Redenzioni

di camvibe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dopo che la bolla scoppia ***
Capitolo 2: *** Avvicinamenti ***
Capitolo 3: *** Rompere il ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Compromessi pt.1 ***
Capitolo 5: *** Compromessi pt 2 ***



Capitolo 1
*** Dopo che la bolla scoppia ***


"Quando interpreto Regina ci sono sempre due storie da raccontare. C'è un lato di lei che è minaccioso, perché si sa che è una regina malvagia, e poi c'è il puro e semplice fatto che la madre biologica di suo figlio è entrata nel suo mondo e il terrore di perderlo è enorme. È una paura che, credo, qualsiasi madre adottiva proverebbe. Penso che aiuterà veramente il pubblico a guardare a Regina in termini diversi".

Questa è una cosa che ha detto Lana in passato a proposito di cosa provava nell'interpretare il personaggio di Regina. E' l'ennesima riprova di quanto Lana Parrilla sia un'attrice estremamente puntigliosa, intuitiva e intelligente, e non nego che mi ha influenzato molto nell'iniziare a scrivere questa storia. Credo sia un'ottimo punto di partenza per iniziare a comprendere Regina. Lana l'ha dipinta perfettamente nel giro di tre frasi e a me è venuta voglia di approfondire il concetto.
Vi avviso che mi sono presa molte libertà in questa storia, sin dal primo capitolo, e credo che continuerò a prendermele. Non so bene dove andrò a parare, come succede di solito con tutto quello che scrivo.
Gli unici due personaggi che mi preme davvero inquadrare ed indagare psicologicamente - al di là della trama e al di là di tutta la merda che ci hanno tirato addosso a partire dalle seconda stagione- sono Regina ed Emma. Ed il loro rapporto con Henry.
Ci sono molto affezionata, a queste due e all'idea che mi son fatta di loro, in una maniera esagerata e tutta mia che a volte quasi mi spaventa. D'altronde, se sei una fangirl...

Ma bando alle ciance, ecco qua.

P.S: Chiaramente non possiedo lo show, nè i personaggi, e blah blah. Non mi ricordo la frase di circostanza che si usa in questi casi, ma insomma avete capito, niente di tutto ciò e mio, scrivo solo per divertirmi, distrarmi e perchè raccontare è la cosa più terapeutica e importante del mondo.




Regina aveva vissuto per ventotto anni in una bolla di monotonia tranquilla.
Quella bolla si chiamava Storybrooke e no, forse all'inizio il piccolo microcosmo che si era creata su misura, improvvisandosi una sarta magica di mondi paralleli, non si era rivelato essere la felicità, non perlomeno quella che lei si aspettava. Forse era qualcosa di più vicino alla noia. Ma era comunque qualcosa a cui poteva volentieri abituarsi.
 
Una madre violenta e manipolatrice, un amore distrutto sul nascere insieme agli ultimi brandelli della sua innocenza, un marito prepotente, non voluto e che non la voleva, se non la notte quando era ubriaco e bestiale, la perenne sensazione di essere in prigione pur senza essere fisicamente incatenata, un'ingenua nemica con la tendenza a spifferare segreti e suo marito, un pastore che voleva improvvisarsi re, con cui combattere quotidianamente per riprendersi quel regno che avrebbe dovuto essere suo: la noia era comunque meglio di qualunque cosa avesse già affrontato o sopportato.
 
La noia era facile da controllare, prevedibile, fedele e soprattutto era sua: ci si sarebbe attaccata come ad un salvagente, piuttosto che ritornare indietro.
 
Poi era arrivato Henry.
 
Dopo di lui, passati i primi momenti difficili, pieni di insicurezze, di indecisioni e passi falsi, di pianti e notti in bianco, i colori si erano fatti d'improvviso più brillanti, la certezza che “il sole sorge ogni giorno" era diventata meno amara, e a volte Regina quasi si dimenticava che tutto era finto.
A volte quasi se lo dimenticava, che aveva ucciso suo padre per essere lì dove era, seduta nella sua enorme cucina con il suo bambino a fianco. Quando nel sonno Henry si ciucciava il pollice con espressione pacifica, affondando nel passeggino che lei piano piano faceva dondolare ritmicamente con il piede, Regina si dimenticava di tutto e quasi non le mancava la magia e l'impossibilità di praticarla in questo nuovo reame.
Il passato sbiadiva davanti ai primi passi del suo bambino, alle sue prime parole stentate. Tutti i cuori pulsanti raccolti e alacremente custoditi, tutto il sangue versato e le felicità negate, impallidivano davanti al suo primo giorno di scuola e al sorriso che le regalava tornando a casa, entusiasta, pieno di cose da condividere con lei. Con lei che era sua madre.
 
Regina si ritrovava spesso a ripeterglielo, quando ancora lui non poteva capire, ma anche quando era diventato abbastanza grande per poterlo fare.
 
"Sono tua mamma, Henry". "Tesoro, mamma è a casa". "Mamma dovrà lavorare fino a tardi, stasera".
 
Come se avesse bisogno di ricordarglielo e ricordarselo. Come se dovesse periodicamente assicurarsi che fosse tutto vero...
 
E così Regina si era immersa nella sua bellissima bugia fatta di lunghe passeggiate, di piccoli capricci, di compiti, di carezze prima di andare a dormire e appena sveglia, e aveva abbassato la guardia, lo sapeva.
Biancaneve era diventata semplicemente la fastidiosa maestra di suo figlio, il grillo parlante nient'altro che un'analista deboluccio e molle di carattere, David era in coma e non poteva fare alcun danno…
Era stata incauta, come ubriacata dalla novità, dalle avventure e dalle sfide sempre diverse che ogni giorno le regalava suo figlio.
 
Aveva abbassato la guardia, aveva smesso di pensarci. Si era permessa il lusso di crederci, di credere di essere arrivata. Si era dimenticata del suo cuore nero.
 
Poi -contro ogni previsione, senza che nessuno si degnasse di avvisarla- la sua maledizione, quel piccolo gioiello per cui aveva sacrificato tutto, si era spezzata. Il suo mondo finto ma felice le era esploso in faccia, e Regina era tornata ad essere riconosciuta per chi realmente era: la regina cattiva.
 
Il cambiamento repentino, come uno strappo, come un taglio netto, preciso, era stato tanto impietoso da farle girare la testa.
 
Una giacca di pelle e molta testardaggine avevano cancellato gli sforzi di una vita. Emma Swan aveva distrutto tutto, come l'onda che arriva e distrattamente scioglie i castelli di sabbia senza nemmeno chiedere permesso. Emma Swan non chiedeva permesso, mai.
 
Non le mancava la bolla in sè, la sua tranquillità, la sua comodità, i piccoli scambi di formalità con gli ignari cittadini di Storybrooke: poteva farne a meno. 
 
Le mancava Henry e solo Henry. Tutto quello che Henry diceva, faceva, pensava, comportava, significava. Tutti i suoi pensieri orbitavano intorno a lui. Le mancava come Henry la guardava, il tono con cui le si rivolgeva, il diritto di potersi prendere cura di lui, il privilegio di vederlo più alto di un centimetro ogni mattina. Le mancava, egoisticamente, sentirsi una madre migliore di sua madre. Le mancava tutto, anche le cose più stupide, quelle che mai mai mai  penseresti che ti possano mancare...e invece sì. Da morire. Tutte le sue piccole cicatrici e le storie che ci stavano dietro, ogni graffio ed ogni ginocchio sbucciato, ogni brutto voto (erano pochi, d'altronde era suo figlio) ed ogni successo. Le mancava il tacito permesso di potergli scompigliare i capelli tutte le volte che voleva, e la certezza di saperlo un irrimproverabile, ripetibile gesto. Il suo broncio assonnato la mattina, il rumore che facevano i cereali sotto i suoi denti a colazione. L'ininterrotto flusso di parole mentre lui stava seduto in cucina e gli raccontava la sua giornata e lei preparava, facendo uno strappo alla regola, i maccheroni col formaggio.
 
Terribilmente e fisicamente, sentiva la sua mancanza come quella di un arto. Non se ne dimenticava mai. Come ci si dimentica di non avere più un braccio, se tutte le mattine ti guardi allo specchio e non c'è? Come ci si dimentica di non avere più un figlio, una volta che sai cosa si prova ad averlo?
 
A volte tornava a casa la sera e apparecchiava per due, sovrappensiero, e quando si accorgeva dell'errore ingenuo faticava a respirare e doveva prendere un calmante. Si sdraiava sul letto a fissare il soffitto mentre aspettava che il respiro ridiventasse regolare. A volte le ci volevano ore.
 
I suoi palmi erano ormai martoriati da piccoli segni rossi a forma di mezza luna, perchè aveva preso l'abitudine di stringere i pugni e affondarci le unghie tutte le volte che lo vedeva fuori. Con Emma. I due viaggiavano in coppia, ormai. E più il sorriso di lui era largo ed i suoi capelli spettinati, e più lei stringeva le unghie nei palmi. Sapeva che avrebbe potuto agire. La magia era tornata, la sentiva che le solleticava i palmi. Ma non lo faceva. A che scopo usarla quando non sarebbe stata comunque in grado di ottenere l'unica cosa che voleva? Certo, avrebbe potuto vendicarsi su Emma, su Biancaneve e David...ma era stanca di vendette sterili che non l'avrebbero portata da nessuna parte. O almeno così si diceva.
 
L'aveva perso, aveva perso il suo bambino e la magia non poteva darglielo indietro. Non veramente. Non nel modo che voleva.
 
In cuor suo, sapeva che non era stato il venir meno della maledizione a portarglielo via. E neanche Emma Swan, anche se incolparla di tutto era diventato il suo hobby preferito, un bisogno quasi fisiologico che rendeva tutto più facile, perchè era meglio che incolpare se stessa.
Quello di Henry -Regina lo sapeva- era stato un lento processo di allontanamento che era iniziato molto prima di Emma. Lei, ubriaca delle sue stesse bugie, aveva solo fatto finta di non accorgersene, ma era stato come posticipare l'inevitabile: inutile e stupido.
Dieci anni erano bastati ad Henry perchè cambiasse quella visione idilliaca che aveva di lei un tempo. Arriva un'età in cui le cose si capiscono, si percepiscono. Ed Henry, da bambino sveglio come era, aveva iniziato a vederla.
Se solo Biancaneve non avesse tirato fuori quel maledettissimo libro di fiabe, forse...ma no, Regina sapeva che anche senza, Henry avrebbe capito, prima o poi. Si sarebbe alzato una mattina e non avrebbe più visto sua mamma, ma la Regina cattiva. Emma ed il maledetto libro avevano solo velocizzato il processo.
 
All'inizio, subito dopo che la maledizione era stata spezzata, Regina aveva quasi provato un perverso compiacimento nel ritrovare negli occhi dei suoi sudditi quell'antica scintilla di terrore. Era stato come un modo di riempire il buco che l'assenza di Henry aveva causato. Certo, non che da sindaco non fosse temuta e rispettata. Ma niente reggeva il confronto.
 
A parte quel piccolo incidente fuori da casa sua, quando la folla urlante era venuta a pretendere la sua vita, ed Emma (Emma, la stessa che l'aveva messa in quella posizione spezzando la maledizione!) aveva proibito loro di ucciderla...nessuno l'aveva più disturbata. Avevano concluso una sorta di tregua: loro non l'avrebbero sfiorata con un dito, se lei non avesse praticato la magia contro di loro. "E forse"...aveva detto Emma..."se rispetterai le nostre condizioni e ti dimostrerai degna di fiducia, potrei pensare a farti rivedere Henry".
 
All'inizio aveva sbuffato a quella semi-promessa e si era sentita insultata, ma gli occhi di suo figlio, speranzosi, l'avevano portata ad annuire. Lei si era rintanata nella sua grossa casa e la folla si era piano piano dispersa.
 
Sapeva che la condizione imposta da Emma non andava giù a molti, terrorizzati da saperla viva e a piede libero. Era stata quasi contenta, nel suo dolore, di rendersi conto che era per loro di nuovo una minaccia, un pericolo da eliminare. Che avrebbe potuto schiacciarli come insetti o incenerirli con uno schiocco di dita, se solo avesse voluto. Ma, anche dopo aver recuperato a pieno l’uso della magia e le sue antiche potenzialità, non l'aveva fatto.
 
A che scopo? Henry non sarebbe mai tornato da lei, così.
 
Erano settimane che viveva in una situazione di stallo e il silenzio stava diventando insopportabile. La solitudine e l'assenza di suo figlio macchiavano i suoi pensieri rendendoli sempre più foschi. Sempre più spesso pensava alla vendetta. Sarebbe bastato così poco...sentiva già una delle sue palle di fuoco scaldarle il palmo, la magia la tentava. Sapeva che Emma non avrebbe concesso a Henry di vederla fino a quando non lo avesse reputato sicuro. Questo limbo la stava uccidendo e la rendeva impaziente...
 
DRIIIIIIIIIN.
 
Il campanello della porta, dopo settimane di silenzio, la fece sobbalzare di sorpresa.
 
Arrabbiata, intrappolata nel suo dolce desiderio di vendetta e di violenza, lasciò che suonasse.
 
"Regina apri questa maledettissima porta o la butto giù, so che ci sei".
 
Regina si alzò, sapeva che la Salvatrice non avrebbe esitato a buttar giù la porta, se non si fosse degnata ad andare ad aprire: Emma Swan non chiedeva mai il permesso. Emma Swan chiedeva, pretendeva, esigeva. Ema Swan entrava nelle case e nelle vite degli altri come un uragano. Se Emma era un uragano, Regina era un muro. Impenetrabile, orgogliosa, potente: e anche se Emma conosceva il suo punto debole (Henry, e chi altri?) Regina non si sarebbe lasciata invadere facilmente.

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Capitolo 2
*** Avvicinamenti ***


Più infastidita che spaventata, si diresse verso la porta in un contrarsi nervoso e veloce di polpacci.
 
Non sapeva cosa aspettarsi dalla madre adottiva di suo figlio, ma l'ora tarda, la violenza e la frequenza con cui sbatteva i  pugni contro la porta, e la generale imprevedibilità della donna erano tutti fattori che non le facevano presagire nulla di buono. Conoscendo Emma, era più probabile che si trattasse di un'imboscata che di una visita di piacere.
 
Forse era qui in veste di sceriffo per arrestarla? Aveva cambiato idea, sua madre, suo padre e gli abitanti di Storybrooke l' avevano finalmente convinta che eliminarla una volta per tutte sarebbe stata la soluzione migliore? E avevano il coraggio di definirsi "buoni"... 
Il pensiero la fece sorridere amaramente. Cosa credeva, che una stelletta, una pistola e un accenno di muscoli nelle braccia sarebbero bastati a farla soccombere?
O forse non credeva neanche di dover combattere, forse Emma Swan -gonfia di quell'ingenuità cieca che sembrava essere un gene di famiglia- era venuta a pretendere una sua resa, o a ricevere una sua qualche ammissione di colpa.  Sarebbe in ogni caso rimasta delusa, come sua madre Biancaneve molte volte prima di lei.
 
Con chi credeva di avere a che fare?
 
Regina aprì la porta di scatto, pronta a lanciarsi in uno scontro verbale, ed anche ben disposta a farlo degenerare in uno magico - se le intenzioni dello sceriffo si fossero rivelate corrispondenti alle sue ipotesi.
 
Successe tutto troppo velocemente.
 
Regina non ebbe neanche il tempo di lanciare il primo insulto.
 
"Signorina Swan, come si permette...".
 
Le parole le morirono in gola come tante deboli intenzioni stroncate sul nascere.
 
Se c'era una cosa contro cui Regina era inerme, davanti a cui non sapeva come comportarsi, era la sorpresa. I suoi oliati meccanismi fisici e mentali, abituati al controllo, alla maniacale programmazione, andavano in confusione davanti a ciò che non si aspettava. L'imprevisto era il nemico di cui aveva più paura, perchè non era un pericolo materiale, non poteva ricoprirlo di improperi o incenerirlo. Davanti all'inaspettato Regina non aveva mai saputo come comportarsi.
 
I capelli chilometrici e biondi schiacciati da un ridicolo cappellino e il naso rosso per il freddo, l'espressione sul volto della madre di suo figlio non le risultò solo inaspettata: la confuse profondamente e la turbò, perchè la sua mente faticava a trovare una spiegazione che potesse giustificarla. 
Emma era in piedi sulla soglia di casa e i suoi lineamenti erano dolcemente modellati da quello che Regina avrebbe potuto classificare solamente come il più puro e sincero sollievo. Emma Swan era...sollevata di vederla?
 
Poi, successe una cosa che la confuse ancora di più: Emma fece un balzo in avanti e la abbracciò.
 
A Regina ci volle un attimo per registrare che cosa stesse accadendo.
Un paio di braccia le strinsero forti la vita, nella disperazione felice di chi si aggrappa a qualcuno che si pensava di aver perso per sempre.
Poteva quasi sentire il suo sangue caldo scorrerle sotto la pelle, malgrado i reciproci strati di vestiti che la separavano dalla sua. Un respiro veloce e vicino che le solleticava l'orecchio, sentì un mento appuntito appoggiarsi sul suo collo.
Emma Swan la stava abbracciando, come se avesse pensato di non rivederla mai più e questo pensiero l'avesse disturbata nel profondo.
 
Fu un istinto antico a scatenare in lei una reazione spontanea: Emma fu scaraventata via da una forza invisibile, non così distruttiva da farle seriamente del male, ma abbastanza intensa da farla finire per terra ristabilendo tra loro quella che Regina reputava al momento una distanza a malapena consona.
 
Regina -che aveva ripreso a respirare ora che il suo spazio fisico era stato ripulito da quella invasione- avrebbe voluto dire tante cose (perlopiù spiacevoli) ma era talmente furiosa che la voce le mancava. Dal leggero tremolio delle narici, Emma capì di averla più che indispettita (come se l'essere stata appena magicamente scaraventata per terra non fosse stato un indizio abbastanza chiaro di che cosa Regina pensava dell'abbraccio).
 
Malgrado il dolore dovuto alla caduta, gli occhi di Emma non la lasciarono un attimo. Regina, pur nella concitazione del momento, ancora vi percepiva quello strano sollievo che vi aveva letto all'inizio. La caduta non lo aveva spento.
 
La bruna, per conto suo, aveva l'aria di una leonessa ferita e Emma decise di trattarla come tale.
Recuperato l'equilibrio rimase accovacciata a terra e alzò lentamente le mani come per dire "non sono armata, non ho intenzione di avvicinarmi".
 
"Regina.." disse, in un sussurro che tentò di rendere rassicurante.
"Regina, mi dispiace, non volevo...offenderti?" tentò Emma, ma in cuor suo sapeva che "offendere" era il verbo sbagliato. Non era abbastanza forte.
Il suo lessico non era forse ampio e forbito , ma Emma non era stupida: sapeva che il suo gesto, spontaneo e poco ragionato, anche se da parte sua sinceramente sentito, era stato per Regina molto più che un’offesa. Era stata un'imperdonabile invasione. Un buco nella sua armatura impenetrabile che Regina aveva rattoppato nell'unico modo che conosceva: ricorrendo alla magia, alla violenza. A Emma sarebbe rimasto un bel livido sulla schiena, ma aveva questioni più importanti a cui pensare, ora come ora...
 
Glielo leggeva negli occhi di brace: Regina era ferita, confusa, a un passo da perdere il controllo. Emma decise che le avrebbe lasciato dettare il ritmo, che le avrebbe concesso il tempo di prendere il respiro. Avrebbe pesato le parole. Ne andava della sua integrità fisica, d'altronde...ancora faceva fatica a vedere Regina come un serio pericolo. Certo, il sindaco che aveva conosciuto non era stato un avversario facile, ma si era limitato agli inganni e ai giochi mentali. Emma faceva fatica a riconciliare la (per quanto spiacevole e manipolatrice) Regina che aveva conosciuto arrivando a Storybrooke con la regina cattiva delle fiabe.
Quella donna avrebbe potuto ucciderla. Avrebbe potuto, spinta da un mero fastidio, dal più futile capriccio, strapparle il cuore dal petto. Emma sapeva di doverci andare cauta.
E poi, aveva bisogno della versione lucida di Regina, non di quella furiosa e ripiena di divorante magia nera...
 
"Scusami, non volevo". Scusarsi era un inizio, no?
 
"Perchè diavolo mi hai...abbracciato?", le chiese Regina, ignorando completamente le sue scuse. Emma non poteva biasimarla. Il suo comportamento era stato a dir poco impulsivo.
La voce della donna, che torreggiava su di lei dall'alto dei suoi tacchi vertiginosi, ancora tremava di sorpresa e di rabbia.
 
Emma si alzò, forse un po' troppo bruscamente, e fece un passo verso di lei con l'intenzione di risponderle, di rassicurarla, di ristabilire un contatto, di spiegarsi. Che ci poteva fare, se sapeva esprimersi meglio con la fisicità piuttosto che con le parole?
Regina, vedendola avvicinarsi, fece un passo indietro e sibilò un secco "No" che le fece gelare il sangue.
 
Stavano ballando una danza simmetrica e pericolosa.
 
"Io credevo...credevo che non ti avrei più trovato. Insomma, ho suonato e non mi hai risposto, credevo...". Le parole come al solito la tradivano. Perchè con Regina doveva essere sempre tutto così faticoso?
 
"Credeva che me ne fossi andata?". Ad Emma non sfuggì che, recuperata parzialmente la calma, Regina si stava sforzando di ricostruire quel muro di formalità e diffidenza che da sempre le separava. Condividevano un figlio, e ancora si ostinava a darle del lei. Emma pensò che forse -visto i recenti avvenimenti- ne aveva tutto diritto. Non commentò la cosa per paura di innervosirla.
 
"Sì" ammise.
 
"E perchè -la prego me lo spieghi- il fatto di trovarmi in casa le ha provocato un tale sollievo che si è sentita addirittura libera di violare il mio spazio e abbracciarmi? Non mi fraintenda ma...trovo difficile immaginare che fosse semplicemente felice di vedermi".
 
Quel sorrisetto minaccioso che le sporcò le labbra piene, oltre a provocarle l'abituale brivido lungo la schiena, fece intuire ad Emma che il peggio era passato e che Regina si era ripresa da...beh, dall'episodio. Il sarcasmo era il modo in cui Regina tentava di rimettersi in una posizione di superiorità.
 
Forse sarebbero finalmente riuscite a parlarsi?
 
"Regina, è una cosa piuttosto complicata, e fa freddo...non è che...non possiamo parlarne dentro, insomma?".
 
Solo ora Regina notò che la donna -avvolta solamente nel suo solito, logoro giubbotto di pelle rosso- batteva i denti e muoveva freneticamente le gambe nel vano tentativo di riscaldarsi.
 
"E che cosa le fa pensare, dopo tutto quello che mi ha fatto signorina Swan, che io sia disposta ad accoglierla in casa mia così, solo perchè me lo chiede per favore e perchè non è chiaramente capace a vestirsi in maniera adeguata alle attuali condizioni atmosferiche?".
 
Ora basta, Emma era stufa del suo sarcasmo: capiva che era il suo modo di riprendersi il controllo, ma le stava facendo perdere del tempo prezioso.
Decise di andare al punto.
 
"Regina, si tratta di Henry".
 
Silenzio pesante. Mani improvvisamente strette allo stipite della porta come a cercare un sostegno che manca. Emma pensò che Regina stesse per svenire. Cercò di rimediare, di rassicurarla.
 
"Sta bene per adesso", Emma si affrettò a puntualizzare, "...ma non penso che sarà così per molto, se le cose continuano ad andare in questo modo. Ho bisogno di parlarti. Ti supplico, metti da parte l'orgoglio per una dannata volta e fammi entrare. Non sono armata. Ho bisogno di parlarti di...nostro figlio".
 
Vide l'iride color nocciola dei suoi occhi trasformarsi in una centrifuga di preoccupazione, commozione, dubbio.
 
Emma capì che Regina aveva capito: stava dicendo la verità, avrebbe mantenuto la parola.
 
Passò qualche secondo, poi -senza proferire parola- Regina si voltò e procedette a lunghi passi verso l'ampio salotto, lasciando la porta aperta dietro di sè: Emma lo interpretò come un chiaro invito a seguirla. Così fece.
 

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Capitolo 3
*** Rompere il ghiaccio ***


"Si spieghi".

Le gambe perfettamente accavallate che neanche Sharon Stone in Basic Instinct,  Regina sedeva sul divano del salotto come se si fosse trattato di un trono e sembrava, nel vero senso del termine, una regina.
La schiena quasi innaturalmente dritta e il tono autoritario di chi è abituato a dare ordini senza vederli disattesi avrebbero potuto ingannare un osservatore distratto, inducendolo a pensare che l'ormai ex sindaco avesse il pieno controllo sulla situazione. Emma, che non era distratta, aveva passato gli ultimi mesi della sua vita a litigare con quella donna che anche ora la guardava in cagnesco. Su qualsiasi argomento, futile o serio che fosse: dall'importanza di una dieta equilibrata all'ora più consona in cui Henry doveva essere mandato a letto. Non erano mai state d'accordo su niente.
Non casualmente aveva scelto di sedersi sulla poltrona più lontana possibile da lei.
Da questi scontri frequenti, per quanto estenuanti e logoranti, Emma aveva però imparato che Regina comunicava quello che davvero provava con gli occhi.
Per quanto il suo corpo potesse rimanere rigido ed impassibile e le sue parole potessero risultare taglienti, i suoi occhi rimanevano due ampie finestre. Due finestre che ora erano spalancate sui suoi tumulti interiori. La tradivano sempre, chissà se Regina se ne rendeva conto.
Emma notò anche un leggero tremolio del labbro superiore, quello con la cicatrice, appena visibile sotto il pesante strato di rossetto come l'erba che spunta da sotto la neve quando questa inizia a sciogliersi. Da quell'ulteriore dettaglio, Emma capì che Regina era -al di là di quanto la sua immobilità marmorea potesse trasmettere -sinceramente e profondamente preoccupata. Se fosse solamente per Henry, o anche per qualcos'altro che già prima della sua invasione la infastidiva, Emma non era in grado di dirlo con certezza.
Rendendosi conto di essere inconsapevolmente diventata l'esperta mondiale di lettura delle più minime ed impercettibili espressioni facciali della persona che -secondo sua madre (quanto ancora faceva fatica ad etichettare Mary Margaret come tale) sarebbe dovuta essere la sua peggior nemica-  Emma si chiese per un attimo se non fosse il caso di preoccuparsi.

Regina non le diede il tempo di rimuginarci su.

"Allora?", sbottò, riportandola all realtà, ed Emma si accorse di non aver esaudito la sua richiesta di spiegazioni. Non c'era niente di più rischioso che lasciare attendere l'impazienza personificata. Si affrettò a rimediare.

"Sono preoccupata per Henry" ammise, e le sue parole non furono accolte nel migliore dei modi. Se avesse dovuto dare un suono al sarcasmo, sarebbe stato quello della risata che la madre adottiva di suo figlio decise di riservarle in quella precisa occasione.

"Se non riesce a seguirlo come dovrebbe o a dargli quello che gli serve...beh, forse avrebbe dovuto pensarci prima di spezzare la maledizione e portarlo via da chi quelle cose era perfettamente in grado di farle".

Emma, che non era certo abituata ad incassare i colpi, ma che anzi -da vera ragazza di strada- si riproponeva sempre di darne uno in più di quanti ne riceveva, fu in quel caso fulminea a rispondere: "Entrambe sappiamo che non sono stata io a portartelo via. Se proprio vuoi cercare un colpevole, Regina, guardati allo specchio".
Bang. Banale ma efficace. Regina inspirò, come scandalizzata dalla sfacciataggine della bionda. Sembrava pronta a controbattere, ma Emma non glielo permise.

"So che ti è difficile smetterla, ma non sono venuta qui per l'ennesimo scambio di insulti tra sceriffo e sindaco. Devo parlarti di una cosa seria e non ti permetterò di farmi arrabbiare talmente tanto da non poter più sopportare di stare nella tua stessa stanza. Non questa volta, quindi ora stai zitta e ascoltami".

Emma, notando l'espressione livida di Regina, si chiese se avesse superato un limite invisibile, aspettandosi di ritrovarsi vittima di un qualche strano sortilegio da un momento all'altro. Fu quasi tentata di alzare le braccia, nel preventivo quanto ridicolo tentativo di proteggersi.
Non le arrivò addosso nessuna palla di fuoco, nè alcuna forza invisibile la scaraventò a terra. Non sapeva se Regina fosse addirittura troppo offesa per reagire, ma decise di approfittare del suo temporaneo mutismo.
Sorpresa ma sollevata, continuò: "Da quando hanno riscoperto le loro vere identità magiche, gli abitanti di Storybrooke sono decisamente...meno inclini al dialogo, ecco. Insomma. Vogliono...vogliono te, Regina. E non in prigione; qui non stiamo parlando dei tipici metodi coercitivi della gente civile, che si affiderebbe, che so io, al sistema giudiziario. No, questa è una giustizia personale. Ti vogliono in piazza, vogliono...la tua testa. E non so per quanto tempo  -ora che un dottore alcolista si ricorda di essere Frankenstein e che un'innocua maestra delle elementari sa di essere la versione moderna e femminista di Biancaneve- la mia debole autorità di sceriffo possa dissuaderli dal decidere di passare...alle maniere forti.
Mi sono servite, più che altro, tutte quelle stronzate sull'essere la salvatrice. Quando le tiro in ballo sembrano quasi placarsi, fanno più effetto di una pistola, ma sono talmente poco convinta io stessa di ciò che dico e di questo mio...ruolo...che...non so per quanto ancora il "veto della salvatrice" possa fungere da deterrente. Premono per risolvere la questione... a modo loro".

Emma prese fiato, quel fiume di parole l'aveva stancata. Si sarebbe data una pacca sulla spalla: le era sfuggita una sola parolaccia ed aveva usato ben due parole d'effetto. Veto e deterrente. Doveva ammettere di essersele preparate prima di uscire di casa. Sapeva che Regina non sopportava gli improperi, giudicandoli "un forte segno di arretratezza culturale, signorina Swan".

La donna davanti a lei era una maschera di calma.

Ma come diavolo fa?, si chiese Emma. Le ho appena comunicato che un'intera città vuole la sua testa su un piatto d'argento, ed è come se le avessi parlato del meteo.
Una statua. Una fottutissima statua.
Le venne la tentazione di prenderla per le spalle e scuoterla, ma si trattenne: aveva avuto un assaggio di come Regina reagiva al contatto fisico, e non ci teneva a rivivere l'esperienza.

"La vedo confusa dalla mia mancanza di confusione. Quelle che mi porta non sono certo delle novità, sceriffo", iniziò Regina, evidentemente indugiando sull'ultima parola, come per farsi beffe di quella carica per cui -Emma lo sapeva- non l'aveva mai ritenuta adatta.
"So bene di...come dire, suscitare l'antipatia dei più, soprattutto ora che grazie al suo salvifico e puntuale intervento si ricordano tutti chi sono. Lei si ricordi, però: loro avranno anche dei metodi che potranno sembrare poco convenzionali a chi ha vissuto la maggior parte della sua vita a Boston e non nella foresta, ma io ho miei. E le assicuro che non sono da meno...
Che cosa credono di fare? Venire a bussarmi alla porta armati di forconi, come l'ultima volta?
Che paura.
La magia è tornata ed è ogni giorno più potente e facile da controllare. Sono sicura che Gold -vista la sua antipatia nei miei confronti- vi abbia informato a riguardo, lo vedo negli sguardi spaventati della gente per strada, anche se –sempre grazie a lei, signorina Swan- non esco spesso.
Solo la magia provoca quel terrore negli occhi della gente. Sanno che è tornata e che posso usarla.
Dovrebbero sapere, quindi, che -agendo oggi- combatterebbero una battaglia squilibrata. Avrebbero dovuto muoversi prima, quando ancora la magia era flebile.
Hanno perso la loro occasione.
Poi scusi ma..perchè lei dovrebbe preoccuparsi di fermarli? Non sprechi la sua già fragile reputazione di sceriffo per me, la prego. Sono in grado di difendermi da sola.
E soprattutto...che cosa c'entra con Henry il fatto che l'intera città è cosí ansiosa di eliminarmi?".

Emma, infastidita dall’apparente leggerezza con cui Regina sembrava parlare dell' argomento, rispose nell'unico modo che avrebbe saputo zittirla. Senza tanti giri di parole.

"Henry è il motivo per cui non ci hanno ancora provato".
 

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Capitolo 4
*** Compromessi pt.1 ***


Le labbra di Regina si modellarono a formare una piccola “o”, che sarebbe stata persino comica addosso a lei, sempre così controllata e seria - se non fosse stato per l'intrinseca drammaticità del momento.

Emma seppe di aver finalmente catturato la sua attenzione. Non ci fu nemmeno bisogno che le chiedesse, perché la bionda subito si lanciò in una spiegazione che sarebbe arrivata anche molto prima, se non fosse stato per quello strano abbraccio e la solita testardaggine di Regina, oltre alla sua snervante ossessione per l’avere sempre l’ultima parola.
 

“I primi giorni dopo il nostro compromesso” iniziò Emma, e subito sentì l’altra sbuffare per la scelta del termine, ma non si lasciò intimidire, "erano tutti un po’ dubbiosi. Sono riuscita a convincerli ad accettare le condizioni solo perché tutti pensavano che saresti stata tu ad attaccare per prima, a rompere la tregua. Non ti credevano capace di attendere. Leroy ha addirittura messo su un sistema di scommesse clandestine … i più ottimisti ti davano tre, quattro giorni. Dovevi sentire come ne parlavano….come se fossi una bomba pronta ad esplodere. Anche Henry ha scommesso su di te, sai?”. 

Proprio quell’ultimo commento portò Regina ad interromperla, di nuovo. Stavano andando così bene…

 
“Signorina Swan, ha permesso che scommettesse? Sta insegnando a mio figlio l’arte del gioco d’azzardo?".

Emma stroncò la polemica sul nascere.

“Ovviamente non ha chiesto il permesso, ha fatto tutto da solo – più o meno. Di nascosto. Con l’aiuto di Archie, che gli ha prestato tre dollari. Sai meglio di me che quando si mette una cosa in testa sa essere particolarmente…”.

“Cocciuto” terminò la frase Regina, con un misto di affetto e tenera preoccupazione.

“Esatto. In ogni caso…dopo sette giorni e nessuna regina cattiva all’orizzonte, tutti quelli che avevano scommesso avevano già perso. In gara ad un certo punto è rimasto solo Henry…”.

“Quanti giorni ha…?” esordì Regina, incerta, le guance lievemente tinte di un rossore poco caratteristico.

“Quanto tempo ti ha dato?”.

Regina annuì piano, forse non fidandosi della sua voce. Si stava sforzando di mantenere un contegno che le scivolava via come il sapone tra le mani.

“Mai, Regina. Ha scommesso sul fatto che mai avresti attaccato per prima”.

“Io…io non…”. La bruna prese a mordicchiarsi il labbro.Era quasi doloroso da guardare, quel suo atteggiamento cosí umano; lei che cercava di trattenersi, ma la sua figura regale che si scioglieva piano piano sul divano, come rimpicciolendosi.

“Dovevi vedere la faccia di Leroy”, tentò di sdrammatizzare Emma. Quella commozione imbarazzata infastidiva entrambe, nessuna delle due sapeva come gestirla: era troppo silenziosa, troppo sincera, un territorio per loro inesplorato.

“Quando Henry si è presentato per riscuotere il premio, si è rifiutato di consegnargli i soldi, usando qualche scusa sul fatto che era minorenne. E no, Regina, ovviamente non gli avrei mai permesso di tenerli”, la precedette, “Comunque non penso nemmeno che Leroy li avesse più…li avrà spesi tutti in birra, come suo solito”.

Regina emise un rumore strano a metà tra un risolino nervoso e un singhiozzo.

“Mi hanno fatta infuriare”. Affermò allora Emma, dal nulla, appoggiando i gomiti sulle ginocchia avvolte nei jeans, così stretti da sembrare appiccicati, le mani a sostenere il mento. “Come se la tua mancanza di reazione, la tua buona condotta, fosse una cosa negativa, e non una novità di cui gioire. Volevano che li attaccasi, perché sarebbe stata una giustificazione abbastanza nobile da permettere loro di fare la stessa cosa sentendosi nel giusto. Queste ultime due settimane sono state pesanti, è stato come avere costantemente a che fare con un gruppo di quindicenni guerrafondai. E più i giorni passavano, più si spazientivano. Leroy e Whale hanno iniziato a provocarli, così tre giorni fa si sono diretti verso casa tua. Erano circa una trentina. Fortunatamente, i miei genitori hanno avuto il buon senso di restarsene a casa. Io non ne sapevo niente, hanno fatto tutto in segreto, giocando sul fatto che loro sono molti di più. Io, Henry e Archie non avevamo abbastanza occhi né energie per controllarli costantemente. Sarebbero arrivati a prenderti, se solo Henry non avesse…sì, insomma, se non fosse stato per Henry”.

“Cosa c’entra Henry in tutto questo?” esclamò Regina, che sembrava avere un interruttore interno programmato a scattare tutte le volte che sentiva pronunciare il nome di suo figlio.

Poi, successe una cosa strana. Emma potè quasi percepire il velo nero che le scese sugli occhi. Il principio di un dubbio, irrazionale, pressante: Regina aveva paura ad esprimerlo, perché temeva la risposta, ma allo stesso tempo voleva sapere, doveva sapere…

“Lui…Henry…era uno di loro?”. Sussurrò, il tono piatto di chi aspetta la notizia di una sconfitta. Questa volta non riuscì ad impedire alla sua voce di spezzarsi pronunciando il nome di suo figlio ad alta voce. Anche solo formulare la possibilità che lui volesse…
Poteva sentire come l'inizio di una crepa aprirsi subito sopra al collo e scendere, attraversandole il petto, con la precisione di un bisturi sulla carne. L'inizio di una delusione squarciante.

“No, no, assolutamente no Regina, ma non hai sentito quello che ti ho appena raccontato?” si affrettò a dire Emma, in un turbinio di mani che gesticolavano nervose, quasi a sostenere la verità che le parole dicevano. Fu come lanciare una fune a Regina, sul punto di cadere in un nerissimo abisso mentale da cui c'era il rischio che non sarebbe più uscita. Quell'abisso, il tradimento di un figlio. 

“Il contrario. Lui li ha fermati. Non chiedermi come ha fatto a sapere che si stavano muovendo e dove erano diretti. È spuntato dal nulla. Si è messo in mezzo alla strada e…dovevi sentirlo, gliene ha dette di tutti i colori. Io sono arrivata proprio perchè faceva un baccano incredibile. È passato dal tentare di farli ragionare, all’inveire loro contro con i suoi piccoli pugni stretti stretti e la faccia rossa e irrorata di capillari, al piangere incontrollatamente. Non so quale dei tre tentativi li abbia convinti, ma la folla alla fine si è ritirata. Con la tacita promessa di ritornare".

“Lui ha…davvero…”.

Era la terza volta quella sera che Regina rimaneva senza parole. Emma non sapeva se esserne soddisfatta o preoccupata. Era, in un certo senso, rinfrescante vederla faticare così tanto a formulare una frase di senso coerente. Regina che balbettava era meno invincibile. Ma strideva talmente tanto con la persona che Emma aveva in in quei mesi conosciuto, che allo stesso tempo era come sentire il rumore spiacevole che fa a volte il gesso sulla lavagna.

“Ti ha difeso, sì. Cosa credevi?” le disse, inconscimente sporgendosi un poco verso di lei. “Dovevi vederlo, Regina: sembrava un piccolo Gandhi”. Emma si schiarì la voce e poi si lanciò in una fedele imitazione di suo figlio. 
"Fermatevi immediatamete! La violenza non è la soluzione. Siete dei personaggi delle favole, maledizione, avete dimenticato di tutte le seconde possibilità che vi hanno concesso? Non pensate che mia madre me meriti una?”.

Ha addirittura rinfacciato a Ruby che, malgardo si fosse -testuali parole- mangiata il suo fidanzato, nessuno era andata a prenderla armato di forconi. E quando ci avevano provato, qualcuno l'aveva difesa. Qualcuno aveva creduto in lei”.

Emma fu sollevata nel vedere le labbra della bruna piegarsi all’insù impercettibilmente. 

Fu un sussurro, ma Emma colse benissimo quello che Regina disse dopo.

"Mi manca".

Quasi contestualmente a questa ammissione, Regina inspirò profondamente, quasi a volersi riprendere ossigeno e parole. Ma ormai il danno era fatto.

Emma si schiarí la voce in un gesto nervoso: tutta quella sincerità le faceva girare la testa e rischiava di farle perdere il filo del discorso. Si sentiva un pesce fuor d'acqua: sapeva come gestire una Regina urlante e manipolatrice, ma una sincera? Non aveva idea di come prenderla. 

Un pesce rosso confuso, chiuse la bocca due volte nel tentativo fallito di ribattere a ciò che la bruna si era fatta sfuggire sorprendendo Emma come se stessa.

Il silenzio si fece quasi insopportabile, tanto che Regina si alzò di scattò e si voltò. Solo quando senti la piccola anta di legno aprirsi, Emma registrò che l'obiettivo finale di Regina era l'armadietto degli alcolici. Si versò una buona dose di scotch in un ticchettio vitreo di bicchieri, unico suono a rompere quel silenzio assordante. Poi, la schiena ancora girata, mormorò "Vuole qualcosa da bere, signorina Swan?", con tono stranamente morbido.
"No, grazie, non è necessaro".
Regina si girò, dopo aver preso due sorsate generose di quel liquido ambrato. Emma non fu sorpresa dal fatto che non avesse scelto il suo famoso sidro di mele: dal tremolio incessante delle sue mani capiva che Regina aveva bisogno di qualcosa di più forte.

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Capitolo 5
*** Compromessi pt 2 ***


Regina si girò, dopo aver preso due sorsate generose di quel liquido ambrato. Emma non fu sorpresa dal fatto che non avesse scelto il suo famoso sidro di mele: dal tremolio incessante delle sue mani capiva che Regina aveva bisogno di qualcosa di più forte.
 
 
Ciò che la sorprese, invece, fu il notare un leggero velo di lacrime avvolgerle gli occhi arrossati. Luccicavano, umidi e pronti per liberarle dalle loro prigioni, in cui erano fuori posto come una coperta pesante d’estate.
Ecco perché si era voltata. Per non farsi vedere mentre piangeva, per nascondere quella sua strana debolezza. Regina non era stupida: sapeva che prima o poi Emma avrebbe notato gli occhi lucidi e gonfi, ma stava evidentemente tentando di limitare i danni.
 
“Non credevo che le regine cattive sapessero piangere…” disse Emma, e subito si morse la lingua, maledicendosi per quell’innata capacità di essere sempre così inopportuna. Aveva voluto esprimere quello che era il suo più sincero stupore, ma subito comprese che le sue parole potevano essere facilmente scambiate per  un tentativo mal riuscito di insultare la sua interlocutrice, approfittando della sua temporanea debolezza emotiva. “Scusa, io non volevo dire…insomma, sì, volevo ma non nel senso…”. La bionda tentò di rimediare, senza successo.
 
Regina scosse la testa piano, come per dirle che non c’era bisogno di spiegare, che aveva capito cosa intendeva. Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse: “Al contrario, signorina Swan, è proprio dalle tante, troppe lacrime che nascono le regine più cattive. Come le fenici dalle loro ceneri…solo, molto più pericolose”.
 
Quelle poche parole colpirono Emma come uno schiaffo, così forti nella chiarezza del loro significato. Strabordarono dalla sfera dell'uditivo per sfiorare quella del tattile e le arrivarono dritte in faccia: quasi riuscì a sentirle. Spostavano aria e prendevano pelle, quelle parole: invadevano spazi.  
 
Non sono sempre stata così, mi hanno costretto a diventarlo.
 
Ci sono due versioni di ogni storia.
 
Il tempo di sbattere le palpebre due volte, e Regina si rese conto di quello che si era fatta sfuggire. Tentò di sminuire la portata della sua confessione, senza però riuscirci.  “Scusi la sincerità. È molto tardi e tutti questi discorsi su Henry non aiutano…mi sono lasciata trascinare”.
 
“Non c’è niente di cui tu ti debba scusare, Regina” iniziò Emma.
Poi si fermò, indecisa, come chi ad un bivio debba scegliere da che parte andare. Regina evidentemente percepì lo stato d’animo della bionda perché la spronò ad esplicitare i suoi pensieri. Le pose finalmente la domanda che aveva sulla punta della lingua da tutta la sera.
 
“Perché è qui? Non mi fraintenda. Non che non apprezzi essere aggiornata su come stiano lo cose, o su come stia…mio figlio. Mi riempie di gioia sapere che sia vivo e che…malgrado mi sembri surreale, prenda addirittura le mie parti. Ma…ho come l’impressione che ci sia qualcosa di più. Qualcosa che non mi ha ancora detto”. 
 
La strana delicatezza con cui la bruna le si rivolse –chiedendole qualcosa invece di pretenderlo di diritto, come di solito avrebbe fatto- fece sorridere Emma. Doveva essere un record: più di cinque minuti senza nemmeno un insulto. La prova che sapevano comportarsi come due persone adulte.
Emma sapeva che la calma avrebbe avuto vita breve: la loro era una dinamica tempestosa e avrebbe inevitabilmente continuato ad esserlo, ma anche solo pochi attimi di conversazione civile erano una bella novità ed Emma aveva tutta l’intenzione di godere di quella tregua apparente il più a lungo possibile. Parlare con Regina era sempre stato faticoso fisicamente: era tutto un pulsare di tempie, accompagnato da urla roche ed ampi gesti violenti. Vista la natura delicata della conversazione, Emma decise che avrebbe approfittato di quella calma prima della tempesta, che si sarebbe sforzata di mantenere la situazione pacifica. Forse si cstava concedendo una speranza prematura, ma la bionda intravedeva addirittura la possibilità di  uscire da casa di Regina avendo concluso qualcosa, senza essere accompagnata dalla solita, pulsante emicrania. Quella che le faceva visita quando uno semplice scambio verbale con la bruna puntualmente degenerava in litigio.
 
Considerati gli sforzi di Regina, Emma decise di ripagarla con la stessa sincerità: “Non ti sbagli. Sono qui perché qualcuno mi ha mandata.
È da giorni che non ti vediamo in giro – non che i primi tempi ti si vedesse spesso, ma perlomenoti vedevo da Granny’s la mattina, quando credevi fosse ancora troppo presto perché qualcuno fosse sveglio…non era tanto, ma era già qualcosa...”
 
“Come diavolo…?”. Regina alzò vertiginosamente un sopracciglio: Emma Swan le stava forse dicendo che la pedinava? Non avrebbe certo sopportato un tale affronto.
 
“Okay, prima che la cosa degeneri: devi sapere che faccio una corsa di mezz’ora tutte le mattine", si affrontò a puntualizzare Emma, che intravide negli occhi di Regina una scintilla di antico pericolo, "Esco di casa alle sei in punto, e faccio il giro della città. E’ un abitudine che ho da quando…insomma, da quando sono uscita di prigione. Prima, lo facevo solo per sfogarmi, per staccare la testa. Ora, devo ammettere che l’esercizio fisico mi torna utile in modi che mai avrei pensato. Avere fiato aiuta, sia quando sei lo sceriffo e devi rincorrere i ragazzini della squarda di hockey che rubano le caramelle al supermercato, sia quando sei la salvatrice e ti trovi a combattere contro draghi grossi come grattacieli”.  
Emma accompagnò la sua spiegazione con un mezzo sorriso, sperando così di rimettere Regina a suo agio. Sapeva che un frase male interpretata, una parola sbagliata, un tono di voce equivocabile l’avrebbero fatta scattare, e addio alla calma piatta e alla possibilità di parlare in modo ragionevole.
“Comunque, durante il mio percorso abituale, ti ho vista da Granny’s.  Tutti i giorni, seduta al bancone con la tua tazza di caffè nero e…Regina, quella volta, erano…sì, insomma, erano pancakes?”.
 
Emma non riuscì a trattenersi dal chiedere: era curiosità stupida, potenzilamente disatrosa, ma aveva preso a divorarla dal momento in cui aveva visto Regina, attraverso la vetrina della tavola calda, portarsi alla bocca una forchettata di quelli che le erano sembrati proprio pancakes, grondanti per di più di un liquido marrone che aveva tutta l’aria di essere sciroppo d’acero. Ma stava correndo, e quindi c’era anche la possibilità che si fosse sbagliata, che avesse visto male.
 
Successe una cosa che la sorprese e che implicitamente le diede la risposta tanto attesa.
 
Regina arrossì.
 
Ma non di un rossore lieve, gentile, graduale: furono due fiamme, che improvvisamente le tinsero le guance di un intenso color cremisi, così aggressive nel loro mostrarsi da sembrare finte. Emma non seppe bene come reagire: era indecisa tra darsi un pizzicotto per svegliarsi da quello che non poteva che essere un sogno piuttosto strambo, o mettersi a battere le mani con fanciullesco entusiasmo davanti a quello spettacolo adorabile a cui le era stato apparentemente concesso il privilegio di assistere. Non ebbe però il tempo di fare nessuna delle due cose, perché Regina la fulminò con uno sguardo, minaccioso malgrado l’imbarazzo.
 
“E’ stata una volta. Un minuscolo, irrilevante strappo alla regola. Non che io mi debba giustificare con lei, ma ero di un umore pessimo quella mattina, ed Eugenia ha insistito sul fatto che assumere un po’ di zucchero mi avrebbe fatto bene e…Signorina Swan se anche solo si azzarda a raccontarlo a qualcuno, io…”.
 
Emma non le permise neanche di formulare qualunque violenta e sanguinosa ipotesi Regina avesse in mente di utilizzare per dissuaderla dal vuotare il sacco; si limitò ad alzare le braccia con aria innocente e a dire: “Tranquilla, con me il tuo segreto è al sicuro. E poi non penso che nessuno ci crederebbe, anche se lo raccontassi…”.
Era chiaro ad entrambe che Emma si stava sforzando per non scoppiare in una fragorosa risata. Sapeva che Regina l’avrebbe presa sul personale, ma era più forte di lei: con tutte le cose che già circolavano sul suo conto (tutte piuttosto gravi e piuttosto vere), Regina ancora si preoccupava delle conseguenze che avrebbe potuto avere lo spargersi della voce che la regina cattiva ogni tanto mangiava pancakes a colazione. Emma non escludeva anzi la paradossale possibilità che la rivelazione avrebbe potuto avere insperati risvolti positivi. Une regina -per quanto cattiva- con un debole per lo sciroppo d'acero diventava immediatamente meno minacciosa...
 
“Sono contenta che la pensi così, Sceriffo, perché ne va della sua integrità fisica. Ora, se non le dispiace, continui con la sua spiegazione…”. Regina tagliò corto, infastidita dall’ilarità che la questione sembrava suscitare in Emma.
 
Per un attimo, sentendosi chiamata in causa con quell’appellativo, ad Emma sembrò quasi di essere tornata al periodo che nella sua testa aveva preso ad etichettare come “pre-maledizione”. Si stupì nel pensarci quasi con nostalgia, scoprendo che la sua mente lo aveva incassettato come qualcosa di vicino alla normalità, e quindi stranamente desiderabile. Per quanto contorta, era pur sempre diventata la sua quotidianità, ed un po’ le mancava.
 
“Sì, certo. Prima…posso farti una domanda?” s’arrischiò Emma, fiduciosa.
 
“Lei può farmi tutte le domande che vuole. Questo non vuol dire però che io decida di rispondere, Sceriffo”.
 
“Hai detto Eugenia…la chiami per nome? La conosci? Non credevo che foste…non fraintendermi, non voglio in alcun modo insultarti…credevo che anche lei…?”.
 
“Vedo che la sua corsa verso l'analfabetismo è ormai galoppante, Signorina Swan. Credeva che anche Eugenia Lucas fosse tra il novero di chi vuole la mia testa sul proverbiale piatto di argento” continuò per lei Regina, ed era più un’affermazione che una domanda. Emma si limitò ad annuire. Non poteva sbagliare, si disse, stando in silenzio. Ed era curiosa di sapere.
 
“A quanto pare, il quoziente intellettivo della nonna di Ruby Lucas si è dimostrato essere leggermente superiore a quella media davvero bassa che si ottiene sommando quelli degli altri abitanti di questa città. O forse si tratta solo di compassione, non saprei dirle. In ogni caso, non ci definirei amiche…più che altro, conoscenti. La signora Lucas ha la saggezza necessaria –forse dovuta all’età, forse alla sua storia personale- per capire che tra il bianco e il nero c’è anche il grigio. Dettaglio che ancora sembra sfuggire –un esempio a caso- a sua madre, signorina Swan. Il suo mondo è sempre stato senza sfumature - sempre così estrema, ingenua, esagerata, sin da piccola.
In ogni caso, da quando la maledizione si è rotta, ho trovato in Eugenia un inaspettato alleato. La tavola calda alle sei di mattina in questi giorni è stata per me…come la Svizzera. Un luogo neutrale, pronto a regalarmi una preziosa ora di calma fuori da casa. Questo posto può diventare…pesante, a passarci chiusa dentro ogni minuto della giornata. Fare colazione da Granny’s è una nuova abitudine…piacevole, malgrado le circostanze. Un posto sicuro. Posso starci senza che nessuno mi giudichi, senza che mi si squadri dall’alto in basso. Senza il bisogno di parlare quando non ne ho voglia: Eugenia è piuttosto burbera e schietta, non sono obbligata a mantenere nessuna formalità, con lei. Ce ne stiamo più che altro in silenzio, ma è un silenzio…sano. Comodo.
Ma mi sto di nuovo dilungando, signorina Swan, la prego: torni a parlare della sua snervante opera di stalkeraggio che a quanto mi par di capire ha messo in atto nei miei confronti nelle ultime settimane”.
 
“Ehi!” rispose Emma, scandalizzata, decidendo consciamente di non commentare l’ennesima, piccola confessione che Regina le aveva offerto, perché era un argomento troppo personale e delicato da poter affrontare senza rischiare di far scoppiare quella bolla di calma in cui erano finite. Le aveva praticamente confessato di sentirsi sola e giudicata, ed Emma non aveva assolutamente nessuna intenzione di parlarne. Non da sobria, perlomeno.
 
“Io non…non ti sto pedinando, Regina, se è questo che vuoi insinuare. Si tratta di una coincidenza. Te l’ho detto, corsa mattutina. In ogni caso non…ecco, non ti ho più vista fare colazione gli ultimi due giorni, e quando ho riferito ad Henry del cambiamento si è preoccupato. Vederti da Granny’s la mattina ci permetteva di sapere che eri viva, che stavi beni e che non te eri andata, insomma…”.
 
A quelle parole, un lampo di comprensione attraversò il volto della bruna.

“Henry credeva che fossi andata via” affermò bruscamente, interrompendo Emma e il suo discorso.
 
“Credeva…credeva che avessi preferito andarmene. O peggio credeva…che stessi tramando qualcosa. Non è così?”.
 
Emma sussultò alla perspicacia della bruna, e non si preoccupò di costruire una bugia fragile che Regina sarebbe riuscita a smontare facilmente. Annuì, la mascella serrata le conferiva un’espressione seria e scura.
 
“E’ per questo che è venuta a cercarmi. Per vedere se c’ero. È per questo che è sembrata così…sollevata nel vedermi. È per questo che…”, Regina esitò un millisecondo, “…che mi ha abbracciato, prima, sulla porta”.
 
“La risposta è sì, a tutte le tue ipotesi. Henry mi ha pregato di venire a controllare ed io…condividendo in parte suoi timori, ho pensato che fosse una buona idea”.
 
“Beh, sono qui. Non sono andata da nessuna parte. Non ho attaccato nessuno. Ho mantenuto la mia parte di promessa…cosa che, a quanto mi ha detto prima, gli altri non sono riusciti a fare”. Affermò Regina con orgoglio quasi regale, alzando il mento.
 
“Non devi preoccuparti degli altri. Ora che so di Eugenia, potrebbe rivelarsi anche per me un valido alleato: essendo in quattro, posso tenere la situazione sotto controllo. Ancora per un po’. Non voglio…”, ed anche Emma si trovò ad esitare, sentendo che si stavano inoltrando in un territorio pericoloso e delicato, “non voglio che tu pensi che noi non ci fidiamo. Insomma, capisci anche tu, la maledizione, tutte quelle favole che si sono rivelate non essere favole…è stato un colpo, non lo nego, per me, per Henry. Ma non voglio sminuire i tuoi sforzi delle ultime settimane. Io…Regina io credo davvero nel compromesso che ti ho proposto, altrimenti non te l’avrei proposto. Ed Henry…Henry ci crede anche più di me. e se c’è una cosa che tutto questo casino mi ha insegnato a fare…è fidarmi delle impressioni di quel ragazzino, perché c’è una buonissima possibilità che abbia ragione”.

La verità dei quell'asserzione commosse entrambe. Restarono un poco in silenzio, immerse nell'affetto che tutte e due provavano per loro figlio.
 
“Henry vuole che…che io mi redima”. Sussurrò poi Regina, e fu di nuovo un affermazione, non una domanda.
 
“Più di ogni altra cosa, sì” confermò Emma, seria, ancora un po’ commossa, sollevata e spaventata di essere arrivata al nocciolo della questione. “Sai, anche tu gli manchi…non passa giorno senza che ti nomini. Paradossalmente. il fatto di scoprire di aver avuto ragione si dall'inizio sulla maledizione e su di te, sembra avergli regalato una nuova consapevolezza: dice che non sei cattiva come tutti dicono. Che hai fatto delle cose brutte, ma che puoi cambiare. A volte lo guardo e mi chiedo davvero se abbia solo undici anni”.
 
“E’ sempre stato molto sveglio” commentò Regina, e questa volta non potè impedire una singola, pesante lacrima di scorrerle sul viso. Umida, lucente come una perla, sincera e sentita, la piccola gocciolina salata le rigò  la pelle della guancia destra, arrivandole fino al mento.
 
“Emma, sei qui per chiedermi” continuò Regina, ed Emma cercò di non saltare sulla poltrona per la sorpresa di sentirsi chiamare per nome “…sei qui per chiedermi se posso, vero?”.
 
“Sono qui per conto di Henry, per chiederti se puoi”, confermò la bionda.


Il silenzio che seguì si protrasse così a lungo da diventare opprimente, ma Emma non lo ruppe. Avrebbe regalato alla madre di suo figlio tutto il silenzio che le serviva, perchè Regina le aveva regalato suo figlio, e lasciarle del tempo per pensare, metabolizzare, elaborare era il minimo che potesse fare.

La risposta che arrivò, però, la fece infuriare.

"Non lo so. Io...ci ho provato molte volte, e non sono mai riuscita a...devi capire, ci sono sempre ricaduta, è più forte di me". Regina tremava come una foglia e non le era mai sembrata così piccola. Insignifucante, quasi.

Emma quasi tremò di indignazione, e -forse troppo impulsivamente, una fiamma alimentata dalla benzina della'affetto, delusa da una Regina che apparentemente non aveva neanche la forza di provarci- si alzò bruscamente dalla poltrona, stupendo se stessa.

Era stufa.

Stufa delle sue debolezze e delle sue giustificazioni.

Henry meritava di meglio.

Emma, fuori di sè, mentre Regina ancora la fissava a bocca aperta, si voltò verso la porta a lunghi, violenti passi, con tutta l'intenzione di andarsene.

Una voce, urlante, disperata, la fermò a metà strada.

"Emma! Aspetta!".

Emma si fermò ma non si voltò, non aveva la forza di affrontare Regina.

"Io... forse non ci sono mai riuscita perchè non avevo...non avevo niente per cui valesse la pena provare. Ora con Henry...potrei. Gli diresti...gli diresti da parte mia che ci proverò? Per favore".

Percependo, pur non guardandola in viso, la sincerità nelle parole di Regina, Emma questa volta si voltò. Sorridente, sollevata.

Per un attimo aveva creduto di aver perso.

Poi disse:"Domani. Granny's. Solita ora".

Prima di potersi pentire della sua decisione, senza neanche attendere una risposta di Regina che sarebbe stata superflua, consumò la distanza che la separava dalla porta ed uscì. L'aria fredda la colpì in faccia come un balsamo. Era agitata, accaldata, emozionata, preoccupata.
 
Aveva appena concesso una seconda possibilità ad una donna per 28 anni aveva controllato la vita ed i cuori di un’intera città. Una donna che aveva ucciso, torturato, inflitto sofferenza fisica e psichica, spesso sensa valide ragioni. Una donna che tutti in città le dipingevano come un mostro. Un caso di crudeltà irrecuperabile, un cuore così nero da essere marcio. La regina cattiva, il timore di tutta la foresta incantata.

Lo aveva fatto, perchè ad Emma quella sera era sembrato di aver a che fare con un’altra persona. Certo, Regina era sempre stata un tipo difficile. Una sfida costante. Ma la bionda proprio faceva fatica a far coincidere l’immagine che gli altri le dipingevano con quella che Emma aveva di lei. Faceva sempre più  fatica a credere che Regina Mills e la regina cattiva fossero la stessa persona. Per un attimo prese addirittura in considerazione lo sdoppiamento di personalità, o l'ipotesi che Regina avesse una gemella crudele di cui nessuno sapeva niente e con cui era stata scambiata, un po' come era successo a David.

Perché certo non s’era mai vista, una regina cattiva che piangeva, arrossiva, mangiava pancakes…

La bruna che le diceva con il cuore in mano di quanto suo figlio le mancasse, presa da una sincerità irrefrenabile, non era certo la regina cattiva. Non in quel momento, non quella sera. In quel momento, era semplicemente -oltre ad una donna che aveva fatto molti errori- la madre di suo figlio.

E forse per la regina cattiva non c’erano possibilità di redenzione. Ma per Regina Mills, il motivo per cui Henry era diventato il ragazzino educato, prezioso, nobile di spirito e generoso che era…per quella donna forse ancora c’era una seconda possibilità. Henry, tipicamente ottimista e testardo nel vedere sempre il buono nelle persone, l’aveva vista fin da subito, ed anche Emma, dopo quella serata sincera e inaspettata. iniziava ad intravederla.

Una via d’uscita.

Una lenta, difficilissima, faticosa redenzione...per  la madre di suo figlio.

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