 

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Capitolo 3
*** Questo cambia tutto ***




Capitolo 2
 


Questo cambia tutto


 
 
 
Vanessa Pearson, miglior medico legale di tutta la costa occidentale.
Stupefacente nel suo lavoro e migliore amica di Aria.
Ha un carattere estroverso; riesce a scherzare davanti ad un cadavere esattamente come davanti a un drink. Va molto d’accordo con Collins sotto questo punto di vista.
Ha avuto una storia con Evans apparentemente finita e superata, ma muore di gelosia ogni volta che lo vede con un’altra donna.
È la classica persona che scherza su ogni cosa, ma ha dei sentimenti profondi che talvolta nasconde dietro al suo spirito allegro.
Lentamente alzò la cornetta e chiamò Aria.
«Miller.»
«Scendi subito, ci sono novità. Grosse novità!»
«Arriviamo.» rispose, alludendo a sé stessa e Collins, che la lasciava sola giusto il tempo di andare in bagno.
«No Aria, da sola.»
Dopo pochi minuti la Detective fece il suo ingresso nell’ufficio di Vanessa.
«Allora?»
«Finalmente sei arrivata. Ho fatto l’autopsia e non crederai alle tue orecchie… Elisabeth è morta avvelenata!» esclamò eccitata.
Sembrava la solita Vanessa, bene. Si sarebbe fatta spiegare più tardi il motivo del suo sbalzo d’umore mattutino.
«E?» Aria non capiva.
«È morta avvelenata! Ti rendi conto?»
«Vanessa, tanta gente muore avvelenata.»
«Sì, certo» cominciò con pazienza «ma non così!»
«Vuoi dirmi com’è morta o stiamo qui fino al prossimo ringraziamento?»
«Ok, ok… calma i bollenti spiriti. Cos’è, Collins ti ha fatto un trattamento speciale?» chiese ammiccando.
«VANESSA! La vittima!» urlò Aria avvampando.
Le era passato troppo in fretta il malumore di poche ore prima e tutto ciò era, per l’ennesima volta, molto strano.
«Allora, la vittima è morta a causa di una tipologia particolare di gas, detti Gas Nervini. Questi, una volta inalati, hanno la capacità di disattivare – irreversibilmente – l’enzima acetilcolinesterasi. Ora, l’unico problema è che tale enzima media e regola la trasmissione degli impulsi dal sistema nervoso ai muscoli, e viceversa. Ciò causa un blocco di questi ultimi… e poi puoi immaginare da sola come sia morta. Prima hanno ceduto quelli volontari, impedendole di muovere gambe e braccia, poi si sono bloccati i muscoli intercostali, cosa che ha portato ad una difficoltà respiratoria. Infine è stata la volta di quelli involontari, come il cuore, che ha smesso di pompare il sangue.» Disse in tono professionale.
«Ok, ho capito… ma non vedo il fatto eccezionale in tutto ciò.»
«Tanto per cominciare ci sono due cose fuori dal normale: la prima è che i Gas Nervini venivano usati durante la seconda guerra mondiale per ammazzare tanta-gente-tutta-insieme, detto in parole povere. Ora invece vengono utilizzati generalmente per gli attacchi terroristici, ed è molto difficile trovarli, soprattutto da queste parti. La seconda cosa strana è il modo in cui è stata avvelenata. L’assassino che ha ucciso Samantha Robinson…»
«Aspetta, chi è Samantha Robinson?»
«È la vittima che la dottoressa Thompson stava analizzando, quella morta per un colpo d’arma da fuoco. Comunque, l’uomo che ha ucciso Samantha è lo stesso che ha ucciso Elisabeth.»
«Scusa, non ti seguo…»
«Dopo aver sparato in testa alla Robinson, il killer ha iniettato nel suo torace un gas nervino; così, quando Samantha le ha applicato il taglio a Y, il gas si è disperso nell’aria e in pochi minuti l’ha uccisa. Ah, inoltre ho trovato questo nella bocca di Samantha.» Disse porgendole un bigliettino.
Aria si infilò un guanto e lo aprì. A quel punto lesse:
 
 
I'd hate to die twice. It's so boring.*
 
 
«Cosa significa?»
«Non ne ho idea, pensavo me lo dicessi tu.»
«Non importa, lo farò vedere a Charlotte.» Concluse la Detective.
Poi ragionò per qualche secondo sull’ultima cosa che le era stata detta.
E capì tutto immediatamente: «Dunque il vero obiettivo dell’assassino non era Samantha… no, lei era solo una copertura! Il vero obiettivo era Elisabeth Thompson!» esclamò.
«Non è del tutto vero…» mormorò Vanessa impallidendo e facendo accentuare così il contrasto della sua pelle chiara con il nero scuro dei capelli ricci.
Era a dir poco sconvolta: l’affermazione di Aria le aveva ricordato ciò che era riuscita a mettere da parte durante l’autopsia di Elisabeth, per svolgere al meglio il proprio lavoro.
Ora però quel pensiero e quell’orrenda consapevolezza erano tornati a far breccia nel suo spirito.
«Che ti succede, Vanessa? Dimmelo, per favore. Dimmi cosa mi stai nascondendo.» Aria si avvicinò, prendendole le mani.
«Devi sapere che ultimamente non sto molto bene…» cominciò insicura «niente di grave, solo delle banali emicranie che, secondo il medico, passeranno presto… Comunque ieri sera, dopo aver bevuto con te al bar sono tornata a casa e mi sentivo la testa scoppiare. Ho pensato che se oggi fossi venuta al lavoro in quello stato, mi avrebbero cacciata a casa. Così ho chiamato l’obitorio per avvisare che mi sarei presa due giorni di ferie; ho insistito perché mi sostituissero il più presto possibile, e…»
Aria la interruppe abbracciandola forte.
Aveva capito tutto.
 
«Novità dall’obitorio?» chiese Renard non appena Aria mise fuori il piede dall’ascensore.
Adorava Charlotte, con quel viso da ragazzina incorniciato da splendenti capelli ramati.
Soprattutto, amava il suo accento francese. Ma le piaceva un po’ meno il fatto che le si avvicinasse sempre silenziosamente, senza che se ne accorgesse, facendola saltare in aria ogni volta.
«Sì, la vittima è stata uccisa da un Gas Nervino, iniettato nel corpo che la dottoressa stava analizzando.»
«Aspetta, vuoi farmi credere che l’assassino ha usato il corpo di una donna per ammazzarne un’altra?!» chiese Collins stupefatto comparendo nella stanza slittando sulla sedia.
«Non l’avevi mai visto nei tuoi film, vero fratello?» lo prese in giro Evans.
«In ogni caso…» alzò la voce Aria per riprendere l’attenzione dei bambini «Vanessa mi ha detto che i Gas Nervini venivano usati nella seconda guerra mondiale, e adesso solo negli atti terroristici. Evans, vedi cosa riesci a trovare sui fornitori di Gas Nervini a Los Angeles; se non salta fuori niente estendi la ricerca all’intero stato. Renard, voglio sapere tutto su Elisabeth Thompson e Samantha Robinson; se si conoscevano, se avevano la stessa estetista, se erano fidanzate, qual era il loro colore preferito e se preferivano il caffè macchiato o espresso… TUTTO!»
«Ok!» dissero i Detective all’unisono, spostandosi verso le loro scrivanie.
«Ehi, un’ ultima cosa, Vanessa ha trovato questa scritta nella bocca di Samantha. Scoprite cosa significa.» concluse passando il foglietto a Charlotte.
«E noi?» chiese Collins una volta rimasti soli.
«Noi dobbiamo parlare.» Annunciò lei trascinandolo verso la stanza della pausa caffè.
«Allora, che c’è di tanto segreto?» chiese Mason una volta seduti sul divanetto nero accanto alla porta.
«Devo dirti una cosa molto importante e abbastanza preoccupante. Riguarda Vanessa, ma mi ha chiesto di non farne parola con nessuno…»
«Guarda che non mi chiamo Nessuno di secondo nome.» la interruppe lui.
«Smettila di fare lo scemo per una volta!»
«Ok, d’accordo. Ma se Vanessa non vuole farlo sapere in giro perché lo dici a me?»
«Vuoi dirmi che non sei curioso?» aggrottò le sopracciglia, con aria scettica.
«È ovvio che sono curioso, ma voglio sapere il motivo di tanta confidenza.»
«Perché è un segreto che per ora non deve uscire…» cercò di sviare, ma lo sguardo di Mason lasciava intendere che si aspettava una vera motivazione. «Magari… anzi, probabilmente è un enorme sbaglio, ma non riesco a tenermi tutto questo peso da sola… ho bisogno di parlarne con qualcuno e di sfogarmi. E, soprattutto, io mi fido di te.» disse toccandogli un ginocchio.
«Ok, cioè… wow!» mormorò.
«Che c’è?»
«Niente, solo non mi aspettavo una confidenza del genere… grazie, sono contento che ti fidi di me. Insomma, sono anni che cerco di farti capire che farei tutto per te.» azzardò sfiorandole la mano, ancora posata sul suo ginocchio.
Lei si riscosse e spezzò il contatto. Non distolse però lo sguardo.
«Allora, questo segreto?» intervenne Collins, vedendola in difficoltà.
«Giusto!» esclamò lei riprendendosi dalla trance in cui era dolcemente caduta «Hai capito come ha fatto il killer ad uccidere Elisabeth?»
«Tramite Samantha, se non sbaglio.»
«Esatto, e ora devi sapere che stamattina Vanessa era in ferie, ma non erano programmate: ha avvisato ieri sera che si sarebbe presa due giorni di riposo. Solo allora è stata sostituita da Elisabeth.» Disse cauta.
«E questo cambia le cose?»
Possibile che non avesse ancora capito?
«Sì Collins, questo cambia tutto!»
 
 
 
 
 * Non vorrei morire due volte. È così noioso.
 

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Capitolo 4
*** Ipoteticamente parlando ***


 
 
Capitolo 3
 


Ipoteticamente parlando
 
 

«E così vorresti dire che il vero obiettivo era Vanessa e non Elisabeth?!» chiese Collins per la millesima volta, stupefatto da tale novità.
«Sì, Collins, sì! Non so quante volte te l’ho già ripetuto.» Rispose estenuata la Detective, mentre analizzava il referto dell’autopsia.
Lui tacque per alcuni minuti, finché non arrivò ad un’inevitabile conclusione: «Ma allora la vita di Vanessa è a rischio! Potrebbe riprovare ad ucciderla, e magari avere più fortuna della prima volta!»
«Perspicace.» rispose lei, senza alzare gli occhi dai fogli.
«Smettila di prendermi in giro! Io sono preoccupato!»
«E pensi di essere l’unico? È da quanto l’ho scoperto che non riesco a pensare ad altro.» Urlò alzando lo sguardo verso di lui. «Sarà la quindicesima volta che rileggo la stessa frase e se adesso mi chiedessi cosa c’è scritto non saprei risponderti. È la mia migliore amica, Collins! Come pensi che possa essere tranquilla?»
«Volevo solo essere d’aiuto. Forse è meglio se vado a farmi un giro. Hai ragione, Aria, come sempre.» Furono le sue ultime parole prima di alzarsi e sparire dietro l’angolo.
Nell’udire quell’unica frase, lei si sentì morire.
Cosa aveva fatto? Perché era stata così ingenua da comportarsi in quel modo?
«Tutto bene, capo?» chiese la Detective Renard avvicinandosi, al seguito di Evans.
«Sì… tutto bene! Novità?»
«Allora…» iniziò il Detective «Elisabeth Thompson, 32 anni, single. Viveva in un appartamento nel centro di Little Tokio. Aveva un’ amica con cui usciva spesso, che l’ha vista per l’ultima volta ieri sera, in un bar del centro, un certo Roxy bar. L’amica si chiama Sandra Bell e sta arrivando per l’interrogatorio. Per quanto riguarda l’altra vittima, Samantha Robinson, ha 49 anni ed era, per così dire, una donna di strada. Abbandonata dai genitori all’età di 15 anni, è cresciuta tra i barboni finché a vent’anni non si è resa conto della sua bellezza, ed ha incominciato ad usarla per guadagnare. Ha esordito ballando nei locali per poi finire a fare la squillo nelle strade più gettonate di Los Angeles. È stata trovata in un vicolo vicino al Grand Avenue Project ieri pomeriggio, con un buco nella testa. L’autopsia era fissata per questa mattina. Ah, e non ho trovato nessun genere di legame tra le due vittime.»
«Perfetto. Ottimo lavoro.» Disse Aria «Ah, Evans… non abbiamo nessuno da interrogare per quanto riguarda Samantha?»
«Sì, sta arrivando una sua amica. La interrogherò io e lascio a te Sandra Bell, va bene?»
«Perfetto. Renard, hai scoperto qualcosa riguardo ai possibili venditori di Gas Nervini?»
«Sì, ne ho trovato uno nei quartieri malfamati, un certo… Lukey Jones; conosciuto da tutti con il nome di Falco.»
«Ok, ottimo lavoro entrambi. E per quanto riguarda la frase?»
«Ho fatto ricerche su internet ed è saltato fuori che sono le ultime parole di Richard Feynman, un fisico statunitense.»
«Ultime parole?»
«Sì, l’ultima frase che ha detto prima di morire.»
«E che nesso hanno con gli omicidi?»
«Non ne ho la più pallida idea… ci lavoro ancora un po’.» Rispose Renard.
«Ok, va bene. Ah, Renard è meglio se interroghi tu Sandra Bell. Intanto io e…» in quel momento si voltò verso la sedia vuota accanto alla sua scrivania «Io andrò a trovare il signor Jones. Ci rivediamo qui tra qualche ora.»
«Sicura di voler andare da sola? Non sono i posti più tranquilli da frequentare, soprattutto per una donna.» la interruppe Matthew.
Lei non rispose, limitandosi a fulminarlo con lo sguardo, prese il giubbino di pelle e s’incamminò verso l’ascensore.
«Le do’ un minuto.» Disse Renard al collega.
«Per cosa?» chiese lui, ma subito dopo si sentì squillare il telefono.
Charlotte lesse il messaggio della Detective.
Sorrise compiaciuta e lo fece vedere a Evans. «Come pensi che possa arrivare fino a Jones senza un indirizzo?» chiese.
Poi rispose al messaggio indicandole la via.
«Non l’hai trovata un po’ strana?» chiese la ragazza rivolta all’amico.
Detective Charlotte Renard, squadra Omicidi.
Ha origini Francesi; i genitori vivono in un delizioso appartamento vicino a Notre Dame.
Esperta di informatica e di balistica, ha deciso di trasferirsi a Los Angeles per fare carriera.
Il suo viso d’angelo può ingannare, ma non esiste tiratore migliore di lei. La sua prima pistola risale a quando aveva undici anni.
È fidanzata con Michael Rossi, un brillante avvocato di origini italiane che, incredibilmente, risulta sempre più impegnato di lei.
Si affeziona troppo alle persone ed è molto dolce, ma questo non le impedisce di far confessare anche i più terribili criminali.
«Chi, Aria? Dai, lo sai che ha i suoi sbalzi d’umore… Non sarà niente, vedrai.»  La rassicurò Evans.
«Spero tu abbia ragione.»
«Io ho sempre ragione, Charlotte!»
«Il Detective Evans?» chiese una signorina comparendo dal corridoio.
«Sono io.»
«Salve, sono Sandra Bell, l’amica di Elisabeth.»
 
Mentre i due Detective interrogavano le amiche delle vittime, Aria cominciava a capire perché Evans non volesse farla andare da sola.
Il quartiere era a dir poco malfamato.
C’erano bambini che bevevano e fumavano chissà quali sostanze, ragazze di tredici anni che si vendevano.
Si sentiva estremamente fuori luogo, ma era una poliziotta. Con una pistola.
Non c’era niente da temere. O almeno così voleva credere…
Appena notò l’indirizzo che le avevano dato i colleghi, entrò riluttante nel piccolo e sudicio negozio di alimentari.
«Desidera?» le chiese una giovane donna, tatuata dalla testa ai piedi.
«Sto cercando il signor Lukey Jones.»
«Non so chi sia.» Rispose l’altra senza rifletterci.
«Ci pensi bene, dovrebbe abitare qui.» Riprovò, questa volta mostrandole il distintivo.
La ragazza si spaventò, cambiando il tono e il modo di atteggiarsi, ma continuò a negare.
«Ci sono problemi?» chiese all’improvviso un uomo grande e grosso materializzandosi davanti a lei.
«No, Falco, nessun problema, la signorina se ne stava andando. Giusto?»
Quella frase fece scattare qualcosa nella testa di Aria, che si ricordò improvvisamente del soprannome.
«Lei è il signor Jones?» chiese all’uomo.
«Nessuno mi chiama più con questo nome, dove lo ha trovato?» chiese lui di rimando, sorridendo a ricordi passati.
Lei, mostrando nuovamente il distintivo, aggiunse: «È risultato che sia l’unica persona a Los Angeles che vende Gas Nervini.»
«Gas cosa?»
«Non faccia finta di non saperne niente.»
«Lo giuro, qui vendiamo solo cibo e bevande confezionati, non gas tossici… o come li chiama lei.»
«Mi ascolti bene, io non sono della narcotici, sono della omicidi; non la denuncerò se vende sottobanco sostanze illegali. Ma è fondamentale che lei mi dica chi sono i suoi acquirenti, perché uno di loro è l’assassino che sto cercando.»
Falco si concesse qualche secondo per ragionare: «Se io, ipoteticamente parlando, vendessi quelle sostanze, cosa vorrebbe sapere?»
«Ipoteticamente parlando,» gli resse il gioco lei «vorrei i nomi delle persone che hanno comprato il gas negli ultimi tempi.»
«Mmh… negli ultimi tempi dice?» chiese massaggiandosi la barba brizzolata «Beh, ultimamente avrei solo un acquirente, sempre ipoteticamente parlando.»
«Oh, ovvio. E potrebbe definire “ultimamente”?»
«Quattro anni.»
«Non vanno molto bene gli affari, eh?»
«Se ipoteticamente vendessi quei gas, le potrei dire che alla gente piacciono altri tipi sostanze.»
«Ok, non importa, adesso voglio il nome.»
«Non ho un nome.»
«Com’è possibile?»
«Mettiamola così: se avessi venduto della sostanza ad un uomo, questo non si sarebbe mai fatto vedere di persona, ma avrebbe pagato il doppio per mantenere l’anonimato.»
«E come vi sareste contattati?»
«Lui mi avrebbe inviato dei biglietti scritti a mano, che avrei trovato la mattina sotto la grata dal negozio, con indicata la quantità e il luogo dove avrei trovato i soldi e dove avrei dovuto lasciare l’acquisto.»
«Il tutto ipoteticamente parlando, immagino.» aggiunse Aria.
«Il tutto ipoteticamente parlando.»




 

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Capitolo 5
*** Lo prenderemo, come sempre ***


 


Capitolo 4


 
Lo prenderemo, come sempre
 


 
«Vorresti farmi credere che quel tizio, Falco, ha venduto della roba a qualcuno che non ha neanche mai visto?» chiese Evans allibito.
«Cosa non si fa per i soldi…» commentò Aria. «Voi, cosa avete scoperto dagli interrogatori?»
«Io non molto» cominciò Matthew «L’amica di Samantha ha detto di averla vista per l’ultima volta una settimana fa. E non aveva idea di chi potesse avercela con lei. Ha dichiarato che non lasciava scontento nessun cliente.»
«E per quanto riguarda Sandra Bell?»
«Anch’io non ho scoperto un granché» disse Renard «Sandra sostiene di non aver trovato nulla di strano o sospettoso nel comportamento dell’amica la sera prima dell’omicidio. Ah, e poi mi ha anche detto che Elisabeth non aveva un fidanzato dai tempi del liceo, dunque anche la pista della gelosia scompare. Sembra proprio che nessuno avesse un valido motivo per ucciderla.»
«Perfetto. In conclusione, non abbiamo nulla.» Commentò sarcasticamente Evans.
«No, sappiamo per certo che Samantha non è stata uccisa per motivi personali, ma solo per fare da tramite all’uccisione. E sappiamo anche che il killer ci ha lasciato questo indizio.» Disse indicando il foglietto con le ultime parole, appeso alla lavagna dei delitti.
«E come fai a sapere che è un indizio per noi? Se fosse solo una sorta di rituale?»
«Non è possibile. Se ci pensi bene, l’obiettivo dell’assassino  era Elisabeth, cioè quella che non ha ucciso direttamente; ciò vuol dire che non ha un legame particolare con le vittime – o almeno non un legame sadico – e questo esclude il rituale. Renard, cos’altro hai trovato su quel foglietto?»
«L’ho passato alla Scientifica, ma non ha riscontrato né impronte né altri generi di tracce. E anche per quanto riguarda il significato della frase, niente. Come ti ho detto, sappiamo solo che sono le ultime parole di Richard Feynman; non hanno nessun collegamento apparente con l’omicidio.»
«A proposito di apparente, dov’è il nostro critico di film preferito?» canzonò Evans.
«Non lo so. Ha detto che andava a fare un giro, poi non l’ho più visto…» rispose Aria.
«E non vai a cercarlo?» continuò lui, cominciando a sorridere sotto i baffi.
«No, non sono la sua mamma.»
«Dici bene, infatti sei la sua…»
«TACI!» urlò fulminandolo con lo sguardo, mentre Charlotte rideva.
«Oh, vedo con piacere che vi state divertendo! Che ne dite, avete voglia di far ridere anche me?» chiese una donna, spuntando da un ufficio del corridoio.
Jasmine Green, capitano della sezione Omicidi.
È severa e pretende il massimo impegno da tutti; a partire dal miglior Detective fino alla signora della pulizie.
Non ha mai voluto Collins tra i piedi, ma non ha potuto rinunciare alle donazioni di sua madre.
Pretende di essere chiamata “Signore.”
È sposata, ma senza figli. Cosa che, vista l’età, sarà difficilmente rimediabile.
Apparentemente è cattiva e fredda, una signora Rottermaier in pratica, ma si vocifera che, in fondo al cuore, abbia un sottilissimo strato di bontà.
«Ci scusi, Signore, ci rimettiamo subito al lavoro.» Si affrettò a rispondere Renard, intimorita.
«Vorrei ben dire!» esclamò l’altra prima di tornare nel suo ufficio, facendo ondeggiare i capelli grigi.
«Sono le quattro di pomeriggio, non abbiamo fatto pausa pranzo, è da stamattina che lavoriamo ininterrottamente e ci sgrida per una risata!» si lamentò Evans.
«Benvenuto alle elementari!» scherzò Charlotte.
«Ragazzi, che ne dite di fare una pausa? Mangiamo qualcosa.» propose Aria riemergendo dai documenti che stava leggendo.
«E cosa dirà la Green?»
«Non importa, è un diritto umano pranzare. Mi prendo io la responsabilità.»
«Se la metti così… ok. Andiamo a mangiare!»
 
«Sei sicura di non voler venire con noi?»
«Mi spiace ragazzi, ma devo andare in lavanderia a ritirare la mia camicetta e poi ho promesso a Michael che sarei passata a trovarlo.»
«Ok, ci vediamo dopo allora!»
«Ciao, a dopo.» Li salutò Charlotte mente con un braccio chiamava un taxi.
«E noi?» chiese Evans rivolto a Miller.
«Cinese?»
«E cinese sia!» assentì.
 
Un ora e tre stomaci pieni dopo, i Detective tornarono alle loro scrivanie.
«Ehi Renard, com’è andata?»
«Non dire niente.»
«Cosa è successo?»
«Mi hanno dato la camicia sbagliata! E me ne sono accorta solo a casa. Era la mia preferita!» spiegò nervosa.
«Quale? Quella azzurrina e lilla? A quadretti? Quella di Calvin Klein?»
«Sì, era in edizione limitata e l’ho pagata un occhio della testa.»
«Dai, non prendertela… vedrai che in qualche modo la recuperi.»
«Speriamo.»
«Scusate, non vorrei intromettermi nel vostro fantastico - ne sono certa -  discorso di camicie, ma qui è in corso un’ indagine, dunque vi sarei grata se poteste darmi una mano.» Li interruppe Aria.
«Sì, scusa. Allora, cosa ti serve?»
«Falco mi ha spedito una mail con l’elenco dei luoghi in cui lasciava il gas per il nostro killer; vorrei che li controllaste per trovare un collegamento.»
«Ok.» Risposero all’unisono, prendendo i fogli e sparendo dietro le loro scrivanie.
Aria, nel frattempo, si alzò e si posizionò davanti alla lavagna.
Possibile che non avessero ancora nessun indizio concreto? Possibile che l’omicida fosse stato così bravo?
No.
In accademia le avevano insegnato che non esiste l’omicidio perfetto.
Una minima traccia, un piccolissimo indizio, un errore apparentemente insignificante lo commetteva ogni assassino.
E qui stava la bravura di un Detective: nel trovare quella minuscola traccia che li avrebbe portati ad una risposta certa.
Tutti sono capaci ad affermare che una vittima è stata uccisa con un colpo d’arma da fuoco quando ha un buco grande come un tappo sulla fronte. Non si valuta da questo un Detective.
Un Detective valuta dall’intuito, dall’attenzione per la scena del crimine, dallo svolgimento delle indagini.
E la squadra di Miller, da questo punto di vista, era la migliore.
Però questa volta qualcosa non quadrava. Dopo un intero giorno non erano riusciti a scoprire niente di importante.
Poi, d’un tratto, le passò per la mente quello che le aveva rivelato Vanessa.
E se davvero l’assassino si fosse sbagliato? Se fosse stata Vanessa la vera vittima?
Doveva fare qualcosa per proteggerla. Prese il cellulare e andò nella sala relax.
Chiamò il centralino del distretto e richiese una squadra in borghese, 24 ore su 24, sotto casa della dottoressa Pearson. E un’altra unità che la tenesse controllata durante il giorno.
Avrebbe preferito farlo lei stessa, ma non ne aveva materialmente il tempo.
Doveva trovare un assassino che, molto probabilmente, voleva morta la sua migliore amica.
«Miller?» Evans interruppe i suoi pensieri facendo irruzione nella stanza.
«Sì?»
«Abbiamo controllato l’elenco da cima a fondo, e abbiamo incrociato tutti i dati. Niente, nessun collegamento.»
«Perfetto.» Commentò con sarcasmo. «Va bene, ottimo lavoro comunque. Adesso potete andare, ci vediamo domattina.»
«Sicura? Non abbiamo altro da fare?»
«È una cosa orribile da dire, ma finché non colpirà di nuovo non abbiamo abbastanza materiale su cui lavorare. Abbiamo battuto tutte le piste possibili e non è saltato fuori niente che non sapessimo già. Non ci resta che aspettare.»
«Come vuoi.» Rispose lui poco convinto.
«Matthew.» Lo richiamò quando già aveva superato l’uscio.
Fece qualche passo indietro: «Sì?»
«Lo prenderemo, come sempre.»




 

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Capitolo 6
*** E se... ***


 


Capitolo 5
 


E se…


 
 
Era inevitabile.
Quando la Detective Miller era preoccupata per qualcosa diventava impossibile distoglierla, ogni cosa sarebbe stata del tutto inutile.
C’era solo una cosa che desiderava, e che non aveva ancora ottenuto: riuscire a dividere la sua vita in compartimenti; cercare di non mescolare il lavoro con il privato.
Il passato le aveva insegnato a non darsi pace quando una persona a lei cara era in pericolo. Era una maledizione. La sua testa era tormentata da dubbi e domande… chi poteva avercela tanto con Vanessa da volerla uccidere?
Si diede della stupida quando si accorse che i tre quarti dei criminali erano in prigione anche per colpa sua e del suo ottimo lavoro.
Ma perché non prendersela con i Detective, con gli avvocati o con i giudici? Perché prendersela proprio con il medico legale?
Aveva bisogno di distogliere la mente da quei terribili pensieri.
E nella sua vita solo due persone riuscivano a farla distrarre e sorridere: sua sorella e Collins.
Decise che era ora di uscire dal distretto.
Non prese il taxi, né la metropolitana; aveva bisogno di pensare, e l’unico modo era passeggiare per le vie di Los Angeles. Inizialmente dovette fare vari slalom tra la gente, poi la folla cominciò a diminuire, finché non si trovò su un marciapiede completamente deserto. Si trovava in periferia.
Nel camminare pensava a quella mattina, quando aveva risposto – forse un po’ male  - al suo partner. Doveva parlargli, spiegargli che era nervosa e preoccupata per Vanessa.
Avrebbe capito, lui lo faceva sempre.
Poi però un pensiero saettò nella sua mente e si sentì mancare la terra sotto i piedi.
E se non lo avesse più fatto? Se si fosse stancato di aspettare? Se fosse stata ad un passo da perderlo per sempre? E se… E se…
Tutti quegli “E se” non l’avrebbero portata da nessuna parte.
Se c’era una cosa che aveva imparato, era che le parole “e” e “se”, lette separatamente, possono sembrare innocue; ma se le si avvicina, sono in grado di tormentare per tutta la vita.
E l’ultima cosa che voleva era complicarla ancor di più. Doveva darsi una mossa, mettere da parte l’orgoglio, dirgli tutta la verità. Doveva parlargli, al più presto.
Ma prima sarebbe passata da sua sorella.
Arrestò i passi. Era davanti all’entrata.
Alzò gli occhi e lesse quella frase che ormai sapeva a memoria.
 
 
We were like you; You will like us.
 
 
Prese un bel respiro ed entrò nel cimitero.
Aria Miller, la miglior Detective di Los Angeles.
Tormentata da un passato che sembra non finire mai, è entrata in polizia giovanissima.
Ha sempre avuto un carattere forte.
Determinata in tutto, orgogliosa fin quasi al limite. A volte ingestibile.
Sua sorella è morta assassinata quando lei era ancora una ragazzina; da quel giorno ha smesso categoricamente di sorridere.
Fino a quando Collins è entrato nella sua vita.
Tutti hanno un obiettivo da raggiungere, il suo è quello di trovare l’assassino di sua sorella.
E ora, con Mason al suo fianco, ha un motivo in più per vivere.
Era davanti alla tomba.
Il nome Madison Miller risplendeva sotto la luce di un sole che stava per morire.
Non le parlò come faceva di solito, si limitò a fissare le lettere scritte in un dolce corsivo.
Una lacrima le scese incontrollata lungo la guancia.
Scostò la manica della giacca per osservare il braccialetto che portava i loro nomi. Quello che le aveva regalato al suo sedicesimo compleanno.
Lo sfiorò con le dita, evocando gli stessi ricordi che cercava di soffocare da anni.
Spostò lo sguardo sulla foto che raffigurava una Madison sorridente e allegra, come d’altronde era sempre stata. Aria era la sorella maggiore, e nonostante questo, non l’aveva mai vista piangere. Le invidiava il suo carattere, era lo specchio della perfezione.
Le mandò un bacio con la mano e uscì dal cancello.
Ora sapeva esattamente cosa doveva fare.
 
Collins sentì bussare alla porta.
Erano più o meno le otto, ma per la stanchezza era già in pigiama, seduto sul divano, a guardare strani film di fantascienza.
Si alzò a malavoglia maledicendo silenziosamente chiunque lo stesse venendo a disturbare a quell’ora.
Passando davanti allo specchio si sistemò i capelli e aprì la porta senza nemmeno controllare chi fosse.
Vide l’ultima persona che aspettava di trovarsi lì in quel momento.
«Che cosa vuoi?» domandò, completamente disinteressato della risposta.
«Ma che bel pigiamino!» scherzò lei, squadrandolo.
«Non sono in vena oggi, quindi smettila! Perché sei qui?»
«Perché…» cominciò facendosi largo per entrare in casa, osservando l’arredamento anche troppo conosciuto «… avevo voglia di vederti!»
«Per favore, vattene!» rispose lui, visibilmente stanco.
«Ma quanta allegria in casa Collins! E io che speravo di divertirmi un po’!» disse in tono sarcastico.
«Non è il momento, lo sai che io e te abbiamo chiuso.»
«Lo so, me lo hai ripetuto ben cinque volte negli ultimi mesi… perché? Ti vedi con quella Detective?»
Sentir parlare di lei con tanta malvagità faceva irritare Mason.
Era tutto il giorno che pensava ad Aria. Ok, era arrabbiato per come l’aveva trattato, ma nessuno aveva il diritto di sputarle veleno addosso!
«SHARON! Adesso basta, esci da casa mia!»
«Oddio! Come siamo irascibili…» squittì.
«SUBITO!»
«Ok, ok… me ne vado.» Rispose la donna riprendendo la borsa e dirigendosi verso la porta.
«Ricordati che quando chiamerai perché vorrai divertirti, io potrei non essere più disponibile.» Lo avvertì con la sua vocina squillante e fastidiosa.
Lui preferì non commentare, limitandosi ad aprirle la porta.
Ma trovò una spiacevole sorpresa.
Aria era dietro l’uscio, con il braccio alzato e il pugno chiuso, come se stesse per bussare; la bocca spalancata e i lunghi capelli biondi fuori posto. Probabilmente non sapeva cosa dire.
Sharon non si fece scappare l’occasione di rovinare tutto e disse ad alta voce: «Mi sono divertita molto… spero di rivederti presto!» poi gli lanciò un bacio e scappò via, senza salutare la Detective che era immobile a fissare la scena.
«Aria, io posso spiegare…»
«No, non preoccuparti, è tutto chiaro.» disse con la voce tesa, che di lì a poco si sarebbe rotta dal pianto.
Fece due passi indietro e si voltò, correndo via per le scale.
«No, ARIA!» urlò lui dalla porta di casa «Maledizione!» sussurrò a sé stesso uscendo in pigiama per rincorrerla.
Arrivò a piano terra con il fiatone. Si guardò intorno.
Di Aria neanche l’ombra.
«Scusi, dov’è andata la donna?» chiese al portiere.
«Quale, quella bionda o quella mora?» disse con malizia.
«Quella bionda!» esclamò, senza dar retta alle fantasie del ragazzo.
«Da quella parte.» Rispose indicando la strada sulla destra.
Collins si lanciò fuori dal condominio, a piedi nudi.
Doveva trovarla, spiegarle tutto. Doveva farsi dire perché fosse a casa sua a quell’ora.
Il solo pensiero che fosse venuta per scusarsi lo uccise. Sharon aveva rovinato tutto, di nuovo.
E se Aria fosse arrivata solo pochi minuti dopo? E se non avesse fatto entrare la sua ex fidanzata? E se non fosse stato così permaloso quella mattina?
E se… E se… E se…




 

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Capitolo 7
*** Tre anni fa... ***




Capitolo 6
 


Tre anni fa…


 
 
«Sharon Blake, vuoi tu prendere Mason Collins come tuo legittimo sposo?»
«Sì, lo voglio!» il sorriso smagliante illuminò la scena.
«E tu, Mason Collins, vuoi prendere Sharon Blake come tua legittima sposa?»
Il suo sorriso non voleva scomparire… d’altronde, come biasimarla? Stava per sposarsi!
Improvvisamente, vedendo quei denti anche troppo perfetti, Mason non riuscì a pronunciare alcuna parola.
L’espressione del prete lo incitava a parlare. Il sorriso di Sharon si affievolì. Un colpo di tosse si alzò dalla platea.
“Di di sì, maledizione!” la sua vocina interiore si fece sentire.
«Signor Collins?» intervenne il prete.
«Mason?!» lo accompagnò Sharon, quasi stizzita.
Il respiro si fece più corto, l’aria non bastava più. Sentì una goccia di sudore scivolare lungo la fronte.
Il lieve mormorio dei presenti, per lui, divenne assordante.
Doveva fare qualcosa, velocemente.
Diede una rapida occhiata alle facce sconvolte degli invitati, finché non trovò il suo volto.
Aria gli fece un cenno, come per incitarlo a dare una risposta.
Quel  gesto, semplicemente il modo in cui aveva fatto volteggiare la mano nell’aria, lo costrinse a bloccarsi.
Cosa stava facendo? Davvero voleva sposare una donna di cui non era più innamorato?
Cercò Aria un’altra volta, prima di mormorare “Scusatemi” e correre per la navata, sotto gli occhi sconvolti di centinaia di persone.
 
«Sei scemo? Che diavolo stai facendo? Torna là fuori spiegando che hai avuto una brutta influenza intestinale e che non riuscivi più a stare in piedi! Sali su quell’altare dicendo che è la donna della tua vita e che la ami e che sì, SÌ TU VUOI SPOSARLA! Chiedi di ricominciare e ritrova quella magia che si era creata. E vedi di essere convincente, per l’amor del cielo!»
Il dito di Aria colpiva insistentemente il petto di Collins, mentre gli versava addosso troppe parole perché lui potesse concentrarsi su ognuna di esse.
Mason non rispose, limitandosi a sorridere, perso nei suoi capelli che ondeggiavano.
«Mi stai almeno ascoltando?! Forza, sistemati la giacca. Mason, MUOVITI!»
«Non posso.» rispose semplicemente, senza smettere di sorridere.
«Come hai detto? Vorrei ricordarti che faccio crollare in dieci minuti spietati assassini… con te sarà anche troppo facile.»
«Non posso.» ripeté.
«Com’è difficile…» sbuffò, sistemandosi i capelli «e si può sapere perché non puoi?»
«Perché Sharon non è donna che amo.»
«Non dire idiozie, l’hai portata all’altare! Dovrai pur provare qualcosa per lei.»
«Oh sì, eccome se provo qualcosa per lei. In questo momento principalmente fastidio perchè tu ne stai parlando e, di conseguenza, stai interferendo nei miei progetti.»
«Che razza di progetti può avere un idiota che è scappato all’altare?»
«Beh, io stavo pensando qualcosa del genere…» mormorò, prima di afferrarle i polsi e spingerla fino al muro.
«Poi magari questo…» avvicinò la bocca alla sua guancia, soffermandosi a lungo. Poteva sentire i muscoli contratti di lei, sotto il suo tocco. Era agitata e lo sapeva. L’aveva presa in contropiede… era riuscito a zittirla.
«E, infine, una cosa di questo tipo…» disse baciandola.
Erano cinque anni che la conosceva, cinque anni che sognava di farlo. Solo non avrebbe mai pensato che potesse essere così straordinario.
Lei non si mosse, chiuse appena gli occhi, cercando di mantenersi lucida.
Provò a rispondere al bacio, ma durò solo pochi secondi.
La ragazza razionale che era in lei ebbe la meglio, e lo spinse via di colpo.
«Tu… tu stai per sposarti…» balbettò «io… noi… non posso. Vai. Sposala. E dimentichiamoci di questo.»
Uscì di corsa dalla stanza, lasciandolo con il suo profumo addosso.
Anche lui uscì, ma sorridendo.
Il suo obiettivo rimaneva quello di sposarsi, solo non quel giorno. E soprattutto non con Sharon.
 
«Un brindisi!» gridò alzando il bicchiere.
«E per chi?»
«Per te.»
«Per me?»
«Si, perché esattamente un anno fa mi hai impedito di sposare una donna che decisamente non era l’amore della mia vita.»
Aria arrossì, ancora con il bicchiere in alto.
«Sai, dopo che i bicchieri si toccano e tintinnano, si dovrebbe berne il contenuto. Di solito tutto in una volta sola. Dipende dalla situazioni.»
«Oh, sì… hai ragione.» si riprese, assaggiando il vino.
Lo guardò di sottecchi, cercando di capire le sue reazioni.
Da quel giorno non avevano più parlato dell’accaduto. Un anno intero in cui entrambi erano consapevoli di quel magnifico - doveva ammetterlo -  bacio, ma nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di affrontare l’argomento.
Cercò di rimanere il più rilassata e disinvolta possibile. Non era il momento di parlarne. Aveva a disposizione una vita per rimandare quella conversazione.
«Almeno ti è piaciuto?» chiese lui, a bruciapelo.
«Il vino? Molto.»
«Non far finta di non capire, sai a cosa mi riferisco.»
«Scusa Mason, ci sono decine di fascicoli che aspettano la mia firma. Ci vediamo domani.» disse, alzandosi bruscamente.
Lui le afferrò un braccio.
«Perché hai così paura di parlarne? Vorrei tanto sapere cosa gira in quella piccola testolina.» le disse, accarezzandole i capelli mossi e spettinati.
«Niente di importante, davvero. Ora devo proprio andare.» cercò di divincolarsi, invano.
«Aria…» la chiamò, alzandosi e avvicinandola velocemente a sé.
Le accarezzò i fianchi, afferrandoli dolcemente.
Eccola, quella sensazione tornò ad invadere i loro corpi. Quel misto di voglia di lascarsi andare e di razionalità che li frenava.
Le toccò una guancia, scaldandola con il suo respiro.
Indugiò sulla sua bocca, prima di far incontrare di nuovo, dopo un anno, le loro labbra.
Le stesse sensazioni tornarono più accese che mai, come se tutti quei giorni non fossero mai passati. Come se si trovassero ancora in quella chiesa.
Aria gli allacciò le braccia intorno al collo, giocando con i suoi capelli.
Forse non era tutto così utopico… o forse sì.
Lasciò quel dubbio in sospeso, ma fu solo per un attimo. Esattamente come un anno prima, quel dovere di responsabilità e protezione verso sé stessa la spinse a staccarsi dal corpo di Mason.
«Non posso, mi dispiace. Non possiamo…» mormorò riprendendo fiato, appoggiando la fronte alla sua.
«Ho già sentito queste parole Aria.»
«Forse avresti dovuto ricordartele.»
«Perché continuare a negare ciò che ci lega?»
«Perché io non sono… non posso. Ti prego, facciamo finta che non sia mai successo. Non parliamone più. Questa volta per sempre. E per davvero.»
Poi prese la borsa e uscì, accostando la porta.



 

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Capitolo 8
*** Qualcosa che dovevano chiarire ***




Capitolo 7


 
Qualcosa che dovevano chiarire



 
Come aveva potuto illudersi? Come aveva potuto anche solo pensare che lui la stesse ancora aspettando?
In fondo forse un po’ lo capiva.
Era stato lì per lei per ben otto anni, le aveva confessato i suoi sentimenti, le era stato vicino anche quando tutti se n’erano andati.
E lei cosa aveva fatto?
Aveva mentito dicendo che non riusciva a sentirsi in pace, che era stata già duramente ferita e niente sarebbe riuscito a farla tornare a vivere.
Si era nascosta dietro ad una bugia, aveva bruciato ogni possibilità che le era stata data.
Era ovvio, nessuna persona sana di mente passerebbe la sua unica vita ad aspettare una donna che ha paura di aprire il suo cuore.
Ed ecco com’erano finite le cose. O come, forse, non erano mai iniziate.
Aveva corso per diversi minuti e si era fermata in un parco buio. Si accasciò su una panchina, con le gambe al petto e la testa appoggiata sulle ginocchia.
Una sola lacrima sfuggì al suo controllo, precipitando sul marmo freddo.
Era ora di andare avanti.
«Sono forte perché ho già perso chi amavo, sono già sopravvissuta, so come si reagisce, so che non si muore.» sussurrò al vento, nella speranza che quelle parole venissero trasportate troppo lontane perchè apparissero così maledettamente vere.
Sentì dei passi lontani. Poi qualcuno si sedette accanto a lei.
Non chiese il permesso, né se fosse occupato o meno, semplicemente si accomodò in silenzio.
Lei alzò gli occhi e li incrociò con due diamanti blu.
Era buio, ma li avrebbe riconosciuti tra mille. Erano gli occhi dell’uomo che silenziosamente amava, e dello stesso che quella sera aveva perso per sempre.
«Ehi…» mormorò Aria.
«Ehi… ascolta, io posso spiegarti. Tra me e Sharon non è successo niente. Era venuta da me perché voleva divertirsi, come ha detto lei. Ma io le ho urlato di andarsene. Lei ha preso la sua borsa e nell’uscire, vedendoti, non ha resistito alla possibilità di rovinare come sempre la mia vita. Così ha detto quella frase e se n’è andata… ma tu lo sai com’è fatta… lo sai che non è successo niente! Non mi credi vero?» domandò Collins scorgendo il suo sguardo perplesso.
«Ti credo.» Rispose lei.
«Ecco, lo sapevo. Ma ti assicuro che è tutta colpa sua e… Mi credi?!» domandò aggrottando la fronte.
«Sì, ti credo. Mi fido di te. Se dici che non è successo niente e che è stata lei a fare la stronza sì, ti credo. Perché non dovrei farlo?» disse Aria con dolcezza, ma senza sorridere.
«Oh… grazie.» Mormorò lui, commosso dalle parole della Detective. «Aria, perché eri a casa mia?»
«Per aggiornarti sulle indagini.» Mentì.
«Ah, allora aggiornami.» Disse con un sorriso, nascondendo la delusione e facendo finta di credere alla sua risposta.
«Sì beh, non che le cose siano cambiate di molto. Abbiamo scoperto che la frase del foglietto erano le ultime parole di Richard Feynman, un fisico statunitense. Per il resto niente di nuovo; gli interrogatori con le amiche delle vittime non sono serviti a molto, e dal mio incontro con Falco…»
«Falco?» La interruppe lui.
«Sì, è il soprannome del trafficante di Gas Nervini… lo stesso che li ha venduti anche al nostro assassino. In ogni caso niente, perché gli arrivava una lettera scritta a mano che indicava il luogo in cui lasciare la merce e quello in cui avrebbe trovato i soldi.»
«Avete provato a controllare i luoghi?»
«Sì, Evans e Renard li hanno incrociati in tutti i modi possibili, ma niente da fare. Siamo ad un punto morto.»
«C’è sempre la frase.»
«Già, ma finché non scopriamo cosa significa, e soprattutto perché è stata lasciata lì, non ce ne facciamo molto.» Finì la spiegazione, alla quale seguirono alcuni minuti di silenzio.
«Aria, perché eri a casa mia?»
Lei alzò lo sguardo. «Te l’ho detto, per aggiornarti sul caso.»
«Smettila! Sono qui, a piedi nudi e in pigiama, in una delle notti più fredde della stagione solo perché volevi aggiornarmi su un caso? Perché sei venuta?»
Lei abbassò gli occhi, ci pensò un attimo e poi rispose: «Per chiederti scusa, per come mi sono comportata oggi. Non avrei dovuto risponderti in quel modo, mi dispiace. Sono preoccupata per Vanessa, e il fatto che non abbia potuto raccontarlo a nessun’altro mi stava distruggendo. Perché io e te non possiamo proteggerla come dovremmo e perché ho paura che il prossimo colpo vada a segno sulla vittima giusta. Sono stressata e nervosa, ma non è colpa tua… e mi dispiace da morire.» Ammise e, di nuovo, una lacrima sfuggì al suo controllo. Per fortuna era buio.
«Non preoccuparti, ti capisco. Forse anche io sono stato un po’ esagerato ad andarmene in quel modo.»
Lei annuì e tornò il silenzio di pochi minuti prima.
«Aria, adesso però voglio la verità. Perché eri sull’uscio di casa mia? E non rifilarmi un’altra scusa, per cortesia, perché c’era una luce diversa nei tuoi occhi. Ti supplico, dimmelo.»
«Per lo stesso motivo per cui tu mi hai rincorso fin qui.» Tutta la paura era magicamente scomparsa.
Gli credeva, si fidava di lui. Aveva solo avuto un maledetto tempismo, ma ora era pronta a parlargli.
Invece, non era così pronta a rispondere al cellulare, che squillò proprio in quel momento.
Lei lo prese dalla tasca e guardò il display, era il capitano.
«Miller.»
«Detective, è stato trovato un cadavere in un vicolo, sulla Maple Ave. La voglio sulla scena del crimine tra un quarto d’ora, chiaro?»
«Sì, signore.» Nonostante la malavoglia, assentì e chiuse il telefono.
«C’è un cadavere sulla Maple Ave, scusami, devo andare.» Disse alzandosi.
Si avvicinò a lui e gli stampò un bacio sulla guancia, soffermandosi più del dovuto.
Poi si diresse verso l’uscita del parco.
Dopo tre passi si fermò, voltandosi: «Collins, vuoi venire?»
«Non aspettavo altro!» esclamò contento scattando in piedi.
Lei, per la prima volta in tutta la sera, sorrise. «Prima però passiamo a casa tua, non credo tu voglia farti vedere in pigiama.»
«Acuta osservazione, non per niente sei Detective.» Anche a lui era tornato il sorriso.
Tutto sembrava esattamente come prima. Ma entrambi sapevano che non era così.
C’era qualcosa rimasto in sospeso, qualcosa di cui avrebbero presto parlato.
Qualcosa che dovevano chiarire.
Tutti pensano che i grandi cambiamenti della vita avvengano lentamente, con il tempo.
Ma non è vero. Le grandi cose avvengono in un istante.
 
«Ehi Collins, dov’eri finito?» lo salutò Evans, una volta arrivati sulla scena del crimine.
«Non mi sentivo molto bene, ma adesso sono come nuovo!» mentì.
Matthew fece finta di crederci, e si rivolse ad Aria.
«Allora… donna, bianca, sulla quarantina. Dai documenti si chiamava Alex Taylor, origine australiana. A sentire Vanessa è morta di avvelenamento.»
«Vanessa è già qui?»
«Sì, è la in fondo, vicino al cadavere. Credo sia meglio se vai tu a parlarle. Sai com’è…»
«Ok, vado io. Ah, Evans… dov’è Charlotte?»
«Non è potuta venire, ha portato Michael in pronto soccorso.»
«Qualcosa di grave?»
«No, credo si sia rotto una caviglia, o qualcosa di simile…»
Lei annuì e, con Collins al suo fianco, si diresse verso Vanessa.
«Eccoti, finalmente siete arrivati! Come mai questo ritardo?» chiese la dottoressa con il suo solito tono che lasciava trasparire curiosità e malizia.
«Dovevo cambiarmi, ero in pigiama.» Rispose Collins innocentemente, rendendosi conto subito dopo di cosa aveva innescato nella testa dell’anatomopatologa.
«A cambiarti il pigiama, eh? Eravate già nel lettino?»
«VANESSA! Vorresti cortesemente dirci cosa è successo ad Alex, prima che si decomponga?»
«Ok, ok… stavo solo indagando! Dunque, Alex è morta per avvelenamento. Non so ancora di cosa, però per una sostanza chimica sparsa all’interno della sua camicia.»
«Come fai a dirlo?»
«Perché se notate, la parte arrossata del corpo è proprio quella in cui era a contatto con la stoffa, ed è sicuramente morta avvelenata perché ne mostra i sintomi. Vi saprò dire di più quando avrò analizzato la sostanza in laboratorio.»
«Grazie, Vanessa.»
«Figurati. E dì al tuo amico Matthew, che può anche avvicinarsi, giuro che non lo mangerò.»
«Evans non ha ancora visto il cadavere?»
«No, e credo che lo vedrà solo quando io mi allontanerò.»
«Non si può lavorare in questo modo… Collins, vallo a chiamare per favore. E digli di venire subito!»
«Agli ordini!» rispose facendo un saluto militare.
«Cosa hai intenzione di fare?» sussurrò Vanessa aggiustandosi un riccio ribelle dietro l’orecchio.
«Sistemerò questa cosa una volta per tutte.»
Evans arrivò al fianco di Collins, con la testa bassa.
«Cosa c’è?» chiese.
«Matthew, credo sia ora di smettere di evitare in questo mod…» si interruppe quando vide che lo sguardo del suo collega era fisso sul cadavere. «Mi stai ascoltando?! EVANS!»
«Non è possibile…» mormorò lui.
«Cosa non è possibile?» lo incalzarono Aria e Collins, insieme.
Lui indicò il cadavere con un dito tremate; sembrava in trance.
Poi sussurrò: «La camicia… è la camicia di Charlotte!»




 

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Capitolo 9
*** Siamo tutti in pericolo ***




Capitolo 8
 


Siamo tutti in pericolo


 
 
 
«Scusa?» chiese Aria scioccata.
Come poteva la camicia di Renard essere addosso ad un cadavere?
«Ti dico che è la sua! Quella che ha perso oggi! Non ti ricordi che se ne stava lamentando?»
«Quella della lavanderia?»
«Esatto! Ma questo vuol dire che…» Evans non riuscì a concludere la frase, per paura anche solo di pensare ad una cosa simile.
Aria lanciò una sguardo d’intesa a Vanessa e poi a Collins.
L’anatomopatologa era sbiancata, terrorizzata al solo pensiero. Collins le si era avvicinato e l’aveva sostenuta, prendendole un braccio.
Aria invece si accostò ad Evans, che tremava ancora. Era strano vederlo in quel modo; ma, in fondo, come biasimarlo?
La sua collega era viva per un errore della signora della lavanderia; avrebbe dovuto esserci Charlotte in quella camicia.
E il solo pensiero fece mancare l’aria a tutti i presenti.
«Sei sicuro sia la sua?» chiese cauta Aria.
«Sì, erano in edizione limitata, maledizione! Controllate, lei scrive sempre le iniziali sull’etichetta.»
Vanessa si affrettò a dare un’occhiata.
Mentre leggeva quelle singole lettere gli occhi le si scurirono.
C.R.
Charlotte Renard.
Il panico la colse, soprattutto perché sapeva che anche la prima vittima era stata un errore.
Nel rialzarsi vide qualcosa nel taschino della camicia. Infilò la mano e ne estrasse un foglietto.
Lentamente lo aprì e lesse ad alta voce, interrompendo ogni discorso.
 
 
Lord, help my poor soul.*
 
 
«Cosa?»
«C’è scritto qui, sul foglio.»
Aria glielo strappò praticamente dalle mani.
«È identico a quello che abbiamo trovato in bocca ad Elisabeth! A parte il testo, ovvio.»
«E questo significa che…» la incalzò Collins.
«Che abbiamo un serial killer.»
«Ma io credevo che si parlasse di serial killer solo ad un totale di tre vittime.»
«Infatti ufficialmente non lo è ancora – e spero vivamente che non lo diventi mai – ma lo stesso foglietto con la stessa calligrafia… ammetti che è strano?»
«Sì, lo è. Dobbiamo solo scoprire da dove viene quella frase… un libro forse? Da un film?»
«Non lo so, il critico sei tu.»
«Già… senti, io credo che dovremmo chiamare Charlotte e avvisarla.»
«No!» esclamò Evans interrompendo il loro discorso «O per lo meno non adesso: le racconteremo questa storia assurda domani mattina, ok? E fino a quel momento la faremo seguire da una pattuglia.»
«D’accordo.» Assentì Aria «Agente Adams!» urlò al ragazzo che stava prendendo lì vicino.
«Sì, Detective?»
«Ci sono testimoni?»
«No, niente testimoni del delitto. C’è solo la signora che ha ritrovato il cadavere.»
«Ok, la lasci andare a casa adesso. Le dica di venire al distretto domattina. Ah, e chiami una pattuglia in borghese.»
«Per chi?»
«Gli dica di sorvegliare la Detective Charlotte Renard, con la massima urgenza.»
«Renard? Cos’è successo?»
«Niente domande Adams!»
«Agli ordini!» esclamò sparendo dietro al nastro della polizia.
«Ok. Vanessa, porta il cadavere in obitorio. Evans, Collins ed io ci dirigiamo al distretto a portare i documenti e le fotografie. Poi ce ne andiamo tutti a casa. Domattina ci troviamo alle otto, tutto chiaro?»
«Tutto chiaro.» Annuirono, per poi dirigersi ognuno verso il suo incarico.
Aria si avvicinò alla sua amica: «Vanessa, ti senti bene?»
«Non preoccuparti, è tutto ok.» La rassicurò.
«Non mentire, sei spaventata a morte, te lo si legge negli occhi. Vuoi venire a casa mia stanotte?»
«No, Aria, davvero. Credo che starò bene nel mio letto e con la pattuglia sotto la finestra…»
«Non ti sfugge niente, vero?» chiese la Detective, sorridendo.
Incredibile come quella donna riuscisse sempre a captare ogni minimo cambiamento.
«È difficile farsi sfuggire due uomini seduti in macchina ad ogni ora del giorno e della notte, esattamente di fronte a casa propria, non credi?»
«Già… allora niente. Per qualsiasi cosa chiama ok?»
«Sì capo!» la prese in giro Vanessa, ridendo.
Aria la abbracciò, le diede un bacio sulla guancia e le regalò un sorriso. Poi affrettò il passo per raggiungere Collins alla sua macchina.
«ARIA!» la chiamò Vanessa quando ormai era lontana.
La Detective si voltò.
«Divertiti!» le disse, facendole l’occhiolino.
Lei scosse la testa, fece finta di non capire e salì in macchina con Collins.
Misero in moto e sfrecciarono nelle trafficate strade di Los Angeles.
 
«È la prima volta in otto anni che mi lasci guidare, sai?» le fece notare Collins, mentre se ne andavano dal distretto, dove avevano lasciato tutti i referti.
«Sì, non ti ci abituare.»
«Ehi, cosa c’è?»
«E me lo chiedi? Sono preoccupata! Prima Vanessa, adesso Renard… e se il terzo colpo andasse a segno? Ma soprattutto, chi sarà il prossimo?»
Collins non rispose, si limitò a lasciarla sfogare... ne aveva bisogno.
«Ehi, dove stai andando? Casa mia è da quella parte!» esclamò ad un tratto lei, indicando un punto indefinito alle sue spalle.
«Lo so.»
«E…»
«Stanotte dormi da me.»
«Non se ne parla neanche! Sono una donna adulta e, tra l’altro, poliziotta. Portami a casa, adesso!»
Collins invece accostò l’auto e la spense.
«Che cosa fai?!»
«Aria, ascoltami. Io sono preoccupato come te, se non di più. Adesso ragiona: sai cosa vuol dire il secondo tentativo di omicidio di uno della squadra?»
«Cosa?»
«Vuol dire che siamo tutti in pericolo. E io non ti lascerò a casa da sola proprio stanotte. Non saprei come vivere se ti perdessi…» gli sfuggì in un sussurro.
«Ok, verrò.» assentì infine la donna.
Lui le sorrise, poi rimise in moto l’auto e non parlò più.
 
«Vieni, puoi dormire nella camera degli ospiti.»
«Grazie, Collins. Di tutto.»
«Non c’è problema, lo faccio volentieri.» Sorrise. «Vuoi andare subito a letto, vuoi una tisana, oppure guardare un po’ di TV? Scegli pure.»
«Credo che opterò per una tisana e poi andrò a dormire, sono davvero stanca.»
«Perfetto! Allora tu cambiati mentre io scaldo l’acqua. Ti ho portato un pigiama di mia madre, spero ti vada bene.»
«Benissimo. A proposito, come sta?»
«Bene, credo. A dire la verità non la sento da quasi un mese… Si starà divertendo a Hollywood, niente di più facile.»
«E tu sei così tranquillo?» chiese alzando le sopracciglia.
«Nascondo più che abilmente la mia preoccupazione.» Rise.
«E tuo padre?»
«Oh, mio padre è… mio padre! Non ho la più pallida idea di dove sia! Però ogni tanto chiama per dirmi che sta bene.»
Aria sorrise e annuì, comprendendo che, nonostante i soldi della famiglia Collins, non era un’isola felice neanche la loro.
Lui la fissava senza muovere un muscolo.
«Guarda che ce la faccio da sola.»
«A fare cosa?»
«A mettere il pigiama.»
«Oh, sì… giusto! Ti aspetto in cucina.» rispose imbarazzato uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.
Lei rise al pensiero di essere riuscita a far imbambolare Collins prima, e a farlo balbettare dopo.
Si tolse la camicia e, voltandosi, si trovò davanti allo specchio.
Si sfiorò la pancia, soffermandosi sulle due piccole lettere nere tatuate sul ventre, a destra.
M. A.
Madison e Aria.
Sua sorella ne aveva uno uguale sul collo.
I ricordi riempirono la sua mente.
“Ti voglio bene, sai? Sei la cosa migliore che potesse capitarmi… e guarda come sei bella! Ridi Aria, ridi più spesso. Tu non ti vedi, ma illumini il mondo con il tuo sorriso!”
Un brivido si fece strada lungo la schiena. Stava soffrendo, di nuovo.
Scosse la testa cercando di eliminare quei pensieri.
Tolse anche i jeans e le scarpe. Il pigiama della madre di Collins le stava perfettamente.
Si guardò un ultima volta allo specchio.
Sorrise.
Poi spense la luce e uscì dalla camera.
 
 
 
* Signore, aiuta la mia povera anima.



 

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Capitolo 10
*** Che il gioco abbia inizio! ***




Capitolo 9
 


Che il gioco abbia inizio!


 
 
«Vedo che avete la stessa taglia.»
«Sì, mi sta alla perfezione. Grazie.» Rispose Aria, scaldandosi le mani con la tazza bollente.
Erano in salotto e stavano bevendo una tisana al cocco, la preferita di Collins. Si osservavano di sottecchi, non sapendo cosa dire.
«E ti sta anche bene… il colore… dico…»
«Già» annuì lei «mi piacciono soprattutto questi orsacchiotti disegnati sui pantaloni. Mi fanno tornare bambina.»
Mentre si chiedevano il motivo di quella stramba conversazione sul pigiama di sua madre, Collins azzardo una proposta.
«Tornare bambina eh… ti piacerebbe?»
«Mmh, non lo so. Sinceramente non ci ho mai pensato. Penso che per certi versi sarebbe bello… insomma, quando la più grande preoccupazione della vita è il dover scegliere di che colore sporcarsi le mani, beh, va tutto alla grande. Non credi?»
Lui sorrise, annuendo.
«Facciamo un gioco!»
«Cosa?»
«Sì, facciamo un gioco! Non hai appena detto che per certi versi sarebbe bello tornare bambina? Allora giochiamo.»
Lei, da brava Detective qual era, valutò le opzioni: declinare l’offerta e parlare di cose più impegnative, rischiando così di tornare sull’argomento di cui stavano parlando al parco, e quindi di dover esporre i propri sentimenti; oppure giocare.
«Giochiamo!»
«Perfetto!» esultò sistemandosi più comodo sulla poltrona. «Allora, le regole sono semplici. A turno ognuno di noi dirà una cosa sull’altro. Ma non cose ovvie, cose che solo chi ha un rapporto come il nostro potrebbe sapere. Tutto chiaro?»
«E chi sbaglia?»
«Chi sbaglia deve bere un sorso di tisana; il primo che finisce la tazza perde.»
«E cosa succederà a chi perde?»
«Oh, a chi perde niente… ma chi vince guiderà la macchina domani mattina!» disse soddisfatto.
In fondo era pur sempre un critico, non gli sfuggiva nessun dettaglio, soprattutto per quanto riguardava Aria. Avrebbe vinto.
«D’accordo.» Acconsentì lei stringendo gli occhi in due fessure. «Che il gioco abbia inizio!»
«Perfetto, parto io. Allora, vediamo un po’… so che non sopporti il rumore del condizionatore.» Iniziò lui, compiaciuto.
«Vero. Tocca a me! Hai la stessa password per tutto.»
«E come fai a saperlo?»
«Mi spiace, non era nel regolamento motivare.» rispose alzando le mani.
«Ok. Giochi pesante? Farò lo stesso: sei innamorata.»
«Vero.» disse senza arrossire «Odi i salvadanai.»
«Vero… non ti piacciono i lieto fine, pensi che siano poco realistici.»
«Giusto! Il tuo colore preferito è l’azzurro.»
«Ma che brava, Detective, le hai azzeccate tutte!»
«Sono un’attenta osservatrice.»
«Mai quanto me! Vediamo… non sopporti quando le persone ti salutano con un bacio sulla guancia, perché non sai mai se devi darne due o tre.»
«Ammirevole… ti piace camminare in riva al mare d’inverno.»
«Hai un debole per le caramelle rosse a forma di cuore.»
«So che hai usato il biberon fino ad otto anni!»
«Giuro che ucciderò mia madre…» sussurrò lui «Mmh, so che odi camminare con i saldali nella sabbia.»
«Vero,  so che hai tradito le tue ex fidanzate… hai persino tradito le donne con cui hai tradito!»
«Devo ammettere che è vero, ma questo è successo un Mason Collins fa… ora è tutta un'altra storia.»
«Lo spero.»
«Tocca a me! So che ti sfreghi sempre i piedi prima di entrare nel letto. Anche se non ne ho mai capito il motivo.»
«Cos’è, mi spii?»
«Niente motivazioni!»
«Touchè! Adori quando ti chiamo per nome.» Riprese lei.
«Già… Sai più lingue di quante tu ne possa parlare.»
«È vero, ma preferirei non lo dicessi in giro… potrei passare da Detective a interprete.» Rispose facendogli l’occhiolino.
«Come vuoi.»
«Ti piace leggere il libri delle elementari, perché sai già tutto!»
«Ti dà un potere assoluto!» esclamò «Adori Shakespeare ma odi Amleto.»
«Non mi è mai piaciuta quell’opera… odi i tappeti con le forme geometriche.»
«Sai cantare, e anche bene.»
«Sì, ecco un’altra cosa che rimarrà tra noi, vero?»
«Ho altra scelta?»
«No! Ti piacerebbe vivere in una città più tranquilla.»
«Giusto, a patto che ci sia anche tu!»
Lei arrossì e abbassò lo sguardo, poi riparti alla carica: «Ti piace il surf.»
«Ehi, era il mio turno!»
«Ti ho solo fatto un favore» rispose Aria «probabilmente avrai finito gli argomenti!»
«Niente affatto… ho solo l’imbarazzo della scelta. Te lo dimostro: al contrario di come la pensano in tanti, tu non vuoi vendetta, ma giustizia.»
«Vero. Dopo aver letto Hunger Games avresti voluto partecipare ai giochi!»
«E brava, Detective! Non ti facevo così attenta… so che odi non avere il controllo di tutto.»
«Non ti sono mai piaciuti i dentisti.»
«Fanno paura!» si giustificò «Hai una foto con un bellissimo modello di Abercrombie.» Fece una pausa ad effetto «Recente, molto recente.»
«È vero, segregata nel cassetto del comodino.»
«Wooo… aspetta, cos’è, la guardi prima di andare a dormire?»
«Sei geloso Collins? So che adori il rumore delle spillatrici.»
«Sì, e tu odi quello dei coltelli che vengono affilati.»
«Bravo… hai il terrore del giorno in cui vedrai la tua prima ruga!»
«E tu dovresti essere altrettanto terrorizzata! Sai, è un evidentissimo segno dell’invecchiamento…»
Continuarono così per quasi tutta la notte - o quel che ne restava - mentre nell’aria aleggiava il presentimento che il giorno dopo la macchina si sarebbe guidata da sola fino al distretto.




 

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Capitolo 11
*** Molto più di quello che credi ***


 


Capitolo 10
 


Molto più di quello che credi


 
 
«Allora signora Wilde, ci dica, è stata lei a trovare il cadavere?»
«Mi chiami pure Camille.» Rispose l’anziana donna che si trovava in sala interrogatori.
Aria e Collins erano di fronte a lei.
«Camille… ci racconti.»
Lei si prese del tempo per riorganizzare le idee e cominciò: «Erano più o meno le dodici e mezza quando sono uscita da casa mia. Di solito il cane lo porta fuori mio figlio, ma ieri sera era ad una festa, così è toccato a me. Avrei dovuto fare il solito giro sulla Maple Ave, ma il cane ha preso a correre. Facevo fatica a tenerlo al guinzaglio, ricordo un forte dolore alla spalla da tanto tirava: probabilmente aveva fiutato qualcosa. Mi ha trascinata fino a quel vicolo. Era tutto completamente buio, e non lo vidi subito. Il cane mi portò fino alla fine della via, e sentii una strana puzza. In quel momento il lampione, non so per quale motivo, si accese; così lo vidi.
Era a terra, ma non sembrava come quei cadaveri che si vedono nei film… non c’era neanche una goccia di sangue! Ho provato a svegliarla, ma non c’è stato niente da fare… così ho chiamato un’ambulanza. Poi siete arrivati voi.»
«E che ore erano, più o meno?»
«Direi verso l’una.»
«Ha visto qualcuno mentre entrava nel vicolo?»
«Ve l’ho detto, era tutto buio.»
«Va bene, Camille, grazie, può andare. Se le viene in mentre altro ci chiami, mi raccomando.»
«D’accordo.» Rispose con un sorriso, uscendo dalla stanza.
«Che ne pensi?» chiese Collins.
«Secondo me è sincera. Poi chiamerò Vanessa per verificare questi orari con quelli del decesso. Se corrispondono credo proprio che non avremo nulla di che sospettare della signora Wild.»
 
«Evans, cosa hai trovato sul Alex Taylor?»
«Come già sai, Alex era di origine Australiana. Quarantatré anni. Faceva la mediatrice, era anche abbastanza famosa. Era sposata, ma il troppo lavoro portò ad un divorzio, tre anni fa.»
«Come si chiama l’ex marito?»
«Bill Reed.»
«L’avete già chiamato?»
«No, lo stavo per fare. Vuoi convocarlo qui?»
«Sì, voglio parlare con lui.»
«Perfetto, vado!»
«Evans?» lo chiamò Collins.
«Sì?»
«Hai scoperto niente sul biglietto che abbiamo trovato nella camicetta della signora Taylor?»
«Ah già, quasi dimenticavo. Sì, sono le ultime parole di Edgar Allan Poe, il famoso scrittore.»
«Le ultime parole? Di nuovo?!» chiese Aria stupita.
«Sì, ma c’è una particolarità.» Si intromise Collins «Sono tutte ultime parole, ma di personaggi famosi. O comunque facilmente trovabili su google. Non vi sembra strano?»
«Molto… dobbiamo andare a fondo di questa storia. Devono pur voler dire qualcosa, no?»
«Le ho messe in un sistema di decodifica, niente. Nel sistema di rilevazione indizi, niente. Nel sistema di incroci e indovina?»
«Niente, di nuovo.»
«Esatto, sembrano a caso.»
«Ma non ha senso!»
«Forse è la sua firma, un modo per dire “Ehi, sono di nuovo io”!» ipotizzò Collins.
«No… di solito come firma si lascia un oggetto o un simbolo. Non frasi. Questi foglietti contengono indizi ben precisi.» Spiegò Aria.
«Peccato che noi non sappiamo né dove cercarli, né quali siano, e neanche a cosa si riferiscono.»
«Ti ringrazio, Collins.»
«Per cosa?»
«Per aver elencato ciò che non sappiamo!» rispose sarcastica, mentre Evans rideva.
Venne salvato dal telefono che squillava sulla scrivania della Detective.
«Miller.»
«Tesoro, devi scendere, SUBITO!» annunciò Vanessa, riattaccando.
«Evans, chiama il marito; Collins, cerca collegamenti con le frasi, le ultime parole. Io vado da Vanessa.»
«Sì, capo!» urlarono all’unisono.
 
«Allora, cos’hai scoperto?»
«Come avevo preavvisato, la nostra vittima è morta per avvelenamento; più precisamente avvelenamento da nicotina.»
«Da nicotina? Sulla camicia?»
«Pare di sì. L’ho fatta analizzare dalla Scientifica e risulta che il killer ha cosparso l’interno dell’indumento con un pesticida a base di nicotina. Quando Alex l’ha indossata il veleno è stato assorbito dalla pelle e dopo pochi minuti lei ha cominciato a sudare, poi sono arrivate le difficoltà respiratorie. Forse anche le convulsioni. È morta in circa un’ ora.»
«È… strabiliante. Non in senso buono, ovvio; ma non avevo mai visto nessuno uccidere in questo modo.»
«Non preoccuparti, non sei l’unica.» sorrise l’amica.
«Ora del decesso?»
«Più o meno verso le nove e un quarto di sera.»
«Plausibile.» disse a sé stessa.
«Tu ritieni il mio lavoro solamente plausibile?»
«No, mi riferivo alla signora che ha trovato il corpo, all’una di notte. Sentiva una strana puzza, probabilmente un accenno di decomposizione. Per questo è plausibile.»
«Mmh… farò finta di crederci. Avete già parlato con Charlotte?»
«No, non è ancora arrivata al distretto… poi le racconteremo. A proposito: tu sai che questa storia deve saltare fuori, vero? Siamo già a quota due, e se il prossimo colpo andasse a segno?»
«Lo so. Solo aspetta che ci sia anche io per avvisare gli altri. La Green lo sa?»
«No! Mi hai chiesto di tenerlo segreto e l’ho fatto.»
«Non l’hai detto proprio a nessuno nessuno?» chiese l’anatomopatologa con la sua solita vocina maliziosa.
«No.» mentì abbassando la sguardo.
«Mmh… ora vai, e quando arriva Charlotte chiamami: racconteremo tutto.»
«Ok, a dopo.»
«Aria?» la chiamò Vanessa, mentre stava per varcare la porta.
«Sì?»
«Dì a Collins di non dire niente nel frattempo!»
Aria non rispose e scappò via, sussurrando “Maledizione!” mentre le guance diventarono color porpora.
Nello stesso momento sul volto di Vanessa comparve un sorriso compiaciuto.
 
«Collins, COLLINS!» urlò Aria, sorprendendo l’uomo a dormire sopra la sua tastiera.
«Mmh…» mugugnò lui alzando la testa.
«COLLINS! Ti sembra il momento di appisolarti?»
«Sono stanco! Sai, non ho dormito molto stanotte…» rispose ammiccando.
«E perché?» si intromise Evans, che aveva rilevato i collegamenti tra le parole stanco e stanotte.
«Avevo caldo.»
«Siamo in inverno.»
«Si è rotto il riscaldamento…»
Evans continuò a fissarlo.
«Nel senso che va al massimo… si è rotto… non si ferma più…»
Aria avrebbe voluto sparire, volatilizzarsi.
«Questo sai come si chiama?» domandò Evans.
«Come?»
«Arrampicarsi sui vetri!»
«No, ti sbagli, noi non abbiamo… cioè io non…»
«Hai trovato Bill Reed?» li interruppe Aria, salvando Collins e sé stessa.
«Sì, era fuori città. Arriva nel pomeriggio.»
«Bene, lo aspetteremo. Notizie di Renard?»
«L’ho chiamata per sapere di Michael, ha detto che adesso sono a casa. E lei dovrebbe arrivare tra qualche ora. Come pensi di dirglielo?»
«Dirmi cosa?» li interruppe una docile voce alle loro spalle.
«Ehi, Charlotte, che ci fai qui? Avevi detto qualche ora!»
«Lo so, ma non ho resistito, mi hanno detto che c’è un nuovo cadavere!»
«Si chiama Alex Taylor, è morta da avvelenamento. Il killer ha sparso un pesticida a base di nicotina all’interno della sua camicia. È morto stanotte, alle nove e un quarto circa.» Aria aggiornò tutti.
«Wow… Altro?»
«Sì, abbiamo trovato le ultime parole di Edgar Allan Poe scritte su un biglietto messo nella tasca della camicetta di Alex. Ma non sappiamo ancora cosa significhino.» Aggiunse indicando il foglietto sulla lavagna.
«Ah, e abbiamo trovato l’ex marito, arriverà nel pomeriggio.»
«Bene. Cosa devo fare?»
«Niente. Ma noi dobbiamo dirti una cosa…»
«No, forse è meglio se spiego tutto io.» una donna dai ricci neri comparve alle loro spalle.
«Vanessa?! E tu cosa centri?» chiese Matthew.
«Molto più di quello che credi.»






 

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Capitolo 12
*** Potevano morire tutti ***




Capitolo 11


 
Potevano morire tutti


 
 
 
«Vi ricordate di Elisabeth Thompson? L’anatomopatologa che è stata uccisa?» cominciò a spiegare Vanessa.
«Cosa c’entri tu con tutta questa storia?» insistette Evans.
«C’entro perché lei ha coperto il mio turno. All’ultimo minuto.»
Non c’era mai stato tanto silenzio come in quel momento.
«Questo significa che…»Matthew non riuscì a terminare la frase.
«Sì, significa che il vero obiettivo ero io. Ho avuto fortuna. Ma adesso siamo tutti in pericolo; siamo a quota due.»
«Ehi, aspettate. Che significa che siamo a quota due?» si intromise Charlotte.
«Ti ricordi quella camicia che hai perso perché la lavanderia le ha scambiate?» parlò Aria.
«Sì… e allora?»
«L’abbiamo trovata. Indosso ad Alex Taylor. Con la nicotina all’interno.» spiegò la Detective lentamente e con cautela.
«Questo vuol dire che il vero obiettivo ero io? Ma non ha senso!»
«Non ne aveva neanche con Vanessa, ma adesso siamo già a due. Siamo tutti a rischio. Il prossimo colpo potrebbe non sbagliare.»
«Spero non ci sia un prossimo colpo!» intervenne Evans.
«Lo spero anche io, ma non abbiamo nessun indizio, niente! Come possiamo pretendere di mettere in galera un uomo senza la minima traccia?»
«Ok, allora credo sia il momento di cominciare ad indagare. Sul serio, adesso che tutti sappiamo la verità.» disse Mason.
«Collins ha ragione. Dobbiamo iniziare, subito. Evans, chiama la lavanderia e interroga il dipendente che era di turno nell’arco di tempo in cui la camicia di Renard è stata lì; per quanto ne sappiamo potrebbe essere stato lui ad invertire i cartellini; poi scopri chi è il proprietario della camicia che è stata consegnata a Charlotte, che nel frattempo leggerà tutti i dati e i rapporti su quest’ultimo omicidio, ok? Ah, e interrogherà anche la moglie di Alex Taylor; dovrebbe arrivare nel pomeriggio. Vanessa, tu puoi tornare in obitorio. Tutto chiaro?»
«Sì!»
«Bene, mettiamoci al lavoro. Prima iniziamo e prima prendiamo quel bastardo.»
«E noi? Che facciamo?»
«Io vado a parlare con la Green, tu, se riesci a farlo senza dormire, continua a cercare informazioni sulle ultime parole. Dovranno pur significare qualcosa, giusto?»
«Ok, ci vediamo dopo.» Annuì andandosene verso il computer.
Aria, rimasta sola, si prese del tempo per organizzare i suoi pensieri.
Per la mancanza di tempo non era riuscita ancora a realizzare l’imminente pericolo: potevano morire tutti.
Cominciò ad immaginare alla sua vita senza le persone che la circondavano; senza Collins.
Scacciò all’istante quei pensieri.
Il fatto di essere tutti a rischio la portò ad una terribile conclusione: non c’era più tempo.
Non c’era più tempo per fare tutte quelle cose da sempre rimandate. Per dare a suo padre quel regalo che aveva da mesi nel cassetto, per chiamare quell’amica d’infanzia. Non c’era più tempo per piantare i fiori sul davanzale, o per leggere quel libro appoggiato sul comodino.
Guardò l’orologio: venti minuti.
Venti minuti per i suoi contorti pensieri potevano anche bastare.
Si alzò e, presa la cartelletta con gli appunti, si diresse verso l’ufficio del capitano Green.
Non avrebbe potuto sapere che questo avrebbe messo in azione un esercito.
 
«Per favore, mi ascolti. Non dobbiamo farci notare, la prego, ritiri l’ordine!»
Se c’era una cosa che Aria Miller non era mai arrivata a fare nella sua vita era supplicare qualcuno; ed era esattamente ciò che stava facendo in quel momento.
«Niente Per favore! Ho deciso, e così resterà.»
Subito dopo che Aria le aveva raccontato l’imminente pericolo in cui si trovavano, il capitano del distretto aveva deciso di mettere una pattuglia sotto ogni casa dei membri della sua squadra, e un’altra unità che li seguisse ovunque andassero.
La Detective era contraria, sostenendo che l’assassino avrebbe potuto accorgersene e, così facendo, avrebbe predetto meglio i loro spostamenti.
Ad Aria non era mai piaciuto dare nell’occhio. La sua paura più grande era che la storia arrivasse ai media; a quel punto si sarebbe volatilizzata anche la minima possibilità di arrestare il colpevole.
«Va bene signore. Ma si ricordi questa frase: tra qualche giorno io tornerò, solo per dirle “Gliel’avevo detto!”» poi uscì sbattendo la porta.
 
Erano le nove di sera, ed Aria stava guidando al fianco di Collins.
Si dirigevano verso casa sua, in modo che potesse prendere alcuni vestiti: si sarebbe trasferita da lui per qualche giorno.
“Almeno finché non si calmeranno le acque.” Aveva detto.
Giusto per cambiare, non avevano trovato niente di utile riguardo il caso.
L’ex marito aveva un alibi di ferro, e sembrava seriamente dispiaciuto della morte di Alex. Non era stato neanche in grado di fare l’elenco di possibili nemici.
La signora della lavanderia sosteneva di non aver invertito i cartellini. “Assolutamente!” aveva giurato. E, ovviamente, non aveva visto nessuno farlo.
Però ricordava che la signora Taylor si era subito accorta dell’errore, ma aveva indossato lo stesso la camicetta perché aveva una causa importante e la sua era macchiata di caffè. Aveva giurato che gliel’avrebbe riportata la sera stessa.
La camicia consegnata a Charlotte invece, come previsto, era quella di Alex.
Era come se qualcuno, sapendo dell’attentato, avesse deciso di scambiare i cartellini e salvare la vita della Detective… ma chi?
Le ultime parole sembravano, ora dopo ora, sempre più insensate e casuali.
Avevano controllato anche tutti i clienti di della Taylor che, essendo mediatrice, avrebbe potuto avere qualche controparte un po’ aggressiva. Niente, tutti avevano un alibi. Sembrava un tunnel senza fine.
«Arrivo subito.» Sussurrò scendendo dall’auto e correndo in casa.
Mise insieme un po’ di magliette, jeans e maglioni e tornò verso Collins.
Rimise in moto l’auto, diede un occhiata alla pattuglia dall’altro lato del marciapiede e ripartì sfrecciando.
 
«Niente giochi stasera, ok?» disse la Detective ridendo, mentre se ne stavano seduti sul divano a guardare un vecchio film.
«Niente giochi.» Assentì. «Allora cosa facciamo?»
«Non ne ho idea, Collins… possiamo parlare, che ne pensi?»
«Penso che sia perfetto. Ma…» disse alzandosi «Non c’è conversazione che si rispetti che non sia accompagnata da un bicchiere di vino. Torno subito.»
Si diresse verso la cucina, mentre Aria si preparava per ciò che avrebbe dovuto dirgli.
Non riusciva, malgrado la concentrazione, a formulare nessuna frase articolata.
Era stanchissima, la notte precedente aveva dormito poco. Voleva solo chiudere gli occhi per un momen…
«Eccoti…» Collins tornò dalla cucina con in mano due bicchieri, e la trovò con la testa appoggiata allo schienale del divano, addormentata. Si sorprese a sorridere.
Appoggiò i calici sul tavolino e avvicinò il volto a quello della Detective: «Parleremo domani.» Le sussurrò nell’orecchio.
Lasciandole un dolce bacio sulla fronte, la coprì.
Prima di uscire dal salotto spense la luce, facendo aleggiare nell’aria due parole.
Sogni d’oro.





 

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Capitolo 13
*** Chi sarà il prossimo? ***




Capitolo 12
 


Chi sarà il prossimo?


 
 
 
«Non lasciarmi Aria! Non lasciarmi!»
«Prendi la mia mano, Collins!»
«Non ci arrivo!»
«Forza!»
«ARIA!»
Si svegliò di soprassalto. Era tutta sudata, e stava ansimando.
Non aveva avuto questo genere di incubi neanche dopo la morte di sua sorella. Scacciò quei pensieri. In fondo era solo un sogno, giusto?
Ma c’era qualcosa di maledettamente reale; il sesto senso con cui fiutava i pericoli, si era attivato.
Si rese conto solo a quel punto di essersi svegliata a causa del telefono che squillava.
«Miller!»
«Aria…» la chiamò Renard.
«Ehi, cos’è successo? Sono le tre del mattino! Charlotte, stai bene?»
«Io sì… ma è successa una cosa, devi venire subito.»
«Dove?» cominciava a preoccuparsi, e la voce della Detective non era per niente di aiuto.
«Sulla quinta strada.»
«Arrivo subito!»
«Aria, aspetta…»
«Vuoi dirmi che succede?!»
Quello che accadde dopo superò di gran lunga il suo incubo.
 
«Collins! Collins! Svegliati, presto!»
«Mmh.. Aria… Che c’è?»
«Alzati! Dobbiamo andare!»
«E dove? Sono le… TRE?!» chiese guardando la sveglia.
«Non ho tempo per spiegarti! Devi alzarti!» disse togliendogli le coperte di dosso e lanciandogli i pantaloni, mentre apriva il suo armadio per cercare una camicia.
«Aria, Aria! Frena.» Disse prendendole le mani.
«Non posso… io… non possiamo!»
«Ti prego, calmati. Cosa è successo?»
«Mi ha chiamata Charlotte… dobbiamo andare sulla quinta strada. Il prima possibile!»
«Aria, cosa ti prende? Non sei mai stata tanto agitata per un omicidio.»
«Ma questo non è un semplice omicidio.»
«E allora di che si tratta?»
«Evans… è scoppiata una bomba nella macchina di Evans.»
«Ehi, calmati: è notte, probabilmente adesso è casa a dormire, e la macchina era parcheggiata per caso sulla…»
«Collins, hanno trovato un corpo!»
 
«Allora, cosa dice la Scientifica?» chiese Aria mostrando una calma che non aveva.
«Ha detto che chiunque sia stato, ha posizionato una bomba sotto l’auto collegandola ai cavi di accensione; così, quando ha messo in moto…»
«La macchina è saltata in aria.» Completò lei.
«Esatto. Aria, dobbiamo fare qualcosa.»
«Calmati Charlotte, bisogna mostrarsi fermi e decisi. Siete sicuri che sia l’auto di Matthew?»
«Sì, abbiamo controllato ciò che è rimasto della targa.»
«E il corpo?»
«È ancora senza identità, irriconoscibile. Lo stanno trasportando all’obitorio proprio adesso.»
«Avete provato a chiamarlo?»
«Sì, decine di volte. Nulla, il vuoto assoluto. Appena finisco qui passo a casa sua. Ti prego, Aria, dimmi che non è lui, ti prego.»
«Non sai quanto mi piacerebbe poterlo fare.»
Lasciò soli Charlotte e Collins per avvicinarsi alla macchina ormai fredda.
I vigili del fuoco avevano fatto del loro meglio, ma non avrebbero ricavato molto da quell’ammasso di lamine bruciate.
Cercò indizi nascosti: niente. Si guardò in giro… possibile che il killer fosse completamente invisibile?
Poi cominciò a pensare ad Evans, e a Vanessa… chi gliel’avrebbe detto?
Anche se non erano più fidanzati non significava che non si amassero ancora. E, in ogni caso, era un amico. Decise che sarebbe andata a casa sua dopo aver ispezionato la scena del crimine… o quel che ne rimaneva.
Qualcosa attirò la sua attenzione: un cartello del divieto di sosta.
Si avvicinò e confermò i suoi dubbi. Sopra al simbolo che raffigurava il divieto, c’era scritta, in un angolo, una semplice parola: Here.
Poteva non significare nulla, ma lei sapeva che era una chiaro messaggio.
«Collins, vieni a vedere!» lo chiamò mentre aggirava il cartello.
«Cosa hai trovato?»
«Questo.» Rispose mostrando una busta grigia, incastrata tra il cartello e il palo che lo reggeva.
«Che c’è scritto?»
«Aria Miller.» Annunciò cupa.
«Oh mio Dio, Aria! Questo psicopatico sa il tuo nome!»
«No, ti sbagli: lui sa tutti i nostri nomi.»
Aprì lentamente la busta e lesse ad alta voce.
 
 
 
 
Detective Miller!
Salve!
Se stai leggendo questo biglietto vuol dire che non mi hai ancora preso.
E, molto probabilmente, non hai ancora la minima idea di chi sia.
Ma io, al contrario di te, vi conosco tutti.
Uno per uno: Aria, Charlotte, Vanessa, Matthew, Mason, Jasmine.
Stupita?
Non hai ancora visto niente.
Ma la vera domanda è:
Chi sarà il prossimo?
 
 
«È agghiacciante.»
«No, è pazzo!»
«Aspetta Aria, guarda, c’è un altro foglietto nella busta.»
Lei lo prese: era più piccolo.
Sapeva già cos’era.
 
 
Die, my dear? Why that's the last thing I'll do! *
 
 
«Le ultime parole di qualcuno, immagino.»
«Già, eccole. Cominciavo a sentirne la mancanza.» Rispose sarcastica lei.
«E adesso che si fa?»
«Aspetta un attimo… Miller!» rispose, estraendo il telefono.
«Sono Charlotte.»
«Dove sei?» chiese guardandosi intorno… era lì dieci minuti prima!
«Sono arrivata adesso a casa di Evans.»
«L’hai trovato?»
«No, non c’è nessuno! Il portiere sostiene di non averlo neanche visto entrare.»
«Questo è un problema.»
«Puoi dirlo forte! Aria, e se è lui davvero?»
«Ha sbagliato due colpi su due! Quante possibilità vuoi che ci siano che il terzo sia andato a segno?»
«Spero meno di quelle che penso.» Concluse.
«Cosa ha detto?»
«Evans non è in casa, e non è neanche rientrato. Adesso io vado da Vanessa, tu vai pure a casa, ti chiamo.»
«Vengo con te.»
«Davvero, non ce n’è bisogno.»
«Il distretto non ha bisogno di me, ma tu sì. E non provare a negarlo.»
Lei pensò alla straordinaria forza di quell’uomo.
«Solo perché siamo qui con una macchina sola!»
 
«Vanessa! Vanessa, apri la porta!» urlò Aria bussando impaziente.
«Ehi, così la sfonderai.» Disse Collins prendendole il braccio.
«Come faccio a dirgli una cosa del genere… come faccio?»
«Troverai il modo, lo trovi sempre.»
Lei sorrise, poi sentì la porta aprirsi.
«Manca un quarto alle quattro, lo sai?»
Vanessa comparve sulla porta con una vestaglia lilla e i ricci scuri scompigliati.
«È urgente…» si giustificò lei.
«Tanto da venire a disturbare nel cuore della notte?»
«Possiamo entrare? Qui fuori si gela.» chiese Collins sfregandosi le mani.
«No, forse è meglio di no…» sussurrò l’anatomopatologa.
«Tesoro, chi è?»
Un uomo biondo a torso nudo comparve alle spalle di Vanessa.
Aria e Collins si guardarono e, contemporaneamente esclamarono: «EVANS?!»
 
 
 
 
 * Morire, mia cara? Perché questa è l'ultima cosa che farò.

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Capitolo 14
*** Senza parole ***




Capitolo 13
 


Senza parole


 
 
 
«Beccati…» scherzò Evans passandosi una mano sugli occhi azzurri, ignaro di tutta la faccenda.
«BECCATI?!» urlarono insieme Aria e Collins, visibilmente arrabbiati.
«Ehi, calma… ci siamo solo riconciliati.» spiegò Vanessa prendendo in mano la situazione.
«RICONCILIATI?!» continuarono loro.
«Vi prego, potreste smetterla di dire le stesse cose nello stesso momento? È inquietante.» Matthew face un passo indietro.
«Ti facciamo paura, Evans? Non hai idea di quella che hai fatto prendere tu a noi!»
«Ehi fratello, che c’è di male?» chiese allargando le braccia «Come se non avessi mai fatto ciò che stavamo facendo io e Vanessa…» rispose lui ricevendo un’occhiata fulminea dalla dottoressa.
«Non c’entra lei…» intervenne Aria.
«E allora perché siete qui?»
«Eravamo qui per dirle che tu eri morto in un’esplosione.»
«È uno scherzo?» chiese lui apparentemente divertito.
«No, la tua macchina è esplosa non più di due ore fa… abbiamo trovato un corpo all’interno, e dal momento che non riuscivamo a contattarti, abbiamo pensato che fossi tu quell’uomo.»
«Beh, a quanto pare non lo sono! E dov’era la macchina?»
«Sulla quinta strada… ti dice niente?»
«L’ho lasciata io lì.»
«E per quale motivo?
«Perché stavo…»
«Aspetta, devo rispondere.» Lo interruppe Aria mentre estraeva il cellulare che squillava.
«Ehi Charlotte, è tutto ok… ho trovato Evans, è a casa di Vanessa…»
«E sta bene?»
«Sì, sembra si siano riconciliati.» spiegò alzando gli occhi al cielo.
«Bene… finalmente posso tornare a respirare.»
«Non sei l’unica.»
«E adesso che si fa? Ci vediamo domattina?»
«No, ci troviamo in centrale tra dieci minuti. C’è una cosa urgente di cui dovrei parlarvi.»
«Ok, a dopo.»
«Matt, Vanessa, vestitevi. Dobbiamo andare in centrale. Adesso!»
«Non possiamo domani?»
«No, è una cosa urgente.»
«Va bene… dateci qualche minuto.»
Sparirono oltre la porta, lasciando Aria e Collins sotto il portico.
«Di che si tratta?» chiese lui.
«Voglio informarli del biglietto che ho trovato sul cartello… siamo tutti in pericolo, Mason!» esclamò, liberandosi per un secondo dalla classica determinazione che doveva mostrare un Detective. Aveva paura.
E almeno a Collins, non voleva nasconderlo.
«Tranquilla… lo prenderemo. L’hai detto anche tu, giusto? Non riuscirà ad arrivare a noi, a te… non lo permetterò.»
«Mi piacerebbe pensare che sia così facile.»
Lui annuì, sapendo che Aria aveva ragione… in quella situazione loro non avevano nessun potere. Tutto si trovava nelle mani del killer, e questo non era per niente rassicurante.
Una lacrima sfuggì al suo controllo, una sola: non era da lei.
Se la asciugò in fretta, ma non prima che Collins la notasse. Lui si avvicinò e le accarezzò la guancia.
Lei piegò la testa di lato e chiuse gli occhi. Si sentiva, per quanto possibile, al sicuro.
Fece un passo avanti e nascose il viso nel petto di Mason, facendogli passare la braccia intorno alla vita. Lui si affrettò ad avvolgerla nel suo calore.
«Sono qui.»
«No, tu sei dentro a quell’unico organo che pensavo fosse morto con mia sorella.» L’aveva ammesso; non sapeva neanche lei come, ma l’aveva fatto.
Si allontanò per guardarlo negli occhi.
Erano pieni di amore, dolcezza, tenerezza e… paura. Sì, quella paura che non li abbandonava mai.
«Mason…»
«Eccoci, forza andiamo in centrale.» Li interruppe Evans uscendo, seguito da Vanessa.
«Emmh.. sì, andiamo! C’è la mia auto, poi vi riporterò a casa.» Rispose Aria, allontanandosi all’istante da Collins.
 
La tensione era palpabile nell’aria.
Il ticchettio dell’orologio squarciava ritmicamente quel terribile silenzio.
In lontananza si sentiva il traffico forse troppo mattutino di Los Angeles.
Agitazione, preoccupazione e paura si contendevano la scena.
E tutto ciò era causato dal messaggio del serial killer. Non avevano parole, non più.
Sapevano di essere in netto svantaggio, sapevano di non conoscere praticamente nulla di quell’uomo.
«Questo bastardo sa tutti i nostri nomi! Vuole sterminarci!»
«Calmati Evans, siamo in sei contro uno. Vinceremo, è una logica matematica.»
«Devo ammettere che la Detective Miller ha ragione. Il prossimo colpo va impedito, a tutti i costi.» Intervenne il capitano.
«Siamo a tre vittime, ora è ufficialmente un serial killer. Come procediamo?»
«Partiremo con lo scoprire l’identità della vittima morta nell’esplosione. Dottoressa Pearson, credo che dovrebbe occuparsene lei di persona.»
«Certo, Signore.»
«Detective Evans, dopo dovrò farle qualche domanda, in privato. Detective Renard, una volta scoperto il nome della vittima, farà una ricerca approfondita su di essa. Detective Miller, voglio che vada ad informare la sicurezza di questa faccenda, e gli chieda di aumentare i controlli. Dopo di che invierà il biglietto alla Scientifica. Infine le chiedo di continuare ad indagare… tutto chiaro?»
I Detective annuirono.
«E io?» chiese Collins.
La Green lo incenerì con lo sguardo, poi parlò: «Lei, signor Collins, darà una mano alla Detective Miller con le indagini. Ormai è in gioco, non avrebbe senso escluderla.» Si alzò e tornò nel suo ufficio.
«Signore?» la chiamò Aria.
Lei si voltò.
«Tutto questo lo facciamo…?»
«ORA!»






 

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Capitolo 15
*** Dubbio o felicità? ***




Capitolo 14
 


Dubbio o felicità?


 
 
 
Erano quasi le otto di mattina ormai, e mentre Aria parlava al telefono con la Scientifica, Collins era uscito per prendere i caffè.
«Ecco, tieni.»
«Grazie, Collins.» Rispose, regalandogli un sorriso.
In quel momento Evans arrivò dall’obitorio, prendendo il suo bricco.
«Eri da Vanessa?»
«Sì, mi ha aggiornato sull’omicidio…»
«Mmh…» commentò Collins, rivolgendogli uno sguardo malizioso.
«Sì Collins, solo sull’omicidio. Ora sappiamo il nome della vittima: Santiago Iglesias. L’unica causa della morte è stata l’esplosione.»
«Perfetto. Renard, hai sentito il nome?»
«Forte e chiaro!»
«Bene, allora comincia ad indagare. Evans, cosa ti ha chiesto la Green?»
«Mi ha fatto un interrogatorio su ieri sera.»
«E ti andrebbe di renderci partecipi?»
«Oh, certo. Sono uscito dal distretto, più o meno verso le otto e un quarto, quando mia zia mi ha chiamato affermando di non sentirsi bene. Così, sapendo che è anziana, sono andato a casa sua sulla quinta strada. Ecco perché l’auto era parcheggiata lì. Dopo circa venti minuti è svenuta, ho chiamato l’ambulanza e sono salito anche io. In ospedale ho incontrato Vanessa, che si è offerta di darmi un passaggio, dal momento che mia zia stava meglio. Poi le cose si sono evolute e sono finito a casa sua… il resto lo sai.»
«Verso che ora è arrivata l’ambulanza?»
«Le nove, più o meno.»
«Ok, dunque l’assassino ha piazzato la bomba sotto l’auto tra le otto e mezza e le nove; sicuro che poi saresti risalito per tornare a casa. Ma non è andata così.»
«È stato un colpo di fortuna, adesso non dovrei essere qui a parlare con te.»
Lei annuì, consapevole che Matthew aveva terribilmente ragione.
«Bene. Allora cerca i video delle telecamere di sorveglianza della quinta strada… questa volta non ci scapperà.»
«Ok.» Annuì tornando verso la sua scrivania.
«Certo che è molto strano.» Intervenne Collins dopo alcuni minuti.
«Cosa?»
«No, dico: un killer così preciso nei minimi dettagli, che non lascia mai nessuna traccia, che trova il modo migliore per uccidere senza essere fisicamente presente nel momento in cui accade… Ecco, una persona così precisa che sbaglia la vittima? Ammetti che è strano.»
«Già… lo è.» Ammise concentrata, mentre nella sua mente cominciava a farsi strada un’ipotesi.
«Insomma, una volta è un caso, due un gran colpo di fortuna, ma tre? Tre diventa una…»
«…Certezza!» completò Aria.
«Esatto. E questo vuol dire che…»
«… il killer non vuole uccidere direttamente noi, ma…»
«… vuole solo metterci paura! E qui, allora, nasce spontanea una domanda…»
«PERCHÈ?!» conclusero insieme.
«Vi vedo molto affiatati.» Intervenne Charlotte.
«Abbiamo scoperto qualcosa di nuovo.» Rispose Aria, sorvolando sul commento della Detective.
«E sarebbe?»
«I veri obiettivi del killer non siamo noi! O meglio, lo siamo, ma lo fa solo per farci vivere nel terrore.»
«Mmh… sei sicura?» chiese Renard dubbiosa.
«Sì, è troppo preciso per commettere anche il minimo errore e poi sbaglia vittima? Tre volte?»
«Devo ammettere che non fa una piega… ma perché?»
«Ancora non lo sappiamo…»
«Questo vuol dire che siamo al sicuro?» intervenne Vanessa, che aveva sentito il discorso dalla porta.
«Non è detto. Non dobbiamo mai abbassare la guardia. Inoltre, se ci pensate, per lui fare un errore equivarrebbe alla morte di uno di noi, giusto?»
«Giusto. Ma scusa, come faceva a sapere che sarei stata a casa quella mattina? Avrei potuto morire io al posto di Elisabeth. Come faceva ad esserne così certo?»
«Non lo so ancora, Vanessa… non lo so. Forse ha progettato lui anche quello…» Rispose sospirando.
«Tranquilla.» mormorò sfiorandole un braccio.
Lei annuì, poi ripartì alla carica:
«Renard, cosa hai scoperto sul signor Iglesias?»
«Signor per modo di dire. Era un ladro. Di origine spagnola. In ventitré anni di vita ha la fedina più sporca di un contrabbandiere di mezza età. Niente omicidi, solo furti con scasso o rapine.»
«Questo spiega perché era sulla macchina di Evans, era l’ennesimo furto. Hai trovato un contatto, qualcuno che lo conosceva?»
«Nada! Viveva in un vecchio condominio abbandonato. E, stranamente, da solo.»
«Va bene… e per quanto riguarda il biglietto?»
«Ho controllato su Google, sono le ultime parole di Groucho Marx, il famoso attore statunitense.»
«E immagino non ci siano collegamenti con le altre ultime parole.»
«Sì, ci sono per forza, ma non ho ancora capito quali.»
«Ok, lavoriamoci. Dobbiamo intuire il loro significato, a tutti i costi. Inoltre la Scientifica non ha trovato niente, la scena del crimine era troppo rovinata.»
«C’era da aspettarselo.»
«Dobbiamo stare attenti, il killer, con il messaggio, ha instaurato una specie di rapporto con noi. Potrebbe avvicinarsi sempre di più… e possiamo solo immaginare cosa accadrà.»
«Però adesso siamo un passo avanti» intervenne Collins «Noi sappiamo che ha intenzionalmente sbagliato vittime. E lui non sa che noi sappiamo.»
«Ha ragione, non buttiamo all’aria questo vantaggio.» Lo spalleggiò Evans.
«Va bene… ora torniamo alle indagini. E partiamo con lo scoprire cosa significano le frasi; sono il solo punto di contatto che abbiamo con lui.»
Tutti annuirono e si diressero verso le proprie scrivanie.
«Vanessa, posso parlarti?» chiese Aria, trascinandola nel corridoio.
«Certo.»
«Ho bisogno della tua versione dei fatti di ieri sera.»
«Oh… nessun problema. Mi hanno chiamata dall’ospedale dicendo che c’era da controllare un decesso. Sono arrivata, più o meno verso le otto e venti, ma il centralino non sapeva niente. Così ho chiamato il direttore sanitario per chiedere spiegazioni, ma anche lui non ne sapeva nulla; ha sostenuto che molto probabilmente era uno scherzo di qualche stagista… Nell’uscire ho incontrato Evans in sala d’attesa. Gli ho chiesto perché fosse lì e mi ha raccontato della zia. Così mi sono offerta di accompagnarlo a casa, e lui ha accettato. Poi, in macchina, abbiamo chiarito la nostra situazione ed è rimasto da me. Infine siete arrivati voi.»
«Ok, grazie. Direi che coincidono.»
«Aria…»
«Sì?»
«Lo so che sei preoccupata: te lo si legge negli occhi.»
«Chi non lo è?»
«Ma per te è diverso. Tu hai un carattere protettivo… non sopporteresti vederci soffrire, ma questa ossessione ti sta dilaniando.»
«Probabilmente hai ragione, ma come faccio a stare tranquilla se so che c’è qualcuno che ci vuole tutti morti? O che, comunque, sta facendo di tutto per spaventarci? Spiegamelo tu, perché io non so davvero come fare!»
«Ehi, calmati e dammi retta. Devi lasciarti andare. So che temporaneamente sei a casa di Collins… perché non cogli l’occasione? È terribilmente spaventoso da dire, ma potrebbe essere l’ultima lo sai?»
Aria annuì grave, voltandosi a guardare Mason oltre i vetri seduto sulla sua solita sedia. Stava lottando contro una spillatrice, picchiandola sul tavolo.
Era buffo… era bello!
«Lo vedi? Quello sguardo… sei diversa, Aria! Sono otto anni che sei diversa! Penso sia ora che lo capisca anche tu!»
«COSA? Capire che se mi lascio davvero andare poi finirò per soffrire, come sempre? Oppure capire che non resterà lì per me all’infinito? Che un giorno si stancherà di aspettare un’ingestibile Detective e capirà che la sua felicità non sarò più io? In ogni caso soffrirò. Ed è quello che voglio evitare.»
«I tuoi discorsi non hanno senso, Aria! Perché mai dovrebbe farti soffrire se ti ama più di sé stesso? E per una persona come Mason Collins è dire tutto!»
«Non lo so… magari hai ragione e non lo farà mai… ma chi lo può sapere?»
«E secondo te vivere nel dubbio ti fa stare bene? Sei felice in questo modo?»
«No, non mi fa stare bene! Ma per lo meno sono con qualcuno di cui mi fido ciecamente: me stessa!»
«Perché vorresti farmi credere che di lui non ti fidi? Basta arrampicarti sugli specchi, Aria! Devi uscire dal tuo mondo. Metti da parte quella stupida paura e affronta la vita! Certe occasioni non tornano, non sempre. Sai perché ho chiarito con Matthew? Perché da quando ho scoperto che la vera vittima avrei dovuto essere io mi sono domandata “E se fossi morta? Se avessi mandato tutto all’aria per una stupida litigata?” Così mi sono messa in testa di fare qualsiasi cosa; ambivo al lieto fine, ovvio, ma anche se fosse andata male almeno mi sarei sentita a posto con me stessa. Sarei riuscita ad essere comunque felice perché avrei saputo di aver fatto tutto il possibile, nonostante il pessimo risultato. Invece è andata bene, ed ora sono davvero felice!»
«E se io non dovessi essere così fortunata? Se dovesse andarmi male? Allora vivrei ancora peggio di prima!»
«Ma devi mettere le cose sul piatto della bilancia Aria! Non guardare solo i lati negativi, prova ad osservare anche quelli positivi che, date le circostanze» disse indicando Collins «sono nettamente superiori! Preferisci il dubbio alla felicità?»
«E se la felicità non dovesse arrivare?»
«Almeno non avrai più il dubbio! Ci guadagni comunque qualcosa. E, fidati, con un uomo così non potrai che avere felicità. Pensaci tesoro, pensaci sul serio. E quando ci avrai pensato, ragiona con il cuore, non con la testa. So che per te è difficile, razionale come sei, ma devi provarci per il tuo bene. Pensaci.» ribadì.
Detto questo la dottoressa sparì dentro l’ascensore.
L’aveva colpita in pieno, e Aria non era riuscita a trovare argomenti con cui difendersi. Probabilmente perché di argomenti non ce n’erano, e Vanessa aveva completamente ragione…
Dubbio a felicità?
Tutti avrebbero scelto la seconda, ma Aria non avrebbe tenuto fede a sé stessa se non avesse percorso la strada più difficile. Comunque adesso era ora di cambiare, no?
Quella domanda tornò nella sua mente.
Dubbio o felicità?
Guardò Collins uscire vincente e pinzare i fogli.
Si osservò nel riflesso dei vetri e cercò nei propri occhi quella nuova luce di cui Vanessa parlava.
Non vedeva niente di nuovo. Ma forse perché erano otto anni che si era abituata a vedersi in quel modo.
Riportò lo sguardo su Mason, che la vide e le fece un cenno con la mano.
Lei ricambiò.
E sorrise.




 

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Capitolo 16
*** Abbiamo fatto un patto... una promessa, ricordi? ***




Capitolo 15
 


Abbiamo fatto un patto… una promessa, ricordi?


 
 
 
Sono sulla Salt Lake Ave: sto per mettere a segno il quarto colpo.
E sarà eclatante… spettacolare!
Come gli altri del resto.
Mi avvicino alla porta sul retro della clinica. È un edificio vecchio, e la scassino facilmente.
Sono dentro, mi muovo come fosse casa mia. Del resto, sono un professionista.
Agilmente arrivo davanti alla stanza ed entro.
Un miagolio nauseante s’innalza nella sala.
Faccio finta di non sentirlo e mi dirigo verso un punto in fondo a sinistra.
Ora accendo la pila. Numero 65, bingo!
Prendo la siringa dalla tasca e inietto il liquido nella zampa dell’animale.
Poi verso una manciata di Ginseng nella ciotola, accanto ad un familiare foglietto di carta.
Il mio lavoro qui è finito.
Esco nello stesso modo in cui sono entrato, richiudo le porte e non lascio neanche la minima traccia.
Nessuno si accorgerà della mia presenza. Neanche la Detective Miller.
“Stronza, tra poco tocca a te!”
Torno sulla Salt Lake Ave e mi abbasso il cappuccio sul volto.
Metto la mani in tasca e prendo il telefono.
Premo il pulsante delle chiamate rapide e in pochi secondi ricevo risposta.
«Hai fatto?»
«Alla perfezione, come sempre.»
Sento riattaccare. Rimetto il telefono in tasca e continuo a passeggiare.
Sorrido, compiaciuto di tanta bravura.
Sono un artista nato.
 
«MILLER! MILLER!»
«Evans, sono qui… come da otto ore a questa parte!» rispose lei, alzando il braccio.
«L’ho trovato!»
Aria e Collins scattarono in piedi.
«IL KILLER?!» chiesero all’unisono.
«Sì… no… cioè…»
«L’hai trovato o no?!» continuarono.
«Sì, nelle telecamere, ma si vede di schiena. Venite a vedere.» Rispose, conducendoli nella stanza di fianco.
«Ecco, questo che cammina, con il cappuccio nero… è lui!»
«E come fai ad esserne certo?»
«Aspetta…»
Aria obbedì e seguì il filmato.
Il tizio si avvicinò alla macchina e, preso un pacco da sotto la felpa, lo posizionò nella parte sottostante dell’auto. Poi scassinò la portiera e manovrò i fili di conduzione.
Infine richiuse l’auto, si avvicinò al cartello del divieto per incastrarci la busta e sparì velocemente dal raggio di ripresa.
«Ha fatto un errore.» Collins spezzò il silenzio.
«Già, non è da lui.» Commentò Aria, stranita.
«Tecnicamente non ha commesso errori: la telecamera non è ufficializzata; è stata piazzata da un signore anziano per controllare la strada quando non è in casa. È amico di mia zia.»
«Dunque il killer non sapeva di essere ripreso… ma allora perché non lo vediamo mai in faccia?»
«Chiamalo colpo di fortuna!» rispose Collins.
«Beh, sempre meglio di niente… Evans, invialo a Charlotte per farlo analizzare, poi vai pure a casa. Vanessa è già lì che ti aspetta.»
«Davvero?» gli brillarono gli occhi.
«Ma guarda che occhioni… Sembri Bambie! Dolce dolce Matt…» scherzò Collins.
Lui lo fulminò e poi uscì dalla stanza, accompagnato dalle risate di Aria.
«E noi non andiamo a casa?» chiese.
«No, Collins, io no. Sono il capo, non posso lasciare il distretto, soprattutto con questo caso in ballo. Tu però vai pure, ci vediamo domattina.»
«E chi mi darà il bacio della buonanotte?»
Lei arrossì, ma impercettibilmente… si stava quasi abituando.
«Facciamo un patto, ok?»
Lui, che si aspettava di tutto fuor che quella risposta, le si avvicinò: «Non potrei desiderare di meglio.»
«Perfetto!» disse scostandosi… doveva rimanere lucida, e la vicinanza non aiutava. «Diciamo che tu adesso vai a casa, io finisco di lavorare e ti raggiungo.»
«E…»
«E… niente!»
«Ma non è giusto! Non è un patto equo!»
«Va bene» sbuffò «allora facciamo che quando arriverò a casa ti darò il bacio della buonanotte… così va meglio?»
«Decisamente!»
«Sulla guancia. Lo preciso, in caso di incomprensioni.»
«Mmh... per questa volta mi accontenterò. Ma devi prometterlo!»
«Cosa?!» chiese ridendo «Siamo forse all’asilo?»
«Non scherzare! Un patto, per essere tale, va sigillato con una promessa… poi ti conosco, va a finire che mi freghi.»
«D’accordo, lo prometto. Ma adesso vai a casa.»
Lui sorrise e si diresse verso la porta.
«Sicura che non vuoi venire adesso?»
«Collins.»
«Va bene! D’accordo… vado!»
«Ah, e di’ a Charlotte che può tornare da Michael, il video lo analizzerò domani. Ha lavorato anche troppo oggi!» gli urlò Aria.
Lui fece un cenno per dire che aveva capito e scomparve dietro l’angolo.
Ora non le restava altro che finire il lavoro.
Ripensò alle parole di Vanessa. Dubbio o felicità?
Era quasi sicura di aver deciso… ma si sarebbe data una risposta definitiva solo quando la scelta le si fosse presentata davanti.
Altrimenti non sarebbe stata la solita Aria Miller: la capostipite degli UCAS*
 
«È permesso?»
«Aria, finalmente! Certo, come se fossi a casa tua.» La accolse Collins, aprendo la porta.
«Grazie.»
«Ecco, vieni. Siediti pure sul divano e rilassati. Avrai fame, suppongo.»
«A dire la verità sì…» ammise accomodandosi.
«Perfetto, perché ho ordinato cibo cinese. È arrivato poco fa, dunque è ancora caldo.» Disse Mason porgendole la scatola.
«Grazie, non dovevi.»
«Oh, sì invece… hai bisogno anche tu di mangiare, giusto?»
«Giusto.» rispose Aria prendendo le bacchette.
«Allora, niente di nuovo?»
«Magari… siamo in un tunnel senza fine; o almeno io non riesco a vederla.»
«Te l’ho già detto questa mattina, Aria: ne usciremo tutti. Vivi.»
«Lo spero, Collins, lo spero…»
Lui annuì e sorrise.
Chiacchierarono del più e del meno, finché l’unica luce proveniente non fu quella dei lampioni delle strade.
«Che ne dici di un po’ di TV?»
«Ok, un DVD. Che scelgo io!» Precisò lei alzandosi.
«D’accordo, devo però avvisarti che l’unico lettore funzionante è quello in camera mia.» Gridò lui dalla cucina.
La Detective avvampò all’istante. E adesso?
Non poteva tornare indietro, era stata lei a proporre l’idea; ma non poteva neanche dormire con lui
Doveva trovare una soluzione. E in fretta!
«Non preoccuparti, non dormirai con me… guarderemo solo il film.» Le sussurrò nell’orecchio, come se le avesse letto il pensiero.
Lei sobbalzò spaventata, non avendolo sentito arrivare.
«No… io… cioè… non ho pensato che…»
«Ehi!» escalmò lui ridendo «frena tigre! Se proprio non vuoi sederti sul letto posso darti una sedia.» la prese in giro dirigendosi verso la camera.
Lei non rispose, si limitò ad arrossire ancora di più.
 
Un quarto d’ora dopo erano entrambi nel letto di Collins, con una distanza di sicurezza di dieci centimetri.
Aria, eliminando a priori una commedia romantica, aveva optato per Star Wars.
Tentò di seguire la storia, ma le palpebre si chiusero contro la sua volontà. D’altronde, erano ventiquattrore che non dormiva.
La testa si fece pesante, e la sentì cadere verso destra, finché non toccò qualcosa di caldo e morbido.
Collins, troppo concentrato sul suo film preferito, si accorse della Detective solo quando la sentì appoggiarsi sulla sua spalla. Si voltò e la vide dormire.
Non resistette, avevano un accordo.
«Aria… Ehi…»
Lei, sentendosi chiamare, riaprì gli occhi, ma non si mosse.
«Che c’è?» riuscì a dire con la voce impastata dal sonno.
«Non ti sei dimenticata niente?»
A quel punto alzò la testa e lo guardò negli occhi.
Solo allora si ricordò: «Oddio, scusa, adesso me ne vado! Scusa, non volevo addormentarmi qui… non l’ho fatto di proposito!» cercò di formare una frase articolata mentre si alzava dal letto.
Lui la prese per un braccio e la fece riaccomodare.
«Non intendevo quello.» disse ad un soffio dal suo viso.
«Non capisco quello che dici…» mormorò lei, incantata nei suoi occhi.
«Abbiamo fatto un patto, una promessa… ricordi?»
«Cosa?» sembrava in trance. Le sue pupille l’avevano rapita.
«Il bacio della buonanotte…» rispose avvicinandosi ancora di più, fino a far incontrare le loro labbra.
Aria venne colta in contropiede.
Prima spalancò gli occhi. Poi rispose al bacio. Infine lo spinse via con le braccia.
«No! Non posso…»
«Perché? Aria, ti prego, chiariamo questa cosa!»
«Non c’è niente da chiarire. Scusami, non sarei dovuta rimanere nel tuo letto.» farfugliò tentando, una seconda volta, di alzarsi.
Lui la bloccò di nuovo. Non l’avrebbe fatta fuggire.
«Ti prego, lasciami…»
«No, prima voglio parlarne con te.»
«Parlare di cosa?»
«Dei tuoi sentimenti.»
«Hai detto bene… MIEI!»
«Smettila di fingere, Aria! Ora basta! Lo so cosa provi per me!»
«Tu, tu e tu! Il mondo non gira intorno a Mason Collins!»
«No, ma so cosa come ti senti. Ti supplico, Aria… dimmelo.»
Lei abbassò lo sguardo.
Improvvisamente non si sentiva pronta: il discordo di Vanessa non era servito.
Aveva ancora paura di soffrire.
«Ti prego…» mormorò di nuovo lui.
«Non so cosa dire…» voleva andarsene, scappare il più lontano possibile da quella situazione.
«Mi ami?» chiese lui senza preavviso. Se c’era una cosa che aveva imparato era che con Aria bisognava essere chiari, senza fare allusioni.
Lei rimase spiazzata dalla domanda.
Le mancò il coraggio, la paura si fece strada dentro di lei.
«No, io non ti amo.»
Quelle singole parole squarciarono il silenzio come il peggiore degli incubi.
Cosa aveva fatto? Perché non era stata sincera?
«Guardami negli occhi, Aria. Ripetimelo guardandomi negli occhi.»
Era al limite. Non poteva rispondere anche a quella richiesta… non era pronta a dare spiegazioni.
Poi una piccola frase innocente saettò nella sua mente.
Dubbio o felicità?
E scelse.
«Non posso.»
«Perché?»
«Perché ti accorgeresti che sto mentendo.»
Alzò gli occhi e li incatenò ai suoi.
 
 
 
 
* UCAS: Ufficio Complicazioni Affari Semplici




 

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Capitolo 17
*** Trova ciò che ami e lascia che ti uccida ***




Capitolo 16
 


Trova ciò che ami e lascia che ti uccida


 
 
 
«No, io non ti amo.»
«Guardami negli occhi Aria. Ripetimelo guardandomi negli occhi.»
«Non posso.»
«Perché?»
«Ti accorgeresti che sto mentendo.»
Collins ebbe bisogno di qualche secondo per realizzare ciò che gli aveva appena detto.
Poi capì che era il suo modo per dichiararsi, per fargli capire cosa provava.
Un sorriso comparve spontaneo sul suo volto.
Era tipico di Aria: aggirare le cose per arrivare dritti al punto. Un paradosso.
Le prese una mano e la accarezzò dolcemente.
«Perché fai così fatica a dirlo ad alta voce? Cosa ti spaventa tanto?»
«Cosa mi spav…?!» ritrasse la mano e scattò in piedi «Sono anni che cerco di reprimere questi sentimenti, per paura che tu un bel giorno te ne possa andare e abbandonarmi. Ho sempre provato a convincermi che era solo una cosa passeggera, che ad un certo punto sarebbe finita. Ma quel punto non è ancora arrivato. Vuoi sapere se ti amo? Sì, io ti amo. Ti amo più di ogni altra cosa! Darei la vita per te, se ce ne fosse bisogno. Farei qualsiasi cosa per farti stare bene e vedere ogni giorno il tuo meraviglioso sorriso illuminarti il volto. Poi però emerge la mia parte razionale, e penso al fatto che ho già sofferto abbastanza nella mia vita, e non mi sembra il caso di cercare altri motivi per stare male. E se tu ti stufassi di me? E se un bel giorno dovessi incontrare una donna più bella, attraente e simpatica? Perché arriverà anche quel momento! Insomma, siamo realisti… sono un casino, neanche io mi sceglierei. Quindi, a quel punto, cosa succederebbe? Te ne andresti, come sei scappato dall’altare tre anni fa. E io non mi merito di soffrire ancora, non me lo merito proprio. Vuoi sapere davvero cosa provo? Sono innamorata di te. Ogni sera, prima di addormentarmi, immagino come sarebbe averti accanto, vivere e invecchiare nella stessa casa. Sono frustrata, perché voglio avere sempre il controllo su tutto, e non sono sicura di riuscire a mantenerlo nella nostra relazione. Sono preoccupata perché ho paura che ti succeda qualcosa, perché il killer ci sta prendendo di mira. E non mi sbaglierei dicendo che noi due facciamo parte della lista. E sono arrabbiata. Sì, sono arrabbiata perché provo tutti questi sentimenti per te, e mi spaventa a morte l’idea di viverli, perché poi dovrei affrontare le conseguenze!»
Passarono alcuni attimi senza che nessuno proferisse parola.
«Forse è meglio che me ne vada.» Aria spezzò il silenzio, dirigendosi verso la porta.
Si fermò sull’uscio. Sperava con tutta sé stessa di sentire la sua voce chiamarla, per implorarla di aspettare. Come succedeva nei film.
Ma non accadde nulla di tutto ciò. Delusa, fece un altro passo e si ritrovò in corridoio.
Una brivido le scosse la schiena, provocato dal freddo pavimento a contatto con i piedi nudi.
Cominciò a piangere silenziosamente, mentre entrava nella camera degli ospiti.
Con la faccia rivolta verso la parete, fece per chiudersi la porta alle spalle, quando lo sentì.
«Almeno lo sai il motivo per cui non mi stuferò mai di te?»
La sua voce la fece sobbalzare.
Mollò la presa della maniglia, un tacito invito ad entrare. Ma non si voltò.
Continuò a fissare i decori oro sulla parete color beige.
«Perché tu non sei come le altre. Tu sei speciale, straordinaria. Dicono che il valore che si attribuisce ad una persona o ad un oggetto sia eccessivamente alto prima di averlo e dopo averlo perso; mentre è terribilmente basso nell’arco di tempo in cui lo si ha. Forse è questo che ti spaventa: il fatto che potrei annoiarmi di te. Ma non accadrà, perché ci si annoia delle cose monotone, ripetitive. E tu sei tutto fuorché questo! Sono otto anni che ci conosciamo e, che tu ci creda o no, ogni giorno scopro qualcosa di nuovo su di te: che sia il cugino di terzo grado, il nuovo braccialetto o una delle tue espressioni del viso. Sei un pensiero ricorrente, e, per quanto abbia fiducia in me stesso, dubito fortemente di riuscire a vivere senza la tua presenza. Sei al sicuro Aria, e sai meglio di me che non ti farò mai soffrire. Io ho bisogno di te e tu, per quanto possa negare, hai bisogno di me.»
Non aveva il coraggio di voltarsi, di affrontare la situazione. Se fino a pochi minuti prima pregava perché Mason la chiamasse e le chiedesse di fermarsi, adesso non voleva altro che rimanere sola.
Non disse niente, non accennò a muoversi. Aspettò fosse lui a parlare.
«Trova ciò che ami e lascia che ti uccida.»
«Bukowski…» mormorò, finalmente voltandosi.
«Esatto.» Rispose lui, fissandola nei suoi splendidi occhi verdi. Gli stessi che brillavano di una luce nuova.
«Cosa significa?»
«Quello che sta succedendo a te, Aria! Ti stai facendo del male da sola perché hai paura di farti male… ti sei almeno resa conto che non ha neanche un senso? Il mio medico diceva di non fare la dieta perché non mangiando quando si ha fame, si va contro sé stessi. E questo nuoce alla psicologia. Con te è la stessa cosa! Stai andando contro te stessa e ti stai auto-lesionando!»
Lei lo fissò. Dapprima seria, poi si aprì in un sorriso.
Per Collins non poteva esserci miglior spettacolo di quello.
«Ed immagino sia per questo che non fai la dieta… perché non vuoi nuocere alla tua psicologia…» mormorò lei avvicinandosi.
«Esatto.» rispose, facendo incontrare le loro labbra.
Fu un’esplosione di emozioni. I loro cuori battevano all’unisono; riuscivano quasi a sentirli, intrappolati in quell’abbraccio.
Aria era finalmente riuscita a rispondere alla fatidica domanda: dubbio o felicità?
E aveva decisamente scelto di essere felice.
Aprirono gli occhi insieme e sorrisero.
«Wow…» mormorò lei.
«Hai ancora paura?»
«Se ho ancora paura? Sì, ma non mi pentirò della mia scelta. Non stavolta.»
«E io farò tutto il possibile perché tu non te ne penta. Ti amo Aria e… e se tutto questo è onesto e vero, allora sono l’uomo più felice della terra.»
Lei si limitò a sorridere.
«Sarebbe il tuo turno.» la spronò tossendo.
Lei sospirò, e gli cinse le braccia intorno alla vita.
«Vuoi sapere la verità?»
«Sì…»
«La verità è che non voglio passare un altro attimo con qualcuno che non sia tu… dunque sì, ti amo anche io!» esclamò ridendo «Ma aspetta, ti ci vorrà del tempo per abituarti ad una relazione con me, non è così facile come si possa pensare» aggiunse poi.
«Tu sei qui, ed io ti sto facendo ridere. A me basta questo.»
Aria lo strinse a sé e cercò le sue labbra, riprendendone il possesso.
Lui fece qualche passo avanti e, invertendo le posizioni, si fece cadere sul letto trascinandola con sé.
Lei prese i bordi della maglietta di Mason e li portò verso l’alto, spogliandolo.
Dio, se ripensava alle volte in cui aveva immaginato di accarezzare quei pettorali… ed ora stava accadendo.
Gli passò le mani tra i capelli e li strinse, intanto che lui le accarezzava la schiena, scendendo sempre di più.
Sentirono il telefono di Aria squillare.
«Non rispondere.» disse Mason tra un bacio e l’altro.
«Guardo solo…» lei allungò il braccio verso il cuscino e lo afferrò: Renard.
Cosa sarà successo? Al diavolo!
Lo spense, lo lasciò scivolare per terra e rimise le mani su Collins.
«Chi era?»
«Nessuno, niente di importante.»
In pochi minuti si ritrovarono sotto le coperte, vestiti solo di esse.
Si cercavano l’un l’altra. Passarono così da un semplice bacio a quella che viene chiamata la danza più antica del mondo.
Fu in quella sera che Collins trovò la donna della sua vita.
E fu in quella stessa sera che Aria scoprì cos’era l’amore.
 
«Si può sapere dove diavolo è finita?» chiese nervoso Evans.
«Non lo so, l’ho chiamata decine di volte ma risulta sempre spento!»
«SPENTO?! Qui abbiano un altro omicidio e lei spegne il telefono!» continuò a scaldarsi, mentre l’alba si faceva strada nel cielo.
«Ehi gente! Non è che se Aria non si fa viva noi non facciamo il nostro lavoro!» li spronò Vanessa entrando nella stanza.
«Cosa abbiamo?» chiese a Charlotte.
«Uomo, bianco, 37 anni. Era il proprietario della clinica, il veterinario. È stato trovato dalla sua assistente.»
«Ok… l’apparente causa della morte è l’avvelenamento, ma vi saprò dire di più dopo l’autopsia.»
«Va bene. Grazie Vanessa.»
«Vado a dare un’occhiata… ci vediamo dopo, ok?»
I Detective annuirono.
«Io parlo con l’assistente.» Disse Renard.
«Bene, io invece finisco di ispezionare la scena del crimine.» Rispose l’altro.
Si voltarono contemporaneamente e si incamminarono verso punti opposti della stanza, mentre in sottofondo risuonavano i miagolii dei piccoli gattini nelle celle.
 



 

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Capitolo 18
*** Antrace? ***




Capitolo 17
 


Antrace?


 
 
 
Aprì un occhio e vide una figura che saltellava davanti a lui nel tentativo di infilarsi i pantaloni.
Sorrise. Non poteva fare altro dopo la notte appena trascorsa.
Certo, si aspettava un risveglio un po’ diverso, ma vederla tutta concentrata in quel modo lo faceva divertire.
«Buongiorno!»
«Oh, sei sveglio?» chiese fermandosi e sorridendo.
«Volevi forse scappare?»
«Stavo per andare al distretto; ho 32 chiamate senza risposta Collins! Credo ci sia un altro omicidio.»
«Ah… e mi lasci tutto solo?»
Lei si avvicinò a pochi centimetri dalla sua faccia e sussurrò: «Aspettami qui, ci metterò pochissimo…» poi si alzò di colpo e uscì dalla stanza.
«EHI! Neanche un bacio?!» le urlò, ma lei se n’era già andata.
 
«E ti sembra questa l’ora di arrivare?» gridò Evans appena vide Aria entrare al distretto.
«Sono le otto: il mio turno inizia tra mezz’ora... che c’è che non va?»
«CHE C’È CHE NON VA?! Hai idea della paura che ho avuto quando ho visto non rispondevi a nessuna chiamata? Ho pensato al peggio sai? Ed ora tu arrivi così tutta tranquilla e chiedi cosa c’è che non va?!»
«ODDIO ARIA!» non fece in tempo ad obbiettare che venne travolta dall’anatomopatologa «Ho temuto il peggio!»
«Grazie al cielo sei viva!» si aggiunse Charlotte, tanto per completare l’opera.
«Ragazzi… sto bene! Ho solo riposato per una notte. E ho spento il telefono.»
«Sì, beh… ci hai fatti spaventare.»
«Ok, vi chiedo scusa. Allora, c’è un nuovo caso?»
Per pochi secondi nessuno parlò, cercando di cogliere ogni singola espressione della Detective: non credevano molto alla storia dello “Stavo riposando”.
«Abbiamo un nuovo cadavere. Ci è arrivata la segnalazione stamattina presto, verso l’una.»
Disse infine Renard.
«Sappiamo l’identità?»
«Sì, il suo nome è Adam Clark. Canadese, era il proprietario della clinica veterinaria sulla Salt Lake Ave. È stato trovato morto stamattina dalla sua assistente.»
«Alle cinque di mattina?»
«Sì, a sentire la donna, Rossella Anderson, arrivavano sempre verso quell’ora, per svolgere le operazioni più impegnative.»
«Causa della morte?»
«Ti sembrerà strano» intervenne Vanessa «ma è stato ucciso dall’antrace!»
«Antrace?»
«Sì, è un virus che attacca gli animali. A quest’ultimi non causa sintomi, ma per l’uomo è letale.»
«E come ci è arrivato l’antrace nel corpo del signor Clark?»
«È stato graffiato da un gatto infetto; più precisamente il numero 65.» Rispose consultando il referto.
«Mmh… famigliari della vittima?»
«Non era sposato. Aveva una storia con la sua assistente, Rossella, ma niente di serio. Era orfano e figlio unico. Viveva per il suo lavoro.»
«Capisco… ma perché hanno affidato a noi questo caso?»
«Perché è collegato con gli altri.»
«Aspetta, vuoi dire che anche questo omicidio era premeditato per farlo sembrare sbagliato? Vuole di nuovo farci credere di voler colpire un membro della squadra e poi sbaglia di proposito? Per spaventarci?»
«Sì, infatti abbiamo trovato un biglietto infilato tra le sbarre del gatto infetto… e indovina un po’?»
«Le ultime parole.»
«Esatto.» Rispose Evans porgendogli la fotocopia.
Con la solita calligrafia perfetta c’era scritto:
 
 
I know you've come to kill me. Shoot, you are only going to kill a man.*
 
 
Aria le fissò e le comparve un sorriso sarcastico sul volto.
Ce l’avrebbero mai fatta?
«E di chi sono?»
«Che Guevara.» Rispose Charlotte.
«Non ha senso…»
«Lo so. Ah, inoltre il gatto non ha preso l’antrace passeggiando per strada…  gli è stato iniettato il virus con una siringa. E non ha attaccato il veterinario spontaneamente, ma perché era sotto l’effetto di Ginseng.» aggiunse Matthew.
«Ginseng? E allora?»
«Rende iperattivi e aggressivi i gatti. Chiunque si avvicini viene inevitabilmente aggredito.»
«Mmh… tutto premeditato allora? Ci sono segni di effrazione?»
«Nulla, come se nessuno fosse entrato. Ma la cosa peggiore è ciò che abbiamo appena scoperto.» Intervenne Vanessa, guardando in direzione di Evans per incitarlo a parlare.
Lui si scompigliò la folta chioma bionda e cominciò:
«Il signor Clark era in clinica alle cinque perché doveva operare quel gattino, lo stesso che l’ha infettato. Così abbiamo cercato il proprietario e abbiamo scoperto che questa persona doveva trovarsi a quell’ora con il veterinario per assisterlo, tenendo buono il gatto. Ma non si è mai presentata. E per fortuna! Perché sarebbe dovuta essere lei la vera vittima. Anche se noi ormai sappiamo che non è vero, che era tutta una montatura per farla spaventare e credere di aver avuto molta fortuna.»
«E chi è quella persona?» chiese Aria con un po’ di timore.
Tutti e tre si voltarono lentamente verso un punto anche troppo definito.
Il cuore della Detective perse un battito. Non poteva essere… Stava completando la lista!
Socchiuse gli occhi cercando di vedere oltre il vetro.
Quella donna tanto forte e determinata stava piangendo.
Aveva paura, come tutti del resto. Vederla così appoggiata sulla scrivania era strano.
Anche l’invincibile capitano Green era vulnerabile. Chi l’avrebbe mai detto!
«Vado a parlarle.»
«No, Aria… ASPETTA!» Urlarono all’unisono, ma la Detective stava già varcando la porta dell’ufficio.
 
 
 
 
* So che sei venuto per uccidermi. Spara, stai solo per ammazzare un uomo.
 

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Capitolo 19
*** La soluzione di tutto ***




Capitolo 18
 


La soluzione di tutto


 
 
 
«Signore… posso?»
In un primo momento la Green si asciugò gli occhi e cercò di nascondersi, ma poi capì che era inutile mantenere quello sguardo severo e cattivo che la contraddistingueva.
Soffiò il naso e fece accomodare la Detective.
«Mi dispiace.» cominciò Aria prendendole la mano.
Jasmine tese involontariamente i muscoli sotto il suo tocco; non era abituata a quel genere di rapporto con i suoi sottoposti.
«Grazie…» riuscì a mormorare.
«Mi scusi, ma devo sapere cosa è successo stamattina.»
«Dovevo raggiungere il mio veterinario per le cinque. Lo faccio sempre quando il mio gatto viene operato… è più calmo se ci sono io. Stamattina sono scesa in garage e ho visto che l’auto non partiva. Ho chiamato mio marito ma non c’è stato verso di metterla in moto. Così ho deciso di avvisare la clinica, ma non mi ha risposto nessuno. Ho pensato che in ogni caso l’avrebbe operato da solo, e sono tornata in casa… poi, mezz’ora fa, dalle indagini di Renard ed Evans scopro che il gatto infetto era il mio. Io avrei dovuto tirarlo fuori dalla gabbia, io sarei dovuta morire! IO!» era al limite, le guance le divennero rosse, e gli occhi ancor più lucidi.
«No, non secondo la nostra teoria. Lo vede? Lei ha paura, è terrorizzata. Ed è proprio questo quello a cui voleva arrivare il killer. Si è servito di una vittima per seminare il panico nelle nostre vite.»
«Lei questo non lo sa per certo. Se la mia macchina fosse partita adesso non sarei qui!»
Aria non poté fare altro che annuire. D’altronde, come biasimarla?
Certo, era possibile che la macchina fosse stata sabotata dal killer; e che lo stesso fosse stato fatto con gli altri membri della squadra, impedendogli di arrivare nel luogo del delitto ed, in quel modo, salvarsi.
Ma non aveva la prove. E, nel suo campo, significava non avere niente se non una stramba teoria.
«Siamo una squadra, ok? E come una squadra andremo avanti insieme. Stia tranquilla, tutto andrà per il meglio.» Cercò di confortarla.
«Grazie Detective… grazie davvero.» Rispose il capitano alzandosi e, inaspettatamente, abbracciandola.
Aria rispose all’abbraccio e sorrise. Era forse l’inizio di un’amicizia? La Green interruppe il contatto, congedandola.
Una volta rimasta sola aprì i fascicoli e cominciò a leggere, con una forza e sicurezza che prima non aveva.
 
Verso le sette di sera, dopo aver salutato i Detective, Aria tornò a casa Collins.
«Ehi… e sarebbe questo il tuo concetto di “Ci metterò pochissimo”
«Scusa, hai ragione; ma c’è stato un altro omicidio.»
«E non mi hai chiamato?»
«Speravo venissi tu a trovarmi al distretto…»
«Lo so, mi dispiace. Avrei dovuto fare un giro, ma stavo facendo ricerche per le parole famose e ho perso la cognizione del tempo.»
«Non preoccuparti.» Sorrise e le si avvicinò, cingendole la vita.
«Allora, chi è la vittima? Quella ideale, intendo.»
«Il capitano Green. Sta completando la lista, Mason! Se fai due conti, rimaniamo fuori solo io e te! E se decidesse all’improvviso di ucciderci sul serio?»
«Non glielo permetterai, ti conosco. Sei troppo determinata, lo troverai prima.»
«Speriamo… Tu? Trovato niente con le parole famose?»
«Nah… non riesco a trovare nessun collegamento.» rispose frustato, facendo qualche passo.
«Beh, in ogni caso aggiungici questa.» Disse allungandogli la fotocopia del foglietto.
Lui la portò nello studio, per poi accompagnare Aria in cucina.
La luce calda e soffusa rendeva il tutto molto romantico, se non fosse per quel costante terrore che occupava le loro menti.
«Sei dolce.» mormorò lei.
Collins sorrise e le servì il piatto. Parlarono del più e del meno per tutta la durata della cena, cercando inutilmente di distrarsi e pensare ad altro.
Aria gli raccontò, infine, tutti gli svolgimenti del caso e dello strambo colloquio con il capitano.
«Ti sono mancato oggi vero?» disse lui avvolgendola nel suo abbraccio mentre erano accomodati sul divano in pelle.
«Molto… Charlotte mi ha anche chiesto di te.»
«E tu cosa gli hai detto?» chiese allarmato.
«Ho detto che mi avevi chiamato dicendo di non star bene. Perché, avevi paura gli dicessi di noi?»
«Non esattamente paura… solo voglio tenere questa cosa ancora un po’ solo per noi due.»
«Capisco.» rispose sorridendo.
Si sentì posare un bacio sui capelli e delle carezze sulla schiena.
«Sai, tutto questo…» confessò stringendosi nel suo abbraccio «…è molto confortante. Mi fai sentire al sicuro.»
«Non sai quanto mi piacerebbe potertelo anche dire… Ma ce la caveremo, vedrai. Prima o poi tutto questo finirà, e sarà il nostro momento.» sussurrò.
«Lo spero, Mason… lo spero.» rispose alzando il volto, per permettergli di baciarla.
«Aria?» farfugliò lui sulle sue labbra, mentre con una mano cominciò a sfiorarle il ventre.
«Dimmi.»
«Lo so che ci conosciamo da otto anni, ma siamo insieme da un giorno solo… non ti sembra eccessivo avere già le nostre iniziali sulla pancia?» chiese scherzando, mentre le dita continuavano a disegnare cerchi concentrici intorno al piccolo tatuaggio.
Lei scoppiò a ridere: «Mi sembrava logico!» rispose stando al gioco.
Collins conosceva a grandi linee la storia della sorella… ma ci sarebbe stato tempo per raccontargli tutto. E quello non era decisamente il momento ideale.
Lui spalancò gli occhi e si alzò di colpo.
«Ehi, che ti prende?»
«Ti sembrava logico… logico… UNO SCHEMA LOGICO!» urlò precipitandosi nel suo studio.
Aria si alzò esterrefatta dal divano, seguendolo e spalancando le braccia.
Arrivò allo stipite della porta e lo trovò in piedi, piegato sulla scrivania, che disegnava freneticamente su un foglio.
«Mi vuoi dire che ti succede?»
«È uno schema logico… come ho fatto a non capirlo prima?!»
«Si può sapere di cosa stai parlando?»
«Ma certo, è sempre stato sotto i miei occhi!» continuò lui, imperterrito.
«COLLINS!»
«Sì, scusa… l’ho trovata Aria, L’HO TROVATA!»
«Cosa?» chiese esasperata per l’ennesima volta.
«La soluzione di tutto.» rispose. Poi riguardò gli appunti e un’ ombra di terrore e paura si impadronì dei suoi occhi.
Aveva trovato la chiave, sì, ma questo aveva rivelato qualcosa di peggiore.





 

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Capitolo 20
*** Un bellissima donna ***




Capitolo 19
 


Una bellissima donna


 
 
 
Aria si avvicinò alla scrivania, terrorizzata da ciò che avrebbe potuto scoprire.
Vide la scrittura fitta di Collins riempire quel foglio bianco che conteneva la soluzione di tutto.
Lui alzò gli occhi e le prese una mano, che Aria strinse, incitandolo a parlare.
«Guarda…» disse prendendo i fogli. «Questo è l’ordine temporale in cui abbiamo trovato le ultime parole. La frase, di per sé, non ha importanza. Dovevamo concentrarci sui personaggi che hanno pronunciato quelle parole. Se noi mettiamo in ordine questi nomi esce un elenco del genere.» Spiegò porgendole il foglio.
 
 
Richard Feynman
Edgar Allan Poe
Groucho Max
Che Guevara
 
 
«Sì, e allora?»
«Ok, adesso prova a leggere questo. Qui ho messo inserito i personaggi con le vittime che il killer voleva spaventare. Guarda cosa salta fuori! La soluzione è sempre stata lì, sotto i nostri occhi, fin dall’inizio…» le porse un altro foglio.
 
 
Richard Feynman
Renard
 
Edgar Allan Poe
Evans
 
Groucho Max
Green
 
Che Guevara

COLLINS!
 
 
A quel punto capì… le iniziali!
Ogni frase corrispondeva ad un personaggio, e la lettera iniziale del nome di quel personaggio corrispondeva a sua volta con l’iniziale del cognome dell’obiettivo successivo del killer.
Si diede della scema per non averlo capito prima… poi finì di leggere la lista e si rese conto che il prossimo, a rigor di logica, era Collins!
Le vennero i brividi al solo pensiero che Mason venisse ucciso, poi però si ricordò del fatto che il killer voleva solo spaventarli, non ammazzarli… Ma ciò non la fece sentire affatto meglio.
Il foglio le scivolò di mano e volteggiò fino a toccare il pavimento.
Posò lo sguardo su di esso e rilesse quel nome… il suo nome.
Collins.
Scritto con una calligrafia perfetta risaltava in mezzo agli altri. No, non poteva essere…
Si voltò di colpo e lo abbracciò forte, allacciandogli le braccia intorno al collo.
«Non lo permetterò, non succederà mai!» gli sussurrò.
Lui la strinse forte a sé, facendole sentire il suo ringraziamento.
Poi pianse.
Pianse perché aveva paura per sé stesso, per Aria, per la sua scombinata famiglia, i suoi amici…
«Io ci sono. Sempre.» gli confidò.
Lui allentò la presa per guardarla negli occhi.
«Lo so Aria, lo so.» Rispose accarezzandole un guancia.
Si avvicinò per un bacio, sentendo il sapore delle sue lacrime. Lo prese per mano, conducendolo in camera.
Il viaggio per il corridoio buio sembrava non finire mai, portandoli attraverso un’atmosfera paradossale di pace e inquietudine.
Lo fece sdraiare e si accomodò accanto a lui, posando la testa sul suo petto e avvolgendogli la vita con la braccia.
Mason le baciò la fronte.
«Sei la miglior cosa che mi sia capitata.» Riuscì a dire prima di addormentarsi, cullato dal respiro della donna che amava.
 
«Come sarebbe a dire che Collins è il prossimo obbiettivo?» Urlò la Green disperata. Quella situazione stava distruggendo tutti.
Aria le spiegò ciò che avevano scoperto la sera prima, facendole vedere gli schemi di Mason.
Intanto i Detective osservavano la scena dalle loro scrivanie, ancora sconvolti per nuova scoperta.
«Capisco… e ora dov’è il signor Collins?»
«È a casa sua. Non uscirà finché non troveremo quel bastardo figlio di puttana!»
«Si calmi Detective. Ed ora vada.» Rispose indicando la porta.
Un attimo prima che questa venisse chiusa il capitano la chiamò.
«Lo prenderemo, Aria, e poi saremo noi a sentire le sue ultime parole.»
Annuì accennando un sorriso e lasciò l’ufficio.
«Renard, Evans… novità?»
«Negativo. Non abbiamo più niente su cui indagare… non sappiamo più da che parte girarci!»
All’improvviso il telefono di Aria squillò.
Collins.
«Tutto bene?» chiese spaventata.
«Sì, certo, tranquilla… cosa potrebbe succedere ad un uomo circondato da praticamente metà del distretto?» sdrammatizzò.
«Non si sa mai. Perché mi hai chiamata?»
«Perché… volevo sentire la tua voce?» tentò.
«Non ci provare… cosa vuoi?»
«Sto per uscire.»
«COSA? NO! Non se ne parla! Tu resterai in casa finché non sarò sicura che non correrai più pericoli!»
«Non posso… ho una conferenza oggi! Non te l’avevo detto?»
«No, e chiama il tuo agente: oggi passi!»
«Ma non posso… sono mesi che organizzano per me! E poi cosa vuoi che mi succeda? Sarò in una libreria a parlare per gente noiosissima talmente ricca da pagare per venire ad ascoltare un critico di film che spiega come ha…»
«Non ci andrai.» Lo interruppe calma, con autoritaria sicurezza.
«Ti prego! Ti dico che non succederà niente… facciamo un compromesso, ok?»
«Sentiamo…»
«Io vado e tu, Charlotte ed Evans mi fate da scorta, tipo guardie del corpo… che dici?»
Ci pensò un attimo: in fondo, non avevano niente su cui indagare.
«D’accordo.» acconsentì sbuffando.
«Grazie! Tra un ora alla libreria! Ti mando l’indirizzo… Ti amo!» e chiuse.
Aria sospirò, mettendosi la giacca.
«Forza ragazzi, andiamo!»
«E dove?»
«A fare i bodyguard!»
 
Arrivarono davanti alla libreria, quando furono travolti da un ragazzo moro di circa vent’anni.
«Il signor Collins vi sta aspettando!» urlò tutto eccitato.
Li accompagnò all’interno per poi portarli in una saletta. Trovarono Mason seduto sul divano a bere un caffè.
«Eccovi!» si alzò.
«Ciao, fratello!» lo salutò Matthew.
«Tra cinque minuti comincio, volete unirvi al pubblico? Vi ho fatto riservare posti in prima fila.»
«Che onore…» commentò Aria sarcastica.
«Detective, non le ricapiterà mai più un’occasione del genere!» ammiccò avvicinandosi.
«Signor Collins, è pronto?» Aria venne salvata dal programmatore dell’evento.
«Certo! Arrivo!» rispose.
Si diresse verso la porta, le fece occhiolino e sparì nel corridoio.
«Non dovremmo seguirlo?» chiese Charlotte, indicando l’uscita.
Aria si risvegliò dalla trance e annuì, uscendo a sua volta dalla stanza, seguita dai due Detective.
 
«…perché, come sapete, il segreto per scrivere un buon libro, di qualsiasi genere si tratti, è avere una fonte ispirante. E questa fonte può essere un oggetto, una persona, una situazione, un ricordo, una canzone… qualcosa che, in ogni caso, generi all’interno di voi uno spirito creativo in grado di sistemare nell’ordine giusto ogni singola parola che esce dalla vostra testa.» spiegò Collins, che era inaspettatamente passato a parlare dai film ai libri. Il tutto perché, durante l’esordio, aveva ingenuamente deciso di pubblicare un romanzo e, ovviamente, qualche curioso in quella sala era venuto a saperlo.
Fece una pausa per bere, e un signore sulla sessantina ne colse l’occasione per interrompere: «Signor Collins, mi scusi, e qual è la sua fonte di ispirazione?»
Si aspettava quella domanda; cercò Aria nel pubblico e le sorrise.
«Un donna. Una bellissima donna.» Rispose senza staccare gli occhi dalla Detective, la quale arrossì di colpo.
Dal pubblico si alzò una risatina compiaciuta. Collins sorrise e riportò l’attenzione sull’interlocutore.
«Ecco, per me è una donna, ma è soggettivo. Chiunque scriva qualcosa ne ha una, è inevitabile: dall’autore famoso al bambino di sei anni che fa il suo primo tema; anche i critici di film che un bel giorno decidono che la vita è troppo monotona per non scrivere il libro.» Concluse sorridendo.
Nel pubblicò calò un silenzio di ammirazione. Alcuni annuivano, altri sorridevano.
«Mr. Collins! Tornando nel suo campo, potrebbe parlarci dell’ultimo film che le hanno sottoposto?» questa volta fu una donna a parlare.
Lui si rilassò, sollevato dal chiudere per sempre l’argomento “libri”.
«Certo, per quello che posso. Probabilmente saprà che sono vincolato da un contratto di segretezza per quanto riguarda i film di cui non è ancora uscita la…»
«AIUTATEMI! QUALCUNO MI AIUTI!» urlò un ragazzo facendo irruzione della sala.
Tutti si voltarono verso di lui. Era lo stesso che aveva accolto i Detective.
«VI PREGO! AIUTO!» continuò, scatenando le braccia.
Aria si fece avanti.
«Si calmi. Cosa è successo?»
«LEI DEVE AIUTARMI!»
«Mi dica cosa succede!»
«C’È UN CADAVERE! NELLA SALA 3, UN CADAVERE!» urlò come impazzito, prima di cadere svenuto per terra.
Aria ordinò di chiamare un medico e affidò il ragazzo ad un uomo seduto vicino a lei.
Poi fece cenno a Charlotte di andare da Collins, e a Evans di seguirla.
Lo sapeva. Aveva il presentimento che sarebbe successo qualcosa. E non si sarebbe sbagliata a dire che tutta questa storia aveva a che fare con Collins.
E con delle ultime parole famose. Dopotutto, lui era il prossimo della lista.
Varcò la porta della sala 3 seguita da Matthew. I suoi dubbi divennero realtà.
Non si era sbagliata. Neanche di una virgola.
«Oddio…» mormorò Evans
«Chiama la Green.»





 

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Capitolo 21
*** A qualsiasi costo ***




Capitolo 20
 


A qualsiasi costo


 
 
Brava Detective, hai scoperto le regole del gioco. Ora è il tuo turno.
Quelle parole non volevano abbandonare la mente di Aria.
Scritte con il sangue, il rosso spiccava sulla parete bianca.
Accanto ad esse era stata appesa la testa della vittima, mentre il resto del corpo giaceva a terra.
Hai scoperto le regole del gioco…
Questo vuol dire che lui sa che noi sappiamo, pensò. Ma come diavolo avrà fatto in così poche ore?
I pensieri di Aria erano pochi e confusi, senza un filo conduttore. L’unica cosa di cui aveva bisogno ora era di un abbraccio.
Si risvegliò dallo stato di trance quando sentì dei passi. Vide la Green spalancare gli occhi per lo stupore.
Sentì una leggera pressione sul braccio, si voltò e si fece travolgere dall’abbraccio di Vanessa.
Respirò a fondo e poi la lasciò al suo lavoro.
Si avvicinò per esaminare la scritta; poi spostò la sua attenzione sul cadavere… o quel che ne restava.
Aveva cambiato modo di operare, perché? Cosa si era trasformato nella sua mente?
Senza dire nulla a nessuno girò i tacchi e uscì dalla stanza, sotto lo sguardo stranito di Evans e del suo capo.
Accelerò il passo fin quasi a correre; svoltò l’angolo e si scontrò contro il petto di Collins, affiancato da Charlotte
«Che è successo?» chiese la Detective.
Lei non rispose e si spostò, riprendendo la sua corsa.
«Aria…» provò a chiamarla Mason «ARIA!» urlò una seconda volta, ma senza risposta.
Fece per inseguirla, quando venne fermato da Renard.
«Lasciami! Ha bisogno di me!»
«Lo so, ma sei sotto custodia: per quanto ne sappiamo il killer potrebbe ancora girare per la libreria. Forza, raggiungiamo gli altri.»
Probabilmente Charlotte aveva ragione. Annuì e, preoccupato, proseguì il cammino fino alla sala 3.
Si trovò davanti ad uno spettacolo che non si sarebbe mai aspettato di vedere in vita sua.
Ora capiva la reazione di Aria. Per quanto forte, rimaneva comunque un essere umano e, come tale, emotivamente aveva un limite anche lei.
Prese un bel respiro e varcò la soglia.
Si avvicinò alla Green, che lo guardò preoccupata. Lui annuì consapevole, osservando la scena del crimine.
Avrebbe preso quel bastardo. A qualsiasi costo. Per Aria.
 
Arrivarono al distretto e la trovarono davanti alla lavagna già aggiornata.
«Tutto bene?» le sussurrò Collins nel passarle accanto.
Lei fece finta di non aver sentito e cominciò a parlare:
«Ci ha scoperti; non ho idea di come abbia fatto, ma sa tutto ciò che succede qui dentro in tempo reale. Noi pensavamo di essere un passo davanti, mentre era lui ad esserne due davanti a noi. Detto questo credo sia opportuno fare maggiori controlli al distretto. Ha anche cambiato il modus operandi: questa volta non ha preso di mira Collins, niente ci fa pensare che sia stato un omicidio per spaventare qualcuno. Credo che l’unica spiegazione sia il fatto che abbiamo scoperto tutte le regole del gioco - come ha fatto notare - dunque non avrebbe più senso uccidere per spaventare. Questa volta ha usato l’omicidio per mandarmi un messaggio ben chiaro: la prossima sarò io, e non ho la più pallida idea di come si comporterà.»
Il silenzio diventò il protagonista della scena.
Vanessa si fece avanti e le allungò un biglietto.
 
 
Don't disturb my circles! *
 
 
«L’abbiamo trovato per terra, sotto il corpo.»
«Archimede…» mormorò Aria.
«Come lo sai?»
«L’ho studiato a scuola… e poi il suo nome inizia con la A.» Capì il significato di quelle parole esattamente nel momento in cui le disse.
«Il nome…» mormorò Collins.
«Oddio!» disse Charlotte, impallidendo.
«Lo so, ma io sono pronta. Che venga pure da me, non ho paura.» Rispose convinta e, all’apparenza, per nulla spaventata.
«Smettila Aria, tu non affronterai nessuno! Hai idea di cosa abbiamo appena scoperto? È il nome dannazione! IL NOME! Per tutti noi le iniziali corrispondevano al nostro cognome, per te con il nome! E non ci vuole una laurea in psicologia per capire che le cose, con questa svolta, si sono spostate sul piano personale… potrebbe farti del male sul serio!»
«Basta preoccuparti per cose che non ti riguardano, Collins!» urlò lei di risposta, istintivamente, senza pensare alle conseguenze.
Gli altri spettatori se ne andarono alle proprie scrivanie. Mason alzò lo sguardo e lo incatenò nel suo. Scosse lentamente la testa e la lasciò sola.
Lei lo chiamò, ma era troppo tardi… ormai il danno era fatto.
Lo vide sedersi sul divanetto e prendersi la testa fra le mani. Una lacrima le scappò, poi un’altra, e un’altra ancora…
Che diavolo stava facendo?
Respingere le persone che ti amano non è il modo giusto per affrontare le cose, Aria! Pensò.
Superò la scrivania e spalancò la porta della stanzetta.
Aspettò che lui alzasse gli occhi, poi gli corse incontro, in cerca di un abbraccio.
Lo strinse forte a sé.
«Scusami, scusami…» continuava a mormorargli.
Lui non poté fare altro che ricambiare l’abbraccio e baciarle i capelli.
«Non dovevo urlare in quel modo, tu non c’entri, e hai completamente ragione. Ho solo paura. Paura per me stessa, per te, per noi, per l’amore che provi per me…»
Collins la guardò.
«Hai paura dell’amore che provo per te?»
«Sai cosa succede quando non si è più abituati a ricevere amore? Succede che non ti fidi più, che preferisci stare solo. Succede che quando qualcuno di dice: Ti voglio bene, rispondi con un sorriso, e poi pensi: Come no! Succede questo. Non sei amato per molto tempo e, quando trovi qualcuno che ti ama davvero, muori di paura.» Ammise.
«Non deve essere una bella sensazione.»
«No, per nulla. Ma sto cercando di cambiare, te lo giuro. Farò del mio meglio per far funzionare questa relazione. È la miglior cosa che mi sia mai capitata, e non ho intenzione di mandare tutto all’aria.»
Lui la strinse ancora.
«Tantomeno per un pazzo killer che ci minaccia.» Concluse.
Chiuse gli occhi e respirò il profumo della sua maglietta. Si tranquillizzò all’istante.
«Almeno qualcosa di buono è saltato fuori da tutta questa storia!»
Si girarono entrambi verso la persona che aveva parlato.
Vanessa, Matthew, Charlotte e il capitano li stavano fissando con dei sorrisi meravigliosi.
Aria arrossì e Collins rise. Partì un applauso, che coinvolse tutti.
In quella stanza era tornata la solita armonia, ignari di cosa li avrebbe aspettati.
 
 
Guardateli… patetici!
Ridono e scherzano come se niente fosse accaduto.
Ma questo solo perché non hanno la minima idea del progetto finale.
Pensano di aver visto tutto, e invece manca ancora la parte migliore… Aria, la pagherai finalmente cara, una volta per tutte!
Come si dice?
Dulcis in fundo!
 
 
 
 
* Non disturbate i miei cerchi!





 

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Capitolo 22
*** Un patto con il diavolo ***




Capitolo 21
 


Un patto con il diavolo


 
 
 
 
«Aria?»
«Mmh?» rispose lei, incrociando le dita tra le sue, mente l’aria di Los Angeles accarezzava la loro pelle.
«Ricordi quando ho fatto la battuta sul tatuaggio?»
Lei annuì, incupendosi al pensiero di Madison.
«Hai voglia di parlarne?»
«Della tua battuta infelice?»
«Lo sai a cosa mi riferisco. Io la noto sempre, quell’ombra nei tuoi occhi quando pensi a lei. Parlarne ti farebbe bene.» Le disse mentre passeggiavano per tornare a casa.
Lei non rispose, lasciando correre la sua mente tra indimenticabili ricordi sbiaditi dal tempo. E se avesse ragione? Si chiese.
Da quel maledetto giorno non ne aveva parlato più con nessuno, si era tenuta tutto dentro cercando di oscurare i brutti pensieri per far brillare i ricordi di lei. Non aveva funzionato.
Per anni si era chiusa in sé stessa, smettendo di sorridere al mondo, alla vita.
Ma forse ora aveva la possibilità di tornare a galla da quel mare oscuro che la trascinava sempre più in basso. Ora aveva Mason a cui aggrapparsi per riprendere a respirare.
«Avevo 21 anni quando è successo. Era una mattina di luglio, durante la mia settimana di pausa dall’accademia, quando mi sono svegliata e non l’ho trovata nel letto. Aveva allenamento la sera prima e, come al solito, non la aspettavo sveglia. Mi alzai sperando che fosse già a fare colazione, ma mi sbagliavo. Passarono le ore, finché i miei genitori decisero di chiamare la polizia. Non trovarono sue tracce per tre giorni… tre lunghi giorni. Poi arrivò la notizia che come un tornado, sconvolse la nostra famiglia: l’avevano trovata in un vecchio Luna Park in disuso, su una giostra. Morta. Un unico colpo al cuore. A soli diciassette anni. Mi cadde il mondo addosso: un insieme di rabbia e tristezza scossero i miei muscoli per giorni. Non era giusto, non ci credevo. Poi una mattina, all’improvviso, finii le lacrime. Smisi di piangere e di vivere: mi buttai a capofitto nello studio, diventando un’ottima Detective. Ma, allo stesso tempo, persi i migliori anni della mia vita.» Raccontò.
Piccole lacrime cercavano insistentemente di uscire dagli occhi lucidi, mentre la stretta della mano divenne più salda.
Un’orrenda consapevolezza si fece strada nella sua mente e nel suo cuore. Una parte di lei avrebbe voluto proseguire la storia; le sarebbe piaciuto poter finalmente condividere con qualcuno quel peso che per anni l’aveva schiacciata e minacciata.
Era stata più volte sul punto di confessargli tutto, ma la paura aveva sempre vinto. E lei continuava a soffrire.
Ma forse ora era arrivato il momento giusto. Tanto, peggio di così poteva andare?
«Sai, sono contento che almeno in parte io ti stia aiutando a superare la situazione.» i suoi pensieri vennero interrotti da Mason che, con dolcezza, cercava di consolarla. Se solo avesse saputo cosa stava accadendo ora nella sua testa…
«Mason, devo dirti una cosa.» Ammise, terribilmente seria.
«Mi spaventi…»
«Non ti ho raccontato tutto. C’è dell’altro.» Si fece coraggio e cominciò finalmente a confessare quella parte della sua vita che sembrava non avere fine. «Il caso di mia sorella venne chiuso dopo un mese di indagini. Nessuno era riuscito a scoprire niente. I miei genitori erano distrutti. Anche io lo ero, ma preferivo non darlo a vedere. Stavo male a vederli soffrire tutti i maledetti giorni perché nessuno gli dava delle risposte. A quel punto decisi di fare qualcosa. Tornai all’accademia e, tra un esame e l’altro, cominciai ad indagare per conto mio. Mi feci aiutare dal migliore amico: Leo. Non lo conosci, vive in Europa; ormai non lo sento da anni. Riuscimmo a scoprire più cose noi in una settimana che la polizia in un mese.» Si fermò un istante per riorganizzare i pensieri. Ciò che stava per dirgli avrebbe completamente stravolto la sua vita. Ma aveva davvero bisogno di condividerlo con lui. «Forse non lo sai, ma Maddy era una pattinatrice professionista. Si allenava nella società della città, e i suoi anni venivano scanditi a suon di medaglie d’oro. Era bravissima, la migliore! La migliore in ogni caso… Io e Leo, un pomeriggio, cercammo il diario nel quale raccoglieva tutte le modifiche degli allenamenti. “Si può sempre migliorare!” diceva. Nelle ultime pagine trovammo delle fotografie e delle annotazioni. Fu l’inizio della fine della mia vita. Madison aveva scoperto uno scandalo all’interno della società: i dirigenti, per fare in modo di assicurarsi un posto nei mondiali, vendevano le atlete ai giudici per una notte. Maddy era sconvolta, ma non ne parlò mai con nessuno; neanche con me. Quando arrivò il suo turno lei non solo si rifiutò di prostituirsi, ma li minacciò di andarsene, consapevole della sua bravura e dei soldi che portava alla società. Quando questi non obiettarono, lei decise di fare di più. Voleva smascherare la faccenda. Ma la cosa peggiore è che decise di farlo da sola, all’insaputa della sua famiglia… di me. Tornò dai dirigenti con  delle fotografie che provavano l’attività illegale, affermando che le avrebbe consegnate alle forze dell’ordine se questi non avessero smesso di usare le ragazze come merce di scambio. Tre giorni dopo morì. E gli unici a sapere la verità eravamo io e Leo, grazie a quel diario.»
Mason la abbracciò, sentendo il suo bisogno di sostegno.
«E tutto questo cosa c’entra con la tua vita di adesso?»
«Ero una ragazzina, Mason. Una stupida ragazzina! Vedevo i miei genitori soffrire, ero arrabbiata e Maddy mi mancava da morire. Una sera io e Leo seguimmo uno dei dirigenti, Gregory Hoffman, mentre andava a casa dell’amante; scattammo un paio di foto e scappammo. Il giorno dopo le spedimmo anonimamente alla moglie. Ne derivò un divorzio, non prima di una scenata violenta da parte del dirigente. Questo gli impedì di continuare ad amministrare la società di pattinaggio; inoltre, essendo la moglie molto ricca, con il divorzio perse tutto quello che aveva. Si ritrovò solo, in un appartamento della periferia, senza un lavoro, e con molta rabbia. Si mise all’opera, finché non riuscì a rintracciarmi. Una sera me lo ritrovai fuori casa, minacciandomi di morte. A quel punto io gli raccontai delle prove che lo avrebbero incriminato, mostrandogli le fotografie delle ragazze insieme giudici. Sbiancò all’idea che avrebbe passato la sua vita in prigione. Quella stessa sera feci un patto con il diavolo. Lui non mi avrebbe uccisa e non mi avrebbe più cercata, almeno finché quelle prove sarebbero rimaste segrete. Non ne avrei potuto parlare con nessuno, a parte Leo che già sapeva la storia. Accettai le condizioni e lui sparì dalla mia vita.» Lasciò aleggiare le parole nell’aria, aspettando che Mason le elaborasse.
«E tu allora perché non hai semplicemente bruciato quei documenti? Avevi la possibilità di chiudere la faccenda e continuare a vivere.»
«Perché ero una ragazzina, Mason! Te l’ho detto… segretamente continuai ad indagare sulla faccenda, ma non riuscii a trovare nulla di nuovo. Le cose rimasero in stallo fino a cinque anni fa. Una mattina trovai sull’uscio del mio appartamento una lettera firmata da “Lo sai chi sono, non serve fare nomi” che dichiarava di aver scoperto delle mie indagini. Mi scrisse che se non avessi immediatamente tagliato i ponti con quella faccenda, tu saresti morto. Non poteva uccidere me, in fondo il patto non prevedeva nulla riguardo le mie indagini private.»
«Io? Che c’entro io?»
«Mi ha spiata, per anni. Probabilmente avrà notato la tua presenza nella mia vita, e l’affetto che ci legava. Eri il mio punto debole, e lui lo sapeva. Ti ha usato contro di me, e ha funzionato. Così ho chiuso in un cassetto tutti i documenti e, con fatica, ho cercato di far finta che niente di tutto ciò fosse successo.»
«Vuoi farmi credere che hai davvero mollato tutto? Perché?»
«Per te.» Ripose «Non avrei mai permesso che ti accadesse qualcosa. La situazione sembrò calmarsi, finché un mese fa rientrai a casa e la trovai sottosopra. Corsi nello studio, aprii l’ultimo cassetto e indovina? I documenti erano spariti. Ero terrorizzata, temevo che se lo avesse scoperto sarebbe venuto a cercare sia te che me. Poi qualche giorno fa sono iniziati gli omicidi. Io so che dietro a tutto c’è lui.»
«E perché non ne parli con gli altri? Hai a disposizione la miglior squadra di Los Angeles, lo troveranno prima che se ne renda conto.»
«Perché è più intelligente di quanto pensi: guarda solo cosa sta facendo con questi omicidi. È sempre un passo davanti a noi, quindi lo verrebbe a sapere. E a quel punto non so cosa potrebbe succederti…» ammise, abbattuta.
«Ma non possiamo fargliela passare liscia. Dobbiamo fare qualcosa!»
«Mason, frena» gli disse interrompendo la passeggiata, piazzandosi davanti a lui «Io te ne ho parlato perché non ce la facevo più a tenermi tutto dentro e perché, in qualche modo, sei coinvolto anche tu. È solo colpa mia, e mi dispiace… ma ora non posso farci niente. Dobbiamo solo sperare di riuscire a prenderlo con la squadra, ma senza renderli partecipi di tutta la storia di Madison. Perché, inoltre, non ho nessuna prova concreta del fatto che ci sia Hoffman dietro a tutto questo.»
Lui le prese le mani, cercando il suo sguardo frustato.
«Ce la caveremo. Supereremo anche questa, te lo prometto.» La strinse a sé, cullandola.
«È tutto molto strano Aria… insomma, trascinare questa storia per anni solo perché gli hai rovinato il matrimonio e il lavoro?»
«Beh, non solo: se quei documenti dovessero finire in mani sbagliate, lui passerebbe tutta la sua vita in carcere; io ero la sua unica assicurazione, e ora l’ha persa. Ed è ancora più arrabbiato.»
«Capisco, ma mi sembra esagerato… sicura non ci sia nient’altro sotto? Un altro motivo, magari.»
«Non lo so Mason… so solo che ora non devo pensare a quella storia. Ora devo concentrarmi sul caso reale, sperando che faccia un errore.»
«E io ti starò accanto, in qualsiasi caso.»
«Lo so, lo so…» sussurrò infine.






 

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Capitolo 23
*** Sorridi, come se ci credessi davvero ***




Capitolo 22


 
Sorridi, come se ci credessi davvero


 
 
 
 
«Parlami un po’ di tua sorella, ti va?» le chiese, notando il suo bisogno di cambiare discorso.
Aria sorrise, sollevata.
«Madison era una vera forza della natura. Non sai quanto avrei voluto avere il suo carattere; era allegra, felice… aveva una visuale estremamente ottimista di tutto, e questo le permetteva di vivere serenamente. Non aveva paura del futuro, e coglieva ogni occasione per cambiare la sua vita; aveva il terrore che diventasse troppo noiosa. Mi diceva sempre di sorridere, in ogni occasione; perché permetteva di vedere il mondo con occhi diversi, con gli occhi dell’amore. L’importante era sorridere.» le scappò una lacrima, mentre la mente prese a vagare tra i ricordi lontani…
 
 “Ti voglio bene sai? Sei la cosa migliore che potesse capitarmi… e guarda come sei bella! Ridi, Aria, ridi più spesso. Tu non ti vedi, ma illumini il mondo con il tuo sorriso!”
“È difficile ridere quando stai per farti bucare la pelle! A proposito, ricordami perché ho accettato la tua proposta di farci un tatuaggio.”
“Perché sarà il nostro modo per stare unite. Non si sa mai cosa può accadere nella vita…”
“Noi staremo unite per sempre.” Le rispose Aria, abbracciandola.
“Lo so, ma voglio comunque le nostre iniziali.”
“Farà malissimo! E non potremmo neanche… o meglio, tu non potresti! Hai sedici anni!”
“Lo so, ma tu firmerai per me.” Rispose con naturalezza, facendo oscillare i lunghi capelli biondi. “Stai tranquilla Aria, non farà male. E, in ogni caso, dicono che non si possa scappare dal dolore, giusto?”
“Beh, chi lo dice forse non ha mai corso abbastanza veloce!” rispose corrucciata.

“Sei proprio simpatica, sai? Se solo ridessi di più…”
“Io non sono come te, dovresti averlo capito ormai.”
“Non voglio che diventi come me. Solo… cerca di vedere il mondo con occhi diversi, fa la differenza.”
“Sai qual è il problema, ragazza? Hai letto troppi libri e poi ci hai creduto.”
“E che c’è di male? Io almeno vivo serena.”
“Vorrei ricordarti la settimana scorsa.”
“Non puoi prenderla come esempio! Il mio fidanzato mi aveva appena lasciata. Come potevo essere felice?”
“A proposito… ti sta ancora chiamando?”
“Ogni singolo giorno. Dice che si sente perso senza di me!” rispose, imitando la voce del fantomatico ragazzo. “Come se non avesse saputo già da prima quanto sono speciale e importante.”
“Io, al contrario degli altri, non ho mai sentito il bisogno di perderti per capire l’importanza che hai.” Ammise.
“Tu sei il massimo, sorella!” rispose abbracciandola con gli occhi lucidi.
“Aria… Hai mai pensato quanto sarà bello il futuro? Eh? Quando tu sarai sposata, avrai dei figli e io verrò a trovarti. Mi aprirai la porta e ti salterò al collo, proprio come facciamo adesso. Ecco perché voglio fare questo tatuaggio; anche se il destino inevitabilmente allontanerà le nostre strade, io voglio sempre sentirti vicina a me.”
“Ti voglio tanto bene, sai? E tu, hai mai pensato al tuo futuro? Cosa ti piacerebbe essere da grande?”
“Felice da fare schifo.” Rispose tranquillamente, con occhi sognanti.
Aria non poté fare altro che ridere, dandole una spinta.
“Ecco, siamo arrivate. Sei ancora sicura di volerlo fare?”
“Eccome!”
“Ricorda: lo sto facendo solo per te, Maddy!” la minacciò con un dito ed un meraviglioso sorriso.
“Ehi, aspetta…” le afferrò un polso.
“Sì?”
“Aria… devi promettermi una cosa. È importante per me.”
“Tutto quello che vuoi.”
“Te l’ho detto, non sappiamo cosa potrà succedere in futuro… ma tu devi farmi una promessa. Sorridi sempre, in ogni caso. Anche quando sembrerà impossibile, o inappropriato, o ingiusto. Tu sorridi! E mentre sorriderai penserai a me. Sorridi Aria, sempre. Sorridi, come se ci credessi davvero!”
“Te lo prometto…”
 
Sorridi, come se ci credessi davvero.
Aveva un unico rimorso nella vita: non aver tenuto fede a quella promessa.






 

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Capitolo 24
*** Dulcis in fundo ***




Capitolo 23


 
Dulcis in fundo



 
 
Il silenzio venne interrotto dal rumore di un pugno battuto sul tavolo.
«Che c’è, Evans?» chiese Aria avvicinandosi.
«Dannazione!»
«Vuoi condividere con la classe?»
«Tutti i sistemi di sorveglianza della libreria sono stati disattivati durante il pomeriggio. L’ultima immagine risale a questa mattina. È un tipo sveglio.»
«Anche troppo! E i testimoni?»
«Li hanno interrogati Charlotte e Collins.» disse indicandoli, mentre arrivavano dal corridoio.
«Allora?» chiese impaziente Aria.
«Niente. Il vuoto. Nessuno ha sentito o visto qualcosa di anomalo. Quest’uomo sembra un fantasma.» Rispose la ragazza scuotendo la testa.
«Ora è il tuo turno…» mormorò.
«Che hai detto?» Evans si sporse in avanti.
«Ora è il mio turno! L’ha detto lui, nel messaggio. A questo punto è inutile continuare ad indagare, a dare la caccia ad un fantasma. Dobbiamo solo aspettare che venga da me, concentriamoci su questo e lo prenderemo.»
«Scherzi, vero?» intervenne Mason «E noi dovremmo stare qui ad attendere che un pazzo venga ad ucciderti?»
«Uno: non sappiamo se verrà per uccidermi. Due: prima che arrivi a toccare me noi lo prenderemo.» Spiegò lei con semplicità.
«Non sappiamo se verrà per ucciderti?! Ormai ha cambiato il suo modus operandi con Collins, fidati che non tornerà al vecchio metodo per te.» intervenne Renard.
«Dobbiamo escogitare un piano allora, un piano che lo blocchi prima che riesca ad uccidermi.»
«Io ho un’idea!» disse Matthew «Vai a casa».
«Cosa?»
«Sono le nove di sera, dovresti andarci in ogni caso. Noi ti seguiremo lungo il tragitto. Se davvero ti sta cercando, lo prenderemo.»
Lei piantò gli occhi in quelli di Collins. Forse Evans aveva ragione.
«Va bene. Però io… ecco… io…» cominciò a balbettare.
«Lo sappiamo, tu sei a casa di Mason!» esclamò Charlotte ridendo.
Aria arrossì di colpo e si mise una mano tra i capelli; non avrebbero mai smesso.
«Perfetto, allora andiamo!» disse Collins alzandosi dalla sedia, afferrando il giubbino. «Guido io!»
«No, preferisco andare a piedi.»
«Andiamo, Aria… come facciamo a seguirvi mentre andate a piedi? Anche un cieco vedrebbe che vi stiamo scortando!» si lamentò Evans.
«Siete bravi Detective, troverete un modo.» concluse prendendo Mason per un braccio e trascinandolo verso l’ascensore.
«A domani!» salutò sparendo dietro le porte.
«Non cambierà mai, vero?»
«Nah, non credo!» rispose Charlotte «Ma muoviamoci prima di perderla di vista!»
 
«Perché hai preferito andare a piedi?» chiese Mason mentre camminavano a fianco, sfiorandosi con la spalla.
«Perché dobbiamo fare una tappa. Niente domande, tra poco vedrai.»
Lui annuì, anche se di domande non ne aveva bisogno.
«Credi ci stiano seguendo?» domandò all’improvviso.
«Probabilmente, e sono bravi, perché non me ne sto accorgendo neanche io.» rispose lui.
Camminarono per altri cento metri, finché Collins non le prese la mano.
«Che stai facendo? Ci stanno guardando!» sussurrò, ma senza ritirarsi.
«Tanto ormai lo sanno, e poi ti immagini le loro facce adesso? Dai Aria, vedi che a conti fatti ci stiamo divertendo più noi!»
Lo guardò e sorrise, poi staccò le loro mani per fargli passare un braccio intorno alla vita.
Lui rimase stupito, ma non ritardò a ricambiare l’abbraccio.
«Hai colto il concetto, eh?» chiese ridendo. «Manca solo un bacio…» le disse avvicinando il viso.
«Non esageriamo.» Rispose spostandosi.
«Giusto, hai ragione.»
Arrivarono a destinazione dopo venti minuti. Come immaginava Collins, erano all’entrata del cimitero.
«Mi aspetti qui?» gli chiese mettendosi di fronte.
«Sarebbe meglio di no. Entro con te e mi tengo a distanza, lasciandoti il tempo che ti serve.»
Lei annuì, riprendendolo per mano e addentrandosi tra maestosi alberi e lapidi tutte uguali.
A qualche metro da quella di Madison si fermò.
«Qui va bene. Arrivo subito.» Gli disse.
«Ehi, aspetta… sei sicura?» la fermò per un braccio.
«Sicura, ci metterò solo un attimo.»
«Se ti servo sono qui.»
«Ok.» Disse prima di baciarlo dolcemente.
Gli sorrise lasciandogli la mano, non sapendo ancora a cosa stava andando incontro.
 
«Ma dove sono spariti quei due?» urlò Evans nell’auricolare di Renard, che avrebbe dovuto seguirli a piedi.
«Non lo so, ho svoltato l’angolo e non li ho più visti.» gracchiò la dolce voce della Detective.
«Dannazione! E adesso?»
«Adesso provo a cercarli, tu fai un altro giro in macchina nel frattempo.»
«Ok, stai attenta, mi raccomando!»
«Anche tu Matt… anche tu.»
Vagarono per circa dieci minuti nel buio, notando il poco flusso di persone per le strade di quella che avrebbe dovuto essere una tra le città più visitate del mondo. Qualcosa non andava.
«Li hai trovati?» la spia della radiolina si accese, emettendo il suono teso della voce di Charlotte.
«No, ora provo a sentire l’unità della Green, magari lei è riuscita ad intercettati.»
«Ok. Dannazione, questa non ci voleva!»
«Capitano, allora?»
«Negativo! Proseguiamo le ricerche!» rispose.
Evans batté un pugno sul volante e fece inversione. Se non li avessero trovati subito le cose si sarebbero complicate. Provò per l’ennesima volta a chiamarli, ma nessuno dei due rispondeva.
Si infilò due dita nel colletto della camicia, tentando invano di controllare il respiro. Goccioline fredde di sudore gli scesero lungo la schiena. Dove diavolo si erano cacciati?!
Dopo aver girato i viali per altri cinque minuti prese in mano la ricetrasmittente.
«Squadra due a tutte le unità. Li abbiamo persi, non abbiamo più nessuna traccia dei soggetti. Ripeto, li abbiamo persi!»
Poi un boato squarciò il cielo.
 
Aria sentì un brivido scorrerle lungo la schiena nel momento in cui lasciò la mano di Mason.
Si incamminò verso quel pezzo di marmo che ormai conosceva troppo bene. Una lacrima scese involontaria sul suo volto. Si affrettò ad asciugarla e sorrise alla vista dello splendido viso di sua sorella.
«Se sapessi com’è migliorata la mia vita in quest’ultima settimana. Tutto merito suo.» mormorò indicando Collins, che passeggiava avanti e indietro con le mani dietro la schiena e la testa china. «Ti ricordi quando mi hai fatto promettere di sorridere in ogni situazione? Non ho rispettato il patto, e questo già lo sai. Ma sto cercando di rimediare, te lo assicuro. Lo sto facendo per te, per mantenere vivo il tuo ricordo.»
Accarezzò il tatuaggio attraverso la camicia e si asciugò una seconda lacrima.
«Avevi ragione, sai? Ora ogni volta che mi manchi o che muoio dalla voglia di stringerti tra le braccia, sfioro le nostre iniziali. Mi da una forza indescrivibile. Tutto merito tuo, come sempre. Mi manchi Maddy...»
Tornò a riportare lo sguardo negli occhi di sua sorella. Era bellissima, con quel volto così dolce, circondato da lunghi capelli biondi. E quello sguardo furbo che la contraddistingueva.
Respirò a pieni polmoni per evitare di piangere ancora, come se nell’aria ci fosse ancora il suo profumo. Respirò come se fosse l’unico modo per sopravvivere.
Sorrise, per lei. Si avvicinò alla fotografia sbiadita con l’intenzione di sfiorarla.
Magari riuscirà a sentire la mia carezza…
Poggiò le dita sul vetro gelato, e lì la vide.
Un’incisione. Piccolissima, invisibile a occhio nudo con quel buio. Prese il cellulare per fare un po’ di luce e riuscì a leggere. Qualcuno aveva inciso tre semplici parole.
Dulcis in fundo.
«Che diavolo…?» mormorò, ma subito dopo capì.
Collegò tutto, e la sua mente agì molto prima del suo corpo.
«MASON, SCAPPA!» riuscì a dire, mente tentava di correre verso di lui.
Troppo tardi. Tempo scaduto.
Sentì tremare l’aria, e la terra mancarle sotto i piedi.
Poi il vuoto.
 
Collins stava passeggiando anonimamente tra le tombe, aspettando che Aria finisse di parlare con Madison.
Tentando di distrarre la mente, si mise ad osservare le tombe a lui sconosciute.
Rebecca Olsen, 34 anni, rose rosse. Probabilmente il marito.
Mike Rover, 87 anni, fiori gialli. I figli forse?
Janet Reynolds, 12 anni, fiorellini rosa. I genitori.
Questo gioco non gli piaceva più.
Perché tutto prima o poi finisce? Perché ti dicono di puntare in alto, cercare di realizzare i tuoi sogni e cogliere ogni occasione per diventare qualcuno, quando tutto ciò in cui credi e in cui ha scommesso e, magari, vinto compie un viaggio che inevitabilmente va verso la fine e la distruzione?
Riportò lo sguardo su Aria e la vide con il cellulare in mano che faceva luce sulla fotografia.
Cosa starà facendo?
Improvvisamente indietreggiò.
«MASON, SCAPPA!» captò quelle parole al volo, mentre la vide correre verso di lui. Aveva il terrore dipinto sul volto. Non capì subito.
Poi un boato squarciò l’aria, e una fonte di luce illuminò il cielo. Sentì una forza sovrumana spingerlo indietro.
«NO! ARIA!»
Doveva salvarla, ma quell’onda invisibile lo trascinò lontano, scaraventandolo a terra.
«Aria…» mormorò.
Alzò la testa nel tentativo di riuscire a individuarla nonostante tutto quel fumo.
Era stordito dalla botta in testa. Si mise carponi, spostandosi a fatica. Vide una sagoma sdraiata pochi metri più in là.
Era lei!
«ARIA!» urlò con tutte le sue forze.
Nessuna risposta, nessun movimento. Riuscì ad arrivarle vicino e le prese la mano. L’altra la infilò dietro il collo, alzandole la testa.
«Aria… apri gli occhi, ti prego di’ qualcosa!» Cercò il telefono, invano.
Riportò l’attenzione sulla donna che aveva tra la braccia. Le mise due dita sul polso, ma era troppo stravolto per capire se c’era battito.
«Traquilla… arriverà qualcuno, ne sono certo. Tu però respira, ti prego. Ti chiedo solo di respirare, non è difficile… Forza, Aria.»
Cominciò a vedere il paesaggio girare vorticosamente. La strinse ancora di più a sé, come per proteggerla. Stava perdendo i sensi, lo sapeva. Ma doveva rimanere sveglio per lei.
«Ti amo… Ti amo, Aria, non dimenticarlo mai.»
Poi svenne, cullato dal rumore delle sirene.





 

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Capitolo 25
*** Abbiamo fatto il possibile per salvarla ***




Capitolo 24
 


Abbiamo fatto il possibile per salvarla


 
 
 
Ad ogni buca il suo corpo sussultava, facendogli picchiare la testa sulla plastica dura della barella.
Nonostante gli occhi chiusi, la luce artificiale lo colpiva sul volto come una scossa elettrica.
Sentiva il rumore delle sirene, e ad ogni curva sembrava come se stesse per cadere.
Di colpo di svegliò.
«Aria…»
«Signore, come si sente? Qual è il suo nome?»
«Dov’è Aria?»
«La prego, risponda alla domanda.» Urlò il paramedico mentre si reggeva alla sedia per non cadere.
«Mason Collins… la prego, mi dica come sta?»
«Perfetto, Mason, sa dirmi che giorno è oggi?»
«È martedì… ma che c’entra? Per favore, mi dica almeno se è viva.»
«Mi dispiace, ma non ho notizie dei feriti.»
«Dov’è?»
«Nell’altra ambulanza. Adesso si calmi, Mason, siamo quasi arrivati.» Cercò di tranquillizzarlo, inutilmente.
Collins alzò la schiena e mise a terra la gamba destra. Il ragazzo scattò in piedi e lo spinse per le spalle, rimettendolo in posizione.
«Non può alzarsi; la smetta, mancano solo pochi metri.»
«Ma lei non capisce, devo andare da Aria!»
«Va bene, ci andrà quando ci saremo assicurati che i suoi parametri siano nella norma. Ma per farlo servono le strumentazioni ospedaliere. Non ci vorrà molto.»
Collins non rispose, e respirò cercando di rilassarsi. Ma come poteva?
Aria era ancora viva? Era già arrivata all’ospedale? Dove si trovava in quel momento?
L’ambulanza frenò di colpo. Qualcuno aprì le porte da fuori e vide altri due paramedici.
«John, scenda, presto! C’è un’altra urgenza e hanno chiamato lei. Salga sull’ambulanza 7. Ora!»
«D’accordo!» rispose il ragazzo prima di scendere. «Mason, lei rimanga lì fermo, un medico sta per arrivare. Mi raccomando, non si muova.» Poi sparì.
Come se non avesse sentito, Collins scese dall’ambulanza e mosse qualche passo; si ritrovò nel reparto di pronto soccorso.
Vide molte auto mediche, alcune si fermavano e altre partivano sgommando con le sirene spiegate.
Passò totalmente inosservato in tutta quella confusione; a quanto pareva, pochi minuti prima, c’era stato un grave incidente che aveva coinvolto più persone. Ora si spiegava tutto quel via vai.
Barcollando per i giramenti di testa superò i rumori e luci, entrando nello stabile.
La situazione era peggio di come pensava.
Barelle che slittavano per i bianchi corridoi. Gruppi di bambini che vomitavano. Ragazzi con stampelle che cercavano di farsi largo tra la gente. Paramedici che urlavano le condizioni dei pazienti ai medici. Camici bianchi che si spostavano da destra a sinistra. Signore dell’accettazione che litigavano con qualcuno al telefono. Parenti che piangevano disperati. Un vero manicomio.
Quella bomba aveva scelto il momento sbagliato per esplodere.
Sembrava che tutto ciò che potesse succedere di brutto a Los Angeles fosse avvenuto nella stessa sera.
Ma Collins aveva solo un obiettivo: Aria.
Si avvicinò alla segretaria chiedendo informazioni, ma quella era troppo occupata per ascoltarlo.
Non trovando nessuna possibile fonte di aiuto fece ricorso ad anni di serie tv.
Dove portano i pazienti più gravi e urgenti arrivati con un’ambulanza? Traumatologia.
Cercò il cartello e imboccò le scale fino al secondo piano. Lì la situazione sembrava essere più tranquilla del pronto soccorso, ma c’erano comunque molte barelle che scorrevano veloci da una sala all’altra.
Cercò di spiare all’interno mente gli infermieri entravano e uscivano. Non riusciva a vedere nulla o, almeno, nulla che potesse essere Aria. Si sedette sulla sedia vicino all’entrata.
Magari non è ancora arrivata… Si prese la testa tra le mani, aspettando.
Un gruppo di medici e infermieri si spostò e si avvicinò a lui.
Stavano parlando in fretta e la maggior parte sbraitava termini medici. Per Mason equivaleva ad ascoltare quattro finlandesi che litigavano.
Riuscì però a captare qualche parola, quelle che bastarono per farlo cadere nel panico.
«… bomba...» «… cimitero…» «… parametri instabili…» «… abbiamo fatto il possibile per salvarla…» «… Detective…» «… è deceduta pochi minuti fa…»
Deceduta?
Calma Collins, Los Angeles è una grande città, e questo è l’unico ospedale con un reparto di traumatologia; potrebbero esserci state altre Detective donna in un cimitero colpite da una bomba… insomma, è una cosa normale no? Perché dovrebbero parlare per forza di Aria?
Neanche lui riusciva a credere ai suoi pensieri.
Obiettivamente, le possibilità che si fosse verificato un altro evento così simile erano sotto lo zero.
Voleva urlare, voleva far sentire a tutti il suo dolore. Aria era morta. Cos’altro importava?
Le lacrime cominciarono a scendere incontrollate.
«No, Aria… non è possibile…» continuava a mormorare, in trance.
Si alzò di scatto e cominciò a camminare terrorizzato per il corridoio.
«Signore, ha bisogno di qualcosa? Si sente bene?» un’infermiera si avvicinò e lo sorresse per un braccio.
Come se non sentisse, continuò a ripetere la cantilena, avanzando lentamente.
Che ne sarebbe stato della sua vita? Come avrebbe sopportato un tale dolore?
La donna che amava, con cui avrebbe dovuto passare il resto dei suoi giorni!
«Risponda! Non sta bene?» insistette l’infermiera.
Barcollò e si appoggiò al muro, mentre l’anziana con il camice azzurro chiamò i medici:
«Presto! Serve aiuto qui!»
I rumori cominciarono a diventare ovattati, mentre un gruppo di uomini si accerchiò a lui.
«Signore, mi sente?»
Presero una barella e lo fecero sdraiare.
«Risponda!» continuarono a insistere.
Non capiscono di lasciarmi stare? Non capiscono che voglio morire anche io?
Sentì le ruote muoversi e vide il soffitto che scorreva sotto il suo sguardo. Ma lui era immobile. Cominciava a fare sempre più caldo. Il panico lo avvolse. Non ce la faceva più.
«ARIA!» urlò.
Poi il buio lo rapì.
 
«ARIA!»
Vanessa, Evans e Charlotte lo videro alzare di scatto la schiena dal cuscino.
«Collins!» si avvicinò la donna. «Come ti senti?»
«Aria è morta…» mormorò.
Vanessa i Detective lo guardarono straniti.
«Non sto scherzando! Ho sentito i medici che…»
«Mason…» lo interruppe Evans.
«No, Matt, devi ascoltarmi. Li ho sentiti parlare prima che svenissi e hanno detto che…»
«Mason…» dissero in coro Charlotte e Vanessa.
«Anche voi ragazze, dovete credermi. Hanno detto di aver fatto il possibile, ma non è bastato. Come faccio io adesso? Non ho più…»
«Mason…» continuarono loro, incrociando le braccia.
«Smettetela di chiamarmi, non capite cosa sto provando in questo momento? Era la donna che amavo, che amo… e non c’è più. Sparita. Puff! Come un…»
«COLLINS!» urlò una voce alla sua destra, che lo fece sobbalzare.
No, non poteva essere...
Vide un sorriso di soddisfazione dipingersi sui volti dei suoi amici.
Ruotò piano la testa, con la paura che ciò che aveva intuito potesse non essere vero.
Ma poi la vide.
Nel letto accanto a lui c’era Aria; bellissima come al solito, nonostante i tubi di plastica trasparente che le avvolgevano il torace.
«Aria… non è possibile!»
«Oh sì che lo è! Se, al posto di parlare come tuo solito, avessi ascoltato Vanessa, Matt e Charlotte, ti avrebbero spiegato che era solo un sogno. Sei svenuto al cimitero e ti sei risvegliato adesso. Tutto ciò che tu ricordi nel mezzo, non è mai accaduto. Sto bene, fidati. Stasera usciamo entrambi da qui.»
«Oh…» ripose lui, ancora sconvolto dalla scoperta appena fatta.
«Già: Oh!» disse Vanessa, facendogli il verso.
Lui la fulminò.
«Come ti senti?» chiese, riportando l’attenzione su Aria.
«Adesso che ti sei svegliato meglio.»
«Ok, ok. Forse è meglio se noi ce ne andiamo adesso. Non vi permetterò di farmi venire un’iperglicemia!» escalmò Evans, prendendo le altre due a braccetto e uscendo dalla stanza.
Aria rise, poi allungò il braccio verso Mason.
Lui, non potendo alzarsi per via dei macchinari, strinse la mano della sua fidanzata.
La fissò e le sorrise. Poi cominciò a giocare con le sue dita.
«Credevo di averti persa per sempre. Volevo morire Aria.»
«Shh… sono qui, ok? È tutto a posto e stiamo entrambi bene. Questo è l’importante: nient’altro.»
Lui annuì, stringendo ancora di più la sua mano. Sentirono un lieve battito alla porta.
«Avanti.»
Timidamente un’infermiera fece il suo ingresso e porse una busta.
«Il signor Collins e la Detective Miller?»
Annuirono.
«Questa è per voi.»
La appoggiò sul comodino di Mason e uscì dalla stanza silenziosamente, scusandosi del disturbo.
Lo sguardo di Aria passò dal curioso al preoccupato. Lui aprì lentamente la busta ed estrasse il foglio.
Le dolci rilegature azzurrine erano in completo contrasto con il messaggio.
 
 
So che stasera uscirete dall’ospedale.
Andate dove tutto ha avuto inizio.
Sarò lì per attendervi.
Buona guarigione.
Con affetto… c’è davvero bisogno della firma?
 
 
Gli occhi passarono da una riga all’altra più volte, poi passò la busta ad Aria, che ebbe la stessa reazione.
Stupore. Dolore. Paura. Ansia. Trepidazione. Terrore.
«Dove tutto ha avuto inizio…» mormorò Collins.
«All’obitorio!» esclamarono all’unisono.
«Mancano poche ore Mason, dobbiamo avvisare il distretto!»
Prese il telefono dell’ospedale e chiamò Evans, spiegandogli la situazione.
Gli raccomandò di tenere d’occhio l’obitorio ma di non entrare né fare irruzione fino al suo arrivo.
Il Detective cercò di opporsi, ma lei non gli diede tempo di proferire parola. Chiuse la conversazione e respirò a fondo.
No, non era ancora finita, ma lo sarebbe stato tra poco. Pensò.
Sorrise a Collins, cercando invano di calmarlo; ma sapevano entrambi che non sarebbe bastato.
Chiuse gli occhi e tentò di dormire.
Poche ore; poche ore e sarà nelle mie mani. Poi toccherà a lui pronunciare le sue ultime parole.



 

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Capitolo 26
*** Be careful Honey, always ***




Capitolo 25


 
Be careful Honey, always


 
 
 
Tutto era pronto.
I cecchini nascosti negli edifici circostanti, poliziotti in borghese che circolavano intorno all’obitorio, la squadra di artificieri posizionati per l’azione e, soprattutto, la Detective Miller con la pistola in pugno.
Fece il countdown con le dita ed un gruppo di agenti la precedettero, per ispezionare la sala.
Una volta confermato che non c’era nessun pericolo imminente Aria, Collins e il resto della squadra fecero il loro ingresso.
«Non c’è nulla fuori posto.» osservò Mason.
La sua voce si ampliò nel silenzio dell’obitorio.
«Sembra di no.» concordò Aria.
«Aspettate…» Vanessa si allontanò da loro e arrivò alle celle frigorifere. «Questa era chiusa ieri… era vuota.» Continuò indicandone una socchiusa.
Aria alzò la pistola e si avvicinò.
«Aprila piano.» disse all’amica. Lei obbedì e afferrò lo sportello.
Mentre lo tirava verso di sé, Aria sentì una strana sensazione… sapeva di essere vicina alla fine di quell’incubo. O almeno lo sperava. Prese un bel respiro e sistemò il dito sul grilletto.
Pronta a sparare, pronta a veder soffrire colui che le stava rovinando la vita; quel bastardo che aveva ridotto in cenere la tomba di sua sorella.
Lo sportello venne spalancato del tutto: era presente solo un cadavere.
«Strano…» mormorò Vanessa.
«Magari è stato spostato dagli apprendisti.» Provò a giustificare Aria.
Nello stesso momento sentì Collins che si avvicinava, mettendole una mano sulla spalla.
Lui c’era.
«No, non credo. Verifichiamo…» rispose, facendo scorrere la barella verso l’esterno.
Comparve un cadavere che avrebbe potuto confondersi tra gli altri, se non fosse stato per i vestiti che aveva indosso.
«Questo sicuramente non l’abbiamo messo noi!» dichiarò la dottoressa.
«Aspetta Vanessa… guarda qui!» esclamò Aria, posizionando la pistola nella fondina.
Prese un guanto e spostò la mano del cadavere. Sotto di essa trovò un foglio giallastro piegato.
Lo aprì. Scritta con inchiostro di china, la lettera sembrava un vecchio reperto archeologico.
La calligrafia fitta e ordinata scosse la Detective. Sentì il respiro di Mason sul suo collo, mentre gli prese la mano. Non aveva il coraggio di leggerla da sola.
Anche lui riconobbe la scrittura. L’avevano vista più volte. La conoscevano maledettamente bene.
 
 
Detective Miller!
Questa lettera è per te, e per i tuoi ingenui amici.
Ovviamente sai già chi sono, ti ho invitata io.
Ti starai chiedendo di chi sarà il cadavere che teneva in mano questa lettera; ebbene ti risponderò… ma ogni cosa a suo tempo.
So che hai molti vuoti e lacune sulle indagini di questo caso. Sono qui apposta per aiutarti a chiuderlo, se sarà mai possibile.
Ma andiamo per ordine:
Prima vittima: Vanessa Pearson.
Eh sì, tanto oramai sai che i veri obiettivi eravate voi, dunque ti spiegherò come ho fatto a far coincidere tutto alla perfezione. Dicevamo… ah sì, Vanessa.
Non è stato un caso che non si sia presentata al lavoro la mattina: aveva mal di testa perché l’avevo drogata io. L’ho seguita nel locale la sera prima e le ho versato un cocktail di medicinali da banco nel bicchiere… una bomba di reazioni per l’organismo.
Seconda vittima: Charlotte Renard.
Dolce, dolce Charlotte!
Questa forse l’avrete capita da soli… ho semplicemente scambiato le etichette delle camicie, in modo che la sua avvelenata andasse ad una sventurata cliente.
Terza vittima: Matthew Evans.
Per quanto riguarda lui ho drogato la sua amata zia in modo che chiamasse l’ambulanza. E ho fatto anche arrivare Vanessa all’ospedale grazie ad una finta chiamata. Così si sono incontrati, si sono riappacificati, e la macchina è scoppiata senza problemi, uccidendo un ladruncolo assetato di un nuovo colpo.
Quarta vittima: Jasmine Green.
Non è riuscita ad arrivare dal veterinario perché le ho manomesso il motore dell’auto.
Astuto, non credete?
Quinta vittima: Mason Collins.
Con lui ho dovuto cambiare il modus operandi perché avevo bisogno di lasciarti un messaggio, Detective Miller. Messaggio che avrai sicuramente ricevuto, non è così?
Sesta vittima: TU!
Con te mi sono divertito molto, devo ammetterlo.
Era tutta una questione di sensori. Sapevo che, da ottima Detective, avresti notato l’incisione.
Il tuo tocco ha innescato una serie di reazioni che hanno fatto partire il detonatore.
Boom!
Per quanto riguarda il fatto di conoscere sempre le tue mosse, un ringraziamento va alla mia bravura e ai ricetrasmettitori disseminati per il distretto. Non ve ne siete accorti, vero?
Spero di aver chiarito molti punti che non ti tornavano. Ma ora immagino ti rimanga un unico dubbio: perché? Perché non uccidervi direttamente? Perché ricorrere a mosse così geniali con il solo scopo di salvarvi sempre la vita?
Beh, posso dirti che c’è qualcuno che ti odia, Aria, ti odia a morte.
Qualcuno che ha fatto della missione di ucciderti il proprio obiettivo di vita. Qualcuno di molto potente, più di quanto credi.
Io lavoro per lui, è per questo che non vi ho ucciso: il grande compito non tocca a me.
E, ovviamente, non toccherà mai a me. Perché il cadavere che hai davanti sono proprio io.
Sì, ho scritto questa confessione e mi sono suicidato per dimostrare per l’ennesima volta chi è che detta le regole. Io, lui… non tu.
Pensaci Aria: mi hai trovato perché l’ho voluto io, altrimenti saresti ancora in giro per il mondo alla ricerca di un uomo invisibile e sconosciuto.
Devi sapere un’ultima cosa: colui che mi ha mandato a spaventarvi a morte vuole la tua testa. Non importa come, dove o quando; realizzerà i suoi obiettivi.
Lui, che immagino tu abbia già capito chi sia, ha lasciato un messaggio per te: “Avevamo fatto un patto, e tu non l’hai rispettato. Ora tocca a me muovere le pedine.”
Quindi stai attenta Detective, la tua vita è in pericolo. Non hai neanche la minima idea di cosa ti aspetterà. E il peggio è che non verrai avvisata.
Non saprai mai quando verrà a cercarti: potrebbe essere tra dieci anni come tra cinque minuti.
Vivrai nella paura e nel terrore fino al colpo di grazia.
Ma, in fondo, non è questa la vera tortura?
Be careful Honey, always.
 
 
La lettera le scivolò dalle mani e cadde a terra.
«Di cosa sta parlando, Aria? Quale patto?» interruppe Vanessa.
Lei lasciò la mano di Mason e corse fuori dall’obitorio. Aveva bisogno di aria, bisogno di sfogarsi.
Quel bastardo era riuscito di nuovo a fregarla. Non solo le aveva portato via Maddy, ora voleva anche i suoi amici e la sua famiglia. La faccenda era passata sul piano personale.
Sentì un braccio passarle intorno alle spalle. Si voltò di scatto e lo abbracciò, stringendolo forte a sé. Pianse tutte le lacrime che aveva in corpo. Non importava se c’erano decine di agenti a fissarla.
Tutta la rabbia esplose in un solo attimo. Si scatenò tra le braccia di Mason, che cercava invano di tenerla ferma.
Continuò a dimenarsi, prendendo a pugni il suo petto. Lui le sussurrò parole rassicuranti.
Poi cedette, le forze le vennero meno e si rassegnò. Si fece abbracciare, senza smettere di piangere.
«Andiamo a casa.» Le disse prendendola per mano e trascinandola via da quell’orrore.
 
Nel frattempo un uomo con occhi di ghiaccio era appostato sul palazzo di fronte, a fissare la scena da un binocolo.
Decise improvvisamente di cambiare programma: non l’avrebbe uccisa quel giorno, come previsto.
Avrebbe aspettato mesi, forse anni.
Vedere la Detective Miller dilaniata dalla rabbia e dalla paura era una gioia per lui. Non stava rinunciando alla sua missione, la stava solo rimandando per beni maggiori.
Ti farò rovinare dalla paura, Aria. Ti distruggerà dentro e non potrai fare nulla per impedirlo; e proprio nel giorno in cui imparerai a conviverci io riapparirò e la tortura ricomincerà, fino alla fine dei tuoi giorni.
Spense la sigaretta e uscì dall’edificio.
Doveva preparare un nuovo piano, un piano per rovinare la vita della Detective.
Estrasse dalla tasca una fotografia vecchia e ingiallita. Osservò i volti sorridenti delle ragazze; al centro di esse spiccava una trofeo d’oro. Sfiorò con i polpastrelli la carta consumata, perdendosi nei ricordi. Lo stemma della società brillava sulla cima. Erano i migliori, i più forti.
Tu mi hai tolto tutto questo, e io ti strapperò ciò a cui tieni di più.
Avrò la mia vendetta.




 

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Capitolo 27
*** L'ultima chiave del mazzo ***




Epilogo
 


L’ultima chiave del mazzo


 
 
Quattro anni dopo…
 
 
«Aria! Aria, sei pronta? Guarda che parto senza di te!» esclamò Mason.
«Arrivo, ci sono quasi… hai visto la mia pistola?»
«Eccola.» Disse porgendogliela.
«Grazie, e il…»
«Ecco anche questo!» rispose porgendogli il distintivo.
«Mi chiedo spesso come farei senza di te.» Confessò, regalandogli un bacio.
Aprì la porta e uscirono dalla loro casa.
«Non faresti… tu hai bisogno di me.»
«Non esageriamo!» scherzò salendo in macchina.
Arrivarono al distretto con un quarto d’ora di ritardo.
«Oggi due ore di straordinari, Detective Miller!» urlò la Green, mentre passavano davanti al suo ufficio.
«Cavolo!» mormorò lei.
«Te l’avevo detto che eravamo in ritardo…»
«Zitto, Collins!» lo fulminò.
«Eh già, zitto, Collins!» gli fecero eco Evans e Renard.
«Non sono in vena ragazzi!» urlò Aria.
Loro si misero a ridere, contagiando pian piano anche lei, che sorseggiò il suo caffè mentre apriva il primo fascicolo della giornata.
Un omicidio in una pasticceria. A Collins sarebbe piaciuto.
Sentì suonare il telefono di Charlotte, che si allontanò. Vide con la coda dell’occhio varie espressione farsi strada sul suo volto; dalla paura, alla speranza, fino alla felicità.
Tornò nel gruppo con un sorriso decisamente fuori dal normale.
«L’hanno preso. Matt, l’hanno preso!»
Evans lanciò un urlo di gioia e abbracciò Aria.
Lei tese i muscoli, tentando di spostare i capelli biondi del Detective dagli occhi.
«Volete spiegare anche a noi cosa sta succedendo?» chiese Mason che, come la Detective, stava capendo sempre meno.
«Sedetevi.» disse.
Obbedirono, mentre una Charlotte anche fin troppo seria cominciò a spiegare:
«Quattro anni fa, dopo quel giorno, abbiamo sentito Collins che ti sussurrava: “Non arrenderti mai Aria, di solito è l’ultima chiave del mazzo quella che apre la porta.” Così abbiamo capito che dovevamo fare qualcosa per te, per voi. Abbiamo iniziato ad indagare una settimana dopo. Ed ora è nelle nostre mani. Non l’ha fatta franca. Abbiamo vinto noi.»
Varie immagini scorsero nella mente di Aria. Non sapeva assolutamente come reagire ad una tale notizia. Effettivamente aveva imparato a convivere con quella situazione.
Aveva imparto a vivere ogni attimo della sua vita al massimo, perché non sapeva cosa sarebbe potuto succedere il giorno successivo. Ormai quella costante preoccupazione era parte di lei tanto da non farci più caso. La novità la stava stravolgendo.
«E perché non ci avete detto niente?» Collins parlò per entrambi.
«Perché sapevamo quanto era delicata e pericolosa la faccenda. Lo so che adesso sarete arrabbiati con noi… ma un giorno ci ringrazierete di non avervi coinvolti. È stato per la vostra sicurezza, nient’altro.» Rispose Evans.
Aria si alzò. Sembrava infastidita, delusa, tradita. Si avvicinò ai Detective.
«Vi voglio bene, ragazzi.» Disse prima di abbracciarli entrambi.
Mason trasse un respiro di sollievo; sarebbe stata dura convivere con un’Aria arrabbiata. Un’Aria a ciclo infinito.
«Andiamo, voglio vederlo in faccia.» Esclamò prendendo la giacca. Nella sua mente spuntarono due occhi blu come il ghiaccio. Hoffman.
Non avrebbe mai potuto dimenticare quel volto, e sperava con tutta sé stessa di trovarselo davanti. Solo allora sarebbe stata sicura che tutto finalmente si sarebbe concluso.
Mason notò la sua espressione, capendo all’istante i pensieri. Le sorrise con un’alzata di spalle, accompagnandola all’ascensore. Erano pronti a vedere la fine dell’incubo. O almeno così speravano.
 
«E possiamo sapere anche noi chi è questo tizio?» chiese Aria all’improvviso.
Fu Charlotte a risponderle: «Si chiama Gregory Hoffman.» Quelle parole riecheggiarono per i silenziosi corridoi vuoti del carcere. Sul volto della Detective si aprì un largo sorriso. Collins le strinse la spalla. Avrebbe voluto stritolare Renard dalla felicità, ma non poteva dimostrarle che loro già sapevano il nome.
Evans continuò: «Era un ex dirigente di una società di pattinatrici, in Florida. L’abbiamo rintracciato grazie ai suoi contatti con il killer. A quanto pare usavano un telefono non registrato, ma siamo riusciti lo stesso ad identificarlo. Ci sono voluti anni per unire tutti i punti, e abbiamo trovato registrazioni che provano la sua colpevolezza. E poi ci sono voluti altrettanti anni per scovare lui. Ma ora ci siamo. L’unico punto di domanda è il movente; ma abbiamo esposto le prove al procuratore distrettuale: ci ha assicurato che basteranno. Molte di quelle lo colgono sul fatto. Era il mandante degli omicidi.» Concluse orgoglioso.
Aria annuì. Lei sapeva il movente.
Entrarono nel reparto “isolamento”.
C’era parecchio trambusto, sembrava fosse successo qualcosa di piuttosto grave. Fermarono una guardia e chiesero informazioni. Questa non rispose, ma si limitò a guidarli fino alla cella 278.
La familiare valigetta blu della Scientifica era poggiata con noncuranza vicino all’entrata. Non prometteva nulla di buono.
Si avvicinarono, per nulla pronti a ciò che li aspettava.
Sullo sporco pavimento, in una posa innaturale, si trovava un cadavere. Irriconoscibile.
Le pareti nere sporche di fuliggine suggerivano la causa della morte.
Aria fece due passi all’interno, sotto lo sguardo esterrefatto dei suoi colleghi.
«È lui?» chiese accucciandosi accanto al corpo.
I Detective annuirono contemporaneamente, con gli occhi sbarrati.
Si avvicinò una guardia.
«Sì, questa è la sua cella.» rispose, poi si rivolse a Matthew «Detective Evans, mi dispiace non averla avvisata prima, ma è successo tutto così in fretta… l’avrei chiamata non appena mi fossi accertato dell’identità.»
«Non si preoccupi, l’importante è sapere che sia lui.»
«Le assicuro che lo è. Non sono stati ancora svolti i test, ma la serratura elettronica indica che la  cella non è stata aperta da ieri mattina.» disse indicando il tastierino numerico. «Ora non resta che scoprire come diavolo ha fatto a darsi fuoco proprio nel reparto più controllato dell’edificio. Ma ci lavoreranno gli agenti. Ah, un’altra cosa. È stato trovato questo nel suo armadietto personale del bagno.» Aggiunse porgendogli un pezzo di carta.
Tutti si avvicinarono con il fiato sospeso.
 
 
Meglio morto che nelle vostre mani.
 
 
«Le sue ultime parole.» constatò Aria.
«Sembra sia finita, no?»
«A meno che non avesse complici.» Puntualizzò lei.
«No, l’avremmo saputo. L’unico complice è quello che si è fatto trovare da noi in obitorio. Lavora solo.»
«Allora non c’è altro da dire se non Caso chiuso.» Intervenne Collins.
«Probabilmente ha ragione Mason. Adesso potete vivere più tranquillamente.» Charlotte sorrise.
«Grazie ragazzi, non so proprio come ricambiare il favore.» Disse la Detective seria e commossa, nonostante la stranezza della situazione.
«Lo stai già facendo Aria. Stai con noi tutti i giorni, no?» Rispose Charlotte abbracciandola.
Lei la strinse a sé, immergendosi nei suoi capelli ramati.
Poi sorrise e uscì dal carcere, lasciandosi alle spalle la sua vecchia vita: una vita di terrore, paura e rabbia.
 
La mattina dopo Aria chiamò il distretto per prendersi due giorni di riposo. Aveva bisogno di metabolizzare la notizia. E di festeggiare.
«Come ti senti?»
«Felice. Per me, per noi. Mi sento più tranquilla, senza il pensiero costante di una possibile pallottola nel petto. Sembra poco, ma pian piano ti distrugge e comincia a diventare parte di te.»
«Non è poco Aria. Ma ora è passato. Pur sempre di quattro anni, ma passato.»
«Grazie, Mason. Mi sei stato vicino quando qualsiasi altro uomo sarebbe scappato a gambe levate dopo aver scoperto di essere in pericolo di vita. Ma tu no.»
«Perché io non sono come gli altri: io non ho mai sentito il bisogno di perderti per capire l’importanza che hai.» Le fece una carezza sulla guancia, sentendola umida.
«Che ti prende? Ho detto qualcosa di sbagliato?»
«No, no. È solo che dissi a mia sorella la stessa identica frase.»
Lui la abbracciò, e lei scoppiò in lacrime. Il petto si alzava e abbassava a ritmo dei singhiozzi.
Riusciva quasi a sentire la voce di Madison che le diceva di sorridere.
Sorridi, come se ci credessi davvero.
Alzò la testa dal petto di Mason e gli diede un bacio sulla guancia.
«Meglio?» chiese lui.
«Sì, ora devo solo sorridere.»
«Cosa…?»
«L’avevo promesso a Maddy. Devo cercare di sorridere sempre, in ogni caso. Anche quando sembra impossibile, o inappropriato,  o ingiusto. Io sorrido! E mentre lo faccio penso a lei. Sorrido, come se ci credessi davvero.» ripeté le parole della sorella, permettendo a Mason di scoprire un’altra parte della sua storia.
«E poi sei più bella quando sorridi! Quindi adesso vai a sciacquarti via le lacrime e poi torna con una sguardo nuovo. Solo per lei…» ripose facendola alzare dal divano.
Lo guardò commossa, prima di correre in bagno. Fece scorrere l’acqua e si tolse le righe di mascara dalla pelle rosea.
Fu nell’asciugarsi che lo notò.
Un piccolo quadratino bianco incastrato tra lo specchio e la parete.
Si mise in punta di piedi per afferrarlo e lo aprì.
 
 
Le ultime parole non sono fatte per me, dovresti saperlo.
 
 
No… non era possibile. La sua mente si rifiutava di crederci.
Lo fissò per alcuni secondi.
«Non finirà mai…» mormorò.
Con un gesto impulsivo lo strappò in tanti pezzettini, aprì la finestra e li gettò fuori.
Per quanto la riguardava,  tutto sarebbe finito lì.
Ora aveva la felicità a portata di mano; riusciva di nuovo a sorridere. E niente avrebbe potuto ostacolarla. Non lo avrebbe permesso.
Uscì dal bagno con un nuovo sorriso e tornò da Mason, mentre i pezzetti di carta ondeggiavano nell’aria fino a poggiarsi sui marciapiedi bagnati di Los Angeles.
 
 



 
 
Ringraziamenti
 
 
 
Innanzitutto vorrei ringraziare i miei amici, per il loro aiuto e per la loro pazienza.
 
Un grazie va anche alla mia famiglia e ai miei insegnati, per avermi tenuta con i piedi per terra.
 
Grazie a Sabrina per la revisione. Senza il tuo aiuto ora non starei scrivendo questo.
 
Un enorme grazie è per le ragazze del Made of: per quell’Always detto sempre nei momenti giusti.
 
Vorrei ringraziare e salutare anche Martina, Eleonora, Federica, Donatella, Jessica, Chiara, e Simona. Vi voglio bene.
 
Ed infine ci vuole un super grazie anche a voi, per avermi dato fiducia, e per essere arrivati a leggere fin qui.
 
Il merito di questa storia, ammesso che ce ne sia, è anche vostro.
 
Con affetto, Giulia.





 

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