oltre la luce della colonna.

di Ninetales
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Midori. ***
Capitolo 2: *** Fuu. ***



Capitolo 1
*** Midori. ***


Capitolo 1. 
Midori.


E' buio. I miei occhi sono chiusi, eppure riesco chiaramente a vedere quella fiamma che brucia lontana. Parla, dice di aver bisogno di me mentre il vento si alza ed il rumore di onde infrante contro qualcosa di indistruttibile raggiunge le mie orecchie. Tutto sembra svegliare i miei sensi, ma io non parlo.
Non parlo dall'età di cinque anni, ma continuo a fare sempre lo stesso sogno, anche adesso che frequento le medie in un paesino sperduto tra le montagne di Kyoto.
Non conosco quelle voci, ma ogni volta mi spaventano al punto da trovarmi costretta a svegliarmi nel cuore della notte sul mio futon. 

Non è male qui. I giorni passano continui e tranquilli, privi di qualsiasi novità, ma a me piace così. Nessun tipo di impiccio lungo la strda che mi sono prefissata.
Sono Midori. Il mio nome significa 'verde' ed è stato spesso associato alle foreste verdi che riempiono il mio paese e che ognuno dei suoi abitanti è costretto ad attraversare ad ogni loro spostamento.  Anche io, andando a scuola, sono costretta a passare per una piccola via che lo attraversa di netto, ma ormai è talmente familiare da non suscitare in me alcun timore. Da piccola. Ricordo che da piccola ne avevo una paura fortissima.
Ho legato i lunghi capelli biondi in una coda alta ma questo non sembra riuscire a fermare questi dannati boccoli biondi dall'agitarsi al vento. Il vento. Dovrei essere protetta da questi alberi alti, invece il vento riesce a raggiungermi sempre, come non saprei dirlo neanche io. E' come nei miei sogni, anche se privo di quella voce che trasporta sempre con sè. Questa mattina la strada è più lunga del previsto, ma non posso fermarmi neppure a riflettere su che strada devo prendere: ho un esame importante, ora che ormai si avvicinano i test per l'università non posso permettermi di perderne neanche uno. Ma la strada me lo impedisce.
Giro in tondo da un po' ormai, quando decido di sedermi su un masso più grande che solo in un secondo momento scopro essere un lupo scolpito su una pietra. No, non un lupo, ma qualcosa di vagamente simile, dal pelo molto più folto, tanto da potermi permettere l'appoggio. Mi sollevo con uno scatto, di soprassalto, sia mai che debba mancare di rispetto a quella che sembra essere una divinità del luogo. 
*Ma quale luogo? Casa mia? Avrei dovuto conoscerla una divinità lupo se mai ve ne fossero state.
E' questo il pensiero che mi costringe, senza che neanche accorgermene, a chinarmi in avanti per osservarlo meglio, ponendo il mio viso all'altezza del suo muso fiero e dallo sguardo severo. Il suo pelo mosso come avesse il vento contro, quello stesso vento che da li a poco prende ad agitare la mia coda bionda costringendola a spingersi verso le spalle e ricadere davanti a queste.
- Tua madre. La ricordi?
Una voce. E un nuovo scatto mi costringe ad irrigidirmi dando di colpo le spalle a quel lupo per voltrmi la, dove quello stesso muso sembra puntare.
Una donna. Talmente bella che al principio mi costringe a dimenticare - o forse semplicemente ignorare - quella domanda tanto stupida.
*Come potrei non ricordare mia madre. Questa mattina, come tutte le altre mattine, mi ha salutato augurandomi una buona giornata. E ancora sono certa che è li, ad aspettare a casa il mio rientro e quello di mio padre.*
E' bionda, e mi osserva con uno sguardo talmente dolce da darmi la nausea per qualche istante, ma ovviamente io non rispondo. Non potrei neppure se lo volessi, che possa o meno capirne il motivo. Non parlo, ma la osservo sgranando gli occhi, alla ricerca costante del lupo di pietra dietro di me che sfioro di li a poco con le mani. E pensare che quello stesso lupo fino a qualche istante prima mi intimoriva troppo per potermi permettere anche un solo tocco.
Alta, magra, veste un abito bianco sicuramente fuori moda: dall'ampia gonna e dagli eccessivi merletti. Non indossa un paio di occhiali, ma da li a poco va ad infilarli osservandomi ancora, come se quel semplice gesto potesse aiutarmi a ricordare.
*Non ho la più pallida idea di chi sia.*
Non sembra stupita dalla mia mancata risposta, al contrario, con quel fare ancora dolce si avvicina fino a cercare di portare le sue dita della mano destra, pallida e sottile, sotto il mio mento. Il mio viso è decisamente meno maturo del suo, m quell'espressione sembra rassicurarmi man mano che la osservo.
Ero sicura che lei sapesse. Ma cosa?
- Come sta Kuu?
Mi chiede ancora, ed è allora che la mia espressione dubbiosa rende la sua più sicura, tanto da permetterle un sorriso. Il mio sguardo scende e risale sulla figura di quell'estranea con una diffidenza tale che potrei sembrare quasi un cucciolo di un qualche tipo di animale, ma questo non mi ferma dall'osservarla con minuziosa attenzione. Quei boccoli biondi arrivano quasi all'altezza della schiena di quelli di mia madre, ma oltre a questo non c'è nient'altro che mi permette di accumunarle. Diverso il colore degli occhi, così come il taglio. Diversi i modi e questa sembra essere anche molto più giovane.
- Dille che mi manca. E ringraziala. Ha fatto un ottimo lavoro.
Mi ha costretta in breve, con quelle poche parole, ad ignorare il mio operato di attenta osservazione.


Non la rividi più per qualche tempo. Avevo raccontato a mia madre, o quanto meno le avevo scritto, quello che mi era successo, ma lei nn sembrava affatto preccupata, al contrario. Mi abbracciò di una stretta tanto forte da ricordarmi più una sensazione di tristezza che di effettiva gioia, sebbene quella donna bionda appariva al contrario lieta di vedermi. 
Niente. Nemmeno questo avevano in comune con mia madre. Ma non potevo di certo sapere quale fosse il motivo, non almeno fino a quel preciso istante.

Ci tornai di mia spontanea volontà in quella foresta: la cercavo, e non tardò ad arrivare. Sembrava quasi stesse aspettando che mia madre stessa fosse a conoscenza del nostro incontro prima di riapparirmi davanti, incastrandomi nuovamente tra lei e quel lupo di pietra.
- Midori.
Era appena un filo di voce, come se avesse timore di dirmi dell'altro. Altro che io non sapevo.
- La stai spaventando.
Questa voce invece era più che familiare. Mi voltai di scatto verso la fonte e li la trovai. Mia madre Kuu.
- Non dovresti essere qui. E non avresti dovuto cercarla. 
Niente di severo in quel tono che risuonava più di preoccupazione e di familiarità, eppure quelle poche parole bastarono a costringere quella donna bionda ad abbassare lo sguardo con evidente dispiacere. Io, mi limitavo ad alternare lo sguardo tra le due, soffermandosi di più su mia madre ovviamente, sebbene questa si tenesse a distanza. Non capivo il perchè. Avrei voluta averla vicino in quel momento, ma non sembrava aver minimamente intenzione di accorciare le distanze che ci separavano.
- Lui lo sa?
E' sempre lei, mia madre. Sembra essere riuscita ad ammutolire l'altra del tutto. *Lui?* Una domanda lecita, ma che non riuscii ad esporre. Come tutto il resto.
- No.
La risposta sembrava ovvia ancora prima di venir proferita. Quell'espressione colpevole di quella donna bionda parlava di gran lunga più della sua voce. E in questo più che a mia madre, *somigliava a me*.
Quel pensiero ne annullò ogni altro in quel preciso momento, e fu solo il tocco della mano destra di mia madre sulla spalla a ridestarmi di colpo da quell'incomprensibile vuoto.
- Non potevo starle lontana. Lui è più forte di me.. Io non riesco..
Non la lasciò finire. Mia madre intervenne immediatamente per zittirla, o per meglio dire correggerla, priva di odio ma con la severità che solo una sorella maggiore avrebbe potuto avere.
- E' più forte di te?
Una domanda palesemente retorica. Tanto che anche io non ebbi difficoltà a cogliere quello spazione negato ad un'eventuale risposta.
- L'ultima persona nel tuo stesso stato che proferì queste parole morì sotto un potere che fu anche tuo.
- Non solo.
- Anche tuo.
E di nuovo il silenzio, dopo quel ribattere che sembrava aver risvegliato quella donna bionda dal silenzio. E con esso anche una ferita profonda.
Un silenzio lungo, interminabile, che perfino io mi riscoprii ad odiare. Io che avevo fatto del silenzio il mio vessillo, senza volerlo.
- La porto con me.
Furono queste le parole che spezzarono il cuore di mia madre, e lo capii anche da quella presa sulla mia spalla che si fece più forte: un'artiglita che non mi avrebbe permesso di allontanarmi da lei.
- Hikaru lo sa.
Definitivo. Mia madre non riuscì a ribattere. Ma per me quelle erano solo parole e nomi privi di alcun tipo di significato.
Fu allora, dopo qualche istante, che la presa di mia madre venne meno sulla mia spalla e sul su viso comparve un'espressione di evidente sconfitta.
*Chi è questa Hikaru..*
Un pensiero leggittimo. Nessuno era mai riuscito ad ammutolire mia madre. Nessuno a parte questa Hikaru.
- Vai.
Mi disse solo. Un groppo alla gola. Mi accorsi che il medesimo groppo era anche il suo e quella voce risuonò quasi tremante. Non mi mossi, mi limitai a sollevare lo sguardo in sua direzione, preoccupata. Ero veramente l'ultima delle persone che avrebbe voluto abbandonare la sua casa, i suoi affetti, la sua banale vita scolastica con tutto ciò che ne sarebbe conseguito in un futuro che non sarebbe mai arrivato.
Mi tremavano le labbra, ma quel mi osguardo chiedeva ancora un silenzioso aiuto rivolto a mia madre, quando quella donna bionda prese la mia mano. Non mi accorsi neanche: si era avvicinata tanto da poterlo fare con tutta la chiara intenzione di non volermi lasciare andare.
Non potevo parlare. A nessuno interessava la mia opinione in quel momento. Ne a quella donna bionda a me sconosciuta e meno ancora a mia madre. La odiai in quel momento, ma d'altro canto non potevo sapere quanto in realtà lei soffrisse. Forse più di me.

Gli occhi di quel lupo di pietra brillarono di puro fuoco. Potevo quasi percepirne il calore e sentirne lo scricchiolare di un braciere invisibile, quando la sconosciuta mi tirò a se, avvicinandomi non con poca fatica dal principio. Ed una nuova voce costrinse mia madre a chiudere gli occhi, nel pieno di quel dolore che le lacerava l'anima.
- Qui abbiamo da fare cervellona, sbrigati, non bastano due cuori a reggere il peso e tu te ne vai a spasso per il finto mondo.
Lo chiamava finto mondo, ma per me quello era l'unico. Una donna, ancora. Era tanto magra da sembrare una ballerina, elegante e all'apparenza raffinata: lunghi capelli colore del mare ed uno sguardo come le profondità degli oceani, allungato come quello di un gatto ed altrettanto brava a soffiare. Non la smetteva più di cinguettare, ma la donna bionda sorrise comprensiva.
- Ne bastò uno al tempo.
Furono le unche parole di mia madre a controbattere quelle della nuova arrivata, accompagnata dai rumore dell'acqua infanta sugli scogli. E furono le stesse parole che costrinsero entrambe le sconosciute a rivolgerle lo sguardo. La prima, quella già vista in passato, le donò uno sguardo dispiaciuto, la seconda - la novità - un accenno visibilmente contrariato.
- Bastò? Davvero Kuu? 
Domandò semplicemente la chiacchierona colore del mare.
- Ma cosa vuoi saperne tu. Non c'eri. Ti è stato chiesto un favore, bene, ora hai adempiuto al tuo compito, puoi tornare a casa.
La saccenza. Tutto in quella donna portava ad odiarla: quei modi, quelle parole, quella posizione assunta nel rivolgersi a mia madre, che la vedeva appena sporta in sua direzione con la mano destra ad indicarla, la sinitra a puntarsi al proprio fianco. Eppure, non riuscivo ad odiare neanche lei, come quella bionda che continuava ad invitarmi verso di se con quella presa delicata sulla mia mano.
Mia madre non rispose, ma la bionda si.
- Non dovresti rivolgerti così.
*Non a lei*. Sono sicura che è un pensiero che abbiamo avuto entrambe in quel momento. Io e quella donna bionda.
Ancora silenzio. Ancora una volta. Mia madre si volto passando oltre quel lupo di pietra a cui donò una carezza tanto nervosa da sembrare uno schiaffo.
- Andiamo. Sarà contento anche lui di rivederla. Quale che sarà la sua sorte.
Di nuovo questo 'lui'. Cominciavo ad odiare tutti quelle parole lasciate a metà, ma non potevo che adattarmi. L'indole.
Era questo che mi preoccupava di più in quel momento. Non la mia sorte, non altro. Lontana da casa e dal mio vero futuro niente avrebbe avuto più importanza. Nessuno può decidere per me e dal momento in cui questo avvenne io mi sentii annullata completamente.
Un fascio di luce. Quel bosco ammutolito. Ogni animale aveva bloccato la propria esistenza, le proprie consuete abitudini, per assumere il colore del cielo.
Immobile. Il passaggio che anticipò il nostro cammino e che mi costrinse con una forte luce bianca a chiudere gli occhi di colpo, sollevando la mano libera a coprirmi il viso dall'aria spaventata.
La sua mano non mi lasciò neanche in quel momento. Aveva qualcosa di protettivo, quasi quanto lo era stata la presa di mia madre fino a poco prima, ma nettamente differente. Nessun artiglio, solo il calore di una mano che rassicurava. Piacevole.

Quando riaprii gli occhi un pesce volante ci reggeva sul proprio dorso. E sebbene gran parte di quel pesce ormai avesse assunto parti artificiali di un metallo trasparente che sembava quasi cristallo, la vita di quell'essere dall'aspetto singolare e dalle dimensioni enormi era palpabile sotto il tocco delle nostre mani tra le sue squame. Lo osservai con cura. Osservai con cura quelle isole fatte di montagne cristallizzate ad ogni spazio di quel cielo, fluttuare libere. Osservai i fiumi, i laghi  quei colli. Foreste, nuvole chiare. Sembrava non fosse piovuto da parecchio tempo ormai, ma quella era l'ultima delle proccupazioni.
La testa del pesce si incurvò a fatica verso di noi.
- Il principe è stato avvisato. Non sembra contento della scelta fatta dal fuoco ma suppongo che avrà tempo di accettarlo e comprendere.
Una voce maschile, adulta e fiera, smosse gli animi. Quello di quella donna dai lunghi capelli azzurri sembrò risentirne più di tutte noi in un primo momento e dubito che fosse per il concetto in sè.
- Grazie per esserci venute a prendere.
Era chiaro, anche da quella risposta. Nulla di così importante riguardo alla mia persona. Nulla le interessava.
L'opposto silenzio della bionda invece parlava più di qualsiasi altra cosa, ed è in quel momento, quando me ne accorsi, che mi avvicinai in sua direzione.
- Mi odia?
Era la mia. Era la mia voce. Credetti di averlo solo pensato, ma quella voce di ragazzina, cristallina e femminile mi uscì come la più normale delle azioni. Li, in quel luogo a me sconosciuto, con quelle persone a me sconosciute, sono riuscita davvero a fare qualcosa che mi era impossibile li: nel vero mondo.
Quanto poteva essere vero questo mondo se poteva solo ferire.
Ingenua. Sono un'ingenua. Ogni mondo a proprio modo può ferire.
L'espressione di quella donna bionda era stupita, al contrario dell'altra che mi degnò comunque di attenzione. Un sorriso, tanto semplice quanto caldo ricevetti come prima risposta.
- E' l'esatto contrario.
Stupida. Non potevo aspettarmi una risposta chiara. Una motivazione, qualcosa che potesse aiutarmi a capire piuttosto che confondermi ancora di più. Questo 'lui', che non mi voleva li con loro non mi odiava. Ma non mi voleva comunque li.
Non chiesi oltre, sarebbe stato totalmente inutile, così scelsi di lasciarmi trasportare da quell'enorme pesce meccanizzato da cristalli in un nuovo rinomato silenzio. Il solito.
La donna bionda mi osservò a lungo. Osservò la mia reazione e sollevò la mano libera da quella che stringeva la mia per scostare dietro l'orecchio del medesimo fiancho una lunga ciocca di boccoli dorati, prima di avvicinarsi appena col suo volto verso il mio.
- Lo senti?
Domandò, ma la mia esprssione dubbiosa fu una risposta più che esauriente.
- Il vento..
Specificò lei, prendendo volutamente tempo ancora una volta.
- E' mio.
Nessuno stupore, niente di quello che avevo sentito fino ad ora aveva senso, ma guardai con attenzione quell'espressione d'orgoglio sul suo volto a me sconosciuto. Sorrideva felice, lieta, come se si fosse liberata da un peso troppo grande a me sconosciuto. Non importava, quell'espressione beata era la cosa più bella che avessi visto prima di quel momento. Più dell'illusione di un mio futuro in un mondo reale, più dello scenario di quel mondo fittizio.
Avrei dovuto avere paura, ma niente di quello che vedevo mi spaventava. E non capivo perchè.


[continua...]

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Capitolo 2
*** Fuu. ***


Capitolo 2.
Fuu.


Non potevo davvero credere di averla li, con me. Dopo tutto questo tempo. Mi è mancata terribilmente.
Niente poteva distrarmi da quel pensiero, nessun calcolo matematico, nessuna logica plausibile. Quest'ultima la persi tempo fa, durante il mio primo viaggio a Cephiro. Ognuna di noi aveva un motivo reale per soffrire di quella lontananza da casa, ognuno il proprio personale motivo: la famiglia, i propri sogni che pensavamo infranti. Il mio era particolare però. Non che non bbia sofferto la lontananza da casa e ancora meno il desiderio forte di diventare qualcuno all'altezza delle mie capacità intellettuali, ma la logica, quella logica di cui Cephiro era totalmente priva, mi catapultò in un modo di pensare e vedere le cose che non mi apparteneva, non mi è mai appartenuto e mai mi apparterrà. Adattarsi non è stato affatto facile, non lo è tutt'ora.
Ma ora quel pensiero è lontano e la mia unica certezza è li, accanto a me, accomodata tra le squame fredde di quel pesce enorme così differente e al contempo così simile a quello che ci accolse la prima volta che arrivammo a 'casa'.
Il mio sguardo di giada era perso nell'azzurro di quel cielo tornato da tempo limpido grazie alla forza della nuova colonna e di quelle più piccole che la sostenevano. Avevo quasi timore di guardarla, lei, piccola al mio confronto, con quei lunghi capelli biondi pieni di boccoli vivi mossi dal vento, così simili a quelli di sua zia. Quello sguardo che aveva palesemente ereditato dal padre: di un oro puro. Era il sole. Ogni cosa della sua figura parlava di gioia e vita, e tra i tanti sguardi che potevano godere di quella sensazione di benessere il mio era il primo. Parte del suo essere era il mio, tramandato, l'altra parte era di qualcuno a me così caro da rivederlo in ogni suo gesto, in ogni sua occhiata curiosa ma decisa che rivolgeva ad ogni particolarità dello scenario che le si stava parando davanti.
Non ha alcun timore, è chiaro. Quel suo sguardo deciso e al contempo serio è la diretta eredità dei suoi genitori e di questo ne andavo particolarmente fiera. 
Fu a quel pensiero, in quel preciso istante, che un sorriso sfuggì dalla pacatezza che è solita mostrarsi sul mio viso. Il preciso istante in cui anche lo sguardo di quella ragazzina tornò a farsi strada verso la mia persona. Lo notai troppo tardi.
- Sei felice?
Quella domanda aveva un'innocenza tale da spingermi ad avvertire chiaramente un brivido lungo la schiena. Non ero stata felice per troppo tempo, tra le lotte per la sopravvivenza di Cephiro e la decisione di allontanare da me quello che avevo di più chiaro, sebbene consapevole delle giuste motivazioni. Strappare un figlio alla propria madre è un dolore che in pochi riescono a sopportare. Non sono ancora del tutto certa di averlo superato.
- Tu non lo sei?
'Non è tanto più importante la mia felicità, quanto la tua.' Un pensiero spontaneo. Non dovetti neppure rifletterci. Nessuna titubanza, risalì dal cuore come una tempesta di certezza mista a timore: a mia volta l'avevo strappata da quella che era stata sua madre fino a quel momento.
Non mi rispose. Si limitò a mantenere quell'espressione seria, pacata e decisa, anche quando tornò ad osservare tutto ciò che la circondava accogliendo il panorama come una curiosa novità, affatto intimorita ma neppure curiosa si direbbe.
Ero ancora li a guardarla senza neanche accorgermi. Ed altrettanto inconsapevolmente la mia mano destra si sollevò a ricercare con le dita sottili e pallide quei boccoli morbidi che tuttavia non mi azzardai neppure a sfiorare se non con un soffio di vento leggero che ne innervosì le punte a sua insaputa. Si, ancora più di quanto il nostro passaggio, fendendo l'aria, non andava ad agitare già di suo.
Un sospiro. Tutto questo per me era una tortura.
- Guarda ragazzina..
La voce squillante di Umi con noi. Mi ero quasi dimenticata di averla con me, al mio fianco, come spesso è accaduto anche in passato.
Midori sollevò lo sguardo. Sembrava persa per qualche istante. Non sapeva esattmente dove avrebbe dovuto guardare, eppure in breve, l'imponenete castello di cristallo si fece visibile ai nostri occhi.
L'espressione che ne consguì fu più che ovvia: quei grandi occhi dorati si sgranarono stupiti, le sue labbra sottili appen socchiuse. Nulla della sua espressione aveva mantenuto quella serietà della quale mi ero fatta vanto fino  qualche istante prima, ma la cosa non sembrava affatto turbarmi.
Umi sorrideva fiera, come una bambina presa dal mostrare il più bello dei suoi balocchi ad una sua compagna di giochi.
Io stavo morendo dentro. E come me suppongo, anche suo padre.
Era consapevole del suo imminente arrivo, contrario fino all'ultimo. Entrambe sapevamo con certezza il motivo che aveva spinto Hikaru a rivolerla a casa e di questo avevamo terrore. Puro terrore.

Il pesce sembrava a suo agio nei movimenti che lo condussero - e noi con lui - ad adagiarsi in breve su quella piattaforma che sulla metà superiore di quella colonna centrale delle tre di cui era composto il castello spezzava la luce riflessa del sole su quella superficie liscia e brillante.
Nessuna difficoltà per me e per Umi, ma fui io stessa ad aiutare Midori nella discesa di quel dorso squamoso.
Nessuno stava attendendo il nostro arrivo all'esterno, o almeno così sembrava.
Midori era impegnata a sistemarsi l'abito con le mani: quella gonna a pieghe che era la divisa scolastica era andata a sollevarsi appena con la discesa. Eppure il suo sguardo vagava attorno, mantenendo il suo viso alto tanto da non notare da subito quell'ombra che al contrario io sapevo già essere li.
Un punto ombreggiato di quell'accesso tanto grande da permettere a tre geni managuerieri di varcarce la soglia privi di qualsiasi fatica.
Restai ad osservarlo seria per un lungo istante, sembrava quasi che entrambe avessimo timore di azzardare la prima parola.
Anche Umi sembrava essersi accorta di quella presenza.
- Vado ad avvisare Hikaru del nostro arrivo.
Una sentenza che la portò in breve a muoversi verso l'interno, lanciando solo una rapida occhiata a Midori ancora. Singolare: è così raro vedere Umi tanto seria.
Attese che si fosse allontanata abbastanza prima di muovere un passo, quell'ombra, oltre l'oscurità per scontrarsi volutamente contro la luce riflessa dell'esterno, a mostrarsi altrettanto volutamente.
Bello, come sempre, eppure non fu il primo pensiero che mi balzò alla mente quando vidi la sua figura palesarsi davanti a noi, nel suo vestito principesco che di fiero aveva tutto e che cozzava terribilmente con quello sguardo contrariato che continuava a rivolgermi.
Quei capelli verdi raccolti in quel solito codino e quello sguardo dorato, allungato, così simile a quello - seppur giovanile - di quella ragazzina che tornava ad avvicinarsi a me diffidente. Mi fece quasi piacere vederla affiancarsi a me in quel frangente, come unico segno di quella sua fiducia nei miei confronti, senza considerare che, effettivamente, sua madre, il su unico punto di riferimento, non era più con lei. Non avrebbe avuto altra scelta che affidarsi a me.
- Non guardarmi così.
Avrei voluto utilizzare un tono più dispiaciuto per quelle parole. La mia preoccupazione d'altro canto era la stessa che dominava anche in lui in quel momento, e da giorni ancora. Eppure ciò che ne uscì fu solo astio e decisione. Un'evidente presa di posizione spinta dalla mia fiducia nei confronti di Hikaru. Quella non è venuta mai a mancare in tutti questi anni.
- Portala indietro. Dirai che non sei riuscita a trovarla.
Non ero l'unica ad imporsi a quanto pare. Il suo 'consiglio' risuonò nelle mie orecchie come un ordine e la cosa non mi piacque affatto.
Continuava ad avvicinarsi con quel solito fare fiero, ma a differenza di tante altre volte, quei passi finirono solo per agitare sia me che Midori al mio fianco che continuava a farsi dietro di me.
Fu un gesto impulsivo, da subito rifiutato dalla mia testa, quello che vide il mio braccio destro disegnare un fendente obliquo dal basso verso l'alto a dividere le nostre due figure da quella dell'altro che fu costretto a bloccarsi da quella folata di vento nervoso che seguì la mia mano agitando tutto quello che vi era attorno: i miei capelli allungati col tempo, quelli lunghi di Midori che portò le mani a coprire il viso, così come quelli di Felio davanti a me, compagni a quel mantello che prese a sollevarsi irritato, nervoso, come se quel tessuto avesse di colpo - e solo per qualche istante - preso vita.
Fu quella la mia unica risposta alle sue parole. Tensione pura mista a silenzio. Quella ed il mio sguardo deciso e contrariato che andava a scontrarsi contro quello altrui della medesima espressione.
Neanche adesso, Midori, sembrava intimorita. Placato quel vento il suo sguardo tornò a sondare la figura di Felio, pacato e serioso.
Fu quello il momento che lo spinse a scendere con l'attenzione verso di lei. Come me neanche lui aveva mai avuto modo di vederla crescere e l'impatto di quel sentore causato dalla presenza di Midori divenne di colpo visibile su quell'espressione che lentamente andò a distendersi, accompagnato da un sospiro chiaro, udibile. Non condivideva quella mia fedeltà al fuoco tanto forte da sacrificre la propria figlia. Forse mi odiava per questo, ma non avrebbe mai potuto dirlo ne al momento aveva intenzione di ribattere a quel mio gesto, benchè, sono consapevole, avrebbe potuto farlo e ne sarebbe uscito vincitore.
Ogni sua attenzione al momento era per quella ragazzina che tornava ad affiancarmi, rendendosi visibile.
- Che ironia..
Azzardò con quella voce profonda. Era cambiato molto col tempo, e anche quella sua voce ora sembrava quella di un uomo, piuttosto che quella del ragazzo che incontrai la prima volta nella foresta del silenzio.
- Somiglia a lei.
Continuò con un tono di evidente rassegnazione. Midori poteva anche non comprendere a pieno quelle sue parole, ma sapevamo entrambi quale fosse il chiaro riferimento a quella somiglianza: Emeraude.
Il vuoto. Tutto del mio animo si svuotò in quel momento, ero solo un corpo vuoto, e quell'invito a portarla indietro per un solo istante diventò quasi allettante.
Fu l'ennesima folata di vento naturale a ridestarmi da quel pensiero, agitando i miei capelli biondi tanto da costringermi a sollevare la destra e raccoglierne una ciocca dietro l'orecchio del medesimo fianco, calando il volto e con esso lo stesso sguardo. Un'ottima scusa per distogliere lo sguardo da Felio per qualche istante ed abbandonare di colpo - e probabilmente senza nemmeno accorgermi - quell'espressione decisa e contrariata per lasciare il posto ad una nuova, di puro timore.
La notò, ne sono certa. Niente che non sapesse già e che non vivesse lui per primo.
- Sei tu la persona che non mi voleva qui.
Non si ra dimenticata di quel ragionamento. Era solo li. E' probabile che ci abbia rimuginato per tutto il viaggio nell'attesa di incontrarlo. 
Il mio sguardo calò su Midori a quella sua domanda, sebbene il tono non sembrava affatto dubbioso.
Lui la osservò per un lungo istante, ma senza concederle risposta, prima di tornare su di me.
- Non le hai detto niente?
La mia risposta sopraggiunse diretta e veloce, velata di quell'astio che sembrava aver ripreso pieno possesso dei miei modi.
- Lascio ad Hikaru questo piacere.
Nessuna attesa per un'eventuale risposta: i miei passi erano già rivolti all'entrata e di rimando spingevano me e Midori al mio seguito - benché  con evidente incertezza per quanto la riguardava - all'interno del castello. Gli donavo volutamente le spalle quando quella risposta però arrivò costringendoci a bloccarci.
- Sono troppi i piaceri che le stai lasciando.
C'era ironia in quelle parole che giunsero tanto veloci quanto dolorose. Un fulmine in un cielo già di per se grigio. E per quanto fossi consapevole della contrarietà di Felio, ero io a poter rischiare di perdere non solo una figlia, ma anche una sorella. Poiché Hikaru, come Umi, altro non rappresentavano per me ormai di fatto che due sorelle. In uno dei qualsiasi casi ipotizzati da quella decisione io avrei perso qualcosa. E questo Felio non l'aveva mai compreso a pieno, troppo immerso in quello che era il suo desiderio di proteggere quanto più caro alla sua persona. Comprensibile, dal momento in cui lui stesso a suo tempo aveva perso una sorella.
Mi voltai quanto bastava a poterlo osservare con la coda dell'occhio. Un errore madornale, poiché quei pensieri che affollavano la mia mente in quel preciso istante e che per mesi mi avevano accompagnato, permisero a quell'espressione di evidente e pressata angoscia di mostrarsi anche a lui.
Era una sola e semplice richiesta. Non sarei mai riuscita a reggere l'idea di avere contro anche lui. Soprattutto lui. Era qualcosa che tuttavia non avrei mai potuto esigere.
- Fuu..
Lasciò in sospeso qualsiasi concetto avrebbe in quel momento voluto esporre, ma Midori colse alla perfezione quel nome, tanto che la sua attenzione tornò a scivolare da Felio a me, cogliendo a propria volta quella mia espressione.
Probabilmente fu quello il momento in cui iniziò a preoccuparsi, ignorando del tutto quanto fosse simile il mio nome a quello della donna che l'aveva cresciuta fino a quel momento. Un caso, o forse no.
Non sono del tutto consapevole della causa che mosse i suoi passi poco dopo. Il mio sguardo, le parole di Felio, la decisione e la testardaggine ereditata da entrambe. Fatto sta che si spinse lei per prima a procedere verso l'interno del castello, diretta a testa alta e senza nessun apparente timore verso il suo destino, lasciando indietro me e Felio che ormai, a quel gesto, non avevamo attenzione per nessuno al di fuori di Midori stessa.


[continua...]


Premetto che è la prima volta che scrivo una storia, ho voluto provare più per sfizio che per altro. Mi scuso per gli errori grammaticali qualora ve ne fossero e anche ovviamente per gli errori di battitura (la tastiera del mio portatile - benchè non sia vecchio - mi sta abbandonando, la 'e' la 'a' e a volte la 'o' bisogna premerle più volte e spesso non ci faccio caso.) Ammetto oltretutto di essermi basata su ciò che ricordavo riguardo il passaggio scolastico degli alunni nelle scuole giapponesi e dopo la recensione di Onyria mi sono decisa ad accertarmi della cosa. Da Wikipedia confermano il passaggio da 'medie inferiori' a 'medie superiori' e quindi dirttamente all'università saltando a piè pari le superiori, che a quanto sembra non hanno. Spero sia corretto, ad oggi non ne sono del tutto certa nonostante le informazioni in rete.
Concludo ringraziando di cuore chi ha usufruito di parte del proprio tempo per recensirmi, consigliarmi, apprezzare o correggermi (sono validissimi aiuti per cercare di migliorarmi sempre di più. Se dovessi davvero diventare brava a scrivere il merito sarà anche vostro :D)

Ninetales.

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