Una storia che si ripete

di deli98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I mille ***
Capitolo 2: *** Un tentativo ***
Capitolo 3: *** Il giuramento ***
Capitolo 4: *** 10 giugno ***
Capitolo 5: *** Cattiva influenza ***
Capitolo 6: *** Caccia al traditore ***
Capitolo 7: *** Compagni ***
Capitolo 8: *** 17 marzo ***
Capitolo 9: *** Prigionia ***
Capitolo 10: *** Notte senza luna ***
Capitolo 11: *** Incubi ***
Capitolo 12: *** Caduta libera ***
Capitolo 13: *** Sorpresa ***



Capitolo 1
*** I mille ***


Finalmente! Finalmente il grande giorno è arrivato! Era da tempo immemore che aspettavo questo momento, il momento in cui io e Romano potremo una volta per tutte tornare a vivere insieme, come alle origini, quando avevamo ancora Nonno Roma al nostro fianco a proteggerci.
Questa è l'ultima battaglia, me lo sento! Non ci saranno altri spargimenti di sangue e nessuno soffrirà più.
Piove, come non mai nelle ultime settimane. Le gocce scendono fittissime, limitandoti la visuale e nemmeno la nebbia che sale dal terreno ti aiuta.
La guerra è finita, gli spagnoli si sono arresi e adesso sto setacciando il campo per trovare dei superstiti feriti, ma non ce ne sono.
Sono tutti morti. Il grigio della terra e del cielo e il rosso del sangue sono gli unici colori che dominano nel paesaggio. E anche gli odori: polvere da sparo, fumo, sangue, sudore, terra bagnata. Il tutto si mescola insieme e ti assale stringendoti la gola.
Ma che ci posso fare? D'altronde è la  guerra. L'ho voluta io in fondo e devo accettarne tutte le conseguenze che una guerra può comportare. 
Ma che importa, adesso? Ho vinto, no? Era quello che volevo! Allora perché continuo a sentire un vuoto dentro di me? La tristezza mi invade e i sensi di colpa mi  schiacciano. Perché non riesco a trovare il mio adorato fratello?
Tutte le volte che vedo un uomo morto con la divisa spagnola riverso nel fango prego che non sia Romano. Ma purtroppo sono passati così tanti anni dall'ultima volta che ci siamo visti che probabilmente non sarei nemmeno più in grado di riconoscerlo.
Adesso guardo lontano, verso quello che deve essere l'orizzonte e solo allora noto una figura indefinita che si staglia in piedi ad una cinquantina di metri di distanza da me. Stringo il fucile che reggo in mano e facendomi coraggio mi avvicino, rallentato dalla fatica, dalle ferite e dal fango in cui mi sprofondano i piedi costringendomi ad assumere un'andatura lentissima.
Ma più mi avvicino e più mi rendo conto che quella persona, che indossa la divisa dei nemici, ha qualcosa di familiare e mi ricorda qualcuno.
Non può essere lui.

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Ed eccoci qua, in questa cazzo di guerra che si poteva benissimo evitare, ma il mio sciocco fratellino ha insistito tanto per intraprenderla e adesso Antonio è nella merda a causa sua. 
Perché. Perché dico io! Feliciano mi aveva inviato una breve lettera prima di partire per la Sicilia.
Adesso stringo quello stupido foglio di carta che sotto la pioggia si straccia e l' inchiostro si scioglie, ma in parte è ancora leggibile.


Caro Romano,
Finalmente è giunto il momento che aspettavamo, quello di tornare ad essere uniti sotto un'unica bandiera.
Spero che ti unirai al mio fianco per facilitarmi l'impresa e che potremo ricongiungerci senza troppi spargimenti di sangue.
Partirò tra pochi giorni per la Sicilia, conto sul fatto di rivederti presto.
Tuo fratello, Feliciano.

Strappai la lettera e la gettai a terra pestandola.
Bastardo. Ha rovinato tutto!
Vivevo ancora sotto il controllo di Antonio, ma non potevo dire di passarmela male.
Certo, anche io facevo la mia parte ed essendo anche una sua colonia dovevo sottostare al suo potere e fare la mia parte di lavoro. 
Tutto era sempre andato avanti così, con questo perfetto equilibrio tra colone e colonizzatore, fino a quando un fatto o meglio, una guerra ha sconvolto tutto, rompendo la monotonia delle mie giornate.
Feliciano non lo vedo più da anni e probabilmente non lo sarei in grado di riconoscerlo se lo incontrassi per strada. 
L’ ultimo ricordo nitido che ho di lui è stato anche l’ ultima volta che ho visto Nonno Roma prima della sua scomparsa.
Li odio. Sia mio fratello che il Nonno. Erano molto uniti loro, lui gli trasmetteva tutte le sue conoscenze sull’ arte e architettura, la letteratura e la filosofia, mentre io venivo completamente ignorato, perché a me non spettava nulla in eredità se non ruderi e rovine che cadono a pezzi. 
Solo Antonio aveva dimostrato interesse per me e infatti non avevo opposto resistenza quando era venuto a prendermi. 
Anche Feliciano era stato preso e sottoposto ad Austria e da quel giorno non lo vidi più. Da allora siamo sempre stati divisi ed io ero felice con Antonio, perché è una brava persona e io gli ho sempre voluto bene, ma il mio sciocco fratellino ha altri ideali per la testa.
Vuole che torniamo uniti, come alle origini. Ma sento che c'è qualcos'altro sotto. 
Non ci possono essere due rappresentanti di un’ unica nazione e io sono quello di troppo, quello inutile e incompetente che deve essere eliminato a tutti i costi per far spazio all'altro, quello intelligente, quello istruito e dotato. Come posso non odiarlo? Io mi sono sempre spezzato la schiena nei campi, mentre lui sta nei salotti dei nobili e dell’alta borghesia a ciarlare di letteratura e arte.
E adesso guarda dove sono finito. Di nuovo solo, su un campo di battaglia circondato da gente morta, disarmato, ferito e distrutto dentro. Senza più nulla. Ma c'è qualcuno che si avvicina lentamente verso di me, mettendomi in guardia: è armato ed indossa l'uniforme rossa che mi fa venire la nausea a guardarla, come se non ci fosse già abbastanza rosso intorno a me.
Si ferma a qualche metro di distanza, con il suo fucile puntato verso di me. Che spari, tanto cosa ho da perdere? Se muoio adesso almeno non dovrò morire tra le braccia di mio fratello lasciandogli tutta la soddisfazione di farmi fuori.

- R-Romano? Sei proprio tu? -
Come fa a sapere il mio nome? Chi è? Cerco di metterlo a fuoco, ma la pioggia fitta non aiuta. E lui si avvicina ancora di più.
-Chi sei? Stammi lontano!- Ha un'aria vagamente familiare, ma non credo di conoscerlo.
-Sono Feliciano, tuo fratello! Ti ricordi di me?- adesso manca solo più un metro a dividerci e posso vederlo chiaramente. Sì. E' proprio lui, quel bastardo di mio fratello che non smette di tenermi puntato il fucile al petto. BASTARDO.
Gli sorrido, con un sorriso falso e amaro e lui mi sorride a sua volta, sembra felice. Felice di potermi finalmente uccidere?
-Da quanto tempo.- Senza alcun entusiasmo nella mia voce. Indietreggio di un passo e pesto qualcosa, guardo in basso e vedo spuntare dal fango la lama di un pugnale.
Se faccio in fretta posso prenderlo e lanciarglielo contro, ma lui ha un'arma da fuoco carica in mano. Sono in svantaggio, cazzo.
Perché non si toglie quello stupido sorriso dalla faccia? Mi fa solo incazzare.
-Mi sei mancato. Non speravo più di vederti qui, ma per fortuna sei sano e salvo!- Le sue parole mi suonavano come delle bugie. Gli ero mancato? Si? 
-Tu invece non mi sei mancato per niente.- E finalmente il suo sorriso ebete scompare dal suo bel faccino.
-M-ma come? Io cioè, t-tu...- e adesso si mette anche a frignare e a fare il finto tonto? Tanto non ci casco.
-Che c'è? Non sei contento? Bramavi tanto ad unificare la penisola. Vuoi il MIO territorio? Ecco accomodati, è qui che ti aspetta! E' tutto tuo!-
-Ma cosa...? Che...?- Non gli basta? Cosa vuole di più?
-Cosa stai aspettando? Dai, fammi fuori!- Adesso sto veramente perdendo la pazienza e non riesco ad evitare di urlare.
Lui sta li, non si muove e non dice una parola.
-FORZA! SPARA!- Mi avvicino e prendo la punta del fucile e me la porto al petto, diritto al cuore. -SPARA CAZZO!- 
Ma lui niente. Rimane li a fissarmi negli occhi senza premere sto fottuto grilletto.
-Cosa aspetti? Spara, dai! Non sei contento? Non era quello che volevi tanto?- E le parole continuano ad uscire senza pensare. -Ti odio. Sei sempre stato il migliore in tutto e Nonno Roma mi ripeteva sempre di prendere esempio da te, anche se tanto non sarei mai stato nessuno. Io mi sono sempre dovuto guadagnare il pane con la fatica, con il sudore, mentre tu che fai? Ti godi la vita nei palazzi lussuosi con i servi che ti leccano il culo! E non dire che non è vero! Maledico il giorno in cui sei nato! Da allora tutta la mia vita è stata un susseguirsi ininterrotto di delusioni e dolore. E adesso che fai? Piangi? Pensi che così otterrai il mio amore fraterno? Ti sbagli di grosso! Tu ti meriti il nulla. Puoi benissimo andare a fare in culo, ma da me non avrai niente!- Ci fissiamo per qualche attimo.
Adesso sono deciso a non dargliela vinta, non voglio dargli la soddisfazione di darmi fuori. Con uno scatto mi abbasso e afferro il pugnale e mi rialzo.
Lui ha gli occhi sgranati e mi guarda come se fossi un fantasma.
-Addio, stronzo- sorrido e chiudo gli occhi.
Mi preparo a caricare il colpo e stringo il pugnale con tutte e due le mani per dare un affondo rapido e spero indolore. Non voglio vederlo in faccia.
Forse vedrei solo il suo perenne sorriso che fa più male di mille ferite.


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Una cascata di insulti esce dalla sua bocca senza fermarsi e ad ogni parola sento il cuore che si spezza, si sgretola. Piango dal dolore.
Perché fa così? Vorrei dirgli che non è vero, che io non voglio prendere il suo posto, che gli ho sempre voluto bene, malgrado la distanza, che saremo insieme qualsiasi cosa accada. 
Ma questi sono tutti pensieri inespressi. Dalla mia bocca non esce alcun suono.
Prende il fucile e se lo punta al petto, ma io non voglio premere il grilletto! E quando lui smette di parlare rimaniamo così, immobili e lui sembra sfidarmi con lo sguardo a sparare. Mi sento arrabbiato, con lui, per quello che pensa di me. Crede che io me la sia passata bene? In tutti questi anni ho sofferto come lui, ma non se ne rende conto, o non vuole crederci.
All'improvviso si china verso il basso e raccoglie dal fango un pugnale tutto bagnato e sporco, che brilla terribile alla fioca luce che passa attraverso le nuvole nere cariche di pioggia. Abbasso il fucile. Cosa ha intenzione di fare adesso?
-Addio, stronzo.- Cosa? Ma che dice? E' impazzito per caso? Ha un sorriso inquietante e con quella lama in mano mi fa venire i brividi. 
Chiude gli occhi e ha l'espressione di chi si sta preparando per l' imminente dolore, stringe il pugnale con entrambe le mani e la lama è puntata verso il suo stomaco. Succede tutto nella frazione di un secondo. Lui sta per darsi il colpo di grazia, ma non voglio che muoia! Ho combattuto una guerra perché noi potessimo essere uniti! Mi lancio in avanti senza pensarci due volte ed entrambi cadiamo nel fango.
Dolore. Tutto quello che sento da adesso è il puro dolore alla schiena, qualcosa di gelido mi si è conficcato nella carne arrivando allo stomaco.
Non ho idea di come sia potuto succedere, ma è successo.
Urlo stringendo la giacca di mio fratello e affondando la testa nel suo petto. Ma l'urlo viene mozzato dal sangue che mi esce dalla bocca e che mi impedisce il respiro.
Bel modo di morire, annegando nel proprio sangue.
I cinque sensi mi stanno abbandonando: non sento né freddo e né caldo, l'odore di morte che arriva dal terreno non lo sento più. il sapore di sangue sta lentamente scomparendo lasciandomi in bocca giusto un ricordo del suo retrogusto amaro e ferroso, i rumori sono ovattati ma anche assordanti, e soprattutto la vista, vedo mio fratello che mi stringe e mi culla tra le sue braccia, ma lentamente la visione si annebbia e compaiono delle macchie nere che lentamente di allargano fino a quando tutto non diventa nero. 
E' tutto finito, adesso non devo più soffrire, però mi dispiace. Mi dispiace per mio fratello, perché si era fatto un opinione sbagliata nei miei confronti.
Mi dispiace perché io gli ho sempre voluto bene, malgrado la distanza, ma lui non poteva saperlo.
Perché non ho potuto fare niente per aiutare la sua condizione.
Perché io effettivamente vivevo in una situazione più agiata della sua.
Perché la vita è crudele e meschina.
Perché la morte prevale sulla felicità e sull'amore.
Perché la morte è la fine che fanno tutti, chi prima chi dopo.
Solo mi dispiace di non essere rimasto al suo fianco più a lungo, ma che ci posso fare? La morte non perdona.


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Eccoci alla fine del primo capitolo! Lasciate dei commenti per farmi sapere se vi è piaciuta la storia!
La storia non termina così, ma ovviamente non voglio anticiparvi niente!

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Capitolo 2
*** Un tentativo ***


Qualcosa è andato storto: me ne accorgo dall'improvvisa sensazione di cadere all'indietro e dalla conseguente sensazione di freddo e viscido a contatto con il fango.
E dov'è il dolore, perchè tarda ad arrivare? Però avverto un peso sopra di me. E quel qualcosa ha emesso un urlo agghiacciante di puro dolore.
Non riesco ad aprire gli occhi, ho paura di quello che potrei vedere.
Sento le mani che scivolano sul manico del pugnale a contatto con un liquido vischioso. 
Allora apro finalmente gli occhi e quello che vedo è ciò che avrei preferito evitare di vedere.
La lama del pugnale è entrata tutta nella schiena di Feliciano, che non smette di tremare e di tenersi spasmodicamente aggrappato alla mia giacca. Non riesco a vedere
cosa fa, ma sento qualcosa di caldo che mi inzuppa la divisa e allora faccio due più due.
Mollo subito la presa sul pugnale e cerco di far alzare la testa a mio fratello, e alla vista di tutto quel sangue che esce così velocemente per un attimo mi ha fatto
venire i conati di vomito (il che è piuttosto relativo, siccome sono già circondato da morti e sangue a volontà).
Perchè l'ho fatto? Anzi, perchè ho pensato davvero che mio fratello volesse uccidermi? Perchè sono così idiota, cazzo?
Lo prendo in braccio come se fosse un bambino piccolo e gli stringo la testa al mio petto. E prego. Ma a chi posso pregare? Dopo quello che ho fatto non ho alcun 
diritto di invocare il perdono di Dio. Allora lo guardo e vedo il suo sorriso che lentamente mi lacera e mi fa cadere nei sensi di colpa.
-Ti prego, non lasciarmi!- lo imploro, ma lui che ci può fare? E' solo colpa mia.
Vedo i suoi occhi color del miele diventare sempre più vitrei e vedo anche il suo sangue coprire ogni cosa.
E' finita.
No, aspetta. Se mi sbrigo posso ancora salvarlo! Sì, devo solo correre e portarlo nel suo accampamento, di sicuro ci sarà qualcuno in grado di salvarlo!
Questa è la mia ultima speranza, tanto vale tentare.
Prendo in braccio Feliciano e incomincio subito a correre veloce come mai avevo fatto prima.
Non riesco a vedere dove metto i piedi ed inciampo diverse volte sui corpi stesi ancora a terra, ma mi rimetto subito in piedi e ricomincio a correre come prima,
cercando di ignorare completamente la sensazione di pesantezza e il dolore pungente ai muscoli. 
E finalmente riesco a raggiungere il suo accampamento, aldilà del campo di battaglia. Sento delle urla che mi incitano a fermarmi, a chiedermi la mia identità,
ma le ignoro e continuo ad andare avanti, fino a quando un uomo con la divisa rossa non mi strattona il braccio e mi costringe a fermarmi.
-Chi sei? Cosa ci fai qui?- E' armato e sembra già pronto a sparare al mio minimo tentativo di fuga.
-Dovete salvarlo... Per favore... Aiutatemi!- Faccio fatica ad esprimermi a causa del fiatone, ma l'altro sembra comprendere e forse ha anche riconosciuto mio fratello, perchè mi lascia andare senza dire una parola.
E io riprendo a correre per recuperare i secondi preziosi persi nella conversazione, ma quando finalmente entro nell'accampamento, vengo bloccato di nuovo.
-Cosa fai qui? Spagnolo?- Sono in tanti e tutti mi guardano con aria accusatoria vedendo la mia divisa e quella di mio fratello, che stringo più forte che posso
per paura di perderlo.
-Vi prego... Ci deve essere qualcuno qui in grado di salvarlo!- E mi guardo intorno sperando che ci sia un dottore che si faccia avanti. Per un secondo tutti tacciono.
-Andate a chiamare il medico di campo!- E due di loro si allontanano per andarlo a cercare, mentre io vengo trascinato in una tenda dove c'è solo una brandina.
Vi depongo mio fratello a pancia in giù, mettendo in bella mostra il pugnale che è ancora conficcato nella sua schiena. E tutti assistono attorno al lettino e sembrano
aspettare il momento buono per saltarmi addosso. Dopo mezzo minuto entra nella tenda un uomo con un grembiule che in origine doveva essere bianco e una ragazza che deve essere un'infermiera.
-Uscite tutti.- E tutti si affrettano verso l'uscita, ma io non riesco a muovermi. -Anche tu. Esci.- E mi squadra da capo a piedi.
-No... io resto.- ma due uomini mi hanno già preso per le spalle e mi stanno trascinando fuori dalla tenda. 
-NO! Dovete capire! Lui è mio fratello! E' mio fratello, cazzo! No, lasciatemi! Lasciatemi!- Non mi accorgo che sto piangendo e urlando e cerco di liberarmi dalla 
loro presa, me le mie forze vengono meno.
Mi gettano nel fango e io in fretta mi rimetto in piedi per poter raggiungere di nuovo la tenda, ma mi hanno già circondato. Tutti mi guardano con assoluto disprezzo.
Come gesto estremo salto addosso a uno per aprirmi un passaggio, ma subito tutti mi si stringono intorno e uno mi da una fortissima botta in testa. Cado di nuovo tra
la melma e il fango e l'ultima cosa che sento prima di svenire sono le loro risate.

Mi risveglio in una tenda, legato come un salame e con una vecchia coperta addosso. Sono ancora stordito dal colpo alla testa e ho tutto il corpo dolorante.
A fatica cerco di mettermi seduto e mi guardo un po' introno, solo allora noto la presenza di una persona seduta ad un tavolo intenta a firmare dei documenti e leggere
dei rapporti, e lui adesso mi guarda e mi sorride.
-Ci siamo svegliati, finalmente- Non ho abbastanza forza per mandarlo a quel paese. Ma dove sono? Mi guardo un po' intorno e tutto sembra così anonimo, ma all'uscita della tenda ci sono due uomini di guardia che controllano con il loro sguardo penetrante tutti i miei movimenti.
L'uomo che prima mi ha rivolto la parola si alza e con la sedia si mette vicino a me.
-Tu sei spagnolo, vero?- che domanda sciocca! Certo che no! Ma non mi interessano le sue supposizioni e le sue opinioni, al momento.
-Lo sai l'italiano? Hai capito la mia domanda?- E' paziente, non ha fretta.
-Voglio vedere Feliciano.- Mi accorgo di avere la voce roca.
-E io vorrei vedere il re di Francia.- Questa volta è una delle guardie che ha parlato e tutti si mettono a ridere di gusto, con il solo scopo di farmi arrabbiare.
-Ma allora sai parlare l'italiano!- L'uomo seduto sulla sedia mi sorride. -Dimmi, sei spagnolo si o no?-
-No.- Sono costretto a rispondere alle sue domande se voglio ottenere qualcosa.
-Bene. E allora perchè porti la loro uniforme?-
-Perchè sono legato a loro.- E a questa risposta l'uomo si mette a ridere.
-Che cazzo hai da ridere?!- E tutti rimangono in silenzio a guardarmi, e una guardia mi da uno scappellotto -Lo sai con chi stai parlando?- No, non lo so.
-Stiamo calmi... Effettivamente non mi sono ancora presentato, io sono Giuseppe Garibaldi, l'ufficiale che guida questa spedizione. E tu sei?- Sorride cordiale, sento 
di potermi fidare di lui.
-Romano Vargas.- E allora tutti mi guardano come se avessero visto un fantasma.
-Tu ti chiami Vargas? Sei parente di Feliciano Vargas?- Sembravano tutti stupiti da questa rivelazione!
-Si, sono suo fratello.- e dopo aggiungo -E' quello che sto cercando di farvi entrare in testa da quando sono arrivato.-
Tutti tacciono e l'ufficiale sembra totalmente perso nei suoi pensieri, ha un'ombra cupa in volto e un brutto presentimento mi assale.
-Come sta mio fratello?- La risposta tarda ad arrivare e sento crescere l'ansia -Rispondetemi!-
Garibaldi mi fissa negli occhi e sento il suo sguardo che mi studia dentro a fondo. sembra cercare le parole giuste da dire.
-E' vivo, naturalmente. Ma le sue condizioni sono ancora precarie e non sappiamo se riuscirà a passare la notte.-
Mi sento crollare il mondo addosso. Certo, è vivo e ne sono grato per questo, ma nella condizione in cui è dubito che ce la farà. Ma non devo pensare negativo.
-La prego, posso vederlo?- Sento che le lacrime sono già pronte per uscire e cerco di spingerle indietro, ma la voce mi tradisce.
-Mi dispiace, ma credo che non sia possibile.- Per quale motivo? E' mio fratello, no? Ne ho tutto il diritto! E le lacrime scorrono senza alcun ritegno.
-La prego, sono il suo fratello! I-io voglio stargli accanto fino alla fine!- Non so se a convincerlo sono state le lacrime o le mie parole o tutto insieme, fatto 
sta che ha acconsentito, mi ha slegato e accompagnato personalmente nella tenda in cui riposa Feliciano. Mentre attraversavamo il campo tutti mi guardavano con diffidenza, ma la presenza dell' ufficiale ha fatto in modo che nessuno tentasse di aggredirmi.
Entro per primo nella tenda e noto che c'è solo una lampada ad olio accesa accanto a un letto di paglia e la brandina è stata messa in un angolo, sporca di sangue. 
Il medico che mi aveva cacciato sta per intimarmi di andarmene, quando entra Garibaldi e le sue parole gli rimangono in bocca inespresse. 
Mi avvicino lentamente a Feliciano, per paura che si svegliarlo e non faccio caso alle parole che si scambiano il dottore e Garibaldi, che poi decidono di andarsene
lasciandomi da solo con mio fratello. 
Mi prendo tutto il tempo ad osservarlo: è bianco come un cadavere e da sotto la coperta vedo spuntare il colletto di una nuova divisa pulita, i capelli non sono più
bagnati e sporchi di fango e non c'è più alcuna traccia di sangue sul suo viso inverosimilmente rilassato.
Per un attimo ho pensato che fosse morto, ma poi ho scacciato quel pensiero sentendogli il polso e il cuore batte impercettibilmente.
Poi però guardo me: Sporco di sangue mio e di Feliciano, di fango e con ancora i vestiti un po' umidi di pioggia. Mi sento male a guardarmi conciato in questo modo.
E come se mi avessero letto nel pensiero, una bella infermiera entra nella tenda reggendo in mano una giacca rossa, dei calzoni e degli stivali nuovi.
-Mi hanno ordinato di portarle questi.- E mi porge i vestiti.
La ringrazio di cuore e senza aggiungere niente mi svesto davanti a lei e mi cambio, consegnandole poi i vecchi vestiti. E' visibilmente imbarazzata, ma non dice nulla e se ne va.
All'improvviso mi sento stanchissimo e mi sdraio accanto a Feliciano, prendendo un'altra coperta e dividendola con lui, che mi sembra bollente dalla febbre.
Mi addormento subito, tenendo ben stretta la sua mano nella mia, per paura che possa lasciarmi per sempre.
Credo di aver dormito per qualche ora, perchè quando poi mi sono risvegliato era già buio e la notte deve essere calata da poco.
Sento mio fratello che trema di freddo accanto a me. Lo guardo meglio al lume della lampada e vedo che suda e geme di dolore. Ti prego, resisti!
Mi metto più vicino a lui e cercando di non fargli male lo stringo un po' per trasmettergli il mio calore e infatti dopo qualche minuto smette di tremare, ma continua 
a sudare e ad agitarsi nel sonno. Chissà cosa starà sognando da farlo agitare così tanto, ma la risposta non è tanto difficile.
Senza rendermene conto incomincio a cantare a bassa voce delle vecchie canzoni della mia infanzia, quelle che mi cantavano quando avevo paura e non riuscivo a prendere sonno. Pensavo di averle dimenticate per sempre, ma ecco che affiorano dai recessi della mia memoria chiare e precise. Raccontano di uomini e donne coraggiosi, ma anche di vecchi saggi che insegnano ai bambini che cos'è la vita e tante altre cose.
Queste canzoni hanno avuto l'effetto che desideravo, infatti quasi subito ha smesso di agitarsi e si è rilassato perdendo la sua rigidità.
Ho cantato per tutta la notte e l'ho tenuto abbracciato, senza smettere un momento lottando contro il sonno e la stanchezza, che poi hanno preso il sopravvento e non mi sono più svegliato fino all'alba, quando il campo ha incominciato a risvegliarsi.

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Ed eccoci giunti alla fine di un altro capitolo...
Esprimete il vostro parere, perchè ho bisogno di sapere se ne vale la pena continuare questa storia, anche se ho "grandi" progetti per il finale.

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Capitolo 3
*** Il giuramento ***


Mi sveglio di soprassalto, sentendo il profumo di cibo e rendendomi conto che non mangio da quasi due giorni, ma poi tutti i miei pensieri sono subito andati a mio fratello. Mi rendo conto che sono ancora abbracciato a lui e mi alzo per vederlo in faccia.
E' sveglio! E' vivo! Vorrei urlare di gioia ma mi trattengo. Adesso mi guarda e mi sorride, mi vengono le lacrime agli occhi per la commozione e non riesco a fermarle!
-Mi hai tenuto abbracciato per tutta la notte.- Fa una pausa per prendere fiato e mi rendo conto che per lui deve essere un grande sforzo parlare. -Non riuscivo a staccarti da me, avevi proprio una bella stretta!- E ride, ha la voce debole e roca.
-Bastardo! Mi hai fatto prendere un bello spavento! Non farlo mai più!- Ma poi ripeso subito a quello che ho detto e vorrei rimangiarmi le parole. Sono io quello che si deve scusare per la grande cazzata che ha fatto. Lui ha smesso di sorridere e mi guarda, con i suoi occhi nocciola che hanno una scintilla di vita in più.
-Sono un cretino!- E le lacrime riprendono a scorrere liberamente. E adesso anche lui piange e ride nello stesso tempo. Andiamo avanti così per un po', ridendo e piangendo come due scemi senza far caso alla gente che ha preso ad osservarci da fuori senza comprendere tutto ciò. Ma nessuno tranne noi può capire.
Poi però questa specie di magia finisce e lui torna serio e mi guarda fisso negli occhi.
-Perchè lo hai pensato davvero?- So perfettamente a cosa si riferisce. Discutere di questa faccenda è diventata una priorità per ristabilire definitivamente la 
nostra unione per sempre.
-Non lo so. Ho pensato che ci potesse essere solo uno di noi come rappresentante e... che io fossi quello di troppo. Ma adesso ho capito che ho fatto una gran cazzata.- Rimaniamo in silenzio per qualche attimo e lui è serio e pensieroso.
-Tu pensavi davvero che potessi prendere il tuo posto? Da solo non potrei fare niente. Sono venuto fin qui per aiutarti ad avere di nuovo la libertà e ci sono riuscito.- Mi sorride. E poi aggiunge -NON TI ABBANDONERÒ' MAI, TE LO GIURO.- Ci abbracciamo. 
Siamo di nuovo uniti e questa volta nessuno ci potrà MAI dividere. O almeno, questo è quello che spero.
Questa promessa è per sempre, me lo sento.
E tutti ne sono testimoni.

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Questo capitolo è davvero cortissimo e vi chiedo perdono per questo. 
Però è molto significativo perchè i due fratelli si sono fatti una promessa, ma saranno i grado di mantenerla?
 

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Capitolo 4
*** 10 giugno ***


10 giugno 1940: una data che vorrei dimenticare, il giorno in cui siamo entrati ufficialmente in guerra sotto il comando di Mussolini.
Con Feliciano ho discusso per mesi se entrare a far parte delle Forze dell' Asse o meno ed io ovviamente sono contrario, ma lui no e litighiamo ancora per questo, perchè sostiene gli ideali di Germania e così anche Mussolini, che si è convinto di poter vincere la guerra a fianco di Hitler nel giro di un anno. 
Sono impazziti tutti, secondo me.
Per festeggiare l'entrata in guerra Germania ci ha invitati tutti a casa sua. Un disastro completo dall'inizio alla fine.

-Dai Romano! Non farti supplicare! Esci di li!- E intanto mi strattona per la manica della giacca mentre sono seduto comodamente sul sedile della mia auto.
-Col cazzo! Vai pure senza di me, io resto qui ad aspettare.- Preferisco morire piuttosto che andare a quella stupidissima festa organizzata in nostro onore.
-Ma dai, non dire così! Mi avevi promesso che saresti venuto! Ricordatelo.- Già, è vero. Gli ho detto che sarei andato con lui a casa di Germania, ma solo perchè mi tormenta da settimane con storie del tipo "rappresentiamo un'unica nazione quindi devi venire anche tu" e per farlo stare zitto ho promesso. Solo che ora vorrei andarmene da questo posto: anche se è giugno è nuvoloso e tira un vento freddo che ti penetra tra le fibre dei tessuti facendoti venire i brividi.
-Uff. Va bene. Spero solo che sia rapido e indolore.- E sbuffando mi alzo e chiudo la portiera dietro di me. Ma mio fratello è felice, come sempre.
-Togliti quel cazzo di sorriso dalla faccia. Non c'è niente per cui essere felici.- Attraversiamo in silenzio il vialetto che porta ad una lussuosa villa situata nel 
centro della città tedesca. Dall' altra parte c'è la piazza gremita di gente che aspetta con ansia la comparsa del loro capo di stato per annunciare la buona (e tragica per me) notizia. Il giardino e l'atrio della villa sono controllati da soldati tedeschi che mi mettono i brividi. Ci fanno tutti il saluto con il braccio teso e alzato gridando "Heil Hitler", ma io non rispondo mai a quello stupido saluto, a differenza di Feliciano che lo ripete alla perfezione. Diciamo che rispondo a modo mio...
Dentro l'atrio ci sono Hitler e Mussolini circondati da ufficiali vestiti in alta divisa che sembrano discutere rilassati di argomenti che non centrano a nulla con
la guerra. Mi metto in disparte ad osservare la gente nell'atrio cercando la faccia di quel mangia-patate e noto che anche Feliciano fa altrettanto. Ad un tratto si lancia nella folla e ne riesce un minuto dopo con il bastardo tedesco sotto braccio, e sembra venire proprio nella mia direzione! No cazzo, non ora!
-Ti presento Romano, mio fratello.- E il crucco mi porge la mano per stringerla e per un attimo sono tentato di sputarci sopra, ma Feliciano sembra aver intercettato i miei pensieri, perchè incrociando il suo sguardo ho visto un'espressione di disapprovazione. E allora che mi resta da fare? Stringo la mano ma senza troppa convinzione.
-Io sono Ludwig, piacere.- E si presenta anche lui. Ma a me che importa di come si chiama? Feliciano sussurra due parole al suo orecchio e entrambi si allontanano scusandosi. E rimango da solo. Mi guardo intorno per cercare qualche faccia familiare, ma sono tutti tedeschi.
Dopo una decina di minuti viene trasmesso ad alta voce un messaggio ai due capi di stato dicendo di prepararsi per il discorso alla folla.
Siamo stati tutti invitati a recarci al secondo piano ed accomodarci in una sala con un grande balcone che si affaccia sulla piazza gremita di gente. 
Subito dopo hanno fatto il loro ingresso Hitler e Mussolini seguiti da Feliciano e Ludwig, e sono andati tutti e quattro dritti spediti verso il balcone, subito 
accolti dal boato della folla.
Mi sento escluso. Anche io dovrei essere su quel balcone con tutti gli altri! Ma allora perchè? Per tutto il tempo ripenso a questa domanda cercando di darle una risposta sensata, ma senza alcun risultato. Esigo delle spiegazioni.
Per primo c'è stato il lungo e a dir poco agghiacciante discorso di Hitler, insensato, inumano e ideali e speranze che non stano nè in cielo e nè in terra. 
Ma gli ufficiali presenti nella sala sembrano pendere dalle sue labbra. Mi sembrano tutti dei burattini senza anima e senza cuore.
Subito seguito del discorso di Mussolini, decisamente più rapido e conciso. Anche lui si è messo a sparare un mucchio di cazzate, e tutti approvano le sue parole.
Ma sono l'unico sano di mente qua dentro? Finito anche l'ultimo discorso, si sono trattenuti ancora un attimo sul balcone per essere ammirati per bene dalla folla festante. Quando rientrano vanno tutti spediti verso l'uscita. Incrocio lo sguardo di Feliciano, che si allontana senza aspettarmi e nei suoi occhi vedo quella pazzia che sembrano avere tutti e tanta superbia e superiorità, senza il suo perenne sorriso. Da quel momento ho capito di averlo perso per sempre.

Per tutto il resto della mattinata ho cercato di prenderlo in disparte per parlargli, ma lui non mi degna neanche di uno sguardo e continua ad ignorarmi. Ma cosa gli è preso? Perchè si comporta così tutto a un tratto? Che cazzo.
Aspetto il pranzo in modo tale da poterlo prendere in disparte più facilmente. Infatti mentre tutti prendono posto al lungo tavolo dell'enorme sala da pranzo, 
lo prendo per il braccio e lo trascino fuori quasi a forza fino all'atrio.
-Ma cosa fai? Sei impazzito per caso?- E mi rimprovera con un tono superbo nella voce. Non è più lui.
-Potrei farti la stessa domanda! Cosa ti è preso?- Ci sfidiamo a vicenda con lo sguardo e lui non demorde nemmeno per un secondo.
-Che cosa intendi?- Si fa sospettoso. Davvero non capisce?
-Perchè non mi hai fatto venire con te su quel maledetto balcone? Perchè mi ignori come se non esistessi? Perchè? Dimmelo.- Sto incominciano ad innervosirmi per quel suo sguardo strafottente che mi studia dall'alto al basso. Questo non è il mio dolce e ingenuo fratellino.
-Vuoi proprio saperlo?- fa una pausa e si mette a sghignazzare -Tu sei sempre stato contrario a questa guerra. Sei inutile e mi metteresti solo i bastoni tra le ruote.
Io vincerò questa guerra e la vincerò senza di te.- Gli spaccherei la faccia per quello che ha appena detto.
-Bene. Allora se le cose stanno così toglierò il disturbo all'istante. Ma fatti prima dire una cosa. TU DA ADESSO NON SEI PIÙ MIO FRATELLO. Non sei nessuno per me.
Non esisti. Prego perchè tu e la tua patata bastarda perdiate questa guerra. Maledico te e questa impresa assurda che vi siete messi in testa. Mi fai schifo. 
Non meriti di vivere! Non provi dei sentimenti? Niente? Non sei umano. Non meriteresti il paradiso e l'inferno sarebbe troppo poco. Buon appetito. Spero che ti vada tutto per traverso e che poi muori soffocato.- E che cazzo! Quello che penso l'ho detto senza esitare e lui è diventato tutto rosso per la rabbia. Gli sta solo bene.
-Vattene. Tornatene da dove sei venuto.- lo ha detto sibilando tra i denti. 
-Non aspettavo altro!- Alzo lo sguardo e vedo che alla finestra del primo piano c'è proprio la patata bastarda che ci guarda.
-C'è la fidanzata che ti aspetta al piano di sopra. Meglio non farla attendere, ti pare?- lo dico in tono provocatorio e ha proprio l'effetto che speravo: si è 
incavolato ancora di più.
-Cosa aspetti ad andare?- Adesso urla. No. Non è proprio mio fratello. Sento il cielo che tuona e si prepara per un temporale.
-Spero che un giorno il mio vero fratello torni indietro. Il nuovo Feliciano fa proprio schifo. Nazista.- detto questo gli sputo sullo stivale e in un certo senso mi pento di averlo fatto. Lui tira fuori la pistola e me la punta contro.
-Non farti più vedere!- So che non sparerà mai. Mi volto verso il viale e mi incammino verso la mia macchina. I soldati presenti non erano intervenuti assistendo alla sua sceneggiata.
-Heil Hitler!- urlano tutti in coro al mio passaggio.
-Che si fotta.- Rispondo a bassa voce. Ha incominciato a piovere e il cielo è diventato scuro come se stesse calado la sera.
Mentre attraverso il viale tutta la mia determinazione se ne va, lasciando posto alle lacrime e alla frustrazione. Entro in auto e metto subito in moto.
Dallo specchietto retrovisore vedo che Feliciano si sta voltando per rientrare nella villa e il crucco è scomparso dalla finestra.
-Che si fotta davvero.- cerco di concentrarmi sulla strada per non pensare troppo alla spiacevole conversazione appena finita.
Piango dalla rabbia e non tento nemmeno di fermare le lacrime. Lascio che scorrano liberamente fino all'ultima goccia. Ho tanti chilometri davanti a me da 
percorrere. Con il passare del tempo la rabbia se ne va, però continuano a girarmi in testa le parole che ci siamo scambiati. E poi mi riaffiora alla mente un ricordo lontano ma molto chiaro: siamo noi due da soli in una tenda, è già mattino ma c'è ancora la lampada ad olio accesa. Siamo entrambi su un letto di paglia, entrambi vestiti di rosso. E poi lui mi fa un giuramento dicendo che non mi abbandonerà mai, che saremo sempre insieme nel bene o nel male. E io gli credo, voglio credergli, perchè siamo fratelli e i fratelli si vogliono bene. O almeno dovrebbero. 
E infatti guarda come siamo uniti! Dov'è il nostro amore fraterno? Lui mi ha cacciato via dalla sua vita e io ho fatto altrettanto rinnegandolo.
Stringo più forte il volante dell'auto e schiaccio più a fondo l'acceleratore. All'improvviso mi è venuta una voglia irrefrenabile di tornarmene a casa.
Mi fermo poche volte per delle brevi soste e arrivo a Roma all'alba. La mia adorata città... lei non cambia mai.
Esco dall'abitacolo e sbatto la portiera. Non me ne frega un cazzo se qualcuno si sveglia. Entro in casa chiudendo la porta a chiave e stacco il telefono dalla 
corrente. Non voglio essere disturbato e raggiunto da nessuno per i prossimi mesi. Tanto adesso ho più nessuno a cui pensare, nessun parente stretto. Nessuno.

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Capitolo 5
*** Cattiva influenza ***


Osservo Romano mentre si allontana attraversando il vialetto. Come sempre non risponde al saluto fatto dai soldati di guardia. 
E' proprio testardo! Ma non capisce che con questa guerra toglieremo dal nostro mondo tutte le persone indegne? Ma adesso non voglio più pensare a lui, voglio solo godermi la mia festa in compagnia di Ludwig. Io e lui andiamo molto d'accordo, la pensiamo allo stesso modo su questa faccenda. So che ce la caveremo egregiamente.
Guardo in basso e vedo gli stivali nuovi sporchi della sua saliva. Non cambierà mai mio fratello. Mi correggo, adesso non siamo più fratelli, giusto? Ognuno per la sua strada. Meglio così, uno in meno a cui pensare. Metto al suo posto la pistola chiedendomi perchè l'ho tirata fuori. Forse ha ragione, sono cambiato.
Ma a chi importa adesso? Sono felice così e non tornerei indietro.
-Feliciano? E' tutto a posto?- Ludwig mi chiama da dentro l'atrio. 
-Si. E' tutto ok.- Lancio un ultimo sguardo verso l'auto che si allontana uscendo dal cancello in fondo al viale a tutta velocità. E' iniziato un forte temporale.
Chissà perchè piove sempre quando facciamo queste litigate.
-Entra, dai. Stiamo aspettando tutti te per incominciare.- Entro dentro l'atrio e mi pulisco lo sputo dallo stivale.
-Dov'è andato tuo fratello?- Sembra preoccupato, ma non più di tanto.
-Lui non è mio fratello.- Credo di averlo detto in modo molto convincente, perchè mi ha guardato con i suoi occhi penetranti come se mi volesse fare i raggi X, ma non ha detto niente. Un'altra cosa che mi piace di lui è che sa quando farsi gli affari suoi. Andremo molto d'accordo così.
Appena sono entrato nella sala da pranzo Mussolini mi ha guardato sorridendo vedendomi senza Romano e ha capito subito che se ne è andato via.
-Ottimo lavoro. Tanto non ci sarebbe servito a niente.- Mi sussurra all'orecchio appena mi siedo alla sua destra. 
Per tutta la durata del pranzo nessuno ha accennato minimamente alla scomparsa di Romano. Credo che molti non si siano nemmeno accorti del posto vuoto in fondo alla tavola che subito è stato sparecchiato da un cameriere, per non lasciare spazi inutili.
Alla fine del pranzo io e Mussolini ci siamo appartati in un grande studio al secondo piano per discutere della situazione. L'ambiente è molto accogliente, ma ci sono bandiere con le svastiche ovunque, il che mette abbastanza in soggezione.
-Allora se ne è andato. Bene! Non mi è mai andato a genio quel tipo: è un ribelle.- Mi fa segno di accomodarmi su un divanetto e mi offre una sigaretta, ma la rifiuto.
-Ed è per questo che mi preoccupa.- Si accomoda di fianco a me allentandosi la cravatta e continuando il suo discorso. -Sai, ho tolto di mezzo tutti i miei oppositori senza far sorgere alcun sospetto verso di me, ma lui non deve morire. Diciamo... scomparire, ecco. Ed è qui che entri in scena tu: andrai a prenderlo e con le buone o con le cattive si unirà al nostro esercito, magari nella Marina, così potrà pensare meglio alla sua situazione ed arrendersi all'evidenza che è un uomo senza palle. E dovrà essere ben controllato, perchè non voglio in nessun modo che passi delle informazioni al nemico. Capisci cosa intendo? Tu lo conosci meglio di chiunque altro, immagino che saprai come fare.- Mi osserva e aspetta una mia risposta, ma per un attimo non so cosa dire. Insomma, non posso fare questo a mio fratello, cioè... Voglio dire, a Romano. 
-Purtroppo abbiamo tagliato tutti i rapporti: mi ha rinnegato, non sono più suo fratello. Sarebbe molto difficile farlo arruolare di sua spontanea volontà, date le circostanze.- Temo una reazione violenta da parte del mio capo, ma fortunatamente si è limitato a sospirare.
-Questo complica le cose. Non puoi più approfittare del tuo legame familiare per convincerlo ad unirsi a me.- Si fa pensieroso, ma poi aggiunge -Non ce lo lasceremo scappare comunque. Per evitare che spifferi dei segreti militari al nemico bisogna tenerlo sotto controllo costantemente. Ciò significa che lo sbatteremo in prigione. Anzi! Hai già provveduto all'apertura di quel campo di concentramento in Sicilia? Bene. Sarà un posto perfetto per lui. Quel campo sarà destinato alla produzione di armi e bombe. Magari si darà una calmata vedendo che è seduto sull'esplosivo.- E ride. Non so se trovarmi d'accordo oppure no, in fondo era mio fratello. Gli voglio ancora bene, credo.
-E' sicuro che sia una buona soluzione? Insomma, posso sempre provare con l'altro piano che ha proposto! Posso provare a farlo collaborare come si deve e...- Non mi fa finire la frase e mi interrompe subito, fissandomi con uno sguardo che Romano avrebbe definito "disumano", ma che a me sembra solo molto severo.
-Non mi dire che tieni ancora per quel bastardo? Non vedi che ci ha tradito? Non vedi che sta dalla parte dei nemici? Se gli dai troppa fiducia finirà per colpirti alle spalle quando meno te lo aspetti! E' quello che vuoi? Perdere la guerra? No, ragazzo mio. Un po' di prigionia gli farà bene, vedrai. Rimpiangerà di essersi messo contro di noi e ci supplicherà di risparmiarlo.- Mi ha convinto. Conoscendolo, Romano farebbe di tutto per rovinare i nostri piani ed è quello che voglio evitare a tutti i costi. Farò come mi ha detto, ha ragione lui. Alla fine tonerà da me piangendo come un bambino. Non voglio dargliela vinta proprio ora che siamo
a un passo dalla vittoria. Vincerò senza di lui!

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Mi è venuto male scrivendo queste cose: Romano è nei guai fino al collo e Feliciano è sotto l'influenza di Mussolini.

Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Caccia al traditore ***


Il tempo passa e stiamo conquistando sempre più territori! Alla faccia di Romano che sostiene il contrario! Siamo invincibili!
Non lo vedo più da quando abbiamo litigato quel giorno. Ho provato a telefonargli, ma il telefono non squilla neanche, come se fosse staccato. Ho anche provato a passare da casa sua ma la porta è chiusa a chiave e non ci sono segni di vita al suo interno, però la sua auto è sempre parcheggiata sul ciglio della strada e non viene spostata di un millimetro. Dove sarà finito? Ma che importa, almeno adesso non ce l'ho più intorno che mi rimprovera di aver sbagliato tutto! In fondo non mi manca per niente.
Mussolini ha paura che possa chiedere alle altre nazioni il loro aiuto e mi ha ordinato di arrestarlo per fare in modo che se ne stia buono buono fino alla fine, ed è quello che sto facendo. So che è nascosto a casa sua, perchè un vicino mi ha detto di averlo visto rientrare il mattino prestissimo l' 11 giugno e garantisce che da li non è più uscito. Ti ho in pugno ora mai!
Ho organizzato una truppa di Camicie Nere per andare a prelevarlo e non ha alcuna speranza di scappare.
-Esci Romano! So che sei li dentro!- Aspetto qualche attimo per sentire una risposta, ma non succede nulla.
-Se non apri di tua spontanea volontà sarò costretto ad abbattere la porta!- Faccio cenno a due uomini robusti di agire e in un solo colpo buttano giù la porta, che si rompe in mille frammenti facendo un gran baccano quando si spargono a terra. Entro nel salotto, ma è tutto molto buio e fatico ad abituarmi all'oscurità.
-Esci fuori, dai! Adesso non ho voglia di giocare a nascondino.- Faccio cenno a tutti di entrare. Estraggo la pistola dalla fondina e mi assicuro che sia carica.
-Trovatelo e portatemelo qui. Vivo o morto.- 



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-Esci Romano! So che sei li dentro!- Merda! E' già qui! Lo sapevo che prima o poi sarebbe venuto a prendermi per sbattermi in prigione come un traditore. Maledetto! 
Prendo il mitra da sotto al letto e mi riempo le tasche della giacca di munizioni. Prendo il coltello a serramanico che tengo nel cassetto della scrivania e lo infilo dentro lo stivale. 
-Se non apri di tua spontanea volontà sarò costretto ad abbattere la porta!- Cazzo allora fai sul serio, eh? Prendo una cintura con cinque bombe a mano e due mine anti-uomo e me la metto a tracolla. Per essere sicuro prendo una pistola e la nascondo in una tasca interna dell'uniforme. Proprio in quel momento sento il rumore di legno che si infrange e cade a terra. Afferro il tirapugni ed esco dalla mia camera e mi apposto in cima alle scale, stando ben attento a non fare rumore. In circostanze migliori avrei riso di me stesso vedendomi armato fino ai denti come un terrorista.
E' in controluce vicino all'entrata, ma so che lui non può vedermi, per il momento.
-Esci fuori, dai! Adesso non ho voglia di giocare a nascondino.- Mi piglia per il culo? Evidentemente no, perchè estrae la pistola e bisbiglia qualche ordine ai suoi uomini, che subito entrano e perquisiscono il salotto mettendolo a soqquadro. 
Devo stare calmo. Stingo il mitra, pronto per prepararmi all'azione in qualsiasi momento. Però sono da solo, cazzo! Uno contro una decina di uomini armati di pistole e fucili! Indietreggio verso il corridoio cercando di fare meno rumore possibile e mi nascondo dietro la porta aperta della mia camera da letto.
Sento gli uomini che stanno salendo lentamente le scale. E' ora di attaccare!
Sfilo una bomba a mano e con i denti sgancio la sicura, poi la lancio oltre la porta in direzione delle scale e sento l'oggetto che rotola lentamente giù dagli
scalini. La voce di un uomo che urla cercando di avvertire i suoi compagni del pericolo, ma viene interrotto dalla fortissima esplosione della bomba. 
Mi sento sollevare in aria dall'onda d'urto e vengo scaraventato fino al fondo del corridoio e batto la testa contro la finestra, crepando il vetro. 
C'è molto fumo ed incominciano ad innalzarsi delle fiamme dal fondo delle scale. Vedo delle ombre che arrivano dal corridoio e d'istinto mi metto a sparare con il mitra e delle urla mi arrivano fino a qui. Vedo i corpi cadere in mezzo al fumo che si fa sempre più fitto. Attendo un attimo per vedere se si fa avanti qualcun altro, ma non avverto dei movimenti.
L'aria si fa irrespirabile, devo uscire immediatamente da qui! Spacco il vetro già crepato della finestra che da sul cortile interno e guardo giù.
Maledizione, è troppo alto per lanciarsi! Rischierei di rompermi l'osso del collo. Mi volto verso il corridoio e vedo che le fiamme sono già arrivate in cima alla 
scalinata.
Senza perdere tempo entro nella mia camera e sfilo le lenzuola del letto per legarle insieme e farne una corda per calarmi. Corro verso la finestra e in qualche modo lego un'estremità al telaio e getto l'altra estremità nel vuoto. Mi aggrappo al tessuto e mi lascio scivolare giù. 
Attraverso il salotto ora mai quasi inghiottito dalle fiamme ed entro nella cucina. Afferro il portafoglio e il fagotto di provviste che ho preparato il giorno prima e cerco le chiavi della macchina che ho lasciato vicino, ma adesso sono scomparse. Dove sono finite? Dannazione! Tra un po' mi crolla il soffitto sulla testa e non ho tempo per cercarle! Non importa, vorrà dire che farò a meno della macchina.
Ma non ho ancora fatto i conti con una persona. Esco di nuovo nel cortile e mi avvicino al cancello, ma qualcosa di freddo mi tocca il collo e sento il rumore 
metallico del cane di una pistola. Lentamente mi volto e lo vedo: Feliciano.
-Dove pensavi di andare, eh?- sorride, ma non è più il suo dolce e innocente sorriso. E' il sorriso di un assassino.
-Hai ucciso tutti i miei uomini, complimenti! Da te non me lo sarei mai aspettato.- Che schifo. Lo sa benissimo che per salvarmi il culo farei qualsiasi cosa.
-Per caso cercavi queste?- mi sventola le chiavi dell'auto sotto il naso.
-Ridammele!- E d'istinto cerco di prendergliele di mano, ma lui mi punta la pistola sotto il mento.
-Mi dispiace, ma tu da qui non te ne vai.- E ride malefico. Dannazione! E' diventato proprio come un tedesco! Se incontro quel crucco bastardo gli spacco la faccia! E' colpa sua se è diventato così. Ma adesso devo pensare a una soluzione e in fretta. Vedo la casa che lentamente crolla a pezzi tra la forza delle fiamme. 
Sarà diventato un duro, ma conosco il mio pollo.
-O mio Dio!- urlo e sgrano gli occhi guardando dietro le sue spalle. Lui si distrae voltandosi di scatto verso il punto che guardavo e io approfitto di quel momento 
per colpirlo alla testa con il calcio del mitra. In fondo mi dispiace fargli del male, ma è strettamente necessario.
Lui cade a terra stordito dal colpo, ma uno sparo parte della sua pistola producendo un boato che sembra il tuono di un fulmine. All'improvviso sento un dolore acutissimo alla spalla sinistra. Ebbene si, mi ha colpito. Cerco di trattenermi dal mettermi ad urlare e preso dalla rabbia gli do un calcio in faccia. 
Giuro che non volevo farlo! E' stata una reazione spontanea del dolore che provo fisicamente e mentalmente a causa sua.
Gli ho spaccato un sopracciglio e provocato il sanguinamento dal naso, ma niente è in confronto al sangue che perdo dalla spalla. Devo andarmene e alla svelta.
Sposto il suo corpo ora mai privo di sensi il più lontano possibile dalla casa in fiamme per evitare qualche altro incidente. Alla svelta apro il cancello del cortile e metto la testa fuori per controllare la situazione in strada. Tantissima gente sta uscendo dalle proprie abitazioni per andare ad assistere al triste spettacolo di un edificio in fiamme. Tra poco potrebbero arrivare altre Camicie Nere e il mio tentativo di fuga sarebbe rovinato. Però rischierei di essere riconosciuto!
Per qualche attimo penso sul da farsi e un'idea mi passa per la mente. Forse non molto intelligente, ma potrebbe salvarmi la vita: fingerò di essere Feliciano!
Prendo subito a sfilarmi la giacca e a sostituirla con la sua, mi fascio la ferita alla buona e sposto tutte le munizioni nelle mie tasche.
Esco in strada e mi metto a correre nella direzione opposta a tutti gli altri, sperando comunque di non incrociare delle Camicie Nere per non rischiare.
Ma purtroppo non sono molto fortunato e un uomo con la camicia nera mi viene incontro. Spero che non mi veda e vada avanti per la sua strada, ma all'ultimo si accorge di me e per fermarmi mi afferra proprio per la spalla ferita. Cretino! Proprio li dovevi toccarmi? Mi scappa un gemito di dolore, ma lui non sembra esserne accorto, tra le urla e il caos generale.
-Generale Vargas! L'ho trovata finalmente! Che cosa è successo?- E' proprio scemo questo. Non lo vede con i suoi occhi? Devo inventarmi una scusa per andarmene, per ogni secondo che passa rischio di essere smascherato e rintracciato subito! Devo mantenere la calma...
-Non c'è tempo per le spiegazioni! Vai a cercare i tuoi compagni e radunali. Cercate di spegnere le fiamme.- Spero che abbia capito che deve togliersi dai coglioni.
-Si Signore!- e se ne va. Tiro un sospiro di sollievo. Non sono stato riconosciuto, per ora.
Mi sento le gambe e le braccia pesanti, ma devo fare un ultimo sforzo! Cerco di correre più veloce che posso verso l'auto, ma proprio ora mi accorgo di essermi dimenticato di riprendermi le chiavi! Ma che stordito che sono! Per la fretta di andarmene mi sono scordato la cosa più importante!
Pazienza, sono costretto ad andare a piedi, o magari in bicicletta! Proprio in quel momento mi cade lo sguardo su una bici appoggiata al muro di una panetteria.
Deve essere quella che usa l'aiutante del fornaio per fare le consegne. Cosa potrei desiderare di meglio? Senza stare a pensarci afferro la bicicletta e metto il 
fagotto e il mitra nel cesto montato dietro e mi metto a pedalare più veloce che posso. Sento il fornaio che è uscito dalla panetteria e mi urla contro di tornare
indietro, ma lo ignoro completamente. 
Mi immetto in diverse stradine secondarie per cercare di incontrare meno gente possibile e nel giro un' ora sono già in periferia che attraverso le vaste campagne coltivate esclusivamente a grano, come vuole quel pazzo di Mussolini.
Non ce la faccio più, sono provato dalla fatica e dalla tensione, però non posso ancora fermarmi!
Anni fa avevo trovato un vecchio mulino abbandonato in mezzo ai campi, che molto probabilmente è stato anche usato come abitazione da qualcuno. Più o meno mi ricordo la strada. Non dovrebbe mancare molto. Ed infatti eccolo li che spunta in lontananza, con le sue pale rotte immobili da decenni in mezzo agli alberi di un piccolo boschetto.
Scendo dalla bicicletta e mi sento terribilmente stanco. Sta già calando la sera, per fortuna. 
Mi guardo la spalla sinistra e vedo la giacca zuppa del mio sangue. Sono stato talmente concentrato sulla strada da seguire che non mi sono minimamente accorto del dolore pulsante della ferita, ma adesso lo sento ed è insopportabile.
Quando entro dentro l'edificio decadente non mi accorgo subito che recentemente qualcuno dove essere passato di qui, lasciando tutta la sua roba. 
Mi lascio cadere di peso su una sedia e lentamente mi tolgo la giacca e la camicia per vedere in che stato è la ferita. Un disastro. Per fortuna il proiettile non è 
andato a fondo nella carne e sono riuscito a toglierlo con delle pinzette. Sono stato previdente e nel fagotto che mi sono portato ho messo delle garze, ago e filo. 
Mi sono chiuso la ferita e l'ho fasciata come meglio ho potuto.
Alla fine non ho nemmeno la forza per mangiare e mi sono addormentato sdraiato su un letto vecchio e polveroso.
Per me la giornata è finalmente conclusa, ma purtroppo non è ancora il momento di mettersi a dormire, perchè all'improvviso si spalanca la porta e un uomo armato
con la camicia nera fa il suo ingresso.


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Ed eccoci alla fine di un capitolo pieno di azione.
Fatemi sapere se è di vostro gradimento (tanto è gratis!) 
Nel prossimo farà la sua comparsa un nuovo personaggio, spero che vi piacerà!

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Capitolo 7
*** Compagni ***


Mi sento scuotere da qualcuno e apro gli occhi. Degli uomini che indossano la camicia nera mi stanno attorno guardandomi come se fossi un fenomeno da baraccone.
Mi è scappato. Romano mi è scappato da sotto il naso proprio quando lo avevo in pugno! E adesso cosa dirò al mio capo? Che mi ha distratto e colpito alla testa? No. Sarebbe una vergogna.
-Cosa fate li impalati?! Trovate quel traditore! Trovatelo e portatemelo qui!- La rabbia mi assale. Perchè sono circondato da incapaci?
-Si signore!- urlano in coro come dei bambini delle elementari.
Cerco di rimettermi in piedi e mi accorgo solo adesso che indosso la giacca insanguinata di Romano. Il sangue è non si è ancora seccato, quindi non deve essere passato molto tempo. In mano ho ancora la chiave della sua auto. Ma dove si sarà cacciato? Un soldato non si è ancora mosso e mi guarda con la faccia da ebete.
-Che hai? Non hai sentito il mio ordine?- Perchè i soldati semplici sono tutti così stupidi e ignoranti?
-No signore, cioè volevo dire... Si signore! Il fatto è che mentre venivo qui ho visto uno identico a lei che scappava nella direzione opposta alla mia e io ho pensato che fosse veramente lei signore, insomma... Indossava la sua giacca ed io, ecco...- So a chi si riferisce.
-Basta con le tue stupide scuse. Ora mai è scappato. In che direzione è andato? Questo almeno lo sai?- Sembra non ricordarselo.
-Ah! Andiamo! Chiama i tuoi compagni e mettiamoci sulle sue traccie! Forza, muoversi!- Da quando comando il mio esercito in questo modo? La guerra cambia tutti.
La casa ora mai è interamente crollata su se stessa, ma le fiamme non sembrano intenzionate a spegnersi. 
Nel giro di un minuto sono già tutti radunati in strada.
-Venivi da quella direzione, vero?- Il soldato fa cenno di si.
-Benissimo, andiamo!- Al nostro passaggio la gente scesa in strada per la curiosità si sposta contro il muro.
Un uomo con un grembiule sporco di farina mi viene incontro. Magari lui lo ha visto.
-Hai visto uno vestito con la giacca dell'uniforme militare e armato di mitragliatore?- Si ferma e riprende fiato dalla corsa.
-Si signore. E' scappato con la mia bicicletta! Me l'ha rubata!- indica un punto lontano -Si è infilato in quel vicolo laggiù!- Furbo! Ha preso le stradine secondarie per non essere visto. Ma ci ha lasciato qualcosa: le traccie del suo sangue per terra.

Dopo aver camminato a lungo tra vicoli e strettoie siamo arrivati alle porte della città e le sue traccie continuano su una strada sterrata in aperta campagna.
Ma dove si è nascosto? Essendo gravemente ferito non può essere andato molto lontano.
Ma si è alzato un forte vento e la sabbia ha incominciato a coprire le macchie di sangue. Questo non ci voleva! Adesso mi tocca fare i rastrellamenti su tutta l'area.
Sta già calando la sera e tra poco non si vedrà più nulla. Mi tocca rinunciare.


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Scatto in piedi nel vedere quell'uomo fermo sulla porta che mi guarda con aria sospettosa.
-Chi sei? Come hai fatto a trovarmi?- Mi trovo ad urlare. Prendo il coltello a serramanico da dentro lo stivale e la pistola dalla giacca che ho buttato accanto al letto.
-Vorrei farti la stessa domanda.- Si avvicina lentamente e posa il suo fucile sul tavolo, poi alza le mani sopra la sua testa.
-Non voglio farti del male, vedi? Adesso posa la pistola e il coltello, da bravo.- Da come parla non sembra uno di qui. Deve essere uno straniero.
Vedendo che è rimasto completamente disarmato poso la pistola per terra e le do un calcio per spingerla lontano. Però non sono ancora sicuro di potermi fidare e tengo il coltello stretto nella mano destra, pronto per lanciarlo al minimo segnale di pericolo.
-Senti. Vedo che sei ferito e siamo entrambi molto stanchi, quindi che ne dici di metterci a dormire? Giuro che non ti attaccherò nel sonno. Quindi perchè non facciamo finta di essere due vagabondi che condividono lo stesso tetto per una notte?- Non mi fido, ma non posso fare altrimenti. Non ho abbastanza forze per andarmi a cercare 
un altro rifugio e nemmeno per prenderlo a calci.
-D'accordo, ma domani ne riparliamo.- Mi sorride. Che tipo strano che è.
-Benissimo! Allora io mi metterò a dormire su quella sedia nell'angolo.- Detto fatto. Appena si siede sento che ha già il respiro pesante di chi dorme profondamente.
Rimango a studiarlo per qualche minuto, ma poi il sonno e la stanchezza ha la meglio.

Il mattino dopo mi sveglio io per primo. Lui dorme ancora sulla sua sedia indisturbato. Ha mantenuto la sua promessa: sono ancora vivo e vegeto ma piuttosto dolorante.

-Hey sveglia! E' mattino.- Gli do un calcio sulla gamba e lui si sveglia di soprassalto.
-Ah, sei tu! Dio mio, mi hai fatto prendere un colpo!- Lentamente si alza dalla sedia -Non è molto comodo dormire seduti.- Mi accomodo al tavolo e prendo a mangiare un panino che mi ero preparato due giorni fa. Lui mi guarda con invidia.
-Vuoi?- E prima di dargli il tempo di rispondere gli ho già lanciato un altro panino.
-Grazie!- E da un enorme morso. -Cavolo! Ma è delizioso! Chi lo ha preparato?- Per lui sembra la cosa più buona del mondo, ma in verità è del semplicissimo pane e salame. Anche i bambini sono capaci a farlo.
-L'ho fatto io, ma dentro c'è solo...- e prima di finire la frase lui mi interrompe. 
-Caspita! Devi essere molto bravo in cucina!- E da un altro morso.
-La tua alimentazione mi preoccupa.- Fa una faccia afflitta che fa troppo ridere!
-Non sei il primo a dirmelo.- Finiamo di mangiare in silenzio, studiandoci a vicenda. Mi guarda con curiosità, ma anche con un po' di circospezione. Ad osservarlo meglio e i miei dubbi vengono subito confermati: non è italiano.

-Allora, posso sapere il tuo nome?- E' difficile ammetterlo, ma mi sta già simpatico.
-Arthur Kirkland! Piacere mio. Tu invece devi essere Romano Vargas, se non sbaglio.- Un inglese! Perfetto, mi mancava. Ma aspetta un attimo! Come fa a conoscere il mio nome? Mi porge la mano e aspetta che io gliela stringa, ma sono troppo occupato a pensare se l'ho già conosciuto e se ci siamo presentati. In questi momenti mi 
maledico da solo rendendomi conto che non presto mai attenzione quando una persona si presenta. 
-Immaginavo questa tua reazione.- Mi fa un piccolo sorriso e ritira indietro la mano. -Sai, assomigli davvero tanto a quel fascista che corre sempre dietro a Mussolini. E infatti portate lo stesso cognome. Tu DOVEVI essere suo fratello, immagino.- Mi fa l'occhiolino. Ma con chi crede di avere a che fare? Con una ragazza? Ma cosa più importante in questo momento: come fa a sapere tutte queste cose?Sembra anche leggermi nel pensiero.
-Ti starai chiedendo come fa uno sconosciuto come me a sapere così tante cose su di te. Ebbene sì, so tutto! E quando dico tutto intendo proprio ogni singola cosa e particolare.- Oh, bene! Una spia inglese. Dalla padella alla bracie. Ma posso sfruttare la sua situazione a mio vantaggio, forse.
-Tu sei una nazione.- E scoppia a ridere. -Hai un buon spirito di osservazione! Sì, hai a che fare con il grandissimo Impero Britannico.- Sembra essere molto orgoglioso di sé stesso.
-Sì sì, immagino.- Non mi vanno molto a genio quelli che si vantano di avere un vasto territorio. -Facciamo un patto: io ti cedo delle informazioni e tu in cambio mi aiuti ad uscire da questa situazione. Che ne dici?- Ci pensa un po' su.
-Ho di meglio da proporti. Senti, sei nella merda fino al collo. Quando c'è stata quella sottospecie di festa in Germania, il 10 giugno, io ero lì presente quando tu
e tuo fratello... cioè, volevo dire Feliciano avete litigato. Mi ero travestito da cameriere e mi sono infiltrato tra la servitù di quella villa. Ho sentito di tutto. Ma arrivando al punto, per caso ho origliato un discorso fatto da Mussolini al Generale Vargas e quello che ho sentito non è molto piacevole.- Fa una pausa per guardare la mia espressione. Ma perchè mi tiene sulle spine? -Mussolini ha dato ordine di catturarti, ma non per metterti in prigione. No, molto peggio. Hanno aperto da poco un campo di concentramento in Sicilia e hanno intenzione di mandarti li, quando ti prenderanno.- Cazzo, c'era da aspettarselo da uno come Mussolini! Non si ferma a niente quando deve togliere di mezzo uno contro la sua linea politica. Cerco comunque di rimanere calmo, non mi sembra il caso di disperarsi prima del 
tempo. In fondo non mi trovo ancora rinchiuso tra quattro muri di cemento armato e filo spinato.
-Benissimo! Non mi sorprende! Quanto mi costerà quest' informazione?- Cerco di ridere per la situazione a dir poco tragica.
-Come fai a prenderla così alla leggera? Non mi sembra una bella fine quella che ti attende.- E' estremamente serio adesso. Ha ragione, come destino non è dei migliori, ma dopo tutto quello che ho passato posso dire di essermela vista peggio.
-Comunque sia ho una proposta: se vieni catturato io ti verrò a liberare, tu in cambio ti allei con me e spacchiamo il culo ai nazisti, che ne dici?- Mi piace. E' un tipo diretto e mi sta ancora più simpatico.
-Ci sto. Ma chi mi garantisce che manterrai il tuo patto?- Sono già stato fregato tante volte, ora mai ho fatto esperienza con queste cose.
-Hai ragione, ma chi mi garantisce che non mi tradirai?- Siamo pari. O ci fidiamo o ci fidiamo. Alternative non ce ne sono.
-D'accordo, ma se verrò catturato e non verrai a salvarmi il culo giuro che la mia anima verrà a torturati per il resto della tua esistenza.- Ho fatto centro. Gli 
inglesi credono davvero sull'esistenza dei fantasmi e degli spiriti.
-Preferisco farne a meno. Ma se mi tradirai di sarai guadagnato una scarica di piombo in testa.- Riesce a tenermi testa, furbo!
-Ne faccio a meno, grazie.- E scoppiamo tutti e due a ridere. Lui adesso si fida di me e la cosa è reciproca. Credo di essermi trovato un buon alleato.
Spero solo di non venire catturato, ma non ci scommetterei troppo. I soldati potrebbero fare irruzione in qualsiasi momento.
-Ti ho visto sai, te la cavi bene con le bombe a mano.- All'improvviso se ne esce con questa frase. -Rischiavo veramente di rimanerci secco! Per fortuna ero nella cucina in quel momento. Ho capito che facevi sul serio e ho tolto subito il disturbo senza incontrarti, per fortuna. Se no il morto di turno ero io.- 
-Allora c'eri anche tu quando sono venuti a prendermi.- Strano, non mi è perso di averlo visto da nessuna parte.
-Già! Ho visto anche quando ti sei scontrato con tuo fratello.- Quante volte dovrò ancora ripeterlo?
-Lui. Non. E'. Mio. Fratello.- Odio quando me lo fanno notare! Mi tornano alla mente brutti ricordi.
-Sì, scusa. E' che anche io ho vissuto una situazione simile alla tua. Sai, tenevo tanto ad una persona... Tecnicamente non eravamo fratelli, ma per me era come se lo fosse. L'ho visto crescere sotto i miei occhi senza neanche accorgermi che era diventato un giovane uomo. Ho tentato di educarlo come un vero inglese, gli ho trasmesso la mia lingua e la mia cultura. Però quando è cresciuto voleva ben altro: desiderava essere libero. Secondo lui ero troppo oppressivo e cercavo di tenere il controllo su ogni cosa. E così ci siamo fatti la guerra e ha vinto lui. Forse è meglio così, mi stava sfuggendo di mano.- Mentre mi racconta questo sta quasi per scoppiare a piangere. Lo capisco, anche Feliciano mi si è ribellato contro, ma io non ho tentato di riprendermelo e ho risolto tutto rinnegandolo per non avere altre responsabilità. Ma ora mai non si può più tornare indietro.
-Come si chiamava?- Da come ne parla sembra morto, ma non è così.
-Oh! Il suo nome? Alfred Foster Jones, lo avevo scelto io.- Non lo conosco, ma chissà perchè mi sa di americano.
-Se mi capiterà di incontrarlo gli dirò che ha fatto un pessimo errore: ha perso un ottimo alleato.- Scoppia a ridere come se avessi fatto una bellissima battuta.
-Quello li ha testa dura! Non riusciresti a convincerlo nemmeno se lo minacci di morte. Sto ancora aspettando che entri in guerra al mio fianco, ma non vuole. Dice che fino a quando non lo attaccano non farà un passo. Però ci sta aiutando con molti prestiti di soldi, per fortuna. Senza il suo aiuto economico avremmo già perso.-
-Chi è con te?- L'ho chiesto per pura e semplice curiosità, giusto per non rischiare di ammazzare la persona sbagliata, ecco.
-C'è quell'ubriacone di Francia, che però non resisterà ancora a lungo; l'Unione Sovietica, anche se prima aveva fatto un patto di non aggressione con la Germania, poi lo stato del Canada, che è entrato in guerra una settimana dopo di me e tanti altri.- Ha tagliato corto. -Comunque sia siamo molti di più del nemico. Non durerà che un paio di anni, vedrai.- Preferirei non scommetterci troppo su queste cose, perchè alla fine tutto ti si ritorce contro.
-A proposito, ho una proposta molto interessante da farti: il 17 marzo ho sentito che si terrà una grande festa in piazza, quindi che ne dici di andare a fare un po' di casino da quelle parti? Magari anche un attentato alla vita di Mussolini!- Come fa a parlare di una cosa del genere con tanta leggerezza? Il 17 marzo è il mio giorno di compleanno, ma anche di Feliciano. Sarebbe divertente andare a fare un po' di confusione, giusto per movimentare le loro monotone 
giornate. Certo, devo ammettere che sarebbe molto rischioso esporsi al pubblico in questo modo, ma che cos'ho da perdere?
-Accetto la tua offerta!- Lui sembra entusiasta.
-Benissimo! Ho già incominciato i preparativi per far passare una bellissima festa ai fascisti. Devo solo procurarmi dell' esplosivo e...- subito mi è tornato in mente una cosa. -Io avrei due mine anti-uomo e ancora quattro bombe a mano. Potremmo usare quelle.- Dal suo sorriso capisco che non aspettava altro.
-E' un piacere fare affari con te, sai? Ho come l'impressione di aver trovato un ottimo compagno.- La stessa cosa vale per me.


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Romano sembra essersi trovato un buon compagno di avventure (o disavventure?)
Come andrà a finire la festa del 17 marzo?


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Capitolo 8
*** 17 marzo ***


Sono passati diversi mesi da quando ho conosciuto Arthur: Abbiamo passato tutto l'inverno a progettare un piano semplice ed efficace per festeggiare come si deve il mio compleanno. 
Sono passati a rastrellare tutta l'area per trovarmi, ma grazie anche all'aiuto del mio uovo compare, non sono ancora riusciti a catturarmi.
Arthur è riuscito a scoprire come sarà organizzato tutto quanta la giornata e noi ci siamo adattati di conseguenza.

Il tutto comincia verso le 9 del mattino, quando ci sarà la parata militare che attraverserà la strada principale di Roma, assistita dal Re d'Italia e da Mussolini, più tutti gli altri ministri. Durerà precisamente due ore. Alle 11 e mezza in punto nella piazza principale ci sarà il grande discorso. (che poi con i tempi che abbiamo noi italiani so già che ci sarà un ritardo di almeno 10 minuti, come minimo.) 
Per primo parlerà il sovrano, poi il primo ministro. Sarà allestito un palco dove parleranno e quello che diranno sarà amplificato in tutte le altre piazze e trasmesso via radio in tutta Italia.
E noi agiremo proprio quando ci sarà Mussolini su quel palco, dove sotto piazzeremo le due mine anti-uomo che abbiamo modificato per far in modo che esplodano con un radiocomando. Non falliremo. 

E il giorno tanto atteso è arrivato: oggi è il 17 marzo 1941.
Nel caso qualcosa andasse storto ho la pistola e il tirapugni, mentre Arthur è tra i soldati con le camicie nere e ha il fucile e il coltello che gli ho ceduto per l'occasione. Più due bombe a mano ciascuno. Putroppo il mitra sono costretto a lasciarlo, perchè troppo grosso e appariscente.
Mi mescolo tra la folla che assiste alla marcia dei soldati e aspetto pazientemente che termini. Osservo la vittima seduta sugli spalti: Mussolini è seduto alla 
sinistra del Re, mentre a destra si è seduto Feliciano.
E' cambiato parecchio dall'ultima volta che ci siamo visti, diciamo che ha perennemente un'espressione seria. Stano vero? E' sempre stata una persona solare.
Dovrei smettere di guardarlo. Indossa l'alta uniforme ed è tutto decorato di medaglie. Mi mette angoscia immaginare come se le sia guadagnate: sicuramente facendo fuori tantissima gente innocente seguendo l'esempio del bastardo mangia-patate. Però se quello che ha detto Arthur è vero, cioè che fino ad adesso ha sempre eseguito gli ordini di Mussolini senza alcuna esitazione, significa che c'è anche del suo. Non sembra ma Feliciano è parecchio influenzabile, ma chissà perchè l'unico che non  ascolta sono io, ovviamente. 
Spero solo che non mi veda oppure è la fine.
Vedo Arthur in mezzo ad altri uomini vestiti come lui. Grazie alle mie dritte sono riuscito ad insegnargli come si comporta un italiano vero: adesso è perfettamente in grado di gesticolare quando parla, a prestare un po' più di attenzione alle ragazze che lo circondano (già, perchè prima le ignorava completamente! Ma come si fa?) e anche a vestirsi con un po' più di classe. Grazie a me ha fatto grandi miglioramenti!
Ma perchè continuo a pensare ad altro? Dovrei prestare attenzione a quello che mi succede intorno, ma ho come il presentimento che qualcosa andrà molto male.

Finita la parata militare, i capi seduti sugli spalti scendono in mezzo alla strada e percorrono anche loro il cammino che li divide sino alla piazza, seguiti dalla truppa di Camicie Nere.
La gente intorno a me esulta dalla gioia, ma in verità non c'è alcun motivo per essere felici in questo momento. Cerco di farmi strada a gomitate tra la massa di persone e dopo parecchi sforzi riesco ad avvicinarmi al palco. Devo solo essere paziente ed aspettare il momento giusto per premere il bottone che tengo in tasca.
Come previsto, sul palco sale il Re d'Italia e parla brevemente sulla guerra in corso e delle sue future decisioni che prenderà quando vinceremo, eccetera e eccetera, non mi sforzo neanche di stare ad ascoltare. Sento il cuore che mi batte velocissimo nel petto a causa dell'ansia. Non manca molto.
Finito il noiosissimo discorso, c'è un minuto di pausa per dare il tempo di scendere e di far salire Mussolini.
Ma quello che sta salendo sul palco in questo momento non è Mussolini! E' Feliciano! 
-Ci dispiace molto per il disguido- Feliciano parla al microfono con molta calma -ma purtroppo il primo ministro Mussolini si è dovuto assentare urgentemente.- 
Il suo sguardo cade su di me. Sorride. -A causa di qualcuno che stava per attentare alla sua vita.- 
Rimango paralizzato dalla paura. Come caspita ha fatto a scoprirlo? Feliciano scende dal palco e vedo che sta dando degli ordini alla truppa di Camicie Nere.
Devo andarmene di qui e in fretta, ma sono circondato da troppa gente! In un attimo mi sento afferrare per le spalle e trascinare con la forza nella direzione opposta.
Estraggo la pistola e mi infilo il tirapugni. Non ho alcuna intenzione di essere rinchiuso in un campo di concentramento! 
Sparo un colpo alla gamba di un soldato che si accascia subito a terra. La gente incomincia a scappare in tutte le direzioni terrorizzata dal colpo di pistola.
Approfittando del momento di confusione mi giro di scatto e mollo un pugno sul naso a quello che mi teneva stretto le spalle.
Ma ne stanno arrivando altri e sono decisamente troppi per me. Ma dove caspita si è cacciato Arthur? Perchè scompare proprio nel momento di bisogno? Dannazione!
Se solo avessi il mitra con me... ma è inutile pensarci. La piazza si è già svuotata e siamo rimasti solo più io e gli uomini di Feliciano.
Un'idea folle mi attraversa la mente: e se facessi esplodere il palco con loro sopra? Si, ma come? In un attimo mi trovo a correre verso la struttura e come previsto loro mi inseguono sparandomi dietro. Per sicurezza lascio anche una bomba a mano ai piedi delle scale. 
Percorro a grandi falcate il pavimento in legno verniciato e mi lancio giù. Appena tocco terra premo il bottone. Devo ammettere che come idea in principio non è male, ma non ho calcolato che sono troppo vicino. Infatti vengo scaraventato in avanti e coperto di pezzi e scheggie di legno che mi entrano nella carne. Un dolore inimmaginabile. Anche se sono ancora stordito dall'esplosione mi rimetto subito in piedi e constatato che non c'è nemmeno un sopravvissuto mi metto a correre verso il fondo della piazza. Ma non è ancora finita qui. Decine di soldati si sono appostati per bloccare l'accesso a tutte le strade che si immettono sulla piazza.
Sono completamente circondato, non ho alcuna via di scampo. Sento una risata dietro di me, è piuttosto innaturale e forzata, ma so perfettamente da chi viene.
-Non hai tante possibilità, sai?- Mi volto per guardarlo in faccia. Ha di nuovo il suo sorriso da assassino. -O ti arrendi... O ti arrendi. A te la scelta.-
Scoppia in una risata malvagia. D'impulso scatto in avanti e sono già pronto per colpirlo con il tirapugni, ma lui intercetta la mia mossa e con un movimento veloce si sposta di lato, facendomi cadere per terra.
-Non si fanno queste cose!- Mi afferra per i capelli e me li tira per farmi alzare la testa in modo tale da poterlo guardare negli occhi. Mi scappa un gemito
di dolore e lui sembra compiaciuto. -Lo sai che fine fa la gente come te?- E' chiaramente una domanda retorica, ma rispondo lo stesso.
-Li mandate in un campo di concentramento.- Stava per dirlo lui e gli ho tolto le parole di bocca. Di certo non si aspettava che lo sapessi! Per una frazione di 
secondo cambia volto. Fa la stessa espressione mortificata e dispiaciuta che ha fatto la volta che ha rovesciato un'intera bottiglia d' olio sulla tovaglia. 
Questo è il mio vero fratello! Ma dura solo un momento, perchè poi diventa di nuovo la solita faccia da arrogante fascista.
-Hai detto bene!- Mi strattona ancora per i capelli, ma questa volta per farmi alzare in piedi. -E' proprio dove andrai tu.- Detto questo mi strappa di mano la pistola e il tirapugni, poi mi fruga le tasche della giacca e tira fuori l'ultima bomba a mano e il bottone delle mine. Subito dopo fa cenno a due uomini di legarmi. Però non mancano neanche a riempirmi di botte e sono costretto a subirmele tutte. Che umiliazione! Poi però mi infilano un cappuccio di tela spessa e qualcuno mi da un fortissimo colpo in testa che mi fa perdere i sensi.

Mi risveglio a bordo ti un aereo in volo. La destinazione la conosco già: Sicilia.
-Romano.- Qualcuno sta bisbigliando il mio nome? -Romano! Sono qui, girati!- E' una voce familiare, forse di quel traditore inglese. Mi volto in direzione della voce di prima. Non mi sbaglio: è proprio Arthur senza un graffio o un livido.
-Brutto bastardo...- Non mi fa finire la frase che subito mi mette una mano sulla bocca per zittirmi. -Shh...Fai silenzio o mi scopriranno!- Non c'è nessun altro oltre ai due piloti nella cabina di volo.
-Dove ti eri cacciato? Mi hanno quasi ammazzato di botte!- Voglio proprio vedere che cos'ha da dire a sua discolpa per questo!
-Mi hanno scoperto subito! Feliciano mi ha visto e ha dato ordine di arrestarmi, proprio come a te. Ha detto che c'era un traditore tra la nostra truppa e praticamente si sono messi a fare la lotta tra di loro accusandosi a vicenda. In mezzo a tutta quella confusione sono riuscito a svignarmela senza essere notato.- E venirmi ad aiutare lo stesso no, eh?
-Benissimo, storia molto avvincente. Davvero! Spero che adesso tu abbia un piano per farmi uscire di qui.- Dalla sua espressione si direbbe di no, infatti non mi sono sbagliato.
-Purtroppo non posso fare nulla! Ho dovuto abbandonare il fucile e il coltello che mi hai dato l'ho perso in mezzo a tutta quella confusione. Ho ancora due bombe a mano, ma non credo che tu voglia saltare in aria in questa scatola di metallo.- Di male in peggio.
-Ma tu come farai una volta arrivato li? Vuoi farti rinchiudere con me?- Che rabbia! Sono nei guai fino al collo e non posso fare nulla.
-Ho detto ai piloti che sono la tua guardia, ma non so quanto possa durare questa copertura. Appena toccheremo terra ci saranno quelli del campo che ti vengono a prendere direttamente all'aeroporto. Se mi vedono sono morto. Davvero, mi dispiace ma non posso fare niente per te, adesso.- Sembra sincero, ma questo non mi fa stare meglio.
-Quindi mi stai dicendo addio?- E' la fine. Sono destinato a morire da prigioniero.
-No! Ho promesso che se tutto questo fosse successo io sarei venuto a prenderti. Ed è quello che farò, te lo giuro.- Tutti giurano troppe cose e poi non fanno nulla.
Per tutto il resto del viaggio rimaniamo in completo silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Non mi sono nemmeno accorto che l'aereo sta atterrando, ma lui sì e si tiene nascosto nell'ombra per non essere scoperto.
-Resta vivo. Verrò a prenderti il prima possibile.- Proprio in quel momento si apre il portellone e nell'abitacolo fanno il loro ingresso due uomini che mi costringono a scendere. Non tento nemmeno di opporre resistenza, tanto mi sono già rassegnato al mio destino.
Però si è accesa una piccola speranza dentro di me. Cosa mi costa aspettare qualche mese? Se voglio posso benissimo resistere! Aspetterò con pazienza che qualcuno venga a prendermi. 
In fondo sperare non costa nulla, giusto?


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Alla fine Romano è stato catturato e portato in Sicilia, dove verrà rinchiuso.
Sembra che Feliciano abbia eseguito davvero l'ordine di chiuderlo in un campo di concentramento.
Le cose sembrano andare per il verso sbagliato, ma Romano non vuole smettere di sperare! E nemmeno noi.

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Capitolo 9
*** Prigionia ***


Appena sono entrato dentro al campo mi sono sentito morire. Non auguro a nessuno quello che adesso tocca a me.
Le persone non sembrano vere, sembrano piuttosto degli scheletri ambulanti! Anche io diventerò come loro? Al sol pensiero mi viene da piangere, ma non è il momento per lasciarsi andare con questi sentimenti.

Quando sono arrivato mi hanno portato subito nell'infermiera, dove mi hanno praticamente torturato: mi hanno costretto a denudarmi davanti a dei dottori, che mi hanno visitato per vedere il mio stato di salute, poi dopo aver compilato tutti i dati in una cartella mi hanno dato degli stracci per coprirmi. Mi hanno fatto passare in un'altra stanza dove mi hanno rasato a zero. Una vera umiliazione, farsi tagliare i capelli come una pecora. Poi mi hanno tatuato un piccolo codice sulla nuca. Da adesso per tutti sarò il numero 984. Ancora più umiliante, non vi pare? Tutto il mio onore è andato a farsi fottere nel giro di dieci minuti.

-Bene, 984. Benvenuto nel campo di concentramento di Messina! Spero che il soggiorno sia di suo gradimento.- Che simpatici che sono.
-Ma fottiti.- L'ho detto molto piano, ma sono stato sentito lo stesso.
-Porta rispetto a chi è superiore a te, verme!- Con una mano mi stringe il collo e mi schiaccia i nervi, facendomi urlare di dolore. -E questo è solo l'inizio.-
-Portatelo a fare una visita e mostrategli subito il suo lavoro. Senza perdere troppo tempo.- Una guardia mi spinge fuori dalla porta, mentre un'altra legge la mia cartella facendosi due risate. Cosa ci sia di così tanto divertente lo sa solo lui.
-Però! Ti hanno assegnato un bel lavoretto da svolgere!- Anche l'altro da un'occhiata al fascicolo e scoppia a ridere insieme all'altro.
-Eh, sì! Evidentemente ti hanno considerato abbastanza forte da farlo.- Lo fanno apposta a tenermi sulle spine? -Ti hanno mandato a fare il lavoro più duro di tutti, nella fonderia.- Fonderia? Dovrei fondere i metalli? Non so niente di queste cose! E le due guardie vedono la mia espressione evidentemente molto divertente per loro, perchè non smettono di ridere. 

Insieme a loro vengo trascinato in mezzo a lunghissime file di magazzini e capannoni.
-Eccoci arrivati!- Mi portano nell'edificio più grande di tutti, con tanto di ciminiere.
-Una volta dentro ti farai spiegare da qualcuno il tuo compito. Buona fortuna!- Mi aprono la porta e con una spinta mi buttano dentro. Un fortissimo calore mi investe all'improvviso e l'aria rovente è quasi irrespirabile. Mi guardo intorno e quello che e vedo mi mette i brividi: colate interminabili di metallo fuso che scendono da enormi contenitori, pezzi di ferro rovente gettati nell'acqua, nubi di fumo tossico e vapore. Sono finito all'inferno?
Un guardia mi raggiunge e mi strattona -Hey tu! Che ci fai qui? Sei nuovo?- Urla cercando di far sovrastare la sua voce in mezzo a tutto questo frastuono. 
-Chi sei? Come ti chiami?- Mi stringe per le braccia, forse per paura che scappi. 
-Romano.- Rispondo d'istinto, poi però mi ricordo del codice. L'uomo mi guarda storto. -Adesso puoi anche dimenticati il tuo vero nome. Ora mai sei diventato un numero come tutti gli altri. Questo è 725.- Afferra un'altro per gli stracci che indossa e lo costringe ad avvicinarsi -Tu, 725! Fagli vedere cosa deve fare.- Lui trema di paura.
-Vieni, ti faccio vedere.- Insieme incominciamo ad inoltrarci verso il cuore della produzione.
-Tu sei nuovo di qui, quindi certe cose non puoi ancora saperle. Ti darò dei preziosi consigli, quindi cerca di tenerli bene a mente. Per prima cosa, cerca di imparare in fretta il tuo lavoro, devi essere veloce e non fermarti mai. MAI, hai capito? Non devi fermarti ad aiutare nessuno, né tanto meno prendere il posto di qualcun altro a meno che non te lo ordinano. Se farai così non rischierai di essere ucciso. Seconda cosa, devi sempre portare rispetto ai tuoi superiori, cioè a tutte le guardie e la gente dell'esercito che viene qui per dei controlli. Non parlare mai se non ti viene richiesto, non guardarli negli occhi e tieni sempre la testa bassa. Terzo, non devi mai lamentarti del tuo lavoro o della scarsità di cibo e nemmeno della stanchezza fisica. Se lo fai ti assegneranno un lavoro ancora più pesante o ti faranno morire di fame. Quando ti chiedono com'è il cibo o il lavoro tu rispondi sempre che è buono. Potrebbero anche premiarti se svolgi il tuo lavoro alla perfezione e se 
non ti lamenti mai, ma è molto raro. Ci sono dei turni da rispettare, il tuo dovrebbe iniziare esattamente dalle 6 del mattino e finire alle 18 e poi verrai sostituito da quelli delle 18 alle 5. Sono 12 ore di lavoro continuo, non esiste il pranzo. Se vuoi andare al bagno, devi chiedere sempre il permesso, anche se non sempre ti lasciano, ma lo fanno solo per farti soffrire. Dopo il turno hai quindici minuti d'orologio per mangiare e subito dopo devi andare nel dormitorio e puoi dormire. Se ti vedono fuori dal dormitorio non esitano un momento ad ammazzarti. Molti hanno fatto questa fine. Hai capito? Nessuno ti ripeterà queste regole di vita una seconda volta, quindi vedi di ricordartele.-  Si, sono proprio finito all'inferno.
-Ecco, qui c'è uno spazio vuoto dove puoi lavorare.- Mi fa avvicinare ad uno di quei grandi contenitori di pietra dove si fonde il metallo.
-Che cosa dovrei fare?- Ho il presentimento che sia la cosa peggiore di tutte.
-Oh, è semplice! Quando 211, quell'uomo lassù sul ponteggio ti darà il segnale che il metallo è alla temperatura giusta, dovrai tirare quella catena insieme a 778, quello dall'altra parte, e versare il metallo dentro a queste forme per fare il rivestimento esterno delle bombe. Devi fare attenzione a non essere troppo veloce o troppo lento, perchè se fai troppo in fretta rischi che ti si versi tutto addosso, mentre se sei troppo lento il metallo perde la temperatura e si raffredda. Tu e 788 dovete fare le cose contemporaneamente, mi raccomando.- Fa per andarsene ma lo fermo -Aspetta! Ho una domanda: che fine ha fatto quello che stava qui? Lo hanno spostato?- Ho paura della risposta.
-Eh, no! E' morto ustionato sotto la colata.- Detto questo si allontana per tornare a fare quello che stava facendo.
Oggi è il mio compleanno e lo sto passando rinchiuso in questo bellissimo posto. Feliciano mi ha proprio riservato il meglio!
Devo solo ringraziare lui per tutto questo. Bastardo.



Non so quanto tempo sia passato da quando sono arrivato qua. Ho cercato di contare in base alle stagioni: la primavera è passata in un soffio, subito seguita da una rovente estate che mi è parsa eterna, un autunno brevissimo e un inverno gelido, con grandi nevicate e un freddo indescrivibile.
Intanto di cose ne sono successe parecchie in questo lasso di tempo. Cose per lo più tragiche, che compongono gli avvenimenti di quasi tutte le giornate.
La maggior parte delle persone sta sempre sulle sue, ma se glielo chiedi, ti raccontano la loro vita passata, prima di finire qua dentro.
Sono riuscito a far "amicizia" con qualcuno, ma alla fine me ne sono pentito. Prima o dopo muoiono tutti o per la fame o per il freddo, oppure per la fatica e il
dolore.  Anche io mi aspetto questa fine, prima o poi toccherà anche a me e spero che arrivi il prima possibile, perchè non ce la faccio più ad aspettare.
E' dicembre e siamo vicini a Natale. Questo lo so perchè le guardie che ci sono non smettono di parlare d'altro e aspettano con ansia le ferie. Mentre noi lavoreremo anche quel giorno. Comunque, ieri c'è stato un po' di trambusto, perchè via radio hanno trasmesso la notizia dell'attacco a Pearl Harbor contro gli USA.
Forse è quello che Arthur sperava da tempo, perchè adesso gli Stati Uniti sono entrati in guerra.
Ma io quanto dovrò aspettare ancora? Intanto però una cosa positiva è successa: non lavoro più nella fonderia perchè adesso mi ritengono debole e senza forze e ora mi occupo di assemblare le bombe. Ci sono parecchi aspetti negativi, anche se prima rischiavo una colata di ferro fuso, adesso basta una scintilla e saltiamo tutti in aria. In più, come ho detto prima, sono senza forze e ogni giorno divento sempre più debole. Non manca molto alla fine, spero. I capelli non me li tagliano più, ora mai sono quasi tornati della lunghezza di prima. Li tagliano solo ai nuovi arrivati, così da poterli distinguere da quelli che sono qua da tempo, con il semplice scopo di torturarli e maltrattarli per puro divertimento.
Cerco di seguire come posso i consigli che mi ha dato l'uomo numero 725 quando sono appena arrivato, quasi un anno fa. E' difficile. Con il carattere che mi ritrovo il fatto di dover subire così tante ingiustizie mi distrugge dentro. Sono costretto a subire in silenzio tutto quello che mi fanno, covando l'odio e la rabbia dentro me, ma non so per quanto tempo posso ancora sopprimere questi sentimenti. Prima o poi esploderò come le bombe che devo assemblare e allora finirò molto male, peggio di come sto attualmente.
Non immagino neanche che il giorno di Natale ricevo una visita. Diciamo anche spiacevole.

-984! Dov'è 984?!- Una guardia all'entrata del capannone urla il mio nome. Interrompo quello che sto facendo e a fatica mi alzo in piedi.
-Ah, eccoti. Lo sai 984? Oggi è il tuo giorno fortunato. Hai una visita.- Mi avvicino all'uscita e con la guardia attraverso tutto il campo. Ha nevicato tanto la notte scorsa e per terra ci sono almeno 40 cm di neve. Io però ho delle scarpe rotte ai piedi e non ho la giacca. La guardia lo sa ma non fa nulla, tanto per farmi soffrire ancora un po'.
Ha detto che ho una visita, ma con questo posso solo aspettarmi il peggio. Preferisco comunque non fare domande e non chiedere chi sia venuto.
-Ed eccoci arrivati. Prego!- Lo dicono sempre in modo sarcastico per farti innervosire. Ed io mi innervosisco sempre, ma cerco di non darlo a vedere.
Entro dentro gli uffici situati dietro all'infermeria. Il tepore mi investe e mi fa sentire subito meglio, ma appena vedo chi è venuto a trovarmi mi sento i brividi
correre lungo la schiena. 
-Ciao Romano! Quanto tempo è passato!- Feliciano mi fa segno di accomodarmi su una sedia vicino ad un grosso tavolo e lui si siede dall'altra parte. -Grazie, potete andare.- E con un gesto della mano intima tutte le guardie ad uscire. Adesso siamo soli, l'uno di fronte all'altro. Che bastardo. E' venuto fin qui per vedere come soffro.
-Ma come ti sei conciato?! Non è da te indossare quegli stracci. Ti vedo anche dimagrito! Mi raccomando, devi mangiare molto per i lavori pesanti.- E scoppia a ridere come se avesse fatto una bellissima battuta. Io non rispondo, preferisco non dargli corda. 
-Come siamo silenziosi! Non vuoi salutare come si deve tuo fratello? Io sono venuto fin qui per te!- Cosa ha detto? Io non ho fratelli. Sono solo.
-Tu sei come uno sconosciuto per me.- Mi è scappato, ma ora mai l'ho detto. E non avrei dovuto farlo.
-Ah, già. E' perchè sei troppo debole da ammetterlo, vero? Non vuoi ammettere a te stesso che il tuo adorato fratellino ti ha battuto.- Ridacchia e mi guarda studiando la mia espressione. La rabbia che ho sempre cercato di trattenere sta lentamente prendendo il sopravvento.
-Perchè non mi uccidi?- Penso sia una domanda legittima, anche se in parte ho già una risposta. Vuole farmi soffrire per la scelta che ho preso, mi punisce perchè mi sono messo contro di lui. Ma se sono quello di troppo perchè non mi fa fuori?
-Ucciderti? Ma scherzi?! Non mi oserei mai!- Fa il finto offeso. Allora potresti uccidermi lentamente qua dentro. Facile, no?
-Perchè sei qui?- Non ho nemmeno la forza di parlare, talmente sono stanco. 
-Ma te l'ho già detto no? Sono qui solo per vedere come stai!- Non smette di prendermi in giro. Crede di avere a che fare con un cretino? Si sbaglia.
-Per accertarti che sono ancora vivo.- Lui si fa cupo. -E' per questo che sei qui. Vuoi vedere se resisto a tutto, come una roccia. Volevi cambirmi: ebbene sì, mi hai cambiato. Da adesso sono più attaccato alla vita, vivo ogni giorno come se fosse l'ultimo. Se perdo una gamba nel lavoro ringrazio Dio per non aver perso anche l'altra, ma se perdo tutte e due le gambe ringrazio Dio di avere ancora le braccia, e se perdo sia le gambe che le braccia, ringrazio Dio per essere ancora vivo.
E se muoio, ringrazio Dio per aver smesso di farmi soffrire. Tutto questo lo devo a te. Mi hai fatto capire il vero valore della vita, ma non solo: che la cattiveria 
umana non ha limiti e tu ne sei la prova.- Mi accorgo di essere rimasto senza fiato e velocemente riprendo aria. Quello che si sente adesso è il silenzio pesante tra noi due. Io lo fisso in volto, ma lui non ha il coraggio di guardarmi negli occhi. Che codardo.
-Non è così? Non è per questo che sei qui? Per farmi vedere che sei in alto, che puoi conquistare tutto il mondo da solo. Basta poco per farti cadere dal piedistallo per poi ritrovarti nella realtà, cioè che il mondo è di tutti ma anche di nessuno. Ma questo stenti a capirlo.- Il suo volto è completamente nascosto dalla penombra, ma vedo che stringe i pugni sul tavolo e trema dalla testa ai piedi.
-Tu non capisci. Non ti accorgi che sto facendo tutto per noi due? Quando questa guerra sarà finita io e te potremo vivere per sempre insieme, come ti avevo giurato. Ma fin dall'inizio tu ti sei opposto e messo contro di me! Ti ho chiuso qua dentro per evitare che mi intralciassi il percorso. Ma l'ho fatto per te! Perchè poi avremo tutto per noi e potremo finalmente sovrastare sugli altri! Per secoli siamo stati dominati, ma adesso possiamo fargliela pagare, fargli capire come ci si sente ad essere sotto il dominio di qualcun altro!- Mentre mi fa questo delirante discorso mi guarda diritto negli occhi, con i suoi lacrimanti e disperati. La voce è alterata dall'isteria. Non l'ho mai visto così e per un momento provo pena per lui -E poi anche per farti capire che la gente che è chiusa qua dentro non merita di vivere! Avrai visto con i tuoi occhi cosa sono! Ci sono ebrei, musulmani, criminali, assassini, ladri e i traditor...- 
-Allora se le cose stanno così anche io sono come loro.- Lui mi guarda stupefatto.
-C-cosa? No!- Scuote la testa con energia come per cercare di scacciare quella verità, perchè in effetti non si tratta d'altro.
-Quante persone ho ucciso in tutta la mia vita? E quante cose ho rubato? Tante, troppe. Ho perso il conto.- Sembra rassegnarsi a questa verità. -E poi quante volte ho tradito? Se è per questo ti ho già tradito parecchie volte. E sai perchè? Perchè ho detto tutto quello che sapevo agli inglesi!- Oh, no! Questa proprio non dovevo dirla.
-Come?! T-tu cosa...- La sua espressione cambia in una frazione di secondo: all'inizio è incredulo, poi deluso, poi arrabbiato e infine arriva alla sua solita maschera composta da arroganza e superbia. La faccia da fascista. -Come hai potuto! Non avevi il diritto di farlo!- E' così alterato che quasi non lo riconosco. Non è da lui arrabbiarsi in questo modo, in genere sono io quello che fa questo genere di sceneggiate.
Con uno scatto di sporge in avanti sul tavolo e mi afferra per i vestiti. E' così vicino che riesco a sentire il suo inconfondibile profumo. Quello per fortuna non è cambiato.
-Hai una minima idea di quello che hai fatto? Adesso per colpa tua la missione rischia di andare al fallimento! Tutti gli sforzi che ho fatto saranno vani. E questo perchè tu hai detto agli inglesi tutto quello che sai. Ma vuoi sentire una cosa? Puoi continuare a marcire qua dentro per il resto della tua inutile vita, come assassino, ladro e soprattutto come traditore.- L'ultima parola me la sibila all'orecchio facendomi rabbrividire. Poi all'improvviso mi spinge e mi fa cadere all'indietro dalla sedia. Sbatto la schiena per terra e stento a riprendere fiato, mentre lui in fretta fa il giro del tavolo e mi da un calcio in faccia. Il sangue scorre senza fermarsi dal taglio sul sopracciglio e dal naso.
-Ti rendo il calcio che mi avevi dato.- Detto questo spalanca la porta e se ne va via a grandi falcate, ma prima scambia due parole con la guardia.
-Caspita! Qualunque cosa hai fatto te lo sei meritato.- Due guardie mi sollevano da terra e mi spingono verso l'infermeria. -Questo poteva essere il giorno buono che uscivi da qui.- 
Dopo aver fermato il sangue, mi mandano di nuovo a lavorare. Nessuno osa farmi domande e tutti mi ignorano, come se non fosse successo niente.

Dopo aver finito l'interminabile turno di lavoro, siamo tutti a pezzi e a mala pena riusciamo a tenere gli occhi aperti, ma abbiamo tutti fame e come sempre facciamo la coda per prenderci la nostra magra razione.
-A te niente.- L'uomo addetto a distribuire il cibo mi spinge via senza darmi la mia cena. Io provo ad insistere porgendo la mia scodella di metallo.
-Niente cibo per i traditori.- Chiama una guardia per portarmi via. Rimango esterrefatto.
-Il generale Vargas mi ha ordinato di non dare al numero 984 cibo per tre giorni.- La guardia annuisce in silenzio e mi trascina verso il dormitorio.
Non posso crederci! Feliciano ha proprio intenzione di farmi morire adesso.
Non mi resta che rassegnarmi ed aspettare, aspettare che qualcuno venga finalmente a prendermi.

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Povero Roma! Feliciano lo ha condannato a rimanere per sempre rinchiuso mentre, a detta sua, avrebbe voluto costruire un mondo "ideale" dove vivere in pace con il fratello. 

Il prossimo capitolo verrà raccontato dal punto di vista di Arthur! ;)
Alla prossima!


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Capitolo 10
*** Notte senza luna ***


Da quando anche Alfred si è unito a noi dopo l'attacco a Pearl Harbor, la fortuna sta dalla nostra parte.
Appena ho saputo che era stato colto di sorpresa dai giapponesi la notte del 7 dicembre 1941, sono corso a vedere come stava. Ciò che ho visto era così orribile e macabro che preferisco non descriverlo. Ho trovato Alfred che piangeva, immerso nel suo stesso sangue e circondato da migliaia di corpi carbonizzati. Per un paio di giorni è caduto in depressione ma poi si è ripreso in fretta, con la decisione di entrare in guerra. Insieme a lui ho deciso che per far finire presto questa guerra bisogna attaccare la parte più debole dell'Asse: l'Italia.
E così siamo sbarcati in Calabria, ma poi ci siamo resi conto che per far cedere Feliciano bisogna conquistare anche la Sicilia, dove attualmente si trova Romano.
Non abbiamo trovato particolare resistenza da parte dell'esercito tedesco, che in pochi mesi si è ritirato. Alfred ha persino costruito delle basi su tutta l'isola.


-Alfred! Svegliati!- Lo scuoto per la spalla, ma quello che ottengo è solo un debole lamento che somiglia a qualcosa tipo "non rompere", poi si gira dall'altra parte mettendo la testa sotto il cuscino.
-Dai, su! Abbiamo solo cinque minuti e poi si deve partire!- Lo prendo per le gambe e lo butto giù dalla branda. Lui si mette in piedi e con gli occhi ancora chiusi si infila i pantaloni e la camicia. Mi ricorda quando era piccolo, che ci svegliavamo presto per andare a vedere l'alba dalla cima di una montagna. Lui era sempre assonnato e si vestiva ad occhi chiusi.
Mentre mi perdo completamente nei miei ricordi, lui si è già infilato la giacca di pelle e gli stivali.
-Hey! Ci sei?- Mi agita una mano davanti agli occhi e io torno alla realtà. -Si, certo. Andiamo.- Gli porgo una tavoletta di cioccolato che tengo nella tasca
della mia uniforme.
-Ah. Grazie!- Apre la confezione e da un bel morso al cioccolato, mentre intanto ci incamminiamo per la pista di atterraggio.
-Sei pronto?- Personalmente mi sento in ansia, ma non voglio ammetterlo davanti a lui, per paura di attaccargliela.
-Affatto.- Annuisco poco convinto e lui se ne accorge. -Dai! Non mi dire che hai paura!-  E si mette a ridere.
-Non è vero! Stai zitto idiota, che rischi di svegliare tutta la base!- Ma sembra avere l'effetto contrario, perchè non smette più di ridere. Beato lui che riesce 
sempre a prendere tutto alla leggera.
-Ah, tieni!- Afferro due caschi e gliene lancio uno e lui mi restituisce la carta vuota del cioccolato. -Scorbutici come al solito, vedo.- E mi batte una mano sulla spalla fin troppo forte, ma evito di far commenti, se no rischiamo di metterci a litigare, come nostro solito.
-Vai va!- Gli do una spinta verso il suo aereo. Due tecnici ci stanno aspettando accanto ai sedili. Sono pochi quelli che si sono svegliati sta notte: ci siamo solo io, Alfred, i due tecnici e probabilmente la squadra notturna nella torre di controllo.
Mi accomodo sul mio sedile e l'ansia lentamente lascia il posto alla sicurezza. Guardo in direzione di Alfred, ma vedo solo la sua sagoma salire a bordo dell'aereo e infilarsi il casco. Non c'è la luna sta notte, quindi non rischiamo neanche di essere visti. Anche se ci vuole poco ad essere individuati da un radar... Non voglio pensarci, piuttosto mi concentro su quello che devo fare: volare per 20 Km in direzione di Messina e sorvolarla da Ovest, mentre Alfred la sorvola da Est, premere il bottone rosso che ho sulla destra solo quando me lo indicheranno quelli della torre di controllo, tornare indietro. Facile, no?
Il tecnico di volo chiude l'abitacolo e la voce trasmessa via radio dalla torre di controllo mi da il benvenuto. 
-Tutto ok?- Alfred sembra avere una punta di agitazione nella voce, anche se mi arriva con un tono quasi metallico e gracchiante dalla ricetrasmittente.
-Sì.- Mi pone sempre quella domanda prima di partire in aereo e io gli rispondo sempre di sì, come se fosse un rito.
-Accendere i motori- L'ordine arriva dalla torre di controllo. Accendo il motore e sento che vibra sotto di me, intanto le eliche prendono a girare sempre più 
velocemente.
-Avanti- Lentamente incominciamo a percorrere la pista, guadagnando velocità ogni secondo che passa.
-Via- Ci solleviamo da terra. E' una sensazione indescrivibile! Per un attimo senti il vuoto allo stomaco, ma poi tutto torna normale.
-Alfa C11. Tutto nella norma.- Per non rischiare di essere intercettati e metterci in pericolo rivelando la nostra identità, ci chiamiamo con il codice del nostro 
aeroplano. L'aereo pilotato da Alfred è proprio davanti a me e mi fa strada del buio.
-Alfa C10. Tutto a posto.- Lo dico quasi urlando, per non rischiare di essere coperto dal rumore del motore mentre prendo quota.
Dopo un paio di minuti il silenzio viene interrotto. -Pronto per dividerci?- Adesso è tornato tranquillo, come al solito.
-Sì. Mi raccomando di non sbagliare le distanze, e stai attento a non perdere quota!- Voglio sempre accertarmi che si ricordi tutto, sono fatto così.
-Lo so! Non è la prima volta che piloto un aereo.- Lo dice in modo esasperato. -Non sei mia madre.-
-Volevo solo esserne sicuro!- Davanti a me vedo il suo aereo che svolta verso est, mentre io svolto verso ovest.
Per circa cinque minuti regna il silenzio più assoluto e mi preoccupa. Di solito Alfred è un chiacchierone e non riesce a stare zitto nemmeno in missione. Ma cosa vuoi succeda? Stiamo cogliendo di sorpresa il nemico!

-Arthur, ho paura.- Ma cosa gli è preso tutto ad un tratto?
-Sei cretino? Non chiamarmi con il mio vero nome!-
-Non mi importa. Ho un brutto presentimento, forse è meglio se torniamo indietro.-  E' impazzito per caso? Forse l'alta quota gli fa male. Non è da lui tirarsi 
indietro durante una missione di questo genere, non è mai successo.
-Perchè mai dovremmo? Ora mai siamo qui.- Non vedo perchè rinunciare proprio adesso che siamo a poca distanza dalla meta!
-Sento che non ne uscirò vivo.- Non riesco a resistere dal ridere, non ho mai sentito queste parole da lui.
-Ma dai! Hai già scherzato abbastanza, sii serio, per piacere!- Scommetto che dice così solo per farmi preoccupare e prendere uno spavento, come è già successo altre volte.
-Non sto scherzando! Devi credermi!- La voce mi arriva ancora più gracchiante e con qualche interferenza, ma credo che sia solo per la distanza.
-Stai tranquillo, andrà tutto bene. Vedrai che torneremo sani e salvi alla base.- Mi torna alla mente il ricordo di lui che veniva a dormire nel mio letto durante i temporali, perchè aveva paura.
-Arthur? Ci sei?- La sua voce preoccupata mi mette un po' di agitazione.
-Sì, ti sento!- Sembra esserci un' interferenza, ma io riesco a sentirlo abbastanza chiaramente.
-Arthur? Mi senti?! Lo so che non andiamo molto d'accordo, ma in fondo ti ho sempre voluto bene! Hai capito? Ti voglio bene!- Lo dice molto velocemente, come se avesse paura di non aver abbastanza tempo per parlare. Ma ho sentito bene? Mi vuole davvero bene? Sto per rispondergli, ma vengo interrotto da un suo urlo.
-Oh mio Dio! Arth...- E la comunicazione viene interrotta. Al suo posto sento solo un lieve rumore di sottofondo, come quando si perde la linea.
Ho la bocca serrata dalla paura, non riesco ad aprirla per avvertire la torre di controllo che ho perso le comunicazioni con Alfa C11.
Dopo un po' prendo coraggio. -Alfred?- Lo dico con voce incerta, ma il rumore non si interrompe e non ricevo alcuna risposta dall'altra parte.
Cosa devo fare adesso? Me ne sono dimenticato. Sono quasi pronto per far girare l'aereo per tornare alla base, ma all'improvviso una voce rompe il silenzio.
-SGANCIATE! SGANCIATE SUBITO E TORNATE INDIETRO!- Come un automa premo il bottone rosso e le 12 bombe che ci sono nella stiva cadono una alla volta.
Quasi non mi accorgo delle esplosioni sotto di me e quando anche l'ultima è scesa faccio girare l'aereo verso la base.
Il viaggio di ritorno mi sembra eterno, senza la voce di Alfred che tiene compagnia. Spero che stia bene, ma ne dubito. Deve essere successo qualcosa.
-Non devo pensare negativo. Sarà la ricetrasmittente che ha deciso di smettere di funzionare.- Lo dico ad alta voce per auto convincermi, ma non funziona.
Appena atterro nell'aeroporto il sole è sorto da poco e una marea di gente mi circonda, abbracciandomi e facendomi domande sulla missione. Alfred non c'è. 
Non rispondo a nessuna delle domande che mi pongono e mi dirigo verso la torre di controllo. Appena arrivo la squadra mi viene incontro per stringermi la mano.
Hanno tutti un'espressione molto preoccupata. Non mi piace.
-Dov'è Alfred?- Loro si scambiano delle occhiate e nessuno sembra deciso a rispondermi. -Vi ho chiesto dov'è!- Urlo dalla disperazione, perchè in fondo so benissimo dove si trova Alfred.
-Signore, la prego di stare calmo...- uno si fa avanti e mi stringe per una spalla. -Abbiamo perso le comunicazioni con il comandante Jones.- fa una pausa per studiare il mio stato fisico e mentale. Ma cosa può vedere? Un uomo accecato dal dolore. -Ecco, vede... L'Alfa C11 si è schiantato a terra a due chilometri a est da Messina.- 
Proprio quello che temo di sentire. Proprio quello che non voglio sentirmi dire, anche se è la verità, perchè la verità molto spesso fa male.
-Appena ce ne siamo accorti abbiamo mandato due caccia a sorvolare la zona dell'incidente, ma non hanno visto segni di vita.-
-Dove è caduto precisamente l'aereo?- La stanchezza mi schiaccia verso il basso, ma devo resistere.
-Sul campo di concentramento fuori Messina.- Mi sento la testa pesante e la vista si oscura per un secondo.
Senza dire niente me ne vado, anche se cercano di trattenermi per farmi delle domande. Non voglio sentire nulla, voglio solo riposarmi per pensare meglio.
Ma a cosa posso pensare? Alfred è morto. Romano pure. Nessuno può riportarmeli indietro. Cosa ne sarà dell'Italia senza Romano? Non sono nemmeno riuscito a mantenere un accordo. Feliciano starà ballando sul suo cadavere. Però Alfred? Devo pensare a come dirlo a Matthew! non la prenderà affatto bene, conoscendolo. Cosa ne sarà dell'America? Senza Alfred a tenerla unita ci sarà il caos. E io? Come farò senza quell'idiota che mi infastidisce ogni giorno? Tutte queste domande continuano ad assillarmi, ma per adesso non sono ancora in grado a dare una risposta.
Senza accorgermene sono arrivato fino alla piccolissima camera di Alfred e mi sono svestito, rimanendo in canottiera e mutande. Come un automa mi sdraio sulla branda e mi avvolgo nelle lenzuola che hanno ancora un briciolo di calore del corpo che c'era prima. Hanno lo stesso profumo di Alfred: sanno di felicità, allegria, gioventù, esuberanza, umorismo e tante altre cose. Non ho avuto il tempo di parlargli, di dirgli che anche io gli voglio bene, che gliene ho sempre voluto, nonostante tutto quello che è successo. 
Affondo la testa nel cuscino e scoppio in lacrime, silenziosamente. Non so quanto tempo passo a piangere, perchè poi mi tuffo nelle profondità del sonno e annego negli incubi peggiori.



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Arthur è praticamente caduto in depressione e non riesce ancora a credere che Alfred se ne sia andato così. A peggiorare le cose si è aggiunta la morte presunta morte di Romano.
Come andrà a finire? >.<



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Capitolo 11
*** Incubi ***


E' una giornata come tutte le altre: firmare scartoffie, partecipare alle riunioni, firmare altre scartoffie, discutere con gli ufficiali dell'esercito le tattiche da seguire, firmare ancora altre scartoffie, discutere per telefono con Ludwig per ottenere dei rinforzi da mandare in Sicilia, firmare come sempre ancora altre scartoffie. Questo è ciò che succede più o meno tutti i santi giorni nell'ultimo periodo.
A fine giornata non capisco più niente e non riesco nemmeno più a ricordare con chi ho parlato e quali documenti ho firmato. Tutti i giorni sempre la stessa storia.
Da quando sono arrivati gli Alleati sul mio territorio mi sento sempre più stanco: fatico a mantenere la concentrazione e ogni tanto mi sento gli arti intorpiditi.


-Felicià! Dove sei?- Mi sento chiamare dalla camera di mio fratello.
-Sono qui! Che c'è?- Mi affaccio sulla stanza e vedo Romano in mutande. -Dai Roma! Sbrigati che stanno aspettando solo noi per incominciare!-
-Uff. Possono continuare ad aspettare, allora.- Si avvicina al letto, dove c'è posata la sua alta uniforme bianca. 
-Tu che dici? Devo proprio metterla?- Sempre la stessa storia: quando c'è in ballo un avvenimento importante non sa mai cosa mettersi e naturalmente chiede aiuto a me. 
-Se preferisci scendere in mutande fai pure!- Lui mi guarda rimproverandomi con lo sguardo, ma nel suo modo più affettuoso, con il suo migliore sorriso che regala solo a me, il suo unico e dolce fratellino.
-Dai, vieni qui!- Mi fa segno di avvicinarmi e poi mi abbraccia, schioccandomi anche un bacio vicino all'occhio sinistro. Queste manifestazioni di affetto da parte sua sono più uniche che rare e c'è sempre un motivo sotto.
-Lo sai che ti voglio bene, vero?- Lui non interrompe il suo abbraccio e mi culla tenendomi stretto a sè. Posso sentire il profumo e il calore della sua pelle abbronzata dal sole.
-Sì, lo so!- Anche questa volta mi da un altro bacio, ma sulla fronte.
-E tu mi vuoi bene?- Vorrei rispondergli e non riesco perchè all'improvviso mi sento la bocca sigillata, ma intanto i secondi passano e qualcosa mi bagna il viso:
le sue lacrime. Scioglie il suo abbraccio e senza degnarmi di uno sguardo si volge verso la sua uniforme. Mi siedo sul bordo del letto attento a non fare rumore.
Lui prende i pantaloni e per qualche attimo li ammira tenendoli alzati, poi finalmente si gira verso un grande specchio appeso alla parete e se li infila. Proprio in quel momento vedo del sangue che sgorga da una ferita sulla sua schiena.
-R-Romano?- Il sangue non smette di scorrere e va a sporcare i pantaloni precedentemente immacolati, che presto si tingono di rosso.
-Cosa c'è, Feli?- Vedo il suo riflesso allo specchio e nella sua mano scorgo un pugnale insanguinato dalla forma stranamente familiare che gocciola sul pavimento di marmo bianco.
Le gocce di sangue cadute per terra diventano sempre più grandi, fino a quando non coprono qualsiasi cosa con il loro colore scarlatto, che lentamente diventa sempre più scuro, fino al rosso più cupo. 
-C'è qualcosa che non va?- Mi sorride in modo strano, come mai lo avevo visto prima. Il sorriso di un assassino.
Per la paura non riesco più ad aprire la bocca neanche per urlare. E intanto lui si avvicina, molto lentamente passo dopo passo. Istintivamente mi giro verso la porta per scappare, ma non c'è più nulla, se non il colore rosso. Mi volto di nuovo verso di lui e mi spavento a vederlo ad una decina di centimetri di distanza da me. Sento il suo profumo misto all'odore del sangue che mi da alla testa. Ho paura ma non piango, non voglio piangere.
-E' TUTTA COLPA TUA.- sussurra al mio orecchio facendomi venire i brividi lungo tutto il corpo. 
Con un gesto fulmineo mi colpisce al petto, dritto al cuore.


Mi sveglio di soprassalto, con una fitta dolorosa al cuore. Istintivamente porto la mano al petto, ma non c'è nulla. Sono ancora nella mia stanza, avvolto nelle lenzuola bagnate dal mio sudore.
-E' stato solo un incubo, niente di più.- Cerco di dirmelo ad alta voce, per tranquillizzarmi, ma ha l'effetto contrario.
Percepisco le ultime parole pronunciate all'orecchio da lui, come se aleggiassero ancora nell'aria, con la sensazione del suo fiato ancora sul collo e dei brividi lungo la schiena.
Un incubo così reale.
Non ho il coraggio di rimettermi a dormire. 
In verità non è la prima volta che passo una nottata insonne, ho perso il conto di tutti gli incubi che ho fatto, ma questo è di sicuro il peggiore di tutti.

Per tutto il resto della mattina rimango in uno stato di trance, come sempre perdo la concentrazione ogni due minuti e non mi accorgo della gente che mi parla.
Forse è perchè non dormo abbastanza, ma preferisco non pensarci, se no mi tornano alla mente brutte cose.
-Generale Vargas?- il segretario entra nel mio studio con un fascicolo di carte in mano. Devono essere i soliti documenti da controllare e firmare.
-Sì, avanti.- Nell'ultimo periodo ho sempre tantissime cose da fare, soprattutto firmare inutili scartoffie e roba varie. Sono in crisi.
-Scusi se la disturbo proprio adesso, ma è appena arrivata la notizia del bombardamento a Messina e... di un certo incidente avvenuto sta notte.- Senza aggiungere nient'altro posa i documenti sul piano della scrivania e se ne va. Di cosa sta parlando? Cosa è successo questa volta? Con calma mi metto a sfogliare la pila di fogli e cartelle, fino ad arrivare ad un sottilissimo fascicolo del campo di detenzione con su scritto "Romano Vargas". 
E questo cosa sarà? Lo apro e vedo dei fogli con su scritto tutti i dati e informazioni riguardo Romano, più altri documenti di identità e certificati. A cosa mi serve tutta sta roba? Mentre sto per mettere da parte il fascicolo, la busta di una lettera cade dalla cartellina. Riporta il marchio e la firma del direttore.

Al gentilissimo Feliciano Vargas,

Siamo davvero dispiaciuti e amareggiati nell'informarla che il suo parente, Romano Vargas, è deceduto l'altra notte a seguito di un attacco aereo.
Sfortunatamente il corpo non è stato ritrovato e non si potranno tenere i funerali del suo caro parente a causa della guerra attualmente in corso.




Rileggo la lettera almeno dieci volte, prima di rendermi conto del vero significato delle parole scritte. Romano è morto? Come è possibile? E adesso?
Cosa devo fare adesso che lui non c'è più? Milioni di domande mi attraversano la mente, ma senza nemmeno una risposta.
Che stupido sono stato! Mi alzo di scatto dalla sedia e mi dirigo verso la porta, che apro di scatto sbattendola.
-Signore? Ha bisogno di qualcosa?- Una signorina in uniforme mi corre incontro, pronta a qualsiasi cosa.
-No. Anzi, sì! Mi faccia preparare un velivolo, subito!- Lei ha un'espressione perplessa, come se non avesse compreso il mio ordine.
-Ma... Signore... Vede, nessuno può lasciare la base senza un permesso ufficiale e lei...- Quante storie per avere un aereo.
-Non mi interessa. Qui comando io e si fa quello che dico io. Ha capito?- Lei non ribatte nulla e al telefono chiama quelli della pista di atterraggio per avvertirli dell'ordine ricevuto.
Magari si sono sbagliati, magari è vivo.



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Quando riprendo conoscenza è già pomeriggio inoltrato e si avvicina la sera. Mi rendo conto di aver dormito per più di 12 ore di seguito completamente indisturbato. 
La scorsa notte è successo un vero disastro, ma sperare che sia solo un brutto sogno è inutile: un aereo in fiamme è caduto sul campo di detenzione e l'esplosivo ha preso fuoco, distruggendo tutto.
Mi guardo intorno e riconosco i fitti cespugli dove ci eravamo rifugiati. E c'è anche lui, lo sconosciuto piovuto dal cielo che mi fissa con curiosità.
-Finalmente ti sei svegliato.- Mi porge una scodella fumante di zuppa di fagioli in scatola. La divorai nel giro di due minuti, sotto lo sguardo divertito dello sconosciuto. Ma anche io lo guardo. Non è italiano e dai capelli biondi e gli occhi azzurri avrei detto che è un tedesco, ma è troppo umano per esserlo.
-Alfred Forster Jones, al vostro servizio. Lei come si chiama?- Mi guarda attentamente, come se fossi una forma di vita curiosa e tutta da studiare. Ma dove l'ho già sentito questo nome? In qualche modo mi suona familiare.
-Sono 984.- E' difficile abbandonare le vecchie abitudini. Lui cambia espressione, come se avessi detto qualcosa di ovvio ma di sbagliato.
-Non voglio sapere il codice del registro. Qual'è il suo vero nome?- Di nuovo curioso. Mai visto uno così.
-Romano. Romano Vargas.- Da quanto tempo non lo dicevo? -Dammi del tu, se no mi fai sentire vecchio.- Il che in effetti è vero, sono più vecchio di lui. 
Comunque, fosse per me, mi rimetterei a dormire per recuperare quasi due anni di insonnia, ma l'interrogatorio evidentemente non è ancora terminato. Lo sconosciuto sgrana gli occhi stupito senza dire una parola, ma dura solo qualche attimo e poi torna alla carica.
-Ma per caso tu sei il...- Quante volte avrò sentito questa domanda? No, dannazione. Non di nuovo! Non gli lascio finire la frase, per paura della verità che salta sempre fuori.
-NO DANNAZIONE! NON SONO FRATELLO DI NESSUNO!- Mi ritrovo ad urlare come un ossesso. L'interlocutore sgrana di nuovo gli occhi e poi fa una faccia serissima che non avrei mai immaginato sul suo viso perennemente allegro. Allegro come era una volta Feliciano.
-Non era quella la mia domanda.- C'è una pausa, colma del mio imbarazzo. -Ma comunque lo sapevo già, Arthur mi aveva parlato di te e di quello che ti è successo. Non hai idea di quanto sei fortunato ad avere un fratello così vicino. Ne ho uno anche io e non so nemmeno se mi vuole bene. Non me lo ha mai detto e forse non me ne vuole. Ma io sì! Se lo perdessi morirei anche io dal dolore, perchè è l'unico e insostituibile. Hai una minima idea di quanto mi manchi la sua presenza? Lui è entrato in guerra nel '39, ben cinque anni fa. Da allora l'ho perso di vista e lui non mi fa sapere nemmeno se sta bene o no, niente. Io gli scrivo e quando ne ho l'occasione cerco di contattarlo via radio, ma non risponde. Tra non molto andrà in Normandia e ho intenzione di raggiungerlo, anche se non vuole. Scommetto che il tuo ti vuole bene, in fondo.- Adesso mi ricordo di lui, Arthur me ne aveva parlato. Ma lui come fa a sapere se mi vuole bene o no? E' andato a chiederglielo di persona?
-Ma tu che ne sai se mi vuole bene? Hai visto dove mi ha rinchiuso? Questo per te significa affetto?- Lui scuote la testa e sorride con le labbra, ma non con gli occhi.
-Si accorgerà di aver sbagliato e chiederà il tuo perdono, vedrai. E' solo confuso, perchè si trova tra due fuochi: te e Germania. Ma tra poco sarà tutto finito e tornerete insieme, come una volta. Mentre io tornerò ad essere odiato da tutti quanti.- Detto questo volge il viso verso il cielo per cercare di nascondere una lacrima.
-E Arthur? Non pensi a lui?- Dopo essersi asciugato gli occhi torna a guardarmi con un'aria triste.
-Che importa? Lui mi odia per quello che gli ho fatto! Ma avevo le mie ragioni. Ero cresciuto e avevo bisogno dei miei spazi, ma questo concetto non riusciva a capirlo ed è andata come è andata. Litighiamo sempre, anche per la cosa più futile. Ma voglio bene anche a lui e gliel'ho detto, ma forse non mi ha neanche sentito o avrà fatto finta di non sentire, come suo solito.-
Per un paio di minuti rimaniamo ad ascoltare il silenzio e ad osservare la sera che si fa avanti spegnendo il sole.
-Dobbiamo andarcene di qui e allontanarci finché ci sarà un po' di luce per vederci.- Si mette in piedi a fatica e mi porge la mano per aiutarmi a mettermi in piedi. 
Solo allora noto che è ferito ad una gamba. Dal pantalone sbrindellato noto anche una fasciatura.
-Ma sei pazzo? Sei ferito! Dove vuoi andare conciato così?- Lui si china per prendere il suo zaino.
-Sto benissimo. Dobbiamo andarcene, subito. Mentre dormivi è passato un aereo italiano a sorvolare la zona almeno tre volte. Credo non ci abbia visto, se no avevamo una pioggia di proiettili addosso. Ma potrebbe tornare di nuovo.- Mi guarda sorridente. -In più dovremmo procurarci dei vestiti nuovi. Con quegli stracci che hai addosso non andrai molto lontano.- Si mette in marcia, con un'andatura leggermente zoppicante ma comunque spedita. Arthur aveva ragione: quando si mette in testa qualcosa non si può fargli cambiare idea.
Dopo aver camminato per un paio d'ore è calata la notte qui in Sicilia. Alfred aveva ragione a dire che l'aereo sarebbe tornato, infatti circa un'ora dopo lo abbiamo visto da lontano sorvolare la zona dell'esplosione. Intanto ne ho approfittato anche io per fargli delle domande.
-Senti, ma tu cosa hai combinato la scorsa notte?- Lui cammina davanti a me e non si ferma un secondo.
-Io niente. Piuttosto sono stati i tedeschi ad avermi intercettato con il radar. Non hanno esitato a colpirmi il motore che è andato subito a fuoco. Il resto lo puoi immaginare. Sentivo che c'era qualcosa che non andava.- Il resto dei fatti li conosco: mi è venuto addosso mentre scendeva con il paracadute, poi mi ha praticamente caricato in spalla e mi ha portato in un rifugio in mezzo ai cespugli. E' successo tutto talmente in fretta che molti particolari non me li ricordo. Non è sopravvissuto nessuno a parte noi due. -Spero solo che non sia troppo tardi...- Non ho fatto molto caso alle sue parole perchè ero completamente immerso nei miei pensieri. Nessuno ha più detto qualcosa, perchè tutti e due avevamo la testa rivolta verso casa nostra.
Dopo due ore ci siamo accampati in mezzo alla vegetazione, per non rischiare. Giusto il tempo di mangiare e mi sono subito messo a dormire, vinto dall'infinita stanchezza che mi porto sulle spalle.

-Hey! Svegliati!- Mi sento dare dei colpi alle caviglie. Ma che ore sono? Mi sembra di essermi addormentato dieci minuti fa! Apro gli occhi e non vedo nulla se non una figura in piedi vicino a me e le stelle nel cielo. Sì, ho dormito solo dieci minuti. -Dobbiamo andarcene di qui! Ho sentito delle voci poco lontano e si stanno avvicinando.- Afferrandomi per le braccia mi rimette in piedi senza sforzi e io non riesco a trattenere degli insulti. Perchè proprio adesso?
Alfred tira fuori una torcia elettrica dal suo zaino e l'accende, illuminando un sentiero. Ci mettiamo subito in marcia, sempre stando attenti a non uscire dalla vegetazione. Qualche metro più sotto c'è una stradina sterrata e da lontano vediamo una camionetta tedesca con due soldati a bordo che si avvicina sempre di più. 
Appena Alfred la vede spegne la luce della torcia e tira fuori dei chiodi. Ha proprio di tutto in quello zaino! Capisco subito cosa vuole fare, infatti li butta sulla strada. Proprio come speravamo: al passaggio del veicolo si buca una gomma, producendo un debole fischio. La camionetta è costretta a fermarsi e subito volano insulti in tedesco.
-Bene, all'attacco!- Mi porge una delle due doppiette che tiene in mano e con un salto scende in strada. Ma che fa?! L'eroe? Sono costretto a seguirlo per coprirgli le spalle.
-Mettete le mani in altro e ben in vista!- Colti alla sprovvista, i due soldati si voltano di scatto per vedere i loro aggressori. Le loro armi sono dentro all'automezzo e si rendono conto di non poterle recuperare, a meno che non vogliano una pallottola piantata in fronte. Entrambi alzano le mani sopra la loro testa.
-Spogliatevi.- Lentamente Alfred si avvicina ai due, sempre tenendo la pistola spianata. Ma ho sentito bene? I due tedeschi si sono già tolti la giacca e molto lentamente si sbottonano la camicia.
-Ma che cazzo fai?! Vuoi uno spogliarello?- Lui volta la testa di scatto, fulminandomi con lo sguardo.
-Li vuoi dei vestiti puliti o no?- Non si sarebbe dovuto distrarre. Uno dei due, cogliendo l'occasione al volo, si butta sopra l'americano schiacciandolo a terra, mentre l'altro si lancia verso la camionetta e afferra un mitra. Ma io non sono rimasto a guardare e gli ho sparato due colpi in pieno petto. Anche il suo compare lo ha subito seguito all'inferno, con un colpo in pancia. Alfred si mette subito in piedi e spoglia i due corpi. Io non li voglio neanche toccare quei due.
-Ecco, prendi.- Mi lancia l'uniforme di quello più magro, ma mi sta comunque troppo grande. Sono enormi i tedeschi! Anche Alfred si cambia l'uniforme, lasciando quella americana di un color marroncino chiaro per quella tristemente grigia dei nazisti. Si tira indietro i capelli e si mette il cappello dell'uniforme. 
-Come sto?- Fa una finta faccia incazzata e si mette in una posa statuaria. Per un attimo sembra davvero un tedesco, ma poi scoppia in una risata contagiosa e malgrado la triste situazione ci pieghiamo tutti e due dalle risate. Una cosa è certa, non sarà mai un buon nazista.
Dopo esserci ripresi, ci mettiamo subito al lavoro. Lui sposta i corpi verso il ciglio della strada e io cambio il pneumatico bucato, perchè per fortuna ce ne uno di riserva. Mettiamo a posto le armi e ci mettiamo in viaggio a bordo della camionetta. Mentre lui guida io non resisto più al sonno.
Ma comunque non riesco a dormire a lungo, svegliato dagli scossoni dovuti al terreno accidentato. Alfred è visibilmente stanco, ma non vuole lasciarmi il volante, anche perchè solo lui sa dove vuole andare. Ripensandoci non gliel'ho mai chiesto! Con il pretesto di tenerlo un po' sveglio mi metto a fare conversazione con lui.
-Dove stiamo andando di preciso?- Lui non scolla neanche per un momento gli occhi dalla strada, continuando ad assumere un'espressione concentrata.
-Nella mia base.- Ha un tono di voce nervoso o forse anche preoccupato. Per cosa è difficile dirlo, perchè quel ragazzo è tutto da interpretare.
-E quanto dista? Se posso chiedertelo?- Lui frena di colpo prendendomi alla sprovvista. Ma che cosa gli prende?! Mi guarda, ma è troppo buio e non riesco a vederlo chiaramente. Senza darmi una risposta afferra la cartina dal cruscotto e la apre di scatto, poi con la torcia la illumina. Non faccio nessun commento, temendo che esploda da un momento all'altro.
-La vedi questa?- Sulla carta indica un punto dell'isola. I nomi delle località sono scritte tutte in tedesco. -E' Messina. E la vedi questa? E' la mia base.- Sposta il dito di un paio di centimetri e sopra c'è scritta la voce "Us-Basis". -Quella base dista in linea d'aria circa 20 km da Messina. Ci sono due problemi: il primo è che siamo in montagna, e in montagna le strade non sono diritte come in città. Quindi, per percorrere quei fottuti 20 km ci impiegheremo anche tutta la notte! Il secondo problema è che quella base dovrebbe essere segreta! Solo l'esercito americano e quello inglese dovrebbero esserne a conoscenza. Ma vedi, qui è segnata! Ciò significa che i tedeschi sapevano tutto fin dall'inizio, magari intercettavano già le nostre comunicazioni e sapevano del bombardamento a Messina. Infatti mi pareva parecchio strano che a quell'ora di notte fossero tutti alzati ad aspettare che passassi io con il mio aereo. Venendo al punto, sono tutti in pericolo perchè non sanno che i tedeschi sanno! Mi capisci?! Hai idea di cosa significhi?! Tutte le informazioni e piani militari passano da li!- Alla fine del suo discorso sta praticamente urlando, incurante del fatto che qualcuno potrebbe sentirci. Non so proprio cosa dire, la sua scenata isterica mi ha praticamente lasciato basito. Senza aspettare una mia risposta preme sull'acceleratore e riparte a tutta velocità, stringendo fortissimo il volante. Non sa dove andare.
-Lascia che guidi io. Non sarò un asso in geografia ma conosco il mio territorio.- Lui frena di nuovo e scende dal mezzo, poi fa il giro e apre la mia portiera. Con un cenno della testa mi intima di scendere e non esito un attimo. Lui si siede sul sedile del passeggero e io prendo il suo posto da guidatore.
Riparto e prendo una strada sterrata quasi nascosta in mezzo alla vegetazione. Chissà da quanto tempo nessuno passava di li.
Alfred non dice una parola e mi accorgo che si è addormentato. In fondo capisco la sua reazione nervosa: è preoccupato per Arthur e poi non dormiva da due notti.

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Ci ho messo parecchio a scrivere questo capitolo, un po' perchè ero momentaneamente a corto di idee e un po' perchè è piuttosto lungo da scrivere.
Comunque sia, sono entrambi vivi e vegeti e uno è molto preoccupato per Arthur (anche se la scrittrice non lo vuole farglielo ammettere). :3
Fatemi sapere come vi sembra...

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Capitolo 12
*** Caduta libera ***


Ho tentato e riprovato più volte a sorvolare la zona dell'esplosione senza trovare anima viva da nessuna parte, solo fumo e fuoco. Le fiamme hanno continuato a bruciare i resti per due giorni di fila, senza che nessuno le andasse a spegnere per paura che ci siano delle altre bombe inesplose.
Di Romano nessuna traccia.
Ho pilotato l'aereo io stesso, con un secondo pilota al mio fianco che cercava di convincermi a lasciare perdere e anche quelli della pista di atterraggio mi dicevano che era solo una perdita di tempo. Infatti è stato tutto inutile, un semplice spreco di tempo prezioso, ma ho volato per 5 volte lassù per vedere. 
Ma chissà come mai mi sono convinto che lui è vivo, nei miei sogni che si potrebbero solo definire incubi. Ogni notte viene a tormentarmi, accusandomi che è colpa mia per tutto quello che è successo. 
Devo pensare a cosa fare adesso che lui non è qui, trovare una soluzione e riuscire a rimpiazzarlo. Ma come? 
Per quasi due anni ho tenuto occupato il suo posto, ma poi saremmo dovuti tornare di nuovo insieme, una volta che avrei vinto questa guerra, anche se lo avevo inacciato di farlo rimanere rinchiuso in quel lager per il resto della sua vita, non è vero! Non gli avrei mai fatto una cosa del genere! Ma adesso che lui non è più con me in questo mondo io cosa devo fare? Andare avanti e non pensare al passato così vicino al presente. Non pensare alle sue continue visite notturne.


Riesco a trovare uno spiazzo in cui atterrare con il velivolo. Sono da solo, il secondo pilota non c'è più. Solo con me stesso.
Il cielo è grigio come il terreno, fiocchi di cenere non smettono di cadere e risollevarsi spostati dal vento.
Le fiamme incominciano a spegnersi dopo aver consumato tutto quel poco che c'è da bruciare. Corpi carbonizzati ovunque, alcuni sembrano essersi fusi con altri reando un blocco di carbone unico. Uno spettacolo macabro, molto simile a quello avvenuto a Pearl Harbor tempo fa.
Ma poi lo vedo, mio fratello. Disteso a terra senza bruciature o ustioni, ma con un buco all'altezza dello stomaco, dove intorno c'è solo più sangue rappreso. 
Indossa una divisa tedesca che gli sta troppo grande. Sembra addormentato in un sonno piacevole, come se non fosse a conoscenza di quello che lo circonda. 
Mi avvicino cercando di non fare rumore per paura di disturbarlo, ma la cenere scricchiola sotto i miei piedi come la neve fresca.
-Romano, svegliati.- Mi chino sopra di lui e gli sussurro questa frase, ma vorrei dirgli di più, dirgli quello che non sono mai riuscito ad esprimere a parole.
Nessuna risposta, non si muove di un millimetro. Lentamente allungo una mano verso il suo viso, ma all'improvviso mi blocca afferrandomi per il polso con una presa fortissima da farmi scricchiolare le ossa. Trasalisco dalla sorpresa e dall'improvviso dolore, poi lui mi tira a sé, vicino al suo viso.
-E' TUTTA COLPA TUA.- Mi sussurra all'orecchio e il suo fiato è gelido come la neve. 
Improvvisamente tutto il mio corpo si paralizza e una patina di brina e ghiaccio si espande a partire dal mio orecchio, lentamente e molto dolorosamente fino a rimanere completamente ibernato.


-NON E' COLPA MIA!- Mi ritrovo ad urlare nel mio letto, ma questa volta non mi sento accaldato, ma paralizzato dai sudori freddi. E un dolore acutissimo al polso.



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Ho dovuto fare un giro infinito perchè sulla mappa c'è segnato un avamposto tedesco in mezzo alle montagne, proprio dove sarei dovuto passare io, quindi sono tornato indietro e ho fatto un giro largo allungando il tragitto di almeno 30 km dalla destinazione. In tutto ho percorso una quarantina di chilometri e sono rimasto a secco, esaurendo anche la piccola tanica di scorta.
Ci mancano 4 km da percorrere e dobbiamo farli a piedi ma aspetto almeno il sorgere del sole, perchè non vale la pena di girare a vuoto nel buio della notte.
Alfred si è calato il berretto della divisa sul volto e da li non si è più mosso. Non ho intenzione di svegliarlo proprio adesso, anche se manca un'ora all'alba, aspetteremo pazientemente che sorga il sole.
Alla fine anche io mi metto a dormire, ma stando strettamente abbracciato a un mitra, nel caso ce ne fosse bisogno.

Poi finalmente sorge il sole, dopo aver aspettato un'infinità di tempo. Alfred dorme un po' scosso da dei brividi sul sedile di fianco con il berretto abbassato sul viso. All'improvviso si sente il rumore di diversi motori. Guardo in cielo ancora un po' scuro e riconosco degli aerei tedeschi che sorvolano a bassa quota il cielo. Brutto segno.
-Alfred! Svegliati!- Lo scuoto da una spalla e lui si sveglia allarmato. Ha gli occhi arrossati e lacrimosi. Non mi dire che si è preso il rafreddore.
-Cosa c'è? Dove siamo?- Si guarda intorno. -Ma dove mi hai portato?- Mi accusa con lo sguardo, come se fosse colpa mia.
-Siamo rimasti a secco e dobbiamo farcela a piedi. Poco fa sono passati degli aerei. Spero solo che non si mettano a lanciare bombe.- C'è poco da scommetterci, ma non bisogna mai pensare negativo. Prima di metterci in marcia però dovremmo pensare alla colazione, solo che Alfred non ha altre scorte nel suo zaino e adesso non abbiamo più niente. Mi metto a frugare sul retro della camionetta e trovo dei barattoli di salsicce con crauti sottaceto, più qualche di bottiglia di birra.
I tedeschi sono davvero poco originali per quanto riguarda l'alimentazione, ma preferisco mangiarmi questa robaccia piuttosto di rimanere a stomaco vuoto. 
Alfred si stiracchia la schiena e le braccia, poi non faccio tanto caso a quello che fa perchè sono troppo impegnato a prendermela con le pessime abitudini alimentari dei crucchi bastardi. 
-Shit- Sibila tra i denti richiamando la mia attenzione. E' ancora seduto sul sedile della camionetta e mi da la schiena, quindi non posso vedere cosa sta facendo  esattamente, ma sento il tintinnio della fibbia della cintura e capisco che si sta slacciando i pantaloni. 
-Ma che fai?!- Mi avvicino a lui e da sopra la sua spalla posso ammirare le sue mutande, fino a quando con fatica e con movimenti impacciati riesce a togliersi del tutto i pantaloni, scoprendo la sua ferita alla gamba. La fasciatura improvvisata con uno straccio è totalmente coperta di sangue quasi rappreso e anche i pantaloni ne hanno assorbito gran parte. Solo adesso mi torna in mente che lui è rimasto ferito sull'aereo! Con una smorfia di dolore Alfred appoggia il piede sul cruscotto e lentamente srotola la fasciatura. All'inizio si è srotolata senza problemi, ma poi ci siamo accorti che la stoffa si è incollata alla ferita e cercando di staccarla se ne va anche qualche strato di pelle bruciata intorno allo squarcio. Per poco non mi sviene dal dolore mentre cerca in qualche modo di togliersi la benda. In un attimo abbandono l'idea di mettermi a fare colazione tranquillo e raggiungo l'americano sedendomi accanto a lui. Alfred quasi in lacrime lascia cadere le braccia vicino ai fianchi e si accascia sconfitto e delle scosse percorrono il suo corpo, mentre io tra una bestemmia e l'altra cerco nel suo zaino qualcosa che possa tornare utile, ma trovo solo un pezzo di stoffa sudicio.
-Fa freddo...- Biascica a fatica queste due parole e intanto cerca di scaldarsi stringendosi nella giacca, ma le gambe sono nude. In effetti fa piuttosto freddo la mattina qui in montagna, ma il sole si è levato da poco e c'è ancora tempo prima che scaldi l'aria. Prima mentre cercavo qualcosa da mangiare avevo adocchiato una coperta di lana, l'ho recuperata e gliel'ho messa addosso. Per sbaglio gli sfioro la guancia e rimango colpito da quanto scotta la sua pelle! Gli tocco la fronte con le labbra: ha almeno 39 gradi di febbre. Questa proprio non ci voleva. Da lontano si sentono dei boati, ma Alfred sembra non accorgersene, per fortuna.
Non resta altro da fare che togliere quella fasciatura e sperare che la pelle rimanga al suo posto. Al solo pensiero di vedere la carne viva mi vengono i conati di vomito, ma in qualche modo mi faccio coraggio. In fondo Alfred è poco più giovane di Feliciano e ha tutto il diritto di vivere e imparare dalle sue cazzate, proprio come questa: come gli è venuta in mente l'idea di trascurare in questo modo una ferita del genere proprio non lo capisco.
Dopo aver preso un bel respiro profondo afferro il lembo di stoffa con una mano e con l'altra tendo la pelle dalla parte opposta. Alfred non fa in tempo a fermarmi che viene scosso da una fitta appena incomincio a tirare e le sue suppliche vengono interrotte da un urlo straziante persino per le mie orecchie. Per farlo stare zitto gli ficco in bocca lo straccio che ho trovato nel suo zaino e lui colto dalla sorpresa per poco non soffoca. Riprendo a tirare e per fortuna la pelle bruciata rimane attaccata alla carne. Piano piano riesco a toglierla tutta e scopro uno squarcio suturato abbastanza bene, ma comunque sembra fare infezione nonostante il disinfettante. 
Credo che sia una delle ferite più impressionanti che abbia mai visto durante la mia breve carriera militare: il taglio è nero a causa del sangue rappreso e siccome il filo non è abbastanza lungo ha usato anche delle clip chirurgiche. Tutt'intorno la pelle è livida e in alcuni punti anche gialla, in altri è bruciata, per non dire letteralmente carbonizzata.
Provo a guardare anche nel cassone della vettura e trovo una scatola di pacchetti di primo soccorso, di quelli che si portano in battaglia i soldati. Dentro a ogni pacchetto ci sono tre cerotti di misure diverse, una bottiglietta di disinfettante, dei batuffoli di cotone, una lunga striscia di garza, ago e filo. Forse i tedeschi non saranno dei buongustai, ma sotto molti altri punti di vista sono ben organizzati: i soldati italiani si possono sognare delle cose del genere in tempi di guerra, se hai bisogno di cure urgenti devi sperare che qualcuno si sia portato qualcosa per le medicazioni, se no ti arrangi con quello che trovi.
Imbevo il cotone con i disinfettante e lo strofino più piano che posso sulla sutura per due volte per togliere i residui di sangue e così anche sulla bruciatura, poi 
avvolgo la garza intorno alla sua gamba e chiudo il tutto con un nodo stretto. Mi faccio i complimenti da solo per il lavoro che ho fatto, perchè Alfred è caduto addormentato accasciandosi sul sedile. Gli sembra questo il momento buono per fare una pennichella? Gli mollo due schiaffi sulle guance e gli tolgo di bocca lo straccio. Lui alza la testa di scatto e apre gli occhi, che sono sempre rossi e lucidi. Purtroppo non ho nessuna medicina da dargli per abbassare la febbre, bisogna raggiungere la sua base e sperare che sia ancora in piedi.
-Sto bene....- Farfuglia cercando di scendere dal mezzo e intanto infilarsi i pantaloni. Non riesce a fare nessuna delle due cose e devo afferrarlo per la giacca per evitare che cada a terra come un sacco di patate. 
-Tu non vai da nessuna parte!- Lo costringo a rimettersi seduto e intanto faccio il giro del mezzo per andare dal suo lato. Mi fa quasi tenerezza vederlo in questo stato e avvolto come in un bozzolo di coperte, tutto quello che si riesce ancora a vedere sono la punta degli stivali e gli occhi, tutto il resto è coperto.
Adesso però bisogna pensare a mangiare e recupero il barattolo di salsicce e crauti, in silenzio ce lo mangiamo sorseggiando a ogni boccone della birra, che forse è l'unica cosa buona. Alfred dal canto suo non fa alcun commento e mangia la sua parte in silenzio.
Tra una cosa e l'altra abbiamo quasi perso un'ora e il sole si sta alzando sempre di più, avvicinandosi piano piano al mezzogiorno.
Finito il pasto, raccattiamo tutto quello che possiamo portarci dietro: lui prende un fucile di precisione, io il mitra, una cartina, una bussola, salsicce e crauti.
-Quanto siamo distanti?- Lui cammina dietro di me, che gli faccio strada su uno strettissimo sentiero circondato dalla fitta boscaglia.
-Non molto: circa 4 km. Se manteniamo un passo spedito arriveremo quasi per l'ora di pranzo.- Mentre lo dico guardo la cartina e la bussola per orientarmi.
-Cosa?! Per pranzo?! A quell'ora potrebbero essere tutti morti!- Mi volto per guardarlo in faccia. Si è avvolto nella coperta come se fosse una madonna e il suo ciuffo di capelli ribelle spunta come un'antenna. Devo sforzarmi di mantenere un'espressione seria e impassibile per reggere il suo sguardo.
-Ma cosa vuoi che succeda?- Lui si ferma e mi guarda storto. -Vedrai che andrà tutto bene.- Mi volto di nuovo verso il sentiero davanti a me e riprendo a camminare.
-Quando mi dicono così poi succede un disastro.- Sollevo gli occhi al cielo e tiro un lungo sospiro. Potrebbe anche cercare di non pensare troppo negativo!
-Che ti posso dire? Tu hai la febbre e comunque non possiamo correre su questi piccoli sentieri, se no quando inciampiamo rotoliamo giù fin dove siamo arrivati.- Stranamente non ribatte nulla, ma all'improvviso mi fa voltare di scatto e poi mi solleva da terra come se se fossi un sacco di piume e mi carica in spalla. 
-M-ma cosa fai?! Mettimi subito giù!- Per poco non mi viene un infarto!
-Dobbiamo correre il rischio di rotolare giù dalla montagna.- Ignorando i miei insulti e lamentele prende a correre zoppicando, anche se è gravemente ferito ad una gamba e ha quasi la febbre a 40.
Mi rassegno all'evidenza che non vengo minimamente preso in considerazione e cerco di mettermi comodo anche se ho la pancia schiacciata sulla sua spalla e anche se sono girato al contrario del senso di marcia, gli do lo stesso le indicazioni della strada con la cartina aperta. Se qualcuno ci vedesse si piegherebbe dal ridere: una specie di fantasma febbricitante americano avvolto in una coperta con in spalla un italiano dentro un'uniforme nazista maledettamente troppo grande che cerca di non vomitare le salsicce che ha mangiato per colazione e che tenta in qualche modo di tenere la cartina aperta.

Poi finalmente arriviamo alla base, se si può ancora chiamare così. Macerie ancora fumanti sparse per terra, voragini nel terreno, aerei e altri mezzi militari ancora in fiamme, corpi carbonizzati per terra, la  cenere che si solleva dal terreno in vortici e si posa di nuovo per terra. Il sole si è nascosto da un po' dietro le nuvole. Il cielo, la terra e persino gli alberi si sono scoloriti dopo aver assistito a questo macello. A 500 metri di distanza c'è un edificio in parte crollato su se stesso ma l'altra parte si tiene miracolosamente in piedi. La rete elettrificata che circonda tutto il perimetro è in parte disintegrata.
-Alfred?- Lo chiamo per accertarmi che sia ancora sveglio e che non mi sia svenuto da qualche parte. Non ricevo risposta da lui.
-Ma dove sei?- Mi volto per cercarlo con lo sguardo e lo vedo seduto in posizione fetale su un grosso masso al limite del bosco, l'arma buttata per terra ai suoi piedi, in stato di trance con un'espressione indecifrabile in volto.
-Tutto bene?- Ma come posso chiedere una cosa del genere? Ovvio che non va tutto bene! Lui alza lo sguardo verso dei me, gli occhi vuoti che non esprimono né rabbia e né rancore.
-Siamo arrivati troppo tardi.- Mi dice infine, la voce gli trema e infatti le lacrime arrivano in ritardo, rotolando copiose fino al mento, dove poi si lanciano affrontando il vuoto. Che posso dirgli per consolarlo? Niente. Ha perso tutto come me.
-Senti, magari è rimasto qualcuno di vivo la sotto le macerie. Dovremmo andare a vedere...- Una cosa poco probabile, anzi, impossibile. Lui annuisce piano e lentamente recupera il suo fucile da terra.
-Ti copro le spalle, allora.- Lo dice pianissimo, ma con il silenzio tombale che c'è qui riesco a sentirlo benissimo. E' chiaro che non vuole avvicinarsi a quel posto, forse ha paura di vedere dei suoi amici e colleghi morti. E Arthur.
Recupera un po' della sua voglia di vivere e si siede sopra una lastra di metallo per fare la sentinella in un punto dove si può vedere gran parte dello spiazzo. 
-Io vado avanti. Fammi un fischio se vedi qualcuno.- Annuisce di nuovo e si guarda intorno sconsolato.
A me non resta da fare altro che avanzare e vedere cosa è stato risparmiato sotto il bombardamento. I piedi mi affondano della cenere che si solleva a causa dello spostamento d'aria. I morti non sono più riconoscibili perchè sfigurati dalle fiamme, ma so che i soldati americani portano al collo una piastrina di riconoscimento. Alcuni si sono fusi insieme, altri si sono addirittura incollati alla blindatura dei carri armati e degli aerei. Ogni tanto mi volto per guardare nella direzione di Alfred, per accertarmi che non si sia allontanato o che gli sia successo qualcosa. Dopo un po' però mi dimentico di controllare e appena me ne rendo conto mi volto di scatto. Alfred non c'è.
Il panico e il terrore si appropria della mia mente facendomi perdere il controllo. Dove si è cacciato? Gli è successo qualcosa? Sta bene? 
-Forse si è addormentato.- Sembra assurdo pensarlo perchè in casi simili nessuno cede al sonno, ma avendo la febbre è comprensibile. Avrei dovuto farlo venire con me.
Mi trovo a un centinaio di metri di distanza dall'edificio miracolosamente in piedi. Penso di aver anche avvertito uno spostamento dalla finestra, ma spero di essermi sbagliato. Se c'è qualcuno nascosto la dentro rischio davvero grosso a rimanere così esposto.
Mi guardo intorno e adocchio un pezzo di muro ancora in piedi, così mi metto a correre in quella direzione. All'improvviso il boato di uno sparo interrompe il silenzio. Sono quasi riuscito a rifugiarmi dietro al muro ma una pallottola mi entra nel petto vicino allo stomaco. Succede tutto così velocemente che non mi rendo nemmeno conto che sto morendo. Ma non si sta male, non sento nulla e mi sembra di vedere tutto al di fuori del mio corpo, fino a quando il buio non mi abbraccia.


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Continuo a guardare Romano che si allontana lentamente attraverso quella che una volta era la pista di atterraggio per gli aerei.
Siamo arrivati troppo tardi. Lo sapevo! Tutta colpa mia che ho fatto perdere tempo con la medicazione della gamba, che adesso non smette di pulsare insistentemente, in più come se non bastasse deve aggiungersi anche un dolore fortissimo alla testa e le lacrime agli occhi.
Mi sono sdraiato a pancia in giù contro una lastra di metallo ancora calda, che a contatto con il mio corpo mi scalda fino alle ossa e così smetto di tremare di freddo. Con il mirino ottico montato sul fucile studio i movimenti di Romano. Non smette di guardarsi intorno, poi si ferma e rimane ad ammirare il palazzo che ha di fronte.
Ho preferito non andare con lui, perchè ho paura di trovare qualche conoscente o peggio, Arthur bruciato vivo. Vorrei solo andarmene da qui al più presto.
Mi sposto una trentina di metri più in la, dove ho adocchiato  una lastra di cemento dove posso sdraiarmi per rimanere in mira, con la coperta grigia addosso è difficile che venga visualizzato.
Mi sdraio a pancia in giù e con un angolo della coperta mi copro l'occhio sinistro per non affaticarlo sforzandomi di tenerlo chiuso mentre sto in mira, poi riprendo ad osservare la situazione con il mirino. Romano deve essersi girato nella mia direzione e ora si sta voltando di nuovo verso il palazzo, sembra agitato per qualcosa.
Guarda di nuovo su e fa uno scatto all'indietro, come se avesse visto qualcosa che lo ha spaventato, poi si guarda intorno e prende a correre. In un attimo raggiungo il punto in cui stava guardando e alla finestra scorgo un cecchino armato con un fucile di precisione che sta prendendo la mira. Sono già pronto per sparargli un colpo in mezzo alla fronte, ma il boato di uno sparo mi spaventa facendomi fare uno scatto con la mano, così colpisco il telaio della finestra da cui è affacciato. 
L'individuo alza la testa di scatto, colto alla sprovvista. Proprio in quel momento lo riconosco.
Non ci posso credere! Lui non dovrebbe trovarsi qui in questo momento! Ma è proprio Matthew in carne ed ossa! E dire che stavo per sparargli!
Senza pensarci mi metto a correre verso l'edificio dimenticandomi di quello che mi circonda, troppo felice di vedere il mio adorato fratellino vivo dopo tutto questo tempo. Ignoro completamente le fitte di dolore alla gamba che mi fa zoppicare. 
Sento di nuovo un forte boato e una frazione di secondo dopo una pallottola mi si conficca nella gamba, vicinissima alla ferita. Mi sento afflosciare per terra, come in una caduta libera, senza neanche la forza di urlare. Cadendo sbatto malamente il mento contro dei pezzi di macerie, stordendomi completamente, in più perdo gli occhiali e non riesco a trovarli, tastando inutilmente in mezzo alla cenere davanti a me. Un altro sparo echeggia nell'aria ferma, ma questa volta la pallottola mi trapassa da parte a parte la spalla sinistra, passandomi vicinissimo all'orecchio ho avvertito persino lo spostamento d'aria. 
Senza perdere altro tempo cerco di rimettermi in piedi e in qualche modo striscio da una parte appoggiando la schiena contro un muretto di cemento. Il fucile mi è volato cinque metri più in la, ma per recuperarlo devo andare allo scoperto.
Nel giro di un minuto la coperta diventa da grigia a rossa a causa della forte perdita di sangue. 
Vorrei chiamare in mio aiuto Romano, ma una cinquantina di metri più in la lo vedo a terra, morto.
Intanto ogni secondo che passa perdo sempre più sangue, anche se cerco inutilmente di bloccare la fuoriuscita del sangue della gamba non riesco a fare abbastanza pressione, la vista diventa sempre più sfocata, la testa mi gira vorticosamente. Delle voci si avvicinano sempre di più, fino a quando delle figure che non riesco a distinguere mi si piazzano davanti, puntandomi il fucile contro. Sembrano litigare tra loro, urlandosi qualcosa che però mi arriva alle orecchie come un assordante boato continuo, poi finalmente perdo i sensi, o forse muoio, chi può dirlo. L'ultima cosa che vedo abbastanza distintamente è il grigiume del muretto e poi una strisciata color rosso acceso, il mio sangue.

 

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Capitolo 13
*** Sorpresa ***


-MA GUARDA COSA HAI FATTO!- Arthur urla in direzione di Matthew, che rimane in piedi immobile, senza riuscire ad esprimersi per la vergogna e il dolore che prova.
L'inglese piange e trema stringendo la testa di Alfred al suo petto, accarezzandogli i capelli e il viso in modo quasi compulsivo, guardando il sangue nero e denso che scorre lentamente sul cemento formando dei lunghi rivoli che inzuppano anche la sua divisa, già sporca e polverosa.
-Arthur... M-mi dispiace...- Cerca di dire il canadese ripete come un automa, ma ancora non riesce a muoversi per lo shock. Non è stata sua intenzione ucciderlo e se lo avesse riconosciuto da lontano non gli avrebbe mai sparato, ma ha visto solo l'uniforme tedesca e tanto gli è bastato per colpirlo. Ma adesso si sente terribilmente in colpa per lo sbaglio che ha fatto e vorrebbe rimediare, ma forse è troppo tardi.
-COSA FAI LI IMPALATO?! CHIAMA IL MEDICO!- Arthur non smette di urlare e piangere addosso a suo figlio, o fratello, o compagno, o qualsiasi altra cosa per descriverlo.
Matthew scatta e corre verso il rifugio che è rimasto miracolosamente in piedi dopo il bombardamento per cercare l'unico medico sopravvissuto dei quindici che c'erano prima dell'attacco. 
Arthur intanto tenta inutilmente di svegliare l'americano e all'orecchio gli sussurra parole dolci e confortanti come per tranquillizzarlo da un pericolo, mentre lo bagna con le lacrime che continuano a scorrere senza fermarsi, alimentate dallo sconforto e il dolore. 
Un rigoletto di sangue prende a scorrere da un angolo della bocca fino al collo e Arthur lo pulisce con il suo fazzoletto candido, come faceva una volta quando Alfred si sporcava mentre mangiava. I ricordi del passato non fanno altro che alimentare la sua sofferenza.
Nel giro di un minuto arriva il medico più un paio di soldati con una barella e caricano il corpo ferito la sopra, poi lo spingono al riparo all'interno dell'unico edificio.
Romano è ancora li al suo posto, l'unico corpo non carbonizzato in mezzo alla cenere, dimenticato.


Per tutto il resto della mattinata e del pomeriggio il povero medico tenta di salvare quella povera anima, ricucendo la ferita alla gamba, già molto grave e poi anche la doppia ferita alla spalla. Per fortuna Alfred non è cosciente, perchè avrebbe sofferto tantissimo senza anestesia.
Dopo le dovute medicazioni, più un'iniezione per abbassare la febbre, bisogna solo più aspettare pazientemente il suo risveglio, sempre se ce la farà.
A Matthew nessuno ci pensa: non si sono accorti che trema dalla testa ai piedi, si tortura le mani graffiandole. Nemmeno Arthur se ne è accorto e continua a rimproverarlo da ore e ore, facendolo sentire sempre peggio.
-Ma perchè lo hai fatto?! Non lo hai visto?- Punta un dito accusatore contro Matthew, che poverino non riesce a trovare le parole per scusarsi, perchè subito viene attaccato dall'inglese con altre accuse. Arthur non smette di girare per la stanza come un animale in gabbia, maledicendo il mondo intero.
-E' sopravvissuto ad un'esplosione quasi per miracolo e tu gli spari! Ma guarda un po' te! Sei un ingrato!- Pronuncia l'ultima parola con odio, che va ad avvelenare il povero canadese con altri sensi di colpa. Fa un altro giro nella stanza e si sofferma un attimo a guardare il viso angelico del suo adorato "bambino", come lui si ostina a definire nonostante sia ora mai un giovane uomo a tutti gli effetti.
-Se lo avessi riconosciuto non gli avrei sparato di certo!- Matthew cerca di giustificarsi come può, ma naturalmente non viene minimamente presa in considerazione il suo punto di vista.
-Ti rendi conto?! Adesso dovremmo sloggiare da questo luogo maledetto ma con Alfred in queste condizioni non possiamo andare da nessuna parte!- Proprio in quel momento si sente il familiare rumore di un motore di un aliante. In un attimo tutti scattano a recuperare le proprie armi.
-Tu stai qui con tuo fratello. Non ti muovere per nessun motivo.- Accompagna questa raccomandazione che suona un po' come una minaccia con uno sguardo d'odio, insieme ai soldati americani e inglesi sopravvissuti si precipita al piano terra, pronto per entrare all'attacco.
-E' un veicolo italiano!- Quello messo di guardia si precipita per informare il generale Kirkland, che fa a tutti segno a un gruppo di andare all'ultimo piano, e agli altri di rimanere nascosti sotto le finestre in completo silenzio. L'aereo atterra poco lontano, sollevando una nuvola di cenere.

-Matthew?- Il canadese sobbalza nel sentirsi chiamare all'improvviso dietro di se. Si volta di scatto e vede Alfred sveglio. Vorrebbe saltargli addosso e abbracciarlo per verificare che sia veramente vivo, ma si trattiene perchè non è abituato a manifestare con lui il suo affetto. Gli ha sempre causato tantissimi problemi e per questo ha sviluppato anche un certo odio per lui. Alfred lo sa, se ne è accorto e vorrebbe rimediare, ma ad ogni suo tentativo viene allontanato sempre di più.
Matthew si avvicina velocemente alla branda e vede che suo fratello gli sorride, con uno di quei sorrisi ampi e sinceri che è in grado di fare solo lui anche in situazioni di questo genere. Vorrebbe mettersi a piangere per la commozione, ma cerca di trattenersi. Si siede su una cassa di munizioni vuota e con una mano stringe quella del fratello. E' vivo, per fortuna.
-Hai una buona mira, sai?- Alfred ha la voce rauca. -Ti ho insegnato bene.- Si guardano intensamente negli occhi, cercando di carpirne i segreti che nascondono. 
Quando andavano ancora d'accordo il fratello maggiore ha insegnato al minore come si spara, come si lanciano le granate, come si impugna un coltello da battaglia, come si piazzano le mine e tante altre cose, perchè lui ha avuto per primo l'esperienza della guerra già da quando era giovanissimo.
Senza gli occhiali Alfred sembra diverso, si possono vedere meglio gli occhi e di conseguenza anche le espressioni, ciò che trasmettono. Matthew invece vorrebbe nascondersi per la vergogna, per aver commesso un errore del genere. I suoi occhi si riempono di lacrime amare.
-Non preoccuparti, è tutto a posto.- Cerca di consolarlo accarezzandogli il viso e asciugargli le lacrime che fuggono dal controllo del padrone.  
-Sono qui con te.- Intanto gli sorride. Non ce l'ha con lui per quello che ha fatto, perchè in fondo anche lui ha rischiato di ucciderlo. Ma le lacrime spesso sono contagiose e tutti e due si ritrovano a piangere insieme.
-Mi dispiace... mi dispiace tanto.- Ripete come una preghiera le stesse parole, ma sa che non ce l'ha con lui, perchè che lo ha perdonato.
Dopo cinque anni che si sono persi di vista, adesso si riuniscono così. Meglio che niente, perchè rischiavano di incontrarsi nell'aldilà.
-Mi vuoi bene?- Improvvisamente Matthew si sente questo quesito e non sa cosa rispondere, perchè non lo sa. E' difficile per lui dire che gli vuole bene, perchè forse suonerebbe come una bugia, ma non può neanche dire che gli vuole male, perchè in fondo è pur sempre suo fratello, anche se si è dimenticato cosa significa averne uno.
Intanto i secondi passano e la risposta tarda ad arrivare, il silenzio di Matt vale più di mille bugie o di mille verità.
-Ho capito.- Alfred volta la testa dall'altra parte per nascondere la delusione. -Non importa.- Ora mai si è rassegnato a questo silenzio opprimente che li divide. Si libera la mano dalla presa del fratello e la chiude a pugno, per far intendere che non vuole più il suo contatto. 
Matthew, dal canto suo, si sente annegare nei sensi di colpa perchè ha già bruciato un'altra preziosa possibilità, come tutte le altre che Alfred gli aveva concesso per tentare di riappacificarlo. Non si accorge che il fratello fa finta di dormire, sperando una risposta o un segno d'affetto da lui. Una cosa che non arriverà mai, perchè si alza e per andare a recuperare il suo fucile e le munizioni ed esce dalla piccola stanza, lasciandolo da solo. Solo come è sempre e stato. Allora l'americano si concede una lacrima, una soltanto per cercare di far uscire con essa la delusione e la rabbia. Ma questa volta non funziona perchè a lungo andare la capacità di far correre certi sentimenti diventa sempre più debole, fino a quando non incominci ad accumulare aspettando di sfociare in pazzia pura.


Feliciano scende dall'aereo e si avvicina lentamente verso il loro rifugio, guardandosi intorno inorridito. 
Non molte ore prima è stata effettuata l'operazione di distruzione della base americana. I tedeschi erano già da tempo a conoscenza della sua esistenza e venivano già intercettate le comunicazioni, aspettando il momento migliore per attaccare. E poi l'occasione è arrivata sotto forma di invito: l'ufficiale a capo del comando dell'intera base è morto a causa di un incidente aereo e il caos ha incominciato a regnare la dentro, perchè gli americani non volevano finire sotto il comando degli inglesi e viceversa.
Dopo il bombardamento Ludwig ha chiesto a Feliciano di andare a fare un sopralluogo. Lo ha mandato da solo per toglierselo dai piedi, perchè nell'ultimo periodo è diventato lunatico e poco collaborativo. Gli ha promesso che sarebbe arrivato dopo di lui, perchè ha delle altre faccende da sbrigare.
Lo sguardo gli cade verso l'unico corpo non carbonizzato: Romano.
Indossa una divisa tedesca troppo grande per lui, che lo fa quasi scomparire la dentro. All'altezza dello stomaco c'è una grossa macchia di sangue nero rappreso, ma l'espressione sul volto di Romano è così rilassata che sembra essersi addormentato in un sonno piacevole, come se non fosse a conoscenza dell'inferno che lo circonda.
Per Feliciano è quasi come un miraggio, vorrebbe avvicinarsi per vedere se è vero, ma allo stesso tempo ha paura perchè pensa di essere capitato in un altro incubo.
Nell'indecisione sul da farsi rimane con i piedi piantati bene a terra, senza il coraggio di muoversi da li, con la brutta sensazione di essere osservato da qualcuno, ma guardandosi intorno non vede nessuno, se non le centinaia di corpi carbonizzati.
Non ha idea di quanto tempo passi rimanendo fisso in quella posizione, guardando da lontano il miraggio di suo fratello, ma poi la sua attenzione viene richiamata da un rumore basso e continuo: motori.
Alza la testa verso il cielo e vede tre aerei tedeschi in posizione di atterraggio. Ludwig ha mantenuto la sua promessa e lo ha raggiunto dopo di lui.

-Hai visto qualche strano movimento?- Feliciano fa segno di no con la testa per il timore di parlare. Ludwig si è portato una quarantina di soldati, sono tutti armati fino ai denti, mentre l'italiano si è portato dietro solo la sua pistola. Considerando la quiete inquietante di questo posto viene strano pensare che ci sia ancora qualche sopravvissuto.
Ma poi uno sparo echeggia a tradimento per la vallata e una pallottola va scheggiare un pezzo di cemento, passando vicinissimo alla testa di Ludwig. 
La battaglia ha inizio.
Gli inglesi e americani nascosti dietro al muro del piano terra escono in massa all'aperto facendo rotolare verso gli aerei delle bombe a mano, mentre quelli appostati all'ultimo piano fanno fuoco verso i nemici, che presi alla sprovvista si disperdono per tutta la base rifugiandosi dietro le macerie e i muri rimasti in piedi. 
Feliciano da una veloce occhiata verso suo fratello, ma il corpo non c'è più. Forse è stato davvero un miraggio! Scappa in direzione degli aerei per cercare di fuggire e prendere il volo prima che la battaglia diventi una cosa seria, ma due aerei sono già in fiamme a causa delle granate che lanciano gli inglesi, per togliere ogni via di fuga. Una granata gli rotola vicino ai piedi e istintivamente cerca di allontanarsi il più possibile, ma dopo due secondi questa esplode, scaraventandolo lontano. Si ritrova tra le macerie, incapace di muoversi perchè delle schegge della bomba si sono conficcate nelle gambe e nella schiena. Solo adesso si rende conto che fanno più male delle pallottole. Perde i sensi così, sanguinante e mezzo sepolto nella cenere. Ma una cosa positiva in tutto questo la trova: potrà raggiungere suo fratello dall'altra parte e dirgli che aveva ragione. La colpa è solo sua.

Lo scontro a fuoco non dura che una quindicina di minuti, anche se sembrano durare un'infinità perchè i tedeschi non demordono facilmente. Con qualche granata il muro abbastanza instabile dove si sono nascosti cade giù, lasciandoli allo scoperto. Solo una ventina di soldati sono sopravvissuti dei quaranta che c'erano all'inizio, compreso Ludwig, che anche se è ferito gravemente non si lascia scoraggiare e ancora non vuole dare l'ordine di battere in ritirata, anche se si rende conto che gli costa la vita dei suoi uomini.
Anche gli Alleati hanno subito gravi perdite, ma sentendosi la vittoria in pugno non si vogliono lasciar scappare questa occasione che si potrebbe definire di vendetta.
Anche Matthew è uscito allo scoperto, fiancheggiandosi ad Arthur che appena lo vede gli urla qualcosa riguardo suo fratello, ma nella confusione non afferra bene le sue parole e si butta insieme agli americani nella lotta. Ma Arthur riesce a raggiungerlo lo stesso.
-Ti avevo detto di rimanere con tuo fratello! Vai subito da lui!- non ha il tempo di rispondere che viene subito spinto via dall'inglese. Non gli rimane altro da fare che obbedire. 
Il canadese rientra al riparo e di corsa percorre i corridoi, fino alla stanza di Alfred, ma lui non c'è. Si guarda smarrito intorno e controlla tutte le camere, ma di lui non c'è nessuna traccia. Il senso di colpa già schiacciante diventa insopportabile per lui, maledicendosi per essersene andato e averlo lasciato da solo.
-Alfred! Alfred!- Incomincia a chiamarlo, ma non gli torna indietro nessuna risposta. -Alf...- Una mano gli chiude la bocca all'improvviso.
-Shh... Sono qui.- Matthew riconosce la voce del fratello e subito si tranquillizza. Lentamente si volta per guardarlo.
-Mi hai fatto prendere un colpo...- Subito viene zittito dallo sguardo di Alfred, che gli lancia un'occhiataccia per zittirlo. E' estremamente serio, con quell'espressione che prende di solito quando sa che sta per uccidere qualcuno. Matthew lo conosce abbastanza bene da sapere che quando diventa così bisogna stare molto attenti.
-Un gruppo di nemici sono riusciti ad entrare qua dentro. Sono riusciti a far fuori quasi tutti quelli dell'ultimo piano. Li ho stanati tutti tranne uno che si sta nascondendo chissà dove.- Mentre lo dice si guarda intorno e intanto carica la pistola che stringe in pugno. Matt non ribatte nulla. Come al solito rimane basito nel rendersi conto che suo fratello è sempre pieno di risorse, anche con una gamba e una spalla ferita.
-Seguimi.- Anche se zoppica visibilmente riesce comunque a mantenere un buon passo davanti al fratellino, che intanto lo segue coprendogli le spalle.
In queste occasioni lavorano come una squadra, senza il bisogno di comunicarsi cosa fare sanno già il loro compito: il maggiore attacca mentre il minore difende e copre.
Attraversano una lunga sfilza di stanze tutte uguali, collegate l'una all'altra da un'entrata. Poi arrivano all'ultima che ha solo l'entrata ma nessun'altra uscita. 
E' come un vicolo cieco, con solo una porta.
Poi tutto succede così in fretta.
Alfred si volta di scatto verso il fratello, con il braccio teso e la mano con la pistola puntata verso di lui, uno sguardo indecifrabile sul volto. 
Matthew non fa in tempo a reagire e rimane paralizzato sul posto dalla sorpresa e dalla paura. Tre colpi di pistola ritmici. 
Te li puoi sentire rimbombare nella testa talmente sono forti.


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E anche questo capitolo è giunto al termine! Cosa ve ne pare?
Fatemi sapere!
Purtroppo in questi giorni non ho molto tempo per aggiornare e sto andando un po' a rilento con la storia... Spero mi comprendiate... 
Se ci sono degli orrori nel testo vi faccio subito le mie scuse, non ho avuto modo di rileggere.


 

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