Il Rumore delle Onde

di HachikoCreepy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


Era calata la notte ed era lì affacciata dalla sua finestra della sua camera da letto, con addosso una maglia così grande e lunga fino alle ginocchia che poteva ballarci dentro, osservando il mondo a luci spente. Nessun rumore attirò la sua attenzione, nessun passante che potesse incuriosirla o – che so – un litigio fra due felini per distrarla da quel vuoto che aveva dentro di sé. E continuò a sperare in qualche stella cadente così da poter esprimere un bel desiderio: una macchina nuova, una casa nuova, un po' di fortuna o l'amore; uno di quegli amori senza fine, quelli con il “per sempre”.

« Ma che dico, l'Amore delle fiabe non esiste»

Si ripeté ad alta voce, come se qualcuno la potesse sentire; senza ricevere risposta si alzò e si avviò verso il pacchetto di sigarette abbandonato sul ciglio della scrivania, ne afferrò una insieme ad un posacenere bianco e un accendino verde smeraldo e si risedette su quella seggiola di legno un po' acciaccata dagli anni che portava con sé e dopo aver acceso la sigaretta continuò a fissare il vuoto. Quella notte sembrava non finisse mai, l'unica cosa che finiva erano le sigarette, che accendeva una dopo l'altra consumandosi, come la sua vita si consumava dalla tristezza e dal vuoto che la circondava. Cazzo se era vuota, vuota e ancora vuota; non aveva nulla, nessuno, era sola e basta.

Iniziò un nuovo giorno e Sophie era ancor più stanca di prima, magari era perché non aveva dormito, di nuovo, e in più, a completare il quadro, c'era un vento così forte da poterle spettinare i capelli raccolti con quel fermaglio bianco che risaltava tra i suoi capelli rossi luminosi quanto il fuoco stesso. Non sapeva bene cosa avrebbe fatto quel giorno ma purtroppo non aveva alternative, così decise di andare a scuola.

Convinta della sua decisione prese la sua borsa e il suo cappotto nero, si precipitò a scuola ma, dopo aver visto tutte quelle persone con la puzza sotto il naso, pensò che fosse stata la decisione più sbagliata del momento e senza farsi vedere si nascose in una vietta che faceva d'angolo alla palestra della scuola, e iniziò a camminare a passo veloce senza sosta fino ad arrivare al suo locale preferito; di solito verso le sette e mezza del mattino non c'era nessuno – un buon motivo per poterci entrare senza che nessuno la rimproverasse sul fatto che non fosse andata a scuola.

Appena entrò si sentì davvero soddisfatta della sua nuova decisione, presa dall'emozione si diresse verso il fondo della stanza, completamente deserta e si sedette con le spalle rivolte al muro – il barista stava accendendo la radio, inserendo un CD di musica, forse classica, forse smooth jazz, non ne era sicura, però la rilassava.

Iniziò a leggere un libro, seduta all'ingresso del bancone e ad ascoltare la musica in sottofondo, quando, ad un tratto iniziò a sentirsi osservata. Alzò lo sguardo e vide una ragazza troppo bella per essere reale, capelli corti sparati in alto neri, due dilatatori da quasi 2 cm – in quel momento sgranò gli occhi e le sorrise – addosso aveva una tuta blu talmente larga che potevi immaginare ogni cosa, una maglietta attillata e abbastanza aderente sul seno e un po' larga sul resto; aveva gli occhi puntati sui suoi che erano così azzurri e intensi che, a quanto pareva anche lei aveva passato una notte insonne. Chissà che aveva fatto la notte scorsa, si sarà sentita male, avrà sofferto d'insonnia, oppure non aveva nulla da fare e quindi ha passato la notte a fissare fuori come faceva lei?

A quel punto le rivolse la parola, aveva una voce così bella e delicata come un petalo di una rosa.

«Desideri qualcosa?»

Le disse guardandola teneramente, con un sorriso stampato dolcemente sulle labbra.

«Mi chiamo Sophie, ho marinato scuola e desidero un the caldo» Disse lei con proverbiale nonchalance.

La ragazza si mise quasi a ridere, prese l'ordinazione e se ne andò voltandole con grazia le spalle per andare al bancone e farle quel così prezioso the caldo; appena si voltò si diede un colpo alla testa.

«Cretina, non potevi dire semplicemente che volevi un the caldo ?» si disse a bassa voce. 

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo ***


Tornò immersa nei suoi pensieri, afferrò il pacchetto di sigarette e iniziò a fumare – per fortuna là dentro si poteva fumare e nessuno diceva nulla – dopo aver fatto un tiro abbastanza lungo prese la borsa e cercò con foga il suo blocco di fogli messi a caso raccolti da un piccolo quadernetto a cartellette verde acqua e iniziò a disegnare; dopo poco tempo però si era sentita nuovamente osservata e alzò nuovamente gli occhi e rivide la ragazza però questa volta insieme alla sua acqua calda e affianco alcune bustine di the di vari tipi. Decise di prendere quello alla cannella e arancia - quello alla vaniglia lo aveva già preso il giorno prima e voleva cambiare – lo inzuppò per bene e, dopo aver messo ben due bustine di zucchero di canna, iniziò a girare il composto per renderlo più dolce di quanto già non fosse, ma aveva l'impressione che lei non se ne fosse andata. Infatti era lì che la fissava ancora, come se avesse in mezzo ai denti qualcosa di schifoso e lo fissasse senza sosta; con un gesto della testa la invitò ad accomodarsi insieme a lei al tavolo, magari riusciva a sapere come si chiamasse.

«Mi spiace, devo lavorare ora» disse dispiaciuta.

«Non c'è nessuno tanto, sono solo le 7.50, non credo che Bob si incazza se ti siedi solo qualche minuto con me»

«Non è vero Bob?!»

Urlò a squarcia gola verso di lui insieme ad un sorriso, come risposta ricevette un occhiolino. Si sedette davanti a Sophie, iniziò a sorriderle e lei era in preda al panico. Un passo indietro, doveva recuperare.

«Beh, come ti chiami?» disse decisa accennando un sorriso.

«Mi chiamo Riley. Come mai hai marinato scuola... come hai detto di chiamarti ?» la guardò con stampato in faccia un punto interrogativo.

«Mi chiamo Sophie, e comunque non mi andava di andare a scuola per vedere dei deficienti con la puzza sotto il naso e le professoresse che ti osservavano dalla testa ai piedi... oppure perché non avevo per niente voglia» iniziò a ridere sotto i baffi.

«Anche ieri eri qua, anche l'altro ieri, anche venerdì scorso, sei sempre qua ! I tuoi non dicono nulla ?» Lo disse insieme ad una smorfia.

«Beh, mia madre no; la vita è mia non sua» disse convinta.

Abbassò lo sguardo e abbrancò la tazza di the caldo, bevendone un sorso, poi alzò gli occhi e vide che Riley se n'era andata senza nemmeno salutare; forse si era scocciata di stare lì, o doveva lavorare. Sophie passò buona parte della mattinata a scrivere e a ripensare alla chiacchierata misera con Riley. Passarono un paio di ore; chissà da quanto era lì seduta all'angolo, come alle elementari, quando la maestra l'aveva messa nell'angolo perché aveva fatto rovesciare il vassoio in testa ad una bambina. Guardò l'orologio appeso alla parete davanti a lei, erano le due del pomeriggio – sarebbe dovuta essere a casa – così prese le sue cose, andò da Bob e pagò il the caldo; con gli occhi cercava Riley ma purtroppo non la vide da nessuna parte così alzò i tacchi e tornò a casa.

Una volta arrivata non trovò nessuno, si guardò in giro ma vide solo il gatto e un post-it attaccato alla porta del frigorifero con scritto:

Lo so che non sei andata a scuola, fa niente. Ci vediamo stasera.”

Era firmato dalla mamma, si vede che almeno oggi era andata a lavoro. Visto che non c'era nessuno in casa, decise di andare in giardino sulla sedia a dondolo – la mamma la comprò per il suo compleanno, a volte si metteva lì con un libro e iniziava a leggere oppure passava il tempo a pensare e fissare le nuvole con tutte quelle forme strane – prese dalla giacchetta di pelle nera un pacchetto di sigarette e ne accese una; più di venti minuti senza fumare non riusciva, fece diversi tiri lunghi e intanto fissava il cielo.

I suoi occhi erano così vuoti, come ogni giorno, talmente tanto vuoti senza nessun emozione che passava a volte per apatica; ma invece ne provava di emozioni, più degli altri, ma semplicemente non le esprimeva al mondo intero. Perché doveva far vedere alle persone che stava male, stava bene, che voleva piangere, o urlare dalla gioia?

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